Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

FEMMINE E LGBTI

SECONDA PARTE

 

  

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

FEMMINE E LGBTI.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

PRIMA PARTE

 

Diversità di genere.

I LGBTQIA+.

Comandano Loro.

Il Potere nel Telecomando.

I Drag Queen.

Il Maschio.

Il Maschilismo.

I Latin Lover.

Il Femminismo.

Gli Omosessuali.

I Transessuali.

I Bisessuali.

Gli Asessuali.

I Fictiosessuali.

Gli indistinti.

I Nudisti.

L’Amore.

Sesso o amore?

Gli orecchini.

Il Pelo.

Le Tette.

Il Ritocchino.

Le Mestruazioni e la Menopausa.

Il Feticcio.

Bondage; Fetish: Il Feticismo.

Mai dire… Porno.

Mai dire …Prostituzione.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

SECONDA PARTE

 

La Truffa Amorosa.

La Molestia.

Lo Stupro.

Il Metoo.

Il Revenge Porn.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

TERZA PARTE

Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUARTA PARTE

 

La Gelosia.

L’Infedeltà.

Gli Scambisti.

Gli Stalker.

Il body shaming. 

Le Bandiere LGBTQ.

San Valentino.

La crisi di Coppia.

Mai dire…Matrimonio.

Mai dire Genitori.

Mai dire…Mamma.

Mai dire…Padre.

Mai dire…Figlio.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUINTA PARTE

Il Figlicidio.

Le Suocere.

Il Sesso.

Il Kama Sutra. 

Prima del Sesso.

Durante il Sesso.

Dopo il Sesso.

Il Sesso Anale.

La Masturbazione.

L’Orgasmo.

L’ecosessualità.

L'aiutino all'erezione.

Il Triangolo no…non l’avevo considerato.

Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.

Il Sesso Orale.

Il Bacio.

Amore Senile.

 

 

 

FEMMINE E LGBTI

SECONDA PARTE

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Truffa Amorosa.

Catfishing, chi sono e come operano i bugiardi del «bad web». Irene Soave su Il Corriere della Sera il 26 novembre 2022.

C’è chi ha perso tempo e soldi, a volte tanti. E chi, travolto dalla vergogna per essere stato imbrogliato, si è suicidato. Inventarsi vite che non sono la nostra sta diventando un fenomeno diffuso e pericoloso. Ma perché siamo prede facili dei truffatori?

Un’immagine simbolica per il «catfishing»: il termine deriva da “pescegatto”: corrisponde al tentativo di truffare o ingannare qualcuno online usando un’identità falsa o rubata: negli Usa si registrano 23 mila denunce; in Italia 300 l’anno

Matteo, sedicente avvocato, ha fatto colpo con una barzelletta un po’ fané. Lei insiste per raccontarmela. «Un moscovita va in edicola, compra il giornale, guarda la prima pagina e poi lo butta. Lo fa tutti i giorni. Un giorno l’edicolante sbotta: ma spreca un giornale così? Lui: sto aspettando un necrologio, ma non c’è mai. L’edicolante: ma i necrologi non sono in prima pagina! Il moscovita: quello che aspetto io sì». Mi lascia sorridere, poi: «Vedi? Ha fatto ridere anche te». Sedotta su Tinder da un impostore, Giovanna P. è una traduttrice, innamorata della cultura russa, «certo, prima di questi mesi», e per un po’ pure di “Matteo”. «Aveva questo umorismo colto, sapeva mille cose; amava persino le stesse strade di Mosca che amo io. Ho poi capito che ne snocciolava i nomi avendoli visti su post del mio profilo, anche di 10 anni fa. Penso fosse davvero un avvocato... Ma che ne so».

IL TERMINE DERIVA DA “PESCEGATTO”: CORRISPONDE AL TENTATIVO DI TRUFFARE O INGANNARE QUALCUNO ONLINE USANDO UN’IDENTITÀ FALSA O RUBATA

Succede in Italia a centinaia di persone ogni anno: le denunce nel 2021 sono state trecento, ma la difficoltà a inquadrare in un reato le truffe sentimentali e la vergogna che inibisce i denuncianti fanno pensare che il dato sia al ribasso. Il 15,3% degli italiani ha subito un raggiro dovuto a una falsa identità e il 13% ha subito un furto d’identità (Eurispes, 2022). Spesso tramite il catfishing : una seduzione in cui uno dei due è un falso. Un gioco antico, dai tempi di Cyrano de Bergerac e delle Relazioni pericolose; reso possibile su larga scala, però, dalle app d’incontri e dai social, piattaforme su cui in Italia, ormai, si stima nasca un amore su due (a Londra e New York l’80%).

I PROFILI QUASI SEMPRE CONTENGONO INFORMAZIONI FALSE: LE DONNE MENTONO SUL PESO, GLI UOMINI SU ALTEZZA E PROFESSIONE

«Mai visti dal vivo, e poi chi telefona più?»

Giovanna, 37 anni, e “Matteo” non si sono mai visti. «La nostra corrispondenza è durata tre mesi, lui diceva di vivere a Padova, io stavo a Roma, non c’era mai modo di vederci e non ci siamo mai telefonati. Ma onestamente nel 2022 chi è che telefona? Poi ho letto un vostro articolo sul catfishing e mi sono suonati troppi campanelli: le mille scuse per non incontrarci, le foto in posa, la voce strana nei vocali. Gli ho fatto qualche domanda trabocchetto; ha capito che avevo capito e mi ha bloccata. Fine del nostro amore, per così dire».

Giovanna non ha mai dato un soldo al suo falso innamorato, che non gliene ha mai chiesti; non ha mai capito chi fosse in realtà, «né ho denunciato, e cosa, poi? Credo fosse solo un tipo con scarsa autostima che amava fingersi qualcun altro. O qualche conoscente maligno che si prendeva gioco di me. Era perfetto per me. Ma finto». Ma la colta barzelletta del moscovita l’ha fatta ridere davvero. Giovanna, bella e piena di relazioni, «non sto a casa una sera, ho mille amici, è solo l’amore che mi diserta», sembra restia a pensare che questa storia, che ci ha scritto dopo la pubblicazione su 7 di una nostra inchiesta sulle truffe sentimentali ( Sembrano solo cuori truffati ma è stupro affettivo, 7 del 4 febbraio 2022), sia stata un falso assoluto.

300 LE DENUNCE PRESENTATE IN ITALIA NEL 2021 PER ESSERE STATI RAGGIRATI ATTRAVERSO L’UTILIZZO DI PROFILI FALSI

Daniele, 24 anni: suicida per l’umiliazione

«Non fate i miei errori, io ho sbagliato tutto», ha scritto nell’ultima lettera ai suoi Daniele, il geometra di Forlì che a 24 anni, a settembre 2021, si è ucciso per aver scoperto che la sua relazione tutta virtuale con una sedicente modella era stata un inganno. «Non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita». Una storia immaginaria, con conseguenze (tragiche) molto reali. A illudere il giovane era stato un 64enne di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, che si spacciava per una certa “Irene Martini” e per settimane ha chattato con Daniele promettendogli matrimonio e figli. Ottomila messaggi. Chat lunghe anche 17 ore. Poi l’umiliazione, per Daniele, di sapersi ingannato.

171% L’INCREMENTO DEI DOMINI WEB FRAUDOLENTI DAL 2019

14° POSTO DELL’ITALIA NELLA CLASSIFICA GLOBALE DEI PAESI PIÙ SOGGETTI A SCAMBIO DI DATI DI CARTE DI CREDITO

347% L’AUMENTO DI FURTI DI ACCOUNT DAL 2021

23 MILA I CITTADINI USA CHE HANNO DICHIARATO DI ESSERE VITTIME DI CATFISHING NEL 2020 (TOTALE: 605 MILIONI DI DOLLARI PERDUTI)

«La cosa che mi fa venire voglia di togliermi la vita», scrive in un messaggio WhatsApp, «è che mi sono sentito preso per il culo da qualcuno che non conosco». Era il 2021. Il 2 novembre di quest’anno la vicenda arriva alla ribalta tv delle Iene, che allo smascheramento di truffe sentimentali - ricordate il pallavolista Cazzaniga, che aveva donato 700 mila euro a una spregevole falsa fidanzata di nome Valeria Satta? - dedicano uno spazio ormai quasi fisso. Le Iene, in un servizio poi biasimato dallo stesso ad di Mediaset Piersilvio Berlusconi, rintracciano il truffatore, che si difende: «Io non sto bene». Il suo volto è cancellato con un effetto, i compaesani però lo riconoscono e arrivano insulti e minacce. Domenica 7 novembre Zaccaria si uccide, e nel suo biglietto di addio al mondo ci sono le istruzioni sulle medicine da dare alla madre anziana, con cui abitava.

Gli studi e quei 14 mila risarcimenti impossibili

Dalle ricostruzioni della storia, l’impostore Zaccaria - che al giovane che ha ingannato non ha mai chiesto un euro - sembrava emotivamente coinvolto, per primo, lui stesso. Chiedeva foto intime; chattava per giorni interi; il potere che esercitava sul giovane, forse la fantasia di sentirsi una donna stupenda grazie alle foto rubate dai profili social di una modella, erano la ricompensa che Zaccaria traeva dalla recita. Una recita che è proseguita con altri ragazzi, secondo Le Iene, anche dopo il suicidio di Daniele. Non è strano. Secondo i pochi studi disponibili sul catfishing gli scopi del fingersi qualcun altro online sono vari. Certo, in molti casi la truffa sfocia nella richiesta di denaro: un’associazione «contro le truffe affettive e il cybercrime», Acta, ha ricevuto negli ultimi 8 anni circa 14 mila richieste d’aiuto, da persone che in media hanno perso 20 mila euro in truffe di questo tipo (un solo caso va oltre i 900 mila, irrecuperabili). Ma altrettanto spesso mentire sulla propria identità è un modo di sperimentare un diverso ruolo di genere, o di sentirsi risarciti di insuccessi sperimentati con la propria identità reale.

27,2% QUASI UN ITALIANO SU TRE VITTIMA DI TRUFFE INFORMATICHE

15,3% DEGLI ITALIANI HA SUBITO UN RAGGIRO CON FALSA IDENTITÀ

13,2% DI PERSONE IN ITALIA È STATO OGGETTO DI FURTO D’IDENTITÀ

81% LA PERCENTUALE DI ITALIANI CHE MENTE SUI DATI DEL PROPRIO PROFILO SECONDO UNA RICERCA DATATA 2017

La solitudine del truffatore

«Quando mando le mie foto vere, in genere smettono di rispondermi», risponde uno degli intervistati in una ricerca del 2018 dell’università del Queensland concentrata sui truffatori sentimentali: la solitudine del truffato è spesso superata da quella del truffatore, che è il suo movente, secondo lo studio, nel 41% dei casi. Così nasce ad esempio una commedia natalizia molto popolare su Netflix, Love Hard (2021): zitellona californiana conosce online alpinista sexy costa Est; attraversa gli Stati Uniti per fargli una sorpresa e scopre di persona che a chattare con lei era un nerd bruttino; la commedia ha un lieto fine, ma la realtà è più brutale. La giurisprudenza italiana, per questi casi, è poi costellata di vuoti. Le indagini a carico di Zaccaria presso la procura di Modena erano state archiviate. Ipotizzata e poi caduta la fattispecie di morte come conseguenza di altro reato (art. 586 c.p.), era rimasta in piedi solo una condanna penale per sostituzione di persona (art. 494 c.p.), reato più modesto. La sanzione in cui la condanna è stata convertita era di 825 euro. Non c’è nemmeno stata estorsione.

41% LA PERCENTUALE DI “TRUFFATORI” CHE AGISCE PER “SOLITUDINE” SECONDO UNA RICERCA DATATA 2018 DELL’UNIVERSITÀ AUSTRALIANA DEL QUEENSLAND

Che cosa prevede la legge italiana

Le leggi italiane prevedono appunto la sostituzione di persona, che per la prima volta la Cassazione ha collegato a un caso di account Facebook falso (sentenza 9391/2014): «non è reato», così la sentenza, «la creazione di falsi account (...) ma lo è usarli per molestare altri utenti attraverso la chat». Se poi per fingersi qualcun altro il truffatore usa foto o dati di altre persone realmente esistenti, lede anche il diritto all’immagine (art. 10 c.c.) e viola la legge sulla privacy circa il trattamento dei dati. Se al catfishing segue un raggiro si va su un terreno ancora più scivoloso. La prima sentenza che riconduce a truffa (art. 640 c.p.) un raggiro affettivo, la 25165 di Cassazione, è del 2019. Poca roba. La storia delle truffe, degli inganni e più in generale delle bugie sfugge alle leggi: si può mentire senza mai violarne nessuna. Sulle app di dating si stima che un profilo su 10 sia falso, cioè gestito addirittura da un bot, o dai soliti truffatori. Ma i profili di persone sposate che si dicono libere sono «veri» o «falsi»? E chi bara sull’età?

«CREDIAMO VOLENTIERI A UNA NARRATIVA CHE SOSPETTIAMO POSSA ESSERE VERA SOLO IN PARTE, MA CI SEDUCE. E CI COMPORTIAMO COME SE LO FOSSE»

Inaffidabili i profili sulle app di incontri

L’81% degli italiani (Ipsos Mori per Vodafone) mente sui propri profili di dating; le donne sul peso, gli uomini sull’altezza e sulla professione, e già solo in questo dato - del 2017, ma siamo cambiati molto da allora? - sono riassunti cento manuali di seduzione. Il 54% di chi cerca appuntamenti online, per lo stesso studio, si è imbattuto in profili falsi; solo il 25% dice di «conoscere qualcuno che ha profili falsi»; solo il 4% ammette di averne uno. Contattata dal Corriere non vuole parlare dello «scandalo» che ne ha travolto il profilo Instagram: Giulia Cutispoto, classe 1989, è diventata famosa - cioè ha 670 mila follower, scrive libri per Mondadori, collabora con il Sole 24 Ore - raccontando, a nome Julia Elle, il bello di una famiglia allargata. La sua lo è: un ex compagno, Paolo Paone, e un nuovo compagno, Riccardo Macario. Tre figli i cui nomi - citazione di Kardashian? - iniziano tutti con «ch»: Chloe, Chris e Chiara. I primi due di Paolo, la terza di Riccardo. Così la versione ufficiale. Poi dissapori col primo compagno. Lei lo accusa in tv di essere un padre assente. Lui replica: Chris non è mio. Spunta un terzo uomo, che avrebbe rifiutato la paternità di Chris - che, oggi all’asilo, potrà risparmiare da adulto le prime sedute di psicoterapia comodamente presentando le centinaia di articoli usciti sul caso - e lei controreplica: Paolo è stato un compagno violento. Lui: ma se ti ho accolta mentre eri incinta di un altro. E così via. Cosa c’era di vero nella felicità della famiglia allargata presentata dalla popolare influencer? E chi sono i truffati: i figli? Il pubblico non pagante? I marchi che si associano a «Julia Elle», dai giocattoli all’aromaterapia, dalle profumerie agli integratori? Periodicamente uno «scandalo» di breve durata rivela l’inconsistenza di molte vite popolari online: dell’economista sedicente Imen Jane, a giugno 2020, il sito Dagospia ha rivelato che non aveva una laurea. In quelle settimane il suo profilo ha perduto qualche migliaio di seguaci; poi ha continuato a crescere.

La narrazione ingannevole sui social

Un post su Instagram può valere (dal report 2022 di DeRev, società italiana di comunicazione digitale) fino a 75 mila euro. Quello della pubblicità social — che rispetto ai media tradizionali promettono agli inserzionisti più autenticità e «verità» — è un giro d’affari che in Italia, nel 2022, varrà 335 milioni di euro; nel mondo nel 2022 varrà 16 miliardi, una decina negli Stati Uniti; vere o false, le vicende delle migliaia di Julie Elle del pianeta mobilitano soldi assai concreti. Dov’è la soglia della «verità»? Se una Julia Elle, come trent’anni fa una Wanna Marchi, ci racconta che lo scioglipancia funziona, che la sua felicità è possibile, le dobbiamo credere? «La domanda è malposta» spiega la scrittrice Lauren Olyler. «Crediamo volentieri anche a una narrativa che sospettiamo possa essere vera solo in parte, ma ci seduce. E ci comportiamo di conseguenza. L’influenza dei social sulla politica nell’ultimo decennio lo dimostra. Donald Trump mica voleva davvero sparare ai messicani, lo sapevano tutti. Ma chi sposava questa narrativa l’ha votato, e ha pensato che fosse giusto poter sparare ai messicani».

Un romanzo sui falsi profili online

Olyer, autrice millennial, ha appena pubblicato il suo primo romanzo Fake Accounts (Bompiani, 288 pp., 20 euro, trad. di Marta Barone): la protagonista, curiosando nel cellulare del fidanzato Felix, gli scopre una «vita parallela» da imbonitore complottista con centinaia di migliaia di follower che non credono all’11 settembre. Il vero Felix è intelligente, buffo; il suo alter ego sgrammaticato e violento non gli somiglia, ma spopola. «Volevo mostrare che la truffata è lei: il pubblico di lui crede a un falso, ma ha esattamente quello che si aspetta. Lei si ritrova in una storia basata su presupposti diversi da quelli a cui credeva». La storia svela una più ampia inconsistenza: quella dei «lavori digitali», come il sito di contenuti divertenti in cui lavora la protagonista, «che richiedono sedici ore di impegno al giorno e non contribuiscono in niente alla società, se non con informazioni né vere né false, inconsistenti. O l’economia smaterializzata delle criptovalute, che ti fa chiedere: ma io cosa lavoro a fare? In questo senso sì, il falso influenza il vero. E su larga scala».

Da fanpage.it il 6 novembre 2022. 

Daniele, un ragazzo 24enne di Forlì, si è suicidato impiccandosi nella sua stanza di casa dopo aver scoperto che la sua fidanzata, conosciuta in chat, voleva lasciarlo: ‘Irene' era in realtà un uomo di 64 anni. Suo padre non vuole che la sua storia sia dimenticata. Per questo, ieri, tramite l’agenzia Ansa, ha deciso di rivolgersi direttamente al nuovo capo del governo Giorgia Meloni.

" È mai possibile che non venga riconosciuta una pena severa per questo tipo di reato?", scrive nella conclusione.

Il suicidio del giovane risale al 23 settembre del 2021. Non essendoci stata estorsione di denaro, a giugno la Procura ha ritenuto di chiedere l’archiviazione di quello che appare come il reato principale – quello di morte come conseguenza di altro delitto – chiedendo e ottenendo per il 64enne un decreto penale di condanna per “sostituzione di persona“, ma la condanna è stata convertita in una sanzione pecuniaria di 825 euro.

 "La vita di mio figlio vale questo?" si chiede il signor Roberto.  "Spero vivamente che questa storia possa servire a rivedere alcune leggi e far sì che chi commette questi reati venga punito severamente. Ecco il motivo che mi ha spinto a scriverle" si rivolge alla Meloni. In sostanza il padre di Daniele chiede che il governo preveda pene più severe per reati di questo tipo. "Se oggi sono qui a scriverle questa lettera è perché credo fermamente nella giustizia italiana, ma ad oggi non abbiamo riscontrato nessun esito positivo".

In questi giorni si sta parlando tanto di Daniele, grazie al servizio mandato in onda alle ‘Iene’ qualche giorno fa, ripreso successivamente da molti quotidiani nazionali e locali. Mio figlio è stato vittima di quello che oggi è chiamato ‘catfishing’, una relazione virtuale nata sui social con una ragazza, dietro la quale si celava la figura di un uomo di 64 anni. Questa relazione virtuale ha portato alla morte di mio figlio. Ciò che è accaduto è di una gravità immane e molti altri ragazzi e ragazze sono vittime di questi inganni. Tanti riescono a salvarsi, tanti altri no".

E aggiunge: "Non si utilizzano solo le armi, intese come oggetti, per uccidere; le parole, le illusioni, le sostituzioni di persona possono avere lo stesso potere di un’arma e provocare la morte". Quindi sottolinea: "Ad oggi, l’uomo responsabile di tutto questo si trova a piede libero, si sveglia ogni mattina e se ne va per le vie del suo Paese, come se nulla fosse accaduto. Non avrò più indietro Daniele, nel frattempo, colui che ritengo il responsabile di questo tragico evento è libero e i carabinieri hanno addirittura scoperto che ha continuato con questo gioco sporco".

 Si è ucciso l’uomo che si era spacciato online per la fidanzata, dopo il servizio televisivo de Le Iene. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno  il 6 Novembre 2022.

L'uomo 64enne era stato condannato per la "sostituzione di persona", per una pena pecuniaria di appena 825 euro. Ma vi sembra il prezzo da pagare per avere indotto un ragazzo di 24 anni al suicidio ?

E’ stato trovato dalla madre morto in casa questa mattina alle 7 l’uomo di 64 anni di Forlimpopoli (Forlì-Cesena) finito al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, un giovane di 24 anni, che aveva studiato all’Istituto Geometri e che dalla fine della scuola lavorava nell’impresa edile del padre, e che si era tolto la vita un anno fa dopo aver scoperto di essere stato vittima di uno scherzo durato un anno: quella che credeva essere la sua fidanzata, Irene, conosciuta online, in realtà era l’uomo di 64 anni che, secondo gli inquirenti, oggi si è suicidato. I Carabinieri hanno ricevuto la chiamata di soccorso intorno alle 8,30 di questa mattina, sono arrivati sul posto con magistrato di turno, trovando l’uomo nella sua camera da letto privo di vita. I primi atti di indagine non lasciano dubbi sulla natura della morte, che pertanto esclude l’ opera di terze persone. 

La vicenda era stata denunciata, martedì scorso, da un servizio televisivo della trasmissione Le Iene che aveva raccontato il fatto, raccogliendo la denuncia dei legali dei familiari di Daniele. Con una rete di rapporti sociali molto ristretta, come si è evinto nel corso del servizio delle Iene, il giovane aveva intrecciato una relazione virtuale con una ragazza (poi risultata inventata) spacciatasi con il nome inventata di ‘Irene Martini’ con delle bellissime foto postate del profilo “fake” , che in seguito si è scoperto essere state rubate dai profili social di una modella romana.

La relazione online utilizzando il profilo falso, gestito in realtà dall’uomo 64enne, si era sviluppata in 8mila messaggi e a volte diverse ore di chattate al giorno, era durata per più di un anno costellata da messaggi amorosi sinceri da parte di Daniele, che venivano contraccambiati dal profilo falso, ma ad un certo punto sono emerse però chiaramente le fragilità emotive e sentimentali del ragazzo, che più volte nei messaggi annunciava i suoi propositi di suicidio nel momento in cui il rapporto, sempre e solo virtuale, si era incrinato a seguito del sospetto maturato dal giovane di essere stato raggirato, disperato della non esistenza di una figura femminile che aveva idealizzato. Propositi che purtroppo si sono realizzati il 23 settembre 2021, quando i genitori lo trovarono impiccato nella casa di Forlì.

L’uomo, dopo il suicidio del giovane, era stato indagato dalla Procura, aveva ricevuto un decreto di condanna per sostituzione di persona, ma l’accusa di morte come conseguenza di altro reato era stata archiviata. I genitori di Daniele, nei giorni scorsi, avevano scritto anche una lettera alla premier Giorgia Meloni, dopo aver già proposto opposizione all’archiviazione e nei prossimi mesi sarebbe stata fissata un’udienza. L’uomo 64enne era stato condannato per la “sostituzione di persona“, per una pena pecuniaria di appena 825 euro. Ma vi sembra il prezzo da pagare per avere indotto un ragazzo di 24 anni a mettere fine alla propria vita. E’ giustizia questa ?

Nel servizio televisivo del programma Le Iene andato in onda su Italia Uno nei giorni scorsi, l’uomo era stato raggiunto nel centro di Forlimpopoli dalla troupe televisiva che gli aveva chiesto i motivi del suo gesto. Andato in onda con il volto oscurato, ma in molti lo avrebbero comunque riconosciuto, il 64 enne forlimpopolese si era giustificando sostenendo che “se aveva problemi di testa non è colpa mia” ed aveva definito la finta relazione come uno “scherzo durato un bel po’”. Ma la tragica morte di Daniele, a soli 24 anni, deve essere diventato un fardello pesante da sopportare, inducendo il 64enne a compiere lo stesso gesto suicida. Redazione CdG 1947

Forlì, si era finto donna ingannando in chat un 24enne (poi suicida). Ora si è ucciso. Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera il 6 Novembre 2022.

L’uomo, un 64enne, era stato riconosciuto colpevole di scambio di persona, ma non di truffa (perché non aveva chiesto soldi). La famiglia del giovane aveva chiesto giustizia, appellandosi anche al programma «Le Iene» che aveva smascherato l’uomo

Il paese lo aveva riconosciuto, dopo il servizio in televisione che aveva raccontato del suo inganno in chat ai danni di un 24enne, poi morto suicida. E lui non ha retto al peso del rimorso e della vergogna. E si è ammazzato a sua volta. La tragedia a Forlimpopoli (Forlì-Cesena), dove ieri è stato trovato morto in casa Roberto Zaccaria, 64 anni, l’uomo al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, il giovane di 24 anni che un anno fa (il 23 settembre 2021) si era tolto la vita dopo aver appreso di essere stato vittima di uno tragico inganno in chat: quella che per un anno credeva essere la sua fidanzata, Irene, conosciuta online, era in realtà proprio Zaccaria.

Il corpo del 64enne è stato trovato ieri alle 7 di mattina dalla madre. La vicenda del suo «inganno» era stata denunciata, martedì scorso, da un servizio televisivo della trasmissione Le Iene su Italia 1 che aveva raccontato il fatto, raccogliendo la denuncia dei legali dei familiari di Daniele. Un approfondimento compiuto dal Corriere aveva permesso anche di accertare che l’uomo se l’era cavata con una sanzione pecuniaria di 825 euro in quanto la Procura, dopo la denuncia della famiglia del ragazzo, aveva archiviato le ipotesi di reato più pesanti a carico dell’uomo (come la truffa, perché non sono state dimostrate richieste di denaro). Lasciando in piedi solo quella di sostituzione di persona, per la quale era stato emanato un decreto penale di condanna.

Una decisione alla quale la famiglia del ragazzo aveva presentato opposizione formale. I genitori di Daniele, nei giorni scorsi, avevano scritto anche una lettera alla premier Giorgia Meloni. Nel servizio delle Iene andato in onda nei giorni scorsi, l’uomo era stato raggiunto nel centro del paese da una troupe che gli aveva chiesto i motivi del suo gesto. In onda era andato il volto oscurato dell’uomo, ma in molti, nella piccola realtà di 13mila abitanti, lo avrebbero comunque riconosciuto. Daniele, geometra 24enne, era stato trovato impiccato nella soffitta della casa dei genitori (il papà è un piccolo impresario edile). Si era innamorato di un falso profilo incontrato sul web: una 20enne bellissima, ma inesistente. In un anno di relazione virtuale aveva scambiato con quella che pensava essere una ragazza 8mila messaggi d’amore, fatti di reciproche promesse di matrimonio e figli. La fine del sogno è avvenuta quando Daniele si è imbattuto, su un altro sito, nelle immagini della «sua Irene». Aveva chiesto spiegazioni, ma il 64enne aveva tagliato corto, scaricandolo.

Il ragazzo aveva lasciato una commovente lettera di addio ai familiari: «Non ve l’ho mai detto, ma vi voglio un mondo bene...». Il 64enne aveva anche spedito a Daniele messaggi con altri due finti nomi, «Braim» (fratello fasullo di Irene) e «Claudia» (amica del cuore della ragazza inesistente). A dramma avvenuto, i genitori erano risaliti all’uomo di Forlimpopoli e lo avevano denunciato ai carabinieri. «Se quel ragazzo era uno squilibrato che colpa ne ho io?», si era inizialmente difeso Zaccaria. In televisione l’inviato delle Iene Matteo Viviani lo aveva messo alle strette e l’uomo aveva replicato: «Era uno scherzo... Non volevo che finisse così». E qualche giorno dopo Al Resto del Carlino aveva dichiarato: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». In questi giorni il crollo e la decisione di togliersi la vita. La trasmissione di Italia 1, interpellata dal Corriere, non ha commentato l’evento.

Marco Bilancioni per ilrestodelcarlino.it il 6 novembre 2022.

È stato trovato morto, nella sua casa di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, il 64enne che era finito al centro di un servizio delle 'Iene' andato in onda nella serata di martedì 1 novembre. Gli è stato fatale, stando ai primi riscontri, un mix di farmaci: li avrebbe ingeriti nella notte. Quando la madre l'ha trovato a terra, in casa, di prima mattina, era già morto da qualche ora.

Non ci sarebbero dubbi sul fatto che si tratti di un suicidio. La salma, comunque, è a disposizione dell'autorità giudiziaria per un'eventuale autopsia. Sono passati circa 4 giorni dall'inizio del caso. Il volto di Zaccaria, benché oscurato, era stato riconosciuto da tanti: un inviato della trasmissione di Italia Uno gli aveva chiesto conto, in pieno centro del paese, del fatto che si fosse fatto chiamare Irene, dando vita a una relazione a distanza, online, con il 24enne forlivese Daniele. A fine settembre 2021, Daniele si era tolto la vita per quell'amore impossibile. Oggi, a distanza di 13 mesi circa da quella prima tragedia, anche il 64enne è stato trovato morto. Non è chiaro se abbia accompagnato il suo gesto con una lettera o un ultimo messaggio.

A lanciare l'allarme, alle 7 di domenica mattina, è stata l'anziana madre, dopo aver vanamente provato a rianimarlo. A chiamare il 118, allertato dalla donna, è stato un vicino. Nell'abitazione di via De Gasperi, a pochi metri dalla basilica di San Ruffillo, sono giunti i carabinieri di Forlimpopoli coadiuvati dai colleghi di Meldola del nucleo operativo-radiomobile e il pm Brunelli. Dopo le 10 è arrivata, dall'Umbria, anche una sorella di Zaccaria.  

A Forlimpopoli tantissimi avevano individuato l'identità dell'uomo che si era finto 'Irene' (non solo: anche un presunto fratello e un'amica del cuore della stessa Irene). Accusato inizialmente di morte in conseguenza di altro reato, la procura aveva chiesto l'archiviazione (sulla quale avrebbe dovuto decidere un giudice del Tribunale di Forlì): al 64enne era rimasto un decreto penale di condanna per sostituzione di persona (l'uomo non si era appellato) che comporta una sanzione di 852 euro. Il padre di Daniele aveva chiesto giustizia e si era rivolto pubblicamente addirittura alla premier Giorgia Meloni chiedendo leggi più severe per chi commette reati online. Una vicenda che sembra chiudersi, ora, con una seconda morte. 

Si era finto una ragazza e aveva ingannato un 24enne morto suicida: 64enne trovato senza vita. Il 64enne che era finito al centro di un servizio del programma Le Iene andato in onda nella serata di martedì 1 novembre sul caso di Daniele, un 24enne morto suicida per essere stato ingannato. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 06 Novembre 2022.

È stato trovato senza vita, nella sua casa di Forlimpopoli (Forlì-Cesena), Roberto Zaccaria, il 64enne che era finito al centro di un servizio del programma Le Iene andato in onda nella serata di martedì 1 novembre sul caso di Daniele, un 24enne morto suicida per essere stato ingannato per un anno dal 64enne che si fingeva una ragazza. Quando il giovane, un anno fa, aveva scoperto che Irene era un uomo si era sentito ingannato e preso in giro e poi si era ucciso. Sul caso era stata aperta un’inchiesta giudiziaria: la procura di Forlì aveva emesso un decreto penale di condanna per sostituzione di persona (852 euro), ma aveva chiesto l’archiviazione per l’ipotesi di morte come conseguenza di altro delitto, contro la quale i legali della famiglia di Daniele hanno fatto opposizione. I familiari si sono rivolti alla trasmissione televisiva di Italia 1 per raccontare la storia: cioè di un uomo di 64 anni di un paese vicino che per un anno si era spacciato per Irene, una ragazza di 20 anni che si era dichiarata innamorata di Daniele. In un anno si erano scambiati oltre 8mila messaggi, in chat e su whatsapp, nei quali si parlava anche di matrimonio e figli.

L’ipotesi è che il 64enne sia stato ucciso da un mix di farmaci. Il cadavere, come riporta Il resto del Carlino, è stato ritrovato dalla madre. La salma, comunque, è a disposizione dell’autorità giudiziaria per un’eventuale autopsia, ma l’ipotesi più probabile è che si sia trattato di suicidio. Il volto di Zaccaria, benché oscurato, era stato riconosciuto: un inviato della trasmissione gli aveva chiesto conto del fatto che si fosse fatto chiamare Irene, dando vita a una finta relazione a distanza, online, con il 24enne. A Forlimpopoli tantissimi avevano individuato l’identità dell’uomo che si era finto Irene, ma anche un presunto fratello e un’amica del cuore della giovane inesistente. La storia tra il Daniele e “Irene” si era interrotta quando il ragazzo aveva notato che la foto della giovane era identica a quella di una modella di Roma. Alla richiesta di chiarimenti l’uomo con il quale stava intrattenendo un rapporto virtuale aveva deciso di troncare la relazione ed è a quel punto che Daniele si era reso conto di essere stato vittima di un catfish. Il giovane aveva lasciato una lettera ai genitori e al fratello che aveva così scoperto questa relazione virtuale. La famiglia aveva quindi denunciato ai carabinieri l’uomo. “È stato uno scherzo non volevo che finisse così – le sue parole alle Iene – se aveva problemi di testa non è colpa mia”. Secondo i legali dei familiari, però, nelle conversazioni Daniele aveva manifestato l’intento di uccidersi. E il suo interlocutore non avrebbe provato a far niente per impedirlo.

Si era finto donna in chat con un 24enne. Si ammazza dopo il suicidio del ragazzo. Il 64enne era finito sotto inchiesta. Un anno fa la morte del giovane. Redazione su Il Giornale il 7 Novembre 2022.

Alla fine si è tolto la vita anche lui, come aveva fatto un anno fa Daniele, che aveva per lungo tempo ingannato on line facendogli credere di essere Irene, una bella ragazza di cui il 24enne scelto come vittima inconsapevole si era perdutamente innamorato. Uno «scherzo» durato troppo a lungo e finito con una corda al collo di quel giovane troppo fragile caduto nella sua rete. Una vicenda dolorosa raccontata la scorsa settimana dalla trasmissione Le Iene, il cui peso l'uomo non è più riuscito a reggere. Una tragedia nella tragedia. Il 64enne di Forlimpopoli, nel Forlivese, ieri mattina è stato trovato privo di vita da un familiare nella sua camera da letto. Non ci sono dubbi che si sia trattato di un suicidio.

C'era lui dietro alla relazione virtuale con profilo fake che Daniele aveva instaurato con Irene, una ragazza poi risultata inventata. Le foto della giovane, si è scoperto poi, erano state rubate dalle pagine social di una modella romana. È di lei che Daniele, con le sue debolezze e la sua inesistente rete sociale, credeva di essere innamorato dopo ottomila messaggi e ore e ore passate in chat ogni giorno per oltre un anno. Il 64enne non si era fermato neppure quando erano chiaramente emerse le fragilità emotive e sentimentali del giovane, che aveva annunciato la sua intenzione di togliersi la vita quando il rapporto virtuale si era incrinato perché aveva cominciato a sospettare di essere stato raggirato. Propositi che purtroppo è riuscito a realizzare il 23 settembre del 2021, quando i genitori lo hanno trovato impiccato nella sua camera da letto.

L'uomo che si era preso gioco di lui senza badare alle sue debolezze aveva creato una serie di profili social per inscenare un'esistenza fittizia sul web fatta anche di sedicenti amici e parenti della ragazza. Individuato dalle Iene era stato immortalato dalle telecamere della trasmissione Mediaset e ripreso da tutti i mezzi di informazione locale. Ieri è stato trovato cadavere nella sua abitazione, dove sono arrivati i carabinieri e il magistrato di turno. Dalla vicenda erano scaturite due denunce: una per morte come conseguenza di altro delitto e l'altra per sostituzione di persona. Per il primo la Procura forlivese ha chiesto l'archiviazione, ma ha visto opporsi la famiglia del ragazzo. Mentre per il secondo reato era scattato un decreto penale di condanna.

Filippo Fiorini per “La Stampa” il 7 novembre 2022.

Due uomini sono separati da 7 chilometri di distanza e da 40 anni di età. Condividono soprattutto due cose: una conversazione lunghissima attraverso il cellulare e la morte per suicidio. In comune non hanno il modo in cui scelgono di andarsene, perché il più giovane, Daniele, che ha 24 anni, si impicca il 23 settembre 2021 nella sua casa di Forlì, dopo aver scoperto che la ragazza di cui si è innamorato su Internet in realtà non esiste. 

Roberto, invece, di anni ne ha 64 e si uccide con un'overdose di farmaci la notte di sabato a Forlimpopoli, dopo che l'inganno rifilato a Daniele per un anno, fingendosi proprio quella ragazza che in realtà non esisteva, è stato reso pubblico dalla trasmissione Le Iene. In comune non hanno il mestiere, perché uno faceva il muratore e l'altro il parrucchiere, ma entrambi hanno seguito le orme del padre.

 In comune non hanno nemmeno il modo di porsi, perché uno si mostra sereno e in gran forma sui social, mentre l'altro si nasconde dietro a molti pseudonimi con cui vive un'esistenza parallela. In comune, però, hanno la solitudine e poi il fatto che entrambi sono stati trovati morti dalla madre. 

La quantità letale di barbiturici che gli inquirenti considerano essere la causa del decesso di Roberto Zaccaria è l'epilogo di una vicenda iniziata molti mesi fa. Da un lato del telefono c'è il figlio di uno degli storici barbieri di una cittadina romagnola di 13 mila abitanti, Forlimpopoli, che non ha mai nascosto la propria omosessualità e gestisce un negozio di parrucchiere con la sorella identificatasi col genere femminile, dopo essere nata biologicamente maschio.

Oltre al lavoro, i compaesani non lo vedono fare altro che «spingere l'anziana madre invalida sulla carrozzina», riferiscono con compassione. Dall'altro, c'è un ragazzo di bella presenza, forte, atletico, diplomatosi geometra e apparentemente felice di lavorare nell'impresa edile del padre, venuto in Romagna dal Sud e costruitosi una stabilità economica con la moglie e i due figli. 

Il loro contatto su Instagram ha subito un tono sentimentale. Il problema è che Daniele, il ragazzo, chatta col suo vero nome, mentre Roberto si finge femmina, dice di chiamarsi Irene e pubblica foto che in realtà appartengono a una top model romana. Oltre a questo, Roberto gestisce altri account su altrettante piattaforme: uno in cui veste i panni del fratello di Irene (a nome Braim) e l'altro in cui fa la parte della sua amica del cuore (Claudia).

La relazione va avanti solo sul piano virtuale per un anno, con le caratteristiche di ogni innamoramento: profusioni d'affetto, giuramenti di fedeltà, messaggi erotici e litigi, finché Daniele non si insospettisce e scopre la messa in scena. Disperato, dopo aver attraversato settimane di sconforto per le discussioni che lo hanno allontanato da quella che credeva ancora essere Irene, dopo aver fatto ricorso ai consigli di Claudia e Braim, dopo aver paventato il suicidio, si scopre solo e si toglie effettivamente la vita. Nella lettera d'addio si rivolge principalmente al fratello minore e dice: «Io non ho avuto un amico, né mai una ragazza». 

Il padre e la madre, che lo hanno conosciuto come una persona serena, non si capacitano del gesto e cercano risposte nel suo smartphone. Lì trovano le chat con Irene, Braim e Claudia (condotte sempre da Zaccaria).

Dallo sfondo di un'immagine pubblicata sull'account di Irene, capiscono che la ragazza vive a dieci minuti da loro. Ci vanno e scoprono Roberto, che nel frattempo continua ad usare false identità per parlare con terzi in contesti analoghi. Si rivolgono così a un avvocato e lo denunciano per sostituzione di persona e morte in conseguenza di altro reato. Il tribunale accoglie la richiesta, ma riconosce Zaccaria colpevole solo del primo reato, un illecito minore che prevede una multa.

Sentendo di non aver ricevuto giustizia, contattano Le Iene e scrivono a Giorgia Meloni. La trasmissione di Mediaset raccoglie la loro testimonianza attraverso l'inviato Matteo Viviani, che poi da Forlì si sposta a Forlimpopoli e incontra per strada Zaccaria, insieme alla madre in sedia a rotelle. Il servizio mostra il giornalista e il parrucchiere discutere. Zaccaria spinge addirittura la madre in carrozzina contro l'inviato. Credendo che la telecamera sia spenta, Franco a un certo punto dice di sentirsi «a posto sì e no» per ciò che ha fatto a Daniele. «È stato uno scherzo», si giustifica, e poi: «I genitori vadano a rompere da un'altra parte». Il suo volto è sfocato, ma riconoscibile. All'indomani, in paese c'è chi dice di volergliela far pagare, ma ieri all'alba, ha poi fatto in modo che queste restassero solo minacce.

Il caso Iene e Zaccaria suicida dopo essersi finto donna, il programma: «Giusto seguire il caso». Andrea Pasqualetto e Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera l’8 novembre 2022.

 Aveva scoperto che la ragazza per la quale aveva perso la testa via chat era in realtà Roberto Zaccaria, 64 anni, capace di ingannarlo spacciandosi per la bellissima e fantomatica Irene Martini. Domenica scorsa Zaccaria si è tolto la vita nell’abitazione di Forlimpopoli dove viveva con l’anziana madre: mix di alcol e pasticche. Sul suicidio di Roberto l’ipotesi dei suoi avvocati, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, è quella: «Era sconvolto dai manifesti appesi in paese contro di lui dopo la trasmissione delle Iene che l’aveva individuato. C’era scritto “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Il paese è piccolo e il peso enorme. Voleva venire da noi lunedì scorso per formalizzare una denuncia, dovrebbe averne depositata una dai carabinieri. L’hanno trovato morto domenica mattina». Pare che ora quella denuncia vogliano farla i familiari, la madre e la sorella. «Siamo d’accordo che ci si vede al più presto».

Succede poi che la procura di Forlì ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio di Zaccaria. Indagine che intende arrivare alle cause della morte del 64 enne, finito al centro di un recente servizio televisivo delle Iene che l’hanno incalzato com’è nel loro stile mentre si trovava fuori di casa con l’anziana madre in carrozzella. «Lei è Irene Martini?». «Vai via, vai via». Spinte, urla, la madre che va a sbattere su un muro. Le Iene non mollano e alla fine strappano una sua dichiarazione: «Era uno scherzo... il ragazzo aveva un problema di testa». Detto che lo scherzo è durato mesi e che Daniele si era follemente innamorato di Irene (il fenomeno si chiama catfishing), la tragica morte è già stata indagata dagli inquirenti. Sempre la procura di Forlì aveva infatti ipotizzato il reato di «morte come conseguenza di altro reato», indagine chiusa nel giugno scorso con una richiesta di archiviazione. Per Zaccaria un sospiro di sollievo. Contro di lui è stato pronunciato solo un decreto di condanna per sostituzione di persona che si è tradotto in 825 euro di ammenda.

«Proprio perché la procura aveva ritenuto Zaccaria non responsabile del suicidio del giovane, riteniamo che non abbia rispettato i principi del diritto di cronaca, anche perché non era chiaro il fatto dell’archiviazione. Oltretutto il nostro cliente aveva diffidato la trasmissione dal mandare in onda il servizio», ricorda Lanza. Ma una richiesta d’archiviazione non è comunque un’archiviazione, contro la quale la famiglia di Paolo si era opposta. Ora la rabbia del web si è scatenata contro la trasmissione e in particolare contro il giornalista Matteo Viviani, autore del servizio, tacciato di giustizialismo e metodi poco ortodossi. E tira in ballo una vicenda analoga di 12 anni fa, quando un prete di Caravaggio (Bergamo) si era gettato sotto un treno dopo essere stato incastrato dalle Iene come adescatore di bambini. Il prete, come Zaccaria, era stato riconosciuto dalla gente che aveva preso ad additarlo come pedofilo.

«È chiaro che nessuno vorrebbe mai trovarsi di fronte a tragedie come queste ma qui stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare con la libertà d’informazione, il cui limite non può che essere quello della legge, non quello dei metodi, in cima a tutto c’è la verità dei fatti», sostiene con forza un collega delle Iene che chiede l’anonimato. Da parte sua Viviani, ieri sera in diretta su Italia 1, è tornato sulla vicenda: «Una tragedia nella tragedia che non solo non lascia indifferenti ma che ha colpito tutti perché si sta parlando della vita di un uomo. Il catfishing è stato da noi trattato più volte, casi che fortunatamente non hanno avuto lo stesso tragico epilogo. Domande: c’è forse un vuoto normativo? Ci sono strumenti per proteggere queste persone?». «Continuare a occuparsi del fenomeno è importante, perché imparare a riconoscere il problema è il primo passo per difendersi», concludono le Iene. Rimane la duplice tragedia. Una famiglia che piange un ragazzo perso nel buco nero del web, ennesima vittima di una grande finzione; e rimane una madre anziana che domenica mattina ha scoperto il corpo senza vita di suo figlio.

Riccardo Pinotti per corriere.it l’8 novembre 2022.

La procura di Forlì ha aperto un’inchiesta per il reato di istigazione al suicidio, in relazione alla morte di Roberto Zaccaria, il 64enne suicidatosi dopo il clamore mediatico esploso in seguito al servizio de Le Iene che lo aveva additato come responsabile della morte di Daniele, il 24enne che il 23 settembre 2021 si era a sua volta tolto la vita. A confermarlo al Corriere è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli. L’inchiesta è al momento a carico di ignoti.

 In mattinata i legali di Zaccaria, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, avevano affermato che i familiari del pensionato sono determinati a costituirsi quale parte civile nel caso sia aperto un procedimento per reati come la violenza privata e l’istigazione al suicidio. 

Le Iene, interpellate dal Corriere, fanno sapere che solo stasera (in diretta dalle 21,15 su Italia 1) replicheranno alla notizia con la loro versione.

Benini, avvocato di Zaccaria, ha detto al Corriere: «Le ipotesi di reato in discussione sono perseguibili d’ufficio». Dettagliando: «La violenza privata, si potrebbe configurare per il modo in cui le immagini di Zaccaria sono state carpite e diffuse contro la sua volontà, nonostante il nostro assistito avesse proceduto a una diffida formale. Ma anche l’istigazione al suicidio, perché nonostante la Procura avesse archiviato l’ipotesi di reato principale — la morte di Daniele quale conseguenza di altro reato — nella divulgazione al pubblico la tesi implicita che Zaccaria avesse provocato la morte di Daniele aveva scatenato una gogna pubblica che aveva portato all’affissione di manifesti contro Zaccaria».

Il legale ha spiegato che dopo la puntata del programma di Italia 1 di martedì scorso a Forlimpopoli sono apparsi manifesti con su scritto: «Devi morire, maledetto», «Devi bruciare all’inferno». I legali dell’uomo spiegano che Zaccaria «aveva anche fatto anche denuncia ai carabinieri, che mi avrebbe dovuto portare per valutare il da farsi. Poi, evidentemente, non si è sentito neanche più di vivere», ha aggiunto Benini, secondo il quale Zaccaria avrebbe anche lasciato un biglietto: «Ma non è in mio possesso, perché sarebbe al vaglio degli inquirenti. Credo che verrà eseguita l’autopsia per chiarire le cause della morte. Mi sono recato all’agenzia di pompe funebri e attendono il nulla osta, anche per le particolari circostanze». Secondo l’avvocato, Zaccaria «pare abbia fatto uso di cocktail di farmaci.

A criticare l’approccio delle Iene è stata intanto Selvaggia Lucarelli che su Il Domani ha scritto: «Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo. Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. 

Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo».

Resta comunque il tema di un fenomeno, quello delle truffe in rete, che necessita di interventi legislativi. Zaccaria era stato prosciolto e aveva dovuto pagare 825 euro, il corrispettivo del decreto penale di condanna (non appellato) per il reato di sostituzione di persona. La procura di Forlì aveva chiesto l’archiviazione per la «morte in conseguenza di altro reato». Una decisione molto criticata dal papà di Daniele, Roberto, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che: «Mio figlio è stato vittima di quello che oggi è chiamato “catfishing”, una relazione virtuale nata sui social con una ragazza, dietro la quale si celava la figura di un uomo di 64 anni. Questa relazione virtuale ha portato alla morte di mio figlio. Ciò che è accaduto è di una gravità immane e molti altri ragazzi e ragazze sono vittime di questi inganni.»

Nel 2021 sono state più di 300 le vittime che hanno denunciato, anche se, sicuramente, sono molto più numerose. Spesso, infatti, le vittime non hanno il coraggio di sporgere querela, schiacciati dalla vergogna e dall’umiliazione di essere stati raggirati e ingannati da un profilo falso. Noto il caso dell’imprenditore veneto, Claudio Formenton, 64 anni, rapito in Costa D’Avorio, dove si era recato per incontrare la donna che aveva conosciuto online. Così come la vicenda del pallavolista Roberto Cazzaniga, che per 15 anni ha creduto di avere una fidanzata in Brasile, con problemi di salute, che gli ha estorto più di 600mila euro.

Andrea Pasqualetto e Ferruccio Pinotti per corriere.it il 9 novembre 2022. 

Daniele, 24 anni, si era impiccato il 23 settembre del 2021 nella soffitta di casa, a Forlì. Aveva scoperto che la ragazza per la quale aveva perso la testa via chat era in realtà Roberto Zaccaria, 64 anni, capace di ingannarlo spacciandosi per la bellissima e fantomatica Irene Martini. Domenica scorsa Zaccaria si è tolto la vita nell’abitazione di Forlimpopoli dove viveva con l’anziana madre: mix di alcol e pasticche. 

Sul suicidio di Roberto l’ipotesi dei suoi avvocati, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, è quella: «Era sconvolto dai manifesti appesi in paese contro di lui dopo la trasmissione delle Iene che l’aveva individuato. C’era scritto “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Il paese è piccolo e il peso enorme. Voleva venire da noi lunedì scorso per formalizzare una denuncia, dovrebbe averne depositata una dai carabinieri. L’hanno trovato morto domenica mattina». Pare che ora quella denuncia vogliano farla i familiari, la madre e la sorella. «Siamo d’accordo che ci si vede al più presto».

Succede poi che la procura di Forlì ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio di Zaccaria. Indagine che intende arrivare alle cause della morte del 64 enne, finito al centro di un recente servizio televisivo delle Iene che l’hanno incalzato com’è nel loro stile mentre si trovava fuori di casa con l’anziana madre in carrozzella. «Lei è Irene Martini?». «Vai via, vai via». Spinte, urla, la madre che va a sbattere su un muro. Le Iene non mollano e alla fine strappano una sua dichiarazione: «Era uno scherzo... il ragazzo aveva un problema di testa».

Detto che lo scherzo è durato mesi e che Daniele si era follemente innamorato di Irene (il fenomeno si chiama catfishing), la tragica morte è già stata indagata dagli inquirenti. Sempre la procura di Forlì aveva infatti ipotizzato il reato di «morte come conseguenza di altro reato», indagine chiusa nel giugno scorso con una richiesta di archiviazione. Per Zaccaria un sospiro di sollievo. Contro di lui è stato pronunciato solo un decreto di condanna per sostituzione di persona che si è tradotto in 825 euro di ammenda. 

«Proprio perché la procura aveva ritenuto Zaccaria non responsabile del suicidio del giovane, riteniamo che il servizio delle Iene non abbia rispettato i principi del diritto di cronaca, anche perché non era chiaro il fatto dell’archiviazione. Oltretutto il nostro cliente aveva diffidato la trasmissione dal mandare in onda il servizio», ricorda Lanza. Ma una richiesta d’archiviazione non è comunque un’archiviazione, contro la quale la famiglia di Paolo si era opposta.

Ora la rabbia del web si è scatenata contro la trasmissione e in particolare contro il giornalista Matteo Viviani, autore del servizio, tacciato di giustizialismo e metodi poco ortodossi. E tira in ballo una vicenda analoga di 12 anni fa, quando un prete di Caravaggio (Bergamo) si era gettato sotto un treno dopo essere stato incastrato dalle Iene come adescatore di bambini. Il prete, come Zaccaria, era stato riconosciuto dalla gente che aveva preso ad additarlo come pedofilo. 

«È chiaro che nessuno vorrebbe mai trovarsi di fronte a tragedie come queste ma qui stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare con la libertà d’informazione, il cui limite non può che essere quello della legge, non quello dei metodi, in cima a tutto c’è la verità dei fatti», sostiene con forza un collega delle Iene che chiede l’anonimato.

Da parte sua Viviani, ieri sera in diretta su Italia 1, è tornato sulla vicenda: «Una tragedia nella tragedia che non solo non lascia indifferenti ma che ha colpito tutti perché si sta parlando della vita di un uomo. Il catfishing è stato da noi trattato più volte, casi che fortunatamente non hanno avuto lo stesso tragico epilogo. Domande: c’è forse un vuoto normativo? Ci sono strumenti per proteggere queste persone?». «Continuare a occuparsi del fenomeno è importante, perché imparare a riconoscere il problema è il primo passo per difendersi», concludono le Iene.

Rimane la duplice tragedia. Una famiglia che piange un ragazzo perso nel buco nero del web, ennesima vittima di una grande finzione; e rimane una madre anziana che domenica mattina ha scoperto il corpo senza vita di suo figlio.

Non sparate sulle Iene, il processo mediatico ha le sue sporche regole! La gogna è, come l’ergastolo ostativo, il «fine pena mai» della reputazione. Ma chi in queste ore invoca la condanna del programma Tv cade nello stesso errore commesso dal giudice delle Iene. Alessandro Barbano su il Dubbio il 9 novembre 2022.

Caro Direttore,

voglio spezzare una lancia in difesa dell’inviato delle «Iene» Matteo Viviani, travolto dalle polemiche. Non ha causato lui, con il suo scoop, il suicidio di Roberto Zaccaria, il sessantaquattrenne di Forlimpopoli che sul web si spacciava per una ragazza di nome Irene. Così come Zaccaria non ha causato il suicidio di Daniele, il ventiquattrenne che di Irene si era perdutamente innamorato, e che si è tolto la vita quando ha scoperto l’inganno.

Nessuno ha responsabilità penali per questa spirale di autoannientamento, che si è andata amplificando nel megafono dei media. Piuttosto i protagonisti della vicenda meritano una certa dose di pietas per il loro comune analfabetismo affettivo e morale, che gli ha impedito di comprendere a pieno quale violenza può nascondersi dietro le parole. Non è un caso che il pm abbia chiesto e ottenuto mesi fa l’archiviazione dell’accusa di procurata morte a carico di Zaccaria, imputandolo solo del reato contravvenzionale di sostituzione di persona. Perché lo ha fatto? Perché la libertà, in quanto condizione naturale di ogni uomo capace di intendere e di volere, impedisce di stabilire una causalità diretta tra l’influenza delle parole altrui e i nostri gesti. Daniele è stato ingannato sull’identità di quella misteriosa partner virtuale, ma l’inganno non è da solo un’induzione al suicidio. L’azione penale riconosce e accetta, in assenza di prove esplicite di violenza psicologica, il limite dell’insondabilità di un atto così estremo.

Allo stesso modo non è un reato inseguire, con il microfono in mano, un cittadino che spinge la madre novantenne in carrozzina e chiedergli conto, davanti a questa, delle sue perversioni sessuali. L’esecuzione della condanna mediatica sulla pubblica piazza non è di per sé penalmente rilevante. Né lo sono le singole condotte con cui si realizza. Puntare la telecamera come un mirino sulla vittima designata, impedire che la stessa cambi direzione o piuttosto si rifugi in casa, incalzarla con un interrogatorio serrato, umiliarla con censure morali, tutti questi atti insieme, che pure dall’angolo visuale di chi li subisce sembrano un sequestro di persona misto a una diffamazione, non sono in realtà neanche quello che il codice chiama violenza privata. Soprattutto se l’aggressività dell’indagine giornalistica si giustifichi in nome del diritto di cronaca. Diritto potestativo, direbbero i giuristi, perché il suo esercizio coincide con un potere pervasivo che non è mai senza impatto sulla vita altrui. Il giornalismo è una lama affilata nella carne di una comunità. Niente, che riguardi il nostro scoprire, verificare, raccontare, contestare, è senza conseguenze. Ma a certe condizioni il bisturi deve affondare, sezionare, portare in superficie e, talvolta, estirpare il grumo di contraddizioni che trova nelle viscere del sistema.

Che cosa scopre, il «giornalismo», a Forlimpopoli? In realtà niente che non sia stato scoperto dalla giustizia e non sia già agli atti dell’indagine: le chat tra il ragazzo e la finta Irene, dalle quali emerge una relazione lunga un anno, fondata sull’inganno. L’istruttoria mediatica la riqualifica in modo diverso da quello giudiziario, e con una logica congetturale ipotizza connessioni causali dove il giudice le nega. Nella sintesi del servizio giornalistico televisivo, tutte le asimmetrie e le contraddizioni di una vicenda umana così complessa e a tratti impenetrabile si compongono in un disegno concordante che risponde a una tesi. Daniele è raccontato come «un ragazzo senza grilli per la testa, che considerava più semplice trovare i primi approcci on line, prima di avere un incontro reale». Pare soffrisse di depressione, ma in fondo i genitori non se n’erano mai accorti. «Com’è possibile – si domanda a un certo punto la iena investigatrice – che un ragazzo grande e intelligente vada a chattare per un anno con una ragazza senza mai incontrala e senza mai ricevere un vocale che provi la sua reale identità»?

La risposta è affidata a una psicanalista che ha studiato il caso: «Probabilmente era molto ingenuo, con poche esperienze relazionali, e quindi un po’ sprovveduto nella capacità di difendersi. Ma normale, nel senso che ce ne sono tanti così». Il fatto che Daniele fosse “normale” viene assunto a prova della relazione causale tra l’inganno subito e il suo suicidio. Perché di questi tempi l’idea che, da ciò che consideriamo normale, giunga morte è semplicemente inaccettabile. E ancora perché, racconta il servizio televisivo, di fronte ai propositi di farla finita manifestati dal ragazzo in rete, la finta Irene una sola volta gli avrebbe detto: «Non ucciderti, la vita è preziosa». Troppo poco per giustificare l’archiviazione. L’approdo di questa istruttoria è un ribaltamento della sentenza. Per la giustizia penale Roberto Zaccaria è innocente perché il fatto non sussiste. Per la giustizia delle «Iene» è colpevole. Senonché la procedura del processo mediatico è diversa da quella del rito accusatorio. L’interrogatorio dell’imputato non è una prova da acquisire nel dibattimento in contraddittorio tra le parti, ma piuttosto è l’esecuzione stessa della condanna. Da portare a compimento, costi quel che costi.

L’inseguimento per le vie di Forlimpopoli è asfissiante. Roberto Zaccaria intima con disperazione almeno sei volte le parole «Vada via!» alla iena che lo sormonta con il microfono, prima di farsi sfuggire di mano la carrozzina con la madre novantenne, e sentirsi rivolgere dal suo procuratore incalzante una frase che pure suona, per noi, come un interrogativo cosmico: «Ma si rende conto»? Si rende conto il giornalista Matteo Viviani di quello che sta facendo? La risposta è, a quel che si vede, negativa. Perché l’assedio della vittima non si ferma di fronte alla voce di Zaccaria che, trascinando l’anziana madre, grida a ripetizione «No, no, no!». Viviani non ha alcuna intenzione di andarsene. Vuole sapere «perché si è suicidato Daniele», ed è convinto che quell’uomo possa e debba spiegarglielo. Con beffarda ironia lo invita «molto civilmente a scambiare due parole», mentre lo tallona per ogni dove, e aggiunge a un certo punto una frase che regala al dramma un tocco di comicità grottesca: «Ok, non ci avviciniamo più perché non vogliamo far agitare sua madre». Ma a dieci metri di distanza la iena vuole sapere perché Zaccaria non sia andato dai genitori di Daniele, «anche per chiedere scusa o beccarsi uno schiaffo dalla mamma», poiché «queste persone – aggiunge – hanno trovato il proprio figlio attaccato a una corda». «Fino all’ultimo – chiosa – le continueremo a porre queste domande».

L’«ultimo» purtroppo arriva. Perché dopo quell’«incidente probatorio», il cui esito è già scritto nel copione dell’intervistatore, non si darà appello alcuno. La gogna è, come l’ergastolo ostativo, il «fine pena mai» della reputazione. E poiché l’inganno si è compiuto in nome della perversione sessuale, i dettagli più scabrosi e intimi di quella relazione arricchiranno una cronaca già succulenta. Non si può affermare, in via deduttiva, che Roberto Zaccaria si sia ucciso per il rimorso, ancorché qualcuno lo abbia scritto. Né si può sostenere che la sua morte sia in relazione causale con la condanna in tv. Chi in queste ore lo grida sul web cade nello stesso errore commesso dal giudice delle «Iene». Le relazioni umane e le loro conseguenze sono sempre più complesse di quanto immagini una rozza grammatica del sospetto.

Piuttosto c’è da chiedersi, in questo deserto professionale e umano, a che cosa serva l’ordine dei giornalisti, ammesso che esista ancora. Non ci è dato di sapere dove si trovi, che cosa stia facendo, quali giornali abbia letto in queste ore il suo presidente, Carlo Bartoli. Non risultano sue prese di posizione su quanto è accaduto. Né rileva il fatto che l’autore del servizio televisivo non sia propriamente un giornalista, ma piuttosto qualcuno che ne esercita, senza titolo, la funzione nello spazio pubblico. In compenso le «Iene» fanno sapere che torneranno a occuparsi del fenomeno del catfishing, cioè la sostituzione di identità. Perché, spiega ancora Matteo Viviani nel servizio seguito al suicidio del sessantaquattrenne, c’è un vuoto normativo che non consente di proteggere le persone più a rischio. Il reato di sostituzione di persona potrebbe, a suo giudizio, non essere sufficiente, magari ne servirebbero altri, più severi.

E nelle more che il Parlamento li istituisca, il tribunale mediatico s’incaricherà di fare giustizia a suo modo. Non ci rassicura sapere che accadrà con gli stessi metodi che qui abbiamo raccontato. Anche se, ne siamo sinceramente convinti, in questa storia sono tutti drammaticamente «innocenti».

Quando la televisione diventa un tribunale supremo. Il Corriere della Sera il 9 novembre 2022. 

Martedì sera, le Iene (parliamo al plurale per riferirci a un metodo non a una singola persona), in apertura di trasmissione hanno replicato alla sconvolgente storia che da una settimana li vede coinvolti.

Di mezzo ci sono due suicidi, un servizio particolarmente violento delle Iene nei confronti di un signore di Forlimpopoli, un mare di polemiche, vari e audaci sforzi di stabilire un nesso causale tra il suicidio di una persona e la gogna mediatica, soprattutto una duplice tragedia: un uomo di 64 anni si finge donna e seduce online un ragazzo che, scoperto l'inganno, si toglie la vita. Dopo che la storia è finita in tv, sono arrivate le minacce e anche l’autore dell’inganno si è ucciso.

Forse, da parte delle Iene, sarebbe stato meglio il silenzio. Invece, non paghi del loro metodo che da anni condanniamo (l’intervista imboscata, la violazione della privacy, la gogna, la tv come tribunale supremo), si sono difesi dando la colpa alla società. Invece di aspettare che la giustizia faccia il suo corso, la loro missione è anticipare la giustizia, imponendo una loro giustizia.

Poi, se è successo quello che è successo la colpa è del «meccanismo perverso tipico del cat-fishing». Se due persone si sono suicidate la colpa è del vuoto normativo: «E soprattutto abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri sia sufficiente?». Nell’attesa, loro precedono e procedono.

Mai un’assunzione di responsabilità, mai un ammettere il cialtronismo di certe interviste, mai chiedere scusa. E dire che il catalogo di servizi deprecabili ormai è lungo.

Stupisce anche l’assenza di Mediaset, rafforzando l’impressione che l’azienda sia ormai divisa in diversi sultanati. Alla linea editoriale si è sostituita la morale del punto in più di share.

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 10 novembre 2022. 

Martedì sera, le Iene (parliamo al plurale per riferirci a un metodo non a una singola persona), in apertura di trasmissione hanno replicato alla sconvolgente storia che da una settimana li vede coinvolti. 

Di mezzo ci sono due suicidi, un servizio particolarmente violento delle Iene nei confronti di un signore di Forlimpopoli, un mare di polemiche, vari e audaci sforzi di stabilire un nesso causale tra il suicidio di una persona e la gogna mediatica, soprattutto una duplice tragedia: un uomo di 64 anni si finge donna e seduce online un ragazzo che, scoperto l'inganno, si toglie la vita. Dopo che la storia è finita in tv, sono arrivate le minacce e anche l'autore dell'inganno si è ucciso.

Forse, da parte delle Iene, sarebbe stato meglio il silenzio. Invece, non paghi del loro metodo che da anni condanniamo (l'intervista imboscata, la violazione della privacy, la gogna, la tv come tribunale supremo), si sono difesi dando la colpa alla società. Invece di aspettare che la giustizia faccia il suo corso, la loro missione è anticipare la giustizia, imponendo una loro giustizia.

Poi, se è successo quello che è successo la colpa è del «meccanismo perverso tipico del cat-fishing». Se due persone si sono suicidate la colpa è del vuoto normativo: «E soprattutto abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri sia sufficiente?». Nell'attesa, loro precedono e procedono. Mai un'assunzione di responsabilità, mai un ammettere il cialtronismo di certe interviste, mai chiedere scusa. E dire che il catalogo di servizi deprecabili ormai è lungo. Stupisce anche l'assenza di Mediaset, rafforzando l'impressione che l'azienda sia ormai divisa in diversi sultanati. Alla linea editoriale si è sostituita la morale del punto in più di share.

(ANSA il 10 novembre 2022) - Un caso come quello dei suicidi del 64enne Roberto Zaccaria e del 24enne Daniele, coinvolti nella vicenda raccontata dalle Iene su Italia 1 e finita nel mirino della procura di Forlì "non deve più succedere". 

Ne è convinto Pier Silvio Berlusconi, ad di Mediaset. "E' una vicenda che tocca la mia sensibilità: noi facciamo una tv che si occupa di tutti i temi, anche di cronaca, e nel farlo capita di andare oltre ciò che è editorialmente giusto", ha sottolineato rispondendo alle domande dei cronisti a Cologno Monzese. "Penso che dovremo alzare il livello di attenzione e sensibilità ulteriormente".

"Non voglio entrare nello specifico - ha aggiunto Pier Silvio Berlusconi, rispondendo alle domande dei giornalisti in un incontro per fare il punto sulla stagione di Mediaset - e penso che dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. 

Ma il punto è come viene fatto: servono attenzione e sensibilità, non è facile. Le Iene è un programma fatto da signori professionisti, Parenti è bravo. Ma è una questione di sensibilità personale: da editore dico che quella cosa lì non mi è piaciuta. Capita, ma bisogna tenere alto il livello di guardia".

Ferruccio Pinotti per corriere.it il 10 novembre 2022.

La vicenda del doppio suicidio del ragazzo 24enne di Forlì innamoratosi di una finta ventenne, in realtà un 64enne di Folimpopoli (anch’egli suicida), sollevato dalla trasmissione di Italia 1 Le Iene, continua a fare discutere e a dividere (c’è anche un’inchiesta in procura per istigazione al suicidio). In questo caso, è esploso un duro diverbio tra Liudmilla Radchenko — moglie dell’inviato delle Iene Matteo Viviani, autore del servizio che ha spinto la Procura di Forlì ad aprire un fascicolo di indagine per violenza privata ed istigazione ai suicidio — e Selvaggia Lucarelli, opinionista de Il Domani che in un articolo ha severamente criticato le modalità con cui la trasmissione ha seguito il delicato caso. Ne è nato un ecco scambio di battute su Instagram.

L’attacco di Ludmilla a Selvaggia

Sotto l’hashtag #tvspazzatura, #giornalismoinutile, #cattiveria #veleno, la pittrice ed ex modella russa Radchenko, 43 anni, ha commentato così il servizio di Lucarelli: «Cara Selvaggia, non vedevi l’ora di rovesciare una secchiata di m... su mio marito vero? Ecco, è arrivata la tua occasione, il tuo momento, finalmente qualcuno parla di te! Tanto è questo il tuo pane, tu vivi di questo, altrimenti il tuo “personaggio squallido” non avrebbe nessun senso. 

Ma veramente, chi sei, tu? Buah. Matteo Viviani è uno che si batte per la giustizia, alza il culo e va a fare gli indagini, si impegna salvare le persone, vite in difficoltà (vi ricordate tutti Alice, Marica, Camilla, Natan), fa beneficenza, spende il suo tempo personale per dargli il supporto. Lui è l’uomo più corretto e affidabile di questa terra . Poi nessuno loda il “bene” e tanti tremano dalla voglia di puntare il dito quando qualcosa va storto. Blue whale? Ci sei andata in fondo oltre a stare a casa affondata nelle tue cattiveria e veleno, digitando i tasti? Tu, che sei la “regina della Tv- spazzatura”, cosa hai fatto veramente di buono per questo mondo oltre a sparare la m.... Perché se non lo facessi saresti inutile oltre che disoccupata».

La replica dell’opinionista

Breve e concisa la risposta di Selvaggia Lucarelli, che con l’hashtag «#Alla prossima puntata#tvspazzatura», risponde così alla moglie dell’inviato delle Iene: «Ciao Ludmilla, ma se sono (vere, ndr) tutte queste cose brutte (magari lo deciderà un giudice, eh), perché mi inviti alle tue mostre dicendomi che avresti piacere al di là degli scontri con tuo marito?». 

Un chiaro invito a moderare i toni, o voleranno le querele civili. Immediata la replica: «Infatti ora ti cancello dal mio elenco! Il veleno non sta bene nel mio mondo a colori!» Dopo questo scambio si sono scatenati sul social centinaia di commenti, che parteggiano per l’una e per l’altra parte e che entrano — a volte con pareri anche qualificati, come quello di una avvocatessa — nel merito della trasmissione in questione e dello stile giornalistico delle Iene, con commenti spesso pregnanti.

Il suicidio dell'uomo braccato dal programma. Roberto Zaccaria, la morte dopo lo sputtanamento delle Iene che fanno solo inchieste-spettacolo. Gian Domenico Caiazza su Il Riformista il 12 Novembre 2022

Il suicidio dell’uomo braccato e linciato in favore di telecamera dai giornalisti della trasmissione “Le Iene” dovrebbe, più che porre interrogativi, segnare semplicemente un punto di non ritorno. Dovrebbe, perché questo non accadrà. Già non sta accadendo. Si apre qui e là qualche riflessione, mentre l’editore alza il sopracciglio e – dopo aver difeso il modo di fare giornalismo della sua trasmissione – si limita a farci sapere che quel suicidio disperato della preda dei suoi amati giornalisti di inchiesta “non deve più succedere”. E che questo è successo perché “capita di andare oltre ciò che è editorialmente giusto”. Ma sia ben chiaro, ammonisce, “dire basta ad un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. Ma il punto è come viene fatto, servono attenzione e sensibilità, non è facile… dico che quella cosa lì non mi è piaciuta”.

“Quella cosa lì”, come la chiama Piersilvio Berlusconi, è invece la regola, la cifra e la ragione stessa di quel giornalismo. Se poi il soggetto esposto voluttuosamente al pubblico ludibrio si suicida e un altro no, dott. Berlusconi, è questione del tutto indipendente ed eventuale. C’è chi riesce a sopravvivere al proprio linciaggio, e chi no. Vediamolo allora, questo “certo tipo di giornalismo”, così orgogliosamente rivendicato dal suo editore, tornando indietro dal quale cadremmo, se ho ben capito, nelle tenebre più profonde della inciviltà. Nulla da dire sulla prima parte del metodo: accade un fatto di cronaca, o si viene raggiunti dalla notizia di un fatto grave che starebbe accadendo (una truffa, un sopruso, una violenza) e si indaga giornalisticamente su di esso. Raccogliere notizie, riscontrarle, rendere pubbliche le testimonianze raccolte, sollecitare o determinare l’attenzione dell’autorità giudiziaria, è la ragione stessa del giornalismo di inchiesta. Il marcio (perché di questo si tratta) arriva dopo, ed è appunto la “presa al laccio”, come nelle migliori tecniche di linciaggio, del presunto colpevole.

È infatti un giornalismo, questo, che ha bisogno vitale del momento “spettacolare”, senza il quale l’inchiesta perderebbe larga parte del suo interesse: e quel momento è, puntualmente, lo sputtanamento del “colpevole”. Già la premessa contiene in sé i batteri micidiali del marciume. Chi sia il colpevole, quanto sia colpevole, come e perché sia colpevole, lo decide la redazione. Perché queste inchieste si nutrono della colpevolezza di qualcuno, sia essa decisa dalla redazione, sia essa ipotizzata da una Procura della Repubblica. Ai fini dello spettacolo da imbastire, i nostri eroi se lo fanno ampiamente bastare. E d’altro canto funziona così: la riprovazione, la indignazione popolare, quella tossica, l’unica che funziona e crea ascolti, è quella alimentata dal sospetto. Che inchiesta sarebbe, che gioco sarebbe, se si dovesse prendere al laccio un colpevole vero, cioè accertato come tale da un giudizio penale? Che noia, parliamoci chiaro. È il sospetto che ci inferocisce, è l’idea di averti scoperto e sputtanato in diretta televisiva, brutto bastardo che pensavi di farla franca, a dare l’adrenalina al giornalista-segugio, ed a noi guardoni. Fatecelo vedere, il bastardo. Vediamo come si giustifica, come balbetta, come suda, come si spaventa. Fammi vedere come si dimena, una volta caduto in trappola.

La cosa spaventosa è che la convenzione sociale prevalente è in linea con questa idea malata, sovvertitrice di ogni parametro costituzionale e di ogni elementare sentimento di umanità. Il capo di imputazione lo scrive la redazione de Le Iene, la sentenza la pronunciamo tutti noi, sbavando, non in nome del popolo italiano ma a furor di popolo, vuoi mettere. Noi ancora non abbiamo capito né perché si sia suicidato il ragazzo ingannato on line ed innamoratosi perdutamente (a quanto si dice) del falso profilo messo su dal “carnefice”, né perché costui lo abbia fatto (un gioco erotico assai cervellotico? Un tentativo di truffa finito male? Un passatempo idiota? Boh). Sta di fatto che, a tutto concedere, quell’uomo avrebbe dovuto rispondere di sostituzione di persona, reato minore, davanti alla giustizia ordinaria. Ma potrebbe mai la giustizia mediatica accontentarsi di un esito così modesto e burocratico, quando abbiamo per le mani un suicidio come conseguenza di quella “sostituzione di persona”? Non scherziamo.

Il Tribunale mediatico esercita la sua giustizia ed infligge le sue sanzioni senza tanti inutili orpelli. Quell’altra, celebrata da giudici e avvocati, è una legalità soporifera, formalistica, costituzionale e bla bla bla, noi altri si va per le spicce. Prendi il bastardo al laccio, e trascinalo sugli schermi, questa è l’unica giustizia che funziona, la giustizia a furor di popolo. Ci scappa il suicidio? Pazienza. Lacrimuccia, facce compunte, “quella cosa lì non ci è piaciuta”, e ripartiamo con la prossima inchiesta. Il laccio è pronto per il collo del prossimo bastardo.

Gian Domenico Caiazza Presidente Unione CamerePenali Italiane

La procura di Forlì apre un’inchiesta per istigazione al suicidio dopo il servizio televisivo delle Iene. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l’8 Novembre 2022.

L’inchiesta è al momento a carico di ignoti come ha confermato al Corriere è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli

La procura di Forlì ha aperto un’inchiesta per il reato di istigazione al suicidio, in relazione alla morte di Roberto Zaccaria, il 64enne suicidatosi dopo il clamore mediatico esploso in seguito al servizio de Le Iene dove veniva additato come responsabile della morte di Daniele, il 24enne che il 23 settembre 2021 si era a sua volta tolto la vita. A confermarlo al Corriere della Sera è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli. L’inchiesa è al momento a carico di ignoti.

Sulla triste e squallida vicenda puntualmente è intervenuta l'”alzapalette di Stato”, cioè Selvaggia Lucarelli la giurata (pagata con soldi dei contribuenti-abbonati RAI) del programma “Ballando con le Stelle” che ha scritto su Il Domani : “Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo. Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo“.

Secondo noi chi dovrebbe vergognarsi di quello che scrive in realtà è proprio la Lucarelli, e non un programma come Le Iene che hanno consentito alla Magistratura ed alle Forze dell’ ordine di assicurare alla giustizia pedofili, truffatori, e delinquenti di ogni genere, mentre la Lucarelli passa le sue settimane ad alzare palette o a vivere sul suo telefonino ad imperversare sui social a giudicare e sparlare di tutto e di tutti. e sul cui giornalismo…non ci risultano benefici per la società civile e la giustizia.

sarà stato questo servizio trasmesso a suo tempo dalle Iene ad “inacidire” la Lucarelli con Le Iene e Davide Parenti ?

Selvaggia Lucarelli deve aver dimenticato nel suo (poco) illuminante giornalismo, quando è finita sotto processo a Milano insieme ai blogger Gianluca Neri e Guia Soncini, accusati per aver rubato segreti e immagini a personaggi dello spettacolo attraverso presunti accessi abusivi nei loro account di posta elettronica. La sua salvezza processuale è stata la decisione del giudice dell’XI sezione penale del Tribunale di Milano, Stefano Corbetta, nel trasformare le imputazioni di “accesso abusivo a sistema informatico“, l’”intercettazione illecita di comunicazioni” e la violazione di corrispondenza oggetto delle querele e riportate nel capo d’imputazione avanzato dalla Procura di Milano, riqualificando la contestazione del pm Colacicco in un altro reato la “rivelazione del contenuto di corrispondenza” per il quale il Tribunale ha dichiarato il proscioglimento “per mancanza di querela” da parte delle presunte parti offese, ovvero la Canalis e la Fontana , così assolvendo così tutti gli imputati . E così la “tuttologa” di Civitavecchia si è salvata da una condanna pressochè certa.

Agli imputati, con vari ruoli, nell’inchiesta del pm Grazia Colacicco, veniva contestato di aver violato l’account di posta elettronica della show girl Federica Fontana, ospite al compleanno di Elisabetta Canalis nella villa di George Clonney sul lago di Como. Durante il compleanno della Canalis ,  Felice Rusconi marito  Federica Fontana, aveva scattato 191 fotografie che poi aveva inviato via email agli invitati a Villa Oleandra. “L’interno della villa fino a quel momento non era mai stata fotografato – ha spiegato il pm Colacicco nel corso dell’udienza,  in cui aveva chiesto pene fino a 1 anno e 2 mesi, – e quegli scatti avevano anche un notevole valore commerciale”.

Gli imputati, secondo l’accusa sostenuta dalla Procura di Milano, una volta entrati in possesso delle immagini – che avrebbero ottenuto “hackerando” l’accesso all’account di posta di Felice Rusconi – avrebbero tentato di venderle tramite il fotografo Giuseppe Carriere al settimanale Chi. La vendita di quelle fotografie però non è andata in porto perché il direttore della rivista, Alfonso Signorini, ha correttamente avvertito la Canalis. Eh si, è questo il giornalismo “sano”… idealizzato dalla Lucarelli ! Redazione CdG 1947

Le Iene, il legale del 64enne suicida: “Ci sono gli estremi per un esposto”. Il Dubbio l’8 novembre 2022.

Le accuse sarebbero di violenza privata o istigazione al suicidio: l'uomo si sarebbe tolto la vita per la gogna subita in paese dopo il servizio televisivo

Potrebbe finire in tribunale la vicenda del 64enne di Forlimpopoli (FC) che si è tolto la vita dopo la puntata delle Iene sul caso del 24enne forlinese, a sua volta suicida dopo aver scoperto che era lui la “donna” con cui aveva a lungo chattato. La famiglia del 64enne – madre e sorella – sta valutando con il proprio legale, Pier Paolo Benini, un esposto alla Procura di Forlì per istigazione al suicidio o violenza privata.

«Le Iene l’hanno fatta grossa» tanto che «ci sono gli estremi per fondare un esposto senza incorrere nella calunnia», dichiara a LaPresse l’avvocato. «Personalmente la vedo come una possibilità di ricostruire l’intera vicenda senza le “infarciture” fatte dalla trasmissione». Secondo Benini «gli estremi» sarebbero per «violenza privata a cominciare da come è stato bloccato impedendogli i movimenti per realizzare il servizio» e perché la trasmissione «è andata in onda nonostante una diffida per iscritto». Una vicenda che «ha lasciato profonda tristezza e amarezza – commenta la sindaca del piccolo centro romagnolo, Milena Garavini – ma è anche un invito a fare una riflessione, ovvero quanto possa essere dannosa la spettacolarizzazione delle disgrazie altrui, soprattutto quando causa un’ondata emotiva che spinge le persone a emettere giudizi senza conoscere i fatti».

Il 64enne, infatti, sarebbe stato riconosciuto da alcuni suoi compaesani nel servizio televisivo a causa per esempio di alcune connotazioni fisiche (era senza capelli) e degli ambienti ripresi dalle telecamere. Per questo si ipotizza che non avrebbe retto alla vergogna. Il giorno dopo la messa in onda del servizio, a Forminpopoli erano anche comparsi sui muri manifesti con scritte del tenore “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Nelle ore successive l’uomo si era rivolto ai carabinieri della stazione locale sporgendo denuncia contro ignoti. A quanto si apprende, sarebbero proprio questi anonimi a rischiare, una volta individuati, l’iscrizione sul registro degli indagati per minaccia e istigazione al suicidio, reati che la Procura di Forlì, guidata dalla dottoressa Maria Teresa Cameli potrebbe decidere di perseguire d’ufficio senza necessità di una querela di parte. Responsabilità quindi che si abbatterebbero più sugli hater che sulla trasmissione, coperta dal diritto di cronaca e dall’aver comunque condotto interviste lungo strade pubbliche.

La retorica dopo la "tragedia nella tragedia". Si toglie la vita dopo servizio delle Iene, niente scuse dopo la gogna: “Altre vittime di catfishing”. Ciro Cuozzo su Il Riformista l’8 Novembre 2022

Nessun passo indietro. Niente scuse per la gogna mediatica contro Roberto Zaccaria, il 64enne che si è tolto la vita pochi giorni dopo il servizio andato in onda sulla tragedia di Daniele, il 24enne di Forlì che ha deciso di farla finita dopo una decisione amorosa vissuta online con la fidanzata-fake “Irene Martini”, profilo controllato dallo stesso Zaccaria.

Le Iene tirano dritto. Anzi rilanciano e provano a concentrare la raccapricciante vicenda solo sul fenomeno del catfishing. Come se inseguire in strada una persona che spingeva la carrozzina dell’anziana madre disabile, preoccupandosi solo di oscurarne in modo assai amatoriale il volto, rendendo di fatto riconoscibile Zaccaria sia per l’aspetto fisico, sia per i numerosi tatuaggi, sia per aver inquadrato il luogo dove viveva, fosse cosa normale.

Poco importa se il 64enne di Forlimpopoli (piccolo comune di 13mila abitanti) dopo il servizio andato in onda martedì primo novembre è stato oggetto di minacce, offese e manifesti – così come rimarcato dai legali della famiglia – che lo invitavano a “bruciare all’inferno”. Circostanze denunciate anche ai carabinieri. Poco importa che domenica 6 novembre l’anziana madre lo ha trovato senza vita in casa, stroncato da un mix di farmaci.

Per il programma televisivo di Mediaset e per la Iena Matteo Viviani nessun passo indietro neanche davanti alla “tragedia nella tragedia che non solo non ci lascia indifferenti, ma ha colpito tutti noi”. Viva lo pseudo giornalismo d’inchiesta, quello che mira alla gogna mediatica, sbattendo il “mostro” davanti alle telecamere senza preoccuparsi della tutela della privacy e delle norme deontologiche da rispettare.

Poco importa anche che le indagini, guidate dalla Procura di Forlì (che ora ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per istigazione al suicidio) e dai carabinieri, hanno portato alla richiesta di archiviazione di Zaccaria dall’accusa di morte come conseguenza di altro reato perché, secondo i pm forlivesi, non è stato ravvisato un nesso causale fra la morte del giovane e il comportamento dell’uomo (condannato per sostituzione di persone a una ammenda di 825 euro).

Nel servizio andato in onda martedì 8 novembre la Iena Viviani, e la redazione, si preoccupano solo di non mostrare nel filmato il 64enne che si è ammazzato dopo il video della scorsa settimana. Poi tanta retorica da chi spesso riesce a ricoprire più ruoli (giudice, magistrato e “giornalista”) nello stesso servizio.

“Con un servizio di Matteo Viviani ‘Le Iene’ stasera tornano a parlare della tragedia che ha colpito Daniele, un ragazzo di 24 anni che circa un anno fa si è tolto la vita, e del suicidio dell’uomo che aveva una relazione virtuale con il ragazzo. Il giovane di Forlì si era innamorato di una bellissima ragazza, ”Irene Martini”, conosciuta sui social. Dopo un anno in chat e migliaia di messaggi si era reso conto che la sua ”Irene” in realtà non è mai esistita, che dietro a quel profilo c’era un’altra persona. Da qui, il crollo” aveva fatto sapere la trasmissione in onda su Italia 1.

Viviani spiega poi che “prima di raccontare questa drammatica vicenda, ne abbiamo raccontate altre, molto simili, ma che fortunatamente non hanno avuto lo stesso epilogo. Oltre a Daniele, altri ragazzi avrebbero iniziato un rapporto via social con ”Irene Martini”. Se per alcuni non è stato nulla di significativo per altri, invece, la storia ha rappresentato qualcosa in più come per Daniele”.

“Il ‘catfishing’ è un fenomeno molto più ampio e pericoloso di quello che si può immaginare e le vittime sono sempre i soggetti più deboli, quelli che dovrebbero essere maggiormente tutelati” aggiunge.

Poi l’illuminazione: “La domanda è: attorno a questo problema stiamo vivendo un vuoto normativo? Abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri che sia sufficiente?”. Nel frattempo però Le Iene non si sono preoccupate di proteggere la privacy delle persone coinvolte nel loro tritacarne mediatico. La presunzione d’innocenza c’è, esiste, ma loro la ignorano. Zaccaria dopo il servizio della scorsa settimana è stato riconosciuto facilmente per le strade del piccolo paesino in provincia di Forlì. In quella circostanza lo stesso Viviani non si creava problemi a inseguire il 64enne nonostante la presenza dell’anziana madre in carrozzella. Così come la redazione non si è preoccupata, in fase di montaggio, di oscurare tutti gli elementi utili al riconoscimento di un uomo innocente fino a prova contraria.

“Sicuramente continueremo ad occuparci di ‘catfishing’, perché imparare a conoscere il problema è il primo passo per evitarlo” questo il commento di Viviani in chiusura del servizio.

Intanto la Procura di Forlì ha aperto una inchiesta per istigazione al suicidio dopo il clamore mediatico generato dal servizio de Le Iene e le successive minacce ricevute nei giorni scorsi da Zaccaria, con – stando a quanto riferiscono i legali che assistono la famiglia – manifesti che invitavano l’uomo protagonista del ‘catfishing‘ (l’utilizzo di un account con falsa identità da parte di una persona, allo scopo di raggirare altri utenti con il nome usato falsamente) a ‘bruciare all’inferno’. L’inchiesta, così come confermato al quotidiano da Maria Teresa Cameli, capo della procura di Forlì, è al momento a carico di ignoti.

Gli avvocati Pierpaolo Benini e Antonino Lanza hanno annunciato che la madre e la sorella del 64enne, da loro assistiti, sono pronti a costituirsi parte civile in caso di apertura di un procedimento per reati come violenza privata e, appunto, istigazione al suicidio.

LA VICENDA – Il servizio de Le Iene era relativo al suicidio di Daniele, un ragazzo di 24 anni di Forlì che nel settembre 2021 decise di farla finita dopo una delusione amorosa: per circa un anno, durante l’emergenza Covid, aveva ‘conosciuto’ online una ragazza, Irene. In realtà dietro al profilo della giovane ci sarebbe stato Roberto Zaccaria che con delle foto prese dal profilo di una modella aveva iniziato a chattare con il 24enne, scambiando migliaia di messaggi via WhatsApp. Nessuna nota vocale, nessuna telefonata, nessuna videochiamata. Solo tanti messaggi che avevano portato Daniele a credere di aver istaurato una relazione sentimentale con ‘Irene’. Dopo aver scoperto che era tutta una finzione, la delusione avrebbe portato il 24enne al suicidio lasciando una lettera ai genitori e al fratello nella quale invitava quest’ultimo a non isolarsi, a “non fare i stessi miei errori, io ho sbagliato tutto, non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita”.

“Le Iene l’hanno fatta grossa” tanto che “ci sono gli estremi per fondare un esposto senza incorrere nella calunnia”, dichiara a LaPresse l’avvocato Benini. “Personalmente la vedo come una possibilità di ricostruire l’intera vicenda senza le ‘infarciture’ fatte dalla trasmissione”. Secondo Benini “gli estremi” sarebbero per “violenza privata a cominciare da come è stato bloccato impedendogli i movimenti per realizzare il servizio” e perché la trasmissione “è andata in onda nonostante una diffida per iscritto”.

LA PRIMA INCHIESTA – Dopo il suicidio del 24enne Daniele e la denuncia dei familiari ai carabinieri, l’inchiesta aperta dalla procura di Forlì si era conclusa con un decreto di condanna penale nei confronti di Zaccaria, con un’ammenda di 825 euro, per sostituzione di persona, mentre era stata chiesta l’archiviazione per l’accusa di morte come conseguenza di altro reato perché, secondo i pm forlivesi, non è stato ravvisato un nesso causale fra la morte del giovane e il comportamento dell’uomo.

 Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Due suicidi per una chat, tra debolezze, fragilità e una lunga serie di errori. La vicenda dovrebbe insegnare molte cose. La prima è che non si possono costruire relazioni, tantomeno d’amore, attraverso le chat. Michele Partipilo su La Gazzetta del Mezzogiorno l’08 Novembre 2022.

Due suicidi per una chat. Potrebbe riassumersi così la storiaccia avvenuta nel Forlivese, ma sarebbe irrispettoso verso quei morti e superficiale. I fatti. Il 23 settembre del 2021 un giovane di 24 anni si uccide dopo aver scoperto che per un anno era stato ingannato in chat: Irene, la ragazza bellissima di cui si era innamorato e con cui aveva scambiato più di ottomila messaggi d’amore, era in realtà un adulto.

Un falso profilo costruito rubando la foto di una modella e inventandosi un nome. Il giovane aveva anche lasciato un commovente messaggio alla famiglia. È evidente che siamo di fronte a una fragilità psicologica e a una debole, se non inesistente, rete di relazioni. Ma quanti giovani oggi vivono una situazione simile? Se già uccidersi per una fallita relazione reale è segno di una delicata condizione mentale, quali vuoti si nascondono dietro il suicidio per una fasulla relazione virtuale? L’altra mattina l’epilogo, ancora più triste. Un uomo di 64 anni si uccide perché non regge al rimorso e alla vergogna. In paese (13mila abitanti) lo hanno riconosciuto: è lui che ha creato e gestito il profilo della falsa Irene. La famiglia della vittima lo aveva denunciato, era stato accusato di truffa e morte come conseguenza di altro reato.

Ma non essendoci stata richiesta di denaro, il reato di truffa è caduto e con esso anche l’altra grave accusa. Alla fine è stata riconosciuta solo la sostituzione di persona: un decreto penale di condanna e 825 euro di sanzione e la cosa è finita lì.

Ma non per i genitori della vittima, che non si arrendono, scrivono anche alla premier e, alla fine, raccontano la vicenda alle Iene, la popolare trasmissione di Italia1.

L’inviato del programma si mette sulle tracce della finta Irene: è un uomo di 64 anni, lo intervista oscurando il volto; però nel filmato si intravedono alcuni tatuaggi che lo rendono subito riconoscibile nel piccolo paese dove vive. Comincia il suo calvario. Intervistato dal Resto del Carlino dice fra le altre cose: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». Passa qualche giorno e anche lui si uccide.

La vicenda dovrebbe insegnare molte cose. La prima è che non si possono costruire relazioni, tantomeno d’amore, attraverso le chat. La confusione tra vita reale e vita virtuale rischia di far pagare prezzi altissimi, soprattutto quando i protagonisti sono persone psicologicamente fragili, timide, introverse. Il compito di vigilanza da parte delle famiglie, degli amici – se ci sono – e degli insegnanti è importantissimo.

Soprattutto i genitori hanno gli strumenti psicologici per scoprire il disagio, di intuire la nascita di un innaturale rapporto virtuale che altera la percezione del reale.

Poi c’è il ruolo della giustizia, ancora impreparata ad affrontare temi così complessi e legati a comportamenti e dinamiche che i Codici ancora non contemplano o che valutano alla luce di una norma e di una giurisprudenza obsolete. Forse una sanzione diversa avrebbe reso più giustizia a quel giovane morto nel fiore degli anni e la famiglia non avrebbe provato il bisogno di rivolgersi ai media. Una soluzione il cui obiettivo era in definitiva una giustizia fai da te attraverso la gogna mediatica.

L’avvocato che ha seguito i genitori forse avrebbe dovuto farsi qualche domanda in più su quella scelta e chiedersi quali conseguenze avrebbe potuto avere dare in pasto al pubblico l’autore del falso profilo. Se la rabbia giustizialista dei genitori è comprensibile, desta molti dubbi la leggerezza con cui il loro legale li avrebbe assecondati.

Da ultimo il ruolo di programmi come «Le Iene» che, sotto la nobile veste del giornalismo d’inchiesta o di approfondimento, troppo spesso rimestano nel torbido.

I pomeriggi televisivi sono ormai colonizzati dall’infotainment pseudo giornalistico, con tutto il corollario di esperti, criminologi e tuttologi. Il giornalismo e l’inchiesta non c’entrano nulla con tali surrogati, senza regole né etica. Tanto che nella maggior parte dei casi i giornalisti, quelli iscritti a un Ordine e vincolati al rispetto di una deontologia, sono ai margini o non ci sono affatto. Interviste, programmi e presunti approfondimenti vengono realizzati da altri, che si credono al di sopra di ogni minimo rispetto per la dignità e l’intimità delle persone.

Il confine fra diritto di cronaca e diritto alla privacy è labile, faticoso da individuare e rispettare, ma questo non significa che si possa allegramente ignorarlo. Molto spesso, come in questo caso, la soluzione è un ipocrita oscuramento del volto dei soggetti al centro della cronaca. Un’idiozia, purtroppo comune anche a molti giornalisti. Perché mostrare un volto oscurato o pixellato è un’offesa agli utenti, un controsenso comunicativo e poi perché il riconoscimento attraverso un particolare sfuggito (il tatuaggio, nel caso forlivese) è sempre possibile. Le immagini o si possono pubblicare o non si possono pubblicare. I volti oscurati o le voci artefatte sono una presa per i fondelli per chi guarda e ascolta e una pezza sulla coscienza di chi li diffonde. Ora ci sono due famiglie distrutte, ma non solo per colpa delle chat.

Una piaga dilagante. Suicidio dopo servizio delle Iene: aprire una riflessione sulla solitudine e l’autostima social. Hoara Borselli su Il Riformista il 7 Novembre 2022

Voglio parlarvi, oggi, di una terribile vicenda dove si intrecciano due tipi di realtà, quella virtuale e quella reale. Una vicenda terribile, conclusasi con un duplice suicidio. La storia è quella di Daniele, un giovane di 24 anni, che intesse una relazione virtuale, via chat, con una persona. Daniele è convinto di avere per molto tempo una storia con una ragazza, Irene, e su questa relazione riversa tutte le aspettative e i suoi sogni. Un legame vero, sincero, sul quale investe molto.

Cosa succede, però? Che Daniele scopre che la donna che riteneva essere la sua fidanzata, era in realtà un uomo, un uomo di 64 anni che si è spacciato per Irene e ha mantenuto con Daniele una relazione finché poi, molti mesi dopo, l’inganno è stato scoperto. Daniele non ha sopportato la delusione, la frustrazione, l’oppressione di non essermene accorto, un mix di dolore che l’ha portato ad impiccarsi nella sua stanza a soli 24 anni.

A questo punto, l’uomo che l’ha ingannato ha subito un processo, è stato denunciato e ha ricevuto una condanna per sostituzione di persona: è stato costretto a pagare una multa di 852 euro. Però, l’accusa della morte per conseguenza di reato, è stata archiviata. Poi l’uomo è stato rintracciato dal programma televisivo, Le Iene, il programma va in onda e questa mattina alle 7 il 64enne è tato ritrovato a terra, morto, da sua madre: si è suicidato con un mix di farmaci.

Quindi assistiamo ad una doppia tragedia, da una parte un ragazzo che non ha sopportato il dolore, la frustrazione di aver subito un tale affronto e dall’altra parte un uomo che non ha saputo superare il senso di colpa. Troppo spesso, purtroppo, si parla di queste ‘truffe amorose’ che rappresentano una piaga, quella della solitudine, si ricercano sul web quegli amori dove – forse per incapacità di potersi confrontare con persone reali – si affidano alla rete tutte le nostre aspettative. Purtroppo molto spesso ciò che è virtuale diventa un inganno, una trappola. E di queste storie bisogna parlare, perché sono molto più frequenti di quanto si possa pensare. E noi che ci occupiamo di comunicazione, che abbiamo la possibilità di veicolare massaggi importanti come questi, dobbiamo accendere un faro, far capire a i nostri ragazzi la distinzione che si deve fare tra reale e virtuale.

Ormai lo sappiamo, la maggior parte del nostro tempo la passiamo sul web, l’autostima dei nostri giovani, purtroppo, si basa sui like che ricevono. E’ importante accendere un faro perché questa può diventare una piaga dilagante. Prendiamo questo caso come avvertimento, affinché tragedie del genere non debbano avvenire più.

Hoara Borselli

Le Iene, il suicidio dopo il servizio di Viviani? "Cosa c'è dietro davvero". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 09 novembre 2022

Fino a dove si può spingere il diritto di cronaca? Chi traccia quel limite che stabilisce il confine fra l'inchiesta e lo sciacallaggio mediatico?

È una domanda che dobbiamo porci, visto che oggi a margine di una duplice tragedia si trova coinvolto un notissimo programma televisivo, Le Iene, di fatto indagato dalla procura per istigazione al suicidio.

Tutto inizia con la morte di un ragazzo 24enne, Daniele, trovato impiccato dai suoi genitori nella soffitta della sua abitazione. Il motivo? La ragazza, Irene, con la quale si scambiava messaggi d'amore da circa un anno, era in realtà un uomo 64enne che si fingeva tale.

Semplicistico pensare che il folle gesto di Daniele sia riconducibile unicamente alla terribile delusione subìta. Può un ragazzo così giovane pensare che la vita non possa offrire nessun'altra possibilità di riscatto? Sicuramente c'era tanta fragilità, nel suo mondo interiore.

A questo punto entrano in gioco Le Iene. Matteo Viviani e Marco Fubini, specializzati nelle inchieste d'assalto. Il 64enne viene sorpreso per strada mentre spinge la carrozzella della madre disabile. Volti pixellati ma riconoscibili. Domande incalzanti. Nulla viene tralasciato, in gergo giornalistico possiamo dire che hanno portato a casa un gran lavoro. Il giorno dopo nel paesino di 13 mila abitanti vengono affissi i poster dell'uomo: nonostante fosse celato, tutti lo avevano riconosciuto. Il mostro sbattuto in prima pagina, come si dice.

Accade poi l'imponderabile: la preda delle Iene si ammazza. Lo troverà la ma dre il giorno dopo la messa in onda del servizio, riverso a terra dopo aver ingerito un quantitativo letale di farmaci. Responsabile della sua morte è proprio il programma Le Iene, scrivono. Lo dice la stampa, sta indagando la procura.

Ora, per noi è semplice stampare manifesti di condanna e di messa all'indice. Le Iene hanno colpito, hanno messo alla gogna, Le Iene hanno spinto al suicidio. Andiamoci piano. Per due ragioni. 

La prima riguarda l'essenza stessa del suicidio, le sue cause, i suoi misteri. Soprattutto i suoi misteri. Chiediamoci: come succede che a un certo punto, a un essere umano, a qualunque età e di qualunque condizione sociale, sparisce l'istinto di conservazione, cioè il principio fondamentale della vita, soppiantato dalla disperazione e dal desiderio di morte? Nessuno sa rispondere a questa domanda. Ma allora, scusate, perché parliamo con tanta facilità di istigazione al suicidio? Che reato è? In che cosa consiste? Come si riconosce questo reato?

Chi è in grado di capirlo e definirlo?

La seconda ragione di prudenza riguarda il giornalismo. Certo, il giornalismo è un attrezzo pericoloso. Spesso può fare molto male alle persone. Non è un caso raro. Pensate a quante persone famose sono state demolite nella loro reputazione dalle inchieste giornalistiche, o più spesso ancora dalla superficialità di chi si limitava a pubblicare sui giornali e dare clamore e risalto al lavoro di accusa, o solo di sospetto, di qualche pm. Allora tutto questo che cosa vuol dire, che va sospeso il giornalismo? Soprattutto in questo caso, finisce sotto accusa il giornalismo di inchiesta. Il lavoro di scavo, di ricerca, di cronaca appunto, che hanno fatto alcuni nostri colleghi. Certo, potevano fermarsi un metro prima, perché sapevano che stavano trattando un argomento delicatissimo, intimo, pericoloso. Ma chi decide qual è questo metro prima?

Adesso che quest' uomo si è suicidato è facile per noi ragionare. Ma quando sei nel fuoco del lavoro, dell'inchiesta, e le tessere tornano e si incastrano, chi te lo dice: amico, adesso basta. Mi piacerebbe se contro Le Iene, quantomeno, non si accanisse la stessa mania di ricerca del colpevole seguendo la quale le stesse Iene hanno portato quest' uomo alla disperazione. Dico solo questo: spezziamo il cerchio. Interrompiamo la furia moralizzatrice. Non moralizziamo i moralizzatori. E salviamo il giornalismo perché un giornalismo cattivo è meglio di nessun giornalismo.

Da primaonline.it il 14 novembre 2022.

 Non si placa il dibattito suscitato dal suicidio – domenica 6 novembre – di Roberto Zaccaria. Il 64enne per un anno si era finto in chat una ragazza. La vittima, il 24enne Daniele, si è poi suicidato (la ricostruzione più sotto).

Su questa vicenda il 1° novembre era tornate le ‘Iene’, inseguendo Zaccaria. Dopo diverse polemiche sul fatto, e sul modo in cui il programma conduce le sue inchieste, adesso interviene Davide Parenti. L’autore delle ‘Iene’ ci ha inviato una lettera esclusiva. 

Di seguito, la lettera in esclusiva di Davide Parenti.

“In questi giorni tutto il gruppo che lavora a ‘Le Iene’ è stato scosso da un fatto tragico, che ci addolora in modo profondo. 

Due settimane fa abbiamo raccontato una storia di catfishing: Daniele, un ragazzo di ventiquattro anni si è suicidato dopo aver scoperto che quella che pensava fosse la sua fidanzata era invece Roberto Zaccaria, un uomo di 64 anni. Dopo il suicidio di Daniele, Roberto ha continuato a fare la stessa cosa con altri quattro ragazzi.

È stato allora che siamo andati a chiedergli conto delle sue azioni, incalzandolo. Dal giorno seguente alla messa in onda, il servizio è stato ripreso da trentuno giornali cartacei e online, due telegiornali, e ha spopolato sui social. 

“La storia era chiaramente di pubblico interesse, perché svelava la perversione di un meccanismo molto diffuso, che fa leva sulla fragilità affettiva e psichica di chi ne cade vittima. L’abbiamo raccontata perché potesse richiamare ogni potenziale ‘emulo’ alla gravità del gesto e alla sua responsabilità. Nel farlo, l’onda alimentata anche da chi ha ripreso il nostro lavoro è montata oltre ogni misura immaginabile, tanto che nel piccolo paese dove Roberto abitava sembra che qualcuno gli abbia fatto trovare dei cartelli nei pressi di casa.

“Il sabato successivo al servizio, a quattro giorni dalla messa in onda, Roberto si è tolto la vita. Da allora non smettiamo di domandarci qual è il limite, come bilanciare il diritto a fare informazione su fatti importanti e il diritto alla privacy, anche quella di chi è responsabile di questi fatti. Molti, dopo la morte di Roberto, hanno sollevato critiche sul nostro modo di raccontare, hanno sostenuto che è stato sbagliato, eccessivo. Accogliamo tutte queste critiche. 

Guido il gruppo de ‘Le iene’ da ventisei anni e da ventisei anni sono responsabile di ogni singolo minuto che va in onda; e se su altri casi – anche molto controversi – dormo sonni tranquilli, sul servizio di Roberto continuo a interrogarmi, così come le oltre cento persone che lavorano al programma. Con la nostra esperienza avremmo potuto essere più capaci di ‘sentire’ chi avevamo di fronte. 

“Chi fa il nostro lavoro si muove sul filo sottile della libertà di cronaca, una funzione delicatissima, per questo tutelata dalla Costituzione e disciplinata dalla legge. C’è poi un terzo elemento di cui chi fa comunicazione non può non tenere conto, la sensibilità collettiva, che negli ultimi anni ha fluttuato in modo continuo.

Molti oggi vorrebbero collegare il gesto di Roberto Zaccaria al fatto di essere stato incalzato da un nostro inviato, perché ha trovato il suo modo irruente, violento. Eppure esiste una differenza tra sensibilità e nesso di causalità. 

Al nostro editore, come ad altri, il servizio non è piaciuto, ed è legittimo.

Quello che facciamo può non piacere, è migliorabile – siamo esseri umani. La nostra libertà di farlo non è negoziabile col gusto di una platea, per quanto ampia.

Alla domanda se il “giornalismo estremo che praticano ‘Le Iene’ fatto di inseguimenti per strada possa andare avanti in questo modo”, il nostro editore ha risposto che “dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti, qualsiasi altro programma di informazione di Mediaset e non (lo pratica)”, un’affermazione che condividiamo. 

Il servizio sulla morte di Daniele andava fatto meglio, ma andava fatto. Così come andava fatto il servizio sul pallavolista Roberto Cazzaniga, su David Rossi, Chico Forti, DJ Fabo, il sangue iperimmune, i chierichetti del Papa, Marco Vannini, il ginecologo di Bari, le firme false del Movimento Cinque Stelle, il secondary ticketing, il disastro della Terra dei Fuochi, le truffe al 110, i rimedi al cancro della Brigliadori e della Mereu, i portaborse in nero, i furbetti del cartellino, la droga in parlamento, le molestie nel cinema, le aggressioni, i raggiri, gli inganni, le frodi, le estorsioni, le violenze e gli abusi subiti dai più deboli di cui il nostro programma è zeppo.

A sessantacinque anni ogni giorno ancora imparo che posso fare meglio. Alzeremo il livello di guardia, cambieremo alcune modalità di approccio ai fatti e alle persone. Non cambierà la nostra attenzione alla società, alla politica e la necessità di raccontarne storture e iniquità. Non abbiamo nessuna intenzione di ignorare ogni suggerimento utile e dato in buona fede su come migliorare il nostro lavoro. E soprattutto, non abbiamo nessuna intenzione di smettere di darci da fare.”  

Non avrebbe retto alla gogna mediatica innescata da un servizio della trasmissione ‘Le Iene‘ e si è tolto la vita pochi giorni dopo che il servizio, curato dall’aretino Matteo Viviani, è andato in onda. Due suicidi in tredici mesi, nel mezzo il servizio della trasmissione di Italia 1.

È stato trovato morto in casa l’uomo di 64 anni di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, finito al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, un giovane di 24 anni che un anno fa si era a sua volta tolto la vita dopo aver appreso di essere stato vittima di uno scherzo durato un anno: quella che credeva essere la sua fidanzata, Irene Martini, conosciuta online, era in realtà l’uomo di 64 anni che aveva usato foto di una modella romana. Zaccaria, dopo il suicidio del giovane, era stato indagato dalla Procura, aveva ricevuto una multa di circa 800 euro per sostituzione di persona ma l’accusa di morte come conseguenza di altro reato era stata archiviata. 

Nel servizio curato da Matteo Viviani, l’uomo era stato raggiunto vicino a casa. È andato in onda con il volto oscurato, ma in molti lo avrebbero riconosciuto. Ora la famiglia di Zaccaria ha preannunciato querela nei confronti della trasmissione e di Viviani.

Selvaggia Lucarelli si è subito schierata contro il giornalismo della Iene: “Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private”. 

Sulla morte di Zaccaria è intervenuto anche Pier Silvio Berlusconi: “Non voglio entrare nello specifico e penso che dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. Ma il punto è come viene fatto: servono attenzione e sensibilità, non è facile. Le Iene è un programma fatto da signori professionisti, Davide Parenti è bravo. Ripeto, è una questione di sensibilità personale e da editore dico che quella cosa lì non mi è piaciuta. Capita, ma bisogna tenere alto il livello di guardia”.

La spettacolarizzazione delle disgrazie altrui. Roberto Zaccaria si toglie la vita dopo servizio delle Iene: la caccia all’uomo e la gogna nello show in tv. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 7 Novembre 2022

La tutela della privacy secondo Le Iene

Non avrebbe retto alla ‘gogna mediatica‘ innescata da un servizio della trasmissione “Le Iene” e si è tolto la vita pochi giorni dopo il filmato che, in barba a qualsiasi norma deontologica e di tutela della privacy, lo ha dato letteralmente in pasto al grande pubblico. Due suicidi in tredici mesi, nel mezzo il servizio della trasmissione di Italia 1 che sta scatenando polemiche e richieste di chiusura del programma, non nuovo a scivoloni e a pseudo inchieste che con il giornalismo spesso non hanno nulla a che vedere.

Questa volta però il servizio di Marco Fubini e Matteo Viviani, sotto il coordinamento del delegato della trasmissione che non è considerata una testata giornalistica perché non ha un direttore responsabile (così come stabilito dalla Cassazione il 24 maggio 2021), è andato oltre, mostrando in diretta tv Roberto Zaccaria, 64 anni, oscurato parzialmente in volto, con tutti i tatuaggi riconoscibili, e ripreso e inseguito mentre portava in giro per Forlimpopoli (Forlì-Cesena), piccolo comune di appena 13mila anime, l’anziana madre costretta su una sedia a rotelle. Una vera e propria caccia all’uomo, facile da indentificare ‘grazie’ all’oscuramento decisamente ‘amatoriale‘ e dalla riconoscibilità dei luoghi per i suoi concittadini. E, stando alla denuncia del legale che assiste la famiglia dell’uomo, nei giorni scorsi a Forlimpopoli sarebbero apparsi persino dei manifesti contro di lui che l’avrebbero portato all’estremo gesto di domenica 6 novembre, quando è stata l’anziana madre a trovarlo senza vita in casa.

Una vicenda raccapricciante perché trattata, dal programma di Italia 1, senza alcuna sensibilità ma solo per ottenere sensazionalismo e massacrare un uomo certamente debole e solo, nonostante la stessa Procura di Forlì avesse chiesto l’archiviazione per l’accusa di istigazione al suicidio. Zaccaria aveva ricevuto una multa di 825 euro per sostituzione di persona.

L’inchiesta è quella relativa al suicidio di Daniele, un ragazzo di 24 anni di Forlì che nel settembre 2021 decise di farla finita dopo una delusione amorosa: per circa un anno, durante l’emergenza Covid, aveva “conosciuto” online una ragazza, Irene. In realtà dietro al profilo della giovane c’era Roberto Zaccaria che con delle foto prese dal profilo di una modella aveva iniziato a chattare con il 24enne, scambiando migliaia di messaggi scritti via WhatsApp. Nessuna nota vocale, nessuna telefonata, nessuna videochiamata. Solo tanti messaggi che avevano portato Daniele a credere di aver istaurato una relazione sentimentale con “Irene”. Dopo aver scoperto che era tutta una finzione, la delusione ha portato il 24enne al suicidio lasciando una lettera ai genitori e al fratello nella quale invitava quest’ultimo a non isolarsi, a “non fare i stessi miei errori, io ho sbagliato tutto, non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita”.

Zaccaria aveva dichiarato alle Iene che “era uno scherzo, non volevo finisse così”, per poi aggiungere che “se aveva dei problemi di testa non è colpa mia”. Un servizio finito in tragedia, con la stessa famiglia del 64enne che in queste ore sta valutando di fare un esposto contro la trasmissione Mediaset per come è stata trattata la vicenda che lo ha visto protagonista. “Valuteremo la questione”, dice l’avvocato Pierpaolo Benini, spiegando che proprio oggi avrebbe dovuto incontrare l’assistito per “valutare una forma di tutela che lo mettesse al riparo dalla gogna mediatica”, dopo che in paese erano apparsi dei manifesti contro di lui, in seguito al programma televisivo. Nei prossimi giorni l’avvocato parlerà coi familiari del 64enne, attualmente sconvolti per quanto successo, per decidere che iniziative intraprendere.

Le Iene, come riferito dal Corriere della Sera, preferiscono non commentare la vicenda. Sui social c’è chi fa notare che “volendo ragionare con gli stessi criteri populisti della redazione de #leiene, a questo punto dovremmo considerare il loro servizio istigazione al suicidio?”. Un altro utente aggiunge: “Trasmissioni come #leiene basano il loro successo sul piacere provato dall’essere umano nel vedere qualcuno che viene bullizzato dalla gogna mediatica. Populismo e giustizialismo mediatico usato come valvola di sfogo di un pubblico di mezza età frustrato”.

Dure anche le parole della sindaca di Forlimpopoli Milena Garavini che a LaPresse commenta la tragedia: “Lo vedevo spesso, ma difficilmente insieme ad altre persone: al massimo andava in giro con la madre. Posso ipotizzare vivesse una condizione di solitudine. Questa vicenda ha lasciato profonda tristezza e amarezza, ma è anche un invito a fare una riflessione, ovvero quanto possa essere dannosa la spettacolarizzazione delle disgrazie altrui, soprattutto quando causa un’ondata emotiva che spinge le persone a emettere giudizi senza conoscere i fatti”.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Le Iene sono pericolose, chi sarà la prossima vittima del loro manganello televisivo? SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 07 novembre 2022

Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private.

A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo.

La tv usata come manganello sui detrattori, da sempre.

Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo.

Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo.

La tv usata come manganello sui detrattori, da sempre.

E’ per questo che quello che è accaduto in questi giorni – il suicidio di un uomo a seguito di un servizio di Matteo Viviani e Marco Fubini de Le Iene- non mi stupisce affatto.

 I PRECEDENTI

Il metodo di lavoro di Matteo Viviani è noto e ne avevo parlato su Domani di recente. L’inviato, ex modello e ballerino in discoteca, è anche quello che fece disinformazione sul fenomeno Blue Whale (che non è mai stato un fenomeno, per giunta) montando immagini di finti suicidi di adolescenti con conseguenze molto gravi.

Ma è anche colui che si occupa spesso di pedofilia utilizzando il mezzo tv con estrema superficialità quando va bene e con drammatiche conseguenze quando va meno bene.

Un prete, nel 2010, si è gettato sotto un treno a seguito di un servizio di Viviani in cui un attore lo aveva trascinato in una trappola per dimostrare che adescasse ragazzini. Ovviamente quel prete era stato riconosciuto, licenziato, si sentiva addosso lo stigma.

«II suicidio del  prete mi ha scosso, sì. Quando, dall’altra parte, c’è una persona palesemente colpevole di qualcosa di orribile come può essere la pedofilia, tutti noi ci siamo autorizzati a scrivere ‘Ti sparerei’, ‘Ammazzati’. Ma quando vieni a sapere che una persona si è tolta la vita a causa dell’interazione che ci è stata fra te e lui… beh, pensi tanto. Pensi ai suoi genitori. Pensi alle persone, ignare della sua ‘deviazione’, che gli volevano bene. Non soffrire di una simile notizia denoterebbe ottusità mentale. Ho tanti difetti, ma non quello di essere ottuso», aveva dichiarato proprio Matteo Viviani in un’intervista sull’accaduto.

Dopo dieci anni, un altro uomo si è suicidato a seguito di un servizio da lui confezionato: ben 22 minuti, roba che neppure su Totò Riina. Ma andiamo ai fatti.

CATFISHING

Matteo Viviani ha raccontato la brutta storia di catfishing con epilogo drammatico che ha coinvolto Roberto, 64 anni, e il ventiquattrenne Daniele. Il catfishing è una sorta di inganno via web che consiste nel crearsi un’identità falsa per raggirare gli altri, spesso intrattenendo rapporti sentimentali che durano mesi o anni e non necessariamente a scopo di lucro.

Talvolta, dietro a questi inganni, ci sono persone con disturbi della personalità o che fanno fatica ad ammettere il proprio orientamento sessuale e che dietro una falsa identità sui social possono essere quello che non riescono ad essere nella vita reale: uomini che si fingono donne e viceversa.

In questo caso, il sessantaquattrenne Roberto fingeva di essere un’avvenente ragazza di nome Irene. Con questa falsa identità aveva adescato Daniele, con cui aveva avuto una relazione virtuale per circa un anno, finché l’altro non aveva scoperto l’inganno e si era suicidato.

Era seguito un processo, il sessantaquattrenne  era stato condannato a una multa per sostituzione di persona ma non era stato ritenuto colpevole del suicidio del ragazzo (le altre ipotesi di reato erano state archiviate). Insomma, tra processo e multa, Roberto aveva pagato il suo debito con la giustizia. I genitori del ragazzo suicida però ritenevano comprensibilmente che la giustizia fosse stata troppo clemente con lui e se ne erano lamentati pubblicamente, chiedendo maggiore severità per queste condotte. 

DOPPIA PUNIZIONE

E qui arrivano le Iene. Iene che non si accontentano di raccontare la storia e accendere una luce su quanto si possa arrecare dolore con le truffe sentimentali, no, dovevano andare a caccia del colpevole. Le legge non lo ha punito a sufficienza, serve la gogna in prima serata. Serve che il giudice- poliziotto Matteo Viviani vada a stanarlo.

Un po’ come il Dexter della serie americana che fa a pezzi con la motosega i criminali che se la sono scampata con la giustizia. Il servizio è agghiacciante.

Viviani compie l’agguato: insegue questo signore per le stradine di Forlimpopoli, 13.000 abitanti, senza uno traccio di pietà per il contesto. Roberto infatti, quando viene assalito dalle telecamere, sta spingendo la sua anziana madre in carrozzina. E’ dunque presumibilmente il suo caregiver. «Perchè lo hai fatto?», «Quale era il tuo scopo?», gli urla per strada.

Roberto, che non sembra una persona in uno stato mentale normalissimo, gli urla di lasciarlo, accelera il passo, la carrozzina con la madre sopra sbatte su una colonna, la signora anziana spaventata grida, volano dei fogli, un signore in monopattino si ferma per aiutare l’anziana che ne frattempo era stata scagliata con la sua sedia a rotelle contro Viviani.

Viviani continua, legge ad alta voce  i messaggi che l’uomo inviava via chat al ragazzo suicida. Legge anche messaggi sessualmente espliciti, tipo «Voglio vedere il tuo ca..o duro», messaggi che non hanno alcuna utilità ai fini della ricostruzione giornalistica, ma che servono solo ad alimentare il senso di vergogna.

Intanto viene inquadrata l’abitazione dell’uomo. Vengono rubate delle frasi registrate di nascosto. Tutti in paese lo riconoscono. A questa gogna si aggiungono interviste a una psicanalista che mai aveva incontrato l’uomo e che rincara la dose sottolineando il suo piacere sadico nel fare ciò. E stabilendo che c’è una causa-effetto chiarissima tra la condotta di Roberto e il suicidio di Daniele.

Evidentemente la psicanalista Giuliana Barberi conosce molto poco le dinamiche del catfishing perché non si tratta necessariamente di sadismo ma anche, per esempio, di un problema di identità sessuale. E il fatto che questi individui (per esempio Roberto) costruiscano una rete di fake compresi finti amici e parenti del loro fake principale, cosa che Viviani trova essere un’aggravante sorprendente, è un elemento tipico in questi fenomeni. Alcun costruiscono interi finti alberi genealogici.

La psicanalista non si è preoccupata neppure di capire che vita potesse fare un anziano che si prende cura di una madre disabile, non si è domandata se la costruzione di identità meravigliose nel virtuale non possa rendere meno brutte vite faticose. 

LA DEPRESSIONE

Nel servizio, poi, viene fuori che il povero Daniele aveva confessato al fake di soffrire di depressione, e in effetti nella lettera di addio confessa di non aver avuto mai amici o fidanzate. Alla finta Irene diceva: «Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita». A 24 anni non aveva mai avuto rapporti sessuali.

Pur col massimo rispetto per il suo dolore e con profondo disgusto per l’inganno che aveva subito, non si può dire che il suicidio sia avvenuto in un contesto privo di concause.

 Esisteva una sofferenza pregressa, probabilmente non compresa nel profondo da chi lo amava o forse dissimulata bene.

Questo servizio de Le Iene, così feroce nei confronti di un uomo che per quanto colpevole non si poteva rieducare con un agguato mortificante e la vergogna mediatica, ha provocato un’ondata di violenza nei confronti di Roberto: messaggi di odio sui social, minacce, insulti.

E poi dei manifesti apparsi nel suo paese dove ormai tutti sapevano chi fosse con la scritta “devi morire”. Anche Roberto, travolto da vergogna e sensi di colpa, si è tolto la vita mandando giù un mix di farmaci. Matteo Viviani può essere soddisfatto, giustizia è fatta.

Del resto gliel’aveva gridato per strada: «Fino all’ultimo continueremo a chiedere perché lo hai fatto!». Ecco, quell’uomo ha capito che la sua vergogna avrebbe avuto un vestito preciso: il completino giacca e cravatta nero del grande giustiziere de Le iene. Chi sarà la prossima vittima? 

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Tiziana Morandi, il memoriale della «mantide della Brianza»: «Io innocente, quegli uomini da me si aspettavano altro». Federico Berni su Il Corriere della Sera il 23 Ottobre 2022.

Nell'interrogatorio la 47enne ha negato tutte le accuse, dalla rapina alle lesioni aggravate, e ha sostenuto che i clienti che si prenotavano per i massaggi pretendevano da lei prestazioni sessuali

La sua difesa affidata a un memoriale, scritto a mano, e consegnato ai pm Carlo Cinque e Marco Santini. «Nego tutto. Forse quegli uomini si aspettavano altro da me». Il faccia a faccia fra la 47enne brianzola Tiziana Morandi e gli inquirenti di Monza, che le contestano nell’atto di chiusura dell’inchiesta venti capi di imputazione con accuse di rapina, lesioni aggravate, possesso di stupefacenti, dura pochi minuti. 

La donna si è consultata con il suo legale — l’avvocato Alessia Pontenani, alla quale, poche ore prima dell’interrogatorio, ha rinnovato la fiducia che le aveva revocato in estate — e ha consegnato un memoriale nel quale respinge ogni accusa. «Non è mai successo nulla». Nessun uomo narcotizzato con i sedativi sciolti di nascosto nelle bevande (una decina i casi denunciati), nessun furto commesso approfittando dello stato di incoscienza delle vittime, come emerso dalle indagini. In un caso, la donna avrebbe anche negato di conoscere uno dei denuncianti. 

«Volevano qualcosa d’altro», si è difesa Tiziana Morandi relativamente alla sua attività di massaggiatrice, che offriva attraverso i social, e che era il modo per approcciare gli uomini che adesso la accusano. Non c’è mai stata prostituzione, secondo quanto confermato dagli stessi carabinieri di Vimercate, e da alcune vittime che hanno raccontato la loro esperienza con la «mantide» al Corriere, in questi mesi. 

Ma, secondo la 47enne, questi si sarebbero aspettati da lei una prestazione sessuale, e sarebbero rimasti delusi. Secondo quanto trapelato, la procura si appresterebbe a chiedere il giudizio immediato. Massimo riserbo sulle possibili strategie difensive. La donna, dalla fine di luglio, alterna la permanenza in carcere (dove si trova attualmente) a periodi di ricoveri ospedalieri per problemi di salute.

Federico Berni per milano.corriere.it il 20 ottobre 2022.

Venti capi di imputazione, per reati che vanno dalla rapina alle lesioni, dall’utilizzo indebito di carte di credito alla violazione della legge sugli stupefacenti. La procura di Monza ha chiuso le indagini preliminari a carico di Tiziana Morandi, la «mantide brianzola» accusa di aver narcotizzato e derubato una decina di uomini, ai quali avrebbe raccontato una serie di bugie sulla propria vita e sulla propria professione: ad alcuni diceva di essere un medico, ad altri di essere «gravemente malata, allo stato terminale».

La donna ha chiesto di essere ascoltata dagli inquirenti, che hanno fissato un interrogatorio per la mattinata di sabato 22 ottobre. La 47enne si trova al carcere di San Vittore, dopo un periodo trascorso in ospedale, a causa di problemi di salute aggravati dal rifiuto del cibo, iniziato questa estate, quando i carabinieri della compagnia di Vimercate l’avevano arrestata dopo le prime denunce arrivate da parte di uomini, soprattutto anziani, ma non solo. 

La brianzola si spacciava per massaggiatrice, invitava le vittime a casa propria per un trattamento (in altre occasioni le approcciava con la scusa di una raccolta benefica) e queste ultime, in molti casi, si risvegliavano dopo un sonno profondo, senza oggetti di valore o senza soldi nel portafogli. Le successive analisi mediche riscontravano sempre la presenza di benzodiazepine (circostanza che le è valsa l’accusa di possesso di stupefacenti).

In un caso un pensionato di Avellino è stato soccorso alla stazione di Torino (dove era andato in compagnia dell’indagata) in stato di incoscienza, per poi scoprire di essersi ritrovato privo di una collezione di oggetti d’oro di un certo valore. 

In un altro, un uomo di mezza età della provincia di Como, dopo aver bevuto una bibita a casa della donna, nella Brianza vimercatese, aveva accusato un malore al volante, andando a sbattere contro il guardrail della tangenziale nord di Milano, rischiando per la propria incolumità e per quella di altri automobilisti. Ora per la donna si prospetta la richiesta di rinvio a giudizio, mentre la difesa sta valutando di chiedere che venga sottoposta a una perizia psichiatrica.

Federico Berni per corriere.it il 2 settembre 2022.  

Per l’opinione pubblica è diventata la «mantide della Brianza», per gli inquirenti della procura di Monza è «una donna pericolosa». L’accusa è di aver narcotizzato almeno nove uomini con del sedativo sciolto nelle bevande, per derubarli di soldi e oggetti preziosi. Tiziana Morandi, 47enne brianzola, arrestata alla fine di luglio, si trova adesso nel carcere di San Vittore, dove è tornata dopo un ricovero in ospedale per un drastico calo di peso dovuto al rifiuto del cibo. 

Non si hanno notizie su possibili strategie difensive. Al suo ultimo difensore, che ha rinunciato all’incarico, aveva detto di essere vittima di un equivoco, e di pagare magari la gelosia di altre donne che avevano saputo delle frequentazioni dei loro mariti presso casa sua, dove praticava massaggi per mantenersi. Non si tratta di prostituzione - gli inquirenti lo escludono - ma di furti, prevalentemente di piccola entità.

La camomilla e la finta beneficenza

Una catena di episodi ricostruita dai carabinieri di Vimercate, agli ordini del maggiore Mario Amengoni, nell’inchiesta coordinata dal pm Carlo Cinque, a partire dall’agosto 2021. A quell’epoca un 83enne di Roncello (Monza), trovato dal figlio in casa privo di sensi e trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, da dove fortunatamente era stato dimesso, era risultato positivo alla benzodiazepina. 

Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato dopo aver condiviso una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta con la scusa di una raccolta di soldi per beneficenza. Una volta risvegliatosi in ospedale, si era accorto di non avere più la catenina con alcune medagliette e la fede al dito.

L’approccio al bar e la bibita in casa

Stesso modus operandi per altri due uomini, sempre nel mese di agosto 2021, ancora a Roncello, quando un 84enne, conosciuto in un bar ed invitato a consumare una bevanda si era ritrovato senza i 50 euro che aveva nel portafogli. E per un 67enne, che aveva conosciuto la donna su Facebook. Invitato dalla stessa presso la sua abitazione per bere qualcosa in compagnia, era caduto in uno stato di sonnolenza. 

Si era poi svegliato a casa sua, senza ricordare come ci fosse arrivato, e si era accorto di non indossare più la catenina al collo. Dopo alcuni giorni, si era visto addebitare sul proprio bancomat un prelievo al bancomat di 250 euro. I carabinieri avevano acquisito i referti medici dal pronto soccorso di Vimercate di coloro che erano risultati positivi all’utilizzo dello psicofarmaco, riscontrando altri casi.

L’invito al cinema

La donna aveva contattato, sempre tramite i social, altri due uomini. Nell’ottobre 2021, un 51enne della provincia di Milano, invitato al cinema per vedere l’ultimo film di 007, si era risvegliato in un lettino del pronto soccorso dell’ospedale, con 150 euro in meno e positivo, anche lui, alla sostanza. 

Il 27enne agganciato su Facebook

Analoga sorte per un 27enne della Val Badia, che si era spostato in Lombardia per conoscere la donna di persona dopo i primi approcci sui social. Una volta bevuta un’aranciata, era caduto in un sonno catatonico. Il giovane, dopo essersi ripreso, nel fare rientro in Trentino, durante il tragitto aveva cominciato ad accusare forte dolori addominali e conati di vomito, decidendo così di fermarsi all’ospedale di Rovereto. Lì si era accorto che dallo zaino mancavano 400 euro; sottoposto all’esame, era risultato positivo al farmaco. 

La collezione di monete e pennini d’oro

Ma il colpo grosso Tiziana Morandi lo ha fatto con un 71enne di origini irpine, il quale, nel parlare delle sue passioni, aveva portato la donna a conoscenza della sua intenzione di vendere la sua collezioni di monete e pennini d’oro. Lei gli aveva fatto credere di conoscere un possibile acquirente a Torino. La vittima si era ritrovata all’ospedale Umberto I («mi hanno raccolto in stazione, ero incosciente, credevano fossi ubriaco», ha raccontato l’uomo). 

Gli appuntamenti per un massaggio

A questi 6 denunce se ne sono aggiunte altre 3, depositate nei giorni scorsi in procura. Sono uomini di età compresa tra 27 e 52 anni, e hanno raccontato di aver contattato la Morandi per farsi praticare un massaggio. All’appuntamento, però, sarebbero stati sedati con dei tranquillanti somministrati a tradimento e derubati di piccole somme di denaro.

Tiziana Morandi, prima il massaggio e poi il sedativo: spuntano tre nuove vittime della «mantide della Brianza». Federico Berni su Il Corriere della Sera il 31 agosto 2022.

Tre nuove denunce. E lo stesso copione che le è valso il soprannome di «mantide della Brianza». La conoscenza tramite i social network, l’appuntamento a casa per un massaggio, una bibita offerta dalla donna, l’improvvisa sonnolenza e poi il risveglio, dopo ore, con meno soldi nel portafogli. Altri uomini accusano Tiziana Morandi, la 47enne della provincia di Monza arrestata a fine luglio con l’accusa di aver narcotizzato e derubato sei vittime, prevalentemente anziane. Ora, le querele arrivano da altri uomini, residenti tra la Brianza e la Lombardia, di età compresa tra 27 e 52 anni.

Dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia del gip Silvia Pansini, poco più di un mese fa, e la diffusione della notizia dell’arresto, le ulteriori possibili vittime si sono fatte avanti per raccontare la loro versione dei fatti ai carabinieri della compagnia di Vimercate, comandata dal maggiore Mario Amengoni. Si tratterebbe di uomini che avevano contattato l’indagata per farsi praticare un massaggio (gli investigatori escludono scenari legati alla prostituzione), attività con la quale la 47enne brianzola originaria di Como e trasferitasi nel Vimercatese, secondo quanto riferito, si manteneva. All’appuntamento, però, sarebbero stati sedati con dei tranquillanti somministrati a tradimento, e derubati di piccole somme di denaro. Denunce poi finite sul tavolo del sostituto procuratore Carlo Cinque, che coordina l’inchiesta sulla donna che, da quanto appreso, è tornata da sabato scorso nel carcere di San Vittore, dopo settimane trascorse in una struttura ospedaliera (sempre in regime di detenzione) per un drastico .

La sua posizione, alla luce delle nuove accuse formalizzate nei suoi confronti, si fa ora sempre più pesante. E non si hanno nemmeno notizie su una sua possibile strategia difensiva. Anzi, anche il suo ultimo difensore, proprio nella giornata di ieri, ha preferito rinunciare all’incarico: dal momento dell’arresto, Tiziana Morandi ha già cambiato due avvocati e ora probabilmente gliene sarà attribuito uno d’ufficio. Gli inquirenti la considerano una «donna pericolosa». In base a quello che le viene contestato, drogava le sue vittime (anche persone ultraottantenni) con le benzodiazepine (che diceva di possedere in casa per suoi problemi di salute personali) provocando effetti che avrebbero potuto rivelarsi anche molto pericolosi. Colpi di sonno improvvisi o malori come capitato a un giovane altoatesino che, di ritorno dalla Brianza, era stato costretto a fermarsi a Rovereto, in provincia di Trento, in preda a un forte attacco di nausea e mal di stomaco che lo aveva sorpreso mentre guidava in autostrada. Di solito i bottini erano piuttosto modesti, al massimo qualche centinaio di euro, oppure catenine o anelli d’oro che potevano avere più che altro valore affettivo.

In un caso, però, un 71enne campano ha denunciato la scomparsa di parte di una collezione di monete e oggetti d’oro: «L’avevo conosciuta via Facebook, niente sesso, solo amicizia — aveva raccontato l’anziano al Corriere —. Quando le avevo manifestato l’intenzione di vendere questi oggetti mi aveva detto di aver trovato un acquirente a Torino». Nel capoluogo piemontese, l’uomo era stato drogato e abbandonato nei pressi della stazione: «Pensavano fossi ubriaco, poi in ospedale è emersa la verità».

Federico Berni per corriere.it il 9 agosto 2022.

La «mantide» della Brianza? Molto «provata» dalla detenzione, assicura il suo difensore, l’avvocata Alessia Pontanani. Al punto che «si trova da giorni ricoverata in ospedale per problemi di salute aggravati da quando si sono presentati i carabinieri a casa sua». Ossia dal giorno in cui in cui i militari della compagnia di Vimercate (Monza), si sono presentati alla porta di Tiziana Morandi, 47enne indagata di lesioni e rapina per avere, secondo il pm Carlo Cinque, narcotizzato e derubato almeno sei uomini, per eseguire l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Monza Silvia Pansini.

La donna avrebbe, secondo quanto riferito, «perso sette chili di peso», essendo rimasta «sconvolta» dalle accuse che le vengono mosse da vari uomini di età compresa tra i 27 e gli 83 anni. Secondo le indagini, le vittime venivano conosciute via Facebook, attirate a casa della donna (una villetta di proprietà in Brianza che condivideva con i suoi due cani pastori tedeschi per i quali «è molto preoccupata») addormentati con delle bevande allungate con le benzodiazepine e poi derubati di catenine, anelli, oggetti d’oro, soldi contanti.

«Sono accuse e vicende ancora tutte da chiarire -spiega il legale – in generale si tratta di fatti di entità modesta, forse qualche oggetto potrebbe esserle stato regalato, a parte una collezione di monete sul cui reale valore bisogna fare accertamenti». 

Secondo quanto ricostruito, Tiziana Morandi, che ha frequentato il liceo artistico a Como e poi ha interrotto gli studi universitari, praticava massaggi in casa per mantenersi. La difesa assicura che non si trattava di prostituzione, e che le stesse vittime erano legate da «rapporti di amicizia e basta». Forse, la moglie di qualcuno di questi uomini potrebbe essere ingelosita dalla figura ostentata dalla donna su Facebook (che tuttavia – assicura chi la conosce – non rispecchia il suo reale aspetto fisico, in realtà più minuto e probabilmente condizionato da una salute precarcia) ma di queste si è mai presentata a denunciare ai carabinieri di Bellusco.

L’accusa sostiene che la donna si procurava i farmaci con false prescrizioni (due ricette sono state sequestrate) ma secondo l’avvocato la presenza di sedativi era dovuta a «problemi di salute pregressi». Il primo difensore, nominato d’ufficio, aveva chiesto gli arresti domiciliari, ma il gip aveva respinto. Per il momento Tiziana Morandi si trova dunque in ospedale, convinta di essere finita «in un grande equivoco».

Marco Santoro per corriere.it il 6 Agosto 2022.   

Ammaliava le sue vittime, soprattutto anziani, attraverso il web Tiziana Morandi, 47enne nota alle cronache come la “Mantide della Brianza” arrestata con l’accusa di truffa. E tra queste c’è un uomo di 71 anni della provincia di Avellino, al quale era riuscita a sottrarre valori per 80mila euro. Ma per riuscirci lo avrebbe drogato, mandandolo in ospedale.

Il ricovero a Torino, lo scorso giugno. La Morandi aveva invitato l’anziano tramite il social, incautamente l’uomo le aveva detto di voler vendere una collezione di monete e pennini d’oro. Morandi ha finto di fissare un contro con un compratore. Ma il 71enne presentatosi all’appuntamento è stato stordito con benzodiazepina, versata in una bevanda offertagli dalla donna. 

Non è chiaro poi se la “Mantide” abbia usato la carta di credito dell’anziano per comprare gioielli e vestiti esaurendo il plafond di quattromila euro o se si tratta di regali che l’uomo le avrebbe fatto prima di raggiungere il bar della stazione di Torino Porta Nuova, dove è stato drogato ed ha perso i sensi. Ricoverato all’Umberto I di Torino, una volta sveglio l’amara sorpresa: la sua collezione era sparita con la “Mantide”.

Federico Berni per il “Corriere della Sera - Edizione Milano” il 2 agosto 2022.

«Sono stato drogato e abbandonato». Ma - la vittima tiene a ribadire - «non sono uno sprovveduto, né sono stato sedotto, avevo preso le mie precauzioni e ora, contro quella donna, andrò fino in fondo con l'avvocato». Eppure, per un 70enne pensionato della provincia di Avellino, la disavventura con la 47enne brianzola Tiziana Morandi, la donna arrestata dai carabinieri di Vimercate con l'accusa di aver narcotizzato con le benzodiazepine e derubato almeno 6 uomini tra i 27 e gli 80 anni, rischiava di trasformarsi in un ostacolo molto duro da superare sotto il profilo psicologico.

«Sono una persona molto presente a me stessa e da quel punto di vista non sento più alcun contraccolpo. Certo, è stata dura: mi sono svegliato all'ospedale di Torino, dopo essere caduto in stato di incoscienza. Pensavano fossi ubriaco, mi hanno raccolto in zona stazione, ma di alcolici non c'erano tracce nel sangue, in realtà quella donna mi ha drogato per impossessarsi dei miei oggetti preziosi». 

I due, vittima e truffatrice, si erano conosciuti via social: «Era una conoscenza maturata su Facebook, tramite chat. Solo un'amicizia, niente sesso, niente rapporti sentimentali, nemmeno platonici - racconta l'uomo -. In una occasione ci eravamo anche visti di persona e non era successo nulla. Poi, quando le ho manifestato l'intenzione di vendere una collezione di monete d'oro, chiedendole se ci fosse qualcuno di sua conoscenza interessato, mi disse di aver trovato l'acquirente». I due finiscono così a Torino, dove avrebbero dovuto incontrare il potenziale compratore.

 «Avevo lasciato le monete custodite in macchina, sotto casa di questa donna. Quando mi sono svegliato in ospedale, non avevo più le chiavi della vettura e poi ho scoperto che parte della collezione era sparita. Sono venuti i miei figli a prendermi. Ho fatto denuncia e con lei non ho più avuto rapporti. Faccio fatica a trovare una logica nel suo comportamento, come credeva di farla franca?» La donna è accusata di avergli fatto sparire, parte dei suoi oggetti preziosi (alcuni sono stati ritrovati) e di aver fatto spese per 4 mila euro con la sua carta di credito.

Anche un 67enne di Mariano Comense si è imbattuto tramite social network in Tiziana Morandi: «Ci siamo conosciuti chattando e ci eravamo anche incontrati una prima volta in un centro commerciale, assieme a due suoi amici. In quel caso non era successo nulla di che, un caffè, qualche chiacchiera, insomma sembrava finita lì. In un'altra occasione, invece, mi ha invitato a casa sua. Dopo aver bevuto un aranciata, sono crollato in catalessi. Poi, non so come, mi sono risvegliato a casa mia. Non avevo più la catenina d'oro che portavo al collo, e poi, dopo aver fatto l'estratto conto, mi sono accorto che mancavano 250 euro dal conto corrente».

La 47enne brianzola, nullafacente, è stata arrestata e condotta a in carcere a San Vittore con l'accusa di rapina aggravata e lesioni. Per procurarsi il sedativo, la donna usava false prescrizioni mediche, raccontando di essere in cura psichiatrica. Le indagini dei carabinieri di Bellusco (Monza) sono partite nell'agosto 2021, quando un anziano 83enne di Roncello, trovato dal figlio in casa privo di sensi, era risultato positivo alla benzodiazepina. 

 Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato nella sua abitazione dopo aver bevuto una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta, con la scusa di una raccolta di fondi per beneficenza. 

Federico Berni per corriere.it il 2 agosto 2022.  

I pretesti per gli incontri erano vari: una raccolta benefica (falsa), una serata al cinema, un caffè o un aperitivo per conoscersi. Lo scopo era uno soltanto: drogare le bevande delle vittime con le benzodiazepine per narcotizzarle, e poi rubare loro anelli, gioielli, catenine d’oro, contanti. Sono sei gli episodi ricostruiti dai Carabinieri della Stazione di Bellusco che hanno arrestato Tiziana Morandi, una 47enne del Vimercatese, nullafacente, con l’accusa di rapina aggravata e lesioni.

La malvivente, che ha dei trascorsi per furto e circonvenzione di incapaci, agiva indisturbata nell’appartamento delle vittime, sia anziane che giovani, portando via tutto quello che di prezioso riusciva a trovare. Per procurarsi il sedativo, la donna usava false prescrizioni mediche che esibiva all’occorrenza in pronto soccorso millantando di essere in cura psichiatrica. 

Le indagini dei militari della compagnia di Bellusco sono partite nell’agosto 2021, quando un 83enne di Roncello era stato trovato dal figlio in casa privo di sensi. Trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, da dove fortunatamente era stato dimesso, l’anziano era risultato positivo alla benzodiazepina. Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato in casa dopo aver condiviso una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta con la scusa di una raccolta di soldi per beneficenza. Una volta risvegliatosi in ospedale, si era accorto di non avere più al collo la collana con alcune medagliette; sparita anche la fede nuziale.

Stesso modus operandi, nel mese di agosto 2021, a Roncello: un 84enne, abbordato dalla Morandi in un bar ed invitato a consumare una bevanda, si era ritrovato senza i 50 euro che aveva nel portafogli. Idem per un 67enne che aveva conosciuto la donna su Facebook: invitato a casa di lei per bere qualcosa in compagnia, era caduto in uno stato di sonnolenza. Si era poi svegliato a casa sua, senza ricordare ci fosse arrivato, e si era accorto di non indossare più la catenina al collo. Dopo alcuni giorni, si era visto addebitare sul proprio bancomat un prelievo di 250 euro effettuato presso uno sportello di Roncello a lui sconosciuto. 

I carabinieri hanno acquisito i referti medici dal Pronto soccorso di Vimercate di coloro che erano risultati positivi all’utilizzo dello psicofarmaco, riscontrando altri casi. In particolare, Tiziana Morandi aveva contattato, sempre tramite i social, altri due uomini. Nell’ottobre 2021, un 51enne della provincia di Milano, invitato al cinema per vedere l’ultimo film di «007», si era risvegliato in un lettino del pronto soccorso dell’ospedale, privo di circa 150 euro e positivo, anche lui, alla sostanza.

Analoga sorte ad un 27enne della Val Badia che si era spostato in Lombardia per conoscere la donna di persona dopo i primi approcci sui social. Una volta bevuta un’aranciata, era caduto in un sonno catatonico. Il giovane, dopo essersi ripreso, nel fare rientro in Trentino, durante il tragitto aveva cominciato ad accusare forti dolori addominali e conati di vomito, decidendo così di fermarsi all’ospedale di Rovereto. Lì si era accorto che dal proprio zaino mancavano 400 euro, si era sottoposto all’esame riscontrando la positività al farmaco. 

Ma il colpo grosso la Morandi lo ha fatto con un 71enne di origini irpine, il quale, nel parlare delle sue passioni, le aveva confidato di voler vendere la sua collezione di monete e pennini d’oro del valore di circa 80 mila euro. Lei gli aveva fatto credere di conoscere persone del settore per piazzare la merce, e lo aveva invitato a casa.

A giugno 2022, dopo averlo drogato, era riuscita ad utilizzare la sua carta di credito per acquistare 4mila euro di monili in oro presso una gioielleria, nonché capi di abbigliamento per un valore di circa 100 euro. Successivamente, facendogli credere di avere trovato un compratore per le monete, lo aveva convinto a prendere un treno per Torino. Qui l’uomo era finito all’ospedale Umberto I. La preziosa collezione di monete e pennini? Sparita. Anche in questo caso, i medici avevano riscontrato la presenza di benzodiazepina. 

Ora Tiziana Morandi è finita in carcere, a San Vittore. In casa le sono stati trovati 10 pennini e 2 bracciali in oro; 2 flaconi di «delorazepam», 1 flacone di «sedivitax» e 2mila euro circa in contanti. 

Federico Berni per il “Corriere della Sera” il 10 agosto 2022.

La «mantide della Brianza»? Molto «provata» dalla detenzione, assicura il suo difensore, l'avvocata milanese Alessia Pontanani. Sofferente (rifiuta il cibo e avrebbe per questo accusato un calo drastico di peso) al punto che «si trova da giorni ricoverata in ospedale per problemi di salute, aggravati da quando si sono presentati i carabinieri a casa sua».

Ossia dal giorno in cui i militari della compagnia di Vimercate (Monza), agli ordini del maggiore Emanuele Amorosi, si sono presentati alla porta di Tiziana Morandi, 47enne indagata di lesioni e rapina per avere, secondo l'inchiesta condotta dal pm Carlo Cinque, narcotizzato e derubato almeno sei uomini, ed hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Monza Silvia Pansini.

La donna, secondo quanto riferito, avrebbe «perso sette chili», dopo essere finita «sotto choc» per i reati che vengono ipotizzati nei suoi confronti da uomini di età compresa tra i 27 e gli 84 anni. Secondo le indagini, le vittime venivano approcciate via Facebook, attirate dalla donna a casa sua (una villetta di proprietà in Brianza che condivideva con i suoi due cani pastori tedeschi per i quali «è molto preoccupata»), addormentati con delle bevande allungate con le benzodiazepine, e poi derubati di catenine, anelli, oggetti d'oro, soldi contanti.

«Sono accuse e vicende ancora tutte da chiarire - ha spiegato ieri il legale al telefono -. In generale si tratta di fatti di entità modesta, forse qualche oggetto potrebbe esserle stato regalato dalle vittime stesse, a parte una collezione di monete, sul cui reale valore bisogna fare accertamenti». Secondo quanto ricostruito, Tiziana Morandi, che ha frequentato il liceo artistico a Como e poi ha interrotto gli studi universitari, per mantenersi praticava massaggi in casa: attività che pubblicizzava sui social. La difesa assicura che non si trattava di prostituzione, e che le stesse vittime erano legate da «rapporti di amicizia e basta». 

La Morandi stessa, secondo quanto riferito dall'avvocato, subito dopo l'arresto, avrebbe ipotizzato che la moglie di qualcuno di questi «amici» potrebbe essersi ingelosita dalle frequentazioni della sua casa degli stessi («chissà cosa si sono messi in testa», si sarebbe sfogata). La figura avvenente della 47enne ostentata su Facebook (che tuttavia - dice chi la conosce - non rispecchia il suo reale aspetto fisico, minuto e probabilmente condizionato da una salute precaria) potrebbe aver scatenato delle gelosie, ma nessuna donna si è mai presentata a denunciare i fatti ai carabinieri.

L'accusa, inoltre, sostiene che Tiziana Morandi si procurava i farmaci con false prescrizioni (due ricette sono state poste sotto sequestrato), ma, sempre secondo l'avvocato la presenza di sedativi e tranquillanti in casa era dovuta a «problemi di salute pregressi» dovuti a presunte crisi di panico. Il primo difensore dell'indagata, nominato d'ufficio, aveva chiesto l'alleggerimento della misura cautelare dalla detenzione agli arresti domiciliari (la madre sarebbe disposta ad accoglierla in casa), ma il gip aveva respinto. Per il momento, Tiziana Morandi si trova dunque in ospedale, convinta di essere vittima «di un grande equivoco». 

Estratto dell'articolo di Giuseppe Scarpa per “la Repubblica – Edizione Roma” l'1 maggio 2022.

La truffa sentimentale. Illudere una persona di voler costruire un rapporto, in realtà l'obiettivo è rubare quanti più soldi possibile. Adesso, però, giocare con i sentimenti diventa un reato e può costare caro. Si rischia il carcere. Così a Roma una ragazza è indagata per truffa. Un fatto singolare - di solito in questi casi gli inquirenti contestano la circonvenzione d'incapace - eppure il pm ha deciso di optare per altro. 

La vittima, infatti, non era un soggetto «incapace di intendere e di volere». Non era una persona fragile. Ma, semplicemente, un ragazzo che è stato raggirato ad arte da parte di una truffatrice. Questa la tesi. [...] 

Ecco la nuova storia: il caso va in scena a Roma nel 2019. Lei è una giovane romena, bella, mora, ha 26 anni. Magdalena Tafta. Lui, 50 anni, si innamora perdutamente. Lei capisce e se ne approfitta. La 26enne gli fa perdere la testa e inizia a chiedere soldi. Il denaro e la leva che Tafta (difesa dall'avvocato Stefano Giorgio) utilizza per incontrarlo. Niente denaro, niente passeggiate assieme.

I due, nei messaggi che si scambiano, si chiamano "amore", si mandano i cuoricini. Di fatto, si frequentano saltuariamente, nonostante lui chieda di vederla spesso. La 26enne declina, inventa scuse: «Non sto bene, non riesco a venire». Lei, però, accetta di uscire solo quando è certa di incassare qualche cosa.[...] 

La vittima, alla fine rinsavisce. Capisce di essere stato imbrogliato e la denuncia. Così scrive il pm nel capo d'imputazione: Tafta inviava «messaggi dal contenuto sentimentale tesi a prospettare (...) un progetto di vita in comune» . Adesso la procura ha chiuso l'indagine. Per Tafta si prospetta all'orizzonte un processo. Con i sentimenti non si scherza. 

(ANSA il 28 aprile 2022) - La Guardia di Finanza di Monza ha sequestrato denaro e altre disponibilità a due donne, una residente a Vimercate (Monza), e una in provincia di Cagliari, perché indagate con l'ipotesi di aver truffato per oltre 15 anni un giocatore di Serie B di pallavolo, Roberto Cazzaniga, facendogli credere di essere fidanzato con una modella brasiliana.

Il sequestro preventivo di beni, eseguito dalle Fiamme Gialle su delega della Procura della Repubblica di Monza, riguarda una minima parte dei 600 mila euro che sarebbero stati sottratti all'uomo con diversi stratagemmi. Il reato contestato per entrambe le donne è di truffa aggravata e continuata.

Federico Berni e Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" il 29 aprile 2022.

Un «sequestro preventivo», su conti correnti bancari e postali in gran parte «già completamente svuotati», di 74.595 euro. Ma gli altri 520.000 euro, quelli regalati, tra il 2008 e il 2016, alla donna di cui si era perdutamente innamorato - mai vista dal vero e per oltre 13 anni contattata solo telefonicamente -, Roberto Cazzaniga, il 42enne giocatore di pallavolo brianzolo vittima di un clamoroso raggiro sentimentale, non li rivedrà mai più. I reati commessi in quel periodo e su cui indaga la Procura di Monza sono prescritti. Resta però in piedi quello, proseguito sino allo scorso anno, di truffa.

Ieri l'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza è giunta a una svolta. Il gip Silvia Pansini ha congelato i conti delle due indagate. Una è Valeria Satta, 39enne disoccupata di Cagliari e, soprattutto, la «voce» che aveva fatto perdere la testa a Roberto dopo essersi presentata come la modella brasiliana Alessandra Ambrosio, del tutto ignara, invece, del coinvolgimento in questa storia.

L'altra donna sotto inchiesta, sempre per truffa, è Manuela Passero, 33 anni, monzese, amica di Roberto e quella che ha dato il via alla trappola, dicendogli della presunta top model che lo voleva conoscere.

L'imbroglio, orchestrato in ogni dettaglio, è scattato quando Passero ha mostrato al giocatore le foto di «Maya», finto nome della sedicente modella. Per fugare le incertezze iniziali, gli ha anche mostrato - si legge nelle carte giudiziarie - «un'asserita carta d'identità» con false generalità: quelle di «Maya Alina Alessandra Ambrosio Mancini».

Comincia così quella che per Cazzaniga era una storia d'amore ma che invece è stato solo un inganno che lo ha portato sul lastrico, costringendolo a elemosinare aiuti ai familiari e ai compagni del «New volley Gioia del Colle», la squadra dove gioca ora in Serie B, dopo un passato in Superlega e in azzurro.

I finanzieri hanno ricostruito circa 1.400 transazioni attraverso le quali Roberto ha trasferito alla Satta oltre 600.000 euro - tra il 2008 e il 2021 - con ricariche su più carte postepay (tra i 200 e i 3.000 euro) e con bonifici.

Ascoltati dagli investigatori, genitori e amici del giocatore hanno descritto ogni passo della truffa. Secondo la madre, Gesuina, suo figlio «era circondato da persone che volutamente gli impedivano che avessimo normali rapporti» con lui.

E il padre Gian Paolo, «nel ripensare a quanto successo», ritiene che «anche la scelta di Roberto di accettare l'offerta di andare a giocare in una squadra così lontana fosse dovuta al fatto di non volere intromissioni».

Non solo. «L'incessante bisogno di danaro», ha proseguito il genitore, era motivato con scuse tipo che «non era pagato abbastanza» e che «aveva investito in fondi arabi», restando senza cash.

Se la relazione è rimasta a distanza, e solo telefonica, è perché Maya ha detto a Roberto di soffrire di una «grave malattia cardiaca» e di «avere patologie immunodepressive tali da proibire contatti con estranei».

Quanto «all'indigenza economica» di cui lei parlava ossessivamente, era dovuta al «blocco dei conti correnti familiari» per una situazione ereditaria seguita alla morte dei bisnonni.

La finta modella ha cominciato così a spillargli soldi per «farmaci, visite specialistiche, interventi chirurgici» e spesso è stata Passero ad accompagnarlo alle Poste per sincerarsi dei versamenti.

Per gli investigatori la finta malattia di Maya è lo snodo cruciale della truffa. Agli inquirenti, il pallavolista ha detto che «quando provavo ad andare un po' più a "muso duro" con lei» per chiedere spiegazioni, Maya rispondeva «che stava male; io allora, angosciato, mi fermavo. Un giorno il telefono fu preso da sua madre per dirmi che la figlia era svenuta».

Addirittura, quella volta che Roberto accennò alla restituzione dei soldi, la «voce» di cui si era invaghito lo liquidò così: «Se sto male è solo per colpa tua e se insisti vado a denunciarti ai carabinieri: stai facendo peggiorare le mie condizioni». 

Manipolazione emotiva, cos'è e come difendersi. Maria Girardi il 15 Aprile 2022 su Il Giornale.

Sono aggressivi, hanno una scarsa autostima e soffrono di vittimismo. Ecco chi sono i dominatori dai quali è bene imparare a difendersi.

È un problema molto più diffuso di quanto si possa credere. Stiamo parlando della manipolazione emotiva che si verifica nel momento in cui un soggetto perennemente alla ricerca del proprio tornaconto, utilizzando tecniche persuasive, riesce a convincere un altro individuo a fare ciò che desidera. Caratteristiche comuni dei persuasori sono senza dubbio la spiccata capacità oratoria e l'abilità nello scovare le debolezze del proprio interlocutore che diviene una vera e propria vittima. In quanto tale, infatti, inizia a trascurare le esigenze personali di qualsivoglia natura per poi, smarrita definitivamente l'autostima, rinchiudersi in una bolla fatta di tristezza e di solitudine. Non è raro che i perseguitati finiscano per difendere i propri aguzzini, sentendosi addirittura in colpa per la situazione che si è generata. Come riconoscere la manipolazione emotiva? È possibile difendersi dalla stessa? Gli esperti di Guidapsicologi.it ci illuminano a riguardo.

Come riconoscere la manipolazione emotiva 

La manipolazione emotiva, sebbene contempli sempre le solite caratteristiche, alle volte non è semplice da smascherare. Il primo passo che compie il sogetto dominante è quello di studiare con attenzione la vittima al fine di sfruttare ogni sua più piccola fragilità. Ma qual è il profilo psicologico dei manipolatori? Si tratta di persone con una bassa autostima,

Come coltivare l'autostima

con una insicurezza marcata che li spinge a mostrare un'immagine di sé opposta. Nei confronti del prossimo essi si pongono in maniera brusca e tale aggressività (attiva o passiva) è facilmente intuibile osservando le loro cosiddette abilità sociali. Essendo privi o quasi di assertività, coloro che esercitano la manipolazione emotiva ricorrono al ricatto per ottenere ciò che vogliono. Ma non solo. I dominatori non si sentono a proprio agio negli ambienti che li circondano (famiglia, lavoro, relazioni) e pertanto si trincerano dietro una inespugnabile rigidità: giudicano gli altri e vogliono dimostrare di avere sempre ragione su tutto.

Hanno altresì una scarsa tolleranza alla frustrazione e le loro reazioni solitamente sono guidate dalla rabbia, dall'essere costantemente sul chi va là. Riversano su chi hanno dinanzi critiche distruttive, sono estremamente esigenti e alimentano il proprio ego mediante la manipolazione emotiva perché solo così riescono a percepire una sensazione di controllo e di potere. Gli individui dominanti, infine, ricorrono al vittimismo e pertanto tendono ad esacerbare sentimenti e comportamenti talora inesistenti.

Quando la manipolazione emotiva è un problema personale 

Riconoscere di esercitare una manipolazione emotiva sul prossimo non è scontato. Serve innanzitutto una minima capacità di autoanalisi che si concretizzerà, in primis, con il valutare la tipologia di relazioni intrattenute con il partner, con la famiglia e con gli amici. Ci si deve chiedere se le stesse siano soddisfacenti o meno o se esista qualche forma di dipendenza. Scattato il campanello di allarme è bene interrogarsi sulla reale volontà di cambiare e, ottenuta questa consapevolezza, il passo decisivo è quello di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.

De Marchi, liberale "eretico" che cambiò la psicoterapia

Il percorso di analisi consentirà al manipolatore di dare voce alle proprie insicurezze, di elaborare i comportamenti aggressivi e di imparare a soddisfare i bisogni personali senza prevaricare sugli altri. Inutile dire che questo processo richiede un grande impegno mentale, ma la pace interiore che si conquista a lavoro terminato ripaga tutte le difficoltà che si sono dovute affrontare.

Come difendersi dalla manipolazione emotiva 

Imparare a difendersi dalla manipolazione emotiva significa riprendere in mano le redini della propria esistenza e tornare a respirare senza affanno. Ecco alcuni utili suggerimenti:

Consapevolezza: capire che si sta subendo una manipolazione è il passo principale da compiere;

No ai sensi di colpa: si ha il diritto di non soddisfare le esigenze altrui. Il dominatore soffre di problematiche psicologiche delle quali non ci si deve sentire responsabili;

Lavorare sull'autostima: avere una maggiore consapevolezza di sé, incluse le zone d'ombra, è fondamentale per non farsi scalfire dai colpi del dominatore;

Allenare l'assertività: la risolutezza aiuta a formulare il messaggio che si vuole trasmettere al dominatore poiché, grazie ad essa, è possibile instaurare una comunicazione verbale amichevole, naturale e rispettosa che consolida le emozioni di entrambi gli interlocutori;

Stabilire dei limiti: essi devono essere posti in maniera chiara e ferma. Il loro rispetto permette al manipolatore di rendersi conto di stare sprecando del tempo in qualcosa dalla quale non trarrà alcun tipo di beneficio;

Trattare: in alcuni casi esaudire la richiesta del dominatore non implica molti sacrifici. In queste situazioni è bene avvalersi della negoziazione per far sì che entrambe le parti possano trarre vantaggio.

Truffe amorose per estorcere denaro: dopo il caso Flavia Vento "ecco perché in tanti ne sono vittime". Veronica Mazza su La Repubblica il 21 Gennaio 2022.  

Tutto inizia con un like, e finisce con una truffa online, architettata per estorcere denaro. Che oltre ai danni economici lascia una scia di danni emotivi e psicologici gravi. Il parere della psicologa e sette consigli per non cadere nelle trappole. 

Sembra amore, invece è un raggiro. Si chiamano romance scam, truffe amorose online ben architettate allo scopo di estorcere denaro, che lasciano non solo conti bancari a secco, ma soprattutto cuori spezzati e danni emotivi e psicologici, con scie di depressione, ansia e senso di sfiducia nei confronti del prossimo. Si parte sempre da un like o da una richiesta di amicizia, sulle app di dating oppure sui social, con profili falsi costruiti ad arte - dai soldati americani ai manager in carriera fino all’avvenenti ed esotiche straniere - che dimostrano un acceso e improvviso interesse per la vittima. Piano piano, con pazienza e dovizia, si mette in scena un corteggiamento serrato a distanza, fatto di manipolazioni e di false promesse, che può durare anche mesi. Il fine è far credere che si è follemente innamorati e desiderosi di creare una relazione affettiva seria e duratura. E una volta guadagnata la fiducia della preda e conquistato il suo amore, ecco che iniziano le richieste di soldi e aiuti materiali, per sostenerli in un momento di grave difficoltà, che continua a ripetersi nel tempo e non sembra mai finire. Un lungo calvario, a cui la vittima ha difficoltà a sottrarsi, perché ormai troppo coinvolta in questa storia che pensa sia vera e piena di buoni sentimenti. E spesso per vergogna o pudicizia, chi si trova a che fare con questi criminali subisce senza chiedere aiuto a familiari e amici, nascondendo a tutti i continui e consistenti esborsi economici.

Le truffe del cuore sono più diffuse di quanto si possa immaginare: nel 2021 le vittime sono state più di 300 e le cifre elargite ai loro seduttori o seduttrici sono ben 4,5 milioni di euro. Un fenomeno criminale in crescita, con un aumento del 118% rispetto all'anno precedente, che continua a riempire le pagine di cronaca. Come il recente caso dell’imprenditore veneto Claudio Formenton rapito per tre giorni in Costa d’Avorio, dove era volato per incontrare Olivia, la donna conosciuta online e di cui si era innamorato. A cadere in questo tipo di truffe amorose abilmente orchestrate sono stati anche personaggi noti come il pallavolista Roberto Cazzaniga, la showgirl Flavia Vento, sedotta da un finto Tom Cruise, e anche Pamela Prati con il famoso caso del fantomatico Mark Caltagirone, con il quale doveva convolare a nozze. Una soap drammatica che per mesi ha tenuto banco sui giornali e in tv, una delle storie più clamorose, tra le tante che purtroppo accadono, a cui ha dato spesso voce anche la Sciarelli nel suo programma “Chi l’ha visto”. A farne le spese sembrano essere più le donne rispetto agli uomini e per capire come evitare di cadere in questi imbrogli sentimentali abbiamo intervistato Maria Claudia Biscione, psicologa e psicoterapeuta, che ci ha dato anche dei consigli per smascherare queste truffe sentimentali. 

Le truffe sentimentali sono più diffuse che mai, perché questo tipo di raggiro sta prendendo sempre più piede?

“Intanto perché avviene attraverso una modalità, internet, trasversale a tutti e sempre più usata per incontrare anime gemelle e non solo. Rispetto al passato, dove queste truffe erano perpetrate dal vivo con tempi nettamente più lunghi e maggior rischi visto che bisognava metterci la propria faccia, lo strumento virtuale consente meglio di rubare identità, costruire strategie di manipolazione e di raggiro che portano alle “romance scam”. L'online, inoltre, si presta molto bene anche a micro-truffe, poiché aumenta il numero dei truffatori che le mettono in atto e, di conseguenza, il numero delle vittime”. 

Quali sono i motivi psicologici che portano una persona a cadere nella trappola delle romance scam?

“Sicuramente il bisogno di contrastare un senso profondo di solitudine. Il desiderio di avere un legame speciale, un amore, una relazione duratura tendono ad abbassare le difese di fronte a qualcuno che ben sa “vendere” le parole e agganciare proprio sul bisogno di essere desiderati e amati. Chi crea questo tipo di truffa sa bene come sedurre le sue vittime e soprattutto è in grado di insinuarsi in quei varchi di debolezza per creare l'illusione amorosa e, quindi, l'inganno. Paradossalmente, la lontananza rafforza questo sistema di manipolazione. Perché, è proprio la distanza fisica che può lasciare spazio all’idealizzazione dell’altro. Per di più, i messaggi sono tutti finalizzati al far sentire importanti, belli, ascoltati, capiti. Così, quando a un certo punto, colui o colei che ti ha conquistato fiducia e cuore, incappa in una serie di "difficoltà" e ha bisogno di aiuto, tu sei già senza difese e con il portafogli in mano”.

Proviamo a tracciare un “profilo” delle possibili vittime…

“Sembrerebbero essere in prevalenze donne, ma gli uomini non ne sono esenti, sia single che dentro relazioni insoddisfacenti, in cerca di avventure adrenaliniche o di un amore romantico che possa dare un po’ di colore alla loro vita monotona e infelice. Le vittime, che possono provenire da contesti socioeconomici e livelli di scolarizzazione eterogenei, hanno forse in comune una certa tendenza ad essere più impulsive e fiduciose negli altri rispetto alla media e, sicuramente, un grande bisogno di credere a qualcuno di speciale, caratteristiche che le vedono più ricettive e facili prede di questi amanti virtuali. Le dipendenti affettive sono certamente quelle più a rischio perché, nel loro estremo bisogno di avere una relazione, sono più fragili e manipolabili e maggiormente a rischio di minimizzare o non vedere segnali anche chiari di truffa e simulazione. Infine, la presenza quotidiana e costante dei truffatori è come una droga, che giorno dopo giorno, conquista, riempie e a cui si fa molta fatica a rinunciare anche lì dove si percepisce che c'è qualcosa che non convince pienamente”.

Ci sono dei segnali, delle bandiere rosse a cui prestare attenzione, che possono allertarci ed evitare di diventare preda di questi impostori?

“L'obiettivo delle truffe amorose è sempre di tipo economico. Per cui il primo campanello di allarme è quello della richiesta di soldi, che in genere viene ben costruita attraverso storie commoventi (incidenti, malattie, ricatti, crack finanziario, etc), in cui la promessa di viversi il sogno d'amore passa sempre necessariamente attraverso la risoluzione di un problema economico. Tutto l'inganno, dopo aver lungamente e pazientemente corteggiato e conquistato la fiducia della vittima, ruota attorno a questi continui ostacoli che fanno leva proprio sul desiderio di eliminarli per poter finalmente concretizzare il rapporto. Spesso, una volta ottenuta la prima somma di denaro, è facile che gli impedimenti al viversi pienamente la relazione reale aumentino di volta in volta e le richieste economiche pure, spostando l'agognato incontro sempre più in là. Un altro segnale importante è l'eccessiva enfasi e rapidità con cui si dichiarano i propri sentimenti. A fronte del non essersi mai incontrati e verificato per davvero i vari aspetti di compatibilità, si viene inondati da parole eccessive, intenzioni e promesse a lungo termine, che, se visti con un occhio più attento e lucido, dovrebbero far capire la difformità tra realtà e illusione. Anche il modo in cui si viene adescati può tanto indicare su questa possibile truffa. Spesso sono persone che spuntano fuori dal nulla, con nessun link con altre conoscenze, che irrompono nella vita delle vittime stordendole con parole lusinghiere e corteggiamenti serratissimi. Ultimo segnale, molto importante e da non sottovalutare mai, è la sensazione di disagio che si prova in fondo al cuore. Perché, per quanto ci si voglia illudere o desiderare qualcosa di ideale, per quanto il bisogno di un rapporto faccia essere completamente decentrati, quando le parole d'amore non sono reali una parte di sé lo comprende bene, perché non nutrono, non riempiono ma, anzi, spesso, agitano soltanto le emozioni e frustrano i bisogni”. 

Cosa fare invece se stiamo vivendo una truffa del cuore?

“Se si realizza di essere vittima di un romance scam, la prima cosa è interrompere ogni forma di pagamento e fare subito una denuncia alla polizia.

È importante inoltre non minacciare o anticipare al truffatore le azioni che si intendono intraprendere. Meglio bloccarlo su tutti i canali e agire per impedire eventuali altre sottrazioni di denaro. È bene ricordarsi di non inviare mai foto e video hot, anche dietro suppliche, perché potrebbero essere elementi ricattatori nel momento in cui ci si volesse tirare indietro. Spesso, poi, in queste situazioni, ancor più dei possibili danni economici, molto è il danno di natura emotiva nel sentirsi defraudati della propria fiducia, nel vedere la propria intimità violata e derisa. È fondamentale quindi farsi aiutare, parlarne con un esperto, soprattutto per capire come e cosa ha dato spazio al truffatore. Comprendere i propri meccanismi e funzionamenti relazionali è il miglior modo per rompere uno schema disfunzionale ed emotivamente pericoloso ed imparare a costruire un copione più sano e protettivo”. 

E se conosciamo qualcuno che sta vivendo questo tipo di situazione, che si supporto possiamo dare?

“Intanto è importante capire se la vittima è cosciente oppure no di essere caduta in una trappola amorosa. Perché se è ancora nella fase di credere al suo truffatore, allora bisogna accompagnarla a questa consapevolezza delicatamente per non correre il rischio che, infastidita da parole troppo dirette, ci tenga fuori da questa storia. È cruciale non farle sentire il nostro biasimo o giudizio, ma porre delle domande aperte e stimolare delle riflessioni, che possano far emergere dei dubbi e via via la verità su ciò che sta accadendo. Ricordiamoci, inoltre, che quando si realizza di essere stati truffati, o di essere vittima di un raggiro a sfondo sessuale, purtroppo, spesso, la vergogna, la mortificazione, l'angoscia, la rabbia sono i sentimenti prevalenti, oltre che la paura che vengano coinvolti, per esempio con ricatti, i propri familiari. Questo è uno dei motivi per cui sovente non si denuncia e del perché le truffe amorose sono cosi frequenti. Se, poi, la vittima non vuole sentir ragione e se la sua situazione finanziaria è messa in forte pericolo, ci si può anche rivolgere alle autorità competenti per la tutela degli adulti in casi come questi”.

7 consigli anti truffe amorose

Può succedere a tutti. Non bisogna sottovalutare la grande abilità comunicativa di questi personaggi che si dimostrano “reali” e che con grande maestria riescono ad insinuarsi nella vita della vittima. Le storie strappalacrime che spesso raccontano, unite a una creatività davvero incredibile, possono, più facilmente di quanto si creda, far breccia in momenti di maggior instabilità, fragilità, che appartengono ad ognuno di noi.

No “caramelle” dagli sconosciuti. Di fronte a richieste di amicizia di sconosciuti, specie quando risiedono all'estero è sempre bene insospettirsi. E' importante porre attenzione, soprattutto, quando mostrano sin da subito di avere interessi comuni e cercano di sedurre parlando delle tue passioni perché, è probabile, che, prima di contattarti, abbiano studiato il tuo profilo.

Attenzione al “Love bombing”. Termine coniato per illustrare il plagio effettuato su qualcuno che viene messo al centro di una girandola di attenzioni affettuose. Questo bombardamento di amore ha lo scopo preciso di far sentire la persona unica, speciale, capita e in totale condivisione e allineamento con valori e sogni, provocando una sensazione di euforia, appagamento, eccitazione, che può rendere “dipendenti”, tanto da far prevalere completamente la parte emotiva su quella razionale.

Mai dare soldi. Aiutare qualcuno in difficoltà è un gesto nobile, ma bisogna diffidare di chi chiede aiuto in nome di un rapporto, di fatto, solo virtuale. Se proprio si vuol spedire del denaro, che lo si faccia, almeno, con un bonifico internazionale. In caso si cambiasse idea, può essere revocato entro qualche giorno. Tenere, inoltre, sempre traccia di tutte le chat e dei pagamenti. Serviranno eventualmente a denunciare la truffa, anche se riavere i soldi prestati risultasse impossibile.

Prima di raccontare dettagli privati va verificato che il profilo dell’interlocutore sia autentico. Esistono molti siti su internet in cui controllare quali sono i profili più usati con foto rubate.

Non renderti ricattabile. Purtroppo, le confidenze fatte via chat, le immagini o le frasi condivise con superficialità (carpite anche attraverso screenshot) seppur nella piena fiducia con lo spasimante, diventano il veicolo attraverso il quale minacciare di rendere tutto pubblico e attuare estorsioni (sextortion, revenge porn) in caso di mancato pagamento.

Diffida sempre di chi non ti “può” incontrare mai. Non esiste un rapporto senza contatto, senza vedersi in faccia, annusarsi, abbracciarsi, baciarsi. Una storia dove non si verifica mai ciò che si sente attraverso la chimica, data solo dalla vicinanza e da quella speciale “prima impressione” che si ottiene dal vivo. Se sei ingabbiata in una relazione fatta di parole e di promesse sempre vane e di incontri rinviati costantemente, allora sei dentro una bolla di finzione.

Perché continuiamo a cadere negli amori tossici? C’è una spiegazione (e una via d’uscita). Giancarlo Dimaggio su Il Corriere della Sera il 23 Gennaio 2022.

Storia di Maddalena, e di tante e tanti come lei, prigioniera di un legame che la fa stare male ma dal quale non riesce a liberarsi. Perché, spiega lo psicoterapeuta, il vincolo relazionale malato rimanda a «uno schema interno». Sciogliere quel vincolo costa dolore e impegno. Ma il solvente esiste. 

Questo articolo è stato pubblicato sul magazine 7 in edicola venerdì 21 gennaio. Lo proponiamo online per i lettori di Corriere.it. Buona lettura

Una via d’uscita esiste. La porta d’entrata l’aveva decisa l’evoluzione. Siamo disegnati per avere necessità degli altri. Siamo costruiti per desiderare, per aspettarci qualcosa. Nei momenti di sofferenza speriamo nell’arrivo di soccorso, coperte, cibo e un bacio sulla fronte da una figura protettiva. È il sistema dell’attaccamento. In presenza di risorse limitate ci aspettiamo che ci assegnino un posto nella gerarchia sociale che definisca l’ordine d’accesso, e se lottiamo per conquistarlo serve che qualcuno riconosca il nostro valore. Se esploriamo l’ambiente alla ricerca di cibo, rifugi, partner per l’accoppiamento e, in modo più evoluto, nutrimento per la conoscenza, chiediamo che ci venga lasciata libertà d’azione, che ci offrano risorse. Mamma, papà, mi accompagnate al parco avventura? Se ci sentiamo soli abbiamo bisogno di andare incontro a un gruppo che ci includa, che ci dica: sei uno dei nostri. E infine, se ci muove il desiderio erotico, speriamo di incontrare partner che lo ricambino, in modo più o meno stabile e meglio se accompagnato da calore e scambi di tenerezze.

Le delusioni sistematiche

L’entrata nelle relazioni tossiche inizia quando siamo guidati da almeno una di queste spinte relazionali e ci aspettiamo che l’altro, almeno in una certa misura, la soddisfi. Entro certi limiti. Quando è possibile. Ma con una certa prevedibilità e affidabilità. È una speranza normale, umana, che siamo costruiti per coltivare. Se le persone a cui ci rivolgiamo deludono in modo sistematico le nostre aspettative la sofferenza psicologica è inevitabile. Volevo cure e mi hai trascurato. Avevo bisogno di sentirmi dire brava e mi hai detto: quel vestito ti sta male, e comunque il tuo lavoro non è granché. Volevo candidarmi per un posto di lavoro bello, stimolante e mi hai detto che non era il caso, che lo avresti preso come un tradimento. A fronte di queste risposte che reazioni possiamo sperimentare? Tristezza, vergogna, frustrazione, rabbia, a volte colpa. Sono emozioni dolorose, inevitabili, congrue. Fanno il lavoro delle emozioni: ci segnalano il rapporto tra i nostri scopi e lo stato del mondo. Ci dicono che qualcosa alla quale tendevamo sta andando male. La porta d’ingresso in una relazione tossica è quando questa frustrazione relazionale si cronicizza. Cosa significa? Che a un certo punto abbiamo informazione sufficiente a prevedere che la delusione che abbiamo sperimentato oggi si ripresenterà domani. Sappiamo che a fronte delle nostre richieste di cure, conforto, supporto o apprezzamento quella persona a noi tanto cara risponderà con disinteresse, distanza, disprezzo, assenza o, semplicemente, scomparirà per un po’ per riaffacciarsi quando ormai la ferita abbiamo dovuto curarla da soli.

Le reazioni: rinuncia, sottomissione, protesta rabbiosa

Ma nel frattempo, mossi da quella ferita, avremo già risposto. In una varietà di modi: rinuncia, sottomissione, protesta rabbiosa, controllo ossessivo (si è connesso a WhatsApp? Quella storia su Instagram... non mi aveva detto che era lì). E, attenzione, nessuna di queste reazioni migliora l’andamento della relazione. Anzi, spesso ne inasprisce il sapore. Eppure, non ci stacchiamo. Sperimentiamo sofferenza e spesso ne causiamo in un circuito che si autoalimenta. Noi psicoterapeuti lo chiamiamo ciclo interpersonale disfunzionale. Solo una soluzione rimane impensabile: staccarsi. È la più logica, sensata, ha la promessa della leggerezza e della libertà eppure niente, siamo ancora lì a dannarci l’anima e piangere e urlare e chiedere e restare a pensarci su ancora e ancora prima di dormire. Perché?

Ragionevolezza perduta

La porta di uscita non è: trovare una nuova via di comunicazione. Non è: sperare che l’altro, che ha già dato prova di inaffidabilità, si è mostrato fonte di frustrazione permanente, cambi. Questo incrementa lo spasimo, nutre l’ossessione, imprigiona. Dov’è, allora, il sentiero per liberarsi? Intanto serve una definizione. Possiamo dire che una relazione è tossica quando una persona, pure avendo i mezzi e gli strumenti per svincolarsi da un partner fonte in maniera provata di dolore e frustrazione cronici, permane nel rapporto. Contro ogni ragionevolezza. Certo, in alcuni casi staccarsi è difficile perché la realtà pone vincoli. Mancanza di lavoro o di una casa in cui trasferirsi. A volte l’altro, oltre a frustrare i nostri bisogni è aggressivo, violento, minaccioso. Lì svincolarsi richiede supporto esterno. Ma è un altro discorso, queste non sono relazioni tossiche, queste sono relazioni pericolose e non per come le intendeva Choderlos de Laclos. E allora, come svincolarsi da una relazione tossica? Il primo passo è la consapevolezza. Ovvero, capire cosa ci vincola a quella relazione. È un sapere di tipo semplice, spietato e liberatorio: la nostra sofferenza non dipende da quella relazione. Ma dalla struttura interna delle nostre aspettative. Che significa? Che tutti noi entriamo nelle relazioni guidati da un sistema di aspettative e previsioni apprese, cariche di affetti. Noi psicoterapeuti cognitivisti li chiamiamo: schemi interpersonali. I colleghi psicoanalisti: relazioni oggettuali. La sostanza non cambia. Siamo portati a legarci a figure che, in un certo modo, riproducono il modo in cui abbiamo imparato a essere trattati nel corso dello sviluppo. Se sono stato trascurato, facilmente mi legherò o a persone fredde o cercherò l’opposto, una persona estremamente calda e disponibile, ma mai sarò completamente acquietato, il gelo è dietro l’angolo. Se sono stato allevato a critiche e disprezzo cercherò persone intelligenti e ciniche (o solo ciniche, succede). E proprio da loro mi aspetterò un finale diverso, finale che, purtroppo nessuno sceneggiatore mai scrive.

I gatti con la stufa

Guidati dagli schemi raggiungiamo una saggezza mai superiore a quella dei gatti. Il nostro micio una volta scottato non si avvicina più alla stufa, neanche fredda. Chi è cresciuto con un certo schema si scotta e torna continuamente dalla stufa a dirle: «Ehi, perché mi hai bruciato? Che ti ho fatto di male? Non puoi trattarmi così». Poggia la mano. Si scotta ancora. Hanno svolto degli esperimenti interessanti (chiedete di Katja Bertsch, università di Monaco). Le partecipanti erano donne affette da un problema conosciuto come disturbo borderline di personalità, la tendenza a sperimentare vuoto, rabbia, disperazione, a entrare in relazioni instabili e intense e, quando le cose non funzionano, a farsi del male. Bene, a quelle donne venivano mostrate espressioni facciali con emozioni di vario tipo: alcune neutre, altre con vari gradi di rabbia. Quelle donne erano molto brave e veloci a riconoscere la rabbia, la fiutavano a livelli minimi. Non solo, avevano una certa facilità a leggere rabbia in espressioni neutre. La attribuivano, era nella loro mente già da prima e la leggevano laddove nel viso non c’era.

SIAMO PORTATI A LEGARCI A FIGURE CHE RIPRODUCONO IL MODO IN CUI ABBIAMO IMPARATO A ESSERE TRATTATI NEL CORSO DELLO SVILUPPO

Queste donne si sono scottate da piccole e hanno sviluppato un sistema di allerta ipertrofico: aggressività nell’aria, attenzione. Se il sistema poi suggerisse: scappa, andrebbe meglio. Certo, la sirena sempre accesa disturba, ma in teoria ci espone a meno rischi. Invece altri esperimenti completavano il puzzle. Donne affette dallo stesso problema, a fronte di espressioni facciali di rabbia, che tendenza avevano secondo voi? Allontanarsi (come saggezza imporrebbe) o avvicinarsi? Intuite la risposta, vero? Esatto, si approcciavano. Quelle facce per loro erano: interessanti. Catturavano la loro attenzione. Quelle facce le attraevano. E se nella realtà qualcuno le tratta in modo aggressivo? Esatto, restano lì, vincolate, in un mondo di attacchi e fughe, di graffi e insulti, ferite, perdite e strazi. Il collante che tiene insieme questi pezzi scaleni e taglienti non è la volontà dell’altro. È il proprio schema interno. Ecco la consapevolezza necessaria. La porta d’uscita si apre quando ci rendiamo conto che il vincolo relazionale nasce da dentro. La seconda consapevolezza è che sciogliere quel vincolo costa dolore e impegno. Ma il solvente esiste.

Un esempio da manuale

Maddalena si è innamorata, mi riferisce una collega di Bologna. Per la prima volta dopo non sa più quanti anni. È sposata, ha una figlia adolescente e il suo rapporto matrimoniale si regge, dice, sulla responsabilità materna. Incontra un uomo che la corteggia, la affascina, la seduce e lei che ha sempre scelto il dovere sopra l’istinto cede. «Me lo posso concedere, è normale, giusto dottoressa? Mia figlia ormai sta diventando grande». Lì iniziano i problemi. Lui è un ex-calciatore e cercava di aprire uno spa-hotel. La ama, la fa sentire unica, a Maddalena sembra di tornare a vivere. Poi le parla dei debiti che ha accumulato, delle depressioni in cui cade da quando i suoi sogni hanno iniziato a sfrangersi contro le scogliere aguzze della realtà. Maddalena s’intenerisce, gli presta denaro, i soldi che ha accumulato facendo gli straordinari, una garanzia per gli studi della figlia. Maddalena gli presta più soldi. Lui non migliora. Maddalena tenta di dire: no, non posso darti altro. Lui minaccia di farla finita. Maddalena gli presta più soldi. Si sente in colpa verso di lui, verso la figlia e il marito prova rabbia verso sé stessa. Lei, che ha passato una vita guidata dal controllo sugli impulsi, lo ha perso ed è sconvolta. Alla terapeuta chiede una soluzione per convincere quell’uomo a curarsi, a smettere di chiederle denaro. Questa non è la via d’uscita. Questo è il canale che amplifica la tossicità della relazione: focalizzarsi sulla speranza che l’altro cambi, dannarsi l’anima a tentare di convincerlo a comportarsi diversamente. La terapeuta le dice: «Maddalena, questo bisogno di avere amore da qualcuno che allo stesso tempo soffre e le chiede cure, arriva da qualche luogo lontano nel tempo?». Sì. Maddalena unisce i puntini. Vede la figura formarsi.

MADDALENA UNISCE I PUNTI. LA MADRE DEPRESSA PER LA PERDITA

DEL PRIMO FIGLIO, IL CONTINUO RICORDARLE LA SUA FUNZIONE DI DARE SOLLIEVO

Una madre depressa perché aveva perso il primo figlio in grembo. Un continuo ricordarle, da parte di entrambi i genitori, di quanto la sua nascita abbia dato momenti di sollievo alla mamma, peccato per le ricadute. Il padre, di suo, non ha mai incoraggiato l’indipendenza di Maddalena: mamma ha bisogno di te, io ho bisogno di te. Maddalena inizia a vedere quanto quel suo misto di onnipotenza curativa «solo io ero capace di tirare mamma fuori dai momenti bui» e colpa «non posso avere per me» la condizioni. Soprattutto, scopre la forza con cui ha appreso la regola: se io ho bisogno di cure, l’altro è assente. E allora quest’uomo folle e imprevedibile, romantico e predatore per lei è miele. Colui a cui chiedeva quello che non ha avuto: «Scrivi per me un finale diverso: smetti di soffrire e dammi l’amore e l’attenzione che meritavo». Con questa consapevolezza, la porta di uscita si dischiude. Maddalena smette di prestargli denaro che non riavrà mai e lentamente, con dolore, se ne allontana.

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

Una nonnina di 77 anni ha regalato i suoi risparmi a un misterioso uomo, Mark Orion. Il mister x le prometteva, via social, amore eterno. La signora, vedova, in cambio di frasi sdolcinate e promesse di un immediato futuro assieme, apriva il portafoglio, fino a prosciugare il conto in banca. Quando la figlia dell'anziana romana ha scoperto che la madre, nel giro di sette mesi, aveva autorizzato bonifici per 40mila euro ha chiesto spiegazioni al genitore. La donna però, non solo le ha detto di essersi fidanzata, ma le ha chiesto un prestito per inviare altro denaro al suo Orion.

Adesso il pm Roberta Capponi e i carabinieri, in un'inchiesta per circonvenzione, stanno cercando di dare nome e cognome a Mark Orion con cui la pensionata ha a lungo chattato, ma che non ha mai visto e conosciuto. Sugar baby - sugar daddy, si può declinare anche al femminile, con la donna nelle vesti, non dell'abbindolatrice, ma nei panni della vittima. 

Insomma non si registrano solo i casi del nobile romano che si spoglia del suo patrimonio per regalarlo alla fidanzata dell'est Europa o dell'imprenditore veneto che va in Africa per conoscere una lady (con cui ha avuto conversazione via social) e viene rapito all'aeroporto da un gruppo di banditi. A Roma, tra dicembre del 2020 e giugno 2021, va in scena una storia a ruoli ribaltati: un'anziana si è spogliata della sua liquidazione per darla a un uomo conosciuto su Facebook. La signora ha incominciato a mandare soldi via Western Union, poi con dei bonifici.

Ad accorgersi che qualche cosa non andava è stata la direttrice delle poste che ha avvisato la famiglia della cliente. In pochi mesi erano partiti bonifici per 5mila euro, una volta in Francia, l'altra in Germania. Anche in questo caso la donna non aveva mai conosciuto l'uomo. Tuttavia i suoi messaggi erano sufficienti per convincerla a pagare. Quando la pensionata gli chiedeva di farsi vedere e di accendere la telecamera, lui ribatteva: «non funziona». Alla 77enne la risposta andava più che bene.

Scorrendo le chat si leggono messaggi come: «Ciao amore mio come stai? Non ho dormito tutta la notte sono preoccupato». «Tesoro - le scriveva sempre Orion - sono preoccupato per te, non oserò mai mentirti. Sono soldi tuoi fai quello che vuoi». Ma la 77enne aveva deciso che i suoi risparmi li voleva dare al suo compagno virtuale. E quando la figlia aveva iniziato a intromettersi per far naufragare la relazione, la madre aveva rassicurato Mark: «ho parlato con l'avvocato e gli ho detto che abbiamo intenzione di frequentarci». 

Lui che aveva capito che non avrebbe più potuto rubare altro denaro alla pensionata aveva tentato un ultimo colpo: «Stai rischiando molto, ho la possibilità di incassare 1 milione di euro, ma devo vincere la causa. Grazie a te lo posso fare. Sappi che nulla mi importa più del nostro amore. La fiducia è alla base del nostro rapporto è la cosa più importante». La figlia alla fine è riuscita a bloccare l'ultimo folle bonifico mandando in frantumi i progetti di Mark Orion e anche il cuore della madre che, dello sconosciuto mai visto, si era realmente invaghita.  

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

Ufficialmente in Africa è andato per ragioni umanitarie. Ad aiutare i missionari. In realtà, il 25 novembre, in Costa D'Avorio un imprenditore veneto di 64 anni, Claudio Formenton, è andato per rincorrere una bella ragazza locale, Olivia Martens. L'esito finale di questa storia? L'uomo è stato sequestrato. 

Poi liberato dopo un blitz delle forze di polizia locali nel giro di un paio di giorni. Insomma, la lady conosciuta su internet, comodamente dal pc di casa, ha fatto da esca. L'imprenditore non l'ha mai vista dal vivo. Mai conosciuta faccia a faccia. La presentazione via social, e le frequenti chattate, lo hanno convinto a volare verso l'aeroporto di Abidjan cadendo nelle mani di un gruppo di banditi.

Ci risiamo insomma. La procura di Roma avrebbe trovato un'altra vittima, sempre in stile sugar baby - sugar daddy. Così gli chiamano negli Usa quegli uomini facoltosi un po' anziani che si fanno abbindolare da giovanissime miss conosciute nel web. Dopo il caso, per certi aspetti simile, del principe Giacomo Bonanno di Linguaglossa, caduto in disgrazia ricoprendo di regali stratosferici una bellissima bielorussa di 36 anni, adesso c'è una nuova storia. Una vicenda in cui la vittima supera perfino i confini nazionali per incontrare la signorina.

Martens, così si chiama la donna di cui Formenton si era invaghito, gli aveva inoltrato una prima richiesta economica verso fine ottobre. Periodo in cui il loro rapporto virtuale si era ormai consolidato. Voleva dei soldi perché, così aveva spiegato a Formenton, aveva dei guai con la giustizia. Doveva pagare gli avvocati e una cauzione. L'imprenditore, a quanto pare, non avrebbe versato un solo euro, perché la famiglia lo convinse a lasciar perdere. L'uomo diede retta ai suoi cari salvo poi pianificare il volo verso il Paese natio della presunta signorina. 

E qui, infatti, si pone un altro interrogativo: dal momento che l'uomo non l'ha mai conosciuta, Olivia Martens esiste davvero? Un mistero. Ma le sue foto sono state sufficienti a farlo andare all'altro capo del mondo per incontrarla. Una volta arrivato sul posto, però, è scattato il trappolone. Il rapimento, infatti, era un vero sequestro. Reato per cui indaga, per altro, la procura di Roma.

Cosa è accaduto ad Abidjan non è ancora del tutto chiaro. L'uomo lo dovrà spiegare agli investigatori nei prossimi giorni, adesso è ancora in quarantena. Ad ogni modo quando è arrivato in aeroporto è stato preso da un tassista locale, inviato lì probabilmente dalla presunta Olivia Martens. Dopodiché l'auto si è diretta verso la foresta. E così di Formenton si sono perse per più di una giornata le tracce. 

La situazione ha mandato nel panico più totale i parenti e un suo amico stretto. Ancora di più quelli che sapevano le ragioni, non proprio umanitarie, della trasvolata. Da qui è partita la segnalazione alle forze dell'ordine italiane. Alla fine l'imprenditore è stato liberato, un paio di giorni dopo l'arrivo nel Paese, mentre si trovava dentro la stanza di un albergo a Bonoua, una cittadina più a Est e più all'interno rispetto alla grande città costiera di Abidjan. Con lui solo un carceriere, che è stato subito arrestato.

Adesso a volerci vedere chiaro su questo nuovo caso è il pubblico ministero Erminio Amelio e i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, il Ros. Anche perché, lo scherzetto del rapimento ha mobilitato i militari dell'Arma direttamente dall'Italia. Un lavoro di precisione con tanto di intercettazioni e intelligence mobilitate da Roma in piena notte per individuare il covo in cui Formenton era stato nascosto dai suoi rapitori. 

Un'operazione conclusa con successo. Gli investigatori hanno trovato il punto esatto in cui era l'imprenditore, intercettando il suo cellulare. Poi hanno comunicato la posizione precisa alle forze speciali della Costa D'Avorio che lo hanno liberato, rimesso sull'aereo e spedito in Italia. 

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 14 gennaio 2022.

Il più delle volte comincia con un like sotto una foto, uno tra i tanti. Poi arriva un commento innocuo a un post aperto. Ancora qualche giorno, ed ecco la richiesta di amicizia su Facebook della bella ragazza, quasi sempre straniera, o dell'avvenente militare. Nulla, assolutamente nulla, né nell'aspetto né nei modi che induca sospetti sui nuovi "amici". 

Che, per settimane o mesi, tessono la loro tela con professionalità, pazienza e tanta empatia. Perché magicamente c'è sempre qualcosa che ti accomuna a loro e alla fine ti fa innamorare: una delusione d'amore, un matrimonio finito, difficoltà sul lavoro, preoccupazioni per i figli, ma anche progetti per il futuro, voglia di viaggi, di avventure, sogni e desideri.

E quell'amicizia virtuale con la bella straniera o con l'avvenente manager o ufficiale in divisa (che quasi sempre non esistono e si nascondono dietro foto altrui rubate dalla rete) diventa piano piano ben di più di un piacevole passatempo o di uno sfogo in tempi di isolamento sociale da pandemia. 

«Così, quando arriva la prima richiesta di denaro, ormai è troppo tardi, il coinvolgimento sentimentale o anche solo emotivo o psicologico è già fortissimo e per la vittima diventa molto difficile tirarsi fuori dall'abbraccio di questa rete criminale», spiega Ivano Gabrielli, direttore del centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale. Sì, perché c'è una vera e propria rete criminale dietro la cosiddetta Romance scam , la truffa amorosa che - a parte i casi più noti alle cronache della showgirl Flavia Vento, del pallavolista Roberto Cazzaniga, dell'imprenditore veneto Claudio Formenton - solo nel 2021 in Italia ha coinvolto più di 300 persone, a cui sono stati sottratti ben 4,5 milioni di euro, oltre a mesi o anni di tormenti amorosi e danni psicologici.

Con un aumento del 118% rispetto all'anno precedente, 73 persone denunciate e grosse indagini in corso, anche se realisticamente i numeri sono addirittura da raddoppiare. Reato odioso la truffa romantica, difficile da ammettere innanzitutto a sé stessi, faticoso da digerire, complicato da denunciare. «E infatti la più parte delle vittime - conferma Gabrielli - non denuncia. Molto spesso sono i familiari che si insospettiscono e ci avvertono. 

E dunque non c'è dubbio che il sommerso di questo tipo di reato sia decisamente più del 50 per cento». La disavventura del 64enne imprenditore veneto Claudio Formenton, sequestrato per tre giorni in Costa d'Avorio dove era volato per incontrare finalmente, dopo mesi di chat , la bella Olivia di cui si era invaghito, è esattamente il prototipo di quello che avviene dietro le quinte della Romance scam . Che tutto è tranne che iniziativa di singoli Arsenio Lupin della rete.

Ad agire sono organizzatissimi gruppi criminali con sede soprattutto nel Corno d'Africa e vere e proprie batterie di profiler che scelgono accuratamente le loro vittime sui social. Studiano i loro interessi, le abitudini, i comportamenti, si insinuano tra i follower e decidono il metodo migliore per contattarle, talvolta direttamente con un messaggio quando riescono a trovare in rete il numero di cellulare, molto più spesso agganciandole su Facebook, Instagram, Tik Tok. 

Gabrielli ci aiuta a tracciare l'identikit della vittima: «Più donne che uomini, età media sulla cinquantina, benestanti, che sui social lasciano trasparire una certa solitudine o una necessità di nuovi stimoli magari dopo un matrimonio o una relazione finiti male». Si comincia lievemente, ci si conosce, ci si confronta su gusti, opinioni, libri, serie tv.

Poi si comincia a parlare in privato e i "ganci" confidano le loro difficoltà: una battaglia legale per un'eredità in arrivo che non sanno come portare avanti per mancanza di liquidità immediata, famiglie nei Paesi d'origine in difficoltà, progetti di lavoro che stentano a decollare in attesa di un piccolo investimento. «La casistica è molto studiata - spiega Gabrielli - Le organizzazioni, straniere ma spesso presenti anche in Italia, formano i loro uomini e le loro donne con una grande strategia di comunicazione: devono essere in grado di affrontare mesi di conversazioni e domande sempre più insistenti sulle loro famiglie, sul lavoro, sugli amici, sul contesto in cui si vive.

Sono persone in grado di entrare in empatia, di conquistare la fiducia, di scatenare sentimenti ed emozioni. Fino a quando poi arriva la prima richiesta di denaro. A cui ne segue una seconda, una terza. E le vittime, anche se cominciano a dubitare, continuano a pagare, sperano di recuperare i soldi, si vergognano ad ammettere con sé stessi di essersi sbagliati e di aver bisogno di quell'amore, difficilmente chiedono aiuto entrati in un tunnel di sudditanza psicologica».

Gli uomini, più che le donne, restano invece vittima della sex extortion , il ricatto per quei rapporti sessuali virtuali di cui si accontentano in attesa dell'incontro reale che non avverrà mai. «Il primo consiglio che mi sento dare - dice Gabrielli - è di fare una ricerca per immagini per verificare l'identità di chi si propone. Subito, prima di ritrovarsi emotivamente coinvolti tanto da non voler sapere che il volto della presunta fidanzata è quello di un'attrice».

Federica Angeli per “la Repubblica” il 14 gennaio 2022.  

«No, non ho denunciato il finto Tom Cruise. Ma a chiunque venga contattato da sedicenti star dico: la prova del nove è la videochiamata, se non la fanno, tagliate ogni contatto». La showgirl Flavia Vento è stata una delle vittime delle truffe d'amore sul web.

Com' è cominciata questa storia virtuale?

«Ho ricevuto un messaggio privato su Twitter dove Tom mi scriveva: "Grazie per il tuo continuo supporto". Vado a vedere il suo profilo e c'è la stessa frase in risposta a un mio tweet in cui gli avevo scritto che non vedevo l'ora uscisse il sequel di Top Gun . Quindi, sempre in privato, gli chiedo se è davvero lui. E mi risponde di sì, poi mi manda un suo cellulare». 

La conversazione si sposta da Twitter a Whatsapp, giusto?

«Sì e più volte gli dico di non prendermi in giro, gli scrivo proprio testuale: "Se non sei tu non mi va di chattare". E lui mi rassicura: era Tom». 

Niente la poteva far dubitare?

«No, niente. Il cellulare era americano. Quando gli ho chiesto se si ricordava dell'intervista che gli avevo fatto venti anni prima per la Rai, lui mi ha risposto di sì e che non poteva dimenticare il mio bellissimo sorriso. Il sosia impersonava perfettamente la parte di Tom. Sapeva tutto di lui: dov' era, cosa aveva girato, il suo cibo preferito».

Quando è cominciata?

«Maggio 2021 ed è durata sei mesi. Solo una cosa mi aveva un po' insospettito».

Quale?

«Gli chiedevo di fare videochiamate e ogni volta che ci provavamo cadeva la linea. Non siamo mai riusciti, ma sono andata avanti lo stesso: era così romantico». 

Quando si è resa conto della truffa?

«Il giorno in cui gli ho detto: "Senti, ora ci dobbiamo vedere, il film è finito, vengo a Londra da te". E lui mi fa mandare una mail a un contatto. Mi hanno riposto che per l'incontro era necessario acquistare una card. Per accedere a questo meeting avrei dovuto pagare 500, mille o 1.500 euro, a seconda del tempo che dovevo trascorrere con lui. A quel punto mi sono cadute le braccia». 

E cosa ha fatto?

«Gli ho scritto che non sono così deficiente e scritto: "Non sei Tom, sei un cretino mi hai preso in giro e non capisco perché". Lui continuava a negare. Poi è esploso il caso mediatico e lui ha mi ha scritto: "Ho saputo che mi hai usato per avere attenzioni". A volte penso: e se era davvero lui?».

·        La Molestia.

Mondiali, giornalista palpato da una tifosa in diretta tv: "Mi ha toccato il c..." Il Tempo l’08 dicembre

Una sorta di caso Greta Beccaglia, la giornalista toscana molestata in diretta tv davanti allo stadio mentre era in collegamento, ma al contrario e che alla fine si è risolto tra grasse risate. Il protagonista è Tancredi Palmeri, giornalista di SportItalia inviato ai Mondiali in Qatar per l'emittente televisiva. Durante un collegamento da Doha una tifosa passa alle sue spalle e gli palpa il sedere mentre l'inviato aggiorna in diretta sulle notizie dal mondiale. La reazione del giornalista è tutt'altro che risentita. “Mi ha appena toccato il c***”, afferma e comincia a chiamare la ragazza per farla intervenire davanti alle telecamere: "Come here!". Poco dopo chiama anche la sua amica, con cui inizia una piccola intervista.

Si scopre che quella che gli ha toccato il fondoschiena è neozelandese, mentre l’amica proviene dal Regno Unito. Palmeri ha preso la curiosa situazione sul ridere, con il conduttore da studio che chiede il Var per isolare il momento esatto della palpata in diretta. Il video del siparietto è stato diffuso dallo stesso Palmieri che ha commentato: "Niente da vedere quì. Solo una ragazza neozelandese in bikini a Doha che mi stringe il sedere mentre sono in diretta, chiedendo poi supporto alla sua amica gallese, per concludere infine il segmento sorseggiando birra dalla spiaggia di Doha".

Qatar 2022, Palmeri palpato in diretta: "Me lo ha appena toccato". Libero Quotidiano l’08 dicembre 2022

Tancredi Palmeri è l’inviato in Qatar per Sportitalia. Durante un suo collegamento da Doha, una tifosa è passata alle sue spalle e per la sorpresa di tutti gli ha palpato il sedere. Un gesto goliardico che il giornalista ha trasformato in un simpatico siparietto: ha infatti invitato la ragazza ad avvicinarsi e poi ha fatto lo stesso con una sua amica, facendo una rapida “intervista” a entrambe. 

La “palpatrice” è neozelandese, mentre l’amica proviene dal Regno Unito. La dinamica è stata curiosa, con la ragazza che è passata rapidamente alle spalle di Palmeri e quest’ultimo che ha fatto una faccia stranita per poi fermarsi ed esclamare: “Mi ha appena toccato il c***”. La ragazza allora è scoppiata a ridere e gli ha chiesto con chi stesse parlando, scoprendo poi che era in collegamento diretto con la televisione italiana. Palmeri non ha dato troppo peso all’accaduto, ci ha scherzato su e poi ha salutato le due donne, tra l’altro pure attraenti.  

In studio si è poi riflettuto come in passato siano accaduti episodi spregevoli in cui giornaliste sono state molestate: “In passato è successo un atto da condannare - ha ricordato Michele Criscitiello - quando c'era una giornalista bravissima, che mentre faceva il collegamento, un tifoso un po' volgarotto ha messo la manina. Questa volta è successo al contrario, è una notizia secondo me”. 

CULO NON VALE CULO – IL “CORRIERE DELLA SERA” CI SPIEGA CHE LA PALPATA SUL SEDERE A TANCREDI PALMERI E QUELLA A GRETA BECCAGLIA NON SONO PARAGONABILI: “BASTA RICORDARE IL CONTESTO IN CUI È SUCCESSO TUTTO, E LA DIVERSA FORZA CHE AVEVANO I DUE PROTAGONISTI”. MA IL VERO MOTIVO NON È IL CONTESTO, NÉ LA FORZA, MA IL GENERE: SE TI DANNO UNA STRIZZATA ALLE CHIAPPE E SEI DONNA, È MOLESTIA. SE SEI UOMO, T’ATTACCHI AL CAZZO (RICORDATE IL CASO BLANCO 

Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 12 dicembre 2022.

Tancredi Palmeri è un giornalista sportivo. Ha 42 anni ed è una persona autoironica e divertente, che sa prendere con leggerezza le cose che sono leggere e con gravità quelle più serie. 

Come ha fatto qualche giorno fa a Doha, da dove sta seguendo per SportItalia i Mondiali di calcio. Nel bel mezzo di una diretta sulla spiaggia, una ragazza neozelandese gli ha assestato soavemente una pacca su sedere, lui ha strabuzzato un poco gli occhi e in mezzo secondo le ha chiesto di avvicinarsi alla telecamera, invitando anche l'amica gallese, riuscendo così a trasformare l'inconveniente in un siparietto da avanspettacolo.

Poche ore dopo sul web, dove lui stesso aveva rilanciato il video spiegando che non era successo niente di più di quello che mostrava il filmato (una tifosa in bikini che fa quel che fa, con il finale di una birra sotto l'ombrellone), è diventato l'eroe dei due mondi, con il merito di aver reagito all'imprevisto «con spirito, mica le solite fregnacce da femministe racchie e baffute». 

Il rimando era al caso di Greta Beccaglia, quando poco più di un anno fa, fuori dallo stadio di Empoli-Fiorentina, il ristoratore marchigiano Andrea Serrani le aveva dato uno schiaffone su sedere (l'uomo, accusato di violenza sessuale, ha chiesto il rito abbreviato: la prossima udienza al Tribunale di Firenze sarà il 20 dicembre). Lo stesso collega di Palmeri in studio aveva ricordato subito quanto successo alla «bellissima», poi per fortuna «bravissima anche », giornalista di Toscana Tv, condannando naturalmente il gesto.

Da lì, sui social, è partita la domanda delle domande: perché le femministe adesso, a ruoli invertiti, non dicono nulla? Ma poiché ogni risposta nasconde un'insidia, che richiederebbe una controreplica ancora più insidiosa, forse basta ricordare il contesto in cui è successo tutto, e la diversa forza, che in quel momento avevano, i due protagonisti. 

Chiediamolo a Tancredi: si è sentito molestato? «No, e non perché lei fosse una bella ragazza, ma perché il clima era scherzoso. Mi è capitato, dopo il caso di Greta Beccaglia, che un tifoso mi desse una pacca sul sedere. Voleva fare il simpatico, ma fu solo sgradevole e inopportuno. Con le molestie non si scherza. Sonia, la tifosa di Doha, non è una sexual offender. Lo spirito del gesto era lo stesso di un baffo con la vernice rossa. Altrimenti la mia reazione sarebbe stata diversa».

Non confondere «avances» e molestie? Tenere mani (e lingua) a posto. Storia di Marco Tarquinio su Avvenire il 25 novembre 2022.  

Gentile direttore,

premesso che la violenza sulle donne è estremamente grave, pericolosa e contro natura, perché l'uomo è dotato di un apparato muscolare più forte proprio per difendere la donna e i bambini dai nemici e dai pericoli fin dall'origine della specie umana. Le avances sono un tentativo di superare le barriere interpersonali per un rapporto più intimo. Fanno parte del corteggiamento. La legalizzazione del divorzio, cioè della possibilità di risposarsi, e delle coppie gay, comporta un corteggiamento perciò anche delle avances. Queste avances se consensuali e bene accette fanno parte della vita; se respinte in modo soft possono preludere a una futura accettazione; se invece rifiutate drasticamente e definitivamente sono molestie sessuali sanzionabili. A mio avviso, però, la sanzione dovrebbe essere versata allo Stato, non a chi ha ricevuto la "palpatina", perché non si tratta della retribuzione di una prestazione ancorché indesiderata! Questo anche per sgombrare il campo dalle tante false denunce che pongono l'uomo in balia degli umori di qualche donna arrivista. Quanto sopra, direttore, a prescindere da giudizi morali o religiosi. Giulio Donati 

A proposito delle avances, come lei le chiama alla francese, gentile signore, un po’ la seguo e un po’ no. Le molestie nel senso – cito – della "palpatina", invece, non le concepisco. E meno male che siamo in tantissimi a pensarla così, gente di una vecchia scuola che credo sia attualissima e buona per tutti: le mani si tengono a freno e a posto, e le parole si misurano.

Memo Remigi: «Chiedo scusa a Jessica Morlacchi, ma ho saputo del mio licenziamento guardando la tv». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 13 Novembre 2022.

Il cantautore commenta il palpeggiamento in diretta a «Oggi è un altro giorno» su Rai1: «È stato un gesto orrendo, ma non sono un mostro. Non ho chiamato Jessica, sarebbe stato invadente da parte mia, ma ora le dico che sono mortificato»

«Non posso che ribadire le mie scuse: ho fatto un gesto totalmente sbagliato». Firmato Memo Remigi. Era venerdì 21, un tranquillo pomeriggio di ottobre, e su Rai1 come sempre andava in onda «Oggi è un altro giorno», condotto da Serena Bortone con un cast fisso tra cui Memo Remigi e Jessica Morlacchi. Un tranquillo pomeriggio fino a che il giorno dopo non è uscito un twitter che mostrava un filmato, dove si vedeva Memo Remigi che, durante la diretta, fa scivolare la sua mano giù fino al sedere di Jessica, giovane collega e amica, anche lei cantante. Il filmato, dopo due giorni, approda su «Striscia la notizia» e poi viene ripreso da Dagospia. Il caso diventa pubblico. E il caso pubblico diventa scandalo. Memo Remigi viene allontanato dal programma, per aver violato il codice Etico della Rai. In questi giorni è girata voce fosse ricoverato per accertamenti.

Memo Remigi, come sta?

«Un po’ meglio. Certo quanto accaduto mi ha un po‘ traumatizzato. Una botta violenta che non mi aspettavo. E per come si è svolta, del tutto inaspettata».

Cominciamo dal fondo: se ripensa a tutto quanto accaduto dal 21 ottobre a oggi, quali riflessioni le vengono in mente?

«Il gesto - seppur con un intento scherzoso - è stato totalmente sbagliato e non andava fatto. Ho chiesto scusa e lo ribadisco qui. Scusa a Jessica Morlacchi, scusa a Serena Bortone, scusa alla Rai. Tuttavia, non mi aspettavo una reazione del genere e soprattutto con queste modalità».

Cosa intende per modalità inaspettate?

«Dopo 50 anni di carriera, sono venuto a conoscenza del mio licenziamento dal programma, ascoltando in diretta Serena Bortone».

Un autore Rai dopo l’episodio l’aveva avvisata però.

«Il giorno stesso che è uscito il video su twitter, mi ha chiamato un autore e mi ha detto: “Vediamo che succede, tu resta a casa un paio di giorni, capiamo che piega prende questa storia”. Poi più niente. So che quel video ha avuto 47 visualizzazioni . Poi è stato mostrato su “Striscia la notizia”, infine ripreso da Dagospia ed è scoppiato il putiferio».

Prima riflessione: il gesto grave resta grave, sia che lo abbia visto il mondo intero, sia che non lo abbia visto nessuno.

«Assolutamente sì, solo che io non ne ho avuto evidenza. Prima del putiferio non sapevo di aver creato disagio a Jessica. Nel mio animo era uno scherzo tra amici cari quali eravamo. Altrimenti mi sarei immediatamente scusato».

Seconda riflessione: se quindi il video non fosse diventato di dominio pubblico, secondo lei non sarebbe accaduto nulla, lei non sarebbe stato cacciato dalla Rai?

«Assolutamente nulla, ne sono certo».

Nessun dirigente Rai si è fatto vivo con lei?

«Nessuno. Ribadisco che ho saputo del mio licenziamento guardando la tv. Penso sarebbe stato giusto chiamarmi e dirmi: “Lei ha fatto una fesseria, dobbiamo prendere provvedimenti”. Io non ho in mano neanche nulla di scritto».

Serena Bortone è una bravissima giornalista e di fronte a un episodio così, non poteva non essere dura e non poteva non comunicare al pubblico la sua uscita dal programma. In quel momento lei rappresentava la Rai. E bisognava prendere le distanze con nettezza da un gesto che aveva creato profondo disagio a una giovane donna e al pubblico

«Stimo profondamente Serena Bortone, è una grande professionista, e capisco dovesse agire così. Umanamente, visto il nostro rapporto, mi è dispiaciuto solo non ricevere una telefonata da lei per chiarirci. Ho solo dell’amarezza perché abbiamo lavorato bene per anni. Avrei preferito una telefonata dove me ne diceva di tutti i colori, ma l’indifferenza ferisce di più».

Serena ha detto pubblicamente che anche per lei è stato un profondo dolore a livello umano. Non sono situazioni facili da affrontare e probabilmente Bortone ha dedicato le sue attenzioni alla «vittima», cioè a Jessica. A proposito l’ha sentita?

«No, ho fatto a Jessica le mie scuse pubbliche naturalmente che non smetterò mai di ribadire, ma non me la sono sentita di chiamarla. Sarebbe stato invadente da parte mia».

Come definirebbe il vostro rapporto in questi anni?

«Di profonda amicizia, eravamo davvero legati da sincero affetto. Io avevo anche scritto una canzone per lei e avevo chiamato il suo agente dicendogli “tenta la carta di Sanremo” perché Jessica è proprio una brava cantante».

C’era amicizia, confidenza?

«Sì tanta. Jessica mi aveva aiutato a organizzare il mio compleanno lo scorso maggio. Scherzavamo tanto. Per questo non mi do pace: mi è così dispiaciuto che lei si sia sentita offesa. Se me ne fossi accorto subito quel giorno, le avrei chiesto scusa immediatamente».

Forse Jessica, molto più giovane, aveva una sorta di timore reverenziale di fronte a lei, il Maestro, il grande cantautore della musica italiana. Forse per questo non ha detto nulla...

«In due anni non mi ha mai dato questa idea, davvero. Eravamo proprio compagnoni. Se solo mi avesse fatto intendere imbarazzo, probabilmente non mi sarei spinto a uno scherzo così idiota e soprattutto mi sarei scusato immediatamente».

Onestamente Memo, ma cosa le è venuto in mente?

«Uno scherzo idiota. Quando Staffelli mi ha dato il Tapiro di “Striscia”, la prima cosa che gli ho detto è stato: “Non è un tapiro, è un ta-pirla perchè sono stato proprio un pirla”. E voglio dire a tutti: attenzione agli scherzi, attenzione a gesti superficiali, possono esserci pessime conseguenze e si può urtare la sensibilità delle persone».

Anche perché Remigi, bisogna tenere conto che i tempi e le sensibilità sono cambiate, specie dopo il MeToo. Su certi gesti, le donne non sono più disposte a passarci sopra

«Me ne rendo conto, siamo in un momento storico diverso. Il mio gesto è di per se è orrendo ed è sacrosanto il fastidio, il disagio, la rabbia di chi lo subisce. Ma vista la forte confidenza tra noi, forse Jessica poteva dirmelo. Ma soprattutto mi sono chiesto spesso in questi giorni, come è stato possibile che una persona come me - che per decenni ha rappresentato il garbo e l’eleganza - in un minuto sia diventato un mostro. Lei ha giustamente ricordato il MeToo, ma lì si parlava di violenze, abusi sessuali. Forse bisognerebbe anche fare dei distinguo».

Fermo restando che anche un palpeggiamento è un atto grave, lei si è sentito trattato come un mostro?

«Beh all’inizio sì. Non ci si rende conto che una certa gogna mediatica possa avere effetti pesanti anche sulla famiglia: penso a mio figlio, ai miei nipoti. Si rischia di distruggere una persona».

E’ rimasto solo?

«No, sento molto affetto attorno a me. Tanti colleghi mi hanno inviato messaggi di solidarietà, di affetto, perché mi conoscono. Io avevo paura della gente, temevo di uscire di casa. Mi dicevo: “penseranno che sono un maniaco..?” Invece no, in tanti mi hanno salutato con affetto. Detto tutto questo, se c’è una parte di persone che si sente offesa da ciò che ho fatto, va rispettata. Bisogna contemplare la sensibilità di tutti. E ho ancora da imparare».

Perché si è rivolto al grande avvocato Giorgio Assumma, esperto proprio di tutto quanto riguarda il mondo dello spettacolo: pensa a una causa contro la Rai?

«Al momento è escluso che io faccia causa alla Rai, anche se sono stato trattato come un delinquente. Contratto rescisso senza neppure essere ascoltato. Detto ciò, ho violato il codice Etico e accetto le conseguenze. Mi sono rivolto all’avvocato Assumma per proteggermi da eventuali campagne diffamatorie».

Trova ci siano state campagne diffamatorie nei suoi confronti?

«Ad oggi no. Però una certa iniquità di comportamenti sì c’è stata».

Si riferisce al caso Franco di Mare riproposto da «Striscia la notizia»?

«A quello, o anche a Mara Venier che scherzosamente tocca il sedere a Biagio Antonacci. Io ho tenuto un comportamento esemplare per oltre 50 anni».

A chi deve la sua rinascita artistica qualche anno fa?

«A “Propaganda Live” (su La7, il venerdì sera condotto da diego Bianchi, ndr) che mi ha fatto conoscere a un publico giovane. Tutti pensavano solo io fossi quello in giacca e cravatta che canta “Innamorati a Milano”. Poi dopo un anno brutto, nel quale ho perso mia moglie, è arrivato il miracolo: una intervista da parte di Serena Bortone proprio nel programma “Oggi è un altro giorno”. Lei fu bravissima, mi fece una intervista molto emotiva, dove mi incoraggiò a vivere. Da lì mi fecero il contratto per essere parte fissa nel cast del programma. Poi mi chiamò anche Milly Carlucci per partecipare a “Ballando”».

Ora cosa si aspetta dal futuro?

«Continuerò a scrivere musica e sto scrivendo un libro».

Dica qualcosa a Serena Bortone?

«Ti guardo sempre in tv, non ho perso una puntata e continuerò a seguire il programma fino alla fine».

Dica qualcosa a Jessica Morlacchi.

«Sono mortificato. Se posso fare qualcosa sono qui».

Giuseppe Candela per Dagospia il 27 Ottobre 2022.

Esplode il caso Memo Remigi a Viale Mazzini. I fatti. Il cantante di "Innamorati a Milano" è ormai da tempo nel cast degli "affetti stabili" di "Oggi è un altro giorno", il programma del primo pomeriggio di Rai1 condotto da Serena Bortone. Nella puntata in onda venerdì 21 ottobre la giornalista intorno alle 14 è apparsa su Rai1 per il solito lancio di puntata, snocciolando i temi e i nomi degli ospiti. 

La regia in primo piano inquadra Remigi e Jessica Morlacchi, poi stacca su Serena Bortone ma dietro si vede chiaramente la mano del cantante 83enne poggiata sul fianco della Morlacchi.

Mano che scende fino ad arrivare al lato B con una visibile palpata in diretta tv. La leader dei Gazosa non gradisce e schiaffeggia la mano del cantante e per evitare un nuovo palpeggiamento la riporta in alto al fianco, tenendola ferma. 

Episodio non sfuggito ai telespettatori e ieri segnalato da Striscia la notizia che ha parlato della "tempesta ormonale di Memo Remigi". Episodio che nulla a che fare con la goliardia ma molto di più con la molestia, se non peggio. Basti pensare al caso Greta Beccaglia, la cronista palpeggiata fuori dallo stadio dopo Empoli-Fiorentina, la Procura ha chiesto per il tifoso il rinvio a giudizio per violenza sessuale.

Stando alle nostre fonti l'episodio avrebbe creato un piccolo terremoto dietro le quinte della trasmissione. Morlacchi furiosa avrebbe ricevuto l'immediata solidarietà di dirigenti e responsabili. Il gruppo di lavoro, capitanato da Bortone, è intervenuto immediatamente, con molto dispiacere per quanto accaduto. 

Memo Remigi è stato di fatto sospeso, non era presente nelle puntate di lunedì, martedì e mercoledì. Tornerà in onda? Cosa succederà?

Memo Remigi, rompe il silenzio Jessica Morlacchi: "Menzogne da parte sua". Il Tempo il 28 ottobre 2022.

 Il caso Memo Remigi scuote la Rai in un cortocircuito social-televisivo. Pochi telespettatori si erano accorti della palpata in diretta al fondoschiena di Jessica Morlacchi, ex leader dei Gazosa e nello staff della trasmissione Oggi è un altro giorno proprio come il cantante di Innamorati a Milano. Ma il video è stato postato su Twitter e il caso è esploso con viale Mazzini che ha stracciato il contratto di Remigi, 84 anni, che dalla puntata incriminata non è più apparso nel programma pomeridiano condotto da Serena Bortone su Rai1. 

"La Rai ha risolto il contratto che prevedeva la partecipazione dell’artista Memo Remigi al programma 'Oggi è un altro giorno' in onda su Rai1. A seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell’Azienda, la Direzione Day Time aveva già deciso lo scorso sabato 22 ottobre la sospensione delle presenze nella trasmissione che è stata comunicata all’interessato. La Commissione stabile per il Codice Etico dell’Azienda ha confermato la violazione delle norme", la gelida nota del servizio pubblico. 

I retroscena parlano di una Morlacchi furiosa per quella che è asta ritenuta una vera e propria molestia. Il cantante, al secolo Emidio Remigi, da parte sua si è lanciato in scuse acrobatiche: "Nessuno mi ha comunicato nulla. Avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni...ma non è vero che mi hanno sospeso (...). C’è un’atmosfera goliardica tra noi, ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario. Io cercavo di sistemare il microfono che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, non sono mai stato questo tipo di persona".

"La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace che lei in questo caso sia un po' la vittima di questa situazione. Io non avevo alcuna intenzione di metterla sul piano della volgarità e della violenza su di lei. È stata una cosa goliardica, ci si danno pacche sulle spalle e qualche volta anche sul sedere. Se guardiamo cosa succede per davvero in televisione, non mi sembra che sia stato questo grande scandalo" sono le parole del cantante riportate da Fanpage. 

Morlacchi, 35 anni e una carriera solista dopo l'avventura dei Gazosa, è restata in silenzio fino alle parole del collega che ridimensiona l'accaduto a goliardata: "Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne", le parole della cantante riportate dal Corriere della sera. 

Memo Remigi choc, cacciato dalla Rai. L'artista 84enne ha palpeggiato Morlacchi in diretta tv. Bortone: non finisce qui. Paolo Giordano il 28 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Ma chi l'avrebbe detto. Bandito dalla Rai. Mitragliato dai social. Condannato senza appello. Accusa insindacabile: all'inizio della puntata del 21 ottobre di Oggi è un altro giorno su Raiuno ha palpeggiato in diretta tv il fondoschiena di Jessica Morlacchi, cantante che si è fatta conoscere con i Gazosa. Il video è implacabile, il contatto in effetti c'è e la reazione infastidita di Morlacchi pure.

Lui, Memo Remigi, anni 84 egregiamente portati, è quello di Innamorati a Milano, il cantante, compositore, conduttore da sempre politicamente correttissimo che finora ha vissuto una seconda giovinezza sugli schermi Rai. Rilanciato nel 2017 da Propaganda Live su La7, l'anno scorso, dopo la scomparsa della moglie, ha fatto parte del cast di Ballando con le stelle e fino a pochi giorni fa faceva parte (con successo) del cast fisso di Oggi è un altro giorno proprio come Jessica Morlacchi, ex cantante dei Gazosa ritornata sotto i riflettori «dopo 12 anni di depressione».

Venerdì scorso la follia: nelle prime fasi della diretta, la telecamera inquadra la conduttrice ma, dietro di lei, si vede chiaramente la mano di Memo Remigi che palpeggia, poi viene bloccata da uno schiaffetto di Morlacchi e rimessa bruscamente «a posto». Una scena che poi i social hanno ovviamente evidenziato. Infine Striscia la Notizia ha portato la «palpata» all'attenzione di tutto il pubblico tv che ieri, anche grazie al rilancio immediato di Dagospia, ha intasato i commenti dei social. Durante la diretta di ieri, Serena Bortone ha detto senza giri di parole: «Da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Remigi in questo studio si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo. Per rispetto della persona coinvolta avevamo mantenuto il riserbo, ma ora che l'episodio è diventato pubblico sento di avere un dovere di sincerità con voi e di esprimere anche pubblicamente la mia solidarietà a Jessica». Infine la frase che non chiude il caso, ma lo rilancia: «Mi fermo qui, per ora».

A stretto giro, le agenzie di stampa hanno confermato che la Rai ha risolto il contratto con Memo Remigi «a seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell'Azienda». Una decisione divenuta pubblica ieri ma presa già «sabato 22 ottobre». «La sospensione (è scritto così, ma forse avrebbe dovuto essere scritto l'annullamento - ndr) delle presenze nella trasmissione è stata comunicata all'interessato».

Poco prima del comunicato, Memo Remigi a Fanpage aveva definito l'episodio come frutto «dell'atmosfera goliardica tra noi», descrivendolo così: «È stato un gesto involontario. Cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere». E ancora: «La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace».

Una situazione onestamente grave, oltre che inattesa, visto il contesto. A memoria d'uomo è difficile ricordare nel mondo tv un caso di eguale, dirompente evidenza e di tale, fulminea evoluzione. Nella sua difesa, Remigi (che è stato aggiunto da Morgan nella chat gestita con Sgarbi «Rinascimento e Dissoluzione» con la proposta di cantare una canzone porno già composta da lui) ha anche minimizzato alludendo a «cosa succede per davvero in tv». Fermo restando che le immagini parlano chiaro, se non spiega a cosa si riferisce, le sue parole valgono zero. 

La mano sul sedere e la sospensione. Il caso di Memo Remigi imbarazza la Rai. A Oggi è un altro giorno Remigi tocca il fondoschiena di Jessica Morlacchi in diretta e viene sospeso. Ma l'episodio emerge solo quando Striscia manda in onda il video. Novella Toloni il 28 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 L'episodio incriminato

 La segnalazione dei telespettatori

 Cosa è successo in trasmissione

 Remigi sospeso per molestie

 La dura replica di Serena Bortone

 La risposta di Memo Remigi

Memo Remigi è stato "cacciato" da Oggi è un altro giorno. L'ufficialità è arrivata dalla bocca di Serena Bortone, la conduttrice del programma. Il caso Remigi si era aperto dopo l'indiscrezione trapelata su Dagospia, che ha portato all'attenzione del pubblico l'episodio accaduto nella puntata di venerdì scorso, quando Remigi ha fatto scivolare le mani sul fondoschiena di Jessica Morlacchi, che da quest'anno fa parte del cast della trasmissione di Serena Bortone. "Una molestia", hanno tuonato i telespettatori sui social e la polemica sul web ha attirato l'attenzione di Striscia la notizia. Il video è stato mandato in onda nell'ultima puntata del tg satirico e il caso, che viale Mazzini avrebbe trattato al riparo da occhi indiscreti, è diventato pubblico.

L'episodio incriminato

I fatti si sono verificati venerdì 21 ottobre. Alle 14 Serena Bortone ha aperto il collegamento dallo studio di Oggi è un altro giorno per fare il consueto lancio con il cast degli "affetti stabili" sui temi della puntata. Le telecamere di Rai Uno hanno stretto sul mezzo busto della conduttrice mentre sullo sfondo si intravedono Memo Remigi e Jessica Morlacchi. All'occhio attento dei telespettatori non è sfuggita la mano del cantautore 84enne, che dal fianco della Morlacchi è scivolata sul sedere di quest'ultima, che lo ha subito schiaffeggiato sull'arto per la palpata indesiderata. E per evitare una nuova toccatina la cantante ha riportato la mano di Memo sul fianco, tenendola ferma con la sua.

La segnalazione dei telespettatori

L'episodio sarebbe passato del tutto inosservato se non fosse stato per i telespettatori, che hanno visto la puntata. Qualcuno ha riguardato al rallentatore la scena e, una volta scoperto quanto accaduto, ha condiviso il video del fattaccio sui social network, aprendo di fatto il caso. Non è la prima volta che il pubblico porta a galla fatti o situazione da "var". Ne sanno qualcosa gli affezionati del Grande fratello vip, che spesso finisce sotto la lente di ingrandimento degli utenti del web.

"Non è un problema mio...". E cala il gelo in studio

Cosa è successo in trasmissione

Da viale Mazzini non è arrivato nessun chiarimento in merito e con l'inizio della nuova settimana televisiva, Oggi è un altro giorno è tornato regolarmente in onda lunedì 24 ottobre. In puntata, però, si è subito notata l'assenza di Memo Remigi, mancante anche nei giorni successivi (martedì e mercoledì). Serena Bortone non ha chiarito i motivi della scomparsa del cantautore nelle fila del cast e la settimana è scivolata via senza ulteriori scossoni. Fino alla puntata di Striscia la notizia del 26 ottobre, quando il video del fattaccio è andato in onda, sollevando il polverone.

Remigi sospeso per molestie

La "tempesta ormonale" di Memo Remigi, così la definita Striscia, è costata cara all'84enne che è stato estromesso dal programma. A anticiparlo è stato Dagospia che ha rivelato: "Stando alle nostre fonti l'episodio avrebbe creato un piccolo terremoto dietro le quinte della trasmissione. Morlacchi furiosa avrebbe ricevuto l'immediata solidarietà di dirigenti e responsabili. Il gruppo di lavoro, capitanato da Bortone, è intervenuto immediatamente, con molto dispiacere per quanto accaduto e Memo Remigi è stato di fatto sospeso".

La dura replica di Serena Bortone

La notizia di Dagospia ha trovato conferma solo ora. In avvio di puntata Serena Bortone ha annunciato ufficialmente l'estromissione di Remigi dal cast. "Come avete visto da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e in nessun altro luogo". La conduttrice ha fatto sapere che per rispetto della persona coinvolta, l'episodio era rimasto privato ma una volta venuto a galla si è sentita in "dovere di esprimere la mia solidarietà, di quella della direttrice e dell'azienda a Jessica e il mio profondo dispiacere. Mi fermo qui, per ora". Chi non si è fermato è il diretto interessato.

La risposta di Memo Remigi

A Fanpage, il cantautore si è discolpato parlando di goliardia: "Io cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Ma non entriamo nei particolari, dico solo che non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, ho l'età che ho e non sono mai stato questo tipo di persona". Rispedita al mittente l'accusa di molestie, Remigi ha poi chiarito di non essere stato contattato né dalla Rai né dalla produzione del programma per comunicargli la sua uscita dal cast: "No, adesso sono in attesa di vedere quello che succede, ma avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni…ma non è vero che mi hanno sospeso, per adesso non ho avuto nessuna notizia riguardo questo". Ma a quanto pare la comunicazione è arrivata in diretta tv.

Memo Remigi e la palpata, bomba Striscia: il precedente che imbarazza la Rai. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 28 ottobre 2022

Una polemica incontenibile, che vede al centro Memo Remigi. Fino a poche ore fa era ospite fisso di Oggi è un altro giorno, il programma di Serena Bortone. Ma il suo gesto, assurdo e ingiustificabile, gli è costato il posto di lavoro. Remigi palpeggia Jessica Morlacchi in diretta. Una scena assurda, che avviene venerdì scorso e che solo poche ore fa è diventata pubblica dopo il tam tam sui giornali e siti.

La Bortone interviene dicendo che aveva preferito la strada della discrezione. Poi tutto diventa di dominio pubblico ed è necessaria una spiegazione della conduttrice. Che dice: "Da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Remigi in questo studio si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo. Per rispetto della persona coinvolta avevamo mantenuto il riserbo, ma ora che l'episodio è diventato pubblico sento di avere un dovere di sincerità con voi e di esprimere anche pubblicamente la mia solidarietà a Jessica. Solidarietà mia, della direttrice, dell'Azienda e il mio profondo dispiacere. Mi fermo qui, per ora". Si tratta di un caso che era rimasto segreto per diversi giorni, ma è stato segnalato mercoledì su Striscia la notizia e poi approfondito da Dagospia. 

Pinuccio di Striscia la notizia torna sull'argomento e indaga con la sua rubrica "Rai scoglio 24". L'inviato, senza mezzi termini e con la sua proverbiale ironia, manda in onda una clip che ripercorre altre vicende simili. "Franco Di Mare approcciò qualche collega con atteggiamenti da maschio alfa", dice Pinuccio di Striscia la notizia collegato da Viale Mazzini. Altra burrasca in Rai? Chissà. Intanto, sulla vicenda resta l'alone delle molestie in Rai, in uno studio tv, davanti a milioni di spettatori. Intanto Remigi resta in silenzio. Nessuna intervista. Parla il suo agente Andrea Di Carlo, che spara a zero nei confronti del programma e della conduttrice. 

Maria Volpe per corriere.it il 28 ottobre 2022. 

Una molestia su Rai1. Una mano, quella di Memo Remigi , il romantico cantante 84enne di «Innamorati a Milano», che scivola giù oltre la schiena di Jessica Morlacchi, anche lei cantante di 35 anni. Un episodio a dir poco sgradevole, accaduto venerdì scorso nel programma di Serena Bortone Oggi è un altro giorno, in onda su Rai1, alle 14. E ieri, la giornalista-conduttrice ha aperto la puntata con parole dure. Raro vedere Serena Bortone così livida: « Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro».

Dopo poco arriva una nota di viale Mazzini, molto netta: «La Rai ha risolto il contratto che prevedeva la partecipazione dell’artista Memo Remigi al programma “Oggi è un altro giorno” in onda su Rai1. A seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell’Azienda, la Direzione Day Time aveva già deciso lo scorso sabato 22 ottobre la sospensione delle presenze nella trasmissione che è stata comunicata all’interessato. La Commissione stabile per il Codice Etico dell’Azienda ha confermato la violazione delle norme». 

Venerdì scorso dopo la trasmissione, in pochi si erano accorti dell’accaduto, ma a un certo punto è comparso un tweet che rendeva conto dell’episodio. Episodio che poi mercoledì sera era stato evidenziato da Striscia la notizia (che parlava della «tempesta ormonale di Memo Remigi») mentre ieri mattina il sito Dagospia aveva svelato tutti i retroscena dell’accaduto.

Con tanto di video della mano del cantante poggiata sul fianco della Morlacchi. Mano che scende fino ad arrivare al lato B con una visibile palpata in diretta tv. La ex leader dei Gazosa non gradisce, schiaffeggia la mano del cantante e per evitare un nuovo palpeggiamento la riporta in alto al fianco, tenendola ferma. Un episodio che tutta la squadra di «Oggi è un altro giorno» ha voluto tenere riservato per tutelare Jessica, ma una volta diventato pubblico ha visto compattarsi tutta la squadra attorno alla cantante, spingendo anche Serena Bortone a esporre con chiarezza la propria posizione.

In tutto ciò Memo Remigi nella giornata di ieri ha rilasciato una intervista a Fanpage dove un po’ smentisce, un po’sdrammatizza, un po’ mente : « Nessuno mi ha comunicato nulla. Avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni...ma non è vero che mi hanno sospeso». E ancora: «C’è un’atmosfera goliardica tra noi, ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario. Io cercavo di sistemare il microfono che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, non sono mai stato questo tipo di persona». Solito copione insomma... 

Peccato, però che invece Jessica Morlacchi ieri sera amaramente abbia detto: «Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne».

 Maria Francesca Troisi per mowmag.com il 28 ottobre 2022.

Memo Remigi è stato sospeso dal programma “Oggi è un altro giorno” di Rai1, dopo l’accusa di aver palpeggiato Jessica Morlacchi, una delle componenti del cast. Il fatto è stata rilanciato da un video diventato in breve virale sui social, con tanto di critiche dagli utenti. Ma Vittorio Sgarbi non ci sta e annuncia di volerlo sostenere per riportarlo in tv: “Quando sei vecchio non hai più i riflessi pronti. Poi a quell’età se tocchi il culo di una ragazza è come se toccassi la sedia...” 

È gogna mediatica per Memo Remigi accusato di aver palpeggiato l'ex Gazosa Jessica Marlocchi in diretta Tv a Oggi è un altro giorno. 

Il fatto risale alla puntata di venerdì 21 ottobre, e denunciato prontamente dalla twittata di una spettatrice con correlato video di una manciata di secondi, nel frattempo diventato virale. “Memo Remigi tocca il fondochiena...

Ma è tutto regolare. Vergogna”. La clip si riferisce al lancio dei temi centrali della giornata in cui si nota la mano del cantante classe'38 tenuta sul fianco della collega per poi calare e finire sul fondoschiena di lei che non gradisce e la riporta fermamente sul fianco. Un episodio finora tenuto nascosto, come fa sapere Serena Bortone - che nella puntata odierna anticipa la sospensione di Remigi dal programma -  e diffuso solo in seguito al servizio di Striscia la notizia andato in onda ieri sera, con conseguente rilancio di Dagospia già dalla mattinata. 

Anche se in casa Rai erano partiti subito i provvedimenti, visto che il musicista lombardo era sparito dai radar già da lunedì.

Intanto che lo stesso Remigi si difende dall’accusa di molestia a mezzo social sui suoi profili ufficiali -  “Ci tengo a precisare che quanto accaduto, sicuramente mal riuscito rispetto ai suoi intenti, era soltanto un gesto innocente e scherzoso nei confronti di una stimata collega di lavoro..” - noi scomodiamo sul fattaccio del giorno il signore dell'arte Vittorio Sgarbi, che si dichiara pronto a difenderlo. 

Sgarbi, ma un colpetto sul fondoschiena è una molestia?

Sicuramente non è una molestia, ma Memo ha oltre 80 anni (84 nda), insomma è talmente vecchio che non è escluso sia scesa la mano in modo involontario… E poi lo conosco da tanti anni, non l’ha mai fatto in vita sua, figuriamoci. 

Anche un gesto scherzoso?

Sì, ma non solo, come dicevo, quando sei vecchio non hai più i riflessi pronti. Poi a quell’età se tocchi il culo di una ragazza è come se toccassi la sedia, un’automobile… 

Non si eccita?

Ma certo che no. 

Intanto la Rai ha recesso il contratto…

La Rai non doveva cacciarlo. Lui può fare causa all’azienda, specie se lei non dichiara di essere stata molestata. Sta zitta, no? Se lei non denuncia, lo devono riammettere. 

Ma il processo via social continua…

I vecchi vanno perdonati, io lo difenderò contro tutti. E adesso sa che c’è? Quasi quasi lo chiamo per dirglielo…

Dagospia il 28 ottobre 2022. Dal profilo Instagram di Jessica Morlacchi

Questo è il post che non avrei mai voluto scrivere ma adesso vivo una situazione di tale dispiacere e disagio che ho deciso di rompere il silenzio e dire la mia sulle conseguenze di quel video che tutti avete visto e che ora mi sottopone a una pressione mediatica che non auguro a nessuno. 

Quando Remigi ha fatto scivolare la sua mano sul mio fondoschiena, ho provato un disagio enorme ma come si vede l’imbarazzo non mi ha impedito di reagire immediatamente e con decisione. Eravamo in diretta e non potevo fare altro che schiaffeggiare e tirar su quella mano. 

Remigi ora chiede scusa, solo ora. Sono contenta che lo faccia, ma mentre si scusa insinua che quel gesto fosse solo goliardia motivata dalla mia condiscendenza. È inaccettabile. 

Remigi sa bene che la mia naturale confidenza, dopo due anni di lavoro insieme, non l’ha mai autorizzato ad allungare le mani. Ora, forse per età, formazione ed esperienza sostiene che quel gesto era solo uno scherzo: mi auguro che adesso finalmente capisca che si tratta di un comportamento invadente ed offensivo.

Anche ad 84 anni si può imparare dagli errori della vita. A tutti, per favore, chiedo ora silenzio e ringrazio la Rai per avermi protetta e sostenuta.

Memo Remigi: "Le ho telefonato, ma...". Cos'è successo dopo la palpata. Libero Quotidiano il 28 ottobre 2022

"Solo una pacchettina": Memo Remigi parla dopo il caso scoppiato a Oggi è un altro giorno su Rai 1. Il cantante e conduttore tv è stato sospeso dopo aver palpato il sedere di Jessica Morlacchi durante la trasmissione di Serena Bortone, di cui lui era ospite fisso. Ai microfoni de La Zanzara su Radio 24, Remigi si è difeso dicendo: "Una cosa ingiusta, non è stata neanche approfondita la cosa. La pacchettina sul sedere era un segno di 'buona trasmissione' come il 'merda' che si dice".

Il cantante ha detto anche di aver provato a chiamare la Morlacchi, che però avrebbe preferito non rispondergli per ora: "C’è un rapporto di amicizia e goliardia tra noi. Non ho mai molestato nessuno e la sto provando a contattare ma non risponde. Non capisco perché". Intanto sono diventate virali le immagini del gesto di Remigi. Mentre Serena Bortone dà qualche anticipazione in attesa dell'inizio del programma, sullo sfondo si vede Memo che sfiora la collega, prima sul braccio e poi sul sedere, con lei che subito gli sposta la mano.

La cantante, intanto, ha detto la sua: "Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne". La Bortone invece si è scusata in diretta tv: "Remigi si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo".

Dagospia il 27 Ottobre 2022. Da “La Zanzara – Radio24”

Memo Remigi, cantante e conduttore tv, è al centro di una polemica a causa di una palpata al sedere della collega di trasmissione Jessica Morlacchi. A causa di questo Remigi è stato sospeso da “Oggi è un altro giorno” condotta da Serena Bortone. 

A La Zanzara su Radio 24 il cantante ha raccontato il momento: “Sono stati cinque giorni senza darmi nessuna notizia, è una cosa ingiusta visto che non è stata neanche approfondita la cosa. 

Tutto è nato da un video pubblicato sui social dove si vede la mia mano che scivola e dà una pacchettina sul sedere.

Era un segno di “buona trasmissione” come il “merda” che si dice, anche perchè ho un rapporto piacevole e gradevole con i miei compagni di viaggio. Ma era già successo, durante le prove” 

“C’è un rapporto di amicizia e goliardia tra noi  -  continua Remigi a La Zanzara -

Non ho mai molestato nessuno e la sto provando a contattare ma non risponde. Non capisco perchè.

Forse c’è rimasta male ma abbiamo sempre giocato e scherzato anche per rendere più piacevoli i rapporto. Cazzo scrivi sui social qualcosa e dì che Remigi non è un vecchio libidinoso” 

“Come ha reagito alla palpata? Niente, si vede nel video come ha spostato la mano, mica le ho stretto la chiappa. Il licenziamento in diretta? Tutto fa spettacolo, anche questo. Io vecchio porco? Posso dire di essere vecchio ma non porco, è ingiusto che mi si accusi di questa stronzata, qui stanno montando una cosa al di fuori della normalità. Non esageriamo”

Da fanpage.it il 27 Ottobre 2022.

Il terremoto mediatico causato dall'immagine di Memo Remigi che palpa Jessica Morlacchi è stato molto forte. A Fanpage.it, il cantante di "Innamorati a Milano" si difende e racconta le cose dal suo punto di vista. Memo Remigi spiega di non aver mai avuto l'intenzione di molestare l'affetto stabile di "Oggi è un altro giorno" e soprattutto smentisce le voci di una sua sospensione dal programma: "Nessuno mi ha comunicato nulla, sono fuori dal programma per fare degli esami".  

(L'intervista è stata registrata tra le 12 e le 12.30 del 27 ottobre e pubblicata prima che Serena Bortone ufficializzasse la sospensione di Memo Remigi dal programma) 

Signor Remigi, può spiegare cosa è successo in quello studio? 

Non c'è niente da spiegare, abbiamo sempre avuto un'atmosfera goliardica tra noi, tra gli affetti stabili, si scherza e ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario.

Io cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Ma non entriamo nei particolari, dico solo che non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, ho l'età che ho e non sono mai stato questo tipo di persona. 

Ha parlato con Jessica Morlacchi dopo quel gesto?

La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace che lei in questo caso sia un po' la vittima di questa situazione. Io non avevo alcuna intenzione di metterla sul piano della volgarità e della violenza su di lei. È stata una cosa goliardica, ci si danno pacche sulle spalle e qualche volta anche sul sedere. Se guardiamo cosa succede per davvero in televisione, non mi sembra che sia stato questo grande scandalo. 

Non le dispiace che sia successo proprio nella trasmissione che l'ha rilanciata in tv?

Beh, prima di tutto diciamo che è stato Propaganda Live, poi Ballando con le stelle e alla fine è arrivato Oggi è un altro giorno. Ora sono in attesa di vedere cosa succede. 

Ma quindi è vero che l'hanno sospesa? 

No, adesso sono in attesa di vedere quello che succede, ma avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni…ma non è vero che mi hanno sospeso, per adesso non ho avuto nessuna notizia riguardo questo. 

Cosa le ha detto Serena Bortone?

Non ci siamo sentiti. Questa storia è uscita fuori da un tweet che nessuno ha commentato ufficialmente. Se qualcuno mi dirà qualcosa, io farò lo stesso.

Dagospia il 28 ottobre 2022. Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) Valerio Staffelli consegna un Tapiro d’oro avvolto da un polpo a Memo Remigi, che ha palpeggiato il sedere alla collega Jessica Morlacchi in diretta, durante una puntata di Oggi è un altro giorno, su Raiuno, di cui il cantante era ospite fisso. La Rai ha annunciato ieri di aver interrotto il suo contratto dopo averlo allontanato dalla trasmissione. 

«Più che un Tapiro questo potrei definirlo un Tapirlo, perché mi sento davvero un pirla!», ammette Remigi. «Mi scuso con Jessica, con Serena Bortone, con la Rai e anche con il pubblico. Mi sono sempre comportato in maniera pulita, ma stavolta ho commesso un grave errore: è stato un gioco tra amici venuto male». 

«Che gioco è toccare il culo a una persona?», lo incalza l’inviato di Striscia. E il cantante risponde: «A volte porta fortuna, ma non questa volta», commenta Remigi, che sul suo futuro aggiunge: «Temo che in Rai sia finito. Spero di fare qualche altra cosa, magari scrivere un libro».

Giancarlo Dotto per Dagospia il 31 ottobre 2022.  

Stanotte ho sognato la Bortone. Un incubo. Giuro. Mi sono cagato sotto. La chiamano Serena, ma comandava un plotone d’esecuzione. All’inizio stavo dentro un sottomarino e mi chiamavo Capitan Memo, quello di Ventimila seghe sotto e sopra i mari prima di sentirmi innamorato e strano a Milano, poi mi ritrovo di colpo in una tela di Francisco Goya e c’era lei la Bortone che mi sparava al petto davanti a una telecamera. Sembrava Giovanna d’Arco. 

Sopravvissuta al rogo, era lei stessa il rogo. Mi accusava, in pratica, la Ciclope, buttando fiamme, collera e olio bollente dall’unico occhio d’aver mollato una palpatina di soppiatto a una ragazza del circo, con la stessa manina tremula e lievemente parletica, certamente patetica,  con cui di solito vado palpeggiando e palleggiando il mio teschio e la dozzina di vermi (tali sono fino a che non diventano verbi) che alloggiano di solito nelle tasche dei vecchi decrepiti. Sai, la vecchia storia del “Memento mori”, “devi morire!” (molto in voga negli stadi degli anni per l’appunto ’70, ’80, per non dire ‘90), da cui il nome del protagonista, Memo. Lo smemorato Memo. 

Ma anche la storia di “una mano lava l’altra”. Una mano palpa teschi e vermi (da cui l’espressione “mano morta”) e l’altra sfiora i culi di giovani donne, il cui eventuale consenso, per una volta, prescinde da un mediocre atto di volontà politicamente molesto ma discende da una compassionevole e indiscutibile esortazione dall’Alto, alias chiamata divina. Sta di fatto che, mentre la Bortone mi trafigge, stavolta con le frecce e io adesso sono San Sebastiano con la patta visibilmente sbottonata (l’indecenza in questo caso dovuta all’incontinenza), urlo prima di cadere al suolo la fatidica frase: “La carne è debole!”.

Il sogno era così verosimile che al risveglio ho cancellato il numero della Bortone che invece, quando non è un incubo e non guarda le telecamere, è una simpaticona, di quelle che con i capitan Memo si sollazza all’ora dell’apericena parlando del più e soprattutto del meno. I sogni, se li prendi per il verso giusto, sono cronache vere, soprattutto quando sono cronici. 

Piovono dal mondo reale. Che non è quello dei fumetti quotidiani. Come se ne esce dunque, senza incappare nell’intemerata ma meritando la serenata della Bortone? Liberalizzare la palpatina ma solo dagli ottanta in su, autobus di linea inclusi? Sarebbe bello, ma troppo audace. Di questi tempi poi, dove la morale è uno scudiscio modaiolo e assai flessibile per cui si lincia la furtiva mano di un anziano signore (“Non ci resta che tangere”), manco fosse Jeffrey Dahmer all’apice del suo mattatoio.

Detto, tra tutte le parentesi del mondo, che c’è più lirismo, più sottrazione d’amore  e meno pornografia nel capitan Memo che allunga la mano morta nei territori della carne viva che, per dirne una, cioè tante, nelle tante ninfette che ammiccano sculettanti e libere di farlo nei video ipnotici di Tik Tok, evocando e lisciando i capitan Memo sparsi nel pianeta. 

Detto questo, aspetto il prossimo sogno per chiamare alle armi un nuovo esercito della salvezza. Giovani donne e giovani uomini, ispirati al compassionevole detto di Annabel Chang, la celebre pornostar (“Mi piace essere trattata come un pezzo di carne”) si concedano con sentimento (ma anche senza) a bordo di autobus autorizzati e molto affollati alle palpatine di anziani signori e anziane signore che di solito non hanno più da palpeggiare che il proprio teschio. Piccoli, innocenti svaghi, tra un sinistro pensiero e l’altro. Un gigantesco atto di amore e di solidarietà. Di questo si parla. Facciamoci avanti, generosi, noi ventenni. Se la vecchiaia è un handicap. E, a quanto pare, lo è.

Dagospia il 31 ottobre 2022. Riceviamo e pubblichiamo:

Caro Dago, ma in cosa differisce la palpata di Memo Remigi da quella di Mara Venier a Biagio Antonacci e Alvise Rigo? Dal tipo di pressione? Dal gluteo? O da una semplice mala interpretazione del porconamente corretto? Giovanni Bertuccio 

Da liberoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.  

Mara Venier fuori controllo. Nella puntata di Domenica In in onda su Rai 1 il 9 ottobre, la conduttrice si lascia andare. Complice l'ospitata di Biagio Antonacci. Il cantante e la Venier erano uno vicino all'altro in piedi mentre al telefono c'era Vincenzo Mollica che esaltava le doti dell'artista. Fin qui nulla di strano, se non fosse che a un certo punto la conduttrice e Antonacci si sono abbracciati. 

La Venier ha messo le mani sul fianco del cantante, sottolineando quanto fosse magro. Poi però la conduttrice non ha potuto fare a meno di notare un dettaglio, che ha scatenato l'ilarità del pubblico. La Venier ha infatti notato il fisico dell'artista mentre Antonacci le domandava: "Hai sentito il sedere?". La Venier non se l'è fatto ripetere due volte e ha palpato i glutei dell'ospite: "Sì, ho sentito! Ma quanti anni hai? Stai così messo bene!". 

Immediata la risata in studio…

Da ilfattoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.  

Mara Venier non le manda a dire neanche questa volta: “Ho inviato tutto al mio avvocato Carlo Longari e valuteremo se è il caso di querelare il giornalista“, ha riferito all’Adnkronos. I fatti. Durante la puntata di Domenica In andata in onda il 28 novembre scorso, la conduttrice ha ospitato anche Alvise Rigo, il 29enne ex rugbista che sta partecipando a Ballando con le Stelle. Nello studio di Rai 1 era presente anche Rossella Erra, opinionista del programma condotto da Milly Carlucci, che ha detto: “Alvise voleva mettersi la camicia, io gli ho detto ‘mettiti la t-shirt che è meglio per tutti'”. Poi ha aggiunto: “Lui è davvero un bel toccare, Mara tocca, tocca“.

La conduttrice, allora, stando al gioco, ha palpato il lato B di Alvise e ha detto: “È un bel toccare, porta bene. Lo faccio solo perché porta bene. Alla mia età posso fare tutto”. Le grandi risate in studio di domenica, oggi stridono con le critiche che Mara Venier ha ricevuto, soprattutto alla luce del recente caso di Greta Beccaglia, la giornalista di Toscana TV molestata da un tifoso (per il quale è scattato il Daspo) dopo il match Empoli-Fiorentina. Questo accostamento ha fatto andare su tutte le furie Mara che, non solo sta pensando di agire per vie legali, ma ha anche aggiunto che è “vergognoso accostare il gesto goliardico fatto con simpatia e affetto in assoluta buona fede nei confronti di Alvise, mio concittadino veneziano, all’atto di molestia nei confronti della giornalista sportiva di Toscana Tv. Le molestie sessuali sono una cosa, una bottarella al sedere fatta ridendo, un’altra “. 

E ancora ha sottolineato: “Prima di scrivere un pezzo così un giornalista ci deve pensare molto bene. Non lo accetto”. Anche il protagonista di Ballando con le Stelle è sereno al riguardo: “Se mi sono sentito molestato? Ma scherziamo? Mara è una zia per me. Il nostro era un gioco. Non è assolutamente accostabile una cosa così grave come quella accaduta alla giornalista sportiva Beccaglia a una cosa così simpatica e goliardica come quella fra Mara e me”, ha dichiarato.

Da liberoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.

Botta e risposta tra Salvo Sottile e Franco Di Mare. I due, a distanza, non se le mandano a dire. E su Twitter si scatena il putiferio. Tutto ha inizio con il direttore di Rai3 che pubblica il video di un vecchio servizio di Striscia la Notizia. 

Qui si racconta della palpata ai danni dell'allora collega Sonia Grey durante Uno Mattina. "2004, 18 anni fa. Ecco come andò. Striscia lo sa bene ma continua a parlare di mie molestie. Non è più satira, è diffamazione. E infatti li ho querelati" ha commentato dopo che il tg satirico ha riproposto il filmato in merito alla vicenda di Memo Remigi e Jessica Morlacchi.

"Possibile - interviene Sottile - che esistano ancora credenze mesozoiche secondo le quali toccare il c**o a una donna (per giunta in tv) è 'solo uno scherzo'? Ma che messaggio passa così ? Che se scherzi puoi farlo? Io (anche) da telespettatore li trovo 'scherzi' di pessimo gusto". Un'uscita che non piace a Di Mare, che a quel punto rincara la dose: "Prima o poi convincerò una mia ex collaboratrice che riceveva pressioni telefoniche indesiderate da un ex conduttore di rai tre a raccontarlo pubblicamente. Ci faremo risate mesozoiche".

"Siamo pronti - dice ancora Sottile - Invece altre donne che ricevevano attenzioni e sms indesiderati da un altro 'ex' col vizietto delle minacce da mafioso di terza fila mi risulta, siano pronte a raccontarlo prestissimo... Sai che risate! Arriviamo al paleolitico!". Non è il primo scontro tra i due questo. Già anni fa Sottile non aveva preso bene la sostituzione nel programma Mi Manda Rai Tre.

(ANSA il 31 ottobre 2022) "Sono moralmente distrutto. Alla mia età non è facile superare il grave stato d'animo in cui la azienda Rai, alla quale ho legato tutta la mia vita artistica, mi ha ridotto''. Così, in una nota, Memo Remigi dopo la vicenda della molestia a Jessica Morlacchi che lo hanno portato ad essere escluso dalla Rai. ''Il provvedimento, con il quale sono stato espulso da un programma a cui stavo dando la collaborazione più convinta ed entusiastica - continua Memo Remigi -, mi pare ingiusto per la sproporzionata gravità della condanna inflittami, senza neppure aver sentito le mie ragioni e considerato le mie scuse. 

Mi rasserenano tuttavia le centinaia di messaggi di stima e di solidarietà espressi a mio favore anche da persone interne all'azienda. Ora ho bisogno di riposo, di silenzio e di cure, sperando di riprendere le mie forze e la mia tranquillità. Ho, comunque, dato mandato all'Avv. Giorgio Assumma di Roma di esaminare, sotto il profilo legale, la via più idonea per la tutela della mia dignità di uomo e di artista". 

Memo Remigi vittima di se stesso. Le donne devono denunciare. Francesca Galici il 31 Ottobre 2022 su Il Giornale.

La Rai ha deciso di allontanare Memo Remigi dopo quanto accaduto con la Morlacchi. Lui non ci sta: "Sproporzionata gravità della condanna inflittami" 

Memo Remigi è stato allontanato dalla Rai con l'accusa di aver avvicinato la sua mano al fondoschiena di Jessica Morlacchi durante il programma Domani è un altro giorno condotto da Serena Bortone. Licenziamento e pubblica gogna per il cantante, che da alcune stagioni era una presenza costante nel programma del pomeriggio di Rai 1.

"Mi scuso con Jessica, con Serena Bortone, con la Rai e anche con il pubblico. Mi sono sempre comportato in maniera pulita, ma stavolta ho commesso un grave errore: è stato un gioco tra amici venuto male", ha detto il cantante ai microfoni di Striscia la notizia, che gli ha consegnato un particolare Tapiro d'oro con un polpo. Un messaggio nemmeno troppo subliminale per il cantante.

Memo Remigi è stato vittima di se stesso. Forse sperava di non essere notato, visto che il tutto si è verificato in un momento defilato della trasmissione. Se le telecamere non lo avessero inquadrato, Jessica Morlacchi l'avrebbe segnalato? Una domanda alla quale è impossibile dare una risposta certa, visto che le immagini della mano del cantante che scivolano sul fondoschiena della cantante hanno rimbalzato di profilo in profilo sui social e anche in tv. Tuttavia, almeno stando a quello che oggi molte donne dichiarano, è probabile che se non ci fossero state le immagini non ci sarebbe stato il clamore mediatico.

Certo, la Rai ha preso provvedimenti immediati contro Memo Remigi, allontanandolo immediatamente dalla trasmissione, ma quanti altri casi come questi ci sono stati senza che venisse fatta la segnalazione? Non solo in ambito televisivo, ovviamente, dove comunque la "moviola" ha il suo peso grazie alle telecamere posizionate un po' ovunque. Stare in silenzio e poi dopo anni dire "è successo anche a me" non ha la stessa efficacia. Così come è sbagliato subire atteggiamenti di un certo tipo solo perché si è in amicizia.

Memo Remigi ha parlato di "un gioco tra amici venuto male": che gioco può essere la mano sul sedere in modo così lascivo? Questa storia è avvolta da una patina di "non detti" che difficilmente verranno dipanati. E che forse non è nemmeno necessario conoscere. Anche perché il tempo delle chiacchiere su questa vicenda è concluso: si è detto tutto quello che c'era da sapere. "Sono moralmente distrutto", ha detto in una nota Memo Remigi, che considera l'allontanamento dalla Rai "ingiusto per la sproporzionata gravità della condanna inflittami". Si è rivolto a un avvocato per tutela la sua dignità e ha aggiunto: "Ho bisogno di riposo, di silenzio e di cure, sperando di riprendere le mie forze e la mia tranquillità".

La Rai ha scelto la linea dura, forse anche simbolica, contro il cantante. Le immagini ci sono, Jessica Morlacchi si è sentita molestata e non ci sono margini di discussione davanti ai fatti. Ora però è il momento del silenzio, per tutti. Anzi no, non per tutti. Perché le donne che si sentono molestate o, ancora peggio, violate, devono parlare. E lo devono fare in tutti i modi che conoscono, a voce alta, anche se ci potrebbe essere qualcuno che non crederà alle loro parole. Perché le conseguenze del silenzio sono imperscrutabili.

Jessica Morlacchi palpeggiata: "Veleno e mestruazioni". Libero Quotidiano l'01 novembre 2022

Volano stracci tra Selvaggia Lucarelli e Jessica Morlacchi, la cantante ospite fissa di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno. Di recente si è parlato parecchio di lei per via della palpata in diretta del collega Memo Remigi. La giornalista e giurata di Ballando con le Stelle aveva commentato il caso condannando duramente il gesto di Memo ma anche lanciando una bordata a Jessica, la quale, a suo dire, ha avuto in passato comportamenti non proprio teneri nei suoi confronti. Secondo la Lucarelli, infatti, quando Iva Zanicchi le diede della “tro*a” a Ballando e si parlò dell'episodio a Oggi è un altro giorno, la Morlacchi avrebbe fatto alcune smorfie, sminuendo la questione.

Ieri la Morlacchi ha pubblicato una storia su Instagram facilmente collegabile alla Lucarelli: "Mi sono capitati sotto mano più post… Che dire… Immagino il nervosismo che ti pervade quando si vede ballare il proprio fidanzatino con la bellissima ballerina. Quindi ci sta… Poi magari subentra anche il ciclo. Poi in questo caso si parte da una base di 'veleno d’animo' puro. Insomma, comprendo comprendo…”. Non è tardata ad arrivare la replica della giornalista: "Quando è scoppiato il caso Memo Remigi, ho scritto che per me Memo Remigi poteva starsene a casa come deciso dalla Rai senza rimpianti e andava bene così, ma che la vittima del suo palpeggiamento aveva molto da imparare da questa vicenda. E lo dicevo perché la vedevo sempre ridacchiare e scocciarsi quando si parlava di epiteti sessisti a me rivolti, la vedevo sempre dalla parte dei maschi”. 

"Piccata dalle mie osservazioni - continua la Lucarelli - oggi scrive questa specie di disastro sessista tra pregiudizi avvilenti su invidie femminili e acidità da mestruazioni. Appunto, non sbagliavo. Si può essere vittime di Memo Remigi e pensare come Memo Remigi, non c’è nulla di strano. Ma molto di deprimente". In un secondo momento comunque la Morlacchi ha cancellato la storia e ha scritto: "Mi hanno fatto notare che stavo usando stereotipi e pregiudizi della peggiore cultura maschilista e qualunquista verso un'altra donna. Ho capito di aver sbagliato e quindi ecco qiu le mie scuse sincere".

Franco Giubilei per “la Stampa” il 31 ottobre 2022.

«Andrò in tv a difendere Remigi, di certo mi massacreranno sui social». Enrica Bonaccorti conosce benissimo l'ambiente televisivo, veterana com' è di programmi Rai e Mediaset, ma ha anche una buona esperienza di teatro che, fa capire, non era certo immune da certe cattive abitudini: «A me capitò a teatro che due attori mi dessero pacche sul sedere, ma era 50 anni fa ed eravamo figli di un'epoca che finalmente si sta sgretolando». 

Conoscendo personalmente anche Memo Remigi, da un lato ne stigmatizza il gesto immortalato dalla telecamera e rilanciato dai social fino a diventare argomento di discussione a livello nazionale, la scena vista e stravista del cantante-conduttore che palpeggia Jessica Morlacchi durante il programma di Serena Bortone sulla Rai (che poi lo ha licenziato).

Dall'altro però si rifiuta di crocifiggerlo senza rimedio, così come di appiccicargli addosso definizioni come quelle piovute sul colpevole: «Di sicuro è un brutto gesto, ma lasciargli questo marchio di libidinoso a 84 anni». Il gesto però è grave, lei allora come lo definirebbe?

«Il gesto di Memo è stato inopportuno e maschilista. Aggiungo che io mi sono sempre definita orgogliosamente femminista e che sono stata guardata male per questo da tutti gli uomini e purtroppo anche da tante donne. Eppure oggi non mi scaglio contro Memo, anche se lo rimprovero sia per il gesto che per le giustificazioni, arrampicate sugli specchi».

Secondo lei cosa avrebbe dovuto fare dopo essere stato ripreso in quella maniera dalla telecamera?

«Avrei voluto sentirgli dire: "Mi dispiace tanto e mi scuso, è stato uno sbaglio figlio della cultura maschilista di una volta che sdoganava parole e gesti oggi inaccettabili, aiutato da un cameratismo che ho evidentemente equivocato". 

Detto questo, trova ci sia accanimento nei suoi confronti?

«Conosco Memo, ha 84 anni, fa scherzi in continuazione, e battute che oggi non si dovrebbero più fare, ma non è un vecchio libidinoso come lo stanno descrivendo. Anzi, è un vecchio signore gentile che non merita di essere ricordato per questo, ma per "Innamorati a Milano"». 

Lei ha lavorato per molti anni alla radio, nella televisione nazionale pubblica e privata, avrà visto di persona o sarà stata a conoscenza di certe molestie alle donne, piccole o grandi. «In realtà era peggio, perché non c'era consapevolezza e non c'era da ambo le parti, uomini e donne, dunque non c'era vera condanna, soprattutto nei paesi latini. Ma il vero discrimine secondo me è da chi parte la molestia verbale o fisica: se la fa chi ha potere su di te, sul tuo lavoro, questo è un vero crimine. E non è certo questo il caso di Memo». 

A lei è successo?

«Non parlo di me, faccio solo considerazioni scaturite dal disgraziato caso di Remigi, ma vedrà che sarò massacrata per i miei distinguo, in un paese manicheo come il nostro». 

Se non ci fossero stati i social, che hanno diffuso il filmato evidenziando il comportamento di Remigi, la vicenda sarebbe comunque diventata un caso nazionale o sarebbe morta così? Jessica Morlacchi non aveva denunciato il fatto.

«A questo risponda lei, per favore».

Dagospia il 28 ottobre 2022. Dal profilo Instagram di Caterina Collovati

Classe 1938, signore gentile, d'altri tempi, cantante e compositore di testi che hanno fatto innamorare migliaia di coppie. 

Da qualche giorno è nel mirino delle critiche, perché reo in diretta tv di aver toccato il lato B di tale Jessica Morlacchi, cantante, sua collega nel programma di Rai 1 " Oggi è un altro giorno ". 

Mi rifiuto di vedere del torbido in quella mano rugosa, che dopo aver cinto la vita della collega per la posa imposta dalla scena, cade avvizzita lungo il fianco della cantante.

L'unica palpata degna di nota Memo Remigi la riserva ai tasti del pianoforte che suona ancora magistralmente. 

Lui da signore pacato ha incassato il licenziamento senza opposizione, bensì scusandosi per quel gesto che avrebbe irritato la collega.

Io dico che a ricevere le scuse, da coloro che hanno tendenziosamente frainteso il suo gesto, dovrebbe essere lui. 

Quanta ipocrisia e moralismo inutile; un Paese che non sa difendere le donne da uomini che maltrattano, da uomini che stuprano, ma sa benissimo umiliare le persone perbene.

Jessica Morlacchi torna su Memo Remigi: "Gli voglio bene come fosse mio nonno, non lo posso denunciare". di Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 18 Novembre 2022.

In un'intervista a Diva e Donna la giovane è tornata a parlare del caso. "In molti mi hanno detto che avrei dovuto denunciarlo, non lo farò. Non ho idea di che cosa gli sia venuto in mente in quel momento” ha detto al settimanale 

A poche settimane dal gesto di Memo Remigi a Jessica Morlacchi, la cantante (che oggi è molto amata in tv in quanto presenza fissa del programma di Rai1 “Oggi è un altro giorno”) torna a parlare di quanto accaduto e del perché non ha denunciato Remigi. E l’ha fatto in un’intervista rilasciata a “Diva e Donna”. «Penso abbia avuto un momento di confusione. È l’unica spiegazione che riesco a darmi. In molti mi hanno detto che avrei dovuto denunciarlo, non lo farò. Gli voglio bene come se fosse mio nonno. Non ho idea di che cosa gli sia venuto in mente in quel momento».

Il lavoro

La ragazza ricorda il lavoro insieme per due anni senza nessun problema e nel massimo rispetto reciproco, e poi, in diretta tv, il gesto del genere: «Ma perché?» si chiede. Prova poi a darsi una risposta con un’allusione all’età di Remigi, 84 anni: «Penso che sia proprio vero che a una certa età si perdano i freni inibitori e si torni un po' bambini. È l’unica spiegazione che riesco a darmi» ha aggiunto, confermando però come un gesto simile vada condannato a prescindere dall'età. 

DAGONEWS il 27 Ottobre 2022.

Fermi tutti! Morgan ha aggiunto Memo Remigi nella mega chat Rinascimento e Dissoluzione, che ha aperto insieme a Vittorio Sgarbi scatenando il panico nei cellulari di politici, artisti, giornalisti e critici d’arte. 

Il cantante ha voluto dare così la sua solidarietà a Remigi, licenziato dalla trasmissione “Oggi è un altro giorno” per l’ormai celebre “palpatina” a Jessica Morlacchi. Morgan ha chiesto a Memo cosa fosse successo, e quello ha ringraziato per il sostegno.

Poi Morgan ha proposto all’84enne di cantare una canzone porno che ha composto lui per l’occasione. Per convincerlo, ha mandato una specie di demo cantata da Siri, l’assistente vocale dell’iPhone. Secondo Morgan, dopo lo scandalo dalla Bortone, farebbe il botto, e a giudicare dal testo, non ce la sentiamo di dargli torto.

Quando ho voglia di scoparti io penso alle tue tette. Sono uno di quei tanti che tu fai eccitare. È finalmente vedo, vedo, questo mio grosso cazzo che tu non hai visto mai.

Vendo, vendo il mio grosso cazzo che…. […] Come vorrei che tu vedessi che cosa sto facendo […] con questo duro cazzo che causa l’orgasmo […] Le mie palle son gonfie, più gonfie di due secchi […] così vengo nel pensare che poi ti penetro […]

Claudio Tadicini per corriere.it il 15 settembre 2021.

Avrebbe taciuto i palpeggiamenti subiti dalla figlioletta in cambio di 600 euro, ricevuti dal presunto molestatore per non essere denunciato. Ed ora, insieme a quest’ultimo, rischia di affrontare il processo: lei con l’accusa di favoreggiamento personale; lui con quella di violenza sessuale, aggravata perché compiuta su un minore.

I fatti risalgono all’estate 2020 e si sarebbero verificati su una spiaggia di Porto Cesareo, una delle mete balneari più gettonate del Salento. È qui che, secondo la ricostruzione degli inquirenti dell’Arma dei carabinieri, il presunto pedofilo avrebbe palpeggiato la giovanissima – alla data dei fatti di soli 9 anni – con la scusa di fare un bagno in mare assieme, allungando le mani sulle sue parti intime. Abusi che l’uomo, un quarantenne di Copertino, avrebbe compiuto dopo avere afferrato con forza la ragazzina ed averla stretta a sé, raccomandandole poi di non dire nulla alla madre.

A fare scattare l’inchiesta del pubblico ministero Maria Rosaria Petrolo della Procura della Repubblica di Lecce, ora giunta ad un primo punto fermo con la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai due indagati, è stata la confessione fatta ad un’insegnante dalla minorenne che, almeno in un primo momento - forse perché spaventata - aveva tenuto per lei quel terribile segreto. E così la vicenda è giunta all’attenzione dei carabinieri.

Convocata in caserma dai militari per essere ascoltata, la madre della ragazzina – pur ammettendo di essere a conoscenza di quanto accaduto alla figlia - avrebbe però cercato di coprire l’indagato: prima indicando quale responsabile (come già riferito alla maestra) un non meglio identificato «zio» della bambina; poi rifiutandosi di fornire indicazioni utili per identificare il presunto molestatore.

La sua omertà, come emerso dalle indagini, sarebbe stata comprata dal quarantenne per 600 euro: «Avevo paura di una reazione violenta di mio marito». Accertata la sua capacità di testimoniare, la giovanissima ha confermato le violenze subite nel corso dell’incidente probatorio davanti al gip Marcello Rizzo. I due indagati sono difesi dagli avvocati Raffaele Leone e Luigi Rella.

Indagata una mamma che si fa pagare per non denunciare le molestie subite dalla figlia a Porto Cesareo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Settembre 2022 

La mamma avrebbe taciuto sui palpeggiamenti subiti dalla figlioletta in cambio di 600 euro, ricevuti dal presunto molestatore per non essere denunciato.

Ad attivare l’inchiesta condotta dal pubblico ministero Maria Rosaria Petrolo della Procura della Repubblica di Lecce, oche ha portato alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai due indagati, è stata la confessione della minorenne ad un’insegnante  che in un primo momento preoccupata aveva mantenuto per se quel segreto affidatole. E stato così la vicenda è arrivata a conoscenza dei Carabinieri. Convocata in caserma dai militari per essere ascoltata, la madre della ragazzina pur ammettendo di essere a conoscenza di quanto accaduto alla figlia avrebbe però tentato di coprire l’indagato: prima indicando quale responsabile (come già riferito alla maestra) un non meglio identificato “zio” della bambina, ed in seguito rifiutandosi di fornire indicazioni utili per identificare il presunto molestatore. 

La mamma della ragazzina adesso dovrà affrontare il processo insieme al pedofilo chiamato a rispondere dell’ accusa di violenza sessuale aggravata perché compiuta su un minore, la mamma con l’accusa di favoreggiamento personale, sarebbe stata comprata dal quarantenne per 600 euro: “Avevo paura di una reazione violenta di mio marito“. 

La vicenda risale all’estate 2020 e si sarebbe verificata sulla spiaggia di Porto Cesareo, una delle mete balneari più frequentate del Salento. Secondo la ricostruzione degli investigatori dell’Arma dei Carabinieri, il presunto pedofilo che con la scusa di fare un bagno in mare assieme, avrebbe palpeggiato la giovanissima ragazza che aveva soltanto 9 anni , allungando le proprie mani sulle sue parti intime. Abusi che l’uomo, un quarantenne di Copertino, avrebbe fatto dopo avere afferrato con forza la ragazzina ed averla stretta a sé, raccomandandole poi di non riferire nulla alla madre.

Verificata la sua capacità di testimoniare, la ragazza che adesso ha 11 anni, nel corso dell’incidente probatorio davanti al Gip Marcello Rizzo ha confermato le violenze subite dal pedofilo. I due indagati sono difesi dagli avvocati Raffaele Leone e Luigi Rella. Redazione CdG 1947

Bari, molestò per anni l'addetta alle pulizie della caserma: finanziere condannato. Tre anni e sei mesi di reclusione per un militare 55enne di Molfetta, imputato per violenza sessuale e stalking nei confronti di una 39enne barese che lavorava come addetta alle pulizie nella caserma dove il finanziere era in servizio. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Luglio 2022.

Il Tribunale di Bari ha condannato alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione un militare 55enne di Molfetta, imputato per violenza sessuale e stalking nei confronti di una 39enne barese che lavorava come addetta alle pulizie nella caserma dove il finanziere era in servizio, la Caserma Macchi di Bari. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra settembre 2012 e febbraio 2017. Il finanziere, è l’ipotesi accusatoria condivisa dai giudici, avrebbe perseguitato la donna per anni, nonostante lei avesse manifestato di non corrispondere l’interesse dell’uomo, seguendola mentre svolgeva la sue mansioni in caserma, intervenendo perché non fosse affiancata da altre colleghe, minacciando di farla licenziare, fino a molestarla fisicamente mentre la donna era sola in un magazzino. I giudici hanno condannato il militare anche al risarcimento danni nei confronti della presunta vittima, costituita parte civile con l’avvocato Emiliano D’Alessandro, con provvisionale immediatamente esecutiva di cinquemila euro. Il finanziere, assistito dall’avvocato Antonio La Scala, farà appello contro la sentenza di condanna.

Gaia Martino per fanpage.it il 24 maggio 2022.

Lo scorso sabato al concerto organizzato da Radio Italia in piazza Duomo a Milano si è esibito anche Blanco, la star italiana del momento che insieme a Mahmood ha vinto il Festival di Sanremo 2022 e si è piazzato sesto all'Eurovision 2022. 

Come solito fare, il cantante 19enne si è scatenato con i fan cantando le sue hit tra la folla, facendo "impazzire" tutti ma in particolare una ragazza che, proprio avanti a lui, si è approfittata della vicinanza per toccargli le parti intime. Il gesto, ripreso da un'altra fan, ha indignato gli utenti Twitter che ora la accusano di molestia. 

Il video della presunta molestia

Blanco stava cantando la sua hit Notti in bianco tra la folla in piazza Duomo durante il concerto Radio Italia Live quando una ragazza si sarebbe approfittata della vicinanza del cantante per toccargli le parti intime. 

Una fan stava riprendendo l'esibizione di Riccardo Fabbriconi e dal video è chiaramente visibile la mano dell'"incriminata" che gli tocca diverse volte i genitali. "Grazie alla ragazza che ha messo la mano sul ca**o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo" ha scritto l'utente sui social. Su Twitter ora tutti lanciano l'accusa: "Questa è una molestia".

L'accusa dei fan: "Questa è una molestia"

Su Twitter è scoppiata la polemica da diverse ore, in tanti si stanno confrontando sul video che sta circolando. Per la maggior parte si tratta della testimonianza di una vera e propria molestia sessuale, a tutti gli effetti. 

A chi sostiene che il gesto sia stato "casuale", in molti si stanno rivoltando: "Quella nei confronti di Blanco è una molestia, punto. È una molestia voluta, e non credo minimamente che sia stata "casuale" come ho sentito in giro. Ma come vi permettete? Ma io davvero, sono senza parole" ha scritto un utente. 

A qualcuno che ha sostenuto che la colpa fosse stata anche del cantante, solito a cantare tra la folla, un altro utente ha sbottato: "Io non posso credere che si ragioni così di me*da. Cioè solo perché crea contatto con il suo pubblico deve essere molestato? 

Perché questo è. UNA CA**O DI MOLESTIA. E non è normale andare in giro a toccare il ca**o della gente, non dovrebbe dirlo Blanco che, per giunta, é un Ca**o di ragazzino che magari nemmeno ha saputo reagire a quella situazione dato che stava comunque facendo il suo lavoro. 

Magari era mortificato ma non ha voluto rovinare una serata importante. O forse non se ne é accorto, dubito, ma resta comunque una ca**o di molestia".

Le mani su Blanco. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 25 Maggio 2022.

Ieri molti italiani compulsavano freneticamente le loro protesi digitali per commentare un video in cui la mano di una ragazza indugiava sopra la patta del cantante Blanco durante uno spettacolo in piazza Duomo. 

Si era trattato o no di molestia? Una star che si offre all’abbraccio dei fan, nel rito sempre un po’ orgiastico e sacrificale del concerto, deve mettere in conto un incontro ravvicinato di qualsiasi tipo? Oppure anche chi si esibisce in pubblico conserva il diritto a non farsi spupazzare come un peluche? 

Confesso che il dilemma non mi aveva ispirato riflessioni appassionate come quelle che fioccavano sui social. Poi un amico mi ha fatto notare il famoso elefante in mezzo alla stanza: la notizia non era che si stesse discutendo sulla natura di un gesto invasivo, ma che quel gesto avesse per bersaglio un maschio. Qualcuno ha detto: «Se la molestata fosse stata una donna, se ne parlerebbe di più», ma il fatto stesso che lo dicesse era la prova che se ne stava finalmente parlando. 

È esistito un tempo in cui la molestia veniva tollerata e, in certi ambienti, guardata addirittura con simpatia. Negli ultimi anni c’è stato uno scatto di sensibilità e le intrusioni non richieste di gran lunga più frequenti — quelle sul corpo delle donne — hanno ricevuto l’attenzione e la sanzione che meritano. Ora siamo a un passaggio ulteriore, che ci si augura definitivo: «Alla fin della licenza, io tocco» vale solo per Cyrano a duello. Tutti gli altri la licenza se la devono far dare dagli interessati. Femmine o maschi che siano.

Blanco e la mano della fan al concerto per Radio Italia. «È una molestia», «No, è normale». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 24 Maggio 2022.

Un caso il video del cantante toccato sul palco. Giulia Bongiorno: «Quella è violenza sessuale, un reato punito da 6 a dodici anni». Il silenzio del vincitore di Sanremo con Mahmood: «Un bagno d’amore». 

Nessuno se ne sarebbe accorto (a parte Blanco), se @luciadalgri non avesse postato il video su Tik Tok. E in quel breve filmato, che ha poi fatto il giro del web (anche grazie al tweet di @camreline), l’artista bresciano, al secolo Riccardo Fabbriconi, 19 anni, Sanremo 2022 vinto con Mahmood, sta chiudendo la festa in piazza Duomo per i quarant’anni di Radio Italia in un mare di fan, mentre una mano femminile indugia un po’ troppo sul suo baricentro. E Lucia, l’autrice delle immagini, commenta in sovrimpressione: «Grazie alla ragazza che mette la mano sul c... di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo».

Molestia o violenza sessuale?

Forse sarebbe finita lì se quelle immagini non fossero diventate virali, scatenando commenti favorevoli, contrari, è una molestia, non è una molestia, lui era circondato dai fan (dunque se l’è cercata?), in altri tempi il cantante avrebbe chiamato la groupie in camerino e nessuno avrebbe avuto niente da ridire, e così via all’infinito. O forse no. Perché quello che è successo a Blanco, in una piazza che conteneva 19.900 persone, più altre trentamila intorno, è diventato lo spunto per farsi una domanda e provare a trovare la risposta. Era molestia?

Un reato punibile da 6 a 12 anni

«No, era una violenza sessuale», commenta l’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice leghista, fondatrice assieme a Michelle Hunziker di «Doppia difesa», la onlus impegnata contro le discriminazioni, gli abusi, la violenza sulle donne. Codice penale alla mano, articolo 609 bis, spiega: «La violenza sessuale è costituita da qualsiasi atto che risolvendosi in un contatto corporeo anche fugace tra soggetto passivo e soggetto attivo ponga in pericolo la libertà di autodeterminazione». Nella fattispecie: palpeggiare zone erogene senza il consenso dell’altro — uomo o donna che sia — può integrare il delitto di violenza sessuale, con una pena da 6 a 12 anni di reclusione. «La parola chiave è il consenso», va avanti l’avvocata. «Durante la sua esibizione Blanco non era nelle condizioni di manifestarlo».

Non è uno «scherzetto»

Buona parte della discussione sui social si è invece concentrata sulla parola «molestia» — a parti invertite, cosa sarebbe successo? — che Giulia Bongiorno però esclude. «Le molestie sessuali si riscontrano in caso di espressioni volgari a sfondo sessuale: atti di corteggiamento invasivo e insistito diversi dall’abuso sessuale». Ma anche qui, la parlamentare puntualizza: «Vorrei non si derubricasse allo scherzetto. Quello che è successo a Blanco non è “un fatto grave”: è un reato».

Il silenzio di Blanco

Molti commenti, proprio di donne, dimostrano nuova consapevolezza. @In2siamounklan scrive su Twitter: «Riccardo non vi autorizza a palparlo come vi pare solo perché vi si avvicina durante i concerti, allo stesso modo in cui una ragazza non vi autorizza a fare niente solo perché indossa una minigonna. Il concetto di base rimane il rispetto». Sarebbe interessante sapere cosa pensa il diretto interessato. Ma Blanco, nel post pubblicato dopo il concerto su Instagram, dà solo appuntamento ai fan a Bologna e li ringrazia. «Un bagno d’amore». No comment.

Blanco palpeggiato, sul palco vige la legge del rock and roll ma senza consenso è sempre violenza. Elena Stancanelli su La Repubblica il 24 maggio 2022.  

Senza alcun dubbio una donna che mette le mani tra le gambe a un uomo senza che questo lo desideri lo sta molestando. Eppure in un concerto fa parte dello show offire il proprio corpo al pubblico.

Il video della ragazzina che impugna con entusiasmo e ostinazione il membro di Blanco, suscitando in lui una radicale indifferenza ieri è stato visto da milioni di persone. Colpa del caldo che fa passar la voglia di attività più faticose, degli algoritmi che impongono priorità a nostra insaputa. Tutto vero, ma di certo c’è anche il gusto di vedere una ragazzina compiere un gesto tradizionalmente maschile, una generazione Z comportarsi come un boomer qualsiasi.

Se Blanco palpeggiato non indigna le femministe. Francesco Maria Del Vigo il 25 Maggio 2022 su Il Giornale.

Il vincitore di Sanremo toccato da una fan nelle parti intime. Ma se fosse stato una donna...

Partiamo dai fatti: Blanco è stato palpeggiato da una fan durante un concerto. Un lettore potrebbe legittimamente chiedersi: ma chi diavolo è Blanco? Blanco, all'anagrafe Riccardo Fabbriconi, nato a Brescia nel 2003, è il cantante che insieme a Mahmood ha vinto l'ultima edizione del Festival di Sanremo con la canzone «Brividi».

Torniamo a quella che, in altre circostanze, sarebbe una «notizia» e che invece viene derubricata a notiziucola. Sabato scorso in piazza del Duomo a Milano Radio Italia ha organizzato un mega concerto, il primo post pandemia, nel quale ha messo insieme il meglio della musica dello Stivale: da Elisa a Elodie, da Morandi a Marracash, passando appunto per l'ormai arcinoto Blanco. Ma durante la sua performance accade l'inaudito. Il cantante si avvicina alla folla in visibilio e una fan, evidentemente più disinibita delle altre, mette una mano laddove non dovrebbe battere il sole. Ci sono anche degli screenshot di un filmato pubblicato su TikTok che testimoniano, in modo inequivocabile, l'improvvido agguantamento. Tutto ciò potrebbe essere comodamente derubricato nella gigantesca sottocategoria del «chissenefrega». Blanco non sappiamo se abbia provato dei «Brividi» in seguito al fugace strofinamento, ufficialmente non ha fatto un plissè: non ha detto una parola. Però c'è un però grosso come una casa. Se al posto di Blanco ci fosse stata una qualunque Blanca e un uomo le avesse toccato, chessò, il lato b durante un concerto, che cosa sarebbe accaduto? Ve lo diciamo noi: sarebbe venuto giù il mondo. Innanzitutto non si parlerebbe - tra un sorriso e un'alzata di spalle -, di una bravata di cattivo gusto, ma di una vera e propria molestia. Hanno messo in croce gli alpini per degli sguaiati complimenti da caserma a delle sventurate passanti, probabilmente in presenza di una mano morta avrebbero sciolto l'intero corpo militare. Le associazioni femministe (grazie a Dio non esistono le associazioni «maschiliste») avrebbero scagliato piccati comunicati stampa denunciando lo sfruttamento del corpo femminile, le varie Laure Boldrini e Michele Murgie avrebbero inzaccherato con l'inchiostro del disgusto pagine intere di giornale per denunciare il cavernicolo machismo dell'uomo predatore, tutto il popolo del #metoo e del «Se non ora quando» avrebbe potuto - con grande compiacimento - indignarsi per l'ennesima volta. Saremmo stati a un passo dall'invio dei caschi blu dell'Onu. Invece no. Per fortuna non è successo nulla di tutto ciò. Ma qualcosa non torna. Se la palpatina la subisce un uomo non è più molestia, non è materiale buono per scatenare la reprimenda con il sopracciglio inarcato? Alla faccia della parità dei sessi. A tal proposito è emblematico il commento di una ragazza testimone oculare che ha postato il video del fattaccio: «Ha messo la mano sul c...o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo». Capito? Il problema non è che la sopraccitata ragazza abbia allungato le mani sul cantante bresciano, ma che abbia rovinato la sua video opportunity con la star.

Posto che questa è una polemica facilmente archiviabile alla zona anatomica esplorata dalla scalmanata fan e che le molestie vere sono ben altra cosa, forse chi si straccia le vesti e imbastisce crociate per cat calling e apprezzamenti vari, dovrebbe aprire quantomeno una riflessione su quello che è accettabile per una donna e per un uomo. Altrimenti - usando uno dei termini a loro molto caro - si sente puzza di sessismo.

Il “Blanco molestato” e la “vittima” dimenticata. D'improvviso il più molestato di tutti appare proprio quel ragazzo strizzato dalla folla a cui Blanco "prende la mano". Prima costretto (presumiamo) dalla sua ragazza a farsi strada per farsi filmare in prima fila, e poi beffato dal gesto che ha rovinato l'idillio...Giorgio Cappozzo su Il Dubbio il 25 maggio 2022.

Il caso del “Blanco molestato” conquista le cronache grazie a una clip girata da una fan, tra la folla in piazza Duomo. Si sente la sua voce fuori campo che stigmatizza il siparietto con queste parole: «Grazie a quella che ha messo la mano sul ca**o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio fidanzato». Lamento sarcastico che invita a una riflessione ben più ampia di quella trattata dai giornali.

L’inviata sul campo, impegnata a riprendere col suo cellulare la performance del nostro, lo dice chiaramente: la mano sul pacco rovina l’inquadratura, che aveva come scopo quella di rappresentare il contatto, più amoroso che erotico, tra il fidanzato e il cantante. Non trova disturbante il gesto in sé, ma l’invadenza della strizzatina in un momento irripetibile in cui le dita dei due si incrociano in un gesto di comunione molto spirituale e sobriamente fisico. La dimensione apollinea del compagno contro la presa dionisiaca della fan anonima.

Se solo l’avvocata Giulia Bongiorno, che ha presto ricordato come si tratti di violenza sessuale, punibile dai 6 ai 12 anni di galera, conoscesse questa parte del racconto, invocherebbe pene ben più severe. Lei si limita al gesto congelato nel fotogramma. E ci sta che, supponendo il mancato consenso del cantante, si possa parlare di molestia. Per quanto, ingenuo io, non capisco perché del toccare il corpo di una star che si butta tra la folla, un rito che da Cristo a Jim Morrison grida “prendete e mangiatene tutti”, sacrificatemi e divoratemi in un’orgia d’amore (o bagno d’amore, come lo stesso Blanco ha commentato sui suoi social), ci si debba limitare al pisello. A me darebbe molto fastidio pure sentire le mani nei capelli, quindi non mi avvicinerei mai alla platea, anche se docciata con amuchina, ma infatti nessun palco mi prevede.

La Bongiorno, dicevamo, si limita alla strizzatina rock, ignorando l’aggravante perpetrata dalla virago dall’artiglio facile: non aver considerato la presenza della spettatrice munita di smartphone intenta a immortalare l’impresa del suo ragazzo, convinto a suon di preghiere (presumiamo) a farsi schiacciare dalla folla adorante pur di raggiungere la prima fila a favore di camera. È lui che, stretto tra Blanco che «lo prende per mano», la fidanzata che registra l’evento e la palpatina sabotatrice, appare d’improvviso come il più molestato di tutti.

Italiani ossessionati dalle molestie, ora è caccia alla peccatrice della palpatina. Hoara Borselli su Il Riformista il 25 Maggio 2022. 

Ormai siamo diventati un popolo di molestati e molestatori. Ci eravamo appena lasciati alle spalle due settimane dove non si è parlato altro che delle molestie degli alpini. Pensavamo di essere usciti da questo loop che automaticamente si è entrati in un altro.

Protagonista Blanco, il cantante più in auge tra i ragazzi in questo momento. Radio Italia ha fatto questo grande concerto in piazza Duomo a Milano che ha raccolto circa 20 mila persone e mentre Blanco si stava esibendo in un suo pezzo, una fan molto vicina a lui ha allungato una mano e l’ha avvicinata, per non dire appoggiata, nelle sue parti intime.

Lo stesso protagonista, che dovrebbe essere essenzialmente il molestato della situazione, non ha proferito verbo rispetto a questo. Invece le persone sui social ma anche i giornali hanno gridato allo scandalo. “E’ violenza sessuale”, addirittura dicono. C’è anche chi dice che è una violenza che deve essere pagata come reato da sei a 12 anni di galera.

Quando si parla di violenza sessuale va benissimo essere tutti ponti a denunciare immediatamente però cerchiamo di non portare l’effetto contrario, ovvero a depotenziare quelle che poi veramente sono violenze sessuali. Perché quando noi parliamo di una pacca al sedere, ve la ricordate tuti la giornalista fuori allo stadio, o parliamo di questa fan scatenata di Blanco e diciamo che dovrebbe pagare con 6-12 anni di galera qualche domanda dobbiamo porcela.

Penso che ognuno di noi possa rendersi conto di quale sia il limite tra molestia e violenza. Nessuno giustifica questi atteggiamenti che sono indubbiamente maleducati, ognuno dovrebbe tenere le mani a posto e non permettersi di andare a invadere la privacy di un’altra persona. Però moderiamo i termini e soprattutto moderiamo questa invocazione alle pene. Da questo punto di vista Blanco, che è il diretto interessato, non ha proferito verbo.

Quindi io credo sia necessario discernere il limite tra chi ha piacere di essere toccato, palpeggiato, e chi invece reagisce in maniera contraria. Evitiamo di fare di tutta l’erba un fascio e gridare alla violenza quando come in questo caso di violenza non si tratta perché l’interessato non si è minimamente scandalizzato di questo gesto “caloroso” che ha fatto la sua fan.

Il genere della vittima non fa nessuna differenza: le molestie fanno schifo, sempre. Giulio Cavalli il 24/05/2022 su Notizie.it.

Il cantante Blanco è stato toccato da una ragazza nelle parti intime mentre si avvicinava al pubblico durante l’esibizione. 

Avviso a tutti quelli che ripetono da tempo “se le molestie accadessero a un uomo non si sentirebbe tutto questo baccano”: vi siete sbagliati. Durante il concerto in piazza Duomo organizzato da Radio Italia il cantante Blanco è stato toccato da una ragazza nelle parti intime mentre si avvicinava al pubblico durante l’esibizione.

E indovinate un po’? Non “gli è piaciuto”, come dicono i fallocrati dei nostri tempi, non c’è stato un applauso generale per dirgli quanto sia figo farsi palpare mentre si lavora e soprattutto il fatto non è passato né inosservato né sotto silenzio.

Il video della molestia è comparso inizialmente su Tik Tok, postato da una ragazza giovanissima che sottolineava il gesto, ed è poi rimbalzato su tutti i social. Blanco durante la sua esibizione sposta la mano inopportuna e continua a cantare, come accade a molti molestate che non possono permettersi di interrompere il proprio lavoro nonostante cretini (e cretine) nei paraggi.

Quindi no, non gli è piaciuto. Spiace per i piccoli uomini che sognano che possa capitare anche a loro non riuscendo a trattenere l’istinto animale di essere predatori e prede. Anche i commenti sono confortanti: nonostante la giovane età media degli utenti di Tik Tok l’opinione diffusa è che quel gesto sia in tutto per tutto una molestia, da condannare senza preoccuparsi del fatto che la vittima sia maschio o femmina, senza scendere in particolarismi che solitamente vengono usati semplicemente per irridere una denuncia.

Per rendersi conto ancora di più che il genere della vittima non comporti nessuna differenza vale la pena sottolineare che anche nel caso di Blanco, esattamente come avviene per una qualsiasi donna, c’è stato chi ha avuto lo sconcio coraggio di dire che “se l’è cercata” perché ha voluto cercare il contatto con il suo pubblico. La “gonna troppo corta” che di solito viene usata come randello contro le vittime in questo caso sarebbe la “troppa disponibilità” da parte del cantante.

Cambiano i fattori ma il risultato è sempre lo stesso: una frangia è sempre concentrata nel ri-vittimizzare la vittima.

Il rumore intorno alla vicenda di Blanco è l’ennesima dimostrazione che a scandalizzare delle molestie non è la professione (o l’appartenenza a un corpo militare) del molestatore, non scandalizza e non importa l’abbigliamento o la professione delle vittime: le molestie fanno schifo sempre. E fanno schifo sempre anche coloro che da anni tentano di normalizzarle inventando una “guerra” delle donne contro gli uomini perché hanno il timore di dover affrontare il tema nel merito.

L’hanno capito su Tik Tok ma evidentemente non è ancora stato compreso alcuni autorevoli editorialisti di autorevoli giornali o alcuni leader di partito. E questo è un altro sintomo di una questione che è tutta culturale e sociale.

Dal profilo Instagram di Selvaggia Lucarelli il 26 maggio 2022.

Risposta per i tanti che qui mi stanno sollecitando. Non parlo di Blanco perché non mi faccio dire di cosa devo parlare, tanto più col pregiudizio neppure sottinteso che esistano argomenti per me scomodi di cui non voglio parlare. E comunque per farla più semplice: parlo di quello che cazzo mi pare

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 26 maggio 2022.

Proposta giurisprudenziale: si può parlare di violenza sessuale su una persona, anzitutto, quando la persona ritenga di averne subita una, e non quando lo ritenga l'avvocato Giulia Bongiorno. Il noto antefatto: un giovane cantante, Blanco, durante un concerto è stato in-quadrato dalla telecamera di un cellulare e si vede una mano femminile che scivola in zona cerniera dei pantaloni. 

Non se n'era accorto nessuno: è diventata una «notizia» solo perché il video è stato messo in rete e ha scatenato un dibattito da desiderare che un meteorite largo dieci chilometri (tipo quello che cadde nello Yucatan durante il Cretaceo) si scaraventi sul Pianeta: «E se l'avessero fatto a una donna?», «lui non ha espresso il suo consenso», «è molestia», «è violenza sessuale».

Poi l'avvocato Giulia Bongiorno, una personcina equilibrata, già nota per aver proposto l'ergastolo per tutti i maschi colpevoli di femminicidio, ha sedato gli animi: ha detto che la ragazzina che ha allungato la mano (magari una minorenne, perché Blanco ha 19 anni) merita dai 6 ai 12 anni di carcere, perché è colpevole di una violenza sessuale bella e buona. Subito è stata applaudita dal gruppo di invasate de «La 27ma ora», una riserva museale pubblicata dal Corriere online. Dettaglio: Blanco, sul tema, evidentemente turbato e violentato, ha reagito così: «Ci vediamo a Bologna». 

Da Ansa il 26 maggio 2022.

"Anche a me è successo tanti anni fa: mi sentivo un po' una rockstar. Mi piaceva e mi faceva sentire amato. Oggi c'è una sensibilità diversa". A tornare sui palpeggiamenti subiti da Blanco durante un concerto, è Biagio Antonacci, che dopo due anni di silenzio torna con il singolo Seria, fuori dal 27 maggio. 

"All'epoca tornavo a casa e dicevo: 'mi hanno toccato il sedere'. 'Beato te', rispondeva mio padre. Oggi è diverso. Ognuno ha la sua sensibilità - aggiunge - e ognuno le vede come le vuole vedere. Però io non ci vedo nulla di strano e non mi sembra una molestia: sei sul palco, succede anche quello".

Da mowmag.com il 28 maggio 2022.

Oliviero Toscani scatenato contro il politicamente corretto e le femministe Intervenuto ai microfoni di BlackList per MOW, il fotografo italiano più famoso al mondo (e più provocatorio) ha stigmatizzato chi sta attaccando la giovane fan che a un concerto si è premessa di palpare nelle parti intime il cantante Blanco e poi, non contento, ha tuonato contro le femministe che hanno fatto cambiare l’evento “Miss Lato B” alla Pro Loco di Bollengo, nel torinese, in un più politicamente “Miss Sorriso”. 

Oliviero Toscani, che ne pensa delle discussioni sulla palpata a Blanco?

Siamo patetici! Con tutti i problemi che abbiamo, che si parli di queste cazzate è assurdo. Dobbiamo riderci su. Lui si è lamentato?

No. Ma qualcuno fa il parallelo con Greta Beccaglia, la giornalista “palpata” fuori da uno stadio.

Qual è l’uomo che non è stato mai palpato una volta nella sua vita? Da un uomo o da una donna.

A lei è capitato?

Io sono stato in collegio dai preti e non facevano altro che cercare di palpare. Posso dirlo ad alta voce. 

È grave quello che sta dicendo.

Alzi la mano chi non è mai stato palpato una volta in vita sua, lo ripeto.

Se fosse stata una donna al posto di Blanco?

Uguale! Cosa facciamo, discriminazione? Per una donna è un palpeggio diverso da un uomo? 

Il politicamente corretto ha colpito anche nella Pro loco di Bollengo, nel torinese, dove l’evento “Miss Lato B” è stato costretto a cambiare in “Miss Sorriso”.

Il culo è meno importante della faccia? È incredibile. Un bel culo è come una bella faccia. 

Una volta si faceva anche “Miss maglietta bagnata”.

Il problema è che chi vuole il politicamente corretto è perché è politicamente scorretto. Maleducatamente scorretto!

Lei è un cultore del culo come Tinto Brass?

Il mio Jesus Jeans era un culo! Anche perché ormai è tutta una messa in scena teatrale, come si vestono i personaggi e come vanno sul palco. Rientra tutto in questo happening. Non erano in classe durante una lezione di etica. Se fosse stata una ragazza che in classe mette la mano sul ca**o al professore, allora sarebbe stato diverso, ma Blanco canta canzoni provocatorie sul sesso, cosa vuoi dirgli? Il problema delle femministe è essere femmine. Non donne, femmine. 

Cosa intende?

Essere femminista è uno sbaglio. Non sono “donniste”, ma femministe. Il loro problema è non sentirsi esseri umani, ma femmine. È nella loro radice, le conosco da 60 anni. Hanno iniziato le donne della mia generazione queste cazzate. Non tutte, alcune utili per una giustizia umana, altre sono delle fanatiche che hanno il problema anche di essere brutte esteticamente. 

Ma come brutte?

Sì, perché non si vogliono bene, non si piacciono. E quindi combattono la loro acquisita bruttezza

Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" l'11 maggio 2022.

«Mi hanno presa per un braccio, strattonata, insultata con sconcezze irriferibili... Erano in tre, tre alpini. È successo sabato pomeriggio tra la folla... Sono riuscita a divincolarmi in qualche modo e a scappare». Ancora sotto choc, lo ha raccontato ai carabinieri di Rimini una 26enne che, ieri, accompagnata dal suo avvocato, ha presentato una denuncia.

È la prima, sporta per molestie contro ignoti, arrivata alle forze dell'ordine dopo che domenica, nella cittadina romagnola, si è concluso il raduno nazionale delle «penne nere» contrassegnato da fischi, offese e palpeggiamenti che alcuni avrebbero indirizzato a donne e ragazze a spasso tra i viali oppure al lavoro nei bar, ristoranti, alberghi e negozi. 

Altri esposti sono attesi nelle prossime ore. In mattinata le attiviste e i legali di «Casa Madiba» e «Non Una di Meno-Rimini» che hanno raccolto le segnalazioni si riuniranno per preparare il dossier da portare in Questura.

Conterrà «almeno due o tre denunce circostanziate» spiega Alice, una delle militanti.

Ma ci saranno anche gli estremi dei circa 200 «terribili racconti», giunti agli account social delle due associazioni che già nei giorni scorsi avevano preparato un questionario online per chiedere di eventuali molestie al raduno.

Una delle testimonianze è quella di Federica, di Cattolica, commessa a Misano. Sabato sera era a Rimini con due amiche e il fidanzato di una loro, tutti diciannovenni. Già dopo aver parcheggiato l'auto «abbiamo capito - racconta al Corriere - che l'atmosfera, con tutti quegli alpini che affollavano il lungomare, era terribile». Insulti, sconcezze, «persino una bestemmia urlata a squarciagola» quando «uno di quei vecchi, non lo definirei diversamente, si è avvicinato squadrandoci come se non avesse mai visto una donna». Il quartetto si è fatto largo «tra i palpeggiamenti delle penne nere», «molti già ubriachi, parevano senza controllo», raggiungendo infine una piadineria.

«Accanto al nostro tavolo c'era una dozzina di alpini, tutti sopra i cinquant' anni. Ci guardavano con la bava alla bocca. Hanno chiesto di unirci "per una birra assieme".

Abbiamo detto no, loro hanno insistito. Al nostro ennesimo rifiuto, in quattro si sono alzati, sollevando la panchina e trascinandola verso di loro. Ridevano come fosse un gioco normale. Ero terrorizzata... Abbiamo gridato e ci hanno lasciato in pace ma solo dopo averci rivolto queste parole: "Voi tre donne dovreste fare più sesso"». Il ritorno all'auto è stato un «altro incubo: un settantenne si è avvicinato per dirmi che avevo "bellissime gambe" mimando poi un gesto osceno"». 

Intanto altri gruppi «cercavano di bloccarci e se siamo riusciti a proseguire è stato solo perche il compagno della mia amica ci ha protette sgomitando». In tanti orinavano sul lungomare e quando, infine, «ho riposto la mia borsetta nel bagagliaio, uno mi ha gridato un'altra frase volgare».

Non diverso il racconto di Golshan 33 anni, iraniana laureata a Bologna e un impiego a Rimini nel settore del commercio. «Sabato sera stavo andando al lavoro a piedi, mangiando un gelato. A un tratto - è il racconto - uno di questi alpini si è avvicinato facendomi cadere il cono. Un uomo accanto a lui ha fatto una smorfia disgustosa con la lingua... Pochi metri più avanti un altro gruppetto ha cercato di bloccarmi. Per liberarmi mi sono messa a correre». 

Una testimonianza che finirà nel dossier delle femministe di Rimini al pari di quella di Raffaela, diciottenne bolognese arrivata in Riviera sabato in treno assieme a un'amica e al fidanzato. Anche lei apostrofata, infastidita, circondata. Il momento peggiore è stato al ritorno quando «un alpino mi ha seguita, avvicinandosi d'improvviso. Non so che intenzioni avesse: ma so che per fermarlo è intervenuto il mio amico, preso a pugni. Fortunatamente dei poliziotti nelle vicinanze sono intervenuti, fermando l'aggressione. Ho chiesto perché non avessero arrestato quel violento. Mi hanno risposto che dovevo essere io a denunciarlo».

Riccardo Bruno per il "Corriere della Sera" l'11 maggio 2022.  

L'Adunata degli Alpini si lascia dietro una coda di polemiche e ora anche di denunce. Dopo la sfilata delle novantamila penne nere (ma si stima che in 400 mila, compresi familiari e accompagnatori, abbiano partecipato alla 4 giorni di Rimini), crescono le testimonianze di donne che dicono di essere state molestate. E ieri una 26enne si è presentata dai carabinieri raccontando di essere stata aggredita da tre uomini sabato scorso. Alla vigilia dell'evento clou di domenica, il gruppo locale femminista di «Non una di meno» aveva raccolto i racconti di decine di ragazze e invitato anche altre a farsi avanti. Adesso il numero sfiorerebbe i duecento casi. 

«Ci stiamo attivando tramite i nostri avvocati per accompagnare in questura chiunque ne faccia richiesta» annunciano dall'associazione che chiede anche che «queste adunate non si ripetano mai più in nessuna città».

Ieri è intervenuto anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Netto il suo commento: «I comportamenti raccontati sono gravissimi.

Non ci deve essere nessuna tolleranza. Episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti, ma che non possono e non devono essere sottovalutati. Episodi, voglio ribadirlo con forza, che sarebbero all'opposto dei valori degli Alpini e di una manifestazione che è celebrazione di solidarietà, principi e bellissime tradizioni». 

L'Ana, l'Associazione nazionale che raccoglie le penne nere in congedo e che organizza l'Adunata, continua a minimizzare, ma ieri (prima che si sapesse del primo esposto contro ignoti) aveva fatto un passo in più: «A noi non risulta alcuna denuncia, ma se saranno formalizzate e saranno coinvolti appartenenti della nostra associazione allora siamo pronti a prendere provvedimenti». Non è la prima volta che gli alpini vengono accusati di comportamenti scorretti durante la loro kermesse. Era successo a Milano nel 2019 e a Trento l'anno prima, quando sempre il gruppo locale di «Non una di meno» aveva raccolto diverse segnalazioni, tra cui persino un concorso per eleggere «Miss alpina bagnata» (servendosi della birra).

La stessa Ana, prima dell'appuntamento, evidentemente temendo i rischi, aveva diffuso un decalogo nel quale si invitava tutti al «rispetto per il gentil sesso». Le giornate di Rimini innescano anche uno scontro politico. Salvini (Lega): «Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi, ma giù le mani dalla storia, dal passato e dal futuro degli Alpini». Lo attacca Boldrini (Pd): «Ma verso gli stupratori e i molestatori (immigrati), non bisognava avere #tolleranzazero ». Anche Meloni (FdI) puntualizza: «Sia fatta luce ma non generalizzare».

Non scontata la posizione delle donne del Pd riminese: «Intendiamo dissociarci da toni accusatori, tesi a incrementare un clima di polemica generalista e qualunquista, che getta un inaccettabile discredito verso un Corpo dal valore riconosciuto e indiscusso del nostro Esercito».

Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera” il 12 maggio 2022.  

Presidente, adesso le denunce sono state presentate.

«Adesso ci sono fatti concreti. E mi consenta innanzitutto di chiedere scusa a chi ha subito le molestie. Faremo di tutto, insieme alle forze dell'ordine, per individuare i responsabili. E se sono appartenenti alla nostra associazione, prenderemo provvedimenti molto forti».

Sebastiano Favero, ingegnere, 73 anni, è il presidente dell'Associazione nazionale alpini, 340 mila soci, che ogni anno organizza la sua Adunata. Durante l'ultima, a Rimini, decine di donne hanno lamentato comportamenti inappropriati, a volte vere e proprie aggressioni. «Sono episodi molto gravi, che noi abbiamo condannato fin dall'inizio - continua Favero - Hanno sicuramente creato malessere in chi li ha subiti, ma hanno anche provocato un danno d'immagine alla nostra organizzazione. Stiamo valutando con i nostri legali come tutelarci qualora vengano trovati gli autori».

Vi sentite anche voi delle vittime?

«Quello che mi dispiace è che, per colpa di quelli che definirei degli imbecilli, è stata coinvolta un'associazione che nella sua lunga storia si è guadagnata rispetto per la serietà e l'impegno mostrati. Si è generalizzato, facendo passare tutta la realtà alpina, anche quella degli alpini in armi, per qualcosa di diverso da ciò che è». 

Non ritiene che alla base di certi comportamenti ci sia un problema culturale?

«Può anche essere. E una volta che le cose si saranno chiarite, faremo al nostro interno le necessarie valutazioni. Certi atteggiamenti non sono più accettabili né tollerabili».

Molestie e polemiche. Molestie all’adunata degli Alpini, decine di denunce ma l’associazione ridimensiona: “Ci sono infiltrati”. Redazione su Il Riformista il 9 Maggio 2022. 

Centocinquanta testimonianze di violenze, oscenità, catcalling, insulti. È il bilancio, secondo il collettivo femminista ‘Non una di meno’ di Rimini, della quattro giorni della 93esima adunata nazionale degli Alpini, terminata lo scorso week end nella città della riviera e a San Marino.

Se infatti per il sindaco Jamil Sadegholvaad l’evento, che ha invaso di 400mila persone la città, con 80mila soltanto domenica per la sfilata di chiusura, è stato “una sfida vinta”, la pensano in altro modo le donne che hanno denunciato i comportamenti aggressivi e vessatori degli stessi alpini.

“Ieri sera mentre andavo in bici mi hanno fermata cercando di farmi entrare in un capannone, io sono scappata pedalando più veloce”, ha raccontato una donna in una delle molte testimonianze raccolte dal movimento femminista. “Faccio la cameriera e tra ieri e oggi è stato surreale il livello di molestie che ho dovuto sopportare. Gente che allunga le mani, cerca di darti baci sulla guancia dopo averti tolto di forza la mascherina, continui apprezzamenti che passano dal “sei bella” a chiederti che intimo indossi, se lo indossi”, ha detto un’altra ragazza, stando alle testimonianze riportata dal collettivo femminista. 

Altri racconti rivelano come in città siano stati distribuiti biglietti da visita per strada sui quali, oltre a un numero di cellulare, c’era scritto: “Se ti senti sola ed annoiata chiama un Alpino dell’Adunata…”.

Per Chiara Bellini, il vicesindaco di Rimini, “non si deve accusare mai un gruppo o una categoria di persone solo perché fanno parte di essi alcuni poco di buono, delinquenti o molestatori. Sarebbe come dire che tutti i tifosi di calcio siano degli ultras violenti”. Bellini quindi sottolinea che “vanno condannati senza se e senza ma certi atteggiamenti sessisti, molestie verbali, commenti non voluti o graditi alle donne. Nessun uomo è autorizzato a farli, con o senza cappello con la piuma. È bene, tuttavia, che i rappresentanti dei gruppi alpini monitorino il comportamento dei loro appartenenti e che diano segnali chiari. Per questo ho chiamato l’organizzazione e fatto presente le segnalazioni di alcune donne”.

Polemiche e tam tam sui social che costringe quindi l’ANA, l’Associazione nazionale alpini, a intervenire prendendo “ovviamente le distanze dai comportamenti incivili segnalati, che certo non appartengono a tradizioni e valori che da sempre custodisce e porta avanti”. Ma l’ANA sottolinea anche che non risulterebbe alcuna denuncia presentata alle forze dell’ordine e che la grandissima maggioranza dei soci dell’Ana, a causa della sospensione della leva nel 2004, oggi ha almeno 38 anni: dunque persone molto più giovani difficilmente sono autentici alpini.

Il presidente dell’Associazione, Sebastiano Favero, ha poi ‘ridimensionato’ le accuse e in una intervista a Il Resto del Carlino parla di “allegria e un po’ di goliardia” e che vi sarebbero “gruppi di infiltrati”, giovani, “che comprano un cappello finto e si mescolano tra noi per fare baldoria”.

Quanto accaduto a Rimini non è però una novità. Già nel 2018 a Trento, all’epoca sede dell’adunata nazionale, per gli stessi motivi l’ANA fu costretta a prendere posizione dopo l’emergere di numerose testimonianze di violenze verbali e fisiche. E probabilmente non è un caso se sul sito dell’ANA si possa trovare anche un decalogo dell’adunata dove viene definita “l’ubriachezza uno dei peggiori vizi dell’uomo” e dove si richiama al “rispetto per il gentil sesso” per non trasformare l’adunata in un baccanale.

(ANSA il 10 maggio 2022) - - "I comportamenti raccontati da alcune donne sono gravissimi. Episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti, ma che non possono e non devono essere sottovalutati. Episodi, voglio ribadirlo con forza, che sarebbero all'opposto dei valori degli Alpini e di una manifestazione che è celebrazione di solidarietà, principi e bellissime tradizioni". Così il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sui casi di violenza denunciati in occasione del raduno di Rimini. "È sbagliato - aggiunge - fare generalizzazioni, ma allo stesso tempo non ci deve essere nessuna tolleranza: le molestie e le violenze non devono mai e in nessun caso trovare alcuna giustificazione e vanno condannate senza esitazioni"

Da ansa.it il 10 maggio 2022.

Sono centinaia, e continuano ad aumentare, le denunce di molestie raccolte a Rimini da Non una di meno, andate in scena nel corso del fine settimana a Rimini, quando c'è stata l'adunata nazionale degli alpini. 

L'associazione femminista ha infatti invitato le persone che hanno subito molestie a raccontare la propria esperienza e in molte, soprattutto giovani donne, molte dei quali lavoratrici nel settore del turismo, lo hanno fatto. 

Stasera a Rimini ci sarà un'assemblea, definita dagli organizzatori una 'contro adunata'. 

"Abbiamo iniziato a raccogliere e condividere le loro testimonianze e la risposta é stata altissima - scrive Non una di meno - tanto quanto sconvolgente per il numero e l'intensità delle molestie ricevute.

Fischi, cat-calling, minacce e vere e proprie molestie hanno colpito diverse persone colpevoli solo di voler vivere la propria città. 

Molestie mascherate da goliardia e tradizione che in realtà sono figlie di una cultura patriarcale che vuole donne, persone trans e gender non conforming assoggettate al potere e alla paura, al ricatto e alle minacce in caso di rifiuto".

Chiara Baldi per “la Stampa” il 10 maggio 2022.

Il sabato pomeriggio con l'amica, gli stand in piazzale Kennedy, la musica alta, il ballo: poi, a un certo punto, il braccio che viene strattonato, Adriana che non capisce chi sia e nell'arco di qualche minuto si ritrova in mezzo a un cerchio di 8-10 uomini, tutti over 50, con la "divisa" e la penna nera. 

La mettono davanti a un signore con i capelli canuti, lui le scosta il giubbino di pelle dalla spalla, glielo apre sul seno, glielo sfiora. 

Lei gela. L'amico, un altro signore di mezza età, le dice «sai, lui è un chirurgo plastico, se vuoi ti dà una sistemata». Adriana ha 27 anni e sabato era con un'amica a Rimini, voleva godersi un pomeriggio di relax e spensieratezza, il primo dopo oltre due anni di pandemia: c'erano gli Alpini che nella città romagnola hanno festeggiato, per tre giorni, il loro 93° anniversario.

Per poco più di 72 ore di festeggiamenti l'associazione transfemminista Non Una Di Meno Rimini, che ieri sera ha convocato una "controAdunata" con decine di persone per valutare la possibilità di una denuncia collettiva alle autorità, ha raccolto tra le 150 e le 170 testimonianze: sono arrivate via social, via messaggio, molte anonime. Nessuna, a ieri, alle autorità.

In tante, però, ci hanno messo la faccia. Come Adriana, appunto, che ancora non ci crede, ha quasi vergogna a parlarne: «Ho urlato "come vi permettete", ho detto "basta", ma non è servito a nulla. Nessuno è intervenuto, salvo la mia amica, e loro hanno soltanto riso. Mi sono sentita umiliata, come se fossi una sorta di prodotto su uno scaffale al supermercato, come se fossi un oggetto. Sicuramente non mi hanno fatta sentire una persona: mi hanno tolto il diritto di dare il mio consenso e anche quando ho detto "no" l'hanno ignorato». 

Interno giorno, hotel sul mare. Azzurra fa la receptionist, ha 34 anni. Sabato riceve una chiamata al fisso, le chiedono una stanza alle 15 per un gruppo di alpini, vogliono fare una doccia. 

Lei organizza. Poi loro arrivano in ritardo, lei sta quasi per staccare. Ma li aspetta.

«Per fortuna non ero sola, c'era il mio collega, un ragazzo di 26 anni. Se non ci fosse stato lui non so come sarebbe finita», ci racconta due giorni dopo.

Arrivano in dodici, sono già ubriachi «ma non è un'attenuante, anzi», la spingono in un angolo, lei finisce dietro il bancone. Uno di loro la punta con le mani, le intimano: «Vieni a fare la doccia con noi». Interviene il collega, Azzurra va a casa. Ma il giorno dopo gli Alpini - altri Alpini - tornano: festeggiano la fine dell'Adunata proprio nell'hotel in cui la ragazza lavora da sei anni. «Ero fuori a fumare una sigaretta, d'un tratto uno degli ospiti, senza che io quasi lo vedessi, mi viene di fronte e mi mette il cappello in testa. 

Poi mi dà un bacio sulla guancia destro e un altro sulla sinistra. Lo conoscevo? No. Gliel'ho chiesto? Nemmeno. Ma dato che era una Penna Nera si sentiva in diritto di dovermi comunque stampare due baci». 

Altra scena, enoteca del cento di Rimini. Amina, 27 anni, italo-somala. «Non solo mi hanno detto frasi imbarazzanti del tipo "mi sono innamorato di te" oppure "che sport fai per avere questo bel culo?", ma visto che sono mezza nera mi hanno dedicato un saluto fascista». 

Qualche centinaio di metri più in là, altro bar centralissimo. Ci lavora anche Francesca, che ha 24 anni. «Mentre servivo all'esterno un signore sui 70 anni mi ha tirato a sé con una tale forza da farmi atterrare sulle sue ginocchia. Non ho detto nulla perché il bar era così pieno che non volevo creare problemi. Ma mi ha fatto schifo e non è stato neppure l'unico episodio».

Altri le hanno rivolto attenzioni non desiderate: «Che begli occhi», le ha detto uno. Che poi ha approfittato di un momento con la mascherina abbassata per provare a baciarla. A Raffaela, 19 anni, di Bologna non è andata tanto meglio. «Se non ci fosse stato il mio amico non so come sarebbe finita. Già così è andata che la polizia ci ha chiesto i documenti e anche "accusato" di aver scatenato una rissa. La verità è che io e i miei due amici eravamo a Rimini per fare un giro e a un certo punto mi sono ritrovata a essere seguita da quest' uomo che non mi dava tregua. Allora il mio amico mi ha protetta mettendosi alle mie spalle.

Solo che poi si sono spintonati e alla quarta volante della polizia che passava, si sono fermati. E ci hanno chiesto i documenti». E ancora: Marta - la chiameremo così, perché lavora in una delle istituzioni che ha finanziato l'Adunata - ha 43 anni e le sue molestie sono avvenute una mattina al bar mentre faceva colazione. «Erano in tre, mi hanno accerchiata e strattonata per la giacca, volevano andassi a bere con loro. Mi sono ribellata, mi hanno toccato la pancia, ho perso la testa: nessuno deve permettersi di toccarmi senza il mio consenso». 

Episodi in cui nessuno è intervenuto a interrompere le molestie. Come tre anni fa a Milano, al 90° dalla fondazione degli Alpini, quando decine di ragazze e donne vennero toccate e abusate verbalmente. «È goliardia», «sono clienti, dai, devi assecondarli», «cosa vuoi che sia, succede a tutte» le frasi - insopportabili - più ripetute. Tutte pronunciate da uomini. Tutte pronunciate da chi avrebbe potuto alzare la voce, sbattere fuori i clienti inopportuni e chiamare le forze dell'ordine. «Non c'è assenso senza consenso».

Chiara Baldi per “la Stampa” il 12 maggio 2022.

Un profluvio di firme digitali arrivate in neanche 24 ore, al ritmo di più di 600 ogni minuto per un totale - non ancora definitivo - di oltre 14 mila. L'obiettivo è semplice e chiaro: chiedere di «sospendere per due anni le adunate degli Alpini in modo tale da dare un chiaro segnale». 

Perché - spiegano i promotori della petizione lanciata martedì sera sulla piattaforma online Change.org - «non siamo più disposti come cittadini ad accettare un comportamento simile, svilente per tutte le donne e le minoranze. Vogliamo sentirci liberi di occupare la città senza sentirci minacciati e in pericolo. È necessario che il Consiglio degli Alpini prenda dei seri provvedimenti, soprattutto in materia di rieducazione riguardo ai diritti umani: le scuse (che peraltro dall'Ana non sono mai arrivate, ndr) non sono più sufficienti».

Insorge il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che si dice pronto a ospitare «nuovamente e il prima possibile» una nuova adunata, che lui definisce una «festa di civiltà» (festa che ha interessato anche le casse della città, provata da oltre due anni di pandemia, visto che i 520 mila ospiti della tre giorni hanno creato un indotto stimato in 168 milioni di euro, secondo l'osservatorio turistico di Unioncamere Emilia Romagna).

L'incontro con i legali Sul fronte delle ragazze, nel pomeriggio di ieri le attiviste di Non Una Di Meno Rimini e del centro sociale Casa Madiba, che per prime hanno supportato le 200 ragazze destinatarie di molestie, hanno incontrato - con qualche vittima - gli avvocati che potranno affiancarle nelle eventuali denunce: nelle prossime ore, infatti, potrebbero arrivare nuove querele contro ignoti con l'accusa di molestia sessuale.

La prima arrivata sul tavolo dei carabinieri riminesi è stata depositata due giorni fa da una 26enne che tre uomini avevano tentato di spogliare per toccarle il seno: gli inquirenti hanno già sentito la testimonianza dell'amica, che la accompagnava sabato quando è avvenuta la molestia. (…)

Chiara Baldi per “La Stampa” il 13 maggio 2022.

Si è dimessa Sonia Alvisi, la coordinatrice delle donne dem di Rimini, finita nella bufera per la posizione nelle molestie al raduno degli Alpini. 

«Visto che le argomentazioni da me espresse hanno destato un forte dibattito che può mettere in dubbio la serietà del mio impegno, ma soprattutto la forza delle donne democratiche a servizio della libertà delle donne, faccio un passo indietro per consentire le riflessioni necessarie», ha scritto in una nota che ha avuto l'approvazione della Conferenza nazionale delle donne democratiche. 

Alvisi aveva non solo rilasciato un'intervista a La Stampa in cui sottolineava l'importanza della denuncia formale per «essere più credibili», ma aveva anche scritto una nota di solidarietà agli Alpini. 

Nel frattempo, sono arrivate a 500 le segnalazioni, con oltre 160 racconti fatti e raccolti dall'associazione transfemminista Non Una Di Meno. Una, ad oggi, la denuncia formale presentata ai carabinieri della città romagnola mentre un'altra segnalazione - che potrebbe trasformarsi presto in querela - è arrivata un paio di giorni fa sull'app YouPol della polizia di Stato da parte di una 40enne. Non Una Di Meno ha stilato un decalogo per segnalare «foto, video, messaggi o chiamate di Whatsapp, storie di Instagram, post di Facebook, fatti che aiutino a ricordare e che possano essere visualizzati e utilizzati come prove». L'obiettivo è presentare un esposto collettivo nei prossimi giorni. 

Le polemiche non si placano. La ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, commentando la petizione su Change.org - che ha raggiunto le 18 mila firme e chiede la sospensione di due anni dell'adunata - ha detto: «Bisogna che si svolgano nel pieno rispetto. È chiaro che non è il raduno in sé il problema, ma il fatto che durante sia accaduto qualcosa di grave e lesivo della dignità delle donne». Le fa eco la presidente del Pd alla Camera Debora Serracchiani, ex presidente del Friuli che nel 2024, a Udine, ospiterà la 94ª adunata: «Sospendere il raduno sarebbe come arrendersi a un pugno di violenti».

Duro il presidente della Camera Roberto Fico, secondo cui «quanto successo è inaccettabile: siamo un Paese ancora troppo e fortemente maschilista». Parole sconcertanti arrivano invece dall'assessora alle Pari opportunità del Veneto, Elena Donazzan di Fratelli d'Italia, che oltre a essere «quasi certa che non si tratti degli alpini», elargisce lezioni di galateo della molestia: «Se uno mi fa un sorriso e mi fischia dietro io sono pure contenta».

Intanto è stata fissata per il 31 maggio l'udienza, in Corte d'Appello a L'Aquila, di due uomini accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una minorenne all'88ª adunata degli Alpini del 2015. I due, all'epoca 35enni, avrebbero approfittato della minore conducendola in un luogo isolato. Simona Giannangeli, legale della vittima, ha sottolineato che «è importante denunciare». In primo grado gli imputati, di origine emiliana, sono stati condannati a quattro anni di carcere.

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 12 maggio 2022.

«Sabato notte qualche avance l'ho ricevuta anche io, del tipo: "Sono innamorato di te, dai bella, vieni con me". Saranno state le tre di notte quando un ragazzo mi si è avvicinato tentando l'approccio. Io ero con tre amici che mi hanno detto: "Se vuoi interveniamo". Ma non ce n'è stato bisogno, l'ho messo a posto io. 

Diciamo che è stata una molestia gentile. C'era una folla immensa e un clima di euforia e di festa. Io di molestie pesanti non ne ho viste, ma se altre donne ne hanno ricevute hanno fatto bene a denunciarle. Gli eccessi sono da condannare e da punire, anche se arrivassero da veri alpini, cosa di cui però dubito. Anche perché, ormai da anni, in queste occasioni gli alpini veri sono sempre di meno». 

Linda Peli, bresciana, 35 anni, è stata una delle prime donne, nel 2005, a indossare la divisa da alpino. E di adunate ne ha fatte ben 16. Anche quella di Rimini dove è arrivata in bicicletta, con il cappello da alpino sulle spalle. 

Linda, ci sono più di 150 racconti di ragazze molestate. Perché dubita che gli autori possano essere alpini?

«Perché ho il loro Dna nel sangue. Mio padre era alpino, io sono stata tra le prime cinque donne ad arruolarsi e dico che l'alpino ha dentro di sé il corteggiamento. Io, donna che ha sempre vissuto tra gli alpini, ho ricevuto serenate, poesie, decine di inviti a ballare. Ma mai ho subìto comportamenti fastidiosi e offensivi.

Certo, l'atteggiamento di cameratismo c'è ed è innegabile che l'ambiente di questi raduni sia decisamente maschile, ma io - anche quando ero in caserma a Merano o in missione in Kosovo - non ho mai subìto angherie. Anzi, i marescialli mi aprivano la porta» 

A Rimini, però, di serenate non se ne sono sentite. E centinaia di ragazze hanno raccontato di essere state palpate, apostrofate con parole inaccettabili. Lei era lì, non si è accorta di nulla?

«Se fossi stata testimone di comportamenti di questo genere sarei intervenuta per prima. A queste donne va tutta la mia solidarietà e il plauso per la denuncia, mi rendo anche conto che magari ragazze molto giovani o che stavano lavorando nei bar e nei ristoranti, e dunque impossibilitate ad allontanarsi, possono essersi sentite a disagio se sono state fatte oggetto di questo tipo di comportamenti.

Che non devono mai più ripetersi. Per questo credo che, visti gli eventi, occorra intervenire subito, al di là dell'inchiesta che accerterà eventuali responsabilità personali. Per evitare che si ripetano e per evitare di infangare il corpo degli alpini, che è ben altro e incarna i valori della comunità, della solidarietà, dell'amicizia. Gli alpini ci sono sempre e comunque per tutti, sono un pilastro della nostra società». 

Intervenire come?

«Accertare se ci sono mele marce ed eventualmente prendere seri provvedimenti, prevedere servizi d'ordine più efficaci e, soprattutto, nuove regole sul nostro cappello».

Cioè, cosa vuole farne del cappello?

«Oggi è troppo facile acquistare un cappello e una camicia da alpino su una qualsiasi bancarella. In queste adunate - come dicevo - gli alpini veri sono sempre di meno e i simpatizzanti (che vanno benissimo, per carità) e i curiosi che vengono a festeggiare, sono sempre di più. Il cappello devono indossarlo solo gli alpini veri perché adesso non si capisce più chi è vero alpino e chi no». 

Quello che è successo a Rimini non è stato un fatto isolato. Episodi del genere erano stati denunciati anche a Trento e Milano. Se lei avesse ricevuto avance del genere avrebbe reagito?

 «Ma certo, io sono un'alpina ma sono innanzitutto una donna e sicuramente se io fossi stata vittima non avrei tollerato. Bisogna rendersi conto del contesto estremamente maschile e goliardico di queste serate. La differenza è che oggi, ed è giusto, le donne non sono più disposte a tollerare atteggiamenti irrispettosi».

 Da alpina cosa si sente dire alle donne di Rimini che hanno denunciato?

«Che capisco e che mi dispiace enormemente. Per una donna è offensivo essere trattata così. Ma mi dispiace davvero sentire queste accuse generalizzate, mi piange il cuore pensando a tutti gli alpini veri e alla straordinaria bellezza dei loro valori. Che l'Italia tutta riconosce e ama. E spero che sia ancora così, per questo bisogna fare in modo che non succeda mai più».

SALVINI E GLI ALTRI. La cultura dell’abuso che giustifica le molestie degli Alpini a Rimini.

07/05/2022 Rimini 93° Adunata Nazionale Alpini che, come da consuetudine, hanno invaso la cittadina romagnola provenienti da ogni regione d' Italia. Il culmine della manifestazione sarà domenica 8 Maggio con “l' ammassamento” sul lungomare di Rimini e la sfilata alla presenza delle massime autorità. nella foto un gruppetto di alpini tra musica, canti e bevute. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 10 maggio 2022.

Anche dieci, venti, trent’anni fa orde di uomini in branco, in divisa, convinti di poter contare sull’impunità hanno approfittato della gita fuori porta per intimorire, assalire, molestare donne, comprese ragazze minorenni e donne incinte.

E lo hanno fatto convinti che mai nessuno avrebbe presentato il conto, perché alla fine gli alpini sono eroi, chi mai metterebbe in dubbio il loro valore?

Ma, soprattutto, l’hanno fatto sapendo che anche in caso di qualche guaio, c’è sempre un superiore pronto a confondere la verità.

«Viva gli Alpini, più forti di tutto e di tutti!». Così ha scritto Matteo Salvini commentando le inquietanti testimonianze di centinaia di ragazze sull’accaduto all'adunata nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini che si è svolta nel fine settimana a Rimini e San Marino.

Così, senza un ulteriore commento, una spiegazione, un approfondimento quantomeno necessari, visto che le accuse erano di molestie e abusi subiti dai militari presenti. Un messaggio chiaro, come a dire “che esagerazione” o “che lagna”, «che bugiarde” e “che saranno mai un paio di molestie!».

A leggere i numerosi commenti dei suoi follower, la minimizzazione dell’accaduto ha funzionato. Ecco qualche perla dalla sua bacheca: «Povere cretine penose acide e tristi. A Genova durante il raduno ne ho incontrati a centinaia. Simpatici educati e rispettosissimi. Siete delle povere frustrate squallide!».

«Ad ogni raduno che mio marito ha fatto al ritorno m’ha sempre detto dello schifo di donne che c’erano... nel senso che certe donne aspettano il raduno x rimorchiare e essere importanti.. nessuna lamentela a raduno finito».  

«Andando avanti di questo passo le donne si faranno i complimenti da sole...non ci sarà più un uomo che le guardi.. povero mondo di lgbt e gay e lesbiche!!!».  «Vogliono sputtanare anche gli alpini…commenti sinistri pidioti!».

«Sono vecchio ma non capisco alcune donne che vogliono tutti gli uomini gay. Io ero sabato a Rimini, alcuni alle 10 erano già alticci e facevano battute sulle donne ma non erano offensive e nessuna delle signore nel bus ha protestato! Buona 93esima adunata!».

Commenti dello stesso tenore si trovano in coda a tutti gli articoli che riportano le testimonianze di molestie e abusi subiti, testimonianze dettagliate, orribili e riferite all’ultima adunata ma anche ad adunate lontane nel tempo, ad episodi accaduti perfino più di 30 anni fa, eppure terribilmente simili ai fatti di Rimini e San Marino.

SOLTANTO A RIMINI? NO

A quanto pare, infatti, nelle diverse città in cui si è svolto l’evento negli anni si sono registrati puntualmente episodi di molestie fisiche e verbali quali catcalling, palpeggiamenti, insulti sessisti, inseguimenti, proposte oscene, richieste di sesso a pagamento, accerchiamenti e perfino vere e proprie violenze, oltre che incuria e mancanza di senso civico nei confronti delle città ospitanti.

Patrizia mi ha raccontato: «Nel 2011 a Torino fui letteralmente caricata su una camionetta, sono partiti e hanno iniziato a leccarmi la schiena, neppure gli animali. Dopo qualche centinaio di metri, dopo che mi sono messa ad urlare, mi hanno fatta scendere. Era il 2011, il mio ragazzo rimasto a terra era senza parole».

Cristiano: «Era il 2018, a Trento. Fu molestata mia moglie, mi diedero del terrone perché la difendevo. Scrissi una mail all’associazione alpini». E poi: «Abito a Rimini, ho visto tutto. Sono stata molestata già dal venerdì, col mio ragazzo eravamo sconvolti dall’atteggiamento predatorio che avevano con le ragazze. Una mia amica è stata palpata, i nostri fidanzati ci chiedevano di stargli vicino».

«Era il 1999, a Cremona. Avevo 14 anni, salii su un carretto con mia madre e mia sorella e un alpino mi mise la mano sotto al sedere, non me lo scordo».

«Era il 2009 a Latina, mia figlia aveva 15 anni e tornò a casa turbata perché un alpino l’aveva invitata ad andare in tenda con lui dicendo “Vieni dentro, ti mando via felice”». «A Milano gli alpini mi hanno alzato la gonna, un’umiliazione». «A Brescia più di 20 anni fa gli alpini mi saltarono sopra la jeep, ero terrorizzata. Mimavano oscenità ai finestrini. Avevo 20 anni».

«Nel maggio 2019 ero a Milano con mia figlia di 5 mesi nel marsupio, due alpini ubriachi mi tirano per un braccio, fanno commenti sul fare la poppata…Erano le 11 del mattino in pieno centro».

«A Bergamo lavoravo in un bar, durante l’adunata alpini anziani mi hanno perfino offerto soldi per fare sesso, un’altra sera ero con delle amiche nella Panda e un gruppo di alpini ci ha circondate, facevano ondeggiare la vettura. Non ti dico il terrore che abbiamo provato». «Molestarono una mia amichetta, aveva 13 anni».

Potrei andare avanti ancora molto, perché i messaggi che sono arrivati sulle mie pagine social sono tantissimi e perfettamente in linea con quelli postati in questi giorni dal collettivo Non una di meno, ma allargano il problema e rendono evidente un tema: il raduno degli alpini è sempre stato questo. O meglio, anche questo.

TUTTO È LECITO AGLI ALPINI?

Anche dieci, venti, trent’anni fa orde di uomini in branco, in divisa, convinti di poter contare sull’impunità hanno approfittato della gita fuori porta per intimorire, assalire, molestare donne, comprese ragazze minorenni e donne incinte.

E lo hanno fatto convinti che mai nessuno avrebbe presentato il conto, perché alla fine gli alpini sono eroi, chi mai metterebbe in dubbio il loro valore?

Chi mai si lamenterebbe per una mano sul sedere o per una città lasciata come una latrina, se il colpevole è l’eroe con la piuma in testa?

Ma, soprattutto, l’hanno fatto sapendo che anche in caso di qualche guaio, c’è sempre un superiore pronto a confondere la verità.

La lettera del presidente dell’Ana (Associazione nazionale alpini) Sebastiano Favero spiega bene la situazione: afferma che non vi è stata alcuna denuncia, che quando si concentrano in un luogo migliaia di persone «è quasi fisiologico che si possano verificare episodi di maleducazione, che alcuni comprano cappelli da alpino alle bancarelle e si fingono tali».

Insomma, siccome le ragazze non hanno sporto denuncia non è vero, le molestie sono fisiologiche e comunque una mano sul culo è maleducazione, ma soprattuto è pieno di gente che ama travestirsi da alpino, tipo cosplayer. 

LA LOGICA DELLA DIVISA

Una cosa vera, però, la dice: quell’abitudine alle molestie, nel branco, è ancora fisiologica, purtroppo. Il presidente pensa di fare un’affermazione che attenui il problema e invece accende esattamente la luce sul problema. Che è il ritenere normale, goliardico, cameratesco quel clima predatorio.

Un clima in cui le divise giocano il loro ruolo preciso, perché di fronte a una divisa ci si sente pure in una posizione di sudditanza e la vergogna, la paura, l’umiliazione sono pure doppie. E se tutto questo è legittimo, se tutto questo va bene perché sono solo degli uomini in divisa un po’ alticci che fanno apprezzamenti o allungano una mano, che vuoi che sia, se tutto questo vale perché accade in un giorno di festa, mi domando cosa si sia pronti a legittimare in guerra, vista l’attualità del tema.

E no, non sono affatto discorsi distanti, perché la cultura dello stupro ha radici larghe e profonde, in cui il branco, l’appartenenza a un gruppo, la minimizzazione  o addirittura normalizzazione di questi comportamenti, l’idea che tutto questo sia accettabile e che il problema siano le donne troppo lagnose, troppo femministe, troppo fighe di legno sono esattamente gli elementi che la compongono e la alimentano.

Non a caso, dopo l ‘evviva gli alpini di Matteo Salvini, si sono espressi anche i parlamentari del dipartimento Difesa di Lega Salvini premier, Roberto Paolo Ferrari, Massimo Candura e Stefano Corti: «All’evento erano presenti oltre venti parlamentari della Lega e non ci sono giunte nemmeno lontanamente segnalazioni di questo tipo. Nemmeno una. Detto questo, è evidente che eventuali comportamenti di violenza e molestia, se ci sono stati, vanno condannati e puniti severamente, ma vanno denunciati nelle sedi opportune. Tutto questo non può in alcun modo gettare un’ombra  sul corpo degli alpini. Guai a chi tocca gli alpini. Ancor più se chi lo fa è da ascrivere a quella sub-cultura di sinistra che ha cercato sin da subito di sabotare l’Istituzione di una giornata dedicata alle Penne nere». Capito?

Nessuno ha palpeggiato ragazze in presenza di politici, da non crederci. Nessuna ha denunciato chi nella folla le urlava quale pratica sessuale le avrebbe riservato. Nessuno ha messo una mano sul culo alle ragazze. E se qualcuna, per caso, ha sentito chiaramente una mano sul culo, s’è confusa: non era una mano sinistra. Era una certa subcultura di sinistra. Viva gli alpini!

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Alpini, il precedente dell’Aquila: condanna per gli abusi su una 15enne. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 12 maggio 2022

Sedici e diciassette maggio 2015. Migliaia di alpini e di iscritti all’Associazione nazionale alpini si sono ritrovati a L’Aquila per il raduno nazionale.

Finiti i cerimoniali, il copione è stato simile a quello raccontato in questi giorni dalle tante testimoni vittime di abusi e molestie all’ultima adunata di Rimini.

Una ragazzina di 15 anni venne adescata da due uomini: l’allora ventottenne Davide Ceci, iscritto da dieci anni all’Associazione Nazionale Alpini e il suo coetaneo Smir Belhaj, un venditore ambulante. Sono stati condannati in primo grado.

Sedici e diciassette maggio 2015. Migliaia di alpini e di iscritti all’Associazione nazionale alpini si sono ritrovati a L’Aquila per il raduno nazionale, a ben 26 anni dall’ultimo incontro in Abruzzo (a Pescara nel 1989).

Ore di sfilata, una bandiera lunga 99 metri, la presenza di cariche politiche per accogliere degnamente le penne nere giunte da tutto il paese.

Finiti i cerimoniali però, il copione è stato simile a quello raccontato in questi giorni dalle tante testimoni vittime di abusi e molestie all’ultima adunata di Rimini e -sempre secondo le tante testimonianze- anche negli anni precedenti, già a partire dagli anni Ottanta e chissà quanto prima ancora.

Torniamo all’Aquila, perché quello che è accaduto nel capoluogo abruzzese spiega bene il valore e l’importanza del fiume di testimonianze di questi giorni. 

Era sera, la città pareva letteralmente “invasa” da alpini che festeggiavano.

Secondo i racconti emersi dopo l’adunata di Rimini anche quella de L’Aquila fu caratterizzata da numerosi episodi di molestie verbali e fisiche, e in quel caso la denuncia è arrivata eccome.

Una ragazzina di 15 anni venne adescata da due uomini: l’allora ventottenne Davide Ceci, iscritto da dieci anni all’Associazione Nazionale Alpini e il suo coetaneo Smir Belhaj, un venditore ambulante.

La fecero bere. La condussero in un posto isolato, dove approfittandosi del suo stato di alterazione abusarono di lei entrambi.

Dopo un po’ la ragazza decise di sporgere denuncia, le indagini furono complesse ma alla fine si risalì all’identità dei due uomini. Dopo ben sette anni dall’inizio del processo si deve ancora celebrare l’appello (è previsto alla fine del mese).

Un evento organizzato a Trento nel 2018 durante l'adunata degli alpini

In primo grado, intanto, i due sono stati condannati nel 2019 con rito abbreviato a 4 anni di reclusione col pagamento delle spese processuali e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

L’avvocata Simona Giannangeli, legale della vittima e del centro antiviolenza-Associazione Donatella Tellini che è parte civile nel processo, racconta: «La ragazza era uscita per divertirsi pensando che fosse una serata di festa e ha incontrato queste due persone. Non è riuscita a denunciare subito, piano piano ha elaborato l’accaduto e ha trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine. Le indagini sono state faticose, si è arrivati a identificare i colpevoli perché uno dei due, un po’ di tempo dopo la violenza, l’aveva perfino contattata su Messenger».

Come mai sia trascorso così tanto tempo dall’inizio del processo e non si sia ancora arrivati a una sentenza definitiva? «Il processo è molto lungo, la ragazza è stata perfino risentita in fase di appello e questo mi ha lasciata perplessa. Era stata creduta, ha dovuto ripercorrere tutto il vissuto. Queste dinamiche creano quel circolo di vittimizzazione secondaria che è un’altra violenza, mi preoccupa. Non si dovrebbe essere esposte più volte alla narrazione dei fatti. Spero che la condanna sarà confermata, anche se esigua. Mi chiedo perché si consenta l’accesso a riti speciali per certi tipi di reati. C’è un problema culturale e strutturale in questo paese per cui intorno alla violenza sulle donne c’è un atteggiamento normalizzante. “Fisiologico” ha detto il presidente dell’Ana, disvelandosi».

Le domando se durante il processo sia emerso il clima molesto di queste adunate in cui tutto è lecito nei confronti delle donne, quel clima che è emerso dalle testimonianze di questi giorni: «Certo, è emerso che scorrevano fiumi di alcol, che c’era un clima “allentato”, come se questo fosse il presupposto per tollerare qualsiasi atteggiamento, anche illecito. Ricordo tra l’altro che in quei giorni io stessa andai via dall’Aquila, fu tutto fuori controllo. Ci furono perfino pullman di prostitute arrivati in città».

Le chiedo, infine, cosa abbiano detto gli imputati per difendersi. 

«Si sono difesi come si difendono tutti in questi casi, hanno detto che lei era d’accordo, in un clima di complicità e allegria. E poi il classico: “La ragazza appariva più grande, era seduttiva, vestita in modo provocante, è stata una bella esperienza».

Nulla di nuovo insomma.

«Già nulla. Basta leggere quanto fango si sta gettando sulle ragazze che hanno testimoniato in questi giorni per capire quanto sia normale questa mentalità e quanta strada ci sia ancora da fare per cambiare la mentalità quando si parla di violenza sulle donne».

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

DAGONOTA il 13 maggio 2022.

Scivola sull’Amaca di “Repubblica” il pur ottimo Michele Serra che nel commentare le bravate imperdonabili (pesanti molestie sessuali) degli alpini al raduno di Rimini sostiene che esse andrebbero “dealpinizzate”. Già, secondo lui “il problema non sono gli alpini, sono i maschi”. 

Il pensiero di Serra fin qui fila. Ma fa il suo ragionamento capitola quando aggiunge che in simili affollate manifestazioni “cameratesche” anche trecentomila commercialisti (quelli senza anima?) o i ragionieri (che danno i numeri?) potrebbero, senza consumare grappini, emulare i fanti con la penna nera. Cioè palpare o intimidire le donne. Causa, ovviamente, testosterone impazzito.

A Serra sfugge che a Rimini non era in programma un concerto di Vasco Rossi con spinello al seguito, ma la tradizionale e storica parata del corpo degli Alpini sotto il patrocinio del ministero della Difesa e del Quirinale. Non una gita goliardica o la sagra del capriolo. Bensì un evento ufficiale, amato da sempre dagli italiani. 

Ogni anno le amministrazioni che ospitano, con orgoglio, stima e affetto il raduno delle penne nere, si prodigano nel facilitare l’ospitalità ai vecchi e nuovi soldati delle montagne oggi impegnati anche in pericolose missioni di pace. Allora, non si possono tollerare sfilate (o trovare alibi diversivi) in cui uomini in divisa (e in borghese) prima di passare ai fatti espongono cartelli con “Viva la gnocca”, “Figa al nastro” o intonano “Siamo sempre sulle cime, ma quando scendiamo a valle attente ragazzine”.

Certe ostentate dichiarazioni maschiliste in questi anni sono sfuggite (o peggio tollerate) anche dagli organizzatori dell’Associazione nazionale Alpini? Il problema riguarda soprattutto il corpo delle penne nere inquadrato nell’Esercito e non qualche pecora nera sfuggita a chi dovrebbe controllare il gregge senza proteggere il lupo infoiato. E non basta il Figliuolo (prodigo), il generale chiamato a gestire l’emergenza Covid, a cancellare una pagina di storia disonorevole per le penne nere.

Alpini molestatori? Hoara Borselli: "Care ragazze, basta frignare. Tirate fuori le palle". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 12 maggio 2022.

Donne riprendetevi le palle! Si, avete capito bene. Uscite da questo stato catatonico in cui vi hanno fatto sprofondare le femministe. Vi stanno rincoglio*** il cervello facendovi credere che gli attributi siano un'offesa imperdonabile se abbinati al gentilsesso. Vi ripetono: «Sono cose da maschi!». Cioè una sciagura per definizione. Possibile vi sia stato fatto un lavaggio del cervello tale da non riuscire a vedere in quale stato siate sprofondate? Sembrate una specie protetta, incapace di sapersi difendere da sola. Esseri così fragili che sentono la necessità di farsi tutelare come animaletti in via di estinzione.

Vabbè, direte voi, come sei esagerata: in fondo anni di battaglie femministe ci hanno consegnato la possibilità di essere appellate al femminile. La desinenza è importante! Vuoi mettere che da oggiposso essere chiamata avvocata, assessora, direttora. Ti sembra roba da poco? E poi possiamo chiamare nostro figlio con il nostro cognome posizionato prima di quello del maschio dominante. Che ingenerosa che sei a lamentarti! 

Ma veramente, femministe 2.0, volete convincermi che sia la battaglia sulle vocali o sui cognomi a farci sentire più donne? Per me le vere donne sono quelle che negli anni Sessanta scendevano in piazza a lottare veramente per noi. Quelle che sono riuscite a portare a casa la legge sull'aborto e sul divorzio. Quelle a cui se chiedevi con quale desinenza volessero essere appellate, ti avrebbero risposto che non avevano tempo per queste stronz***. Quelle che se venivano palpeggiate da una mano morta sull'autobus, rispondevano con una gomitata secca fra le costole. Quelle che al fischio per strada, o ignoravano, o sorridevano, o alla peggio sapevano rifilare un vaffanc*** sonante.

Queste donne avevano le palle ed erano orgogliose di essere portatrici di attributi. E adesso invece? Sembra che l'unica cosa che sapete fare sia correre piagnucolando da un giudice, o da un giornalista, e chiedergli di mettere alla gogna gli alpini, o i registi, o i produttori o i manager... Ma vi sembra una cosa seria?

Avete dato ai vostri "gruppi di pianto" nomi sicuramente poetici ma che con le battaglie c'entrano poco: "Se non ora quando", scomodando Primo Levi, "Non una di meno", "Cognome di donna". Ma non sarebbe molto meglio usare questa espressione molto maschilista, "Tirare fuori le palle"? Ecco, questa sono io. Sogno una nuova stagione dove le donne stiano sulla scena pubblica con la spina dorsale di ferro. Cosa succede se una donna ha la spina dorsale di ferro al posto della valvola lacrimale lenta? Succede che se un alpino, un operaio, un dentista, un cuoco, grida per strada parole oscene o complimenti non graditi, la donna di ferro risponde con uno schiaffone (Se è agile può anche sferrare un calcio sulle palle). Ecco, sogno questo. Oggi purtroppo il femminismo moderno è solo pianto, politically correct e frasi fatte.

E poi fango, solo fango sugli uomini. A me piacerebbe avere un mondo dove le donne e gli uomini valgono allo stesso modo, sono rispettate nello stesso modo, sono pagate nello stesso modo, sono dignitose allo stesso modo. Perciò mi dispiaccio per voi, amiche femministe immaginarie, quando vi vedo sottoporvi a quel rito umiliante che consiste nel correre a piangere dal giornalista o dal magistrato. Mi dispiaccio perché vedo che in questo modo voi vi spogliate della vostra dignità e vi consegnate agli uomini. A quelli che chiamate "patriarchi". Che tristezza! 

Alpini, quattro giorni e zero denunce: se anche i poliziotti di Rimini smentiscono le femministe. Serenella Bettin su Libero Quotidiano il 13 maggio 2022.

Questo palco messo in piedi dalle femministe, dalle proporzioni bibliche, come ha scritto ieri il direttore di Libero Alessandro Sallusti, sta assumendo caratteristiche tragicomiche. Non per minimizzare. O per difendere i molestatori. Pare logico a tutti che se ci sono reati questi vanno condannati senza "se" e senza "ma". Ma perché oltre al fatto che finora è pervenuta una sola denuncia, le femministe di Non Una di Meno, ieri, hanno chiesto con una petizione online la sospensione per due anni delle Adunate degli Alpini. Ma allora dovremmo sospendere anche le sagre della soppressa. Le feste del vino. Del prosecco. Dovremmo chiudere le discoteche. Dovremmo vietare tutte quelle manifestazioni dove se per caso si alza il gomito ci scappa qualche commento o occhiata di troppo. «Ogni anno la seconda settimana di maggio scrivono le attiviste - si tiene l'adunata degli Alpini in una città prescelta. L'ultima a Rimini. Nel giro di poche ore sono state esposte più di 150 denunce da parte di donne e minoranze alle attiviste di Non Una di Meno, che hanno raccolto testimonianze sconcertanti riguardo al comportamento irrispettoso, sessista e violento degli Alpini, i quali non si sono limitati alle molestie verbali ma sono arrivati a molestare fisicamente anche delle ragazze minorenni».

Fonti della Questura riferiscono a Libero che nessuna denuncia, nessuna, nemmeno una richiesta di aiuto, è pervenuta ai loro uomini durante i giorni dell'Adunata. E nemmeno nei giorni seguenti. Solo ieri mattina nell'applicazione YouPol della Polizia di Stato, un'app a disposizione dei cittadini che consente segnalare un reato in tempo reale, è giunta una segnalazione di una tizia di 40 anni che dice che durante il raduno «un alpino le ha leccato il piede o ha tentato di farlo», nemmeno si capisce. Rintracciata la donna questa manco si è presentata in questura, dicendo che è fuori Italia. Fuori del tutto.

Mala segnalazione mediante YouPol non sostituisce la denuncia o la querela, ma serve a segnalare un fatto potenzialmente illecito alle autorità. Ma allora di che parliamo? Da che mondo e mondo se vengo molestata chiedo aiuto. Mi rivolgo alle Forze dell'ordine. Invece durante l'Adunata, gli uomini in divisa sono sì intervenuti per calmare qualcuno su di giri a causa dell'alcol, ma, mi fanno sapere, «roba di ordinaria amministrazione. Noi qui siamo una città di mare». Tutte queste molestie di cui si parla sembrerebbero essere relegate al mondo dei social. Ma nell'era degli idioti che credono di avere una vita nel Metaverso accade questo.

Da un video girato durante una serata si vedono due ragazze che dicono: «Boh va beh non lo so. Qualcuno fa apprezzamenti troppo spinti». In altre scene non si vede assolutamente nulla. Anzi a far volare qualche bestemmia sono le ragazze stesse. Del resto come dimenticare. Loro sono quelle che a Verona nel 2019, durante una manifestazione, lanciavano assorbenti in faccia ai poliziotti. «Obietta, obietta, obietta su sta fre**a», gridavano. Ai carabinieri martedì pomeriggio è giunta una denuncia. Una ragazza riferisce di essere stata circondata e presa per un braccio da tre Alpini, strattonata e insultata con frasi sessiste. Al momento la denuncia è contro ignoti. Certo. Denunciarne uno. Per colpirne cento. «Le vittime di queste violenze - dicono le attiviste faticano a esporre denunce alle Forze dell'ordine a causa di diversi fattori e risulta ancora più complicato rintracciare i colpevoli». Ok. Quindi?

Salvatore Dama per “Libero quotidiano” il 12 maggio 2022.

La colpa non è dei singoli, ma del maschio. Punto. C'è una discriminante ontologica verso chiunque osi essere pene-munito. E chi si permette di negare questa verità apodittica passa direttamente dalla parte del nemico: il patriarcato. Capita a un giornale, tipo Libero, ma anche all'interno della sinistra. Dove le donne del Pd riminese sono state manganellate (virtualmente) dalle femministe per essersi dissociate da «una polemica generalista e qualunquista». Quella contro gli alpini.

(…) "Complici", agli occhi delle femministe, sono anche le donne del Pd riminese, che si sono permesse di scrivere questa cosa qui: «Intendiamo dissociarci da toni accusatori, tesi a incrementare un clima di polemica generalista e qualunquista, che getta un inaccettabile discredito verso un Corpo dal valore riconosciuto e indiscusso del nostro Esercito. La cospicua presenza di Forze dell'ordine a presidiare un evento così partecipato, era a garanzia della tempestiva segnalazione, repressione e denuncia di eventuali episodi a connotazione antigiuridica». 

«COLPE PERSONALI» Il comunicato è firmato dalla Conferenza delle donne del Pd di Rimini e viene pubblicato sui social dalla portavoce delle Donne dem, Sonia Alvisi. Nei commenti succede un casino: «Vergogna», «Scusatevi con le donne molesta te», è un «comunicato pilatesco». E c'è un altro passaggio contestato: «La responsabilità penale è individuale», dicono le donne del Pd di Rimini, «ed è imprescindibile che le vittime di eventuali violenze provvedano a esporre querela verso fatti che le abbiano viste coinvolte. Gli strumenti posti a tutela di chi subisce comportamenti illeciti, sono ben noti a tutti noi e non dovrebbero cedere il passo a mezzi diversi. Il social ha innumerevoli pregi, ma è troppo spesso veicolo di informazioni approssimative e fuorvianti».

Apriti cielo. Sembra un attacco all'associazione che ha sollevato il caso. Lo è. La responsabilità non è individuale, rispondono inviperite le femministe, ma collettiva. Il problema è la «cultura patriarcale». Alvisi è costretta a scusarsi: «C'è stato un fraintendimento». Però ribadisce quello che ha visto: '. «Ho vissuto la manifestazione e non ho visto comportamenti non corretti altrimenti sarei intervenuta. Sono stata an- che in un locale dove c'erano gli alpini tutti ubriachi, mi hanno invitato a ballare, ho rifiutato ed è finita lì». Nel frattempo le deputate del Pd hanno inviato una interrogazione al governo per «fare chiarezza». Il segretario del Rifondazione Maurizio Acerbo chiede di sospendere i raduni. Idea rilanciata da una petizione on line che, a ieri, aveva raggiunto 13mila firme.

"Molestie e insulti sessisti da parte degli alpini". Almeno 150 denunce dopo il raduno di Rimini. Nino Materi il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.

L'accusa di "Non una di meno". La replica: "Nessuna segnalazione alle autorità".

«Alpini molestatori di donne». Se fosse vero, sarebbe gravissimo. Se invece è una fake, sarebbe una vera e propria calunnia. I precedenti sono favorevoli agli alpini, ma questo non li esime da eventuali responsabilità che - lo ripetiamo -, se provate, andrebbero perseguite penalmente.

Fatto sta che nella lunghissima tradizione dei raduni alpini mai nessuna denuncia di «molestie» ha macchiato le adunate delle penne nere: accolte in tutta Italia, da Nord a Sud, sempre con entusiasmo e consenso sociale; una simpatia guadagnata sul campo, considerata la solidarietà e l'impegno mostrati dagli alpini in occasione di situazioni difficili (vedi calamità naturali) che hanno colpito il nostro Paese.

Coglie quindi tutti impreparati l'allarme lanciato dall'associazione femminista «Non una di meno» secondo cui sarebbero «centinaia, e continuano ad aumentare, le denunce di molestie raccolte a Rimini andate in scena nel corso del fine settimana a Rimini, in occasione dell'Adunata nazionale degli alpini».

L'associazione femminista ha «invitato le persone che hanno subito molestie a raccontare la propria esperienza. Già in molte, soprattutto giovani donne, molte dei quali lavoratrici nel settore del turismo, lo hanno fatto». Ieri sera a Rimini c'è stata addirittura un'assemblea, definita dagli organizzatori una «contro adunata».

«Abbiamo iniziato a raccogliere e condividere le testimonianze delle donne molestate e la risposta è stata altissima - scrive «Non una di meno» - tanto quanto sconvolgente per il numero e l'intensità delle molestie ricevute. Fischi, cat-calling, minacce e vere e proprie molestie hanno colpito diverse persone colpevoli solo di voler vivere la propria città. Molestie mascherate da goliardia e tradizione che in realtà sono figlie di una cultura patriarcale che vuole donne, persone trans e gender non conforming assoggettate al potere e alla paura, al ricatto e alle minacce in caso di rifiuto». La replica degli Alpini? «Tutte fandonie. La nostra storia parla per noi».

«Centociquanta denunce di molestie? A noi non risulta». Cade dalle nuvole in sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che invece parla espressamente di «sfida vinta»: «In 400mila hanno invaso Rimini per quattro giorni e con gli 80mila che hanno sfilato domenica alla chiusura della 93esima adunata nazionale degli alpini, tutto si è svolto nel migliore dei modi». Ma restano le ombre. Sotto forma di decine di testimonianze-choc postate sui sociale. «Palpeggiamenti» e «offese» non sono goliardia.

Femministe scatenate: spunta il vademecum per denunciare gli alpini. Nino Materi il 13 Maggio 2022 su Il Giornale.

Non si placano le polemiche per i fatti di Rimini. Arrivano le scuse del presidente dell'associazione.

Ci mancava solo il «vademecum acchiappa-alpini». Con tanto di identikit («com'era la divisa?», «indossava il cappello?», «era ubriaco?»). A idearlo e lanciarlo sul mercato social è l'agitatissima associazione femminista «Non una di meno» (Nudm): sodalizio di «donne guerriere» fino alla settimana scorsa noto come il professor Orsini prima della guerra in Ucraina. Ora, invece, la sigla Nudm gode di una visibilità abbacinante; tutto merito dell'adunata nazionale degli alpini che tra mille polemiche (ma poche denunce in questura) su presunte molestie sessuali, si è conclusa quattro giorni fa a Rimini. Comunica la sezione riminese di Nudm: «Stiamo raccogliendo tutte le segnalazioni, i video e le foto di questi giorni per valutare la procedura legale più opportuna da adottare collettivamente. Chiediamo a tutt* (notare la finezza linguistica dell'asterisco sexually-correct ndr) di aiutarci con la raccolta di questi materiali» inviandoli all'indirizzo di posta elettronica dell'associazione». Inoltre «la memoria» dovrebbe contenere i «dati anagrafici di eventuali testimoni (anche se non li conosci): persone presenti che stavano registrando o facendo foto; persone con cui eri; persone intervenute; persone con cui hai parlato dopo i fatti; eventuali foto, video, messaggi o chiamate di Wa, storie di Ig, post di Fb che hai fatto che ti aiutano a ricordare e che possono essere visualizzati ed eventualmente utilizzati come prove». Roba che, in confronto, i dossier dell'ex Kgb sembrano documenti da Manuale delle Giovani Marmotte. Peccato che nella mobilitazione delle femministe «Non una di meno» manchi «una» cosa importante: la coerenza. La suddetta associazione è infatti la stessa che, in occasione delle violentissime aggressioni sessuali avvenute a Capodanno in Piazza Duomo a Milano contro numerose ragazze da parte di orde di giovani nordafricani, si mostrò non altrettanto solerte nel denunciare gli abusi; arrivando addirittura a mettere in guardia dal pericolo che «facili generalizzazioni» potessero animare «sentimenti di razzismo verso gli extracomunitari». Un appello alla prudenza che nel caso degli alpini di Rimini è totalmente mancato. Lasciando l'amarissima sensazione che anche su un tema così delicato come le molestie alcuni quantifichino lo sdegno in base alla propria convenienza politica e/o ideologica: un atteggiamento di parte piuttosto vergognoso.

A quattro giorni dall'esplosione del «caso alpini» sono giunte finalmente le «scuse» da parte del vertice dell'Ana che, in un'intervista al Corriere della Sera del presidente Sebastiano Favero, ha ricondotto la vicenda nei giusti binari di civiltà; se magari - anche alla luce di vari precedenti - Favero lo avesse fatto giocando di anticipo, avrebbe evitato qualche speculazione strumentale di troppo. Invece si è scatenata l'operazione «fango sugli alpini», glissando su una cronologia di eventi che merita invece di essere approfondita. Uno «storico» alpino come l'ex senatore Carlo Giovanardi, interpellato dal magazine Mow, ha rivelato un curioso retroscena: «Venerdì 6 maggio sulla pagina Instagram del collettivo "Non una di meno", è apparso un post che invitava a inviare testimonianze di molestie subite ad opera dei 400mila alpini arrivati in città. Ma da sempre il grosso arriva nel weekend. Quindi prima ancora che l'evento entrasse nel vivo, già le femministe scrivevano che gli alpini erano ubriaconi e molestatori».

Ottimo materiale per i complottisti.

Alpini sotto accusa, tutto cominciò con Murgia contro Figliuolo e ora le femministe dicono: fate schifo. Adele Sirocchi mercoledì 11 Maggio 2022 su Il Secolo D'Italia.  

Ora una denuncia contro gli Alpini c’è. E’ quella di una donna di 26 anni che ha raccontato di pesanti avances. Le penne nere si difendono e parlano di casi isolati, dicendosi pronti a cacciare con ignominia i colpevoli, qualora venissero scovati. Il ministro della Difesa Guerini si scopre colpevolista e attacca, parlando di comportamenti gravissimi. In pratica, l’onorabilità degli Alpini è compromessa.

C’è anche un video di Fanpage che mostra ragazze che raccontano di avere udito volgarità a sfondo sessuale al loro indirizzo e di avere dovuto fronteggiare molestie da vecchi ubriachi partecipanti al raduno. Erano 400mila. I casi segnalati alle femministe di Non una di meno sono 160. Ciò non assolve comportamenti scorretti e poco rispettosi verso le donne, ma non giustifica questo processo mediatico che coinvolge anche Matteo Salvini additato quasi come uno stupratore per avere fatto un post in cui festeggiava il raduno di Rimini. Sui social il dibattito esplode. Chi difende gli alpini fa notare che già prima del raduno le femministe erano partite all’attacco con lo slogan sui social: “Alpino molesto, se mi tocchi ti calpesto”.

Ciò che stupisce è il clamore mediatico. A Capodanno a Milano ci furono 11 denunce per violenza sessuale di gruppo a carico di ragazze palpeggiate e umiliate che erano in piazza Duomo a festeggiare. Non risultano gli strepiti di Non una di meno. I responsabili individuati erano tutti stranieri. Ma la sinistra ci ha abituato ai due pesi e due misure. Del resto, come annota La Verità, fanno i militaristi guerrafondai contro il dittatore Putin ma poi liberano l’antimilitarista che è in loro mostrando fastidio per i maschi in divisa. Un vero mischione tra me too e fedeltà alla Nato. Pulsioni incompatibili ma che marciano a braccetto nelle schiere progressiste.

Dove le donne si fanno sentire. Emule di Michela Murgia che aveva paura del generale alpino Figliuolo. Era turbata dalla divisa. Dimenticava che gli alpini avevano costruito un enorme ospedale da campo a Bergamo per l’emergenza coronavirus. Tutto cancellato. Figliuolo è stato oggetto di una campagna denigratoria che ha unito no vax e nostalgici delle gesta del commissario Domenico Arcuri. Uniamoci il catcalling e il polverone è perfetto.

Sui fischi alcolici alle ragazze di Rimini si accanisce Elena Stancanelli con un pezzo sulla Stampa che rievoca i toni del femminismo anni Settanta:

“Fate schifo – è l’esordio – potrebbero essere i nostri padri, anzi no, i nonni, dicono le ragazze che hanno avuto a che fare con gli alpini radunati a Rimini. Ragazze che lavoravano nei bar e sono state costrette a servirli, a subire quei comportamenti grotteschi, donne che camminavano per le strade della loro città, ragazzine vestite come pare a loro, stupefatte di sentire commenti che immaginavano estinti”. E ancora: “Non so cosa si faccia a un raduno degli alpini e quale senso abbia. Poco importa, perché di loro, degli alpini rispettosi a Rimini non si ricorderà nessuno. Alla domanda su chi sia un alpino, tutti, ridendo, descriveranno un uomo barcollante col cappello intento a molestare ragazzine dicendo frasi sconnesse”.

Conclusione: “Adesso – scrive Stancanelli – non saremmo qui a dire che gli alpini sono razzisti, maschilisti e molestatori. Adesso diremmo che alcuni di loro lo sono, ma che tutti gli altri li hanno ostracizzati, inchiodati al loro disonore. E invece gli alpini, come tutti i maschi trogloditi e ridicolmente fastidiosi, si sono difesi, hanno fatto quadrato. Hanno aspettato di essere scoperti per poi dire, senza ritegno: non siamo stati noi“. Quanta rabbia legittima, vero? E ora si proceda con la mozione per lo scioglimento del corpo di questi maschi trogloditi. E ciò anche se la sinistra difende l’aumento delle spese militari. Ma tranquilli. Casomai la Russia dovesse invaderci, manderemo in prima linea quelle di Non una di meno…

Detto questo l’associazione nazionale Alpini farebbe bene a vigilare sui comportamenti degli associati. Spiegando loro che non c’è e non ci può essere alcuna deroga al rispetto verso le donne che possa essere giustificata dall’alcol, dalla goliardia, dal ritrovarsi in “branco”.

Basta fango su un orgoglio nazionale. Giannino della Frattina il 12 Maggio 2022 su Il Giornale.

Non vi permettete. Giù le mani dagli alpini.

Non vi permettete. Giù le mani dagli alpini. Perché spacca il cuore dover vedere il caporale Luca Barisonzi, rimasto paraplegico in Afghanistan per i colpi di un terrorista islamico mentre il suo commilitone Luca Sanna perdeva la vita, costretto a difendersi. A spiegare l'ovvio e cioè che «non bisogna generalizzare», perché «noi siamo portatori di valori». E «noi» sono quegli alpini che in un soffio sono passati dall'essere il frutto più bello della nostra terra, all'infamante accusa di essere dei volgari violentatori. Sia ben chiaro che qualunque anche minimo caso di stupro va documentato e i suoi autori condannati, proprio perché con l'aggravante di essere alpini, alla più severa delle pene. Ma, appunto, i casi vanno denunciati e provati. E va dimostrato che i suoi autori fossero effettivamente alpini e non delinquenti che hanno approfittato della grande festa delle penne nere per scatenare i loro istinti peggiori. Come del resto è successo negli ultimi capodanni in Piazza Duomo a Milano, dove gli stupratori si sono confusi tra la folla e nessuno ha mai pensato di dare dei violentatori a tutti i milanesi e chiesto di abolire le prossime feste in piazza. E così anche per Rimini, così come si sta facendo a Milano, si documentino i reati e si perseguano i responsabili, lasciando stare gli 80mila alpini che anche quest'anno hanno celebrato il loro sacro rito, cristiano e pagano in rappresentanza di una moltitudine di eroi che hanno dato la vita per la Patria e per la Patria continuano a dare il meglio di sé. E allora a chi chiede di sospendere la loro parata, verrebbe da chiedere se siamo disposti a rinunciare per altrettanto tempo a tutti i servigi che le penne nere offrono quotidianamente e gratuitamente a chi è in difficoltà. La Protezione civile, gli aiuti ai portatori di handicap e agli indigenti, le raccolte d fondi per le più disparate iniziative di solidarietà, le scuole aggiustate e i parchi giochi per i bimbi. E, non ultima, la campagna contro il Covid che li ha visti erigere in un attimo centri vaccinali e ospedali d'emergenza con calma e serenità marziale, mentre il resto del Paese era nel panico. Guidati da quel generale Francesco Figliuolo che abbiamo eretto a eroe nazionale e che nessun sospetto di molestia sessuale potrà mai far cadere da quel piedistallo che gli dobbiamo. E su cui deve continuare a stare con orgoglio, insieme a tutti i meravigliosi alpini.

LETTERA a Dagospia l'11 maggio 2022. Riceviamo e pubblichiamo:

Sai caro Dago, sono un Alpino. Più di un trentennio fa ho svolto il mio servizio militare come Tenente di Complemento.

Da diversi anni, il tuo sito è la mia preferenziale fonte di informazione. Dopo la scomparsa di Massimo Bordin (che perdita incolmabile!), la tua rassegna stampa è, a mio sentire, tra le più equilibrate, efficaci e anche divertenti che il panorama italiano possa offrire.

Quanta amarezza sto vivendo della rappresentazione che alcuni giornali stanno facendo in queste ore, dell’Adunata degli Alpini a Rimini. 

È il secondo giorno che, con immensa tristezza, leggo superficiali, denigratori, infamanti e semplicemente stupidi articoli, che come spesso accade non fanno informazione ma tentano di lanciare il nuovo mostro della settimana.

Che in questa sembrano essere i 500.000 alpini in congedo di tutte le età. 

Non ho idea se i lettori di questa rubrica abbiano mai partecipato ad un’adunata degli Alpini, ma da decennale frequentatore so che è un delle più belle feste che si possono vivere in Italia.

L’unica manifestazione (gioiosa) in cui le città vengono invase per una settimana da un’orda gigantesca di uomini e il lunedì successivo si ritrova una città più pulita che mai. Con la gioia e la nostalgia nei cuori dei cittadini che l’hanno vissuta. 

Sono genitore di una figlia e so che l’adunata degli alpini è l’unico luogo al mondo dove sarei tranquillo se camminasse nuda per le strade, tra decine e decine di migliaia di uomini. Sapendo che arriverebbe, a casa incolume e sorridente, avendo forse ricevuto qualche commento goliardico, magari anche eccessivo a causa di testosterone e alcool, ma incolume e sicura come mai sono le città e le province italiane e di tutto il mondo.

L’adunata degli Alpini è un luogo sicuro dove migliaia di uomini valoriali, civili, generosi e gioiosi festeggiano con rispetto di uomini, donne, animali, natura e ambiente.

Se qualche ragazza ha subito violenze di qualsiasi genere certo denunci e venga tutelata, ma non si denigri un corpo e una festa, decine di migliaia di uomini che rappresentano valori e personalità tra le migliori che il sesso maschile rappresenta. 

In questi anni, dove finalmente si è maturato nel mondo occidentale di non tollerare più la prevaricazione del sesso maschile su quello femminile, in ogni forma essa sia espressa, gli Alpini in armi e quelli in congedo rappresentano, per definizione ma anche per sostanza, il concetto di rispetto, ma spesso anche quello di amore.

Quanto sarebbe bello che chi ha la fortuna e l’onere di svolgere il bel mestiere di giornalista sapesse onorarlo informando e non facendo disinformazione come spesso capita.

Fortunatamente bastano i numeri per scorgere la verità: 500.000 uomini (che si rifletta sull’immensità di questa cifra) ed una manciata di deplorevoli e gravissimi (sia ben inteso) casi di molestie che fanno dell’avvenimento, il più tollerante, sicuro, femminista luogo della terra. 

E non il contrario.

Concludo con un'altra riflessione in merito.

Doveroso, necessario e sacrosanto mettere l’accento su ogni tipo di violenza ma anche solo prevaricazione sulla donna. 

Ha, però, senso o verità continuare a dipingere l’uomo, inteso come maschio, come un predatore da cui difendersi?

Con affetto, Alpino Roberto Garino.

Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” l'11 maggio 2022.

Se tante ragazze di Rimini e Torino sostengono di essere state molestate durante l'adunata degli alpini e la festa dell'Eurovision, non si può liquidare la denuncia come un'esagerazione o attribuirne la responsabilità a fantomatici infiltrati. Per una volta sarebbe bello uscire dal solito schema corporativo che porta a difendere a testuggine la categoria di appartenenza: alpini, ballerini, maschi intruppati in qualche clan da stadio o da osteria. Senza alcuna pretesa di moralismo, agli uomini con un serio deficit di educazione sentimentale potrebbe essere utile un breve prontuario per adeguarsi alla sensibilità mutata del tempo in cui tocca loro vivere, che non è più il Paleolitico e neanche il Novecento.

Se, come a Rimini, fermi una sconosciuta per strada e le chiedi a che ora aprono le sue gambe, non la stai corteggiando, la stai molestando. Se, come a Torino, le tocchi il sedere mentre ti passa davanti, non la stai corteggiando, la stai molestando. Se, come a Torino, le dici: dai, non ti offendere e fai la carina con me, non la stai corteggiando, la stai molestando.

Se, come a Rimini, ti metti di traverso per impedirle di passare e intanto le gridi «Ehi, bella f...», muovi la lingua come se avessi in bocca un gelato e fai il verso del cane, non la stai corteggiando, la stai molestando. Insomma, ogni volta che le tue parole e i tuoi gesti esprimono un senso di possesso, non la stai corteggiando. La stai molestando. Per quanto in branco tu ti creda assolto, direbbe De André (con quel che segue).

Paolo Coccorese per il “Corriere della Sera” l'11 maggio 2022.

«Ero con le altre volontarie, quei ballerini stranieri ci hanno fissato a lungo e dopo si sono avvicinati. Ballavamo vicini, poi abbiamo incominciato a sentire le loro mani addosso. Quando ci siano rese conto di quello che stava capitando, abbiamo cambiato stanza della festa». Francesca (il nome è di fantasia) ha 20 anni, studia Giurisprudenza. Ammette di non essere un’appassionata di lungo corso dell’Eurovision. 

Quando le hanno proposto di diventare la volontaria assegnata alla delegazione di una cantante del Nord Europa, ha accettato con curiosità. Ha partecipato alla festa della Reggia di Venaria di domenica, dove ci sarebbe stati abusi. È lei che nella chat dei volontari ha scritto: «Fate attenzione a quei ballerini: sono molesti». 

I volontari erano invitati alla festa vip?

«No, solo i tre host assegnati a ogni delegazione»

Che mansioni avete?

«Siamo i volontari al servizio della delegazione. Li seguiamo ovunque. Con la mia sono andata a visitare Stupinigi. Poi, banalmente, dobbiamo servire loro un bicchiere d’acqua quando hanno sete». 

Come dei maggiordomi?

«Beh, le host della Moldavia sono andate ad acquistare un trenino giocattolo per il manager. Insomma, li aiutiamo con la lingua, prenotiamo i ristoranti o i taxi. I capi dei volontari ci hanno detto: “Dovete fare tutto quello che vogliono. Tranne pagare i conti”».

Torniamo a domenica: che atmosfera c’era?

«All’inizio molto noiosa, era un rinfresco. Poi, dopo le sette, noi host ci siamo tolte le magliette arancioni, ci siamo sistemate un po’ eleganti. E ci siamo messe a ballare».

E il clima è cambiato?

«Sì, abbiamo contagiato tutti. Il bar serviva da bere gratis. Si è bevuto così tanto che abbiamo finito le scorte di alcol. È diventata una festa senza freni. Come una discoteca».

Poi, cosa è accaduto?

«C’erano questi ballerini di un artista straniero. Sono quelli che nell’intervista della sfilata hanno detto che amavano le ragazze italiane. Un nero e un bianco. Ci hanno fissato con insistenza prima di avvicinarsi al nostro gruppo. Erano fastidiosi». 

Chi c’era oltre a lei?

«Altre tre host».

E poi?

«Hanno incominciato a ballare, a farci girare e poi hanno incominciato a toccarci». 

Toccare?

«Sempre più giù, ci hanno palpato il sedere».

Meno male che era una festa elegante...

«Un’altra host di una delegazione dell’Est ha detto che ha dovuto chiedere al manager di smetterla di toccarla». 

Ha assistito alla scena?

«Me lo ha raccontato. Ma ho visto, invece, un’host allontanare in modo deciso un artista che ha provato a baciarla».

Ha denunciato l’accaduto ai suoi responsabili?

«No, non volevamo creare problemi». 

Ma quei ballerini hanno capito che voi eravate delle volontarie?

«Sì, avevamo il badge e parlavamo italiano. Era evidente. E poi con noi sono stati più insistenti». 

Cioè?

«Anche la cantante di Cipro ha ricevuto molte attenzioni. Ma con lei non si sono permessi di superare il limite».

Perché non avete reagito?

«In discoteca avrei dato qualche schiaffo».

E quando siete andate via?

«Quei ballerini si sono buttate su altre ragazze».

Eurovision, volontarie denunciano: "Molestate al party inaugurale". La responsabile: "Non è vero". Redazione Tgcom24 il 10 maggio 2022.

Alcune volontarie di Eurovision hanno denunciato di aver subito molestie da parte degli artisti di alcune delegazioni in occasione del party inaugurale di domenica sera alla Reggia di Venaria. Accuse di molestie girate nelle chat delle giovani, che, come anticipato dall'edizione torinese del Corriere della Sera, sono però state smentite dal Comune di Venaria. A quanto risulta, non sono state presentate denunce alle forze dell'ordine. "Se mai mi fossi accorta che c'era qualcosa che non andava, sarei intervenuta io per prima. Ho partecipato a tutto il party e posso assicurare che di molestie non ne ho viste", ha invece affermato Alessandra Aires, coordinatrice dei Delegation Host, i 120 ragazzi che accompagnano le delegazioni. Il collettivo femminista "Non Una di Meno" si è schierato con le volontarie, dicendo: "Come spesso capita la voce delle donne che vivono violenza viene silenziata, i loro racconti non creduti e le loro esperienze non ascoltate". 

Il racconto - "Mi sono sentita indifesa, volevo scappare, ma non potevo...". Paola, il nome è di fantasia, è una delle volontarie che sostiene di essere stata molestata da alcuni ballerini durante il party di inaugurazione dell'Eurovision Song Contest. Una festa vip in una cornice esclusiva, la Citroniera della residenza sabauda patrimonio dell'Unesco, che per alcune ragazze con la maglia arancione, il colore della loro divisa, si è trasformata in una esperienza "imbarazzante" e "tutt'altro che piacevole". Chi ha assistito alla serata parla di "persone che hanno esagerato con l'alcol". "C'erano alcuni ragazzi delle delegazioni che ci abbracciavano in continuazione - è il racconto che rimbalza sulle chat delle ragazze -. Uno mi ha messo la mano sulla vita e ha cercato di baciarmi. Sono riuscita a svincolarmi, ma un altro si è avvicinato e si è comportato nella stessa maniera. Alla fine siamo riuscite ad allontanarci". "Sono contenta di fare la volontaria di Eurovision - ha aggiunto Paola -, ma non mi aspettavo che quella che doveva essere per me una bella esperienza si trasformasse in palpeggiamenti e molestie. Le stesse che purtroppo capitano spesso in discoteca. Mai mi sarei aspettata che questo avvenisse in party come quello di domenica".

La responsabile dei volontari: "Al party nessuna molestia" - "Forse nelle chat c'è stato qualche commento sopra le righe, ma tutto riconducibile all'entusiasmo della festa - ha aggiunto Aires -. Fa male che si voglia sporcare un evento tanto bello e formativo per i nostri giovani".

Le reazioni - "A fronte delle segnalazioni rese pubbliche da numerose lavoratrici rispetto alle molestie subite sul proprio posto di lavoro durante la kermesse dell'Eurovision a che titolo il Comune dichiara che non sia successo niente di male? - ha affermato Chiara di "Non Una di Meno" -. Si tratta di molestie sul posto di lavoro e come tali vanno affrontate, puntando l'attenzione sulle condizioni di estremo sfruttamento e ricattabilità che le donne vivono in ambito lavorativo e in alcuni contesti di lavoro in particolare. A queste donne va tutta la nostra solidarietà e siamo a loro disposizione per qualunque tipo di sostegno possano aver bisogno". "Segnalazioni simili sono arrivate anche da Rimini nel corso dell' adunata degli alpini", ha concluso.

"Questi episodi purtroppo non ci stupiscono. Le segnalazioni sono state moltissime anche riguardo al raduno degli alpini proprio di questi giorni. Non si tratta di goliardia e non è più accettabile far passare episodi di questo tipo sotto questo cappello. Sono vere e proprie molestie. Altrettanto grave è il fatto che si tenda ancora una volta a sottovalutare le dichiarazioni di donne che lamentano questo tipo di episodi". Lo sostiene Carola Messina, vicepresidente dell'associazione "Torino Città delle Donne".

"Non ero presente all'evento di Eurovision, ma spero che si facciano tutti gli accertamenti del caso per verificare che nessuna ragazza sia stata molestata - aggiunge la consigliera comunale torinese del Pd Ludovica Cioria, interpellata sulla vicenda -. Una festa è tale solo quando possono godersela davvero tutte e tutti liberamente".

Da "repubblica.it" il 14 maggio 2022. 

I casi di molestie raccontate dalle donne durante l'adunata degli Alpini a Rimini continuano a far discutere. Questa volta a buttare benzina sul fuoco è il sindaco forzista di Trieste, Roberto Dipiazza. "Ma stiamo scherzando? Una ha raccontato: 'mi hanno detto che ho un bel paio di gambe e mi sono sentita violentata'. Quando vediamo passare una bella ragazza, cosa pensiamo? Siamo maschi. 

Ma stiamo scherzando? Se le avessero detto 'hai un bel c...', cosa avrebbe fatto allora? Viva gli alpini! Viva gli alpini! Vorrei dire a questa persona: signora, guardi che la violenza è un'altra cosa", dice Dipiazza intervenuto sull'emittente tv triestina "TeleQuattro" in riferimento alla polemica a seguito del raduno degli alpini a Rimini attaccando anche l'associazione "NonUnaDiMeno" che ha denunciato gli episodi, definendola "gentaglia".

Proprio il gruppo transfemminista, insieme al centro sociale Casa Madiba e Pride Off, parla di oltre 160 racconti dei fatti delle molestie subite e di "oltre 500 segnalazioni". Altre denunce alle forze dell'ordine sono in arrivo, oltre a quella presentata ai carabinieri da una 26enne, sulla quale la Procura di Rimini ha aperto un fascicolo contro ignoti (l'identificazione con 400mila presenze all'adunata non sarà però facile).

La bufera non si placa. Con il primo cittadino giuliano, Dipiazza, che aggiunge: "Si fanno degli apprezzamenti, è normale. È grave se si dice 'guarda che bella quella ragazza ... guarda che bel paio di ... che ha quella ragazza ... oppure guarda che bel fondoschiena che ha quella ragazza?". Ricordando che a Rimini c'erano "500mila alpini". "Fare queste polemiche significa fare male a tutto" ha concluso Dipiazza.

 Chiara Baldi per "La Stampa" il 15 maggio 2022.

Ci sarebbero altre due ragazze pronte a denunciare nelle prossime ore le molestie subite alla 93ª adunata degli Alpini a Rimini. E a distanza di giorni non si placa la polemica politica: a bruciare ogni speranza ci ha pensato il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, Forza Italia. Ospite della tv locale "TeleQuattro", si è lanciato in una profonda analisi del fenomeno delle molestie alle donne (tra cui anche minorenni): «Ma stiamo scherzando? Una ha detto: mi hanno detto che ho un bel paio di gambe e mi sono sentita violentata.

Quando vediamo passare una bella ragazza, cosa pensiamo? Siamo maschi. Ma stiamo scherzando? Se le avessero detto "hai un bel c...", cosa avrebbe fatto allora? Viva gli alpini! Viva gli alpini! Vorrei dire a questa persona: "Signora guardi che la violenza è un'altra cosa"». 

Non pago, ha rincarato la dose: «Si fanno degli apprezzamenti, è normale. È grave se si dice "guarda che bella quella ragazza ... guarda che bel paio di ... che ha quella ragazza ... oppure guarda che bel fondoschiena che ha quella?" Fare queste polemiche significa fare male a tutto». Insorge il Pd che con il vicepresidente del consiglio regionale Francesco Russo chiede scusa, mentre la senatrice dem Tatjana Rojc parla di modello fermo a «Wilma, dammi la clava».

Proprio il Friuli si ospiterà il prossimo anno, a Udine, l'adunata delle penne nere. E è arrivato anche l'invito di Matteo Salvini, che si scaglia contro la «cancel culture»: «C'è solo una denuncia. Quella donna va difesa. L'Italia che desidero è orgogliosa del suo passato: chi ha radici entra nel futuro. 

Ma non è normale che da una settimana si faccia polemica su una istituzione come gli alpini. Se qualcuno ha sbagliato paga. Ma chiederò agli 800 sindaci della Lega di invitare gli alpini».

L'associazione transfemminista Non Una Di Meno - le cui attiviste sono state definite da Dipiazza «gentaglia» - ha replicato al sindaco parlando di «cultura e società profondamente sessiste e patriarcali: il machismo si respira in ogni ambito della vita fin dalla nascita, è parte dell'educazione che le persone ricevono in questo Paese». E specificano che «non andiamo a cercare un singolo colpevole ma facciamo un discorso sistemico: stiamo subendo stigmatizzazione e intimidazioni per il lavoro di emersione e di supporto alle vittime. Ci viene detto che i 168 milioni di introiti portati dall'Adunata dovrebbero essere motivo di silenzio». Intanto il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che venerdì ha ricevuto in copia stampata le 500 testimonianze, assicura: «Leggerò i documenti. E non per dovere istituzionale ma perché proprio ho detto che voglio ascoltare quelle voci e quelle segnalazioni anche se non dovessero diventare denuncia penale. Questo è il compito di un sindaco. Prima ascoltare. E non emettere pre-giudizi senza ascoltare o leggere».

Alpini accusati di molestie, il dossier è ancora fermo. Le femministe: «Clima ostile alle denunce». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 21 maggio 2022.

Il dossier con le denunce delle molestie degli alpini? «Penso sarà presentato all’autorità giudiziaria all’inizio della settimana» dice al Corriere Alice, una delle attiviste di «Non Una di Meno», una delle associazioni transfemministe che hanno raccolto — con un sondaggio online — le segnalazioni di fischi, apprezzamenti pesanti, offese e palpeggiamenti censita all’adunata nazionale delle «Penne nere» a Rimini dal 5 all’8 maggio scorsi. Domanda inevitabile: possibile che dopo due settimane di annunci la consegna del fascicolo slitti ancora? Alice, minuta, battagliera, scuote la testa: «Stiamo continuando a incontrare le ragazze che vogliono denunciare, quando avremo finito ci sarà una conferenza stampa con il team legale che ci assiste». Sta di fatto che per adesso una sola è la denuncia formalizzata.

A presentarla ai carabinieri è stata una 25enne che, nelle vicinanze di un bar, sarebbe stata circondata da tre persone in mezzo alla folla che l’avrebbero strattonata e insultata con frasi dall’esplicito riferimento sessuale. Lei si è divincolata ed è scappata via. Dopo il rapporto inoltrato dall’Arma, la Procura ha aperto un’indagine contro ignoti. Sul contenuto dell’inchiesta filtra pochissimo, salvo che sono stati acquisiti i filmati delle telecamere di sicurezza. Per ora non c’è stato alcun interrogatorio «ma è un lavoro lungo» notano gli inquirenti. L’orario preciso della presunta molestia non sarebbe stato indicato nell’esposto mentre per strada c’erano migliaia di persone. Ed ecco perché quei video bisogna «vagliarli attentamente». Quanto alla segnalazione inoltrata tramite la app Youpol alla Questura — dove precisano che durante il raduno nessun allarme molestie è arrivato ai centralini d’emergenza — la donna che l’ha inviata si trova all’estero ed eventualmente sarà ascoltata al suo rientro in Italia.

Ma qual è il contenuto del dossier? Di sicuro ci saranno i 170 racconti giunti a «Non una di meno Rimini», «Casa Madiba» e «Pride Off» tramite mail o con messaggi agli account social. Per esempio quello di Sara, 27 anni, nazionalità italo-somala, cameriera in un bar chiamata, per le ordinazioni, dalle penne nere con il saluto fascista. Oppure Lela, 18enne bolognese, seguita da «un alpino che si è avvicinato d’improvviso. Per fermarlo è intervenuto un mio amico, preso a pugni. Rivolgermi alle forze dell’ordine? Certo — dice ora —, ci sto pensando: non voglio passarci sopra. Ecco perché ho contattato un legale della Casa delle Donne».

«Difficile denunciare, in città c’è un clima ostile, omertoso» sostengono le femministe che giovedì alle 18 si sono incontrate in un’assemblea in piazza Malatesta, a un chilometro dal palazzo in cui, poche ore prima, un peruviano ha ucciso la moglie che voleva lasciarlo. Circa cento le attiviste (ma c’erano anche uomini) al dibattito in cui si sono sentite frasi così: «Se lavori dietro al bar e sei precaria è difficile parlare di molestie con il titolare che ti guarda storto...». E ancora: «Ci hanno intimidito per quello che abbiamo fatto emergere», «ci è stato detto che i 168 milioni di euro portati dagli alpini al raduno — la cifra è quella fornita dal Comune, ndr — dovevano essere un buon motivo per stare zitti...». Infine: «chi lavora nel settore turistico ha subito ricatti di ogni tipo, ascoltando queste parole: “Se ti offrono da bere, devi bere anche tu e assecondarli”».

Poi c’è il racconto, pure questo finito nel dossier femminista, di ciò che è avvenuto in una scuola professionale non lontano dalla stazione. Non ci sono denunce, sebbene al Corriere diverse testimonianze confermino la scena. Questa: delle studentesse sono in pausa pranzo in un bar dove accettano una birra da alcuni alpini visibilmente alticci. Verso le 13 una prof si affaccia in strada richiamandole per la lezione. Le penne nere le dicono: «resti qui...» e l’afferrano, palpeggiandola. La docente si divincola, scalcia, si rifugia nella scuola di fronte al locale. I «bocia» la seguono schiamazzando, salgono le scale sino al secondo piano. Solo l’arrivo di altri docenti consente di respingere le penne nere che però, scendendo, prendono di peso, sempre ridendo, una segretaria per lasciarla infine nell’androne. Secondo la dirigente gli alpini sarebbero saliti «ma bonariamente e non sarebbero stati molesti».

Contro le «penne nere» girano anche, sul web, vere e proprie «bufale» tipo quella per cui tre di loro avrebbero trascinato in un hub una ragazza con indosso un cartello «no vax». Non la molestano, ma la vaccinano. Per quanto assurda, la vicenda diventa virale. Eppure la sedicente giornalista che l’ha rilanciata per prima da tempo è stata smascherata dai «debunker»: il suo è un profilo fake. E mette in Rete solo storie inventate.

Sessismo, molestie e solidarietà. Se il pregiudizio è (anche) delle donne. Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 15 maggio 2022.

Francesca Bardelli Nonino e la fatica di ottenere credibilità se si è giovani e di bell’aspetto. Agli insulti sessisti si sommano i commenti di chi squalifica a priori un ruolo.  

Francesca Bardelli Nonino. Ha 32 anni ed è considerata «l’influencer della grappa». Facile, si dirà: è di famiglia. Eppure Francesca Bardelli Nonino il ruolo in azienda se l’è conquistato sul campo. Ha studiato in Italia e all’estero, ha rubato i segreti del mestiere alla madre, alle zie e ai nonni, e vuole continuare a imparare: se le chiedete qual è il prossimo obiettivo, vi risponderà diventare anche lei Mastro Distillatore. Cin cin! La sua preparazione, però, pare non basti. Un paio di giorni fa, in una diretta Instagram con Laura Donadoni, «The Italian Wine Girl», ha raccontato di come sia difficile ottenere credibilità se si è giovani e di bell’aspetto. E ha ricordato di quando a certi incontri di lavoro le facevano le domande a trabocchetto per accertare le sue competenze. Qui, ha ammesso, ci poteva stare: ha cominciato a 26 anni ad accompagnare la zia Elisabetta e doveva conquistarsi il rispetto di tutti. Ma non trovano giustificazione i commenti irriferibili comparsi nella pagina Facebook dell’azienda sotto alcuni suoi video: battute a sfondo sessuale al limite del porno, scritte da uomini con nome e cognome, magari moglie e figli, così spregiudicati o superficiali dal concedersi a ruota libera in giudizi sprezzanti.

«Me lo sono andato a cercare?», si è chiesta lei, confessando di essersi rivista i video «incriminati» per controllare come fosse vestita (camicetta e jeans), prigioniera del condizionamento sociale che ancora domanda a una donna come era vestita quando ha subito una violenza. Mi ha fatto pensare a quell’ascoltatrice di Norcia che all’ultima puntata di Giletti 102.5, su Rtl, difendendo gli alpini ha condiviso il suo pensiero stupendo: «Mettiamo in conto anche noi donne quanto possiamo fare danno psicologicamente all’uomo quando ci si presenta vestite in maniera provocante... Quella non è violenza per gli uomini?». Non è una voce fuori dal coro, purtroppo, perché tra coloro che hanno avuto da ridire sui video di Francesca Bardelli Nonino c’è anche una mediatrice familiare, in teoria con gli strumenti per riconoscere sessismo e molestie. «È necessario che mettiate una donna?», ha domandato, forse facendo un paragone con certe pubblicità che sfruttano il corpo della donna, e squalificando al tempo stesso le competenze della protagonista, «messa lì» da qualcuno. La conclusione è un po’ mesta. C’è ancora molto da fare. E non solo tra gli alpini.

Pietro Senaldi contro Boldrini e femministe: "Così la sinistra usa le donne per colpire i rivali politici". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 16 maggio 2022

E così si scopre che, per la sinistra in generale e le femministe in particolare, in caso di violenza sessuale, categoria molto ampia, che oggi comprende dallo stupro di gruppo al palpeggiamento in tram, l'identità del molestatore conta più della vittima e del tipo di aggressione subita. Ce lo svela la cronaca. A Rimini, ormai lo sanno tutti, durante il ritrovo dei quattrocentomila alpini della scorsa settimana, si sono verificati alcuni deplorevoli casi di molestie ad alcune donne, mal apostrofate e toccacciate vigliaccamente. Episodi che hanno gettato discredito e disonore sulle Penne nere.

È intervenuto per bacchettarle perfino il ministro della Difesa, mentre Boldrini e compagne hanno ipotizzato di sospendere per due anni i raduni del Corpo, a mo' di punizione esemplare. Sonia Alvisi, sparuta esponente locale dei dem, è stata addirittura costretta alle dimissioni per aver speso parole in difesa degli alpini, che sono stati descritti dall'isterismo ideologico imperante come nient' altro che una masnada di assatanati ubriaconi. 

I NUMERI PARLANO - Il tempo è galantuomo e, a oggi, il solo caso di tentato stupro a Rimini riportato dalle cronache recenti vede come aggressore un somalo, mai arruolato nel nostro esercito patrio. Si tratta di un 27enne ospite di un centro di accoglienza, di un clandestino insomma, se ancora è lecito chiamarli così. Da sinistra però nessuno si è alzato per chiedere due annidi sospensione dell'accoglienza di chi immigra illegalmente in Italia. Eppure, dati alla mano, ce ne sarebbero le giustificazioni, visto che, stando ai numeri dell'Istat, gli stranieri, che rappresentano l'8% della popolazione residente in Italia, commette il 41% degli stupri, il che rende in potenza un immigrato sette volte più pericoloso di un italiano per la sicurezza delle donne. Con marocchini, nigeriani e tunisini che occupano tre dei primi quattro posti nella classifica delle nazioni di provenienza dei violentatori.

Il guaio però è che da sinistra, e dai banchi delle varie Boldrini, nessuno si è alzato nemmeno per esprimere una banale condanna del somalo aggressore.

In realtà nessuno si è alzato neppure per esprimere una minima solidarietà all'italiana aggredita. È sconvolgente che i progressisti si ergano a paladini delle donne solo quando a importunarle è un italiano, meglio se in divisa o comunque in qualsiasi modo riferibile al centrodestra, mentre allorché, ed è il più delle volte, ad allungare le mani, e qualcos' altro, sul gentil sesso è quella che il Pd fino a poco fa si ostinava ancora a chiamare una «risorsa», su reato e autore cali un complice silenzio.

Ne abbiamo avuto la riprova a Rimini, ma a Capodanno a Milano ne abbiamo avuto forse la dimostrazione più significativa, quando bande di giovani extracomunitari in piazza Duomo avevano aggredito ragazze in festa e il Pd cittadino ha tentato per settimane di insabbiare tutto.

Lo stupro, a sinistra, prima che una violenza è un'arma politica da scaricare contro supposti avversari. Si utilizza il corpo della donna violato per colpire il rivale, mentre si cerca di nascondere il corpo del reato quando ad abusarne è stato un amico o un protetto. È una discriminazione del molestatore italiano rispetto quello immigrato, ma è notorio che la realtà dalla sinistra è sempre interpretata in base alle gradazioni di colore.

OPINIONI MISTIFICATE - Anni fa, sempre a Rimini, noi di Libero ne abbiamo avuto una conferma eclatante. Un gruppo di giovani immigrati sorprese sulla spiaggia una coppia di turisti, picchiò selvaggiamente lui e abusò di lei in ogni modo. Noi pubblicammo il verbale dei carabinieri che descriveva l'episodio, molto crudo, ovviamente senza nessun elemento che potesse far risalire all'identità della vittima, che peraltro era da tempo già rientrata in Polonia. Ebbene, sinistra e femministe si indignarono perla pubblicazione da parte nostra di un documento giudiziario più che per la violenza dei criminali immigrati. L'opinione pubblica, per processare noi, quasi si scordò di condannare loro. Viva gli alpini, viva Libero.

Alpini, viene fuori la verità: solo 3 denunce, a distanza di giorni, su 500 “testimonianze”. Lucio Meo lunedì 16 Maggio 2022 su Il Secolo d'Italia.

Anche uno dei giornali che fin dall’inizio ha cavalcato l’onda dell’indignazione popolare per i presunti abusi sulle donne da parte degli alpini, nel raduno di Rimini, è costretto ad ammettere che finora c’è solo una denuncia formale agli atti, a fronte delle “centinaia” di testimonianze rilasciate ai giornali e alle tv. Al massimo, nei prossimi giorni, si arriverà a tre. “Sarebbero altre due ragazze pronte a denunciare nelle prossime ore le molestie subite alla 93ª adunata degli Alpini a Rimini”, scrive La Stampa di Torino.

Alpini, le molestie raccontate e le poche denunce

Dopo i primi giorni di stupore, un po’ tutti, oggi, si iniziano a chiedere come mai nessuna, o quasi nessuna, abbia deciso di andare a raccontare quanto subito ai carabinieri, che probabilmente si sarebbero stupiti di dover raccogliere denunce su fischiate alle spalle o complimenti volgari. Non molla, però, l’associazione transfemminista Non Una Di Meno – le cui attiviste sono state definite dal sindaco di Trieste Dipiazza “gentaglia” – che parla di  “discorso sistemico: stiamo subendo stigmatizzazione e intimidazioni per il lavoro di emersione e di supporto alle vittime” mentre il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, annuncia di aver  ricevuto in copia stampata le 500 testimonianze degli abusi sessuali subiti dalle donne. “Leggerò i documenti. E non per dovere istituzionale ma perché proprio ho detto che voglio ascoltare quelle voci e quelle segnalazioni anche se non dovessero diventare denuncia penale”, scrive La Stampa.

Lettera di un lettore al “Fatto quotidiano” il 18 maggio 2022.

Le molestie degli Alpini all’adunata di Rimini Nei primi anni Settanta ero un giovane Auc (allievo ufficiale di complemento) presso la Scuola Militare Alpina di Aosta. La mitica Smalp, per molti giovani italiani. Tra le tantissime cose che mi sono state insegnate (che già comunque molti di noi conoscevano) c’erano proprio le lezioni sui nostri sottoposti, sul rispetto e sul Comando che su di essi dovevamo avere. Ho conosciuto migliaia di miei sottoposti e, personalmente, mi riesce difficile credere ciò che viene raccontato da tante ragazze su quanto è accaduto a Rimini.

Non che gli Alpini siano diversi da altre componenti della società. Se, come successo al sottoscritto, si è avuta la fortuna e il privilegio di frequentare gli Alpini, su questo caso non si darebbero giudizi così trancianti e umilianti. Vorrei ricordare le migliaia di Alpini morti in terra di Russia, in Grecia e in Albania per delle guerre folli e fasciste. Vorrei ricordare le migliaia di Alpini, in armi e in congedo, che hanno partecipato e partecipano quando, in Italia, ci sono purtroppo calamità di ogni genere.

Ho partecipato a decine di nostre adunate e mai (mai!) sono venuto a conoscenza di fatti simili a quelli che avrebbero avuto luogo all’adunata di Rimini, anche perché chi si fosse mai macchiato di tali condotte sarebbe stato subito espulso dall’Ana. Gli alpini non hanno nulla di cui vergognarsi. Anzi. Possibile che con centinaia di raduni annuali (di sezione e/o di gruppo) non ci sia mai stato alcunché da dire sui toni scherzosi e amicali che li hanno contraddistinti? Personalmente ho forti dubbi sui racconti che vengono esposti. Se fossero veri non dovrà esserci clemenza per nessuno.

Mi auguro, per la scelta di vita che ho fatto e per ciò che ho insegnato ai miei sottoposti, che le accuse non siano veritiere e che si siano scambiati dei complimenti (seppure inutili) per delle violenze. Se qualche imbecille ha usato il cappello alpino per commettere illegalità, ne risponderà e sarà portato al ludibrio dei veri alpini. Antonio Barzan 

Risposta di Marco Travaglio

Caro Antonio, anch’io sono un ex alpino ma credo che molte di quelle denunce siano purtroppo fondate.

Alpini molestatori? La giornalista che ha denunciato non esiste: lo scandalo, chi è davvero questa donna. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 17 maggio 2022.

J.L Borges, reduce dalle sue Finzioni, ne rimarrebbe ammirato. La scena è d'una ferocia rara (e esilarante): tre alpini - ovviamente al solito raduno dionisiaco di Rimini - invasati dalla grappa si accaniscono su una candida ragazza no vax di passaggio. La spingono a forza in un hub e, trasfigurati, invece di violentarla, la vaccinano. Immaginatevi le penne nere che sfoderano siringoni di Pfizer dal chiaro simbolismo fallico contro la minoranza sanitaria. Ah, giusto per gustarsi i dettagli: la ragazza si chiama Sossella Lage, "indossava una maglietta con la scritta "fiera di non essere vaccinata", ha denunciato di essere stata presa con la forza"; e l'inevitabile commento alla notizia è "si fa sempre più inquietante il quadro delle molestie relative al raduno degli Alpini". La suddetta scena, con tanto di virgolettati di denuncia, viene evocata dal post di Beatrice Juvenal, sedicente "giornalista indipendente" da 500 followers su Facebook che fa girare il suo post - assieme alla sua foto di ragazza acqua e sapone da pubblicità della Topexan sotto il cartello "No Vax" - assieme a un curriculum abbastanza stitico. Peccato che Beatrice Juvenal non esista. 

LE COSPIRAZIONI

Eppure Juvenal affolla la Rete con i suoi racconti che mandano in sovreccitazione complottisti, putiniani, cospiratori della "dittatura sanitaria" e del pregiudizio antioccidentale. È Beatrice ad aver inventato la storia di Magon d'Aloia (una fantasia ineffabile per i nomi) il 17enne "sospeso dal liceo scientifico 3 giorni per aver fatto un tema contro la dittatura sanitaria. Abituano le giovani menti all'implementazione del pensiero unico dove i trasgressori vengono puniti, infamati ed emarginati poi dal branco", scrive appunto la cronista fantasma. E' Beatrice ad aver raccontato la tragica storia di "Giulia, 19enne entrata nel supermercato Maxisconto a Le Fornaci di Beinasco (To) senza mascherina come previsto dalla legge" e, nonostante ciò, la giovane viene "picchiata selvaggiamente" per poi versare "in gravi condizioni all'ospedale San Luigi di Orbassano".

Ed è sempre Beatrice, la nostra cantastorie inesistente, a denunciare la vicenda del bambino "Matteo Iannini, 2 anni e mezzo, non aveva mai praticamente vissuto senza mascherina. Viene obbligato giorno e notte ad indossarla da genitori con manie ipocondriache". Cioè: piccolo Matteo sarebbe stato praticamente segregato in una cantina con la mascherina incollata al volto, come il protagonista della Maschera di ferro; al punto che i vicini non l'avevano "mai visto in faccia". Naturalmente trattasi una serie impressionate di balle colossali, di vaporose menzogne. Tutte, peraltro, scoperte dal sito di Enrico Mentana Open che - forte di un ottimo sistema di factchecking, di controllo dei fatti - ha spinto il suo algoritmo di verifica e smascherare sia le notizie tarocche sia il loro autore. E Beatrice Juvenal risulta quindi il frutto di una simulazione facciale estratta dal portale thispersondoesn'exista.com, ossia un'invenzione dell'ingegnere Philip Wang pensato inizialmente per addestrare le intelligenze artificiali a riconoscere i volti.

Il caso Juvenal è solo la punta dell'iceberg della disinformazione sistematica e dell'ossessiva creazione di fake. Ricordano le invenzioni letterarie del Pierre Menard del già citato Borges anche le figure di Vladimir Bondarenko, un ex ingegnere aeronautico e blogger di Kyiv che pubblica su Ukraine Today contenuti particolarmente critici verso le autorità dell'Ucraina. E quella di Irina Kerimova, caporedattrice dello stesso sito web nonché insegnante di chitarra di Kharkiv, la seconda città più grande del Paese, e impegnata anche lei nella propaganda anti-ucraina. Volti da fotomodelli, prosa d'attacco e menzogna come stile di vita: i due naturlamente non danno prove della loro esistenza. Non che la creazione di scrittore o giornalisti fittizi sia una novità. Gli studiosi delle fake e del cosiddetto "giornalismo reticolare del web" (dove le news del Washington Post si aggrovigliano sullo stesso piano di lettura delle bugie dell'ultimo pirla) conoscono bene le storie di grandi autori realmente inventati. Come, per esempio, Aleksandr Zavarov (nome ispirato al calciatore sovietico nella Juventus anni 80). Noto per il bellissimo libro Quarto di libbra con Vodka, storia con valenze autobiografiche scritta sul finire degli anni' 80. 

CASO ZAVAROV

Zavarov è un ex-giocatore di hockey su ghiaccio; "e lo sport gli ha dato la possibilità di conoscere il mondo occidentale, causandogli problemi politici e la conseguente fuga dall'Urss, per andare in esilio in Canada". "La sua storia personale è un po' un mix fra quella di Nabokov e quella di Solgenitsin, ma le maggiori similitudine letterarie le ha con Erofeev e Pelevin" scrive di lui qualche presunto critico letterario del web. Un altro personaggio a Zavarov accostabile è "Shimon Halfin, il Celebre Scrittore Israeliano, la cui storia tragica narra di suo fratello che "fu prima ostaggio e poi vittima di Settembre Nero, era uno dei nove atleti morti alle olimpiadi di Monaco". Naturalmente, ogni cosa è immaginata, ogni dettaglio il frutto di una potente credulità. Sta diventando una prassi. Certo, con Beatrice Juvenal siamo arrivati ad altissimi livelli di sofisticazione. La vedremo in qualche talk show, anche se non esiste...

Alpini pronti a denunciare le femministe: un mese dopo... la clamorosa svolta nel caso-molestie. Serenella Bettin su Libero Quotidiano l'01 giugno 2022

«Se ci saranno le condizioni siamo pronti a denunciare le femministe». Non usa mezzi termini il presidente dell'Associazione Nazionale Alpini, Sebastiano Favero. «L'immagine degli Alpini - dice a Libero - non può essere compromessa da episodi isolati. Il 99,9% delle Penne Nere e dei nostri associati è gente seria, che si impegna, lavora, dà una mano, che mai si è tirata indietro dinanzi a qualsiasi calamità o emergenza. E che incarna lo spirito del sacrificio e della condivisione. Questo è il vero valore degli Alpini e di tutti i suoi associati. E di questo non è stato tenuto minimamente conto, gettando fango addosso a una categoria». Favero si riferisce a tutto quel bailamme montato dalle femministe di "Non una di Meno - Rimini" durante l'Adunata degli Alpini tenutasi nella città romangola ormai quasi un mese fa, dal 5 all'8 maggio. Le attiviste segnalarono centinaia di molestie nei canali Instagram.

Ma a distanza di quasi un mese come è evoluta la situazione? Fonti di Libero fanno sapere che nessuna denuncia è stata depositata in questura, a parte una segnalazione sull'applicazione YouPol della Polizia di Stato, l'app che permette di segnalare reati in tempo reale, c'è mai stata. Agli atti resta dunque una sola denuncia giunta ai carabinieri e per la quale la Procura di Rimini ha aperto un fascicolo contro ignoti. Per il resto nulla. Le 150 segnalazioni dichiarate dalle attiviste, dunque, sembrano evaporate. Favero ha dunque istituito un gruppo di lavoro formato da professionisti, avvocati, psicologici, esperti di comunicazione, per far luce su quanto accaduto. «Se ci sono stati episodi isolati vanno approfonditi sicuramente- dice Favero-, voglio capire che cosa è successo e qual è la portata di questa denuncia». Lui, alla fine di questa settimana, incontrerà gli esperti che formano il gruppo e da lì trarrà le sue conclusioni. «Se ci saranno le condizioni - dice - siamo pronti a denunciare di sicuro». «Ad oggi risulta una denuncia - conferma Massimo Cortesi, sempre dell'Ana- per un episodio isolato, sicuramente da condannare, non serviva di certo gettare discredito verso tutta una categoria. Che senso ha avuto?». Anche perché, in effetti, le accuse delle femministe hanno di fatto gettato fango non solo sugli Alpini, ma anche sull'intera città di Rimini. Al punto che più di qualcuno aveva iniziato a boicottare la Riviera Romagnola. Cosa che ha fatto imbestialire gli albergatori, che hanno espresso solidarietà alle Penne Nere. Non solo.

Il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, ha espresso il suo invito all'Ana «di tornare a svolgere il più presto possibile la loro Adunata a Rimini». «Sugli Alpini - ha detto - si è creato un clima che non mi piace. Per niente. All'ormai classico balletto della politica, in cui si sgomita per prendere una posizione più visibile ai potenziali elettori, ormai interessano poco i fatti. Interessano le reazioni a catena». Il primo cittadino non minimizza sui fatti, anzi. «Ci sono episodi, ovvero le segnalazioni e le denunce, che hanno peso e gravità anche al di là degli esiti investigativi veri e propri: segnalano un problema culturale precedente ogni eventuale esito giudiziario. Anche un solo gesto o comportamento sessista è di troppo e inaccettabile». Quindi la sua difesa per il Corpo. «Poi ci sono gli Alpini - ha ribadito - che vengono brutalmente colpevolizzati di ogni nefandezza. E questo è inaccettabile. L'impianto accusatorio è quello di impedire ogni adunata di qui in avanti, e in ogni città d'Italia». E infatti le femministe ci avevano provato. Tramite la piattaforma Change.org hanno avviato una petizione per sospendere per due anni le adunate che da 93 anni non hanno mai dato fastidio a nessuno. Una petizione giunta a 21.772 firme in un mese. Manco hanno raggiunto finora le 25 mila firme che si erano prefissate. Ottenendo che per l'Adunata 2023 a Udine sia già tutto pieno. Alberghi, ristoranti, b&b, appartamenti. Non si trova un posto nemmeno a pagarlo oro. «Il nostro ha rimarcato Sebastiano Favero perla ricorrenza di domani 2 giugno - è un patrimonio di dedizione e valori, che ci impegniamo a trasmettere ai giovani, i quali se coinvolti rispondono con entusiasmo, come dimostra il successo dei nostri campi scuola, che anche quest' anno saranno frequentati da centinaia e centinaia di ragazzi e ragazze tra i 16 e i 25 anni». 

Daniele Dell'Orco per ilgiornale.it il 5 luglio 2022.

Si sono sciolte come neve al torrido sole di questi giorni le accuse mosse dai benpensanti della sinistra contro il Corpo degli Alpini. La Procura della Repubblica di Rimini ha infatti l'archiviazione dell'indagine sulle molestie al grande raduno ospitato nella città romagnola dal 5 all'8 maggio scorsi. 

Un'inchiesta che era formalmente partita dalla denuncia presentata da una ragazza di 25 anni ma condita da un polverone gigantesco sollevato contro gli Alpini in generale ritratti come dei molestatori seriali. In merito a quell'unica denuncia, la richiesta della procura si è basata, come confermato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, sull’impossibilità di identificare i presunti autori delle molestie. Anche perché la folla era composta da 400mila persone e la copertura delle telecamere della zona era solo parziale.

Inoltre, né la giovane molestata né l’amica che era con lei, unica testimone oculare, sono state in grado di riferire particolari utili a rintracciare i responsabili. Nella sua denuncia presentata ai carabinieri tramite il proprio legale, la giovane ha raccontato di essere stata strattonata e bersagliata dagli alpini di frasi sessualmente allusive. Nel gergo femminista moderno è il cosiddetto catcalling.

Quello, per inciso, che hanno segnalato altre decine e decine di ragazze sui vari social network nelle ore successive all'evento, alcune delle quali raccolte in un video da Fanpage che mostra di testimoni che raccontano di avere udito volgarità a sfondo sessuale al loro indirizzo e di avere dovuto fronteggiare molestie da vecchi ubriachi partecipanti al raduno. L'associazione "Non una di meno" ne ha raccolte 160.

Di tutte, comunque, solo una si era tradotta in una vera e propria denuncia. E anche quella, secondo la Procura, è ben lontana dall'essere dimostrata. Una decisione che però, come ricorda all'Adnkronos Sebastiano Favero, presidente dell'Associazione Nazionale Alpini, non può compensare il fango gettato nei confronti di tutto il Corpo: "Con grande amarezza dico che invece di generalizzare su un'intera associazione che ha dimostrato in tutti questi anni i suoi valori e i suoi ideali bisognerebbe essere più cauti - puntualizza "amareggiato" -. Invece, purtroppo, si sparano sentenze senza avere alcuna prova e poi non si ha neanche il coraggio di chiedere scusa". Perché, inutile dirlo, anche solo ipotizzare che qualcuno possa scusarsi sarebbe da ingenui.

Andrea Valle per “Libero quotidiano” il 7 Luglio 2022.

La notizia della richiesta di archiviazione da parte della procura le ha scosse, ma non è bastata. Le femministe di "Non una di meno" sono convinte di avere ragione, per questo hanno deciso che comunque loro presenteranno lo stesso una denuncia contro gli alpini. 

Altri, dopo una simile figuraccia si sarebbero ritirate in attesa di battaglie migliori. Magari avrebbero calibrato meglio le loro iniziative e si sarebbero accertate di avere davvero un molestatore con cui prendersela. Invece, no. Le signore accusatrici delle penne nere sono ancora lì a provare a dimostrare le colpe di un Corpo, quello degli Alpini, che finora nessuno aveva infangato.

«Sappiamo benissimo che quando accadono determinati fatti non veniamo credute», scrive su Facebook il gruppo femminista della città di Rimini, luogo al centro della vicenda perché lì si era tenuta l'adunata annuale. «Siamo state noi a portare alla luce i casi di molestie durante quei giorni. Come Gruppo di Autodifesa Transfemminista», è l'annuncio, «depositeremo denunce e testimonianze raccolte insieme alla nostra legale in prossimità dello scadere dei 3 mesi perché la procura possa lavorarvi e prendere atto dei fatti. La nostra azione ha messo in luce un sessismo culturale e sistemico, che si amplifica su più livelli e questa archiviazione non fa che confermarlo».

Mentre gli Alpini si stanno organizzando per la loro prossima adunata, nel weekend a Pescara, ieri è intervenuto il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad: «Troppo rumore, con il risultato di schiacciare ogni possibilità di dialogo serio. Inutile chiedere le scuse o invocare una vendetta politica».

Ma gli Alpini non nascondono la loro soddisfazione: «La giustizia, come sempre, ha fatto il suo corso e ha evidenziato come sono andate le cose», ha dichiarato il generale Giorgio Battisti, primo comandante del contingente italiano della missione Isaf in Afghanistan. E Andrea Adorno, medaglia d'oro al valor militare, non ha dubbi: «Sono contentissimo di aver letto della richiesta di archiviazione come è giusto che andasse a finire, perché non c'era nulla di fondato se non per quattro mascalzoni che avranno approfittato certamente dell'occasione»

Le femministe insistono col fango sugli alpini. FI: "Il ministero prenda posizione". Gli alpini scelgono le vie legali dopo la richiesta di archiviazione della denuncia della procura di Rimini contro chi ha offeso per settimane il corpo militare. Francesca Galici su Il Giornale il 7 luglio 2022.

Dopo settimane di strepiti e di accuse infondate, la procura di Rimini ha chiesto l'archiviazione per l'unica denuncia di molestia sessuale formalizzata dopo l'adunata nazionale degli Alpini tenutasi nella città romagnola dal 5 all'8 maggio scorsi. Solo una, infatti, era la denuncia formalizzata presso le autorità competenti a fronte di un numero elevatissimo di segnalazioni che, però, non sono mai uscite dai social network. Ora che la procura ha deciso di archiviare l'unica denuncia, le attiviste di Non una di meno non si rassegnano e si dicono pronte a consegnare decine di segnalazioni, che però finora non erano mai pervenute alle forze dell'ordine. Intanto, però, gli alpini hanno deciso di rivolgersi alla legge per vedersi riconosciuti i danni di settimane di fango mediatico gettato sul corpo militare. "Molestie e reati inesistenti, giornalisti e comunisti chiedano scusa a tutti i gloriosi e generosi Alpini!", ha commentato Matteo Salvini.

"Il ministero della Difesa prenda posizione"

"Ora che la procura di Rimini ha chiesto l’archiviazione del caso relativo alle presunte molestie avvenute durante l’adunata degli alpini, qualcuno chiederà scusa? Ce lo auspichiamo", dice oggi il senatore Enrico Aimi, capogruppo di Forza Italia in commissione Affari esteri a palazzo Madama. L'impatto mediatico della vicenda è stato dirompente, a scapito della credibilità e dell'onore di un intero corpo d'armata con una tradizione radicata e affidabilità consolidati nell'opinione pubblica. "In moltissimi casi sono apparse anche dichiarazioni pubbliche, di diversi esponenti politici di sinistra, che sono andate a danno dell’intera associazione e dell’intero corpo degli Alpini. Il tutto, senza che vi fosse prova alcuna di quanto accaduto", ha sottolineato il senatore.

Gli Alpini e le molestie? La procura chiede l'archiviazione. Tanto fango per nulla

Ed è proprio per le conseguenze discredito gettato sugli alpini, che Enrico Aimi ha deciso di presentare un'interrogazione al ministero della Difesa, sottoscritta da numerosi senatori, allo scopo di "sapere se si intenda assumere una posizione ufficiale sulla vicenda, esprimendo solidarietà all’Associazione nazionale e al corpo militare degli alpini. Ho chiesto altresì che vengano organizzati e promossi eventi e manifestazioni, anche nelle scuole di ogni ordine e grado". L'obiettivo delle iniziative promosse dal senatore Aimi dovrà essere quello di "far conoscere anche alle nuove generazioni l’importante lavoro svolto dall’Associazione nazionale in tempo di pace e il sacrificio incommensurabile affrontato in tempo di guerra".

"Chiederemo i danni"

Ora, archiviata la denuncia, le Penne nere passano al contrattacco: "Abbiamo conferito mandato ai nostri avvocati di intraprendere azioni legali contro chi ci ha offeso durante e dopo il raduno", ha dichiarato Sebastiano Favero, ingegnere e presidente dell'Associazione nazionale alpini. Il motivo è semplice: "Troppo fango è stato gettato sul nome dell'Ana. Sono molto amareggiato perché il comportamento di singole persone, peraltro non accertato, è stato usato per screditare l'associazione che proprio domani compie 103 anni". L'associazione si costituirà parte offesa nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura ed è in corso di valutazione l'ipotesi di intraprendere un'azione di risarcimento danni in sede civile contro Non una di meno di Rimini.

Molestie, gli alpini all'attacco. "Querele per diffamazione". Daniela Uva il 14 Settembre 2022 su Il Giornale.

Dopo che la Procura ha archiviato le accuse alle penne nere, via alle prime quattro azioni legali: "È solo l'inizio"

Non ci stanno a passare per molestatori, a sentirsi additati come ubriaconi e violenti, a vedere il loro storico corpo infangato e preso di mira. Così, dopo la bufera per le presunte violenze durante l'adunata nazionale dello scorso maggio a Rimini, gli alpini hanno deciso di passare alle vie legali querelando per diffamazione quattro persone responsabili secondo l'Associazione nazionale degli alpini di aver offeso l'intera categoria.

A diffondere la notizia è l'edizione riminese del Resto del Carlino spiegando attraverso il portavoce di Ana Massimo Cortesi che, a oggi, «le persone querelate sono un politico, un giornalista e due soggetti che hanno offeso il corpo e l'associazione, rappresentando tutti gli alpini come ubriaconi e molestatori». Secondo quanto reso noto da Ana, «a due il provvedimento è già stato notificato, agli altri arriverà a giorni». Infine la promessa: «Siamo solo all'inizio».

L'intenzione è quindi di fare completa luce sulla vicenda e di mettere in chiaro che la questione non riguarda gli alpini nel loro complesso. Prima di passare alla controffensiva legale l'associazione aveva atteso alcune settimane, in modo che la vicenda giudiziaria sulle presunte molestie avvenute fra il 5 e l'8 maggio scorsi nella città romagnola fosse chiarita. Fino a questo momento l'unica denuncia formale e circostanziata è stata sporta da una ragazza di 26 anni che ha raccontato di essere stata accerchiata e strattonata nel pomeriggio del 7 maggio da tre uomini di mezza età, con la piuma nera sul cappello, mentre passeggiava con un'amica. La Procura di Rimini ha aperto un'indagine, sono stati visionati i filmati delle telecamere della zona ma, come annunciato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, è scattata l'archiviazione «per l'impossibilità di identificare i molestatori». Nei giorni dell'adunata le segnalazioni e le denunce via social erano però state centinaia. Adesso i legali dell'Ana stanno valutando anche la posizione dell'associazione femminista «Non una di meno», la prima a segnalare online le presunte molestie, raccogliendo alcuni racconti attraverso i social e altri canali. Il collettivo aveva anche annunciato la presenza di un dossier con oltre 170 segnalazioni, fra le quali quella di una ragazza che in un'intervista aveva raccontato di frasi oscene, di violenze fisiche e verbali, senza però arrivare a una denuncia formale perché «gli amici che si trovavano con me quel giorno non erano molto propensi a testimoniare».

Per il presidente dell'Ana Sebastiano Favero «resta una grande amarezza per la vicenda». E spiega: «Avevamo invitato tutti alla prudenza dopo le prime segnalazioni di presunte molestie a Rimini. Purtroppo c'è chi ha generalizzato offendendo e condannando l'intero corpo degli alpini per i comportamenti di alcuni. Comportamenti che, va sottolineato, sono tutti ancora da accertare». Insomma, il caso è tutt'altro che chiuso. 

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” l'8 luglio 2022.

A forza di tutelare e garantire chiunque entri in Italia senza i dovuti controlli, ci ritroviamo nel mezzo di un fenomeno che era prevedibile, ma che abbiamo preferito non vedere. Il razzismo al contrario. Ossia «se sei un'italiana del c....», hai diritto a essere picchiata. 

Questo fenomeno l'abbiamo visto crescere, abbiamo lasciato che si gonfiasse, che ci travolgesse fino a farlo esplodere con i giovani di seconda e terza generazione che si picchiano con gli italiani. Era accaduto a Peschiera dove un gruppo di giovani nordafricani aveva molestato sei ragazzine sul treno che le riportava a Milano, dicendo loro: «Le bianche qui non possono entrare».

Non solo. Quel giorno era il 2 giugno scorso - a Peschiera del Garda era successo il finimondo. Il sindaco, Orietta Gaiulli, aveva parlato di «guerriglia urbana». Ragazzotti in preda a litri di alcol che ballonzolavano sopra le auto dei turisti in un vortice indecoroso di risse, pestaggi, violenze. «Peschiera come l'Africa» scrivevano su TikTok.

«Siamo venuti a riconquistarla». L'appuntamento viene dato nel social e da qui si lancia la sfida e si organizza il raduno al solo scopo di spaccare tutto. Prima regola: «Non sono ammessi italiani». 

Ma passa qualche giorno e i giovanotti si accordano per invadere Riccione. «A Peschiera è stato solo un assaggio», scrive qualcuno. A scrivere poi sono sempre gli stessi e quindi non si capisce bene perché nessuno faccia niente. E veniamo a sabato sera scorso. A Riccione è in corso la "Notte Rosa" quando una ragazzina di 15 anni viene aggredita e rapinata da un gruppo di 5 coetanee. «Mi hanno pestata e derubata. Presa per i capelli e riempita di calci e pugni.

Erano ragazze molto giovani, sembrava si divertissero a picchiarmi. Nessuno dei presenti ha mosso un dito per difendermi. Qualcuno ha fatto un video, mentre un gruppo di ragazzini cantava "Riccione come Africa"». 

A testimoniarlo infatti c'è un video ripreso dal leader della Lega Matteo Salvini dove si sente perfettamente qualcuno dire: "Italiana del c....". La malcapitata ha avuto sette giorni di prognosi per le botte e ha detto di aver presentato denuncia. E non è la sola. Lunedì scorso due minorenni di origine nordafricana sono stati sottoposti a fermo per una rapina ai danni di un ragazzino di Bologna.

La vittima ha raccontato ai carabinieri di essere stato accerchiato da un gruppo di giovanissimi nordafricani e sotto la minaccia di un coltello, di essere stato costretto a consegnare lo smartphone. Smartphone che li ha traditi, perché grazie all'applicazione di geolocalizzazione, i militari hanno tracciato il telefonino e nel punto individuato oltre a varie refurtive, hanno trovato tre ragazzini che bivaccavano allegramente. Uno è stato trovato in possesso di una mannaia da macellaio e denunciato a piede libero.

Gli altri due sono stati sottoposti a fermo e trasferiti al centro di prima accoglienza per minori. Perché hai voglia a dire che ci vuole lo ius scholae, se il 60% dei giovani identificati lungo la Riviera romagnola è di origine straniera. L'età media è compresa trai 16 e i 22 anni, e il 30% è anche recidivo. «Riccione? No. Maroccolandia», si legge su TikTok. 

Qualche altro invece si diverte col monopattino tra le pompe di benzina scrivendo: «I marocchini stanno colonizzando l'Italia. Peschiera, fatto. Riccione anche». Ah. Ci sono anche i furbi che derubando un gruppo di turisti sono incappati negli allievi marescialli dei carabinieri della Scuola di Firenze. Bel colpo.

 "Riccione? No, Maroccolandia". Cronache di una violenza annunciata. Marco Leardi l'8 Luglio 2022 su Il Giornale.

Lo avevano promesso. E così è stato. Nella riviera romagnola boom di episodi violenti commessi da giovani gang di stranieri: allerta sulle ferie degli italiani.

Ancora risse, pestaggi, rapine. Violenze annunciate sui social, poi commesse e rivendicate con strafottenza. Talvolta, con la soddisfazione di esibire un insensato orgoglio su base etnica. A compiere le suddette scorribande sono infatti gruppi di stranieri giovanissimi, in genere di età compresa trai 16 e i 22 anni. Perlopiù nordafricani: ci tengono loro stessi a precisarlo, quasi a voler mettere una firma ai loro vandalismi. "I marocchini stanno colonizzando l'Italia. Peschiera, fatto. Riccione anche", si legge in uno dei messaggi postati in rete dagli stessi componenti di queste gang. Sì, perché la scia delle barbarie parte da lontano e arriva sino alla recentissima cronaca.

A far esplodere il fenomeno, per la verità già esistente ma da molti ignorato (chissà, forse anche per interesse politico), erano stati i disordini commessi il 2 giugno scorso sul Garda da alcune baby gang di stranieri. Avevano preso d'assalto la cittadina di Peschiera, poi sul treno di ritorno verso Milano avevano molestato diverse ragazze. "Era solo il riscaldamento, vedremo a Riccione come sarà", avevano giurato quei "bravi ragazzi" sui social, promettendo di prendere d'assalto la località romagnola in estate. E così è stato. Lo dimostra l'agghiacciante cronaca degli ultimi giorni, con un susseguirsi di episodi violenti commessi dagli stessi nordafricani con la medesima sfrontatezza. Con il medesimo e dichiarato disprezzo per gli italiani.

"Sei un'italiana del ca...", si sente nel video con cui è stato documentato il tremendo pestaggio contro una 15enne compiuto proprio a Riccione da una gang di ragazzine. Contro la vittima, calci, pugni e pedate con i tacchi. Intanto, quel ritornello ripetuto: "Riccione come Africa". Domenica scorsa, durante l'evento della Notte rosa, l'ulteriore episodio avvenuto sempre nella riviera romagnola: due minorenni di origine nordafricana sono stati fermati per una rapina ai danni di un giovane bolognese. Sotto la minaccia di un coltello, il ragazzo era stato costretto a consegnare il proprio smartphone, poi ritrovato dalle forze dell'ordine grazie alla geolocalizzazione. Il mattino successivo al furto, i militari hanno trovato i responsabili del reato che bivaccavano nella zona del lungomare. Uno di essi aveva con sé un coltello da macellaio.

"Riccione? No, Maroccolandia", si legge in uno dei video postati su TikTok nei quali si allude alle recenti scorribande estive. E ancora, altri episodi analoghi: a Rimini un giovane straniero si era avvicinato a un gruppo di italiani e con la "tecnica dell'abbraccio" li aveva derubati. Non sapeva, però, di aver scelto le vittime sbagliate: si trattava di un gruppo di allievi marescialli della Scuola dei carabinieri di Firenze, che stava trascorrendo un periodo di vacanza sulla riviera romagnola.

Ora l'attenzione e i timori sono già puntati sul prossimo weekend e in generale sulle prossime settimane, per tradizione quelle delle ferie degli italiani. Intanto, mentre nei palazzi della politica c'è chi parla di ius scholae, nella vita reale succedono cose che richiederebbero - prima ancora che una riflessione - un intervento immediato.

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” il 5 giugno 2022.

Che la figura del ministro Lamorgese sia vana e inconcludente è sotto gli occhi di tutti. Hai poco da dire che non è colpa della gestione dell'immigrazione se ogni fine settimana assistiamo a episodi dove bande di giovanotti, alcuni irregolari, ne commettono di tutti i colori. 

L'ultimo fattaccio è avvenuto mercoledì scorso a bordo del treno regionale 2640 che da Peschiera del Garda (Verona) va a Milano. Sei ragazze trai 16 e i 17 anni sono state molestate, palpeggiate e insultate a bordo per lunghi minuti, e in modo pesante, da alcuni ragazzi nordafricani. 

Per l'occasione le femministe che avevano montato tutto quel palco con gli Alpini a Rimini, dipingendo il Corpo come assatanato e in preda ai fiumi dell'alcol e degli ormoni, qui se ne sono state belle zitte. Nessuna vignetta di solidarietà postata nei canali Instagram per queste ragazze divenute prede di immigrati. Nonostante i fatti siano ben più pesanti.

«Eravamo circondate hanno raccontato - il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l'aggressione sessuale. Ridevano. Ci dicevano: "le donne bianche qui non salgono"». 

Pericolose discriminazioni al contrario che negli ultimi anni sono sempre più palesi. Le ragazze, quattro di Milano e due di Pavia, avevano appena trascorso una giornata a Gardaland e volevano semplicemente tornare a casa. Ma ultimamente salire nei treni regionali è un po' come giocare un terno al lotto. Ti ci devi infilare dentro, chiudere gli occhi e sperare di uscirne indenne. Non mancano i racconti di ragazze e donne molestate per lo più da stranieri.

Anche se si continua a far finta di nulla adducendo ogni responsabilità al maschio bianco, agli Alpini, al nostro modello di società patriarcale eccetera eccetera.

Un mese prima degli stupri di Capodanno in Piazza a Milano, una ragazza venne violentata sul treno Trenord Milano-Varese da un italiano e un marocchino e un'altra venne aggredita in stazione. 

Qui a Peschiera invece, giovedì scorso, poco prima delle 18, la banchina e i binari della stazione erano invasi da centinaia di giovani, la maggior parte nordafricani.

«Urlavano e correvano», hanno raccontato le ragazze, «hanno anche sputato sui finestrini di un treno arrivato prima del nostro». I giovani con ogni probabilità erano lì per quel maxi raduno annunciato su TikTok per il 2 giugno proprio a Peschiera. 

Funziona così ora. Ci si mette d'accordo sui social e ci si ritrova per «spaccare tutto».

Sul fatto è intervenuto il presidente del Veneto Luca Zaia. «Tolleranza zero - ha detto - pensare che delle ragazze vengano importunate, molestate o che siano oggetto di aggressione nei nostri territori non esiste. Il mio appello è che ci sia tolleranza zero e che le forze dell'ordine ci mettano il massimo impegno per trovare i responsabili».

 «Pugno di ferro contro questi delinquenti - ha twittato il deputato di Fratelli d'Italia Ciro Maschio - Lamorgese svegliati! O dimettiti!». «Lamorgese - ha scritto Fratelli d'Italia - quali misure intende mettere in atto per fermare questi episodi?». Ma le misure sono state spesso inesistenti e se ci sono state sono state sempre disattese. Lo abbiamo visto con i rave party, con le proteste dei no pass e no vax in piazza. Lo abbiamo visto quando la Lamorgese spiegando i disordini a Roma del 9 ottobre scorso, dopo l'assalto alla sede della Cigl, parlava di moti ondulatori. 

Pochi giorni fa poi, sempre lei intervenendo alla tavola rotonda durante il congresso confederale della Cisl ha ribadito che non è colpa sua se arrivano i migranti e, lavandosene le mani, ha asserito che c'è la crisi del grano. Certo. Adesso. Ma da quando c'è la Lamorgese, fa eccezione la parentesi pandemica del 2020, la curva è tornata a salire pericolosamente.

L'immigrazione se non la gestisci ti scivola via. Inonda le strade della città come un fiume in piena. E una volta giunti in Italia se fai passare il messaggio che il Belpaese è il Paese dei Balocchi, non c'è più un freno a nulla. Infatti, una volta arrivati qui, la maggior parte fa quello che vuole.

Queste povere ragazze finite in mano ai nordafricani mentre stavano subendo le violenze, non hanno nemmeno chiamato la polizia per paura di essere picchiate. Hanno chiamato i genitori che a loro volta hanno chiamato i soccorsi ma non ha risposto nessuno.

«Abbiamo chiamato noi il 112 ma nessuno è intervenuto» dicono madri e padri. Le giovani sono state aiutate da un ragazzo che le ha fatte scendere alla fermata successiva che è quella a Desenzano del Garda. Con l'unica differenza che queste hanno trovato il coraggio di denunciare alla Polfer. Le femministe di "Non una di meno", non avendo niente da dire, no.

Fabio Amendolara per “La Verità” il 9 giugno 2022.

Il copione è sempre lo stesso: risse, pestaggi, violenza. E se sul Garda dopo i fatti del 2 giugno ormai è scattata la psicosi, con il sindaco di Castelnuovo che riceve preallarmi su una possibile e imminente nuova calata dell'orda da mucchio selvaggio, di località turistiche prese d'assalto ce ne sono diverse. 

A Rimini l'altra notte ombrelloni e lettini si sono trasformati in oggetti atti a offendere. È finita con una lotta corpo a corpo, durante la quale un immigrato africano ha staccato con un morso la falange di un dito al contendente albanese e l'ha ingoiata. La rissa tra due albanesi e due nigeriani è scoppiata all'altezza del bagno 70. Alle 3 della notte tra lunedì e martedì è dovuta intervenire la polizia, allertata da un istituto di vigilanza. In tre sono stati arrestati con l'accusa di rissa aggravata, mentre il quarto è ricercato. 

L'avanzata africana in Italia sembra inarrestabile: proprio come a Peschiera del Garda, solo due mesi fa anche a Riccione gli squilli di tromba sono arrivati via Tik tok, con un video che è subito diventato virale: due ragazzini scendono la scalinata del Palazzo dei Congressi e, a un certo punto, dicono «pure quest' estate Riccione sarà colonizzata». 

Sullo schermo sventolano quattro bandiere: Tunisia, Marocco, Senegal e Albania. È stato così annunciato a residenti e turisti che sarà un'altra estate bollente. Come quella dello scorso anno, quando la Riviera si è trasformata nel campo di battaglia delle baby gang: bande composte da giovani nordafricani poco più che maggiorenni, dediti a furti, risse e rapine.

Per quelle avvenute il 16 e il 23 di agosto 2021 sono anche scattati degli arresti. Ma l'episodio simbolo resta quello del 21 agosto nelle strade di Riccione, quando la solita orda, arrivata in città per partecipare al concerto a Misano del trapper Baby Gang (poi annullato), si era scatenata con danneggiamenti a go go.

«Da oggi in poi tornerò a zanzare (ovvero a derubare, ndr) i turisti» aveva annunciato sul Web, come riporta il Resto del carlino, il cantante marocchino Zaccaria Mouhib, in carcere dallo scorso gennaio. Dichiarazioni che gli erano valse il foglio di via del questore. E con l'estate ormai alle porte e le minacce di nuove invasioni, gli operatori turistici non nascondono la loro preoccupazione.

Le agenzie di security confermano di aver raddoppiato il personale. E per le forze dell'ordine si preannuncia un gran bel da fare. Il sindaco di Riccione Renata Tosi, proprio come ha fatto anche la collega di Peschiera del Garda Maria Orietta Gaiulli, ha giocato d'anticipo, scrivendo al prefetto. E anche il questore Francesco De Cicco, nel suo messaggio di saluto alla festa della polizia, ha invitato a «non sottovalutare il fenomeno».

Di certo è una questione che non potrà che essere affrontata dal Comitato per l'ordine e la sicurezza. Proprio come a Verona, dove ieri i sindaci dell'area del Garda, Trenitalia e Trenord, si sono collegati in videoconferenza con il prefetto per verificare l'opportunità di continuare con i controlli rafforzati sulla spiaggia. Tra le altre cose, è stato chiesto di poter usare lo strumento del Daspo urbano. 

Mentre le indagini della Squadra mobile veronese vanno avanti per identificare i facinorosi del 2 giugno. Le bocche sono cucite, ma gli investigatori sarebbero già riusciti a dare un nome a decine di africani. Poi scatteranno le denunce. Così come vanno avanti le indagini sulle molestie che le ragazzine di ritorno in treno da Gardaland hanno denunciato alla polizia. Con tanto di polemiche su chi ha permesso a centinaia di immigrati reduci dal rave di Peschiera di salire su quel regionale. 

«Abbiamo all'ordine del giorno i mezzi di trasporto e la stazione di Peschiera, soprattutto dopo quanto accaduto il 2 giugno, e a questo riguardo ho coinvolto Trenord e Trenitalia perché si tratta di garantire un trasporto in condizioni di sicurezza. E questo vuol dire dover dotare i vagoni di videosorveglianza», ha detto al termine del vertice con i sindaci il prefetto di Verona Donato Carfagna.

E anche a Jesolo, in provincia di Venezia, le notti sul litorale si stanno facendo sempre più complicate da gestire: risse innescate dalle solite baby gang di immigrati, vandalismo, schiamazzi. Il sindaco Valerio Zoggia ha chiesto rinforzi al prefetto di Venezia, denunciando una situazione «già grave». 

«Il periodo più difficile», ha spiegato, «è proprio l'inizio della stagione balneare. Sono situazioni che riguardano centinaia di ragazzi, non decine. Io stesso li ho visti arrivare con casse di superalcolici e poi partecipare alle risse. Controllare il territorio con questi numeri è impossibile». Il bilancio dello scorso fine settimana è di centinaia di interventi, soprattutto nella notte di sabato. Ma a Jesolo non è solo il litorale l'area presa di mira. C'è un problema di sicurezza anche nella centralissima piazza Mazzini, dove nelle ultime sere non sono mancate le risse tra giovani pieni d'alcol.

La minore molestata sul treno dal Garda: «Insultate perché bianche, ho pianto di paura» Le urla al rave: «Qui è Africa». Cesare Giuzzi, Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 5 giugno 2022.

Al grido «questa è Africa» hanno stretto d’assedio il lungolago del Garda, tra Peschiera e Castelnuovo. «Siamo venuti a riconquistare Peschiera. Questo è territorio nostro, l’Africa deve venire qui». Lo hanno urlato in faccia anche al sindaco di Castelnuovo Giovanni Del Cero poco prima che partisse il lancio di bottiglie e la sassaiola contro i reparti della Celere. «Ho cercato di capire — dice Del Cero — ma loro urlavano frasi assurde, sbandierando bandiere di vari Paesi africani».

Città occupate

Un racconto confermato dai video sui social per quella che è stata un’occupazione organizzata delle due cittadine già affollate di turisti. In azione giovani tra i 16 e 20 anni, ma anche ragazzini di 12-14 anni. Moltissimi nordafricani e anche immigrati di seconda generazione per uno street rave non autorizzato ma cominciato quasi in sordina. Fino all’una c’erano circa 600 partecipanti al raduno che scorazzavano per la città, ma senza dare particolare fastidio. La situazione è andata fuori controllo all’arrivo del treno da Milano quando una marea umana di almeno 1.500 persone si è riversata sul Garda. Quasi tutti provenienti dalle province di Milano, Brescia e Bergamo. È bastato il furto di una borsa perché scoppiasse la prima rissa a colpi di bastone e coltellate. Quindi la folla ha invaso le stradine del lungolago e la spiaggia. «Hanno distrutto ogni cosa — raccontano gli operatori commerciali — hanno spaccato vetrine, preso d’assalto il trenino turistico e bloccato passanti a piedi o in motorino». Il tutto sotto effetto dell’alcol e del martellante sottofondo di musica trap alternata a motivi etnici. A quel punto è dovuta intervenire la polizia in assetto antisommossa, scatenando la sassaiola e il lancio di bottiglie. «Io non so se fossero immigrati di prima o seconda generazione — si accende la sindaca di Peschiera Orietta Gaiulli — sono solo una razza di delinquenti che hanno lasciato una profonda ferita nella mia comunità. Abbiamo vissuto una giornata di guerra».

Il precedente

Le prime avvisaglie sul Garda c’erano già state l’anno scorso, più o meno nello stesso periodo. In quel caso però i partecipanti erano appena un centinaio. Un ragazzo si lanciò in acqua ed annegò. Ma mentre il giovane agonizzava altri ne approfittarono per rubare borse e zaini ai turisti. Questa volta tutto è partito con un passaparola su TikTok. E chi ha organizzato il raduno gli ha voluto dare una strampalata matrice di rivendicazione etnica. Fino alle minacce sul treno di ritorno per Milano. Intorno alle 17 la marea umana si è riversata sui binari della stazione di Peschiera in contemporanea con il rientro delle comitive da Gardaland. Tra queste anche quella delle cinque ragazze che hanno denunciato le molestie. Anche a loro hanno gridato: «Su questo treno non salgono i bianchi».

Il racconto delle vittime

E in effetti molti hanno preferito restare in stazione. «C’erano tanti nordafricani. Avevano anche le bandiere del Marocco. Correvano da una parte all’altra della stazione. Hanno anche tentato di salire su un Frecciarossa bloccandolo per dieci minuti», così, dopo aver parlato con il Giorno, una delle vittime racconta quegli istanti. Una volta a bordo le cinque ragazze si sono trovate in trappola: «Era stracolmo, faceva caldissimo. Volevamo scendere, ma ce l’hanno impedito azionando l’allarme. Abbiamo attraversato varie carrozze e nel tragitto hanno iniziato a toccarci ovunque. Sono scoppiata a piangere e ho avuto un attacco di panico. Mentre andavamo avanti ci toccavano, sentivo l’aria mancarmi. La gente fumava, le ragazze specialmente ci davano delle “bianche”, delle privilegiate e non ci facevano passare».

Gli immigrati

Alla prima fermata, a Desenzano, le vittime terrorizzate hanno implorato aiuto. «Per fortuna — raccontano — un altro ragazzo, anche lui nordafricano, ha spinto via gli amici e ci ha fatto scendere». A riprenderle sono stati i genitori che il giorno dopo le hanno accompagnate alla Polfer di Milano per formalizzare la denuncia. La giornata di follia sul Garda sta suscitando, tra gli altri, anche l’indignazione di giovani immigrati che vivono in Italia. «Avete fatto vedere il lato negativo di noi» scrive Ossamaelougui. Aggiunge Abdel: «State rovinando la reputazione di tutti gli immigrati».

Ragazze molestate in treno, trenta i sospettati: le indagini concentrate in Lombardia. Cesare Giuzzi e Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 6 Giugno 2022.

Dopo la denuncia di cinque minorenni che tornavano da una gita a Gardaland, una decina di ragazze si sarebbero fatte avanti descrivendo anche l’abbigliamento e alcune caratteristiche fisiche degli aggressori. 

Alcune delle ragazze molestate sul treno

Una trentina di ragazzi, tutti di origine africana e nordafricana. Giovani saliti alla stazione di Peschiera del Garda sul treno diretto a Milano dopo una giornata di scorribande sul lungolago e tensioni con le forze dell’ordine. Sarebbero loro gli autori delle violenze denunciate dalle cinque minorenni, tre milanesi e due pavesi, costrette a scendere dal treno strapieno alla stazione di Desenzano dopo aver subito palpeggiamenti e minacce.

Gli investigatori hanno già acquisito i video delle telecamere della stazione e alcuni filmati apparsi su TikTok. Immagini nelle quali non si vedono le fasi delle violenza ma che riprendono la folla in stazione e soprattutto sul treno. Stando alle prime ricostruzioni si tratterebbe di giovani bresciani, bergamaschi e milanesi di ritorno dal maxi raduno. Le vittime, nonostante lo choc e la paura, nella loro denuncia hanno descritto anche l’abbigliamento e alcune caratteristiche fisiche che potrebbero portare presto all’identificazione degli autori.

L’indagine però si allarga. Gli inquirenti stanno lavorando su una decina di ragazze in totale che avrebbero subito le stesse molestie: «Stiamo ricostruendo i fatti avvenuti in spiaggia e sul treno. Gli accertamenti proseguiranno su tutto ciò che può avere risultanze penali», conferma il dirigente della Mobile di Verona Carlo Bartelli.

La Polfer di Milano che ha raccolto le denunce delle cinque vittime ha inoltrato gli atti alla Procura scaligera, ma non è escluso che nei prossimi giorni le indagini possano concentrarsi sulla Lombardia, proprio per la provenienza dei presunti molestatori. C’è anche da capire come mai il treno sia stato fatto partire e con quali condizioni di sicurezza visto il sovraffollamento e la presenza di ragazzi che fumavano e «saltavano sui sedili». Domenica la stazione è stata presidiata da agenti in assetto anti sommossa per il timore di un nuovo raduno: decine i ragazzi identificati ma nessun assalto bis.

Il caso infiamma la politica. «Se qualcuno prende Peschiera per fare i loro casini e scorribande biglietto di solo andata», dice il leader leghista Matteo Salvini. «Su questo gravissimo fatto è calata una cappa di silenzio da parte di certa sinistra e delle femministe. Nessuna parola di sdegno, probabilmente per paura di mettere in cattiva luce gli immigrati», aggiunge la presidente di FdI Giorgia Meloni. Replica la senatrice del Pd Valeria Valente: «Ci stringiamo alle giovani che hanno trovato il coraggio di denunciare. Spiacciono le parole di esponenti della destra che non perdono occasione per fare speculazione politica, anche sulla pelle di minorenni».

 Molestie sul treno da Gardaland, il papà di una delle ragazze: «Mia figlia in trappola, io al telefono non potevo far nulla». Cesare Giuzzi, Alfio Sciacca per corriere.it il 7 giugno 2022.

Le violenze al rientro dal Garda, il racconto di uno dei genitori. «Ho chiamato le forze dell’ordine, ma sono arrivate quando lei era già scesa dal treno. È ancora sotto choc». 

«Quando mi ha detto che era bloccata, che le stavano tutti addosso e non riusciva nemmeno a respirare sono impazzito… mia figlia era in balia di gente senza scrupoli e io ero a casa, impotente. Se non fosse riuscita a scendere a Desenzano quelli non so cosa le avrebbero fatto». Alberto è il papà di una delle due ragazze del Pavese che hanno denunciato, assieme a altre tre minori di Milano, di essere state molestate sul treno, dopo una giornata a Gardaland. Quattro giorni dopo ricostruisce tutto così minuziosamente da farti rivivere la sua angoscia di padre.

«Dal treno mi chiamava terrorizzata. Uno squillo, poche parole e cadeva la linea. Aveva paura che pensassero che stava chiamando la polizia. Parlava a monosillabi e riattaccava. Poi non rispondeva, quindi mandava un messaggio: “Papà siamo ammassati, non ci fanno scendere”. L’ho implorata di spostarsi in un altro vagone e scendere alla prima fermata. E lei: “non riesco neanche a girarmi”. A quel punto sono andato nel panico. Erano degli invasati e le potevano fare di tutto. Pensavo: magari saranno anche ubriachi... e se hanno dei coltelli...».

Ha avvisato le forze dell’ordine?

«L’ho fatto ed è stato un altro incubo. Ho chiamato prima i numeri della polizia ferroviaria di Peschiera, ma non rispondeva nessuno. Quindi ho telefonato al 112, e mi hanno passato i carabinieri di Peschiera. Gli ho spiegato cosa stava succedendo e mi hanno detto che non era di loro competenza e avrebbero chiamato la polizia ferroviaria. Al che gli ho urlato: “ma è questo il modo di gestire un’emergenza?”».

Cosa ha fatto?

«Non mi è rimasto che mettermi in macchina. Mezz’ora dopo mi chiamano i carabinieri dicendomi che stavano mandando le pattuglie a Peschiera. Peccato che mia figlia intanto era già riuscita a scendere, ma a Desenzano».

Quindi erano già al sicuro?

«Mi ha chiamato quando io ero ancora in strada. Al telefono piangeva. Gli ho detto: “Restate in gruppo, andate in un posto affollato”. Al mio arrivo le ho trovate tutte cinque in un bar. Tremavano ancora per la paura».

Cosa le hanno raccontato?

«Che si sono sentite in trappola, braccate, senza l’aiuto di nessuno. Le toccavano, dicendo: “Donne bianche voi non potete stare qui.. siete delle privilegiate”. Quando una di loro ha avuto l’attacco di panico ed è svenuta loro si sono tolti la maglietta per farle aria, intanto le si avvicinavano al viso dicendo “I love you”. Alla fine si sono salvate solo grazie a un ragazzo, anche lui di colore, che è riuscito a farsi largo tra la folla a spintoni consentendo alle ragazze di aprire le porte».

Lei è in collera anche con le Ferrovie...

«Di più. In questa vicenda hanno una grossissima responsabilità. Era evidente quello che stava succedendo con quella gente che aveva già bloccato l’alta velocità. Erano tutti ubriachi e violenti. In quelle condizioni non dovevano assolutamente far partire quel treno fuori controllo».

Ma sua figlia perché è salita?

«Mi ha detto che quando sono arrivate loro in stazione c’era casino, ma erano ancora in pochi. La marea umana è arrivata quando erano già a bordo e quindi sono rimaste intrappolate».

Come sta ora sua figlia?

«È ancora traumatizzata, quando ne parla piange. Pensi: era la prima volta che andava in gita da sola con la sua amica, che come lei ha 17 anni. Appena l’ho riabbracciata la prima cosa che mi ha detto è stata: “In vita mia non prenderò mai più un treno”».

Riconoscerebbe chi l’ha molestata?

«Non lo so. Dice che parlavano italiano e racconta che erano così pigiati tra loro che sembravano tutti uguali».

Avete avuto qualche esitazione prima di denunciare?

«Confesso che ci abbiamo pensato un po’ con gli altri genitori. Poi ci siamo detti: “Alle nostre figlie è andata bene, ma ad altre ragazze è andata o potrebbe andar peggio. È giusto che facciamo il nostro dovere di cittadini”. Non possiamo abbassare la testa. C’è anche bisogno che se ne parli per evitare che cose del genere, o anche più gravi, accadano ancora ad altre ragazze come mia figlia».

Michela Marzano per “la Repubblica” il 6 giugno 2022.

L'aggressione delle amiche che tornavano in treno da Gardaland, e che sono state molestate da un gruppo di giovani di origini nordafricane, rappresenta qualcosa di estremamente grave. Tanto più che alcune delle frasi urlate alle ragazze, in particolare: «Le donne bianche qui non salgono», ricordano in maniera imbarazzante le parole che, per secoli, sono state scagliate contro le persone nere. Un fatto molto grave, dicevo.

Che illustra bene quel senso di impunità che alimenta la logica assurda e violenta del branco, quella logica che si scatena quando un gruppo di individui - spesso giovani, quasi sempre maschi - si ritrova insieme e, dopo aver designato una o più vittime - spesso femmine - si accanisce brutalmente contro di loro. Con l'aggravante che, in questo caso, si è trattato di un branco di ragazzi neri convinti di poter trattare un gruppo di adolescenti come oggetti, non solo perché femmine, ma anche perché bianche.

Una logica di violenza alimentata senz' altro dall'atavica cultura dello stupro. Sebbene oggi siano spesso i più giovani a insegnare ai più grandi che le molestie legate al sesso, al genere e all'orientamento sessuale sono un retaggio del passato.

A meno che non crescano all'interno di ambienti gretti, misogini e omofobi, non leggano gli stessi libri che leggono i propri contemporanei, non vedano le stesse serie e non ascoltino la stessa musica.

Oppure vengano da paesi in cui il radicalizzarsi dell'Islam giustifica l'umiliazione e la cancellazione delle donne. La violenza è sempre inaccettabile, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dal sesso o dall'orientamento sessuale dei carnefici e delle vittime. 

Esattamente com' è inaccettabile che tante ragazze e tante persone omosessuali e trans debbano ancora oggi crescere sapendo che dovranno fare attenzione a come si vestono, a quanto bevono, a dove vanno e alle persone che frequentano, per evitare di subire stupri o molestie. Quand'è che anche le donne e le persone omosessuali e trans saranno libere di non dover sempre cercare di tenere tutto sotto controllo?

Ma è anche inaccettabile che i seminatori di odio, e tutte e tutti coloro che hanno contribuito ad affossare la legge contro l'omotransfobia e la misoginia, vengano adesso a fare la morale a "quelli di sinistra", come dicono loro, perché non avrebbero, sempre secondo loro, dato sufficientemente rilevanza al fatto che i molestatori erano ragazzi neri. Il tutto, ovviamente, con toni estremamente violenti. Senza capire che, in questo modo, alimentano l'odio e la violenza, e non contribuiscono affatto a smantellare la cultura dello stupro. Anzi. Ne diventano, in fondo, i principali promotori.

 Da “Anteprima. La spremuta di giornali di Giorgio dell’Arti”

Giovedì 2 giugno centinaia di ragazzi tra i 12 e i 20 anni, moltissimi nordafricani e immigrati di seconda generazione, provenienti dalle province di Brescia, Bergamo e Milano, dopo un passaparola su Tik Tok, si sono riversati sul lungolago del Garda, tra Peschiera e Castelnuovo. Tutto è iniziato in sordina. All'una c'erano circa 600 partecipanti, che scorrazzavano sul lungolago senza dare troppo fastidio. La situazione è andata fuori controllo all'arrivo del treno da Milano quando una marea umana di almeno 1.500 persone si è riversata sul Garda.

È bastato il furto di una borsa perché scoppiasse la prima rissa a colpi di bastone e coltellate. Quindi la folla ha invaso le stradine del lungolago e la spiaggia. «Hanno distrutto ogni cosa — raccontano gli operatori commerciali hanno spaccato vetrine, preso d'assalto il trenino turistico e bloccato passanti a piedi o in motorino». Il tutto sotto effetto dell'alcol e del martellante sottofondo di musica trap alternata a motivi etnici. A quel punto è dovuta intervenire la polizia in assetto antisommossa. «Siamo venuti a riconquistare Peschiera. Questo è territorio nostro, l'Africa deve venire qui» hanno gridato i ragazzi, prima di scatenare una sassaiola contro i poliziotti [Giuzzi e Sciacca, CdS]. 

«Intorno alle 17 la marea umana si è riversata sui binari della stazione di Peschiera in contemporanea con il rientro delle comitive da Gardaland. Tra queste anche quella delle cinque ragazze che hanno denunciato le molestie. Anche a loro hanno gridato: "Su questo treno non salgono i bianchi". E in effetti  molti hanno preferito restare in stazione».

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” il 6 giugno 2022.

La chiamano «Giornata Africa». E la Giornata Africa è quella per cui migliaia di ragazzotti di seconda generazione, come li chiamano adesso, si ritrovano in una qualche località d’Italia e decidono di «spaccare tutto» e «fare casino». Una sorta di raduno a cui non sono ammessi italiani. Non sono ammessi bianchi. 

Un razzismo al contrario che i talebani del politicamente corretto faticano a riconoscere. L’appuntamento viene dato su TikTok, pericoloso quanto geniale, che sfugge a ogni controllo. E qui il ritrovo era per il 2 giugno scorso a Peschiera del Garda, splendida località balneare in provincia di Verona. Migliaia e migliaia di giovani, prevalentemente nordafricani, si sono ritrovati nella rinomata cittadini e hanno devastato tutto.

«Devasto», appare nelle scritte che accompagnano i video pubblicati nel social per eccellenza che nel 2021 ha registrato più utenti di Twitter e più visualizzazioni su YouTube negli Stati Uniti. «Spacchiamo tutto», si legge. «Se non sei a Peschiera del Garda giovedì 2 giugno ti perdi tutta l’Africa in un solo posto». 

E di Africa ce n’era veramente tanta. «Quello che è successo oggi a Peschiera rimarrà nella storia», scrive qualche immigrato. E poi ancora: «Africa a Peschiera». «Oggi Peschiera è stata conquistata dagli africani». «Peschiera come l’Africa». 

Ad accompagnare le scritte ci sono immagini eloquenti e imbarazzanti. Ragazzotti di colore che mostrano il sedere, ballano in spiaggia denigrando e prendendo in giro le donne bianche, saltano sopra i tettucci delle automobili, rovesciano tavolini, sputano per terra, e soprattutto se le danno di santa ragione.

Tanto che mercoledì appunto, il giorno del ritrovo, qui è scoppiata una maxi rissa. A far scattare la scintilla un tentativo di furto. Un ragazzo avrebbe provato a rubare un portafoglio e in cambio avrebbe ricevuto una coltellata. Da qui sono partite le botte, le manate, le bottigliate in testa, e l’intervento degli uomini in divisa in tenuta antisommossa. Insomma il delirio. 

«Erano tutti di seconda generazione», conferma a Libero una fonte investigativa, «si danno appuntamento su TikTok e organizzano queste Giornate Africa». Finora gli identificati, circa una trentina, sono tutti nordafricani che vivono in Italia, un branco pronto a tutto.

Una decina, invece, le ragazze molestate, comprese quelle assalite sul treno. Tra i capi d’imputazione ci sono lesioni personali, rissa aggravata, danneggiamento e furto. La questura di Verona ha parlato di «una rissa scoppiata tra alcune bande di giovani». E sempre le nostre fonti ci riferiscono che con tutta probabilità, i molestatori delle ragazzine minorenni, sul treno che da Peschiera del Garda va a Milano, appartengono alla medesima cerchia. 

Le molestie sono avvenute lo stesso giorno del raduno a danno di sei amiche tra i 16 e i 17 anni che stavano rientrando a casa dopo una giornata passata a Gardaland. «Qui le donne bianche non salgono», si sono sentite dire. Una madre, sull’account Instagram di MilanoBellaDaDio, ha scritto: «Mia figlia di 16 anni oggi si è recata a Gardaland con le sue amiche e salite sul treno per il rientro verso Milano sono state accerchiate, palpeggiate e molestate da alcuni soggetti. Non riuscivano a scendere dal treno perché ammassati». 

E infatti hanno riferito le malcapitate: «Eravamo circondate, il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l’aggressione». Anche qui ovviamente, a distanza di giorni ormai, nessun intervento da parte delle siore femministe che si erano stracciate le vesti per gli Alpini. Quelle di «Non una di meno», almeno fino a ieri, che tanto si erano impegnate ad attaccare le Penne nere, non hanno fatto una storia, un post, un qualcosa che gridi all’indignazione se in un paese popolato da famiglie ti ritrovi invaso da migliaia di nordafricani che vogliono spaccare tutto e fare casino e molestare le bianche.

«Dove sono le femministe e la sinistra che attaccano gli Alpini?», scrive il deputato di Fratelli d’Italia, Ciro Maschio, «quanto accaduto ha caratteristiche simili ai fatti di Capodanno, animati da una subcultura aggressiva che ha ideologie abbastanza precise. Il modello Lamorgese è fallito. E in Italia è passato il messaggio che tanto si può fare ciò che si vuole». Il che è molto vero. 

La maggior parte delle volte questi fatti, con tutto lo sforzo che fanno le forze dell’ordine, rimangono impuniti. «Auspico che si applichi anche qui la Legge Mancino», dice Maschio, «se c’è una normativa per razzismo, allora anche qui deve essere fatta valere. È un razzismo al contrario». Già. Noi lo diciamo da mo’, ma le anime belle non ci sentono.

Continuano le violenze degli immigrati. Ma la sinistra le nasconde ancora. Andrea Indini il 6 Giugno 2022 su Il Giornale.

Il caso di Peschiera del Garda è solo l'ultimo. Di fronte ai fatti di Colonia, alle violenze di Milano e a quelle di oggi, i progressisti continuano a girare la testa dall'altra parte e a tifare ius soli.

Ci risiamo. Sei mesi dopo siamo punto e a capo. Stesso drammatico copione, stesse polemiche sterili. Gli abusi inflitti alle povere ragazze di ritorno da Gardaland ricordano drammaticamente le violenze dell'ultimo dell'anno in piazza Duomo a Milano. Branchi di bestie venuti dalle periferie di grandi città, come appunto Milano e Torino. Tutti di origine nordafricana, figli di immigrati, quelle famose seconde generazioni a cui la sinistra di Enrico Letta e compagni vorrebbero svendere la cittadinanza italiana a suon di ius soli. La logica del branco, appunto. Tanti maschi contro poche femmine. Le vittime scelte perché bianche, indifese, facili prede. E poi la mischia, alcuni che fanno da palo, gli altri che si fanno addosso, le mani dappertutto, gli insulti, le violenze sessuali. Poi il dopo, che è terrificante quanto il prima: la maggior parte dei giornali che raccontano fino a un certo punto, che fanno di tutto per nascondere la nazionalità delle bestie, che si mettono a discettare sul branco e non sull'integrazione impossibile, che tengono fuori dal dibattito la matrice culturale del gesto vile. Eppure, viene da dire, ci eravamo già passati.

Ci eravamo già passati all'inizio dell'anno, con i fatti di piazza Duomo a Milano, appunto. E prima ancora, stesso copione, con le orde di barbari in piazza a Colonia. Allora era il 2016 e la Germania, forse, ci sembrava troppo lontana. Lo scorso capodanno, invece, era Milano e non avrebbe dovuto sembrarci così lontano. Perché, sebbene in quei giorni molti milanesi fossero in montagna a sciare o a festeggiare chiusi in casa, quello spaccato culturale, che è andato in scena ai piedi della Madonnina e che nel Nord Africa ha un nome ben preciso (taharrush gamea che in arabo significa "aggredire e molestare le donne in strada"), era un morbo che aveva già contagiato la nostra società. Avrebbe dovuto risuonare nelle nostre teste come un campanello d'allarme. Così non è stato, almeno non per tutti. I progressisti hanno estrapolato, creato distinguo a non finire. E poi si sono arrampicati sugli specchi arrivando addirittura a dire che ci troviamo di fronte a "violenze e comportamenti figli di una cultura patriarcale della nostra società in cui un gruppo di ragazzi si sente in diritto di poter fare quello che vuole nei confronti delle ragazze" .

Non è così che avrebbero dovuto raccontarla. Quei crimini hanno un preciso humus culturale che affonda le proprie radici nelle periferie delle nostre città, sempre più simili alle banlieue parigine, sempre più quartieri dormitorio in mano a immigrati di seconda generazione. È qui, soprattutto a Milano e Torino ma non solo, che si formano i branchi ed è da qui che questi partono all'attacco. Una violenza che trova nell'islam radicale lo svilimento della donna e nel disagio sociale l'odio contro l'Occidente e il Paese che li ha accolti. Prima ancora del capodanno di Milano li avevamo visti in azione in piazza Vittorio, a Torino. Petardi, roghi di cassonetti, fumogeni, bombe carta e lanci di bottiglie. Dopo il blitz al concerto di fine anno, invece, li abbiamo visti rendere sempre meno sicure le vie del capoluogo lombardo. E, mentre veniva smentellata l'operazione "Strade sicure", il sindaco Beppe Sala continuava a voltarsi dall'altra parte, quasi a non voler ammettere che esiste un'emergenza sicurezza.

Il treno che tornava a Milano da Peschiera del Garda è stato bloccato azionando il freno d'emergenza. Nella confusione generale, al grido "le donne bianche qui non salgono", sono state prese di mira sei giovanissime, tutte tra i 16 e i 17 anni. Impossibile sottrarsi. "Abbiamo attraversato varie carrozze e nel tragitto hanno iniziato a toccarci ovunque", ha raccontato una delle vittime al Corriere della Sera. "Mentre andavamo avanti ci toccavano, sentivo l’aria mancarmi - ha continuato - le ragazze specialmente ci davano delle 'bianche', delle privilegiate e non ci facevano passare". La forza del branco. Ma, anche a questo giro, i progressisti s'inventeranno un'altra storia e scaricheranno tutta la colpa sulla nostra società, permettendo così che questi crimini diventino un male endemico capace di infettare le nostre città.

 Monica Serra per “la Stampa” il 7 giugno 2022.

Magliette griffate, canotte bianche, collane e anelli dorati. I loro idoli sono cantanti trap, vivono sui social - su Tiktok soprattutto che Facebook è «per vecchi» - dove raccontano ogni passo che fanno, compresi i momenti banali, trascorsi ad ascoltare musica al parco, a indossare un paio di sneakers nuove. Tra loro si chiamano «fra'», «bro'». E pubblicano senza sosta. Balletti improvvisati in stazione, richieste di compagnia femminile per una serata a Jesolo o a Rimini, attimi di follia in cui «spacchiamo tutto», al ritmo del tormentone Alicante. 

Com' è successo a Peschiera del Garda il 2 giugno, dove dopo una giornata di follie nonostante l'allarme lanciato in anticipo dalla sindaca Orietta Giaulli, e rimasto inascoltato, ora la procura di Verona indaga sulla presunta violenza sessuale sul treno di ritorno a cinque ragazze di Milano e Pavia, e sta valutando se ipotizzare anche l'aggravante dell'odio razziale (al contrario) perché chi ha accerchiato e palpeggiato urlava «Qui comanda Africa», «Le bianche non devono salire».

Nel piccolo centro sul lago e sulla spiaggia lido Campanello giovedì scorso erano 2.500, soprattutto italiani di seconda e terza generazione, tra i quindici e i vent' anni, nati da famiglie marocchine ed egiziane. 

«Tutto è nato da un video virale su Tiktok», racconta Momo (nome di fantasia), 16 anni e genitori marocchini, ritratto nei video di Peschiera e che dopo qualche resistenza ha deciso di parlare, a differenza di un paio di sue coetanee (una italiana) che invece in cambio chiedono soldi: «Racconto solo se ci guadagno qualcosa».

Momo spiega che alcuni ragazzi hanno girato il video-invito «il sabato precedente sulla spiaggetta: ballano, cantano, fanno il bagno». In testa c'è la scritta «2 giugno a Peschiera?». 

Il maxi-raduno nasce così, con un filmato che raggiunge soprattutto studenti in vacanza per il ponte di Vicenza, Padova, Verona, ma anche Cremona, Milano, Bergamo, Brescia... In maniera incontrollata come accade col passaparola sui social. «Non tutti sono andati lì per fare bordello - spiega Momo - io non l'ho fatto. Ero lì per divertirmi, ballare, fare il bagno, conoscere gente». I saccheggi nei bar, i danneggiamenti, gli assalti ai turisti, o al trenino, le pietre contro la polizia in tenuta antisommossa, l'accoltellamento dopo il furto sarebbero stati commessi «da un gruppo ristretto, 50-60 ragazzi, di quelli che riescono a divertirsi solo se fanno tanto casino e non si può fare nulla per fermarli», prende le distanze Momo. Che però non sa spiegare l'origine di tanta rabbia: un po' sarebbe colpa del «lockdown» o di «condizioni di famiglia disagiate», un po' sarebbe «colpa dello Stato che non fa nulla per dare a questi ragazzi un'opportunità». 

Sulla questione ha le idee più chiare Ossama, 20 anni, famiglia marocchina, che parla con accento lombardo e sta studiando per la maturità. Lui su Tiktok, come tanti, ha criticato quel che è successo a Peschiera: «Invadete una città come animali, accoltellate, spaccate, fate risse, rubate, fate intervenire la squadra antisommossa e poi vi lamentate del razzismo in Italia. State rovinando la reputazione di tutti gli stranieri che sono brave persone. E per cosa? Per comportarvi come delle scimmie appena uscite dallo zoo? Mi vergogno per voi!».

Al telefono sostiene che questi giovani di seconda e terza generazione «sono troppo influenzati dai social, dal mondo della musica trap, che ascolto anch' io, non voglio condannarla, da certi film e finiscono per credere che vivere ispirandosi a quella violenza e a quegli ideali faccia "figo"». 

Ossama vive in Lombardia e fino allo scorso anno frequentava «solo ragazzi stranieri, gruppi che da una parte soffrono il razzismo che ancora esiste, dall'altra tendono a isolarsi, vivono di pregiudizi che esistono solo nella loro testa. Era il nostro mood, ci sentivamo diversi e restavamo in disparte. È una specie di razzismo al contrario che fa più ridere dell'altro», riflette. «Con i miei amici non andavamo in centro perché ci sentivamo guardati male, stavamo sempre tra di noi, rischiavamo di metterci nei guai». Poi però qualcosa per Ossama è cambiato: «Ho capito che alcuni limiti erano nella mia testa, ho iniziato a frequentare altra gente, a pensare che voglio costruire qualcosa nella vita».

Chi danneggia, spacca, saccheggia per Ossama non viene necessariamente da periferie disagiate: «In alcuni casi sì, ma tanti di questi ragazzi a casa sono agnellini, sempre educati con mamma e papà. Poi quando escono si trasformano». Spesso «si circondano di ragazzine italiane che siccome sentono una certa musica pensano faccia figo uscire col marocchino: è una moda». Ma «sbaglia chi pensa che le violenze o le molestie alle ragazze siano figlie della nostra cultura. 

Molti di noi sono musulmani e il Corano non consentirebbe mai un simile trattamento delle donne». Quel che è successo sul treno alle cinque ragazze o se davvero ci sono altri casi di violenze che la procura di Verona per ora ipotizza, per Ossama «è frutto dell'ignoranza che non ha colore». E per chi indaga è figlio anche della dinamica di massa. Che mai come in questo caso, si muove con le regole del branco.

Karima Moual per “la Repubblica” il 7 giugno 2022.  

«Quello che è successo è vergognoso, quelle molestie sono terribili, ma possibile che i riflettori si accendono solo quando scoppia il caos? Si svegliano solo adesso scoprendo la rabbia e la violenza che molti ragazzi stanno sfogando? Ma di noi non ha mai avuto pietà nessuno, dallo stesso momento in cui ci hanno sbattuti nei peggiori quartieri, possibilmente ammassando tutti insieme, per identificarci ancora meglio come immigrati, africani a vita. Alla fine, ce l'hanno fatta. Sono riusciti a farci credere di essere più africani che italiani. Non capisco quindi perché tutto sto scandalo». Così Hassan (nome di fantasia) da Milano, quartiere San Siro, spiega il disagio di una generazione di figli di immigrati. «Sì, mi sento africano, marocchino e non certo italiano. Non sono mica scemo. So come ci guardano gli italiani e, sinceramente, preferisco tenermi strette le mie origini ».

Mentre si racconta, cerca di spiegare, la voce a volte trema, eppure non ha nessuna voglia di fermarsi ed è convinto di rientrare in una specie di figura, marocchina, immigrata, africana, che non è altro che qualcosa di immaginario e astratto.

E basta vedere il volto dei genitori, sentirli parlare, per capire quanta distanza ci sia tra lui e il loro mondo. «Ma non ti guardi intorno sorella? Siamo solo la feccia per loro (inteso, gli italiani, ndr), e da dentro queste fatiscenti palazzine sono in pochi a permettersi di sognare. Fare piccole rapine, spacciare, per molti ragazzi è ormai normale».

Un disagio che esprime anche Farid, che ha appena 14 anni e vive a Vercelli, Mounir, diciottenne di Tor bella Monaca, estrema periferia est di Roma. Ragazzi che vivono in quartieri popolari e realtà diverse ma sembrano tutti fatti con lo stampino: abbigliamento, gusti musicali, tanta rabbia e voglia di emergere, uscire dal "ghetto" a tutti i costi.

«È un ghetto non solo di palazzine - spiega Fatma, 18 anni, tunisina ma di percezioni, opportunità, parole, stigmatizzazione e pregiudizi che continuano ad imprigionarci, senza via di scampo. I rapper emergenti, come Sacky, Baby Gang, Neima Ezza un po' danno sfogo al nostro disagio». 

Dice Rashid, 20 anni, Barriera di Torino: «Io non sono una vittima. Semplicemente so che devo andare a prendere quello che mi spetta. Perché tanto qui non me lo darà nessuno. Sai quante volte mi hanno fermato le forze dell'ordine solo perché ho la faccia da maghrebino? Tanto vale fare il vero spacciatore».

Parole troppo grandi per ragazzi troppo giovani nati in Italia da genitori immigrati e dove «l'Africa» è in realtà la città o il villaggio dove sono nati i loro genitori. Eppure, quelle parole riescono a dirle leggeri. 

Quella che sembra accomunare una parte dei figli di immigrati. Basta parlarci, entrare un po' nella loro testa e scardinare i miti che si sono costruiti per capire che sono, da una parte, al centro di un vero scontro generazionale con la cultura e le tradizioni dei genitori; dall'altra, in un conflitto identitario con il Paese dove sono nati e cresciuti. Uno scontro che, in ultima istanza, sfocia in rabbia e violenza, come quella avvenuta il 2 giugno sulle spiagge di Castelnuovo e Peschiera del Garda dove si sono riversati centinaia di ragazzi arrivati dalla Lombardia per un raduno trap chiamato «L'Africa a Peschiera».

Come si è riusciti a portare una parte delle seconde generazioni di nuovi italiani a percepirsi "Africa" nel Paese in cui sono nati e cresciuti? E attenzione, a percepirsi "Africa" nell'accezione negativa, rispondendo al peggior pregiudizio razzista. Perché quello è stato: la devastazione fisica del luogo pubblico per finire con le molestie orrende che hanno colpito anche qui, come a Capodanno a Milano, ragazze inermi, magari coetanee, compagne di scuola, sorelle, amiche, che di colpo vengono disumanizzate, per diventare solo «bianche» da molestare.

Un nichilismo estremo. Una semplificazione rozza e al limite che divide tra bianco e nero, quando anche il bianco e il nero in quel dato contesto in realtà non esistono, ma sono solo una percezione che si è fatta realtà nella più becera violenza, che ci indica come nei prossimi anni sarà complicato trovare la ricetta giusta per scardinare un incubo che si è avverato, per la gioia di chi ha tifato sempre affinché una integrazione non fosse possibile e non ha fatto nulla perché si realizzasse.

Ilaria Carra per “la Repubblica” il 7 giugno 2022.

Si cercano volti, tracce, legami. Indizi che possano aiutare a dare un nome agli autori delle aggressioni ai danni di cinque adolescenti lombarde di ritorno da Gardaland sul treno regionale Verona-Milano lo scorso 2 giugno. 

Il fascicolo in procura a Verona è aperto per violenze sessuali - ben più delle molestie - ancora contro ignoti. Che, se e quando ci saranno, si vedranno verosimilmente contestato anche l'aggravante dell'odio razziale. 

Un'inchiesta con priorità da codice rosso rispetto a quella, parallela, che accerterà le responsabilità dei danneggiamenti, delle risse e delle tentate rapine durante il maxiraduno di centinaia di ragazzi, per lo più di origine africana, che il giorno della festa della Repubblica hanno invaso e creato disordini sulla spiaggia tra Peschiera del Garda e Castelnuovo. Eppure i timori alla vigilia non erano mancati: la sindaca di Peschiera aveva chiesto aiuto alle forze dell'ordine, ma l'allarme è caduto nel vuoto.

Le indagini sono a tappeto. Ma difficili. La Polfer di Milano assieme a quella di Verona sta recuperando i video di tutte le telecamere delle stazioni. «In particolare di Brescia e di Milano, ma anche di quelle intermedie ». «Faremo accertamenti - dicono dalla Mobile veronese - sulla base di quelle immagini». 

Che saranno mostrate alle cinque vittime, tra i 16 e i 17 anni, a caccia di un riconoscimento. Le giovani sono salite sul treno delle 18, stracolmo, «c'era un caldo asfissiante, ci hanno aggredite alle spalle, palpeggiate, eravamo in balia di quei ragazzi» hanno scritto nelle cinque denunce. Il branco era composto da una trentina di ragazzi, alcuni sarebbero stati identificati, ma al momento non è stato possibile collegare un nome a una responsabilità penale.

E saranno indagini complicate: le telecamere, anche quando restituiscono immagini utili, immortalano la folla sulle banchine della stazione e non cosa sia accaduto a bordo del treno. Quello che agli investigatori è ormai chiaro è il nesso tra i partecipanti al raduno di Peschiera e le aggressioni alle ragazze con frasi tipo «le bianche non salgono, siete delle privilegiate» 

Il sindaco di Peschiera, lista civica vicina al centrodestra, Orietta Gaiulli, ricorda che «già nel 2020 avevamo avuto un centinaio di ragazzi africani sulla spiaggia libera di Castelnuovo, poi diventati 5-600 l'anno dopo, con disordini e un annegamento. Allora il prefetto introdusse un filtro nelle stazioni per prevenire nuovi disordini: identificazioni, video, controllo del biglietto. E il problema sembrava risolto». 

Invece la scorsa settimana si è ripresentato, e per il sindaco c'è stata «una sottovalutazione » del rischio. Tanto che ora chiede «le dimissioni di chi non mi ha dato ascolto». 

E aggiunge: «Il 30 maggio ho avvisato prefetto e questore che le bande erano tornate e ho chiesto un servizio di prevenzione, il 31 ho allertato i carabinieri e la polizia di Peschiera che si rischiavano problemi per il video virale su Tik Tok che richiamava al raduno gente malintenzionata. Il 1 giugno il questore ha emesso un servizio di controllo ma decisamente sottodimensionato. Infatti è stato un disastro: il treno delle 13 del 2 giugno ha portato un migliaio di ragazzi che hanno devastato la spiaggia e la città».

Sul posto c'erano alcune pattuglie di polizia e carabinieri, «troppo poche, hanno dovuto chiamare i rinforzi ma era tardi». In questura nessuno vuole commentare. 

E il prefetto di Verona, Donato Cafagna, interpellato, preferisce tacere anche lui. Il padre di una vittima, che giovedì scorso ha recuperato la figlia a Desenzano dice che «era talmente agitata che le tremava la mano: non riusciva a tenere in mano una bibita». 

Gardaland, l'incubo coda e l'ingiusto salta-coda. Andrea Indini il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

Cronistoria di una giornata trascorsa nel più famoso e bel parco di divertimento d'Italia: coda per uscire dall'autostrada, coda all'ingresso, code alle giostre. E poi i super pass per saltare la coda.

"E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell'aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull'aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato". Bisogna immaginarlo David Foster Wallace di ritorno dalla crociera "Sette notti ai caraibi". Bisogna immaginarlo coi suoi demoni addosso e il carico di una settimana passata in mezzo a un'orgia di delirio consumistico, sfrenato divertimento di massa e intrattenimento demenziale.

"Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente...". Per una settimana, nel 1995, DFW si è recluso, "volontariamente e dietro compenso", a bordo della Zenith, un mostro da 47.255 tonnellate di proprietà della Celebrity Crociere, una delle oltre venti compagnie che al tempo operavano tra la Florida e i Caraibi. Molto probabilmente non si sarebbe mai sognato di farlo volontariamente. Eppure in quegli anni stava già lavorando a Infinite Jest, vero caleidoscopio dell'alienazione americana per l'entertainment. A pagargli l'ingaggio per salire sulla Zenith fu la rivista Harper's Magazine. Gli dissero di andare e raccontare tutto senza filtri. E così fece. Due anni dopo uscì il saggio Una cosa divertente che non farò mai più.

Quando venerdì sera sono finalmente rientrato a casa dopo aver trascorso una giornata a Gardaland mi sono stravaccato sul divano, ho chiuso gli occhi e ho provato a spegnere il cervello. I pensieri, però, continuavano a ronzare, creando un frastuono di sottofondo. Frastuono che, come in una compulsante rassegna di vecchie diapositive dai colori striati, si arricchiva dei flash di una giornata devastante, iniziata con due ore e mezza di coda che si snodava tra il casello autostradale di Peschiera del Garda e il parcheggio del parco di divertimento. La manciata di chilometri disseminati tra rotatorie, strade secondarie di campagna e incroci di paese si erano trasformati in un fiume di lamiera immobile e stagnante. Il sole, che pulsava contro i cofani, bruciava all'interno dell'abitacolo. In lontananza, i clacson riecheggiavano stanchi per scandire i minuti che scorrevano nell'immobilità di una situazione surreale. In quel momento nessuno di noi poteva immaginarselo ma quelle due ore e mezza sarebbero state solo l'antipasto di una giornata passata eternamente in coda. Coda per entrare nel parcheggio a pagamento (i più volenterosi abbandonano l'auto in mezzo alla campagna e se la fanno a piedi sotto il sole). Coda per usare la toilette prima di varcare l'ingresso del parco (i display all'ingresso segnalano prontamente i "posti liberi"). Coda per entrare a Gardaland (nessuno ha ancora pensato di automatizzare i tornelli come in metropolitana). E quando, dopo cinque ore di estenuante attesa, sei finalmente dentro, tiri un sospiro di sollievo e pensi "È fatta!". E, invece, l'immagine di quella famiglia che, in coda con te, si affannava, prima di varcare l'ingresso, a farsi i panini in piedi e a trangugiarli avrebbe dovuto farti sorgere qualche dubbio. E invece no. Nessuno di noi aveva capito che quel gesto calcolato, probabilmente dettato dall'esperienza, non era mosso da ragioni economiche ma da un disperato tentativo di guadagnare tempo.

È quando sei dentro, travolto da un via vai interminabile di bambini, ragazzi, famiglie, amici e dipendenti del parco che capisci il tranello. Eppure, all'ingresso, lo avevano messo in chiaro sin da subito. Ovunque era un continuo pubblicizzare offerte per saltare la coda. Opzione "Sixteen infinity", opzione "Unlimited five", opzione "Fabulous fourteen", opzione "The best five". Ovviamente più paghi, prima arrivi. Il ché non è così facile da spiegare a un bambino in coda che si vede passare davanti altre persone. Come non è facile districarsi nel forsennato gioco di incastri per sopravvivere alla logica del salta-coda. Perché ogni codice va inserito in un'app. E l'app ti avvisa quando è il tuo turno. Nel frattempo, se sei bravo a calcolare gli orari e incastrare la giornata con la mappa del parco in mano, puoi fare più code (virtuali) contemporaneamente. Viene così a sgretolarsi il concetto di tempo. Che, Albert Einstein, già ci aveva avvertito non esistere. È tutto soggettivo: per alcuni è infinitamente lungo, per altri è una velocissima montagna russa.

Lo ammetto: venerdì scorso ho toppato sin dall'inizio. Da sempre sono contrario al salta-coda. È una questione di principio: non mi è mai sembrato istruttivo nei confronti delle mie figlie. La coda si fa, non si salta. L'ho sempre pensato. Me lo hanno insegnato quando ero piccolo e me lo trascino ancora oggi. E così sono partito con le migliori intenzioni. Coda per salire sulle mongolfiere di Peppa Pig. Coda per i Corsari. Coda per il Colorado Boat. Tutto molto bello. Poi qualcosa si è incrinato. Alle tre e mezza inoltrate ci spostiamo verso Kung Fu Panda Master. L'idea è anche di mangiare qualcosa. Purtroppo nei ristoranti più vicini non è rimasto più nemmeno un hot dog. E così ci accontentiamo di quattro porzioni di patatine fritte. Buonissime, va detto. Ma un po' pochine. Mentre mia moglie si mette in coda per salire a bordo del panda che fa arti marziali, affronto l'obiettivo della giornata: Jumanji. Un'impresa disperata, lo capisco sin dall'inizio. In coda si vocifera: "Ci sono due ore di attesa...". A malincuore, e con la coda tra le gambe, mi spingo verso l'ombrellone che smercia i salta-coda. Ce n'è uno davanti ad ogni attrazione. Il pass varia dai 5 agli 8 euro a testa. Quello di Jumanji costa 8, ovviamente. Totale per una famiglia di quattro persone: 32 euro. Per arrivare a comprare il salta coda mi sparo una coda di tre quarti d'ora sotto la pioggia. Il ché mi sembra un controsenso. Ma lo accetto perché, dopotutto, è l'ultima fatica della giornata. Dopo tre quarti d'ora, riesco finalmente a comprare il pass. Inserisco il codice nell'app Qoda che mi informa: "Il tuo turno è tra 57 minuti". Nel frattempo si sono fatte le cinque e mezza passate e mi accorgo che non c'è il tempo materiale. Ma ecco il coup de théâtre: a dispetto di quanto segnalato sul sito, il parco non chiude alle 18 ma alle 19. Bingo!

Ricontrollo l'app dopo mezz'ora e, proprio perché il tempo non esiste, l'attesa per l'ingresso a Jumanji è magicamente scesa ad appena tre minuti. Avverto mia moglie che si precipita scapicollandosi da Kung Fu Panda Master. "Eravamo a tanto così dal nostro turno...", mi dice. "Ma qui abbiamo pagato il salta coda", replico io con l'amaro in bocca. Mi accorgo di quanto sia tutto surreale. Quando sul cellulare spunta il QR Code, mi faccio largo tra le persone accalcate davanti alla mastodontica attrazione. Passiamo davanti a tutti quanti: a quelli che da due ore si bagnano in attesa del proprio turno e pure a quelli che si sono fatti il salta-coda ma che non hanno ancora il magico QR Code. "Entriamo, è fatta!", penso per la seconda volta nella giornata. E invece uno degli addetti punta il dito contro mia figlia, la più piccola, e dice: "Lei no!". Le mancano cinque centimetri di altezza. Il regolamento non lo permette. "Lei resta fuori". La bimba scoppia a piangere. Mi immolo. "Esco io", dico a mia moglie. Lei annuisce. Pure la primogenita attacca a piangere: avrebbe voluto fare la giostra tutti insieme. Mi fiondo all'info-point per avere i soldi indietro. Quando ho acquistato il salta-coda, nessuno mi ha informato del limite di altezza. Sono inflessibili: "Niente rimborsi, il regolamento non lo permette". Ne esco sconfitto, non solo da Jumanji. Ho la netta sensazione di aver perso una parte di me, il ricordo bellissimo di una cosa che ho sempre ritenuto divertente ma che probabilmente non rifarò più.

Giorgia Meloni deride il politicamente corretto: “Giustizialisti con gli italiani, garantisti con gli immigrati”. Il Tempo il 07 giugno 2022

Due casi con punti in comune trattati in modo diametralmente opposto. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, se la prende con Repubblica per come ha scelto di descrivere gli episodi di presunte molestie durante il raduno degli alpini e quello occorso nei confronti di alcune ragazze italiane che tornavano da Peschiera del Garda, che hanno denunciato presunti episodi spiacevoli perpetrati da alcuni nord-africani: “Il fantastico mondo del politicamente corretto: giustizialisti con gli italiani, garantisti e buonisti con gli immigrati”. Il tutto corredato da due diversi titoli. 

La sfida tra Meloni e il quotidiano non è finita, con anche un altro post su Facebook di accusa: “Un branco di immigrati molesta sessualmente un gruppo di ragazzine sul treno? Colpa di chi ha affossato la legge Zan. Non capite il nesso? Neppure io, ma se lo scrive Repubblica sarà sicuramente vero…”.

Molestie, Giorgia Meloni sbugiarda la sinistra: “Cappa di silenzio, non vogliono mettere in cattiva luce gli immigrati”. Il Tempo il 05 giugno 2022

"Le donne bianche qui non salgono". Fa discutere l'episodio che hanno coinvolto sei ragazze che sarebbero state molestate a bordo del treno che le stava riportando a Milano dopo aver trascorso una giornata al parco divertimenti di Gardaland. Le ragazze sarebbero state “accerchiate, palpeggiate, molestate” da alcuni ragazzi nordafricani che avevano partecipato ad un raduno nella cittadina veneta.

Ad alzare la voce sull’accaduto è Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Come per le abominevoli violenze di capodanno, anche sul gravissimo episodio avvenuto a Peschiera del Garda è calata una cappa di silenzio da parte di certa sinistra e delle femministe. Nessuna parola di sdegno, nessuna presa di posizione forte e decisa, probabilmente per paura di mettere in cattiva luce gli immigrati. Solidarietà alle giovani, costrette a subire questo episodio indegno per aver voluto passare una semplice giornata di svago al parco divertimenti.

Caccia al branco dei molestatori. Ma le femministe incolpano la destra. Cristina Bassi il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

La procura di Verona indaga sul rave "africano" di Peschiera e sull'aggressione alle ragazze avvenuta sul treno per Milano. Ma a sinistra si indignano per la "speculazione politica".

Risultano due fascicoli aperti dalla Procura di Verona sui fatti del 2 giugno sul lago di Garda. Uno per le risse e i danneggiamenti durante il rave sulla spiaggia tra Castelnuovo e Peschiera del Garda convocato su Tik Tok e uno per le molestie subite da almeno cinque ragazze minorenni sul treno regionale che tornava a Milano. Non ci sono per ora indagati, ma una trentina di giovanissimi sarebbero nel mirino degli inquirenti, individuati grazie ai molti video di quella giornata postati sui social, ai filmati di sorveglianza (anche se il convoglio non aveva telecamere) e alle testimonianze.

Le giovani vittime, di 16 e 17 anni, hanno descritto alcuni degli aggressori che nella calca del treno le hanno accerchiate, insultate e palpeggiate. In tutto, hanno messo a verbale nelle denunce fatte alla Polfer di Milano, un centinaio di ragazzi in gran parte minorenni o poco più grandi e «per la maggior parte nordafricani». I provocatori dei disordini al lago, dove è dovuta intervenire la Celere in assetto anti sommossa, sarebbero gli stessi che a centinaia hanno preso d'assalto il convoglio per rientrare a Milano. E milanesi o lombardi sarebbero i molestatori. Si tratterebbe di giovani stranieri di seconda generazione. Il raduno fuorilegge si chiamava «L'Africa a Peschiera», molti dei 2.500 partecipanti avevano bandiere di Paesi africani e «Questa è Africa, siamo venuti a conquistare Peschiera» è stato il grido rivolto al sindaco di Castelnuovo del Garda, Giovanni Dal Cero, intervenuto quando la situazione è andata fuori controllo. Non solo. Le adolescenti molestate hanno riferito frasi come «le donne bianche non salgono su questo treno». Le vittime del branco, che tornavano da una gita a Gardaland, sono riuscite a scendere a Desenzano grazie all'aiuto di un passeggero, anche lui un giovane straniero.

Il sindaco di Peschiera, Orietta Gaiulli, aveva lanciato già il 30 maggio un allarme per possibili problemi di ordine pubblico nelle zone vicine dopo aver visto post e video social che annunciavano il rave, lo ha scritto in una lettera al governo, al prefetto, al questore e al comandante provinciale dei carabinieri di Verona. Il primo cittadino ora chiede «le dimissioni di coloro che non hanno dato ascolto alla mia richiesta di aiuto, superficialità che ha cagionato gli eventi del 2 giugno a Peschiera del Garda».

Intanto sui fatti del Garda tiene banco la polemica politica. Dopo i rilievi di alcuni esponenti di centrodestra, con Giorgia Meloni in testa, sul silenzio o basso profilo delle femministe e della sinistra sulle molestie del treno. Michela Marzano, filosofa e docente universitaria, scrive su Repubblica che «la violenza è sempre inaccettabile. Ma c'è un immancabile «ma». E chi sono i «principali promotori» della «cultura dello stupro»? Coloro che (a destra naturalmente) hanno affossato il ddl Zan e fatto «la morale» alla sinistra, «alimentando l'odio e la violenza». La senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione femminicidio aggiunge: «Ciò che è accaduto è un fatto gravissimo. Siamo vicini alle ragazze e alle loro famiglie», tuttavia «ciò che mi indigna è la speculazione politica» e la «indignazione propagandistica». L'immigrazione «c'entra poco», continua e chiede di approvare il «disegno di legge per istituire il reato di molestie sessuali, fermo nelle commissioni Giustizia e Lavoro al Senato». Mentre Debora Serracchiani, capogruppo del Pd alla Camera: «La violenza contro le donne è inaccettabile. Sempre. Non importa chi la esercita». E la senatrice dem Valeria Fedeli accomuna «la vicenda degli alpini e quella recente di Peschiera del Garda». Poi: «La destra non strumentalizzi la gravità della cronaca per fini elettorali». Torna sulla condanna senza benaltrismo il governatore del Veneto, Luca Zaia a Tgr 24: «È stata una devastazione, sono stati atti delinquenziali che devono essere puniti senza se e senza ma». Occorre «abbassare la soglia di età per la punibilità» e uscire dall'idea che l'Italia sia «diventato il Bengodi dell'impunibilità».

Chiama studentesse 'orsacchiotte', prof indagato per molestie. ANSA il 10 maggio 2022.

Un professore in servizio in un istituto superiore di Lecce è indagato per molestie. Nei suoi confronti l'istituto ha avviato un procedimento disciplinare. L'inchiesta è nata da un esposto in Procura presentato dalla dirigente dell'istituto sulla base del racconto messo nero su bianco da due studentesse 16enni. Le giovani avrebbero raccontato e poi scritto alla dirigente che il professore le chiamava 'orsacchiotte' e si rivolgeva loro con termini particolarmente affettuosi. Ieri c'è stato l'incidente probatorio, davanti alla pm Simona Rizzo, al quale ha partecipato una delle due studentesse che, pur confermando quanto detto alla dirigente, avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L'avvocato Fabio Zecca, legale difensore del professore, precisa di aver chiesto alla dirigente dell'istituto di trasferire il docente dalla classe in cui sono stati denunciati i fatti ma la dirigente avrebbe risposto che al momento non ci sono ragioni per interrompere il suo percorso didattico. (ANSA).

Lecce, chiama studentesse orsacchiotte: prof indagato per molestie. In Salento, inchiesta scaturita dopo racconto di due 16enni. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Maggio 2022.

LECCE - Un professore in servizio in un istituto superiore di Lecce è indagato per molestie. Nei suoi confronti l’istituto ha avviato un procedimento disciplinare. L'inchiesta è nata da un esposto in Procura presentato dalla dirigente dell’istituto sulla base del racconto messo nero su bianco da due studentesse 16enni.

Le giovani avrebbero raccontato e poi scritto alla dirigente che il professore le chiamava 'orsacchiotte' e si rivolgeva loro con termini particolarmente affettuosi. Ieri c'è stato l’incidente probatorio, davanti alla pm Simona Rizzo, al quale ha partecipato una delle due studentesse che, pur confermando quanto detto alla dirigente, avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L’avvocato Fabio Zecca, legale difensore del professore, precisa di aver chiesto alla dirigente dell’istituto di trasferire il docente dalla classe in cui sono stati denunciati i fatti ma la dirigente avrebbe risposto che al momento non ci sono ragioni per interrompere il suo percorso didattico.

"Ci chiamava orsacchiotte". Il prof finisce indagato per molestie. Marco Leardi il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.

Il docente denunciato dalla preside dopo le testimonianze di due alunne. Una di esse, ascoltata dal gip, avrebbe però negato di essersi sentita molestata.

Parole, allusioni, gesti. Attenzioni affettuose per le sue "orsacchiotte", soprannome che un professore in servizio a Lecce avrebbe utilizzato per rivolgersi alle studentesse. Semplici atteggiamenti confidenziali o forse altro, chissà. Le testimonianze messe nero su bianco da due alunne 16enni sono arrivate tra le mani della dirigente scolastica dell'istituto superiore salentino, la quale ha denunciato il docente. Sulla base di quell'esposto presentato, ora l'uomo si ritrova sotto inchiesta con le accuse di atti osceni e molestie.

La vicenda ha contorni ancora tutti da definire, attività alla quale si sta dedicando la procura. Secondo quanto si apprende, gli episodi contestati al professore sarebbero avvenuti nella prima parte dell'anno scolastico 2021-2022, per la precisione tra ottobre e dicembre. Stando alla versione offerta dalle alunne, il docente si sarebbe lasciato andare ad atteggiamenti ambigui nei confronti delle ragazze durante le ore di lezione. Avrebbe rivolto loro anche battute allusive e maliziose davanti al resto della classe. Atteggiamenti che, secondo le accuse, si sarebbero ripetuti più volte.

Le voci sulle presunte licenziosità del professore erano arrivate sino alla preside, la quale senza troppi indugi si era recata in procura per sporgere una denuncia. Ora, però, gli inquirenti dovranno cercare gli effettivi riscontri alle dichiarazioni delle studentesse. Una delle allieve è stata già sentita nel corso dell'incidente probatorio davanti alla giudice per le indagini preliminari, Laura Liguori, alla presenza della pm e di una psicologa che dovrà stilare una relazione finale sull'attendibilità delle testimonianze. Secondo quanto riporta l'Ansa, tuttavia, la ragazza ascoltata - pur confermando quanto riferito alla dirigente - avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L'incidente probatorio proseguirà il 20 giugno, quando sarà sentita un'altra studentessa.

Intanto il docente finito sotto indagine si dichiara sereno e certo di poter dimostrare la propria estraneità alle accuse ricevute. L'insegnante, scrive Repubblica, ha piuttosto definito l'accaduto come una ripicca della dirigente nei suoi riguardi per presunti contrasti che andavano avanti da tempo. Fabio Zecca, avvocato del professore, ha chiesto che il proprio assistito venga trasferito in un'altra classe, ma ancora non è chiaro se ciò accadrà o meno. Secondo quanto si apprende, al momento il prof continua regolarmente a insegnare.

Le parole affettuose, i soprannomi e le attenzioni - ha sostenuto il docente - avrebbero rappresentato un modo più confidenziale di insegnare. Un approccio, a suo giudizio, completamente frainteso.

Lo studente e la preside del Montale di Roma, il racconto del ragazzo: “Mi provocava di continuo non sapevo come uscirne”. Ma lei nega la love story. Valentina Lupia su La Repubblica il 30 Marzo 2022.

Per settimane a scuola si sono ricorse le voci, poi il 18enne ha raccontato tutto ai professori. La docente Sabrina Quaresima: “Mi vogliono rovinare”.

"Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano".

Eccole qui le parole scelte da Francesco (il nome è di fantasia), studente maggiorenne del liceo Montale di Roma, per raccontare la sua storia d'amore e ossessione con Sabrina Quaresima, 50 anni, la preside della sua scuola.

"Mi provocava, quel rapporto...". E spunta una chat tra studente e la preside. Marco Leardi il 30 Marzo 2022 su Il Giornale.

All'attenzione degli ispettori i particolari forniti dallo studente sulla presunta relazione con la preside. "Non sapevo più come uscirne". La dirigente, che rischia il licenziamento, si difende: "Vogliono colpirmi".

Lo scandalo si allarga, arricchendosi di pruriginosi dettagli. Nel caso della presunta relazione tra Sabrina Quaresima, la preside del liceo Montale di Roma, e un suo alunno, ora, trovano spazio alcune scottanti rivelazioni. Non più semplici pettegolezzi, ma testimonianze che lo studente al centro della vicenda avrebbe reso, scendendo nei particolari. Anche intimi. E poi c'è una chat, una conversazione che non solo testimonierebbe i contatti tra i due, ma offrirebbe anche elementi per comprendere l'intensità di quel rapporto finito sotto la lente degli ispettori.

Secondo alcune ricostruzioni, i primi avvicinamenti tra la dirigente scolastica e il 19enne si sarebbero registrati a metà dicembre, durante i giorni delle occupazioni studentesche. Sarebbero poi seguite delle avances, sempre più esplicite, sino al retroscena che lo stesso ragazzo avrebbe svelato: "Abbiamo avuto un rapporto sessuale". I dettagli della presunta relazione sono contenuti - secondo quanto scrive Repubblica - nelle carte dell'indagine avviata sul caso dall'Ufficio scolastico regionale del Lazio. Nella documentazione in mano agli ispettori, visionata e riporatata in alcuni stralci dal quotidiano, lo studente avrebbe raccontato: "Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano".

Dopo un iniziale e più formale scambio di mail, i contatti con il ragazzo (già maggiorenne) sarebbero proseguiti su Whatsapp. E proprio una chat intercorsa tra i due sarebbe ora diventata un elemento cruciale per fare chiarezza sui contorni della vicenda. Come riporta il Corriere, è infatti spuntato uno scambio di messaggi nel quale il 19enne faceva complimenti alla dirigente scolastica e si spingeva in confidenze più intime di quelle che si potrebbero immaginare nel rapporto tra uno studente e la preside. Quest'ultima, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni, conservate invece dal ragazzo. I contenuti della chat potrebbero mettere nei guai la donna nel suo ruolo di dipendente pubblico: nel codice di comportamento si specifica infatti che il dipendente "evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione"

La preside - avrebbe aggiunto il liceale nelle sue rivelazioni - "mi chiedeva consiglio su cosa indossare oppure cosa stessi guardando in tv". Poi l'approccio si sarebbe fatto più esplicito con gesti come "un abbraccio, una carezza sui capelli". Le ricostruzioni, a questo punto, vertono sulla versione offerta da alcuni studenti dichiaratisi al corrente di dettagli sul caso. Alcuni di loro, ascoltati da Repubblica, hanno affermato di aver visionato un messaggio scritto dalla preside al loro coetaneo. "Se ti do un indirizzo, te mi raggiungi là?", avrebbe scritto al 18enne la donna. Il giovane protagonista della vicenda avrebbe accettato: il tempo di avvertire gli amici "ed ero già in macchina a 130 verso Roma est". Secondo quanto raccontato dal ragazzo, i due avrebbero avuto un "rapporto sessuale completo, nella macchina della preside". Durante l'atto sarebbe anche arrivata una chiamata del marito, avrebbe rivelato lo studente agli amici.

Qualora venisse verificata proprio in questi termini, la vicenda non costituirebbe reato: entrambi i protagonisti erano infatti maggiorenni e consenzienti. Ma i fatti, se accertati, potrebbero portare al licenziamento della preside, che intanto si è sfogata così: "Sono sconvolta, pensavo che una sciocchezza del genere morisse così com'era nata, e invece è stata ingigantita oltre misura: è evidente che mi hanno voluto fare del male". Interpellata dal Corriere, la donna ha aggiunto: "Io sono felicemente sposata con un uomo meraviglioso, ma sono una donna di bell'aspetto: e purtroppo temo che qualcuno possa pensar male. Ma sono serissima, mi è costato tanto arrivare qui, e sono nell'anno di prova. Qualcuno avrà pensato che in un attimo poteva farmi cacciare". Domani verrà ascoltata dall'ispettrice regionale.

Valentina Santarpia per corriere.it il 30 marzo 2022.

Una chat su WhatsApp: ecco cosa potrebbe essere al centro delle accuse che hanno travolto la dirigente del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 50 anni a dicembre, neo assunta nell’ultimo concorso e sospettata di avere avuto una relazione con uno studente dell’ultimo anno. La dirigente, che smentisce tutto e si dice pronta ad adire alle vie legali per tutelarsi, domani dovrà parlare con l’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire la vicenda. 

Ma intanto emergono particolari su cosa avrebbe fomentato le voci di un suo rapporto privilegiato con il ragazzo. Una chat, appunto, in cui il diciannovenne le faceva complimenti e si spingeva in confidenze molto più intime di quelle immaginabili e consentite tra una preside e uno studente, anche alla luce del codice di comportamento dei dipendenti pubblici che specifica che il dipendente «non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione». 

La preside, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni. Mentre il ragazzo le avrebbe conservate: e ora proprio quelle chat potrebbero diventare un elemento cruciale per stabilire fino a che punto si fosse spinto il rapporto cordiale con lo studente. 

La dirigente non nega di conoscerlo, racconta con tranquillità le circostanze in cui sono entrati in confidenza: quando c’è stata l’occupazione, lui era uno dei rappresentanti di istituto, e lei parlava con lui per le trattative.

È stato proprio lui ad accompagnarla al commissariato a presentare la denuncia perché i locali scolastici erano occupati, con la sua macchina. «Ma c’era un genitore lì ad aspettarci, e non c’era niente di sospetto», ripete lei. Ma dopo quell’episodio il rapporto tra la preside e lo studente sarebbe diventato più stretto: lui le avrebbe confidato i suoi sogni, lei lo avrebbe incoraggiato. Niente di strano, cose che succedono tutti i giorni tra insegnanti e studenti tra cui si instaura un rapporto di fiducia. Purché, appunto, i rapporti non travalichino. 

Il codice disciplinare per i dirigenti scolastici prevede una multa fino a 500 euro in caso di «condotta, negli ambienti di lavoro, non conforme ai principi di correttezza verso i componenti degli organi di vertice dell’amministrazione, gli altri dirigenti, i dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi», e la sospensione dal servizio fino a sei mesi per «qualsiasi comportamento dal quale sia derivato grave danno all’amministrazione o a terzi». Ma, essendo la preside nel corso del suo anno di prova, le conseguenze potrebbero essere più pesanti.

Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 30 marzo 2022.

«Non c'è proprio nessuna storia, io non do adito ai gossip». È perentoria Sabrina Quaresima, preside del liceo Classico Eugenio Montale nel respingere le accuse che le vengono mosse: avere avuto una relazione con uno studente (maggiorenne) della scuola. 

Preside Quaresima, pare che l'Ufficio scolastico regionale abbia disposto un'ispezione a suo carico.

«Sono a conoscenza del fatto ma non mi aspettavo tutto questo, cioè questa persona non ha detto di aver ricevuto delle minacce se non faceva una cosa o un'altra».

 Ma scusi allora questo ragazzo che le ha chiesto?

«Non mi ha chiesto nulla, non ho nulla da dire, è una persona che ha cambiato completamente il suo atteggiamento. Non mi è stata rivolta nessuna accusa non capisco di cosa devo rispondere, non mi sono appropriata di beni dello Stato». 

Qui è in discussione il suo atteggiamento nei confronti di uno studente. Si parla di una relazione sentimentale tra di voi.

«Non c'è nessuna relazione, questo è un gossip. Stop. Qui si sta facendo un processo sommario non so bene a cosa. Ci sono altri motivi secondo me che si celano dietro alla vicenda». 

E quali sono questi motivi?

«Li affronterò a tempo debito». 

Lei dirige il Montale da settembre. Dietro questa storia secondo lei potrebbe esserci il tentativo di qualcuno di screditarla o di colpirla? Lei ha anche destituito il vicepreside.

«Lo posso pensare ma non ho nessun dato per poterlo affermare. Può essere un motivo per come si sta cavalcando questa faccenda. Non mi è stato mai addebitato nulla neanche da parte della famiglia di questo ragazzo, quindi per me è un gossip». 

Ma lei questo ragazzo lo ha frequentato fuori scuola?

«No, assolutamente». 

Neanche un caffè al bar, una passeggiata insieme?

«Un caffè al bar, di fronte scuola, sotto gli occhi di tutti durante l'occupazione in sede centrale. Era dicembre e non c'è stato nessun caffè appartato». 

Quindi non l'ha mai frequentato fuori dall'ambiente scolastico.

«No, non ce n'era nessun motivo». 

E questo scambio epistolare? Si parla anche di e-mail e messaggi che vi sareste mandati.

«Le ripeto: non ho nulla da aggiungere». 

Magari a volte capita che si instauri un rapporto tra un preside o un professore e uno studente anche solo per supporto o aiuto.

«Non c'è nessuna relazione né di tipo amoroso né sentimentale. Sono una persona seria e tengo molto al mio lavoro, purtroppo non sono capitata in un ambiente buono ma io continuo a portare avanti il mio lavoro, tranquillamente. Se mi verranno poste delle domande risponderò ma non ho null'altro da dire su questa faccenda». 

Lei in cosa è laureata?

«Sono una docente di Filosofia, Storia e Scienze umane e sono laureata in Pedagogia e Scienze della formazione primaria. Rimango semplicemente basita da tutto questo». 

In queste ore ha avuto modo di parlare con la famiglia del ragazzo o con il ragazzo stesso?

«La famiglia non ha cercato nessun contatto con me e io non l'ho cercato con loro perché non devo giustificarmi di nulla». 

Queste voci della presunta relazione tra lei e il ragazzo sono dilagate nella scuola.

«Andrò a fondo su chi ha messo in giro queste voci. A mio avviso non si possono dire cose su un sentito dire, lo reputo molto discutibile».

Magari qualcuno può aver frainteso un suo comportamento, un'apertura nei confronti del ragazzo?

«Io non ho mai avuto un atteggiamento se non di cordialità». 

Con lui come con tutti gli studenti?

«Con tutti quanti, gli studenti sanno che la mia porta è aperta e possono venire da me per qualsiasi cosa». 

E questo ragazzo si è mai rivolto a lei per una richiesta d'aiuto, un supporto, un consiglio?

«Ha interagito con me come tutti gli altri». 

Ma non tutti gli studenti si recano dal preside se non per un preciso motivo.

«Quando ho conosciuto lo studente era in surroga al consiglio come rappresentante di Istituto, l'ho conosciuto per questo poi quando ci sono state le elezioni il ragazzo non è stato rieletto». 

E può aver montato una storia con gli amici anche a fronte della mancata rielezione nel consiglio di Istituto?

«Certo che può essere accaduto ma io questo non lo so, tutto può essere. Non so cosa possa passare nella testa degli altri. Il ragazzo ha dei buoni voti, oscilla come media tra l'8 e il 9, questo però non si accompagna sempre ad una maturità psicologica. Lei sa bene che si vive molto sui social, l'adolescenza è un'età critica. Poi se mi vede sono una persona di bell'aspetto, molto curata». 

Lei è sposata preside, ha un compagno?

 «Sono felicemente sposata con un uomo che adoro e che mi adora». 

Questo studente le ha mai fatto delle avance?

«Non voglio dire nulla e non voglio dare adito a nessun pettegolezzo. Avevo stima di questo ragazzo perché quando si interloquiva percepivo una certa intelligenza e questo fa sempre piacere perché i ragazzi vengono da un periodo difficile indotto dalla pandemia. Se ne devo parlare da un punto di vista scolastico, non posso dire che sia un cattivo studente ma questo riguarda la didattica e non la sua personalità».

Valentina Lupia per la Repubblica il 30 marzo 2022.

"Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano". 

Eccole qui le parole scelte da Francesco (il nome è di fantasia), studente maggiorenne del liceo Montale di Roma, per raccontare la sua storia d'amore e ossessione con Sabrina Quaresima, 50 anni, la preside della sua scuola. I fatti li ha riportati Repubblica, rivelando l'ispezione dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio circa una relazione impropria tra la dirigente scolastica e il ragazzo. Ora quel racconto, che il nostro giornale ha potuto leggere, è finito nell'indagine. E rischia di costare il licenziamento alla donna, qualora la relazione venisse confermata.

I primi contatti tra i due si sarebbero registrati a metà dicembre, quando il liceo - il settimo migliore linguistico di Roma secondo la classifica Eduscopio della Fondazione Agnelli - è stato occupato dagli studenti. Durante quel periodo la dirigente aveva cominciato ad intrattenere con il ragazzo una corrispondenza via mail. Di lì ai messaggi su WhatsApp il passo è stato breve.

Poi "i primi segnali", come li ha definiti il ragazzo col gruppetto di amici fedeli al quale andava a raccontare ogni dettaglio della presunta love story. "Mi chiedeva consiglio su cosa indossare oppure cosa stessi guardando in tv". Poi le avances da parte della preside sarebbero diventati sempre più frequenti ed espliciti, "un abbraccio, una carezza sui capelli", gesti del genere. 

Fino a un messaggio inequivocabile, rimasto limpido nella mente degli studenti che hanno avuto modo di visionarlo e che l'hanno riportato a Repubblica: "Se ti do un indirizzo, te mi raggiungi là?", avrebbe scritto al 18enne la "ds", cioè dirigente scolastico. "Lei si firmava così". 

Il tempo di avvertire gli amici "ed ero già in macchina a 130 (chilometri orari, ndr) verso Roma est". I due, accusa il giovane, si sarebbero appartati "sotto a dei palazzi" e lì, in macchina, avrebbero avuto un "rapporto sessuale completo, nella macchina della preside". Durante l'atto "è anche arrivata una chiamata del marito", ha svelato qualche ora dopo il giovane ai compagni.

La dirigente, contattata da Repubblica, nega tutto. "Ero a conoscenza delle voci messe in giro dal giovane, che comunque è maggiorenne", sottolinea la preside. Nessun reato, quindi, anche se la relazione venisse confermata. Ma dalla sanzione disciplinare, forse anche dal licenziamento, sarebbe difficile scappare. 

La sanzione più pesante, secondo la dirigente, è ciò a cui mirano alcuni docenti: "È evidente che qualcuno non mi voglia qui a scuola". Un complotto, in sostanza, per tentare di mandarla via proprio nell'anno della neo-immissione in ruolo. Potrebbe partire, secondo lei, da un gruppetto di docenti e dai suoi due collaboratori, destituiti una ieri e l'altro pochi giorni fa. 

Per gli studenti la versione della preside non regge. Per questo nelle scorse settimane sui muri rosso scuro della scuola sono comparse frasi allusive: "Il tuo silenzio parla per te", "La laurea in pedagogia l'hai presa troppo seriamente", "Chi sa deve agire". 

Di certo la timeline della presunta love story era sulla bocca di tutti. Una chiamata sarebbe addirittura partita da un liceo vicino, il Malpighi, scientifico, per raccontare delle voci che man mano si stavano diffondendo a macchia d'olio fino ad arrivare alle orecchie di alcuni consiglieri del municipio XII, quello in cui ricade il quartiere di Bravetta.

Ma nessuno, almeno fino a pochi giorni fa, si era spinto fino a una segnalazione. La relazione tra i due sarebbe andata avanti all'incirca un mese, chiudendosi a inizio febbraio. Non senza qualche difficoltà: "A un certo punto io non riuscivo a tagliare", ha raccontato il ragazzo ai compagni di classe, che a loro volta l'hanno riportato ai bidelli. Poi il giovane si è confidato con una docente, infine è stato ricevuto dai vicepresidi, dai quali è tornato per una seconda volta insieme ai genitori. 

Tra gli elementi che l'ispezione avrà da accertare, ieri all'uscita di scuola ne è spuntato un altro: gli studenti hanno accusato la preside di aver accolto in casa altri ragazzi. Un fatto del quale i docenti sarebbero totalmente all'oscuro, ma che si aggiunge a una lunga lista di dettagli da verificare. A partire dalle prove in possesso del ragazzo: "Lei ha preteso che io cancellassi dei messaggi davanti a lei, ma qualcosa ho tenuto". Prove grazie alle quali l'indagine potrebbe chiudersi nel giro di pochi giorni.

Romina Marceca per “la Repubblica” il 30 marzo 2022.

Francesco, nome rigorosamente di fantasia, scappa da un'uscita laterale del liceo, ha il passo veloce. Evita il gruppo di giornalisti sperando di passare inosservato. E quando viene raggiunto dice: «Non voglio lasciare dichiarazioni». Cammina a testa bassa, cartella a tracolla, tuta grigia. È un ragazzo alto, biondo, occhi chiari. È lo studente di 18 anni che avrebbe avuto una relazione con la dirigente scolastica, 32 anni più grande di lui. 

Uno scandalo che nei corridoi ha iniziato a diffondersi a febbraio, nei giorni in cui la professoressa era a casa con il Covid. Francesco si lascia la scuola alle spalle all'ora di pranzo mentre le quinte classi si avvicinano al cancello rosso di via di Barretta. È la fine delle lezioni. 

Sul viso degli studenti c'è preoccupazione. Non sono giorni sereni. I loro nomi sono tutti inventati perché tra i ragazzi c'è il timore di « ritorsioni da parte della dirigente». I docenti restano muti, non vogliono commentare: « Non è questa la sede » . Tra una sigaretta rullata e un'altra Martina dice: « Non ce la saremmo mai aspettata una cosa del genere. Siamo sconvolti. 

Eravamo certi che si sarebbe dimessa. E, invece, lei è ancora qua. Non ha etica, non la vogliamo. Temiamo che possa accadere di nuovo. Ha fatto apprezzamenti anche su altri ragazzi. Noi siamo vicini al nostro compagno, non è stato abbandonato». 

La notizia finita sui giornali ha fatto ripiombare la scuola in quel gossip fino ad ora rimasto dentro le mura dell'istituto e nelle chat. Da qualche settimana il soprannome della prof è " Sabrinona". Lei resta barricata nel suo ufficio al primo piano, non riceve nessuno. Da poche ore è arrivata l'ispettrice dell'ufficio regionale scolastico.

« È stata sempre rigida con noi ragazze soprattutto sul dress- code racconta Vittoria accanto alla cancellata di scuola - tanto che un giorno ha tirato giù la maglietta di una nostra compagna. Diceva che era troppo corta. Però lei si presenta con le gonne bianche attraverso le quali si intravede tutto. Per non parlare delle scollature generose». 

L'occupazione del Montale è scattata proprio per quelle regole rigide. « Appariscente, disinibita, e che spesso rivolge apprezzamenti ai suoi studenti, tipo "Che bel ragazzo che sei". Il " tu" per lei è normale. Non riesco a riconoscerla come un'autorità. E se fosse succeso il contrario? Un dirigente con una studentessa? Sarebbe scoppiato uno scandalo ancora più grosso. 

Invece, il ragazzo che si fa la prof viene considerato da alcuni come un vanto. Fa rabbia » , aggiunge Francesca, gli occhi cerchiati dall'eyeliner. I liceali continuano a sfilare sullo spiazzo con i pini e il prato verde. Sulla facciata della scuola, sopra l'entrata bianca del liceo c'è una scritta con lo spray rosso: « Chiudendoci in classe non sopprimi le voci » . È apparsa dopo che quel rapporto proibito è finito di bocca in bocca. « Lei ha detto sempre " No comment" e ha fatto cancellare le frasi - Giulia indica i muri rosso bordeaux - per denunciare questa grave situazione » . « Il Montale sa» e poi «Il Montale sa e non dimentica » e «Il tuo silenzio parla per te».

Tra gli studenti delle quinte classi c'è una sola speranza: «Che sia vero o no, che venga fatta chiarezza al più presto. Speriamo che l'ufficio regionale faccia gli accertamenti » . Il rammarico di Valentina mentre va via da scuola è che «adesso siamo famosi per questo e non perché siamo il settimo liceo migliore di Roma».

Sabrina Quaresima, la preside liceo Montale di Roma, accusata di avere una relazione con lo studente: «Hanno voluto colpirmi».  Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2022.

Sabrina Quaresima: «I collaboratori poco affidabili hanno fomentato un gossip per mettermi in difficoltà. Sono nell'anno di prova e potrei essere cacciata». Inviata una ispezione dell'ufficio scolastico regionale. 

«Sono sconvolta, pensavo che una sciocchezza del genere morisse così com'era nata, e invece è stata ingigantita oltre misura: è evidente che mi hanno voluto fare del male»: è annichilita la preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, classe '72, accusata di aver avuto una relazione sentimentale con uno studente. L'ufficio scolastico regionale ha fatto partire un'ispezione per una verifica formale dopo le voci che si rincorrevano e le scritte apparse sui muri. Ma lei ha già contattato un avvocato per difendersi da quelle che definisce «cattiverie».

Conosce il ragazzo che avrebbe denunciato la relazione?

«Certo, chiariamo subito che non è un ragazzino, ha 19 anni, sta per prendere la maturità. E quando l'ho conosciuto era rappresentante di istituto in surroga, perciò abbiamo parlato diverse volte durante il periodo dell'occupazione. Mi ha accompagnato con la sua macchina al commissariato di Monteverde per fare la denuncia, e lì ci aspettava anche un rappresentante dei genitori. Ho avuto con lui un rapporto cordiale e aperto, come con tutti: la mia porta è sempre aperta».

Da dove sono nate allora le voci di una relazione?

«Forse lui le ha messe in giro per vantarsi con gli amici? Non lo so, ma qualcuno poi può aver fomentato la cosa. Ma non c'è stato nulla di nulla con il ragazzo, posso giurarlo davanti a chiunque. Mi sono rivolta ad un legale e chiarirò tutto anche con l'ufficio scolastico regionale ma in questa scuola non mi hanno mai visto di buon occhio, fin dal primo momento. Il sistema su cui si reggeva l‘istituto scolastico non mi convinceva. Ma all'inizio non ho cambiato l’assetto perché volevo prima rendermi conto della situazione generale. Ho sbagliato».

Lei aveva recentemente rimosso il vicepreside?

«Il primo collaboratore, per la precisione. Lui e l'altra collaboratrice gestivano tutte le pratiche, che io ho avocato a me perché volevo controllare la situazione. Erano dei filtri, diciamo così. Ma io non volevo lasciare loro a organizzare tutto, volevo capire. Questa scelta forse non è piaciuta, e quando mi sono decisa a sostituirlo, mi sono ritrovata in una situazione che non mi piaceva».

Un clima di disagio?

«Si, ma non posso fare collegamenti precisi. Infatti non volevo parlare con nessuno perché mi dovrò difendere attraverso le vie legali e gli accertamenti amministrativi. Devo andarci coi piedi di piombo. Però sono amareggiata. Sono una professionista, avevo preso quest'incarico con grande entusiasmo, convinta di poter fare bene e cambiare un po’ le cose. Invece mi sono trovata di fronte a retaggi difficili da modificare».

I genitori del ragazzo l'hanno contattata?

«No, mai. I genitori del comitato, che si sta costituendo, invece sono venuti a parlarmi e mi hanno dato il loro appoggio».

I docenti come hanno reagito?

«Molti sono dalla mia parte e sono venuti a portarmi la loro solidarietà e il loro sostegno».

Perché non ha denunciato quando sono apparse le frasi sui muri? I ragazzi hanno scritto cose del tipo «La laurea in pedagogia l'ha presa troppo seriamente», «Il Montale sa e non dimentica», «Puoi chiuderci in classe ma non spegnere le voci».

«All'inizio non ho denunciato, erano frasi così generiche e non volevo dare tanta importanza ad un gossip. Alla terza scritta ho denunciato alla Procura, si tratta di un bene dello Stato e non potevo permettere che venisse deturpato: ma se restavo zitta era perché non aveva senso giustificarmi per qualcosa che non era successo, significava ammettere una colpa che non avevo».

Come pensa che sia nato questo putiferio?

«Io sono felicemente sposata con un uomo meraviglioso, ma sono una donna di bell'aspetto, abbastanza giovane, sono del '72, e curata: e purtroppo capisco che qualcuno possa pensar male. Ma sono serissima, mi è costato tanto arrivare qui, e sono nell'anno di prova: qualcuno ha pensato che in un attimo poteva farmi cacciare. Giovedì vedrò l'ispettrice regionale, spero davvero di poter chiarire tutto».

Da bari.repubblica.it il 23 marzo 2022.

Avrebbe solo in parte confermato di aver ricevuto dal suo professore, il docente del dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Aldo Moro di Bari Fabrizio Volpe, richieste di prestazioni sessuali "sotto la minaccia implicita - ricostruisce la Procura nell'imputazione - di subire conseguenze negative durante un esame". 

Una delle presunte vittime del docente ha testimoniato in aula nella prima udienza dibattimentale del processo in corso dinanzi al Tribunale di Bari, nel quale Volpe è imputato per concussione e violenza sessuale aggravata nei confronti di una studentessa, commessi tra il 2014 e il 2015, e per una tentata concussione nei confronti di un'altra, risalente al 2011. 

Quest'ultima, non costituita parte civile, è stata la prima testimone del processo. Davanti ai giudici ha ripercorso la vicenda, avvenuta più di dieci anni fa, rispondendo alle domande di accusa e difesa sui presunti approcci sessuali del professore, durante i colloqui di preparazione ad un esame. 

L'udienza si è celebrata a porte chiuse. I difensori, gli avvocati Angelo Loizzi e Elio Addante ritengono che "senza entrare nel merito delle dichiarazioni rese, è emersa la inaffidabilità della testimonianza".

Nella prossima udienza, il 21 aprile, saranno sentiti i carabinieri che hanno svolto le indagini delegate dal pm Marco D'Agostino e il 19 maggio toccherà alla teste chiave del processo, la studentessa che ha denunciato il docente e che si è costituita parte civile. Secondo l'accusa la donna, all'epoca 23enne, avrebbe subito atti sessuali e anche la richiesta di denaro per non ostacolare il suo percorso di studi. Il professor Volpe, inizialmente sospeso dall'Università, è stato reintegrato nei mesi scorsi su decisione del Tar.

Su Whatsapp la relazione fra la preside Sabrina Quaresima e il suo studente: oggi l’ispezione al liceo Montale. Camilla Palladino, Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 31 Marzo 2022.

La dirigente nega. Oggi l’ispezione dell’ufficio scolastico regionale al liceo Montale per chiarire la vicenda. 

Una chat su WhatsApp: ecco l’elemento che potrebbe diventare cruciale nella vicenda delle accuse che hanno travolto la dirigente del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 50 anni a dicembre, neo assunta nell’ultimo concorso e sospettata di avere avuto una relazione con uno studente dell’ultimo anno, A.S., 19 anni. La dirigente, che smentisce tutto e si dice pronta ad adire le vie legali per tutelarsi, oggi dovrà parlare con l’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale e chiarire quanto successo.

Ma intanto emergono particolari su cosa avrebbe fomentato le voci di un suo rapporto privilegiato con il ragazzo. Una chat, appunto, in cui il diciannovenne le faceva complimenti e i due si spingevano in confidenze molto più intime di quelle consentite tra una preside e uno studente, anche alla luce del codice di comportamento dei dipendenti pubblici che prescrive di non assumere «nessun comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione». La preside, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni. Mentre il ragazzo avrebbe conservato gli «screenshot» dal telefonino: e ora proprio quelle frasi potrebbero diventare fondamentali per stabilire fino a che punto si fosse spinto il rapporto con lo studente.

Ma cosa rischia Quaranta? Dipende tutto dalla relazione che l’ispettrice, dopo aver parlato oggi con la preside, scriverà. In altre circostanze, rischierebbe una multa fino a 500 euro o una sospensione fino a sei mesi. Ma, visto che sta svolgendo l’anno di prova, potrebbe anche perdere il ruolo da dirigente scolastica e tornare a fare l’educatrice.

Lei sostiene di aver avuto un rapporto cordiale con lo studente, all’epoca rappresentante di istituto, e quindi naturale interlocutore durante l’occupazione. Il ragazzo avrebbe invece raccontato — prima agli amici, poi ai due collaboratori stretti della preside e infine ai suoi genitori — di aver avuto una relazione sentimentale. Secondo il racconto degli studenti, dalle chat i due sarebbero passati ai fatti: «Sappiamo che c’è stato un incontro intimo in macchina, in un parcheggio», raccontano rimanendo anonimi, spaventati dal clamore.

E c’è un altro aspetto da chiarire. La preside sostiene di aver demansionato i suoi due collaboratori più stretti per avocare a sé tutte le pratiche amministrative, che loro gestivano: «Non potevo tenere sotto controllo la situazione», ha spiegato. A scuola vociferano invece che i due sarebbero stati rimossi perché sarebbero stati i primi ad aver sollevato la questione, dopo aver ascoltato il ragazzo.

Intanto, nonostante la bufera, A. S., da studente modello, continua ad andare a scuola tutti i giorni. Il viso pulito, l’atteggiamento composto, all’uscita di scuola si guarda nervosamente intorno. «Mi è stato consigliato di non espormi e di non rilasciare dichiarazioni su questa vicenda», è la sua risposta. «La stessa linea — specifica ancora — la stanno seguendo i miei genitori». I suoi compagni gli fanno scudo: «Questa storia e il diritto allo studio sono due cose che devono restare separate». «Come sto? Benissimo — aggiunge lui —. Ho dormito bene, la mattinata è passata, e ora aspetto solo il pranzo». La descrizione di una giornata come le altre, da normale studente liceale.

Nico Falco per fanpage.it il 20 marzo 2022.

"Sei bellissima e sexy": l'approccio cominciava sempre così. Subito dopo, altri messaggi, una valanga, sempre più espliciti, per portare le ragazzine sull'argomento che preferiva: il sesso. "Cristiano" aveva contattato con lo stesso modus operandi decine di ragazzine, tutte giovanissime, ma dietro quell'account falso si nascondeva uno psicologo 47enne, giudice onorario del Tribunale dei Minori di Napoli. L'uomo è stato condannato per adescamento di minori a 10 mesi di carcere e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici legati a minori dal giudice monocratico di Roma.

Adescava ragazzine in chat, condannato giudice onorario

I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2016 e il 2017, il giudice onorario avrebbe avuto una media di 9 contatti al giorno, inviando quasi 20mila messaggi. E non si sarebbe fermato nemmeno quando le giovanissime vittime avrebbero cercato di allontanare quelle intenzioni indesiderate, anche affermando di essere minorenni.

Nel corso delle indagini sono state identificate due vittime ma secondo gli inquirenti sarebbero state molte di più, probabilmente decine; l'uomo avrebbe utilizzato per i dialoghi anche altre utenze, di cui non è stato però possibile risalire all'identificazione e che quindi non compaiono nel capo di imputazione. Un incontro reale non ci sarebbe mai stato ma, secondo gli inquirenti, a impedirlo sarebbe stato soltanto l'intervento degli investigatori. 

La Caramella Buona Onlus ha commentato la condanna con un video e un post pubblicato sul profilo Facebook dell'associazione, con una dichiarazione del presidente, Roberto Mirabile: Quando siamo venuti a conoscenza di tale condotta abbiamo valutato approfonditamente quanto in nostro possesso e abbiamo deciso di costituirci parte civile al processo perché combattiamo la pedofilia da 25 anni e lo facciamo con ancora più forza quando a macchiarsi di questo reato sia un soggetto che dovrebbe proteggere bambini e non importunarli. Grazie al lavoro del nostro avvocato Monica Nassisi siamo riusciti a confermare con forza il quadro accusatorio e il giudice ha condannato l'imputato nonostante il pubblico ministero ne avesse chiesto l'assoluzione.

Gli ispettori nel liceo Montale, la preside si difende: «Solo rapporti cordiali». Camilla Palladino, Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 31 marzo 2022.

Roma, Sabrina Quaresima è sospettata di aver avuto una relazione con un ragazzo che frequenta la sua scuola. I compagni dello studente: lui pentito. 

La sua versione dei fatti: è quella che la dirigente del liceo Montale di Roma ha fornito giovedì all’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire i contorni della relazione con uno studente di 19 anni in procinto di sostenere la maturità. Sabrina Quaresima, 50 anni il prossimo dicembre, è sospettata di aver avuto un rapporto sentimentale con un ragazzo che frequenta la scuola, mettendo in cattiva luce l’immagine dell’istituto.

Lei nega e parla di un rapporto «cordiale», ma le chat — che lei avrebbe cancellato e lui conservato — raccontano una storia diversa: un rapporto più intimo, che avrebbe ad un certo punto messo in difficoltà lo studente. Il ragazzo, A.S., avrebbe deciso di confidarsi con il vicepreside solo per capire come uscirne, ma sarebbe finito dalla padella nella brace, almeno secondo la ricostruzione dei compagni di scuola. I rapporti non proprio amichevoli tra il collaboratore e la neo dirigente, testimoniati anche da un video in cui i due litigano per una questione di parcheggio, avrebbero infatti alimentato la tensione e amplificato la vicenda. Che nel giro di poche settimane è diventata un caso mediatico. «Lui si è pentito sia di averla incontrata al di fuori dell’ambiente scolastico, sia di averlo raccontato ad amici e docenti», conferma uno studente del quarto anno. Ma è solo una ricostruzione che dovrà essere verificata dall’ispezione appena iniziata.

Il direttore dell’ufficio scolastico, Rocco Pinneri, è chiuso in uno stretto riserbo e fa sapere che non si può «ragionare di semplici illazioni o indiscrezioni giornalistiche». Dopo aver ascoltato la dirigente, l’ispettrice dovrà sentire gli altri protagonisti della vicenda, tra cui appunto il collaboratore sollevato dall’incarico, Luigi Botticelli, e lo stesso studente, prima di stendere la relazione determinante per capire se la preside sia da licenziare, ai sensi del contratto collettivo.

Intanto a scuola il clima è sempre più nervoso. «È una brutta storia, viene infangato il buon nome di questa scuola. Non è giusto che si parli di noi solo per questo motivo, quello che è successo tra il ragazzo e la preside doveva restare tra di loro», si lamenta una studentessa all’ingresso in via di Bravetta. Perplessi anche i genitori: «Il ragazzo è maggiorenne, la dirigente non ha infranto la legge. Per questo sarei contraria al suo licenziamento, opterei più per una sanzione disciplinare», dice la mamma di un alunno. «Mio figlio — racconta ancora — è un bel ragazzo. Anche lui ha avuto dei colloqui privati con la preside, ma non mi sono affatto preoccupata che potesse succedere qualcosa». Ma un’altra mamma, stavolta di un’adolescente, critica: «Mi aspetto una sanzione disciplinare. Non voglio giudicare, ma mi aspettavo ben altro comportamento da una dirigente che, appena arrivata, ha diffuso circolari rigorose sui temi del decoro e dell’abbigliamento adeguato per la scuola».

A confermare l’esasperazione degli studenti è la nota del Collettivo Montale: l’istituto «da settimane versa in un clima di costante tensione dovuta alla circolazione di queste voci all’interno non solo della nostra scuola ma di tutto il quartiere, pertanto se le indagini intraprese confermassero tali voci chiediamo le dimissioni della dirigente».

L’ex vicepreside del liceo Montale: «Le chat tra la preside Sabrina Quaresima e lo studente? Mai viste». Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 2 Aprile 2022.

Il professore sulla vicenda che riguarda Sabrina Quaresima, preside del liceo di Roma accusata di avere una relazione con lo studente: «Da me nessuna vendetta. Dopo lo sfogo del ragazzo la dirigente doveva chiarire. La segnalazione all’ufficio scolastico è arrivata da diverse persone». 

«Amareggiato»: così diceva di sentirsi Luigi Botticelli, ormai vicepreside del liceo Montale di Roma, quando ieri è tornato nella scuola dove in settimana è scoppiato il caso della presunta relazione tra la preside Sabrina Quaresima e uno studente di 19 anni.

Cosa succede, professore?

«Sono stato defenestrato dopo 37 anni di insegnamento di educazione fisica e 10 anni da vicepreside, da lunedì potrò fare solo supplenze o ore di alternativa».

Ha incontrato la preside?

«No, ma se mi chiama vado a parlarci volentieri».

Ne è sicuro? Non mi sembra corrano buoni rapporti.

«Ci sono stati dei malintesi. Ha fatto bene lei ad avocare le pratiche, ci mancherebbe. È inesperta come lo eravamo tutti all’inizio ma è giusto che provasse a gestire».

Allora perché l’ha demansionata?

«Non esageriamo, io resto un professore. Certo, non sarò più il vicepreside, ma se lei non ha più fiducia ha fatto bene, forse non ho dimostrato di essere affidabile».

O forse non è più vicepreside perché lei, professore, ha usato la storia della relazione contro la preside?

«Non ho usato niente. Ho solo raccolto lo sfogo di un ragazzo. Anzi, lui non voleva nemmeno parlare con me, ma con la sua docente di italiano, di cui si fidava. Il ragazzo ha chiesto di sua spontanea volontà di parlare, non ha chiesto aiuto. E la professoressa ha voluto che assistessi».

Cosa ha raccontato A.S.?

«A parte il fatto che non capisco perché il suo nome e il suo volto non siano usciti, mentre quello della dirigente è finito su tutti i giornali... Non posso dirlo, lo riferirò all’ispettrice. Anzi, mi sembra strano che non mi abbia ancora convocato».

Ora difende la dirigente?

«Guardi, noi avevamo un rapporto normale. Lei ha un carattere... particolare, ogni tanto faceva qualche sfuriata, come quando mi ha detto di parcheggiare bene la moto o di tenermi la mascherina sul viso. Aveva ragione. Anche se mi sono infastidito, ho 65 anni e mi sono sentito rimproverare come da mia madre. Sto pensando a difendermi legalmente».

È il motivo per cui l’ha messa in cattiva luce?

«Ma assolutamente no. Quando il ragazzo ci ha raccontato, le abbiamo chiesto subito un colloquio. Lei non era a scuola, perché in malattia. Quindi abbiamo dovuto aspettare».

Intanto cosa è successo?

«Noi avevamo consigliato al ragazzo di parlarne in famiglia, e si sono presentati i genitori a scuola, alle 8.10 del mattino. Eravamo meravigliati, ma io in quanto vicario avevo la delega a riceverli».

Quando ne avete parlato alla preside?

«Quando è rientrata. Le abbiamo chiesto un incontro urgente via mail».

E lei come ha reagito?

«Era un po’ scocciata, ha preso qualche appunto, ma è finita lì. Mi aspettavo che facesse qualcosa in più».

Lei che avrebbe fatto?

«Io avrei chiamato lo studente e almeno altri dieci testimoni e avrei chiarito la vicenda. Chi dirige deve essere pulito, e se è diffamato, deve subito chiarirlo».

Cosa ha fatto la preside dopo essere venuta a conoscenza della faccenda?

«Era alterata, mi ha rimosso dall’incarico. Come se fosse colpa mia. Ma la segnalazione all’ufficio scolastico regionale è arrivata da parte di diverse persone, tutti ne parlavano».

Le chat le ha fatte circolare lei per vendetta?

«Certo che no. I ragazzi ne parlavano da mesi, ma io non le ho mai viste».

Se ci fosse stata la storia, lei cosa ne penserebbe?

«Se vi fosse stata non sarebbe lecita. È una questione di deontologia professionale. Non si possono impartire lezioni private agli alunni della scuola, figuriamoci se sia possibile tessere una love story».

Per lei sarebbe un vantaggio se venisse licenziata?

«Ma no, sono prossimo alla pensione, figuriamoci se voglio mettermi a guerreggiare. Poco tempo fa aveva comprato anche un regalo per il mio nipotino. Non ho potuto neanche ringraziarla». 

Camilla Palladino, Valentina Santarpia per corriere.it l'1 aprile 2022.

La sua versione dei fatti: è quella che la dirigente del liceo Montale di Roma ha fornito giovedì all’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire i contorni della relazione con uno studente di 19 anni in procinto di sostenere la maturità. Sabrina Quaresima, 50 anni il prossimo dicembre, è sospettata di aver avuto un rapporto sentimentale con un ragazzo che frequenta la scuola, mettendo in cattiva luce l’immagine dell’istituto. 

Lei nega e parla di un rapporto «cordiale», ma le chat — che lei avrebbe cancellato e lui conservato — raccontano una storia diversa: un rapporto più intimo, che avrebbe ad un certo punto messo in difficoltà lo studente. Il ragazzo, A.S., avrebbe deciso di confidarsi con il vicepreside solo per capire come uscirne, ma sarebbe finito dalla padella nella brace, almeno secondo la ricostruzione dei compagni di scuola. 

I rapporti non proprio amichevoli tra il collaboratore e la neo dirigente, testimoniati anche da un video in cui i due litigano per una questione di parcheggio, avrebbero infatti alimentato la tensione e amplificato la vicenda. Che nel giro di poche settimane è diventata un caso mediatico. «Lui si è pentito sia di averla incontrata al di fuori dell’ambiente scolastico, sia di averlo raccontato ad amici e docenti», conferma uno studente del quarto anno. Ma è solo una ricostruzione che dovrà essere verificata dall’ispezione appena iniziata.

Il direttore dell’ufficio scolastico, Rocco Pinneri, è chiuso in uno stretto riserbo e fa sapere che non si può «ragionare di semplici illazioni o indiscrezioni giornalistiche». Dopo aver ascoltato la dirigente, l’ispettrice dovrà sentire gli altri protagonisti della vicenda, tra cui appunto il collaboratore sollevato dall’incarico, Luigi Botticelli, e lo stesso studente, prima di stendere la relazione determinante per capire se la preside sia da licenziare, ai sensi del contratto collettivo. 

Intanto a scuola il clima è sempre più nervoso. «È una brutta storia, viene infangato il buon nome di questa scuola. Non è giusto che si parli di noi solo per questo motivo, quello che è successo tra il ragazzo e la preside doveva restare tra di loro», si lamenta una studentessa all’ingresso in via di Bravetta. Perplessi anche i genitori: «Il ragazzo è maggiorenne, la dirigente non ha infranto la legge.

Per questo sarei contraria al suo licenziamento, opterei più per una sanzione disciplinare», dice la mamma di un alunno. «Mio figlio — racconta ancora — è un bel ragazzo. 

Anche lui ha avuto dei colloqui privati con la preside, ma non mi sono affatto preoccupata che potesse succedere qualcosa». Ma un’altra mamma, stavolta di un’adolescente, critica: «Mi aspetto una sanzione disciplinare. Non voglio giudicare, ma mi aspettavo ben altro comportamento da una dirigente che, appena arrivata, ha diffuso circolari rigorose sui temi del decoro e dell’abbigliamento adeguato per la scuola».  

A confermare l’esasperazione degli studenti è la nota del Collettivo Montale: l’istituto «da settimane versa in un clima di costante tensione dovuta alla circolazione di queste voci all’interno non solo della nostra scuola ma di tutto il quartiere, pertanto se le indagini intraprese confermassero tali voci chiediamo le dimissioni della dirigente».

La preside del liceo Montale e lo studente: «Non c’è stata alcuna storia, ma oggi sarei più prudente». Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 3 Aprile 2022.

Intervista a Sabrina Quaresima, preside del Liceo Montale di Roma: per il ragazzo solo simpatia, mi aveva aiutata. Nei messaggi che ci siamo scambiati non penso ci sia nulla di equivoco, ho sempre rispettato il mio ruolo e l’ambiente scolastico. 

Si sente «discriminata» e messa al centro «di una gogna mediatica» e si chiede ogni giorno «il perché di tanta cattiveria»: Sabrina Quaresima, 49 anni, dirigente del liceo Montale, accetta di parlare nuovamente con il Corriere dopo il clamore sollevato dalla presunta relazione con uno studente 19enne. Un lungo sfogo, che termina con un pianto liberatorio. Accanto a lei c’è il marito, che l’ha sempre sostenuta: la abbraccia e la conforta.

Il suo volto e il suo nome in questi giorni è stato su tutti i giornali, mentre il ragazzo è stato tutelato. Cosa ne pensa?

«Penso che sia stato assolutamente discriminatorio e totalmente sbilanciato, una sovraesposizione della mia immagine che mi spiego solo pensando che forse qualcuno avrà fornito, forse lui stesso, delle informazioni ai giornali. C’è stato anche un atteggiamento maschilista: la donna, professionista, messa alla berlina».

Com’è stata la settimana?

«È stata durissima, sconvolgente, mi ha messo a dura prova, è stato difficilissimo dormire e alzarmi tutti i giorni per andare a scuola a fare il mio dovere. Mi ha colpito il male fatto alla mia famiglia: io purtroppo non ho figli, ma se li avessi avuti si sarebbero trovati al centro dell’attenzione, in un turbinio sulla loro madre, non so quali potevano essere le conseguenze. C’è stata un’esposizione mediatica becera e incomprensibile».

Come gestisce il rapporto con l’ex vicepreside?

«I problemi con lui risalgono al mio insediamento. I miei tentativi di organizzare in maniera efficiente si scontravano con i suoi modi veementi e aggressivi. Da novembre volevo sollevarlo dall’incarico. Sono stata cauta perché temevo di avere problemi».

Molti collegano il defenestramento alle voci sulla presunta relazione: è così?

«Non c’è alcuna correlazione, con il prof. Botticelli c’è sempre stato dall’inizio grande difficoltà di collaborazione». 

Com’è andato il colloquio invece con l’ispettrice?

«È stato condotto con molta professionalità e sensibilità, ma estenuante: è durato dieci ore e mezza». 

Avete parlato anche delle chat scabrose che hanno amplificato le voci?

«Ho risposto a tutte le domande, cercando di ricostruire quello che è successo. Il ragazzo l’ho conosciuto in quanto rappresentante in surroga, e si è subito messo a disposizione. Un aiuto prezioso nel periodo dell’occupazione, quando ha dimostrato di voler collaborare con la presidenza. Ma temevo che si inimicasse i compagni». 

I messaggi che vi siete scambiati in quel periodo erano affettuosi?

«Io vengo da un’esperienza come educatrice al Convitto nazionale dove ero abituata a un’interazione più vicina, più tranquilla. Ora mi rammarico di non essere stata più cauta. Ma nei messaggi non c’era nessuna forma di privilegio nei confronti di questo ragazzo. Non pensavo assolutamente ci fosse qualcosa di equivoco o di strano». 

Crede di aver commesso qualche leggerezza nel rapporto con lui?

«Assolutamente nessuna leggerezza. Ma come si fa a non avere simpatia per chi ti sta aiutando come faceva lui, in un periodo così duro?». 

Allora si sarebbe inventato tutto, nel raccontare agli amici che aveva avuto una tresca con lei?

«Non lo so cosa è passato nella testa dello studente, so solo che non è mai esistita nessuna relazione». 

Se tornasse indietro, c’è qualcosa che cambierebbe?

«Sicuramente gli chiederei di essere meno attivo nella sua collaborazione, prendendo un po’ le distanze». 

C’è qualche altra cosa che modificherebbe?

«No, ho sempre cercato di avere toni e abbigliamento professionali, magari con un tocco di originalità, ma sempre nel rispetto del ruolo e dell’ambiente scolastico». 

Resterebbe a dirigere questa scuola se l’ispezione dovesse darle il via libera?

«Non sono in grado di rispondere, è ancora troppo forte la situazione, non ci sto pensando. La scuola è tutta la mia vita ma per svolgere il ruolo da dirigente bisogna farlo in un ambiente sereno. Un trasferimento? Non mi spaventa, ma non ci sto pensando». 

Pensa che a scuola ci siano ancora troppi atteggiamenti bigotti?

«Penso che la scuola abbia tante potenzialità e penso che il mio intento sia stato proprio quello di portare un po’ di innovazione: non so se questo non è piaciuto».

Se potesse fare un discorso agli studenti? 

«Direi loro di avere fiducia nel loro dirigente, di non dare giudizi affrettati, mai, senza conoscere bene le situazioni. Citando Kant: considera gli altri come fini e mai come mezzi»

Se lo studente volesse parlare con lei? «La mia porta è sempre aperta. Sarebbe un confronto difficile, ma ritengo mio dovere ricordare sempre che io sono una persona adulta e che questo ragazzo, per quanto, è pur sempre un ragazzo di quasi 19 anni. Bisogna dimostrare di essere più grandi della miseria che si può trovare in un cuore».

Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” l'1 aprile 2022.  

Potremmo già avviare il casting per assegnare il ruolo della preside, Sabrina Quaresima, della quale infatti sappiamo tutto. Parliamo della vicenda, peraltro dal profilo penale nullo essendo i protagonisti tutti maggiorenni, che vede coinvolti in una presunta relazione pericolosa la preside del liceo romano "Eugenio Montale", bella donna cinquantenne, sbattuta su tutti i giornali, con repêchage istantanei di video in cui la dirigente scolastica espone il suo programma educativo, e uno studente dell'ultimo anno, di cui invece nulla si sa, il nome, il volto, i suoi progetti per il futuro, a parte quello, pare, di vantarsi con gli amici per le sue conquiste, attitudine piuttosto antica. 

Insomma una trama boccaccesca, o dongiovannesca, a seconda dei punti di vista, in cui però si indovina tanta ipocrisia, falsa virtù, e la sensazione che chi mente, a suo modo dica la verità, e chi dice la verità, additando l'immorale preside, menta.

IL TWEET DI GAIA TORTORA La giornalista Gaia Tortora, in un tweet, è stata eloquente: «Lui maggiorenne. Lei pure. Lui studente. Lei preside. Di lei sappiamo già nome cognome volto. Di lui no. Nessun reato. Che cazzo di informazione è?» Ognuno dia la risposta che preferisce. Lasciamo pure stare il fatto che la preside smentisca ostinatamente di aver avuto relazioni sessuali con lo studente, e che si dichiari vittima di un sabotaggio; benché proprio ieri Repubblica abbia fornito ai suoi lettori la trascrizione di alcune registrazioni audio (fatte dallo studente, parrebbe, ma a quale scopo? 

Si va forse a un incontro nel quale si vuole dare addio alla propria bella con il registratore del telefonino acceso? Sì, se poi si vuol far circolare la storia e fare un po' di chiasso...) in cui lui e lei si scambiano le tipiche frasi di ogni coppia che decida di separarsi: «Ho conosciuto un'altra», «Immaginavo ci fosse un'altra, da quanto la conosci?», eccetera, e con l'abbellimento pruriginoso del passaggio sul "toy boy", appellativo che lei avrebbe dato a lui, con leggerezza, e lui, permaloso, se ne sarebbe risentito.

Insomma, lasciamo da parte tutte queste scempiaggini che conosciamo fin troppo bene, perché sono le scempiaggini in cui ognuno di noi sarà cascato tante volte, se ha avuto una vita sentimentale appena decente. 

La questione che resta sul tappeto è: perché i media hanno rappresentato lei come una poco di buono, un'adescatrice, una donna lussuriosa della quale era lecito diffondere generalità, volto, e perfino un video, e lui, il liceale maggiorenne, che tra l'altro avrebbe avuto la risolutezza, dopo solo un mese, di troncare il rapporto chiedendo virtuosamente che d'ora in avanti avrebbe accettato dalla donna solo «rapporti istituzionali», neanche fosse un ministro, lui, dicevamo, è stato tutelato in una profonda, impenetrabile anonimità? 

MORALISMO E IPOCRISIA Ricapitoliamo: nessun reato, entrambi maggiorenni, forse una sbandata dell'una, dell'altro o di entrambi (o di nessuno, a sentire la donna), e con ciò? Perché ci scandalizziamo?

Perché andiamo in cerca dell'Eva tentatrice? Non per assumere i panni dei femministi, che francamente ci starebbero larghi, ma ci pare che questa vicenda puzzi di moralismo da commedia scolastica anni 70, per non dire da satira anni 50, quelle con Alberto Sordi con gli occhialini tondi e i capelli sparati all'insù che s' indigna, ipocritamente (in realtà fa la tratta delle bianche e delle nere) per il malcostume generale nei night-club. La preside è avvenente, ma mica è un reato esserlo, né un impedimento alla propria funzione. 

E se proprio dobbiamo discutere di comportamenti non appropriati, va bene, facciamolo pure, ma allora o tuteliamo l'anonimità di entrambi o di nessuno, altrimenti si avalla l'idea che lui, lo studente maggiorenne, sia un sedotto e abbandonato, quando potrebbe benissimo essere il contrario.

TRITI PREGIUDIZI Che tristezza quest' Italia progressista, secolarizzata, digitalizzata, che si scalda tanto per un amplesso - ammesso che ci sia stato tra uno studente adulto e la sua preside, e dove tutti i più triti pregiudizi si riattivano, designando la donna come la fonte d'ogni tentazione, d'ogni male, e il maschio, specie se più giovane, come un'anima ingenua consegnata con pacco espresso a Satana. 

È stato giusto non fornire le generalità dello studente, non offrirlo in pasto ai commenti del villaggio globale, ma allo stesso tempo, e ancor più, sarebbe stato sacrosanto proteggere anche la preside dagli strali dei moralisti e dai commenti volgari. Forse un giorno si capirà che le faccende di letto tra maggiorenni non riguardano nessuno salvo i diretti interessati, e che divulgare le loro conversazioni è, non diciamo reato - non ci piace prendere sempre la via dei tribunali -, incivile.

Valentina Lupia Luca Monaco per “la Repubblica – Edizione Roma” il 31 marzo 2022.

«La nostra storia? Spero che tu adesso sia contento, per te sono stata solo una tacca in più sulla cintura » . Le parole usate da Sabrina Quaresima, la 50enne preside del liceo Montale restituiscono il sentimento di una donna ferita. Non ci sarebbe nulla di inopportuno. Se non fosse che in questo caso Quaresima parla a un suo studente appena 18enne, Francesco. 

Con quella frase non allude a un gioco di sguardi, a una complicità fatta di sorrisi, ma a un rapporto sessuale consumato nel chiuso di un'auto come accade tra amanti adulti. Certo, Francesco è maggiorenne. Ma è pur sempre un suo studente. Nel caso di specie, un giovane gravato dall'angoscia di non riuscire più a uscire da un gioco «molto più grande» di lui. 

Dopo aver sollevato il caso della Love story al Montale, oggetto di un'ispezione a scuola condotta dagli incaricati dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio, ora Repubblica è in grado di ripercorrere il canovaccio del gioco erotico clandestino intrattenuto da Quaresima con un suo studente, pubblicando gli scambi in chat tra la preside e il suo maturando " preferito". I messaggi su WhatsApp salvati e mostrati da Francesco ai suoi amici più fidati, che Repubblica ha potuto visionare, lasciano poco all'immaginazione. Confermano la " cotta" della dirigente scolastica per il giovane iscritto nel suo istituto.

«Guarda qui», fa Luca, un amico di Francesco suonata l'ultima campanella, mentre nascosto dietro a una macchina protegge lo schermo del telefono dalle ultime gocce dell'acquazzone che ieri ha bagnato la città.

« Ciao Sabrina, ci ho pensato molto - le scrive Francesco a metà gennaio - stare con te è stato bello, ma ora è diventato tutto troppo difficile. Non è colpa mia. Non ce la faccio più. Dobbiamo darci un taglio netto. Sappi, che non tornerò indietro su questa decisione ». 

L'amicizia nata a dicembre, con gli scambi via e- mail durante l'occupazione, poi approfondita via WhatsApp e culminata con il rapporto consumato nell'abitacolo dell'auto della preside, all'ombra dei palazzoni di Roma Est, ormai per il 18enne sono acqua passata. 

Francesco è schiacciato dal peso emotivo di quella relazione clandestina. Tanto più che Quaresima è sposata. Lei lo coglie e risponde con tutta l'amarezza che può nutrire una persona ancora coinvolta, se rifiutata. « Benissimo. Sei sicuro di sapere cosa volessi io? Avrei preferito che tu me lo avessi detto di persona, visto che mi scrivevi tutt' altro, ma va bene così». Potrebbe essere l'ultima comunicazione tra i due. Invece l'acredine è troppa.

Quaresima non trattiene la postilla. « Ecco vedi » , aggiunge Luca mostrando un altro messaggio.

«Ti sentirai fico adesso - prosegue la preside - avrei dovuto immaginarlo: per te ero solo una tacca in più sulla cintura » . Dopo due giorni la chat del ragazzo suona ancora: « Devo parlarti - scrive lei - mi chiami? » . Francesco non risponde. Spera così di riuscire a convincerla ad archiviare, con quell'ultimo messaggio, un'avventura più grande di lui.

Mario Landi per leggo.it il 2 aprile 2022.

Tante storie sentimentali alle spalle. Fra cui tre flirt con altrettante presidi. Tutte più grandi di lui, quando allora più di trent'anni fa era uno studente «dall'aria tra il ribaldo e il bravo ragazzo». La storia di Luca parte da un liceo alla periferia Est della Capitale. Se oggi questo 56enne, imprenditore agricolo, parla di quei giorni tra «emozione e amore» «è solo perché la vicenda della preside romana mi colpito».

Perché?

«I media hanno emesso la sentenza in fretta: senza freni, dubbi, remore, sensibilità, rispetto. Eppure non c'è un'indagine penale, ma solo un accertamento ministeriale. E tanto vociare pruriginoso» 

Mentre con le sue tre presidi?

«Tutto diverso. C'era stata intesa, simpatia, rispetto, sesso. In un caso anche amore».

La sua prima storia?

«È una roba a parte, dato che non successe nulla. Eppure è la più importante. Era la prof d'inglese della mia classe che ricevette l'incarico di vicepreside vicaria». 

Che anno era?

«1985. Agosto. Tre settimane prima avevo passato la maturità, sognavo l'Accademia di Modena e serviva una buona conoscenza dell'inglese. Chiesi alla prof un aiuto e lei, all'indomani, mi invitò a casa alle 8.30 di mattina». 

Ci andò?

«Spaccai il secondo». 

Per l'inglese?

«(Ride) È stata indimenticabile. Straordinaria, due lauree: Lettere e Lingue. Una bellezza sensuale, ricordava la Carrà. Ci aveva seguito dal primo anno e ci portò al quinto, mamma dolcissima e insegnante rigidissima. Le ero simpatico, era chiaro: mi telefonò il giorno prima della maturità per farmi gli auguri e al mattino venne persino a vedermi». 

Di quella «lezione» cosa ricorda?

«Suonai, mi aprì in camicia da notte trasparente, pantofole da casa e un profumo che non si scorda, tra mare e pineta. Sui libri restammo poco, sedemmo sul divano parlando quattro ore...». 

Solo parlando?

«Sì, ero di un'ingenuità pazzesca, una specie imbranato Dustin Hoffman ne Il Laureato. Mai vista da vicino una donna sino a quel momento . Discutemmo di innamoramento, ma tutto ruotava attorno a una questione: un diciottenne potrebbe avere una storia con una donna molto più grande di lui? Ci giravamo attorno...».

Quindi?

«Tre ore di seduta psicanalitica, uno stream of consciousness da mal di testa. Io dicevo sì, lei scuoteva la testa...». 

Arrivaste al dunque?

«Mentre la convincevo, squillò il telefono. Era mia madre che voleva sapere che fine avessi fatto. Stavo troppo in ritardo per pranzo. E lei aveva capito tutto, preoccupata...».

La prof?

«Divenne gelida in un istante. Mi disse che forse era il caso che andassi, mi accompagnò alla porta e mi chiese: Ora racconterai a tutti i compagni di classe che ti ho accolto in babydoll, vero?».

Lei che rispose?

«Sbottai così: Non lo farò mai perché sono innamorato di te. La vicepreside arrossì. Si avvicinò e disse: Non posso permettermelo, scusa e mi congedò con un bacio tra labbra e guancia che non posso dimenticare». 

Le altre storie?

«L'età era diversa, ero attorno ai 25 anni, avevo un lavoro che mi metteva in contatto con le scuole. Ma il ricordo che è di tutte è il medesimo: prof di lettere, grande cultura, donne appassionate dell'insegnamento. Non si sceglie quell'incarico se non c'è entusiasmo». 

Alla preside romana che direbbe ora?

«Di tutelarsi il più possibile, è lei la parte lesa. Per il mainstream dell'informazione, cartacea e online, è già colpevole: le sue foto stanno facendo il giro dei social, con commenti da bar e da caserma. Non mi è piaciuto il fatto che siano state pubblicate le immagini degli insulti tracciate sui muri del liceo. Del quale secondo me nemmeno si doveva pubblicare il nome. Una gogna ingiustificabile. Anzi: incomprensibile».

E del ragazzo che idea si è fatto?

«Non voglio giudicare e non lo faccio, ma l'audio chi lo ha tirato fuori? Ora mi ronzano in testa quelle parole della mia prof d'inglese: ora dirai a tutti del baby doll vero? No, non lo feci, mi fermai un attimo prima. Ci fermammo assieme un attimo prima. Quello che dovrebbe fare la stampa in questa brutta storia».

Raffaella Troili per “il Messaggero” il 31 marzo 2022.  

«Non c'è stato sesso sono solo invenzioni, bugie». La preside del liceo classico Eugenio Montale Sabrina Quaresima ripete questo a chi le chiede spiegazioni. Nega di aver avuto una relazione sentimentale con un studente, nonostante le deposizioni fatte sia dal ragazzo sia da docenti. «Avrà voluto farsi bello, era come un cavalier servente. E avrà voluto raccontare cose che non c'erano».

La dirigente, che ieri ha passato tutto il pomeriggio dall'avvocato, in vista della giornata di oggi - è attesa la visita dell'ispettrice dell'Ufficio scolastico regionale e lei è obbligata a dare spiegazioni - ha raccontato a chi l'ha contattata che «con il ragazzo - maggiorenne - si era creato un buon rapporto, durante l'occupazione mi ha accompagnata in commissariato a presentare la denuncia contro i compagni che occupavano, mi supportava quando cercavo di impedire l'occupazione. In quel frangente c'erano anche dei genitori». 

Insomma, nonostante le denunce, le voci insistenti, le chiacchiere, i muri della scuola piena di scritte, la dirigente parla di un rapporto amichevole, di confidenze «mi ha detto che da grande vuole fare il deputato europeo...».

Ma nega che ci sia stato altro, che la complicità sia sfociata in un rapporto sessuale come ha raccontato il ragazzo dell'ultimo anno («sotto dei palazzi a Roma est, mentre il marito la chiamava al cell...»). Nelle chat che lei ha cancellato e lui no, ci sarebbero complimenti e frasi ardite da parte del ragazzo, confidenze via via crescenti anche della preside («come vuoi che mi vesto domani?», «che vedi alla tv?», «se ti do un indirizzo mi raggiungi lì?»). Il tutto in un liceo già carico di tensioni dove la preside - che nei giorni scorsi ha allontanato il suo vice Luigi Botticelli dopo una lite animata ed è arrivata quest' anno - dice di aver avuto tutti contro dall'inizio, e tra le righe spiega così il tranello in cui è caduta. 

«Non c'è mai stato nulla, spero di poter chiarire tutto, c'è anche chi mi sostiene» ha ripetuto ai vertici scolastici in via ufficiosa. «Non sono stata vista di buon occhio dal primo giorno», le sue disposizioni rigide sul dress code delle alunne, la sua battaglia contro l'occupazione, le rigide regole anti covid, una serie di mosse che l'hanno resa invisa ai ragazzi. Studenti che in realtà pensano tutt' altro e si aspettano venga fatta luce. A.S., spiega che «non può parlare, non ho nulla da dire e nemmeno i miei genitori vogliono».

L'ora del silenzio, dopo le denunce fatte all'ex vice preside e alla sua prof di italiano. «La cosa mi è sfuggita di mano», ha detto il giovane, «ho chiesto aiuto a loro». I due hanno denunciato la vicenda all'Ufficio scolastico provinciale, è scattata l'indagine. Ora l'ispettrice dovrà appurare se la preside ha davvero avuto un rapporto con il ragazzo e in tal caso rischia il licenziamento visto che era in prova (insegnava al Convitto nazionale), oppure se lo studente ha inventato tutto può esser denunciato per calunnia e diffamazione.

IL COLLETTIVO L'ispettrice farà una relazione dettagliata, ascoltando più persone poi si deciderà se archiviare o avviare un procedimento disciplinare. Su Instagram il Collettivo Montale rimarca quanto riportato sui giornali e accaduto a dicembre durante l'occupazione. «A quanto sembra, lo studente avrebbe insistito per porre fine al rapporto trovandosi di fronte all'insistenza della dirigente. Queste voci hanno creato un clima di tensione che è sfociato nella denuncia da parte di alcuni docenti all'Ufficio Scolastico Regionale» e ancora «da inizio anno i rapporti con la dirigente non sono stati dei migliori, se le indagini confermassero tali voci chiediamo le sue dimissioni».

Raffaella Troili per “il Messaggero” l'1 aprile 2022.

La preside e lo studente. Gli unici a fuggire i riflettori, gli unici che sanno mentre tutti gli altri raccontano sentito dire, mozzichi e bocconi. Una relazione voluta da entrambi, compiacimento reciproco, per ragioni diverse. Lei - funzionario dello Stato soggetta a una deontologia ferrea e per giunta in prova - nel tritacarne, ieri convocata al Miur per dare la sua versione all'ispettore dell'Ufficio scolastico regionale in merito alla presunta storia con un ragazzo, maggiorenne, dell'ultimo anno. 

E A.S. giovane di belle speranze, eccellente pagella, «ha vinto anche il certamen» che ha smesso di parlare, dopo aver però confidato ad amici e docenti del legame diventato con la preside, Sabrina Quaresima e che ora dice «io non ho fornito chat a nessuno, trattasi di velina». Il garante per la Privacy ha disposto il blocco d'urgenza della diffusione delle chat, «nulla aggiungono». E in molti nonostante le chiacchiere fossero all'ordine del giorno, si chiedono che razza di amici possano aver reso di dominio pubblico la vicenda, gli screenshot, le confidenze, gli audio. I ragazzi amplificano, tutti dicono di sapere, nessuno ha niente in mano. 

Di sicuro tra la liaison tra i due e lo scandalo mediatico, sfugge ancora un tassello ma tutti gli interessati, assicurano che lo diranno solo in sede ufficiale. «Lui era oppresso da lei, lo provocava», dice una studentessa, «la preside non l'ha mai sopportata nessuno per il suo regime dittatoriale» ripetono altri. Di certo, una tessera del puzzle, il jolly, ancora non è stato tirato fuori. E se dalle relazioni e le testimonianze non emergerà potrebbe alla fine, restare solo un polverone. Anche se tutti dicono: «Girava, si sapeva che prima poi sarebbe uscita, un amico ha spifferato tutto». Aurora, Alessia, commentano: «Se è vero deve pagare, assurdo che una donna più grande di mia madre vada con uno studente della mia età». 

E Flaminia: «Se è vero è grave, se non è vero è grave che l'abbiamo voluta diffamare. Ma non la tratterei come una questione di genere. Quanto a lui, ha una media eccellente, non aveva bisogno di notorietà».

LE DIVISIONI Gli studenti cominciano a dividersi tra chi proprio non ne vuole sapere «sono maggiorenni, fatti loro», chi grida allo scandalo «devi tenere un rapporto distaccato, sei un'istituzione, devi essere d’esempio» e chi come Federico, 18 anni, parla «di accanimento nei confronti del dirigente scolastico, forse lei si era pure innamorata mentre lui credo si sia all'inizio compiaciuto della donna più grande, poi la cosa è degenerata». Una parte la difende e mette in dubbio addirittura le chat. «Io li ho visti i messaggi» dice Luca e non erano di quel tenore, tipo come mi devo vestire e «lui si è pentito che sia uscita questa storia». 

Qualcuno mette in dubbio la veridicità. «Sono screenshot, li puoi legare a qualsiasi chat non hanno valore per la Postale», aggiunge un altro fan della preside. I ragazzi raccontano che «i più indignati alla fine sono i prof».

Arriva una mamma e non le manda a dire: «Macron si è sposato la sua prof conosciuta a 15 anni, ci sono problemi più gravi qui davanti come lo spaccio. Lui è pure maggiorenne, lei si è difesa male noi donne sbagliamo, io solidarizzo per lei, il ruolo dei docenti è cambiato, sono più cordiali e aperti, più esposti alle chiacchiere. Un peccato la pubblicità negativa per la scuola e il quartiere, questa storia doveva rimanere dentro queste mura». Oggi rientra in servizio il vice preside rimosso dalla preside e con cui si è confidato A.S. «Voglio bene alla dirigente e la stimo. Lei non stima me. E sono in attesa di raccontare quel che so...».

Valentina Lupia per “la Repubblica - Edizione Roma” l'1 aprile 2022.

L'ispettrice dell'Ufficio scolastico regionale ha ascoltato la preside del liceo Montale, Sabrina Quaresima, accusata di aver avuto una storia sentimentale con suo studente maggiorenne. Oggi gli accertamenti proseguiranno e il fascicolo sarà arricchito con le testimonianze del giovane, dei vicepresidi e di altre persone potenzialmente informate sui fatti. Se chi è in possesso di prove determinanti - le chat che il maturando non ha cancellato, l'audio del loro ultimo incontro - le consegnerà all'Usr, l'ispezione potrebbe chiudersi nel giro di poco tempo. 

L'aria è tesa, nell'istituto di via Bravetta. Lo studente, riporta un suo compagno, si dice « pentito » che la storia sia uscita. Alcuni compagni difendono la dirigente: « Sono adulti, qual è il problema?». E a ribattere sono gli attivisti e le attiviste del Collettivo del Montale: ieri hanno affidato a Instagram un lungo sfogo per spiegare che il problema non starebbe nell'atto sessuale tra due maggiorenni, bensì tra due figure ben distinte. Un problema di ruoli, insomma.

Quando la notizia è esplosa è stato come « gettare benzina sulla fiamma già divampata all'interno dell'istituto » , dove le « voci avevano cominciato a circolare tramite passaparola » , creando « a scuola un clima di tensione » . Le voci, sempre più insistenti, hanno girato in «tutto il quartiere». 

E sono sfociate appunto in una segnalazione all'Usr. Quindi, scrivono ancora gli studenti del Collettivo, «se le indagini intraprese confermassero tali voci, chiederemmo le dimissioni della dirigente». 

Per loro «è inammissibile un comportamento del genere da parte di una figura istituzionale che dovrebbe essere un esempio per gli studenti e dovrebbe rendere la comunità scolastica un luogo di crescita e apprendimento e un ambiente sicuro per gli studenti e le loro famiglie » . Una delle critiche che i liceali muovono alla dirigente è di non aver smentito categoricamente la relazione davanti alla comunità scolastica. La preside, proseguono, « non dovrebbe permettere che "pettegolezzi" del genere prendano piede nel suo istituto e in caso di calunnia dovrebbe dare spiegazioni alla comunità scolastica».

Invece la notizia della presunta relazione è uscita fuori: a chi ha raccolto la sua testimonianza il giovane ha raccontato che è durata un mese, cominciata con uno scambio di email nel periodo dell'occupazione del liceo ( avvenuta a dicembre dello scorso anno) e proseguita con messaggi su WhatsApp, fino a vedersi in zona Roma est per consumare un rapporto sessuale. 

Poi, ancora secondo la narrazione del giovane, i due hanno rotto per sua iniziativa: fallito il tentativo di archiviare tutto con un messaggio i due si sono incontrati per chiarire e dirsi addio durante il quale il giovane ha cercato di limitare la frequentazione alla sfera istituzionale, stando almeno a quanto ha detto lo studente in una registrazione che ha potuto ascoltare Repubblica. Registrazione fondamentale ai fini dell'accertamento in corso. 

Se il giovane la consegnerà all'ispettrice e lei la riterrà sufficiente per confermare l'esistenza di una relazione, allora i giochi potrebbero chiudersi presto. E gli studenti del Collettivo, che con la dirigente hanno avuto un rapporto travagliato fin dall'inizio a causa della stretta sul dress-code, potrebbero essere accontentati. La preside, infatti, rischia il licenziamento.

Da open.online l'1 aprile 2022.

La preside del liceo Montale di Roma, accusata di aver avuto una relazione con un suo alunno maggiorenne (sui giornali sono stati pubblicati dettagli di ogni tipo, chat comprese), «è sconvolta», chiede «rispetto» e che «questa vicenda abbia fine»: 

«Sta vivendo un momento di profondo sconvolgimento personale, un trattamento che nemmeno i mafiosi hanno ricevuto da parte della stampa. Non ci sarà un modo per risarcire un danno di questo tipo. Finora ha ricevuto solo attacchi ingiustificati». 

A parlare a Open è Alessandro Tomassetti, avvocato della professoressa. La preside, nonostante tutto, anche oggi 1 aprile è regolarmente al lavoro. Quello che insospettisce il legale è il fatto che di Sabrina Quaresima, si sappia praticamente tutto, foto comprese. Del ragazzo, che ha 19 anni e che dunque non è minorenne, no. «Come mai? Chi trae vantaggio da questa vicenda?

Le cose non accadono mai per caso. Questo è sconvolgente. Dietro c’è sempre un motivo. Forse è risultata scomoda a qualcuno? Forse qualcuno gliel’ha fatta pagare?», si domanda. E cita un episodio: l’occupazione della scuola nel mese di dicembre. «Lei denunciò la commissione di reati all’autorità pubblica. Già in quel momento aveva assunto una posizione di tutela vera dell’istituzione, di correttezza del lavoro. Si è esposta e questo non l’ha resa popolare». 

Sabrina Quaresima, che prima aveva lavorato in un’altra scuola, viene definita da alcuni ex allievi, in una lettera inviata a Open, come una «donna di estremo valore ma anche una persona scomoda». «La vita della mia assistita è stata sconvolta e stupisce il modo in cui oggi viene rappresentata dai nostri media. Una visione della donna becera, inaccettabile. Ognuno di noi potrebbe essere messo in questa gogna. Di fatto si sta sfruttando la pelle delle persone facendo crescere un interesse morboso intorno alla vicenda e centellinando pure le informazioni». Ma cosa rischia la preside? Qualora avesse davvero avuto una relazione con l’alunno (circostanze che lei smentisce), non avrebbe commesso alcun reato.

Le conseguenze sarebbero semmai sul piano disciplinare, dunque professionale. Ma sarà l’ufficio scolastico regionale, che sta già valutando il caso, a decidere se e cosa fare, la peggiore delle ipotesi sarebbe il licenziamento. «In alcuni Paesi le donne si lapidano con le pietre, nel 2022 in Italia si lapidano a parole sui giornali. Pubblicare nome, cognome, professione, foto e audio, in assenza di reato e ancora prima di qualsiasi ricerca della verità, non è diritto di cronaca ma negazione totale alla privacy e negazione dei diritti fondamentali». Quaresima, conclude il legale, sarebbe stato oggetto «di una caccia alle streghe come forse nel più buio Medioevo poteva accadere».

Da open.online l'1 aprile 2022.

«Il livello di abbruttimento di questo Paese è tale che basta una semplice accusa perché mandrie belluine di analfabeti si scatenino contro di lei, rivolendole insulti e provocazioni oscene. La prof Quaresima è una donna di estremo valore ma anche una persona scomoda e implacabile nei confronti di chi ogni giorno umilia la scuola pubblica». 

A scriverlo, a Open, sono un gruppo di ex alunni (19 in tutto) del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II che hanno avuto modo di stare a contatto e di conoscere Sabrina Quaresima, la preside del liceo Montale di Roma, accusata di aver avuto una relazione con un suo alunno maggiorenne (e di cui sono stati pubblicati dettagli di ogni tipo, chat comprese). «La professoressa Quaresima è una gemma di raro splendore che la scuola italiana dovrebbe valorizzare e proteggere», raccontano. E, invece, è bastata una notizia di questa portata per «distruggere una persona»: «Ogni giorno trascorreva con noi circa sei ore di tempo, sia assistendo alle lezioni sia accompagnandoci a mensa sia aiutandoci nello studio pomeridiano», aggiungono. 

Cosa c’è scritto nella lettera

La descrivono come una persona attenta, che ha sempre «anteposto l’interesse di noi ragazzi ad ogni altro impegno personale, non lesinando mai l’aiuto che le richiedevamo». Aveva anche «attivato un laboratorio pomeridiano di filosofia in cui, su base volontaria e gratuita, si potevano approfondire svariati temi con il suo supporto dialettico». Tra l’altro, si era prodigata «per farci ottenere i biglietti di vari spettacoli teatrali (almeno due al mese) ai quali ci accompagnava». 

La prof, dunque, ha lavorato «instancabilmente per renderci cittadini più liberi e consapevoli, interpretando alla perfezione il ruolo pedagogico che la scuola pubblica dovrebbe avere». Per poter partecipare al concorso – che poi l’ha portata a diventare preside al Montale di Roma – ha «dovuto lasciare il posto da educatrice e presentarsi come insegnante di scuola primaria, senza alcuna certezza di essere effettivamente selezionata». Questa scelta «l’ha costretta a rinunciare sia alla comodità di un istituto come il Convitto sia a trascorrere l’ultimo anno di liceo con la nostra classe. Ricordiamo tutti il dolore che l’impossibilità di accompagnarci al termine del quinquennio le ha arrecato». 

In merito alle accuse rivolte alla prof, il giudizio dei suoi ex alunni è netto. Parlano di vicende che, «prima di essere messe in pubblica piazza, dovrebbero essere appurate». Parlano, poi, di «una donna sincera, volitiva, integerrima, giusta. È professionale nel suo lavoro e mette sempre in chiaro che i ruoli vadano rispettati: ha criticato più volte alcuni nostri docenti per un atteggiamento troppo amichevole o poco severo nei nostri confronti». 

Nel corso di quattro anni, è stata l’ultima persona che «si potesse accusare di avere preferenze o rapporti personali equivoci con gli studenti». Le sue capacità e il suo impegno «erano, e sono tuttora, causa di profonda invidia da parte di colleghi meno volenterosi di lei».

Da corriere.it l'1 aprile 2022.

(…) Il suo avvocato Alessandro Tomassetti tenta di arginare una narrazione parziale e, sostiene, squilibrata dei fatti. La donna avrebbe avuto una relazione con un suo studente? Ebbene dice l’avvocato, si è data in pasto ai media la sua cliente prima ancora di accertare come stessero le cose: «Pubblicare nome, cognome, professione, foto e audio in assenza di reato e ancor prima di qualsiasi ricerca della verità non è diritto di cronaca ma negazione totale alla privacy e negazione dei diritti fondamentali per un essere umano donna» risponde Tomassetti. In parallelo si è omesso di pubblicare il nome del ragazzo (un maggiorenne) quasi lei e lui non fossero portatori di analogo diritto alla riservatezza.

Estratto dell'articolo di Lorenzo d'Albergo per “la Repubblica” il 5 aprile 2022.  (...)

Qui, al Montale, c'è un mix di provenienze e ambizioni. L'ex liceo di Damiano dei Måneskin è la casa dei ragazzi di Casetta Mattei e Monteverde, Cornelia e Battistini. E, ancora, Torrevecchia, Casal Lumbroso, Ponte Galeria e Portuense. C'è una sezione considerata d'élite, la A del liceo classico, e centinaia di giovani da far diplomare in quelle del linguistico e del sociopsicopedagogico. Insomma, chi arriva al Montale deve calarsi in fretta nella sua galassia. 

Specie se viene a prendere il posto di Raffaella Massacesi, preside appena andata in pensione e, così pare, piuttosto rimpianta dai docenti. «Al suo posto - ricorda una mamma in attesa della figlia - ci doveva essere Ottavio Fattorini » . Un giovane prof. I genitori dicono fosse «davvero brillante». La vita, però, lo ha portato lontano dai banchi, al ministero. La presidenza allora è di Quaresima. La partenza non è indimenticabile. È del 10 settembre la circolare ( mai digerita dagli studenti) che impone di evitare « un abbigliamento poco consono e scarsamente decoroso».

L'impatto, va da sé, è ostico. Come in tutti gli istituti, poi ci sono giochi di potere e lotte intestine già in atto già da anni. C'è chi attende la nuova dirigente per uscire dall'angolo. E chi, invece, la guarda subito in cagnesco. In ballo ci sono le cattedre delle sezioni migliori, progetti e piccoli finanziamenti. Gelosie e invidie professionali che, ritiene chi si schiera con la dirigente, sarebbero costate a Quaresima uno scandalo a orologeria. I mandanti? Non si fanno nomi. 

Contano i fatti. A raccogliere la testimonianza del 18enne che avrebbe avuto una storia con la dirigente, sono stati i vicepresidi, un team sostenuto da chi fa squadra con il vecchio establishment del Montale. Uno, Luigi Botticelli, è stato sospeso dalla carica. Il video in cui la dirigente lo riprende per la moto parcheggiata fuori posto è il sunto di un rapporto mai decollato. Lettere di richiamo, ricorsi, sospetti incrociati. Colpi di scena di un filmaccio, di quelli da cambiare canale. O scuola. Perché questo colpo sarà difficile da dimenticare. Pure per la generazione Instagram, abituata a metabolizzare di tutto in 15 secondi. Il ritmo delle stories al Montale non tiene.

Valentina Lupia per “la Repubblica” il 5 aprile 2022.

I tempi, le dichiarazioni dei protagonisti e le loro versioni. Il rebus del liceo Montale è complesso. Complicato dalle tensioni che si respirano a Bravetta e che l'ispettrice inviata dall'Ufficio scolastico regionale non potrà ignorare. Prima, però, dovrà riannodare i fili di una storia che da giorni provoca imbarazzi e polemiche. 

I vicepresidi e altri docenti considerati informati sui fatti devono ancora essere ascoltati: riporteranno le parole del diciottenne che a loro ha detto di aver avuto una relazione sentimentale con la preside. In due colloqui, uno addirittura alla presenza dei genitori.

Svelando anche i dettagli: luoghi dove i due si sarebbero visti, messaggi, fino a rivelare l'esistenza di un audio dell'ultimo incontro tra i due. Un audio che Repubblica ha potuto ascoltare e che conferma la tesi del ragazzo. Ma varrà come prova solo se lui, o chiunque ne sia in possesso all'interno dell'istituto, deciderà di consegnarlo all'Ufficio scolastico regionale. La Quaresima, al suo primo anno di prova da dirigente, è stata già ascoltata. « Un colloquio durato dieci ore e mezza», ha dichiarato. Secondo i colleghi più rodati, che preferiscono rimanere anonimi, un incontro così lungo sarebbe indice di un altro tipo di accertamento, una sorta di indagine parallela: quella sull'incompatibilità ambientale. In sintesi, se anche nelle mani dell'ispettrice non finissero prove sostanziali della relazione tra i due, chi è a capo dell'accertamento potrebbe comunque suggerire al direttore dell'Usr il trasferimento.

A pesare, infatti, non è tanto il rapporto ormai compromesso coi vicepresidi, quanto quello con gli studenti che nelle scorse settimane avevano anche fatto scritte sui muri della scuola " dedicate" alla preside, come «La laurea in pedagogia l'hai presa troppo seriamente». « Se la relazione verrà confermata, chiederemo le dimissioni della dirigente», dicono gli studenti del Collettivo Montale, che due giorni fa con una nota hanno dichiarato di «rifiutare la concezione maschilista che giudica le donne per la loro vita sessuale » , ribadendo però che la questione è relativa, piuttosto, al fatto che la storia vedrebbe coinvolti proprio la preside e un suo studente. Questione di «inadeguatezza », dicono. La preside continua a negare. « Non c'è stata nessuna storia. Ma se tornassi indietro sarei più cauta », ha aggiunto. A Repubblica aveva anche confessato di essere al corrente delle voci che « uno studente maggiorenne» aveva messo in giro. « Ma non ho denunciato perché era solo un pettegolezzo». Una versione al vaglio degli ispettori. Un altro nodo da sciogliere. 

Sabrina Quaresima, sesso al liceo. L'audio tra la preside e lo studente: "Quella cosa del toy boy...". Libero Quotidiano il 31 marzo 2022.

Continua a tenere banco il caso della preside del liceo Montale di Roma e dello studente maggiorenne con cui avrebbe intrattenuto una relazione per circa un mese. Nel fascicolo dell’ispezione condotta dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio è stato inserito un audio riguardante il presunto ultimo incontro tra Sabrina Quaresima e il ragazzo 18enne: Repubblica ha avuto modo di ascoltarlo e di riportarne i passaggi salienti.

In un primo momento si sente lo studente chiedere di riportare il “nostro rapporto” su un “piano istituzionale”, con la donna che cerca spiegazioni per un allontanamento che ritiene “improvviso”. Il ragazzo spiega di aver conosciuto una ragazza, o meglio di averla reincontrata, e quindi di voler troncare il rapporto con la sua preside. “Ecco, immaginavo che sotto poteva esserci una cosa come questa… ma l’hai conosciuta prima?”, chiede la donna, riferendosi probabilmente all’atto sessuale consumato all’interno di una macchina.

“Ho pensato che stare con lei e vedere te non sarebbe stato rispettoso - risponde il ragazzo - sia nei tuoi che suoi confronti. Così ho preferito tagliare, pensando che comunque la cosa non sarebbe potuta andare avanti. Lei mi piace molto. E tu poi mi hai fatto anche quel discorso del ‘toy boy’, mi hai detto che non avresti voluto averne uno accanto. Ecco, preferisco evitare situazioni spiacevoli”. “Ma io la cosa del ‘toy boy’ l’ho buttata lì così - ribatte la preside - capisco che poteva trarre in inganno… Lo ammetto, è stato un mio errore dirlo. E comunque immaginavo che ci fosse qualcosa sotto come una ragazza”. Poi la conversazione finisce, con il ragazzo che scende dalla macchina e chiude lo sportello.

Valentina Lupia per roma.repubblica.it il 31 marzo 2022.

Esiste un audio dell'ultimo incontro tra la preside del liceo Montale, Sabrina Quaresima, e lo studente maggiorenne che ha raccontato di aver avuto una relazione con lei, durata all'incirca un mese. 

Oggi entrerà ufficialmente nel fascicolo dell'ispezione che l'Ufficio scolastico regionale del Lazio sta portando avanti da lunedì per verificare la condotta della dirigente e stabilire come sono andati davvero i fatti. Repubblica ha avuto modo di ascoltarlo. E ne riporta i passaggi più salienti. 

"Penso sia meglio riportare il nostro rapporto su un piano istituzionale, com'è giusto che sia tra uno studente e una preside, ma rimango disponibile per il bene la scuola", dice la voce maschile, attribuita al 18enne prossimo alla maturità. 

È il momento dell'addio tra i due, in cui il giovane ribadisce alla donna la sua volontà, già espressa giorni prima tramite messaggio: "Sabrina, credo sia meglio non vederci più, non sono pronto a darti quello che vuoi, ho già deciso e non torno indietro". Ma non era riuscito a convincerla ad archiviare, tanto che lei ha insistito per vedersi e chiarire i motivi dell'allontanamento. Secondo la donna avvenuto "all'improvviso". 

"Non ti stavo evitando, eccomi qui per parlare", la conforta lui, dall'interno dell'abitacolo di un'automobile. "Sono risentita del messaggio che mi hai scritto per dire basta, penso sia normale", ribatte la voce femminile, che il giovane ha attribuito alla dirigente scolastica. 

È ancora lei a parlare: "Ma tu sai quello che volevo? Io sono una persona che si emoziona facilmente, per questo i miei messaggi sono sembrati così pieni di enfasi. Però ci tengo a parlarne faccia a faccia, perché mi pare strano che prima ci sia stata tutta questa presa e in un giorno sia cambiato tutto", si sente nell'audio. 

"Ci ho pensato su attentamente", prosegue il ragazzo. Vuole andare dritto al punto e, secco, le annuncia: "Ho conosciuto una ragazza".

"Ecco, immaginavo che sotto poteva esserci una cosa come questa... ma l'hai conosciuta prima?", domanda la donna. Prima di cosa non è specificato. Ma non è difficile immaginare che potrebbe riferirsi all'atto sessuale che i due avrebbero avuto, secondo il racconto del giovane, in una strada tra i palazzi di Roma est, all'interno di una macchina. 

"La conosco da un po', diciamo che l'ho rincontrata. Non te l'ho detto prima perché non volevo essere indelicato". 

Però, poi, prosegue, "ho pensato che stare con lei e vedere te non sarebbe stato rispettoso. Sia nei tuoi che suoi confronti. Così ho preferito tagliare, pensando che comunque la cosa non sarebbe potuta andare avanti. Lei mi piace molto. E tu poi mi hai fatto anche quel discorso del 'toy boy', mi hai detto che non avresti voluto averne uno accanto. Ecco, preferisco evitare situazioni spiacevoli, ho percepito cose... non che tu fossi proprio innamorata di me... ma che fossi già avanti sentimentalmente". 

E lei ribatte: "Ma io la cosa del 'toy boy' l'ho buttata lì così, capisco che poteva trarre in inganno... Lo ammetto, è stato un mio errore dirlo. E comunque immaginavo che ci fosse qualcosa sotto come una ragazza, mi rendo perfettamente conto". 

A questo punto la conversazione, iniziata con l'intenzione di lei di vederci più chiaro sulla 'separazione' - "prima ci sentivamo anche di sera, parlavamo pure di storia e filosofia, poi il nulla" - sta per finire. Così come l'audio, di pochi minuti in totale, ma piuttosto eloquenti. Il ragazzo fa per scendere dall'automobile, questa volta parcheggiata nel quartiere di Bravetta, dove si trova il liceo. 

"E dimmi... come va con lei? È una storia che è già avviata?", chiede ancora lei. "Sìsì", dice lui, senza fornire altri dettagli. Infine ribadisce: "Mi puoi far chiamare in classe quando vuoi, purché però sia chiaro questo: il nostro rapporto deve essere solo di tipo istituzionale, ma istituzionale davvero, come quello tra docente e studente". Poi si il rumore della portiera che si chiude.

Oggi l'ispettrice incaricata dall'Ufficio scolastico regionale del Lazio piomberà a scuola per ascoltare tutti: la preside, con la quale è entrata in contatto nei giorni scorsi, a seguire i vicepresidi che avevano raccolto le deposizioni dello studente. 

E infine dovrà incontrare lui, il 18enne: il suo apporto sarà fondamentale per accertare quando davvero è accaduto. Da un lato, la preside rimanda al mittente ogni accusa: "Si tratta solo di pettegolezzi messi in giro da persone che non mi vogliono qui nell'anno di prova come dirigente". Dall'altro, però, il giovane ha ammesso di avere messaggi e audio che andrebbero in un’altra direzione.

L’atmosfera a scuola è tesa e tutti si aspettano che lui sia collaborativo, confermando le parole più volte deposte. Poi la palla passerà all’Ufficio scolastico regionale.

Da open.online l'8 aprile 2022.

«All’inizio, quando alcuni docenti mi hanno riferito delle voci, mi sembrava un incubo, sembrava quasi che si parlasse di qualcuno che non ero io. Mi dicevo “magari è solo una voce che si spegne così come è venuta fuori». A parlare, a Porta a porta, è la preside del Montale di Roma, Sabrina Quaresima, accusata di aver avuto una relazione con un alunno di 19 anni. 

Circostanza che lei ha sempre smentito (e che, comunque, non costituisce reato): «Non c’è mai stata alcuna relazione». Quaresima – che disconosce quelle chat pubblicate sui giornali – ha conosciuto il ragazzo durante l’occupazione del liceo, alla fine dello scorso anno, quando l’ha aiutata in un momento in cui «si sentiva molto sola». Forse il fatto di aver aiutato la dirigente a individuare i nomi delle persone che occupavano l’istituto scolastico potrebbe avergli fatto inimicare i compagni. Quando sono cominciate a comparire delle scritte sui muri – ha proseguito Quaresima – «allora ho capito che qualcuno ce l’aveva con me». Anche se mai avrebbe immaginato che un pettegolezzo di questo tipo sarebbe poi finito sui giornali: lo aveva derubricato a «un’invenzione di un ragazzo che voleva darsi delle arie». 

I genitori del ragazzo

In tutto questo i genitori del ragazzo non avrebbero mai avuto un colloquio con lei. Mai un confronto. «Se fossero stati indignati, mi avrebbero contatto e questo non è successo», ha spiegato lei. C’è, però, un particolare: i genitori sarebbero già andati a scuola a parlare dell’accaduto nel periodo in cui la preside era a casa per Covid. «Ho ragione di credere che siano stati convocati», dice. Ma in sua assenza. Come mai? Qualcuno voleva fargliela pagare? È quello che fa ipotizzare anche il suo legale, intervistato da Open.

E qui Quaresima, intervistata da Bruno Vespa a “Porta a porta”, introduce uno degli argomenti più spinosi della vicenda: i rapporti con i suoi collaboratori, tra cui l’ex vicepreside che ha poi sollevato dall’incarico. «Ha avuto un modo poco rispettoso di rivolgersi alla mia persona. Io sono stata considerata un’intrusa, una persona che voleva toglier loro dei privilegi. Ora qualcuno degli insegnanti non mi saluta più, ma sono una minoranza». E il ragazzo? «L’ho incontrato due volte, sporadicamente, “buongiorno, buongiorno”. All’inizio avevo tentato anche di contattarlo per capire cosa stesse accadendo ma non ho ricevuto risposta». 

Il colloquio di 10 ore e mezza con l’ispettrice

Quaresima – che al Montale forse non era amatissima dopo aver «suggerito un abbigliamento consono all’ambiente scolastico», fatto che è stato «frainteso» dai ragazzi – ha detto di avere il numero di tutti i rappresentanti d’istituto, tra cui quello del ragazzo di 19 anni che, però, era in surroga (infatti successivamente non è stato eletto). I due hanno avuto interazioni solo «su faccende scolastiche, nulla di privato». A sostenerla, intanto, in tutte queste settimane, è stato il marito «eccezionale» che non le ha mai chiesto di «questa fantomatica relazione», ha subito capito che «si trovava in un ambiente ostile». Anche perché Quaresima, per spiegare le sue ragioni, è stata sentita da un’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per ben 10 e ore e mezza. «Un interrogatorio che mi ha provato molto, dalle 8.20 del mattino alle 19.30 della sera, con una piccola pausa». All’ufficio scolastico – ha scoperto la dirigente – era arrivato un esposto. Da parte di chi? Nessuno lo sa, nemmeno la preside che, intanto, ha registrato la solidarietà dei suoi ex allievi (che hanno mandato una lettera proprio a Open) e della sorella che ha aperto per lei una pagina di sostegno su Facebook. Insomma, Quaresima è stata vittima di «una gogna mediatica», frutto forse di una «strumentalizzazione». I risultati dell’ispezione ancora, però, non si conoscono.

Valentina Santarpia per corriere.it il 20 aprile 2022.

Si chiude con un non luogo a procedere l’ispezione ministeriale a carico della preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 49 anni, sospettata di aver avuto una relazione con uno studente di 19 anni. 

L’approfondimento dell’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale, che nei giorni scorsi ha sentito tutti i protagonisti della vicenda, si conclude con la scelta di non sottoporre la dirigente ad alcun procedimento disciplinare: non sono stati ravvisati elementi- è in grado di anticipare il Corriere- che possano configurare la sua condotta come una violazione del codice disciplinare.

Massimo riserbo dell’ufficio scolastico sulle relazioni elaborate dopo i colloqui con i diversi protagonisti della spinosa questione, a partire da quello con l’ex vicepreside, Luigi Botticelli, con cui la preside aveva un rapporto conflittuale. La stessa preside aveva avuto un colloquio di oltre dieci ore per chiarire la vicenda che l’aveva coinvolta. La conclusione però è chiara e la libera da qualsiasi coinvolgimento: non sarà sottoposta ad alcuna sanzione né provvedimento disciplinare, il suo comportamento non è stato ritenuto scorretto.

La presunta relazione era diventata un caso mediatico, dopo la pubblicazione dei contenuti ipotetici di chat tra la preside e lo studente, e la sovraesposizione della dirigente, finita in una gogna di accuse e commenti. 

La dirigente ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento e spiegato che con lo studente c’era stato solo un rapporto di amicizia e collaborazione: qui l’intervista in esclusiva al Corriere.

Preside assolta, trama da fiction finita nel nulla. Valeria Braghieri il 21 Aprile 2022 su Il Giornale. Passata la Pasqua, si è chiusa la storia della Quaresima.  

Passata la Pasqua, si è chiusa la storia della Quaresima. Il presunto scandalo della preside romana, impropriamente impegnata in una relazione con uno studente dell'ultimo anno del suo istituto (il liceo Montale), si conclude con un nulla di fatto dal punto di vista disciplinare e con una ghiotta fantasia abortita quasi sul nascere. Gli ispettori dell'Ufficio Scolastico hanno infatti stabilito che non ci sia stata alcuna violazione del codice. La fiction era già partita, però. La pubblicazione delle chat tra i due e anche quelle degli studenti che insinuavano, accusavano, si «dissociavano», i racconti del diciannovenne o degli amici che lasciavano intendere, i genitori del ragazzo, comprensibilmente preoccupati, che chiedevano un incontro al vicepreside per cercare chiarimenti sull'inaccettabile situazione. Era saltato fuori perfino l'«emulatore» che sosteneva anche lui di aver avuto una relazione di circa un mese con la preside, poco prima dell'esplosione dello «scandalo». Vero niente, evidentemente. Ma troppo pruriginoso per non crederci.

Lei incastonata in quell'età perfetta tra «l'esperta» e «l'appetibile», il suo geometrico, aggressivo taglio a caschetto nero-tenebra, il suo rossetto audace, le ciglia finte, gli orecchini pendenti e l'ospitata a Porta a Porta. Preside, per di più. E lui, maturando dell'ultimo anno, rappresentante di istituto in surroga, con il polso dei movimenti studenteschi a esercitarlo a uomo, le giornate gonfie di futuro e il cielo romano, che è sempre un bel complice. Chissà cos'è scattato dove e quando e come. Fatto sta che la fiction è iniziata, e forse sarebbe proseguita con tanto di sceneggiatura e interpreti scelti ad hoc su qualche schermo Rai, se la realtà non avesse mortificato la fantasia. Non c'è stato nulla tra la preside Sabrina Quaresima e il suo studente, il «suo»... uno dei tanti. Ci sarebbero stati tutti gli elementi, ma non c'era la storia. Se fosse accaduto tra un preside maschio e una studentessa femmina, il fastidio avrebbe prevalso sul tifo. Dal romanzo rosa ci si sarebbe spostati alla cronaca nera, perché il Me too, i femminicidi, le molestie hanno giustamente saturato la tolleranza, figuriamoci l'ironia. Ma qui no. Si capiva perfettamente che era la storia perfetta per indignarsi senza sconcertarsi, per volerne sapere di più senza esserne disturbati, per tifare per il seguito pur prendendone le distanze. Troppo ghiotta la vicenda della signora avvenente col ragazzino. E invece... Fine della Pasqua e fine dello scandalo Quaresima.

Valentina Santarpia per corriere.it il 21 aprile 2022.

Si chiude senza provvedimenti l'ispezione ministeriale a carico della preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 49 anni, sospettata di aver avuto una relazione con A.S., uno studente di 19 anni in procinto di sostenere l'esame di maturità. 

L'approfondimento dell'ispettrice dell'ufficio scolastico regionale del Lazio, che nei giorni scorsi ha ascoltato tutti i protagonisti della vicenda, si è concluso infatti con la scelta di non sottoporre la dirigente ad alcun procedimento o provvedimento: non sono stati ravvisati elementi che possano configurare la sua condotta come una violazione del codice disciplinare. 

Una notizia che Quaresima accoglie «con immensa gioia»: «È la fine di un'angoscia mai provata - spiega -. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli», fa sapere attraverso i suoi legali.

Massimo riserbo dell'ufficio scolastico sulle relazioni elaborate dopo i colloqui con i diversi protagonisti, a partire da quello con l'ex vicepreside, Luigi Botticelli, con cui la preside aveva un rapporto conflittuale. E che lei stessa aveva rimosso dall'incarico di fiducia. La preside aveva avuto un colloquio di oltre dieci ore con l'ispettrice per chiarire la vicenda che l'aveva coinvolta, provando ad approfondire tutti i particolari che avevano fatto circolare le voci di una relazione sentimentale tra lei e il ragazzo. La conclusione però è chiarissima e la libera da qualsiasi coinvolgimento: la preside non sarà sottoposta ad alcuna sanzione, il suo comportamento non è stato ritenuto scorretto o lesivo dell'immagine dell'istituzione scolastica che dirige. 

L'ispezione era partita, come spiega lo stesso ufficio scolastico, «a tutela di tutta la comunità scolastica e per verificare le segnalazioni alle quali la stampa nazionale ha dato ampio risalto». La notizia era infatti rimbalzata dai muri del liceo, dove erano comparse alcune scritte, alle prime pagine dei giornali. 

E a un certo punto a inquinare la scena erano apparse le presunte chat tra la dirigente e il suo studente, che avrebbero dimostrato un legame molto più stretto di quello immaginabile e consentito. Nonostante il Garante della privacy fosse intervenuto per bloccare la pubblicazione di contenuti scabrosi, e non verificati, la preside è stata sottoposta per giorni a quella che lei stessa ha definito una «gogna mediatica». «Con il ragazzo ho avuto solo un rapporto di collaborazione - ha spiegato -. Non posso rimproverarmi nulla, ma oggi sarei più cauta», ha ammesso, raccontando i giorni difficili a scuola.

Fino alla completa «assoluzione» di ieri, quando il direttore dell'ufficio scolastico, Rocco Pinneri, ha pubblicato una stringatissima nota sul sito per dichiarare le conclusioni dell'accertamento. Senza entrare appunto nel dettaglio: i colloqui sono stati riservatissimi e la linea del ministero dell'Istruzione è che rimangano tali. Ma è evidente che le indagini condotte non hanno portato in questa sede alla scoperta di «prove» che avrebbero potuto in qualche modo colpevolizzare la dirigente. 

«La giustizia ha trionfato», è scritto sulla pagina «Sosteniamo Sabrina Quaresima», realizzata dalla sorella della dirigente su Facebook. «Basta mettere il mostro in prima pagina - commenta il responsabile dell'associazione presidi del Lazio, Mario Rusconi -. Se la vicenda non ha le basi lette sui giornali, non doveva essere messa in risalto». Chiusa l'ispezione, ci saranno probabilmente strascichi giudiziari. I legali della preside hanno annunciato nei giorni scorsi denunce per chi l'ha messa in cattiva luce. Il caso ha comunque sollevato il tema dell'utilizzo delle chat di WhatsApp, uno strumento diventato di uso quotidiano anche nell'ambito scolastico. Secondo Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi, bisognerebbe non abolirle ma regolamentarle, sulla base di un codice di autodisciplina redatto dalle scuole.

Valentina Santarpia per il “Corriere della Sera” il 22 aprile 2022.  

Quando si parla dello studente con cui è stata sospettata di avere avuto una relazione, per lei è difficile parlare di perdono, perché «in fondo è tutto iniziato con queste voci», da lui «che ha voluto vantarsi con gli amici»: ma Sabrina Quaresima, 49 anni, dirigente del liceo romano Montale, appena «scagionata» dall'ispezione dell'Ufficio scolastico regionale, non crede che sia stato il 19enne a volerla danneggiare.

Lo stimava, gli voleva bene?

«Assolutamente, pensavo di aver trovato un altro studente con cui avere un rapporto di fiducia e stima reciproca. È un ragazzo intelligente, che probabilmente si è lasciato catturare da qualcuno che a livello istituzionale ha voluto sfruttare un suo momento di debolezza, ci è caduto con tutte le scarpe». 

C'è stato un complotto?

«Complotto, macchinazione, usi tutti i termini possibili: sì, assolutamente sì». 

Chi lo avrebbe architettato?

«Le ipotesi sono tante. Qualcuno si vuole vendicare?».

Parla dell'ex vicepreside? Vorrebbe chiarire con lui?

«Il nostro rapporto è chiuso e compromesso per sempre, perché il suo comportamento è stato inconcepibile fin dall'inizio nei miei confronti». 

La scuola l'appoggia, dopo il verdetto dell'ispezione?

«Io sono felice e sollevata, ma purtroppo non ho trovato il clima che mi auguravo. Sono entrata senza grandi aspettative ma ho trovato delle scritte sui muri ancora più aggressive delle precedenti. Non ci sono dubbi che si tratta di un attacco personale. Ho l'appoggio di tanti docenti e la solidarietà di professori e presidi di tutta Italia. Ma ci sono persone capaci di avvelenare un ambiente».

Si aspettava questo esito?

«Ho avuto la coscienza sempre tranquilla, ma non potevo sapere cosa gli altri potessero raccontare». 

Parla delle famigerate chat, che teoricamente potrebbero emergere in sede giudiziaria. Teme questa eventualità?

«No, sono molto serena». 

Che lezione trae dalla sua vicenda?

«Non fidarsi di nessuno, essere molto accorti, anche nell'accettare l'aiuto di qualcuno, perché non sappiamo mai cosa possa esserci dietro. Purtroppo quando si cambia ruolo, come nel mio caso, è difficile modificare subito la propria visione. Ero abituata a dare tutta me stessa agli studenti».

L'Italia si è spaccata: chi riteneva che, anche se ci fosse stato qualcosa tra di voi, non ci sarebbe stato niente di male, trattandosi di due maggiorenni, modello Macron. E chi invece lo riteneva un abuso. Come la vede lei?

«Se avessi potuto estraniarmi, avrei compreso subito che c'era qualcosa di costruito. Si è parlato di una relazione d'amore, ma non si evince nessun argomento relativo all'amore. Si parla di stalkerizzazione, di non voler lasciare andare qualcuno, e non ce n'è traccia da nessuna parte. Avrei capito subito che, quando c'è un desiderio di offrire tanti particolari, è perché si vuole rendere molto credibile qualcosa. E questo è sempre sospetto». 

Come sarà adesso a scuola?

«Quella che continuo a essere tutti i giorni. Presente, pronta all'ascolto, ma saprò mettere un freno, un piccolo spazio tra me e il resto del mondo». 

C'è stata anche una visione maschilista che ha influito?

«Sì: una docente che mi è venuta a trovare ha sottolineato la mia femminilità, dal suo punto di vista, che ha potuto contribuire a questa lettura». 

Chiederà il trasferimento?

«Per ora non ci penso. Resto la preside del Montale e quando arrivo a scuola penso solo di dover fare del mio meglio per portare avanti il mio lavoro. La rabbia è tanta. Ma devo tenerla sotto controllo».

Ora vorrebbe dimenticare?

«Troppo presto. Nessuna vendetta, ma giustizia sì». 

Quindi in tribunale farà tutto quello che è necessario, anche chiedendo risarcimenti cospicui?

«Fino all'ultimo respiro». 

La preside “assolta” dal ministero ora potrebbe rivalersi su chi ha violato la sua privacy. GIULIA MERLO su Il Domani il 22 aprile 2022

Si è conclusa l’istruttoria dell’ufficio scolastico e la preside non ha violato alcuna norma deontologica, perché non è stata dimostrata la presunta relazione con l’alunno maggiorenne. Ora potrebbe muoversi lei per ottenere un risarcimento

La dirigente scolastica del liceo Montale di Roma non subirà alcun provvedimento disciplinare: dall’istruttoria dell’ufficio scolastico regionale non è emerso alcun comportamento sconveniente da parte sua. Non c’è stata prova, infatti, della presunta relazione – dalla donna sempre negata – con un alunno maggiorenne dello stesso istituto.

La storia, dalle pagine dei quotidiani locali, ha però raggiunto velocemente una attenzione mediatica che ha messo la docente e l’intero istituto al centro delle cronache nazionali.

l’attenzione pubblica intorno alla donna si è fatta sempre più forte: di lei sono state pubblicate le generalità, mentre sono state omesse quelle del presunto amante anche se era maggiorenne.

Addirittura, su alcuni giornali sono stati pubblicati stralci di chat e trascrizioni di audio attribuiti ai due presunti amanti, che avrebbero dovuto provare l’esistenza della relazione. Lo studente, però, si è rifiutato di depositare le chat per l’istruttoria ministeriale e dunque non sono state acquisite.

Ora che l’istruttoria ministeriale si è conclusa escludendo ogni accusa a carico della dirigente, lei potrebbe decidere di rivalersi sui quotidiani che hanno indebitamente divulgato e attribuito a lei le chat.

IL RISARCIMENTO DANNI

La pubblicazione delle chat sui quotidiani e in particolare su Repubblica è stata bloccata dal Garante per la privacy il 31 marzo. In un comunicato stampa, l’autorità ha fatto sapere di aver «disposto, in via d’urgenza, il “blocco” provvisorio di ogni ulteriore diffusione, anche on line, dei contenuti dei messaggi acquisiti e presentati, come loro trascrizione, in alcuni articoli pubblicati oggi da “la Repubblica” riguardanti la relazione intima che sarebbe intercorsa tra la dirigente di un liceo romano ed uno studente dello stesso istituto».

La ragione dell’iniziativa è che «Gli stralci dei messaggi riportano dettagli relativi ai rapporti personali, anche attinenti alla sfera sessuale, tra la preside (identificata con il nome e cognome e con alcune sue fotografie) e lo studente del liceo, maggiorenne, di cui viene pubblicato il (presunto) nome, indugiando sulle frasi che si sono scambiati e sulle circostanze dei loro incontri, che nulla aggiungono alla necessità di fare chiarezza sulla vicenda». 

Il codice della privacy, però, prevede che «in caso di diffusione o di comunicazione di dati personali per finalità giornalistiche devono essere sempre rispettati i limiti del diritto di cronaca - rappresentati dalla tutela della dignità, della riservatezza, dell’identità personale e della protezione dei dati personali e, in particolare, il limite dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico». Limiti che il Garante ha ritenuto superati dalle testate giornalistiche.

Proprio a partire da questa iniziativa, la dirigente scolastica potrebbe agire per ottenere un risarcimento del danno in sede civile. A maggior ragione visto che le chat non sono state poi nemmeno prodotte nell’istruttoria ministeriale e quindi rimangono dati sensibili e personali, protetti dal diritto alla riservatezza della corrispondenza.

Il “blocco” disposto dal Garante già potrebbe, in linea teorica di diritto, essere sufficiente a sostenere una causa civile per illecito trattamento di dati sensibili.

Quanto all’ammontare del risarcimento, il danno arrecato potrebbe giustificare una somma anche piuttosto alta: le chat pubblicate, infatti, riguardano la sfera della vita sessuale della donna e quindi la violazione assume connotati di gravità maggiore.

L’iniziativa, quindi, ora spetta direttamente alla dirigente scolastica che dovrà decidere se rivolgersi ad un avvocato per ottenere ristoro – almeno sul piano economico -della violazione della sua privacy. 

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Chi restituisce alla preside la sua dignità fatta a pezzi? Ilaria Donatio, Giornalista freelance, su Il Riformista il 21 Aprile 2022.

Nessun provvedimento disciplinare. Nessuna sanzione, niente di niente perché il suo comportamento “non è stato ritenuto scorretto”. È finita bene per la preside del liceo Montale, accusata di aver intrattenuto una presunta relazione con uno studente: lei che era finita in una gogna di commenti e accuse per mano degli stessi colleghi, per poi precipitare nello “sputtanamento” a mezzo stampa, è finalmente libera. Libera e a pezzi. Chi le restituirà tutto il tempo passato a difendersi negli ultimi mesi da accuse così infamanti e infondate? Chi le restituirà la privacy violata? Chile restituirà la dignità, umana e professionale? E d’altra parte qualcuno ha mai risarcito realmente tutte le vittime delle campagne diffamatorie sbattute in prima pagina?

La preside ha però il coraggio della denuncia: non resta in silenzio per rimettere insieme i cocci della sua vita messa alla berlina “in quando donna e professionista” (lo dice lei stessa, oggi, al Corriere) ma punta il dito contro “l’atteggiamento discriminatorio e assolutamente maschilista” di cui è rimasta vittima. E noi? Noi che ci siamo scandalizzati, noi che abbiamo letto le presunte chat scabrose che di scabroso poi non avevano nulla, noi (o, meglio, quella parte di noi) che ancora emette giudizi inappellabili e che spia dal buco della serratura, noi che leggiamo – invece di boicottare – certa stampa forcaiola e scandalistica, crediamo davvero di essere rimasti integri?

Di conservarci integri e ben solidi nelle nostre certezze gonfie di moralismo, spietati nel tracciare solchi profondi tra i buoni e i cattivi, tra il bene e il male? No che non lo siamo, né integri né solidi. Invece, dovremmo seguire l’indicazione di Kant che questa professoressa fa sua: “Considera gli altri come fini e mai come mezzi”.

Liceo Montale, il grottesco gossip dei media italiani. Un pettegolezzo risibile si è trasformato in un feuilletton. Così la presunta love story tra la preside e un suo studente maggiorenne tocca uno dei punti più bassi toccati dal nostro giornalismo. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 31marzo 2022.

La presunta love story (che La Repubblica definisce «ruvida») tra la preside del Liceo Montale di Roma e un suo studente maggiorenne coincide con uno dei punti più bassi toccati dal nostro giornalismo. Un pettegolezzo risibile trasformato in una sorta di Diario di uno scandalo de’ noantri, nella speranza che, a mano a mano, affiorino particolari piccanti, risvolti pruriginosi, conseguenze fatali.

All’inizio il caso era stato presentato con accenti drammatici: un ragazzino manipolato, una dirigente scolastica sconsiderata e vanitosa, il licenziamento alle porte e il pubblico ludibrio. La preside denunciata dalle scritte sui muri del liceo artistico con la tipica, fatua crudeltà degli adolescenti. Non c’è stato nessun abuso, nessuna denuncia, e probabilmente gli ispettori del ministero non prenderanno provvedimenti. Nel corso dei giorni però, più si aggiungevano dettagli al feuilletton, con la stampa a frugare senza ritegno nella vita privata della donna e a ricamare ridicoli profili psicologici, più la vicenda diventava priva d’interesse, un affare privato, magari in grado di attizzare la morbosità di un microcosmo chiuso come può essere un istituto scolastico, ma che non dovrebbe suscitare l’attenzione dei media nazionali.

E invece, da quasi una settimana, ogni giorno spuntano “indiscrezioni”, testimonianze, novità, particolari privi di peso spacciati per grandi scoop. Come quel video che ha fatto il giro della rete in cui la preside litiga con il suo vice perché avrebbe parcheggiato la motocicletta in uno spazio riservato ad altri. Cosa ne emerge? Nulla di che: rapporti tra colleghi scorbutici, ripicche e rancori, come accade in tutti posti di lavoro del mondo e la conferma che gli smartphone in mano agli studenti possono diventare delle pericolose armi da guerra. Perché siamo costretti a interessarci a tutto ciò? Ancora peggio è stata la sconcia pubblicazione delle chat tra i due sospetti amanti che, non si sa come, sono finite nelle mani di giornalisti tanto stupidi quanto inutilmente sciacalli.

Gianluca Nicoletti per “La Stampa” l'1 aprile 2022.

Uno spiacevole odore di antica muffa perbenista aleggia attorno alla vicenda della preside romana, presunta amante di un suo studente maggiorenne. 

Una tendenza a senso unico sembra volere, a tutti i costi, far coincidere l’immagine di quella donna alle professoresse procaci dei filmetti con Alvaro Vitali, di mezzo secolo fa. 

Forse dovremmo resistere alla tentazione collettiva di puntare il dito contro “la peccatrice”, solo perché troviamo appagante l’idea che la foto-icona della preside a spalle scoperte, truccata e parruccata, sia già pregna di segnali premonitori una lussuria vorace.

Io ci vedo solo una signora a una festa in famiglia, potrebbero essere le nozze d’argento di un parente, la cresima di un nipote, un capodanno. 

Non basta coglierci una lontana somiglianza con Michela Miti, la supplente di Pierino, per affibbiarle d’ufficio la lettera scarlatta. 

Questa storia è oramai troppo intrisa di pregiudizio tossico per essere vista con sguardo obiettivo. 

Ammesso e non concesso ci trovassimo realmente di fronte a un’aspirante Bovary, una donna che non abbia saputo gestire i suoi desideri d’evasione, si ricordi che nulla di ciò che le è attribuito ha un profilo penale.

Potrebbe avere sbagliato nel lasciarsi coinvolgere dalla passione per un (troppo) giovane uomo, dimenticando il suo ruolo istituzionale, non esiste però prova di questo. 

Il caso semmai sarebbe di competenza dell’ufficio scolastico a lei preposto, che potrà intervenire se accerterà infrazioni al regolamento. Nulla che comunque le faccia meritare la condanna preventiva a uno stigma infamante che mai più si leverà di dosso.

Nel caso che i fatti corrispondessero al pettegolezzo, quale è il problema per tutti noi? Potremmo concludere che la preside ha scelto la persona sbagliata per ardire un azzardo passionale così poco socialmente tollerabile. 

Alla professoressa Brigitte Marie-Claude Trogneux nel 1993 andò molto meglio, quando avviò una relazione con il suo allievo sedicenne Emmanuel Macron. Oggi è la Première Dame, la sua è stata per il mondo intero una scelta d’amore vero.

In quel liceo invece il giovane coinvolto nel presunto idillio ne ha fatto scempio raccontandolo ai suoi compagni, ai genitori, agli altri professori. 

Trovo singolare e veramente desolante la reazione collettiva degli studenti; posso capire che liberarsi di una preside può essere visto anche come un gesto epico, a cui può essere difficile resistere, non capisco però perché non abbiano colto quanto sia parte di un mondo a cui apparentemente si contrappongono, togliersela dai piedi usando l’espediente, arcaico e scellerato, della diffusione di voci sulla sua (sempre presunta) condotta sessuale. 

Non è questa la generazione che coalizza proteste e manifestazioni perché una professoressa apostrofa come prostituta una ragazza che balla sul banco con l’ombelico scoperto?

Perché poi si scatena con tanta foga a censurare un’altra professoressa che, proprio per far rabbia a un sistema passatista, potrebbe eleggere a vessillo della libertà di gestire la propria affettività e sessualità? 

Davvero faccio fatica a capire perché non sia poi considerato un atto spregevole, come penalmente perseguibile, quando il ragazzo è arrivato a divulgare i messaggi passionali che si sarebbe scambiato con la donna, marchiandola a vita. 

Leggiamo ovunque le trascrizioni di quello che la preside avrebbe scritto addolorata quando lui le ha comunicato di voler troncare la storia, perché si era fidanzato. 

Tutto dato in pasto a chi non sogna altro che vedere questa donna “giustiziata” per il reato di presunta follia amorosa.

È triste che questo non avvenga in un conciliabolo di beghine, circola invece negli smartphone della Generazione Z, che dovrebbe darci lezioni di spregiudicatezza.

Dal Corriere della Sera il 14 aprile 2022.

Caro Aldo, di recente siamo stati puntualmente aggiornati, oltre che sugli sviluppi della guerra, sulla vicenda della preside del liceo Montale e dello studente. Solo che della donna, oltre alle fotografie, ci è stato detto quasi tutto (dimenticando eventuali riflessi sulla famiglia) mentre della «povera vittima», maggiorenne, non è stato rivelato nemmeno il nome! Supponiamo che il comportamento della preside risulti corretto, che succederebbe in questo caso? Chi chiederebbe scusa alla preside per tutto il fango che le è stato sputato addosso?

Cari lettori, molti di voi hanno commentato la vicenda della preside del liceo Montale. Se la responsabile di un istituto avesse davvero avuto una storia d'amore con uno studente, peraltro maggiorenne, forse non meriterebbe un premio, ma neppure la gogna pubblica. È accaduto molte volte che l'amore facesse crollare la barriera tra la cattedra e i banchi.

È difficile stabilire dove ci sia un sentimento autentico, e dove cominci la dipendenza psicologica, il potere sulle anime. È un confine labile nella vita amorosa di tutti i giorni; figurarsi a scuola. Mi è accaduto di raccontare la vicenda dolorosa del professore di Saluzzo indagato per istigazione al suicidio, poi derubricata a violenza sessuale con abuso di autorità (le ragazze erano minorenni); patteggiò due anni; ma fu anche difeso da molti suoi scolari. 

Nel 1993 uno studente quindicenne del liceo La Providence di Amiens, un istituto dei gesuiti, si innamorò, ricambiato, della sua insegnante di teatro, che aveva ventiquattro anni più di lui ed era sposata con tre figli, di cui due più grandi del suo innamorato. I genitori del ragazzo non accettarono la relazione, gli fecero cambiare scuola e pure città, iscrivendolo al più prestigioso liceo di Parigi, l'Henri IV. Ma lui non riuscì a staccarsi da lei; e lei non riuscì a staccarsi da lui.

Divorziò dal marito, si fidanzò, lo sposò. Non si sono più lasciati. E da cinque anni abitano all'Eliseo. Lei si chiama Brigitte, e mercoledì prossimo festeggerà il suo sessantanovesimo compleanno. Lui si chiama Emmanuel, ed è in testa al primo turno delle elezioni presidenziali francesi.

Dal “Venerdì di Repubblica” il 15 aprile 2022.  

Quando frequentavo il ginnasio avevamo come docente di Inglese una signora ancora piacente; in una classe tutta maschile la sua presenza era fonte di una generale "allegria", chiamiamola così. Le sue gambe erano motivo di grandi distrazioni, e la memoria dell'evidente (e diciamo pure salubre) eccitazione che mi/ci procurava la sua presenza mi è rimasta incancellabile.

Ricordo anche che, quando ero ancora adolescente, mia madre aveva una frequentazione con una donna forse solo di poco più giovane di lei e ai miei occhi molto piacente: l'immagine stessa, una delle prime in carne ed ossa, della seduzione e fonte di grande attrazione e desiderio. 

Credo non ci sia nulla di insano nel fatto che un ragazzo possa provare attrazione e desiderio verso una donna che potrebbe essergli madre, né che una persona adulta e persino matura possa provare la stessa cosa per una persona anche molto più giovane.

Nel caso della preside romana e del suo allievo, che non ha nessuna rilevanza penale essendo il ragazzo maggiorenne, ci troviamo però non solo in presenza di una relazione asimmetrica sul piano dell'età, ma in quella del "potere", come tra psicanalista e paziente, che può prefigurare un vero e proprio plagio. 

È pertanto illecito dal punto di vista dell'etica professionale utilizzare questo tipo di relazione per scopi altri, avendo per così dire, con una espressione impropria, il coltello dalla parte del manico, ovvero il potere improprio per farlo.

Giovanni Lamagna 

Risposta di Natalia Aspesi:

Mi perdoni se ho di molto tagliato la sua lettera, ma di questo fatto se ne è parlato sin troppo. Anche la mia risposta sarà breve e certamente impropria. Ma siamo così sicuri che responsabile di quel che lei chiama plagio sia la donna matura?

Perché non dovrebbe essere il ragazzo, con la sua giovinezza, la sua grazia, il suo desiderio, il suo bisogno di esperienza il vero seduttore? Perché non potrebbe essere la signora, che sente come sprecati il suo corpo e la bellezza che le resta, diciamo così, la plagiata?

Il caso del liceo Montale e il moralismo dei giornali. Preside massacrata perché innamorata di uno studente maggiorenne: gogna più forte delle bombe. Angela Azzaro su Il Riformista l'1 Aprile 2022. 

Non li ha fermati neanche la guerra. Neanche le bombe. Neanche l’orrore delle immagini che ci arrivano dall’Ucraina. Niente. Per moralismo e giustizialismo c’è sempre un po’ di posto, c’è sempre spazio nell’informazione italiana per linciare, per condannare e soprattutto per mettere alla berlina la vita delle persone. Dopo qualche settimana in cui siti e giornali erano quasi totalmente (e giustamente) dedicati alla guerra sono ricomparse le altre notizie, tra cui la storia della donna uccisa e fatta a pezzi. Una giovane donna appunto che però viene definita sulla base del suo lavoro: attrice porno, hard, insomma una poco di buono che forse – è questo il sotto testo – se l’è anche cercata. Il tutto condito con particolari raccapriccianti, il gusto per il morboso, il macabro, l’horror. Vera e propria pornografia.

Poi a far vibrare di like i siti è arrivata la storia della preside cinquantenne che avrebbe avuto una storia con uno studente maggiorenne. Le luci si sono accese sul liceo Montale di Roma e sulla dirigente scolastica, la cui vita è stata scandagliata, sbattuta in prima pagina come se avesse ucciso qualcuno, come se fosse responsabile di qualche nefandezza. Quando un marito uccide una donna, se ne parla di meno. A meno che non ci sia qualche particolare che solletica la pruderie. Supponendo che la storia sia vera, l’unica colpa della prof è di essersi infatuata di uno studente. Se le parti fossero state invertite – il prof di 50 anni che si innamora di una studente – il giudizio sarebbe stato probabilmente meno severo, l’attenzione sarebbe presto scemata, anche perché parliamo comunque di maggiorenni. In questo caso invece le luci non si spengono e da giorni, appena sotto le notizie sulla guerra, troviamo sui siti dei principali quotidiani la preside del liceo Montale. Le sue foto in diverse pose. Manca solo la scritta: wanted. Ricercata.

Ieri è comparsa su Repubblica anche la trascrizione “dell’audio dell’addio” che entrerà nel fascicolo d’ispezione aperto dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio. Ma prima di esaminarlo perché non farlo leggere anche a noi spettatori di questo dramma? Perché non gettare in pasto alle belve anche i sentimenti della donna matura lasciata da un giovane uomo? Perché non umiliarla? Non levarle un po’ di carne per saziare il bisogno di giudicare, condannare, decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato delle vite degli altri. Noi qui non riportiamo neanche una frase dell’audio pubblicato da Repubblica, neanche una parola. Il mix di moralismo e giustizialismo non è nuovo. Da decenni si è impossessato del discorso pubblico orientando anche battaglie importanti. È accaduto con il movimento del Metoo. Una battaglia sacrosanta contro le molestie e contro la violenza ha preso la piega del processo pubblico, del moralismo, della condanna aprioristica. Censura dopo censura, ci siamo ritrovati in questo clima da caccia alle streghe, dove la sessualità deve per forza rispondere ai canoni del perbenismo, inquadrata in uno schema che non può e non deve minimamente scuotere le certezze consolidate, come quelle legate all’età.

Ricordiamoci le offese rivolte alla moglie di Macron, caso molto simile a quello che oggi è nelle prime pagine italiane, solo che la loro storia non è finita ma è andata avanti e continua ancora oggi. Quindi quale sarebbe lo scandalo? Che cosa fa così paura? Dopo gli anni Settanta e le battaglie per la libertà sessuale, non si pensava che si potesse tornare a questo clima oscurantista, dove si giudica una donna con criteri antiquati, perbenisti, insopportabili. Invece è così. È accaduto. Siamo tornati indietro. Una donna non è libera di vivere la propria sessualità come meglio desidera. Rispetto al passato la situazione per alcuni versi è addirittura peggiorata. Non c’è solo il moralismo, ma anche il giustizialismo. Il processo mediatico utilizza vecchie culture, come quella retrogada sulla sessualità delle donne, per inscenare lo spettacolo della gogna.

In questo momento la preside si sentirà sola, sotto attacco. Forse anche umiliata a vedere le parole che ha pronunciato su un giornale. Si sentirà colpita nei suoi sentimenti più profondi. Ma deve sapere che non è sola. Quello che le stanno facendo è intollerabile, non può essere accettato. Non è degno di un Paese civile, non è degno di una società che dice di essere da parte delle donne. Speriamo che i giornali che l’hanno resa un mostro, le chiedano scusa. Speriamo che si rendano conto del baratro in cui ci stanno trascinando. Speriamo. Ma sappiamo che sarà difficile. Anzi impossibile.

Angela Azzaro. Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica

Da “la Stampa” il 4 aprile 2022.

Gli studenti del collettivo del liceo Montale, dopo la bufera che ha investito l'istituto romano per la presunta relazione della preside con uno studente 19enne, in un comunicato spiegano di volersi «discostare» dalla gogna mediatica ai danni della direttrice e chiedono informazioni dall'Ufficio scolastico «sugli sviluppi dell'indagine in corso». 

«Sono anche state divulgate immagini e informazioni private della dirigente, esponendola, di fatto, a giudizi offensivi, superflui e inutili all'ispezione in corso: una gogna mediatica dalla quale vogliamo discostarci. Crediamo che sia necessario considerare e valutare l'eventuale atto e non la persona che lo compie, per questo troviamo lontani dal nostro pensiero le offese ed i commenti inopportuni che sono stati rivolti», scrivono gli studenti. Inoltre «non riconosciamo come nostre le critiche che le vengono poste in quanto donna, rifiutiamo la concezione maschilista che giudica le donne per la loro vita sessuale». 

Liceo Montale, dopo la gogna la preside chiede i danni ai giornali. Denunciate le principali testate nazionali. Il legale: «Chiarita la vicenda nell'ambito della istituzione scolastica rimane aperto il tema della tutela del cittadino nei suoi diritti fondamentali della privacy e della propria rispettabilità». Il Dubbio il 06 giugno 2022.

Finito l’incubo si apre un nuovo capitolo per Sabrina Quaresima: ora i giornali dovranno rendere conto della gogna a cui l’hanno sottoposta. Travolta da una bufera mediatica per una presunta relazione con un suo studente di 19 anni, la preside del Liceo Montale di Roma ha infatti deciso di denunciare 9 giornalisti, 7 direttori delle maggiori testate nazionali e 7 gruppi editoriali italiani.

«Chiarita la vicenda nell’ambito della istituzione scolastica rimane aperto il tema della tutela del cittadino nei suoi diritti fondamentali della privacy e della propria rispettabilità. Per questi motivi sono state avviate le iniziative legali di tutela dei diritti gravemente lesi della dott.ssa Quaresima», spiega il suo legale Alessandro Tomassetti. «È con grande speranza – sottolinea l’avvocato – che attendiamo una risposta adeguata e tempestiva della Giustizia Italiana in merito a temi così fondamentali per la vita di tutti i cittadini di questo Paese».

Tra accuse e pettegolezzi mai verificati, la vicenda era iniziata circa due mesi fa. E il caso, spiattellato su tutti i giornali, si era trasformato in breve tempo in un vero e proprio feuilletton, un sorta di diario dello scandalo. Con tanto di pubblicazione delle presunte chat tra lo studente e la preside, mentre la stampa frugava nella sua vita privata per darla in pasto ai lettori. Se infatti l’identità dello studente (maggiorenne) è rimasta riservata, fin da subito sono stati noti il volto e il nome di Sabrina Quaresima. Che poi, ospite a Porta a Porta, aveva dato la sua versione dei fatti. «All’inizio, quando alcuni docenti mi hanno riferito delle voci, mi sembrava un incubo, sembrava quasi che si parlasse di qualcuno che non ero io. Mi dicevo “magari è solo una voce che si spegne così come è venuta fuori”». Poi sono arrivate le scritte sui muri, gli insulti, e «allora ho capito che qualcuno ce l’aveva con me».

A mettere la parola fine era stato l’ufficio scolastico regionale, che dopo aver avviato un’ispezione amministrativa nell’istituto, a fine aprile ha comunicato di non aver rinvenuto alcuna «nessuna violazione del codice disciplinare» per cui fosse necessario avviare un provvedimento nei confronti della dirigente. «È la fine di un’angoscia mai provata. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli», aveva commentato la dirigente. La quale si augura che la sua vicenda «sia di esempio per tutte le persone che si possano trovare nella mia stessa situazione». «L’unico consiglio che sento di dare è quello di denunciare con coraggio e di non cedere mai davanti alla diffamazione, alla prepotenza e alla crudeltà», commentava Quaresima, annunciando l’iniziativa legale partita ieri. «Con la stessa determinazione chiederò conto nelle sedi più opportune – aveva detto – di accertare tutte le responsabilità civili e penali del mio caso».

IL RUOLO DEI MEDIA E I RAPPORTI TRA ADULTI CONSENZIENTI. Chi è davvero la vittima nel caso della preside che ha avuto una relazione col suo studente? SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 31 marzo 2022.

In tutta la vicenda non è ravvisabile alcun reato perché i due erano maggiorenni e consenzienti, per cui la diffusione di tutti questi dettagli è roba da buco della serratura ampliato con un trapano a punta larga

Una professionista di 50 anni potrebbe evitare di buttarsi in situazioni imbarazzanti e ricordare che rappresenta l’autorità per gli studenti e la pubblica amministrazione per il ministero dell’Istruzione, ma resta il fatto che le modalità con cui è stata raccontata questa storia sono disgustose e sbilanciate.

Insomma, non si capisce bene perché il ragazzo, sui giornali, sia tutelato come se fosse stato vittima di violenze fisiche o psicologiche e la preside meriti la gogna come se avesse costretto qualcuno a intrattenere una relazione con lei.

Verrà un giorno in cui dovremo chiedere scusa a Barbara D’Urso, perché troppo spesso i giornali riescono a fare peggio di lei, senza neppure l’alibi dell’intrattenimento. Da un paio di giorni, forse perché i bombardamenti sono un po’ meno intensi del solito e c’è meno sangue nelle foto dei reportage di guerra, i cronisti si sono buttati con morboso accanimento sul caso della ragazza uccisa e fatta a pezzi dal vicino e sulla vicenda pruriginosa della relazione tra preside e alunno.

Nel primo caso, al netto della ricerca spasmodica di particolari torbidi sulla vita sessuale e lavorativa della vittima, perlomeno si trattava di un fatto di cronaca con un delitto efferato e un assassino.

Nel secondo caso, quello avvenuto a scuola, si parlava di una fugace relazione tra due maggiorenni, trattata però come una commediola sexy anni Settanta. Solo che la Gloria Guida della situazione non è un’attrice ma una donna con un marito a casa, una reputazione triturata e la sua faccia più presente di quella di Putin sui giornali. 

SOLTANTO UNA BREVE STORIA

Sabrina Quaresima, 50 anni, dirigente scolastica del liceo Montale di Roma, avrebbe avuto una breve storia con un alunno del suo liceo. Si erano conosciuti durante un’occupazione, era iniziata una corrispondenza via mail e Whatsapp.

Si erano visti una volta o due e avevano avuto un rapporto intimo, racconta il ragazzo. Poi lui aveva troncato, lei seguitava a mandargli qualche messaggio laconico, lui infine ha denunciato la vicenda alla scuola.

Mentre l’Ufficio scolastico regionale del Lazio sta indagando sui fatti, i giornali (in particolare Repubblica) pubblicano chat private tra i due, i contenuti di audio e pettegolezzi di amici di lui con specificato “in esclusiva” o “siamo in grado di ripercorrere il canovaccio del gioco erotico clandestino intrattenuto da Sabrina Quaresima con il giovane che provava a lasciarla”.

Una breve relazione sentimentale definita chissà perché  “gioco erotico”. Il nome, il cognome della donna, la sua foto sbattuti sui giornali.

Lui, il diciannovenne, definito «il giovane», citato con le iniziali o addirittura con nomi di fantasia. «È un ragazzo alto, biondo, occhi chiari», si specifica in un articolo in cui il nome non si fa, ma al massimo si diffonde l’identikit come per gli scippatori sulla metro. Il messaggio è chiaro: lei è la responsabile, la seduttrice, la provocatrice. Lui, il povero ragazzetto in balia dell’adulta in cerca di una giovane preda sessuale.

Ora, premesso che in tutta la vicenda non è ravvisabile alcun reato perché i due erano maggiorenni e consenzienti, per cui la diffusione di tutti questi dettagli è roba da buco della serratura ampliato con un trapano a punta larga; premesso anche che una professionista di 50 anni potrebbe evitare di buttarsi in situazioni imbarazzanti e ricordare che rappresenta l’autorità per gli studenti e la pubblica amministrazione per il ministero dell’Istruzione, le modalità con cui è stata raccontata questa storia sono disgustose e sbilanciate.

Il ragazzo - almeno da quello che è emerso fino ad ora - non sembra esattamente né un ingenuo né uno sprovveduto. E di sicuro, dalle conversazioni, non sembra neppure così manipolato e sottomesso.

E’ capo-istituto, occupa la scuola, è uno studente modello. Quando lei lo invita a vedersi si catapulta «ai 130 km orari», racconta. Non nasconde affatto la relazione, ma è ben contento di far sapere tutto agli amici, diffonde le chat (almeno questo è quello che riferiscono gli amici), le stesse chat che vengono poi mostrate ai giornalisti.

Nell’istituto la storia finisce sulla bocca di tutti perché lui ha spifferato quello che è accaduto, non certo perché lo ha spifferato lei. Insomma, più che un ragazzo preoccupato, sembrerebbe un ragazzo che se la canta.

Tanto più che alcuni dettagli emersi, per esempio il fatto che mentre avevano un rapporto in macchina il marito di lei la chiamava sul telefonino, sembrano più gossip di bassa lega da condividere in maniera goliardica con gli amici, che confidenza addolorate a una persona fidata.

Infine, c’è la storia di questo audio che sembrerebbe più una conversazione registrata all’insaputa di uno dei due (chissà di chi…), un audio in cui lui dice che vuole troncare e lei sembra dispiaciuta.

Nulla di che per la verità, ma anche qui c’è il dettaglio pruriginoso di lui che si lamenta perché la preside l’ha definito toy boy, figuriamoci se non andava riferito.

Insomma, non si capisce bene perché il ragazzo, sui giornali, sia tutelato come se fosse stato vittima di violenze fisiche o psicologiche e la preside meriti la gogna come se avesse costretto qualcuno a intrattenere una relazione con lei.

Addirittura, tanto per rafforzare l’idea che uno dei due fosse un bambino circuito, è stato scritto che i due hanno avuto «un rapporto sessuale consumato nel chiuso di un'auto come accade tra amanti adulti».  A dire il vero gli adulti di solito hanno una casa e i ragazzi fanno l’amore in macchina, ma non è neppure questo il punto.

E MACRON ALLORA?

Il punto è che questa narrazione pruriginosa e sbilanciata ai danni della protagonista della vicenda, una narrazione che travolge come un bulldozer la vita professionale e familiare di Sabrina Quaresima e protegge il ragazzo troppo giovane per una relazione con una adulta ma abbastanza adulto da vantarsene con gli amici, è figlia di una tentazione irresistibile: quella della semplificazione.

Il premier francese Emmanuel Macron ha sposato la sua professoressa, Brigitte, di cui si innamorò a 16 anni. L’immunologa Antonella Viola ha sposato in prime nozze un suo professore del liceo, conosciuto quando aveva 18 anni. La giornalista Maruska Albertazzi ha commentato: «Grande scandalo e gogna mediatica per una preside che ha una relazione con uno studente di 18 anni. Poi inizia l’università e la studentessa di 19 che si fidanza col prof cinquantenne è la norma e sono due adulti consenzienti. Io sono stata una di quelle studentesse anche se di anni ne avevo 20 e l’esame in questione l’avevo già passato».

Io stessa, a 18 anni, ho avuto un debole per un mio professore del liceo e se non fosse che per lui ero trasparente quanto l’ampia vetrata dell’aula che dava sulla campagna, chissà.

Insomma, prima di semplificare e creare il mostro del giorno, bisognerebbe ricordare che le relazioni tra maggiorenni, anche quando l’anagrafe è così sbilanciata, hanno un loro peso, una loro bilancia e una loro unità di misura. E ridurre tutto a “lei lo provocava, lui poverino non sapeva come uscirne”, è talvolta una semplificazione da bar. Sciatta e mortificante per tutti, perfino per il lettore. 

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Molestò quattro bambine. Per la pm è "fatto tenue". Paola Fucilieri il 23 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Un anno per il 25enne che lavorava nel maneggio. Malore di una mamma alla lettura della richiesta. Un fatto non di particolare gravità e che non avrebbe causato «ripercussioni» sulla vita emotiva e sull'andamento scolastico delle vittime. È questa la sbalorditiva motivazione alla base della richiesta della Procura di Milano di condannare ad appena un anno di carcere un italiano di 28 anni a processo con rito abbreviato con l'accusa di avere molestato quattro bambine, tra i 5 e i 9 anni, in un notissimo maneggio alle porte di Milano dove le piccole frequentavano un corso di equitazione.

Ma non è finita qui. La Procura, infatti, al termine della requisitoria che si è svolta ieri, ha chiesto di concedere all'imputato anche un'attenuante specifica, quella della «particolare tenuità» del fatto. La decisione finale spetterà alla gup Vincenza Maccora, che ha rinviato l'udienza al prossimo 21 marzo per la sentenza.

Com'è immaginabile la reazione delle famiglie delle piccole coinvolte nella vicenda è stata di grande indignazione. L'avvocato Solange Marchignoli, che assiste le famiglie di due delle quattro bambine che si sono costituite parte civile, una richiesta «così lieve da parte della Procura è un fatto gravissimo, non solo perché si ritiene che l'abuso nei confronti di una bambina non sia un fatto grave, ma altresì si sottovalutano le conseguenze» sul successivo percorso di vita delle piccole.

«Per di più - ha aggiunto il legale - la pm ha chiesto anche l'assoluzione dell'imputato nei confronti di una bambina, sostenendo che il fatto non è realmente accaduto. Una mamma, sentendo la requisitoria, è uscita dall'aula perché non si è sentita bene».

L'avvocato Marchignoli ha fatto anche sapere che ha presentato una nuova denuncia nei confronti del titolare del maneggio perché «ha omesso le garanzie che sono doverose nei luoghi in cui i genitori portano i figli».

Gli episodi contestati sarebbero avvenuti tra febbraio 2018 e novembre 2019, tutti all'interno del centro ippico dove le ragazzine frequentavano un corso di equitazione e quando l'imputato aveva 25 anni. L'accusa è violenza sessuale aggravata.

Secondo le testimonianze delle bambine il giovane uomo le avrebbe spinte, in più occasioni, all'interno della selleria, dove nessuno avrebbe potuto vederle, per molestarle. E, brandendo un coltello, avrebbe anche minacciato di ucciderle se avessero raccontato le violenze.

L'accusato, M.T., è un tesserato della Federazione Italiana Sport Equestri (Fise) che possedeva un cavallo all'interno del maneggio. L'uomo, già alla fine del 2018, aveva ricevuto una prima denuncia. Nel dicembre 2020 il Tribunale Federale della Fise gli aveva comminato la sanzione di 5 anni di sospensione. Nonostante ciò nel marzo dell'anno scorso il giovane uomo risultava ancora a piede libero, tanto da potersi recare al lavoro indisturbato nell'azienda di famiglia. All'epoca gli istruttori del maneggio l'avevano definito «un personaggio atipico, magari esibizionista», ma tranquillo. Testimonianze che allora gli avevano evitato non solo il carcere ma pure i domiciliari. Paola Fucilieri

Da Ansa il 15 febbraio 2022.

Accusato di violenza sessuale aggravata ed estorsione aggravata nei confronti di un alunno minorenne, un ex professore, di 51 anni, residente nella provincia di Bari, è stato arrestato dai Carabinieri. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Potenza, riguardano un episodio avvenuto nel 2016, quando l'uomo insegnava diritto in un istituto superiore della provincia di Potenza e, dopo avere invitato nella sua abitazione, abusò del suo alunno. In seguito l'uomo - già condannato per due episodi simili - si dimise dall'incarico, ma per cinque anni, fino al 2021, ha estorto denaro al giovane per 3.660 euro.

Nonostante nel 2019 fossero diventate definitive due condanne della Corte d'Appello di Bergamo per violenza sessuale ai danni di alunni minorenni, con l'interdizione perpetua dalle scuole, ha insegnato fino al 2021 l'ex professore arrestato dai Carabinieri nell'ambito di un'indagine per violenza sessuale aggravata ai danni di un suo ex alunno minorenne, coordinata dalla Procura della Repubblica di Potenza.

E' uno dei particolari emersi durante le indagini sull'uomo, che "in più occasioni, approfittando del proprio ruolo di educatore, avrebbe abusato di propri alunni, ed in seguito li avrebbe minacciati e ricattati".  Le due condanne (a un anno e quattro mesi e a un anno e sei mesi di reclusione) ai danni dell'ex professore furono decise dalla Corte d'Appello di Brescia nel 2013 e nel 2014 per episodi di violenza sessuale continuata su alcuni minorenni avvenuti in provincia di Bergamo nel 2006 e nel 2009. Le condanne - con l'interdizione perpetua da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in strutture frequentate da minori - sono diventate definitive nell'ottobre del 2019, ma l'uomo ha ottenuto incarichi come insegnante fino al 2021.

Ulteriori indagini sono quindi in corso per "accertare - è specificato in un comunicato firmato dal Procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio - eventuali responsabilità penali nelle condotte di chi, avendo il dovere di sospenderlo o licenziarlo in via definitiva, gli ha consentito di reiterare la commissione di reati grazie alla sua attività di insegnante fino al 2021, nonché per verificare se tra il 2015 e il 2020" l'uomo "possa aver commesso gli stessi gravi reati nei confronti di suoi alunni".

Secondo la ricostruzione degli investigatori potentini, a inizio 2016, il professore avrebbe invitato per la prima volta l'alunno minorenne nel suo domicilio per aiutarlo a colmare le lacune in alcune materie. In un altro incontro, poi, avrebbe abusato dell'alunno e "avrebbe preteso che gli consegnasse la biancheria intima per asserite sue 'ricerche' in campo medico". Per diverse settimane, dopo che si era dimesso da quell'incarico di professore, l'uomo ha continuato a inviare messaggi al suo ex alunno, "chiedendogli con frequenza anche settimanale di inviargli proprie immagini o filmati a contenuti sessuali, ottenendoli anche sotto la minaccia di divulgare quanto già in suo possesso".

L'estorsione del denaro sarebbe invece cominciata all'inizio del 2020 (e non nel 2016 come si era appreso in un primo momento) per proseguire fino al giugno del 2021: l'uomo sarebbe riuscito a farsi inviare i 3.660 euro, attraverso undici bonifici bancari. Secondo l'accusa, il professore, sempre nel 2016, avrebbe convinto, "promettendogli di fargli conoscere un noto calciatore barese", un altro alunno, in questo caso maggiorenne, a inviargli alcune foto in cui indossava solo biancheria intima. Ma l'alunno ne parlò con i genitori e poi denunciò il professore: la stessa denuncia è stata archiviata nel febbraio 2020 "dopo il raggiungimento di un accordo per una soluzione stragiudiziale, e la remissione della querela da parte del giovane".

Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera" il 10 febbraio 2022.

Pro o contro il professore accusato di molestie sessuali. I docenti dell'Università di Harvard, una delle più importanti negli Stati Uniti, si dividono aspramente con uno scambio pubblico di lettere. È un caso nazionale, culminato martedì 8 febbraio con una denuncia alla Corte federale di Boston contro i vertici dell'ateneo. 

L'esposto è firmato da tre studentesse, Lila Kilburn, Margaret Czerwienski e Amulya Mandava, che rimproverano ai dirigenti di Harvard di non aver fatto nulla per fermare «i comportamenti scorretti del professor John Comaroff». Pressioni, pesanti avances.

Comaroff, nato in Sudafrica, 77 anni, è un antropologo di solida reputazione scientifica, specializzato nelle società africane. Ma guardato con sospetto dalle giovani che frequentano i suoi corsi. 

Lila Kilburn ha raccontato come il «prof» l'avesse infastidita fin dai primi incontri,quando cercò di baciarla durante un colloquio di studio. Lila provò a sottrarsi al pressing di Comaroff, dicendogli che sarebbe andata in vacanza con la sua partner in Camerun. Un modo, ha spiegato, per fargli capire che non era interessata a relazioni con uomini. 

Per tutta risposta l'antropologo le impartì una lezioncina sullo «stupro rieducativo delle lesbiche», praticato in «alcune aree dell'Africa». Seguirono altri episodi spiacevoli, finché lo scorso anno Kilburn non chiese l'intervento degli organi direttivi di Harvard. 

Nel frattempo spuntarono altre segnalazioni su Comaroff, riportate nei dettagli dal giornale interno curato dagli studenti, The Harvard Crimson. Per mesi non è successo nulla, fino a quando le tre studentesse non hanno fatto sapere che si sarebbero rivolte alla magistratura federale.

A quel punto l'Università ha condotto una rapida indagine, concludendo che l'antropologo aveva usato un linguaggio «non professionale» e non consono con le regole che vietano «molestie basate sul genere». 

Nello stesso tempo, però, Comaroff non poteva essere considerato responsabile «di contatti sessuali non richiesti». Nei giorni scorsi sono usciti allo scoperto circa 90 accademici, tra i quali alcune celebrità nazionali, come la storica Jill Lepore, l'antropologo Paul Farmer (noto anche per il suo impegno ad Haiti dopo il terremoto del 2010), Stephen Greenblatt, studioso di Shakespeare, Randall Kennedy, giurista. Il gruppo ha diffuso una lettera che difende Comaroff su tutta la linea.

Un solo passaggio del testo: «Il professore ha dato un avvertimento legittimo sullo "stupro rieducativo"; noi ci saremmo sentiti eticamente obbligati a fare la stessa cosa». 

Ma lunedì 7 febbraio ecco la replica di 50 docenti, altrettanto quotati, come per esempio lo storico Walter Johnson: «Evidentemente Comaroff ha una rete potente di amici e di colleghi che hanno rapidamente accolto la tesi difensiva dei suoi avvocati. In questo modo, però, si scoraggiano gli studenti a esporsi».

Liceo delle molestie, parla la prima testimone: “Ha abusato di me e di tante altre. Ora voglio aiutarle a ribellarsi”. Corrado Zunino su Il Corriere della Sera il 07 febbraio 2022.  

Diana, 21 anni: "Dovevo fermarlo. Ho raccontato la mia storia su Instagram e sono subito arrivate le altre testimonianze. A una ragazza del primo anno chiese le foto del seno. La preside disse: lo denuncio. Ma non l’ha mai fatto". Diana ha ventun anni e i capelli neri, lunghi. Studia fashion design in un’università di Milano. Solo quando è salita al Nord, ha iniziato una vita nuova in ateneo, ha gradualmente dato un senso “a quel disagio che mi accompagnava”, ha lentamente compreso “che cosa mi era successo al liceo di Cosenza e che cosa mi aveva fatto quel professore di Matematica e di Fisica. A me e a decine di altre ragazzine”.

Partiamo dal professore, Diana. Che persona è il docente che oggi lei, e le studentesse in corso del Valentini-Majorana, accusate di avervi molestate?

“Un uomo brillante, arguto, un insegnante capace e interessante. E, purtroppo, una persona vicina alla mia famiglia. Era stato compagno di università, a Cosenza, di mio padre e l’ho sempre vissuto come un adulto vicino. Quando l’ho ritrovato, in seconda superiore, ero contenta. I suoi commenti sfrontati, perché è stato subito sfrontato, nei primi tempi li ho considerati complimenti. Ero piccola e poco strutturata per capire il significato profondo di quelle parole. E l’ambiente, quel mondo scolastico maschilista, certo non mi aiutava”.

Vuole ricordare che cosa le diceva in classe il professore di Matematica, alla fermata del bus?    

"Se portavo i capelli con la coda alta, mi chiamava bella cavalla e diceva che aveva voglia di galoppare. Faceva continui commenti sul mio seno, il mio culo, la mia vita sessuale. O quella che lui immaginava con me. Ogni spunto della lezione era un’allusione pornografica. Dal secondo al quarto anno quel docente ha perpetrato una costante violenza nei confronti miei e delle mie compagne. Nessuna di noi, immerse com'eravamo nella cultura sessista di quella scuola, ha davvero pensato potessero essere violenze".

Oltre alle parole sconce, ci sono stati anche contatti fisici?

“Sì, cercava spesso l’abbraccio, con la mano morta provava a toccare il seno. A me, ad altre”.

Ha mai parlato di tutto questo con i suoi genitori?

“Ero bloccato dal fatto che li conoscesse, e dal fatto che non riuscivo a distinguere tra porcherie e galanterie. E’ la cosa che mi fa più rabbia ancora oggi: una persona che conoscevo, una persona così intelligente”.

Quando ha preso coscienza che quelle erano state violenze?

“Vede, in quinta andai dalla preside perché avevo subito una violenza da un compagno di scuola con cui mi ero fidanzata. Aveva diffuso un nostro video, intimo. Chiesi aiuto alla preside e lei mi rise in faccia. Mi disse che mia nonna, che lei conosceva, non avrebbe apprezzato i miei comportamenti. Non avrei potuto raccontare quello che faceva in classe il professore a una dirigente così. La maturazione è avvenuta a Milano, in ateneo. Ho preso a frequentare ragazze più grandi di me, poi un collettivo femminista. Mi hanno fatto capire che tutto ciò che una donna subisce, tutto ciò per cui non è consenziente, è violenza. Oggi questo concetto è dentro di me e mi ha fatto rivedere la mia vita adolescenziale. Oggi, sì, sono una femminista”.

E con questa nuova consapevolezza ha pensato di poter aiutare le compagne più piccole?

“Sì, quelle violenze sessuali non erano finite, il professore non aveva mai smesso. Dovevo fare qualcosa e allora ho costruito una pagina Instagram, il Callout, in cui ho raccontato il mio pregresso. In poche ore sono arrivate le altre testimonianze”.

Lei si è scagliata contro la preside, e ora lo fanno anche le studentesse del quinto anno.

“La dirigente Iolanda Maletta, è un fatto, ha tenuto tutto a tacere per la buona immagine della scuola. In nome dell’istituto che per diciassette anni aveva fatto crescere, ha nascosto il pestaggio selvaggio di un ragazzino e tutte le denunce ricevute sulle molestie del professore di Matematica. A una studentessa di prima che andò nel suo ufficio con i genitori, la storia del ricatto sulla foto del seno, promise che avrebbe girato tutto alla Procura della Repubblica. Non l’ha fatto. Si limitò a sospendere il prof per un mese, poi a cambiargli plesso. Passò dal Valentini al Majorana, lo stesso edificio. Aveva offerto al professore di Matematica nuove prede e le vecchie continuavano a incontrarlo in corridoio”.

Perché non vi siete ribellati prima a una preside che ora definite una dittatrice?

“Chi ci ha provato, a partire dai rappresentanti d’istituto, è stato bocciato. Con me non poteva, avevo la media del dieci”.

Corrado Zunino per “la Repubblica” il 6 febbraio 2022.

Dodici studentesse, dodici per ora, si sono liberate. Il professore mi ha palpato il seno, hanno scritto. Se volevo avere la sufficienza, dovevo dargli una mia foto nuda. Il professore, ancora, mi ha umiliata davanti ai compagni. Alcune hanno 14 anni. Hanno parlato, su una pagina Instagram chiamata "Callout", "Gridalo", di tre docenti dell'Istituto di istruzione superiore statale Majorana- Valentini di Castrolibero, scuola sulla collina che offre la vista dello stadio di Cosenza. 

Uno in particolare, di Matematica e Fisica. Diana, che ha 21 anni ed è scappata in un'università di Milano, racconta di quando studiava a Castrolibero: «Una volta, sulla discesa che porta al piazzale dei bus, quel prof mi ha visto dall'auto e ha abbassato il finestrino urlando: "Che coda alta e lunga che porti, sembri proprio una bella cavalla e io ho tanta voglia di galoppare"».

Ricorda, e non ci sono più lacrime ora che è grande: «Dal secondo al quarto liceo scientifico quel docente, insegnante di rara arguzia e brillantezza, ha perpetrato costante violenza nei confronti miei e delle mie compagne. Continue allusioni sessuali, lui le chiamava battute, sulle nostre vite intime, la curvatura del nostro sedere, le dimensioni del seno. Diceva in classe che avrebbe fatto sesso con noi e nessuna, immerse com' eravamo nella cultura sessista di quella scuola, ha davvero pensato potessero essere violenze ». 

Diana, nell'ateneo del Nord, ha preso un rapporto con i collettivi femministi e ha messo a fuoco la questione: «Tutto ciò su cui non sono consenziente è violenza». E otto giorni fa ha calato su Instagram una pagina anonima in cui ricordava il suo passato in una scuola dove le molestie, in verità, non si erano fermate. «Dopo quel lungo post hanno iniziato a scrivere ragazze che conoscevo e altre che non avevo mai visto». 

Le loro storie sono scritte in prima persona: «Durante i compiti in classe», si parla sempre del docente di Matematica e Fisica, «faceva spostare la mia compagna di banco e si sedeva per aiutarmi a prendere la sufficienza. Mentre mi spiegava cosa dovevo fare, poggiava la sua mano sulla schiena e scendeva. Io mi spostavo e dopo un po' lui riprendeva cercando il seno. Non riuscivo a fare e a dire nulla, alla fine del primo anno mi sono trasferita». 

Un secondo post: «Portai prove su quello che succedeva, la preside mi disse che la responsabilità di tutto era mia, ma che mi avrebbero riaccolto se solo avessi riconosciuto le colpe e chiesto scusa». Su un altro docente: «Iniziò a scrivermi su WhatsApp e a fare apprezzamenti riprovevoli durante le lezioni a distanza. Mi videochiamava, cercava di contattarmi in tutti i modi sui social». Da giovedì, questo istituto eccellente con due plessi, otto indirizzi e 1.400 studenti è occupato. I ragazzi si sono ribellati. 

Si radunano nell'aula magna e dormono in palestra: «Resteremo qui finché la preside non manderà via quel docente». Il più insistente. I carabinieri sono già arrivati due volte, hanno fatto saltare i lucchetti messi all'ingresso e la dirigente, Iolanda Maletta, ha minacciato denunce all'autrice della pagina e ai rappresentanti d'istituto. I ragazzi non vogliono fermarsi, però, e la notizia del Majorana-Valentini occupato rischia di calamitare qui, nel weekend, la gioventù di Cosenza.

Dice Carla, quinto anno: «La preside ha nascosto tutto in nome della buona immagine del suo liceo». Rebecca, quinto anno: «Ha imposto un'organizzazione dittatoriale che prevede l'obbligo dell'abito decoroso. Non possiamo andare a scuola con i jeans strappati». Non li indossa nessuno, strappati. C'è stata assemblea larga ieri mattina, studenti, genitori e settanta docenti. 

Il professore di Storia e Filosofia, qui da sei mesi, dice: «I ragazzi hanno fatto bene ad accendere una luce. Adesso, però, non possono pretendere di far cacciare un docente senza un'indagine. E se occuperanno a lungo, faranno male a se stessi». Non c'era, in assemblea, il brillante prof di Matematica e Fisica. Raccontano che la preside Maletta l'abbia messo a riposo: si sono sentite urla durante il loro incontro.  

«Quando andai io a denunciarlo», è ancora Diana, «la dirigente mi rise in faccia: "Non credo che tua nonna, di cui sono amica, sarebbe fiera di te". Quando andò la ragazza che era stata palpeggiata al seno, si limitò a spostare il prof di plesso. E lui cambiò prede. Per le sue molestie aveva a disposizione cinque classi e 50 ragazze all'anno». Quando venite a letto con me? Quando vi trovo in strada per darvi una botta? 

«Questo insegnante ha creato un ambiente tossico che è stato amplificato dai due colleghi e, la cosa peggiore, da molti studenti maschi che si sentivano legittimati a fare battute sulle tette e sui culi delle ragazze. Una vera e propria educazione al sessismo che ha schiacciato chi, come me, chiedeva di studiare e di essere rispettata. "Femminucce, imparate a stare agli scherzi", ci dicevano. Chi si è opposto, è stato bocciato ». Diana, e le altre, hanno pronta una denuncia collettiva.

Cultura e Istruzione. Presunte molestie a scuola, la testimonianza: «Una violenza costante». Il Quotidiano del Sud il 7 Febbraio 2022. 

Una testimonianza diretta, la prima resa pubblica dopo l’occupazione del liceo “Valentini-Majorana” di Castrolibero per le presunte molestie subite dalle studentesse.

Mentre la protesta continua e i sindacati annunciano l’eventuale costituzione civile in caso di procedimenti giudiziari per le denunce degli studenti, dalle pagine di Repubblica arriva la prima testimonianza.

Si tratta di una ex studentessa della scuola, ora universitaria a Milano, che ha raccontato quello che sarebbe successo nell’istituto. Al centro della vicenda c’è un professore di matematica e fisica: «Un uomo brillante, arguto, un insegnante capace e interessante. E, purtroppo, una persona vicina alla mia famiglia», racconta la giovane.

I suoi commenti sfrontati, perché è stato subito sfrontato, nei primi tempi li ho considerati complimenti. Ero piccola e poco strutturata per capire il significato profondo di quelle parole. E l’ambiente, quel mondo scolastico maschilista, certo non mi aiutava

«I suoi commenti sfrontati, perché è stato subito sfrontato – ha aggiunto la ventenne – nei primi tempi li ho considerati complimenti. Ero piccola e poco strutturata per capire il significato profondo di quelle parole. E l’ambiente, quel mondo scolastico maschilista, certo non mi aiutava. Se portavo i capelli con la coda alta, mi chiamava bella cavalla e diceva che aveva voglia di galoppare. Faceva continui commenti sul mio seno, il mio culo, la mia vita sessuale. O quella che lui immaginava con me. Ogni spunto della lezione era un’allusione pornografica. Dal secondo al quarto anno quel docente ha perpetrato una costante violenza nei confronti miei e delle mie compagne. Nessuna di noi, immerse com’eravamo nella cultura sessista di quella scuola, ha davvero pensato potessero essere violenze».

Non solo allusioni, ma anche tentativi di contatto fisico, con una consapevolezza che per la giovane sarebbe arrivata solo dopo il trasferimento a Milano, spingendola ad aprire una pagina Instagram, il Callout, che avrebbe raccolto anche altre testimonianze.

Nel frattempo la vicenda continua ad alimentare reazioni. «Per il sindacato, la scuola non è solo il luogo di lavoro di docenti e personale amministrativo e di supporto, è anche la scommessa per il futuro del Paese. È il luogo dei cittadini e delle cittadine di oggi e di domani. Che, giustamente, devono essere fra i protagonisti del sistema educativo dei percorsi didattici dei luoghi di vita. La realtà nella quale vi siete imbattuti è vergognosa e inaccettabile e il vostro stato di agitazione è la protesta di tutte le persone che non accettano il linguaggio sessista, la prevaricazione fra i generi, la violenza ovunque e comunque si manifesti – dice Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, in un messaggio inviato alle ragazze e ai ragazzi dell’Istituto – Per questo, anche per questo, siamo tutte e tutti al vostro fianco: pronti a sostenere le battaglie, disponibili a supportarvi per quello che vi dovesse servire, in ascolto delle vostre istanze, per incrociare esperienze e progettare una società diversa, davvero diversa».

Anche la Uil Calabria è intervenuta, con il segretario generale Santo Biondo e il responsabile della scuola Andrea Codispoti. «Quanto accaduto a Castrolibero ci pare possa essere definito fatto indegno di un Paese civile. La scuola deve essere un ambiente protetto, un luogo di crescita sociale e culturale e non soltanto un luogo di lavoro. È dentro la scuola che si formano le donne e gli uomini del domani, la nuova classe dirigente – scrive la Uil – Quanto accaduto nell’istituto superiore cosentino, invece, è inaccettabile e vergognoso, è quanto di più distante ci possa essere da come noi immaginiamo l’istituzione scolastica ed il mondo nel quale viviamo. In queste ore, quindi, non possiamo che sostenere la presa di posizione di quegli studenti che han-no deciso di protestare, di far sentire la propria voce e alzare un muro contro l’indifferenza e le molestie. Per questo siamo convinti che, oltre alla naturale indagine interna da parte dell’ufficio scolastico regionale, sia necessario l’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine per fare luce sulle denunce di alcune studentesse. A tutte loro, poi, diciamo con chiarezza che siamo pronti a mettere loro a disposizione, fattivamente, le nostre strutture presenti sul territorio. Ma non solo, annunciamo già da ora che, qualora quanto denunciato dalle studentesse approdasse in un’aula di tribunale, siamo pronti a costituirci parte civile nel processo».

Valentina Santarpia per il "Corriere della Sera" l'8 febbraio 2022. 

«Abbiamo deciso di inviare subito gli ispettori per accertare i fatti e le responsabilità di ognuno nel pieno rispetto delle prerogative della magistratura. Casi come questi non possono rimanere nell'ombra o inascoltati». Interviene il ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi sulla delicatissima vicenda emersa all'istituto Valentini-Majorana di Castrolibero, in provincia di Cosenza.  

Dopo gli sfoghi di alcune ragazze, che hanno raccontato sui social di essere state molestate da un professore, e la denuncia di una studentessa ai carabinieri, la Procura di Cosenza ha aperto un'inchiesta conoscitiva. Non ci sono indagati al momento, ma il fascicolo è stato affidato al pool di magistrati che indaga sui casi di violenza contro le donne. Intanto i compagni di scuola hanno occupato l'istituto ad oltranza: una mobilitazione che durerà, assicurano, finché non sarà fatta chiarezza. 

Il ministero dell'Istruzione e il ministro Bianchi si sono attivati subito, chiedendo alla dirigente scolastica, Iolanda Maletta, una relazione dettagliata. E seguono direttamente con molta attenzione il caso: alla funzionaria inviata dall'ufficio scolastico regionale, Loredana Giannicola, è stato affiancato un ispettore inviato da Roma. Casi di questo tipo - spiegano - non possono rimanere nell'incertezza, senza che vi sia un «rigoroso accertamento dei fatti». 

Secondo gli studenti, la storia andava avanti da un po'. «Tutti sapevano - racconta Fausto Cirillo, del quinto anno - che nel nostro istituto c'erano state delle attenzioni nei confronti delle alunne». Tutti tranne i genitori delle ragazze. «Molte di loro sono terrorizzate e non hanno avuto il coraggio di aprirsi neanche con noi», spiega Antonella Veltri, presidente di Dire, donne in rete contro la violenza. «Siamo stati noi ad avvicinarci a loro e con fatica siamo riusciti a farle parlare».

 Tra l'altro, molte sono in procinto di sostenere la maturità e temevano ripercussioni sugli esami. Molte storie sono raccontate su una pagina Instagram creata ad hoc, dove è stato pubblicato il link per una petizione di solidarietà che ha raccolto 1.700 firme. Si parla anche di una mail che un professore avrebbe inviato a una studentessa, in cui faceva commenti piuttosto spinti sul suo aspetto fisico. 

L'email sarebbe stata consegnata alla dirigente dell'istituto che, secondo i ragazzi, avrebbe sottovalutato la situazione. «La preside - racconta il fratello della studentessa coinvolta - sapeva e non ha fatto nulla se non spostare il docente in un altro plesso». Le molestie si sarebbero moltiplicate nel periodo della Dad. 

I professori, avendo avuto accesso ai recapiti telefonici delle alunne e al computer, le avrebbero infastidite anche in orario extrascolastico. «Hanno violato la nostra intimità - dicono alcune ragazze -. Mentre facevamo lezioni con la didattica a distanza, alcuni docenti ci facevano domande personali e intime. Ci facevano apprezzamenti sul nostro abbigliamento con chiare allusioni».

Molestie al liceo di Castrolibero, Prof di sinistra accusato dagli studenti Me too. PARIDE LEPORACE su Il Quotidiano del Sud il 9 Febbraio 2022.

“Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone, forse quella che sola ti puo’ dare una lezione” cantava Fabrizio De Andrè nella “Città vecchia”. Avercelo ancora il Faber per nuovi versi su un professore splendido cinquantenne, aitante e colto, e di sinistra, che ha fatto finire in un tritacarne mediatico distruttivo il Polo scolastico “Maiorana- Valentini” per una vicenda dai contorni tutti ancora da chiarire anche se i particolari in cronaca sono abbastanza devastanti. La lezione, questa volta, la sta dando un’intera scuola a troppi adulti che forse si sono girati colpevolmente dall’altra parte. 

Spira un forte vento di tramontana sul piazzale di un istituto modello illuminato dal sole di febbraio sulla collina di Castrolibero, zona residenziale di Cosenza, al centro di una storia legale e sociologica destinata a diventare paradigma del tempo che cambia.

Il servizio d’ordine degli studenti è gentile a far passare circo mediatico, genitori e carabinieri assiepano l’edificio al sesto giorno di occupazione nata per un “affaire” esplosivo da raccontare con i guanti e tutti gli accorgimenti che il caso richiede. 

Il portavoce degli studenti, megafono in mano, eloquio colto e modi cordiali, Fausto, mi dice: “Siamo gli studenti del Me Too scolastico. La nostra comunità non poteva stare in silenzio subendo questo stato di prevaricazione”. Ha ragione Fausto. Il mondo è cambiato anche ad Hollywood quando delle attrici uscirono allo scoperto denunciando le violenze sessuali di Harvey Weinstein e mostrarono in modo visibile cosa si nascondeva da decenni dietro il dorato mondo del cinema. 

Dei giovani millennial calabresi, occupando la loro scuola e denunciando pubblicamente i comportamenti che riguardano un docente, sembrano aver scoperchiato un vaso di Pandora dall’odore nauseabondo che potrebbe aprire una reazione a catena imprevedibile. I fatti sono noti da giorni. Molestie sessuali, insistenti e ripetute, da parte di un prof nei confronti delle studentesse non hanno trovato ascolto, ma anzi avrebbero subito indifferenza da chi doveva gestire il garbuglio con altra prontezza. Una storia della contemporaneità, che ha trovato il suo detonatore sui social con la pubblicazione su Instagram di una presunta vittima, oggi maggiorenne e fuorisede che ha fatto saltare il tappo. Troppi anni di silenzio per fatti così gravi.

Tutti conoscono il professore sospettato per le molestie. Antropologicamente insospettabile ma dannatamente coinvolto nelle sue presunte perversioni con diverse sue studentesse. Un professore di altra scuola, che lo conosce personalmente per giovanile militanza collaterale a sinistra mi dice: “Mi è caduto il cielo addosso. Mai avrei pensato”. Un collega, stessa parte politica: “E’ un cretino. Il fatto è grave. I ragazzi perderanno la nostra fiducia”. Una professoressa lo descrive “Colto, competente, anche brillante”. Il professore da giovane ha frequentato Palazzo degli Uffici, zona rossa della città nella geografia territoriale degli anni Settanta. La deputata Enza Bruno Bossio, che verosimilmente lo ha frequentato ai tempi della Fgci, fedele alla sua militanza femminista, non ha esitato un attimo a farsi promotrice di un’interpellanza parlamentare senza tener conto di nessuna relazione corta. 

Il professore di lungo corso, in un paese della provincia, dopo un matrimonio finito male, visse una storia di un anno con una sua ex studentessa che portò non poche tribolazioni nella famiglia della ragazza. Ma questo è amore consenziente tra due persone di diverse età. Tutto altro refrain quello di presunte molestie. Il nome del professore è di tendenza sui social. Ma il suo profilo è stato oscurato. Abbiamo fatto in tempo a vedere lunedì le sue manifeste appartenenze alla Sinistra riformista e a notare un messaggio di auguri da parte di una studentessa che oggi lo accusa senza un se e senza un ma.

Un tornado si è scagliato contro la dirigente scolastica Jolanda Maletta. Asserragliata in presidenza in quella scuola che presidia tutto l’anno da mattino a sera. Già in età di pensione ha avuto la possibilità di restare. In giro vedo molti studenti con i jeans strappati, proibiti a scuola prima di questa rivolta. Chi trasgrediva veniva mandato in presidenza per un cambio con dei pantaloni di tuta che la dirigente teneva a disposizione per evitare trasgressioni. Non sarebbe andata allo stesso modo con chi ha denunciato le molestie.

La dirigente Maletta, molto introdotta nei progetti a pagamento, un marito ex sindacalista nella Uil scuola (primo sindacato che ha espresso subito solidarietà agli studenti) due parenti dirigenti scolastici, in ottimi rapporti con l’Ufficio scolastico regionale, è chiusa nella sua stanza e non parla più con i giornalisti dopo aver gestito male le prime interviste rilasciate ai media locali. Aveva già peccato di comunicazione quando uno studente del “Majorana-Valentini” era stato picchiato a sangue fuori dalla scuola. Ma soprattutto la dirigente Maletta, se confermati i riscontri, avrebbe, forse nella convinzione di preservare il buon nome della sua scuola, ignorato le segnalazioni sul professore molesto. Ci sarebbe anche altro. Una delle ragazze molestate, in passato, avrebbe denunciato un brutto affare di un video che la ritrae in pose molto intime con uno studente. I due erano candidati in liste contrapposte al Consiglio d’istituto. Il maschio avrebbe utilizzato il filmato per screditare la ex. La preside, informata dall’accaduto, avrebbe minacciato la studentessa di gravi provvedimenti. Tutto da accertare per ispettori del ministro e magistrati. Come quella dell’assenza prolungata del professore sospetto, ora bisognerà verificare se era in malattia o aveva cambiato momentaneamente scuola.

Al “Maiorana-Valentini” l’occupazione si svolge anche giocosa. Due ragazzi suonano le chitarre sotto il sole, fuori dalla palestra una cassa fa rimbombare vecchi hit. Ci raccontano che l’altra sera gli occupanti si sono messi a ballare lenti in un clima da “Tempo delle mele” quasi a voler allontanare il clima avvelenato, non bastasse la pandemia che hanno vissuto. I ragazzi tengono lontani gli studenti delle altre scuole per impedire “casini” di ogni tipo. Molti professori e docenti sono solidali. Dialogano e portano pizze e vivande. Si dorme all’addiaccio. L’occupazione si è confrontata con le attiviste del Centro contro la violenza intitolato a Roberta Lanzino e con le agguerritissime “Fem.in.” che hanno dispensato consigli sulla guerriglia mediatica. Gli studenti maschi dichiarano autocritica per aver avvalorato comportamenti disdicevoli e maschilisti. Tutto questo a Castrolibero nel primo liceo occupato in Italia per “Me too”. Dove non c’era un vecchio professore che voleva sentirsi dire: “Micio bello e bamboccione”.

(ANSA il 5 Febbraio 2022) - Le molestie sessuali possono accadere anche nella realtà virtuale. Per questo Meta - la casa madre di Facebook, Instagram, WhatSapp e Messenger - ha annunciato di aver introdotto una distanza obbligatoria di quattro piedi (un metro e 20 cm) tra gli avatar digitali delle persone. 

"Un confine personale impedisce a chiunque di invadere lo spazio personale dell'avatar. Se qualcuno tenta di varcarlo, il sistema fermerà il movimento quando raggiunge il confine", ha spiegato la società di Marc Zuckerberg, che ha introdotto la protezione di 4 piedi come impostazione predefinita in due app di realtà virtuale: Horizon Worlds, dove le persone possono incontrare altri utenti e creare il loro mondo; e Horizon Venues, che ospita eventi virtuali come spettacoli comici o musicali. 

La nuova misura è stata varata dopo che in dicembre un utente che stava testando Horizon Worlds si è lamentato di essere stato palpato online e ha chiesto una bolla protettiva intorno al suo avatar. "Le molestie sessuali non sono uno scherzo su internet ma, accadendo nella realtà virtuale, aggiungono un altro livello che le rende ancora più violente", ha spiegato l'utente.

La hostess molestata a Malpensa: «Sono indignata, mi hanno detto che 20 secondi sono troppi per reagire». Giampiero Rossi su Il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2022.

Barbara D’Astolto, 45 anni, due figlie, ha denunciato un sindacalista della Fit Cisl, Raffaele Meola, perché le ha messo le mani addosso durante un incontro di lavoro. È stato assolto: «Sentenza inaccettabile, farò ricorso»

«Sono arrabbiata. Non ho versato una lacrima ma sono proprio arrabbiata perché fatico a capire se una donna ha o no il diritto ad aver paura per venti secondi prima di capire come reagire alle mani addosso di un uomo». Barbara D’Astolto, 45 anni, due figlie, di professione assistente di volo. Nel 2018 ha denunciato un sindacalista della Fit Cisl, Raffaele Meola, perché le aveva messo le mani addosso durante un incontro di lavoro negli uffici del sindacato presso l’aeroporto di Malpensa. Mercoledì il tribunale di Busto Arsizio ha emesso la sentenza: il collegio giudicante composto da tre donne ha assolto il sindacalista per «insussistenza del fatto», sebbene la ricostruzione della donna sia stata ritenuta «credibile». Perché, in sostanza, la reazione ai palpeggiamenti non sarebbe stata tempestiva ma — secondo quanto emerso durante il dibattimento — sarebbe arrivata soltanto dopo almeno venti secondi. Assoluzione, dunque, ma con motivazioni che aprono il campo a molte polemiche. «Restituite dignità e pace al mio assistito» dice il difensore di Meola che evoca scenari di faide sindacali. «Sentenza intrisa di pregiudizi sessisti, ancora una volta si addossa alla donna la responsabilità del crimine» replica la legale di parte civile, Teresa Manente.

Barbara D’Astolto, secondo il tribunale lei non avrebbe reagito tempestivamente all’uomo che la stava toccando.

«In questi anni trascorsi da quando è iniziata tutta questa storia mi sono fatta una piccola cultura, ho letto molto su questa materia odiosa e ho appreso che c’è stato un giudice che ha affermato che indossare il perizoma è una provocazione, un altro che ha detto che la vittima era brutta e che quindi non poteva indurre in tentazione, un altro che ha sottolineato i comportamenti libertini della donna... Adesso apprendo che anche la paura non conta. Ma vorrei capire se le cose stanno davvero così, sapere se alle mie figlie dovrò spiegare che se mai capiterà anche a loro avranno venti secondi per reagire altrimenti meglio tacere e prendersi le mani addosso».

Ma lei ha reagito o no?

«È stata una situazione repentina, inattesa. Ero in un ufficio sindacale, concentrata su una questione delicata che riguardava la mia vita lavorativa e familiare. E all’improvviso mi sono ritrovata le sue mani addosso».

Cosa ricorda di quei momenti?

«Pensavo: “E mo’ che faccio? Lui è grande e grosso, gli tiro un ceffone? E se lui me ne lo ridà più forte?”. Insomma, ho avuto paura, sono rimasta impietrita per alcuni secondo. È ammissibile questo?».

Però le è stato contestato un certo ritardo anche nello sporgere denuncia?

«In quel momento avevo solo la mia parola contro la sua, nient’altro. Mi consumavo tra la rabbia per l’accaduto e il timore di mettermi nei guai. Poi ho saputo che c’erano altre donne, colleghe mai conosciute prima, che avevano vissuto situazioni simili in precedenza con lui, compresa una norvegese che lo aveva denunciato soltanto due settimane prima».

La vicenda non ha suscitato reazioni pubbliche da parte degli ambienti sindacali. Lei ha ricevuto qualche segnale di solidarietà?

«Zero. Una grande delusione, perché io ho sempre creduto nei sindacati. Qualcuno poteva dire almeno un “mi dispiace”. In fin dei conti è avvenuto negli uffici della Fit Cisl. Sia pure riservandosi il diritto al dubbio... Istituiscono sportelli per le donne, le invitano a denunciare, ma se poi sono questi gli atteggiamenti come si fa a crederci? Persino le colleghe che hanno testimoniato per me stanno subendo ostracismo e isolamento dalla UilTrasporti».

Farà appello?

«Sì, voglio sapere da altri giudici se davvero avevo soltanto venti secondi per decidere come reagire a quelle mani addosso».

Racconterà questa storia alle sue figlie?

«Certo e spiegherò come sono andate le cose e che forse a noi donne tocca ancora sperare che non ci succeda niente. Ma racconterò anche come si è comportato il loro papà, che mi ha sempre sostenuto anche con il silenzio, e le esorterò a scegliere uomini che assomiglino a lui».

Firenze, Creazzo ci ripensa: niente più pensione anticipata. Il magistrato aveva annunciato il prepensionamento dopo l'avvio del procedimento disciplinare per le presunte molestie su una collega, per le quali fu punito con un "buffetto". Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 28 gennaio 2022.

Colpo di scena a Firenze: il procuratore Giuseppe Creazzo ha revocato la domanda per andare in pensione in anticipo ed ha chiesto di andare alla Procura nazionale antimafia. Il magistrato, in attesa delle valutazione del Csm resterà, dunque, alla guida della Procura del capoluogo toscano fino alla prossima estate, quando terminerà gli otto anni di permanenza massima nell’incarico previsti dalle norme sulla dirigenza. Era stato lo stesso magistrato ad annunciare ai giornalisti, all’inizio di maggio del 2021, di aver presentato domanda di prepensionamento per una «scelta autonoma e personale, avendo già maturato più di 44 anni di servizio».

Il prepensionamento sarebbe dovuto decorre dallo scorso dicembre. «La mia scelta – precisò Creazzo – è scaturita dal fatto, verificatosi nei primi giorni di questa settimana, che il Csm ha definito le procedure concorsuali per i posti direttivi che formavano oggetto delle ultime mie domande pendenti (come la Procura di Roma, ndr) assegnandoli ad altri magistrati. Poiché – proseguì il magistrato – non potrò più fare domande perché ho raggiunto i limiti di età, la mia carriera professionale non ha ulteriori prospettive. Per questo ho liberamente scelto di chiedere di andare in pensione». In molti ipotizzarono subito un collegamento fra la domanda di prepensionamento e il procedimento disciplinare davanti al Csm per aver molestato sessualmente la pm antimafia di Palermo Alessia Sinatra che gli era stato aperto in quei giorni. Una scelta, quella del prepensionamento, aspramente criticata in quanto avrebbe archiviato sul nascere il disciplinare.

Il procedimento nei confronti di Creazzo era nato in modo assolutamente fortuito. Dopo aver sequestrato il cellulare dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione, gli inquirenti, fra le tante chat, avevano trovato anche quella con la magistrata siciliana. La pm, che non aveva mai denunciato la molestia accaduta qualche anno prima in un corridoio di un albergo romano, era solita sfogarsi con Palamara, a cui era molto legata per vicende di corrente, con apprezzamenti molto pesanti su Creazzo. A maggio del 2019, periodo della chat incriminata, Creazzo era in corsa per succedere a Giuseppe Pignatone alla guida della Procura di Roma. La Procura generale, acquisita la chat, aveva quindi aperto il disciplinare sia nei confronti di Creazzo che della stessa Sinatra per comportamento “gravemente scorretto”.

Secondo la contestazione, la pm avrebbe voluto condizionare negativamente i consiglieri del Csm per una sorta di “rivincita morale” sul capo dei pm di Firenze. Divenuta la notizia di pubblico dominio, Creazzo non commentò, affermando di aver «mantenuto il doveroso e assoluto riserbo che si conviene a un uomo delle istituzioni quale io sono», riaffermando «pubblicamente di non avere in nessun modo commesso i fatti che mi sono stati contestati».

Il procedimento disciplinare di Creazzo si era concluso a dicembre con la perdita di due mesi di anzianità. Nella sentenza alcuni dei capi di incolpazione erano stati archiviati dal momento che «la vicenda si poteva ascrivere a un evento fra privati».

Ritirata allora domanda di prepensionamento e considerando il fatto che il Csm non ha avviato una procedura per il trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale, Creazzo potrà continuare a dirigere la Procura di Firenze in un momento molto delicato sul fronte delle indagini, ad iniziare da quella sulla Fondazione Open di Matteo Renzi. «Ho l’impressione che la magistratura ed il suo organo di autogoverno debbano fare ancora tanta strada prima di acquisire una maggiore consapevolezza del valore della dignità della donna nell’ambiente di lavoro e dell’adeguatezza della relativa tutela», aveva detto il professore Mario Serio, difensore della pm siciliana, la cui posizione è ancora in attesa di essere definita. 

Da ilsitodifirenze.it il 17 dicembre 2021. La sezione disciplinare del Csm ha inflitto la sanzione della perdita di due anni di anzianità al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, accusato da una collega, la pm di Palermo Alessia Sinatra, di averla molestata sessualmente nel 2015 in un hotel della capitale dove era in corso un'iniziativa della loro corrente, Unicost. 

Come riporta l'Agi, il procedimento disciplinare - che aveva preso il via lo scorso maggio e che si è svolto interamente a porte chiuse - si è concluso ieri sera e la sanzione disciplinare è stata adottata relativamente al capo di inerente le avances - che non sono state oggetto di azione penale per mancanza di querela della persona offesa - mentre riguardo la seconda incolpazione - anche questa mossa al capo dei pm di Firenzedalla procura generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare - inerente la "violazione del dovere di correttezza e di equilibrio" con il "comportamento gravemente scorretto" nei confronti della collega, la disciplinare ha escluso l'addebito, ritenendolo quale un fatto avvenuto "tra privati", ed assolto Creazzo.

Estratto dell’articolo di Francesco Grignetti per lastampa.it il 17 dicembre 2021. Sanzione severa del Consiglio superiore della magistratura nei confronti del procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo. Gli hanno cancellato due mesi di anzianità. Può sembrare poca cosa. Ma è un solenne ceffone morale. Perché si sanziona una molestia sessuale nei confronti di una collega, la palermitana Alessia Sinatra. […] La storia di questa molestia, infatti, risalente al 2015, svoltasi nell’ascensore di un hotel romano a conclusione di una iniziativa della corrente Unicost, venne fuori nel vortice del caso Palamara. Quando la magistratura di Perugia esaminò il cellulare di Palamara […] si trovò anche lo sfogo della Sinatra, che raccontava a Palamara di quell’odiosa molestia subita da Creazzo, e che proprio per questo chiedeva fermamente a Palamara di non sostenere il procuratore di Firenze per il gran salto alla procura di Roma. C’è da dire che Creazzo stesso ha subito capito di non avere scampo, anche se nega decisamente i fatti come ricostruiti dalla Sinatra. Nel maggio scorso ha chiesto al Csm di poter andare in pensione anticipatamente, ma perché ha 44 anni di anzianità n magistratura e non per altro. […] quelle contestazioni disciplinari sono state ritenute fondate dal Csm, che punisce Creazzo con una sanzione grave, in linea con gli standard che il Consiglio si è dato.

Da liberoquotidiano.it il 17 dicembre 2021. Andrea Serrani, il tifoso della Fiorentina che sabato sera 27 novembre ha dato una pacca sul sedere in diretta alla giornalista Greta Beccaglia che era in collegamento dallo stadio con Toscana Tv ora rischia grosso. L'uomo, che ha 45 anni, una compagna e una figlia di 6, ed è un ristoratore di Chiaravalle, in provincia di Ancona, è accusato di violenza sessale dalla Procura che ha aperto un fascicolo. Lui si difende: "Non è stato un atto di sessismo ma una goliardata, ero con un amico ed eravamo arrabbiati perché la nostra squadra aveva perso e non avevo alcuna intenzione di molestare quella ragazza. Ho capito di aver sbagliato e sono pronto a incontrarla e a chiederle scusa in diretta tv", ha detto. Ma la "goliardata", osserva il Corriere della Sera, potrebbe costare al ristoratore una condanna da 6 a 12 anni di carcere e a breve un Daspo del prefetto di Firenze. La polizia di Empoli, che ha lo ha identificato, sta inoltre accertando se ci siano altri responsabili. La giornalista Beccaglia ha raccontato di essere stata aggredita, sempre a fine partita, da un altro tifoso che avrebbe tentato di molestarla e solo l'intervento del cameraman l'avrebbe salvata.

(ANSA il 17 dicembre 2021) Giorgio Micheletti, il giornalista conduttore della trasmissione sportiva di Toscana Tv per cui lavora Greta Beccaglia, la cronista molestata dai tifosi della Fiorentina davanti allo stadio di Empoli il 27 novembre 2021, denuncerà le tante persone che con minacce e offese lo hanno bersagliato sui social web network.  "Trascorsi circa 20 giorni - afferma Micheletti - è il momento di comunicare di essermi rivolto al mio avvocato penalista per tutelare la mia onorabilità dai gravissimi attacchi ricevuti. L'attesa è dovuta al fatto di voler evitare di contribuire al troppo clamore mediatico". Micheletti precisa che le iniziative legali per cui è stato incaricato l'avvocato Massimiliano Manzo del foro di Firenze "non hanno alcuna mira economica: qualunque risarcimento verrà integralmente devoluto alla Fondazione Tommasino Bacciotti, di cui ho grande stima". Quando Greta Beccaglia veniva molestata, ricostruisce Micheletti in una nota, "per tranquillizzarla la invitai a 'non prendersela' e dopo pochi secondi chiusi il collegamento, condannando in modo netto e perentorio la violenza subita dall'inviata": ciononostante il mondo dei social network, prosegue il conduttore, "prestava attenzione unicamente alla frase 'non prendertela' con pesanti offese e minacce contro di me per non aver fatto abbastanza". Lo studio legale dell'avvocato Manzo sta selezionando numerosi profili social dove sono comparsi commenti offensivi e minatori i cui estensori saranno destinatari di specifiche querele per l'ipotesi dei reati di diffamazione e minacce oltre che per la richiesta del risarcimento dei danni. "Giorgio Micheletti, che è uno stimato giornalista - spiega l'avvocato Manzo - si è rivolto a me per tutelare il suo onore e la sua reputazione, nonché la sua sicurezza personale, perché ha ricevuto pesanti minacce e diffamazioni sui social Fb e Instagram equiparabili alla diffamazione aggravata dall'utilizzo del mezzo stampa data la potenza di questi social. Ha deciso di fare querela poiché la gente si è scatenata scioccamente contro una persona perbene isolando dal contesto solo quella frase 'Non te la prendere' detta solamente per tenere calmi i toni mentre la ragazza era sola in mezzo a quei tifosi. Per i profili con le frasi più gravi ci saranno querele mirate". "Molti profili - aggiunge il legale - sono schermati da nomignoli spesso di difficile lettura, ma chiederemo all'autorità giudiziaria requirente che voglia accertare l'identità attraverso l'Ip usato". 

Dagonews il 13 dicembre 2021. Quando a “toccare” le giornaliste in tv non erano i tifosi ma i piloti. Dopo il caso di Greta Beccaglia, la cronista molestata in diretta all’uscita dallo stadio, si è tornati a parlare di sessismo in tv. Sui social furoreggia un video del ’95 di "Mai dire gol" in cui la giornalista Claudia Peroni intervista i due piloti della Ferrari Gerhard Berger e Jean Alesi che si divertono a palpeggiarla. Una clip che, ai giorni nostri, susciterebbe un vespaio di polemiche. “Nel ’95 il mondo girava in un’altra maniera, era anche più maschilista. Se questa cosa fosse successa oggi, la mia reazione sarebbe stata diversa. Sono anche più esperta. Non glielo avrei permesso”, confessa Claudia Peroni, giornalista Mediaset ed ex pilota di rally. “Sono d’accordo con il pensiero di Sgarbi: “Quel che ha fatto Benigni con la Carrà nella celebre puntata di Fantastico, oggi non sarebbe più possibile. Così allo stesso modo anche quel siparietto con Berger e Alesi ai giorni nostri non sarebbe proponibile”. Nel video “incriminato” la Peroni cerca di stemperare: “Sarei sembrata ridicola se mi fossi offesa. In diretta devi imparare a gestire le situazioni. Il caso di Greta Beccaglia è diverso, nessuno è intervenuto in difesa della ragazza, non è stato gestito bene”. Secondo Cinzia Fiorato, ex conduttrice del Tg1, negli anni ’90 “se ti mostravi mortificata per queste cose ti dicevano che eri una psicolabile”. “Non condivido – ribatte Claudia Peroni – erano situazioni di lavoro che dovevi saper gestire autonomamente. All’epoca andai ospite in una puntata del Maurizio Costanzo Show dedicata alle donne che fanno lavori da uomini e dissi che noi donne dobbiamo imparare a difenderci e a rafforzarci”. Su questo la giornalista la pensa come Natalia Aspesi che su Repubblica ha scritto: “Decenni fa quando sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso”. Ma oggi la Peroni avrebbe preso a calci Berger e Alesi? “No, erano due abituati a scherzare e io avevo molta confidenza con loro. Ma sicuramente oggi li avrei messi a posto in maniera diversa…” 

Da liberoquotidiano.it il 16 dicembre 2021. Eleonora Daniele a Storie Italiane torna sul caso di Greta Beccaglia, la giornalista molestata in diretta dopo la partita dell'Empoli. Parla di molestie sulle donne, nello specifico sugli abusi che a volte le donne devono subire sui luoghi di lavoro. Maria Teresa Ruta, ospite in studio, racconta la sua esperienza vissuta di abusi, spiegando di non aver mai denunciato perché vittima di un sistema in cui non sarebbe stata capita e non sarebbe stata creduto. "Ho taciuto, ma quello che è successo a Greta mi ha ferito perché credevo che dopo tanti anni fossimo stati in grado di educare i nostri figli ed essere migliori". A parlare è anche Claudia Peroni, giornalista sportiva, che ha dichiarato di essere stata palpeggiata da due piloti di Formula 1, Berger e Alesì. "Mi palpeggiarono, allora so che non era fatto con malizia, ma erano altri tempi. Tendo a precisare che io non ho mai parlato di molestie ma se fosse successo oggi sicuramente sarebbe stato un altro caso. Quello che è accaduto a Greta Beccaglia era di pessimo gusto, nel mio caso era diverso, loro erano persone abituate a scherzare, io li conoscevo bene". Parole che non sono piaciute alla Daniele che ha ribadito che palpeggiare una donna non è mai giustificabile, nemmeno in un contesto di amicizia se lei non è consenziente.

Dagonews del 13 dicembre 2021. Quando a “toccare” le giornaliste in tv non erano i tifosi ma i piloti. Dopo il caso di Greta Beccaglia, la cronista molestata in diretta all’uscita dallo stadio, si è tornati a parlare di sessismo in tv. Sui social furoreggia un video del ’95 di "Mai dire gol" in cui la giornalista Claudia Peroni intervista i due piloti della Ferrari Gerhard Berger e Jean Alesi che si divertono a palpeggiarla. Una clip che, ai giorni nostri, susciterebbe un vespaio di polemiche. “Nel ’95 il mondo girava in un’altra maniera, era anche più maschilista. Se questa cosa fosse successa oggi, la mia reazione sarebbe stata diversa. Sono anche più esperta. Non glielo avrei permesso”, confessa Claudia Peroni, giornalista Mediaset ed ex pilota di rally. “Sono d’accordo con il pensiero di Sgarbi: “Quel che ha fatto Benigni con la Carrà nella celebre puntata di Fantastico, oggi non sarebbe più possibile. Così allo stesso modo anche quel siparietto con Berger e Alesi ai giorni nostri non sarebbe proponibile”. Nel video “incriminato” la Peroni cerca di stemperare: “Sarei sembrata ridicola se mi fossi offesa. In diretta devi imparare a gestire le situazioni. Il caso di Greta Beccaglia è diverso, nessuno è intervenuto in difesa della ragazza, non è stato gestito bene”. Secondo Cinzia Fiorato, ex conduttrice del Tg1, negli anni ’90 “se ti mostravi mortificata per queste cose ti dicevano che eri una psicolabile”. “Non condivido – ribatte Claudia Peroni – erano situazioni di lavoro che dovevi saper gestire autonomamente. All’epoca andai ospite in una puntata del Maurizio Costanzo Show dedicata alle donne che fanno lavori da uomini e dissi che noi donne dobbiamo imparare a difenderci e a rafforzarci”. Su questo la giornalista la pensa come Natalia Aspesi che su Repubblica ha scritto: “Decenni fa quando sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso”. Ma oggi la Peroni avrebbe preso a calci Berger e Alesi? “No, erano due abituati a scherzare e io avevo molta confidenza con loro. Ma sicuramente oggi li avrei messi a posto in maniera diversa…”

Dagospia il 29 dicembre 2021. Giorgio chiuda una onorata carriera in questo modo, dicendo che l’evento in questione non c’entra nulla col suo addio. Ecco il risultato ottenuto da chi si scandalizza per professione e spara nel mucchio. Mi fa schifo come chi palpeggia una donna fuori dallo stadio. Lo sappiano.

Da iltempo.it il 29 dicembre 2021. Giorgio Micheletti lascia il giornalismo. Il conduttore è stato protagonista del caso Greta Beccaglia, inviata della trasmissione di Toscana Tv allo stadio Castellani per la sfida tra Empoli e Fiorentina e molestata in diretta da un paio di tifosi viola.

“Dai non te la prendere” la prima reazione del conduttore da studio, una frase che ha scatenato il putiferio sui social nonostante appena pochi istanti dopo Micheletti abbia usato parole durissime nei confronti di chi ha aggredito la sua inviata.

Dopo la sospensione dalle frequenze televisive Micheletti ha deciso di andare in pensione, annunciando la scelta con una lettera pubblica sul suo sito personale. 

“La mia avventura lavorativa finisce qui. E' una decisione - spiega Micheletti, ma è difficile credere che l’evento legato alla Beccaglia non abbia influito - presa da tempo nella quale gli ultimi episodi non hanno il minimo peso.

Sono stati 46 anni di impegno ma anche di divertimento. Ho conosciuto belle persone e brutti personaggi, ho fatto sbagli e cose buone. In definitiva sono sempre stato me stesso con pregi e difetti di tutti gli esseri umani.

Dovrei ringraziare moltissimi e chiedere scusa a qualcuno: per farlo coinvolgo a nome di tutti Sonia Fusco che ringrazio per tutto il lavoro che ha fatto per me in questi anni e le chiedo scusa per non essere stato in grado di qualificare di più il suo lavoro.

Un abbraccio lo mando anche a Ruggero Muttarini che mi ha portato in questo mondo e a Omar Nobili, che mi ha guidato con amicizia prima che con professionalità. Buona vita - chiude la lettera di commiato - e come dicono negli spogliatoi dei football americano ‘è stato un onore condividere il campo con voi’”.

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 31 dicembre 2021. Qualcosa non torna. Giorgio Micheletti ha lasciato la conduzione di Toscana Tv ed è andato in pensione. Il conduttore era finito al centro di pesanti polemiche lo scorso 27 novembre per essersi rivolto alla giornalista Greta Beccaglia inviata allo stadio di Empoli, negli istanti successivi alla molestia sessuale subita da parte di un tifoso della Fiorentina, con la frase «dai non te la prendere». 

Andato o convinto ad andarsene? Fabio Ravezzani, conduttore di Telelombardia e direttore generale del Gruppo Mediapason, pensa a un invito forzato: «Dice che aveva deciso da tempo, ma nessuno gli può credere. Troppi consequenziali eventi e decisione». E aggiunge: «Le scuse successive di Micheletti non sono bastate alla narrazione di certe prefiche del politically correct. Fa specie che la sua emittente anziché difenderlo per senso di giustizia lo abbia vilmente subito sospeso».

Tutta colpa di «buona parte della comunicazione», sempre assetata di «mostri». Ravezzani ha ragione, ma a quale comunicazione si riferisce? Micheletti è stato invitato da Geppi Cucciari, su Rai3, che gli ha permesso di raccontare la sua versione. È stato difeso da Ferrara sul Foglio: «Possibile che la cultura del piagnisteo sia arrivata al punto di considerare censurabile, omertoso, maschilista, un gesto di affetto e di sostegno espresso in una formula verbale dignitosa?».

A proposito della sospensione, sul Corriere ho scritto: «È una decisione senza senso, demagogica e puerile». Certo, c'è stato l'improvvido intervento del presidente dell'Ordine toscano Giampaolo Marchini, ma la maggior parte delle critiche è provenuta dal plotone di esecuzione dei social, dai leoni da tastiera che non sanno nemmeno cosa sia una diretta tv. È questa la comunicazione? È successo a Toscana Tv, ma domani potrebbe succedere nei grandi media: siamo nelle mani della suscettibilità dei social.

«Che sarà mai una pacca sul sedere»: chi non prende sul serio le molestie alle donne sul lavoro. Da mesi l’Espresso raccoglie storie di abusi con la campagna #lavoromolesto in collaborazione con Cgil. Ma anche nei commenti emerge quanto la sottovalutazione e minimizzazione di queste violenze sia estesa. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 10 gennaio 2022.

Ci sono le storie, dure e crude. E i commenti. Talvolta rivelatori di quanto siano radicati i cliché. «Morire dentro per una pacca sul sedere. Mi mancava», scrive un utente sui social. Sotto il post con la storia di una ragazza di 21 anni che descrive come si è sentita dopo aver subito molestie da parte del suo responsabile, davanti agli occhi di chi seguiva il corso in piscina. Fabiola non ha più parlato dell’accaduto per non invalidare il tirocinio e perdere i crediti che le servivano per laurearsi. «Lo sport è uno degli ambiti professionali in cui le donne sono più riluttanti nel denunciare le violenze», spiega Daniela Simonetti, presidente dell’organizzazione Il Cavallo Rosa/ChangeTheGame, impegnata a proteggere atlete e atleti da violenze e abusi sessuali, emotivi e fisici. «Le regole sono vecchie, il linguaggio cristallizzato, sussistono comportamenti di tipo omertoso che pongono denunciante e denunciato sullo stesso piano, così tante hanno timore di raccontare, per paura di essere costrette a interrompere la carriera». Questo vale soprattutto per le atlete ma anche per le operatrici del settore. La storia di Fabiola è una delle tante che sono arrivate a #lavoromoloesto, la campagna che L’Espresso porta avanti con Cgil Piemonte e Umbria, lanciata in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, lo scorso 25 novembre.

«Avrebbe dovuto denunciare? Se avesse denunciato che cosa sarebbe successo?», scrive un altro utente a proposito di Lara, assistente alla poltrona in uno studio dentistico, che, il giorno dopo essere sfuggita al suo capo che, con i pantaloni abbassati, le chiedeva di fare sesso alla fine del turno, ha trovato un’altra pronta a prendere il suo posto al lavoro. Lara non ha mai denunciato e per questo si sente in colpa, soprattutto perché suppone che quanto successo a lei potrebbe essere accaduto anche ad altre lavoratrici dello stesso studio. Secondo una ricerca internazionale effettuata su un campione di oltre 60 mila lavoratori, coordinata dal Dipartimento di Psicologia dell’università Sapienza di Roma, chi ha un impiego precario è più esposto a comportamenti sessuali indesiderati e alle molestie, rispetto ai colleghi che hanno un impiego stabile. Le donne riportano di essere state oggetto di molestie sessuali con una frequenza tre volte maggiore degli uomini. In particolare, il rischio di violenza aumenta quando il precariato è associato all’imprevedibilità degli orari e al fatto che i lavoratori debbano svolgere più incarichi contemporaneamente.

«Da quando i commenti piccanti sull’altro sesso in una chat privata sono diventati reati? Smettetela con questo politicamente corretto. Non se ne può più!», commenta un utente per entrare nel dibattito che si è aperto sul web dopo la pubblicazione delle storie di Cristina e Angelica, impiegate in due grandi aziende, che hanno raccontato di sentirsi trattate come oggetti sul posto di lavoro, perché donne. Ad Angelica i superiori chiedevano, ogni volta che i dirigenti da Roma e Milano venivano in visita, di vestirsi in modo consono, cioè di mettersi la minigonna. Alla scadenza del contratto ha cambiato lavoro.

Cristina, invece, ogni volta che si alza dalla scrivania, deve sopportare risatine, mormorii, battutine a sfondo sessuale. Un continuo chiacchiericcio alle spalle che la fa sentire inadeguata e rende le ore pesanti. Un giorno è venuta a sapere che colleghi e superiori, nei momenti liberi sul posto di lavoro, organizzano dei veri e propri contest: «Chi ha le chiappe più belle?, Chi il seno più grande? Chi accende maggiormente la tua energia sessuale?». Una classifica a punti in cui le donne diventano cose da valutare asetticamente, di nascosto, per fare quattro risate e spezzare la routine. Non episodi di violenza fisica chiaramente circoscrivili ma molestie che, come è scritto nella Convenzione numero190 dell’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, sono pratiche e comportamenti inaccettabili, ma anche la minaccia di porli in essere, che possono comportare danni fisici, psicologici, sessuali o economici, e includono la violenza e le molestie di genere.

La Convenzione è del 2019. A fine dello scorso ottobre l’Italia ha concluso il processo di ratifica, il secondo Paese in Europa dopo la Grecia. Come spiega Raffaele Fabozzi, professore di Diritto del lavoro all’università Luiss, «il nostro ordinamento giuridico è certamente evoluto ma manca una legge specifica sulle molestie in ambito lavorativo. La Convenzione sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro costituisce una tappa fondamentale nel percorso di tutela dei lavoratori, in un’ottica sempre più inclusiva e senza distinzione di genere. Con la sua ratifica, l’Italia ha assunto l’obbligo di emanare una serie di norme volte a prevenire e sanzionare le diverse forme di molestie nei luoghi di lavoro, realizzando la piena tutela dell’integrità fisica, psicologica, sessuale ed economica della persona. È auspicabile che si dia quanto prima concreta attuazione ai contenuti della Convenzione».

Nel frattempo, l’Italia resta un Paese difficile per le donne che vogliono lavorare. È uno dei peggiori d’Europa per l’occupazione femminile, circa la metà delle donne lavora (l’altra metà no). Le lavoratrici spesso svolgono mansioni per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello che possiedono, sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, percepiscono stipendi e pensioni più basse rispetto agli uomini e, non solo hanno più probabilità di subire molestie, ma anche di essere costrette a lasciare l’occupazione per evitarle. Per l’Istat sono un milione e 404 mila le donne che hanno subito aggressioni fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro, nel corso della loro vita. Secondo un’indagine realizzata da WeWorld, onlus che si batte per garantire i diritti delle comunità più vulnerabili, in collaborazione con Ipsos, il 66 per cento delle intervistate ha detto di aver subito almeno un comportamento molesto (non solo fisico) in azienda, ufficio, fabbrica. Due donne su dieci hanno ricevuto battute o offese legate al proprio genere, una su quattro richieste insistenti sulle proprie relazioni personali. Quasi tre lavoratrici su dieci, il 27 per cento, dichiarano di aver ricevuto domande circa la volontà di sposarsi oppure di fare figli durante un colloquio per una nuova occupazione.

La discriminazione nei confronti di donne che hanno scelto di diventare madri è anche al centro delle tante storie che sono arrivate a #lavoromolesto, spazio anonimo di denuncia ideato con l’obiettivo di dare voce a chi subisce violenza sul luogo di lavoro. A Maria è stato chiesto di nascondere la gioia e la pancia che cresceva, quando ha saputo di essere incinta, per non innervosire i capi prima del tempo, Anna è stata licenziata al rientro dalla maternità, D. demansionata. Comportamenti che testimoniano come il mercato del lavoro sia pervaso da stereotipi e aspettative di genere che influenzano la partecipazione e la carriera delle donne, retaggi del sistema patriarcale.

«Le violenze sulle donne non sono un’emergenza ma un problema strutturale». Così Marco Chiesara, presidente di WeWorld, ha commentato i risultati dell’indagine che mostra anche come, in alcuni casi, a mancare siano proprio gli strumenti culturali indispensabili a riconoscere le molestie, sia per i maltrattati che per i maltrattanti.

Le testimonianze che tante lavoratrici stanno inviando a #lavoromolesto e le reazioni di alcuni lettori alle loro storie, sono le conseguenze degli strascichi di una società maschilista che ancora oggi resiste. Ma che sta perdendo forza. Infatti, la maggior parte delle discussioni che ha seguito la pubblicazione delle denunce (anonime, con nomi di fantasia), così come la voglia di tante donne di raccontare, muovono in una direzione diversa. Il desiderio di rompere il silenzio e stravolgere le abitudini secondo cui fare battute a sfondo sessuale a una collega è solo un modo goliardico per attirare la sua attenzione, commentare in pubblico le parti intime è come farle un complimento.

Comportamenti che, tra i casi peggiori, portano l’uomo a credere che la donna sia dipendente dalla sua volontà, lusingata se trascinata verso rapporti fisici e sessuali per cui non hai mai manifestato il mimino interesse. Grazie alla forza di tante che hanno deciso di condividere le loro esperienze, la campagna #lavoromolesto sta provando a raggiungere l’obiettivo per cui è stata pensata: contribuire alla formazione di una normalità diversa in cui la donna non è più vittima ma portavoce di una società consapevole e inclusiva.

·        Lo Stupro.

Da duemila anni si ripete la storia di Io. Un giorno Zeus, tramutatosi in uomo, l’avvicina dicendo di amarla. Lei lo rifiuta e scappa, lui la raggiunge e la violenta. Erica Mou su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Novembre 2022

Io è una giovane donna piena di quelle qualità che nel tempo in cui vive vengono chiamate virtù. Un giorno Zeus, tramutatosi in uomo, l’avvicina dicendo di amarla. Lei lo rifiuta e scappa, lui la raggiunge e la violenta. Dopodiché la tramuta in giovenca per fare in modo che sua moglie Era non scopra il tradimento.

Io, ormai mucca, viene affidata a un guardiano dai cento occhi. Tempo dopo, un messaggero vorrebbe liberarla ma non è facile, per distogliere tutti quegli sguardi occorre una vera magia: occorre la musica.

Cullato dal suono del flauto del messaggero, per la prima volta il guardiano chiude tutti e cento gli occhi e dietro le palpebre impara a vedere ciò che non c’è, impara a immaginare. Io ha perso le braccia, la voce, la dignità, gli affetti, la fiducia. Le rimane, però, il bisogno di libertà.

Allora fugge e ricomincia a correre, ma la serenità è ancora lontana.

C’è un tafano che la insegue, la punge e la tormenta. È letteralmente il tarlo che logora la sua mente, il passato che non la lascia stare. Io, disperata, per sfuggirgli si getta in un mare che da quel giorno prenderà il suo nome, lo Ionio, e attraversa uno stretto che in suo onore verrà chiamato «passaggio della giovenca», ovvero Bosforo. Sbarca in Egitto stanca, assetata, ferita, arsa dal sole. Tutto questo dolore è nato da una dichiarazione d’amore. Si è mai sentita un’assurdità del genere? Disperata, piange.

E le lacrime sciolgono il corpo di animale e fanno riapparire la donna. Io ritrova la voce e ride, non vuole fuggire più. Non vuole vendetta e neppure pietà, la giustizia che le interessa è quella per sé.

Sono più di duemila anni che la storia di Io continua a ripetersi, diventando la storia di altre donne che prendono in prestito il suo nome per iniziare, con quelle due lettere, una frase intima, che parli di loro. Tutte queste donne, che il mare omaggia portandone il nome, e che alla fine si liberano da sole, non ce la farebbero mai senza l’aiuto di una musica che serra gli sguardi spietati e spezza le catene. A noi tutti la responsabilità di imparare a suonarla.

Verona, la prima volta di un processo per stupro a porte aperte: «Quei giorni segnarono una svolta». Maria Nadia Filippini, storica, ricostruisce il caso che cambiò i dibattimenti e avviò una stagione di iniziative contro la violenza di genere. L’apertura dei centri anti-violenza, la modifica del codice Rocco e le norme sulla violenza sessuale: tutto partì da lì. Francesca Visentin su Il Corriere della Sera il 29 Novembre 2022

Verona, ottobre ‘76 : le femministe ottengono che il processo per stupro sia a porte aperte. Nel riquadro, la storica Nadia Maria Filippini, autrice del libro che racconta l’evento storico

Verona, ottobre 1976, va in scena il primo processo per stupro a porte aperte. Il primo in cui il collegio giudicante viene ricusato per maschilismo, il primo in Italia scandito e accompagnato da una manifestazione nazionale di piazza contro la violenza di genere nei tribunali. Uno spartiacque. In quell’aula circondata da femministe viene smascherata la cultura solidale con lo stupro. Mai accaduto prima. Ricostruisce la vicenda e ripercorre il significato storico, politico, sociale di quel processo Nadia Maria Filippini, storica veneziana, nel libro Mai più sole contro la violenza sessuale. Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta (Edizioni Viella). L’autrice presenta il libro alle 18 di oggi, martedì 29 novembre, all’Università di Padova, in Aula 1 del Complesso Beato Pellegrino.

Simbolo e atto politico

Nel tribunale di Verona una 16enne veronese nel 1976 cercava di avere giustizia, fuori, la mobilitazione di movimento femminista e parte civile, ottenne il dibattimento a porte aperte, trasformando il processo in un’azione politica contro la parzialità dei giudici e la vittimizzazione secondaria. E Tina Lagostena Bassi, avvocata-mito allora al suo esordio, chiese che il giudice fosse ricusato. Il valore simbolico e l’impatto mediatico della vicenda, seguita in diretta da tutti i mass media, Rai compresa, portarono il tema della violenza al centro, inaugurando una stagione di iniziative contro la violenza di genere. Risultato, l’apertura dei centri anti-violenza, la modifica del codice penale Rocco (che ancora considerava lo stupro come reato contro la morale e non contro la persona) e le norme sulla violenza sessuale (66/96).

L’autrice e il tema

«Giorni che segnarono davvero una svolta - sottolinea la storica Nadia Maria Filippini - . Il libro ha l’obiettivo di trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di lotte e contrasto alla violenza portato avanti negli anni. I giovani e le giovani devono essere consapevoli delle storie di lotta e mobilitazione e andare avanti». Foto, testimonianze, voci delle protagoniste e ripercussioni sociali e politiche nel libro di Filippini, che analizza e ricostruisce tutto ciò che accadde. «Da allora molte cose sono cambiate - dice Filippini - , ma la mentalità della cultura solidale con lo stupro rimane. E’ un atteggiamento che nelle aule di tribunale continua a vedere i colpevoli non completamente responsabili. Da storica, dico che le trasformazioni culturali sono molto lente, si trascinano. Il vero cambiamento? Non dobbiamo ragionare in anni, ma in secoli. Basta pensare che loIus corrigendi, il potere del pater familias di punire anche con la forza è stato abolito solo a metà del Novecento (1956)». La sfiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine, gli stereotipi e il sessismo, la consapevolezza di non avere protezione, è il motivo per cui oggi sono poche le donne che denunciano. «È gravissima la sfiducia nella magistratura. Manca purtroppo una formazione adeguata sui temi della violenza di genere tra magistrati, avvocati, polizia, carabinieri - evidenzia Filippini - . La Convenzione di Istambul ad esempio, non viene applicata. Sarebbero essenziali poi i corsi strutturati nelle scuole, mentre oggi esiste solo qualche iniziativa spot. La concezione del rapporto uomo-donna è arcaica anche tra le giovani generazioni». Il primo passo? «Il linguaggio è un veicolo fondamentale di cambiamento culturale - afferma - . La cultura solidale con la violenza passa anche attraverso un linguaggio minimizzante e sessista. C’è da fare un enorme lavoro pure tra i mass media, i giornali soprattutto». L’evento di oggi a Padova è organizzato da Centro di Ateneo Elena Cornaro dell’Università di Padova, Società Italiana delle Storiche, Centro di Documentazione Movimenti delle Donne a Padova e Centro Veneto Progetti Donna.

(ANSA il 28 novembre 2022) - Aveva denunciato nel maggio 2021, assieme alla moglie, gli abusi sessuali commessi sulla loro figlia di 10 anni dal nonno, ma era finito indagato per favoreggiamento ed era stato condannato a 2 anni e 8 mesi per false informazioni ai magistrati. Ora per l'uomo, 39 anni e figlio del 60enne imputato per le violenze sulla bambina, è arrivata in secondo grado l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" da parte della Corte d'Appello di Milano, che ha accolto il ricorso dell'avvocato Domenico Morace.

Il legale adesso auspica che "dopo 17 mesi di sofferenza" la bimba "possa tornare a casa" dai genitori, perché nel corso dell'indagine, su segnalazione della Procura milanese che aveva contestato il presunto favoreggiamento al padre, il Tribunale per i minorenni aveva tolto la bambina ai genitori collocandola in "struttura extrafamiliare". 

Nel frattempo, i giudici di secondo grado (collegio della terza penale presieduto da Flores Tanga), oltre ad assolvere il padre (per il quale era stato anche chiesto l'arresto, rigettato dal gip) condannato in primo grado dal gup Daniela Cardamone a marzo, ha confermato la condanna a 14 anni di reclusione per il nonno della piccola, a cui veniva contestata anche l'accusa di detenzione di materiale pedopornografico.

I pm, per portare avanti le accuse al padre della bambina, avevano valorizzato un'intercettazione tra il 39enne e sua madre: per la Procura, avrebbe esercitato "pressioni" sulla figlia affinché nelle audizioni protette ridimensionasse i fatti di cui era stata vittima. Tesi accolta in primo grado e cancellata in appello. "La vittima - ha scritto il legale nel ricorso - nulla ha taciuto in merito a quanto subito, confortata dai genitori ha offerto una deposizione sofferta ma veritiera".

Genitori che avevano fatto partire l'inchiesta con la loro denuncia. Proprio "in forza della denuncia depositata il 24 maggio 2021" presso una stazione dei carabinieri in provincia di Monza "dai coniugi", delle loro testimonianze e di "quanto dichiarato dalla bambina nel corso della sua audizione", ha scritto il legale Morace in uno degli atti difensivi, il nonno "ha riportato una condanna ad anni 14 di reclusione ed è attualmente" detenuto.

Già il gip di Milano Alessandra Cecchelli, respingendo la richiesta d'arresto per il padre, aveva segnalato che la denuncia dell'uomo "ha fornito solide basi per le indagini prontamente avviate" e "si è rivelato altamente attendibile in quanto riscontrato" dalle testimonianze "dei fratelli, dalla certificazione relativa alla visita medica" sulla piccola "e soprattutto dalle intercettazioni oltre che dalle dichiarazioni rese dal minore in sede di audizione". 

La bambina, scrive ancora il legale, "è stata accompagnata e sostenuta dai suoi genitori nell'audizione davanti al pm". E sia "il padre che la madre", una volta "venuti a conoscenza dei gravi episodi di abusi hanno protetto la minore non solo con la denuncia" ai magistrati, "ma adottando ogni cautela come, ad esempio, proibire ogni contatto con i nonni paterni". Malgrado ciò, lamenta il difensore, il Tribunale per i minorenni ha tolto la bambina ai suoi genitori.

"Doveva essere sostenuta psicologicamente all'interno della propria casa e della famiglia - ha detto il legale -. Strapparla al suo habitat dopo essere stata vittima della violenza sessuale del nonno, corrisponde ad ulteriore violenza".

Da leggo.it il 5 novembre 2022.

Ha abusato di due bambine, le figlie della sua amante, e per questo un 70enne è finito in carcere. Eseguita dalla polizia la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un cittadino italiano di 70 anni residente nella provincia di Monza, indagato per violenza sessuale su due sorelle preadolescenti, figlie della propria amante, commesse tra gli anni 2015 e 2020. 

I fatti

Nell'estate 2019, durante il ricovero presso l'ospedale di Monza, una delle due ragazze confessava al proprio medico di avere un «peso che si portava dietro, una cosa vergognosa e grave che non aveva mai detto a nessuno». La ragazza, nei successivi colloqui con il sanitario, raccontava di un abuso sessuale subito all'età di 11 anni da un uomo che frequentava la propria abitazione. L'abuso sarebbe avvenuto nella casa delle ragazze ed avrebbe coinvolto anche l'altra sorella, anch'essa preadolescente.

La Procura della Repubblica di Monza, messa al corrente dei fatti dai sanitari, ha avviato le indagini ascoltando le due ragazze. Una di esse confermava il proprio narrato ai medici, descrivendo la violenza subita, aggiungendo che l'uomo le aveva promesso dei regali e le aveva inviato anche dei video in cui lui si masturbava, chiedendole in cambio delle fotografie. 

La ragazza ha poi aggiunto di non aver informato i propri genitori delle violenze subite e di aver cercato rifugio nella droga alleviare la propria sofferenza, pensando addirittura al suicidio. La seconda ragazza, con grande sforzo e controllando le proprie emozioni ha cercato di negare gli abusi subiti. Le indagini accerteranno poi che anche la seconda adolescente era stata vittima di violenze sessuali.

La mamma: «Ti faccio un regalo se non dici niente»

La madre delle due ragazze non solo non ha supportato le proprie figlie, ma ha cercato di indurre una delle due, la più decisa nel denunciare gli abusi subiti, a ritrattare le proprie accuse, dicendole che le avrebbe giovato e promettendole un regalo. 

Le indagini

La Procura della Repubblica di Monza ha, quindi, delegato il prosieguo delle indagini alla Squadra Mobile per giungere all'identificazione dell'uomo. Una volta giunti all'identità dell'indagato, la polizia ha dato corso ad un decreto di perquisizione della sua abitazione, sequestrando i dispositivi informatici in suo possesso.

Tra i dati memorizzati nei devices sequestrati all'uomo sono state rinvenute tracce inequivocabili della frequentazione delle due ragazze da parte dell'uomo e delle attenzioni sessuali che lui rivolgeva loro. In particolare, è stato rinvenuto un video a sfondo sessuale che l'uomo ha inviato alla madre delle ragazze accompagnato da un messaggio in cui chiedeva alla donna di farlo vedere ad una delle due ragazze, oltre ad altri messaggi a fini sessuali che l'uomo inviava, a volte direttamente alle ragazze, ed altre volte tramite la loro madre, che si prestava a far da tramite tra l'uomo e le ragazze.

La Procura della Repubblica di Monza, valutato le esaustive indagini svolte dalla Squadra Mobile ha richiesto, per l'uomo al Giudice per le Indagini Preliminari la misura della custodia cautelare in carcere. Il Gip, oltre a condividere il risultato delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica e dalla Squadra Mobile, ha ravvisato il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato; per tale motivo, il Gip ha disposto per l'indagato l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, misura eseguita nella mattinata odierna dalla Squadra Mobile.

Andrea Vivaldi per repubblica.it il 6 dicembre 2022.

È stato condannato a 6 anni di reclusione il calciatore del Genoa Manolo Portanova. Il giovane, 22 anni, era finito a processo con l'accusa di violenza sessuale di gruppo. Oggi, 6 dicembre, il tribunale di Siena ha emesso la sentenza al termine del rito abbreviato, chiesto dall'avvocato di Portanova, Gabriele Bordoni.  E ha condannato il calciatore, in solido con un altro imputato, al pagamento di un risarcimento di 100 mila alla ragazza, 20 mila alla madre e 10 mila all'associazione parte civile Donna. 

Il calciatore, ex Juventus, era accusato assieme ad altri due coetanei, lo zio Alessio Langella, 23 anni, e Alessandro Cappiello, 25, nei confronti di una studentessa di 21 anni. 

Lo scorso 22 novembre, nel corso di una lunga udienza, il pm Nicola Marini aveva chiesto 6 anni di condanna per Portanova e Langella, pure lui con rito abbreviato, mentre per Cappello il rinvio a giudizio che è stato decretato nell'udienza di oggi. Anche per Langella il giudice ha pronunciato una condanna a 6 anni. 

Nell'indagine è coinvolto un quarto ragazzo, 17enne all'epoca dei fatti, nei confronti del quale lavora quindi la procura minorile di Firenze. Portanova (che oggi era in aula) come gli altri imputati si è sempre dichiarato innocente. E la difesa ora potrà presentare ricorso in appello.

La vicenda, nella ricostruzione portata avanti dagli investigatori e dalla Procura, risale alla notte tra il 30 e il 31 maggio 2021. Quella sera Portanova, assieme a Langella e Cappiello, avrebbe incontrato la giovane in un appartamento nel centro di Siena, a due passi da piazza del Campo. La studentessa, che è stata assistita dal legale Jacopo Meini, era in contatto col calciatore già da qualche settimana, e i due si erano scambiati dei messaggi sul cellulare. Poi, quella sera, la ragazza, dopo una cena con un'amica, avrebbe raggiunto Portanova all'appartamento, accettando l'invito a una festa. I due si sarebbero appartati in una stanza, e il gruppo di amici - nonostante i rifiuti della giovane - avrebbe abusato di lei. In quei minuti, la scena sarebbe anche stata ripresa con dei cellulari.  

Pochi giorni dopo la 21enne, sotto shock, ha trovato la forza di denunciare alla Polizia dopo essersi confidata con la famiglia. 

Tredicenne violentata dal branco. Sotto accusa tre ragazzi ventenni. La vittima li aveva conosciuti la sera in discoteca. Attirata nel garage e immobilizzata: trovata droga. Stefano Vladovich su Il Giornale l'1 Novembre 2022

Portata a forza in garage, segregata e violentata da tre ventenni. Vittima dell'abuso sessuale una ragazzina di 13 anni di Cerignola, in provincia di Foggia. «Li ho conosciuti venerdì sera in discoteca. Sono uscita con uno di loro e quando siamo arrivati al parcheggio sono spuntati gli altri». Una storia raccapricciante quella raccontata dall'adolescente ai genitori e poi agli agenti del commissariato locale.

L'ennesima violenza sessuale del branco è avvenuta in un box auto di via Melfi quando la ragazzina viene immobilizzata e violentata a turno dai tre giovani appena conosciuti. Il racconto avrebbe subito trovato riscontro nelle prime indagini della polizia, che ha fatto irruzione nel parcheggio privato di una palazzina alla periferia sud della cittadina pugliese. Qui gli agenti avrebbero trovato hashish e tracce di vari spinelli gettati a terra. I tre, tutti figli di pregiudicati locali, negano. Ma, stando alle prime indiscrezioni, i medici del pronto soccorso avrebbero rilevato inequivocabili segni di violenza sulla minore. L'informativa, adesso, è sul tavolo del magistrato della Procura di Foggia e nelle prossime ore i tre giovani potrebbero essere indagati per violenza sessuale di gruppo aggravata, sequestro di persona, droga. «Sembravano ragazzi a posto, uno di loro mi ha detto che doveva prendere una cosa lasciata nella rimessa. Io ci sono cascata e l'ho seguito». Secondo la ricostruzione, appena la ragazzina entra nel locale il proprietario abbassa la saracinesca. E per lei inizia l'incubo. Bloccata dagli altri due ventenni, uno dopo l'altro abusano di lei. Mezz'ora dopo viene lasciata andare. «Se parli sono guai», le dicono. In lacrime, i vestiti strappati, dolori ovunque, la 13enne torna a casa. I genitori le chiedono cosa è accaduto e lei, singhiozzando, racconta tutto nei minimi particolari. Mamma e papà non ci pensano un solo istante e si precipitano prima al pronto soccorso, poi in questura dove sporgono denuncia. Sul caso interviene la sezione Reati Sessuali della squadra mobile che, assieme agli agenti del commissariato locale, verifica quanto messo a verbale. Interrogati, i ventenni sostengono che la ragazzina si sarebbe inventata tutto. Non sanno spiegare cosa ci facessero con lei nel garage e, soprattutto, la presenza della droga.

Altro episodio di violenza è avvenuto a Civita Castellana, dove nei giorni scorsi un 43enne è stato rinviato a giudizio per aver tentato di adescare una 13enne in strada. «Quanto sei bella, vuoi salire in macchina con me?», l'approccio. L'uomo, nonostante un primo rifiuto dell'adolescente, la segue per settimane spaventandola a morte. Un caso particolare, tanto che il fascicolo dalla Procura di Viterbo viene trasferito alla Dda di Roma, competente per questo tipo di reati. Davanti al gip l'uomo si difende: «I miei sono apprezzamenti innocui». Intanto proseguono le indagini sullo stupro avvenuto sabato sera nel campus universitario di Torino. È stato ascoltato l'unico testimone ad aver udito rumori al piano superiore, un ragazzo dell'ottavo piano. Secondo gli inquirenti, l'aggressore potrebbe aver raggiunto il piano superiore della residenza Paolo Borsellino passando dal garage della strada d'angolo.

Estratto dell’articolo di Antonio Calitri per “il Messaggero” l'1 novembre 2022.

Il lungo weekend di Ognissanti si è trasformato in un incubo per una tredicenne di Cerignola, popoloso comune della provincia di Foggia. Attirata da un suo conoscente diciannovenne in un garage della periferia cittadina, e poi bloccata e costretta a subire violenza sessuale a turno, dallo stesso amico e da altri due ventenni per tutta la notte. 

Questo è quanto ha raccontato la stessa ragazzina ai genitori, che appena venuti a conoscenza dell'accaduto, si sono recati al commissariato di zona per sporgere denuncia. E sono subito partite le indagini, con la polizia che ha controllato e posto sotto sequestro il box della presunta violenza sessuale, mentre la tredicenne è stata sottoposta a visita medica.

[…] Tutto è incominciato il 28 ottobre, nella serata che apriva il lungo ponte di Ognissanti e che per i giovani, con le scuole chiuse si trasforma nel momento ideale per divertirsi e far tardi. La ragazzina per passare la serata ha accettato un invito di un suo amico, sembra conosciuto qualche giorno prima in discoteca, e per raggiungerlo si è recata alla periferia cittadina, all'indirizzo del garage che gli aveva indicato qualche ora prima. 

Un atteggiamento che visto dall'esterno, avrebbe dovuto far insospettire la ragazzina. […] Una volta arrivata all'appuntamento però, la ragazzina oltre a trovare il ragazzo che conosceva, viene accolta anche da altri due ventenni che sembra, l'avrebbero invitata a fumare dell'hashish con loro, sperando di stordirla. 

Poi, i tre l'avrebbero segregata chiudendola dentro il box, senza che potesse uscire e l'avrebbero violentata a turno tutti e tre, per buona parte della notte. Vista l'età della presunta vittima, gli inquirenti stanno mantenendo il massimo riserbo sui dettagli anche per evitare che da qualcuno di questi possa essere individuata e riconosciuta in città.

Rientrata a casa nella tarda notte, il giorno seguente la tredicenne ha raccontato l'accaduto ai genitori che l'hanno convinta a sporgere subito denuncia e insieme si sono recati al commissariato cittadino. Ascoltata la tredicenne, le indagini sono partite immediatamente anche per prevenire la cancellazione di eventuali prove ed effettivamente, sono stati trovati i primi riscontri, a partire da diverse dosi hascish ancora presenti nel box e dal fatto che il locale è risultato effettivamente affittato da uno dei tre ventenni. […]

Stupro a Torino. Massimiliano Peggio per lastampa.it il 30 ottobre 2022.

Una ragazza di 23 anni, studentessa fuori sede, è stata aggredita e violentata all’interno della residenza universitaria di via Borsellino, alle spalle del Politecnico. Il fatto è accaduto nella notte: sul caso stanno indagando gli investigatori della Squadra Mobile. La studentessa, stando alle prime ricostruzioni, era nella sua stanza, quando poco dopo la mezzanotte ha fatto irruzione un ragazzo di origini africane. 

L’uomo l’ha colpita alla testa, provocandole un trauma cranico, e poi ha abusato di lei. Soccorsa da un’équipe del 118, dopo che altri inquilini della residenza universitaria avevano chiamato il numero di emergenza, è stata portata all’ospedale Sant’Anna per gli accertamenti legati alla violenza sessuale e poi alle Molinette, per le lesioni subite alla testa. Ora è caccia all’uomo: si tratterebbe di un giovane, sconosciuto alla ragazza.

La squadra mobile sta esaminando le immagini delle videocamere di sorveglianza installate nel campus. Per la giovane è stato attivato un servizio di supporto psicologico e nelle prossime ore gli inquirenti cercheranno di ascoltare la sua testimonianza. 

Le prime parole della ragazza

«Ho sentito bussare alla porta e, credendo fosse un altro studente, ho aperto». Questa, per quanto si apprende, è la prima ricostruzione della violenza secondo la testimonianza della studentessa. L'aggressore sarebbe uno sconosciuto che si sarebbe introdotto nel campus. Sembra che lo stesso individuo in precedenza avesse bussato anche ad altre porte.

Il sindaco Lo Russo: un atto che lascia sgomenti

«Un episodio gravissimo che ci lascia sgomenti. Le forze dell'ordine stanno cercando il responsabile e hanno tutto il nostro sostegno. Esprimo la nostra vicinanza e la solidarietà alla giovane studentessa». E' il commento, via twitter, del sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, all'aggressione della giovane all’interno della residenza universitaria. 

Il presidente di Edisu: «Un fatto gravissimo»

«Sono stato subito informato di quanto accaduto e mi sono recato sul posto. Resto in costante contatto con le forze dell'ordine che stanno cercando il responsabile di questo gravissimo fatto». Così Alessandro Sciretti, presidente di Edisu, ente che gestisce la residenza universitaria dove nella notte è avvenuta l'aggressione. Sciretti ha espresso solidarietà alla studentessa e alla famiglia. Intanto, stanno raggiungendo la residenza Borsellino gli psicologi di ascolto dell'Ente per dare supporto agli ospiti della struttura. L'Edisu ha messo una stanza a disposizione dei familiari, in arrivo a Torino dopo essere stati informati dell'episodio. 

L’assessore regionale alla Sicurezza: nessuna pietà verso l’aggressore

«Tutta la nostra vicinanza e solidarietà alla giovane studentessa aggredita nella residenza universitaria Paolo Borsellino e alla sua famiglia, nessuna pietà per il suo aggressore». E' quanto dichiara Fabrizio Ricca, assessore regionale alla sicurezza in Piemonte. «Siamo certi  che le forze dell'ordine sapranno consegnarlo alla giustizia, con l'auspicio che possa rimanere a lungo ospite in carcere». 

Il presidente della Regione Alberto Cirio

«Siamo sgomenti per quanto avvenuto stanotte. Lo sono come presidente, ma ancora prima come padre, e mi stringo a questa ragazza e alla sua famiglia. La Regione farà tutto ciò che è nelle sue possibilità per essere al loro fianco».

Augusta Montaruli (FdI): “Chi doveva controllare gli ingressi?”

«Chi deve controllare gli accessi alle palazzine Edisu? – chiede il deputato di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli – Chiediamo risposte chiare e un’indagine interna se necessario, perché lo stupro di una studentessa non sia trattato come un semplice fatto di cronaca. Ci sarebbero responsabilità che non riguardano solo chi brutalmente ha commesso il fatto ma anche chi sarebbe preposto a controllare gli accessi». Le palazzine, dice Montaruli, «non sono un posto dove può entrare chiunque, se è avvenuto le responsabilità devono essere chiare, individuate, punite». 

Il sindacato di polizia

«La violenza sessuale perpetrata nei confronti di una studentessa residente nel campus universitario è un fatto orribile il cui responsabile non può che essere qualificato come “bestia”», dice in una nota Eugenio Bravo, segretario del sindacato di polizia Siulp. Con l’auspicio «che gli autori di questi terribili reati non possano continuare a godere dei benefici di legge». Che poi l’autore della violenza sia uno straniero «nulla toglie alla gravità del fatto se non per dimostrare e per l’ennesima volta come l’accoglimento e l’integrazione rischiano di essere semplici “slogan” che di fatto rappresentano una pia illusione affatto in grado di marginare le continue ondate migratorie».

Da open.online.it il 12 novembre 2022.

Ha 17 anni e origini senegalesi il minorenne fermato con l’accusa di aver stuprato una studentessa nel campus universitario Paolo Borsellino di Torino. L’episodio risale alla notte tra il 29 e il 30 ottobre scorsi. Gli inquirenti lo hanno trovato ieri in Corso Stati Uniti, a pochi chilometri dal Campus.  

Aveva indosso gli stessi vestiti della persona ritratta dalle videocamere di sorveglianza quella notte. Ovvero pantaloni scuri, felpa con cappuccio e scarpe da ginnastica. Ma la prova che lo incastra è la comparazione del Dna. 

Perché, scrive oggi La Stampa, la 23enne dopo la violenza sessuale ha fornito agli inquirenti la prova per rintracciare il suo aggressore. Il minorenne è stato portato al Centro di Prima Accoglienza del capoluogo piemontese. Ha qualche precedente per furto. Davanti agli inquirenti si è dimostrato indifferente alle accuse. 

L’aggressione si è verificata al nono piano di una palazzina della residenza per studenti Paolo Borsellino, gestito dall’Edisu a due passi dal Politecnico. Secondo le cronache una persona era riuscita a entrare nel complesso e aveva girato tra scale e corridoi bussando a tutte le porte. Gli ha aperto una ragazza di 23 anni credendo che fosse un compagno di studio. Da qui l’aggressione e la fuga.  

Ma prima le minacce alla ragazza: «Se parli, se mi denunci, torno qui e ti ammazzo». La vittima, dopo essere stata visitata prima dai medici del centro anti-violenza dell’ospedale Sant’Anna e poi da quelli delle Molinette, ha fornito un racconto dettagliato. Permettendo anche agli investigatori di recuperare il Dna del suo aggressore.  

Del caso ora si occupa la procura minorile diretta dalla magistrata Emma Avezzù. Per il momento si procede per violenza sessuale. Non sono contestati altri episodi, anche se in questura è aperto un dossier su un’altra aggressione avvenuta nello stesso quartiere il 30 ottobre.

Il giovane, secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Ansa, risulta risiedere in provincia di Torino con la famiglia. La Stampa racconta oggi che durante l’interrogatorio in questura il 17enne si è dimostrato spavaldo. «Perché mi portate qui? Io non ho fatto nulla», avrebbe esordito con i poliziotti. 

«Cosa volete da me?», ha detto. Chi lo ha ascoltato lo descrive come spavaldo al momento del fermo e piuttosto indifferente alle accuse che gli sono state mosse. È diventato aggressivo soltanto quando ha capito che non sarebbe uscito a piede libero dall’interrogatorio.

Torino, stupro al campus: il 17enne ha confessato. «Ma lei mi ha ringraziato». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 14 Novembre 2022.

Il racconto confuso del giovane secondo cui la studentessa, dapprima riottosa, «poi avrebbe cambiato atteggiamento, offrendogli di fare una doccia nella sua stanza». Per il giudice ricostruzione poco credibile

 Ha raccontato di essere entrato nella residenza universitaria Paolo Borsellino per derubare un uomo, ma di aver cambiato idea quando ha sentito la voce della ragazza dietro la porta e l’ha vista nuda nel momento in cui ha aperto. 

Il giovane — difeso dagli avvocati Gianluca Bona e Giuseppe Vitello — ha confessato, seppur in maniera confusionaria. Ma per il gip le dichiarazioni del 17enne (arrestato con l’accusa di aver stuprato una studentessa) «piuttosto che migliorare, aggravano la sua posizione». 

In serata è stata emessa la misura cautelare in carcere. Ed è da questo documento che si ricava la parziale versione del ragazzo. 

Il giovane si è spinto a sostenere che in un primo momento la vittima era riottosa, «ma poi avrebbe cambiato atteggiamento e l’avrebbe pure ringraziato, offrendogli di fare una doccia nella sua stanza». Invito che lui avrebbe rifiutato. E ha aggiunto che la vittima avrebbe spontaneamente «promesso di non denunciare», oltre ad avergli rivolto «una sorta di complimento per il bel viso». 

Ricostruzione «poco credibile», secondo il giudice. Che poi scrive: «L’ha travolta con le sue pulsioni. L’ha sopraffatta con una violenza che poteva anche ucciderla». 

Nelle 25 pagine con le quali si dispone il carcere, sono ricostruiti gli indizi: Dna, impronte, riconoscimento fotografico. Ma spuntano anche dettagli inquietanti di quella notte. Dai filmati delle telecamere di sicurezza emerge che mezz’ora prima di compiere lo stupro aveva seguito un’altra studentessa fino all’ingresso dell’edificio: un pedinamento da corso Galileo Ferraris al portone della residenza. 

Negli atti, il 17enne è descritto come una persona «violenta» e «insensibile alla sofferenza altrui». Per il giudice il ragazzo è pericoloso e può stuprare ancora, anche perché «vive alla giornata, commettendo reati per recuperare i mezzi di cui poter vivere e il costoso abbigliamento illustrato con fierezza. Mostra una felpa da lui indicata come modello unico al mondo e assai costosa». «E soprattutto — si legge — in ragione di un dettaglio da lui stesso offerto: aver subito violenza sessuale da bambino». Il gip evidenzia, infine, che non vi è un contesto sociale in grado di aiutarlo: «Ha dimostrato di essere incontenibile», tanto «che la famiglia aveva cominciato ad allontanarlo» mandandolo «in Senegal a frequentare la scuola coranica».

Cornaredo, picchiata e violentata per 12 ore. L'incubo in una stanza di motel: «Mi stavano addosso come fossi una preda».  Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 15 Novembre 2022.

La ragazza ha incontrato i tre uomini in un locale. Quella sera hanno speso 2 mila euro solo in champagne

Violentata, picchiata, nelle 12 ore di violenze inenarrabili in una squallida stanza di motel di periferia, una caraibica di 23 anni è stata ridotta «in uno stato di soggezione» e di terrore tale da non trovare la forza per gridare aiuto nemmeno quando i carabinieri sono entrati per controllare lei e i tre albanesi imbottiti di cocaina che fino a poco prima la stavano stuprando. I militari non si sono accorti di nulla, ma grazie al controllo i tre sono stati arrestati. «Mi stavano addosso come fossi un animale», ha raccontato la vittima. 

La giovane era andata in un noto locale della movida milanese con un gruppo che aveva contattato l’agenzia di «moda» per la quale lavora, in realtà fa la escort. Ai carabinieri ha detto che era stata chiamata al tavolo da cinque albanesi che «mostravano di avere molti soldi», «orologi di alto valore», e ordinavano «bottiglie molto costose». Gli investigatori, guidati dal sostituto procuratore Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella, hanno accertato che quella sera i cinque hanno speso 2 mila euro solo in champagne per festeggiare, avevano detto, il compleanno di uno di loro, tale Jack, che poi risulterà essere Xhentjan Agaraj, 23 anni residente a Sedriano (Milano). 

È Jack a proporre alla coetanea mille euro per una notte di sesso in un albergo di lusso. «Ho accettato», ha dichiarato lei. Anche perché con quel giovane che le piaceva sarebbe andata a letto anche gratis: «Mi riempiva di frasi come “ti sposo, devi stare solo con me, noi siamo i capi del paese, comandiamo noi”». Ma le cose vanno in modo drammaticamente diverso. Già all’uscita, la coppia trova una Punto grigia con dentro due albanesi. Uno, che dice di essere il padre di Jack, la insulta prima di andarsene con l’altro. Altri due seguono su una seconda auto. 

Invece dell’albergo a cinque stelle, la destinazione è un motel a Cornaredo. Sono le 5.30 del mattino quando la coppia entra nella camera n.31. Le violenze cominciano immediatamente, feroci. Un’ora dopo entrano i due che li avevano seguiti che fanno lo stesso. Botte, foto e filmati (non sono stati trovati) con la giovane che inutilmente supplica, poi si arrende per evitare violenze più gravi mentre i carnefici che, invece di smettere, la umiliano con sputi, insulti e risate sguaiate. 

Intorno alle 6-6.30, due carabinieri bussano alla porta per controllare Jack, dato che alla registrazione è scattato l’allarme perché dovrebbe stare ai domiciliari. Mentre gli altri due aguzzini si nascondono in bagno, la ragazza e Jack vengono identificati dai militari che, tornati in motel più tardi, trovano e identificano anche Alvardo, 21 anni, fratello di Jack, e il loro cugino Alfiol Quku, 29 anni. Anche stavolta la ragazza non fa un cenno, non dà l’allarme. Andati via i carabinieri (i domiciliari per aver vessato la ex fidanzata erano scaduti alla mezzanotte, è questo che festeggiavano davvero nel locale), le violenze riprendono fino al pomeriggio successivo, quando alle 17 la giovane viene abbandonata. Frastornata, forse incerta su cosa fare, resta in camera prima di scendere, chiede un telefono per cercare amici, dicendo solo che l’hanno lasciata sola. Poi chiama i carabinieri. La settimana scorsa il gip Alessandra di Fazio ordina di l’arrestare i tre. Alvardo era già a San Vittore sospettato di omicidio.

 Roma, violenza sessuale al policlinico Umberto I: tirocinante stuprata nel turno di notte da un infermiere. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 28 Ottobre 2022.

La stagista ventenne attirata in uno sgabuzzino del padiglione 29. Poi ha chiesto aiuto al pronto soccorso. L’uomo, 55 anni, denunciato e rilasciato dalla polizia che indaga per violenza sessuale aggravata 

Attirata in uno sgabuzzino al terzo piano del reparto di Urologia del Policlinico Umberto I e abusata da un infermiere di 55 anni. Una notte da incubo per una tirocinante di 20 anni, che, come anticipato da Repubblica, ha chiesto aiuto al pronto soccorso dell’ospedale dove è stata visitata proprio sulla base del suo sconvolgente racconto. L’uomo è stato denunciato e rilasciato dalla polizia, che indaga per violenza sessuale aggravata. Alcuni passaggi dell’indagine sono stati ritenuti da approfondire e sono attese decisioni ulteriori nelle prossime ore.

Gli agenti hanno sequestrato indumenti e lenzuola che sono stati trovati nel piccolo locale di servizio nel padiglione 29 per essere esaminati: si cercano conferme alla ricostruzione fornita dalla vittima anche con l’analisi delle tracce di dna che potrebbero essere state lasciate sui reperti dal sospettato. La vicenda risale alla notte fra mercoledì e giovedì scorsi. Gli agenti del commissariato San Lorenzo stanno svolgendo accertamenti dopo che la stagista ha presentato denuncia negli uffici della polizia. Entro sabato l’infermiere accusato dello stupro potrebbe comparire davanti al gip per l’udienza di convalida.

Al vaglio anche il fatto se il 55enne, che lavora proprio in quel reparto, in passato sia stato coinvolto in analoghe vicende di violenza sulle donne. Nel 2012, 2017 e 2019 altre inchieste su abusi sessuali e molestie all’Umberto I, in un caso indagato un primario e in un altro una dottoressa violentata da un senzatetto che si era introdotto negli spogliatoi.

Intanto l’azienda si dichiara parte lesa, esprimendo vicinanza alla giovane studentessa. «In seguito al gravissimo fatto accaduto all’interno di un reparto ai danni di una giovane tirocinante ho depositato questa mattina denuncia - querela — spiega il direttore generale dell’Umberto I Fabrizio d’Alba —. Il responsabile indicato dalla vittima è stato identificato e denunciato all’autorità giudiziaria, mentre l’azienda ha avviato il procedimento di sospensione immediata dal servizio. Quanto accaduto è intollerabile perché oltre ad aver colpito in modo ignobile una giovane in servizio perché tirocinante, colpisce e diffama un’intera categoria di operatori. Lavoratori della sanità che quotidianamente all’interno dei reparti del nostro ospedale si impegnano per la cura delle persone e non per atti di violenza contro le donne. L’immediata denuncia è solo il primo passo a tutela del nostro ospedale, e soprattutto per la difesa e il sostegno della ragazza violentata che non sarà sola ad affrontare un percorso giudiziario e personale molto difficile. A lei vanno la nostra solidarietà e il nostro affetto».

Infermiera violentata all’Umberto I, le tracce di dna dell’aggressore e la rabbia delle colleghe. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 29 Ottobre 2022.

Sgomento al Policlinico, il dg presenta denuncia dopo quella della tirocinante, sotto choc. Il presunto stupratore solo denunciato per ora in attesa di ulteriori verifiche della polizia. Sit-in delle altre allieve che si sono rifiutate di andare a lezione

Sarà interrogato nei prossimi giorni l’infermiere di 55 anni denunciato dalla polizia tre giorni fa dopo la denuncia di una sua collega, di 20, che ha raccontato di aver subìto da lui abusi sessuali in uno stanzino al terzo piano del reparto di Urologia del Policlinico Umberto I. Le dichiarazioni della giovane tirocinante sono state messe a verbale dagli investigatori che erano intervenuti in ospedale nella notte fra mercoledì e giovedì scorso in seguito alla segnalazione giunta al 112 dalla direzione sanitaria. Il 55enne non si era allontanato dal suo posto di lavoro: caricato in auto, è stato condotto negli uffici del commissariato Salario-Parioli dove per lui è scattata la denuncia per violenza sessuale aggravata ma non l’arresto.

Da chiarire ci sarebbero alcuni particolari della drammatica vicenda. L’allieva infermiera, che sta svolgendo un corso per infermiere nella struttura ospedaliera - ieri le sue colleghe hanno manifestato rifiutandosi di andare in aula e in reparto -, è corsa subito dopo gli abusi verso il pronto soccorso per chiedere aiuto. Lì è stata assistita anche a livello psicologico mentre la polizia arrivava in ospedale per prendere in consegna il 55enne e sequestrare lenzuola e altri oggetti che si trovavano nello stanzino: saranno analizzati per trovare conferme, come la presenza del suo dna, alla versione della 20enne. In questo caso non è escluso che l’infermiere venga arrestato. Il riserbo su quanto accaduto è massimo.

Il dg dell’Umberto I Fabrizio d’Alba, ha depositato denuncia querela e ha anche avviato il procedimento di sospensione nei confronti del presunto violentatore, definendo l’aggressione alla ragazza un atto «gravissimo ed intollerabile perché oltre ad aver colpito in modo ignobile una giovane donna in servizio perché tirocinante della sua futura professione, colpisce e diffama un ’intera categoria di operatori. Lavoratori della sanità che quotidianamente all’interno dei reparti del nostro ospedale si impegnano per la cura delle persone e non per atti di violenza contro le donne».

C’è sgomento in ospedale, e in particolare nel reparto dove la tirocinante è stata violentata. Non è ancora chiaro se l’indagato abbia dei precedenti analoghi, ma l’ospedale è finito al centro di altri episodi di violenza sessuale già nel 2012, 2017 e 2019. In un caso una dottoressa ha subìto abusi negli spogliatoi da un senza fissa dimora che è riuscito a introdursi nella struttura.

Solidarietà alla giovane è stata espressa fra gli altri anche da Eleonora Mattia, presidente della Commissione pari opportunità della Regione, e dalla sua omologa al Comune Michela Cicculli, che sottolineano: «Un altro stupro a Roma in poche settimane, la violenza maschile contro le donne è sempre più diffusa e dobbiamo alzare subito il tiro: basta molestie, basta violenze, basta parole. Per vincere questa battaglia serve un’alleanza civica forte e coraggiosa fra persone, parti sociali e istituzioni».

"AL POLICLINICO GLI ABUSI SONO LA NORMA". Estratto da “la Repubblica” il 30 ottobre 2022.

Lo dicono sottovoce, guardando in su verso il terzo piano di Urologia. «Non è successo solo lì e non è successo solo quello in questo ospedale, che dovrebbe essere il tempio della nostra formazione per il futuro». Studentesse e studenti del Policlinico Umberto I, tirocinanti al terzo anno di infermeria, raccontano l'inferno dentro le corsie dopo il caso della collega stuprata a 20 anni dentro uno sgabuzzino. Era il turno di notte di mercoledì scorso, nel reparto di Urologia, e quella tirocinante è stata abusata dal suo tutor di 55 anni. 

«Le segnalazioni sono state tantissime. Lo sapevate, ad esempio, che c'è chi ha messo delle telecamere negli spogliatoi? No, perché nessuno ha fatto niente - è arrabbiato Francesco che la collega vittima di violenze la conosce bene - e adesso mi sento in crisi. Sono alla fine del mio percorso ma quello che abbiamo visto qui dentro non è accettabile». Venerdì pomeriggio i tirocinanti di diversi corsi - infermieri, medici, collaboratori - si sono visti davanti al reparto di Urologia. Con i cartelli in mano hanno protestato e chiesto maggiore sicurezza nei reparti.

«In alcuni reparti non mandavano più nessuno per altri fatti gravi successi, altre avances, forse altri abusi che nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciare - dice Giulia - perché mettersi contro i propri tutor è difficile. Sono loro che determinano il tuo percorso qua dentro: quando e se ti laurei» . Verità snocciolate adesso che il caso di stupro, raccontato da Repubblica, colpisce al cuore una comunità che conta 3mila tirocinanti. 

Il direttore generale dell'Umberto I, Fabrizio d'Alba, è sceso tra i viali del Policlinico per parlare ai tirocinanti, braccia in alto per mettere in mostra cartelli di denuncia. A Repubblica spiega: «Noi abbiamo denunciato e sospeso l'infermiere dopo avere interpellato un legale. Ufficialmente non sappiamo se questo signore era già stato protagonista di vicende simili. Stiamo verificando i nostri archivi».

Il dirigente, che è arrivato nel gennaio 2021, assicura che «altre segnalazioni di molestie a studenti sono state prontamente attivate con procedimenti disciplinari e i docenti sono stati sospesi e allontanati. Ma non abbiamo avuto segnalazioni nei confronti di personale diverso dai docenti». E, invece, per studentesse e studenti non è così. «Quando sono arrivata qui, la prima cosa che mi è stata detta è che dovevo stare attenta la notte » , racconta un'altra tirocinante. Un'altra gira la testa quando le si chiede se lei ha subito avance. 

Ma la sua collega parla eccome: « Sì ci sono e sono continue. Dentro i magazzini, nei corridoi, anche quando studiamo. È la nostra parola contro quella dei superiori e dimostrarlo è difficile quando sei sola. Noi segnaliamo alle caposala o ai docenti. Ma loro poi che fanno?». […]

"IO, STAGISTA NELLA TRAPPOLA DELL'INFERMIERE MI HA VIOLENTATO POI È TORNATO A LAVORARE". Estratto da “la Repubblica” il 30 ottobre 2022.

«Mi ha attirata dentro la stanza con la scusa di dover fare una flebo a un paziente, ma era vuota. Lui ha chiuso la porta a chiave - dice, prima di interrompersi per respirare e ricacciare indietro le lacrime - Era il mio ultimo giorno di pratica, non ci riesco a pensare». È ancora molto scossa Marta (nome di fantasia), 20 anni, la studentessa in Infermieristica vittima della violenza sessuale nella notte tra mercoledì e giovedì, in un angolo isolato del reparto di Urologia del policlinico Umberto I, il più grande ospedale di Roma. La 20enne, ora che è al sicuro, assistita al suo avvocato Carla Corsetti del Foro di Frosinone, ripercorre con Repubblica gli attimi terribili vissuti nella stanza al terzo piano del padiglione 29. 

Cosa è successo mercoledì?

«Sono andata lavorare per fare il turno di notte. Il mio piano di studi prevede 180 ore di pratica suddivise in sei cicli da 30 ore. Quello di quattro giorni fa era l'ultimo giorno di pratica del corso. Ero contenta di aver finito». 

Il suo aggressore la conosceva bene?

«Sì - sospira, chiudendo gli occhi - quell'infermiere non era solo un futuro collega più esperto. Era stato indicato come mio tutore durante la pratica universitaria. Io durante ogni turno stavo accanto a lui per imparare, facevo quello che mi diceva». 

Quale scusa ha usato per attirarla dentro la stanza?

«Stavamo facendo un giro pazienti, a un certo punto, verso le 23.30, mi ha detto: "Marta, seguimi, dobbiamo andare di là a cambiare la flebo a un paziente"». 

Dove l'ha portata?

«In una stanza piuttosto piccola, isolata rispetto al resto del reparto. Ultimamente ci sono stati dei lavori di ristrutturazione dell'edificio, quell'ala era stata chiusa, non l'avevo mai vista». 

Non c'era nessuno che potesse soccorrerla?

«No, non c'era nessuno nelle vicinanze. Quando siamo arrivati davanti a questa stanza, ho visto una lettiga vuota, non c'era nessun paziente. Non ho avuto il tempo di fare nulla. Mi ha dato una spinta, si è chiuso la porta alle spalle, ha girato a chiave e poi mi è saltato addosso».

Lei è riuscita a gridare?

«Ho urlato quando mi ha spinta sulla lettiga, ma non è venuto nessuno. Perché lì nessuno poteva sentirmi, lui lo sapeva». 

Come ha fatto a liberarsi?

«Ormai aveva già fatto tutto, io ero disperata, mi sentivo male. Lui non mi ha lasciato andare via. Non voleva che chiamassi i soccorsi. Allora mi sono inventata una scusa, gli ho detto che sarei tornata e sono scappata». 

Dove è andata?

«Sono corsa per le scale, sono uscita dalla palazzina e sono andata da un mio amico che stava facendo la pratica in un altro reparto. Lui mi ha accompagnata subito al pronto soccorso, ho avvisato per telefono mia madre che è arrivata con Carla, che è il mio avvocato, ma prima di tutto è una cara amica di famiglia, mi conosce da anni». […]

Il suo aggressore nel frattempo è scappato?

«No, da quello che so io, la polizia l'ha trovato in reparto, stava lavorando come se nulla fosse successo. L'hanno portato via e denunciato. Hanno sequestrato il lenzuolo che copriva la lettiga per fare l'esame del Dna, spero concludano le indagini in fretta e che lo arrestino». […]

Agente colpita con un sasso e stuprata: straniero in cella. L'aggressione nella zona del porto. In manette un bengalese di 23 anni con precedenti e irregolare. Antonio Borrelli su Il Giornale il 21 Ottobre 2022.  

Aveva appena terminato il turno al commissariato di polizia Decumani. Si stava incamminando verso l'auto per tornare a casa, quando nella zona del porto è stata seguita, colpita alla testa con una pietra e violentata.

È trascorsa da poco la mezzanotte quando la poliziotta napoletana viene aggredita brutalmente da un bengalese: ha con sé anche l'arma di ordinanza, ma non fa in tempo a difendersi perché viene subito stordita col sasso. Poi, nel buio della notte di mercoledì si consuma lo stupro, lontano da occhi e orecchie altrui. Secondo quanto appreso, la violenza si sarebbe consumata proprio nell'area del porto, all'altezza del varco Pisacane - una zona che di notte, contrariamente a quanto accade di giorno - è molto isolata e poco frequentata. Poi, dopo quei minuti terribili e interminabili, l'uomo si defila e fa perdere le tracce nell'oscurità. L'agente viene invece soccorsa e ricoverata all'ospedale Cardarelli, dove viene dimessa solo la mattina seguente. Dopo la scoperta e l'allarme lanciato dai colleghi della vittima, parte subito la caccia all'uomo con le ricerche a tappeto: poche ore dopo - non distante dall'aggressione, nei pressi della centrale via Duomo - viene arrestato da una volante un uomo originario del Bangladesh. Si tratta di J.M., un 23enne con precedenti di polizia e irregolare sul territorio nazionale, che è stato accusato di tentato omicidio e violenza sessuale aggravata. Per gli inquirenti è lui lo stupratore. Ma l'episodio ha subito scatenato un effetto domino di reazioni e polemiche sulla sicurezza a Napoli, recentemente tornata sotto i riflettori per numerosi casi di cronaca. Mentre il sindaco Gaetano Manfredi esprimeva solidarietà alla polizia e all'agente aggredita, ribadendo totale impegno sul versante della sicurezza in città, l'ex pm Catello Maresca, leader di opposizione in Consiglio comunale, rilevava «l'incapacità nella gestione dell'ordine pubblico ormai palese». I sindacati di polizia sono invece ancora più duri. «Condannare ed indignarsi per gli episodi di violenza non basta, serve una maggiore attenzione soprattutto durante le ore in cui la città si svuota», dichiarano Vera Buonomo e Roberto Massimo, rispettivamente, segretaria regionale della Uil Campania e segretario generale Usip Napoli. Il segretario generale del Siulp partenopeo Annalisa Cimino lancia invece «un grido di allarme a tutte le istituzioni coinvolte. «Questo ennesimo episodio di violenza - dice - ci spinge a chiedere ai futuri organi istituzionali politici a livello nazionale di provvedere con urgenza a revisionare le politiche immigratorie e la sicurezza urbana, intervenendo sul sistema normativo che disciplina l'operare delle forze dell'ordine garantendo a noi poliziotti di poter attuare protocolli operativi certi e scevri da giudizi di responsabilità che molto spesso le pongono in una condizione di quasi impotenza».

Gli stupri e il satanismo sulla ragazza in affido. Solo ora arriva la revoca. Alla coppia di Varese continuavano ad essere assegnati altri minori in difficoltà. Luca Fazzo il 17 Ottobre 2022 su Il Giornale. 

Una lunga serie di insabbiamenti e di archiviazioni, come se le accuse della vittima fossero farneticazioni: nonostante che fossero sostenute da testimonianze, e referti medici inequivocabili nella loro crudezza. Persino il dettaglio più raccapricciante, la ricucitura dei genitali esterni dopo la violenza, viene confermato dai medici; e si accerta che davvero la moglie e complice del capo dei violentatori faceva l'ostetrica, ed era in grado di effettuare la ricucitura. Eppure perché la vittima venisse creduta è servito l'intervento del pool antimafia della Procura di Milano, dove il fascicolo è approdato dopo un lungo peregrinare. E che il 5 ottobre ha ottenuto le misure cautelari ai danni della coppia varesina alla testa, secondo i racconti della vittima, del clan di satanisti che stupravano in gruppo, incappucciati di bianco e sotto un crocifisso capovolto.

A Milano i racconti della donna, oggi quarantenne, sono stati ritenuti pienamente credibili sia dal pm Stefano Ammendola sia dal giudice preliminare Stefania Pepe, che ha disposto l'obbligo di dimora con braccialetto elettronico della coppia. A colpire, nelle 66 pagine dell'ordinanza, non è solo la differenza di valutazioni tra giudici, che prima a Milano, poi a Como, poi a Siena, fanno cadere nel nulla i fascicoli. A lasciare increduli è anche il fatto che all'uomo, che aveva ricevuto la ragazza in affido, sia stato consentito di riconoscere come proprio il figlio avuto dalla ragazza stessa: che appena arrivata nella casa aveva iniziato a subire le sue perverse attenzioni. E altrettanto inspiegabile è che la magistratura abbia concesso per anni, prima e dopo che l'uomo aveva ingravidato la ragazza affidatagli, altri giovani, minorenni o comunque in difficoltà.

Sono episodi che chiamano in causa il Tribunale per i minorenni di Milano, la cui presidente Maria Carla Gatto, interpellata dal Giornale, conferma che i due coniugi continuavano a ricevere affidi: «In data 12 ottobre 2022 - scrive la Gatto - il pm minorile, vista l'ordinanza cautelare emessa nei confronti della coppia, ha chiesto al tribunale la modifica del collocamento di due minori gemelli che continuavano ad essere affidati da parte dei servizi sociali alla coppia in questione. Presso la stessa erano stati collocati a seguito di affido consensuale iniziato nell'anno 2010 in forza di un accordo intervenuto tra i genitori e i servizi sociali, confermato con decreto del giudice tutelare. La situazione era stata successivamente riesaminata da questo Tribunale attraverso l'espletamento di indagini psicosociali, ascolto dei minori e audizione dei genitori, con risultanze tutte convergenti a favore del mantenimento dell'affido dei minori».

Significa che anche quando erano noti i rapporti sessuali cui l'uomo sottoponeva una ragazza al punto di ingravidarla, servizi sociali e giudici continuavano a considerarli i perfetti affidatari. «Con decreto del 13 ottobre il Tribunale ha disposto, in via d'urgenza, la modifica del collocamento dei minori con rientro al domicilio familiare e accertamento da parte dei servizi della situazione complessiva nelle more del reperimento di una struttura educativa qualora la madre manifestasse la sua impossibilità di accoglienza e adeguato accudimento dei figli, oggi più grandi». Meglio tardi che mai. Ma gli interrogativi su come tutto questo sia stato possibile rimangono.

Gli abusi, poi i filmini ai pedofili: l'orrore sulla figlia di soli 2 anni. Un 33enne romano è stato arrestato con l’accusa di aver compiuto abusi sulla figlia di 2 anni e di averli filmati con lo smartphone per poi inviarli online ai frequentatori di una comunità pedofila online di stampo internazionale. Valentina Dardari il 15 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Un 33enne romano è stato arrestato con l’accusa di aver compiuto abusi sessuali sulla figlia di 2 anni e di averli filmati con lo smartphone per poi inviarli online ai frequentatori di una comunità pedofila online di stampo internazionale. Nelle scorse ore la polizia postale di Milano e Roma ha arrestato un 33enne romano con l’accusa di violenza sessuale aggravata ai danni di sua figlia, una bambina di 2 anni, detenzione, produzione e cessione di materiale pedopornografico, adescamento di minorenne.

Gli abusi all'interno dell'abitazione

Il fermo è avvenuto al termine di una perquisizione domiciliare e informatica eseguita dagli investigatori milanesi con il supporto del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online, Cncpo, del Servizio polizia postale e delle comunicazioni di Roma. Come reso noto dagli investigatori, la perquisizione e l'arresto dell'uomo hanno rappresentato “il culmine di una complessa e fulminea operazione di polizia giudiziaria”, coordinata dalla Repubblica presso il Tribunale di Milano. In una nota, la polizia ha fatto anche sapere che gli abusi, "ripresi con un iPhone, venivano compiuti all'interno delle mura domestiche" nei confronti della "figlia dell'indagato, che non ha ancora compiuto i due anni. Le foto e i video venivano poi inviati ai frequentatori di una comunità pedofila online di stampo internazionale".

La svolta dopo 20 ore di indagini

Nel momento in cui erano state avviate le indagini, gli investigatori della polizia postale non avevano ancora in mano una pista chiara da seguire, tranne gli stessi file illeciti pubblicati e un nickname di fantasia dietro il quale si nascondeva il carnefice. A quel punto gli uomini del Compartimento di Milano hanno fatto ricorso a vari strumenti tecnologici a loro disposizione per proteggere e salvare la piccola vittima. Dopo circa una ventina di ore di incessante attività investigativa è avvenuta la svolta nelle indagini, grazie alle avanzate conoscenze informatiche degli operatori più specializzati. In tempi record è così stato possibile creare uno strumento informatico che ha permesso di superare il muro di anonimato, dietro al quale si era nascosto il 33enne romano che, da accertamenti successivi, è risultato essere il padre della bimba.

Vittima anche un 15enne

La polizia ha fatto inoltre sapere che i dati raccolti durante la perquisizione informatica hanno anche fatto emergere"un adescamento sessuale che l'indagato stava conducendo nei confronti di un ragazzino di quindici anni". Gli investigatori hanno trovato, oltre ai file originali filmati durante gli abusi e allo smartphone usato per le riprese, anche gli account utilizzati per inviare e richiedere materiale pedopornografico, oltre che per parlare con le sue giovani vittime. Gli investigatori hanno quindi posto sotto sequestro tutto il materiale, e la persona indagata è stata trasferita nel carcere romano di Regina Coeli."Sia i poliziotti che i magistrati che hanno operato per la risoluzione del caso sono rimasti particolarmente colpiti dalla gravità delle condotte e dalla natura disumana dei crimini compiuti del genitore-orco. Non era infatti mai capitato, fino a quel momento, di accertare, in un singolo caso criminale, tutti i possibili reati previsti dal Codice penale in materia di sfruttamento dei minorenni per la produzione di materiale pornografico", ha osservato la polizia.

Le indagini partite dal racconto della ragazzina alla professoressa. “Papà fa come il fidanzato”: arrestato 36enne per abusi sulla figlia 13enne e sulla moglie. Vito Califano su Il Riformista il 12 Ottobre 2022 

Degli abusi la ragazzina, di 13 anni, ha parlato alla sua professoressa. “Mio padre fa come il fidanzato”, il racconto sconvolgente. “Succede sempre, ogni volta che siamo soli”. I carabinieri di Catania hanno arrestato l’uomo, un 36enne, per le accuse di violenza sessuale sulla figlia e sulla moglie, anche in presenza dei figli nel caso di quest’ultima. La vicenda terribile e grottesca, sulla quale indagano i militari etnei, è stata raccontata dal media locale La Sicilia. L’uomo è stato trasferito nel carcere di Piazza Lanza.

A far scattare la denuncia proprio il racconto della ragazzina alla sua professoressa. La 13enne era preoccupata da un lieve ritardo del ciclo e ne avrebbe parlato all’insegnante. Gli abusi si sarebbero ripetuti da almeno un anno. “Sono successe tre o quattro volte che mio padre mi toccava e sempre le stesse cose. Lui mi ha abbassato il pigiama ma lui era vestito”, il racconto raccapricciante che avrebbe riferito anche di rapporti sessuali completi. “Però può succedere che i padri mettono incinte le figlie”, le parole che aggiungono orrore all’orrore.

La madre della ragazzina sarebbe stata anche lei costretta a rapporti sessuali, anche sotto la minaccia di coltelli. L’inchiesta era partita nel giugno scorso. Il gip di Catania ha accolto la richiesta della Procura e ha ordinato l’arresto del 36enne, padre di altri quattro figli, che è finito in carcere con l’accusa di violenza sessuale e di maltrattamenti in famiglia. La donna e i cinque figli sono stati trasferiti in una località protetta, lontano da quella casa nel cuore di Catania.

Dove stando all’ordinanza di 14 pagine si sarebbe consumato un vero e proprio orrore. La nonna alla ragazzina avrebbe detto che era “un gioco”, la 13 enne ai pm avrebbe parlato di “scherzi” nel lettone di “pomeriggio e di sera” e della sua paura degli assistenti sociali. La ragazzina non voleva che il padre “venga arrestato” per colpa sua. Eppure aveva raccontato qualcosa alla sorella, salvo poi ritrattare tutto, “forse l’ho sognato”. La svolta è arrivata con la testimonianza della madre, la moglie dell’accusato.

La donna avrebbe raccontato di ripetuti maltrattamenti, con padelle e coltelli, pugni, di offese e ingiurie davanti ai figli. L’indagato in passato avrebbe avuto problemi con alcol e droga, alla moglie che le chiedeva spiegazioni sui “sogni” della figlia 13enne avrebbe negato tutto. Una volta in comunità i figli hanno confermato le violenze sulla madre. Oltre alle testimonianze usate anche delle intercettazioni.

“Gli accertamenti dei carabinieri – si legge in una nota della Procura di Catania – sono stati inoltre fondamentali per dimostrare ulteriormente la freddezza e la mancanza di qualsivoglia inibizione da parte del ‘genitore carnefice’, che aveva sempre contrastato i tentativi delle vittime di far emergere con i familiari quanto di torbido stesse accadendo. Invece di desistere o di comprendere la gravità dei propri gesti, l’uomo aveva invece fatto credere ai parenti che le confessioni della figlia e della convivente fossero semplicemente il frutto della loro immaginazione e talvolta addirittura di ‘un sogno’”

L’avvocato Francesco Marchese ha fatto sapere che il suo assistito si dichiara del tutto innocente: “L’unica cosa che posso dire è che leggendo l’ordinanza di custodia cautelare, ho colto numerose contraddizioni nei racconti delle persone offese. In questi casi il silenzio è d’obbligo per un difensore perché ci sono persone offese e un uomo è in carcere. Posso solo dire che il procedimento è appena iniziato, ogni commento sarebbe inutile non conoscendo interamente le carte processuali, a parte l’ordinanza”.

Altra indicibile vicenda era stata ricostruita recentemente dalla Polizia a Vercelli dove secondo le accuse una ragazzina di 13 anni sarebbe stata costretta alla prostituzione. “Ti ammazzo, ti brucio gli occhi!”, una delle minacce che sarebbero state rivolte alla ragazzina. Cinque le persone arrestate, tra cui i due genitori, per violenza sessuale aggravata su minore infraquattordicenne, sfruttamento della prostituzione minorile, maltrattamenti in famiglia. A 14 anni, in provincia di Catania, invece una ragazzina era stata ceduta dai genitori all’uomo che le aveva fatto da padrino di cresima: tutti e tre gli adulti erano stati arrestati.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

In ricordo di Norma Cossetto stuprata dai partigiani comunisti. Guido Igliori su Cukturaidentita.it il 4 Ottobre 2022

Era l’estate del 1943 e stava raccogliendo il materiale per la sua tesi di Laurea, intitolata L’Istria Rossa, che avrebbe discusso di lì a poco all’Universtà di Padova: lei era Norma Cossetto, insegnate precaria e studentessa, nata 17 maggio del 1920 a Santa Domenica di Visinada in Istria. Ma quel lavoro accademico non vide mai la luce: il 26 settembre di quell’anno un gruppo di partigiani comunisti titini la sequestrò e la portò nell’ex caserma dei Carabinieri di Visignano con l’obbligo di aderire al Movimento Popolare di Liberazione. Lei si rifiutò e per quel rifiuto iniziò l’inferno che la portò a una morte atroce: il giorno dopo la presero di nuovo e la portarono via. Non sarebbe più tornata a casa: diciassette aguzzini, partigiani comunisti, la legarono ad un tavolo, ripetutamente la violentarono, le recisero i seni e proseguirono con sevizie abominevoli e innominabili che finirono solo nella notte tra il 4 e 5 ottobre quando, insieme ad altri prigionieri, Norma Cossetto venne condotta con la forza fino a Villa Suriani e ancora viva gettata in una foiba. Aveva solo 23 anni.

Come dice Edoardo Sylos Labini direttore e fondatore di CulturaIdentità, questa è una pagina di inaudita violenza rimasta vergognosamente nascosta per troppi anni in molti libri di storia. Ed è per questo che con CulturaIdentità e il Comitato 10 Febbraio Norma Cossetto verrà ricordata i prossimi 4 e 5 ottobre in oltre 200 città italiane con una rosa rossa presso i monumenti simbolo della Grande Guerra, delle foibe e della violenza contro le donne. Un messaggio, quello di Norma Cossetto, di drammatica attualità, afferma Labini, non solo per il carattere ignominioso della violenza esercitata contro una donna per motivazioni politiche: si pensi alle manifestazioni di questi giorni delle donne in Iran contro la repressione e a favore della libertà, quella stessa libertà che Norma Cossetto difese fino all’estremo sacrificio. La violenza contro le donne va combattuta ogni giorno: ricordatela con noi con una rosa rossa in tutte le città italiane.

(ANSA il 25 settembre 2022) - Tra i due la serata era cominciata con una "adesione al rapporto intimo del bacio". Sarebbe cioè stato difficile capire se l'atteggiamento di lei era poi mutato in "vaga ritrosia o diniego esplicito". Ovvero se il ragazzo "avesse colto la reazione contraria" della giovane. Ma quel che più importa, è che la "insistenza, forse anche colposamente eccessiva", di lui "non era mai trasmodata in violenza". 

È in sintesi la ragione con la quale il Gup del Tribunale di Ravenna Corrado Schiaretti il 7 aprile scorso, al termine del rito abbreviato, ha assolto un 29enne di Castel Bolognese, nel Ravennate, dalle accuse di violenza sessuale e lesioni aggravate nei confronti di una studentessa di Bologna poco più che 20enne. I fatti risalgono al 13 novembre 2018.

L'imputato, come riportato dal Resto del Carlino, lavorava per una agenzia che si occupa di reclutare ragazze immagine per i locali. La giovane, risarcita e dunque non costituitasi parte civile, in udienza aveva detto di perdonarlo. Davanti agli inquirenti, era però stata netta nell'elencare i decisi e sgraditi approcci sessuali del giovane: a suo avviso, lui l'aveva prima fatta ubriacare e abusata. Il giovane - difeso dagli avvocati Albert Pepe e Samuele De Luca - pur ammettendo di averci provato, aveva negato ogni forma di violenza.

Dopo avere analizzato referti e testimonianze, il giudice è arrivato a questa conclusione: quella sera la giovane "era in difficoltà emotiva, non etilica: è possibile che fosse confusa" per via di "una situazione inattesa con pochi mezzi per fronteggiarla, come spesso accade in età molto giovane". Cioè il suo racconto, "in una certa misura, potrebbe dovere essere depurato dal portato emotivo". E così "è possibile pensare che un diniego sussurrato da una giovane che faceva di tutto per sembrare tranquilla, potrebbe non essere stato colto" dal 29enne "come effettiva barriera a un rapporto sessuale consenziente". 

L'ex fidanzato 17enne: "Genitori mi dicevano 'rumeno di merda'". L’orrore di Chiara, a 14 anni due gravidanze e tanta violenza: “Bruciature e morsi, costretta ad avere rapporti in strada”. Redazione su Il Riformista il 4 Settembre 2022 

Due gravidanze, l’ultima ancora in corso e frutto di una violenza avvenuta “sotto il Tevere“. E’ una storia raccapricciante quella che riguarda una ragazzina che oggi ha solo 14 anni e il suo ex fidanzato 17enne. Una storia malata, frutto di violenze, minacce e di un uso del cellulare spasmodico, con foto erotiche, insulti e offese anche nel gruppo degli amici.

E’ la storia che la giovane Chiara ha raccontato lo scorso 30 luglio ai carabinieri di Prima Porta. Il suo ex fidanzato, un 17enne di nazionalità straniera, è stato arrestato due settimane dopo, il 14 agosto, con l’accusa di stalking, violenza sessuale e lesioni e adesso si trova in comunità. Reati frutto di una vera e propria persecuzione volta a costringere la 14enne a non interrompere la prima gravidanza.

Un orrore raccontato da Repubblica che riporta le parole che Chiara ha rilasciato agli investigatori, facendo partire le indagini. “Il mio ragazzo mi ha picchiata, ha provato a strozzarmi mettendomi le mani al collo, mi ha dato dei morsi in faccia” ha raccontato ai carabinieri a fine luglio, settimane dopo il primo aborto avvenuto in ospedale.

Ha raccontato di essere stata costretta ad avere rapporti sessuali anche “per strada, nel prato, in giro” nel corso di una relazione dove “all’inizio era bravo, poi ha iniziato a diventare violento, mi ha rubato dentro casa, era geloso e mi obbligava a non andare a scuola se no mi menava per gelosia”.

Secondo la ricostruzione dei magistrati, il 17enne “non le avrebbe permesso neanche di andare in palestra o a scuola guida”. E ancora: “Le faceva bruciature di sigaretta e le sferrava calci e pugni”, “le ha spaccato il telefono, la gonfia e racconta che una sera era andata a ballare con le amiche e che l’ha presa a pugni rompendole il labbro”.

Completamente diversa, invece, la versione fornita dal 17enne che prova a difendersi dalle accuse della ex. Sostiene di aver consumato il primo rapporto consenziente il 26 settembre scorso, a casa di Chiara, a Roma Nord. Poi racconta i contrasti avuti con la mamma e il papà di lei: “I genitori non erano d’accordo, mi dicevano ‘rumeno di merda’, ‘non ti lavi’. Non ho inviato messaggi su Instagram, Chiara ha la password del mio profilo e ha cancellato molti miei messaggi. Insultava mia madre dal mio profilo e diceva che ero stato io – continua – Non l’ho mai picchiata. Una volta aveva dei graffi, quando stavo per partire per Udine, e disse a mia madre che era stata sua madre”.

Le indagini condotte dal pm Carlo Morra proseguono. Al vaglio i due cellulari dei ragazzi che contengono prove importanti: dalle foto erotiche ad accuse e insulti diffusi anche in altre chat, dove erano presenti amici del 17enne.

Una storia che riparte, nel luglio scorso, dopo il primo aborto di Chiara. Dura un altro paio di settimane con lei che adesso aspetta un bambino dopo un “rapporto sessuale avvenuto sotto il Tevere”. “Mi ha obbligata a farlo”, dice, “sotto al ponte”, facendola “stare zitta con la mano nella bocca per impedirle di urlare“. “Mi diceva di stare zitta se no mi menava” aggiunge.

Secondo Guido Pascucci, legale del 17enne, si tratta di un dramma che “si genera in un contesto di disagio sociale e genitoriale  ed è amplificato dalla estrema precocità delle esperienze avute, e da una dipendenza maniacale, di entrambi i giovani, dall’uso dei social. Ogni esperienza doveva passare attraverso quella protesi emotiva che sono i cellulari la cui sospensione dell’uso, dovuta all’intervento di assistenti sociali e tribunale sembra la maggior forma di sanzione subita da vittima e carnefice”.

La modella resa schiava dal pr a Milano: «Quelle notti di droga e sesso con altri uomini, farò i nomi di tutti». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 20 settembre 2022.

La ragazza è arrivata l’anno scorso dal Brasile, a 21 anni: sognava una carriera nella moda e ha creduto alle promesse di un pr milanese 42enne, divenuto il suo compagno. Poi i festini, i pestaggi, i rapporti con altri uomini. E la persecuzione continua 

La modella 22enne brasiliana ha denunciato di aver assunto droghe datele dal suo ex, un pr milanese

Nel marzo 2021 il suo arrivo a Milano; di poche settimane dopo, l’inizio di tutto; di quest’estate la fuga dalla città, anzi dall’Italia; di venerdì scorso, come raccontato dal «Corriere», la denuncia presentata dal suo avvocato in Procura.

«Non ho denunciato prima per paura: quell’uomo ripeteva che, se avessi deciso di parlare con chiunque, mi avrebbe ucciso. Poi avrebbe distrutto la mia famiglia. E nel caso in cui fossi sparita, scappando, giurava che avrebbe mandato qualcuno a cercarmi».

La modella 22enne, di nazionalità brasiliana e origini italiane, è difesa dall’avvocato Alexandro Maria Tirelli («Auspico che gli inquirenti provvedano con la massima celerità ai sequestri necessari per acquisire prove. Bisogna sollevare il coperchio di questa tremenda storia»); modella che ha raccontato la persecuzione subìta da un pr di 42 anni con cui ha vissuto e avuto una relazione. In quella denuncia, si elencano festini a base di droga e sesso, di pestaggi, di «obblighi» ad avere rapporti con altri uomini che a volte pagavano e a volte no; si elencano minacce, lesioni al naso per la tanta cocaina, aggressioni. Il fascicolo, da ieri, è sotto l’esame del procuratore aggiunto Letizia Mannella, che assegnerà il caso a un pm per l’avvio delle indagini.

A Milano lei non è più tornata?

«Di recente. Un velocissimo passaggio. Sono stata nella mia agenzia, abbiamo parlato di lavoro: i miei book sono da aggiornare, del resto sono rimasta ferma a lungo...».

Dove vive in questo momento?

«In una capitale europea. Sto effettuando delle riprese con i fotografi, e non appena i miei nuovi book saranno pronti, allora comincerò a girare per le agenzie. Questo è il mio obiettivo, spero davvero ci riuscirci, di trovare la forza. Non è affatto scontato».

E tolto il lavoro?

«Tento di riprendermi la mia vita. Di concentrarmi su me stessa, di tornare alla mia routine che avevo prima che tutto ciò accadesse. Ho iniziato a studiare con un’università online, per laurearmi un giorno in marketing, mi servirà quando non farò più la modella... Ma ancora fatico a dormire, soffro d’ansia, un’ansia perenne. Ansia e terrore... Ho vissuto un tempo infinito senza rendermi conto di che cosa stesse avvenendo... Mi ha somministrato benzedrina. Mi parlava di intere notti di rapporti sessuali dei quali io non ricordavo nulla...Sono piena di vergogna, di sensi di colpa. Non appena mi sentiranno in Procura, spiegherò al magistrato che a lungo, molto a lungo, ed è il motivo per il quale non ho cercato un avvocato prima oppure non me ne sono andata da quella casa, mi vergognavo... Mi vergognavo e pensavo, forse ne ero profondamente convinta, che io fossi l’unica responsabile perché lui, abile, abilissimo nella manipolazione psicologica, me lo faceva credere... Ero totalmente succube, ero completamente alienata dalla realtà... Dopodiché c’è il discorso dei video privati. Mi ha filmato mentre avevamo rapporti. Erano un’arma, o meglio lo sono ancora: più volte, ha detto che li avrebbe inviati a mia mamma in Brasile, oppure che li avrebbe fatti circolare nel mio mondo lavorativo. Sono al corrente di una cosa: che quest’arma dei video, l’ha già utilizzata con una precedente fidanzata».

Nella denuncia, lei ammette di essersi drogata in numerose circostanze.

«Non era mai successo. Lui, da subito, si è messo a farsi, lì davanti a me, e da allora non ha fatto che ripetermi che se l’avessi seguito poi mi sarei sentita meglio, la mia vita sarebbe stata più leggera... Ma io oggi non assumo droghe. Niente di niente. Non avevo una dipendenza: mi drogavo su sua insistenza e richiesta».

Allontanandosi da Milano, cambiando numero di cellulare, lei ha definitivamente preso distacco fisico da quell’uomo?

«Non so come, ma qualche settimana fa è riuscito a scoprire il mio nuovo numero di telefono, e si è messo a scrivere messaggi di scuse, alternati a nuove minacce. A Milano, l’istantaneo passaggio da uno stato di calma a uno di rabbia era frequente. In pochi secondi mi offendeva, prendeva un coltello e lo avvicinava al mio viso, mi picchiava, urlava... E delle tante frasi, ce n’era una: unicamente ammazzandomi, la sua esistenza avrebbe acquistato un senso...».

Ancora nella denuncia, ci sono le sere e le nottate in cui lei è stata costretta a prostituirsi.

«All’inizio portava a casa della gente, e sempre professando la necessità di aprirsi a ogni tipo di esperienza, dopo un abbondante consumo di cocaina finivamo tutti nella camera da letto, per ore... Poi ci sono state le volte in cui, sì, sono stata pagata per fare sesso... Soldi che ho dato a lui fino all’ultimo centesimo: 15mila euro. Sono soldi dannati, e quella persona che li ha ricevuti non ero io, bensì una mia trasfigurazione».

Quando ha iniziato a fare la modella?

«Nel mio Brasile, a 18 anni. Sono appena quattro anni che svolgo questo mestiere, ma ho già viaggiato ovunque, soprattutto in nazioni dell’Asia. Ho origini italiane, e nel 2021 avevo deciso di prendere la cittadinanza e venire a Milano. Una ragazza mi aveva segnalato il nome di quell’uomo, uno dell’ambiente, che avrebbe potuto sostenermi e fornire ogni aiuto possibile. In una prima fase, ero andata a stare in hotel; poi avevo iniziato a fermarmi nel suo appartamento. E intanto, tra di noi, era nata una relazione».

Dalla denuncia traspare una rete ampia di episodi, non «limitate» a lei e a quell’uomo, ma al contrario collegata ad altri uomini e altre modelle, a festini a base di cocaina, la solita impressionante quantità enorme di cocaina, e la prostituzione, i traffici di benzedrina...

«Sì, confermo. Io sono pronta a fare tutti i nomi e raccontare i singoli dettagli».

Estratto dall'articolo di Valeria Di Corrado per “Il Messaggero” il 23 settembre 2022.

Non ci sono delle semplici analogie tra la storia di violenze, manipolazioni e ricatti denunciata il 17 settembre scorso da una modella italo-brasiliana alla Procura di Milano e quella più nota che lunedì ha portato il giudice milanese Chiara Valori alla condanna di Alberto Genovese a 8 anni e 4 mesi. 

Nel processo celebrato con rito abbreviato a carico dell'ex imprenditore del web, accusato di aver stuprato due giovani modelle dopo averle rese incoscienti con mix di cocaina e ketamina, ha testimoniato (citato dalla difesa di Genovese) proprio il pr turco di 41 anni che ora è stato denunciato dalla 22enne italo-brasiliana.

I due hanno anche molti amici in comune sui social e, da quanto emerge, i partecipanti ai loro rispettivi festini a base di droga, psicofarmaci e alcol, erano gli stessi. Nel caso di Genovese, a denunciarlo sono state una modella di 18 anni che avrebbe subito il 10 ottobre 2020 abusi durati 20 ore nell'attico milanese con vista sul Duomo da lui denominato Terrazza Sentimento, e un'altra modella di 23 anni ospite in una villa di lusso a Ibiza nel luglio precedente. 

La drammatica storia di Maria (nome di fantasia) inizia nel marzo del 2021, quando dal Brasile arriva a Milano per richiedere la cittadinanza italiana. Viene ospitata dal 41enne di origini turche, con il quale inizia una relazione. […]

«È una persona ossessionata dal sesso e durante quei mesi mi convinceva a filmare i nostri rapporti con il suo telefono. Lo assecondavo - precisa Maria - perché mi parlava addirittura di matrimonio». Poi avrebbe iniziato a pretendere che la 22enne andasse a letto anche con altri uomini, dietro pagamento: «Per convincermi a cedere mi diceva che voleva sposarmi, che aveva bisogno di prove tangibili del mio sentimento e che gli serviva quel denaro per ottenere il passaporto». […]

Ero totalmente succube delle sue manipolazioni e completamente alienata dalla realtà (...) Ormai ero la sua schiava, vittima delle sue minacce e della droga che mi faceva assumere». «Mi diceva che, se lo avessi lasciato, mi avrebbe uccisa e poi si sarebbe tolto la vita - racconta la modella nella denuncia - Mi ha sferrato 4 pugni in testa, per poi puntarmi un coltello contro dicendo che me lo avrebbe infilato in bocca. Talvolta mi somministrava gocce di triazolam». «Ho pagato i suoi debiti con i soldi che ha ricavato dai miei incontri con gli uomini, ho pagato il suo affitto, i suoi vestiti, la droga e le prostitute - conclude Maria - Ma ancora oggi continua a cercarmi, ricattarmi e chiedermi denaro».

Il 41enne turco avrebbe una doppia identità ed è ricercato dal suo Paese, con un mandato di cattura internazionale. È stato accusato anche di una frode insieme a una ex miss della Turchia. […]

La Milano by-night schiava di droga e sesso. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 20 Settembre 2022.

La modella è arrivata l’anno scorso dal Brasile, a 21 anni: sognava una carriera nella capitale mondiale della moda ed ha creduto alle promesse di uno dei tanti squallidi pr milanese 42enne, divenuto il suo compagno. Ma subito dopo i festini a base di droghe, i pestaggi, i rapporti imposti con altri uomini. Ma la persecuzione continua con la complicità della lentezza della giustizia

Si è appena chiuso il capitolo delle feste a base di droghe e sesso sulla Terrazza Sentimento organizzate dall’ imprenditore milionario Alberto Genovese, fondatore del sito Facile.it, che se ne sta per aprire un’altro grazie alla denuncia presentata venerdì scorso in procura a Milano dagli avvocati di una ragazza 22 anni, che lavorava come modella. “Sono vittima delle minacce e della droga. Mi ha somministrato benzedrina. Ho una lesione al naso, per la cocaina. Mi ha convinto a filmare i nostri rapporti sessuali: ha minacciato di inviare i video alla mia famiglia” .

E questa è la sua storia, rivelata dal Corriere della Sera. “Ho origini italiane. Nel marzo 2021 ho deciso di venire a Milano proprio per avviare la procedura della cittadinanza. Una conoscente mi ha fatto il nome di quest’uomo”. Un 42enne, attivo anche come pr nel giro delle agenzie di modelle. La base della presunta persecuzione è un appartamento in una bassa palazzina di una zona residenziale. A pochi metri, un’agenzia di casting. Adesso sarà il pm, insieme alle forze dell’ ordine, ad indagare sui fatti denunciati ed accertare gli eventuali reati. Leggendo la denuncia, è plausibile ipotizzare un giro stratificato, ampio, che presenta varie analogie con gli orrori di “Terrazza Sentimento” e dell’imprenditore Alberto Genovese. Ma appunto come dicevamo prima lo accerteranno gli investigatori.

Anche nello scandalo di Genovese c’era un p.r. al centro di tutti i racconti delle donne che partecipavano al party, come raccontava un anno fa il quotidiano La Repubblica (vedi qui) Una di loro, che chiameremo Natasha, ne ha delineato il ruolo: “C’era della droga alla festa – ha messo a verbale – ad un certo punto, c’erano due piatti a disposizione per tutti. Li ha portati vicino al bar Daniele Leali: in uno c’era 2CB, conosciuta come “coca rosa”, e nell’altro “Calvin Klein”, che è chetamina mischiata con cocaina“. Una figura da sensale, almeno secondo la versione della ragazza: “Credo che tutti si aspettassero che Leali la portasse in sala, nessuno si è spaventato o sorpreso della cosa“. Rassicurante, a modo suo. Tanto che Natasha, la notte del brutale stupro dell’amica, lo aveva preso a riferimento, per non correre rischi in quel delirio tossico: “Ho sempre seguito con i miei occhi il braccio destro del Genovese, Daniele Leali, per capire la situazione e se ci si poteva fidare“. Da chiarire che Leali nel processo a Genovese ed alla sua ex-compagna, non è stato mandato a giudizio. 

Proseguiamo con il racconto della modella. “Lui si è mostrato da subito gentile e premuroso, proponendo di ospitarmi. Mi sono trasferita come soluzione temporanea. Ha presto cominciato a drogarsi davanti a me. Mi ha proposto di provare, fidandomi lui. Diceva che dopo sarei stata meglio… Non saprò mai come sia potuto accadere, ma è successo… Con il trascorrere dei giorni, è nata una relazione. Dopo pochissimo tempo, sono diventata completamente dipendente da lui… Si tratta di una persona ossessionata dal sesso. Io ero disposta a tutto. Lo assecondavo in ogni richiesta anche quando mi convinceva a compiere atti che mai avrei pensato di fare…“.

Dal marzo scorso arriviamo all’estate. “I documenti relativi alla richiesta di cittadinanza non erano pronti, così sono rimasta nell’appartamento. Ha iniziato a parlare di problemi economici. Fino a quel momento, aveva coperto lui ogni tipo di spesa. In quel periodo non potevo lavorare, avevo problemi alla pelle del viso. Ha preso con insistenza a lamentarsi dell’assenza di soldi, accusandomi — e facendomi credere, abilissimo com’è nelle manipolazioni psicologiche — di essere io la responsabile. Ha introdotto la possibilità di invitare degli uomini con i quali avrei avuto dei rapporti. Mi sono rifiutata. Lui insisteva». Trascorrono i mesi. “Non smetteva di acquistare cocaina e ospitare feste. A Milano come a Porto Cervo. Ha cominciato a picchiarmi e minacciare di rivelare che mi drogavo. Ero sotto ricatto. Un giorno mi ha detto di aver fatto sesso con me tutta la notte, ma ero così stordita che non riuscivo a ricordare niente”. 

“Non ho denunciato prima per paura: quell’uomo ripeteva che, se avessi deciso di parlare con chiunque, mi avrebbe ucciso. Poi avrebbe distrutto la mia famiglia. E nel caso in cui fossi sparita, scappando, giurava che avrebbe mandato qualcuno a cercarmi” racconta la giovane ragazza.

L’ avvocato Alexandro Maria Tirelli è il legale della ragazza: “Una delle situazioni più raccapriccianti della mia carriera. Rivolgo un appello alla Procura affinché voglia eseguire le indagini in maniera tempestiva e chiudere questa infame storia“. La modella aiutata da amici, questa volta veri, ha lasciato l’Italia, racconta “So che altre donne lo hanno denunciato per violenze… Non riesco a dormire, vivo nel terrore. La somministrazione di benzedrina era quasi quotidiana… Così come della droga. La droga mi ha persino impedito di rendermi conto di cosa capitava… Quel problema al naso, per la cocaina, non ho il coraggio di farlo vedere… È riuscito a ottenere il mio nuovo numero. Mi invia dei messaggi: ogni messaggio mi genera angoscia… I soldi dei rapporti sessuali con altri uomini, li ho sempre consegnati a lui: si tratta di 15mila euro. Ha detto che rimango di sua proprietà e che, se mi uccidesse, la sua vita acquisterebbe un senso”. 

“Ho avuto rapporti sessuali con altri uomini, in sua presenza: mi ha obbligato a prostituirmi. Ha organizzato feste a base di droga e di sesso… Io sono disposta a indicare i nomi di ogni persona coinvolta” conclude la modella italo-brasiliana. Ed ora la Milano by-night, i “modellari” , i p.r. delle discoteche ed agenzie di modelle iniziano a tremare. Il vero dramma è che periodicamente, quasi ciclicamente a Milano accadono gli stessi scandali. A parole tutti dicono di volerla cambiare, ma in realtà, grattacieli a parte non cambia mai niente, E questa è la Milano da vomitare. Non quella da bere.

Bronx ’82. Uno stupro a Bologna non fa notizia se non può essere strumentalizzato politicamente.  Guia Soncini su L'Inkiesta il 17 Settembre 2022

Nella città che si autodefinisce la più accogliente d'Europa una diciassettenne è stata violentata ai Giardini Margherita, ma la vicenda viene relegata a qualche trafiletto dai giornali che preferiscono parlare delle scritte sui muri contro il sindaco. Forse perché mancano pochi giorni alle elezioni?

Quanto vale uno stupro? Quanto vale in termini politici, amministrativi, propagandistici, pre-elettorali? Qual è la pezzatura consona per uno stupro sulle pagine locali della città-più-accogliente-d’Europa?

Prendiamola da lontano, dal quadro generale di una cosa alla quale la sinistra teoricamente tiene – la sicurezza delle donne – in una città amministrata dal Pd. Anzi, prendiamola da una premessa personale: secondo me quello della violenza sulle donne è un problema senza soluzione. L’idea di avere abbastanza forze dell’ordine per prevenire i reati è lunare (non ce ne sono abbastanza neanche per occuparsi dei reati già commessi); l’idea che i maschi si possano rieducare da un automatismo quale la sopraffazione del più forte sul più debole è velleitaria.

«Dobbiamo fermare gli uomini che odiano le donne. Come sindaco di Bologna ho voluto prendere una posizione forte»: è l’incipit d’un video di Matteo Lepore del 25 agosto, dopo quelli che definisce «due atti di violenza contro due donne che vivevano nella nostra città» (una era una turista finlandese, ma siccome è di sinistra non può dire «le nostre donne» e allora ne fa le nostre concittadine).

La turista è stata violentata il 20 agosto, il 23 una donna è stata uccisa dall’ex fidanzato, e poi il 12 settembre verrà violentata un’altra turista. La «posizione forte» annunciata nel video Instagram e in interviste a tutta pagina del sindaco più accogliente d’Italia è che il comune si costituirà parte civile: cioè, se l’assassino o il violentatore verranno condannati, dovranno dare dei soldi al comune la cui immagine è stata danneggiata da questi reati. Speriamo almeno che i soldi li usino per migliorare la raccolta della spazzatura.

Adesso però, nella città-più-progressista-d’Europa e anche in quella più simile al Bronx del 1982, mercoledì avrebbero violentato una diciassettenne, ai Giardini Margherita (il grande parco vicino al centro della città), a mezzanotte. Cos’è successo non è chiaro, come sempre in questi casi (le telecamere di sicurezza dei Giardini Margherita sono rotte, ma non è certo perché i sindaci ormai passano più tempo a instagrammarsi che a pensare alla manutenzione della città: si sono convinti sia un mestiere glamour, mica una brutta fatica di lampioni da far funzionare e spazzatura da raccogliere).

La ragazza sarebbe stata avvicinata da un coetaneo che, dopo averci provato a vuoto, l’avrebbe violentata. Secondo le pagine locali del Corriere, la diciassettenne «vive un momento di fragilità e attualmente è ospitata in una struttura per minori del Bolognese» (maiuscola loro). E io vorrei proprio sapere cosa esistono a fare gli istituti per minori sbandati se poi lasciano che quei minori, in un mercoledì feriale, se ne vadano a zonzo a mezzanotte.

Ma, soprattutto, vorrei sapere come i giornali di sinistra avrebbero trattato questa notizia se il presunto stupro fosse avvenuto in una città governata dalla destra, e magari non dieci giorni prima delle elezioni. Vi farà piacere sapere con quale pezzatura propagandistica è stata trattata, a metà del settembre 2022, nella città-più-di-sinistra-della-via-Lattea.

Il Resto del Carlino ci apre la prima pagina locale. A pagina 2 e pagina 3, tre articoli. Il Corriere pure la mette in prima pagina, sebbene sotto all’ubriachissima questione dei cellulari in classe, e ci fa l’apertura di pagina 5, mezza pagina. Sulla prima pagina di Repubblica Bologna, la diciassettenne non esiste.

C’è un premio ad Alessandro Bergonzoni, una polemica di Lepore con Landini, e «tre anarchici verso processo per le minacce al sindaco», con rimando a pagina 7. In realtà l’articolo sui tre pirla apre pagina 9: avrebbero scritto su un muro con lo spray «Lepore nel cofano 180 in curva». Sotto a questo gravissimo crimine con tanto di foto della scritta che apre la pagina, nello spazio avanzato di fianco alla pubblicità fa capolino un trafiletto: «Minorenne aggredita ai Margherita».

Certo, è possibile che la storia sia meno chiara di quel che sembra e a Repubblica lo sappiano, è possibile che la diciassettenne sia una sbandata, una mitomane, che la vicenda neanche arrivi a processo e il Carlino la cavalchi per ragioni propagandistiche. Ma.

Ma proviamo a pensare a un ragionamento del genere fatto per un qualsivoglia stupro non sotto elezioni in una città non amministrata da partiti di sinistra. Proviamo a pensare a cosa direbbero le deputate di sinistra, le commentatrici di sinistra, le instagrammatrici di sinistra se si relegasse uno stupro in un trafiletto perché, dai, sarà mica attendibile quella vittima lì.

La piramide delle violazioni intersezionali è semovente. La violenza sulle donne è un tema fondamentale, è un tema identitario, è il tema decisivo per la parità di genere, per l’emancipazione, per la rava e per la fava. Ma solo se non siamo sotto elezioni. Solo se non può essere strumentalizzato per far prendere ancora più voti alla destra. Solo se quello stupro non alimenta la propaganda «allora lo vedete che la sinistra non sa gestire la sicurezza allora tanto vale votare la Meloni». Solo se. Altrimenti scivola in fondo.

Abbiate pazienza, ragazze, manca poco: appena perdiamo, torniamo a occuparci della priorità che nessuno s’infili a forza nelle vostre mutande; nel frattempo, ci sembra più grave che nelle ore di matematica non possiate compulsare TikTok.

Margherita Montanari per corriere.it l'11 settembre 2022.

Uno dopo l’altro hanno raccontato ai propri familiari delle strane attenzioni ricevute dal professore di religione. O di quei video, dai contenuti impossibili da travisare, inviati dal docente dell’istituto superiore piacentino ai loro numeri di cellulare. Tra i ragazzi, tutti minorenni, c’è anche chi ha avuto il coraggio di informare l’amministrazione scolastica di incontri avvenuti all’esterno della scuola.

Testimonianze che hanno contribuito ad avviare un’indagine culminata nell’arresto dell’insegnante, ora accusato di violenza sessuale aggravata. I primi atti di questa dolorosa vicenda, di cui riporta il quotidiano piacentino Libertà, risalgono a febbraio 2021. Oltre un anno fa, il susseguirsi di segnalazioni da parte dei ragazzi e delle loro famiglie aveva portato l’amministrazione scolastica ad allontanare il professore di religione.

Una sospensione in via cautelare dalle mura dell’istituto seguita, un mese dopo, dalla sospensione dall’incarico da parte della Diocesi piacentina. Il docente, arrivato in cattedra nella scuola superiore di Piacenza da appena un anno, avrebbe cominciato a mandare messaggi e video hard ai suoi studenti minorenni, e, in almeno due casi, avrebbe avuto con loro incontri privati, all’esterno della scuola. Sono cinque gli studenti coinvolti nella vicenda. 

Uno di loro, all’epoca dei fatti, si era presentato negli uffici della dirigenza scolastica per denunciare gli episodi. La scuola aveva trasmesso all’Ufficio scolastico regionale di Bologna il materiale inviato dal docente. Ma non si era limitata a questo, e aveva informato dell’accaduto le forze dell’ordine.

Quando le denunce dei ragazzi e dei loro familiari sono arrivate alla Procura della Repubblica di Piacenza, è stata avviata l’indagine. Nel frattempo, anche la chiesa aveva preso decisioni nette. E, al termine di un’udienza tra il docente sospeso e i rappresentanti della Curia aveva optato per la sospensione ufficiale dell’uomo. 

La svolta è arrivata a giugno, quando il gip ha disposto l’arresto, su richiesta del pubblico ministero. Ora l’uomo si trova agli arresti domiciliari. Dovrà difendersi dall’accusa pesante di violenza sessuale aggravata. Le vittime, tutti ragazzi, erano minorenni. A condurre l’inchiesta, la polizia locale, che per mesi ha ascoltato i diretti interessati e ha raccolto e verificato, uno alla volta, i materiali ricevuti sul cellulare dai giovani studenti. 

Cinque le testimonianze in tutto. Due delle quali, decisive per l’indagine, hanno riportato degli incontri avvenuti al di fuori delle mura scolastiche. Non si tratta del primo caso di molestie da parte di professori denunciato dagli studenti a Piacenza. A marzo 2022, un docente di 57 anni è stato rinviato a giudizio con l’accusa di violenza sessuale. 

Le prime segnalazioni di molestie ai danni di 13 studentesse, quasi tutte minori, della scuola in cui lavorava come insegnante di sostegno risalgono al 2019. Subito dopo le accuse si era dimesso dall’incarico, pur continuando a dichiararsi estraneo dai fatti. In autunno inizierà il processo.

Da repubblica.it il 9 settembre 2022.

Una professoressa di una scuola media della provincia di Benevento è stata arrestata per violenza sessuale aggravata ai danni di un alunno 12enne. Nei suoi confronti i Carabinieri della stazione di Arpaia (Benevento) hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal gip di Benevento su richiesta della Procura sannita.

Le indagini, avviate a marzo scorso, sono scattate a seguito della denuncia da parte del dirigente del plesso scolastico e successivamente dalla querela sporta dai genitori del minorenne e hanno consentito di raccogliere gravi elementi indiziari a carico dell'insegnante la quale, abusando della propria autorità, avrebbe indotto il proprio alunno 12enne a compiere e subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica dello stesso.

L'insegnante, approfittando dello stato di soggezione del proprio alunno, con un'opera di persuasione che la Procura di Benevento definisce "sottile e subdola" e instaurando col ragazzino un rapporto di "predilezione" in classe e poi un intenso rapporto attraverso Whatsapp con messaggi, video e audio a contenuto esplicitamente sessuale, avrebbe indotto il minore a compiere e subire atti sessuali sia in classe che virtualmente, con conversazioni sull'app di messaggistica istantanea che andavano avanti anche fino a tarda notte.

Il gip ha accolto la richiesta della Procura di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto assoluto di ogni forma di comunicazione con i minori con qualsiasi mezzo, compreso il telefono cellulare, internet e social network. La misura è stata ritenuta quella più idonea in quanto l'indagata "è apparsa non in grado di autoregolare i propri impulsi sessuali e la sola sospensione del rapporto lavorativo, cautelativamente applicata nella sede disciplinare, non è apparsa sufficiente a prevenire il rischio di contatti personali e telematici con minori".

Dario del Porto per repubblica.it il 10 settembre 2022.

Lo aveva irretito in classe con «un’opera di persuasione sottile e subdola». Gli aveva fatto di credere di essere il suo alunno «prediletto» e aveva cominciato a inviargli messaggi hot sempre più insistenti. Più di cento in due mesi. A tutte le ore, fino a notte fonda. E tutti di «esplicito contenuto sessuale». Poi si era lasciata andare ad abusi anche dal vivo, a scuola. 

Fino a quando la vittima, un ragazzino di appena 12 anni che frequentava la seconda media in un istituto comprensivo della provincia di Benevento, non si è confidato con i genitori, rivelando di non riuscire a sopportare le sempre più pressanti “attenzioni” della sua professoressa, una 38enne a sua volta madre, che adesso è agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata ai danni di un alunno minorenne. Anzi, poco più che un bambino, per giunta coetaneo del figlio.

La donna, scrive la Procura sannita diretta da Aldo Policastro, è «apparsa non in grado di autoregolare i propri impulsi sessuali». Gli inquirenti hanno chiesto e ottenuto dal giudice la misura cautelare ritenendo che la sospensione dall’incarico, pur tempestivamente disposta dal ministero dell’Istruzione, «non sia sufficiente a prevenire il rischio di contatti personali e telematici con minori» da parte dell’indagata.

È una storia dolorosa e amara, quella descritta dalle indagini condotte dai carabinieri e partite alla fine dello scorso mese di marzo. Dopo aver ascoltato il racconto del figlio, comprensibilmente turbati, i genitori del dodicenne si sono precipitati a scuola e hanno riferito il fatto a un’altra insegnante la quale, a sua volta, ha immediatamente investito del caso la dirigente scolastica che ha subito avvisato i carabinieri. 

Come previsto dalla legge, sono scattate le procedure d’urgenza previste dal “codice rosso” in casi di violenze commesse ai danni di “fasce deboli”. I genitori hanno formalizzato la querela e la vittima è stata ascoltata con l’assistenza di una psicologa, mentre il ministero disponeva la sospensione dell’insegnante.

Le indagini sono state veloci: ad aprile, la Procura ha disposto il sequestro del cellulare dell’indagata e dall’analisi della memoria del dispositivo sono emersi gli elementi che hanno portato la Procura ad ipotizzare il reato di violenza sessuale. I pm parlano di «un’intensissima comunicazione telematica via whatsapp, in tutte le ore del giorno e soprattutto la sera fino a tarda notte». 

La professoressa, «approfittando della contiguità fisica in classe nonché dello stato di soggezione del proprio alunno», avrebbe prima instaurato con il giovanissimo studente «un rapporto di “predilezione” in classe», seguito da «un intenso rapporto telematico» che sarebbe stato scandito da «plurime comunicazioni via whatsapp: messaggi, video e audio».

La professoressa avrebbe inviato all’alunno e chiesto a lui di inviare a sua volta «fotografie a contenuto esplicitamente sessuale», avviando conversazioni dello stesso tenore, fino ad «indurre il minore a compiere e subire atti sessuali», accusano gli inquirenti, non solo virtualmente, ma addirittura anche in classe, in almeno un’occasione. 

«Stiamo leggendo le copie degli atti e forniremo la nostra versione all’interrogatorio fissato per mercoledì 14 settembre», afferma l’avvocato Angelo Leone, che difende l’insegnante. La famiglia della vittima è assistita dall’avvocato Paolo Abbate. Dalle indagini non sono emersi al momento indizi per contestare all’indagata comportamenti analoghi nei confronti di altri minorenni. Ma per i magistrati il pericolo, almeno in astratto, esiste. Per questo, con il provvedimento di arresti domiciliari, il giudice ha disposto nei confronti della donna anche il «divieto assoluto di ogni forma di comunicazione con i minori con qualsiasi mezzo ivi compreso il telefono cellulare, internet e social network».

Dario del Porto per repubblica.it l'11 settembre 2022.

«La prima a insospettirsi per i comportamenti di quell’insegnante è stata mia moglie. Quando me ne ha parlato, inizialmente non riuscivo a crederci: ma come puoi immaginare, le ho detto, che una donna di 38 anni possa invaghirsi di un bambino?»

Invece la mamma aveva capito tutto: il figlio appena 12enne era vittima delle attenzioni morbose di una professoressa che ora è agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata. Secondo i magistrati avrebbe irretito lo studente con «un’opera di persuasione sottile e subdola», per poi inviargli messaggi hot sempre più insistenti, più di cento in due mesi, e commettendo in un’occasione molestie non solo virtuali ma anche di persona, a scuola, un istituto comprensivo della provincia di Benevento. 

In questa storia amara, l’unico spiraglio di luce arriva dalla complessiva tenuta del sistema educativo: il ragazzino si è confidato con i genitori i quali hanno informato la scuola che, a sua volta, ha avvisato i carabinieri. Subito è partita l’inchiesta coordinata dalla procura diretta da Aldo Policastro.

Mercoledì l’indagata sarà interrogata dal giudice alla presenza del suo difensore, l’avvocato Angelo Leone. Ma al di là di quello che sarà il percorso delle indagini, sullo sfondo restano le persone. A cominciare dalla vittima e dalla sua famiglia. 

Assistiti dall’avvocato Paolo Abbate, il papà e la mamma del dodicenne chiedono giustizia. «Ci fidiamo dell’operato della magistratura. Ma soprattutto vogliamo che questa persona venga messa nelle condizioni di non fare del male ad altri bambini», dice il padre che a Repubblica racconta gli eventi di questi ultimi, tormentati mesi. 

Innanzitutto come sta suo figlio?

«Con l’aiuto nostro e di tutti gli altri si sta riprendendo. Ma ha subito un trauma, questo è innegabile. Dobbiamo aiutarlo a lasciarselo alle spalle. Per fortuna è un ragazzo sanissimo: fa sport, gioca molto bene a calcio ed è stato sempre brillante negli studi». 

Adesso ricomincia la scuola. Continuerà a frequentare lo stesso istituto?

«Sì, andrà in terza media. Quella professoressa era stata sospesa già lo scorso anno, dunque non c’erano ragioni per fare scelte diverse». 

Quando avete iniziato a nutrire dubbi sull’insegnante?

«Mia moglie aveva notato atteggiamenti insoliti da parte di quella donna nei confronti di nostro figlio». 

Ad esempio?

«Per come si rivolgeva a lui nei messaggi WhatsApp sul gruppo di classe, ma non solo. Una volta mio figlio era uscito a mangiare un panino con alcuni amichetti e lei, pur abitando a trenta chilometri di distanza, si era messa in auto per raggiungerlo. Già questo ci sembrò a dir poco anomalo.  

Poi si sono verificate altre situazioni, che mi consentirà di non raccontare qui per ragioni di riservatezza, che avevano insospettito mia moglie. Io invece ero perplesso. Ma oggi, alla luce di quello che è emerso dopo, ogni cosa assume tutt’altro significato».

Poi che cosa è successo?

«Un giorno mio figlio è tornato a casa dalla scuola sconvolto. Il bambino si sentiva sporco, si lavava il viso. Gli abbiamo chiesto perché ed è scoppiato a piangere. Così, ci ha raccontato che la professoressa lo aveva chiamato mentre era in classe e gli aveva chiesto di seguirla nella sala dei professori, dove gli aveva rivolto delle avance».

A quel punto come vi siete comportati?

«Non si può descrivere lo stato d’animo mio e di mia moglie. Eravamo scossi, turbati. Ma non abbiamo avuto alcuna esitazione. Ci siamo messi in contatto con la coordinatrice del plesso scolastico che ha informato la preside e sono intervenuti i carabinieri».  

Gli inquirenti hanno sequestrato il telefonino dell’indagata e le contestano di aver inviato a suo figlio messaggi di “esplicito contenuto sessuale” anche durante la notte.

«Sì. Ma ci tengo a chiarire che era sempre lei a inviare video e fotografie al bambino, lui non ha mai ricambiato. Allo stesso modo, non è vero che ci sia stato “sesso in classe”, come è stato scritto, ma solo quell’episodio di cui ho parlato prima. 

Non entro in valutazioni di carattere giuridico che spettano ai magistrati. Come genitori però siamo ancora oggi indignati per quello che nostro figlio ha dovuto subire. E fa male leggere certi commenti sui social». 

A cosa si riferisce?

«Ci sono persone che difendono quella donna sostenendo di avere fiducia in lei, altri che la descrivono come una persona d’oro. Ecco, vorrei dire loro che si sbagliano. Alla fine, noi possiamo dirci fortunati, perché nostro figlio ci ha raccontato tutto e questo ci ha consentito di intervenire per fermare questa deriva prima che fosse troppo tardi. Ma ogni giorno mi faccio la stessa domanda». 

Quale? 

«Come sarebbe andata a finire, se lui non si fosse confidato con noi?».

Da leggo.it il 7 settembre 2022.

Assolto dalle accuse di violenza sessuale, perché incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. Giuseppe Sabatino, ex-primario del reparto di neonatologia del policlinico di Chieti, oggi in pensione, è stato assolto perché non imputabile. 

Il medico venne arrestato nel 2014, in seguito alla denuncia di abusi sessuali, da parte di alcune mamme di neonati, in cura da Sabatino, per il quale i magistrati del tribunale abruzzese hanno chiesto una perizia psichiatrica che lo ha scagionato. 

Un farmaco ha alterato le sue facoltà

A giudicare le sue capacità di intendere e volere, quindi di commettere violenza sessuale sulle donne, il neuropsichiatra Giovan Battista Camerini, secondo cui Sabatino era totalmente incapace di volere, parzialmente capace di intendere al momento dei fatti, dunque non punibile, perché il medico stava assumendo un farmaco per la cura del Parkinson. 

Inoltre, secondo il tribunale di Chieti, l'ex-primario non è un individuo socialmente pericoloso, perché nel momento in cui ha interrotto la cura farmacologica, è ritornato in possesso delle sue piene facoltà, e dunque in controllo dei suoi impulsi sessuali.

Andrea Ossino su La Repubblica il 4 Settembre 2022.

Chiara ha 14 anni e porta in grembo un bambino frutto di una violenza avvenuta "sotto il Tevere", quando il suo ragazzo 17enne l'avrebbe costretta a subire un rapporto filmando ogni cosa con il cellulare. Non era la prima volta. 

"Il mio ragazzo mi ha picchiata, ha provato a strozzarmi mettendomi le mani al collo, mi ha dato dei morsi in faccia", racconta la ragazzina il 30 luglio scorso ai carabinieri di Prima Porta. "Parla dell'aborto ai primi di luglio all'ospedale... dice che lui (il fidanzato ndr) l'ha costretta ad avere rapporti che avvenivano anche per strada", riassumono gli atti.

"All'inizio era bravo, poi ha iniziato a diventare violento, mi ha rubato dentro casa, era geloso e mi obbligava a non andare a scuola se no mi menava per gelosia", inizia il racconto della storia terminata il 14 agosto scorso, quando il ragazzo è stato arrestato con l'accusa di stalking, violenza sessuale e lesioni, reati rimediati anche per aver perseguitato la vittima insistendo per non farla abortire dopo una prima gravidanza. 

Una narrazione, quella di Chiara, che contrasta con la versione del ragazzo. Dice di aver consumato il primo rapporto consenziente il 26 settembre scorso, a casa di Chiara, a Roma Nord: "I genitori non erano d'accordo, mi dicevano 'rumeno di merda', 'non ti lavi' - si difende - Non ho inviato messaggi su Instagram, Chiara ha la password del mio profilo e ha cancellato molti miei messaggi. Insultava mia madre dal mio profilo e diceva che ero stato io - continua - Non l'ho mai picchiata. Una volta aveva dei graffi, quando stavo per partire per Udine, e disse a mia madre che era stata sua madre".

Adesso l'indagato è in una comunità. Per conoscere la verità il pm Carlo Morra sta analizzando i cellulari dei ragazzi. Contengono foto erotiche, accuse e insulti diffusi anche nelle chat con gli amici. Per i magistrati sono prove che si sommano alle testimonianze: "Non le avrebbe permesso neanche di andare in palestra o a scuola guida", si legge negli atti. 

E ancora: "Le faceva bruciature di sigaretta e le sferrava calci e pugni", "le ha spaccato il telefono, la gonfia e racconta che una sera era andata a ballare con le amiche e che l'ha presa a pugni rompendole il labbro". Chiara piange e racconta ai carabinieri dei rapporti "per strada, nel prato, in giro". "Mi diceva di stare zitta se no mi menava".

Poi l'aborto, la relazione che si interrompe e riparte. Quindi la seconda gravidanza, dopo un "rapporto sessuale avvenuto sotto il Tevere". "Mi ha obbligata a farlo", dice, "sotto al ponte", facendola "stare zitta con la mano nella bocca per impedirle di urlare". Un dramma che "si genera in un contesto di disagio sociale e genitoriale - dice Guido Pascucci, avvocato del 17enne - ed è amplificato dalla estrema precocità delle esperienze avute, e da una dipendenza maniacale, di entrambi i giovani, dall'uso dei social. Ogni esperienza doveva passare attraverso quella protesi emotiva che sono i cellulari la cui sospensione dell'uso, dovuta all'intervento di assistenti sociali e tribunale sembra la maggior forma di sanzione subita da vittima e carnefice".

Sesso e consenso: quando un sì è davvero un sì? Le risposte al sondaggio e l’inchiesta di 7. Elisa Messina e Silvia Morosi per il “Corriere della Sera” il 10 settembre 2022.

Il nostro sondaggio, al quale hanno partecipato 3.000 persone, mette in evidenza come il tema della reale volontà di avere un rapporto sessuale scivoli ancora in una zona d’ombra. In un Paese dove il 39,9% pensa che una donna «è sempre in grado di sottrarsi a un rapporto non voluto» basta cambiare la legge? Sicuramente no 

«Mi dispiaceva dire di no», «Lui non mi ha ascoltato», «Forse non sono stata abbastanza chiara nel comunicare». E ancora: «Non volevo non sembrare all’altezza», «All’inizio ero contenta, poi...», «Ero ubriaca». Sono queste le risposte più frequenti di donne, coinvolte in atti sessuali che non desideravano, se chiedi loro «perché è successo?». Lo rivela il nostro sondaggio dedicato al rapporto tra sesso e consenso, al quale hanno partecipato quasi tremila lettrici e lettori. Un tema quanto mai attuale se si pensa che la Spagna ha appena approvato una nuova legge soprannominata «Sólo sí es sí» («Solo se dico sì è sì») che prevede come ogni atto sessuale senza consenso sarà considerato stupro perché «esiste consenso solo quando è stato liberamente espresso con atti che, date le circostanze del caso, esprimono chiaramente la volontà della persona interessata». Siamo davvero sicure/i di sapere cosa significa “consenso”? E come si traduce nel concreto? O, ancora, quanto è diffusa la consapevolezza dell’importanza del consenso espresso?

Quello che emerge dal sondaggio è chiaro: meno di quanto possiamo pensare. Se da una parte è emersa una solida consapevolezza della definizione di violenza sessuale (il 95% di chi ha risposto al sondaggio pensa che sia «qualsiasi atto sessuale commesso contro la propria volontà»), dall’altra non è altrettanto chiaro cosa significhi «richiedere il consenso» prima di un atto. Per il 41%, infatti, si tratta di ricevere una richiesta chiara, anche senza parole, ma inequivocabile nei gesti, mentre solo il 17% pensa sia necessaria una proposta esplicita di voler fare sesso. E alla domanda se il consenso vada esplicitato in modo chiaro, il 56% ha detto di sì, mentre per il 32% «dipende dalle circostanze» e dalla persona che si ha di fronte, a seconda che sia conosciuta o una frequentazione occasionale.

Cliccate qui per consultare l’infografica del sondaggio con il dettaglio delle singole domande. I colori indicano la percentuale di risposte come: «Mi spiaceva dire di no»; «Non mi ha ascoltata»; «Non sono stata abbastanza chiara nel dire no»; «Non volevo non sembrare all’altezza»; «Sono stata costretta con la forza»

DESIDERIO E VOLONTÀ: IL 39,9% 7,2% IL 39,3% DELLA POPOLAZIONE RITIENE CHE UNA DONNA È IN GRADO DI SOTTRARSI A UN RAPPORTO SESSUALE SE DAVVERO NON LO VUOLE. E PER IL 7,2% «DI FRONTE A UNA PROPOSTA SESSUALE LE DONNE SPESSO DICONO NO MA IN REALTÀ INTENDONO SÌ»

Quello che emerge, insomma, è che il consenso, in materia di sesso, è percepito come qualcosa di sfumato, inafferrabile, dove il non detto prevale sul detto. Forse perché il sesso stesso, culturalmente, è ancora inteso come un ambito nel quale le parole, e con esse, la possibilità di esprimere la propria volontà, non entrano. Per imbarazzo, per timore, per non deludere le aspettative dell’altra persona. Non è un caso se, tra le motivazioni delle donne che hanno subito un atto sessuale senza consenso, è diffusa la risposta «mi dispiaceva dire di no». La nostra società «è abituata a parlare di consenso quando entri in ospedale, rilasci un’intervista, ti iscrivi a una piattaforma, ma mai quando si parla della sfera intima», spiega Tina Marinari responsabile dell’ufficio campagne di Amnesty International Italia che dal 2020 porta avanti anche nel nostro Paese un’iniziativa per far sì che la legislazione si adegui alle norme internazionali, stipulate con la convenzione di Istanbul del 2011, e ogni atto sessuale senza consenso sia considerato stupro (qui la pagina della campagna #IoLoChiedo). «C’è un preconcetto diffuso intorno al consenso: si pensa a un contratto», continua Marinari. «Ma prestare il proprio consenso in un rapporto sessuale significa semplicemente assicurarsi che questo avvenga di comune accordo, senza imbarazzi. I rapporti devono essere liberi, informati, entusiasti, e reversibili».

ANCHE LA PERCENTUALE DI CHI PENSA CHE LE DONNE POSSANO PROVOCARE LA VIOLENZA SESSUALE CON IL LORO MODO DI VESTIRE È ELEVATA: RAGGIUNGE IL 23,9% 

«Stimolare un cambiamento culturale»

È dunque necessario, anche da noi, modificare l’articolo 609-bis del Codice penale introducendo il concetto di consenso e considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso come hanno appena fatto in Spagna? «Sarebbe un passo importante», aggiunge Cathy La Torre, avvocata esperta di diritti civili, attivista «per stimolare un cambiamento culturale. Grazie alla legge, nel tempo, aumenterebbe così, soprattutto nei giovani, la consapevolezza che il sesso implica il consenso e che questo va espresso chiaramente. In Italia, in materia sessuale, dobbiamo ancora imparare a verbalizzare di più desideri e volontà. Io vado nelle scuole e nelle università», sottolinea La Torre «e quando tocco l’argomento consenso la domanda più diffusa che mi fanno i ragazzi è “come faccio a capire che è si?”, mentre le ragazze chiedono “come faccio a far capire che è no?”». Un altro aspetto importante del tema del consenso è la sua reversibilità, come conferma il 41% delle persone intervistate che alla domanda «Ti è mai capitato di voler “interrompere” un atto sessuale nonostante tu avessi acconsentito in un primo momento?» ha spiegato come sia stato un problema far capire che il proprio desiderio si era modificato.

IL 15,1%PENSA, POI, CHE UNA DONNA CHE SUBISCE VIOLENZA SESSUALE QUANDO È UBRIACA O SOTTO L’EFFETTO DI DROGHE SIA ALMENO IN PARTE CORRESPONSABILE

«In qualsiasi momento del rapporto sessuale devo poter revocare il mio consenso e tirarmi indietro» spiega ancora Marinari di Amnesty. «Fare sesso è frutto di una scelta libera e consapevole. Come andare in gelateria: se non trovo il gusto che cerco me ne vado». Sembra ovvio, eppure nei processi per violenza sessuale, non è da molto tempo che questo aspetto viene tenuto in considerazione. Racconta La Torre: «Ricordo una sentenza importante della Cassazione sul caso di un rapporto sessuale con pratiche Bdsm* perché la coppia faceva una pratica di bondage. La donna, una sex worker, durante il rapporto, ha chiesto di smettere, quindi ha tolto il suo consenso. Ma lui è andato avanti. La Cassazione ha riconosciuto l’abuso perché il fatto che lei avesse detto sì all’inizio non bastava».

IN BASE AI DATI ISTAT, PER IL 10,3% LE ACCUSE DI VIOLENZA SESSUALE SONO FALSE (PIÙ UOMINI, 12,7%, CHE DONNE, 7,9%). SOLO L’1,9%RITIENE CHE NON SI TRATTA DI VIOLENZA SE UN UOMO OBBLIGA LA PROPRIA MOGLIE/ COMPAGNA AD AVERE UN RAPPORTO SESSUALE CONTRO LA SUA VOLONTÀ

Ma basta davvero “solo” una modifica alla legge? Non è convinta della necessità di un intervento sul testo della nostra legge sulla violenza Francesca Garbarino, criminologa, vicepresidente del CiPM (centro italiano per la promozione della mediazione): «La definizione normativa di violenza sessuale implica già il concetto di consenso, senza bisogno di una previsione esplicita del termine. E dove, nella legge, si parla di “costrizione” la si intende in tutte le sue sfumature: quella fisica e anche quella psicologica. Temo, piuttosto, che la richiesta del consenso potrebbe diventare un alibi per il violentatore. E diventare un’arma a doppio taglio durante i processi. Pensiamo ai casi di violenza di gruppo, per esempio: un consenso espresso “pro forma” dalla vittima, solo per paura di subire violenze peggiori, come verrà inteso in sede processuale?».

Che l’applicazione di una legge dove è prevista l’esplicitazione del consenso non sia affare semplice ne è consapevole anche una sua sostenitrice come La Torre: «Sono sicura, per esempio, che in Spagna, all’inizio ci saranno zone grigie e un po’ di confusione. Ma è solo questione di tempo. La legge agisce come deterrente, ma contribuisce a favorire un cambiamento culturale, soprattutto tra i giovani. Oggi, in Italia, la nostra legge contro la violenza si presta a interpretazioni ancora troppo diverse da parte dei giudici: c’è una parte della giurisprudenza che si aspetta di vedere il graffio, il livido sul corpo della vittima. Dobbiamo superarla definendo il consenso come è stato fatto in Spagna». Insomma, il confronto sui nodi legislativi e sulle loro ripercussioni sociali è aperto e vivace e sarà importante vedere cosa succederà nei processi spagnoli. Anche perché, aldilà dei cambiamenti normativi, ciò che è davvero necessario è una maggiore consapevolezza sul valore del consenso. Ed è un problema soprattutto culturale.

La «vittimizzazione secondaria»

«Spetta alle istituzioni formare adeguatamente giudici e operatori della giustizia, spetta alla scuola educare i giovani a relazioni libere e paritarie e ai media raccontare i casi di violenza evitando stereotipi», osserva Garbarino. Basta leggere alcune cronache processuali sui casi di violenza, quando si dibatte sul fatto che un rapporto sia “consenziente” o meno per capire in quanti pregiudizi persistono e vengono ancora usati in modo strumentale. «In sede processuale, vedo vittime di violenza messe in difficoltà dagli avvocati della difesa che non esitano, per esempio, a mostrare in aula i loro profili social, soffermandosi magari su qualche selfie ammiccante per lasciar intendere una certa disponibilità, un certo stile di vita. È il classico “se l’è cercata”. In gergo si chiama “vittimizzazione secondaria”, la vittima presentata come parzialmente responsabile di quello che ha subito». I dibattiti processuali (e spesso le sentenze) riflettono un pregiudizio culturale. Non sono forse forme di autocolpevolizzazione anche le risposte di chi, vittima di un rapporto non consenziente, lo spiega dicendo: “Non sono stata abbastanza chiara nel dire no”? La necessità di una più radicata cultura del consenso è la condizione per una sessualità vissuta in modo più libero e consapevole: è sì, solo se ti dico di sì. E la domanda «come faccio a capire che è un sì» non dovrebbe esistere. 

* Il termine «Bdsm» identifica la vasta gamma di pratiche relazionali e/o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il disequilibrio di potere e/o l’umiliazione tra due o più partner adulti e consenzienti.

LA CONVENZIONE DI ISTANBUL

Adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011, è entrata in vigore nel 2014 ed è stata firmata dall’Ue nel giugno 2017. Si tratta del primo strumento internazionale con norme vincolanti per prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e punire i responsabili. Il 20 marzo 2021, nove anni dopo la ratifica, la Turchia ha revocato la propria partecipazione alla convenzione.

COSA DICE IL CODICE PENALE

Il reato di violenza sessuale è definito in Italia dall’articolo 609-bis del Codice penale. La commette chi “con violenza o minaccia, o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”. E in particolare, è stupro ogni volta che si costringe una persona “a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”. Ma non si fa riferimento, nella legge, al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul.

LA CAMPAGNA DI AMNESTY

Con la campagna #Iolochiedo, presentata nel 2020 (qui il sito), Amnesty si appella al ministro della Giustizia affinché la legislazione italiana si adegui alle norme internazionali, stipulate con la convenzione di Istanbul, e modifichi l’articolo 609- bis del codice penale per considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso.

Da today.it il 27 agosto 2022.

"Soltanto il sì significa sì". In Spagna è stato approvato il nuovo disegno di legge sullo stupro: qualsiasi atto sessuale in cui una delle persone coinvolte non abbia dato il proprio consenso verrà considerato un'aggressione sessuale.  Il disegno di legge, conosciuto come la "ley del solo sí es sí", ha ottenuto il via libera definitivo con 205 voti favorevoli, 141 contrari e 3 astensioni e di fatto elimina distinzione tra abuso sessuale e  stupro, qualificando quest'ultimo come un atto sessuale che viene compiuto senza consenso. Fino ad oggi infatti, venivano considerati stupri soltanto i casi in cui vi erano prove di minacce e violenze.

Con la nuova legge il silenzio o l'atteggiamento passivo della vittima non verranno più considerati come segni di consenso. Il disegno di legge era stato proposto dal governo di centrosinistra guidato dal primo ministro socialista Pedro Sánchez e a votare contro sono stati soltanto i membri di Vox, partito di estrema destra, e quelli del Partito Popolare, del centrodestra. Si è invece astenuta la Candidatura di Unità Popolare, partito di estrema sinistra catalano.

All'origine del disegno di legge c'è un caso di cronaca che ha scosso molto l'opinione pubblica spagnola, uno stupro di gruppo noto come "la Manada", il nome utilizzato per chiamare il gruppo WhatsApp creato dalle cinque persone accusate di aver stuprato una ragazza di 18 anni a Pamplona, nel 2016. I fatti risalgono al 7 luglio di sei anni fa, quando i cinque accusati José Ángel Prenda, Alfonso Cabezuelo, Antonio Manuel Guerrero, Jesús Escudero e Ángel Boza, con la scusa di dare un passaggio in auto ad una ragazza conosciuta quella sera, la portarono nell'androne di un palazzo, dove avvenne la violenza sessuale. Un incubo registrato dai partecipanti con i telefonini cellulari, in cui veniva mostrate varie fasi dello stupro, dal viaggio in auto alla violenza vera e propria. Gli stessi filmati, di cui gli autori si vantavano, erano stati anche condivisi con altri amici tramite WhatsApp.

I cinque accusati, durante il processo, hanno sempre sostenuto che la 18enne era consenziente e che si era lasciata baciare da uno degli uomini senza opporre resistenza. Un consenso che, secondo loro, sarebbe stato confermato anche dai filmati, in cui la donna appariva immobile e con gli occhi chiusi durante lo stupro. Una versione distorta della realtà, come spiegato in aula dall'accusa: la vittima era paralizzata dalla paura, terrorizzata da quello che le stava accadendo, tanto da non riuscire ad opporsi in alcun modo. In un primo momento il tribunale di Pamplona non ha riconosciuto la presenza di intimidazione e violenza, provocando una forte indignazione in tutta la Spagna. Poi il Tribunale supremo spagnolo ha ribaltato la sentenza e ha invece stabilito che si trattava di uno stupro di gruppo, condannando gli imputati a 15 di anni di carcere. La nuova legge "ley del solo sí es sí", nasce proprio per evitare che si ripetano casi giudiziari come questo.

Ragazza scappa di casa a 13 anni. Il suo racconto: “Ho avuto rapporti sessuali con tre adulti”. La Stampa il 24 agosto 2022

È una vicenda con tanti aspetti da chiarire quella di una ragazzina di 13 anni, che frequenta le scuole medie, che scappa da casa da un paese in provincia di Vicenza, e che quando viene ritrovata, nel Bresciano, racconta ai genitori di aver avuto rapporti sessuali con tre adulti conosciuti durante la sua fuga. «Rapporti consenzienti, non sono stata forzata» ha detto lei. Ma per la legge, essendo la ragazza non ancora 14enne, sono abusi sessuali. E così, dopo la denuncia ai carabinieri da parte del padre e della madre dell'adolescente, la Procura di Brescia, territorio sul quale la “fuggiasca” è stata ritrovata, ha aperto un'inchiesta contro ignoti. «Tutto da ricostruire a partire dai contatti avuti dalla ragazzina durante il periodo di lontananza da casa» filtra dagli inquirenti. Di certo la 13enne si è allontanata volontariamente dalla sua abitazione e le ricerche sono partite dopo che i genitori preoccupati hanno tentato inutilmente di mettersi in contatto con lei. Appena ritrovata a Brescia, città che avrebbe raggiunto in treno, i genitori sono corsi a riprenderla e hanno sentito il suo racconto sconvolgente. Quindi hanno subito deciso di accompagnare la figlia all'ospedale San Bortolo di Vicenza per sottoporla ad una visita specialistica e poi hanno sporto denuncia. Sulla base delle dichiarazioni della tredicenne gli investigatori stanno cercando di ricostruire le frequentazioni della ragazzina durante la fuga da casa, a partire dagli adulti che ha spiegato di aver conosciuto nella zona della Stazione ferroviaria di Brescia. Da quanto ha riferito, avrebbe conosciuto un uomo che poi ha coinvolto altri due amici sempre adulti. «Ancora una volta assistiamo inermi alla violenza per atti sessuali nei confronti di una giovanissima studentessa ritrovata dai genitori dopo essersi allontanata da casa nell'Alto Vicentino» ha commentato su Facebook Daniela Sbrollini, senatrice e responsabile Sport di Italia Viva, candidata al Senato nel collegio Veneto 2. «Mi auguro che questa vicenda inquietante venga al più presto chiarita dalle forze di polizia - ha aggiunto - e che vengano messi in campo tutti gli strumenti previsti dalla legge per tutelare la giovane vittima».

Benedetta Centin e Mara Rodella per corriere.it il 25 agosto 2022.

Ha inforcato la porta di casa, nel Vicentino, dicendo al padre che sarebbe andata da un’amica. Ma a tredici anni, invece, è scomparsa. Ed è stata rintracciata solo tre giorni dopo a Brescia, in zona centro, nel corso di un controllo da parte delle forze dell’ordine. 

Aveva trovato compagnia: alcuni stranieri che le avevano dato anche ospitalità. Uno di questi, però, l’avrebbe stuprata. Ma la ragazzina non avrebbe vissuto il rapporto come una violenza.

«Non mi ha forzato, volevo farlo, ero consenziente» sarebbe stata l’agghiacciante confessione al padre che l’aveva riaccompagnata a casa, finalmente al sicuro. Tutte le preoccupazioni di genitore, le ansie, le paure durate interminabili giorni, si sono concretizzate nel momento in cui la ragazzina gli ha raccontato, probabilmente con l’ingenuità propria della sua età, quanto accaduto in quei giorni nei quali non aveva fatto avere più sue notizie. 

Tanto da innescare una denuncia di scomparsa. Qualcuno, un probabile adulto, aveva violato il suo corpo, si era approfittato di lei. Lei, appunto, poco più che bambina, tredici anni appena, con lo zainetto da preparare per la scuola di qui a pochi giorni.

Angosciato, il padre ha portato la figlia in ospedale a Vicenza, perché venisse visitata e sottoposta a tutti gli accertamenti del caso: quindi si è presentato in caserma per denunciare la presunta violenza. Solo pochi giorni prima il vicentino si era rivolto agli stessi carabinieri per segnalare la scomparsa dell’adolescente. 

Un caso, questo, su cui la procura di Brescia ora ha acceso i riflettori. Sul tavolo del pubblico ministero Federica Ceschi c’è un fascicolo aperto per violenza sessuale su minore. Sulla copertina ancora nessun nome ma l’inchiesta potrebbe rimanere a carico di ignoti solo per poco.

I carabinieri vicentini e bresciani indagheranno sui relativi fronti di competenza per arrivare a dare un nome e un volto al presunto stupratore. Perché di stupro si tratta. Se anche fosse accertato che l’adolescente, una volta accompagnata in un’abitazione degradata in città, non è stata forzata o obbligata a quell’intimità, è anche vero che da codice penale è reato avere rapporti sessuali con under 14. E questo anche se c’è il consenso del minore. La legge italiana considera appunto che solo con il raggiungimento dei 14 anni una persona possa disporre consapevolmente della propria sfera sessuale.

Ora, non è dato sapere se la 13enne possa essersi spacciata per più grande, se l’adulto o ragazzo — persona di cui appunto allo stato non si conoscerebbe nemmeno un’ipotetica età — sapesse realmente quanti anni aveva la sua nuova conoscenza. È comunque un reato. Da vagliare anche la posizione degli altri stranieri che l’avevano prima incontrata e poi ospitata in quell’abitazione. 

L’incontro, peraltro, è stato casuale oppure la ragazzina aveva già avuto contatti con loro? I nodi da sciogliere in questa vicenda sono diversi. Tante le domande a cui rispondere. A chiarire le circostanze sarà anche la stessa minorenne, che a stretto giro potrebbe essere sottoposta ad audizione protetta dagli inquirenti, sentita da uno psicologo infantile per ricostruire nel dettaglio quanto le è accaduto mentre era in trasferta nel Bresciano.

A riportarla a casa un controllo della polizia. Era ormai sera e la 13enne si trovava con due extracomunitari alla stazione ferroviaria. I due uomini sono stati identificati, poi è toccato a lei e dall’analisi della banca dati è risultato l’ «alert»: la denuncia di scomparsa formalizzata dai familiari. Quindi la telefonata al padre, il ritorno a casa. E quell’inquietante segreto serbato solo per poco.

Lezioni di sesso con il compagno: come la mamma “addestrava” la figlia 12enne. Marco Della Corte il 25/08/2022 su Notizie.it.

Una mamma nei guai per aver "insegnato" alla figlia a fare sesso con il suo compagno per dargli piacere. 

Una mamma avrebbe dato “lezioni di sesso” alla figlia di 12 anni facendola abusare dal suo compagno (coetaneo della donna). La madre della ragazzina ora è nei guai per ovvi motivi. Il tutto era per dare piacere all’uomo L’episodio choc è accaduto nell’estate del 2019 in provincia di Treviso.

Come si legge dal Gazzettino il pm Barbara Sabbatini ha chiuso le indagini e ora la coppia potrebbe essere rinviata a giudizio per violenza sessuale su minore. Sarebbe stata la stessa donna a spingere la figlioletta a fare sesso con l’uomo. È stata la stessa 12enne a raccontare quanto accaduto; nella sua perizia la psicologa ha ritenuto credibile le sue dichiarazioni. 

Mamma “insegna” figlia a fare sesso col compagno: le confessioni della bambina

Come informa Leggo, gli episodi di violenza sessuale sarebbero stati resi note nel 2020, quando la ragazzina raccontò alla nuova compagna del papà di quanto era stata costretta a subire. I genitori della bambina sono infatti separati da diversi anni. L’uomo accusato di violenze sulla minore risulta essere una persona facoltosa e praticante delle arti marziali. 

L’interesse dell’uomo da parte della ragazzina 

L’uomo avrebbe mostrato interesse nei confronti della ragazzina, fino a chiedere alla madre alcune immagini “hot” della minorenne.

La donna sarebbe stata consenziente. Alla fine, l’uomo avrebbe chiesto un incontro con la ragazzina. La madre, in tale occasione avrebbe chiesto alla figlia di indossare un intimo sexy, dicendo di raggiungerla fino a consumare un rapporto dinanzi a lei. Adesso, la minore vive assieme al padre, il quale ha ottenuto l’affido esclusivo sulla figlia. 

Lo Stupro ideologico. Della serie il dito e la luna.

(ANSA il 22 agosto 2022) - Un uomo di 27 anni è stato arrestato all'alba di oggi dalla polizia a Piacenza. Le volanti della questura lo hanno bloccato mentre stava violentando una donna in mezzo alla strada. La vittima è una 55enne ucraina che intorno alle 6 stava passeggiando da sola nel pieno centro storico della città emiliana quando è stata aggredita e gettata a terra sul marciapiedi dal giovane che ha iniziato a violentarla. 

Una vicenda che inevitabilmente è entrata nel dibattito sulla sicurezza in Italia, una dei temi principali della campagna elettorale. Era poco dopo l'alba, quando un residente ha udito le grida di aiuto della donna e ha chiamato la polizia. Il 27enne, originario della Guinea e con lo status di richiedente asilo, è stato arrestato per violenza sessuale e ora si trova in carcere. L'ucraina, invece, è stata ricoverata all'ospedale di Piacenza in stato di choc.

La neoeletta sindaca Katia Tarasconi ha espresso solidarietà alla vittima e ha invitato le forze politiche impegnate nella campagna elettorale a non strumentalizzare la vicenda. "Spero - ha detto - che non si scada nella strumentalizzazione riguardo la nazionalità del delinquente, come se fosse colpa di chi si impegna per l'accoglienza e l'integrazione se un richiedente asilo commette un crimine. La colpa è del richiedente asilo in questione".

Il leader della Lega Matteo Salvini ha annunciato che sarà presto a Piacenza, "per confermare l'impegno della Lega per restituire sicurezza al nostro Paese: 10.000 poliziotti e carabinieri in più nel 2023, più telecamere accese e blocco degli sbarchi clandestini. Richiedente asilo e stupratore. Basta! Difendere i confini e gli italiani per me sarà un dovere, non un diritto".

Immediata la replica del Pd. "E' davvero raccapricciante il tentativo di Fdi e Lega - dice la senatrice dem Valeria Valente - di strumentalizzare anche la violenza sulle donne a fini elettorali. A Piacenza è accaduto un fatto gravissimo, un richiedente asilo originario della Guinea ha tentato di stuprare una ragazza ucraina, è stato fermato dai passanti e poi dalle forze dell'ordine. Tuttavia la destra sa bene che la violenza contro le donne non c'entra con l'inesistente invasione dei migranti, cavallo di battaglia di un Matteo Salvini a corto di idee".

Estratto dall'articolo di Assya Neumann Dayan per “La Stampa” il 22 agosto 2022.

[...] Matteo Salvini ieri ha pubblicato sul suo profilo Instagram un fermo immagine sfuocato dello stupro, ripreso da un articolo di giornale. Ha scritto: «"Richiedente asilo" e stupratore. Basta! Difendere i confini e gli italiani per me sarà un dovere, non un diritto. Sarò presto a Piacenza, per confermare l'impegno della Lega per restituire sicurezza al nostro Paese: 10 mila poliziotti e carabinieri in più nel 2023, più telecamere accese e blocco degli sbarchi clandestini. Volere è potere». 

Si può fare campagna elettorale sul corpo di una donna violentata? Evidentemente sì, evidentemente è considerato lecito che una donna del tutto inconsapevole diventi un mezzo di propaganda di second'ordine. 

Un quotidiano ieri decide di pubblicare il video dello stupro sul suo sito con una sfuocatura a coprire la violenza. Si intuisce, non si vede, ma possiamo anche non essere ipocriti e dire che poco importa. Ci mette un cartello in testa: «ATTENZIONE: Il video contiene immagini forti sconsigliate a un pubblico sensibile».

Posso tranquillamente affermare senza ombra di smentita che si sbagliano, anche i poco sensibili non dovrebbero vedere quel video, nessuno dovrebbe vederlo. Il cartello con l'avvertimento messo prima di una violenza sessuale, e dopo la pubblicità di una marca di cibo per cani è tutto quello che so su questa tragedia. 

Giorgia Meloni in serata decide di rilanciarlo su Twitter: «Non si può rimanere in silenzio davanti a questo atroce episodio di violenza sessuale ai danni di una donna ucraina compiuto di giorno a Piacenza da un richiedente asilo. Un abbraccio a questa donna. Farò tutto ciò che mi sarà possibile per ridare sicurezza alle nostre città». È vero che non si può e non si deve tacere, così come è vero che non si può e non si deve pubblicare il video di uno stupro per raccattare due voti e qualche consenso.

I commenti si dividono in diversi filoni: chiamate la Boldrini, rispediamoli tutti a casa loro, castrazione chimica. Nessuno mai nomina o pensa alla vittima. È lì, ma non esiste. A nessuno importa, non importa ai giornali, non importa ai politici che hanno commentato, non importa ai politici che non hanno commentato, non importa nemmeno alle persone che scrivono ai politici: è solo una figurina da usare a proprio piacimento. 

Ma io ci penso, penso a questa donna con il video in cui subisce una violenza sessuale sulla homepage dei giornali, penso alla sua famiglia, a chi lavora con lei, ai suoi amici, forse ha dei figli. […]

Monica Serra per “la Stampa” il 25 Agosto 2022

Alle 8 di domenica mattina, i video dello stupro circolavano a Piacenza. Due filmati che ritraggono vittima e aggressore in via Scalabrini, e rendono la donna riconoscibile anche attraverso la sua voce, le sue richieste di aiuto. Per questo le indagini della procura vogliono ricostruire la rete di persone che ha contribuito alla diffusione vietata di quei frame, pubblicati da alcuni giornali e rilanciati dai profili social di Giorgia Meloni, finendo al centro di una infuocata polemica politica.

Il primo a diffondere quei video è stato proprio il testimone che ha lanciato l'allarme mentre riprendeva gli abusi. Lo avrebbe ammesso lui stesso davanti ai poliziotti della Squadra mobile di Piacenza. E, da quanto trapelato, tra i primi destinatari ci sarebbe anche un esponente politico. Ma la conferma si avrà solo dallo smartphone dell'uomo che è stato sequestrato dagli inquirenti.

Il secondo fascicolo, che si aggiunge a quello per violenza sessuale e lesioni aggravate, è stato aperto dalla procuratrice Grazia Pradella e dal pm Antonio Colonna che ipotizzano il reato di divulgazione dell'immagine e delle generalità della vittima di violenza sessuale, resa riconoscibile anche da chi ha oscurato i volti senza cancellare la voce della donna. Con l'aiuto di un interprete la vittima, martedì mattina, è stata risentita dagli investigatori. Ha ammesso di aver visto il video «palesando grande turbamento e il suo dissenso alla diffusione» come si legge negli atti dell'inchiesta. Così, rivolgendosi agli inquirenti, ha chiesto la «rimozione» dei filmati e la «punizione» di chi li ha fatti circolare.

Nel frattempo il segretario del Pd, Enrico Letta è tornato a puntare il dito contro Giorgia Meloni: «Non si può esser candidato leader del Paese nel momento in cui si usa uno strumento così abietto che mette alla gogna le persone e non rispetta i loro diritti». A difenderla, invece, il fedelissimo Guido Crosetto che, a In Onda, ha definito «un golpe» l'eventualità che la leader di FdI finisca coinvolta nell'inchiesta. 

Resta in carcere il 26enne della Guinea, Sekou Souware, accusato della violenza sessuale. Quando è stata fermata per strada, la vittima ha pensato a un tentativo di rapina. «Spaventata cercavo di allontanarmi - è il suo drammatico racconto - ma quell'uomo continuava a seguirmi facendo gesti volgari con le mani. Poi con violenza cercava di bloccarmi afferrandomi per le braccia. Sempre più spaventata cominciavo a urlare chiedendo aiuto e nel frattempo cercavo di respingerlo. L'uomo mi ha spinta a terra provocandomi graffi al braccio e alla schiena».

Dopo alcuni interminabili istanti, la vittima è riuscita a fuggire. Souware ancora la inseguiva quando è arrivata la polizia. Tra commenti social e mail, c'è anche chi ha preso di mira l'avvocato del 26enne, Nadia Fiorani: «In tanti mi stanno augurando di essere stuprata. Ho il terrore di trovarmeli sotto lo studio», denuncia il legale. «Queste persone non hanno idea di come si eserciti il ruolo di difensore».

Letta si scaglia contro Meloni ma tace sulle gaffe dei suoi. Il dem tuona per il video che denuncia uno stupro, però tra i suoi candidati c'è chi inneggia al regime cinese. Pasquale Napolitano il 23 Agosto 2022 su Il Giornale.

Si avvicina l'ora della disfatta e del possibile cambio al timone del Pd. Enrico Letta è in fase isterica. Attacca, insulta, entra a gamba tesa contro Giorgia Meloni. Inneggia alle devianze (alcol, droghe). E tace sulle gaffe dei suoi candidati di punta. Da cornice ha un partito lacerato e accompagnato da veleni per la chiusura delle liste. In Toscana lo stop a Luca Lotti crea malumori. In Campania il Pd è un pentolone a pressione. Nei collegi al proporzionale sono atterrati tutti big da fuori: Roberto Speranza, Dario Franceschini, Susanna Camusso. Le uniche concessioni di posti blindati sono per la dinastia De Luca. E intanto spunta un nuovo caso. Dopo i fan di Lenin e i nemici di Israele, tra i candidati under 35 non poteva mancare il filo cinese. Riecco che appare dal passato di Caterina Cerroni, capolista dem in Molise in quota giovani, un tweet di un viaggio a Pechino nel 2017 per partecipare al forum mondiale dei partiti ospitato dal Partito comunista Cinese, quello dell'esecuzioni e dei diritti negati a donne e lavoratori. Il messaggio è fantastico. La giovane dem individua nel «comunismo cinese il futuro della sinistra progressista». Appunto, un futuro fatto di violazioni e repressioni delle libertà. Il finale è da brividi: «la controversa distesa di piazza Tienanmen», scrive la candidata. Nulla di controverso: quella piazza è il simbolo della repressione nel sangue da parte del regime di Pechino delle proteste del popolo. Fucili puntati contro il popolo inerme. Ma per la candidata dem è qualcosa ancora di controverso. Letta si infuria e scarica la rabbia contro Meloni che denuncia uno stupro a Piacenza: «Il video su uno stupro è indecente e indecoroso. Faccio un appello a tutti per restare dentro i limiti della dignità e della decenza. Postando il video di quell'atto orribile ha dato l'idea del livello di cinismo a cui si arriva. Per noi la questione sicurezza è al primo posto, bisogna punire i crimini, difendere le vittime, ma c'è la necessità di rispettare le persone, uno dei punti essenziali della civiltà del nostro Paese, della civiltà giuridica e mediatica delle relazioni» - attacca il segretario Pd ai microfoni di Radio Popolare. Dura la replica. «Non consento a Enrico Letta di diffondere menzogne sul mio conto e fare bieca propaganda sul gravissimo stupro di Piacenza. Il video pubblicato sui miei social è oscurato in modo da non far riconoscere la vittima ed è preso dal sito di un importante quotidiano nazionale, a differenza di quanto da lui sostenuto. Questi metodi diffamatori e che distorcono la realtà sono ormai caratteristici di una sinistra allo sbando, lo sappiamo tutti da tempo, ma a tutto c'è un limite. Soprattutto quando si parla di stupri e violenza sulle donne. E mi vergogno francamente di leader politici che mentre usano uno stupro per attaccare me non spendono una parola di solidarietà per la vittima, evidentemente per paura di dover affrontare il tema dell'emergenza sicurezza aggravato dall'immigrazione illegale di massa. Che livello». La polemica si allarga. Meloni propone lo sport come antidoto alle devianze. Letta reagisce male e inneggia a droghe e alcool libero: «Due idee dell'Italia si confronteranno il 25 settembre: la nostra basata sulla libertà delle persone, una società che cerca di includere, crea lavoro e lotta contro le precarietà, l'altra è una società che va per le spicce, dove presunte maggioranze vogliono imporre regole a tutti» ribatte il segretario del Pd. Scatti che certificano il livello di nervosismo (altissimo) che si respira al Nazareno. E una nuova grana piomba in casa Letta: si divide l'alleanza Pd-Cinque stelle in Sicilia. L'ora buia sta per arrivare. Bonaccini e Franceschini preparano il funerale politico al segretario.

Video stupro, Mineo attacca ma viene sbugiardato in diretta tv. Piovono attacchi anche alla Lega, accusata di aver pubblicato il video dello stupro di Piacenza: ma il partito di Salvini si difende. Francesca Galici il 22 Agosto 2022 su Il Giornale.  

La sinistra continua a puntare il dito contro il centrodestra per la pubblicazione, da parte di Giorgia Meloni, del video relativo allo stupro di Piacenza. Al di là del fatto che la leader di Fratelli d'Italia ha condiviso la clip completamente oscurata, tanto che non erano riconoscibili né l'assalitore, un richiedente asilo della Guinea, né la sua vittima, una donna ucraina, da sinistra fino al pomeriggio di oggi non ci sono state parole di solidarietà per la vittima, solo attacchi alla leader di Fratelli d'Italia. Ma c'è di più, perché in questa assurda caccia alle streghe messa in atto dalla sinistra, che invece di puntare il dito contro l'aggressore puntano solo a demonizzare chi ha denunciato i fatti, da sinistra puntano anche il dito contro la Lega.

Corradino Mineo, ospite di Controcorrente (Rete 4), ha dichiarato di aver visto le immagini su ipotetici profili legati alla Lega e che "Giorgia Meloni non lo avrebbe pubblicato. Solo che l'ha pubblicato Salvini e lei ha dovuto corrergli dietro. Questo è il punto politico". Mineo non sembra avere dubbi su quanto dice ma a stretto giro, e in tempo reale, è arrivata la replica della Lega: "Le pagine social del partito di Matteo Salvini non hanno mai pubblicato il video dello stupro di Piacenza ma solo la notizia del crimine. Ci difenderemo dal fango di qualche opinionista disinformato nelle sedi opportune".

Solita ipocrisia di sinistra: non condannano lo stupro ma accusano la Meloni

La replica della Lega trova Mineo spiazzato: "Io l'ho visto. Posso aver visto male ma l'ho visto. Sono andato a guardare Matteo Salvini e c'era. La notizia e c'era il riquadro del video, che non ho aperto". Ma l'opinionista non è l'unico ad aver puntato il dito contro la Lega, in questa assurda campagna elettorale dove la sinistra spara nel mucchio pur di colpire. Anche Monica Cirinnà ha fatto la stessa cosa questo pomeriggio e anche a lei la Lega ha replicato negando ogni attribuzione: "La Lega non ha mai pubblicato il video di Piacenza. Mi stupisco però che il problema per la Cirinnà sia questo e non il terribile stupro di un immigrato irregolare, fatiscente richiedente asilo, ai danni di una povera donna in pieno giorno. Spostare l’attenzione dal problema non aiuta persone e associazioni che – giorno dopo giorno e con grande impegno – si battono contro la violenza sulle donne". Così ha replicato la deputata della Lega Laura Ravetto, responsabile dipartimento Pari opportunità.

I due episodi e le diverse reazioni. I video dello stupro di Piacenza e di Alika ucciso a Civitanova: la doppia morale della sinistra che ora attacca Meloni. Hoara Borselli su Il Riformista il 26 Agosto 2022 

Sono giorni che sta tenendo banco la polemica da quando Giorgia Meloni ha pubblicato sui social il video relativo allo stupro che si è consumato a Piacenza ai danni di una donna ucraina per mano di un richiedente asilo. Video che è stato diffuso da diverse testate giornalistiche, tra cui Il Messaggero e che è poi stato pubblicato.

Io non voglio entrare nel merito se sia giusto o sbagliato averlo pubblicato ma voglio guardare alle conseguenze anche perché si sta parlando di un’inchiesta nei confronti della Meloni rispetto alla pubblicazione di questo video. Ed ecco qui l’ipocrisia e la doppia morale.

Tutti voi ricordate il tragico evento di qualche settimana fa. L’episodio del giovane nigeriano Alika ucciso per strada a Civitanova Marche. Il suo video ovviamente è stato diffuso su tutti i social e abbiamo assistito alla sua morte in diretta senza che nessuno si preoccupasse di offuscare la sua faccia. Invece nel video non si identificavano le identità delle due vittime ma si sentivano soltanto le voci.

Omicidio di Civitanova, il disturbo bipolare e la rabbia della famiglia di Alika: “Aveva un tutor, perché non era vigilato?”

Tutti i social hanno subito cancellato il video di Piacenza e invece, con mio stupore, è rimasto online il video di Alika. Allora qui c’è qualcosa che non va perché se vogliamo parlare di rispetto dell’identità di una persona è giusto che venga rispettata la dignità di una ragazza che viene stuprata ma anche quella di un uomo di colore che muore per strada.

Non mi sembra che la sinistra si sia indignata rispetto alla diffusione del video di Alika a differenza di quello che è successo per il video pubblicato da Giorgia Meloni. È qui che c’è la distonia, il doppiopesismo, la doppia morale.

Lo stesso Letta non ha proferito parola sullo stupro senza trascendere nella polemica e pensare più alla campagna elettorale. Lasciamo da parte le sterili polemiche, lasciamo da parte la magistratura e cerchiamo di rendere più sicure le nostre strade ed evitare che questi episodi accadano. 

Hoara Borselli. Inizio la mia carriera artistica come una delle protagoniste della fortunata "soap opera" CENTOVETRINE per essere poi chiamata dal Cinema a rivestire il ruolo di protagonista nel film PANAREA. Il grande successo è arrivato con la trasmissione BALLANDO CON LE STELLE, vincendo la prima edizione. Ho proseguito partecipando alle tre edizioni successive. Da lì il ruolo da protagonista nella tournèe teatrale la febbre del sabato sera, dove ho calcato, a ritmo di "sold out", tutti i più grandi teatri italiani. A seguire sono stata chiamata come co-conduttrice e prima ballerina nel programma CASA SALEMME SHOW, quattro prime serate su Rai1. In seguito ho affiancato Fabrizio Frizzi nella conduzione della NOTTE DEGLI OSCAR, poi Massimo Giletti nella conduzione di GUARDA CHE LUNA sempre su Rai1. Poi ho condotto il Reportage di MISS ITALIA. Sono stata protagonista della fiction televisiva PROVACI ANCORA PROF, otto puntate in prima serata su Rai1 e TESTIMONIAL di importanti aziende di vari settori.

L'orrore in strada e gli avvoltoi della campagna elettorale. Il video della donna violentata a Piacenza, Meloni e Salvini si accendono solo quando l’aggressore è straniero. Redazione su Il Riformista il 22 Agosto 2022

La violenza sessuale subita da una donna di 55 anni a Piacenza da parte di un 27enne migrante richiedente asilo diventa tema di scontro politico con accuse di sciacallaggio e di cavalcare una vicenda solo perché vede protagonista un giovane di nazionalità straniera. Un episodio vergognoso che però trova sensibile partiti come Fratelli d’Italia e Lega solo quando i protagonisti in negativo hanno la pelle nera e sono sbarcati in Italia in fuga dai loro Paesi. Come se gli altri stupri e le altre violenze commesse sulle donne, che sono all’ordine del giorno, fossero di serie B perché vedono protagonisti cittadini italiani.

I fatti raccontato di un 27enne arrestato all’alba di domenica 21 agosto dalla polizia dopo essere stato bloccato in strada mentre stava violentando la donna, di nazionalità ucraina, che stava passeggiando da sola nel centro storico della città emiliana.

Quest’ultima è stata aggredita e gettata a terra sul marciapiede dal 27enne che ha iniziato a violentarla. A lanciare l’allarme un residente della zona allertato dalle urla della donna. E’ partita così la chiamata alla polizia intervenuta poco dopo per bloccare l’aggressore originario della Guinea con lo status di richiedente asilo.

La donna è stata ricoverata all’ospedale di Piacenza in forte stato di choc con la neoeletta sindaca Katia Tarasconi (Pd) ha condannato l’episodio invitando le forze politiche impegnate nella campagna elettorale a non strumentalizzare la vicenda. “Spero – ha detto – che non si scada nella strumentalizzazione riguardo la nazionalità del delinquente, come se fosse colpa di chi si impegna per l’accoglienza e l’integrazione se un richiedente asilo commette un crimine. La colpa è del richiedente asilo in questione”.

Nel frattempo qualcuno ha girato il video della violenza, diffondendolo sui social. Il filmato è stato oscurato e utilizzato da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che non ha perso occasione per ricordare che “non si può rimanere in silenzio davanti a questo atroce episodio di violenza sessuale ai danni di una donna ucraina compiuto di giorno a Piacenza da un richiedente asilo. Un abbraccio a questa donna. Farò tutto ciò che mi sarà possibile per ridare sicurezza alle nostre città“.

La vicenda è stata tuttavia strumentalizzata oltre che da Meloni anche dal leader della Lega Matteo Salvini che ha annunciato che sarà presto a Piacenza “per confermare l’impegno della Lega per restituire sicurezza al nostro Paese: 10.000 poliziotti e carabinieri in più nel 2023, più telecamere accese e blocco degli sbarchi clandestini. Richiedente asilo e stupratore. Basta! Difendere i confini e gli italiani per me sarà un dovere, non un diritto“.

Immediata la replica del Pd con la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidio e candidata al Senato in Campania, che accusa: “A Piacenza è accaduto un fatto gravissimo, un richiedente asilo originario della Guinea ha tentato di stuprare una ragazza ucraina, è stato fermato dai passanti e poi dalle forze dell’ordine. Tuttavia la destra sa bene che la violenza contro le donne non c’entra con l’inesistente invasione dei migranti”. Poi incalza: “Fdi e Lega non parlano mai delle donne violate e della loro dignità, l’accento è sempre tutto sull’uomo e sulla sua nazionalità, per alimentare a fini elettorali la paura dell’invasione dei migranti, che non esiste“.

“Le dichiarazioni di Fdi e Lega – aggiunge – rispecchiano il loro maschilismo bieco. Tutti sanno che la violenza maschile è un dramma di natura culturale, è diffusa tra gli italiani come tra gli stranieri. Ciò che è accaduto a Piacenza è gravissimo e l’uomo arrestato sarà perseguito. Come deve essere sempre: le donne vengono stuprate anche dagli italiani e i femminicidi avvengono soprattutto in famiglia. Come la mettiamo, Meloni e Salvini? Prima gli italiani?“.

Condanna anche da parte del segretario del Pd Enrico Letta: “Il video postato da Giorgia Meloni su uno stupro è un video indecente e indecoroso, invito tutti a fare una campagna elettorale in cui si parli delle cose e ci si confronti anche animatamente. Ma non si può essere irrispettosi dei diritti delle persone”.

La stessa Meloni ha rispedito al mittente le “menzogne” e la “propaganda” sullo stupro: “Non consento a Enrico Letta di diffondere menzogne sul mio conto e fare bieca propaganda sul gravissimo stupro di Piacenza. Il video pubblicato sui miei social – ha sottolineato – è oscurato in modo da non far riconoscere la vittima ed è preso dal sito di un importante quotidiano nazionale, a differenza di quanto da lui sostenuto. Questi metodi diffamatori e che distorcono la realtà sono ormai caratteristici di una sinistra allo sbando, lo sappiamo tutti da tempo, ma a tutto c’è un limite. Soprattutto quando si parla di stupri e violenza sulle donne. E mi vergogno francamente di leader politici che mentre usano uno stupro per attaccare me non spendono una parola di solidarietà per la vittima (circostanza non vera, ndr), evidentemente – ha concluso Meloni – per paura di dover affrontare il tema dell’emergenza sicurezza aggravato dall’immigrazione illegale di massa. Che livello”.

Anche il leader del Terzo Polo Carlo Calenda si schiera contro Giorgia Meloni: “Denunciare uno stupro è un atto dovuto. Mostrarlo per fini di campagna elettorale è un atto immorale e irrispettoso in primo luogo per la donna che lo ha subito, che certamente non vorrebbe essere esposta sui social in questo modo. Giorgia Meloni? Vergognati”. 

Trova le differenze. Il video di Meloni, quello di Civati e la scoperta che non contano i fatti, ma solo le nostre simpatie. Guia Soncini su L'Inkiesta il 30 Agosto 2022

Giorgia posta un video di uno stupro e viene sommersa di insulti, Pippo le immagini fuori da una mensa dei poveri di Milano e viene lodato. La violazione della privacy è uguale, ma il trattamento, a seconda della curva di tifosi, è diverso

Oggi giochiamo a «trova le piccole differenze», come nelle estati del Novecento in cui facevo i giochi facili che mia zia mi lasciava sulla Settimana Enigmistica. Come sapete, il gioco consiste nel guardare due immagini praticamente identiche e notare quali dettagli cambino.

La prima immagine è dell’agosto 2022. Giorgia Meloni, candidata che non piace alla gente che piace, prende dal sito d’un quotidiano il video d’uno stupro. È ripreso da lontano, e lei lo pubblica per stigmatizzare l’accaduto (e, ovviamente, per fare campagna elettorale). Viene investita dalla compatta disapprovazione di chiunque non sia suo collaboratore. Come hai potuto pubblicare senza l’autorizzazione della vittima quelle immagini, la sua privacy, la riconoscibilità dalle grida anche se non si vede niente, passeresti sopra a tutto per la propaganda. Vergogna, persino, le dicono, visto che ormai siamo diventati tutti il Gabibbo.

La seconda immagine è anch’essa dell’agosto 2022. L’altroieri Giuseppe Civati, candidato che piace alla gente che piace, ripubblica (al posto da cui l’aveva preso ci arriviamo dopo) un video girato fuori da una mensa dei poveri di Milano. C’è gente che non ha da mangiare e che è in fila per un piatto di minestra. Si vedono tutti quanti in faccia. Alcuni di noi provano a obiettare che forse la gente in fila per chiedere l’elemosina non è contenta di venire pubblicata, e che nel dubbio sarebbe bene astenersi. Civati non risponde (né cancella il video, come alcuni l’avevano invitato a fare), ma tra i benintenzionati le risposte sono surreali.

Certo, tu non vuoi vedere i poveri. Certo, quando non hai i soldi per mangiare pensi proprio ai social. Certo, ora stai a vedere che uno debba vergognarsi d’essere povero. Ma perché, una che viene stuprata deve invece vergognarsi d’essere stuprata? Sono sicura non voleste intendere questo, cari i miei stolidi benintenzionati. Sono sicura che, se sedate il cane di Pavlov in voi e l’urgenza di schierarvi, sarete d’accordo che rispettare la privacy delle persone in difficoltà è una richiesta ragionevole. Persino se sono povere.

Il video originale, condiviso da un tizio e poi ritwittato da Civati, l’ha pubblicato un account (italiano) che, quando sono andata a controllare, lo accompagnava con le parole «This is Mario Draghi’s Italy». Ah, vedi. Dopo la fidanzata di Coso dei Måneskin che inventa l’endometriosi, Mario Draghi che inventa la povertà. Che decennio creativo. Tra i retweet, menzione d’onore all’americano che dice non possiamo permettere che l’America finisca così. Ah, vedi. In America finora erano scarsi in quanto a povertà, meno male che c’è l’export delle grandi idee italiane.

Chissà se Civati il video non l’ha tolto perché impegnato a far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare, grattarsi, e aveva le notifiche di Twitter disattivate. O perché ha letto i consigli delle persone ragionevoli ma non concordava: lasciare lì in bella vista gente che chiede l’elemosina e non ha acconsentito a finire in mondovisione gli sembra proprio una buona idea. La terza ipotesi, quella che sappia che è una cosa schifosa ma gli sembri possa pagare elettoralmente, non voglio neanche prenderla in considerazione.

Nel gioco di oggi c’è un trucco. Le piccole differenze tra le due immagini non sono differenze tra le immagini: sono differenze tra chi le guarda. Attengono alla nostra incapacità di valutare i fatti, essendo noi accecati da simpatie e antipatie. Non riteniamo che i poveri si possano pubblicare come ci pare e piace e le stuprate no: riteniamo che Civati sia dei nostri e la Meloni no.

Qualche anno fa, una troupe di Mediaset s’introdusse con la forza a casa mia. Era un reato, come ha stabilito il tribunale in primo grado e poi in appello: non si può entrare a casa della gente e riprenderla se non vuol essere ripresa, chi l’avrebbe mai detto. Quando quel video fu mandato in onda, le reazioni non avevano niente a che fare col video: avevano a che fare con l’antipatia o la simpatia che chi lo guardava provava per me.

Ancora oggi c’è gente che scrive sui social che se lo guarda sghignazzando, il video d’un reato, ed è la stessa gente che stigmatizza la Meloni quando posta un altro video di reato, e che davanti a quel reato lì mica sghignazza: perché è più sensibile allo stupro che alla violenza privata? No, perché la signora ucraina stuprata non aveva mai scritto su Twitter qualcosa con cui essa gente si trovasse in disaccordo: non si era macchiata di antipatia, meritandosi perciò violenza. Il codice penale non ci interessa granché; il codice dei nostri umori, moltissimo.

Quando Vongola75 dice quanto si diverte a guardare me che mi agito per far uscire un pregiudicato da casa mia, non è dissimile da Marsupio88 che dice ma quali poveri, quelli in fila sono scrocconi col cellulare. Soprattutto, entrambi – e altri milioni di simpatizzanti e antipatizzanti d’ogni scandale du jour – sono la prova che aveva ragione Thoreau, e la maggioranza della gente continua a vivere vite di silenziosa disperazione, e almeno i social la illudono che quelle vite siano meno silenziose.

Ma più che altro sono il segno che per il discorso pubblico non c’è speranza, incistati come siamo nelle nostre curve di tifoseria, nella nostra incapacità di vedere la realtà, di vedere a che punto sta la piccola differenza tra ciò che giusto perché lo è, e ciò che lo diventa solo perché è l’ingiusto che accade al soggetto giusto: quello della curva avversaria.

Nessuna immagine è innocente. Ambigui, complici, mai neutrali. Tutti gli scatti contengono un preciso punto di vista sulla realtà. Come svelano i racconti visivi di questa violenta estate. Wlodek Goldkorn su L'Espresso il 29 Agosto 2022. 

Le immagini non sono innocenti e le verità che trasmettono sono molteplici, spesso ambivalenti, sempre soggette alla nostra interpretazione perché sono fatte dallo sguardo di chi le produce, del fotografo (professionale o meno), di chi filma un evento con il suo smartphone; uno sguardo che successivamente incrocia l’occhio di che ne usufruisce. E né lo sguardo né l’occhio sono tabula rasa, guidati invece da opinioni e pregiudizi, talvolta da ideologie o utopie future o nostalgiche o anche dalla libido (che non tratteremo qui), da un racconto precostituito.

Convalidato l'arresto: i social rimuovono video dopo ore. La donna violentata a Piacenza: “Riconosciuta dal video, sono disperata”, 27enne si difende: “L’ho soccorsa”. Redazione su Il Riformista il 23 Agosto 2022.  

“Sono disperata, mi hanno riconosciuta da quel video“. Sono le parole della donna ucraina di 55 anni vittima della violenza sessuale andata in scena nella notte di domenica 22 agosto in pieno centro a Piacenza. Ascoltata dagli inquirenti dopo il ricovero in ospedale, la donna, che vive e lavora in Italia da anni, ha spiegato di essere turbata perché a causa della diffusione del filmato, pubblicato da alcuni media (molti l’hanno pixellato rendendo i protagonisti irriconoscibili) e ripreso dai politici sui social, in primis Giorgia Meloni (anche la presidente di Fratelli d’Italia ha oscurato tutto).

Non si placano dunque le polemiche per la diffusione del filmato della violenza sessuale commessa da un 27enne della Guinea, richiedente asilo in Italia, e diventato virale in rete. La Procura di Piacenza lunedì ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per il reato di ‘diffusione senza consenso di materiale riproducente atti sessuali‘ in relazione al video dello stupro. Sono in corso accertamenti della Questura e della Polizia Postale. Intanto Facebook, Instagram e Twitter hanno rimosso il filmato perché viola le loro regole. Al posto del tweet appare la scritta “Questo tweet ha violato le regole di Twitter”, corredata da un link che rimanda alle norme della piattaforma. Sui social del gruppo Meta, invece, le norme violate sono quelle relative al cosiddetto ‘Sfruttamento sessuale di adulti‘.

In mattinata c’è stata l’udienza di convalida del fermo del 27enne, operaio incensurato arrivato in Italia nel 2014 con uno sbarco sulle coste siciliane. Il Gip del Tribunale di Piacenza ha convalidato l’arresto per violenza sessuale aggravata e lesioni,  disponendo la custodia cautelare in carcere mentre l’avvocato dell’uomo, il legale Nadia Fiorani, aveva chiesto la scarcerazione. Secondo quanto riferito dall’agenzia Agi, il 27enne ha risposto alle domande del magistrato fornendo una versione dei fatti diversa: avrebbe infatti detto di non aver avuto alcuna volontà di fare del male alla donna, ma di essersi avvicinato per soccorrerla, pensando che stesse male e respingendo dunque le accuse. Il giovane, che risiede a Reggio Emilia, ha riferito di aver passato la notte tra sabato e domenica in una discoteca.

Nel provvedimento di convalida dell’arresto, il giudice fa però riferimento al video e alle dichiarazioni del cittadino che ha ripreso la presunta violenza per confermare la presenza di “gravi indizi di colpevolezza” a carico dell’indagato perché il filmato “riprende momenti cruenti della violenza“.

L’uomo, dopo l’arrivo in Sicilia nel gennaio del 2014, in un primo periodo ha abitato a Gorizia. In Friuli Venezia Giulia ha presentato richiesta di asilo che è stata approvata nel maggio dello stesso anno dalla commissione territoriale di Trieste. Nel luglio del 2014 il 27enne ha chiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari alla Questura di Reggio Emilia, dove risiede attualmente. Permesso poi rinnovato nel 2015 e nel 2017. Nel giugno scorso, invece, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la richiesta di rinnovo avanzata dall’uomo. Decisione che è stata notificata al 27enne dopo il suo arresto.

Tornando al dibattito politico e allo scontro tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta sulla diffusione del video, sulla vicenda è intervenuto anche Matteo Salvini della Lega (“Il problema non è il video, è lo stupro: c’è un problema educativo e di rispetto delle regole, più che preoccuparci dei video e dei tweet mi preoccupa di come prevenire questo reato” ed Emma Bonino, leader di +Europa, (“Per me il tema scandaloso sono il femminicidio e lo stupro. Che poi si vedano o meno è un altro discorso. Ho fatto tutta una lotta perché lo stupro – usato come arma durante la guerra in ex Jugoslavia – entrasse fra i crimini di guerra. Il video non mi scandalizza, ma lo stupro in sé”).

Perché Meloni ha sbagliato a pubblicare il video dello stupro di Piacenza: un reato è meglio filmarlo che interromperlo. Franco Forte su Il Riformista il 24 Agosto 2022 

Tutti i social hanno cancellato il video dello stupro di Piacenza. Né l’altroieri né ieri nessun Tg lo ha mandato in onda. La Procura di Piacenza addirittura ha aperto un’inchiesta su quel video, perché ritiene che diffonderlo sia stato un reato. La vittima dello stupro, una cinquantenne ucraina, si è lamentata ieri, perché dice che molte persone l’hanno riconosciuta e la cosa evidentemente l’ha danneggiata. La Procura ha anche ordinato il sequestro del video ai pochi organi di informazione che l’avevano pubblicato.

In politica invece la bufera si è un po’ calmata. Lo scontro era stato principalmente tra Meloni e Letta che ieri mattina sono stati visti chiacchierare tra loro e sorridere durante il meeting di Rimini (Comunione e Liberazione) al quale hanno partecipato entrambi. Letta, ventiquattro ore prima, aveva attaccato asperrimamente Giorgia Meloni per la sua decisione di pubblicare il video e poi di commentarlo. La polemica era cresciuta per via del fatto che la Meloni aveva bollato come “devianze” da combattere alcuni disturbi come l’anoressia o la bulimia e alcuni scompensi fisici come l’obesità. Ha fatto bene la Procura a sequestrare il video? E ad aprire una inchiesta sulla sua diffusione? Direi di sì. Questo giornale è ultralibertario, contrario ad ogni proibizione. Ma qui si tratta di atti e gesti che violano i diritti privati delle persone, che danneggiano degli individui, i quali vanno tutelati. Per di più danneggiano proprio la signora che è stata vittima di un’orrida violenza.

Giorgia Meloni è una leader abilissima e piena di doti (anche se, francamente, sulle sue idee per l’Italia c’è molto da discutere), è uno dei pochi personaggi di rilievo espressi negli ultimi vent’anni dalla politica italiana (che, da Tangentopoli in poi, è diventata paurosamente arida e non prolifica). Però, evidentemente, anche lei ogni tanto, prende una cantonata. Forse tradita dall’eccesso di successo, garantito dai sondaggi, forse da quell’idea, tipica della destra radicale (leghista o fratellista) secondo la quale urlare contro i migranti va sempre bene, si può fare senza alcun limite e porta comunque vantaggi e consensi particolarmente utili in campagna elettorale. E così Giorgia Meloni ha lanciato un boomerang.

In fondo poteva limitarsi a strepitare contro l’africano beccato dalla polizia poco distante dal luogo del delitto, e sostenere la sua tesi “salviniana” che sono gli africani la rovina dell’Italia e che occorre un blocco navale, cioè un’azione di guerra contro di loro, per fermare gli sbarchi e l’arrivo dei profughi. Lei è andata oltre. ha messo on line il video, per colpire dritta dritta la pancia dell’elettorato e chiamarlo all’adunata. Probabilmente pagherà quest’errore. In modo certo non clamoroso, anche perché Letta, strepitando contro di lei (anche lui per ragioni essenzialmente elettorali) ha trasformato l’errore di Meloni in rissa e l’ha aiutata a frenare gli effetti di reazione al suo brutto gesto.

P.S. Poi torna una domanda, che già si pose nel caso nel poveretto ucciso a botte da un folle a Civitanova (in quel caso lo straniero era la vittima e il colpevole era italiano): perché ormai, di fronte a una aggressione, invece di intervenire si filma col telefonino? Io immagino che sia perché dilaga un’ idea: un reato è meglio filmarlo che interromperlo. Punire è meglio che prevenire. Franco Forte

Video sullo stupro a Piacenza, il Garante della privacy apre un’istruttoria. Ilaria Minucci il 22/08/2022 su Notizie.it.

Video sullo stupro a Piacenza, il Garante della privacy ha deciso di aprire un’istruttoria. Letta ha nuovamente attaccato la Meloni.

Il Garante della Privacy ha deciso di aprire un’istruttoria sul video che mostra lo stupro a Piacenza, diventato virale sui social media e diffuso anche dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.

Video sullo stupro a Piacenza, il Garante della privacy apre un’istruttoria

Il Garante della privacy ha aperto un’istruttoria sul video dello stupro a Piacenza diffuso nei giorni scorsi dai media e sui social, inclusi i canali ufficiali della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

In particolare, nella nota diffusa dall’ente, è possibile leggere quanto segue: “Con riferimento alla diffusione del video relativo all’episodio di violenza sessuale di Piacenza, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria per accertare eventuali responsabilità da parte dei soggetti che a vario titolo e per finalità diverse vi hanno proceduto e avverte tutti i titolari del trattamento a verificare la sussistenza di idonee basi giuridiche legittimanti tale diffusione.

Il Garante si riserva di adottare eventuali provvedimenti di sua competenza”.

Letta: “Gravissimo gesto in campagna elettorale”

Sulla questione del video dello stupro a Piacenza condiviso dalla leader di FdI, è tornato anche il segretario del PD, Enrico Letta. Nella serata di lunedì 22 agosto, Letta ha dichiarato: “È gravissimo che in campagna elettorale si prenda quel video con quelle urla, quei rumori, e lo si butti così in pasto.

Meloni ha utilizzato quel video in campagna elettorale e lo trovo inaccettabile. Rivela cosa è la destra italiana – e ha aggiunto –. Mettere le devianze al bando come un qualche cosa che di negativo c’è e che va rimosso non è il linguaggio che avrei usato. Penso che le diversità siano ricchezza per la nostra società”.

Piacenza, la vittima agli inquirenti: “Sono disperata, mi riconoscono nel video”. Ma Meloni non si scusa con la donna stuprata. Monica Serra il 24 agosto 2022 su La Stampa.

Ha parlato della «tragedia nella tragedia» che sta vivendo. Non solo la violenza subita da «quell'uomo che mi ha spinta a terra e aveva il pieno controllo su di me», anche «il video che ho visto e in cui mi hanno riconosciuta». In lacrime e con l'aiuto dell'interprete, la vittima dello stupro di Piacenza, una donna ucraina di 55 anni, ha spiegato ai pm di aver visto quel filmato che la ritrae a terra con il suo aggressore addosso, all'alba di domenica scorsa, pubblicato da alcuni siti di informazione e rimbalzato sui social, ripostato anche dalla pagina Facebook di Giorgia Meloni, e finito al centro della più aspra polemica politica. «Ho visto anch'io quelle immagini», ha ammesso la donna davanti al procuratore Grazia Pradella e al pm Ornella Chicca, che hanno aperto un secondo fascicolo d'inchiesta, ipotizzando il reato di divulgazione delle generalità e dell'immagine di una persona vittima di violenza sessuale. «Sono sotto choc, disperata – ha detto ancora con difficoltà –. Vi chiedo di cancellare al più presto quel video e di punire chi lo ha fatto circolare». Gli investigatori della squadra mobile e della polizia postale avevano già avviato gli accertamenti che si sono inizialmente concentrati sul cellulare di Luigi C. , il residente di via Scalabrini, nel centro storico di Piacenza, a due passi dalla basilica di Sant'Antonio che, alle 6 di domenica mattina, ha girato il video dello stupro. «Mi ero appena svegliato, quando ho sentito le urla. Subito mi sono affacciato alla finestra, ho visto un uomo e una donna molto vicini e mi sono insospettito», ha ricostruito davanti agli investigatori. Così, appena si è accorto che l'aggressore si lanciava addosso alla vittima, ha chiamato la questura e nel frattempo ha ripreso tutto quel che accadeva con il suo cellulare, «per consegnare una prova utile alla polizia», ha spiegato anche ai giornalisti della Libertà di Piacenza. L'uomo ieri è stato risentito proprio sulla diffusione di quel filmato, dai magistrati che hanno ordinato alla polizia di effettuare accertamenti e sequestri anche nelle redazioni delle testate che hanno pubblicato le immagini, a partire da Libero. A Google, Yahoo, Meta, Bing e Twitter i pm hanno inoltrato la richiesta di rimozione del video. Nell'ordinanza con cui ieri il giudice Stefano Brusati ha convalidato l'arresto e disposto il carcere per l'aggressore, il richiedente asilo Sekou Souware, 27 anni da compiere a dicembre, originario della Guinea e sbarcato sulle coste siciliane nel gennaio 2014, è ricostruita la toccante testimonianza della vittima. Appena uscita dalla casa di un'amica, dove aveva trascorso la notte, la 55enne si è trovata davanti l'aggressore: «Uno sconosciuto che non avevo mai visto prima. Subito mi ha bloccata e mi ha spinta a terra». Così, «quando aveva raggiunto il pieno controllo su di me», ha iniziato a violentarla. «Mi teneva ferma con una mano mentre con l'altra cercava di slacciarsi i pantaloni», ha spiegato la 55enne. Poi è arrivata la polizia che subito lo ha bloccato e identificato. Il 26enne, residente a Reggio Emilia con la fidanzata, carrellista per un'azienda piacentina e a cui ieri la Commissione asilo di Trieste ha negato la protezione internazionale, nel corso dell'interrogatorio davanti al gip ha respinto le accuse. «Il mio assistito ha dichiarato di aver soccorso la donna perché era caduta a terra e di non avere avuto alcuna intenzione di violentarla», spiega il legale. Ma la ricostruzione di Souware, in base al video e alle testimonianze, non è stata ritenuta credibile dal gip, che ha confermato la presenza di «gravi indizi di colpevolezza» oltre al rischio di pericolo di fuga e di reiterazione del reato. «La sua condotta – si legge nell'ordinanza – rende del tutto verosimile che, se lasciato libero, possa contattare la parte offesa per intimidirla». Il giudice parla di fatti di «estrema gravità»: Souware – sottolinea – sarebbe stato «del tutto incurante anche davanti alle grida e alle invocazioni di aiuto» della vittima. Nel frattempo sulla vicenda, che ha fatto il giro del mondo, ripresa da Spiegel, El Mundo, Vanguardia, Daily Mail, in Italia dilaga la polemica politica. E mentre la leader di Fdl Giorgia Meloni respinge le accuse: «Non ho ragione di scusarmi, se non per avere espresso solidarietà, pubblicando un video totalmente oscurato e che era stato diffuso da un giornale», la sindaca di Piacenza, Katia Tarasconi, fa già sapere che il Comune si costituirà parte civile nel processo. «Ho ricevuto anch'io quel link ma non l'ho neppure aperto – ricostruisce la sindaca –. Non voglio demonizzare nessuno, ma è triste la politica che scade nell'utilizzo delle disgrazie altrui ai fini della campagna elettorale: significa solo entrare in una tragedia senza alcuno scopo nobile. E questo è inaccettabile. Parlo da essere umano, prima ancora che da sindaca».

Rosario Di Raimondo per “la Repubblica” il 23 agosto 2022.

Un'inchiesta della procura. Un'istruttoria del garante della privacy. La condanna dell'ordine dei giornalisti: «Pubblicare il video di uno stupro è un'altra violenza nei confronti della donna che lo ha subito». Ma sul filmato della donna violentata domenica a Piacenza, e rilanciato sui social da Giorgia Meloni, s' infiamma la politica. Da una parte l'accusa di fare campagna elettorale su una vittima. Dall'altra, quelle che per la leader di Fratelli d'Italia sono «bugie e bieca propaganda». 

La vittima di violenza, una donna ucraina di 55 anni, è stata dimessa dall'ospedale. I pm hanno chiesto la convalida del carcere per il richiedente asilo di 27 anni, della Guinea, che l'ha aggredita. La procura indaga anche sulla diffusione del video, «trattandosi di un fatto astrattamente riconducibile a ipotesi di reato».

Il filmato della violenza, girato da un residente, è finito su alcuni siti online e sui social. Meloni lo ha condiviso esprimendo solidarietà alla donna e assicurando che farà «tutto ciò che mi sarà possibile per ridare sicurezza alle nostre città». 

Un'operazione che ha indignato molti. A partire dal Pd. «Un video indecente e indecoroso», lo ha definito il segretario Enrico Letta: «Faccio un appello perché tutti stiamo nei limiti della dignità e della decenza».

Per poi aggiungere in serata: «Tutta la nostra solidarietà alla vittima e la necessità che lo stupratore paghi per quello che ha fatto e che le nostre città siano sicure». Ma da quel video «viene fuori cos' è la destra». 

Katia Tarasconi, sindaca di Piacenza, ha aggiunto: «La persona ha subito già una violenza, con questo video ne sta subendo un'altra. Chi lo ha pubblicato lo avrebbe fatto lo stesso se la vittima fosse stata sua sorella o sua madre?». Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia-Romagna, capolista Pd alla Camera, ha invitato Meloni a «toglierlo dai social. Così come anche i giornali che l'hanno pubblicato».

Mentre Valeria Valente (candidata Pd), presidente della commissione femminicidio, ha parlato di «revenge porn». 

Da destra e non solo è arrivata la difesa a Meloni. Anche Emma Bonino, senatrice di Più Europa, ospite di Metropolis , ha detto: «Lo scandalo è lo stupro, sono i femminicidi aumentati negli ultimi mesi e ogni modo di denunciarlo è importante». La leader di Fratelli d'Italia ha risposto agli attacchi rivolgendosi a Letta. Si è giustificata dicendo che il video era oscurato «in modo da non far riconoscere le vittime».

Ma era stato anche l'audio, con le grida della donna, a indignare tanti. Audio che ieri, dal video sulla sua bacheca Facebook, non si sentiva più. «La lesione della dignità non è la condanna di uno stupro, è lo stupro. Perché di questo non parlate?», ribatte Meloni, che spiega di aver pubblicato il filmato «per esprimere solidarietà alla vittima». E intanto Matteo Salvini annuncia che sarà a Piacenza il 31 agosto.

Da agi.it il 23 agosto 2022.

Lo straniero arrestato con l'accusa di aver violentato una donna in strada a Piacenza, Sekou Souware, 27 anni da compiere in dicembre nato a Macente in Guinea, era sbarcato in Italia, sulle coste siciliane, nel gennaio 2014. 

Secondo quanto si apprende, dopo essere stato trasferito a Gorizia, dove formalizza la richiesta di protezione internazionale, il 25 maggio 2014, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Trieste concede allo straniero il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. 

Il 28 luglio dello stesso anno, il giovane richiede presso l'ufficio immigrazione di Reggio Emilia il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che poi rinnova nel 2015 e 2017. Il 7 maggio 2019 richiede il rinnovo del permesso di soggiorno senza però mai ritirarlo. 

Il 12 aprile scorso sempre presso gli uffici di Reggio Emilia reitera l'istanza di protezione internazionale e contestualmente gli viene rilasciato un permesso di soggiorno come richiedente asilo che scadrà il 20 ottobre 2022.

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Trieste, il 20 giugno scorso, decide di non riconoscere la protezione internazionale. E ieri la decisione della commissione è stata notificata all'indagato presso il carcere di Piacenza. 

Nel provvedimento di convalida dell'arresto il giudice fa riferimento al video e alle dichiarazioni del cittadino che ha ripreso la presunta violenza per confermare la presenza di "gravi indizi di colpevolezza" a carico dell'indagato. Inoltre, stando a quanto appreso dall'AGI,  il magistrato convalida l'arresto anche per  la presenza del pericolo di fuga e di quello di reiterazione del reato. 

"La sua condotta rende del tutto verosimile che, se lasciato libero, possa contattare la parte offesa per intimidirla" prosegue il magistrato. L'uomo sarebbe stato "del tutto incurante anche davanti alla grida e alle invocazioni di aiuto" della vittima. Il giudice evidenzia "l'estrema gravità dei fatti". 

La vittima: "Sono disperata. Mi hanno riconosciuto"

 "Sono disperata, sono stata riconosciuta per colpa di quelle immagini" ha detto lunedì la vittima agli inquirenti che l'hanno sentita per ricostruire l'accaduto.  La donna di origine ucraina vive e lavora in Italia da molti anni. Sulla diffusione delle immagini ha aperto un'istruttoria anche il Garante della privacy. 

Il filmato della violenza per la quale è stato arrestato un richiedente asilo della Guinea è stato girato da un cittadino che ha anche chiamato i soccorsi ed è finito rapidamente in rete provocando uno scontro tra la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, e il segretario del Pd, Enrico Letta che ha definito "indecente" la pubblicazione sul social della rivale. "Mi vergogno francamente di leader che usano uno stupro per attaccare me" aveva ribattuto lei.

(AGI il 23 agosto 2022) - "Ho pubblicato un video che era completamente oscurato. Non ho parlato con questa persona, ma siccome sono molto sensibile a queste materie, non avrei mai pubblicato un video che potesse far riconoscere la vittima". Lo ha detto la leader di Fdi, Giorgia Meloni, a margine di un comizio ad Ancona. 

"Mi hanno riconosciuta". La vittima dello stupro di Piacenza è disperata, l'accusato nega tutto. Francesca Galici il 23 Agosto 2022 su Il Giornale.

Il richiedente asilo nega di aver voluto stuprare la donna a Piacenza: dice di averla voluta soccorrere perché pensava avesse avuto un malore 

La magistratura ha iniziato a muoversi in merito allo stupro di Piacenza, perpetrato ai danni di una donna ucraina di 55 anni da un richiedente asilo di 27 anni proveniente dalla Guinea. L'uomo si trova tutt'ora recluso in carcere con l'accusa di violenza sessuale. Gli investigatori nelle scorse ore hanno ascoltato la vittima, che stando a quanto è trapelato, avrebbe riferito agli inquirenti: "Sono disperata, mi hanno riconosciuta da quel video". D'altronde, prima che il video finisse sui social, adeguatamente oscurato dai quotidiani e dagli esponenti politici che l'hanno condiviso, ha girato sui telefoni di migliaia di persone senza alcuna precauzione.

Ma in queste ore la procura di Piacenza ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per il reato di "diffusione senza consenso di materiale riproducente atti sessuali" in relazione al video dello stupro di Piacenza diffuso da alcune testate giornalistiche, siti e dal profilo Facebook di Giorgia Meloni. Sono attualmente in corso accertamenti da parte della questura e della polizia postale.

Stupro choc in centro a Piacenza: la furia del richiedente asilo

Intanto, si è svolta anche l'udienza di convalida da parte del gip del tribunale di Piacenza, che ha confermato la misura della detenzione cautelare in carcere per il 27enne richiedente asilo. Da parte della procura, il pm Ornella Chicca, ha chiesto il carcere per l'uomo mentre la sua difesa, rappresentata dall'avvocato Nadia Fiorani, ha chiesto la liberazione. Il giudice si è per il momento riservato di decidere nei prossimi giorni per l'applicazione della misura cautelare ma intanto il 27enne accusato di stupro, che si trova in Italia dal 2014 e lavora come operaio on un magazzino, ha risposto alle domande e ha fornito una sua versione dei fatti.

Avrebbe detto di non aver avuto alcuna volontà di fare del male alla donna, ma di essersi avvicinato per soccorrerla, pensando che stesse male. Nega, quindi, qualunque attribuzione e si difende dalle accuse. Ha detto anche di non essere a conoscenza del video dell'episodio. Il richiedente asilo risiede a Reggio Emilia e ha riferito di aver passato la notte tra sabato e domenica in una discoteca.

Si trovava a Piacenza "per una festa con un amico ed era appena uscito da una discoteca", ha spiegato il suo avvocato, che poi ha aggiunto: "Lui dice di non avere avuto alcuna intenzione di violentare la donna, io il video l'ho visto ma preferisco non commentare e mi limito ad assicurare al mio assistito la migliore difesa".

FB, Instagram e Twitter rimuovono video stupro Piacenza. ANSA il 23 agosto 2022 - Facebook, Instagram e Twitter hanno rimosso il video dello stupro di Piacenza perchè viola le loro regole. Il video era stato postato anche da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. Al posto del tweet appare la scritta "Questo tweet ha violato le regole di Twitter", corredata da un link che rimanda alle norme della piattaforma. Sui social del gruppo Meta, invece, le norme violate sono quelle relative al cosiddetto 'Sfruttamento sessuale di adulti'.

Michela Murgia per “la Stampa” il 23 agosto 2022.

Immagina di essere la donna che ha subito uno stupro in strada ed essere costretta a riviverlo per immagini, tue grida comprese, ogni volta che vai sul web, per anni e anni. Immagina quanto ti possa far stare male ogni singola volta aprire un sito di informazione o la pagina di un conoscente e sapere che potresti risentire le tue grida su quel marciapiede mentre venivi violentata. Basta questo pensiero per dire che chiunque stia facendo circolare quel video, che sia un sito di informazione, una persona comune o l'esponente di una qualunque forza politica per interessi di bottega, si mette dalla parte del carnefice e non della vittima.

Elezioni: Salvini, video Meloni? Problema è lo stupro (ANSA il 23 agosto 2022) - Il problema non è il video ma lo stupro. Io sarò a Vicenza nei prossimi giorni. C'è un problema educativo. Più che occuparsi dei video e dei tweet bisogna preoccuparsi di come prevenire e trovare soluzioni. Entro il 2023 si possono assumere 10mila poliziotti e carabinieri. Le polemiche sui video sono superflue, il problema sono le violenze". Lo dice Matteo Salvini al Meeting di Cl. 

Elezioni: Bonino, video stupro? La cosa insopportabile è l'atto. ANSA il 23 agosto 2022. - "Il video dello stupro? Io non l'ho visto, ma voglio segnalare che è stato ripreso da tutti i giornaloni. E' diventata la polemica del giorno e durerà 24 ore, per me la cosa insopportabile è lo stupro". Così Emma Bonino, leader di +Europa, durante la presentazione del programma elettorale del partito. "Nel 2008 la campagna elettorale fu fatta tutta sugli stupri. Ce ne era uno al giorno, e tutti di stranieri. Ovviamente era una bufala. Finita la campagna elettorale non se ne è parlato più", conclude Bonino.

La doppia morale della sinistra: condivide foto solo se la vittima è un immigrato. Francesca Galici il 22 Agosto 2022 su Il Giornale.

Per la sinistra le immagini dell'ambulante ucciso da un italiano potevano essere divulgate. Quelle dello stupro da parte di un richiedente asilo, invece, no.

Nel Partito democratico, ormai, non faticano nemmeno più a cercare di camuffare la loro ipocrisia e la doppia morale. Poche settimane fa, le immagini del venditore ambulante, un immigrato originario del Senegal, mentre veniva picchiato e soffocato da un operaio italiano, sono state rilanciate su gran parte dei profili social degli esponenti del Partito democratico e anche da profilo ufficiale del Pd. Oggi, le immagini che documentano l'orrore compiuto da un altro immigrato nei confronti di una donna, devono essere censurate.

L'unico obiettivo, nemmeno troppo nascosto, della sinistra è semplice: attaccare la controparte politica, screditarla agli occhi dell'opinione pubblica nazionale e internazionale, agitare il fantasma del razzismo e di qualunque altra nefandezza che viene imputata al centrodestra. In questo modo il Pd non spera di vincere le elezioni, visto che non ha un programma da portare poi al governo, ma di non far vincere la coalizione opposta. Tra i tanti esempi che si possono fare in merito, il più emblematico è forse quello dello stupro di Piacenza. Gli esponenti del Pd, senza nemmeno esprimere una solidarietà di facciata per la donna violentata, si sono metaforicamente attaccati alla gola della Meloni per aver condiviso le immagini (pochi secondi, ma terribili) dello stupro, accuratamente oscurate e, per altro, prese dal sito di uno dei quotidiani nazionali più autorevoli.

Solita ipocrisia di sinistra: non condannano lo stupro ma accusano la Meloni

Da Enrico Letta in giù, Giorgia Meloni è stata messa del mirino, accusata di fare campagna elettorale sulla pelle di una donna violentata. Da sinistra si sono issati su un pulpito inesistente dal quale, come al solito, cercano di fare la morale agli avversari politici, millantando una fantomatica superiorità morale che, però, non li ha portati nemmeno a spendere due parole per la vittima. Il motivo? Lo stupratore, in questo caso, è un richiedente asilo della Guinea. Sarebbe stato sconveniente, per la sinistra, accendere i riflettori su un caso di violenza carnale che vede protagonista una di quelle risorse da loro protette, difese e agevolate. Quindi, hanno preferito tacere e appena, secondo loro, hanno intuito un qualche appiglio per un attacco, hanno agito. 

"La sinistra che oggi condanna Giorgia Meloni per aver pubblicato le immagini coperte dello stupro di Piacenza è la stessa sinistra (leggi Pd) che non si faceva scrupoli solo pochi giorni fa nel condividere le foto in chiaro della tragica uccisione dell'ambulante Alika a Civitanova Marche?", fa notare il deputato di Fratelli d'Italia, Galeazzo Bignami.

Le immagini dell'uccisione di Alika Ogorchukwu, non oscurate e utilizzate al fine di mettere in evidenza una componente razzista nel tessuto sociale italiano da parte del Partito democratico, puntando il dito contro il centrodestra che alimenta, a loro dire, l'intolleranza, non erano campagna elettorale. Le immagini dello stupro di una donna, anche lei immigrata, da parte di un richiedente asilo, invece lo sono? In base a cosa la sinistra decide cosa sia tollerabile e cosa no in senso assoluto? Dal Pd hanno accusato Giorgia Meloni di non aver chiesto il permesso di diffondere quel video (già pubblicato da un quotidiano come documento giornalistico). Da parte loro, è stato chiesto il consenso alla vedova di Ogorchukwu per la diffusione delle immagini?

Cosa non torna sul video dello stupro rimosso dai social. Polemica sul video condiviso da Meloni. La procura apre un’indagine. La vittima: “Mi hanno riconosciuta”. Redazione su NicolaPorro.it il 23 Agosto 2022.

Puntuale come un orologio svizzero, monta la polemica (contro la Meloni). Merito dei social network, che hanno deciso di rimuovere il video di quanto successo a Piacenza. Merito della procura, che pare abbia aperto un fascicolo sulla diffusione illecita del filmato. E ovviamente dei frammenti di dichiarazioni che trapelano all’Agi, secondo cuoi la vittima avrebbe dichiarato agli inquirenti di essere “disperata” perché “mi hanno riconosciuta da quel video”.

Le polemiche sul video di Piacenza

I fatti sono noti. All’alba di domenica, un 27enne della Guinea, richiedente asilo approdato in Italia nel 2014, viene arrestato dalla polizia con l’accusa di violenza sessuale aggravata e lesioni ai danni di una donna di 55 anni ucraina. Tutto accade in pieno centro, alla luce del sole, tanto che un residente oltre ad avvertire le forze dell’ordine si mette anche a registrare quanto sta accadendo. Il video poi fa il giro dei cellulari, salta di WhatsApp in WhatsApp, finisce sul sito del Messaggero (che poi lo rimuove) e infine sui social. Tra gli altri, a pubblicarlo è Giorgia Meloni, che lo utilizza per esprimere solidarietà alla vittima e chiedere più sicurezza nelle città.

Nel giro di poche ore però scoppia la polemica: da una parte la sinistra ad accusare la destra di sfruttare la cronaca a fini elettorali, e di aver diffuso un video che non andava gettato in pasto al pubblico; dall’altra la destra che accusa la sinistra di guardare il dito (la diffusione del filmato) e non la luna (il presunto abuso sessuale). Nel pieno delle polemiche, Twitter e Facebook decidono di rimuovere i contenuti dai loro social adducendo la violazione delle regole interne. La procura, come detto, apre un fascicolo a carico di ignoti per il reato di “diffusione senza consenso di materiale riproducenti atti sessuali”. Il garante della Privacy apre un’istruttoria. E dall’interrogatorio trapelano proprio le frasi sulla donna che è stata “riconosciuta” dal video. Un quadretto perfetto per usare il tutto contro la Meloni.

Ci siano permesse un paio di riflessioni. Primo: il video rilanciato dalla Meloni era oscurato, non si vedevano cioè né il presunto stupratore, né la vittima, né quanto successo. Secondo: abbiamo già parlato del fatto che nessuno, neppure il Pd, si è fatto simili problemi nel diffondere foto e video dell’omicidio in diretta di Civitanova Marche. Ma se vogliamo restare nel campo delle violenze a sfondo sessuale, forse i lettori ricorderanno quanto successo a Capodanno a Milano, quando gruppi di ragazzi accerchiarono e molestarono le ragazze in piazza Duomo. Anche in quell’occasione emersero dei video degli abusi, pubblicati e ripubblicati da tutti i giornali: uno dei filmati riprendeva due ragazze disperate che urlavano mentre un branco di aggressori metteva loro “le mani addosso ovunque”. Il video, che buona parte dei giornali e dei telegiornali ha pubblicato con i visi oscurati, ancora oggi è disponibile online su Facebook, che a quanto pare non ha ritenuto in questo caso che la disperazione delle due donne abusate (in alcuni video pure riconoscibili) violasse la sua policy. Lo stesso dicasi per Twitter. E non ci risulta, ma potremmo essere smentiti, che vi siano indagini per la diffusione di quelle immagini.

Intanto la cronaca procede. Il gip di Piacenza ha convalidato l’arresto del richiedente asilo della Guinea dopo la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla procura. Dalla visione del video e dalle dichiarazioni rese dal testimone, sarebbero emersi “gravi indizi di colpevolezza”. L’uomo, difeso da Nadia Fiorani, si è però difeso dando “un’articolata versione” dei fatti e sostenendo “che non aveva nessuna intenzione né di aggredire né di fare del male alla donna“. “Ha detto che si è fermato per soccorrere la donna e aiutarla quando è caduta a terra, negando di volerla aggredire e negando intenzioni malvagie su di lei”, si legge sui quotidiani locali. L’uomo è un richiedente asilo dal 2014, vive a Reggio Emilia e lavora a Piacenza in un magazzino. “Lui dice di non avere avuto alcuna intenzione di violentare la donna, io il video l’ho visto – conclude il legale – ma preferisco non commentare e mi limito ad assicurare al mio assistito la migliore difesa”.

Video dello stupro, Delmastro a Conte e Zan: ringhiare non vi servirà. Si sa che la sinistra sta con Caino. Ginevra Sorrentino il 23 Agosto 2022 su Il Secolo d'Italia.

Solerti nell’insultare Giorgia Meloni almeno quanto tardivi, se non del tutto taciturni, quando si tratta di esprimerle solidarietà per gli attacchi ricevuti, sinistra e grillini non perdono occasione per raschiare il fondo del barile e strumentalizzare il caso di Piacenza, e la denuncia che ne è seguita di Giorgia Meloni. Così, chi ieri non ha fatto in tempo a inveire – e a sfruttare ad hoc l’occasione di farlo – contro la leader di FdI, prova a recuperare oggi. Come Giuseppe Conte, che sordo a spiegazioni e delucidazioni fornite sulla vicenda, e sulle sue degenerazioni utilitaristiche, è partito lancia in resta. Non contro lo scempio compiuto dall’extracomunitario accolto, ma sul video dello stupro della donna ucraina, perpetrato dall’immigrato 27enne finito in carcere. Un video che, repetita iuvant, la presidente di Fratelli d’Italia si è limitata a postare solo dopo che i principali quotidiani lo avevano già abbondantemente pubblicato.

Video sullo stupro,Conte si unisce al coro di insulti della sinistra contro Giorgia Meloni

Così, fiato alle trombe, Conte si unisce al coro di attacchi pretestuosi. E per farlo si attacca alla succinta e laconica dichiarazione della vittima, che a riguardo, secondo quanto riferiscono fonti inquirenti all’Adnkronos, ha dichiarato: «Sono molto rammaricata per la diffusione del video perché sono riconoscibile». Un problema che investe in prima istanza i quotidiani che l’hanno pubblicato, ma che per Conte riguarderebbe solo la Meloni a cui su Facebook il leader grillino indirizza un ennesimo attacco mirato, postando: «Ecco cosa succede quando la politica irresponsabile strumentalizza la cronaca, senza curarsi delle conseguenze e dell’eco mediatica. Senza rispetto per la sofferenza di chi patisce una turpe violenza. Questo scempio è quanto di più lontano dal nostro modo di intendere la dignità delle persone».

Laddove dignità dovrebbe essere proprio la parola chiave per chi ha ancora molto da farsi perdonare dagli italiani e da rendere conto per le inchieste giudiziarie e i ricorsi che hanno coinvolto il suo governo prima, e il suo partito subito dopo. Dignità, appunto, e un richiamo alla deontologia che Conte – ma è solo l’ultimo in ordine di tempo – prova ad addebitare a Giorgia Meloni, immemore del saggio consiglio evangelico che suggerisce di guardare alla trave che offusca la propria vista prima di vedere la pagliuzza nell’occhio del prossimo… Un concetto a cui ha fatto velatamente riferimento ancora poco fa un’altra donna oggetto di insulti e offese inaccettabili come Rita Dalla Chiesa. La quale, sulla vergognosa campagna di attacchi scatenata a orologeria contro la leader di FdI, ha commentato: «Meloni attaccata in tutti i modi. Questa è scorrettezza politica»…

Al feroce intervento di Zan, invece, che sul caso dello stupro ha rimarcato come i suoi compagni di sinistra la questione della pubblicazione de video più che lo sfregio dello stupro compiuto da un immigrato accolto e richiedente asilo, ha risposto direttamente il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro. Che puntando l’indice contro la visione falsata e strumentalizzata della intera vicenda. E replicando all’affermazione dell’esponente dem secondo cui, la Meloni con la sua denuncia, «avrebbe contribuito alla barbarie», ha dichiarato: «Zan, eroe dei due mondi del qualunquismo livoroso, ringhia rabbioso verso Giorgia Meloni per il video condiviso della violenza, sebbene con copertura di ogni tratto della vittima».

«Gli italiani vedono la luna e non il dito puntato di Zan. Vedono città insicure e una sinistra sempre dalla parte di Caino»

Proseguendo poi: «Gli italiani vedono la luna e non il dito puntato di Zan. Gli italiani vedono le città insicure, vedono una giustizia penale lenta, vedono una sinistra sempre dalla parte di Caino e mai di quella di Abele. Il primo modo per non vedere più brutalità simili non è il silenzio, l’oblio, l’occultamento. Ma una risposta in termini di sicurezza. C’è chi vuole mettere la polvere sotto il tappeto, e chi vuole ripulire la casa. Noi siamo la seconda specie», ha concluso Delmastro. E non serve aggiungere altro…

Da repubblica.it l'11 agosto 2022.

Il 21enne barese Loris Attolini, in carcere con l'accusa di aver violentato due turiste francesi di 17 e 18 anni, "con modalità violente e spregiudicate, che sembrano ispirate al noto film 'Arancia meccanica', non si è fatto scrupolo di sequestrare le due giovani donne, picchiarle, minacciarle, riducendo in stato d'impotenza e costringendole a subire una reiterata violenza nonostante l'evidente fragilità delle persone offese e il fatto che si trovassero in un paese straniero lontane dalla loro famiglia". E' un passaggio della richiesta di arresto contenuto nell'ordinanza depositata ieri sera dopo l'interrogatorio dell'indagato.

Il gip che ha convalidato la misura e disposto la detenzione in carcere, Angelo Salerno, accogliendo la richiesta della pm Desirèe Digeronimo che coordina le indagini della Polizia, ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione dei reati evidenziando "l'atteggiamento sprezzante e del tutto indifferente alle suppliche" delle due vittime da parte del 21enne, la sua "spiccata capacità criminale" e "incapacità di autocontrollo". 

Nel provvedimento il giudice ripercorre la vicenda attraverso il racconto delle due presunte vittime, ritenendo invece non credibile la versione fornita dall'indagato, il quale ha negato le accuse. Risponde di duplice violenza sessuale aggravata, lesioni, sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale.

Dopo averle adescate con un invito a cena, un calice di vino e patatine, avrebbe chiesto loro di scattare foto e fare un video erotico, minacciando di pubblicare quel materiale sui social se non avessero collaborato. Al loro rifiuto avrebbe avuto "uno scatto d'ira" e "sbattuto una delle due contro la porta di ingresso colpendola al volto con almeno cinque gomitate", "gettando le due ragazze - si legge nell'imputazione - in uno stato di prostrazione e di terrore circa la loro sorte, anche perché chiudeva la porta di ingresso a chiave e le bloccava in casa impedendo loro di uscire, così da indurle a cedere alle sue richieste".

Durante le successive violenze, una delle due vittime sarebbe riuscita a telefonare al padre in Francia chiedendo aiuto. Il 21enne le avrebbe infine lasciate andare in cambio di 90 euro e tenendo "come trofeo" il telefono cellulare di una delle due. In lacrime e con gli abiti strappati, le due ragazze sono state poi soccorse e portate in ospedale, dove hanno denunciato gli abusi subiti consentendo l'identificazione e l'arresto in flagranza del presunto aggressore.  

Isabella Maselli per lagazzettadelmezzogiorno.it l'11 agosto 2022.

Aggredite e violentate in un appartamento nel quartiere Libertà di Bari. Vittime due turiste francesi, una delle quali minorenne. Il fatto, sul quale al momento si conoscono pochi dettagli, risale alla tarda sera di ieri. Le due ragazze, soccorse dal 118 e portate al Policlinico di Bari, sono ancora in ospedale, sottoposte a consulenza medico-legale e psicologica. Subito, infatti, è stato attivato il cosiddetto “binario rosa”, dedicato alle donne vittime di violenza. 

Quando hanno denunciato ai poliziotti delle volanti di Bari l’aggressione subita, le due giovani donne hanno dato indicazioni sia sull’appartamento dove sarebbe avvenuta la violenza, che gli agenti hanno già ispezionato, sia sulla descrizione dell’uomo. In poco tempo i poliziotti lo hanno identificato e bloccato. L’uomo è ora in attesa dei provvedimenti che saranno adottati dall’autorità giudiziaria. 

L’indagine è coordinata dalla pm di turno Desirèe Digeronimo con il procuratore aggiunto Giuseppe Maralfa. Sulle circostanze della presunta violenza sono ancora in corso accertamenti. Non è escluso che una delle due donne, che quando è arrivata in ospedale presentava lividi sul volto, sia stata anche colpita dall’aggressore. 

Le parole del sindaco Decaro

L’episodio di violenza che questa notte ha visto coinvolte due ragazze francesi ci lascia sgomenti. Non si può tollerare che accadano episodi di questo tipo. La violenza perpetrata in danno di queste due giovani donne va condannata con fermezza e determinazione, non solo sul piano giudiziario ma anche sul piano sociale.

Cose del genere non possono e non devono succedere mai e invece purtroppo la cronaca di queste settimane di vacanze, in tutta Italia, ci restituisce una scia di violenze a sfondo sessuale. Noi baresi siamo vicini alle due ragazze e alle loro famiglie, e mai avremmo voluto che la nostra città lasciasse questo segno tragico nella loro vita, certi che niente e nessuno potrà risarcirle.

Estratto da “la Repubblica - Edizione Roma” l'11 agosto 2022.

Prima l'hanno costretta con la forza a bere alcolici, poi uno dei due l'ha violentata, mentre l'altro assisteva senza intervenire e prestarle soccorso. Con l'accusa di aver abusato delle condizioni di inferiorità psichica di una donna di 37 anni, costringendola a subire atti sessuali non consenzienti, due uomini sono finiti in carcere in esecuzione di ordinanze emesse dal gip del tribunale di Tivoli su richiesta della procura. 

I provvedimenti sono stati eseguiti dai carabinieri della compagnia di Palestrina, che con i pm hanno svolto le indagini dopo la denuncia della donna. Destinatari un 32enne di Cave e un 43enne di San Cesareo di origine rumene. [...]

Il 32enne aveva conosciuto la sera precedente la vittima. Avevano trascorso con lei la serata in un locale. Si erano scambiati i numeri di cellulare. Il giorno successivo si erano nuovamente sentiti. L'uomo aveva fissato un appuntamento, la donna aveva accettato. Non poteva immaginare cosa sarebbe successo. L'epilogo è stato dei più tragici. Di fatto l'appuntamento si è trasformato in una trappola. Anche un altro uomo era presente, il 43enne di origine romena. [...]

Melito Porto Salvo: «Dopo lo stupro io sono andata avanti. Loro sono ancora lì, al palo». Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 9 Agosto 2022

Era il 2014 e lei aveva 16 anni. Fu violentata da un gruppo di coetanei, denunciò, ma il paese la lasciò sola, schierandosi con gli aggressori. Adesso che c’è la condanna definitiva (pena più alta: 9 anni), parla per la prima volta: «Ero arrivata all’autolesionismo. Ora non ho più sensi di colpa» 

Qual è la parola della sua vita?

«Oltre».

Perché proprio quella?

«Perché mi rappresenta. Perché io sono stata capace di andare oltre e cercare la felicità. Mi è costata molta fatica ma ce l’ho fatta. Oggi mi sento forte, sono felice di me e di quel che sto diventando».

Ci pensa mai agli uomini che l’hanno violentata? Le torna mai in mente Davide, il ragazzo di cui era invaghita che la offrì al figlio del boss...

«No. Sono andata oltre, appunto. È una cosa successa anni fa. Ero piccola, ho attraversato tutto il dolore che dovevo attraversare e l’ho superata. Quelle persone per me sono meno di niente».

MELITO PORTO SALVO, IL PAESE CHE LE HA VOLTATO LE SPALLE: «QUELLA FIACCOLATA DI SOLIDARIETA’ ANDATA DESERTA SPINSE I MIEI A DECIDERE DI ANDARSENE»

Melito Porto Salvo, il suo paesino in provincia di Reggio Calabria, le ha voltato le spalle.

«Eh... fin dal primo momento. Erano e sono sempre stati tutti contro di me. Il paese intero si è stretto attorno ai ragazzi. Io ero quella che ci stava, che ha voluto tutto, che ha ingigantito le cose, che ha rovinato le famiglie... A parte la mia famiglia e un solo zio, io non ho più né parenti né amici, non ci rivolgiamo parola. Se non ci andasse ogni tanto mia madre in quel posto non ci tornerei mai più e quando vado a trovarla ci resto solo per poche ore e senza uscire di casa».

Le è capitato di incrociare qualche familiare dei ragazzi che ha fatto arrestare e condannare?

«Sì. Ho provato indifferenza. Con me non hanno mai fatto sceneggiate come con mia madre. Lei subisce dispetti, l’hanno insultata per strada, hanno preso di mira la sua macchina, le hanno detto cose brutte... Si vede che non sono proprio capaci di essere meglio di così».

Il bar dell’appuntamento è vuoto. Lei è arrivata in anticipo ed è seduta accanto alla sua avvocatessa, Lucia Fio. Si alza per salutare, sorride ma è un po’ nervosa. I patti sono: niente nome né riferimenti al luogo in cui vive. Decidiamo che si chiamerà Fiammetta, che abita in una città del Nord Italia. Fiammetta aveva deciso che avrebbe raccontato di sé soltanto a processo chiuso e adesso ci siamo. La Cassazione ha confermato: condanne definitive per i suoi cinque violentatori già condannati in primo grado e in appello. La pena più alta (9 anni) a Davide, il ragazzo che l’agganciò, la irretì e poi istruì Giovanni, il figlio del boss locale, sulle prodezze sessuali che si era permesso con lei, all’epoca tredicenne. Istruì Giovanni perché gliela offrì in dono, diciamo così, pretendendo che lei dicesse di sì come prezzo del perdono perché non si era fatta vedere per un breve periodo.

«All’inizio è un po’ timida, poi non ti preoccupare...», disse Davide all’amico. Era il 2014. Dopo tutti questi anni lei, che non l’ha mai fatto, fa sentire la sua voce. Racconta chi è stata quella ragazzina stuprata prima da un ragazzo solo, poi da un gruppo fra i 13 e i 15 anni e ci porta nel suo tempo buio vissuto a Melito (Reggio Calabria). Ma soprattutto ci accompagna nel suo oltre, cioè nella sua rinascita. E anche per far arrivare un messaggio di speranza a chi ha vissuto una sofferenza come la sua, vuole che il mondo sappia che oggi lei si sente guarita da tutto. Non ha più sensi di colpa, ha ricostruito la sua vita, ha trovato sistemazione in una bella città; ha frequentato e finito una nuova scuola, ha un lavoro che adora e nuovi amici. Sembra lontanissima la sera di quella fiaccolata organizzata per lei dall’associazione Libera e andata praticamente deserta. Melito tacque e guardò scostando le tende, non scese in piazza accanto alla sua adolescente che aveva trovato il coraggio di denunciare chi l’aveva violentata, ricattata, terrorizzata e offesa. Per lei fu poi organizzato il corteo del riscatto: a Melito arrivarono a darle solidarietà parlamentari, parti sociali, religiosi, presidenti di regione, sindaci...

Fu dopo quella fiaccolata deserta che decise di andare via da Melito?

«Beh, ha deciso la mia famiglia. Io avevo 16 anni, avevo denunciato da poco. La mia famiglia è sempre stata unita anche se quando è successo tutto i miei erano già separati. Poi mia madre non è riuscita a ricostruire la sua vita altrove e ha deciso di tornare».

IL TEMA SCRITTO A SCUOLA E NASCOSTO IN UN CASSETTO («AVEVO DENTRO UNA RABBIA CHE HO SMALTITO TUTTA SUL FOGLIO»), LA CONFESSIONE E L’INIZIO DI UNA NUOVA VITA

Tutto è cominciato da sua madre.

«Sì, nel senso che lei ha trovato il tema che avevo scritto a scuola e che avevo lasciato in un cassetto».

Che cosa diceva in quel tema?

«Spiegavo che i miei genitori non si accorgevano mai delle mie sofferenze, che non capivano quali cose brutte mi fossero capitate. Avevo dentro una rabbia che ho smaltito tutta sul foglio. Mia madre chiese spiegazioni e alla fine io le raccontai tutto».

Di che cosa vive la Fiammetta di oggi?

«Sono responsabile di una parte del personale di un’azienda di cui non voglio dire il settore. È un ruolo di responsabilità che mi ha fatto crescere e che mi soddisfa molto. Mi sono diplomata in un corso di trucco scenografico e ho lavorato fino a poco tempo fa nel settore cinematografico. Sono truccatrice per gli eventi».

Fidanzato?

«L’ho avuto ma non è andata bene e ci siamo lasciati. Pazienza».

Cosa c’è nel suo futuro?

«C’è che non vorrei rimanere in Italia. Vorrei viaggiare, vedere, esplorare. Sogno di vivere in una grande città all’estero, uscire di casa e sentirmi anonima in mezzo agli altri. Non rischiare mai di incontrare qualcuno che ti possa riconoscere o additare».

IL SILENZIO CON GLI AMICI («NON VOGLIO RISCHIARE DI SCOPRIRE DI NON ESSERE CAPITA»), L’AUTOLESIONISMO E POI LA FORZA INTERIORE E LA CONDANNA DEI SUOI STUPRATORI

Ai suoi nuovi amici ha mai raccontato di quel che le è successo?

«No. Non mi interessa tornare su quei fatti: ho cancellato, superato. Non l’ho mai detto nemmeno al fidanzato che non ho più. Quando racconto di me c’è sempre un buco di qualche anno...».

Perché non confidarsi nemmeno con l’amica del cuore?

«Perché non voglio rischiare di scoprire di non essere capita».

Lei si dice forte, felice, soddisfatta. Sembra quasi ostentare positività.

«Io con l’autostima sono messa bene, adesso. Ma per arrivarci ne ho passate di giornate buie... C’è stato un periodo in cui accusavo me stessa per la mia sventura. Ero arrivata all’autolesionismo. Ne ho passate tante di giornatacce. Mi ha molto aiutato una psicologa, ho fatto un percorso assieme a lei e sono riuscita a uscirne, a individuare la mia forza».

I suoi stupratori hanno condanne dai 6 ai 9 anni. Pensa mai a quando usciranno? Ha paura di quel momento?

«Non ho paura. Capita raramente di pensare a loro o quel che è successo, specie quando vado a Melito perché per quel posto per me è un accumulo di brutti ricordi. Ma le poche volte che mi capita di inciampare in un brutto pensiero ricordo quello che mi ha insegnato la psicologa: mi ripeto che io sono qui e ora».

Cos’ha pensato quando ha saputo delle condanne definitive?

«La condanna non cambia niente della mia vita. Per me la vittoria è a livello personale, non a livello di giustizia. Avrei preferito fare la mia vita e basta. Avrei risparmiato volentieri a me e alla mia famiglia tutta quella sofferenza. E poi una cosa voglio chiarirla: io non ho fatto un processo contro la mafia, ho solo raccontato quello che hanno fatto a me. Si sono comportati nel solo modo che conoscevano: con la violenza. Si vede che avranno avuto cattive lezioni di vita. Ma il tempo ha dato ragione a me. Io sono andata avanti. Loro sono ancora lì, al palo».

L'uomo minacciava di far del male alla donna e al fratellino. “Papà, il compagno di mamma approfitta di me”, orrore a Roma: bimba abusata per 5 anni. Redazione su Il Riformista il 27 Luglio 2022. 

Ha raccontato al papà e a un parente le violenze che era costretta a subire dal compagno della madre iniziate quando aveva appena otto anni e proseguite per ben cinque anni. Abusi che l’uomo, un 35enne sudamericano residente a Roma, avrebbe realizzato ‘grazie’ alle continue minacce rivolte alla bambina di fare del male alla madre e ai nonni, arrivando anche ad annunciare di portare via il fratellino più piccolo.

E’ un quadro raccapricciante quello che emerge nelle indagini coordinate dalla procura capitolina e condotte dai carabinieri della Stazione di Roma Porta Portese, dove il papà della piccola ha denunciato tutto. L’uomo in questione è gravemente indiziato di aver abusato sessualmente della figlia della compagna, con la quale conviveva, da quando la bimba aveva otto anni, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della minore, la induceva a subire atti sessuali minacciandola di ritorsioni, ossia di far del male alla madre, ai nonni e di portare via il fratellino se non avesse accondisceso alle sue richieste.

Il 35enne è stato arrestato in esecuzione di un’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Roma. La minore, che ora ha 13 anni, ha chiesto aiuto confidandosi prima con una parente e poi con il genitore che ha subito denunciato tutto. Da qui le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, avvalorate da visite mediche, audizioni protette che hanno consentito di raccogliere un quadro indiziario tale da far decidere al Gip del Tribunale di Roma, l’emissione della misura cautelare nei confronti del patrigno che deve considerarsi non colpevole sino alla condanna definitiva.

La giovane aveva all'epoca 13 anni. Lusinghe, abusi e violenze sulla figlioletta degli amici per tre anni. Giovanni Pisano su Il Riformista il 27 Luglio 2022. 

Avrebbe iniziato ad abusare della figlioletta dei suoi amici di vecchia data quando la giovane aveva non ancora 14 anni. Un uomo di 42 anni di Monteforte Irpino, comune in provincia di Avellino, è stato arrestato dai carabinieri per violenza sessuale aggravata.

Le indagini, partite nello scorso mese di marzo dopo la denuncia presentata dai familiari della giovane vittima, avrebbero accertato che l’uomo, sfruttando i rapporti di amicizia che aveva con i genitori della ragazzina, prima con una serie di lusinghe e adulazioni, poi con minacce e violenze fisiche, in diverse occasioni avrebbe imposto atti sessuali all’adolescente andati avanti per ben tre anni. 

Stando a quanto emero, le violenze sarebbero iniziate a partire dal 2019, quando la ragazzina aveva appena 13 anni. Il 42enne è stato raggiunto nelle scorse ore da una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avellino su richiesta della locale Procura della Repubblica. Ad eseguirla i carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino. L’uomo dovrà difendersi dall’accusa di violenza sessuale aggravata ai danni di una minore.

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Arrestati i genitori e l'uomo. Ceduta in “schiavitù” dai genitori al padrino di cresima: 14enne vittima di abusi e sequestrata. Vito Califano su Il Riformista l'11 Marzo 2022

A 14 anni, “ceduta” dai genitori, all’uomo che le aveva fatto da padrino di cresima. Per avere in cambio soldi e cibo. È l’accusa che ha portato all’arresto di tre persone, eseguito dai carabinieri: dei genitori e del padrino. La ragazzina sarebbe stata costretta a vivere con l’uomo e ad avere con questi rapporti sessuali: è la vicenda orribile che si sarebbe verificata in un comune della provincia di Catania. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura etnea.

Le accuse sono per i reati aggravati di concorso in riduzione in schiavitù, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale, sequestro di persona, cessione di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi clandestine, ricettazione e minaccia a pubblico ufficiale. Genitori e padrino sono stati destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. L’inchiesta si è servita di intercettazioni per risalire alla vicenda di presunta schiavitù cui la minorenne sarebbe stata costretta  dal padre e dalla madre.

La Dda ha evidenziato “spregevoli condotte da parte dei genitori nei confronti di una delle figlie minorenni” facendo emergere “un contesto familiare assai degradato nell’ambito del quale il padre e la madre della vittima, in ragione della situazione di grave indigenza economica e dimostrando un’assoluta incapacità genitoriale, avrebbero esercitato nei confronti della figlia poteri corrispondenti al diritto di proprietà, inducendola con violenza e minaccia ad intrattenere una relazione anche sessuale con il suo padrino di cresima, per ottenere cibo e denaro”.

La coppia, secondo l’accusa, avrebbe anche rimproverato e picchiato la figlia affinché di “comportasse bene” con il padrino. Quando un’assistente sociale era intervenuta presso il nucleo familiare per via della dispersione scolastica che avrebbe interessato un’altra figlia, più piccola della coppia, il padre avrebbe minacciato di “fare danni”.

Al padrino è stata contesta anche la violenza sessuale nei confronti della minorenne. La ragazzina, qualora le accuse dovessero essere confermate, sarebbe stata praticamente ceduta in schiavitù e sequestrata in casa dell’uomo. Al padrino è stata contestata anche la cessione di marijuana a una minorenne e di aver detenuto armi e munizioni, compresi un fucile a canne mozze e una rivoltella 375 magnum.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Da repubblica.it il 12 luglio 2022.

Un paio di pantaloni neri larghi fino alla caviglia, scarpe sportive bianche, una maglietta nera e una giacca verde mimetica. Questi abiti indossava una sera di due anni fa quando a Padova un uomo tentò di violentarla. E questi stessi abiti Martina Evatore, 20 anni, ha scelto per sfilare in passerella sabato scorso al concorso "Miss Venice Beach" di Jesolo. 

"Se vai in giro vestita così te la cerchi", le aveva detto una "amica" qualche settimana fa. E così Martina ha voluto dimostrare e dire a tutti dal palco che no, "non è l'abbigliamento che istiga alla violenza", che non c'è differenza tra una minigonna e un paio di pantaloni lunghi, che lo stupro non è mai colpa di come una ragazza si veste, di cosa una ragazza indossa, che non c'è abito che possa diventare un alibi per giustificare una aggressione sessuale. 

Perché due anni fa la ragazza stava percorrendo il sottopasso del Sacro Cuore con quei pantaloni lunghi e larghi, un paio di sneakers, una maglietta coperta da una giacca quando per interminabili minuti le mani di un uomo l'hanno afferrata, toccata e hanno tentato di spogliarla.

Martina ha urlato, alcuni passanti hanno sentito e non c'è stato stupro. Ma la violenza sì, una violenza che non si dimentica, che le ha fatto anche perdere due anni di scuola per lo shock, le paure, le ferite interiori: "Era buio - racconta la ragazza - ho visto solo questo 40enne che mi si è scagliato addosso e poi è fuggito. Nonostante un preciso identikit e la denuncia in Questura, di quell'uomo si sono perse le tracce". 

Sulla passerella, come ha raccontato il Gazzettino, Martina Evatore ha deciso così di sfogare la sua rabbia e di raccontare il suo gesto: "Non è l'abbigliamento che istiga alla violenza - ha ripetuto al microfono - . Il mio vuole essere un attacco agli stereotipi, al fatto che le donne non si sentano libere di vestirsi a loro piacimento perché questo, si dice, potrebbe attirare le attenzioni di qualcuno".

Drogò e violentò una coppia, spuntano altri cinque casi per l'ex agente immobiliare. Raffaello Binelli l'8 Luglio 2022 su Il Giornale.

Omar Confalonieri è già stato condannato (in primo grado) a sei anni per un episodio simile. Emersi altri cinque casi. Indagata anche la moglie

Nuovi guai per Omar Confalonieri, l'agente immobiliare condannato in primo grado per violenza sessuale e lesioni personali aggravate ai danni di una coppia, che in precedenza era stata drogata con un cocktail. L'uomo è stato arrestato per altri cinque presunti episodi di violenza sessuale aggravata, che sarebbero avvenuti dal 2012 nei confronti di alcune donne.

A seguito del primo arresto, scattato nel novembre 2021, le indagini fecero emergere oltre 200 donne che negli anni avevano avuto contatti di vario genere con Confalonieri. Le vittime furono sentite dagli inquirenti, consentendo di accertare come l'uomo, in due casi supportato dalla moglie, avrebbe adottato lo stesso schema, abusando sessualmente le donne dopo averle narcotizzate con sostanze psicotrope introdotte in bevande o alimenti. La moglie dell'uomo è stata sottoposta all'obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Secondo l'accusa la donna sarebbe stata presente in casa mentre avvenivano le violenze.

Altre cinque presunte vittime

Dopo aver saputo delle violenze subite dalla giovane coppia narcotizzata, cinque presunte vittime si sono presentate dai carabinieri raccontando loro i dubbi che nutrivano relativamente ad alcuni incontri avuti in passato con Confalonieri ma rispetto ai quali erano emersi degli "strani" vuoti di memoria. Delle oltre duecento donne ascoltate dagli inquirenti alcune si sono presentate spontaneamente in caserma già nelle ore successive alla notizia dell'arresto del 48enne, altre invece sono state identificate grazie all'analisi dei tabulati telefonici e dei dispositivi elettronici usati dal Confalonieri.

Il racconto di una conoscente

Dagli atti del primo filone di inchiesta era emerso il racconto che una giovane aveva fatto a sua madre. Diceva di essere "rimasta sola" in casa del 48enne e "dopo aver bevuto una tisana offertale" si era "sentita improvvisamente male, le si era annebbiata la vista e non ricordava nulla di quanto accaduto". L'episodio è al centro delle nuove contestazioni.

Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio per corriere.it il 9 luglio 2022.

È un «violentatore seriale». Per l’accusa non ci sono dubbi. Per mesi gli investigatori hanno scavato nella sua vita. Hanno ricostruito la sua rete di contatti degli ultimi anni. Hanno individuato, rintracciato, contatto e ascoltato oltre 200 donne. Qualcun’altra s’è fatta avanti da sola dopo la notizia del suo arresto del novembre scorso. Un lavoro estenuante, che ha permesso ai carabinieri della compagnia di Corsico e del Nucleo investigativo di Milano, coordinati dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo, di contestare ad Omar Confalonieri cinque nuove violenze. In due casi è accusata anche la moglie Alessandra R. di 42 anni. Episodi che si aggiungono ai casi già emersi: nel 2007 (prima condanna), nel 2010 (fascicolo archiviato) e, appunto, a novembre del 2021 (condannato in primo grado in abbreviato a 6 anni e 4 mesi).

Lo spritz e la violenza

È il 5 novembre scorso quando il 48enne, titolare della «Confalonieri real estate» con uffici nel salotto buono del Quadrilatero, finisce in manette. Ad accusarlo è una coppia di Settimo Milanese, comune dell’hinterland ovest di Milano. I loro ricordi riaffiorano a strappi, a distanza di ventiquattr’ore dall’aperitivo con cui sono adescati un sabato d’inizio ottobre. La scusa è l’offerta d’acquisto di un box. All’appuntamento, la donna si presenta con marito e figlia di pochi mesi. L’imprevisto non lo ferma. «Era su di giri, si comportava in modo strano», ricorderanno i coniugi.

Sudato, con la camicia sbottonata, nervoso, Confalonieri sembra una scheggia impazzita: una sigaretta, una telefonata. È caricato a cocaina. Al momento di ordinare lo spritz, con il cameriere è specifico: «Loro hanno ordinato con Aperol, allora io con Campari». Quelle bevande le intercetterà al bancone del bar, in uno dei sui innumerevoli pit stop alla toilette. Versa di nascosto con una siringa dosi da cavallo di benzodiazepine (un potente psicofarmaco con effetti sedativi). «Questo è per la signora», dice consegnandole il bicchiere «giusto». Drogata la coppia, la accompagna a casa. Ha campo libero. 

Il marito è stordito a letto, abbattuto da una dose massiccia. La bimba è lasciata incustodita a vagare per casa, mentre lui, nelle sei ore successive, abusa della donna annebbiata dal narcotico: la fa vestire con abiti che s’era portato da casa, la tocca. Le telecamere dell’impianto di sorveglianza di casa la mostrano inerme, con lui addosso, poi accasciata su una sedia, con la testa che fatica a reggersi. Fino a tarda sera, quando riuscirà a chiamare aiuto.

Il precedente e la prima condanna

Quell’arresto per Confalonieri non è il primo. Nel 2008 era stato condannato dal tribunale di Monza a 3 anni e mezzo per un caso analogo. Tutto succede un anno prima. La vittima è una giovanissima collega di 18 anni. L’occasione è una cena di lavoro tra agenti immobiliari. La bevanda della ragazza, un bicchiere di mirto, è «corretta» a benzodiazepine. «Volevo solo renderla più disponibile», si difenderà lui. La giovane si sente male. Lui si offre di riaccompagnarla a casa. La fa entrare in auto e si allontana. La deviazione in un luogo appartato, all’aperto, è l’anticamera della violenza. 

La 18enne sarà poi rintracciata ore dopo dai genitori, in stato di semi incoscienza, con i vestiti in disordine e sporchi. A casa dell’agente immobiliare – che sarà poi riabilitato dal tribunale nel 2018 dopo aver scontato la pena e aver seguito un percorso rieducativo – gli investigatori trovano confezioni dei farmaco «Minias», «Cialis», «Lormetazepan» (tutti a base di benzodiazepine), stimolanti, sex toys. Nella sentenza di condanna è citato un altro caso: tre anni prima Confalonieri avrebbe narcotizzato il the freddo di un’altra donna. Lei l’accusa di averla drogata, lui nega con decisione.

L’archiviazione di Bergamo

«Quando mi sono svegliata, per pochi secondi, ricordo di aver visto il suo viso: era in piedi accanto a me, intento a fissarmi». Solo qualche mese prima, a luglio del 2007, anche la procura di Bergamo accende i riflettori su Confalonieri. Ad accusarlo è un’amica, che l’agente immobiliare era andato a trovare, accompagnato dalla fidanzata dell’epoca. Per entrambe il buio inizia dopo aver assaggiato gelato e sigarette offerte da Confalonieri. 

«Da quel momento avevo solo vaghi ricordi di quanto accaduto», fa mettere a verbale la vittima che ricordava solo che l’uomo l’aveva prima spogliata e poi le aveva fatto indossare vestiti e scarpe che lui s’era portato dietro. Il giorno dopo si risveglia ancora stordita. Raggiunge il posto di lavoro nonostante danneggi l’auto urtando contro il marciapiede. Le colleghe s’accorgono che non sta bene, la portano al pronto soccorso: le analisi le troveranno benzodiazepine e cocaina. Il fascicolo sarà però archiviato: non ci sono elementi «per sostenere l’accusa».

La trappola del bignè

Tra i due casi finiti sul tavolo degli inquirenti, Omar Confalonieri avrebbe organizzato un altro agguato. È il giugno del 2007, e questa volta punta a un’altra conoscente. La contatta proponendole un «affare immobiliare». A casa della donna si presenta con pasticcini, mirto e una grossa borsa da palestra. Durante le prime fasi dell’incontro però si assenta per qualche attimo: si fa raggiungere da un «amico» in auto e si fa consegnare qualcosa, forse cocaina. Tornato dentro, mentre lei prepara il caffè, lui la raggiunge in cucina e poi all’improvviso «mi mette in bocca un bignè a sorpresa, costringendomi a mangiarlo».

Lei perde lucidità: ricorda di essere stata rannicchiata su un tavolino, assonnata, con la testa fra le mani. Poi, di essersi accasciata sul letto, dove lui si presenta con in mano la borsa da palestra, da cui estrae un paio di calzoncini da ciclista con le bretelle. Niente più. Più tardi, chissà quando, sente il telefono squillare a ripetizione, percepisce le figlie incalzarla per svegliarsi e preparare la cena. Ma quando si tira su è sorpresa di trovarsi sul divano, senza biancheria intima, con un pigiama che non ricorda di aver mai indossato. «Ti ricordi qualcosa di ieri sera», le chiederà il giorno dopo Confalonieri al telefono, facendole credere di aver entrambi esagerato con il mirto nonostante dalla bottiglia rimasta sul tavolo sia praticamente ancora piena. 

La vittima mette in guardia la moglie

I primi giorni di luglio del 2012. Confalonieri «aggancia» una parente della moglie Alessandra R., la ragazza si trova sola a Milano perché i genitori sono all’estero in ferie. L’agente immobiliare la contatta al telefono. Lei è in un negozio, lui dicendo di avere un appuntamento nella zona di piazza Cinque giornate la raggiunge. Confalonieri è su di giri: «Ricordo che era molto sudato», metterà a verbale la vittima a metà novembre — dopo l’arresto del 48enne per il caso di Settimo Milanese — davanti ai carabinieri. «Come se avesse fatto la doccia, era come se fosse inzuppato. Era molto alterato e io avevo ritenuto che fosse per il caldo».

Secondo gli inquirenti però a scatenare quello stato, raccontato anche dalle altre vittime di violenza, era l’abuso di cocaina. Confalonieri la raggiunge in negozio, poi esce insieme a lei e la accompagna a casa. Una volta nell’appartamento offre alla vittima un’arancina. Pochi istanti e lei crolla in uno stato di torpore. La vittima si risveglierà solo la mattina successiva. Indossa abiti diversi, si accorge che è accaduto qualcosa. Una collega di lavoro allarmata la va a cercare. Lei è ancora intontita e decide prima di andare a fare alcune analisi in un centro medico poi si presenta al soccorso violenza sessuale della clinica Mangiagalli. La ragazza è molto scossa e decide di raggiungere i genitori all’estero: «Per non rimanere sola». 

A loro lentamente confida quanto accaduto e insieme decidono di chiamare Confalonieri al telefono. La giovane registra la telefonata in cui chiede conto all’uomo di quanto accaduto quel giorno: «In vivavoce con mio padre abbiamo chiamato Confalonieri. Lui continuava a scusarsi e diceva che eravamo entrambi molto ubriachi e che lui aveva preso anche degli ansiolitici e che per errore li aveva messi nel bicchiere dove poi avevo bevuto anche io». Poi la giovane contesta al 48enne di aver trovato nella cronologia del computer visite a siti porno. Lui non si scompone: «Credo di averli visti io». Lui insiste e le dice che probabilmente i suoi ricordi sono annebbiati dall’alcol. Eppure quel giorno la ragazza è convinta di non aver toccato alcol.

Per uscire da quella situazione di disagio la ragazza decide di parlare con la moglie di Confalonieri, sua parente, «per metterla in guardia». La donna però lo difende a spada tratta e anzi la zittisce dicendo che il marito è già stato vittima di un errore giudiziario e che «era stato incastrato» da una ragazza. Il riferimento è al caso di Monza. A quel punto la giovane desiste: «Non avevo prova degli eventuali abusi». Dopo l’arresto di novembre 2021 però la giovane decide di presentarsi dai carabinieri e raccontare finalmente tutto.

L’ex compagna di scuola

Tra le vittime c’è anche una ex compagna di scuola. Tutto avviene durante una rimpatriata organizzata nell’autunno 2013 proprio da Confalonieri che contatta gli ex compagni via Facebook. Quella sera, in pizzeria, lui insiste per sedersi accanto alla vittima. Alla fine della cena però, i ricordi della donna spariscono e rammenterà soltanto di essersi ritrovata tra le braccia del 48enne. Anche in questo caso, secondo gli inquirenti, l’agente immobiliare avrebbe usato benzodiazepine per drogarla. «Mi abbracciava in maniera particolarmente intensa, mi toccava», racconterà la vittima ai carabinieri di Corsico a dicembre 2021. La donna cerca di «divincolarsi» e ricorda che in quel momento Confalonieri era «particolarmente sudato, con le mani bagnate di sudore e con il respiro affannato».

Alla fine riesce a sottrarsi alla presa del 48enne, sale in macchina e nonostante il suo stato di quasi incoscienza riesce a tornare a casa dove racconta tutto al marito. «Gli unici flash che mi sono venuti in mente riguardano la mia presenza in un parcheggio buio e isolato. Ricordo di essere entrata in macchina e di essermi messa alla guida sebbene fossi talmente confusa da non ricordare il tragitto». In questi anni, racconterà la donna agli investigatori, «ho pensato e ripensato a quanto mi è accaduto»: «Questa mia inconscia situazione mi ha portato a declinare successivi incontri con i miei ex compagni. Apprese le gravi notizie di stampa sull’arresto di Omar e sulla precedente condanna ho maturato consapevolezza di quanto accaduto».

Gli abusi insieme alla moglie

Prima la cena tra amici, poi la comparsata sotto casa della coppia con la scusa di fare assaggiare un amaro artigianale. Confalonieri («molto agitato») e Alessandra («lei appariva calma») sono insistenti: la coppia di conoscenti devono assolutamente assaggiarlo. Con la scusa di non sporcare in giro, l’agente immobiliare si allontana in un angolo un po’ nascosto per aprire quella bottiglia tirata fuori da uno zainetto e riempire i bicchierini. La botta è quasi immediata: i due coniugi sono intontiti «in un modo che non mi era mai capitato prima», racconteranno a dicembre scorso ai carabinieri. Lei è ko. Confalonieri la convince a indossare un paio di scarpe col tacco, una gonna. Lei sta sempre peggio, però: gattona fino in bagno per vomitare. Nel ricordo successivo è in camera: «Avvertivo che c’era qualcosa che non andava, che ero in pericolo».

La sonnolenza la imprigiona a letto, mentre lui prova a toccarla. Lei ha un improvviso sussulto, quasi involontario. Lui allora chiama la moglie Alessandra per farsi aiutare, per proseguire gli abusi. Quando la donna si risveglia, il marito è ancora in sonno e i due – messa via la bottiglia – li salutano come nulla fosse e vanno via. Qualche giorno dopo l’uomo chiederà spiegazioni a Confalonieri: lui indignato negherà qualsiasi accusa. Eppure, a confermare che qualcosa di strano era successo in quelle due ore di vuoti di memoria c’è anche lo strano addebito di Sky per un film porno, acquistato con il numero di utenza di Confalonieri.

La minorenne

Tra i casi c’è anche quello di una ragazzina ancora 17enne, amica di famiglia. È il febbraio 2015 e Confalonieri invita a pranzo lei e il padre che conosce da tempo. «Era sudato e particolarmente agitato», racconterà la giovane ai carabinieri a dicembre 2021, quando dopo l’arresto di Confalonieri decide di raccontare agli inquirenti quanto era accaduto sei anni prima. L’agente immobiliare, secondo la ricostruzione della procura, droga lei e il padre con «una birra al limone» e con uno «spritz». Subito entrambi rimangono «intontiti». Con loro c’è anche la moglie di Confalonieri, è lei a intrattenere la ragazza mentre il padre va in camera da letto «a vedere una corsa ciclistica in televisione». In realtà crollerà subito in un sonno profondo.

La donna mostra alla vittima delle foto di una vacanza ai caraibi mentre Confalonieri insiste perché la giovane indossi un «costume da topolino». La giovane resta in balia dell’uomo (e della moglie) per ore. Quando si risveglia si trova distesa sul divano senza scarpe e ricorda di avere subito dei palpeggiamenti. La ragazza si confiderà poi con un amico, ma senza elementi certi deciderà di non sporgere denuncia. Ricorda però che quel giorno Confalonieri le aveva offerto anche un bicchiere di whisky e una sigaretta «che si presentava bagnata», forse impregnata di narcotici o stupefacenti. 

La tisana amara

Nel lettone di casa Confalonieri, una ragazza 20enne si sveglia di soprassalto. È nuda. Per reazione, prova a coprirsi con il lenzuolo. L’agente immobiliare è chinato su di lei: le accarezza la caviglia. È uno dei pochi flashback che spezzeranno la nebbia chimica che circonda quella serata di autunno del 2015. Lei era stata invitata insieme alla madre, una conoscente di Confalonieri. Le tisane stranamente “amarognole”, però, le stendono entrambe. «Mi sentivo particolarmente stanca», ricorderà la madre, che crolla poco dopo. La giovane viene intanto accompagnata in un’altra stanza. Di quelle ore ha solo una manciata di «diapositive»: lui, «esuberante ed agitato», e la moglie Alessandra che le mostrano alcune foto, le suggeriscono di provare una gonna, la cambiano d’abito. 

La vittima sta sempre peggio, vomita. Chiede di tornare a casa ma i due le rispondono di «aspettare il momento in cui mi sarei sentita meglio». La moglie di Confalonieri le porta un bicchiere d’acqua: è il buio definitivo. «Ho completamente perso coscienza», fino al (parziale) risveglio con lui che le tocca il piede. Quando il giorno dopo racconta tutto alla madre, le dice di chiedere spiegazioni a Confalonieri. La donna però desiste: seppur «anomalo», il comportamento del conoscente lo giudica «tipico di una persona apprensiva, mai avrei pensato che la mia stanchezza e lo stato di malessere di mia figlia potessero essere riconducibili alla somministrazione di sostanze narcotiche».

La donna che si è salvata

C’è anche chi è riuscito a scampare il pericolo. Nel corso dell’anno passato per mesi, due donne, madre e figlia, sono tempestate di richieste d’incontro da Confalonieri e moglie. Ma gli inviti cadono nel vuoto. La coppia offre allora alla ragazza di badare a loro figlio. È durante queste occasioni che Confalonieri prova a lusingarla: «Sei bellissima». Le scatta delle foto. Anche alla madre propone un lavoro. La chiama di notte, le chiede con insistenza di raggiungerlo a casa per modificare il curriculum, chiarendo che «mia moglie è via». La donna, insospettita, declina l’invito.

 «Lei era ubriaca, lo invitò a osare»: assolto in appello dall’accusa di stupro. Il Dubbio il 7 luglio 2022.  La Corte di Appello di Torino ribalta il verdetto di primo grado, con il quale il giovane era stato condannato a 2 anni 2 mesi e 20 giorni per violenza sessuale. "La cerniera strappata? era di modesta qualità".

Era ubriaca, e con il suo atteggiamento avrebbe indotto l’imputato a «osare». E’ questa la ricostruzione della Corte di Appello di Torino, che ha assolto un giovane accusato di stupro ribaltando la sentenza di primo grado.

Per il gup, che aveva condannato il ragazzo a 2 anni 2 mesi e 20 giorni con rito abbreviato, «non vi può essere alcun dubbio» che si trattò di violenza sessuale. Ma per i giudici di Appello «non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare. Invito che l’uomo non si fece ripetere, ma che poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico». L’episodio risale al 2019, quando il giovane avrebbe abusato dell’amica nel bagno di un locale in centro città. I due si conoscevano da tempo, e dopo un avvicinamento consumato con qualche bacio, il loro rapporto era proseguito come una amicizia. Quella sera si erano incontrati per un aperitivo, lui le avrebbe dichiarato il suo interesse, ma lei avrebbe respinto le avances.

«Il ragazzo – spiega il gup – le aveva detto di avere un debole per lei, sicché non avrebbe perso le speranze e sarebbe stato disponibile a iniziare un rapporto sentimentale non appena lei l’avesse voluto». Ma lei «ci teneva a chiarire con l’amico che il bacio scambiato al loro precedente incontro era da intendersi come un fatto episodico, in quando lei non aveva alcuna intenzione di iniziare una relazione sentimentale». E anche dopo, nel locale del bagno, la ragazza avrebbe espresso più volte, e in maniera decisa, il suo dissenso. «Non voglio», ha ripetuto quella sera la ragazza, il cui racconto è stato reso con «dichiarazioni reiteratamente ribadite con costanza, precisione e coerenza, oltre che in sintonia con le ulteriori risultanze acquisite». Ragione per cui la procura, che ha impugnato la sentenza in Cassazione, ritiene che la decisione della Corte d’Appello debba ritenersi «illogica». «La Corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale», si legge nel  ricorso firmato dal sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino. «Illogica appare la sentenza quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso».

Ma per i giudici torinesi «l’unico dato indicativo del presunto abuso» potrebbe essere considerato la zip dei pantaloni di lei strappata. Ma l’imputato «non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane», per cui «nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura». E dunque «il fatto – concludono i giudici d’Appello – non può essere inteso come inequivocabilmente deponente in senso accusatorio dalla Procura generale». Anche perché, motiva la Corte – «al momento dei fatti la ragazza era alterata per un uso smodato di alcol» ed «è quindi altamente probabile che non fosse pienamente in sé quando richiese di accedere al bagno, provocò l’avvicinamento del giovane che invero la stava attendendo dietro la porta, custodendo la sua borsetta: non solo, ma si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire».

Ribaltata la condanna in primo grado. Denuncia violenza sessuale, amico assolto per l'”invito a osare” della ragazza: “Non si è fatto sfuggire l’occasione”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 7 Luglio 2022 

Sta facendo discutere la sentenza che in Corte d’Appello ha assolto un giovane condannato in primo grado per violenza sessuale in quanto la ragazza che ha denunciato la molestia avrebbe indotto in qualche modo l’imputato a “osare”. Ribaltato il verdetto di primo grado che aveva condannato a due anni, due mesi e venti giorni il giovane. Non prova nulla di “inequivocabilmente deponente in senso accusatorio” la zip dei pantaloni della ragazza strappata. La vicenda arriva da Torino, riguarda due ventenni, è stata ricostruita da Il Corriere della Sera. La Procura ha deciso di fare ricorso in Cassazione.

I fatti risalgono al 2019. Due giovani, un ragazzo e una ragazza, si conoscono da cinque anni. C’è stata qualcosa tra i due all’inizio, poi solo amicizia. Qualche mese prima un altro bacio. La ragazza, difesa dall’avvocato Elisa Civallero, aveva chiarito che quel bacio di poco tempo prima era stato solo un evento episodico, nessun cenno a voler approfondire la relazione. Quella sera di maggio 2019 si ritrovano, per un aperitivo. Si trovano nei bagni di un cortile interno, in un locale nel centro di Torino. È lì che sarebbe scattata la presunta violenza.

La vittima ne parla con “dichiarazioni reiteratamente ribadite con costanza, precisione e coerenza, oltre che in sintonia con le ulteriori risultanze acquisite”, scrive il gup nella sua motivazione. La cerniera dei pantaloni della ragazza è strappata. Per il presidente della quarta sezione penale della corte d’Appello non significa granché: “L’unico dato indicativo del presunto abuso potrebbe essere considerato la cerniera rotta, ma l’uomo non ha negato di aver aperto i pantaloni della giovane, ragione per cui nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura”.

Secondo i giudici della Corte d’Appello, in buona sostanza, “non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare. Invito che l’uomo non si fece ripetere, ma che poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico”.

Un’“occasione che non si fece sfuggire”. La ragazza davanti al giudice di primo grado ha deposto senza mezzi termini: “Ho ripetuto più volte a lui: ‘Che cazzo stai facendo? Che cazzo stai facendo? Non voglio’. Il sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino non esita a definire la sentenza “contraddittoria e illogica rispetto alle risultanze processuali”. Secondo il ricorso “la corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale” e “illogica appare la sentenza quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso” e “non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa, anzi risulta evidente la sussistenza di un dissenso manifesto”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli. 

Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” l'8 luglio 2022.

Un ragazzo ci prova con una ragazza baciata anni prima, lei però si tira indietro con il classico «restiamo amici». Entrano in un locale del centro, sbevazzano un po' e, quando lei va in bagno, ci si infila anche lui. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione. Invece la sentenza che ha assolto il ragazzo, già condannato in primo grado per violenza sessuale, va oltre ogni immaginazione. 

Secondo la quarta sezione penale della Corte d'Appello di Torino, presieduta da una giudice, «non si può escludere che la ragazza abbia dato speranze all'imputato, lasciando la porta socchiusa: un invito a osare». Eh, certo: se non chiudo a doppia mandata la porta di casa sto esortando i ladri a svaligiarmela. Anche perché quell'invito la ragazza «non lo seppe gestire, essendo un po' sbronza».

Ora è tutto chiaro. Prima la ragazza ha attratto l'ingenuo pischello nel bagno delle donne e poi, ormai brilla, gli è saltata addosso. E poco importa che abbia urlato: «Cosa stai facendo? Non voglio!». 

Se ha lasciato la porta socchiusa, le sue parole erano un invito in codice. Ci sarebbe il piccolo particolare dei pantaloni di lei con la zip strappata, ma i giudici hanno una spiegazione anche per questo. «Nulla può escludere che, sull'esaltazione del momento, la cerniera di modesta qualità si sia deteriorata senza forzature». 

In effetti nulla può escluderlo. Così come nulla può escludere - lo scrivo sull'esaltazione del momento - che di modesta qualità, in questa vicenda giudiziaria, non ci sia soltanto la cerniera.

Antonio Palma per fanpage.it l'8 luglio 2022.

Un ragazzo di 25 anni è stato assolto in Appello dalla pesante accusa di violenza sessuale su una coetanea e amica perché, secondo il giudice, la porta del bagno lasciata socchiusa e altri gesti della giovane sarebbero stati un invito a osare. 

Una conclusione quella della corte d’Appello di Torino che ribalta dunque completamente la sentenza di primo grado emessa lo scorso anno e che aveva visto il giovane condannato a due anni e due mesi dal giudice per le udienze preliminari al termine del processo con rito abbreviato.

I fatti contestati risalgono al maggio di tre anni fa quando, durante una serata trascorsa insieme in un locale del capoluogo piemontese, si sarebbe consumata la presunta violenza sessuale. 

Come ricostruito durante il processo di primo grado e riportato dal Corriere della Sera, i due si conoscevano da tempo e si erano incontrati quella sera per chiarire il loro rapporto. 

La ragazza afferma che l’incontro serviva a chiarire con l’amico che “il bacio scambiato al loro precedente incontro era da intendersi come un fatto episodico, in quando lei non aveva alcuna intenzione di iniziare una relazione sentimentale”. 

Ad un certo punto però la giovane era andata in bagno per un bisogno fisiologico e aveva chiesto al giovane di accompagnarla. A questo punto le versioni dei due divergono. La ragazza ha raccontato di essere stata violentata mentre lui parla di rapporto consenziente. 

Il Gup aveva creduto alla giovane condannando il ragazzo ma la Corte d’appello è stata di diverso avviso assolvendolo. 

Per il giudice di secondo grado, infatti, “Non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi porgere i fazzoletti e tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare”.

Inoltre “Al momento dei fatti la ragazza era alterata per un uso smodato di alcol” ed “è quindi altamente probabile che non fosse pienamente in sé quando richiese di accedere al bagno, provocò l’avvicinamento del giovane che invero la stava attendendo dietro la porta, custodendo la sua borsetta”. Comportamenti che per il giudice avrebbero fatto “insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo”. 

Inoltre, sempre secondo la Corte d’Appello di Torino, il presunto stupratore era parso “gentile” ai presenti subito dopo i fatti quando il pianto della ragazza aveva attirato altre persone, mostrando un “atteggiamento molto lontano da quello dello stupratore”.

“L’unico dato indicativo del presunto abuso potrebbe essere considerato la cerniera dei rotta, ma l’uomo non ha negato di aver aperto i pantaloni della giovane, ragione per cui nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura” aggiunge la motivazione. 

Una ricostruzione contestata dalla vittima e dalla stessa procura che ricorreranno in Cassazione. Per i pm infatti il giovane avrebbe fatto irruzione nel bagno spalancando la posta socchiusa e sorprendendo la vittima, "girandola di spalle con forza e mettendole una mano sopra la bocca”. Un gesto che aveva lasciato sotto shock la ragazza che aveva avuto un attacco di panico e aveva vomitato prima di essere trasportata in ospedale dove era stata medicata.

“Cerniere rotte” e “istinti controllabili”, le parole sbagliate delle sentenze sullo stupro. CHIARA NARDINOCCHI su La Stampa il 9 luglio 2022.

Due sentenze dall’esito opposto che hanno creato ugualmente dissenso. In 24 ore due sentenze emesse dai tribunali di Torino e Firenze in processi per violenza sessuale stanno facendo molto discutere a causa del linguaggio usato dai giudici ritenuto retaggio della “cultura dello stupro”.  Nel primo caso a finire sotto i riflettori è la sentenza della Corte di appello con cui sono stati dati 4 anni all'ex Carabiniere Pietro Costa, accusato di aver violentato una studentessa statunitense a settembre 2017 dopo averla riaccompagnata a casa da una discoteca. Con lui era presente anche un suo collega che è stato già condannato con rito abbreviato a 4 anni e 2 mesi in via definitiva per aver abusato dell’amica della vittima nell’androne della loro abitazione in centro. Ad indignare, nonostante la sentenza di condanna, è il passaggio in cui si parla di “cortocircuito mentale” e “istinti normalmente controllabili”. Nel testo redatto dalla presidente della seconda sezione Angela Annese si legge: “La ricostruzione dei cinque-sei minuti incriminati non può che ricondursi alle iniziative parallele dei due militari che in un cortocircuito mentale e presi da istinti normalmente controllabili hanno messo a rischio la loro stessa carriera nell'Arma oltre a commettere un reato dallo stesso Costa definito mostruoso”. Espressioni che non sono passate inosservate e che rimandano all’idea che alla base dello stupro ci sia il desiderio sessuale e non la volontà di violenza e dominio sulla donna. Criticato anche il “cortocircuito mentale” che sembra deresponsabilizzare i militari additando uno stato di non lucidità mentale come base del loro agire.  Spostandosi da Firenze a Torino, ha creato sdegno la sentenza della Corte d’appello che ha assolto un ragazzo condannato in primo grado per lo stupro nel 2019 di una sua amica. Alla base dell’assoluzione ci sarebbe l’assunto che la vittima “alterata per un uso smodato di alcol provocò l'avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta [… ] Si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire”.  Parole che ancora una volta trasformano la vittima in carnefice imputandole la responsabilità dello stupro. Una porta socchiusa e qualche drink, ma anche una cerniera strappata nella foga dal ragazzo perché “di scarsa qualità”. “Nulla può escludere che sull'esaltazione del momento – si legge nella sentenza –  la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura". Tutti elementi che sembrano giustificare la violenza sessuale riconosciuta in primo grado.  Una serie di stereotipi che riportano a tempi bui in cui le donne che denunciavano violenze sessuali erano trattate come imputate. In cui “se l’è andata a cercare” era il giudizio non solo della società, ma anche dei tribunali.

Torino, la bufala dello stupratore assolto per una porta aperta: ecco la verità. Marco Bardesono su Libero Quotidiano il 09 luglio 2022

Una sentenza che forse non farà giurisprudenza, quella pronunciata nei giorni scorsi dalla IV Sezione Penale della Corte d'Appello di Torino. Ma che, secondo giornali e siti internet, ha scandalizzato. Perché - così è stato sottolineato da importanti commentatori un ragazzo sarebbe stato assolto dall'accusa di stupro avvenuto nella toeletta di un locale poiché la vittima, avendo lasciato la porta del bagno socchiusa, si sarebbe in questo modo dimostrata "disponibile", così quasi "invitando" l'uomo a far sesso con lei. E se fosse davvero così - o meglio, solo così - allora davvero i commentatori avrebbero ragione a gridare allo scandalo, tuonando contro Piera Caprioglio (sì, una donna), Giacomo Marson e Marco Lombardo, i tre giudici della Corte. Ma è poi davvero così? Non proprio. Se si leggono le motivazioni della pronuncia, si scopre che i fatti sono andati in maniera diversa, e che la "porta socchiusa" non è che un elemento, tra l'altro marginale, della vicenda.

L'INCONTRO

«L'incontro tra i due giovani - scrivono i magistrati-, avvenne di comune accordo e dopo precedenti occasioni in cui vi erano state effusioni tra i due». Non due sconosciuti, dunque. Che si incontrano e consumano insieme «più aperitivi a base alcolica». Poi, usciti dal bar dove avevano passato il pomeriggio, alla ragazza insorge un bisogno fisiologico, e «l'imputato, che aveva lavorato presso la Yogurteria e sapeva della presenza di un bagno, chiese il favore di ricevere la chiave. L'occasione di accedere nel bagno non partì dal ragazzo, ma dalla giovane». Che si fece accompagnare ai servizi, già non sentendosi bene. «Appena entrata nella toeletta, la giovane chiese al suo amico di sporgerglieli i fazzoletti, dopo averli prelevati dalla sua borsetta che gli aveva lasciato in custodia». A questo punto i giudici annotano: «Ancora una volta non fu l'indagato ad aver cercato un pretesto per introdursi nel bagno». Secondo il racconto della ragazza: «Ella prese i fazzoletti, ma non chiuse la porta, con il che l'amico entrò nell'angusto locale, la prese da dietro, le tirò giù i pantaloni rompendone la cerniera. Quindi urlò e presa da un attacco di panico, vomitò». Ma la versione non convince i giudici: «Ella disse di aver gridato all'interno del cortile dove si trovava il bagno, ma nessuno ebbe ad udire, neppure il personale della Yogurteria che anzi, non vedendo ritornare la chiave, si chiese per quanto tempo detto bagno venisse occupato».

ATTO FUGACE

Da notare che la stessa ragazza, dopo aver sporto denuncia due giorni dopo l'accaduto, si fece accompagnare da parenti all'ospedale ma «disse ai sanitari, che non riscontrarono segni di lesioni, che non era in grado di dire se vi fosse stata o meno penetrazione vaginale, in quanto era confusa per l'alcol assunto e l'attacco di panico sopraggiunto». D'altro canto, è lo stesso ragazzo a confermare agli inquirenti che la penetrazione, sia pur fugace, c'era effettivamente stata, «fugace atto sessuale del tutto consenziente» (ovviamente a suo dire). La Corte poi aggiunge: «Quando la giovane fu colta da crisi di vomito e di panico, l'imputato non l'abbandonò; anzi, dapprima cercò di aiutarla per rimettere in asse la cerniera dei pantaloni, poi assecondò tutte le sue richieste, sia di ricercare la sorella, sia di chiamare gli zii. Non solo: si fece dare una sedia ed una felpa per fare accomodare e riscaldare la ragazza, non prima di averla aiutata a lavarsi la faccia ed i capelli che erano finiti nella pozza di vomito». Quando poi gli zii arrivarono, come detto allertati dal ragazzo, «egli andò loro incontro per fare strada e condurli sul luogo ove la giovane li stava attendendo. Gli stessi zii della giovane descrissero l'imputato come un ragazzo gentile, che li aveva addirittura aiutati a ricoprire i sedili dell'auto su cui venne trasportata la nipote, onde evitare che li macchiasse con il vomito». Comportamenti che i magistrati ritengono essere «molto lontani da quelli che caratterizzano uno stupratore, e tale realtà deve essere tenuta in conto per interpretare i singoli passaggi che connotano questa vicenda. Una volta concluso questo infelice accostamento, la ragazza non cacciò l'amico, anzi lo coinvolse nella ricerca del pezzo di cerniera che era andato smarrito e che il giovane aveva ancora tra le mani e che le consegnò, aiutandola a rimettere a posto i pantaloni. Non solo, lo invitò a chiamare i suoi familiari e non disdegnò affatto che lui le stesse vicino, fino all'arrivo dei suoi zii».

PASSAGGIO CHIAVE

Ed ecco il passaggio tanto contestato, e magari scritto in maniera infelice: «Non si può escludere che al ragazzo la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette dall'imputato come un invito ad osare». Certo, la forma è rivedibile e, se estrapolata e isolata, può dar adito a interpretazioni ambigue, ma - ovviamente - è necessario inserire il passaggio nel complesso del dispositivo. Il collegio giudicante conclude: «Solo in questa ottica si può capire il contegno dimesso e collaborativo che tenne il presunto stupratore, che non abbandonò la giovane al suo destino, mala sostenne consapevole di non avere fatto nulla di male». 

Violenza sessuale, per i media l’assoluzione è sempre uno scandalo. Il Giudice deve essere libero da ipoteche ideologiche o da ricatti “culturali”, perché egli è chiamato semplicemente a ricostruire un fatto. Il commento di Gian Domenico Caiazza sulla decisione della Corte d'Appello di Torino che ribaltato la sentenza di condanna. Gian Domenico Caiazza Il Dubbio l'8 luglio 2022.

Fa notizia e desta generalizzate reazioni di scandalo una sentenza della Corte di Appello di Torino che ha ribaltato una condanna per violenza sessuale irrogata dal Tribunale, assolvendo l’imputato.

Come sempre accade in questi casi, la stampa veicola brandelli di motivazione, alla ricerca di ogni possibile incongruenza logica ed argomentativa. Non conosco la vicenda, non conosco questi giudici (il Collegio è presieduto da una donna), non ho nessuna intenzione di parlare di processi senza cognizione di causa. Quello che mi preme è sollecitare una riflessione più ampia su questa coazione a ripetersi di un corto circuito mediatico che in tema di processi per violenza sessuale segue un copione già scritto ed ormai immodificabile.

La prima riflessione è che in questo Paese la notizia di una assoluzione, in generale, desta allarme. Il fatto che un imputato, dopo essere stato condannato in primo grado, venga invece assolto in appello per quegli stessi fatti ed in base al medesimo materiale probatorio è percepito dai nostri organi di informazione come il segno di una grave anomalia. Gatta ci cova, questo è il riflesso pavloviano dei media. Che non scatta, però, a parti invertite. Se vieni condannato in appello dopo essere stato assolto in primo grado, l’idea è che finalmente la giustizia ha trionfato. Una stortura è stata raddrizzata. Se questo riflesso becero è, come dicevo, generalizzato rispetto ai giudizi penali, esso è decuplicato se il processo ha ad oggetto una accusa di violenza sessuale.

Ecco allora che parte il pubblico ludibrio dei giudici che hanno osato assolvere, si scava nella motivazione, la si riduce a brandelli, raccogliendo ogni virgola ed ogni locuzione eventualmente infelice che possa dimostrare immancabilmente come quei giudici hanno assolto non perché l’imputato lo meritasse ma perché prigionieri del peggiore becerume maschilista e misogino. Naturalmente, questo può ben accadere. Anzi, abbiamo dovuto attendere decenni per vedere progressivamente allontanarsi dall’armamentario argomentativo (di avvocati e giudici) in tema di violenza sessuale quell’odioso becerume: era lei ad essere vestita in modo provocante, dove se ne andava in giro di sera conciata in quel modo, le è piaciuto, e così via delirando. Certo ancora può capitare, ma sempre più raramente per fortuna, di ascoltare avvocati che tromboneggiano simili nefandezze, e giudici che mostrino qui e là di condividerle.

Ma questo modo di giudicare gli esiti di un processo da qualche frase estrapolata qui e là, è un costume informativo di intollerabile inciviltà. Ricordate la sentenza dei jeans, della terza sezione della Corte di Cassazione? Si estrapolò una frase incidentale che ragionava, tra mille altri e ben più corposi argomenti, anche su quanto fossero stretti i pantaloni e come potessero essere stati tolti in assenza di un atto costrittivo, per scatenare il linciaggio. La sentenza era molto più strutturata, quello era un dettaglio puramente incidentale di un ragionamento probatorio ben più serio ed articolato. Quindi oggi, quando leggo di porte del bagno socchiuse e di cerniere lampo di scarsa qualità, dico solo: ecco, ci risiamo.

Comprendo bene, intendiamoci, la diffusa e sacrosanta condanna di comportamenti sessuali predatori largamente alimentati da sottoculture misogine ed ottusamente maschiliste ancora ben presenti nella nostra società. Ma nemmeno si può pretendere, come ormai accade sempre più diffusamente, una sorta di statuto speciale della prova per i reati di violenza sessuale. Si è disposti ad accettare il dubbio su un omicidio, ma non su una violenza sessuale. Tema invece, quest’ultimo, delicatissimo quando essa si colloca in quella zona grigia nella quale occorre accertare rigorosamente sia la certezza del “non consenso” al rapporto sessuale, sia – ed è la cosa che più diffusamente si pretende di trascurare – la sicura percezione di quel dissenso da parte di chi avanza l’approccio.

Sono dati cruciali, che il giudice deve ricostruire in via induttiva da ogni possibile dettaglio, cerniere lampo e porte aperte comprese; e se quella ricostruzione pone anche solo in dubbio l’uno o l’altro elemento della condotta, si impone l’assoluzione come per qualunque altro reato, anche il più efferato. Il Giudice deve essere libero da ipoteche ideologiche o da ricatti “culturali”, perché egli è chiamato semplicemente a ricostruire un fatto. Se lo fa male, c’è il rimedio delle impugnazioni, per fortuna. Ma non si può accettare questa intollerabile idea che il giudice sia sospetto di aver fatto male il proprio mestiere solo quando assolve: questa sì, è la notizia che deve allarmarci tutti.

La violenza dopo una serata in compagnia sul lungolago di Stresa. “Stuprata dal branco dopo una serata alcolica”, la denuncia di una 20enne: tre uomini e una donna, amici della ragazza. Elena Del Mastro su Il Riformista il 9 Luglio 2022

A Stresa, sul Lago Maggiore, si indaga su un presunto stupro di gruppo avvenuto nella notte tra il 24 e il 25 giugno. A denunciare è una giovane, 20enne del posto, che ha denunciato le violenze che sarebbero avvenute su una spiaggia libera del lungo lago. Protagonisti delle violenze sarebbero 4 giovani tra i 19 e i 25 anni, tutti del posto, tra cui anche una donna che la presunta vittima già conosceva. Il gruppo, dopo aver trascorso al serata in alcuni locali bevendo alcuni drink, avrebbe raggiunto la spiaggia libera. Ed è lì che si sarebbero consumate le violenze. L’episodio è emerso venerdì 8 luglio, a distanza di circa un mese dai fatti e sul caso indagano i carabinieri.

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, la 20enne avrebbe denunciato che il gruppo, tutti amici suoi, che l’avrebbero violentata al termine di una serata alcolica trascorsa in alcuni locali del lago Maggiore e finita su una spiaggia libera sul lungolago di Stresa.

La ragazza non ricorderebbe quasi nulla dei fatti, ma sarebbe stata visitata in ospedale per accertamenti anche di carattere tossicologico. I militari dell’Arma hanno già sentito alcune persone ma al momento non ci sono persone iscritte sul registro degli indagati. Le indagini saranno indispensabili per ricostruire quelle ore: la giovane non avrebbe dei ricordi chiari della serata e avrebbe preso coscienza dell’accaduto solo nelle ore successive, trovando il coraggio di denunciare.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi

Stupro a Stresa, tra i quattro indagati anche un’amica della vittima. Floriana Rullo su Il Corriere della Sera il 10 luglio 2022.

Stresa, l’aggressione in spiaggia. «Mi tenevano ferma a terra». Le indagini dovranno stabilire se l’altra ragazza sia stata complice o non sia riuscita a fermarli.  

Stresa — È stata violentata dagli amici con cui aveva trascorso l’intero sabato sera. Una lunga serata passata a bere e ballare tra i locali che si trovano lungo le sponde del lago Maggiore che costeggia Stresa, cittadina di meno di 5 mila abitanti del Verbano, in Piemonte. Momenti di apparente allegria, poi di sballo, che però si sarebbero trasformati in pochi minuti in una violenza sessuale di gruppo.

Uno stupro che sarebbe avvenuto sulla «spiaggia del lido», in corso Umberto I, proprio davanti ai più grandi hotel simbolo della città che, in questa stagione, ospitano i turisti per le vacanze estive. La vittima, una ventenne, e i suoi quattro amici che si trovavano con lei, tra cui una ragazza, avevano scelto quel pezzo di baia, fatta di grosse pietre e sabbia, per finire la loro serata.

L’idea era quella di distendersi a terra, un po’ per riprendersi dopo aver alzato troppo il gomito e forse anche assunto qualche sostanza stupefacente, un po’ per attendere l’alba tutti insieme. Poi però qualcosa sarebbe cambiato. E quel gruppo di giovani, che hanno tra i 19 e i 25 anni, residenti tutti a Stresa ma — come la vittima — di origini sudamericane, avrebbero cambiato idea improvvisamente e si sarebbero avventati sulla ragazza. Secondo la ricostruzione della giovane c’era chi la teneva a ferma a terra, immobile. Chi le bloccava i polsi. E, a turno, chi ne abusava. Violenze ripetute più e più volte. Con i tre uomini c’era anche l’amica che fino a qualche minuto prima aveva scherzato e riso con lei. La sua posizione non è però ancora chiara agli occhi degli inquirenti. Si sta cercando di capire se anche lei abbia partecipato alle violenze, trattenendo per esempio la vittima, oppure non sia riuscita semplicemente a intervenire per fermare il gruppo degli aggressori. Saranno le indagini a chiarire la sua posizione. Tutti e quattro per ora sono stati iscritti nel registro degli indagati.

L’accusa per loro è quella di violenza sessuale in concorso tra più persone. I carabinieri di Stresa, che indagano sul caso, nei giorni scorsi, dopo una settimana di silenzio e di accertamenti serrati, hanno bussato alle porte delle rispettive abitazioni per ascoltare la loro versione dei fatti.

Era stata proprio la vittima a sporgere denuncia nei loro confronti e a fare i loro nomi. Per avere quella deposizione sul tavolo della procuratrice Olimpia Bossi ci sono voluti due giorni. All’inizio i ricordi della giovane erano annebbiati e confusi. Quella sera aveva bevuto qualche bicchiere in più e non ricordava cosa le fosse accaduto. Sentiva solo male al basso ventre ma non era stata in grado di dare delle spiegazioni a quel dolore. Poi, piano piano, i ricordi sono riaffiorati. E in lei sono così esplosi sentimenti contrastanti: la vergogna di raccontare quanto le era successo, la paura di non essere ascoltata e creduta. Poi il lunedì, dopo averci pensato a lungo, ha deciso di farsi coraggio e presentarsi ai carabinieri di Stresa. «Mi hanno violentata, a turno» ha detto ancora sotto choc ai militari prima di ricostruire, passo passo, quanto accaduto.

I carabinieri l’hanno prima ascoltata, poi l’hanno accompagnata in ospedale per le cure necessarie e accertamenti, anche di carattere tossicologico, del caso. Una visita che non ha potuto far altro, nonostante le 48 ore trascorse dal presunto abuso, che accertare che quelle lesioni erano compatibili con una violenza sessuale. Sull’episodio resta il massimo riserbo. Nella tranquilla cittadina che affaccia sul lago, dove la comunità di immigrati dall’America Latina è molto radicata, sono circa 630 gli stranieri che vivono in riva al golfo Borromeo, nessuno vuole parlare di quanto accaduto. Nessuno sembra aver visto o sentito nulla quella sera.

«Come amministrazione rispettiamo la richiesta di silenzio arrivata dalla Procura per permette di poter portare avanti le indagini — dice la sindaca di Stresa Marcella Severino —. Attendiamo che venga fatta chiarezza su quanto successo».

Droga dello stupro al party Spd: 9 donne denunciano i sintomi. Francesca Galici il 9 Luglio 2022 su Il Giornale.

Alla festa dell'estate svoltasi vicino alla cancelleria era presente anche Olf Sholz: mancanza di memoria e vertigini i sintomi della droga utilizzata.

Il gruppo parlamentare Spd, i socialdemocratici tedeschi, organizza ogni anno la festa dell'estate, un appuntamento diventato una consuetudine che, però, quest'anno si è trasformato in un dramma per diverse donne. L'evento è stato organizzato mercoledì a Berlino, vicino alla cancelleria e, oltre ai deputati, ha partecipato anche il cancelliere Olaf Scholz insieme ad altre 1000 persone. Subito dopo la festa diverse donne hanno denunciato di essere state stordite come le cosiddette gocce KO, una droga liquida insapore facilmente mescolabile alle bevande. I suoi effetti principali sono la perdita di memoria a breve termine fino allo svenimento. Anche per questo rientra nel novero delle cosiddette "droghe dello stupro".

Sarebbero poco meno di 10 le donne che finora hanno segnalato sintomi compatibili con l'ingestione delle gocce KO. In un caso, un test ha certificato l'origine del malessere ed è stata sporta denuncia contro ignoti. "Suggeriamo a persone eventualmente colpite di sporgere subito denuncia alla polizia", si legge in una nota del direttore generale dell'Spd, pubblicata anche dalla Dpa, che conferma l'accaduto. Ovviamente è scattata l'indagine della polizia per aggressione aggravata. L'obiettivo è individuare i responsabili, quindi per ora la denuncia è contro ignoti.

La prima a segnalare il fatto è stata una donna di 21 anni che si è sentita male, con vertigini e perdita di memoria, dopo aver partecipato alla festa. Secondo la polizia, la donna ha mangiato e bevuto ma non ha consumato alcolici. Intorno alle 21.30 ha accusato i primi sintomi, mentre la mattina dopo non riusciva a ricordare nulla della sera precedente. Entro la mattinata di oggi la polizia è venuta a conoscenza di altri quattro casi con sintomi simili. "L'apprensione è abbastanza forte", ha detto un portavoce del gruppo parlamentare socialdemocratico, mentre Katja Mast, funzionaria del gruppo, ha rivolto un invito su Twitter "a tutti gli interessati" a denunciare quanto avvenuto durante la festa di partito.

Finora si contano nove denunce, ma il portavoce dell'Sdp non ha escluso che vi siano altre vittime. In una e-mail indirizzata ai partecipanti alla festa estiva il Partito socialdemocratico ha condannato "un atto mostruoso che noi abbiamo subito denunciato alla polizia del Bundestag". La portavoce della polizia ha indicato che, comunque, non vi sono elementi che indicano che le donne siano state vittime di aggressioni. sessuali o furti.

La star di "I believe I can fly". R. Kelly condannato a 30 anni di carcere, il cantante accusato di abusi sessuali su donne e minori. Antonio Lamorte su Il Riformista il 30 Giugno 2022. 

Il cantante americano R. Kelly è stato condannato a 30 anni di prigione. La star dell’r’n’b, conosciuta soprattutto per la sua I believe I can fly del 1996, era accusata di aver adescato a scopo sessuale donne e bambini. La sentenza è stata resa nota in un tribunale di Brooklyn quasi un anno dopo che il cantante era stato riconosciuto colpevole di aver guidato per oltre vent’anni un’organizzazione criminale a Chicago che reclutava donne, giovani afroamericane anche minorenni, per sottoporle ad abusi sessuali e psicologici.

Kelly ha 55 anni, il suo vero nome è Robert Sylvester Kelly. Ha sempre negato ogni accusa ma non ha testimoniato a processo. Avrebbe sfruttato la sua fama – era diventato famoso soprattutto grazie alle canzoni I believe I can fly e Ignition – per attrarre giovani donne e ragazze minorenni interessate a una carriera nella musica per poi sottoporle a gravi abusi fisici, psicologici e sessuali.

La corte federale lo scorso settembre aveva emesso il verdetto di condanna per una serie di reati legati al traffico sessuali. Reati che risalivano a partire dagli anni ’90 e per i quali il cantante rischiava l’ergastolo. L’accusa riteneva che Kelly aveva messo in piedi un sistema spietato attraverso cui aveva abusato di minorenni, ragazze e, in almeno due casi, anche di ragazzi. E infatti tra i capi di imputazione c’era anche quello di associazione a delinquere.

Le vittime sarebbero state sottoposte alla volontà del cantante. Il caso Kelly era emerso nel 2017 quando un giornalista di Chicago, Jim DeRogatis, aveva raccolto la denuncia dei genitori di una ragazza. Quello fu solo il primo passo di un’inchiesta, comparsa sul Chicago Sun Times, dagli sviluppi clamorosi. Sulla vicenda era uscito un documentario, Surviving R. Kelly, in cui erano state descritte e raccolte le storie di abusi su numerose donne.

Kelly è stato riconosciuto colpevole anche di aver violato il “Mann act”, una legge federale che proibisce di trasportare una persona al di fuori dei confini dello stato per “scopi immorali” (la legge risale al 1910 ed era stata fatta per contrastare il traffico di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione). Il cantante e producer fu molto chiacchierato quando nel 1994, a 27 anni, sposò la cantante Aaliyah, allora 15enne. L’età della sposa era però stata falsificata per farla passare per maggiorenne. L’anno dopo il matrimonio fu annullato e nel 2001, a 22 anni, la ragazza morì in un incidente aereo.

Kelly venne accusato nel 2002 di pedopornografia quando cominciò a circolare un video che lo mostrava fare sesso con una ragazza di 14 anni. La vittima però non testimoniò al processo e nel 2008 Kelly fu assolto da tutti i 14 capi d’accusa per cui era stato incriminato. L’ex star del pop ha già passato tre anni in prigione. Sarà processato per altre accuse in tre altri casi tra Illinois e Minnesota.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Quando lo stupro era colpa delle donne: la "vita speciale" di Tina Lagostena Bassi. Elena Barlozzari il 30 Giugno 2022 su Il Giornale.

Tina Lagostena Bassi, avvocato milanese classe 1926, difese Donatella Colasanti e altre donne vittime di stupro e violenza in un'epoca storica in cui le donne avevano torto a prescindere.

Tina Lagostena Bassi, al secolo Augusta Bassi, si faceva chiamare "avvocata". Non lo faceva per moda né per vacuo ribellismo lessicale. Era un titolo conquistato dopo vent’anni di battaglie. La sua armatura era una toga e usava le parole come lance. Le sue arringhe difensive sono e rimangono impresse nella storia della giurisprudenza e anche nella cultura nazionalpopolare. Quando la Rai mandò in onda "Processo per stupro", era il 1979 e lo stupro era ancora considerato un reato contro la morale pubblica, c’era lei a difendere la vittima: Fiorella, 18 anni, di Latina. Lavoratrice in nero e figlia dello stesso proletariato con cui Tina amava mescolarsi negli anni dell’università, quando frequentava le taverne dell’angiporto di Genova con Paolo Villaggio e Fabrizio De André. In quei carruggi stretti e pittoreschi di sguardi come quelli di Fiorella ne aveva incontrati a decine.

Tina Lagostena Bassi nasce a Milano nel 1926. La sua è una famiglia agiata ma la guerra porta scompiglio. I Bassi lasciano l’Italia nel 1943 e riparano in Svizzera. Appena diciannovenne Tina sposa l’avvocato Vitaliano Lagostena. Una scelta rischiosa per una come lei, anticonformista, curiosa e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo con cui confrontarsi. Vitaliano però è un uomo illuminato e non la intralcia. Raccontano che dopo aver assaggiato i suoi "manicaretti" si sia persuaso fosse più conveniente farla studiare. Così Tina si iscrive all’Università di Genova. Sceglie Legge. Lo studio è intenso e lo condivide con l’amico Paolo Villaggio, da lei definito "un secchione nel vero senso della parola". Nel frattempo diviene mamma per ben due volte. "Pensavo che tutte le donne avessero gli stessi diritti, gli stessi privilegi di cui ho goduto io. Volevo studiare, ho chiesto di studiare, mio marito mi ha detto di sì, era contento, i miei mi aiutavano con i bambini. Era una vita felice, facilissima. Poi ho scoperto che non era così per tutte".

Si laurea in diritto penale nel 1951. Diventa allieva di Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte Costituzionale, ricordato per meriti accademici ma anche per aver ideato l’evasione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere di Regina Coeli negli anni della Resistenza romana. Le offrono la cattedra di diritto della Navigazione a Parma. La lascerà un anno dopo per dedicarsi a tempo pieno alla professione. "Ho pensato che era giusto che i miei privilegi venissero messi al servizio delle donne che privilegi non ne avevano, per aiutarle a conquistare i loro diritti". I primi approcci con la professione sono scanditi da una serie di difficoltà. Tina si rende subito conto di quanto fossero maschiliste le aule di giustizia dell’epoca. Nel libro autobiografico "Una vita speciale", Piemme, scritto a quattro mani con la giornalista Germana Monteverdi, racconta alcuni episodi abbastanza emblematici. Come quando durante un’udienza un collega la guardò con disprezzo asserendo che "le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta".

Ma il trattamento peggiore, scoprirà poi, è quello riservato alle donne vittime di violenza carnale. Considerate colpevoli a prescindere, adescatrici, libertine, sbagliate. È per loro che Tina combatte e stringe i denti. La sua è una missione altissima. Crede nella necessità di riformare il codice Rocco. Lo stupro non può più essere considerato un reato contro la morale comune ma contro la persona. C’è una differenza sostanziale. Secondo l’impostazione contro cui Tina si batte, infatti, il bene da proteggere non è la donna, bensì il buon costume sociale.

In quegli anni si celebra il processo per il massacro del Circeo e lei assiste Donatella Colasanti che si è costituita parte civile. La vicenda giudiziaria si conclude con una sentenza storica, ma nel corso delle udienze il tentativo di minare la reputazione della giovane sopravvissuta è costante. Tanto che Tina dirà: "Donatella ha avuto una vita così difficile da farmi pensare che forse era stata più fortunata Rosaria, la sua amica uccisa al Circeo". Questo processo però è anche il primo in cui le donne entrano in aula, partecipano, interagiscono, si mobilitano. "Per me è stato un grande momento di presa di coscienza, sentire il modo in cui in tribunale venivano trattate le donne da quel mondo di avvocati e magistrati uomini. Sembravano quasi solidali con i violentatori perché cercavano di addossare la colpa alle vittime".

Nasce così l’idea di documentare per la prima volta un processo per stupro, per denunciare quelle aberrazioni. Lo trasmetterà la Rai e avrà un impatto fortissimo sull’opinione pubblica. La vittima è Fiorella. È giovanissima e accusa quattro uomini d’averla adescata e violentata per un intero pomeriggio. Attirata in un casolare con la scusa di un colloquio di lavoro. Gli imputati diranno di lei che è una di facili di costumi, che si è offerta a pagamento e che non è vero nulla. Si arriva addirittura a disquisire se la fellatio sia compatibile o meno con l’ipotesi di violenza carnale. "Se questa ragazza se ne fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente", sostiene la difesa.

Le arringhe dell’avvocata si fanno sempre più infuocate: "È una prassi costante: il processo alla donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliante venire qui a dire che non è una puttana. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza".

I quattro alla fine ricevono una condanna irrisoria e vengono subito rilasciati in libertà condizionata. L’occasione per riparare a quei torti arriva nel 1994, quando Tina viene eletta alla Camera dei deputati con il Polo per le Libertà. Diventa membro della Commissione Giustizia e coautrice nel 1996 della legge contro la violenza sessuale. È il coronamento del suo impegno in difesa dei diritti delle donne. Tina, norma su norma, processo dopo processo, scardina pezzi secolari di maschilismo e apre spazi di libertà e dignità per le donne. È una rivoluzione scandita a piccoli passi. Non ha mai pensato che sarebbe bastata una vita per arrivare alla fine. Ogni giorno ha lavorato per il futuro, per quelle che verranno. 

Perché Ethan dei Måneskin non c’entra niente col processo per stupro a Manolo Portanova (e non deve entrarci). Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 23 Giugno 2022.

Cosa c’entra Ethan dei Måneskin nel processo per stupro al calciatore Manolo Portanova? È la domanda che ci siamo fatti tutti leggendo la cronaca dell’udienza preliminare. Manolo Portanova, 22 anni, è accusato insieme al cugino Alessio Langella, 24 anni, all’amico Alessandro Cappiello, 25 anni, e a un altro parente minorenne all’epoca dei fatti (che risalgono alla notte tra il 30 e il 31 maggio 2021) di violenza di gruppo nei confronti di una studentessa. La ragazza ha raccontato di essere salita nella casa in cui risiedeva Portanova a Siena insieme ad altre persone, e di essersi appartata con lui in camera credendo che fossero soli. Ma che, dopo che si erano scambiati effusioni per un po’, si è resa conto che c’era qualcun altro. «A un certo punto ho sentito la presenza di altre persone che ridevano in camera da letto. Mi sono alzata con la scusa di prendere una bottiglia d’acqua e ho acceso la luce: davanti a me c’erano tre uomini nudi» ha messo a verbale. Da lì, secondo la sua testimonianza, sono iniziate le violenze di gruppo nei suoi confronti. Al pronto soccorso di Siena le sono poi state riscontrate profonde lesioni interne. La versione di Portanova e degli altri giovani è diversa: non negano i rapporti sessuali di gruppo, ma sostengono che siano stati consensuali. Sarà il processo a dover accertare come sono andate veramente le cose. 

Cosa c’entra dunque il batterista dei Måneskin Ethan Torchio, visto che non era presente nella notte del presunto stupro? Come ha rivelato Andrea Pasqualetto sul Corriere è stata la difesa, nell’udienza preliminare, a menzionare la chat di Ethan Torchio con la ragazza che accusa di violenze Portanova e gli altri. Nella chat, la cui trascrizione è lunga dieci pagine, Ethan dei Måneskin e la ragazza, che all’epoca avevano una relazione, parlerebbero della possibilità di avere un rapporto sessuale di gruppo. Secondo la difesa degli accusati la chat è utile a contestualizzare e inquadrare la vicenda di Siena. L’avvocato della ragazza, per altro, ha subito puntualizzato — spiega ancora Pasqualetto —«come la conversazione con Torchio finita agli atti non fosse integrale» e che in un altro passaggio la ragazza scriveva esplicitamente di non essere interessata al sesso di gruppo.

E allora: cosa c’entra Ethan dei Måneskin con la notte delle presunte violenze? Niente di niente di niente, come ha correttamente segnalato Pasqualetto nella sua cronaca. Il problema è proprio questo.

Il riferimento della difesa alla chat ha che fare con il tema del consenso, su cui si basa tutto il processo. È un meccanismo tipico dei processi per stupro, come spiega l’avvocato penalista Iacopo Benevieri, nel libro Cosa indossavi? Le parole nei processi penali per violenza di genere (Tab edizioni). Per accertare se un rapporto sessuale è stato o no consensuale, scrive Benevieri, pubblici ministeri e difensori si basano spesso su «temi “periferici” rispetto al consenso, su circostanze “indirette”, dalle quali, tramite ragionamenti deduttivi, si vorrebbe trarre la prova del consenso prestato o negato. Così si chiederà, per esempio, se la ragazza è salita in casa del fidanzato e per quanto tempo vi si è trattenuta prima che si consumasse il rapporto, onde dimostrare che se intimità vi fu, fu attesa e cercata da entrambi. È evidente quale sia il rischio che si corre: quello cioè di agganciare a tali circostanze meccanismi inferenziali basati su credenze stereotipate, che stigmatizzano come non credibile la violenza subita dalla donna che, per esempio, sia salita in casa del proprio assalitore, vi abbia trascorso alcune ore ma non abbia prestato successivamente il consenso al rapporto sessuale». Per altro, come nota ancora Benevieri, per essere considerato credibile «il consenso della donna al rapporto può essere anche ambiguo, ma il dissenso deve esser chiaro; la disponibilità ad “avventure sessuali” può essere veicolata dalla scelta di aver indossato un abito “seducente” o di essersi recate in discoteca da sole, ma il dissenso deve essere espresso chiaramente, fieramente imposto all’aggressore, coraggiosamente manifestato senza esitazioni». Altrimenti, per definizione, la donna non è credibile.

Noi non sappiamo cosa si successo la notte tra il 30 e il 31 maggio 2021 in quella casa di Siena: saranno i giudici a doverlo accertare. Ma sappiamo che nessuna conversazione sul sesso con una persona può dimostrare la volontà o meno di far sesso con altre persone in un’altra occasione. Ethan dei Måneskin non c’entra niente. E non deve entrarci niente.

Ludovica Di Ridolfi per open.online l'8 giugno 2022.  

In Francia sembra star prendendo piede un fenomeno tanto oscuro quanto preoccupante: lo chiamano il problema dei «piqûres sauvages», ovvero delle «punture selvagge». Si tratterebbe di alcune iniezioni effettuate a tradimento sulle braccia dei partecipanti a feste o eventi musicali.

Le Figaro racconta svariati episodi avvenuti nel Paese nelle ultime settimane: domenica, un ventenne di Tolone è stato rinviato a giudizio, nell’ambito di un’indagine sulle punture che avrebbero riportato alcuni ragazzi che stavano assistendo a un concerto sulla spiaggia del Varo. Ma le denunce non si limitano alla Costa: a Belfort, sei persone hanno denunciato di essere state punte nel corso di un festival musicale tenutosi nel weekend. 

Altre quattro hanno sporto denuncia per le stesse cause nel Gers (vicino a Tolosa), dopo il festival Pentecostavic a Vic-Fezensac. «Alcuni non hanno sperimentato nulla, altri sono stati vittime di malesseri. Ma ogni volta vediamo la presenza di punture», ha detto all’Afp il pubblico ministero di Auch Jacques-Edouard Andrault. 

Non solo in Francia

Il pm ha aggiunto che non tutte le vittime hanno voluto sporgere denuncia, ma che si stanno effettuando controlli su coloro che hanno accettato di farlo. Secondo quanto riporta euronews.it, ci sono state segnalazioni di persone a cui è stato iniettato Rohypnol o Gamma Hydroxybutyrate (GHB), entrambi noti per essere usati come «droghe dello stupro». 

Nella maggior parte dei casi segnalati in Francia, non sono state riscontrate queste sostanze. Tuttavia, ciò potrebbe essere dovuto al prelievo tardivo del sangue, dopo che qualsiasi farmaco ha già abbandonato il flusso sanguigno. Il fenomeno non è nuovo in Europa: nel Regno Unito un’ondata di testimonianze di studenti drogati a loro insaputa dalle iniezioni era scoppiata lo scorso autunno. Lo scorso novembre circolavano voci di aggressioni anche in Svizzera. Ma sono state presentate pochissime denunce. 

Tra verità e psicosi

Non è da escludere che i picchi nelle segnalazioni possano essere influenzate da una sorta di «panico sociale» legato alla pandemia: Robert Bartholomew, sociologo medico dell’Università di Auckland, in un rapporto su Psychology Today evidenzia come «I giovani sono stati bombardati da notizie spaventose su Covid e, quando i club hanno riaperto, c’era ancora paura del virus e senso di colpa associati alla possibilità che potessero prenderlo e trasmetterlo a una persona cara vulnerabile». 

Dunque, conclude, «l’ago, oggetto di paura per molte persone, può rappresentare ansia per le vaccinazioni e paura del contagio». Il quotidiano francese Sud Ouest, per esempio, ha raccontato di un caso di «psicosi» tra i clubber in Dordogna, dopo che due uomini e una donna hanno detto alla polizia di essere stati punti in una discoteca. Nel piccolo comune di Montauban, 50 persone sarebbero scappate da un locale e due donne sarebbero svenute dopo che un uomo ha gridato «Sono stato punto» nel mezzo di una festa.

La "puntura" di droga dello stupro: il fenomeno choc in discoteca. Roberta Damiata il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

Si chiama "Piqûres sauvages" (punture selvagge) il nuovo fenomeno che in Francia sta seminando il panico nelle discoteche e nei concerti. Con un'improvvisa puntura viene iniettata ai malcapitati la droga dello stupro.

Una valanga di denuncie sta sommergendo la Francia per quello che viene considerato il nuovo fenomeno del "piqûres sauvages" (letteralmente punture selvaggie, ndr). Ad aggiungersi al fenomeno dei drink con la "droga dello stupro", ora nelle discoteche la cosa che si teme di più è quella di venire punti da alcune iniezioni con sostanze stupefacenti. È quanto riporta Le Figaro, elencando una lunga serie di denunce avvenute in tutto il Paese durante serate in discoteca o festival musicali.

Domenica, un ventenne di Tolone è stato rinviato a giudizio, nell’ambito di un’indagine sulle punture che avrebbero riportato alcuni ragazzi che stavano assistendo a un concerto sulla spiaggia del Varo. Ma le denunce non si limitano alla Costa. A Belfort, sei persone hanno denunciato di essere state punte nel corso di un festival musicale tenutosi nel weekend. Altre quattro hanno sporto denuncia per le stesse cause nel Gers, vicino a Tolosa, dopo il festival Pentecostavic a Vic-Fezensac. Secondo i rapporti ospedalieri: "Ad alcuni ragazzi non è successo nulla, altri invece sono stati vittime di forti malesseri. Ma in ognuno di loro è stata riscontrata la presenza di punture".

Il fenomeno assume contorni oscuri perché a detta del pm che sta conducendo le indagini, solo una parte delle persone a cui sono state iniettate sostanze come Rohypnol o Gamma Hydroxybutyrate (GHB) (le cosidette droghe dello stupro) hanno sporto denuncia. Si pensa quindi che il numero delle vittime sia molto più alto. Il fenomeno purtroppo non è nuovo in Europa. Nel Regno Unito, lo scorso autunno, c'era stata un’ondata di testimonianze di studenti drogati a loro insaputa tramite le iniezioni. A novembre si erano registrati i primi casi anche in Svizzera.

Al momento il fenomeno è circoscritto a questi Paesi, ma non è da escludere che una "moda" del genere possa approdare anche da noi. In ogni caso, viene specificato, che il picco di segnalazioni di questi episodi, possa essere stato generato anche da una sorta di "panico sociale". Il quotidiano francese Sud Ouest, per esempio, ha raccontato di un caso di "psicosi" tra i clubber in Dordogna, dopo che due uomini e una donna hanno detto alla polizia di essere stati punti in una discoteca. Nel piccolo comune di Montauban, 50 persone sarebbero scappate da un locale e due donne sarebbero svenute dopo che un uomo ha gridato "Sono stato punto" durante una festa.

Francesca Pierantozzi per “il Messaggero” il 7 giugno 2022.

La sensazione di essere punti da un ago, poi la testa che gira, la nausea, e quel segno rosso sulla mano o sul braccio che trasforma la festa nel peggiore degli incubi, quello di qualcuno che nel buio inietta una sostanza tossica, un veleno, magari il GHB, la droga dello stupro, o addirittura l'Aids: il racconto sembra uscito direttamente da una delle più classiche leggende metropolitane. Solo che si ripete ormai da mesi, per bocca di migliaia di giovani, quasi sempre ragazze, in tutta Europa, ma soprattutto Francia, Inghilterra e Belgio, con corse in ospedale, e attese angoscianti dei risultati delle analisi del sangue, delle urine, dei capelli.

La chiamano needle spiking, l'avvelenamento con l'ago, in Francia sono le piqures sauvages, iniezioni lampo fatte da uno sconosciuto che approfitta del buio di una festa o di un concerto. Fino a qualche settimana fa molti le ritenevano frutto di un'isteria collettiva. Poi hanno cominciato a muoversi i procuratori, aprendo inchieste, e poi le prefetture, (per ultime quelle dei Territoires de Belfort e della Loire-Atlantique) diramando messaggi a usare cautela nei ritrovi festivi, a segnalare qualsiasi anomalia soprattutto se si sente un'improvvisa puntura o se si nota un segno rosso sul braccio o la mano, magari circondato da un livido.

E ieri un altro passo verso la realtà di un fenomeno finora relegato alla voce mistero: un ragazzo di vent' anni è stato rinviato a giudizio a Tolone per «violenze aggravate dalla detenzione di un'arma (siringa) e dalla premeditazione». È in detenzione provvisoria» ha fatto sapere il procuratore di Tolone Samuel Finielz. Questa volta, il sospetto iniettatore seriale non è riuscito a scomparire nel buio, ma è stato identificato da diverse persone presenti sul luogo del misfatto: la spiaggia di Mourillon, poco lontano da Tolone, dove una folla di spettatori era riunita per assistere alla registrazione di una trasmissione di TF1.

Una ventina di persone sono corse a chiedere aiuto agli agenti presenti per lamentare «punture». Tra le vittime, anche una poliziotta, che è stata ricoverata. «Ha avuto un malore ha precisato il procuratore anche se ancora non è chiaro se sia legato a una sostanza tossica iniettata o alla situazione di stress». 

Almeno due donne assicurano di aver visto l'individuo poi fermato, con una siringa in mano. Soltanto nel fine settimana, sono state una decina le denunce di iniezioni selvagge in Francia, in particolare quattro ragazzi e tre ragazze che hanno sporto denuncia alla gendarmeria a Auch.

Tutti partecipavano alla tradizionale feria di Pentecôtavic, e tutti hanno sentito la puntura di un ago, seguita da un chiaro segno sulle braccia. «Abbiamo aperto un'inchiesta» ha confermato il procuratore di Auch Jacques-Edouard Andrault. Questa volta le denunce sono state immediate, e non dopo alcuni giorni come spesso accade. «In genere le persone che realizzano di aver ricevuto un'iniezione hanno bevuto parecchio, e dunque non se ne accorgono immediatamente ha raccontato a Libération Frederic Campion, responsabile dell'associazione dei Soccorritori-Pompieri presente durante la manifestazione Invece questa volta il responsabile ha usato l'ago su persone sobrie, e questo è stato un errore».

Fino ad oggi, tuttavia non ci sono conferme di persone che hanno denunciato iniezioni seguite da aggressioni o da avvelenamenti certificati. Nessuna analisi seguita alla denuncia di una needle spiking è risultata positiva a droghe o sostanze tossiche. Stesso bilancio finora in Inghilterra e in Belgio. 

«Fondamentalmente finora non ci sono prove» ha dichiarato Guy Jones, esperto a The Loop, associazione britannica specializzata in test tossicologici. Il parlamento britannico rifiuta però di liquidare la cosa come una leggenda metropolitana e un mese e mezzo fa ha pubblicato il rapporto in cui si esorta il ministero dell'Interno a «informare e sensibilizzare» sui rischi del needle spiking, visto che «è impossibile giudicare con precisione a che punto l'avvelenamento via iniezione sia diffuso e pericoloso».

La vittima di stupro? Il giudice (donna): “È troppo mascolina, non poteva provocare”. Violentatori assolti, ma la Cassazione ribalta la sentenza. La Stampa il 31 maggio 2022.

Assolti in Appello, anche perché era stata accolta la tesi difensiva per la quale la vittima della violenza sessuale sarebbe stata «troppo mascolina» e quindi «non abbastanza attraente per subire uno stupro», due cittadini peruviani, oggi 27enni, sono stati condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione rispettivamente a 5 anni e a 3 anni, stessa condanna inflitta in primo grado e poi confermata da un secondo processo in appello a Perugia. Il 9 marzo 2015 i due avevano aggredito ad Ancona una connazionale ventenne, in un parco nel quartiere del Piano. I tre avevano passato la serata insieme in un pub, poi avevano raggiunto il parco e lì mentre uno abusava della ragazza, l'altro avrebbe fatto da palo. Tornata a casa la ragazza aveva raccontato alla madre l'accaduto e denunciato alla polizia i fatti. Gli accusati erano stati condannati in primo grado, nel 2016, uno a 5 anni (l'esecutore dello stupro) e l'altro a 3 anni (il palo). In secondo grado, alla Corte di appello di Ancona, tre giudici donne li avevano assolti, non ritenendo credibile la ricostruzione della vittima e appoggiando la tesi difensiva per la quale la ragazza sarebbe stata «troppo mascolina» e quindi «non abbastanza attraente per subire uno stupro». Agli aggressori lei non sarebbe nemmeno piaciuta, tanto che l'avevano registrata sul cellulare con il nomignolo di «Vikingo». Il procuratore generale Sergio Sottani, all'epoca ad Ancona, era ricorso in Cassazione e la suprema Corte aveva rinviato gli atti a Perugia per il rifare il processo. I giudici umbri nel 2020 avevano condannato alle stesse pene del primo grado i due imputati, difesi dagli avvocati Fabrizio Menghini e Gabriele Galeazzi. Il giudizio era stato di nuovo impugnato in Cassazione, che nei giorni scorsi ha rigettato il ricorso confermando la sentenza di Perugia. Da venerdì i due sono in carcere a Montacuto, ad Ancona. Si sono sempre difesi che non c'era stata violenza sessuale e che era stata la ragazza a concedersi. La vittima era parte civile con l'avvocato Cinzia Molinaro.

Elena Marisol Brandolini per “il Messaggero” il 28 maggio 2022.

Sei anni dopo il caso di violenza sessuale multipla agita dal branco nei confronti di una giovane donna a Pamplona, il Congresso spagnolo ha finalmente approvato la legge di garanzia integrale sulla libertà sessuale, meglio conosciuta come Legge del solo sì è sì, che mette al centro del codice penale e delle politiche pubbliche la cultura del consenso alla relazione sessuale, senza il quale qualunque atto contrario alla volontà femminile verrà considerato aggressione sessuale. 

Dopo 11 mesi di percorso parlamentare, la nuova normativa è stata approvata con 201 voti a favore, 140 contrari del Partido Popular e di Vox e 3 astensioni e ora passerà al vaglio definitivo del Senato. L'approvazione di questa legge rappresenta un passo decisivo «per cambiare la cultura sessuale del nostro paese, lontano dalla colpa e dalla paura», ha detto la ministra delle Pari opportunità Irene Montero in Aula, presentandone i contenuti, «per lasciare indietro la cultura della violenza sessuale e creare una cultura del consenso».

Il testo della legge definisce cosa s'intenda per consenso, che è tale appunto quando esiste una espressione chiara della volontà all'atto sessuale, così da non poter essere confuso con il silenzio o con l'assenza di volontà. È questa la chiave della nuova legge che non discrimina più tra violenza e abuso sessuale sulla base del grado di resistenza della vittima all'aggressione subita.

Come ha disposto fin qui il codice penale, rendendo possibile la vergognosa sentenza di primo grado successivamente corretta dal Tribunal Supremo - nei confronti de La manada di Pamplona, che condannava gli imputati per abuso sessuale e non per violenza sessuale, essendo mancata una esplicita intimidazione nei confronti della vittima, che, caduta in stato di shock, non si era difesa. E che suscitò l'ira delle spagnole, scese in piazza al grido di «Non è abuso, è violenza sessuale». 

La nuova legge considera l'uso di farmaci per annullare la volontà della vittima un aggravante, stabilisce la competenza di tribunali specializzati, crea una rete di servizi di attenzione integrale per le vittime, definisce il femminicidio sessuale come «omicidio di donne e bambine vincolato a condotte definite come violenze sessuali», stabilisce aiuti economici per le vittime, introduce un reato di «molestia in strada». 

Torino, la vittima di abuso e lo sfogo del pm: «Chiediamo ancora perché non ha urlato?» Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 26 Maggio 2022. 

Finanziere accusato di violenza sessuale su una giovane modella, la Procura chiede 6 anni e 6 mesi. La difesa: «Ma lei dice bugie».

Capita di stufarsi dei luoghi comuni, figurarsi dei più odiosi: «Che c’è un comportamento atteso della vittima di violenza sessuale lo sentiamo tutti i giorni — dice a un certo punto della requisitoria il pubblico ministero Lisa Bergamasco —. Perché non ha chiamato l’amico? Perché non ha urlato? Facciamo ancora queste domande?». Davanti al tribunale (presidente Rosanna La Rosa, a latere Andrea Natale e Cristiano Trevisan) c’è un maresciallo della guardia di finanza con l’hobby dei massaggi, durante uno dei quali — è l’accusa — avrebbe infilato le dita nelle parti intime di una giovane modella. Le cui parole, con i due soli in una stanza, sono l’unica fonte di prova: «La verità è che non esiste un codice di comportamento della vittima — continua il pm — e lei risponde a domande che per me neanche dovrebbero essere fatte». Il che non significa ovviamente eliminare il confronto con elementi e testimonianze per valutare la genuinità del racconto della parte offesa. Ma, appunto, è anche una questione di pre-giudizi, in senso letterale, a volte pure da parte degli inquirenti, ragiona ancora Bergamasco, che da sette anni si occupa di questi reati, nel gruppo «Fasce deboli».

Tant’è che, all’inizio, la polizia giudiziaria parlò «di dichiarazioni ambigue e preordinate», fatte da una «ragazza esuberante». Osservazioni che si sono vaporizzate, in udienza: «Non c’era alcun dato oggettivo o discrepanza per affermare ciò». Eppure, la querela fu fatta il 26 settembre 2018 e arrivò sul tavolo della Procura solo il 9 novembre successivo. Per l’accusa, non ci sono dubbi: violenza sessuale, «senza alcun elemento per sostenere attenuanti di qualche tipo», e una richiesta di 6 anni e 6 mesi di reclusione. La stessa condanna, per un episodio simile, subita dal maresciallo nel febbraio scorso, in primo grado, contro la quale la difesa — gli avvocati Yuri Marchis e Katiuscia Bonetto — ha fatto appello. Questi ultimi danno una lettura diametralmente opposta del racconto della ragazza, in aula al fianco del suo legale, l’avvocato Luigi Vatta: «La parte offesa è completamente inattendibile ed è caduta in contraddizioni imbarazzanti». Per loro, non ci sono dubbi in senso contrario: «O mente, o non sa cosa è successo». Il contatto era nato su Instagram, dove il maresciallo offriva massaggi gratis a modelle, in cambio «di un feedback positivo».

Mattia Feltri per “La Stampa” il 19 maggio 2022.

Forse ricordate la storia della giovane infermiera di Prato che partorì un figlio in seguito a una relazione con un ragazzino cui dava ripetizioni, tredicenne secondo l'accusa, quattordicenne secondo la difesa, un confine decisivo ai fini processuali. La donna è stata condannata in appello a sei anni e cinque mesi di reclusione, il reato è di violenza sessuale per induzione su minore.

Cioè, traduco alla buona, il ragazzino era plagiato e non in grado di valutare. Di lei molto s'è scritto e molto si sa: ha un marito, da cui ha avuto il primo figlio, e il secondo, nato dalla relazione col ragazzino, ha tre anni ed è cresciuto con lei, col marito di lei e col fratello maggiore. 

Ora rimane soltanto il giudizio di Cassazione e, se sarà confermato, la donna andrà in carcere. Niente da obiettare, la legge è questa, non ho motivo di dubitare che la condanna sia stata calcolata sul centimetro dei codici.

Soltanto mi chiedo a che cosa serva. Sarà stato un amore sbagliato, malato, eticamente condannabile - sto usando le parole dell'avvocato - ma mi chiedo quale sia il senso di rimediare a un amore sbagliato e malato rinchiudendo la colpevole in una cella. 

Mi chiedo quale sollievo ne ricaverà la vittima, mi chiedo che ne guadagnerà il mondo intero, mi chiedo se non sarà aggiunto danno su danno, quello inflitto a due bambini a cui sarà sottratta la madre. 

Mi chiedo se davvero pensiamo che dalla prigione lei ne uscirà migliore e, soprattutto, quando la smetteremo di pensare alla prigione come soluzione a tutto, e non un'eccezione dolorosa, e troveremo un modo meno spensieratamente barbaro di trattare chi sbaglia.

Cinzia Semeraro per corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 6 maggio 2022.

Otto autisti dell’Amat, l’azienda di trasporto pubblico di Taranto, sono stati rinviati a giudizio dal gup Rita Romano con l’accusa di aver abusato, a bordo dei bus, di una ragazza oggi ventenne affetta da deficit psichico. La ragazza fu convinta nel 2020 a denunciare gli abusi dal suo fidanzato. E nel luglio del 2021 agli imputati, indagati per violenza sessuale aggravata, fu notificato un divieto di avvicinamento alla giovane e l’azienda li sospese dal servizio. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, gli autisti parcheggiavano gli autobus in luoghi isolati, bloccavano le porte e poi abusavano della ragazza disabile. Il processo inizierà il prossimo 7 luglio. L’Amat, partecipata al 100% dal Comune, si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Claudio Petrone. 

La vittima ha confermato gli abusi

Ieri, nel corso dell’udienza in Camera di consiglio, la presunta vittima degli abusi è stata ascoltata in forma protetta e, pur senza usare la parola «violenza», ha confermato la sua iniziale versione dei fatti. Gli autisti avrebbero approfittato della sua fragilità che, secondo il giudice Romano, era «ben nota a tutti», sottoponendola ad abusi nel bus parcheggiati in luoghi appartati: ad esempio sotto un cavalcavia vicino al capolinea del porto mercantile o nei pressi di una delle portinerie dello stabilimento ex Ilva.

Taranto, disabile abusata sul bus: otto autisti a processo. Avrebbero approfittato della sua fragilità che, secondo il giudice, era «ben nota a tutti», sottoponendola ad abusi nel bus parcheggiati in luoghi appartati. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 06 Maggio 2022.

Sono stati rinviati a giudizio dal gup Rita Romano otto autisti dell’Amat, l’azienda di trasporto pubblico del Comune di Taranto, con l’accusa di aver abusato a bordo dei bus di una ragazza, oggi ventenne, affetta da deficit psichico. La ragazza fu convinta nel 2020 a denunciare gli abusi dal suo fidanzato. E nel luglio del 2021 agli imputati, indagati per violenza sessuale aggravata, fu notificato un divieto di avvicinamento alla giovane e l’azienda li sospese dal servizio. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, gli autisti parcheggiavano gli autobus in luoghi isolati, bloccavano le porte e poi abusavano della ragazza disabile. Il processo inizierà il prossimo 7 luglio. L’Amat, partecipata al 100% dal Comune, si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Claudio Petrone.

Ieri, nel corso dell’udienza in Camera di consiglio, la presunta vittima degli abusi è stata ascoltata in forma protetta e, pur senza usare la parola «violenza», ha confermato la sua iniziale versione dei fatti. Gli autisti avrebbero approfittato della sua fragilità che, secondo il giudice Romano, era «ben nota a tutti», sottoponendola ad abusi nel bus parcheggiati in luoghi appartati: ad esempio sotto un cavalcavia vicino al capolinea del porto mercantile o nei pressi di una delle portinerie dello stabilimento ex Ilva.

Taranto, 8 autisti dell’Amat a processo per ripetuti abusi sessuali su una 18enne con problemi psichici a bordo dei bus cittadini. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 6 Maggio 2022.  

Secondo la procura gli autisti dell' AMAT Taranto avrebbero approfittato della condizione di fragilità psichica della ragazza, convincendola a restare per lunghi tragitti a bordo dei bus per poi sostare in aree periferiche per abusarne sessualmente. L'azienda pubblica non ha mai manifestato solidarietà alla ragazza abusata dai propri dipendenti

Il giudice delle udienze preliminari Rita Romano ha deciso, infatti, di rinviare a processo gli otto autisti dell’azienda Kyma Mobilità Amat di Taranto accusati di presunti abusi sessuali nei confronti di una ragazza con problemi di tipo psichico. Il processo inizierà il prossimo 7 luglio. Gli otto autisti dei bus urbani della città di Taranto, erano stati sospesi da tempo dal servizio, che secondo gli accertamenti di polizia giudiziaria disposti dalla Procura di Taranto, avrebbero abusato della giovane donna tarantina che utilizzava in maniera frequente i mezzi di trasporto pubblico di Taranto utilizzati per raggiungere le abitazioni dei propri familiari. 

Con la decisione di rinvio a giudizio, si è quindi conclusa la camera di consiglio che si è svolta nell’aula Alessandrini del Tribunale di Taranto. Nell’udienza dinanzi al giudice delle udienze preliminari, si è svolta la deposizione della ragazza, che nella sua testimonianza ha raccontato per alcune ore tutto quello che aveva subito. La ragazza ha descritto i particolari di quanto accaduto, racontando ancora una volta i dettagli della triste vicenda di cui è stata vittima. Agli otto dipendenti pubblici che hanno un’età compresa tra i quaranta e i 62 anni, sono stati contestati gli abusi. 

L’impianto accusatorio sostenuto dalla pm Marzia Castiglia, sostiene che gli autisti avrebbero abusato della condizione di fragilità psichica della ragazza, convincendola a restare a bordo dei bus per lunghi tragitti, fino al capolinea per dare sfogo ai loro voleri e piaceri sessuali. Gli autisti si recavano in aree periferiche dove sostare con i bus dell’ Amat ed, in alcuni casi, avrebbero abusato della ragazza. Al reato di violenza sessuale si è aggiunta avuto l’aggravante di aver commesso il fatto in qualità anche di incaricati di pubblico servizio.

A giugno 2021 la giovane ragazza convinta anche dal suo fidanzato si decise a raccontare e denunciare ai Carabinieri tutto quello che aveva subito fra l’ottobre del 2018 (epoca in cui la giovane aveva 18 anni) e l’aprile del 2020 , per i cui fatti la Procura, avanzò la richiesta di provvedimenti cautelari con l’arresto ai domiciliari per gli otto autisti, ma il gip Francesco Maccagnano ritenne sufficiente il divieto di avvicinamento alla giovane ragazza, e nella sua ordinanza di oltre 100 pagine evidenziava come gli autisti avrebbero approfittato all’epoca dei fatti della “fragilità ben nota agli indagati” ed utilizzando intercettazioni e testimonianze veniva ricostruita l’impianto accusatorio. 

L’ azienda di trasporti AMAT ben si guardò dal manifestare la solidarietà alla giovane ragazza abusata dai suoi dipendenti, Appresa la vicenda, sempre nello scorso anno, intervenne affermando in una nota di aver “appreso dalla stampa circa le gravissime condotte che vedrebbero coinvolti alcuni autisti. Amat spa prenderà tutti i provvedimenti necessari alla propria tutela, continuando ad assicurare il regolare prosieguo delle proprie attività. I fatti rappresentati lasciano sgomenti, aggravati dal fatto che sarebbero stati posti in essere durante il servizio pubblico, che, invece, è esercitato quotidianamente dai tanti dipendenti che assicurano il massimo impegno con serietà e senso del dovere”. Un comunicato che preferiamo non commentare, dato lo squallore. Ribadiamo: non una parola di solidarietà alla ragazza!

Paolo Di Paolo per “la Stampa” il 26 aprile 2022.  

A leggere in sequenza le vicende ricostruite e raccolte da Gianluigi Nuzzi nelle pagine di I predatori (tra noi), pubblicato da Rizzoli, mi è tornato in mente un dialogo fra Pasolini e Calvino. Durissimo. È l'autunno del 1975, Pasolini morirà di lì a un mese, massacrato. I due scrittori si confrontano sul delitto del Circeo. 

Calvino parla di «esercizi mostruosi» che avvengono nel clima di una «permissività assoluta». Parla di giovani vocati alla sopraffazione, al disprezzo del senso civico, «figli dell'inflazione di immagini» a cui il sesso interessa solo come crudeltà nazista. Pasolini reagisce stizzito, incalza il collega, ripete dieci volte la stessa domanda: perché dici questo?

Non accetta l'idea che la "cancrena" si diffonda da alcuni strati della borghesia per poi contagiare il popolo: «C'è una fonte di corruzione ben più lontana e totale. Ed eccomi alla ripetizione della litania. È cambiato il "modo di produzione" (enorme quantità, beni superflui, funzione edonistica). Ma la produzione non produce solo merce, produce insieme rapporti sociali, umanità. Il "nuovo modo di produzione" ha creato quindi una nuova umanità, ossia una "nuova cultura" modificando antropologicamente l'uomo (nella fattispecie l'italiano)».

Nuzzi, nelle prime pagine del suo libro, parla apertamente di malattia, di «deriva barbarica», di «cannibalismo sociale». Ma teorica è solo la premessa, perché per il resto lascia parlare nel dettaglio le storie dei suoi personaggi - romanzeschi, da romanzo nero, ma ahimè verissimi. 

Come quell'Alberto Genovese, imprenditore rampante, abituato a scattare ogni giorno qualcosa come trecento foto. Niente di strano, se non fosse che a essere ritratte sono decine di ragazze ammanettate e sodomizzate. Strafatto di cocaina e MDMA, violento, il proprietario del locale milanese Terrazza Sentimento, ha costruito un arsenale sadomaso astratto e concreto: da nerd bullizzato a imprenditore a predatore sociopatico.

Nuzzi ci mette di fronte alle confessioni di Genovese sul suo passato segnato dalla violenza subita anche in famiglia e ce lo mostra sguazzante nelle sue avventure finanziarie di rapace intelligente. «Per capire - scrive Nuzzi - bisogna ripartire dall'estate del 2015, quando quella prima striscia di cocaina fa emergere la destrutturazione finora sotterranea di Genovese, trasformando la sua storia in un faro per illuminare gli ambienti più bui della nostra società».

Come sempre nelle inchieste di Nuzzi, si resta magnetizzati dalla ricostruzione: tassello per tassello, fonte per fonte - e devo aggiungere, in questo caso, che essere messi di fronte a un certo modo di esprimersi è illuminante. Non c'è il tipico, prevedibile impasto di volgarità e rozzezza che le intercettazioni rivelano: Genovese e i suoi soci parlano di mettere su «un'agenzia per la ricerca e selezione di figa con il cervello», che è un esempio di volgarità più subdola, più sofisticata.

Un modo malato di vedere il mondo e il rapporto con gli altri, travestito da cultura imprenditoriale e tradotto in quell'insopportabile, invadente, orrendo lessico milanese-aziendalese. Infarcito di «chiavare» e «violentare» come passepartout. Paradossale che il nome dello scintillante locale cocktail bar fosse Terrazza Sentimento: quando i sentimenti, qui, sembrano subordinati al «cazzo nel culo» (cit.), ai lividi, alle inesauribili carte di credito, dentro un «universo tutto permeato dalla droga».

La storia del "bracconiere" Antonio Di Fazio, manager arrestato per stupro, occupa meno pagine rispetto a quelle dedicate a Genovese, ma funziona da ulteriore elemento di messa a fuoco di questo mondo di trasformisti mitomani che sono i lupi di una non-favola. Sono gli stupefacenti ad anestetizzare i sentimenti sulle terrazze chic e meno chic? O c'entra anche una perniciosa, infiltrante diseducazione sentimental-sessuale del maschio di mezza età, misogino più o meno consapevole, che diventa esplosiva a furia di ketamina? 

Si esce dalla lettura sconcertati; in ogni caso, senza risposte univoche riguardo all'orizzonte morale su cui le vicende si proiettano. «Cosa dedurre da tutto questo?», domandava Pasolini a Calvino. Che leggeva diversamente le ragioni della violenza. Però trovava le parole giuste per definirla: «sguaiataggine truculenta», «sicurezza di farla franca», «disprezzo per la donna», «crepe paurose» e «tendenze oscure». E invitava a non sottovalutarla: per come mina il nostro tessuto sociale, «fragile da sempre».

Così i cinque nordafricani si vantavano dello stupro: la chat dell'orrore. Francesca Galici il 23 Aprile 2022 su Il Giornale.

Alcool a fiumi alla base della notte da incubo di una 16enne, violentata a turno da ubriaca da coetanei in un appartamento di Roma.

Sembra non esserci più limite al peggio, soprattutto quando i protagonisti delle storie di cronaca sono gli adolescenti, incapaci di valutare la gravità delle loro azioni. L'ultimo caso che li vede coinvolti proviene da Roma, dove un gruppo di minorenni nordafricani ha violentato una coetanea. Non paghi, hanno filmato tutto e condiviso il video online. L'episodio si è verificato in un'abitazione privata del quartiere San Paolo, periferia della Capitale, durante un party tra giovanissimi oltre un anno fa, il 7 febbraio 2021. Solo ora le forze dell'ordine hanno reso pubblici i dettagli di quella vicenda, al termine di un'indagine delicatissima e molto complicata che ha visto coinvolti per la maggior parte ragazzi molto giovani. È l'ennesimo stupro, l'ennesimo episodio che vede coinvolti giovanissimi stranieri in una Roma che sembra vittima di una deriva sociale inarrestabile

Stando a quanto riporta la Repubblica, la giovanissima vittima sarebbe una 16enne privata della sua volontà a causa dell'eccesso di alcool. La serata a base di bevande ad alto tasso alcolico è stata organizzata da una 18enne all'interno del suo appartamento, dove a un certo punto la situazione sarebbe degenerata proprio a causa della bassa età dei partecipanti e dell'eccesso di alcool, miscela esplosiva che ha reso il party ingestibile, nonostante alla festa fossero presenti solamente sei persone. Per gli investigatori, quella notte in quell'appartamento romano a un certo punto non ci sono più stati invitati ma solamente una vittima e i suoi carnefici.

Mentre la 16enne veniva stuprata, un 17enne riprendeva tutto con il suo telefono cellulare. Quel video, forse per goliardia o per chissà quale motivo, viene successivamente caricato in una chat di Whatsapp partecipata solamente da giovanissimi tra i 14 e i 17 anni. È da qui che parte il video, che poi rimbalza di telefono in telefono diventando rapidamente virale, rendendo due volte vittima la giovanissima protagonista di quel video terribile. I due maggiorenni presenti alla festa sono stati accusati dagli investigatori di violenza sessuale di gruppo.

Nell'indagine è stata coinvolta anche la padrona di casa che ha ospitato l'evento e per lei l'accusa è di favoreggiamento. Il suo ruolo sarebbe stato quello di tentare di far desistere la vittima a denunciare i suoi quattro aggressori. "Non denunciarli", le avrebbe detto. Inutilmente, però, perché la giovanissima si è poi rivolta ai carabinieri. Inoltre, lei avrebbe sminuito quanto accaduto in quell'appartamento: "Lei barcollava si vedeva che era parecchio brilla, in ogni caso mi sembrava comunque presente a sé stessa".

Ma le rivelazioni della minorenne durante la denuncia sono quelle purtroppo note delle altre vittime di stupro: "Mi sono sentita come un oggetto. Dopo che ha finito uno di loro è arrivato un altro, come un via vai", ha raccontato la giovane. La 16enne nella sua deposizione è stata molto chiara: "So solo che non volevo farlo con loro, perché ero ubriaca e loro non mi piacevano". Quella notte l'alcol scorreva a fiumi e anche gli aggressori erano piuttosto ubriachi: "Penso che loro capivano un po' di più perché sono abituati. Io andavo a sbattere da tutte le parti. Mi sono ritrovata a letto perché volevo dormire, mi sono ritrovata lui che mi baciava e che ci provava...".

La giovane era talmente tanto ubriaca da essere portata da uno dei suoi aggressori nella vasca da bagna dopo la violenza per riprendere i sensi e qui si sarebbe verificata l'ennesimo atto di quella notte da incubo. Uno dei giovani presenti a quella festa, vantandosi su Whatsapp avrebbe scritto a un amico: "Pe ditte ce stava sta pischella che era venuta... A Fra, sta pischella se l'è scopata prima un mio amico, poi io, poi un altro, poi se la semo, poi se la semo fatta in due nella vasca, poi se l'è riscopata, poi io....poi nun s'è capito un ca...". E l'amico, quasi invidiandolo, si complimenta. 

Giuseppe Scarpa per repubblica.it il 23 aprile 2022.

Il film dello stupro. Quattro giovanissimi violentano una 16enne ubriaca durante un party a Roma, quartiere San Paolo. Uno di loro, un 17enne, riprende con il cellulare gli abusi e poi li rende virali girandoli in una chat di whatsapp "I mercenari del vicolo", di cui fanno parte ragazzi che hanno un'età compresa tra 14 e i 20 anni.

Le riprese vanno in "scena" in un appartamento. La padrona di casa, 18 anni, organizza una serata a base di alcolici. È la notte del 7 febbraio 2021 e al festino sono presenti in tutto sei persone, compresa la vittima. Il resto della comitiva, per investigatori e inquirenti, si trasformano quella notte in "carnefici".

I due minorenni e i due maggiorenni (Arsid Kotaj e Sabbri Zaki) sono accusati di violenza sessuale di gruppo. In più, tra gli indagati, figura anche l'amica 18enne: accusa di favoreggiamento. Avrebbe cercato di coprire le responsabilità dei 4 tentando di convincere l'amica che, quella notte, lei era consenziente: "Non denunciarli". 

Una storia che ricorda, molto da vicino, lo stupro di Capodanno, gli abusi sessuali, avvenuti sempre a Roma, nei confronti di una 17enne durante il veglione di San Silvestro, da parte di tre ragazzi il 31 dicembre 2020.

"Mi sono sentita come un oggetto", racconta agli investigatori Paola, il nome della vittima è di fantasia. "Dopo che ha finito uno di loro è arrivato un altro, come un via vai". "So solo che non volevo farlo con loro - precisa agli inquirenti la 16enne - perché ero ubriaca e loro non mi piacevano". Quella notte al party scorrono fiumi di alcol. Paola, come riferisce ai pm, è astemia. Eppure si butta a capofitto in un gioco di bevute: "Hanno incominciato a fare il "beer pong", ci stanno tanti bicchieri, tu butti la palla e se becchi il bicchiere lo bevi. Io ne avevo beccati tanti quindi ho bevuto...".

Il racconto prosegue: "Anche loro avevano bevuto e come me erano ubriachi, anzi penso che loro capivano un po' di più perché sono abituati", sottolinea. Ricorda che quella notte, dopo l'abuso di superalcolici "andavo a sbattere da tutte le parti. Mi sono ritrovata a letto perché volevo dormire, mi sono ritrovata lui che mi baciava e che ci provava...". 

La vittima, ricostruisce la squadra mobile, "ingerisce una quantità di alcolici tale da essere trasportata da uno dei ragazzi, dopo aver subito atti sessuali, come un corpo morto, da una stanza fino al bagno, per essere immersa in una vasca piena d'acqua, ragionevolmente per farle riprendere conoscenza, e dove viene nuovamente coinvolta in atti sessuali". 

Ma a riferire agli investigatori i dettagli sconvolgenti di quel 7 febbraio è anche l'amica 18enne che ha organizzato la festa. La padrona di casa cerca di ridimensionare l'accaduto di fronte agli inquirenti. "Lei barcollava si vedeva che era parecchio brilla, In ogni caso mi sembrava comunque presente a sé stessa". 

La 16enne in quegli stessi giorni scrive ad una compagna di scuola. A lei offre un racconto di quella sera, "mi viene proprio da deprimermi perché ho le immagini di quello che mi hanno fatto quella sera. Ci penso sempre più non vorrei venire a scuola però per non fare assenze vengo".

Nel frattempo i video in cui è ripresa mentre subisce le violenze iniziano a circolare. A far girare i filmati è uno dei "protagonisti" minorenni della serata: lo spedisce in una chat in cui sono presenti 15 persone. Poi così scrive, in privato, su whatsapp ad un amico: "Pe ditte ce stava sta pischella che era venuta" al party "a Fra sta pischella se l'è scopata prima un mio amico, poi io, poi un altro, poi se la semo, poi se la semo fatta in due nella vasca, poi se l'è riscopata" di nuovo un altro "poi io....poi nun s'è capito un ca...". La persona con cui chatta si complimenta con lui. E anzi sembra quasi invidiarlo. "L'interlocutore - scrive la squadra mobile - risponde divertito rammaricandosi per non essere stato presente". 

Al 17enne non viene mai in mente che possa essersi trattato di uno stupro. Il fatto che la 16enne avesse bevuto fino ad ubriacarsi e fosse perciò vulnerabile non è oggetto della discussione. Anche se si rende conto che il party, quella notte, ha preso effettivamente una piega "singolare": "Quello che è successo - sottolinea in un altro messaggio - tu manco te immagini, cioè so successe cose.... oddio".

Da lastampa.it il 23 aprile 2022.

La donna ha raccontato un inferno: ha detto di essere stata sequestrata per due mesi nel 2011 in una roulotte parcheggiata in Val Chisone,  alle pendici del massiccio dell'Orsiera Rocciavré. Qui sarebbe stata ripetutamente violentata e picchiata da due pastori, un romeno e un italiano. 

Il primo, Ianut Bostan, è stato condannato in via definitiva a una pena di quasi 9 anni di carcere, in abbreviato. Il secondo, Fulvio Benedetto, 66 anni, è stato invece assolto per la seconda volta dall’accusa di riduzione in schiavitú, dalla Corte d’Assise d’appello di Torino. Una sentenza che suscita un interrogativo: il complice sta scontando una pena da innocente o è stato assolto un uomo colpevole?

I giudici hanno disposto il rinvio degli atti siano inviati alla procura con l'accusa di falsa testimonianza nei confronti della donna, già rinviata a giudizio dalla procura di Asti per calunnia: il processo per lei si aprirà il 7 dicembre. 

Chi ha mentito in questa brutta storia? Dopo la sentenza di primo grado che proscioglieva l’imputato italiano (difeso dall’avvocato Aldo Mirate), la pm di Torino Elisa Pazè ha  messo sotto intercettazione sia il pastore romeno in carcere, sia la donna, sua connazionale.

Per il pm Pazé il quadro emerso è contraddittorio con troppe contraddizioni da parte della donna, al punto da trasmettere gli atti alla procura di Asti per procedere  per il reato di calunnia nei confronti della donna. 

Il racconto della vittima sull’inferno nella roulotte conteneva violenze terribili. La donna ha detto di essere lontana parente del pastore romeno, che l’aveva invitata in Italia per un lavoro da badante. Invece è stata accompagnata nella roulotte e  costretta a violenze sessuali da entrambi i pastori. Una volta libera era tornata in Romania. Una volta rientrata in Italia aveva rincontrato il pastore italiano con il gregge di pecore e aveva deciso di denunciare tutto.  Sulla base del suo racconto  i due erano stati arrestati e il parente romeno era stato anche condannato in via definitiva.

In aula sono ore emerse troppe difficoltà a ricordare tempi e circostanze precise. Il pg Fiore aveva comunque chiesto la condanna dell’imputato a 12 anni. Ma la Corte d’Assise l’ha assolto.

Droga dello stupro, arrestato neurologo del San Camillo. Valentina Dardari il 18 Aprile 2022 su Il Giornale.

L'uomo aveva nascosto oltre 2mila dosi di Gbl nel suo studio privato. A insospettire gli investigatori sono stati i tanti pacchi che arrivavano per lui dall'Olanda.

Ancora un professionista è finito nei guai perché trovato in possesso della droga dello stupro. In questo caso si tratta di un medico neurologo 55enne dell’ospedale San Camillo di Roma, Ludovico Lispi. L’uomo, sposato con figli, è accusato di detenzione ai fini dello spaccio. Secondo quanto emerso dalle indagini, il professionista nascondeva la sostanza all’interno di un armadietto presente nel suo studio privato, sito in via Domenico Fontana, in zona San Giovanni, dove gli investigatori hanno trovato ben 2.309 dosi, che sono pari a un litro e mezzo di Gbl, “droga dello stupro”, come viene comunemente chiamata, proprio perché toglie le inibizioni sessuali a chi la assume, rendendo meno complicata la violenza sessuale.

Teneva il Gbl in studio

Il neurologo è stato fermato lo scorso venerdì, 15 aprile, proprio mentre si trovava nel suo studio che viene utilizzato dal sanitario per effettuare visite private ai propri pazienti. Nella prima mattinata il Lispi è comparso davanti al giudice della direttissima, vestito in giacca e cravatta e, alla domanda da parte del magistrato se volesse chiarire la sua posizione, l’indagato ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Al neurologo sono quindi stati dati gli arresti domiciliari, come richiesto dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Roma Gianluca Mazzei. Ancora non è stato chiarito perché il medico fosse in possesso di molte dosi di Gbl. Il sospetto è che il 55enne si facesse spedire il liquido dall’Olanda per poi poterlo rivendere in Italia. A insospettire i carabinieri è stato proprio il numero elevato di pacchi che Lispi si faceva spedire dall’estero. I militari hanno quindi chiesto e ottenuto l'autorizzazione dal pm Renata Ceraso per poter perquisire lo studio privato e hanno trovato la sostanza sospetta nascosta in due contenitori dentro un armadietto, in mezzo ad altri oggetti.

Ora è da capire se Lispi, in quanto medico, utilizzasse la sostanza per altri fini. Il liquido era gelatinoso e incolore. Una volta effettuati gli esami da parte del tenente colonnello Adolfo Gregori per accertare la natura di quanto trovato, gli esiti hanno confermato i sospetti degli investigatori: si trattava di Gbl, con una purezza tra il 96 e il 98%. A effettuare il fermo è stata la polizia giudiziaria di frontiera di Fiumicino. Le indagini sono ancora in corso per appurare se il neurologo, specializzato in neurologia cognitiva e comportamentale, abbia usato la droga dello stupro per finalità diverse da quelle dello spaccio. Come riportato dal Corriere, l’arresto è scattato alle 16 di venerdì scorso, quando un corriere ha suonato il campanello del professionista per consegnare un pacco, di cui non conosceva il contenuto. Fin da subito il medico non ha proferito parola, chiudendosi nel suo silenzio.

Quegli insospettabili dello sballo: così spopola la nuova droga

Usato anche da Vip e professionisti

La droga dello stupro è tristemente nota ed è usata spesso anche da imprenditori e gente nota. Pochi giorni fa Antonio Di Fazio, ex amministratore unico di Global Farma, era stato condannato a 15 anni e 6 mesi di reclusione con rito abbreviato per sei episodi di violenza sessuale nei confronti di giovani donne, avvenuta proprio ricorrendo alla droga dello stupro. Anche Claudia Rivelli, sorella dell’attrice Ornella Muti, era stata trovata in possesso di un litro di droga dello stupro. La donna aveva inizialmente detto ai giudici di aver ordinato quei prodotti per pulire la vettura e l’argenteria.

Da leggo.it il 7 aprile 2022.  

Una giovane donna, all'epoca dei fatti minorenne, ha oggi ritrattato le accuse di violenza sessuale a causa delle quali il compagno della madre, un 50enne trevigiano, si trova imputato in un processo a Treviso. La ragazza avrebbe riferito quattro anni fa i dettagli degli atti compiuti dall'uomo ai carabinieri, salvo sostenere oggi di aver inventato quel racconto per punirlo per i suoi comportamenti troppo autoritari.

Una versione, quest'ultima, che la psicologa incaricata di seguire la ragazza sostiene di non aver mai ascoltato e che contrasta con altri elementi raccolti in istruttoria. Il processo riprenderà fra un paio di mesi.

Da repubblica.it il 9 luglio 2022.

"Furono presi da istinti normalmente controllabili". Un "cortocircuito mentale" lungo sei minuti. E' questa la motivazione della sentenza della Corte di Appello con cui l'ex carabiniere Pietro Costa era stato condannato a 4 anni, accusato di violenza sessuale su una studentessa americana nella notte tra il 6 e 7 settembre 2017 a Firenze. Il verdetto dei giudici era arrivato lo scorso 5 aprile. Quella notte assieme a Costa c'era anche l'ex appuntato Marco Camuffo che con il rito abbreviato era già stato condannato però a 4 anni e 2 mesi in via definitiva. 

"La ricostruzione dei cinque-sei minuti incriminati non può che ricondursi alle iniziative parallele dei due militari che in un cortocircuito mentale e presi da istinti normalmente controllabili hanno messo a rischio la loro stessa carriera nell'Arma oltre a commettere un reato dallo stesso Costa definito mostruoso. Le conseguenze - scrive la presidente della seconda sezione, Angela Annese - sul piano personale oltre alla destituzione dall'Arma sono state immaginabili: entrambi i carabinieri sono stati condannati a 5 mesi e 10 giorni di reclusione militare, pena sospesa, dalla Cassazione per il reato militare di violata consegna, per aver lasciato l'auto di servizio incustodita e con all'interno le armi".

Secondo la ricostruzione dei fatti, la pattuglia dei due ex carabinieri quella notte si fermò per una sosta a un locale a piazzale Michelangelo. Costa e Camuffo diedero poi un passaggio a due ragazze incontrare sul posto, entrambe studentesse Usa, per riaccompagnarle a casa. Le giovani vivevano in un appartamento del centro storico fiorentino. Salirono tutti nell'abitazione e a quel punto, denunciarono poi le giovani, sarebbe avvenuta la violenza sessuale. 

Per la sentenza della Corte d'Appello "non si può parlare di un corteggiamento iniziato in discoteca suggellato con un bacio che in una manciata di minuti avrebbe travolto ogni censura giungendo a un rapporto sessuale completo". Nelle motivazioni viene scritto che su quel "bacio la sentenza di primo grado ha focalizzato la cesura tra il voluto e il subito, il confine tra il lecito e l'illecito in un rapporto sessuale". Per questo motivo "l'accusa a carico di Pietro Costa risulta da una serie di elementi di fatto che l'appello difensivo non è riuscito a smontare". 

Da "Il Messaggero" il 6 aprile 2022.

Ancora condanne, se pure con lievi riduzioni di pena. Con due distinti giudizi sono state confermate le responsabilità dei due ex carabinieri imputati di violenza sessuale per aver abusato di due studentesse americane a Firenze, dopo averle riaccompagnate a casa dalla discoteca con l'auto di servizio, nella notte tra il 6 e il 7 settembre del 2017.

Per l'ex appuntato Marco Camuffo, ora, la sentenza è definitiva. Ieri i giudici della Cassazione lo hanno condannato a quattro anni e 4 mesi, due mesi in meno rispetto ai 4 anni e mezzo inflitti dalla corte di Appello di Firenze nel 2021.

Per la stessa vicenda, sempre ieri, ma in appello, a Firenze, è arrivato il verdetto per l'ex carabiniere Pietro Costa: quattro anni di pena. In primo grado all'imputato erano stati inflitti cinque anni e sei mesi. 

La corte di appello di Firenze ha ridotto la pena per Costa considerando le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante. I giudici hanno anche riformato la sentenza di primo grado in relazione all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, riducendola a cinque anni.

La procura generale di Firenze aveva chiesto la conferma della condanna del Tribunale per l'ex carabiniere Pietro Costa. Richiesta sulla quale si erano allineate tutte le parti civili: i familiari della vittima, il Comune di Firenze e il ministero della Difesa.

Il collegio difensivo di Costa aveva chiesto invece l'assoluzione. Pietro Costa era imputato per i presunti abusi su una delle due ragazze. Il collega di pattuglia, l'ex appuntato Marco Camuffo, era stato condannato in appello il 4 febbraio 2021 a 4 anni e 6 mesi, due mesi in meno della pena ricevuta in primo grado nell'ottobre del 2018. 

Inoltre, nel novembre del 2021 entrambi sono stati condannati in via definitiva dalla Cassazione a 5 mesi per reati militari.

Quella sera di settembre del 2017, la pattuglia formata da Camuffo e Costa aveva fatto una sosta presso un locale notturno al piazzale Michelangiolo e qui i due militari si erano offerti di dare un passaggio alle due ragazze, che avevano bevuto molto, per riportarle a casa, in un alloggio nel centro storico.

Camuffo e Costa avevano usato l'auto di servizio dell'Arma. Arrivati a destinazione erano saliti con le turiste. E nell'appartamento si sono consumate le violenze poi denunciate all'autorità giudiziaria dalle vittime. 

Giuseppe Guastella per il "Corriere della Sera" il 6 aprile 2022.

Offre un risarcimento che è meno di un decimo di quello chiesto solo da una delle vittime, e difatti non viene accettato, e chiede il rito abbreviato Alberto Genovese, quello che gli garantirebbe lo sconto di un terzo della pena se dovesse essere condannato per le violenze sessuali efferate alle quali, dice l'accusa, ha sottoposto dopo averle drogate due modelle giovanissime che ha ospitato nella sua magnifica «Terrazza sentimento» con vista sul Duomo di Milano, l'una, e nella villa degli eccessi di Ibiza, l'altra.

Non è difficile immaginare la strategia di contenimento che la difesa potrebbe perseguire, oltre ovviamente all'assoluzione, per far sì che il geniale imprenditore diventato milionario con le startup non rimetta più piede in carcere o, quantomeno, che ci torni per il minor tempo possibile. 

Per la prima volta Genovese compare nell'udienza preliminare di fronte al giudice Chiara Valori. Silenzio in aula, silenzio con i cronisti che assiepano il corridoio al settimo piano del palazzo di giustizia di Milano. Per l'uomo che starebbe per incassare oltre 200 milioni dalla cessione della sua quota in Prima Assicurazioni, parlano i legali, gli avvocati Luigi Isolabella e Davide Ferrari. Hanno due assegni.

Il primo da 130 mila euro destinato alla 18 enne che, dopo essere rimasta nelle mani di Genovese per 20 ore, la notte del 10 ottobre 2020, riuscì a fuggire seminuda in strada nel pieno centro di Milano e a fermare una volante della Polizia. Violenze riprese dalle telecamere di sorveglianza istallate con perizia in ogni angolo della magione. Alla clinica Mangiagalli le riscontrarono gravi lesioni contro le cui conseguenze sta ancora lottando. L'avvocato Luigi Liguori, in base ad una consulenza, ha quantificato in poco più di 1,5 milioni di euro i danni subiti dalla giovane che, devastata psichicamente e dalla carriera di modella definitivamente interrotta, ne ha già spesi 25 mila solo per curarsi. 

Genovese, invece, offre 25 mila euro all'altra giovane, 23 enne all'epoca dei fatti, che ha denunciato di essere stata drogata e violentata per una notte a luglio 2020 a Villa Lolita nell'isola spagnola. Un accordo per i risarcimenti garantirebbe a Genovese un sostanzioso sconto di pena da aggiungere a quello dell'abbreviato.

La difesa, però, chiede anche l'acquisizione di una serie di documenti e della consulenza medico-legale sulle condizioni psico-fisiche dell'imputato al momento dei reati. In caso di incapacità anche parziale di intendere e volere, altro taglio di pena. Nell'ultimo interrogatorio con i pm Rosaria Stagnaro, Paolo Filippini e Letizia Mannella, ha dichiarato che viveva perennemente in «un universo in cui tutto era permeato dalla droga» che in pochi anni lo ha trasformato in un tossico alla ricerca di donne giovanissime, anche minorenni, disposte a condividere, diceva, sesso estremo.

Lo ripeterà con le dichiarazioni che potrebbe fare nell'udienza del primo giugno. Se dovesse essere giudicato colpevole, deve puntare a contenere la pena quanto più possibile. Detratti i 16 mesi già scontati ai domiciliari e gli altri che farà ancora in una struttura di recupero fino alla sentenza definitiva, se ne restassero meno di sei potrebbe ottenere la detenzione in casa di cura di cui possono beneficiare i tossicodipendenti.

«Alberto Genovese vuole risarcire le vittime»: perché è stato respinto il maxi sequestro da 1,5 milioni. Giuseppe Guastella su Fornito da Corriere della Sera il 23 aprile 2022.

Non c’è alcun elemento che faccia sospettare che, nel caso dovesse essere condannato, Alberto Genovese non voglia risarcire le due giovani donne che per la Procura di Milano avrebbe drogato e violentato. Anzi, ha «dimostrato» esattamente il contrario nell’udienza preliminare (riprenderà il primo giugno) afferma il giudice Chiara Valori che, anche per questo, ha rigettato la richiesta di una delle due ragazze di sequestrargli oltre 1,5 milioni di euro. 

Il trust, Prima Assicurazioni e Terrazza Sentimento

La decisione di Genovese di costituire un trust, uno strumento giuridico in cui far confluire il suo grande patrimonio, compresi i 200 milioni della cessione della sua quota di Prima assicurazioni, aveva allarmato il legale della modella che novembre 2020, quando aveva 18 anni, lo aveva fatto arrestare accusandolo di averla drogata e poi violentata brutalmente un mese prima nella sua abitazione nel pieno centro di Milano. Sospettando che il trust «non garantisce in maniera assoluta» il «pagamento del risarcimento dei danni» alla sua assistita in caso di sentenza di condanna, l’avvocato Luigi Liguori aveva chiesto di sequestrare i soldi sui conti dell’imprenditore che, tra l’altro, ha anche messo in vendita «Terrazza sentimento», l’attico e superattico da 300 metri quadrati con piscina (valore tra i 2 re i 3 milioni) a due passi dal Duomo, teatro delle feste a base di alcol e droga e delle violenze, sostiene l’accusa dei pm Rosaria Stagnaro, Paolo Filippini e dell’aggiunto Letizia Mannella.

I danni fisici e psicologici alla vittima di violenza

Per l’avvocato Liguori, gli abusi sessuali avrebbero provocato alla ragazza pesanti danni fisici e psicologici, anche permanenti, che incidono e incideranno pesantemente sulla sua vita e che i consulenti valutano, appunto, in oltre 1,5 milioni. Una richiesta alla quale la difesa di Genovese, con gli avvocati Luigi Isolabella e Davide Ferrari, aveva risposto proponendo solo 130 mila euro per la modella e altri 25 per la seconda vittima, la ragazza che a 23 anni ha denunciato di essere stata abusata a luglio 2020 a Villa Lolita, l’abitazione posseduta ad Ibiza (Spagna) dall’imprenditore, che è imputato di violenza sessuale e cessione di droga ed è agli arresti domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla dipendenza dalla droga. Proposta rifiutata da entrambe.

Il risarcimento dei danni

In primo luogo, scrive il giudice Valori, «nessun elemento attesta» che Genovese non sia ancora in possesso di un patrimonio «sufficiente» a far fronte ad un’eventuale condanna al risarcimento dei danni, come non «sono invero individuabili elementi che inducano a ritenere un pericolo di dispersione» dei suoi beni prima che il processo arrivi alla fine. Tanto più, precisa il giudice, che lo stesso Genovese con la sua offerta ha dimostrato che non intende «sottrarsi» ad eventuali risarcimenti, dato che i 155 mila euro delle proposte sono stati depositati con due assegni circolari nello studio dell’avvocato Isolabella e sono lì a disposizione delle due giovani, nel caso in cui dovessero cambiare idea ed accettali. Inoltre, il trust, che non è altro che una cassaforte affidata ad un terzo, non è un «elemento sufficiente» per sospettare che voglia sfuggire ai risarcimenti, anche perché esso è stato costituito proprio con l’obbligo di «garantire il pagamento delle spese di giustizia ed eventuali risarcimenti» alle vittime che sono, infatti, indicate «tra i beneficiari diretti» del patrimonio, anche se l’imprenditore dovesse fuggire o addirittura «decedere anzitempo».

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Vincenzo Caramadre per “Il Messaggero” l'11 marzo 2022.

Ci sono voluti oltre cinque anni, ma alla fine è stato scagionato dall'accusa di violenza sessuale e ora la donna che lo aveva denunciato rischia di finire sotto processo per calunnia. 

La storia arriva da Cassino, in provincia di Frosinone. Vede protagonista una coppia di ex amanti: lui 45 anni, lei 25. Lei si era inventata uno stupro per coprire il tradimento nel frattempo scoperto dal fidanzato.

Messa alle strette, aveva detto di essere stata vittima di una violenza sessuale. Ma non era vero. A salvare l'uomo sono stati i messaggi WhatsApp conservati nella memoria del telefono e scoperti nel corso indagini della Procura.

Tutto inizia cinque anni fa quando i due si incontrano in un piccolo Comune del Cassinate. Si scambiano qualche sguardo. Ammiccamenti e sorrisi inequivocabili che, di lì a poco, portano a ben altro.

Si conoscono, si scambiano i numeri di telefono e decidono d'incontrarsi. Comincia, così, una storia clandestina, tra passione e incontri fugaci. Ed è proprio in uno di questi incontri che, stando a quanto denunciato dalla 25enne dopo qualche tempo, si sarebbe consumata la violenza sessuale. 

La donna racconta agli inquirenti di essere stata avvicinata e costretta ad un rapporto sessuale non consenziente. La procura di Cassino, ricevuta l'informativa di reato, apre un fascicolo.

Le indagini, però, alla fine hanno raccontato tutt'altra storia. Ma perché la verità emergesse l'uomo (assistito dagli avvocati Paolo Marandola e Sandro Salera) si è dovuto difendere da quell'accusa che gli è valsa il ritiro del porto d'armi, grane sul posto di lavoro e ovviamente in famiglia.

L'uomo per provare che quel rapporto era avvenuto con il pieno consenso dell'amante ha consegnato agli inquirenti tutti gli screenshot e la cronologia dei messaggi. Il suo smartphone è stato sequestrato per analizzarne il contenuto.

La consulenza forense, disposta dal sostituto procuratore Marina Marra, in particolare sulle chat, ha consentito di trovare i riscontri alla versione fornita dal 45enne. I due, infatti, prima e dopo gli incontri clandestini, si scambiavano messaggi vocali e testuali. 

Messaggi dai quali è emerso tutto tranne che le prove di una violenza sessuale. Nessuna costrizione. Per questa ragione la Procura di Cassino ha deciso di archiviare il procedimento perché i fatti «non costituiscono rilievo penale».

Gli strascichi giudiziari però non sono finiti. Il magistrato, una volta accertato che la donna si fosse inventata tutto, ha aperto un procedimento nei suoi confronti per il reato calunnia. 

Tra poche settimane la donna comparirà dinanzi al Gup del Tribunale di Cassino e rischia di finire sotto processo. In Tribunale, ci sarà anche il suo ex amante, ma questa volta come parte lesa.

L'uomo intende costituirsi parte civile per essere risarcito dei danni, morali e materiali, subiti con l'avvio delle indagini che lo hanno visto indagato per diversi anni. «Ci costituiremo parte civile, perché il nostro assistito ha avuto tante ripercussioni negative, sia personali sia lavorative da questa storia», hanno affermato i legali. 

Nei mesi scorsi, sempre in provincia di Frosinone, una storia simile ha visto protagonista un professionista di Sora: l'uomo, dopo dieci anni di processo, è stato assolto sempre dall'accusa di violenza sessuale. 

Una badante si era inventata una violenza per spillargli soldi, ma poi era sparita dalla circolazione. E sono cadute tutte le accuse nei suoi confronti. Nel frattempo erano trascorso dieci anni. 

Torino, subisce abusi dal padre per 30 anni e la condanna arriva dopo 16: chiederà giustizia a Strasburgo. Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 10 marzo 2022.

L’uomo, 86 anni, non ha scontato un giorno di carcere nonostante il verdetto definitivo a 9 anni e 2 mesi. La donna si rivolgerà alla Corte europea per i tempi lunghi del processo.

«La vicenda umana è tra le più sconvolgenti che sia dato esaminare in sede processuale: fatti di abuso sessuale ed incesto, consumati in danno di vittime in tenera età e per una di queste protratte per una durata straordinaria. Dall’età di 10 anni a quella di 43». Nel luglio 2021 la Corte d’Appello iniziava con queste parole il racconto di una drammatica storia familiare: quella di un padre accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia . L’allora verdetto dei giudici, 9 anni e 2 mesi di reclusione, è diventato definitivo in Cassazione pochi giorni fa. Ma ci sono voluti sedici anni e cinque processi perché la donna, abusata fin dal 1996, ottenesse un minimo di giustizia. Difficile, infatti, parlare di giusto processo di fronte a questa storia. Per otto lunghi anni il fascicolo è stato dimenticato in un cassetto della Corte d’Appello e molti reati sono andati prescritti. L’uomo, che oggi ha 86 anni, non ha trascorso neanche un giorno in carcere e difficilmente ci finirà ora: è affetto da gravi patologie incompatibili con la detenzione. Alla figlia, assistita dall’avvocato Alessandro Dimauro, restano il dolore e i traumi delle inenarrabili atrocità subite. L’unica soddisfazione è stata quella di essere creduta.

In famiglia hanno provato a sostenere che si fosse inventata tutto per spillare soldi ai genitori. Ma i dubbi difensivi sulla sua credibilità sono stati sfatati dai giudici: «Aveva interiorizzato la propria condizione di sudditanza nei confronti del padre, che ne aveva fatto la sua preda sessuale. Con il passare del tempo ha assunto un atteggiamento di accettazione silente del proprio martirio». La grande delusione sono i tempi del procedimento. Ora la donna non esclude di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, per l’ingiusta durata del processo che le ha provocato stress e un profondo senso di abbandono.

La vittima ha impiegato 30 anni per fare denuncia. Lo ha fatto solo nel 2006, dopo aver scoperto che il padre aveva iniziato a molestare anche la nipote. La prima sentenza del Tribunale è del 2010: l’uomo — difeso dagli avvocati Mauro Sgotto e Giovanni Botti — viene condannato a 11 anni e 6 mesi di reclusione. Ma a questo punto il sistema giudiziario entra in stallo. Trascorrono otto anni prima che venga fissato l’appello contro il padre, che viene condannato a 9 anni e 4 mesi. In Cassazione viene ordinato un nuovo appello. Nel frattempo, sulla maggior parte dei reati cade la scure della prescrizione: gli abusi sessuali nei confronti della nipote, i maltrattamenti, le violenze alla figlia. Resta solo la contestazione di violenza sessuale di gruppo per un episodio del 2006 al quale avevano preso parte altri uomini. Ora la condanna è definitiva, ma il verdetto è solo sulla carta.

Luca Muleo per il “Corriere della Sera” l'8 marzo 2022.  

Legge da un foglio. Si emoziona ma è ferma: «Ero io la donna stuprata tre anni fa, sono io stalkerata. Io a dover cambiare casa e abitudini. Oggi voglio prendere parola in prima persona».

Marta Collot, 4 mila preferenze nell'ultima corsa a sindaco di Bologna con la lista di Potere al Popolo, per la prima volta parla in pubblico della violenza subita. «Chi si deve vergognare è chi fa la scelta di usare la propria posizione di potere per opprimere un altro essere umano. Faccio un invito a tutte le donne e a tutti quelli che subiscono: uniamoci, insieme siamo una potenza».

Davanti al tribunale bolognese, alle sue spalle uno striscione e i suoi compagni. Protestano per un'altra vicenda che la riguarda, il proscioglimento di un 50enne stalker seriale, Alberto Tagliati, che lei ha denunciato due volte.

Per la seconda denuncia l'uomo è in carcere ma per la prima l'1 marzo è giunta la sentenza di non luogo a procedere. Per la violenza, invece, il 33enne Orianderson Venturi era stato condannato a 8 anni. «Ho potuto dire in faccia al mio stupratore che ha approfittato del suo vantaggio fisico ma che non mi sono mai piegata».

Andrea Camurani per il "Corriere della Sera" il 13 febbraio 2022.

La serata con le amiche fatta di qualche drink e un po' di musica che si trasforma nell'incubo di una violenza sessuale consumata nei bagni di un locale notturno con un ragazzo di pochi anni più grande che chiude a chiave la porta della toilette per agire indisturbato. È quanto ha denunciato una ragazza di 19 anni alla polizia nella notte fra il 29 e 30 gennaio scorsi, un fine settimana. 

I fatti si consumano al «Glow Club» di Gallarate, poco più di 50 mila abitanti fra Varese e Milano. Nel locale, in una zona periferica fatta di viali e centri commerciali e non distante dalla superstrada che porta all'aeroporto di Malpensa, era in corso la serata a tema «mala noche»: felpe con cappuccio, passamontagna indossato dalle ragazze e decibel sparati fino a notte fonda.

La vittima, secondo la ricostruzione del commissariato di Gallarate, era arrivata da fuori città con alcune amiche e ha incontrato nella zona fumatori del locale un ragazzo di 23 anni mai visto prima. Anche lui veniva da fuori. Qualche sguardo, poi l'approccio, seguito da quattro chiacchiere andate avanti nel cuore del club in una zona non distante dai servizi. E qui sarebbe avvenuta la violenza con l'aggressore che spinge la vittima in bagno, e per abusare di lei sottrae l'unica via d'uscita chiudendo a chiave la porta.

Dopo la violenza il giovane scappa. La diciannovenne ritrova le amiche e nel locale, per puro caso, arriva attorno alle 3 una volante della polizia chiamata per un controllo di routine nel locale, in passato coinvolto in problemi di ordine pubblico. È agli agenti di pattuglia che la giovane racconta quanto avvenuto poco prima, ma il sospettato non si trova.

Le indagini degli uomini del commissariato e i successivi approfondimenti coordinati dalla Procura di Busto Arsizio permettono di identificare nell'arco di pochi giorni il presunto violentatore: la sua posizione è ora al vaglio della divisione Anticrimine della questura per l'emissione di una adeguata misura di prevenzione, probabilmente un foglio di via o un «daspo». 

Oltre alla posizione del 23enne, la polizia sta indagando sulle eventuali responsabilità del personale del locale che, anziché allertare le forze dell'ordine si sarebbe limitato ad allontanare il presunto violentatore impedendo di fatto la sua immediata identificazione. Anche per questi motivi il questore Michele Morelli ha sospeso la licenza del club per 15 giorni.

Non è la prima volta che il «Glow» viene chiuso per risse o aggressioni: era già successo in due occasioni fra fine ottobre e primi di novembre 2021 con episodi che sfociarono nell'arresto di due ragazzi che avevano aggredito le forze dell'ordine. Un'escalation che preoccupa il sindaco Andrea Cassani: «Ieri (venerdì, ndr) ho parlato col padre di una 13enne rapinata in pieno centro mentre era con un'amica: gli ho consigliato di denunciare subito. Violenza giovanile e la microcriminalità sono un'emergenza, e la polizia locale da sola non ce la fa».

Fabio Tonacci per "la Repubblica" il 13 febbraio 2022.

«Ma ci sono i video!». La prima reazione di Adele (nome di fantasia) alla notizia che il Tribunale di Ravenna ha assolto in primo grado il suo presunto violentatore e l'amico che li aveva ripresi col telefonino è stata di lucido sconcerto. 

In un attimo le sono tornate in mente le carte di un procedimento penale lungo cinque anni, le testimonianze contraddittorie rilasciate ai pm da chi era con lei la notte tra il 5 e il 6 ottobre del 2017, le considerazioni in aula sulle sue condizioni psico-fisiche e su un consenso che è convinta di non aver mai espresso. Soprattutto, i filmati. Alcuni di pochi frame, altri un po' più lunghi. Girati prima e durante il rapporto sessuale avvenuto sul divano di un appartamento nel centro di Ravenna. Sono agli atti. Si vede lei. Si vede lui. Si sentono gli altri.

«Il fatto non costituisce reato», recita il dispositivo della sentenza emessa l'8 febbraio scorso dal collegio giudicante composto da due donne e un uomo. Ricalca, in sostanza, l'impostazione del Riesame che aveva scarcerato i due ritenendoli inconsapevoli del reale stato in cui si trovava Adele quella notte (allora 18enne) e, comunque, sinceramente convinti che fosse consenziente. 

Fin qui, un caso giudiziario come altri: la procura che sostiene l'accusa di violenza sessuale di gruppo, i giudici che assolvono. Se non fosse, però, che l'avvocata di Adele, Elisa Cocchi, definisce la sentenza «retaggio patriarcale, secondo cui le condotte dei maschi abusanti vanno giustificate». Anche per lei i filmati «erano inequivocabili e non interpretabili».

Repubblica ha voluto approfondire la storia, per capire se si tratta solo di uno sfogo per un pronunciamento sfavorevole, oppure se c'è dell'altro. La materia, da qualunque lato la si prenda, è scivolosa. 

L'antefatto I fatti, nelle carte del processo, sono così ricostruiti. Il 5 ottobre di cinque anni fa Adele è al Prosecco, un locale di Ravenna. È insieme a due amiche e ad alcuni ragazzi. Sono tutti euforici ma Adele esagera con l'alcol. Beve almeno quattro bicchieri di vino e tre drink. Non si regge più in piedi, si addormenta sui divanetti, si sente male. Verso l'una di notte il locale chiude. «L'abbiamo svegliata e l'abbiamo aiutata a rialzarsi perché aveva bevuto abbastanza», mette a verbale Sara, una delle amiche.

«Non stava sulle gambe, si è appoggiata a qualcuno per scendere le scale». In macchina Adele vomita più volte. Non vuole tornare a casa per paura che i suoi genitori la puniscano, dunque il gruppo va a casa della fidanzata di uno dei ragazzi. Nel cuore della notte, in quell'appartamento vuoto ci sono Adele, Sara, un'altra amica e i due imputati, un 30 enne romeno e un 31 enne senegalese con un passato di calciatore nel Ravenna. Entrambi con precedenti penali. 

Adele continua a vomitare. Decidono di trascinarla sotto l'acqua gelida della doccia. La scena è ripresa con un telefonino: si vede lei immobile, quasi priva di sensi, seduta sul piatto. La mossa, tuttavia, non funziona, Adele sta ancora male e rimette di nuovo. La portano sul divano del salotto. Si sono fatte le 4 di notte, in casa sono rimasti Adele, Sara e i due uomini.

Il filmato del rapporto Agli atti ci sono due file video che raccontano cosa sia successo su quel divano. Sono tratti dal telefono del senegalese. Nel primo non si vede niente, la registrazione è partita quando lo smartphone era nella tasca. Si sentono le voci. Il romeno è intenzionato ad avere un rapporto sessuale. Adele bofonchia qualcosa, prima un «oh, fermi!», poi a Sara: «ach... diglielo per me...». 

Sara si rivolge al 30 enne: «Tu faresti sesso con una sbronza che non capisce niente?», aggiungendo «non ho i preservativi, non vi posso aiutare». Adele sembra confusa, con voce impastata chiede a Sara se sia giorno o notte. «Stava ascoltando!», esclama Sara. E uno dei due uomini: «Dobbiamo darle una svegliata...».

La conversazione va avanti, si intuisce che il rapporto sessuale inizia allora. Viene registrato in un filmato successivo, di pochi secondi, in cui si vede Adele supina sul divano e con lo sguardo nel vuoto. 

La chat con l'amica Quattro giorni dopo Adele va al pronto soccorso e denuncia di essere stata violentata. Presenta querela al 13. La sua memoria vacilla, non riesce a ricostruire cosa sia successo. Ha dei flash, come documenta la chat su whatsapp con Sara 72 ore dopo l'accaduto. «Non mi ricordo tutto», scrive Adele. «Mi ricordo che lui mi ha fatto qualcosa». E l'amica: «Quello che ti è successo è stato brutto, ma se non bevi più non succede». 

Sara, però, di quella notte consegnerà ai pm versioni contraddittorie, forse perché è a sua volta imputata di favoreggiamento. Il suo processo è sospeso in attesa della sentenza definitiva per i ragazzi, perché se non c'è stato reato, non ci può essere favoreggiamento. Entro tre mesi leggeremo la motivazione del Tribunale di Ravenna per capire su quali basi si poggi l'assoluzione.

Dalle carte della procura e dai verbali dei testimoni appare assodato che le condizioni psicofisiche della ragazza fossero pessime. Anche il Riesame, che pure ha scarcerato i due, ha stabilito che era «in un momento di confusione, dovuto al consumo eccessivo di alcool, e inconsapevole del destino dei filmati». A questo punto, è lecito porsi qualche domanda. 

«Come può una diciottenne in quello stato aver dato un consenso valido?», si chiede l'avvocata Cocchi. Come si può sostenere - aggiungiamo - che i due ragazzi non si fossero accorti della sua ubriachezza, dato che nei video parlano proprio di questo? Le risposte, forse, le avremo tra novanta giorni.  

Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 14 febbraio 2022.

Su quel divano, Adele non era più Adele. «Mi sentivo immobile, paralizzata, un morto proprio...non capivo niente», ha spiegato al giudice il 13 novembre del 2017 durante l'incidente probatorio. L'indagine della procura di Ravenna era già a buon punto, nonostante fosse passato appena un mese dalla notte in cui la studentessa sostiene di essere stata violentata da un 30 enne romeno, lo chiameremo Cristian, conosciuto poco prima in un locale. 

La testimonianza di Adele impressiona non tanto per ciò che ricorda, ma per quello che non ricorda. Ha dei flash in mezzo al buio, rammenta voci, sensazioni. «C'era l'acqua fredda», «mi hanno sollevato come un sacco », «vomitavo lungo la scala», «sentivo qualcuno che aveva un rapporto con me...». Il verbale di Adele A verbale la diciottenne si sforza di mettere assieme i pezzi, ma i pezzi le scivolano via dalla mente. Non è di aiuto neanche la psicologa che l'assiste.

Aveva esagerato col bere quella notte, è pacifico. L'hanno vista stare male sia al "Prosecco", il dancing dove si trovava con tre amici, sia nella casa nel centro di Ravenna dove è stata portata e dove ha avuto il rapporto sessuale sul divano del salotto. Un filmato girato col telefonino da uno dei presenti, di cui ha dato conto ieri Repubblica , documenta il suo disorientamento. 

E tuttavia una settimana fa il Tribunale di Ravenna ha assolto i due imputati (Cristian e il 31 enne senegalese che ha fatto i video) perché "il fatto non costituisce reato". Secondo il collegio di tre giudici composto da due donne e un uomo, i due non volevano abusare della ragazza o non sapevano che fosse in uno stato tale da non essere in grado di esprimere coscientemente il consenso. In attesa delle motivazioni, l'avvocata di Adele Elisa Cocchi non si spiega la sentenza se non come «retaggio patriarcale». Il misterioso drink di troppo Le prime ore al Prosecco sono ricostruite con lucidità dalla studentessa. «Siamo arrivati alle dieci con la macchina, abbiamo bevuto tre o quattro calici di vino bianco a testa, ci siamo messi a ballare».

Al gruppetto si avvicina il pr del locale che offre ad Adele il drink di troppo. «Non so cosa fosse, era un alcolico... dopo quel drink non ricordo niente, ho solo dei flash». Le analisi del sangue non hanno evidenziato tracce di sostanze stupefacenti in quantità tali da far pensare che abbia ingerito a sua insaputa la droga dello stupro, ma è anche vero che le ha fatte quattro giorni dopo. «Il primo ricordo che ho dopo il drink è di essere stata sollevata a testa in giù, presumo in spalla a qualcuno. Ho fatto le scale e ho vomitato. Dopo si è spento tutto, fino a quando mi sono ritrovata stesa sul divano». 

Le due docce e il sesso Intorno alle 4 di notte, nell'appartamento, ci sono Adele, l'amica Sara e i due trentenni. La trascinano sotto la doccia per farla riprendere dopo l'ennesima vomitata. «Mi ricordo l'acqua fredda, mi hanno fatto due docce. Non so chi avevo intorno. Ero senza vestiti, solo con le mutande e il reggiseno... lo so perché sentivo freddo». La riportano sul divano. «Mi sentivo immobile, paralizzata». 

Chiama il nome del suo fidanzato, più e più volte. «Una voce mi risponde: sono io». Ma il fidanzato non c'è, è a casa sua. «Il ricordo successivo è di qualcuno che mi tira giù i pantaloni e ha un rapporto con me. Vedevo a fatica la faccia di lui sopra la mia... era il ragazzo seduto nel tavolino (al Prosecco, ndr ) un po' più in là, mai visto prima, né ci ho mai parlato».

Quando il giudice Piervittorio Farinella le chiede come faccia a dire di aver avuto un rapporto sessuale proprio allora, risponde: «Perché sentivo la sensazione di qualcuno che aveva il rapporto con me, ma solo quella, non ero in me». Dopo le fanno bere un caffè e Adele vomita ancora. «Il flash successivo è di qualcuno che mi aiutava a camminare, mi sorreggeva e mi faceva uscire dall'appartamento, mettendomi sul sedile posteriore della macchina». 

Si addormenta e si risveglia alle sette e mezzo della mattina su un letto matrimoniale, con il senegalese che dormiva accanto a lei. La versione del ragazzo La versione di Cristian, durante l'udienza di convalida del suo arresto e prima di essere rimesso in libertà dal Riesame, è molto diversa. Riconosce sì che Adele inizialmente stava male («Era completamente sporca di vomito, credo che si sia sentita male in macchina non perché aveva bevuto ma perché soffriva il mal d'auto e io guido veloce nelle curve ») però, a parer suo, dopo la doccia si era ripresa.

«Si è risvegliata e sembrava molto lucida. Rispondeva alle mie domande. A un tratto ha cominciato a toccarmi e abbracciarmi, baciandomi sul collo. Le ho chiesto se volesse fare sesso, e lei ha detto sì. Ho utilizzato il preservativo. Dopo il rapporto si è rivestita e siamo scesi giù, camminava normalmente». Il Tribunale di Ravenna gli ha creduto e lo ha assolto.

Fabio Tonacci per "la Repubblica" il 16 febbraio 2022.

«Dopo la sentenza del Tribunale di Ravenna ho parlato con Adele. È arrabbiata e delusa. Mi ha confessato una cosa che, se ci penso, è una sconfitta per tutti».

Cosa?

«Mi ha detto, testuale: "Se avessi saputo che finiva così, non lo avrei neanche denunciato quel tizio che mi ha violentata". Un po' la capisco, un verdetto del genere fa perdere la fiducia nella giustizia. Mi ha raccontato dell'amarezza per non essere stata creduta». 

Nei processi esistono le condanne ma anche le assoluzioni.

«Lo so. Però i giudici hanno visto i video di Adele supina su quel divano, hanno sentito gli audio in cui si capisce benissimo che non era in sé e non poteva dare un consenso cosciente, sanno che gli imputati dopo essere stati denunciati per stupro sono andati a cercare Adele a casa e sono venuti pure da me. Se non condanni in queste circostanze, quando le emetti le condanne? Dopo che ti ammazzano?». 

Parla Antonio, l'ex fidanzato della studentessa di Ravenna che nel 2017 ha denunciato per violenza sessuale Cristian, 30enne romeno, e l'amico 31 enne senegalese che ha filmato il rapporto avuto dopo una notte passata al dancing Prosecco. Adele, i due, li aveva conosciuti lì. Aveva bevuto talmente tanto da non reggersi in piedi. Antonio (i nomi che usiamo sono tutti di fantasia) oggi ha 37 anni.

Cinque anni fa, quando stava con Adele allora diciottenne, faceva il buttafuori. Lui, nell'appartamento nel centro della città dove sono avvenuti i fatti, non c'era. Come la sua ex, è stupito dall'assoluzione, e dalla formula scelta - "il fatto non costituisce reato" - che presuppone l'assenza di dolo o colpa per gli imputati. 

Cosa ricorda di quella notte, venerdì 5 ottobre 2017?

«Ero a casa mia. Verso le due mi sono arrivati dei messaggi di Sara, l'amica con cui Adele era andata al Prosecco. "Ho bisogno di aiuto, rispondimi", mi ha scritto. Io però dormivo, li ho letti dopo. Alle tre e mezzo Sara mi ha telefonato, dicendomi che Adele stava malissimo ma senza specificare che erano finite nell'appartamento di uno di quei ragazzi, quindi mi raccomandai solo di portarla a casa. La mattina dopo le mandai un messaggio per sapere com' era andata, e lei ha risposto: "Male, però ce l'abbiamo fatta". Conservo ancora la chat».

E Adele?

«Sono riuscita a vederla solo dopo il weekend, in palestra. Non era più lei, era nervosa e assente. Non sapeva dirmi cosa era successo, aveva 12 ore di buio in testa. Non ricordava niente a parte ciò che le aveva riferito Sara». 

Cioè?

«Che era ubriaca marcia, che aveva vomitato, aveva avuto un rapporto sessuale con Cristian e aveva dormito a casa del senegalese. Più di questo non ricordava». 

Può essere che le abbiano messo della droga nel bicchiere?

«Secondo me è l'unica spiegazione. Lei è la classica brava ragazza, non beve e non fuma. Purtroppo le analisi del sangue le ha fatte troppo tardi, non erano più significative». 

Ha provato a chiedere a Sara?

 «Mi ha confermato che era ubriaca, tanto da svenire. A quel punto ho contattato una poliziotta che si occupa di casi di questo tipo, siamo andati in ospedale e ci siamo rivolti a Linea Rosa. Credo che Adele abbia realizzato del tutto di essere stata violentata solo in questura: lì l'ho vista scoppiare a piangere». 

Cosa è successo dopo la denuncia?

«Pochi giorni dopo Adele è stata avvicinata per strada dal senegalese. La moglie di Cristian, quando l'hanno arrestato, è andata a casa sua. È stata cercata al telefono e via social». 

Perché?

«Non lo sappiamo, Adele non ci ha voluto parlare. Si è messa paura. Sono dei tipi poco raccomandabili, hanno precedenti penali. Infatti lei se n'è andata da Ravenna».

Hanno avvicinato anche lei?

«Sì, l'ho detto ai pm. Un buttafuori cubano mi disse che voleva vedermi per risolvere un problema. Non mi aveva mai chiamato prima, quindi gli ho dato appuntamento al bar davanti ai carabinieri. È arrivato con tre uomini, che mi hanno circondato: uno si è presentato come il padre di Cristian, il secondo era il proprietario della casa dove è avvenuta la violenza, il terzo era un tipo magro con la faccia cattiva». 

Cosa volevano da lei?

«Sapere chi aveva accompagnato Adele in questura. Ero stato io, ma non gliel'ho detto: ho mentito per paura, quei tizi li conosco di fama, erano già stati in carcere...» 

L'hanno minacciata?

«No. Qualche mese dopo il collega buttafuori, che continuava a dirmi di stare attento, mi ha rivelato che volevano darmi del denaro». 

Perché?

«Presumo per mettersi d'accordo su una versione a loro favorevole. Cosa che mai avrei fatto. Conosco Adele: è impossibile che quella notte fosse consenziente e consapevole».

ANSA il 10 febbraio 2022. - Erano accusati di violenza sessuale di gruppo su una 18enne in quel momento ubriaca: il primo per avere avuto con lei il rapporto in un appartamento di Ravenna e l'altro per avere incitato e filmato tutto con il proprio cellulare. I due giovani - un 30enne di origine romena e un 31enne di origine senegalese in passato calciatore semi-professionista in forza al Ravenna - sono stati assolti dal collegio penale del Tribunale della città romagnola "perché il fatto non costituisce reato".

La Procura, come riportato dai due quotidiani locali, aveva chiesto per entrambi la condanna a nove anni di reclusione. I fatti risalgono alla notte tra il 5 e il 6 ottobre del 2017 quando la giovane, dopo avere bevuto alcolici in un locale ravennate, era stata portata a spalla fino a un appartamento del centro là dove per l'accusa era stata messa sotto alla doccia e aveva poi subìto gli abusi.

 I video di quei momenti, in seguito alla denuncia, erano stati sequestrati dalla polizia e i due ragazzi erano stati raggiunti da altrettante ordinanze di custodia in carcere. Il tribunale del Riesame di Bologna, sulla base anche dell'interpretazione di quei filmati, li aveva tuttavia scarcerati ritenendo che la giovane, sebbene "in uno stato di non piena lucidità", fosse "pienamente in grado di esprimere un valido consenso al rapporto sessuale" e lo avesse espresso.

La tesi del rapporto consensuale e dei filmati girati nel contesto di una serata gioviale, è stata quella in buona sostanza portata avanti dalle difese (avvocati Carlo Benini e Silvia Brandolini per il 30enne e Raffaella Salsano e Francesco Papiani per il 31enne). La ragazza, parte civile con l'avvocato Elisa Cocchi, aveva chiesto un risarcimento di 100 mila euro per i lamentati abusi che aveva ricostruito dopo alcuni giorni dai fatti attraverso flash in grado via via di colmare vuoti di memoria su quella serata. 

Per il Pm Angela Scorza la giovane "non era in grado di prestare un consenso libero" e "le sue condizioni sono state strumentalizzate per soddisfare pulsioni sessuali". Dopo il deposito delle motivazioni, entro 90 giorni, è dunque plausibile un ricorso in appello della Procura.

(ANSA il 4 febbraio 2022) - Con il personale del pronto soccorso dell'ospedale di Perugia prima e con i carabinieri poi, una giovane ha sostenuto di essere stata vittima di violenza sessuale da parte di un non meglio specificato "tassista abusivo" contattato per farsi portare al Santa Maria della Misericordia ha ammesso di essersi procurata da sola, a casa con una lametta, ferite alle mani e al volto e di essersi inventata tutto per paura che il fidanzato, in seguito a un litigio, potesse troncare la relazione.

E' stata così denunciata dagli stessi militari per procurato allarme e simulazione di reato. Le indagini - riferisce l'Arma - sono state condotte attraverso riscontri testimoniali e hanno permesso di raccogliere quelli che sono ritenuti "gravi e concordanti" indizi a carico della giovane, ora al vaglio dell'Autorità giudiziaria. In particolare i carabinieri hanno rilevato nel racconto della donna diversi aspetti considerati non chiari se non "palesemente" contradditori, con incongruenze nel racconto. 

Questa - sempre in base alla ricostruzione degli investigatori - ha quindi ammesso di essersi procurata da sola le ferite.

(ANSA il 4 febbraio 2022) - Una ragazzina di 12 anni sarebbe stata abusata sessualmente dal compagno della madre, un 40enne, con la complicità della stessa donna, che avrebbe organizzato l'incontro con la figlia, nella sua casa, come una sorta di 'regalo' per l'uomo. La vicenda è emersa in Tribunale a Treviso - riporta la stampa locale - nell'incidente probatorio durante il quale il giudice ha ascoltato la vittima, che oggi ha 14 anni. I fatti risalgono all'estate del 2020, quando la madre dell'adolescente aveva invitato il nuovo compagno a farle visita a casa, nel trevigiano.

Dopo la denuncia, scaturita dalle confidenze che la 12enne aveva fatto alla nuova compagna del padre, era scattata l'inchiesta che ha portato all'arresto del 40enne, ora ai domiciliari, e all'iscrizione nel registro indagini della madre della giovane. Sono accusati entrambi di violenza sessuale. Gli abusi sarebbero avvenuti nella cameretta della 12enne, partecipe alle violenze la stessa donna. Il 40enne, attraverso i propri legali, si è detto estraneo alle contestazioni.

"Mi ha dato quelle gocce, poi ha iniziato a toccarmi ansimando": il racconto dell'orrore della studentessa stuprata dal soccorritore in ambulanza. Isabella Maselli su La Repubblica il 03 febbraio 2022.

E' il racconto tra le lacrime della studentessa universitaria barese, vittima di una presunta violenza sessuale subita mentre era in corso la festa di Halloween, nel Palaghiaccio di Bari, dove era andata con alcuni amici

"Io ero distesa, lui in piedi e con le mani mi toccava le mie parti intime scostando la mutandina. Ero lì bloccata, mi sentivo stordita ed inerme. Ricordo che lui faceva dei versi, quelli che fa un uomo quando è in fase di eccitazione e non ricordo però se diceva qualcosa, i versi però credetemi, li ricordo bene, ribadisco che erano quelli di un uomo molto eccitato.

Ubriaca e sedata in ambulanza, il 36enne la stupra. Marco Leardi il 2 Febbraio 2022 su Il Giornale.

In manette un paramedico 36enne di Bari. Secondo l'accusa, avrebbe abusato in ambulanza di una studentessa approfittando del suo stato alterato. "È in buone mani", avrebbe assicurato agli amici dei lei.

La testimonianza choc della presunta vittima, una studentessa universitaria, è stata dettagliata, precisa. Anche negli aspetti più scabrosi. La notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre scorsi, un paramedico volontario di 36 anni avrebbe abusato di lei dentro un'ambulanza, approfittando del fatto che si fosse sentita male per aver bevuto troppo a una festa. L'uomo, Gaetano Notaro, è ora finito in manette con l'accusa di violenza sessuale aggravata. Secondo la procura, la giovane sarebbe anche stata sedata e trattenuta per oltre due ore nella vettura di prima assistenza.

L'episodio sarebbe avvenuto all'esterno del Palaghiaccio di Bari, dove era stata organizzata la festa. Per la presunta vittima, quella notte di Halloween trascorsa inizialmente nella spensieratezza si è trasformata in un vero e proprio incubo. Stando a quanto scritto nell'ordinanza di arresto, il 36enne avrebbe "abusato della sua funzione e della minorata difesa" della giovane, in quanto "ubriaca e in stato di semi incoscienza, probabilmente indotta alla sonnolenza attraverso la somministrazione di gocce". In quel modo, il paramedico malintenzionato l'avrebbe "costretta a subire atti sessuali". L'uomo, secondo quanto si apprende, aveva precedenti denunce per stalking e violenza sessuale.

Dalle indagini della Procura di Bari, coordinate dal pm Gaetano De Bari, emergono ulteriori dettagli su quella terribile serata. Ai coetanei che erano alla festa sarebbe stato impedito per circa due ore di vedere la studentessa. "Gli amici hanno raccontato delle incomprensibili ostilità opposte dall'operatore dell'ambulanza a permettere loro di vedere o parlare" con lei, si legge nell'ordinanza di arresto. "Puoi andare via, ora è in mani sicure", avrebbe detto il paramedico all'amica che aveva soccorso la studentessa ubriaca.

La denuncia da parte della giovane è stata presentata circa due settimane dopo il fatto. La ragazza, rivolgendosi a un centro antiviolenza, al Policlinico di Bari e poi alle forze dell'ordine, ha raccontato la propria versione dei fatti, che agli investigatori è parsa sin da subito degna di attenzione. Agli inquirenti, ha fornito un racconto "estremamente dettagliato e coerente", scrive la gip Rosa Caramia. Pertanto, le sue dichiarazioni vengono ritenute "attendibili" e "credibili". Secondo quanto annotato dal giudice, la presunta vittima "ha descritto i particolari dell'abuso subito, descrivendone lucidamente ogni dettaglio, anche i più umilianti" e non ci sono elementi per "ipotizzare che siano frutto di intenti calunniosi".

Sulla base di quelle testimonianze, gli investigatori hanno fatto partire gli accertamenti e per il 36enne è successivamente scattato l'arresto. Nell’ordinanza, peraltro, la gip ritiene sussistente il pericolo di reiterazione del reato in quanto l'uomo è un operatore di ambulanza e potrebbe ripetere "le odiose condotte di aggressione alla sfera sessuale in occasione di feste o altri eventi cui partecipano giovani ragazze".

Marco Leardi. Classe 1989. Vivo a Crema dove sono nato. Ho una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa, sono giornalista. Da oltre 10 anni racconto la tv dietro le quinte, ma seguo anche la politica e la cronaca. Amo il mare e Capri, la mia isola del cuore. Detesto invece il politicamente corretto. Cattolico praticante, incorreggibile interista.

Pierangelo Sapegno per "la Stampa" il 2 febbraio 2022.

Hanno 15 anni. La vittima è lei, che davanti al giudice piange senza capire, «credevo fosse un amico», dice. Dalla casa del suo «amico» mandava messaggi disperati alla sorella più grande: «Aiuto», «Vieni a prendermi». Stupro di gruppo, forse. Agli atti c'è scritto: «Come sembra, tutti i ragazzi presenti hanno avuto rapporti sessuali con la minore». Ma lei ne ricorda uno solo: «Lui era steso sopra di me. Mi ha fatto male. Ero impotente e non riuscivo a muovermi».

Anche lui ha quindici anni. Quando arrivano i carabinieri si nasconde dietro la casa e chiama al telefono suo padre che lo venga a salvare. Prima aveva mandato dei messaggi whatsapp a uno degli altri due che erano insieme a loro in quella casa: «Fra', questa è da due ore che parla di stupro... siamo nella merda». Mandala a casa, gli ha risposto quello. «Fra', aiutami». «Fra'» è la versione italiana di «Bro», l'abbreviazione di fratello, nel gergo sincopato della generazione Zeta, quella della globalizzazione e dei figli di questi deserti che ci crescono intorno. Gli altri messaggi li ha cancellati, ma i carabinieri li stanno recuperando. Hanno tutti 15 anni.

Come i ragazzi di Lucca che si sono dati appuntamento attraverso i social sulla sponda del fiume Serchio per prendersi a bastonate senza un motivo e siccome le mazze non bastavano hanno tirato pure fuori un coltello, che ha reciso l'intestino a uno di loro, un quindicenne, ricoverato in prognosi riservata. Come i cinque ragazzi di Pinerolo che hanno gettato per scherzo un masso di otto chili dal cavalcavia dell'autostrada, sfondando il cofano di una vettura di passaggio.

Come quelli che in chat divulgano materiale pedopornografico o inneggiano al nazismo, appena scoperti in mezza Italia dalla Polizia postale. C'è una cosa che accomuna sempre tutte queste espressioni di violenza: l'incapacità di coglierne il senso, di riconoscere le regole e i confini attorno alla loro vita. La cronaca dice che è capitato venerdì scorso a Reggio Emilia. 

Cinque ragazzi, compagni di classe, due femmine e tre maschi. Non vanno a scuola e decidono di fare festa, nell'appartamento di uno di loro: genitori separati, la mamma è al lavoro. Casa libera, vodka, vino e alcol a volontà. A un certo punto una delle ragazze resta da sola con i tre compagni, perché l'altra ha voluto andarsene via. L'incubo per lei comincia adesso. Le testimonianze dicono che «ha vomitato un mucchio di volte», che stava male. Lei è completamente ubriaca, non si rende conto perfettamente di quello che succede.

Ma a un certo punto ha male, urla. È come se si svegliasse con il corpo nudo del suo amico sopra il suo. Piange, chiama la sorella supplicandola di aiutarla, le scrive: «Voglio solo te. Vieni a prendermi». Quando lei arriva sono all'incirca del tre pomeriggio. La sua chiamata al 112 è delle 15,20: «Sono in strada con mia sorella. È stata stuprata». I carabinieri arrivano subito, lei è sotto choc, indica la casa dove è stata stuprata e fa il nome del suo compagno. Fa solo il suo, gli altri non lo sa, non li ricorda. I carabinieri vanno alla casa, la porta è aperta, entrano, ma dentro non c'è nessuno. Lui è nascosto lì dietro, con il cellulare in mano che sta parlando con il papà, mentre sta gettando via le bottiglie di alcol nei cassonetti dell'immondizia.

La giovane vittima viene portata in ospedale. Le riscontrano un tasso alcolemico molto alto, sebbene siano già passate otto ore, ed «ecchimosi bluastre», che confermano le sue accuse. Il ragazzo, invece, spiegano gli inquirenti, «è sobrio». Viene portato al centro di prima accoglienza di Bologna, ma da lunedì, dopo l'udienza di convalida davanti al giudice del tribunale dei minorenni, si trova ai domiciliari. Reato di violenza sessuale, aggravato dall'aver approfittato di una minore, per di più in condizioni di debolezza fisica e psichica. Gli sono stati concessi i domiciliari, dice il suo avvocato, Giacomo Fornaciari, anche perché è incensurato. Sono tutti ragazzi di buona famiglia.

Sono sempre ragazzi di buona famiglia, lo erano anche negli altri casi che ci tocca raccontare con la stessa vergogna e lo stesso fastidio. Henning Koheler, terapeuta per l'infanzia e l'adolescenza, fondatore di una scuola che ospita ragazzi difficili, sostiene che i tratti comuni della loro violenza siano la sofferenza e la noia. Sono ragazzi che vedono la vita come una lunga linea grigia, inutile, ripetitiva, senza significato. Sono come dei deserti, aridi e silenziosi. Dietro a un ragazzo violento, sostiene Koheler, «non c'è la colpa delle famiglie, ma la responsabilità del come li facciamo vivere». Ma se è così, non è una assoluzione. È una chiamata di correo. Intanto però che cosa facciamo per proteggere le vittime?

Estratto dell'articolo di Antonello Guerrera per "la Repubblica" il 31 gennaio 2022.

È un caso che ha scioccato la Premier League e il Regno Unito. Le accuse contro Mason Greenwood, giovane stella del Manchester United e della nazionale inglese, sono pesantissime: molestie, violenza domestica, stupro. 

Ma è anche un giallo: perché le immagini e gli audio della vittima, Harriet Robson, influencer inglese 21enne, sono stati successivamente cancellati dai social, nonché smentiti dal padre della giovane.

Che ha chiuso quasi del tutto il suo profilo, celandosi nel silenzio. Intanto, Mason Greenwood, 20 anni, ala dei Red Devils e uno degli attaccanti più promettenti d'Inghilterra e dei "Tre Leoni", è stato prima sospeso dallo United, poi arrestato dalla polizia di Greater Manchester, attivatasi dopo i post shock apparsi ieri mattina sul seguitissimo profilo Instagram di Harrie Robson, che conta oltre 500mila follower, e poi rimossi quando lo scandalo era già diventato internazionale. 

I contenuti, ora resi non più disponibili da Robson, sono agghiaccianti. Una foto della ragazza, che sembra da qualche tempo in una relazione sentimentale con il calciatore, con il sangue che sgorga dalla bocca e la scritta sotto: "Ecco come mi tratta Mason Greenwood".

Un video di lei in lacrime. Altri due scatti di lividi su tutto il corpo, braccia e spalle tumefatte. E poi un audio cruento: con una voce maschile, presumibilmente Greenwood, che chiede a una ragazza, probabilmente Robson, di "aprire le gambe". 

La donna che risponde più volte "no, non voglio fare sesso", e allora l'uomo "tu fai il caz*o che dico io" e ripetutamente "decido io se sco*arti" e altre bestialità criminali.

Predatore a colpi di benzodiazepine. Così Di Fazio "collezionava" le ragazze. Gianluigi Nuzzi il 6 Maggio 2022 su Il Giornale.

Nuzzi racconta la Milano dei "mostri" insospettabili. E pubblica i dossier più scottanti, dal manager farmaceutico a Genovese.

Pubblichiamo un estratto del libro di Gianluigi Nuzzi I Predatori (tra noi). Soldi, droga, stupri: la deriva barbarica degli italiani (Rizzoli, 288 pagine, 19 euro). Così inizia il capitolo sul manager farmaceutico milanese Antonio Di Fazio.

L' album dell'orrore contiene sessantun fotografie di giovani donne. Alcune riverse a terra in salotto, altre incoscienti sul letto, con il volto tra il materasso e la parete. Gli occhi chiusi, i corpi abbandonati. Gli scatti le mostrano in posizioni contro natura, a volte fetali. Le espressioni facciali sono anomale, vuote, è evidente che sono state narcotizzate. Sono tutte prive degli indumenti intimi, gli organi genitali in vista, spesso in primo piano, con una mano che talvolta allarga le natiche per renderli meglio visibili. Tutte inconsapevoli di quanto accadeva intorno a loro. Bionde, castane, more, si assomigliano solo per la giovane età e lo stato catatonico. Disponibili per il predatore che osserva, fotografa, tocca. E si eccita. La tana del predatore è nel cuore di Milano, un appartamento elegante di 210 metri quadrati al secondo piano di un palazzo signorile a pochi passi dal parco Sempione.

Vive qui Antonio Di Fazio, benestante industriale farmaceutico, classe 1971. Divide i dieci locali con l'anziana mamma e il figlio di appena 12 anni. La loro presenza, la sensazione di famiglia che danno, induce molte ragazze a entrare in quella casa, a fidarsi. Ma quando parte l'impulso, Di Fazio si isola con la vittima, chiude le porte, somministra benzodiazepine insapori, stordenti, celate in una bevanda, e avvia il rito.

Di quest'almanacco, le ultime sette foto risalgono al 27 marzo 2021, scattate tra le 00.20 e le 00.27 nel salotto. Ritraggono una ragazza snella, seminuda, con addosso gli slip e i pantaloni abbassati, sdraiata sul fianco destro in posizione fetale sul pavimento di parquet. Gli occhi chiusi, una mano sotto il volto, appare catatonica. Questa ragazza ha incontrato il predatore per lavoro e la sua vita è cambiata. «Il nome che voglio scegliere per proteggermi? Chiara, indicami con il nome di Chiara» mi dice quando la incontro. Sportiva, oggi ventiduenne, i limpidi occhi verdi, è venuta dal Sud per frequentare l'università Bocconi ed è caduta in questa mattanza che durava da anni. Senza la sua denuncia, il predatore sarebbe andato avanti chissà per quanto ancora. Dopo mesi di indugi, Chiara riprova a fidarsi di un uomo con più del doppio dei suoi anni e decide di incontrarmi (...): « Bevuto il caffè, dopo pochi minuti, ho cominciato a sentirmi strana, spossata. Gli ho chiesto di mangiare qualcosa per riprendermi e lui mi ha portato un succo d'arancia. Ho bevuto, ma l'effetto è stato sorprendente: mi sentivo ancora peggio, come fossi dissociata. Ricordo di aver detto che stavo male... ma sembrava che a lui non interessasse. Non mi ha aiutato. Non ha chiamato un'ambulanza. Ho perso i sensi e non ricordo più cosa mi sia successo. Dal mio cellulare alle 21.26 era partito un messaggio al mio fidanzato nel quale scrivevo «Sonno da amici», con un errore grammaticale che mai avrei compiuto. Mi sono assopita, risvegliandomi soltanto perché qualcuno stava tirando giù i miei pantaloni elasticizzati neri... A un tratto ho percepito le sue mani addosso, sotto l'elastico dei pantaloni, ho avuto una reazione, mi sembra di essermi mossa... Nemmeno ricordo se ancora indossavo la maglia... Sono stata vittima di violenza sessuale tra le 17.40 e le 19, eppure il mio stato di incoscienza era tale che non sono in grado di ricordare se mi abbia toccato, né ricordo di aver avvertito la sua presenza su di me, né di come sono giunta a casa dove sono collassata sul letto».

Stupri, chiesti nove anni per Di Fazio. Luca Fazzo l'1 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il manager è accusato di 6 violenze sessuali e del tentato omicidio dell'ex moglie.

Accusata nei giorni scorsi di avere concesso con troppa indulgenza a un violentatore seriale come Antonio Di Fazio di uscire dal carcere per andarsi a curare in una comunità, ieri la Procura di Milano si riscatta proponendo per l'ex manager farmaceutico una pena assai severa. Per la lunga serie di stupri di cui è chiaramente colpevole, il pm Alessia Menegazzo chiede che Di Fazio venga condannato a nove anni e mezzo di carcere. Il totale sarebbe di tredici anni e mezzo, quasi il massimo della pena. Ma lo sconto del rito abbreviato, che ha chiesto e non gli può essere negato, potrà consentire a Di Fazio - che è in larga parte reo confesso - di limitare i danni.

Linea dura, dunque, nonostante il manager abbia cercato di costruirsi una sorta di alibi fatto di fragilità mentali e dipendenze da farmaci e droghe. Nella sua requisitoria la pm Menegazzo riconosce che i gravi disturbi della personalità di Antonio Di Fazio sono la «chiave di lettura» dei suo delitti, il «filo rosso» che collega tutti i suoi stupri. Ma in nessun modo quei disturbi hanno intaccato la lucidità del suo agire, la sua consapevolezza di compiere un crimine. Non a caso lo schema, ricostruito in udienza dal pm, era sostanzialmente sempre lo stesso. L'attrazione della vittima prescelta, la seduzione, l'apparenza di un rapporto «normale». Poi, passo dopo passo, la perversione che entra in scena, con le donne rese incoscienti e colpi di psicofarmaci, e poi una volta in balia di Fazio rese oggetti, stuprate, fotografate in ogni posa.

In questo modo il manager avrebbe violentato almeno sei vittime. Alla denuncia della prima ragazza se ne sono aggiunte altre, compresa quella della ex moglie. Stavolta non ci sono i video delle telecamere di sorveglianza come nel caso assai simile di Alberto Genovese, l'imprenditore delle new economy che il prossimo 5 aprile dovrà affrontare l'udienza preliminare. Ma le fotografie scattate da Di Fazio e trovate dagli inquirenti sono, anche se più parziali, altrettanto sufficienti a documentare il grado di incoscienza in cui le vittime erano ridotte. E che era la condizione voluta dal manager per sfogare la sua ansia di dominio.

Sandro De Riccardis e Luca De Vito per repubblica.it il 25 gennaio 2022.  

Per ogni violenza, un tentativo di giustificazione. Per ogni donna drogata, spogliata, fotografata e abusata, il tentativo di spiegare, smussare le accuse, trovare una via d'uscita. È il 10 dicembre scorso. Di fronte alle foto delle vittime che scorrono sul tavolo Antonio Di Fazio, a processo per sei episodi che seguono tutti lo stesso schema criminale, cerca ogni volta di trovare una ragione che giustifichi gli orrori. Ammette di aver attirato nei suoi uffici la studentessa bocconiana con la promessa di un lavoro in azienda, di aver presentato una pretestuosa denuncia di estorsione contro di lei e di aver minacciato il suo fidanzato.

"Voglio precisare - dice davanti al procuratore aggiunto Letizia Mannella e al pm Alessia Menegazzo - di aver incontrato molte difficoltà personali nel mio percorso di crescita. Con un padre considerato perfetto, con una sorella di fama internazionale, mi sono misurato tutta la vita con l'ansia di prestazione. 

Essere Antonio Di Fazio non è stato facile. Preciso che dal 2009 ho dipendenza da alcol e psicofarmaci. (..) È stata una pulsione irrazionale che mi ha colto senza premeditazione. Sto lavorando con i miei terapisti su questa pulsione che mi ha portato a drogare questa ragazza. (...) Sono talmente addolorato, adesso che ho capito quello che ho fatto, che ho anche pensato di togliermi la vita e vi ringrazio per avermi messo in isolamento". 

L'uso del benzodiazepine era una consuetudine. Tanto che Di Fazio ha falsificato decine di ricette mediche rubandole alla sorella medico. "Le ho sottratte dalla sua abitazione. Lei è completamente estranea ai fatti. Avevo bisogno di una quantità sempre più elevata di farmaco perché, facendone uso da molto tempo in combinato con l'alcol, ormai non mi faceva più effetto. (..) Al fine di superare le frustrazioni quotidiane, lo stress, quando mio figlio non era con me univo le benzodiazepine all'alcol". 

Nell'interrogatorio in procura, alla presenza anche dei carabinieri del reparto operativo e della compagnia Monforte, Di Fazio riconosce le immagini di molte altre ragazze. "Sto affrontando una terapia per un problema che ho legato a una pulsione sessuale sadomaso. Penso che questo spieghi anche la mia ossessione per la ricerca in rete sul tema "sesso con ragazze narcotizzate con cloroformio"". 

Davanti alle foto di un'altra vittima, dice: "Le ho somministrato le benzodiazepine a sua insaputa per zittirla. Questo tipo di dinamica l'avevo posa in essere anche con la mia ex moglie, mi è capitato che per zittirla le avessi somministrato quella sostanza". È questo il caso per cui l'imprenditore deve rispondere anche di tentato omicidio. Altre immagini di donne scorrono sul tavolo.

"Lei l'ho conosciuta in un periodo in cui ero in crisi e solo per un weekend. (..) Le ho somministrato benzodiazepine senza il consenso, per zittirla e in una notte diversa da quella ritratta nelle foto del fascicolo". Altre foto della stessa ragazza: "Sono state scattate da me mentre era ubriaca e senza il suo consenso. (..) La sera dopo le ho somministrato la sostanza per farla tacere perché non mi piaceva". 

Parlando ancora della ex moglie, ribadisce: "Le ho somministrato benzodiazepine non per fotografarla ma per paralizzare le sue iniziative moleste nei miei confronti". Poi ritorna a parlare della bocconiana, la ragazza che con la sua denuncia ha fatto scoprire le tante vittime finite nella sua trappola, fino ad allora rimaste in silenzio. "Ho somministrato benzodiazepine alle ragazze quando mio figlio non era in casa. L'unica volta in cui l'ho fatto con lui in casa è successo con la ragazza che mi ha denunciato perché non era stato pianificato ed è stato un impulso. Mio figlio quella sera è stato in salone fino alle 23. Quando ho drogato la ragazza mio figlio era nella sua camera e mia madre nella sua". 

“Avevo pulsioni sadomaso che non riuscivo a controllare”, Antonio Di Fazio ammette le violenze. Elena Del Mastro su Il Riformista il 25 Gennaio 2022. 

Antonio Di Fazio, l’imprenditore milanese, è finito a processo per aver drogato e violentato alcune studentesse e di aver tentato di uccidere sua moglie. Sono sei gli episodi, tutti secondo lo stesso schema, che gli sono imputati. Di fronte alle foto delle vittime che durante il processo del 10 dicembre sono state fatte scorrere sul tavolo Di Fazio ha spiegato quello che è successo.

Secondo quanto riportato da Repubblica, Di Fazio ha ammesso di aver attirato eni suoi uffici la studentessa bocconiana con la promessa di un lavoro e anche di aver presentato una denuncia di estorsione nei suoi confronti e di aver minacciato il fidanzato. “Voglio precisare – ha detto davanti al procuratore aggiunto Letizia Mannella e al pm Alessia Menegazzo come riporta Repubblica citando i verbali – di aver incontrato molte difficoltà personali nel mio percorso di crescita. Con un padre considerato perfetto, con una sorella di fama internazionale, mi sono misurato tutta la vita con l’ansia di prestazione. Essere Antonio Di Fazio non è stato facile. Preciso che dal 2009 ho dipendenza da alcol e psicofarmaci. (..) È stata una pulsione irrazionale che mi ha colto senza premeditazione. Sto lavorando con i miei terapisti su questa pulsione che mi ha portato a drogare questa ragazza. (…) Sono talmente addolorato, adesso che ho capito quello che ho fatto, che ho anche pensato di togliermi la vita e vi ringrazio per avermi messo in isolamento”.

Di Fazio avrebbe anche ammesso di aver falsificato ricette della sorella medico per le benzodiazepine, i farmaci con cui narcotizzava le vittime. “Le ho sottratte dalla sua abitazione. Lei è completamente estranea ai fatti. Avevo bisogno di una quantità sempre più elevata di farmaco perché, facendone uso da molto tempo in combinato con l’alcol, ormai non mi faceva più effetto. (..) Al fine di superare le frustrazioni quotidiane, lo stress, quando mio figlio non era con me univo le benzodiazepine all’alcol”.

E ancora racconta il suo dramma: “Sto affrontando una terapia per un problema che ho legato a una pulsione sessuale sadomaso. Penso che questo spieghi anche la mia ossessione per la ricerca in rete sul tema “sesso con ragazze narcotizzate con cloroformio””. Davanti alle foto di un’altra vittima, dice: “Le ho somministrato le benzodiazepine a sua insaputa per zittirla. Questo tipo di dinamica l’avevo posa in essere anche con la mia ex moglie, mi è capitato che per zittirla le avessi somministrato quella sostanza”.

È questo il caso per cui l’imprenditore deve rispondere anche di tentato omicidio. Altre immagini di donne scorrono sul tavolo. “Lei l’ho conosciuta in un periodo in cui ero in crisi e solo per un weekend. (..) Le ho somministrato benzodiazepine senza il consenso, per zittirla e in una notte diversa da quella ritratta nelle foto del fascicolo”. Altre foto della stessa ragazza: “Sono state scattate da me mentre era ubriaca e senza il suo consenso. (..) La sera dopo le ho somministrato la sostanza per farla tacere perché non mi piaceva”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Gianluigi Nuzzi per "la Stampa" il 21 Febbraio 2022.  

Il predatore sessuale esce dal carcere perché, tra l'altro, ha provato a uccidersi ma lo stesso nega di aver mai voluto suicidarsi. Accade anche questo nelle storie che a Milano si intrecciano sui diversi molestatori seriali che agiscono con l'uso di droghe e farmaci per colpire le vittime, riducendole a bambole di pezza prive di difese e, l'indomani, di memoria. Dopo Alberto Genovese, che aveva illuminato le cronache con gli scempi a Terrazza Sentimento, anche Antonio Di Fazio, l'imprenditore farmaceutico accusato di abusi sessuali su sei donne narcotizzandole in casa con benzodiazepine, finisce ai domiciliari nelle comunità terapeutiche Crest. Ma la scelta solleva le critiche delle parti offese.

Il gip di Milano Anna Magelli ha fatto uscire Di Fazio dal carcere di San Vittore per un percorso curativo in una clinica specializzata, su parere favorevole della procura. Ma è giusto che dopo otto mesi quest' uomo debba lasciare il carcere, seppure abbia al polso un braccialetto elettronico per impedirne la fuga?

La decisione spetta ovviamente ai giudici e va rispettata ma ha suscitato non poca sorpresa che tra i motivi a sostegno della decisione abbia pesato il «forte legame con il figlio che lo avrebbe fatto desistere dal serio tentativo suicidario per impiccagione intentato il 29 settembre scorso». 

In particolare, il giudice valorizza il percorso psicoterapeutico avviato perché, scrive, «lo ha portato a prendere coscienza della estrema gravità delle condotte tenute e delle conseguenze della sua carcerazione che possono essere determinate a pregiudizio dell'equilibrio emotivo e psicologico del figlio minore; presa di coscienza che lo ha condotto a un certo punto ad intentare un serio tentativo di suicidio per impiccagione, il che porta a ritenere il pericolo di ricaduta in delitti della stessa natura come apprezzabilmente attenuato».

Agli atti però si trova un documento che sembra smentire l'episodio stesso. È una dichiarazione, su carta intestata dell'ufficio di polizia giudiziaria della penitenziaria del carcere, davanti al vice sovrintendente Daniele Zago, firmata dallo stesso Di Fazio, risalente al primo pomeriggio del 30 settembre, ovvero il giorno dopo il presunto drammatico episodio. 

L'imprenditore nega con forza qualsiasi intento autodistruttivo: «Come già riferito al comandante, nego di aver posto in essere un gesto suicidario e altresì alla visita effettuata dal medico al locale pronto soccorso non ho riferito di averlo posto. Ho solo detto che avevo un umore deflesso che mi portava ad avere una condizione psicologica molto fragile ed altresì che questa condizione mi portava ad avere frequenti pianti. Né ieri né mai durante la mia fase processuale ho pensato di suicidarmi o farmi del male. Probabilmente una frase da me pronunciata al medico è stata male interpretata. Non ho manifestato intenti suicidari».

Ma allora cosa è accaduto? In attesa dell'udienza del rito abbreviato emergono anche altri punti da chiarire. Nella richiesta di mandare il loro assistito in comunità, i difensori del Di Fazio sottolineano anche che tale scelta andrebbe a completare il processo che lo ha portato a una rilettura critica della propria personalità e delle proprie problematiche. E su questo pare che ancora una parte significativa del percorso vada di certo compiuta. 

Basta rileggere le relazioni all'autorità giudiziaria degli psicologi sugli incontri recenti con il figlio in cui, oltre a momenti di apprezzato recupero della genitorialità, si evidenziano atteggiamenti che tanto ricordano il passato quando Di Fazio per l'accusa si imponeva sulle donne abusate.

«Non sono mancate però le descrizioni sensazionalistiche di eventi occorsi in carcere (aggressioni tra detenuti, malesseri propri e dei suoi compagni, condizioni igienico-sanitarie estreme) - si legge ne documento - e le narrazioni di rapporti quotidiani improntati su un registro poco credibile di grandiosità (intimità e complicità con le guardie carcerarie; attività di aiuto, sostegno e guida a detenuti descritti come totalmente inetti; supervisione e formazione da parte sua del personale medico del carcere incompetente in materia di farmaci e terapie; "proposte di matrimonio" da parte di varie donne tra un'udienza e l'altra).

Si è notata, soprattutto nel terzo incontro, l'intrusione di temi incongrui e non pertinenti alla relazione padre-figlio (dettagli su questioni finanziarie e lavorative, inutili risvolti mediatici, vicende investigative e processuali, personaggi famosi citati fuori luogo, rapporti confidenziali e poco credibili con donne influenti che lo circondano in questo periodo) che attengono ancora una volta al proprio registro di funzionamento. Talvolta le figure femminili sono apparse svalutate: «Solo P. è stata una donna con la D maiuscola... con tutte le altre (fidanzate) ci laviamo i pavimenti...».

Per queste vicende, la scelta di far uscire Di Fazio dal carcere provoca l'indignazione di alcune parti offese e dei loro difensori. C'è chi sta valutando se partecipare ancora al dibattimento, chi invece ha trovato insuperabile la serie di menzogne rifilate dal Di Fazio persino nell'interrogatorio del dicembre scorso quando, ad esempio, affermava che Chiara, l'ultima vittima, studentessa alla Bocconi, si era avvicinata a lui con l'intento di baciarlo: «C'era uno stato di ebbrezza molto elevato in quel momento perché erano già partiti due giri pesanti di, ripeto, spritz Campari e Tanqueray ed una bottiglia di Amarone della Valpolicella». Peccato che gli esami sull'alcolemia della ragazza al pronto soccorso fossero incompatibili con quegli alcolici, mentre le benzodiazepine erano a livello assai superiore al grado di tossicità.

Di Fazio già fuori dal carcere. L'indignazione delle vittime. Diana Alfieri il 22 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Al manager, accusato di vari stupri, applicato il braccialetto elettronico a 8 mesi dall'arresto. È ancora nel carcere di San Vittore in attesa del braccialetto elettronico necessario per essere trasferito in regime di detenzione in una struttura psichiatrica, Antonio Di Fazio, l'imprenditore farmaceutico arrestato lo scorso maggio con l'accusa di aver narcotizzato e violentato alcune giovani ragazze e per il tentato omicidio della ex moglie. Il braccialetto elettronico dovrebbe arrivare domani, dopo di che, come ha disposto il gup, Di Fazio dovrebbe entrare in un centro del Crest. Così in una nota, Riccardo Targetti, il procuratore facente funzione di Milano, ha voluto precisare che «le notizie di stampa secondo cui Antonio Di Fazio, imputato di numerose violenze sessuali, sarebbe stato «scarcerato già giovedì scorso sono errate». Una «precisazione», quella del procuratore Targetti, che, al di là del giorno «errato» della «scarcerazione», conferma nella sostanza tutto quanto scritto ieri su La Stampa e il giorno prima su Il Giorno. Il procuratore Targetti ha poi sottolineato nella sua nota che «Di Fazio è tutt'ora detenuto presso il carcere di San Vittore e continuerà ad affrontare in stato di detenzione il processo con il rito abbreviato tutt'ora in corso». Sta di fatto che il gup, «su istanza dei difensori e con il parere favorevole della procura», ha ordinato il trasferimento dell'imputato in una «comunità protetta ad alta intensità di protezione, ove rimarrà in stato di detenzione con braccialetto elettronico e pertanto nella pratica impossibilità di muoversi e di comunicare con persone diverse dai difensori e dai familiari». «Questo comunicato - ha aggiunto Targetti - si è reso necessario per rassicurare le vittime alle quali l'errata notizia della scarcerazione ha creato un gravissimo e giustificato allarme».

Fra i motivi per cui ha acconsentito alla richiesta presentata dai difensori di Di Fazio, il guop ha scritto che c'è «il forte legame con il figlio che lo avrebbe fatto desistere dal serio tentativo suicidiario per impiccagione intentato il 29 settembre scorso». Tentativo che in una dichiarazione intestata all'ufficio di polizia giudiziaria il 30 settembre lo stesso Di Fazio ha smentito: «Né ieri né mai durante la mia fase processuale - ha assicurato - ho pensato di suicidarmi o farmi del male. Probabilmente una frase da me pronunciata al medico è stata male interpretata». Ma fra le parti offese c'è chi si è indignato per la concessione dei domiciliari, anche alla luce delle relazioni all'autorità giudiziaria degli psicologi proprio sugli incontri padre-figlio in cui si sono visti anche atteggiamenti e commenti «fuori luogo», come «descrizioni sensazionalistiche» della vita in carcere, proposte di matrimonio arrivate da sue fan e un atteggiamento dispregiativo nei confronti delle donne: «Solo P. è stata una donna con la D maiuscola... con le altre (fidanzate) ci laviamo i pavimenti...', avrebbe detto Di Fazio.

Una ricostruzione smentita dai legali di Di Fazio che tengono a sottolineare come tutto l'iter giudiziario relativo al proprio cliente si stia svolgendo all'insegna della «massima trasparenza e correttezza legale». Diana Alfieri

Giuseppe Guastella per milano.corriere.it l'8 aprile 2022.

Nonostante il rito abbreviato, che di per sé impone il taglio di un terzo della pena finale, l’imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio non evita una pena severa: 15 anni e mezzo di reclusione per le violenze sessuali e gli abusi fatti narcotizzando con benzodiazepine sei donne attratte nella sua abitazione con un pretesto. Il giudice per l’udienza preliminare di Milano Anna Magelli non accoglie la richiesta della procura che avrebbe voluto per Di Fazio una condanna, per così dire, più mite a 9 anni di carcere, che più sarebbero stati 13 e mezzo senza l’abbreviato, e infligge all’uomo una pena più pesante per la violenza del maggio scorso ad una studentessa 21enne, che aveva attirato nel suo appartamento con la scusa di uno stage, e poi aveva anche fotografato. 

Al questa condanna il giudice somma quelle per gli analoghi abusi fatti su altre cinque donne, tra cui l’ex moglie di Di Fazio, per la quale l’uomo rispondeva anche di lesioni, stalking e maltrattamenti in famiglia, scoperti come il primo episodio durante le indagini dell’aggiunto Letizia Mannella e del pm Alessia Menegazzo.

Non riconosciuta la «continuazione» tra i reati

La condanna per Di Fazio, che da febbraio è agli arresti domiciliari in cura in una struttura psichiatrica, supera le richieste della Procura perché il giudice Anna Magelli non ha riconosciuto la continuazione tra i vari e episodi , che porta ad una diminuzione della pena complessiva, ma ha condannato Di Fazio sommando le pene per ogni episodio per il quale è stato riconosciuto colpevole. Fissati anche i risarcimenti che l’uomo dovrà versare alle vittime: 98mila euro per la studentessa e 14mila per altre parti civili. «Siamo soddisfatti perché è stato accolto l’impianto accusatorio», hanno spiegato alcuni dei legali di parte civile, tra cui gli avvocati Laura Panciroli, Monica Monteverde e Andrea Prudenzano.

Il calcolo della pena

Di Fazio è stato condannato a 6 anni e 2 mesi per la violenza ai danni della studentessa 21enne e a 7 anni e 10 mesi per gli episodi nei confronti di altre quattro giovani che avevano avuto relazioni per brevi periodi con lui. Casi questi per i quali il giudice ha riconosciuto la violenza sessuale per le fotografie scattate quando erano state narcotizzate. Solo per una delle vicende ai danni di una delle ex fidanzate il gup ha riqualificato l’accusa da violenza sessuale a «stato di incapacità procurato mediante violenza». Per gli altri fatti contestati, quelli nei confronti della ex moglie, Di Fazio è stato condannato a 1 anno e 6 mesi per maltrattamenti. Le imputazioni di violenza e lesioni si sono prescritte. Tutte le pene inflitte, sommate, hanno portato alla condanna a 15 anni e mezzo. 

La difesa: «Stessa pena a Stasi per omicidio»

«È una pena severa. Aspettiamo di leggere le motivazioni per capire e poi impugnare», è il commento dell’avvocato Mauro Carelli, che assieme alla collega Giuseppina Cimmarusti difende Antonio Di Fazio. «È una pena alta se consideriamo, per esempio - ha aggiunto - che Alberto Stasi, per l’omicidio di Chiara Poggi, è stato condannato sempre in abbreviato a 16 anni di carcere. La procura aveva chiesto 9 anni, aspettiamo le motivazioni».

Antonio Di Fazio, le sei violenze, le droghe e i domiciliari nella clinica pschiatrica: perché la pena a 15 anni e mezzo di carcere. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 9 aprile 2022.

Condanna pesante all’imprenditore della Global Farma nonostante lo «sconto» in abbreviato. I giudici hanno considerato le violenze separatamente. La difesa: «Pena sproporzionata, a Stasi 16 anni per l’omicidio di Garlasco». 

Quante siano state le donne vittime delle violenze sessuali di Antonio Di Fazio probabilmente non sarà mai possibile saperlo, ma sono già tante, enormemente troppe le sei per le quali è stato condannato a 15 anni e mezzo di reclusione con una sentenza senza dubbio severa che lo sarebbe stata ancora di più se il rito abbreviato non garantisse lo sconto di un terzo della pena. Quando lo hanno arrestato il 19 maggio 2021, meno di un anno fa, i carabinieri diretti dal pm milanese Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella hanno scoperto nei cellulari e nei pc di Di Fazio, facoltoso imprenditore farmaceutico milanese di 50 anni, una galleria degli orrori. Donne tra i 21 e i 35 anni nude o seminude, fotografate in evidente stato di incoscienza durante pesanti, umilianti abusi sessuali che risalivano quantomeno al 2016. «Comportamenti seriali, caratterizzati da un modus operand i progressivamente affinato nel tempo e fattosi man mano sempre più subdolo e al contempo più spregiudicato», scrisse il gip Chiara Valori ordinando l’arresto.

Le droghe e le fragilità

Secondo la Procura, l’uomo aveva una consumata capacità di sedurre le donne che attraversavano momenti di particolare fragilità, quasi sempre dovuti a problemi economici, di lavoro o familiari. Guadagnata la loro fiducia, le convinceva a seguirlo in casa sua dove le narcotizzava rendendole incapaci «di agire a volte per giorni» per «soddisfare i propri impulsi sessuali», si legge nelle carte d’accusa. Gli investigatori riuscirono a dare un nome solo alle presunte vittime dei due anni precedenti. Alcune ricordavano qualcosa, avevano la netta sensazione di aver subito qualcosa di brutto da Di Fazio, ma non erano in grado di dire e ricostruire di più. Altre, pur avendo delle certezze su ciò che avevano dovuto subire, non avevano denunciato nulla perché, dice l’accusa, erano «palesemente intimorite dall’atteggiamento prepotente» dell’uomo. Spesso, infatti, si era vantato di avere tanti «rapporti altolocati», oppure «legati ai servizi segreti» o addirittura alla criminalità organizzata, che in passato erano stati più che sufficienti a scoraggiare chiunque, donne comprese, a denunciarlo.

La studentessa di 21 anni

Una, però, non si era lasciata intimidire. Una studentessa di 21 anni che Di Fazio, hanno ricostruito gli inquirenti, a fine maggio dell’anno scorso aveva attirato nel suo lussuoso appartamento con la scusa di uno stage «presso la sua Global Farma srl o presso clienti». Si era svegliata molte ore dopo in stato confusionale. Certa di essere stata violentata, era andata dai carabinieri. Le analisi avevano confermato che era stata narcotizzata con l’uso di benzodiazepine. Le perquisizioni portarono alla luce, oltre alle foto, diverse boccette di narcotico e una ricetta in bianco della sorella medico. Emersero anche le violenze e le vessazioni subite a partire dal 2008 anche dalla ex moglie quarantenne, dalla quale Di Fazio aveva avuto un figlio, che, interrogata, si liberò del suo calvario di minacce, maltrattamenti e stalking.

La clinica psichiatrica

Dopo l’arresto, Di Fazio ha ottenuto i domiciliari in una clinica psichiatrica dove è sorvegliato con il braccialetto elettronico. La Procura aveva chiesto una condanna a 9 anni, già di per sé severa considerando l’abbreviato, ma il giudice per l’udienza preliminare ha inflitto una pena molto più dura ritenendo le violenze non in «continuazione» tra loro, cioè come episodi di un unico disegno criminoso che avrebbe comportato una sanzione inferiore, ma ciascuna a sé stante, le cui pene vanno sommate l’una a l’altra. Fissati anche i risarcimenti alle vittime: 98 mila euro per la studentessa e 14 mila per ciascuna delle altre parti civili, i cui legali si sono detti soddisfatti perché è stato confermato l’impianto accusatorio. Mentre uno dei difensori di Di Fazio, l’avvocato Mauro Carelli, parla di «pena severa», sproporzionata se paragonata all’omicidio di Garlasco: «Alberto Stasi è stato condannato in abbreviato a 16 anni».

Ragazze drogate e stuprate. Per Di Fazio pena di 15 anni. Cristina Bassi il 9 Aprile 2022 su Il Giornale.

L'imprenditore era accusato di abusi su sei donne. Il pm aveva chiesto 9 anni. Il legale: "Troppo severi".  

Quindici anni e sei mesi di carcere, ben più della pena chiesta dalla Procura, di nove anni. È la condanna decisa ieri dal gup di Milano Anna Magelli nel processo con il rito abbreviato a carico di Antonio Di Fazio, l'imprenditore farmaceutico arrestato dai carabinieri nel maggio dello scorso anno con l'accusa di aver narcotizzato, violentato e fotografato una studentessa bocconiana 21enne. A questa accusa si erano poi aggiunte quelle di violenza sessuale nei confronti di altre cinque donne, tra cui la ex moglie. L'inchiesta è stata coordinata dal pm Alessia Menegazzo e dal procuratore aggiunto Letizia Mannella. Da febbraio Di Fazio si trova ai domiciliari in una struttura psichiatrica. «È una pena severa - commenta subito dopo la sentenza l'avvocato Mauro Carelli che difende l'imputato insieme alla collega Giuseppina Cimmarusti -. Aspettiamo di leggere le motivazioni (tra 90 giorni, ndr) per capire e poi impugnare. È una pena alta, se consideriamo per esempio che Alberto Stasi, per l'omicidio di Chiara Poggi, è stato condannato sempre in abbreviato a 16 anni di carcere».

La pena inflitta più severa rispetto alla richiesta del pm si spiega con un calcolo diverso in relazione alla continuazione di alcuni reati. Il giudice ha deciso di considerare ciascun episodio di violenza ai danni delle ex fidanzate di Di Fazio come singolo fatto, anche se si sono svolti con modalità quasi identiche, e non di «accorparli» (in quel caso la pena complessiva si sarebbe ridotta). L'inchiesta è nata dalla denuncia di una studentessa di 21 anni, di cui Di Fazio conosceva la famiglia. Pian piano poi si erano fatte avanti le altre donne, tutte vittime di un simile schema da predatore sessuale, e anche la ex moglie del 50enne. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la studentessa è stata attirata dall'imprenditore nel suo appartamento con la scusa di uno stage in azienda. È stata narcotizzata con dosi massicce di benzodiazepine, spogliata e abusata. L'uomo, come con le altre vittime, le ha anche scattato una serie di foto intime, poi ritrovate nel suo cellulare. Per questo episodio Di Fazio risponde di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni.

Il 50enne è stato anche condannato a un anno di misura di sicurezza a pena espiata. Riconosciute inoltre le provvisionali alle parti civili: 98mila euro per la 21enne, 14mila euro alle altre giovani e 9mila euro all'ex moglie. Tra i legali di parte civile, gli avvocati Laura Panciroli, Andrea Prudenzano, Monica Monteverde, Maria Teresa Zampogna e Patrizio Nicolò. Il giudice, come riferiscono i legali delle vittime, ha riconosciuto il reato di violenza sessuale anche per le condotte che riguardano le fotografie scattate da Di Fazio alle donne narcotizzate e spogliate, immagini collezionate dall'uomo nel proprio cellulare e finite agli atti dell'inchiesta. Come si ricava dal dispositivo di condanna, la pena decisa è il risultato degli anni inflitti per il reato ai danni della studentessa e di quelli per le quattro ragazze che avevano avuto relazioni per brevi periodi con l'imputato. Solo per una di queste ultime vicende il gup ha riqualificato l'accusa da violenza sessuale a «stato di incapacità procurato mediante violenza». Si aggiungono gli anni inflitti per i maltrattamenti sulla ex moglie, qui le imputazioni di violenza e lesioni si sono prescritte.

Martina Fiorini per "il Messaggero" il 9 aprile 2022.

Non soltanto gli abusi fisici, ma anche le foto. Così il giudice di Milano ha riconosciuto l'ipotesi di violenza sessuale per quelle immagini che ritraggono le vittime nude e narcotizzate, condannando l'ex imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio a una pena di 15 anni e mezzo di reclusione. Arrestato nel maggio del 2021 e finito a processo con rito abbreviato per sei presunte violenze sessuali, al 50enne è stata inflitta una pena più alta rispetto ai 9 anni chiesti dalla procura. 

L'indagine aveva preso il via dopo la denuncia da parte di una studentessa di 21 anni che era stata avvicinata dal manager con la scusa di conoscersi per un possibile stage presso la sua azienda. Una volta attirata la vittima nell'appartamento in centro a Milano, dove viveva, le aveva somministrato una massiccia dose di benzodiazepine tramite un caffè, l'aveva violentata e le aveva scattato quelle agghiaccianti fotografie.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, lo stesso schema sarebbe stato messo in atto dall'uomo nei confronti di altre cinque donne, tra cui alcune ex fidanzate e l'ex moglie, che avevano denunciato a loro volta le violenze e le cui foto erano state trovate nel computer dell'imprenditore. 

LA PENA La pena stabilita dal gup milanese Anna Magelli, definita «severa» dal legale di Antonio Di Fazio, supera la richiesta dei pm, perché il giudice non ha riconosciuto la cosiddetta continuazione fra i reati che avrebbe portato a una diminuzione complessiva della pena, sommando invece i singoli casi.

Nello specifico, Di Fazio è stato condannato a 6 anni e 2 mesi per i capi d'imputazione di violenza sessuale, lesioni e sequestro di persona legati della studentessa 21enne, a 7 anni e 10 mesi per gli episodi di abuso riguardanti le altre quattro ragazze e ad un anno e 6 mesi per maltrattamenti nei confronti dell'ex moglie. In merito a quest'ultima, infatti, le accuse di violenza sessuale si sono prescritte. 

L'unico altro caso in cui le accuse di violenza sessuale non vengono riconosciute è quello di una delle ex fidanzate, per il quale il gup ha riqualificato l'accusa in stato di incapacità procurato mediante violenza, quindi soltanto per la somministrazione di benzodiazepine. Il reato di violenza sessuale, inoltre, è stato riconosciuto anche nelle fotografie trovate sui dispositivi elettronici dell'uomo che, secondo i pm, sarebbero state un modo per «dare sfogo alle sue perversioni».

Tutte queste pene sommate, quindi, hanno portato a una condanna di 15 anni e 6 mesi di reclusione. La difesa dell'ex imprenditore 50enne, durante l'arringa, aveva chiesto per alcuni episodi l'assoluzione, mentre per altri la derubricazione dal reato di violenza sessuale aggravata in quello più lieve inerente la somministrazione di sostanze. Per l'episodio più grave, quello della studentessa 21enne ammesso anche dallo stesso manager, era stata invece proposta l'assoluzione dall'accusa di sequestro di persona e comunque il trattamento sanzionatorio al minimo della pena.

L'EX MOGLIE L'ex moglie di Antonio Di Fazio, «è molto soddisfatta di essere stata finalmente ascoltata, creduta e aver ottenuto giustizia, riappropriandosi di quella dignità e quel rispetto calpestati per anni», dice il legale della donna, l'avvocato Maria Teresa Zampogna. «È soddisfatta - prosegue il legale - che siano stati riconosciuti tutti i fatti da lei denunciati subiti dal 2008 al 2017, a prescindere dalle riqualificazioni, dalle prescrizioni e dalla pena. Sono questioni tecniche che non le interessano, non nutrendo alcun intento punitivo o vendicativo nei confronti dell'ex marito».

Antonio Di Fazio ex fondatore della Global Farma, recentemente dichiarata fallita dallo scorso febbraio si trova agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in una comunità per disintossicarsi dalle benzodiazepine. Conosciuto come il manager dalla doppia vita con profili sui social pieni di foto di auto di lusso, e famoso per vantarsi di conoscenze importanti -, al momento dell'arresto era stato trovato con un tesserino contraffatto del ministero dell'Interno e di un led lampeggiante in uso alle forze dell'ordine. Un reato quello di possesso di segni distintivi contraffatti e falso da cui poi è stato prosciolto per intervenuta prescrizione. 

Andrea Ossino per "la Repubblica - Edizione Roma" il 25 gennaio 2022.

Avvocato Giulia Bongiorno, se una persona non si oppone a un rapporto, in un momento in cui il suo stato psico-fisico è alterato, si può parlare di violenza sessuale?

«Si, certo. L'alterazione dello stato psico-fisico, causata ad esempio dalla assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti, incide sulla libertà di autodeterminazione, viziando il consenso al rapporto sessuale. E questo vale anche se la vittima ha volontariamente assunto alcool e droghe. Il rapporto sessuale deve sempre fondare su un consenso validamente espresso. Quindi, deve essere frutto di libera autodeterminazione». 

E nel caso in cui, sempre in condizioni di alterazione, chieda espressamente di fare qualcosa che in condizioni normali non avrebbe mai chiesto?

«Anche in tale caso. Integra il delitto di violenza sessuale la condotta di colui che, approfittando della condizione di alterazione nella quale versa la vittima, compie atti sessuali ai quali la stessa, in condizioni "normali", non avrebbe partecipato».

Quando la volontà viene manifestata prima di aver assunto alcol o droghe, ma il rapporto viene consumato quando la persona è in uno stato di alterazione tale da non capire cosa sta accadendo si può parlare di violenza sessuale?

«Il consenso al compimento degli atti sessuali deve essere libero, consapevole, validamente prestato e perdurare nel corso dell'intero rapporto. Molti non sanno che questo vale, ad esempio, anche in una relazione di coppia. Inoltre, il consenso deve protrarsi per tutta la durata del rapporto: se uno dei partner decide di non proseguire, anche l'altro deve interrompere, perché altrimenti commette il reato di violenza sessuale». 

Se anche il partner è in uno stato psicofisico alterato è possibile che non sia in grado di discernere se la compagna o il compagno siano in grado di capire cosa sta accadendo? In questo caso cosa prevedono le norme?

«La circostanza di essere ubriachi non è di per sé una causa di esclusione della punibilità del reato di violenza sessuale».

Se due o più persone hanno un rapporto quando sono in uno stato di incapacità di intendere e volere, la decisione su chi sia il presunto carnefice o la presunta vittima è legata a chi presenta o meno una denuncia?

«Nella quasi totalità dei casi chi denuncia è la vittima; poi dovrà essere valutato il contesto. Di certo l'ubriachezza non è una giustificazione. Chi assume volontariamente alcol lo fa a proprio rischio e pericolo. In generale, il codice prevede che se l'ubriachezza è preordinata al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata».

Lettera di Pierluigi Panza a Dagospia il 26 gennaio 2022.  

Caro Dago, non sono un esperto sul campo, quindi mi rifaccio ai libri, dove ne so di più. Vorrei segnalare che la visione dell’amore o del rapporto sessuale che si va affermando su base avvocatizia (nei mesi scorsi avvocati e psicologi sul caso Genovese; poi sul figlio di Grillo, oggi l’intervista dell’avv.Bongiorno ecc), pena il reato di stupro, è il contrario di quanto da Platone a Denis De Rougemont (autore del meraviglioso saggio  “L’amore e l’Occidente”), passando per il mito di Tristano e Isotta, i poeti stilnovisti, Dante, Petrarca (due veri stalker), la lirica Barocca, il melodramma romantico ecc. ecc. hanno delineato come rapporto amoroso e sessuale.

Dal “Simposio” di Platone in poi, l’amore-passione viene descritto come quel cavallo che va a briglie sciolte e porta all’annullamento di se stessi, come una vertigine, un abbandono della propria coscienza, l’uscir fuori da sé (questo anche Lacan e compagnia), un lasciarsi andare, un annebbiamento… Spesso, in chiave metaforica, i filtri d’amore, i doppi sensi, le situazioni ambigue, le lusinghe persuasive (Cappuccetto rosso e il lupo) sono gli strumenti per raggiungere questo lasciarsi andare. E l’amplesso è descritto e considerato come un raggiungimento irrazionale, l’esito di un rito quasi mistico, un completamento che deriva dalla completa perdita di se stessi. 

Ora, può anche darsi che questi siano più di due millenni di coglionate che, finalmente, legislatori e avvocati italiani mettono a nudo e che l’amore e il sesso siano un’attività normata come una procedura per la patente, che va consumata esclusivamente in piena coscienza di se (e chi lo prova?), previa verifica del tasso alcolemico altrui e senza lasciarsi andare perché si deve essere pronti a registrare, tra i mugugni, un “no” che si alterna a un “si”, a un “oddio” o, forse, a un “no, dai, sì”.

Perché il consenso non basta darlo prima, per scritto, o con forme di comunicazione orale e prossemiche tipiche della seduzione tra i mammiferi - ad esempio, nel caso dell’homo sapiens, se tu vieni un week end, da sola, nella mia baita isolata, senza televisione e ti metti a girare in perizoma davanti al camino – ma va esplicitato e ribadito (quante volte, o Signore?) durante tutto il rapporto, che sia accesa o spenta l’abat-jour. E che si fottano tra loro questi duemila anni di filosofi e scrittori. Al massimo si estinguerà la specie e rimarranno gli avvocati. Pierluigi Panza

Dagospia il 16 gennaio 2021. “Va in un pollaio e violenta le galline”. Ne dà notizia l’edizione di Pesaro de “Il Resto del Carlino” in data 6 gennaio 2022. Un allevatore di Villa Fastiggi, frazione di Pesaro, se ne accorge e chiama la polizia.

I fatti vanno dall’agosto scorso a qualche settimane fa. Un extracomunitario è stato beccato dall’allevatore mentre stava facendo pratiche sessuali con una capra. Una pagina che sembra arrivare direttamente dal libro di Gavino Ledda “Padre Padrone” se non fosse che l’uomo, affetto da problemi psichici, poco prima l’aveva fatto anche con una gallina trovata morta a terra con evidenti segni di ciò che aveva subito. Il giovane straniero, a quanto risulta, non ha sottratto gli animali ma li usa per le sue performance.

Da gazzetta.it il 20 gennaio 2022.

Stavolta c’è la sentenza della Cassazione a confermare la condanna di Robinho e del suo amico Ricardo Falco a nove anni di carcere per violenza sessuale di gruppo su una ragazza che nel 2013 aveva 23 anni.

Ricorso respinto, quello presentato dai legali del brasiliano, che puntavano la difesa sulla consensualità del rapporto. Decisive sono state alcune telefonate in cui l’ex milanista raccontò la serata dello stupro: “Sto ridendo perché non mi interessa, la donna era ubriaca, non sa nemmeno cosa sia successo”.

Le registrazioni hanno alla fine confermato la colpevolezza del giocatore e dell’amico che si sarebbero anche accordati sulle risposte da dare agli inquirenti, dicendosi tranquilli perché nel locale non erano presenti telecamere.

La condanna in primo grado arrivò nel 2017, condanna confermata in appello a Milano. Il giocatore aveva poi perso il posto in squadra nel Santos. Ora resta il problema dell’estradizione di Robinho: la giustizia italiana dovrebbe inviare una richiesta formale a quella del Brasile che dovrebbe poi avviare una valutazione interna.

Vedremo gli sviluppi anche se, nonostante la condanna definitiva, Robinho e Falco non possono essere estradati in Italia, poiché la Costituzione del 1988 vieta l’estradizione dei brasiliani.

Inoltre, il trattato di cooperazione giudiziaria in materia penale tra Brasile e Italia, firmato nel 1989 e tuttora in vigore, non prevede l’applicazione in territorio brasiliano di una condanna imposta dalla giustizia italiana.

Robinho e Falco, quindi, corrono il rischio di essere arrestati solo se viaggiano all’estero, non necessariamente in Italia. Per questo lo Stato italiano deve emettere un mandato d’arresto internazionale che potrebbe essere eseguito, ad esempio, in qualsiasi Paese dell’Unione Europea.

L’avvocato della vittima, Jacopo Gnocchi, ha commentato così la sentenza, presentando ricorso alla giustizia brasiliana: “Più di 15 giudici hanno esaminato il caso in primo, secondo e terzo grado e hanno confermato la relazione del mio cliente. Adesso bisogna vedere come sarà l’adempimento di questa sentenza, il Brasile è un grande Paese e spero che sappia come affrontare questa situazione”.

Il fatto risale alla notte del 22 gennaio del 2013. In un noto locale in zona Bicocca, l’allora attaccante del Milan abusò sessualmente di una ragazza di origini albanesi insieme ad altre 5 persone.

In un interrogatorio nel 2014 Robinho negò le accuse, parlando di una relazione consensuale: ma nel 2017 la giustizia gli diede torto condannandolo a 9 anni di carcere proprio insieme all’amico Falco.

(ANSA il 4 ottobre 2022) Il Ministero della Giustizia ha inoltrato al Brasile la richiesta di estradizione per l'ex attaccante del Milan Robinho, condannato in via definitiva, assieme ad un amico, il 19 gennaio scorso a 9 anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo su una 23enne albanese, che subì abusi in un locale a Milano la notte del 22 gennaio 2013. Dell'invio della richiesta di estradare verso l'Italia l'ex fantasista rossonero è stato informato l'Ufficio esecuzione della Procura milanese, che nei mesi scorsi ha emesso un mandato d'arresto internazionale, con istanza di estradizione, per l'ex calciatore, con atti firmati dal pm Adriana Blasco.

A febbraio la Procura aveva inoltrato al Ministero la richiesta di estradizione e il mandato d'arresto internazionale per l'ex attaccante e per il suo amico Ricardo Falco, entrambi in Brasile. In questi mesi ci sono stati contatti tra le autorità italiane e brasiliane ed è probabile che sia stato indicato, poi, formalmente dal Brasile dove si trova l'ex milanista e di conseguenza l'Italia ha trasmesso gli atti del mandato d'arresto (non eseguito allo stato) con richiesta di estradare Robson de Souza Santos, 38 anni e quattro stagioni in rossonero tra il 2010 e il 2014, e l'amico. 

E' molto probabile che i due non saranno consegnati perché la Costituzione brasiliana non consente l'estradizione dei propri cittadini. Ora, comunque, spetterà alle autorità brasiliane rispondere alla richiesta italiana. La Suprema Corte aveva reso definitivi i 9 anni decisi dal Tribunale milanese, a seguito dell'inchiesta del pm Stefano Ammendola, e confermati dalla Corte d'appello. Per l'ex attaccante e per l'amico nel corso delle indagini non erano state emesse misure cautelari, mentre altri uomini, che avrebbero preso parte alle violenze, non erano stati trovati.

Secondo le indagini, l'ex stella brasiliana avrebbe fatto bere la ragazza fino al punto da renderla incosciente e il gruppo l'avrebbe violentata a turno, senza che lei potesse opporsi, in un guardaroba di un locale notturno della movida milanese, dove la giovane si era recata per festeggiare il compleanno. 

Il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser nel processo d'appello aveva chiesto la conferma delle condanne. Nelle motivazioni della sentenza la Corte ha scritto che l'ex punta e i suoi "complici" (quattro gli irreperibili) hanno manifestato "particolare disprezzo" nei confronti "della vittima che è stata brutalmente umiliata". Per questa vicenda, il Santos, squadra carioca per la quale il calciatore era tornato a giocare, aveva deciso di sospendere il contratto a Robinho, dopo che erano state pubblicate sui media brasiliani intercettazioni del processo. 

Carlos Passerini, Monica Colombo per il “Corriere della Sera” il 5 Febbraio 2022.  

Al Milan non hanno più nemmeno un numero di telefono buono. «Quello vecchio è staccato da un pezzo» racconta chi lo ha conosciuto da vicino negli anni rossoneri. Anche volendo, non saprebbero nemmeno come contattarlo, per spedirgli una maglia o invitarlo a una delle tante amichevoli delle vecchie glorie. 

Non che ci si aspetterebbe un sì: se davvero Robinho vuole scampare al carcere, non deve azzardarsi a tornare in Italia. Ma soprattutto deve sperare che il Brasile continui a negare l'estradizione: da quando la condanna per stupro di gruppo ai danni di una 23enne è stata confermata in Cassazione, su di lui pende una condanna definitiva a 9 anni firmata dalla giustizia italiana. Era la notte del 22 gennaio del 2013. 

L'attaccante, sbarcato trionfalmente al Milan nell'ultimo giorno di mercato dell'agosto del 2010 con Ibrahimovic, avrebbe abusato sessualmente di una ragazza di origini albanesi assieme ad altre cinque persone. Le violenze avvennero nel guardaroba di un locale in zona Bicocca, il Sio Café: il pm Ammendola nel processo di primo grado mise agli atti che gli uomini offrirono da bere alla giovane fino a renderla ubriaca, «incosciente e incapace di opporsi». 

Completati i tre gradi di giudizio, la Procura di Milano si appresta a chiedere l'estradizione per il giocatore: il fatto che il Brasile la vieti per i propri cittadini è di parziale consolazione; Robinho è consapevole che qualora tornasse in Italia lo aspetterebbero le manette. Di lui ora si sa pochissimo. Persino Pato, che oltre ad essere suo connazionale ha vinto con lui uno scudetto nel 2011, chiede in giro novità sull'ex compagno. 

E anche i legali italiani a cui si è rivolto preferiscono non rilasciare dichiarazioni. «Scomparso dai radar» sospirano i vecchi compagni, che pure ammettono di non averlo più cercato. Prima gli sponsor, poi i compagni, perfino gli amici: dopo quella storiaccia, tutti gli hanno voltato le spalle. Oltre alle foto postate sui social, di lui non c'è più traccia. Vive rinchiuso nella villa sul mare di Guarujá, nello Stato di San Paolo, dove ha una piscina col suo nome sul fondo e un muro zeppo di magliette che ripercorrono la carriera.

La sua vita è cambiata, racconta chi gli sta vicino in Brasile: basta eccessi e una vita quasi normale, a fianco della moglie Vivian Guglielmetti, che conobbe da ragazzino. «L'unico errore è stato tradire lei» ha confessato il giocatore, riferendosi all'episodio del 2013. Peraltro non il primo: nel 2009, quando giocava in Inghilterra del Manchester City, era già stato accusato di violenza sessuale per un presunto stupro in una discoteca di Leeds ai danni di una studentessa. In seguito all'arresto fu però prosciolto. 

La coppia, sposata nel 2009, ha tre figli: Robson di 14 anni, Gianluca di 10 e Giulia di 6. A 38 anni, per Robinho sono lontani i tempi delle feste milanesi: a Capodanno giusto una cena con la famiglia, in casa. Solo un'immagine funzionale alla strategia processuale? La realtà non è molto differente da quella che l'ex attaccante lascia trasparire dai social, assicurano dal Brasile.  

Anche perché questa vicenda gli ha cambiato la vita: quasi tutti gli sponsor lo hanno abbandonato rescindendo i contratti e anche il Santos, la sua prima e ultima squadra, non ha nascosto il grave imbarazzo quando a fine 2020 la sentenza è stata confermata in appello. Il club di Rio aveva promosso una campagna contro la violenza sulle donne finanziando il lancio di un centro di ascolto e lo scandalo ha avuto effetti opposti per l'immagine del club, accusato di ipocrisia. 

Anche perché il tema della condizione della donna è molto attuale in Brasile, dove nel 2020 si è registrato uno stupro ogni 11 minuti. La società è spaccata, divisa fra l'antico machismo che ha nel discusso presidente Bolsonaro un simbolo e le nuove generazioni che mostrano una sensibilità più moderna. Robinho, che di Bolsonaro è un fan («più lo massacravano più è cresciuto e io mi sento come lui, la verità sarà rivelata» ha detto in un messaggio vocale inviato a un amico e reso pubblico), in una delle ultime interviste spiegò che «ormai molte donne non sono neanche più donne». 

Un riferimento alla famiglia tradizionale, l'unica possibile secondo la concezione cristiano-evangelica alla quale è fedele l'ex calciatore. Il sorriso, almeno in foto, è sempre lo stesso. E riporta alla mente quando dopo ogni gol festeggiava con il pollice e il mignolo. Erano i tempi in cui di lui Pelé diceva: «La prima volta in cui l'ho visto toccare la palla ho quasi pianto, il suo dribbling è devastante. Ricorda me quando avevo la sua età». C'era una volta Robinho. Incantava San Siro, ora non gli telefonano neanche più.

Alessandro Antonelli, il medico di Cernobbio arrestato per violenza sessuale: incastrato dalle telecamere nascoste. Anna Campaniello su Il Corriere della Sera il 24 Febbraio 2022.

Arrestato dai carabinieri di Como Alessandro Antonelli, geriatra di 59 anni, per molti anni medico ospedaliero al Sant’Anna. È accusato di molestie da sette donne: le faceva spogliare e le palpeggiava.

Chiedeva alle pazienti di spogliarsi per poi toccarle nelle parti intime, spiegando che si trattava di accertamenti diagnostici. Sono almeno sette gli episodi accertati dai carabinieri di Como, che hanno arrestato con l’accusa di violenza sessuale un medico di medicina generale con ambulatorio a Cernobbio. Specializzato in geriatria, per molti anni in servizio in ospedale, nell’estate del 2020, nel pieno dell’emergenza Covid, Alessandro Antonelli, 59 anni, aveva assunto l’incarico di medico di famiglia a Cernobbio.

Dall’ospedale all’ambulatorio

Il camice bianco era subentrato a un medico di famiglia che era da tempo un punto di riferimento in paese e che era andato in pensione. Da quel momento ha aperto il suo ambulatorio in via Baragiola. Nel dicembre scorso, in rapida successione, i carabinieri della stazione di Cernobbio, compagnia di Como, hanno ricevuto tre segnalazioni di donne che denunciavano presunte violenze del medico. A una paziente, durante una visita in ambulatorio per una sospetta cervicale, il dottore avrebbe proposto una terapia che prevedeva palpeggiamenti nelle parti intime. Dopo il rifiuto della donna, che poi si è rivolta ai militari dell’Arma, il medico si sarebbe presentato anche a casa per riproporle la cura. Alle accuse di violenza sessuale, per questo singolo episodio si aggiunge anche quella di stalking.

Le denunce

Raccolte le prime denunce, i carabinieri hanno avviato subito le indagini, coordinate dal sostituto procuratore di Como Antonia Pavan. Per effettuare gli accertamenti, gli investigatori hanno chiesto e ottenuto la possibilità di installare telecamere nascoste nell’ambulatorio di Alessandro Antonelli. Le immagini riprese durante le visite ambulatoriali avrebbero documentato altri cinque episodi di presunte violenze sessuali. Il medico, secondo quanto accertato dai carabinieri, nel corso delle normali visite ambulatoriali, giustificandosi con immotivate esigenze diagnostiche, avrebbe fatto spogliare le pazienti, per poi toccarle e palpeggiarle nelle parti intime, compiendo sembra anche atti sessuali. Le presunte vittime sono donne dai 40 ai 60 anni, tutte pazienti in carico ad Antonelli. L’esito delle indagini è sfociato in un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Como, Massimo Mercaldo. I carabinieri di Como hanno eseguito nel pomeriggio di martedì l’ordine. Dal suo studio di Cernobbio, il medico è stato arrestato e portato in carcere al Bassone. Sarà sentito dal giudice per la convalida probabilmente domani o sabato.

La carriera di Antonelli

Nella sua carriera, Antonelli ha lavorato soprattutto come medico ospedaliero, in particolare al Sant’Anna di Como. In servizio a lungo in geriatria, era poi stato trasferito al pronto soccorso. Dopo una parentesi negli ambulatori era tornato nel reparto di emergenza prima di lasciare il presidio. Non risultano al momento precedenti contestazioni. Il medico è assistito dai legali Angelo Giuliano e Edoardo Pacia. «È un professionista preparato — dicono — Non ha mai avuto contestazioni. Verificheremo gli atti e poi valuteremo», hanno fatto sapere gli avvocati comaschi in attesa dell’interrogatorio di convalida.

Francesca De Martino per “il Messaggero” l'1 marzo 2022.

Avrebbe costretto quattro pazienti minorenni a spogliarsi nel suo studio privato, in zona San Giovanni, dicendo che era necessario per curare i dolori alla schiena. Ma, con la scusa della buona riuscita della terapia, secondo l'accusa, un medico posturologo 71enne avrebbe approfittato per spingersi oltre tanto da fare alle ragazzine dei massaggi intimi e abusare di loro. È successo tra il 2011 e il 2016, in episodi distinti ma dallo stesso copione.

Per questi fatti Roberto Giacomozzi, 71 anni, è finito a processo con l'accusa di violenza sessuale aggravata e continuata ai danni di quattro minorenni. Ieri in aula, a piazzale Clodio, il pm Delio Spagnolo ha chiesto per l'imputato una condanna a 10 anni di reclusione. Tutte le parti civili - alcune di loro assistite dagli avvocati Gabriele D'Urso, Eleonora Grimaldi e Fabiana Romoli - hanno avanzato al Tribunale delle richieste di risarcimento danni da migliaia di euro.

I FATTI I fatti contestati dalla Procura si sarebbero consumati tra il 2011 e il 2016. Tutto sarebbe avvenuto tra le mura dello studio privato del medico posturologo 71enne, in via Sannio, a San Giovanni. Le vittime, tutte e quattro all'epoca dei fatti tra i dieci e i quindici anni, secondo quanto ricostruisce l'accusa, si sarebbero presentate, in periodi diversi, nell'ambulatorio accompagnate dei genitori per correggere dei problemi di postura. Il 71enne, in base a quanto emerge dalle testimonianze quasi fotocopia delle giovani, a inizio visita le avrebbe fatte spogliare e sdraiare sul lettino per poi prendere un olio fresco e iniziare a massaggiare la schiena.

Ma dalle spalle, l'imputato si sarebbe spostato sul petto, approfittando delle minorenni con vari palpeggiamenti. Poi avrebbe detto loro di girarsi prima a pancia in su e dopo a pancia in giù. E ancora, soprattutto quando si trovavano con il ventre rivolto verso il basso, l'uomo avrebbe abusato delle vittime allungandosi con le mani oltre il dovuto e senza alcun freno, tanto da provocare anche dolore alle ragazzine. In studio sarebbero stati presenti anche i genitori delle minorenni ma non si sarebbero accorti degli abusi, perché, per i magistrati titolari delle indagini, l'uomo avrebbe coperto la visuale mettendosi davanti a loro, così da non far notare tutte le attività della terapia.

I RACCONTI Una delle vittime - ha sottolineato il pm durante la requisitoria - ha raccontato che quando la madre si era allontanata per pochi minuti dall'ambulatorio per andare a spostare la macchina, l'imputato avrebbe approfittato di quegli attimi di solitudine per approfondire ancora di più i massaggi. Un'altra vittima ha invece confidato alla madre l'imbarazzo di doversi mostrare senza maglia al medico e, così, le avrebbe chiesto di domandare al dottore se avesse potuto indossare un top.

Ma il medico, a dire della giovane, avrebbe rifiutato quella proposta, perché d'intralcio al buon esito della seduta. Per la difesa, le manovre messe in atto dall'imputato sarebbero state tecniche e funzionali a risolvere i problemi posturali delle giovani. Ma, secondo quanto ha sottolineato il pm Spagnolo nel corso della requisitoria, quelle «manovre» non dovevano prevedere movimenti così invasivi sulle vittime. E quindi la responsabilità dell'imputato, per il magistrato, date soprattutto le testimonianze lineari e non contraddittorie delle giovani, ci sarebbe «oltre ogni ragionevole dubbio».

L'avvocato Fabiana Romoli, legale di una delle ragazze costituite parte civile nel processo, ha dichiarato in aula: «Non erano massaggi, ma carezze, tutte strutturate per trarre in inganno le pazienti che non si erano mai sottoposte a visite così invasive». Ad aprile, a piazzale Clodio, è attesa la discussione della difesa dell'imputato e, poi, la sentenza del Tribunale.

(ANSA il 22 febbraio 2022) - Un medico cardiologo in servizio nell'ospedale di Soverato, nel catanzarese, é stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di avere violentato, dal 2017 ad oggi, almeno 63 donne, tra le quali una minorenne, con le quali si era spacciato per ginecologo pur non avendo mai conseguito questa specifica specializzazione.

Le violenze sessuali sarebbero avvenute nello studio del medico, a Soverato. Il falso ginecologo, secondo quanto riferisce una nota della Procura della Repubblica di Catanzaro, attuava direttamente le violenze sessuali o induceva le vittime a compiere atti sessuali.

Catanzaro, cardiologo violentava le pazienti e le filmava: in quattro anni oltre 63 vittime. Carlo Macrì su Il Corriere della Sera il 22 febbraio 2022.

Giulio Comercio, 50 anni, è stato arrestato dai carabinieri. Alle donne diceva che per risolvere i problemi di cuore fosse necessario una visita ginecologica. La denuncia partita da una 21enne. In un hard disk i filmati delle «visite». 

SOVERATO (CATANZARO) Per curare i problemi cardiaci delle pazienti, alcune minorenni, diceva loro che fosse necessario visitare anche le parti intime e, in alcuni casi, avere, lì in studio, con lui, rapporti sessuali. In 63 sono finite in trappola, ma solo una ventenne, a ottobre dello scorso anno, ha capito la gravità dei fatti e si è rivolta ai carabinieri della compagnia di Soverato. Da quel momento le visite specialistiche del cardiochirurgo Giulio Comercio, 50 anni di Vibo Valentia, sposato, in servizio all’ospedale di Soverato, ma anche con studio privato, sono state monitorate dalle forze dell’ordine. E a uscirne è stato un quadro allucinante.

Il dottor Comercio, infatti, aveva messo in piedi nel suo studio privato una sorta di set cinematografico con tanto di telecamere a circuito chiuso che riprendevano da diverse angolazioni le visite dei pazienti le cui parti intime venivano filmate, registrate e archiviate in un hard disk. Le telecamere dei carabinieri hanno quindi registrato solo una piccola parte di quelle scene, il resto gli inquirenti l’hanno ritrovato in file, nascosti. Ed è stato così possibile capire che l’attività ingannatrice del cardiologo era iniziata nel 2017. Il dottor Comercio è stato arrestato martedì per ordine del gip di Catanzaro su richiesta della procura.

Al medico cardiologo vengono contestati i reati di violenza sessuale, pornografia minorile, interferenze illecite nella vita privata e truffa. L’indagine è stata complicata perché molte vittime, per la vergogna, non hanno risposto ai carabinieri. Il cardiologo per abbordare le sue pazienti che si recava da lui per una visita cardiologica, faceva leva sulla familiarità della diagnosi. E chiedeva alle coppie se avessero figlie, inculcando nelle mente dei pazienti l’idea che le loro figlie avrebbero potuto correre i rischi di malattie coronariche e che quindi sarebbe stato necessaria una visita per sgomberare il campo da possibili malattie che con il tempo avrebbero potuto avere contraccolpi sulla fertilità.

Le preoccupazioni delle madri nel conoscere queste eventualità ha, quindi, fatto sorgere in loro preoccupazioni e timori e così, negli anni, il dottor Comercio ha visto aumentare vertiginosamente le visite specialistiche a donne, anche minorenni. Alcune di loro hanno subito anche rapporti sessuali, altre palpeggiamenti nelle parti intime.

Si finge ginecologo e abusa sessualmente di 63 donne. Tiziana Paolocci il 23 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Il cardiologo arrestato filmava anche le visite nel suo studio privato. Una minore tra le vittime.

Nelle corsie dell'ospedale di Soverato medici e infermieri ieri parlavano a bassa voce, quasi a voler esorcizzare il senso di vergogna per una notizia che ha lasciato tutti sconvolti.

Giulio Comerci, cardiologo del nosocomio del piccolo comune in provincia di Catanzaro, è stato arrestato per aver violentato 63 donne e tra queste una minorenne. Secondo la ricostruzione dei carabinieri di Soverato, che si sono occupati delle indagini, lo specialista dipendente dell'Azienda sanitaria Provinciale, si fingeva ginecologo e i presunti stupri sarebbero avvenuti tutti nel suo studio privato. Una catena di violenze, che sarebbero iniziate nel 2017 e proseguite fino a oggi. Si è scoperto che il cardiologo si spacciava per ginecologo, anche se non aveva mai preso questa specializzazione e, mentre visitava, approfittava del ruolo per abusare le pazienti.

L'inchiesta della procura catanzarese, durata da giugno fino a ieri, è nata dalla denuncia di una vittima, una ragazza di venti anni. L'uomo, che è sposato, avrebbe approfittato di lei cinque anni fa. Dopo così tanto tempo la giovane, che di anni all'epoca dei fatti ne aveva 15, ha trovato il coraggio di rompere quel silenzio e farsi avanti. Non ce la faceva più a sopportare quel peso assurdo da sola e ha deciso di parlare, per superare quel trauma e proteggere altre potenziali vittime dal finto ginecologo.

Ignorava però che c'era una lunga lista di pazienti finite, come era accaduto a lei, nella sua trappola. Comerci avrebbe violentato direttamente le donne o le avrebbe indotte a compiere atti sessuali, anche servendosi di oggetti di forma fallica. Tutto questo col pretesto di effettuare la visita, per cui riceveva un compenso. Non solo. Emerge dalle indagini che si serviva di una telecamera per girare video nel corso delle «visite». Filmati che poi provvedeva a salvare in forma criptata sui pc e sul telefonino. Il medico ieri è stato arrestato violenza sessuale, pornografia minorile, interferenze illecite nella vita privata e truffa in danno di oltre 63 vittime. I carabinieri, che hanno eseguito l'ordinanza di custodia cautelare del Gip di Catanzaro, hanno anche sequestrato tutti i dispositivi elettronici dell'indagato. Non è escluso che nelle prossime ore altre donne possano farsi avanti per denunciare. Le immagini riprese dalla telecamera installata nello studio del professionista, infatti, in molti casi sono poco chiare e non hanno consentito, di conseguenza, di identificarle tutte. Tiziana Paolocci

«Miniello ha violentato venti donne»: il ginecologo barese rischia il processo. Fissata a gennaio l’udienza preliminare a carico del medico 69enne arrestato a novembre 2021 e ora interdetto per 12 mesi. Avrebbe proposto alle pazienti rapporti sessuali con lui come «cura» per il papillomavirus. Isabella Maselli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Ottobre 2022.

Il 19 gennaio 2023 la vicenda del ginecologo barese Giovanni Miniello, accusato di violenza sessuale, tentata e consumata, e lesioni personali su venti ex pazienti, approderà in un’aula di Tribunale. La Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio per il medico 69enne e l’udienza preliminare inizierà tra qualche mese dinanzi al gup Alfredo Ferraro.

Miniello, arrestato il 30 novembre 2021 per violenza sessuale aggravata su due pazienti, per averle molestate durante le visite, e dal 22 aprile scorso sottoposto per un anno alla misura interdittiva, è accusato di aver proposto alle sue pazienti rapporti sessuali come «cura» per il papillomavirus e per prevenire il tumore dell’utero.

Avrebbe prospettato loro, cioè, «possibilità di guarigione clinica dalla patologia - si legge in una della imputazioni - attraverso la terapia mediante la diretta trasmissione di anticorpi, cioè avendo rapporti sessuali con lui».

Durante le visite, poi, il medico avrebbe molestato le donne palpeggiando parti intime o tentando di baciarle. In una occasione «dopo aver terminato la visita - ricostruisce la Procura sulla base delle denunce - , si avvicinava alla ragazza mentre era intenta a rivestirsi, chiedendole di mostrargli il seno, quindi, senza effettuare alcuna visita senologica, da lei peraltro non richiesta, le afferrava con mossa repentina entrambi i seni che stringeva e accarezzava dicendole “a me piacciono le donne con il seno piccolo” a solo scopo di libidine perché, con modalità tecnicamente non corrispondenti a quelle della palpazione senologica finalizzata alla prevenzione del carcinoma mammario».

Secondo il procuratore Roberto Rossi, l’aggiunto Giuseppe Maralfa e le sostitute Larissa Catella e Grazia Errede, le proposte di rapporti sessuali come cure sarebbero state fatte con minaccia, «per il timore - scrivono i pm - cagionato alla persona offesa di esporsi a pericolo di vita in caso di rifiuto».

Avrebbe prospettato il rapporto sessuale completo anche come terapia di fertilità ad una paziente 44enne che manifestava da tempo difficoltà di concepimento e, dichiarandosi esperto di sessuologia, avrebbe mostrato come praticare atti di autoerotismo. In alcuni casi questi comportamenti avrebbero causato alle pazienti lesioni personali «di tipo cronico» consistenti in «disturbo da stress post traumatico», attacchi di panico, stati d’ansia e disturbo depressivo. I fatti contestati risalgono agli anni 2010-2021. I racconti di alcune di queste donne sono stati cristallizzati in un incidente probatorio e all’udienza preliminare di gennaio potranno costituirsi parti civili tutte le venti presunte vittime del medico.

Si attende inoltre la fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale di Bari chiamato a rivalutare l’arresto di Miniello, dopo che la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura, annullando con rinvio l’ordinanza che rigettava la richiesta del carcere per il ginecologo.

Altre accuse per il ginecologo incastrato da Le Iene: salgono a 16 le donne che hanno denunciato. Elena Ricci su Il Tempo l'1 febbraio 2022

Avrebbe garantito l'immunità dal papillomavirus e un incremento della fertilità, a patto che le sue pazienti avessero avuto con lui rapporti sessuali completi. Sale così a 16 il numero di presunte vittime del ginecologo barese Giovanni Miniello, 68 anni, agli arresti domiciliari dal 30 novembre scorso, a seguito di una inchiesta coordinata dalla Procura di Bari e avviata a seguito di un servizio de «Le Iene» che ha smascherato il medico e le sue «bizzarre» terapie. Una storia che sarebbe iniziata nel 2010 e continuata fino al giugno 2021. Inizialmente le donne che hanno denunciato abusi erano 4. Un numero cresciuto negli ultimi mesi e che ha fatto emergere particolari ancora più inquietanti. Al medico vengono contestate lesioni aggravate e ben 29 episodi di violenza sessuale ai danni di 16 pazienti. Alcune di queste erano specializzande in ginecologia presso il Policlinico di Bari, dove Miniello insegnava. La Procura di Bari ha chiesto un incidente probatorio per cristallizzare le testimonianze delle vittime, molte delle quali avrebbero subito dei danni psichici insanabili e stress post traumatico. L'istanza sarà presentata oggi al Gip e gli esiti potrebbero incidere sulla decisione del tribunale, in merito all'istanza della Procura della Repubblica che ha chiesto per il medico la custodia cautelare in carcere.

Il medico, durante le sue sedute, avrebbe raccontato alle vittime di essere vaccinato contro il papillomavirus e di essere uno dei pochi a detenere anticorpi da poter trasmettere tramite rapporto sessuale, per prevenire o curare così il tumore al collo dell'utero e non compromettere la fertilità. In merito a quest' ultima, il medico avrebbe raccontato alle vittime che avere rapporti sessuali con lui, avrebbe addirittura combattuto l'infertilità. Condizioni prospettate dal professionista che hanno così convinto le vittime, cadute poi nell'abuso, anche perché, come emerso dalle indagini e dalle testimonianze delle donne, se una di loro si fosse rifiutata, partivano da parte del medico minacce psicologiche con le quali si prospettavano gravi danni per la salute. In tutto questo il medico avrebbe palpato più volte le vittime nelle parti intime, giustificando il gesto con l'esame diagnostico.

Azioni che, secondo gli accertamenti da parte degli inquirenti, non avrebbero nulla a che fare con la professione del ginecologo e con gli esami strumentali. Perla Procura, il medico avrebbe quindi abusato delle pazienti, approfittando della loro delicata situazione psichica, ricorrendo anche a minacce. Insomma, se le pazienti non avessero seguito la terapia a base di rapporti sessuali, avrebbero contratto il tumore al collo dell'utero e per loro sarebbe stata «la fine».

Bari, il ginecologo e il sesso come terapia: scontro tra pm e giudici sulle violenze. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 5 febbraio 2022.

Punto primo: le pazienti erano perfettamente in grado di capire che fosse improbabile, anzi «ai limiti dell’assurdo» quel che il ginecologo stava sostenendo.

Punto secondo: non erano donne psicologicamente vulnerabili. Al contrario, erano «prive di patologie psichiche o situazioni di disagio o debolezza culturale che avrebbero potuto renderle vulnerabili». 

Terzo: «Siamo fuori dal campo d’azione della violenza o della minaccia costrittiva». Ancora: bene ha fatto il giudice delle indagini preliminari a ritenere fuori tempo massimo due delle quattro querele iniziali. «La scelta di non proporre querela» a suo tempo «è stata libera e consapevole», e inoltre, non aver denunciato prima «per timori di ripercussioni è pur sempre una scelta».

Infine: non c’è «consenso consapevole e informato» che possa rendere «lecita la manovra sessuale medica», poiché proporre «un rapporto sessuale contrabbandato come se avesse finalità terapeutica non è qualificabile come attività medica che necessita, per essere valido e lecito, del consenso informato del paziente». Ecco. Riassunto per sommi capi è questo il contenuto del provvedimento appena depositato dal Tribunale del Riesame di Bari, chiamato a decidere sulla richiesta di detenzione in carcere per il ginecologo barese Giovanni Miniello. Quarantuno pagine di bocciatura che seguono la linea già scritta dal giudice delle indagini preliminari. Il 30 novembre 2021 lui aveva negato il carcere per il ginecologo (68enne) stabilendo la misura degli arresti domiciliari come più adeguata, ma la procura aveva fatto ricorso insistendo sulla necessità di essere più duri e, quindi, di mandarlo in cella.

Il risultato è un muro contro muro su ciascuno dei motivi d’appello proposti dai pubblici ministeri, e cioè - appunto - la costrizione, la vulnerabilità psicofisica, il consenso informato e il ritardo delle due querelanti. I giudici Giulia Romanazzi, Giuseppe Montemurro e Arcangela Stefania Romanelli hanno confermato l’accusa della violenza sessuale soltanto per due episodi che riguardano palpeggiamenti durante le visite. Non sono invece da ritenersi violenza sessuale - hanno stabilito - le proposte di rapporti sessuali come cura per il papillomavirus. «Per quanto deontologicamente scorretta, la condotta di Miniello non risulta né irresistibilmente coattiva né posta in essere per approfittare delle condizioni di inferiorità fisica o psichica delle pazienti», scrivono i giudici del Riesame. In sostanza: «La proposta terapeutica alternativa era apparsa talmente surreale» che le stesse pazienti l’hanno rifiutata «percependo l’improbabilità, al limite dell’assurdo, che una tale pratica sessuale potesse avere un effetto curativo».

Parole «in linea con i fondamentali principi in materia di libertà personali», è il commento dell’avvocato del ginecologo, Roberto Eustachio Sisto. Che non si spinge oltre nel definire il comportamento del suo assistito nello studio medico ginecologico aperto dopo la pensione. Anche perché - se le testimonianze delle ragazze saranno confermate - dalla lettura di quelle 41 pagine l’indagato, con al sua «terapia del sesso» come cura del papilloma, non ne esce benissimo. E la sua posizione giuridica potrebbe aggravarsi, perché in queste ultime settimane le querele contro di lui sono diventate sedici, il totale degli episodi contestati sono saliti a 29 e per tutte le pazienti che lo chiamano in causa è stata presentata una richiesta di incidente probatorio.

Intanto l’università di Bari Aldo Moro ci tiene molto a far sapere che «il dottor Giovanni Miniello non è nostro docente». In un certo senso anche l’ateneo boccia gli inquirenti, perché in una delle 29 imputazioni, per fatti che risalgono al 2019, lui è sotto accusa per aver abusato «della sua qualità di docente presso la scuola di specializzazione in ginecologia dell’Università», approfittando «della condizione di inferiorità psichica» della giovane paziente «al momento del fatto, in quanto studentessa universitaria di medicina». La replica: «Sulla base agli accertamenti effettuati dai nostri uffici, dal 2006 in poi nessun contratto di docenza all’interno della scuola di specializzazione risulta affidato al dottor Miniello». La procura non ha ancora deciso se arrendersi; sta valutando se insistere ancora e portare tutto in Cassazione.

"Violentata dal compagno di scuola". La festa tra 15enni finisce con lo stupro e l'arresto. Il Tempo l'01 febbraio 2022.

Una ragazza di 15 anni ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale di gruppo avvenuta lo scorso venerdì. Per la vicenda è stato arrestato un suo coetaneo che al momento è ai domiciliari. Davanti al giudice del tribunale dei minorenni di Bologna, il ragazzo si è difeso dicendo che la compagna di scuola, 15 anni come lui, era consenziente.

Sono ancora tutti da chiarire i contorni dell'episodio nel Reggiano. Un gruppo di 5 ragazzi - tutti 15enni, tre uomini (almeno due dei quali indagati) e due donne - avrebbero approfittato di uno sciopero per tornare a casa da scuola e "festeggiare" con un party a base di vino e vodka alla pesca, che sarebbe poi sfociato anche in violenza sessuale ai danni di una delle due ragazze. Quest’ultima, in lacrime e sotto choc, avrebbe poi chiamato la sorelle e con lei i carabinieri denunciando quel compagno di scuola di cui si fidava.

Arrestato, il giovane è da ieri ai domiciliari a casa del padre (i genitori sono separati; la violenza sarebbe invece avvenuta a casa della madre dove il giovane si era recato a sua insaputa): dovrà rispondere di violenza sessuale aggravata dall’aver approfittato di una minore, per di più in condizioni di debolezza fisica e psichica.

«Ritengo che la misura richiesta dal pubblico ministero - dichiara all’AGI il difensore del 15enne, Giacomo Fornaciari - ovvero la detenzione in carcere minorile, fosse eccessiva, e quindi credo che la decisione del giudice di porlo agli arresti domiciliari sia stata giusta, perché si tratta di una questione da chiarire e di un ragazzo di 15 anni incensurato, bravo a scuola».

L’accusa, chiarisce ancora il legale, chiama in causa una sorta di vizio del consenso: «Lui ha percepito un consenso che in realtà non ci sarebbe stato se la ragazza fosse stata sobria- spiega Fornaciari - lui non era ubriaco, non si era mai ubriacato, ha equivocato, ha ritenuto fosse un rapporto consenziente. Le indagini sono in corso - conclude il legale - negli atti si parla di indagati, sicuramente un altro ragazzo del gruppo col quale si capisce c’è stato un altro rapporto sessuale; poi si dice che deve essere sentita l’altra ragazza che si è allontanata, ma che conosce quello che è successo nella prima parte della giornata». 

Cristiana Mangani per "il Messaggero" l'8 febbraio 2022.

Alle 19 del fine settimana il camper con la sigla Up gira per la città. Up sta per Unità di prossimità ed è parte del progetto Chance, un sistema di servizio socio educativo, con in testa l'amministrazione comunale di Reggio Emilia. Luca, Daniela, Marco e molti altri, sono gli educatori assoldati per cercare di incrociare le vite dei giovani e, soprattutto, i loro disagi. Ma che sta succedendo in questa città dalle mille iniziative, dal benessere e dal welfare tra i migliori d'Italia? Qui non ci sono banlieue, la periferia è quasi sempre residenziale.

Eppure quando si parla con commercianti, ristoratori, comuni cittadini, la prima cosa che dicono è: «Se vieni a Reggio metti il giubbotto antiproiettili». E in effetti, il comune emiliano si ritrova da qualche giorno al centro di brutte storie di violenza sessuale. Una dopo l'altra, come se improvvisamente tra i 13 e i 17 anni fossero tutti impazziti e avessero perso la bussola. Una ragazza ha denunciato di aver subito un'aggressione durante una festa tra giovani, nella notte fra sabato e domenica.

La vittima è da poco maggiorenne e ha spiegato che, nell'appartamento, c'erano almeno altri due coetanei. Prima di lei, una 15enne che, sempre durante una festa, ha raccontato di aver subito violenza da tre compagni di classe, uno dei quali è ora agli arresti domiciliari e gli altri due indagati a piede libero. E ancora una 14enne molestata su un treno da un giovane di dieci anni più grande Mentre la storia che sta facendo più clamore è quella emersa dalla denuncia di una 13enne abusata da un maggiorenne a fine 2021, durante un pigiama party.

IL WELFARE Praticamente un bollettino di guerra che impone una riflessione, proprio perché è cresciuto in una città considerata tra le migliori d'Italia per politiche giovanili e condizioni di vita. Se si cerca Reggio Emilia sul web viene subito fuori: Ha gli asili più belli d'Italia. Anche se la cronaca del momento parla di violenze, baby gang, aggressioni. Allora si capisce perché il sindaco Luca Vecchi, in carica dal 2014, una laurea in Economia, stia spingendo affinché il progetto Chance continui ad andare avanti sempre con maggiore energia. Perché lavora affinché la situazione non peggiori.

«Quanto successo in questi giorni - dice - sono fatti gravi che, sebbene accadano ovunque, non vanno sottovalutati. In particolare gli episodi di violenza sessuale che hanno bisogno di fermezza». Il centro della questione - a suo dire - resta sempre la pandemia, il lockdown, «che ha portato a un facile abbandono della scuola, al non ingresso nel sistema lavorativo, e ha fatto crescere disagi e manifestato difficoltà inclusive». «Nella vita della città ci sono problemi come questo - spiega il primo cittadino - Problemi grossi che hanno bisogno del respiro del maratoneta. Siamo consapevoli che dobbiamo andare incontro a una generazione con spirito di costruzione».

«Non voglio champagne ma voglio una chance», è il ritornello della canzone del trapper Gani nel video girato lo scorso anno a Reggio Emilia. Ed è proprio da quel video che prende il nome il progetto del Comune dedicato ai ragazzi dagli 11 ai 18 anni. In campo 400 operatori e risorse per 2,5 milioni di euro. «Abbiamo messo in campo tante energie - aggiunge il sindaco -. I nostri servizi sociali hanno in carica 8 mila famiglie, al momento.

Teniamo aperte 50 scuole anche nel pomeriggio, in modo da offrire luoghi alternativialla strada. Finora hanno aderito alle iniziative proposte circa un centinaio di ragazzi. Bisogna costruire un ponte di fiducia - ammette Vecchi - E questo è un tema che dovrebbe riguardare l'intero paese. Reggio Emilia è una città di eccellenze nel welfare, ma ha gli stessi problemi di tutte le altre città europee». 

LA LETTERA In una lettera aperta ai cittadini, l'assessora alle pari opportunità, Annalisa Rabitti, è intervenuta sulle violenze avvenute nelle ultime settimane, come esponente dell'amministrazione ma anche come mamma. «La realtà ci dice che c'è ancora tanto da lavorare su tutti i fronti afferma - dall'ambito familiare, a quello educativo e sociale. È come uno schiaffo sonante. Le istituzioni hanno dei doveri che, oltre a dover essere espressi in modo esplicito e fermo, vanno messi in pratica.

Dobbiamo portare, in un numero sempre maggiore di scuole, l'educazione all'affettività ed alla sessualità, per contrastare quel vuoto che viene riempito da una pornografia che purtroppo oggi è alla portata di tutti e che, quasi sempre, porta in scena stereotipi sessisti, violenti e profondamente sbagliati per i nostri ragazzi. La città deve stringersi intorno alla ragazza (che ha subito la violenza, ndr) e alla sua famiglia: è il contesto che deve cambiare per far sì che la ragazza non si senta vittima una seconda volta».

IL CONTEST Crede meno alle conseguenze generate dalla pandemia, Fabio Salati, presidente dell'Associazione Papa Giovanni XXIII. «Viene utilizzata come pretesto - dichiara - ma io ritengo che il problema arrivi da lontano. Dal mio punto di vista è la fase di contrapposizione alle regole e all'autorità che è forte nei ragazzi tra i 13 e i 16 anni. C'è la totale omologazione al gruppo dei pari che trascina oltre il limite. C'è un società che ti chiede di essere il più giusto sempre.

E poi ci sono i vuoti da riempire, mancano le figure di riferimento: famiglia, scuola, società. Dobbiamo cercare di coinvolgere più giovani possibile - ammette Salati -, dobbiamo comunicare con la loro stessa voce e, per questo, si sta organizzando per settembre prossimo un contest musicale sul trap, il genere più seguito dai giovani, che avrà luogo in alcuni quartieri della città. Ci saranno a disposizione sale di registrazione, spazi per suonare. C'è ancora tanto lavoro da fare».

Stupro a Reggio Emilia, le chat tra i ragazzi: «Dice che l’abbiamo violentata, siamo nei guai». Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera il 2 Febbraio 2022. 

Reggio Emilia, una studentessa ha denunciato uno stupro. I messaggi inviati mentre il sospettato era già dai carabinieri per l’interrogatorio. L’amico continuava a inviargli messaggi, mentre lui era già davanti ai carabinieri che lo stavano interrogando. «Ci faccia vedere il telefonino», hanno ordinato sospettosi. Sospetti fondati. Come hanno aperto WhatsApp hanno infatti trovato una chat con il compagno di classe che è diventata un forte indizio. «... Fra sta dicendo da mezz’ora che l’abbiamo stuprata», scrive D. all’amico. «...Fra siamo nella merda fino al collo», gli risponde l’altro. «...lo so». «...ma fra no... mandala a casa». «...come? Spiega». «...Falla uscire». «Come» «...Fra ma è ancora ubriaca? Fra ma fai qualcosa».

Questi i messaggi più significativi. Altri, precedenti, sono stati cancellati: «Ben sei conversazioni sono state eliminate», ricorda la pm nella sua richiesta di misura cautelare, riportando ampi stralci del verbale di «arresto in quasi flagranza di reato». Un atto nel quale viene raccontato il dramma della quindicenne , anche attraverso la consulenza del medico legale con il quale si è confidata. «Seppur in uno stato fortemente confusionale e di choc post traumatico, la ragazza ha parlato della violenza sessuale subita dall’amico. Non se lo aspettava. Ha detto che lui l’ha fortemente delusa e ha precisato di essere rimasta impotente, al punto da non riuscire a muoversi. Ricordava lui steso sopra di lei senza vestiti... il dolore che gli avrebbe provocato».

Sul fatto che fosse ubriaca, pochi dubbi. «A dire del personale medico la percentuale di alcol presente nel sangue alle 19.33 (circa otto ore dopo i fatti, ndr) pari a 96 mg, denota che la ragazza in mattinata aveva raggiunto un considerevole stato di ebbrezza... un’assunzione smodata di alcolici che ne ha alterato lo stato di coscienza». Di contro, è stato accertato la sobrietà del ragazzo arrestato. Per il pm sono significative le parole della sorella della vittima che ha ricordato i messaggi allarmanti ricevuti. Per poi mostrare agli inquirenti la chat: «Aiuto», «voglio te», «vieni a prendermi».

Lei però non sapeva dove si trovasse, in quale angolo di città. Fino a che l’altra le ha inviato la sua posizione via WhatsApp, E così, è riuscita a raggiungerla. Quanto a D. il giudizio della pm è pesantissimo: «Comportamento spregiudicato, di elevato disprezzo per la dignità delle persone». Infine, gli altri: «Risulta necessario approfondire le indagini a carico degli indagati e della ragazza che ha abbandonato la casa ma che è stata presente alla prima parte del pomeriggio». Le indagini, dunque, proseguono.

Segrate, stupro in ascensore: il violentatore era già stato espulso dall’Italia. «Crudeltà ed estrema freddezza». Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 19 Gennaio 2022.

Hamza Sara, 31 anni, origini libiche, irregolare, ha diversi precedenti e un ordine di abbandonare l’Italia: arrestato dai carabinieri grazie a un’impronta sullo stipite dell’ascensore e all’esame del Dna. 

«Una volta entrata in ascensore, mentre premevo il tasto del piano, sentivo la porta da cui ero entrata poco prima sbattere e subito compariva un ragazzo che in tutta fretta si fermava tra le porte dell’ascensore bloccandolo». Iniziano così gli otto minuti di terrore di una 44enne violentata nell’ascensore di casa a Segrate, alle porte di Milano. Una storia che è l’incubo di ogni donna, aggredita al rientro a casa da uno sconosciuto nascosto nel palazzo. E che ha portato in carcere per rapina e stupro aggravato Hamza Sara, 31enne di origini libiche, irregolare, con diversi precedenti e un ordine di abbandonare l’Italia mai eseguito. Un fantasma, catturato a Trezzo sull’Adda dai carabinieri dopo 17 giorni di caccia all’uomo. Ad incastrarlo un’impronta sullo stipite dell’ascensore e l’esame del Dna. Una violenza «di particolare crudeltà consumata con estrema freddezza» che «dimostra una personalità particolarmente pericolosa e priva di qualsiasi controllo», come scrivono i magistrati Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro nel decreto di fermo. L’ennesimo caso di abusi che scuote Milano, dopo le violenze di gruppo a Capodanno in piazza Duomo.

La ricostruzione dei fatti

Tutto inizia alle 23.57 del 21 dicembre. La vittima è appena rientrata a casa, in un quartiere residenziale, dopo aver passato la serata con un’amica ad un corso di cucina. Le donne chiacchierano in strada, poi lei scende dall’auto ed entra dall’ingresso pedonale dei box al piano -2. Quando arriva all’ascensore avverte una presenza alle spalle. Le porte che si stanno chiudendo si riaprono all’improvviso: «Non l’avevo mai visto. Era giovane, nordafricano, cappuccio della felpa in testa e mascherina chirurgica». La donna non ha neppure il tempo di chiedere aiuto. Lui le si avventa contro, la aggredisce. «Mi ha colpito con il palmo della mano sulla tempia — ha messo a verbale — e mi diceva di stare zitta che altrimenti mi avrebbe ammazzato». La vittima, terrorizzata, consegna i soldi, 35 euro. «Non ricordo bene cosa mi abbia detto ma la mia reazione è stata quella di prelevare ciò che avevo nel portafogli e consegnarglielo. Gli ho mostrato che non ne avevo altri».

Otto minuti di terrore

Ma l’aggressore non fugge. Anzi. Prima le dice di dargli anche il telefonino, poi la colpisce di nuovo e inizia a slacciarsi i pantaloni. «L’ho implorato più e più volte di non farmi del male. Ero pietrificata dalla paura. Pensavo di morire». L’uomo abusa della vittima in ascensore tenendola ostaggio per otto interminabili minuti: «Stai zitta, ti ammazzo». Nessuno nel palazzo sente mentre l’elevatore per diverse volte si sposta su e giù dai piani. La vittima implora di lasciarla andare. In lacrime finge che nel suo appartamento ci siano i figli piccoli ad attenderla. Ma la violenza non si ferma. L’aggressore la terrorizza, le intima di non denunciare: «Mi minacciava che non avrei dovuto dire nulla facendomi credere che conoscesse il mio nome». Poi l’uomo sente un rumore, teme di essere scoperto e si allontana: «Mi ha detto che doveva andare dalla fidanzata».

La richiesta di aiuto

La vittima sale in casa, chiede aiuto ai famigliari e chiama il 112. Davanti ai carabinieri e ai medici della Mangiagalli darà una descrizione precisa del suo aguzzino. Lo stesso uomo immortalato dalle telecamere che riprendono il suo ingresso: «Sono certa che sia lui», dice davanti ai carabinieri del Reparto operativo, guidati dal colonnello Michele Miulli, e della compagnia di San Donato. Altri fotogrammi lo immortalano in stazione, quando arriva da Pioltello alle 23.30 e quasi un’ora dopo quando fugge a piedi lungo i binari della ferrovia. La svolta arriva dal Dna: i campioni restituiscono un «match» con il profilo di un libico che è stato in carcere a Vigevano: «È destinatario di più ordini del questore di allontanamento dal territorio nazionale». L’ultimo è dell’8 settembre. Tutti mai eseguiti.

Segrate, lo stupratore della donna in ascensore non poteva essere espulso: il Marocco ha bloccato i rimpatri per Covid. Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 20 gennaio 2022.

Da ultimo arrivò il Covid. Il presunto stupratore di Segrate, fermato dai carabinieri con l’accusa di aver rapinato e violentato una 44enne nell’ascensore di casa, non poteva essere espulso. Colpa (anche) della pandemia, motivo per il quale il Marocco — suo Paese d’origine secondo le autorità italiane — ha bloccato i voli di rimpatrio, e sui pochi aerei che arrivano nel Maghreb dall’Italia è stato vietato l’imbarco di cittadini espulsi. Così l’ennesimo ordine di allontanamento firmato dal questore di Milano l’8 settembre scorso non è mai stato eseguito.

Chi è Ayoub Gerrad (o Hamza Sara)

Il caso del marocchino Ayoub Gerrad, 27 anni, questo è il vero nome del sedicente 30enne libico Hamza Sara (l’identità con cui si era registrato al suo arrivo a Lampedusa), si trascina da più di cinque anni tra tentativi falliti, buchi nell’acqua, resistenze e un’interminabile sequela burocratica. Un problema che, con il blocco causa Covid, riguarda tutti gli irregolari marocchini. E che riesplode con gli attacchi della Lega e di Fratelli d’Italia al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Una storia molto più complessa e articolata di quanto oggi lo scontro politico la faccia apparire. Attraversa cinque governi e anche i 15 mesi in cui alla guida del Viminale c’è il leader leghista Matteo Salvini.

Lo sbarco a Lampedusa

Si inizia nel 2016, quando sulle coste di Lampedusa approda un barcone con a bordo un ragazzo alto un metro e settantacinque, senza documenti, che racconta di essere partito dalle coste libiche. Nell’hotspot dell’isola dice di essere nato a Tripoli e di chiamarsi Hamza Sara. Gli viene assegnato un «Cui», il codice unico d’identificazione, in attesa di poter effettuare verifiche con la Libia. Dopo essere stato trasferito dall’isola, sparisce. Ma lascia un’infinità di tracce in tutta Italia prima di arrivare in Lombardia dove nel 2018 viene condannato a 3 anni e 4 mesi dalla corte d’Appello di Brescia. Una fila di arresti e denunce: violenza, minacce, resistenza, oltraggio, danneggiamento, diversi ordini di espulsione.

Il rimpatrio vietato

Il 27enne però non è libico. Il nome vero è Ayoub Gerrad, che fornisce in occasione di alcuni controlli di polizia. Si riparte dall’inizio. E i tempi si allungano perché Rabat non lo riconosce. E senza che il Paese d’origine accetti il rimpatrio è impossibile caricarlo su un volo. Viene scarcerato da Vigevano, si sposta a Milano dove ridiventa un fantasma. A settembre scatta il nuovo ordine di espulsione. Viveva tra Pioltello e Trezzo d’Adda, case dormitorio e amici di strada. Davanti al giudice ha scelto di non rispondere.

L'agghiacciante testimonianza della vittima, una 40enne di Segrate. Donna violentata nell’ascensore di casa, il racconto degli 8 minuti di terrore: “Zitta o ti ammazzo”. Roberta Davi su Il Riformista il 18 Gennaio 2022.  

Stava rientrando a casa dopo aver trascorso la serata con un’amica. E lì, nell’ascensore fermo al secondo piano interrato del suo garage, è stata picchiata, violentata e minacciata di morte da uno sconosciuto.

Otto minuti di paura, dalle 23:57 alle 00:05 dello scorso 21 dicembre come raccontato dalla vittima, una 40enne di Segrate, in provincia di Milano. L’aggressore, un 31enne libico senza fissa dimora, è stato arrestato ieri sera, 17 gennaio. A inchiodarlo, oltre alla minuziosa descrizione fornita dalla donna, anche le analisi dei Ris e le immagini delle telecamere di videosorveglianza.

La ricostruzione della violenza

“Una volta entrata, mentre premevo il tasto del piano, sentivo la porta da cui ero entrata poco prima sbattere e subito compariva un ragazzo che in tutta fretta si fermava tra le porte dell’ascensore, bloccandolo“. Questo il racconto della vittima messo a verbale davanti ai magistrati, riportato dal Corriere.

L’uomo inizia a picchiarla sulla tempia, dicendole di stare zitta che altrimenti l’avrebbe ammazzata, costringendola a consegnargli il telefonino sbloccato e i pochi soldi che aveva con sé, 30 euro. Ma non gli basta. L’aggressore non fugge: si slaccia i pantaloni, la minaccia di morte e la violenta. “L’ho implorato più e più volte di non farmi del male. Ero pietrificata dalla paura. Pensavo di morire” continua la testimonianza della donna.

Lei lo supplica di lasciarla andare, ma l’uomo la minaccia ancora, le intima di non denunciarlo facendole credere di conoscerla e di aver parlato di lei con il portinaio. Scappa nel momento in cui sente un rumore provenire dal palazzo. La 40enne riesce così a rientrare in casa, in stato di choc, e a chiamare finalmente i soccorsi.

L’arresto

L’uomo fermato era già noto alle forze dell’ordine: ha alle spalle una serie di reati di polizia. Il racconto della donna, preciso e con diversi dettagli, ha fornito subito elementi molto utili ai Carabinieri. L’aggressore era stato descritto come un uomo alto 1.75, di origine nordafricana, con cappuccio e mascherina chirurgica. La donna aveva raccontato agli investigatori che, poco prima di lasciarla, aveva detto di dover andare dalla propria fidanzata.

Gli approfondimenti degli investigatori della compagnia di San Donato e della sezione Investigazioni scientifiche del Nucleo investigativo di Milano hanno permesso di ricostruire gli spostamenti del sospetto grazie ai sistemi di videosorveglianza tracciando  il suo intero percorso, dalla stazione di Pioltello a quella di Segrate fino al garage del condominio, che si è concluso poi con la fuga.

Fondamentali, per l’individuazione, il suo abbigliamento: felpa con cappuccio, un piumino smanicato, un berretto da baseball e un orologio dorato. La svolta è arrivata grazie alle analisi, eseguite dai Ris di Parma, su un’impronta palmare dell’indagato, estrapolata nell’ascensore, e su alcuni determinanti campionamenti biologici rinvenuti sui vestiti della vittima.

L’indagato si trova ora nel carcere di San Vittore, a disposizione dell’autorità giudiziaria. Roberta Davi

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 18 gennaio 2022.

Si è svegliata con uno sconosciuto addosso. Non sapeva dove fosse e come fosse finita in quell'appartamento. La luce era spenta e lei, americana di 19 anni, ricordava a malapena cosa era accaduto poche ore prima. Un locale al Testaccio, quartiere centrale di Roma, un ragazzo che si presenta, che le offre da bere. La testa che gira e poi il blackout. 

È stata stuprata così il 15 ottobre scorso una studentessa della John Cabot University. Adesso è caccia all'uomo che l'ha violentata e l'ha drogata, molto probabilmente con il Ghb, la droga del sesso. Gli uomini del commissariato di Polizia di Trastevere gli danno la caccia. Nell'appartamento dove si è consumata la violenza di lui non c'è traccia. È scappato con i gioielli rubati alla vittima.

LA VICENDA Il 15 ottobre, una comitiva di americani, decide di trascorrere una serata al Testaccio. Del gruppo fa parte anche la 19enne. Il locale è conosciuto tra i ragazzi, si chiama Alibi. È spesso il ritrovo per giovanissimi studenti il fine settimana. Quel week end non fa eccezione. L'americana si diverte assieme alle amiche. Però, a un certo punto, loro vogliono andare via.

Chiamano un taxi. Chiede alle ragazze di rimanere. Loro sono stanche e rifiutano. Lei, però, decide di restare all'Alibi. A questo punto entra in scena il 30enne. Lei è sola e si avvicina un ragazzo. Le offre da bere, lei accetta e da quel momento il ricordo si fa confuso. Si siede su un marciapiede. Ma addebita il suo giramento di testa ad un malessere generico, passeggero. 

Non pensa che qualcuno possa averle drogato il cocktail. Poi i due si spostano verso un altro locale. A questo punto per la 19enne ci sono solo dei flash, la musica, lei che balla, qualche ragazza che la mette in guardia. Poi cala il sipario. Il risveglio non può essere dei peggiori. Una stanza buia e un uomo nel letto con lei. La giovane rimane pietrificata. All'inizio cerca di capire dove si trovi. Pensa che si tratti di uno dei più terribili incubi che una donna può fare. Parla e le risponde uno sconosciuto che fa fatica a ricordare, poi mette a fuoco. Si ricorda il suo nome e le chiede come ha fatto a trovarsi lì a casa sua.

Tenta una prima timida fuga, ma il trentenne le prende tutti i vestiti. Adesso si sente ancora di più in trappola. Iniziano delle trattative in cui lei cerca di essere la più conciliante possibile. L'uomo cede, lei chiama un taxi e si dilegua. Arriva a casa ed è ancora intontita. Dorme tutto il sabato e gran parte della domenica. Il lunedì successivo contatta il medico della John Cabot University. Poi va all'ospedale dove i medici confermano ciò che è accaduto. 

Intanto la polizia inizia a muoversi. Il pm Eleonora Fini ordina una perquisizione a casa del 30enne accusato di violenza sessuale. Ma di lui non c'è più traccia. Si è volatilizzato così come i gioielli e i soldi che ha rubato alla sua giovane vittima. Adesso gli investigatori lo cercano. IL GHB La giovane vittima, dopo lo stupro, ha scelto di rientrare negli Usa. È stata sentita dalla polizia, poi ha deciso che il suo periodo di studio a Roma poteva anche terminare. 

Ultimamente, in Italia, si sono verificati diversi episodi di abusi dove, lo stupratore, usava il Ghb per stordire giovani donne. Questa sostanza, versata nelle bevande, rende la vittima manipolabile e priva di volontà, talvolta facendole perdere i sensi. Uno dei casi di cronaca più eclatanti ha riguardato un imprenditore milanese di 50 anni arrestato, il 21 maggio, dopo aver fatto bere ad una studentessa 21enne, convocata per un colloquio di lavoro, un caffè corretto al Ghb. 

Sempre nel capoluogo lombardo è finito in manette un agente immobiliare 48enne. L'uomo ha narcotizzato una giovane coppia e ha abusato della donna durante un appuntamento per la compravendita di un box nonostante all'incontro ci fosse anche la figlia dei due, una bimba di pochi mesi. Adesso, a Roma, si cerca un 30enne che ha stuprato una studentessa di 19 anni.

Val.Err. per il Messaggero il 19 gennaio 2022.

Quando gli agenti di polizia si sono presentati nell'appartamento in via Simone Ghini, nel quartiere Giardinetti, Mike, era scomparso, non abitava più lì. Erano trascorsi alcuni giorni dalla presunta violenza sessuale e la perquisizione non ha fornito elementi utili per rintracciarlo. Sparito nel nulla. Il giovane gambiano, accusato di abusi su una diciannovenne americana, studente della John Cabot University, non aveva lasciato tracce. E, dopo più di due mesi, il ventisettenne continua ad essere irrintracciabile. 

A fornire l'indirizzo esatto dell'uomo è stata la stessa studentessa, che dopo due giorni di torpore ha iniziato a ricordare quanto accaduto nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 ottobre. La serata con le amiche al locale Alibi di Testaccio, loro che vanno via in taxi, lei che decide di rimanere ancora un po'. Si siede su un marciapiede, quindi l'incontro con quel ragazzo, un altro locale e il drink, offerto dal giovane appena conosciuto. Poi il buio. Quindi il risveglio in quella casa, la discussione accesa e il furto dei gioielli. E il presunto stupratore che alla fine chiama il taxi.

Agli agenti la ragazza ha anche fornito un numero di cellulare di Mike. Ed è proprio attraverso quel numero che gli agenti lo hanno identificato. Agli atti, al momento, c'è soltanto la denuncia della studentessa, che intanto è tornata negli Usa, e il referto del medico dell'università americana e dell'ospedale Santo Spirito. Nei confronti dell'uomo, non è stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare, ma è indagato per violenza sessuale e rapina e gli agenti del commissariato Trastevere continuano a cercarlo. «Fortemente indiziato di delitto». 

LE INDAGINI 

Ma gli inquirenti non sono neppure certi che l'uomo di 27 anni al quale era intestato quel cellulare, fornito dalla giovane vittima, sia effettivamente il ragazzo che la studentessa ha incontrato nel locale di Testaccio e che le ha offerto da bere. Per poi portarla a casa sua. Il telefono, attraverso il quale è avvenuta l'identificazione del presunto stupratore, potrebbe anche essere stato intestato a un amico dell'indagato. Lo stanno comunque cercando, per sentire la sua versione. Le indagini, coordinate dal pm Eleonora Fini, sono ancora in corso. Anche se alcuni dettagli devono essere chiariti, come quello del taxi, che lo stesso violentatore avrebbe chiamato, fornendo così elementi concreti a suo carico. 

IL SOSPETTO 

Il sospetto degli investigatori, adombrato dalla stessa vittima nella denuncia, è che l'uomo possa avere versato nel drink, che aveva offerto alla vittima la sera del 15 ottobre, il Ghb, la cosiddetta droga dello stupro, ovvero una sostanza chimica insapore e inodore che provoca una totale perdita del senso di realtà. Uno stupefacente utilizzato già in altri casi di violenze sessuali. 

La studentessa americana ha infatti riferito agli agenti del commissariato Trastevere di essersi seduta su un marciapiede «Lui, però, mi ha chiesto di andare in un altro club poco più avanti rispetto all'Alibi. In quel momento, ero abbastanza lucida...sembrava essere un frequentatore abituale per come veniva trattato. Poi, mi sembra, ma non ne sono così certa, un paio di ragazze inglesi si sono avvicinate a me e mi hanno detto stai attenta, stai attenta. Non ho più altri ricordi di quella serata». Ha raccontato di essersi svegliata la mattina dopo in una stanza buia. «In quel momento non ho fatto nulla ero terrorizzata, lui era nel letto con me.

Ho detto voglio chiamare il taxi e andare via. Lui mi ha bloccato la chiamata, mi ha preso i vestiti e mi ha ributtato nel letto. L'ho supplicato e a quel punto ha ceduto. Ho richiamato e sono venuti a prendermi». La giornata di sabato e quella successiva la ragazza le trascorre in uno stato di torpore. Solo il lunedì pomeriggio va dal medico e poi all'ospedale Santo Spirito. Infine decide di rivolgersi alla polizia. Ma è troppo tardi e gli agenti, nell'appartamento, non trovano Mike. 

Giu.Sca. per "il Messaggero" il 18 gennaio 2022.

«Le mie amiche volevano tornare casa. Io non avevo alcuna voglia, ho chiesto di proseguire la serata. Ma le ho accompagnate fuori per chiamare il taxi. Poi, quando sono rientrata, i miei amici all'interno non c'erano più». Inizia così il racconto alle forze dell'ordine della violenza subita da una giovane studentessa americana di 19 anni.

LA DENUNCIA Quattro giorni dopo lo stupro, avvenuto tra il 15 e il 16 ottobre, i ricordi della 19enne si fanno più chiari. Nitidi. Per due giorni la mente era annebbiata offuscata dalla droga del sesso. «Dopo che la mia comitiva è sparita ho incontrato questo ragazzo, mi ha offerto da bere un cocktail che aveva già con sé. Ho iniziato a sentirmi, quasi subito, in modo strano». 

TESTACCIO I due sono fuori dal locale. «Mi sono seduta sul marciapiede. Lui, però, mi ha chiesto di andare in un altro club poco più avanti rispetto all'Alibi. In quel momento, ero abbastanza lucida». Cosa accade dentro al locale però non lo ricorda bene. «Lui - afferma - sembrava essere un frequentatore abituale per come veniva trattato. Poi, mi sembra, ma non ne sono così certa, un paio di ragazze inglesi si sono avvicinate a me e mi hanno detto stai attenta, stai attenta». «Non ho più altri ricordi di quella serata».

A CASA DELL'UOMO Il risveglio è un shock. Ai poliziotti che l'hanno sentita dice: «Mi sono svegliata la mattina in una stanza buia. Saranno state le dieci. In quel momento non ho fatto nulla ero terrorizzata, lui era nel letto con me». La vittima è pietrificata non sa come comportarsi. Allora cerca di essere più naturale possibile. 

«Ho detto voglio chiamare il taxi e andare via». A questo punto la giovane cerca di telefonare. «Lui mi ha bloccato la chiamata, mi ha preso i vestiti e mi ha ributtato nel letto. L'ho supplicato e a quel punto ha ceduto. Ho richiamato e sono venuti a prendermi». 

IL RIENTRO La ragazza ritorna nel suo appartamento e racconta: «Sabato mi sono ripresa, ho capito di esser stata violentata, ho dormito tutto il giorno, compresa la domenica perché ero ancora sotto l'effetto degli stupefacenti. Lunedì pomeriggio ho contattato il medico della mia Università e sono stata portata al pronto soccorso dell'ospedale Santo Spirito». 

Stupro di Capodanno a Roma, la chat prima della festa: «Ci sarà quello che provò a violentarmi». Giulio De Santis, Fulvio Fiano  su Il Corriere della Sera il 19 Luglio 2022.

Il sesso e la droga, il giudice: «Inquietanti». Rigettata la richiesta di arresto per i due minorenni: «La vittima confusa e contraddittoria, sostanzialmente abbandonata a sé stessa». 

«Tenuto conto anche della personalità della persona offesa, i cui comportamenti, come da lei stessi riferiti, sono indice di una giovane sostanzialmente abbandonata a se stessa, si ritiene opportuno richiedere su di lei anche una relazione ai Servizi sociali». Sono parole dolorosamente dure quelle con cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale dei minori rigetta la richiesta di arresto per i due minorenni accusati di aver abusato di una 16enne la notte del 31 dicembre 2020 assieme a tre ventenni, in una villetta nel quartiere Torresina a Roma. L’ordinanza, inedita, risale al settembre 2021, ma sembra in parte spiegare lo stallo dell’inchiesta che a quasi due anni dai fatti ha ottenuto il giudizio immediato per uno dei tre maggiorenni (Patrizio Ranieri) ma ancora deve tirare le somme sugli altri presunti stupratori Claudio Nardinocchi (che sarebbe coinvolto per un errore di persona) e Flavio Ralli (che ha chiesto di tornare in libertà dopo un nuovo test del dna). Ancora in piedi anche le indagini sullo spaccio. Il giudice parla di «confusività e contraddittorietà di quanto dichiarato dalla persona offesa — per la quale dispone una nuova audizione protetta — e dalle persone presenti ai fatti per il loro stato di alterazione», concentrandosi in particolare sulle chat delle amiche.

Sono loro a «sollecitare» i ricordi della vittima con i propri. Racconti che il giudice definisce «inquietanti» e che sono al vaglio degli inquirenti per definire nel dettaglio le singole responsabilità. Ne emerge la disinvoltura dei rapporti tra i partecipanti alla festa organizzata dal gruppo di «parioline» (tra cui la figlia di una soubrette televisiva) col dichiarato tema del sesso e della droga. Appreso della denuncia della 16enne, scrive il giudice, «l’interesse delle ragazze è tutto focalizzato sull’avvenuto rapporto a tre tra lei, Ralli e la sua fidanzata e sulla delusione di quest’ultima in quanto Ralli ha avuto rapporti sessuali solo con la 16enne». Nella chat «Aimone» la fidanzata si informa con una delle ragazze: «Ma hai chiesto a Flavio de sc...?». E lei ammette: «Sì ma non è successo un c... Calcola che non mi ricordo un c...». Altre ricostruiscono il rapporto in bagno tra il suo fidanzato e lei: «Io pensavo stesse a fa na cosa a tre, capito?». E la fidanzata: «Regà, non lo so... lei (la 16enne, ndr) mi aveva chiesto de fa’ na cosa a tre ma a una certa non so che è successo... io stavo là impiedi a guardà». Con la 16enne sono spietate: «Lei si è sc.. un po’ de pischelli». «Sì è sc... tutti, chi voleva e chi non voleva». Il verdetto viene emesso: «Incazzate co lui... non se fanno ste cose, il pischello de una amica tua ok, sì, ce fai le cose a tre a Capodanno però almeno... no a sc... davanti così». «Ma è normale che se sia sc.. il primo che glie capitava, penso che pure io...». «Daje, sempre esperienze favolose a Capodanno».

«Ulteriore elemento che fonda il dubbio sul cosciente abuso da parte degli indagati delle condizioni di alterazione della 16enne», aggiunge il gip minorile, è rappresentato dal fatto che le stesse amiche lasciano la festa diverse ore prima di lei dopo aver visto i rapporti sessuali avuti e la maglietta sporca del suo sangue esibita da uno degli indagati. Le chiedono se voglia andar via anche lei, ma lei rifiuta. Scene alle quali sembrano abituate, come si evince dalla stessa chat durante i preparativi. Dopo essersi distribuite i compiti su quali droghe e farmaci portare, le amiche esaminano gli invitati. Una di loro sembra volersi tirare indietro: «Se ce sta G.(non coinvolto nell’indagine, ndr) io non me imbraso». «Amò, non hai capito che non abbiamo opzioni», «Te lo devi far andar bene», «Aò, però avete rotto il c... ci dobbiamo accontentare», la incalzano le altre. Alla fine la prima ragazza spiega i motivi della sua ritrosia: «Ce sta quello che m’ha stuprato... calcola che stavo davvero ubriaca quella sera, questo arriva, me tocca il culo, me segue in bagno che dovevo piscià, me butta a terra me stava a levà i pantaloni me so alzata e so scappata, lui me rincorreva, diceva paccami (toccami, ndr) gli ho dato un bacio a stampo, so andata via...». Le amiche si dicono disposte a difenderla e lei le tranquillizza: «Ma sti c... se me riprova a stuprà chiamo le guardie.... Scialla, allora me porto lo spray ar peperoncino e se me prova a toccò je spruzzo». 

Giulio De Santis per corriere.it il 19 luglio 2022.  

La festa di Capodanno è finita da qualche ora. Ma l’eco del dolore vissuto da Sara, violentata più volte nel corso della notte, rimbomba nelle chat delle amiche. «Amo’, l’hanno stuprata tre volte Sara (nome di fantasia), ecco perché vi si è accollata. Aveva paura». Sembra quasi di poterla percepire la compassione disperata di Martina (nome inventato), minorenne, la migliore amica di Sara.

Sono le 15,26 dell’1 gennaio 2021, quando è costretta in chat a svelare il calvario dell’amica. Dall’altra parte del telefono, c’è Adele (altro nome inventato), minorenne, figlia di una soubrette, soprannominata «pugile» dalle partecipanti alla festa. Adele ha appena finito di lamentarsi del comportamento di Sara. «Io e il mio fidanzato Simone (Ceresani, nipote dell’ex premier Ciriaco De Mita, ndr) siamo stati tutta la serata con lei. Dalle sette alle sette del mattino. Senza mai staccarsi un attimo. E a na certa me dava anche ar c…».

Questo scrive Adele – indagata insieme al fidanzato per cessione di stupefacenti alla festa, dove giravano cocaina hashish e pasticche - alle 15,19. La lamentela deve essere apparsa cosi inaccettabile a Martina che impiega sei minuti prima di rispondere. «Amo’, l’hanno stuprata tre volte – asserisce, mentre Sara, che è sua ospite, dorme -. La terza quando ve ne siete andati, l’hanno iniziata a insultare, a prenderla, a fare cose. Per questo vi stava appiccicata. Fidati, stava veramente male. Aveva paura. Per questo stava appiccicata a te. È arrivata qua piangendo».

Chi ha stuprato una prima vota Sara, secondo la procura, è Patrizio Ranieri, per il quale è stato disposto il giudizio immediato, insieme a due minorenni. La violenza si sarebbe consumata nel bagno della casa. Poi Sara, secondo la procura, sarebbe stata di nuovo stuprata da Claudio Nardinocchi e Flavio Ralli – difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo - con la partecipazione della ragazza di quest’ultimo.

L’episodio è ancora da approfondire. Ecco la chat. Sono le 14,47 quando Adele inizia a chattare con Martina. «Buongiorno, come stai?» le scrive «pugile». Martina ha un peso dentro: «Io sto bene, perché avete lasciato Sara sola?». Pugile risponde: «Ma non l’abbiamo lasciata da sola. Je stavo a stirà, anche Simone voleva anda’ a casa. E Sara mi ha detto, “amo’ tranquilla rimango qua”». Martina, per un attimo, devia dall’argomento che la fa soffrire: «Amo, stava a succede il panico. Ero triste e delusa dalla maggior parte delle persone presenti». È il turno di Adele di raccontare la sua serata. Si lamenta di Sara che le è stata sempre accanto. Martina le spiega il perché. Adele è scettica: «Sara ha sc…di sua volontà».

Martina sa qual è la verità e difende l’onore dell’amica: «Non voleva. Stava da sola. Sta piangendo ancora adesso». Adele allora capisce che la situazione è seria: «Amo’, mi spiace, non pensavo». Martina racconta: «L’hanno stuprata in 15, hanno appeso mutande, hanno fatto il panico. Uno la stava stuprando e l’ha menata. Sara sta male, non riesce nemmeno a camminare». Martina si blocca qualche secondo: «Non riesco a raccontarlo». Adele si scusa: «Se lo avessi saputo, sarei rimasta. Ma non riuscivo a stare in piedi». Martina assente. Sa che l’aspetta un duro compito, da vera amica: «Adesso riprenditi Adele. A Sara ci penso io».

Da corriere.it il 6 novembre 2022.

Troppo pesante da dimenticare, troppo doloroso il ricordo di quanto successo quella notte di San Silvestro del 2020 per Sara (nome di fantasia), stuprata da 5 ragazzi (due minorenni) in una villetta a Torresina, Primavalle. Nonostante l’allontanamento dall’Italia, per rifugiarsi in un college esclusivo in Spagna, Sara non si è mai ripresa da quell’esperienza, i ricordi nitidi delle violenze sofferte riaffiorano e il loro impatto sul suo equilibrio sembra violento. L’ultima notizia è che i tutor del campus l’hanno trovata svenuta nella sua stanza. Sul corpo, i segni che si procura. 

L’episodio, secondo Repubblica, risale a settembre scorso. Appena ritrovata, sofferente per le ferite, mentre veniva accompagnata in ospedale pare che la 18enne abbia detto: «È tutta colpa mia...». Ora, dopo essersi ripresa almeno dalle ferite superficiali, la giovane è tornata in Italia e a quanto risulta, ha ripreso i contatti con i familiari. Ma per elaborare tutto quello che è successo Sara è aiutata da uno psicologo che la segue dal 2021. 

Il 22 novembre intanto, avrà inizio il processo per lo stupro patito da Sara. Alla sbarra siederà Patrizio Ranieri, 20 anni, imputato di lesioni e violenza sessuale di gruppo nei confronti della ragazza, all’epoca 16enne. Il giovane, agli arresti domiciliari da fine gennaio, è accusato dello stupro insieme ad altri due ragazzi non ancora maggiorenni la notte del dramma, per i quali si procede davanti al Tribunale dei minori. Ranieri è il giovane che, dopo il rapporto con Sara in un bagno della casa, aveva mostrato la sua maglietta sporca del sangue della giovane gridando: «Ho avuto un rapporto con una vergine».

A causa del crollo psicologico di Sara, è messa in dubbio la sua partecipazione al dibattimento. Con tutte le conseguenze del caso: non essendo stato fatto l’incidente probatorio, l’avvocato Bertarelli darà il consenso a utilizzare le dichiarazioni rese dalla ragazza subito dopo la notte dello stupro? Interrogativo che verrà sciolto nel processo.

Romina Marceca per “la Repubblica - Roma” il 17 luglio 2022.

Per mesi è circolata come una "voce non confermata". Nell'indagine sullo stupro di Capodanno a Primavalle è certo, adesso, che uno dei nomi degli iscritti sul registro degli indagati è quello della figlia di una soubrette. 

Una ragazza, una "pariolina", che quella sera maledetta aveva 17 anni compiuti da poco e che avrebbe, secondo i magistrati della procura dei minorenni, spacciato droga dentro la villetta di via Podere Fiume. Le amiche la chiamano "La pugile", nella chat "Aimone" dove i carabinieri hanno trovato le conversazioni sulla droga da acquistare. 

Quella giovane era arrivata alla festa con l'allora fidanzato Simone Ceresani, il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita, e anche lui sotto inchiesta per spaccio ma dalla procura di Roma. Tra gli indagati per droga ci sono anche altri tre minorenni. E spicca il nome di una ragazzina, la più piccola, 14 anni, che quella sera aveva in borsetta il Rivotril. La stessa giovanissima era già stata sfiorata in passato da un'inchiesta sulle ricette false per l'acquisto di psicofarmaci. 

La notte di San Silvestro 2020 nella villetta di Primavalle si sono incrociati i destini dei giovanissimi che quella notte di orrore se la portano ancora dentro. Ognuno col suo fardello sulle spalle. 

Bianca, allora sedicenne, è la vittima di stupro che da pochi giorni ha saputo del processo a carico del capobranco che l'avrebbe violentata a turno con altri quattro ragazzi, Patrizio Ranieri. Ma quella festa, in spregio alle restrizioni Covid, era stata organizzata anche per sfondarsi di alcol e droghe. Un tavolo, al centro del salotto della villetta, era stato allestito con cocaina e hashish, droghe sintetiche e pasticche di Rivotril. 

"Devo risolvé", scriveva nella chat "Aimone" la figlia della soubrette il pomeriggio del 31 dicembre 2020. Cioè doveva cercare la droga per la serata ma a quanto pare non riusciva a reperirla. "Devo tornare a Parioli a prendere i soldi e poi a Tor Bella", scriveva alle amiche spiegando la frenesia della ricerca. Tanto che una le consiglia di andare "sotto la Cassia".

Poi arrivano anche le richieste delle amiche sulle dosi e lei risponde: "Non posso girà con chissà quanto dietro, se mi fermano so cazzi". Questo è quanto è accaduto quel pomeriggio prima della violenza nei confronti di Bianca, iniziata già intorno alle 22 del San Silvestro. Nessuna delle sue amiche l'avrebbe soccorsa, tranne una ragazzina che per entrare nel gruppo delle "parioline" è caduta nel vortice dell'anoressia. 

La crudezza di quella sera e la vita secondo i parametri dei giovani che hanno partecipato alla festa ritorna in due immagini: la maglietta sporca di sangue mostrata a tutti da Patrizio Ranieri dopo lo stupro e le parole della "pugile" alle sue amiche il giorno dopo la festa. La ragazza spiega perché sta poco bene: "Non mangiavo da una settimana e mi sono fatta 3 grammi di cocaina".

Giulio De Santis per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” il 18 luglio 2022.

«Al massimo Sara (nome di fantasia), l'ha stuprata Luigi (lo chiameremo così), uno dei due minorenni». A fornire una testimonianza oculare del calvario vissuto il 1° gennaio 2021 da Sara, 16 anni, è una minorenne, Laura (nome inventato) anche lei indagata con l'accusa di violenza sessuale proprio sulla vittima della terribile notte di Capodanno nella vitta di Primavalle. La giovane, da poche settimane maggiorenne, è accusata di aver costretto Sara a un rapporto a tre insieme al fidanzato, Flavio Ralli. Quest' ultimo - difeso dall'avvocato Fabrizio Gallo - per ora è indagato solo per lesioni. 

Le parole di Laura, raccolte quando lei è ancora considerata persona informata sui fatti, vanno decifrate in un contesto, dove i partecipanti alla festa, hanno sposato il principio della «fantomatica legge della strada», come sottolineato nell'informativa finale dei carabinieri, per rendere difficoltose le indagini. Laura, seppure a singhiozzi, racconta quanto ha visto nel bagno dove Sara («un amica» per lei) sarebbe stata stuprata anche da Luigi: «Sara mi ha detto che ha avuto un rapporto con Luigi, anche se a lei non andava bene.

Quando sono salita in bagno, ho visto Sara piegata sul lavandino e dietro Patrizio Ranieri (l'unico per cui la procura finora ha chiesto il giudizio immediato, ndr ). Poi è arrivato Luigi, che voleva un rapporto con Sara. Lei però ha detto no, che non voleva. A quel punto, anziché uscire Luigi, è andato via Patrizio e credo che abbiano avuto un rapporto». Dichiarazioni decisive per i carabinieri per inchiodare Luigi, quando osservano che Laura ha sentito dire «no» da Sara alle richieste del ragazzo, e, nonostante il rifiuto, Luigi è entrato nel bagno. 

In un secondo interrogatorio, Laura ribadisce: «Ho sentito Sara dire a Luigi di uscire dal bagno». Gli inquirenti cercano di capire se ci siano legami pregressi tra lei e Luigi: «Non so nulla di lui».

Laura, comunque, ammette di aver avuto un rapporto a tre con Sara: «Verso le 3 di notte del 1° gennaio 2020 mi sono svegliata dopo aver dormito su un divanetto perché mi ero sentita male. Riaperti gli occhi, ho avuto l'idea di un rapporto a tre insieme al mio ragazzo. Era per divertirci. Mi sono innervosita perché Flavio stava avendo un rapporto solo con Sara, nonostante l'idea l'avessi avuta io. Allora ho litigato con Flavio». I carabinieri le domandano quali fossero le loro condizioni: «Ero ubriaca, Flavio no, Anna invece aveva bevuto, fumato delle canne, mi aveva detto che aveva pure pippato».

Anche Laura conferma che alla festa sia stato fatto uso di stupefacenti: «C'erano pasticche, erba e cocaina». Poi gli inquirenti le chiedono se ha più sentito Sara - assistita dall'associazione «Bon't worry Ingo» fondata da Bo Guerreschi - dopo il Capodanno: «Mi ha detto che non pensava di essere stata stuprata, anch' io non credo che sia stata violentata, perché Flavio era sobrio. Al massimo l'ha stuprata Luigi». Ma per i carabinieri, oltre a Luigi e a Ranieri, c'è anche Laura a essersi approfittata dell'incapacità di Sara di essere lucida.

Romina Marceca per “la Repubblica - Edizione Roma” il 20 luglio 2022.

In un braccio tiene una micro bag, magra come un chiodo dentro una tutina nera super elasticizzata, sguardo spento. Maddalena è una delle ragazze indagate per la notte di violenza e droga di Capodanno 2021 a Primavalle. Si droga da circa due anni, ne ha 17. Assume regolarmente Md, chetamina e coca. Era amica di Bianca, la figlia sedicenne di un diplomatico che a quella festa è stata stuprata da cinque ragazzi, e faceva parte del gruppo delle " parioline". 

Cosa ricorda di quella notte?

«Ho visto Bianca dentro un bagno. Le ho chiesto se era tutto a posto e lei mi ha detto di sì. Un'altra volta sono andata a vomitare e l'ho vista con un ragazzo fare sesso. Poi ho un vuoto perché stavo troppo male. La mattina l'ho ritrovata nel letto accanto a me». 

Perché si è sentita male?

«Avevo assunto Xanax e Rivotril. Quella notte mi ha cambiata. Ho capito che stavo sbagliando ma continuo a farlo». 

Bianca la sente ancora?

«No, non mi ha più risposto al telefono. Mi dispiace per lei. Non frequento più nemmeno la Pugile, lei aveva portato la droga. Continuo a vedermi con tre ragazze. Una di loro quel Capodanno ha portato il Rivotril e spacciava ricette false. Non so se lo fa ancora. Di quella notte non parliamo più, vogliamo dimenticarla».

La chat del Capodanno come è stata creata?

«Una delle mie amiche conosceva Patrizio Ranieri, (a giudizio per lo stupro, ndr) e aveva fatto su Instagram una storia lanciando la nostra idea di passare il Capodanno fuori. Patrizio ha risposto e siamo state inserite nella chat della festa». 

Cosa è cambiato da quella notte?

«Non parteciperei mai più a una sera così folle. Ho lasciato il ragazzo di allora, ho ripreso gli studi ma non riesco ad abbandonare la droga. Le pasticche le ho dagli amici fornitori, se voglio qualcosa di più buono vado a Tor Bella o a San Basilio. Frequento Ponte Milvio e le discoteche di musica tecno all'Eur. Lì se sei brava riesci ad avere a dieci euro la chetamina, la Md, e a 20 euro un pezzo di coca. Basta non farsi beccare dai buttafuori». 

Perché si droga?

«Quando sei in un gruppo se non ti fai sei fuori. Ho iniziato con la coca per curiosità. Quando mi faccio riesco a non pensare, poi l'effetto finisce e mi sento molto giù». A cosa non vuole pensare? «Alla mia solitudine, alla mia voglia di stare di più con una mamma che lavora tanto e quando è a casa è stanca. Se le chiedo di fare qualcosa con me lei mi dice di no. Non ce l'ho con mamma, lo so che si sacrifica per me». 

Il suo ragazzo sa che assume droghe?

«Sì, e non vuole. Se esco da sola però non riesco a resistere». 

E sua madre?

«Non riesco a confidarmi perché non voglio darle altre delusioni. Non voglio che soffra».

Cosa sogna per il suo futuro?

«Di finire gli studi e di non drogarmi più. Vedo il mio corpo che non è più lo stesso, non ho fame come prima e il ciclo mestruale è sballato. Ci cado perché attorno a me vedo tutti che si fanno e mi viene voglia».

Stupro di Capodanno, la vittima: «Nel mio cervello c’è il film dei dolori patiti». Giulio De Santis e Fulvio Fiano su Il Corriere della Sera il 21 Luglio 2022.

Nelle carte dell’inchiesta sulla 16enne vittima di violenza in una villetta del quartiere Torresina la ricostruzione non sempre chiara delle amiche: «Ne hanno abusato in 15», «Ne ha portati sei in bagno». 

«Mi fa sorridere come foto ma non sapevo nemmeno che esistesse». Nel suo primo interrogatorio, al momento di sporgere denuncia, alla 16enne vittima dello «stupro di Capodanno» viene mostrata una foto di lei sul divano con tre dei suoi presunti stupratori. La prova della sua vulnerabilità, secondo l’accusa; la dimostrazione che non ci fu violenza, secondo le difese. La foto riporta l’orario delle 3,34 del mattino ed era nel cellulare di Flavio Ralli, uno dei maggiorenni indagati per i rapporti che a quell’ora erano già avvenuti. Con lui c’è anche Patrizio Ranieri, già rinviato a giudizio, che indossa la maglietta sporca del sangue della ragazza, «prova regina» in questa inchiesta.

Il gip del tribunale dei minori, per la parte di sua competenza, cita lo scatto per rigettare l’arresto dei due 17enni coinvolti nell’imputazione (uno è sul divano). In sostanza, ragiona il giudice, se la 16enne fosse stata stuprata, siederebbe accanto ai suoi aggressori? Una tesi che la procura ribalta, sostenendo che proprio la vicinanza ai suoi violentatori conferma come non fosse in grado di rendersi conto di quanto accaduto. «Il mio cervello — dichiara la 16enne nello stesso verbale — crea un film dai dolori che ha percepito con il corpo ma non riesce a creare il film di una persona sola. Non ho ricordi visivi di quella notte». Proprio in base alle sensazioni della vittima davanti alle foto dei partecipanti alla festa, il pm è invece arrivato a individuare i responsabili delle violenze. Con qualche contraddizione.

«Mia figlia è vittima»

Il 2 gennaio 2021, ad esempio, Ranieri, Ralli e la fidanzata di quest’ultimo (difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo) si risentono per organizzare «una cosa a a quattro» nella quale coinvolgere anche la 16enne. Di alcuni fatti, scrive il gip minorile chiedendo ulteriori approfondimenti, la vittima «ne è a conoscenza perché sono stati a lei riferiti dagli amici con cui era alla festa». Il padre della ragazza, tramite i suoi legali, «respinge ogni tentativo dei giudici di far passare mia figlia come abbandonata a sé stessa (uno dei passaggi dell’ordinanza, ndr). In questa storia lei è la vittima». Con la supervisione centro anti violenza Bon’t Worry di Bo Guerreschi, che la assiste nel processo di recupero, la 16enne viene descritta in lenta risalita dal trauma vissuto: «parleremo a inchiesta chiusa», dice Guerreschi.

La droga a sua insaputa

Un altro punto sul quale il gip accoglie le obiezioni delle difese riguarda l’assunzione di sostanze da parte della 16enne. Lei dichiara, riporta l’ordinanza, di aver «solo bevuto e fumato canne» ma il referto medico la rileva negativa proprio a cannabis ed alcol. Un’altra dimostrazione, secondo l’accusa, che le sono state somministrate droghe a sua insaputa. Le amiche in particolare riferiscono di una sigaretta imbevuta nella cocaina e di alcune pasticche. «A un certo punto sono entrata in una stanza in cui c’erano dei ragazzi con della cocaina... mi hanno offerto una sigaretta con un liquido strano ma ho rifiutato... me l’hanno passata dicendo “ti vuoi fare due tiri di sigaretta?”, stavo per fumarla ma poi vedendo del liquido e sentendo un odore strano, molto forte, ho rifiutato... questa sigaretta è passata a Sara (la 16enne, nome di fantasia, ndr) e a un’altra ragazza che poi si è sentita male».

«Ci ha messe nei casini»

Meno rilevante per configurare il reato ma significativo per dare l’idea del clima che c’era quella sera è una conversazione che il gip definisce «inquietante» tra le amiche della vittima, avvenuta l’1 gennaio: «L’hanno stuprata in quindici», dice una; «Ha avuto rapporti consenzienti con sei pischelli, era lei che glielo chiedeva», dice un’altra. Un’altra testimone sembra quasi risentita quando riferisce che «Verso l’una, l’una e mezza Sara mi ha anche imbruttito (risposto male, ndr) mentre stavamo all’ingresso della cucina perché la stavo guardando e lei mi ha detto “se voglio fare la zo... faccio la zo...». La conclusione che ne trae il gip è che «un ulteriore elemento che fonda il dubbio sul cosciente abuso da parte degli indagati delle condizioni di alterazione di Sara è rappresentato dal fatto» che le sue amiche la lasciano da sola alla festa salvo poi accusarla «di averle messe nei casini».

Stupro di Capodanno, la vittima: «Minacciata dalle mie amiche dopo la violenza sessuale». Giulio De Santis su Il Corriere della Sera il 22 Luglio 2022.

Il nuovo interrogatorio della 16enne depositato negli ultimi giorni. Le frasi choc: «Non riesco a riposare, dormo tre ore la notte e il pomeriggio sono stanca». 

«Le ragazze mi hanno mandato audio su Whatsapp dicendo che le avevo messe nei casini, che avevo fatto i loro nomi. Mi hanno messo un’angoscia addosso...». Alle violenze subite Sara (nome di fantasia), 16 anni, vittima dello stupro di Capodanno 2020, somma le minacce delle amiche. Il passaggio sulle minacce da parte delle amiche (o presunte tali) è in un suo interrogatorio, adesso messo a disposizione degli avvocati. Verbali che spiegano in quale stato d’ansia abbia vissuto la ragazza: «Non riesco a riposare, dormo tre ore la notte e il pomeriggio sono stanca», dice in una disposizione divisa tra il 3 e il 5 febbraio del 2021, resa quando è passato poco più di un mese della drammatica notte . E dopo quella deposizione la ragazza ha lasciato Roma, è tornata in Spagna dove vive con la famiglia e non è mai più tornata in Italia.

La chiave per capire cosa si nasconda dietro alle minacce è la droga: «La figlia della soubrette mi ha detto: “Per colpa tua ho un processo, mi hanno dato spaccio, mi metteranno ai domiciliari”. Mi ha mandato un audio di un minuto per minacciarmi». Lei squarcia via il velo sulla verità nascosta di quelle ore: «Retrovil, cocaina e non so che altro ci fosse… ho scoperto che quelle cose appartenevano alle mie amiche e quindi non penso che avessero interesse a drogarmi. Però magari qualcun altro ha portato qualcosa». Sara – assistita dall’associazione «Bon’t worry Ingo» fondata da Bo Guerreschi - non sa dare una risposta chiara su cosa abbia assunto: «Non ricordo di averne assunta, ma ho bevuto e fumato canne, ma non mi sentivo solo ubriaca e fatta, penso di aver preso altro ma non di mia volontà».

C’è un altro passaggio dell’interrogatorio di Sara che aiuta a capire l’atteggiamento delle adolescenti verso di lei: «Tra le ragazze c’era chi aveva cocaina, tanta, e certa gente la comprava, tutti si sono messi a fare certe cose con la cocaina». Come spiega agli inquirenti in primo momento trova solidarietà nelle amiche: «Sembra che si siano organizzate perché all’inizio mi chiamavano per sapere come stessi». Poi tutto cambia: «Passano a mandarmi messaggi in cui mi davano della bugiarda, mi dicevano che per colpa mia avrebbero avuto problemi». Un tempo tormentato quello che ha vissuto Sara nelle settimane successive alla festa. Ci sono state le minacce, ma anche lo spazio per riflettere sugli avvenimenti di quelle giornate seguite alla notte del primo gennaio 2021: «C’è lockdown, passiamo tante ore con noi stessi a pensare, troppe cose che non mi tornavano… io sono qui da sola, perché stanno cercando tutti di pararsi il c...».

A chi si riferisce Sara? Anche a chi secondo l’accusa l’ha violentata, almeno cosi s’intuisce dal verbale: «Patrizio Ranieri – il diciottenne accusato per cui la Procura ha disposto il giudizio immediato con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di Sara – si avvicina qualche giorno dopo il Capodanno dicendomi: “Ti voglio aiutare, voglio proteggerti”. C’ho creduto.(…) Di quella notte mi ha raccontato che abbiamo avuto un rapporto. Poi senza che gli chiedessi nulla,mi ha detto di avermi sentito e visto dire “no” al Biondo. Senza dirmi, dove e quando è successo . Ha visto il Biondo farmi qualcosa e io gli stavo dicendo no, l’ha lasciato fare e poi mi ha detto di volermi aiutare, mi ha scritto per chiedermi come sto, e poi ha detto in giro che ero una zo….». Per Flavio Ralli, difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo, accusato anche lui di violenza sessuale, il gip non ha ancora deciso se annullare l’obbligo di firma.

Stupro di Capodanno, l’omertà dei genitori al telefono: «Non avvisiamo la polizia». Giulio De Santis su Il Corriere della Sera il 23 luglio 2022.

Il tentativo di «depistaggio» raccontato agli investigatori dal papà della migliore amica della vittima. 

La tela dei ragazzi impegnati a nascondere alle forze dell’ordine quanto accaduto la notte di San Silvestro 2020 nella villetta alla Torresina, a Primavalle, si intreccia a quella tessuta dai loro genitori, altrettanto determinati a celare quanto combinato dai figli protagonisti della festa della stupro di Capodanno. A svelarlo agli investigatori è il padre della migliore amica della vittima, Sara (nome di fantasia, ndr), 18 anni compiuti da poco: «Oggi ho avuto due telefonate con il papà di una delle ragazze che sono andate alla festa. Nella seconda mi ha detto: “Per evitare guai ai nostri figli parliamo con loro senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Gli ho risposto di no».

Il racconto dell’uomo, un manager 51enne, il primo adulto ad aver visto Sara (sua ospite, come amica della figlia) piangere dopo aver subito lo stupro, viene verbalizzato alle 22 del 2 gennaio del 2021. Quando sono passate poche ore dalla fine della festa nella villetta alla Torresina e le voci sulle violenze a Sara - per le quali è stato disposto il giudizio immediato per Patrizio Ranieri, mentre altri quattro ragazzi (due minorenni) sono indagati: tra loro Flavio Ralli, difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo - e sull’uso massiccio di droga già corrono veloci fra i partecipanti. La prima telefonata è proprio il manager a farla. «Capendo che è successo qualcosa di grave, chiamo il padre di Laura (anche questo è un nome inventato, ndr) per sincerarmi che non fosse successo a sua figlia nulla di simile a quanto accaduto a Sara. Mi tranquillizza e chiudo la telefonata. Alle 17,10 è lui a telefonarmi». Il manager è un fiume in piena con gli inquirenti. Che ignorano lo scambio telefonico. Il 51enne, però, deve essersi irritato della chiamata del padre di Laura perché la svela di sua iniziativa.

«Mi dice che si è confidato con un poliziotto. Questi gli ha detto che chi ha avuto un rapporto intimo con Sara, anche nell’eventualità che lei sia stata consenziente, avrà conseguenze penali perché la ragazza era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti». La droga è il tema che serve al padre di Laura per parlare dell’argomento che gli sta a cuore, come si deduce dall’interrogatorio del manager. «Se le forze dell’ordine, mi dice il padre di Laura, avessero saputo che, nell’abitazione dove si è svolta la festa, è stato consumato dello stupefacente, tutti i ragazzi, compresi i nostri figli, avrebbero subito perquisizioni e test tossicologici. La questione, mi propone, si sarebbe potuta risolvere parlando con i nostri ragazzi, senza coinvolgere le forze dell’ordine. Gli ho risposto che non c’era nulla da omettere». Anche il padre di Laura è stato sentito e ha raccontato solo di una telefonata, la prima, dove il manager gli ha detto: «Ho visto Sara provata e mi ha detto di essere stata violentata». Mentre partono le telefonate tra genitori, i ragazzi si sentono per coprirsi: «Cancella le chat» dice a un amico uno dei minorenni indagati per lo stupro.

Giulio De Santis per corriere.it domenica 24 Luglio 2022.

Una talpa in procura avrebbe informato dello sviluppo delle indagini gli indagati accusati di aver stuprato Sara (nome di fantasia) il 1 gennaio del 2021 durante una festa a Primavalle. A ipotizzarlo i carabinieri, che nell’informativa finale scrivono: «Giuseppe (nome inventato), all’epoca ancora non indagato, per il tramite di terze persone può aver acquisito dell’esistenza di soli due indagati attraverso un accesso abusivo al sistema informatico della Procura». 

L’ipotesi è ventilata dagli inquirenti dopo che l’11 febbraio Giuseppe confida in una conversazione telefonica alla madre di essere estraneo all’indagine: «Sto con mì cugino, cioè sto con Marco, sto a parla con una persona, e gli hanno detto, guarda gli indagati dello stupro so due. E io, il mio nome non c’è». Con chi sta parlando Giuseppe per essere così sicuro di non essere (ancora) indagato?

I carabinieri, nell’informativa, sottolineano che l’informazione è esatta perché in quella data gli unici iscritti sono due: Patrizio Ranieri, per cui è stato chiesto il giudizio immediato, e Claudio Nardinocchi (la cui posizione si è ridimensionata nello sviluppo dell’inchiesta). Per l’altro indagato maggiorenne, Flavio Ralli, difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo, la procura ancora non ha deciso se chiederne, o meno, il processo. 

Lo stupro di Capodanno: la denuncia, le chat, la droga, il racconto della vittima

La sicurezza mostrata da Giuseppe – lo stesso che minaccia di vendicarsi sui figli dei carabinieri «se mi accollano lo stupro» - solleva negli inquirenti il sospetto dell’esistenza di una talpa.

Questo stralcio d’intercettazione impone di leggere sotto una luce inquietante i dialoghi avuti da Giuseppe durante le indagini: è il 6 febbraio del 2021 quando il ragazzo telefona a Nardinocchi per impartirgli un ordine in vista dell’interrogatorio: «Cancella tutto, da whatsapp, da instagram, pure il numero mio dalla rubrica». Ancora più illuminante è la telefonata del 3 febbraio dove Giuseppe fornisce a Claudio una spiegazione sull’origine dell’inchiesta: «È partito tutto da quando hanno cioccato le chat di uno di noi (di cui fa il nome)».

Come fa Giuseppe a essere così preciso? Qualcuno lo ha avvisato? Sempre in questa stessa telefonata, per mettere sul chi va là Claudio, chiarisce lui cosa sta facendo per allontanare i sospetti dagli inquirenti: «Io, calcola fratè, ho levato le chat con tutti, ho il telefono nuovo tra qualche giorno. Tutto me se leva». Infine dice: «Vonnò capi se semò tutti dello stesso gruppo, noi maschi». Gli hanno spiegato a dove mirano gli inquirenti? Alla fine anche Giuseppe finisce indagato perché avrebbe stuprato Sara nel bagno insieme a Ranieri e a Luca (nome di fantasia), minorenne.

La deposizione di un partecipante alla festa intanto allunga dubbi sull’inconsapevolezza degli indagati sulla volontà di Sara avere rapporti: «Sara era come uno zombie. Il mio amico Ranieri, durante la festa, mi ha detto che Sara non voleva avere rapporti con Luca (nome inventato, l’altro minorenne indagato). Hanno discusso». 

Giulio De Santis per il “Corriere della Sera – ed. Roma” il 26 luglio 2022.  

È indagato per detenzione di cocaina e hashish ai fini di spaccio il ragazzo che ha dato una «strana sigaretta» a Sara (nome di fantasia) la sera della festa a Capodanno in cui la 16enne è stata stuprata.

Si chiama Marco Palmieri, ha 25 anni, il suo soprannome è «Molla» ed è uno dei migliori amici di Patrizio Ranieri, il giovane per cui la Procura ha chiesto il giudizio immediato con l'accusa di violenza sessuale di gruppo nei confronti di Sara. 

Ma Palmieri, nel corso dell'interrogatorio dei carabinieri ha addirittura negato di conoscerlo, finendo così indagato anche per favoreggiamento personale di Ranieri e anche di un altro minorenne coinvolto nella vicenda. 

La barba nera e lunga di Molla è indicata nel passaggio chiave della testimonianza di una minorenne che lo inchioda nel momento in cui offre la sigaretta a Sara: «Non so se nella sigaretta fossero state messe delle pasticche - dice la giovane -. Durante la festa un ragazzo con la barba lunga e nera me l'ha passata dicendo: "Te li vuoi fare due tiri?". Stavo per fumarla ma vedendo del liquido e sentendo un odore strano, molto forte, ho rifiutato.

La sigaretta è passata prima a Sara e poi a me. Era una sigaretta normale, ma bagnata su un lato, differente dalle altre. La chiamavano cicchetto. È successo verso mezzanotte». 

La «strana sigaretta», come la chiamano i carabinieri, offerta da Palmieri è stata fumata anche da un'altra minore che quella notte si è sentita male. Sara, in uno dei passaggi delle sue deposizioni, ha risposto, quando le è stato domandato se avesse assunto droga, che pensava «di aver preso altro ma non di mia volontà». 

La ragazza risultata essenziale per individuare Palmieri, come osservano i carabinieri, ha confidato la sera di Capodanno in un messaggio vocale alle amiche di essere stata in condizioni psicofisiche alterate, tanto da essere stata a un passo dall'avere un rapporto intimo «con un ragazzo con la barba».

Era Palmieri? Molla era arrivato alla festa intorno alle 20,30 del 31 dicembre 2020 ed era andato via alle 2 del primo gennaio 2021. In quelle ore si sono consumate le due violenze di gruppo su Sara. Una è quella di cui è accusato il suo amico Ranieri. Per l'altra è ancora indagato Flavio Ralli, difeso dall'avvocato Fabrizio Gallo, con la sua fidanzata. La sigaretta ha indotto Sara a avere comportamenti incontrollati? 

È stata imbevuta nella droga dello stupro, una sostanza liquida, prima di essere offerta a Sara e alle sue due amiche? I carabinieri ritengono che sia stata imbevuta nella cocaina. Palmieri non è indagato in concorso con Ranieri, il che significa che gli investigatori non legano lo stupro alla sigaretta drogata.

Inoltre nella ricostruzione temporale delle violenze di cui sono accusati Ranieri e due minorenni, lo stupro sarebbe avvenuto tra le 22 e 23,30 del 31 dicembre, prima di mezzanotte, quindi prima che Sara fumasse la «strana sigaretta». Il secondo episodio di violenza, su cui sono ancora in corso le indagini, sarebbe invece avvenuto dopo il brindisi per festeggiare l'anno nuovo.

Stupro di Capodanno, le chat delle amiche: «Voglio le canne». «Io da beve». Giulio De Santis su Il Corriere della Sera il 27 luglio 2022.

Nelle chat gli accordi presi dalle nove parioline ospiti del gruppo di Primavalle prima della festa di Capodanno nella villetta.

Alcol e droga: ecco gli ingredienti indispensabili per divertirsi la notte di Capodanno secondo le nove ragazze, tutte minorenni, del «gruppo dei Parioli» ospiti del «gruppo di Primavalle» nella villetta dove la loro amica Sara (nome di fantasia) verrà stuprata. «Che volemo prende da bere? Io voglio le canne», asserisce Giulia, 16 anni, durante la conversazione in chat con le amiche. «Io voglio da beve», irrompe Lara, anche lei 16 anni. «Idem, ma voglio pure le J» (termine che sta per canne, osserva il pm ndr) ribatte Giulia, chiarendo cosa per lei sia prioritario, la droga, e cosa invece uno sfizio, gli alcolici. Intanto Michela, 15 anni, ride di gusto, come svela il suo «ahahaha» digitato in maiuscolo. Pensieri e idee che le tre adolescenti si scambiano alle 12,50 circa del 30 dicembre del 2020 nella chat Aimone, formata dalle nove ragazze e attiva per tutto il giorno, per prepararsi alla notte di San Silvestro.

Giulia, Lara e Michela, come gli altri nomi che delle iscritte, sono di fantasia. Sara, ospite di Martina, 15 anni, una delle ragazze del gruppo, non è iscritta. Circostanza che svela un legame attenuato con le parioline, invitate alla festa dai ragazzi di Primavalle, tra cui ci sarà Patrizio Ranieri, accusato insieme a due minorenni di violenza di gruppo su Sara.

A mettere in contatto le comitive era stata giorni prima Carlotta, 16 anni. Quelli di Primavalle le impongono una regola: vogliono parioline, senza fidanzati. Nessuna di loro protesta. Il chiodo fisso delle parioline è un altro: il reperimento degli stupefacenti, come risulta chiaro alle 16,55 quando Martina interviene domandando a Carlotta e a Rosa, 14 anni: «Chi porta il fumo? Io porto la bianca» (cocaina secondo i carabinieri, ndr). Bastano sette secondi a Rosa per intervenire, desolata: «Il mio contatto ha finito tutto, ti prego». Martina la rassicura: «Ne ho due-tre (dosi per gli investigatori, ndr). L’importante è de fuma’», afferma, chiarendo ancora una volta quale sia la priorità della serata.

Dove stanno andando, le nove ragazze lo sanno. Anche se certo non immaginano il modo drammatico in cui finirà la festa. Serena, 16 anni, riconosce nei ragazzi di Primavalle uno che avrebbe provato a stuprarla e così non vuole andare. La reazione delle amiche le lascia poco margine di decisione. «Non hai capito, non abbiamo opzioni, te lo devi far andare bene», chiarisce Carlotta. «Avete rotto, ci dovemo accontenta’», insiste Laura, 16 anni. «Se te tocca, gli meniamo, l’ammazziamo, rissa», la rassicura Rosa, provocando una risata corale nel gruppo. Allora Serena si arrende, e senza farne un dramma: «Allora…annamo». I veri problemi con quelli di Primavalle sono altri. Il primo: «Non vogliono più di due ragazzi», dice Carlotta. Replica Rosa: «Allora due e basta, altrimenti stiamo a casa». L’altro sono gli stupefacenti, come nota Serena: «Li prendiamo per conto nostro, perché sinceramente, ma chi so’ questi?».

Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera” il 26 luglio 2022.

A quasi due anni dallo stupro subito nella notte del Capodanno 2020 dalle 16enne figlia di un diplomatico in una villetta del quartiere Torresina (a Primavalle), il giudizio immediato disposto per uno dei tre maggiorenni accusati della violenza assieme a due 17enni è l'unico punto fermo di una inchiesta che deve ancora tirare le somme su diversi sospettati, inclusi quelli accusati di aver portato droghe e farmaci alla festa. 

Dei loro nomi e dei loro comportamenti è piena l'informativa consegnata dai carabinieri al pm: «Ho iniziato a bere, bere, bere... ho perso i sensi presto, già prima della mezzanotte», dice la vittima in uno dei suoi interrogatori. 

«Stava allucinata... - dice di lei un'amica intercettata - se glie dicevi "sc..." o glie dicevi... "tirate na botta de cocaina" o "calate de questo", lei una qualsiasi cosa rispondeva "daje"». La serata inizia alle 20 e prende subito una piega ben precisa: «La 16enne - scrive il Tribunale - iniziava ad assumere ingenti quantitativi di alcol e droghe, finendo in breve per perdere il controllo di sé e ogni capacità di resistenza e di percezione degli accadimenti».

Il primo rapporto sessuale sarebbe avvenuto prima della mezzanotte: «A un certo punto mi sentivo alterata - racconta lei agli inquirenti - andavo da una stanza all'altra, mi sentivo fluttuare ma non ero più tanto cosciente... ho perso i sensi presto». Secondo l'amica, è lei che porta il primo maggiorenne in bagno al piano di sopra: «Oh, ma di già?» commenta qualcuno. Ma a giudizio del tribunale del Riesame questo non conta, essendo già allora «la sua capacità di prestare un valido consenso ai rapporti pesantemente viziata dallo stato di palese intossicazione in cui versava». 

«N'è che noi se drogamo, è lei che s' è drogata - dice uno dei maggiorenni accusati dello stupro per spiegare a un amico la versione difensiva da tenere nella sua testimonianza... - Sta ragazza ha fatto i danni». Il patto di omertà, l'accordo tacito per far restare all'interno della villa quello che è successo vale in parte anche per le amiche della vittima e le altre ragazze presenti.

«Ai carabinieri gli ho detto che non sono stata io (a portare la cocaina, ndr)», dice una minorenne. E l'amica: «Non faccio l'infame, non ti tradisco». Secondo la ricostruzione del pm non avrebbero difeso la 16enne, anzi l'avrebbero lasciata sola in balìa degli abusi. E sono le stesse ragazze, tutte dei Parioli, ad aver assolto in prima persona il compito di rifornire la festa di droghe e farmaci: «La farmacia non aveva Rivotril (psicofarmaco, ndr). Porcoddd», avvisava una 14enne alla vigilia. Un'altra chiedeva nella chat creata per l'evento: «Portate da fumà? Io posso portà la bianca (cocaina, ndr) me sa». 

In un messaggio vocale una delle ragazze dice:«Le pasticche di Xanax e Rivotril ve le regalo, tanto è capodanno sti cazzi, basta che m' accollate tipo qualcosa per stuccà (fumare, ndr)non è che posso regalallo tutto».

GIULIO DE SANTIS per il Corriere della Sera - Roma il 27 luglio 2022.

Alcol e droga: ecco gli ingredienti indispensabili per divertirsi la notte di Capodanno secondo le nove ragazze, tutte minorenni, del «gruppo dei Parioli» ospiti del «gruppo di Primavalle» nella villetta dove la loro amica Sara (nome di fantasia) verrà stuprata. «Che volemo prende da bere? Io voglio le canne», asserisce Giulia, 16 anni, durante la conversazione in chat con le amiche. 

«Io voglio da beve», irrompe Lara, anche lei 16 anni. «Idem, ma voglio pure le J» (termine che sta per canne, osserva il pm ndr ) ribatte Giulia, chiarendo cosa per lei sia prioritario, la droga, e cosa invece uno sfizio, gli alcolici. Intanto Michela, 15 anni, ride di gusto, come svela il suo «ahahaha» digitato in maiuscolo. Pensieri e idee che le tre adolescenti si scambiano alle 12,50 circa del 30 dicembre del 2020 nella chat Aimone, formata dalle nove ragazze e attiva per tutto il giorno, per prepararsi alla notte di San Silvestro. 

Giulia, Lara e Michela, come gli altri nomi che delle iscritte, sono di fantasia. Sara, ospite di Martina, 15 anni, una delle ragazze del gruppo, non è iscritta. Circostanza che svela un legame attenuato con le parioline, invitate alla festa dai ragazzi di Primavalle, tra cui ci sarà Patrizio Ranieri, accusato insieme a due minorenni di violenza di gruppo su Sara.

A mettere in contatto le comitive era stata giorni prima Carlotta, 16 anni. Quelli di Primavalle le impongono una regola: vogliono parioline, senza fidanzati. Nessuna di loro protesta. Il chiodo fisso delle parioline è un altro: il reperimento degli stupefacenti, come risulta chiaro alle 16,55 quando Martina interviene domandando a Carlotta e a Rosa, 14 anni: «Chi porta il fumo? Io porto la bianca» (cocaina secondo i carabinieri, ndr ). 

Bastano sette secondi a Rosa per intervenire, desolata: «Il mio contatto ha finito tutto, ti prego». Martina la rassicura: «Ne ho due-tre (dosi per gli investigatori, ndr ). L'importante è de fuma'», afferma, chiarendo ancora una volta quale sia la priorità della serata. 

Dove stanno andando, le nove ragazze lo sanno. Anche se certo non immaginano il modo drammatico in cui finirà la festa. Serena, 16 anni, riconosce nei ragazzi di Primavalle uno che avrebbe provato a stuprarla e così non vuole andare. La reazione delle amiche le lascia poco margine di decisione. 

«Non hai capito, non abbiamo opzioni, te lo devi far andare bene», chiarisce Carlotta. «Avete rotto, ci dovemo accontenta'», insiste Laura, 16 anni. «Se te tocca, gli meniamo, l'ammazziamo, rissa», la rassicura Rosa, provocando una risata corale nel gruppo. Allora Serena si arrende, e senza farne un dramma: «Alloraannamo». I veri problemi con quelli di Primavalle sono altri. Il primo: «Non vogliono più di due ragazzi», dice Carlotta. Replica Rosa: «Allora due e basta, altrimenti stiamo a casa». L'altro sono gli stupefacenti, come nota Serena: «Li prendiamo per conto nostro, perché sinceramente, ma chi so' questi?». 

Stupro di Capodanno, le immagini della serata dalla striscia di coca alla maglietta sporca. Maria Rosa Pavia su Il Corriere della Sera il 2 Agosto 2022.

Dalle foto scattate con gli smartphone dai ragazzi presenti alla famigerata festa ai video pubblicati sui social passando per quelli, cancellati, che testimoniano la violenza. 

La bottiglia di amaro attaccata alle labbra, la striscia di cocaina preparata con l’unghia, il selfie delle ragazzine nello specchio del bagno. Sono queste alcune delle immagini scattate dai ragazzi alla festa di Capodanno diventata tristemente famosa come teatro dello stupro di una sedicenne. Quell’inizio d’anno del 2021 in una villetta del quartiere Torresina a Roma è diventato un incubo per una sedicenne, che ha denunciato di essere stata stuprata da più ragazzi per ore. Il processo comincerà a novembre. Al momento c’è solo il giudizio immediato per uno dei tre maggiorenni coinvolti, Patrizio Ranieri. Ancora da definire le posizioni dei due co-indagati maggiorenni, Claudio Nardinocchi e Flavio Ralli.

L’immagine più forte, immortalata dall’obiettivo di uno dei cellulari, è quella che vede la vittima in compagnia degli aggressori, si vede anche la maglietta sporca di sangue più volte citata nella chat tra i ragazzi. «A fratè calcola che P. me sa che è quello che gli accollano lo stupro perché c’aveva er sangue sulla maglietta e me sa che vonno accollà a lui…». In altre chat pare che il giovane abbia sventolato la t-shirt a mo’ di trofeo del rapporto sessuale.

Poi i video. Ce n’è uno, pubblico, condiviso su Tik Tok con alcune ragazzine che ballano sulle note della canzone «Last night» che recita: «La scorsa notte ho dato la colpa alla vodka». Ce n’è uno, privato, di cui si parla nelle chat: «Senti ‘na cosa… ma hai visto che P. c’aveva quel video là… de quella che faceva… Emm v’è piaciuto fa ‘n video tutte e tre».

Ci sono i selfie in bagno. Le teste delle ragazzine accostate, le linguacce, gli sguardi persi verso lo specchio. Sono ancora in piedi anche le indagini sullo spaccio. Di certo la droga girava e in grande quantità. In uno scatto, delle mani quasi da bambina preparano una striscia aiutandosi con l’unghia finta decorata con il logo di Louis Vuitton. A lato, la tessera sanitaria.

C’è la foto di gruppo. Ragazzi e ragazze in posa verso l’obiettivo. Indossano abbigliamento sportivo, appoggiano la mano sulla spalla degli amici o tengono le braccia in alto. Sembrerebbe una festa qualunque. Ma non lo è stata. Dei ragazzi si sono messi in fila e si sono fatti da palo per avere rapporti con una ragazza che nelle chat viene definita «allucinata». Il corpo della ragazzina come una giostra o un distributore automatico di piacere individuale.

Stupro di Capodanno, il mistero della pistola e le minacce al nipote di De Mita. Giulio De Santis su Il Corriere della Sera il 28 luglio 2022.

Non solo droghe, dall’informativa dei carabinieri depositata agli atti dell’inchiesta emergono anche le intimidazioni: «Te scarrello addosso» avrebbe detto uno dei partecipanti. 

Dall’alcol. Alla droga. Fino al sospetto della presenza di una pistola. Che, nel corso della festa di Capodanno nella quale è stata violentata Sara (nome di fantasia), avrebbe tirato fuori Gabriel Petrazzi, 20 anni, incensurato, ora indagato per minacce e porto abusivo di armi, con l’obiettivo di intimorire Simone Ceresani, il nipote dell’ex premier Ciriaco De Mita, dicendogli «te scarrello addosso».

Questo filone dell’indagine emerge nell’informativa dei carabinieri, dove Ceresani, 22 anni, racconta cos’è successo pochi minuti dopo la mezzanotte del 31 dicembre del 2020. In quel momento alla festa arrivano sei ragazzi «con barba lunga, tatuaggi sul collo, coatti» - così li descrive il 22enne - a bordo di una Smart Forfour bianca. «Uno dei ragazzi sopraggiunti da poco mi ha chiesto quanti anni avessi. Gli ho risposto vent’anni e lui mi ha replicato di non credere che avessi quell’età. Un altro ragazzo mi ha rifatto la stessa domanda, gli ho ribadito di avere vent’anni aggiungendo che se non lo credeva gli avrei mostrato un documento. Per tutta risposta, quest’ultimo ha estratto qualcosa dalla tasca, forse una pistola, e mi ha minacciato dicendomi “te scarrello addosso”. Per paura uscivo in giardino per calmarmi e poi rientravo per chiedergli scusa per timore di eventuali ritorsioni. Poi è andato via, e non l’ho più visto».

Chi ha puntato quella che al ragazzo è parsa una pistola? Secondo Ceresani è stato Petrazzi. Giovane che faceva parte del gruppo della Smart, arrivato intorno a mezzanotte e andato via dopo un’ora. Individuare i passeggeri dell’auto è stato difficoltoso, per i carabinieri, viste le dichiarazioni «mendaci» rese dal «gruppo di Primavalle». Proprio Petrazzi il 13 gennaio chiama Patrizio Ranieri- il principale accusato dello stupro di gruppo per cui è stato chiesto il giudizio immediato – per sapere se Sara ha coinvolto «quelli della Smart». Ranieri lo rassicura. I carabinieri, in ogni modo, escludono con certezza quelli della Smart dallo stupro. Per la storia della pistola Petrazzi, interrogato due volte dagli inquirenti, la seconda «per anda’ a dire la verità», come dice alla fidanzata, spiega: «Non ho visto alcuna pistola, ho avuto un diverbio con uno che diceva di avere sedici anni».

Michela Allegri per “il Messaggero” il 22 luglio 2022.

Quando i Carabinieri hanno provato a cercarlo per sentirlo come testimone sulla folle serata del 31 dicembre 2020, quando un party a base di droghe e psicofarmaci è culminato con uno stupro di gruppo in danno di una sedicenne, lui ha cercato di dileguarsi. Ha staccato il telefono, non si è fatto trovare a casa. 

Non sapeva che gli inquirenti stavano intercettando i suoi amici, indagati per la violenza. Ed è con loro che uno dei partecipanti al party si sfoga e dice di essere pronto a vendicarsi con chi ha fatto il suo nome. «Qualcuno se l'è cantata, ma tanto mo... tutti quelli che ce stavano alla festa se chiudemo dentro na casa e s' ammazzamo», dice. 

 Ma i tentativi di depistaggio sulle indagini sono stati anche altri. I protagonisti del party cercavano di coprirsi le spalle, cancellavano le chat e le telefonate: «A me nun me conosci eh! Io dico che nun conosco a te». Oppure: «Devi cancellare quanto più materiale possibile, le chat, pure il mio numero».

E poi ci sono le ragazze: arrivano da Roma Nord, dal Flaminio, dai Parioli. Sono state alcune di loro a portare coca e farmaci nella villetta alla Torresina, dividendosi i compiti via chat. Anche loro, interrogate, hanno cercato di depistare. «Che t' hanno detto?», dice una all'amica che è appena stata sentita. «Io scialla, gli ho detto un paio di caz... e mezzo se ne sono accorti, però scialla», risponde, incurante delle conseguenze. 

«Amo, gli hai mentito?», replica incredula l'amica. E lei: «Mezzo...hanno chiesto tipo il Rivotril se ce stava già». La conversazione prosegue: «E non hai detto che l'hai portato te? Amo spera che non lo scoprono!». La giovane pusher non è preoccupata: «È quello il problema, che lo sanno... però vabbè, scialla». 

Poi aggiunge che suo padre «lo sapeva». La ragazzina sente quindi un'altra amica e cerca di accordarsi sulla versione: «Sorè, ti chiederanno anche di me, cioè se io ho portato robe... io ho detto che non sono stata io, poi se voi volete parlare fate voi». L'altra la spalleggia: «Amò io non faccio l'infame... dico che non lo so, che me so' abbioccata». Per la violenza sessuale la Procura ha ottenuto il rito immediato a carico di uno dei maggiorenni. Altri due giovani sono indagati, insieme a diversi minori.

"Ho pagato la coca al nipote di De Mita". La confessione che inguaia Simone Ceresani. Romina Marceca su La Repubblica il 27 luglio 2022.  

Due settimane dopo il party una minorenne ha raccontato: “Un grammo costa 80 euro, abbiamo diviso in tre. A Simone 27 euro a testa"

"Allora mo vi dico la verità. La cocaina so che l'ha portata Simone Ceresani, il fidanzato della pugile. A lui ho dato 27 euro per la cocaina. Un grammo costa 80 euro e abbiamo diviso io e altre due amiche", dice ormai alle strette la diciassettenne davanti ai carabinieri e alla pm. È la mattina del 16 gennaio del 2021, intorno alle 12,30, e l'allora minorenne ha già messo a verbale una serie di bugie per un'ora.

  Romina Marceca per “la Repubblica - Edizione Roma” il 27 luglio 2022.

«Allora mo vi dico la verità. La cocaina so che l'ha portata Simone Ceresani, il fidanzato della pugile. A lui ho dato 27 euro per la cocaina. Un grammo costa 80 euro e abbiamo diviso io e altre due amiche » , dice ormai alle strette la diciassettenne davanti ai carabinieri e alla pm. È la mattina del 16 gennaio del 2021, intorno alle 12,30, e l'allora minorenne ha già messo a verbale una serie di bugie per un'ora. 

Fino a quando nell'inchiesta per lo stupro di Capodanno 2020 a Primavalle, è la giovane " pariolina" a dare una svoltai con quell'ammissione. Così arriva il primo indagato per spaccio. Un nome che non passa inosservato agli investigatori. Perché quel ragazzo è il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita, figlio di Simona De Mita e di Cristiano Ceresani, già capo di gabinetto di Lorenzo Fontana, ex ministro leghista della Famiglia, e alla guida dell'ufficio legislativo dell'altra ex ministra renziana Maria Elena Boschi.

 Simone Ceresani in quel Capodanno è arrivato da maggiorenne, aveva già 19 anni compiuti. C'è anche un'altra testimonianza che ha poi associato il nome di Ceresani all'hashish. Il ragazzo ha riferito agli investigatori: « Questo ragazzo ha portato un pezzo di hashish di cui abbiamo usufruito tutti». Ma non dice di averlo pagato. La ragazzina, invece, per il " fumo" ha indicato un altro giovane « che nel gruppo della festa spigneva (spacciava, ndr) per il fumo». 

«Rivotril? Chi l'ha portato?» È la stessa diciassettenne ad avere detto pochi minuti prima agli inquirenti: «Non so chi ha portato il Rivotril » . E, invece, nella chat " Aimone" tra le parioline pochi giorni prima di quel Capodanno era l'amica 14enne, anche lei adesso indagata per spaccio, a spiegare alle altre che « non riesco a trovare il Rivotril».

Con tanto di bestemmia a chiusura della sua frase. Poi, i carabinieri e la pm, le hanno chiesto un'altra volta: « Sei sicura che non sai chi ha portato il Rivotril?». E lei, a quel punto, ha vuotato il sacco sulla sua amica adolescente e su Ceresani. «Io so che voi sapete che è stata T. a portare il Rivotril, perché lei ci è già passata in queste cose. Allora vi dico la verità. Il Rivotril l'ha portato lei». 

«Siamo alle Bahamas» La minorenne, sentita per due ore, ha anche ammesso di avere assunto sia Rivotril sia cocaina. « Ho preso una pasticca di Rivotril, ho bevuto e poi girava della cocaina. Ho fatto uso anche della cocaina. Ho fumato anche » . Poi, però, spiega di non ricordarsi bene cosa è successo dopo.

« Non ricordo... Il giorno dopo però ho visto dei video in cui ballavo dicendo " Siamo alle Bahamas" e cose del genere. Mi ricordo solo cose a tratti». Ma su chi le ha dato le pasticche cerca ancora di coprire l'amica. 

«C'era gente che passava e dava queste cose, ma non saprei riconoscerli » I coattoni La festa che si è trasformata nell'orrore di Bianca, la sedicenne stuprata, era stata decisa su un gruppo Instagram. La diciassettenne ha detto agli investigatori che « non mi sono neanche divertita più di tanto » . E spiega: « C'erano all'incirca una quindicina di pischelli oltre a noi ragazze. Verso l'una e mezza sono arrivate altre persone che portavano altre cose. Alla domanda: « Come erano questi ragazzi? » . Lei risponde: « Erano coattoni, erano abbastanza rudi nei modi. Uno con me ha tentato di darmi un bacio». 

Nuove indagini In questi giorni si attendono gli esiti sui prelievi del Dna dei tre indagati dalla procura di Roma per lo stupro.

Patrizio Ranieri, uno dei tre, sarà giudicato con giudizio immediato a novembre. L'accertamento sarà eseguito anche sugli adolescenti, due, che avrebbero partecipato alla violenza sessuale. Ma la procura per i minorenni sta continuando a indagare anche sul mondo dello spaccio da parte dei minorenni. Un capitolo dell'inchiesta che potrebbe portare a nuove iscrizioni sul registro degli indagati.

L’ombra dei Casamonica sullo stupro di Capodanno: "Se faccio il nome arrestano 30 persone e inizia la guerra". Romina Marceca, Andrea Ossino su La Repubblica il 22 Luglio 2022. 

Dalle intercettazioni dei carabinieri emerge la preoccupazione dei ragazzi per gli sviluppi delle indagini sulla droga nella villa

“Vogliono sapere tutto, ma c’era tutta gente enorme..."

"Stanno a cercà quelli della chat de Tommaso con gli altri, stanno a vedè se è tutta un’associazione. Sto in barca". Lo sfogo è di uno degli indagati minorenni per lo stupro di Capodanno nella villetta di Primavalle. C’era una certa preoccupazione da parte dei giovani subito dopo le prime convocazioni in caserma per la denuncia da parte di Bianca.

Romina Marceca e Andrea Ossino per “la Repubblica – ed. Roma” il 22 luglio 2022.

« Stanno a cercà quelli della chat de Tommaso con gli altri, stanno a vedè se è tutta un'associazione. Sto in barca». Lo sfogo è di uno degli indagati minorenni per lo stupro di Capodanno nella villetta di Primavalle. 

C'era una certa preoccupazione da parte dei giovani subito dopo le prime convocazioni in caserma per la denuncia da parte di Bianca. Di certo per la gravissima accusa di violenza sessuale anche di gruppo. Ma la grande paura era per quelle domande sempre più insidiose sul fronte della droga. Il motivo è molto chiaro. 

A quella festa c'erano diversi pregiudicati per spaccio. Come ha svelato Repubblica c'era Alessandro Vastante, figlio del boss del traffico nella zona in stile Gomorra. I carabinieri però cercavano, e forse lo stanno facendo ancora, di più. «Vogliono sapere il contorno, vogliono tutta un'associazione, dicono che c'erano le pistole», riferiva l'indagato alla fine di gennaio, dopo l'ennesimo interrogatorio. I carabinieri hanno iniziato a indagare sui pezzi grossi.

La foto di Casamonica Dal racconto di Bianca e delle " parioline" è evidente che al Capodanno 2021 in quella villetta scorrevano fiumi di ogni tipo di droga. « Fratè nun te dico un filo de cazzata. Lo sai che mi hanno fatto vedé (in foto)? Il cugino de Mona Casamonica e m' hanno fatto " È lui". Fratè tutta gente, capace che mancava che me facevano vedè a te. È una cosa enorme » , dice il minorenne interrogato. 

Ma le foto messe sotto il naso del ragazzino sono state diverse e tutte di gente che era alla festa. Lui non ha ceduto, non ha detto di conoscerli. 

« Io se faccio un nome der Quartaccio lo sai che succede? Che io domani me devo andà a comprà il ferro e domani devo inizià una guerra » , continua il giovane ormai nel panico. Non lo tranquillizzano le parole dell'amico che ai primi di febbraio 2021 gli dice al telefono: « Mo fanno una grande bevuta (retata, ndr) de tipo trenta persone».

«Brucio la caserma» Quando l'indagine è ormai nel vivo e i ragazzini del Capodanno hanno chiaro che finiranno nelle carte dell'inchesta, l'asticella del nervosismo si alza a dismisura. E quel giovane messo sotto torchio dai carabinieri per svelare il giro di droga e i nomi importanti, capisce che anche lui ormai è spacciato. 

« A quella pischella me la sò scopata e basta», spiega alla madre al telefono. E poi sbotta: «Vado in caserma con due palloncini pieni di benzina, do foco e brucio sti infami». Non è docile nemmeno nei confronti della vittima: « Poi vado a Barcellona, pio sta puttana de merda e gli sparo in faccia». 

La videochiamata

A Patrizio Ranieri non sarebbe bastato sfoggiare il sangue della vittima con i ragazzi presenti nella villetta. Il ragazzo che presto sarà processato, rivela l'altro indagato, Flavio Ralli, avrebbe anche videochiamato ad altre persone per vantarsi delle sue prodezze. «Era in giardino in videochiamata con qualcuno e mostrando la sua maglietta sporca di sangue ha iniziato a dire ' mi so scopato una vergine'», dice Ralli ai carabinieri.

Ma c'è un altro video che il proprietario della villa, minorenne anche lui e indagato per favoreggiamento, ha detto: « Uno in comitiva ha messo questo video dove quella ragazza (la vittima, ndr) diceva "Mi è pure piaciuto a Capodanno" e si riferiva al fatto che ha scopato con tre ragazzi, ma uno alla volta». 

«Le mie amiche piangevano» Non c'è solo la violenza subita da Bianca. Le " parioline" imbottite di droga sono diventate preda dei loro coetanei di periferia. Sono diverse le ragazze che sono state molestate. 

« Quella festa a me non è piaciuta per niente, all'inizio si poteva fare, poi a na certa è diventata una cosa assurda», rivela una minorenne che per sfuggire alla serata si è allontanata in taxi. «I maschi erano.io mi sono messa a litigare perché delle mie amiche sono rimaste chiuse in bagno e sono venute da me piangendo », dice nell'interrogatorio. E ancora, un altro episodio: « Le mie amiche mi hanno chiamato per chiedermi aiuto perché questi ragazzi stavano toccando tipo il culo», rivela mostrando una fotografia di ciò che è accaduto quella notte.

Romina Marceca e Andrea Ossino per “la Repubblica” il 21 luglio 2022. 

C'è un nuovo indagato nell'inchiesta per la notte di violenza e droga del Capodanno 2021 a Primavalle. Si tratta del diciassettenne che quella sera ha messo a disposizione la villetta di via Podere Fiume dove a ritrovarsi sono stati i ragazzi di Quartaccio e le " parioline" arrivate con le mini bag al braccio piene di coca, pasticche, Rivotril e Xanax. I magistrati della procura per i minorenni hanno iscritto il nome del ragazzo con l'accusa di favoreggiamento. 

Bianca, 16 anni, quella notte « l'hanno stuprata in quindici e hanno fatto il panico » , rivelano le sue amiche nelle nuove chat dell'indagine. Oggi, intanto, saranno eseguiti alcuni esami irripetibili sui tre indagati minorenni per stupro, mentre per Patrizio Ranieri è già arrivato il rinvio a giudizio e per altri due, Claudio Nardinocchi e Flavio Ralli si attendono le valutazioni della procura ordinaria. Le altre due indagate sono le amiche di Bianca che, al Capodanno, hanno portato diverse droghe: la figlia di una soubrette e una quattordicenne.

E dalle carte emergono anche nuove conversazioni e la presenza del figlio di un boss.

Il figlio del boss: «Tutti fatti» Nella sua famiglia, nel 2019, come in " Gomorra", la donna del boss decideva turni e straordinari di vedette e pusher. Donna Imma, la moglie di Massimiliano Vastante, ormai morto, aveva preso le fila del clan dello spaccio a Primavalle. Con lei, in un blitz della polizia, erano stati arrestati anche i figli. Uno dei due, Alessandro, è arrivato alla festa di Primavalle la notte di San Silvestro con tre amici, uno di questi minorenne. « La cocaina l'ha portata Vastante » , rivela un giovane il 31 gennaio 2021 ai carabinieri. 

 Lui, invece, sentito come testimone, racconta tutt' altro scenario: «C'erano ragazzi fatti a destra e a sinistra, erano tutti allucinati. Erano tutti minori e la situazione generale era malandata. Non era una festa adatta a me ». 

Vastante non risulta tra gli indagati per spaccio ma il suo nome è nell'ordinanza con cui è stata rigettata la richiesta di arresto per i due minorenni accusati di violenza sessuale.

«Pischelle morte» « Tutti a sbrattà, a piagne, a stiraglie. Tutte le pischelle morte praticamente». Non sono trascorse neanche otto ore da quando " la pugile" e il suo ragazzo, il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita, si sono lasciati alle spalle la festa dello sballo. 

La ragazza, figlia di una soubrette, è provata, ha " pippato" troppo per poter dormire, ha bisogno di forze ma non riesce a deglutire e la sua voce è impastata da quel mix di psicofarmaci, droghe e alcolici che ha assunto per tutta la notte. Lo si sente dagli audio che invia alle amiche e che ricompongono i pezzi della festa: « Tutte le pischelle morte praticamente » , dice " la pugile" lamentandosi che Bianca, per tutta la sera le stava vicina. 

L'amica risponde: «St' estate se la so caricata e l'hanno stuprata, l'hanno messa incinta e l'hanno lasciata in mezzo a na strada e j' hanno puntato un coltello. Aveva paura. Per questo stava appiccicata a te » . E ancora: «Quando stava sopra le prime volte uno la stava a stuprà, l'ha menata, so successe troppe cose, ti stava così appiccicata per questo». 

Nel frattempo, in una chat parallela, altre due amiche commentano l'accaduto: «In quel momento me sarei potuta scopare pure mmmm quello barbuto quarantenne regà cioè io stavo a chiede a tutti de scopà quindi è normale che Bianca si è scopata il primo che capitava » . Tutto normale, secondo le protagoniste della festa: « Sempre esperienze favolose a Capodanno». 

L'avvocato di Carminati Di diverso tono le conversazioni tra i ragazzi di Primavalle. C'è chi pensa a organizzare un altro party, senza " santarelline", perché «c'avemo 17 anni divertimose e vaffanculo » , sentenzia Patrizio Ranieri, indagato per aver violentato Bianca insieme ad altri amici. « Sto fatto pure stasera » , dice appena 24 ore dopo la festa. E trascorsi altri quattro giorni è pronto per una nuova avventura. A contattarlo è un amico, un minorenne accusato di violenza sessuale: « Stai sempre lì? Senti qualche pischella oh » , dice l'amico.

«Ma che so bacheca incontri», risponde riferendosi al portale di incontri erotici. Un altro minorenne indagato pensa invece ad un'eventuale indagine. Lo spiega alla madre, raccontandole la sua strategia: « So ito pure a parlà col mastro Angelo » , aggiunge riferendosi a un personaggio di cui si intuisce la caratura criminale. «Perché? » , chiede la madre. «Eh c'hanno l'avvocati de Carminati, l'avvocati de Peppe e pe na cosetta così, o sai come, due secondi e sto fuori », è la soluzione dell'adolescente.

Romina Marceca per “la Repubblica – Edizione Roma” domenica 24 Luglio 2022. 

Un giro di ricette false tra le " parioline" per acquistare il Rivotril e lo Xanax in farmacia. Le carte dell'indagine sul Capodanno 2021 a Primavalle svelano particolari che sono diventati spunti per nuove indagini. C'è un testimone che parla di almeno due ragazze che dicevano di avere le ricette.

« Volevo buttare quelle pasticche ma una ragazza che stava male sul divano mi ha spiegato di lasciar stare perché lei aveva la ricetta del dottore per il Rivotril » , ha messo a verbale il proprietario della villetta.  

Ma dove aveva preso quella ricetta? C'è forse un giro di ricette che i magistrati e i carabinieri vorrebbero intercettare. Da qualche mese ci sono accertamenti paralleli da parte della procura per i minorenni. Una delle ragazzine che ha portato le pasticche di Rivotril e Xanax è già stata sfiorata in passato da una indagine per ricette false. La giovane adesso ha 15 anni. In quell'inchiesta la fece franca perché una delle ricette che aveva vendute era stata firmata da chi l'aveva comprata.

La perizia calligrafica scagionò la giovanissima. Ma adesso il suo nome ritorna negli atti della procura per i minorenni dove l'adolescente indagata per spaccio insieme con la pugile, la figlia di una soubrette televisiva. E' proprio lei a rivelare il 30 dicembre del 2020 in una chat, non sapendo che il suo cellulare sarebbe stato poi sequestrato, quanto fosse difficile trovare gli psicofarmaci nelle farmacie.  

La sera seguente ci sarebbe stata la festa e lei era ancora senza alcun rifornimento. «La farmacia non aveva il Rivotril», dice la ragazzina, figlia di un avvocato, e bestemmia. Quell'imprecazione rivela l'affannosa ricerca. Sono le 17,15. La ragazzina è così confusa che sbaglia chat e le sue amiche le fanno notare l'errore.

«Hai sbagliato gruppo», le scrive un'amica. Lei allora spiega: « Come faccio adesso io? » . L'amica le consiglia: « Cambia farmacia ». Lei risponde: «Sono a Conca e qui non c'è nulla » . L'agitazione sale, tanto che la ragazza scrive tutto con caratteri maiuscoli e dice: « Ma perché sto scrivendo in maiuscolo?» scatenando le risate delle sue amiche. Le ore passano e arriva il 31 dicembre. Rivotril e Xanax sono stati trovati e adesso sono a disposizione (non è ancora chiaro se a pagamento o meno) per gli invitati. 

«Ho visto Bianca prendere una pasticca, tutte le ragazze pigliavano pasticche. Una ha detto che aveva la cosa del dottore per il Rivotril poi si faceva le canne e ha bevuto », è un'altra testimonianza. I carabinieri hanno già depositato un'informativa sulla droga in quel Capodanno. L'indagine si chiama " Greve" e la data è del 25 giugno 2021. A distanza di un anno quella ragazzina risulta ancora indagata. L'inchiesta è molto delicata e i magistrati ci vanno coi piedi di piombo.

Romina Marceca per “la Repubblica - Edizione Roma”  il 28 luglio 2022.

La baby spacciatrice si prende gioco degli investigatori poche ore dopo la sua audizione per raccontare cosa è accaduto al Capodanno 2021 a Primavalle. «Gli ho detto un paio di cazzate e mezzo se ne sono accorti però scialla», spiega al telefono la quattordicenne a un'amica del gruppo "parioline". 

Aggiunge anche che non ha detto di essere lei ad avere portato il Rivotril alla festa tanto «mio padre lo sapeva quindi... cioè non è lui il problema».

Una coperta abbastanza lunga per la giovanissima che sa di poter contare su un padre avvocato e che l'ha già assistita in un'altra vicenda, quando tempo prima era stata coinvolta, ancora più piccola, in un'inchiesta della procura dei minorenni su un giro di ricette false.

«Hai visto droga? Quale?», le chiede il 13 gennaio 2021 la pm. Lei risponde, senza esitare: «Sì, c'era droga da fumare, penso hashish. Poi basta » . È la prima di tante altre bugie sulla droga. La ragazzina la sera in cui la sua amica Bianca è stata stuprata per diverse ore, aveva portato il Rivotril e anche lo Xanax. Il 30 dicembre, nella chat "Aimone" con le amiche di Parioli, si arrabbia perché «in farmacia non ce l'hanno», riferito al Rivotril. E era così fuori di testa per avere girato diverse farmacie, a 14 anni e con una ricetta molto probabilmente falsa, da scrivere quell'affermazione in una chat sbagliata. 

«Tu hai mai fatto uso di Rivotril? », chiede ancora il pm. E lei: «Sì una volta sola ma non mi ha fatto nulla » . Ma non sarebbe nemmeno questa una verità. «Hai detto che alla festa c'erano delle sostanze. Sai chi nel gruppo ha organizzato di portarle?». Arriva la bugia più palese: « No, non lo so. Penso i ragazzi. Quando sono arrivata le sostanze erano già lì e non so chi le abbia portate».

Il 31 gennaio i carabinieri convocano per una seconda volta la baby pusher. Hanno le idee ben chiare già. Il 16 gennaio, quindici giorni prima, a tradire la ragazzina è stata una delle sue più care amiche del gruppo. Messa alle strette ha detto che « è stata lei a portare il Rivotril, tanto lo sapete». Ma gli investigatori non lo sapevano ancora con certezza, il sigillo lo ha messo lei. 

Davanti a una psicologa, il 31 gennaio, alla ragazzina viene fatta una domanda diretta: «Sai chi ha portato il Rivotril? » . E lei, secca: «No». 

L'audizione dura poco più di mezz' ora. L'adolescente ha il tempo di mettere nero su bianco un'altra affermazione falsa: « Ho saputo che c'era il Rivotril dalle mie amiche ma io non l'ho visto». 

La quattordicenne è indagata per spaccio insieme a un'amica, la pugile e figlia di una soubrette. Per lei si profila la possibilità di finire a processo. Mentre le sue amiche, adesso, a distanza di tempo da quella serata da incubo raccontano: « A casa prima comandava lei, era terribile. Ora sembra si sia calmata». 

Ma nei giorni delle convocazioni in caserma a quelle amiche scriveva continuamente: « Io ho detto che non sono stata io, fate voi » . Una delle ragazze le aveva assicurato: «Non faccio l'infame». Ma alla fine è stata tradita dal suo gruppo.

Stupro di Capodanno, la giudice Paola Di Nicola Travaglini: "A 16 anni sola e confusa, come poteva dire di no?". Maria Novella De Luca La Repubblica il 18 Marzo 2022. 

La magistrata e scrittrice ha letto i verbali sulla notte a Primavalle pubblicati da Repubblica: "Non può esserci un consenso da parte di una ragazza in quelle condizioni. Le donne sono spesso vittime di stereotipi culturali del contesto in cui crescono". 

"Un racconto estremo di disagio e sopraffazione". Così Paola Di Nicola Travaglini definisce i verbali sullo stupro di Capodanno.

Una livida immagine nella quale il corpo di una donna che liberamente, quella sera, aveva scelto di bere, "diventando così incapace di reagire, viene considerato come corpo a disposizione di tutti, un consenso, di fatto, al rapporto sessuale".

Romina Marceca, Luca Monaco e Clemente Pistilli per repubblica.it il 20 gennaio 2022.

"Lo sai che j'ha detto ... de me? Che manco me la so sc... meno male...". A parlare è uno dei minorenni indagati nell'inchiesta sull'orrore in cui una 16enne è stata catapultata in una villa di Primavalle, la notte di San Silvestro del 2020, secondo gli inquirenti drogata e stuprata dal branco. 

All'altro capo del telefono c'è Claudio Nardinocchi, 21 anni, arrestato una settimana fa per quei fatti. Sono trascorsi venti giorni dalle violenze sessuali quando avviene quella conversazione e i giovani che avevano preso parte alla festa, tra sesso, alcol e sostanze stupefacenti, sono terrorizzati. I carabinieri hanno iniziato a convocarli in caserma e la loro preoccupazione è far sparire ogni traccia. Via i cellulari, con foto, video e chat imbarazzanti. E massima attenzione a fornire una versione fasulla sull'accaduto.

Parlando con Nardinocchi, ignorando di essere intercettato, il minore dice che sta acquistando un altro telefonino e che lui è tranquillo perché il rapporto che ha avuto con la ragazza è stato un rapporto consenziente. Aggiunge anche che si è confidato con la madre: "Io te dico... io una me la so proprio... proprio a divettimme ma'".

Anche i genitori sanno. Tanto che lo stesso minore indagato viene ascoltato mentre dice alla mamma: "Stavamo io e lei dentro a 'n bagno e ba... uno pure se fosse...me voi beve (mi vuoi arrestare ndr)? Ecco, famme una multa e beveme (arrestatami) perché stavo a un altro Comune e perché ho portato l'alcolici che so minorenne...e stupefacenti". 

Tanto per prendere le distanze dall'accusa di stupro di gruppo e, secondo gli inquirenti, confermando invece che in quattro hanno abusato contemporaneamente della 17enne. Del resto per il minore la colpa è della vittima. Lo stesso dice sempre alla madre: "Giuro che io vado a ... pjo sta p... de merda e gli sparo in faccia".

Il padre viene invece intercettato mentre dice al figlio: "Quel tizio che s'è comportato male o annate a pià a casa". Lui, giustificando le false dichiarazioni ai carabinieri: "Se po fa, ma io ho fatto pure pe non creà problemi al Quartaccio eh". 

Colpa della vittima pure per Nardinocchi. Viena ascoltato dagli investigatori mentre dice: "Capito che te vojo dì? Cioè, tu manni tu fija a sedici anni co' lockdown, oltretutto che n' abiti manco qua a na festa, e poi er giorno dopo te sveji (svegli) e denunci? Ma che sei infame? Cioè così sei popo un vile, un verme, un miserabile". 

Un verme chi denuncia lo stupro e non chi lo commette. Per il minore indagato a rimetterci potrebbe essere solo Patrizio Ranieri, 19 anni, anche lui ora arrestato. Dice a un amico: "A frate' calcola che Patrizio me sa che è quello che gli accollano stupro, perché c'aveva er sangue sulla maglietta e me sa che glielo vonno accollà a lui".

Ancora: "Lo sai qual è stato er guaio suo? È che è uscito dalla camera co' la maglietta piena de sangue e la sventolava. Così quello ... gli è partito stupro, capito? Te hai fatto vedè il sangue de una davanti a tutti ... capito? Già è stato down la..".

Parole agghiaccianti, fino ad ammettere: "È ito (andato)  tutto male cuggì...è ito tutto male pe' loro... io so sincero fratè, io me so hai visto frate'. Però loro mi hanno detto l'unica cosa che poi pià te è falsa testimonianza, ste cose così". Un altro minore indagato a un amico, prima di recarsi in caserma: "A me nun me conosce eh. Io je dico che nun te conosco a te".

E l'altro: "Ma che stai a scherzà". Un altro giovane ancora, in ansia per le indagini: "Ma che cazzo ne sapevo, ma se lo sapevo manco me la sc..". Neppure un minimo di scrupolo per le azioni commesse. Solo il pensiero di non fare gli "infami": "Io pensavo che lo sapevano che c'aveva la maglietta zozza di sangue. Vabbè mica è 'ninfamità". Sembrano dialoghi tra vecchi arnesi della malavita romana e invece sono quelli tra giovanissimi per i quali, a quanto pare, bere, drogarsi e stuprare non è reato.

Romina Marceca per la Repubblica - Roma il 13 marzo 2022.

Nella notte di Capodanno del 2021 sono stati in undici a portare la droga nella villa di Primavalle, ceduta o venduta ai partecipanti al San Silvestro dell'orrore. Tre maggiorenni e sei minorenni. È cresciuto in queste settimane il numero degli indagati per droga. Ai quattro minorenni indagati in prima battuta adesso si aggiungono altri cinque nomi. Due sono minorenni. 

C'è Simone Maria Ceresani, il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita. Avrebbe portato la cocaina. È accusato di spaccio, un reato aggravato dall'avere venduto la droga ai minorenni. Lui, la sera delle violenze e dello sballo con alcol, droghe e pasticche, era arrivato insieme alla figlia di una soubrette, sua fidanzata. I due facevano parte del gruppo "Parioli". 

Gli altri due indagati maggiorenni, invece, fanno parte del gruppo " Primavalle". Anche loro hanno portato cocaina e uno dei due pure hashish. È proprio Ceresani ad avere fatto ai carabinieri il nome di un ragazzo che gli aveva offerto cocaina, uno dei due maggiorenni.

L'altro maggiorenne iscritto nel registro degli indagati ha ammesso: «Ho portato l'hashish per me, qualche grammo, mi sono fatto qualche canna e ho fatto fumare alcune persone che non conosco passandogli i miei spinelli » . E sempre questo ragazzo di Primavalle è stato indicato da una delle amiche di Bianca come colui che «aveva offerto delle canne e la sigaretta con un liquido strano che chiamavano cicchetto, cicchetta ». Un'altra giovane ha messo a verbale di avere fatto « due tiri di canna » ricevuta dallo stesso ragazzo. 

Simone Maria Ceresani è figlio di Simona De Mita e di Cristiano Ceresani, già capo di gabinetto di Lorenzo Fontana, ex ministro leghista della Famiglia, e alla guida dell'ufficio legislativo dell'altra ex ministra renziana Maria Elena Boschi. Nei giorni scorsi è stato interrogato dai pubblici ministeri e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Non è escluso che il suo avvocato, Matteo Melandri, chieda nelle prossime settimane che il suo assistito venga risentito. È evidente dall'ordinanza che ha portato a due arresti, una misura cautelare e due iscrizioni per stupro di gruppo, che i minorenni si mettono d'accordo per coprirsi tra di loro.

Una delle giovani, amica di una minorenne che avrebbe fornito alla serata coca e Rivotril, dice mentre viene intercettata dai carabinieri: «Non farò l'infame». È quindi probabile che al processo ci sarà una battaglia legale non di poco conto per strappare alla condanna gli indagati. Mentre alla festa si tirava di coca, si fumavano canne e si bevevano superalcolici, Bianca veniva stuprata senza sosta da cinque giovani, tra l'indifferenza di chi si trovava in quella casa.  

Romina Marceca per “la Repubblica - ed. Roma” il 16 marzo 2022.

«Non faccio uso di droghe», «non so da dove sia arrivata la cocaina», «noi non abbiamo portato niente». Lei dice che lui aveva preparato una striscia di coca che hanno sniffato insieme, lui invece sostiene di averla pippata da solo. Contraddizioni, bugie, tentativi di coprirsi a vicenda poi smentiti dalle intercettazioni. 

E l'alterigia mostrata davanti agli inquirenti quando definiscono «coattoni» la maggior parte dei giovani con i quali, però, sono rimasti fino alle 7 del giorno dopo. Sono le dichiarazioni messe a verbale dalla coppia vip del Capodanno dell'orrore 2021 nella villa di Primavalle. Lei è la Pugile, come viene soprannominata dalle sue amiche, figlia di una soubrette con casa ai Parioli, lui è Simone Maria Ceresani, nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita.

Vengono ascoltati per due volte dai carabinieri, tra il 16 e 23 gennaio 2021, come testimoni del San Silvestro clandestino nella notte del coprifuoco per Covid. In quella villetta Bianca, figlia sedicenne di un diplomatico, è stata stuprata da cinque ragazzi per diverse ore. 

Droghe, alcol e pasticche di Rivotril e Xanax sono dappertutto. Simone Maria Ceresani nei giorni scorsi ha ricevuto l'avviso di garanzia per spaccio, aggravato da aver ceduto droga a minorenni: in quella casa avrebbe portato la cocaina. 

Nel verbale integrale, allegato all'ordinanza, sulla coca dice: «Non lo so da dove arrivava, però più persone la assumevano e voglio precisare che durante la serata ho sentito parlare di Rivotril portato da ragazze a me sconosciute e ho sentito odore di hashish e marijuana». 

Sono circa 700 le pagine allegate all'ordinanza che nel gennaio scorso ha portato all'arresto di Patrizio Ranieri e Claudio Nardinocchi, poi scarcerato, e all'indagine per altri tre. Tutti accusati di stupro.

Davanti ai carabinieri la Pugile e il fidanzato dicono tante cose ma solo velate verità sulla droga che avevano addosso. «In strada c'è venuto a prendere un ragazzo moro, vestito di rosso, un po' coatto come la maggior parte delle persone che c'erano a quella festa - ricostruisce l'inizio della serata Simone Ceresani -. 

Durante la serata ho fatto un notevole uso di sostanze alcoliche e cocaina e alle 5 ho iniziato riprendermi. Mi sono reso conto che era una situazione assolutamente inadatta alla mia persona, insistevo con la mia ragazza per andarcene. Ma lei non voleva lasciare Bianca». 

Alla domanda dei carabinieri, che gli chiedono dove avesse preso la cocaina, Ceresani risponde: «Era sul tavolo della cucina insieme a bottiglie di alcol e avendola vista più volte durante la serata mi è venuta voglia di provarla. Un ragazzo che stava tirando mi ha offerto gratuitamente una "botta". Poi ne ho preso un'altra, se non ricordo male».

Cerca di coprire la sua fidanzata quando racconta: «Lei non era con me quando ho fatto uso di cocaina ma la mattina dopo l'ho vista un po' strana e ho dedotto che forse durante la festa anche lei aveva fatto uso di droghe». 

La Pugile, anche lei 16 anni come Bianca, nel gruppo Whatsapp con le amiche è quella che il 30 dicembre deve "risolvere" il Capodanno e portare cocaina, alcol e hashish. È così determinata da arrivare fino a Tor Bella Monaca per rifornirsi. 

Seduta in una stanza della stazione dei carabinieri di La Storta, invece, il 16 gennaio dichiara: «A questa festa c'erano canne, alcol, ho fatto qualche tiro. Ma non faccio abitualmente uso di queste cose».

Una carabiniera le chiede: «Vi eravate messe d'accordo su cosa portare alla festa?». Lei risponde: «Noi non abbiamo portato nulla». E quando viene incalzata, inizia ad ammettere: «Ho portato con me qualche canna che già avevo. Poi nemmeno ho bevuto» . Fino a quando la carabiniera le dà un'altra chance: «Confermi tutto quello che hai detto?». 

E lei: «Ho detto solo una cosa non vera. Ho fatto uso di cocaina insieme al mio ragazzo, lui ha preparato la striscia. Non so chi l'ha portata». Le minorenni della festa, sue amiche, smentiranno lei e Ceresani che, invece, avrebbe venduto a 80 euro una dose di coca.

Romina Marceca per “la Repubblica - ed. Roma” il 17 marzo 2022.  

L'11 gennaio del 2021 i carabinieri aprono la porta blindata della villetta di via del Podere Fiume, a Primavalle. È li dentro che Bianca è stata violentata da almeno cinque ragazzi, due sono minorenni.

Sono passati dieci giorni dalla denuncia che la sedicenne ha presentato in ospedale, dove è arrivata piena di lividi e ferite dopo lo stupro. Gli investigatori cercano elementi utili alle indagini. 

Nel sangue della ragazza è stata trovata cocaina e anche tracce di Rivotril assunto con l'alcol. La villa, a prima vista, sembra ripulita. In un bagno c'è anche uno strofinaccio che ancora odora di candeggina. 

Invece, lo scempio di quanto accaduto, attende gli investigatori in soggiorno. In un angolo della stanza c'è un sacco nero. I carabinieri lo aprono e trovano i resti di una serata di violenza, alcol e droga.

Ci sono due parti di un cellulare Apple. Il telefonino è «completamento distrutto», mettono nella loro relazione i militari. Ma di chi è quel telefono? Non si sa, non si riesce a risalire in prima battuta ai dati identificativi.

Ma cosa è potuto accadere in quella casa tanto da ridurre un cellulare in quelle condizioni? Dentro il sacco c'è anche una felpa nera della "Fruit of the loom" taglia XL. «È sporca, con macchie di diversi colori, maleodorante», scrivono i carabinieri nel verbale di sequestro. 

Infine, dentro quel sacco nero, trovano anche due bustine di cellophane che, secondo chi termina il sopralluogo, «sono state usate per il confezionamento di droga e ne sono anche parzialmente intrise». 

Il verbale agli atti è di appena quattro pagine. In due viene descritta la villetta con «giardino di 150 metri quadri, soggiorno con un solo divano, due piani e due camere da letto, in una ci sono giochi per bambini».

In altri due fogli ci sono le foto di quanto sequestrato. Sempre nel soggiorno i carabinieri trovano altri oggetti che finiscono tra i reperti utili all'inchiesta. 

Sul radiatore di un termosifone trovano la scatola di cartone della pomata Preparazione H e il tubetto. «È stata parzialmente utilizzata», appuntano su un foglio i carabinieri. E, poi, appeso a un chiodo l'ultimo reperto che sarà messo agli atti: è un boxer maschile di «colore grigio, rosso e nero con fantasie a bandiere». 

In quello stesso soggiorno Vittoria, l'unica ragazzina che ha cercato di difendere Bianca dai suoi stupratori, ha anche litigato con altri giovani che stavano cercando di avvicinare altre amiche del gruppo Parioli. 

C'è un frame di quella lite agli atti, un ragazzo ha ripreso la scena. Il sopralluogo è durato un'ora, è iniziato alle 20. Ad aprire la porta di casa è stato il patrigno del giovane, anche lui minorenne, che ha messo a disposizione quella villetta. 

Gli adulti quella sera non c'erano e proprio il patrigno si era congratulato con il figliastro per le sue performance sessuali. «Ti sei divertito?», gli chiede in un messaggio il giorno dopo San Silvestro. E il ragazzino risponde: «Sì». E il patrigno si congratula con lui. 

Chissà cosa pensa adesso quell'uomo dopo avere scoperto che, nella villa dove lui ha trascorso parte degli arresti domiciliari ai quali era stato costretto, una ragazzina dell'età del suo figliastro è stata abusata per ore.

Stupro di Capodanno, al telefono i minorenni si raccontano le violenze: «Era allucinata, morta». Fulvio Fianodi su Il Corriere della Sera l'8 Marzo 2022.

Al tribunale della Libertà depositate le nuove intercettazioni: «Una se la semo sc. in tre, però uno per vorta». Nardinocchi torna libero, è stato un errore di persona. 

Voci dalla casa degli abusi. M., uno dei due minorenni coinvolti: «Una sa semo sc... in tre, però uno pe vorta.. T. (l’altro under 18, ndr) mi pressava, voleva entra’ anche lui a sc... s’è sc... pure lui M. poi...». Echi dello sfascio generalizzato nella villa delle trasgressioni. X, la vittima: «Ho iniziato a bere, bere, bere... ho perso i sensi presto, già prima della mezzanotte». Flash di una nottata che ha rovinato le vite di molti. M., presente alla festa: «X ha preso Patrizio per mano dicendogli “andiamo a sc...” Mi diceva “andiamo con quello, andiamo con quell’altro”». Rivalutazioni a mente fredda. V., amica della vittima: «X stava allucinata... se glie dicevi “sc...” o glie dicevi... “tirate na botta de cocaina” o “calate de questo”, lei una qualsiasi cosa rispondeva “daje”».

Come un quadro di Picasso, in cui particolari in apparenza inconciliabili si compongono in un insieme pieno di significati, il Tribunale del Riesame mette assieme i pezzi della notte del 31 dicembre 2020 nella villa di Torresina, dove la 16enne figlia di un ambasciatore ha subito uno stupro di gruppo. Indagati sono due minorenni assieme ai 19enni Flavio Ralli e Patrizio Ranieri e al 21enne Claudio Nardinocchi. Gli ultimi due, messi ai domiciliari, hanno chiesto la revoca della misura, che a Nardinocchi è stata accordata per un sostanziale errore di persona. L’esame dei loro ricorsi aggiunge dettagli alla festa di Capodanno in cui la celebrazione del 2021 non era che un dettaglio marginale nelle intenzioni dei partecipanti.

La serata inizia alle 20 e prende subito una piega ben precisa: «X — scrive il Tribunale — iniziava ad assumere ingenti quantitativi di alcol e droghe, finendo in breve per perdere il controllo di sé e ogni capacità di resistenza e di percezione degli accadimenti». Il rilievo è significativo per inquadrare i rapporti sessuali che avrà. A partire dal primo, che avviene quando ancora non è arrivata la mezzanotte: «A un certo punto mi sentivo alterata — racconta X nel suo verbale — andavo da una stanza all’altra, mi sentivo fluttuare ma non ero più tanto cosciente... credo di aver iniziato a bere dall’inizio... ho perso i sensi presto». Secondo M. (un’altra partecipante) è lei che porta Ranieri in bagno al piano di sopra per fare sesso: «Oh, ma di già?» commenta qualcuno. Ma a giudizio del Riesame questo non conta, essendo già allora «la sua capacità di prestare un valido consenso ai rapporti pesantemente viziata dallo stato di palese intossicazione in cui versava».

I due minorenni T. e M. sembrano i più agguerriti nel contendersi la preda ormai indifesa. X non fa in tempo ad uscire dal bagno dopo il rapporto con Ranieri che si trova davanti T., appositamente salito. Qualche parola e la convince a rientrare, mentre fuori la porta è già appostato M. «che inizia a bussare per entrare, toccandosi». Ranieri inizialmente respinge uno dei due, poi i tre cominciano ad alternarsi mentre uno guarda la porta all’altro e T. impedisce ad altre persone di salire le scale. «Tre che andavano sopra... io so che se la sono fatta in tre, uno per volta», dice G. (il padrone di casa). Il referto medico, tra lesioni e sangue, è l’ultima pennellata dell’orrore.

Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera - ed. Roma” l'8 marzo 2022.  

«X è stata resa fragile dall'esperienza vissuta e anche dalla sensazione di isolamento all'interno del gruppo di amiche provata nei giorni successivi e come tale estremamente bisognosa di aiuto e comprensione».

Lo scrive il Tribunale del Riesame nelle motivazioni con cui ha confermato la custodia ai domiciliari per Patrizio Ranieri, ribattendo a un episodio contenuto nelle chat allegate alle indagini e fatto emergere dai difensori del 20enne. 

Una settimana dopo le festa di Capodanno, X lo ha rivisto e ha avuto un rapporto consensuale con lui. Questo, assieme alla assunzione di alcol e droghe, la renderebbe inattendibile, secondo gli avvocati.

L'episodio invece non è ritenuto assolutorio dai giudici, anzi per loro va letto in maniera opposta perché «trova ragionevole spiegazione nell'atteggiamento amicale e protettivo manifestato sin dai primi giorni dell'anno da Ranieri», preoccupato, scrive il collegio, «dalle possibili conseguenze della denuncia». 

Dirà X nel suo verbale: «Mi serviva proprio una persona che mi aiutasse, per questo ho voluto scrivere a Patrizio... ho voluto parlarci, ho voluto vederlo... ho creduto in lui».

Né, secondo il Tribunale, può trovare spazio la tesi del rapporto consenziente quella notte, perché le testimonianze descrivono X come «"uno zombie", "in coma", "fatta", "letteralmente morta" per effetto dell'assunzione di un devastante mix di sostanze alcoliche e droganti, del tutto incapace di esprimere una volontà consapevole, supina a qualsiasi proposta le giungesse a causa della sua condizione di menomazione psico-fisica».

Inoltre, il presunto consenso «non si conforta con lo stato di grave malessere psico-fisico accusato al suo risveglio» e dal referto di pronto soccorso che elenca i graffi, i lividi, le ferite «perfettamente compatibili con i ripetuti abusi subiti». 

Respinta anche l'obiezione sull'assenza di ricordi chiari della vittima (compatibile, secondo i giudici, con l'esperienza vissuta) e quella sulla mancanza di tracce di stupefacenti nella sua urina, dato che gli esami sono stati svolti a distanza di oltre 24 ore. 

Pieno accoglimento invece per il ricorso di Claudio Nardinocchi, «il cui ruolo nella violenza di gruppo non emerge in alcun modo» da una più attenta lettura delle testimonianze sul suo aspetto (la barba, i capelli ricci) e il suo abbigliamento (il colore delle scarpe, la maglietta). 

«Claudio non ha mai avuto rapporti sessuali in tutta la festa», dice lo stesso Ranieri con sincerità, mentre emerge piuttosto la preoccupazione del 22enne per aver partecipato a un party in violazione del lockdown: «In dieci dentro 'na casa... tutta droga... non potevamo manco usci' de notte... tutto alcol, un macello». 

Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera - ed. Roma” il 9 marzo 2022.

Altro ancora deve emergere su quanto subito dalla 16enne figlia di un ambasciatore, la notte del 31 dicembre 2020. Ne è convinto il pool di avvocati che assiste la ragazza vittima di una violenza sessuale di gruppo, dopo aver letto le motivazioni con cui il tribunale del Riesame ha di fatto confermato lo scenario in cui è avvenuto lo stupro, pur liberando uno dei presunti autori.

La corte ha confermato gli arresti domiciliari per il 19enne Patrizio Ranieri e liberato invece il 21enne Claudio Nardinocchi. Indagati sono anche l'altro 19enne, Flavio Ralli, e due minorenni, forse i più feroci nei confronti della ragazza. Sotto il coordinamento della associazione «Bon't Worry» di Bo Guerreschi, e con l'inchiesta ancora in corso, la famiglia della vittima insiste su tre aspetti. 

Intanto il tipo di sostanze assunte dalla ragazza: a giudizio di chi la assiste in questa vicenda giudiziaria le è stata somministrata la droga dello stupro, che pure non figura tra quelle riscontrare dalle indagini. Questo si evincerebbe da tre dati. Il primo, la presenza di una droga liquida, citata da più testimoni, con cui è stato bagnato lo spinello fumato dalla vittima poco dopo essere arrivata nella villa di Torresina. La forma liquida è quella tipica del ghb o gbl che non a caso viene spesso mescolata ad altre bevande per farla assumere alle vittime a loro insaputa.

Il secondo, gli effetti quasi immediati di perdita di consapevolezza di sé che l'hanno esposta agli appetiti sessuali dei ragazzi presenti, senza freni inibitorio o la forza per opporsi. Un effetto che la casistica su questa sostanza mostra accentuarsi se assunta nel modo descritto. Terzo, il fatto che dalle analisi delle urine della ragazza non risulti traccia di questa droga, il che è compatibile col fatto che le sue tracce nell'organismo spariscono in fretta e che gli esami sono stati svolti quasi due giorni dopo.

 Ciò non toglie che dimostrarlo a processo sarà difficile. C'è poi l'ipotesi del sequestro di persona. Una contestazione non mossa dalla procura ma anche questa desunta dalle testimonianze. La ragazza è stata tenuta in bagno dai suoi approfittatori. L'accesso alla stanza era inibito agli altri partecipanti alla festa e la rampa di scale per arrivarvi era presidiata a turno, a mo' di frontiera. Di fatto segregata. Il passaggio sul quale la parte civile chiede inoltre massima chiarezza è quello della partecipazione stessa della 16enne alla festa.

Mai il padre le aveva dato il suo assenso ad andarvi, né, lui sostiene, ne era mai stato informato, tanto di aver passato due giorni disperati in cerca di notizie della figlia all'alba del 2021. Il genitore aveva accordato alla ragazza il permesso di tornare dalle amiche a Roma nella convinzione che passasse la sera del 31 con le loro famiglie. E una volta saputo che si trovava dai carabinieri è salito sul primo aereo per raggiungerla. 

Questo per rispondere alle insinuazioni di averla mandato allo sbaraglio, disinteressandosi di lei. Questo «malinteso» ha avuto un peso nel raffreddarsi dei rapporti della 16enne con le amiche, essendo per altro ancora viva in lei la sensazione di abbandono vissuta dopo aver denunciato lo stupro e la condanna morale subita per aver fatto esplodere il caso. 

Uno stato d'animo sottolineato anche dal Riesame per spiegare la ricerca di conforto che l'ha spinta di nuovo tra le braccia di Ranieri una settimana dopo la festa. La ragazza vive oggi in Spagna, ha festeggiato lì i suoi 18anni e dopo il clamore che l'ha travolta un mese fa, viene descritta nella difficile fase psicologica successiva al trauma. Tra dolorosi silenzi e tentativi di rinascere.

Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 9 marzo 2022.  

Dopo gli stupri subiti a Capodanno 2021 la giovane vittima ha bussato alla porta del ragazzo che, appena una settimana prima, aveva abusato di lei. Proprio con quel ragazzo la 17enne ha avuto un altro rapporto. Questo, per gli avvocati di Patrizio Ranieri, significa una sola cosa, anche la notte di San Silvestro la ragazza era consenziente. Di diverso avviso i magistrati.

I giudici del Riesame forniscono una lettura differente dell'episodio: è la prova di un comportamento «manifestato sin dai primi giorni dell'anno», un «atteggiamento, con ogni probabilità, semplicemente strumentale e dettato dal timore delle possibili conseguenze della denuncia». È questo il nuovo capitolo dell'inchiesta che emerge dalle motivazioni del tribunale delle Libertà che hanno confermato i domiciliari a Ranieri scarcerando, invece, un altro dei ragazzi accusati dalla procura, si tratta di Claudio Nardinocchi.

Sette giorni dopo lo stupro subito, secondo i pm, da tre diversi ragazzi la vittima ha cercato di ricomporre il puzzle di quella serata, tentando di mettere ogni tessera nel posto giusto. Un notte che, anche la vittima, aveva trascorso consumando di tutto: cocaina, hashish, alcol e psicofarmaci. La minorenne è consapevole di aver subito degli abusi, ma non ricorda chi, tra i vari ragazzi presenti quella sera, abbia abusato di lei. Per questo motivo contatta Ranieri. A lui si affida per fare luce su ciò che era successo. 

 «Ho voluto vederlo, ho creduto in lui», spiegherà ai pm. «Voglio aiutarti, voglio proteggerti», avrebbe replicato il giovane. Con questo atteggiamento, secondo i magistrati, Ranieri avrebbe «fatto breccia nella giovane vittima, resa fragile dall'esperienza vissuta e anche dalla sensazione di isolamento all'interno del gruppo di amiche provata nei giorni successivi e come tale certamente bisognosa di aiuto e compassione». 

Perciò, il nuovo rapporto, secondo la tesi del Riesame, non scagionerebbe Ranieri. Anzi. «È scaltro sottolinea il tribunale delle Libertà quando decide che il ragazzo deve restare ai domiciliari non ha esitato da un lato a mostrarsi premuroso con la vittima, dall'altro a insultarla tra gli amici nei giorni successivi dandole della» poco di buono.

 Negli atti i giudici ricostruiscono con dovizia di particolari quanto accaduto la notte di Capodanno, tra abusi sessuali, di alcolici e di droga. Un party in cui partecipano ragazzi giovanissimi, dai 16 fino ai 20 anni. Ranieri quella notte «ha ripetutamente approfittato della giovane in coma, anche in gruppo, e non ha mancato, a fine serata, di umiliarla di fronte a tutti rivolgendole parole sprezzanti per poi lasciarla alla festa dolorante, piena di lividi e di lacerazioni». I giudici sottolineano, invece, come non ci siano prove a carico di Claudio Nardinocchi. «Non ha avuto alcun rapporto sessuale con la giovane», dicono i suoi difensori.

Ad ogni modo in quella terribile notte di Capodanno, consumata in una villetta a Primavalle, è accaduto di tutto. «Il gruppo di giovani - si legge nelle motivazioni - partecipava a una festa nel corso della quale molti dei presenti assumevano quantità rilevanti di sostanze alcoliche, stupefacenti e psicotrope». Della comitiva faceva parte anche la vittima. 

La minorenne «classe 2004» che «caduta in stato di forte alterazione psico-fisica, per avere assunto un mix di superalcolici, cocaina e psicofarmaci, nel corso della notte veniva abusata sessualmente da vari giovani, anche in gruppo, risvegliandosi la mattina successiva in uno stato di profondo malessere», riassume il Riesame. La procura ha individuato tre ragazzi responsabili dello stupro. Adesso, per loro, all'orizzonte, si profila un processo complicato.

Stupro di Capodanno, l’ultimo sfregio è per la vittima: «Non vali niente, sei solo una...». Giuseppe Di Piazza su Il Corriere della Sera il 23 Gennaio 2022.

Dalle carte dell’inchiesta emergono disprezzo per le donne, droga, sesso come trofeo: frasi che raccontano un mondo. Per preparare la festa violenta create due chat: una con le ragazze dei Parioli, l’altra con i ragazzi di Primavalle.

Il nuovo branco nasce e vive sui social, sulle chat. Ed è nei loro scambi, nelle scelte delle parole, nelle allusioni sporche e violente, che trova saldatura, identità. Rileggere le carte giudiziarie della lunga inchiesta sulla minorenne stuprata da un gruppo di poco più che coetanei la notte del 31 dicembre 2020, in una villa vuota a Primavalle, è come guardare per la prima volta – con lenti nuove - cosa succede ai nostri figli, così lontani, così vicini.

Una lettura a tratti scioccante, in cui le bestemmie si legano alle sdolcinatezze, i nomi di farmaci a definizioni e nomi (spesso a noi ignoti) di nuove e vecchie droghe. Conversazioni che hanno come protagoniste ragazze dei Parioli e ragazzi di Primavalle, in una mescolanza sociale che rende tutto indistinto. E sullo sfondo delle loro parole c’è quasi sempre il sesso, non come premio di una relazione, ancorché casuale, ma come trofeo: dimostrazione di successo muscolare e, quasi sempre, di sopraffazione riuscita.

La storia racchiusa in queste chat è, tuttavia, storia di gruppo, non di una singola vittima. Una storia di branco, per l’appunto. In molti casi troverete punti di sospensione al posto di espressioni la cui crudezza offende.

Ma il senso sarà chiaro, come chiara oggi è la necessità di provare a capire cosa sta succedendo sotto i nostri occhi, troppo spesso chiusi.

«Tutte tr... erano»

L’orgia di droga e sesso, durante la quale la minorenne viene abusata a ripetizione, si è appena conclusa. L’indomani uno dei ragazzi, ancora nella villa, dialoga su WhatsApp con un amico che era stato alla festa:

«Tutto apposto mo sto a a cerca de sistema casa che ce ncasino»

«Bello de zio ve siete divertiti»

«Si hahaha»

«Braviiii…»

«Te te sei divertito??? Ahahaha. Tutte tr... erano ahahahah».

In una testimonianza raccolta giorni dopo, uno dei presenti riferisce che uno dei tre arrestati, dopo lo stupro di gruppo, aveva detto alla vittima: «Non vali un c… Sei una tr..., una puttana».

Bestemmie e farmaci

Due delle amiche della chat dialogano poche ore prima della festa. L’autrice del primo messaggio ha solo 14 anni.

«La farmacia non aveva Rivotril (psicofarmaco, ndr). Porcoddd…»

«Oooke»

«Madonna p…»

Dopo poco, un’altra amica chiede nella chat se ci saranno hashish e marijuana.

«Portate da fumà? Io posso portà la bianca (cocaina, ndr) me sa»

Poco dopo lo scambio continua con messaggi vocali. Una delle ragazze dice:

«Le pasticche di Xanax e Rivotril ve le regalo, tanto è capodanno sti cazzi, basta che m’accollate tipo qualcosa per stuccà (fumare, ndr), perché sto a pijà mezzo a 365 (euro, ndr) e non posso cioè regalallo tutto…».

Le giustificazioni

Una delle minorenni della festa dice:

«Io vedevo anche gli unicorni che volavano e i tappeti che si muovevano..».

Sulla totale alterazione delle ragazze si parla nei giorni successivi alla festa sulla chat. Una delle minorenni sostiene (in solitudine, nessuno le dà ragione) che lo stare «allucinate» non dev’essere una giustificazione per uno dei ragazzi che ha abusato della vittima.

Sangue e confessioni

In un dialogo l’indomani su WhatsApp, uno degli indagati dice:

«Jo rotto rc… me sa, ciò tutto sangue su a majetta. Avevo appena finito de scopà perché ahahaha Stavo mbriaco… Chiedijelo a … se no ascopato, che me cacava rc… che doveva entrà a scopà… Se scopata pure lui…».

Dopo la notte di violenza, due amici parlano di un video girato alla festa. Il primo dice:

«Senti ‘na cosa… ma hai visto che P. c’aveva quel video là… de quella che faceva… Emm v’è piaciuto fa ‘n video tutte e tre». Poi chiede di ricevere il filmato.

Il secondo rifiuta di spedirlo:

«Eh ma… Mo’ poi invià… sennò annamo… cioè sennò annamo… come se dice… Così non ce succede niente a nessuno».

«Accollano lo stupro»

Uno dei partecipanti alla festa, tra quelli che presumibilmente hanno abusato della vittima, dialoga con un amico che gli chiede:

«Quindi chi eravate, voi? Te, M. e P.?»

«A fratè calcola che P. me sa che è quello che gli accollano lo stupro perché c’aveva er sangue sulla maglietta e me sa che vonno accollà a lui…»

«Che coglione»

«Perché stavano avvelenati, lui sa qual è stato il guaio suo? E’ che è uscito dalla camera co’la maglietta piena di sangue e la sventolava… E’ ito tutto male cuggì… E’ ito tutto male… Hai visto fratè… io glilìho buttato un po’ ar c… Però loro mi hanno detto che poi pijà teè falsa testimonianza».

Stupro di Capodanno, l’amico della vittima: «Noi tutti fatti e ubriachi, come poteva essere consenziente?» Camilla Palladino su Il Corriere della Sera il 24 gennaio 2022.

Parla un coetaneo della ragazza violentata: «Quando l’ho vista, nei giorni dopo, l’ho trovata molto provata, dormiva sempre e aveva lividi sulle gambe. Se lei era d’accordo? Quando hai preso droga e alcol non capisci più niente». 

«Posso essere sincero? Stavamo tutti fattissimi e avevamo bevuto un bel po’». A parlare per la prima volta è uno degli amici dell’adolescente, figlia di un diplomatico spagnolo, violentata durante la festa di Capodanno 2021 in una villetta di Primavalle. Ammette la presenza di diverse droghe alla serata e parla di come ha aiutato la giovane vittima nei giorni successivi allo stupro di gruppo. Perché ha deciso di parlare? «È una delle mie migliori amiche, sennò manco ti rispondevo, sinceramente», sottolinea. Poi inizia il suo racconto.

Cosa ricordi di quella notte?

«Poco, perché a un certo punto mi sono sentito male e la mia ex ragazza mi ha portato via. Era più o meno l’una e mezza. Lei (la 16enne abusata, ndr) l’ho rivista nei giorni dopo e solo in quel momento mi sono reso conto di come stava, quindi ci ho parlato per convincerla a farsi visitare da un medico. Ha passato un giorno interno tra Questura e ospedale, dove le hanno fatto tutti i controlli per accertare la violenza. È stato stressante per lei, ma per fortuna è una ragazza forte».

In che condizioni era dopo la festa di Capodanno?

«Quando l’ho vista si vedeva che era provata dalla serata, stava in coma. E poi era diversa dal solito, stava tutto il tempo da sola a dormire e aveva dei lividi sulle gambe. Sinceramente non mi ricordo se gliel’ho chiesto io oppure me l’ha raccontato lei, fatto sta che era subito chiaro che era successo qualcosa di strano alla festa dopo che ero andato via».

Fino al momento in cui eri lì era tutto tranquillo?

«Tutto tranquillo tra virgolette, era sempre Capodanno e c’era il panico, però sicuramente nessuno ha messo le mani addosso alle ragazze in modo violento mentre c’ero io. È vero che ci sono stati diversi inciuci (rapporti sessuali tra i partecipanti alla festa, ndr) durante la serata, ma è un classico a Capodanno, quindi non mi sono preoccupato sul momento e mi sono fatto gli affari miei».

Secondo te cos’è successo dopo?

«Nel momento in cui io stavo andando via, dal cancello sono entrate altre persone che non conoscevo. Il problema è che lì in mezzo, stando tutti un po’ così, non si capisce cosa sia successo precisamente. Io stavo male, mi ricordo solo che stavo per litigare con uno di loro perché mi stava guardando male, ma poi sono andato via. Secondo me la situazione è degenerata quando sono arrivati loro, anche perché sono entrati all’una e mezza, così a buffo. In più certe amiche sue (della vittima, ndr) l’hanno abbandonata là, perché stavano peggio di lei. Sono rimaste solo in 2 o 3, quelle che poi l’hanno accompagnata al taxi».

E dopo la denuncia dello stupro?

«Quelli che sono stati ritenuti responsabili hanno iniziato a dire di non avere nulla a che fare con la violenza, che lei era consenziente, ma lei in quel momento non capiva nulla. Se tu metti in mezzo una ragazza in 11 o in 10, come ha raccontato lei, mentre è tutta ubriaca e tutta fatta, non può essere consenziente. Anche se fossero stati di meno, il discorso è uguale».

Stupro di Capodanno, il papà di un’amica della vittima: «Si era stordita, non c’è stata violenza». Camilla Palladino su Il Corriere della Sera il 25 gennaio 2022.

Parla il padre di una delle ragazze arrivate alla festa con la 16enne figlia di un diplomatico rimasta vittima di una violenza di gruppo: «Normale che ci fosse alcol. Mia figlia? Lei non si droga».  

La responsabilità di quello che è successo nella villetta di Primavalle a Roma durante la notte di Capodanno di un anno fa «è anche responsabilità dei genitori», secondo il giudice delle indagini preliminari Tamara De Amicis. Eppure c’è chi non si sente in colpa, difende i ragazzi. Nell’ordinanza di custodia cautelare contro i tre presunti stupratori R.M. è indicato come uno dei padri che consiglia di «non coinvolgere le forze dell’ordine». Sua figlia era al party abusivo, è un’amica della 16enne violentata.

Scusi lei davvero non voleva fare denuncia?

«No, non l’ho detto io. È vero che sono stato chiamato da un altro genitore che mi ha spiegato quello che era successo a Capodanno. Io sono cascato dalle nuvole, non ne sapevo nulla, all’inizio non ci volevo credere, quindi gli ho solo chiesto: “Sei sicuro?”. Poi però ho ragionato con mia figlia e le ho spiegato che è possibile che la ragazza abbia avuto rapporti consenzienti con altri ragazzi quella sera, ma che ci sia stato anche qualcuno che se n’è approfittato. Se è così, ho detto a mia figlia, devi star vicina alla tua amica. Mia figlia non è stata sei ore appicciata a lei, quindi non può sapere per filo e per segno che cosa ha fatto tutta la sera».

Cosa le ha raccontato sua figlia?

«Quello che mia figlia può dire, come qualsiasi altro ragazzo presente, è estremamente parziale. Non solo perché ognuno ha una propria idea nella vita, ma anche perché se io e lei stiamo nella stessa casa, ma io sto a un piano e lei a un altro, io posso sentire dei rumori e farmi un’idea di ciò che sta succedendo, ma potrebbe essere un’interpretazione diversa dalla sua. Quindi mia figlia ha una sua visione di parte di come sono andate le cose, anche perché in una festa con venti persone alcune cose l’ha viste e altre no».

E quale sarebbe?

«Mia figlia non beve, non fuma e non si droga, quindi era lucida quella sera. Dopo Capodanno ha saputo che cosa era successo è rimasta schifata. E mi ha detto: “Non è possibile che questa ragazza sia stata violentata”. Lei ci è rimasta male perché, con il fatto che non fumava e non beveva, è stata accusata di non essersi accorta di nulla e di non averla aiutata».

Lei che cosa le ha detto?

«Ho detto a mia figlia che non deve giudicare nessuno. Forse i ragazzi sono andati lì con l’intento di divertirsi ed è quello che hanno fatto. E andava bene finché la ragazza era sobria, ma se andando avanti con la serata era così stordita da non riuscire a dire no, per la legge è stupro».

Scusi perché precisa per la legge? Vorrebbe sostenere che non è violenza sessuale?

«Secondo me non c’è stata una violenza, ma purtroppo la verità è che non si saprà mai con chi quella ragazza voleva o non voleva avere un rapporto quella sera. Nessuna delle amiche pensa che ci sia stata una violenza. Mia figlia è rimasta in quella casa tutta la notte perché la mattina dopo voleva aiutare a pulire la casa, ha dormito con la ragazza sul divano. Le ha chiesto come stava, lei non le ha detto nulla e si sono addormentate. L’unica cosa che ha notato è che aveva le ginocchia rosse, ma lei non le ha detto che stava male o che le avevano fatto qualcosa».

Per lei è normale anche che mentre tutta Italia era in zona rossa sua figlia abbia organizzato un party abusivo?

«A sedici, diciassette, diciott’anni è normale che a una festa di Capodanno ci sia l’alcol e che qualcuno porti qualcosa (sostanze stupefacenti, ndr), ma non doveva finire così».

Fulvio Fiano per il "Corriere della Sera - Edizione Roma" il 24 gennaio 2022.

Nella villetta di Torresina si facevano da "palo" a vicenda, oggi potrebbero trovarsi uno contro l'altro. I prossimi giorni possono imprimere una svolta forse decisiva alle indagini sullo «stupro di Capodanno», la violenza sessuale di gruppo di cui è rimasta vittima la 16enne figlia di un diplomatico la notte del 31 dicembre 2020. 

Si conclude infatti il giro di interrogatori di garanzia per i tre maggiorenni raggiunti dall'ordinanza del gip Tamara de Amicis e dopo il clamore suscitato dal caso e i dettagli agghiaccianti emersi, l'omertà, il coprirsi le spalle a vicenda, il tentativo di liquidare tutto con un «lei era drogata e consenziente» (ammesso che le due cose non siano in contraddizione) adottati finora come linea difensiva potrebbero crollare. Per oltre un anno, fino alle misure cautelari emesse una settimana fa, i protagonisti di questa vicenda, sia i presunti colpevoli che i loro amici, si sono retti il gioco a vicenda.

Patrizio Ranieri e Flavio Ralli hanno continuato a sostenere la propria innocenza davanti al giudice. Domani tocca al terzo maggiorenne coinvolto, Claudio Nardinocchi, provare a scagionarsi nel suo interrogatorio e in questa settimana di ritardo (causa Covid) rispetto agli altri due, il suo atteggiamento potrebbe essere cambiato, rivalutando le conseguenze di una strategia che sembra superata dai fatti. A guardar bene, la complicità tra gli indagati comincia già quella notte, quando individuata la preda dei loro appetiti sessuali in quella ragazza in stato di semiincoscienza, se la passano da uno all'altro come un oggetto mentre la custodivano da occhi indiscreti o altri tentativi di farla propria. 

«Tutti i ragazzi della casa ci hanno provato con le ragazze presenti, credo che la festa avesse proprio quello scopo», racconta ai carabinieri una delle amiche della 16enne, lei stessa vittima delle attenzioni di uno degli indagati (oltre ai tre maggiorenni ci sono due minorenni): «Mi ha preso i fianchi, ha provato a baciarmi». Col passare delle ore il clima si fa sempre più pesante, di pari passo con l'effetto delle droghe, dell'alcol e dei farmaci.

La 16enne, dopo un iniziale rapporto con Ranieri, viene portata, secondo più testimoni, nel bagno al piano di sopra della villetta. «Era evidente che fosse fatta , drogata e bevuta - racconta uno dei presenti - Uscito dal bagno Patrizio (Ranieri, ndr), si è fermata a parlare con T. (uno dei due minorenni, ndr), ed è rientrata nel bagno con lui per un rapporto sessuale. Mentre erano dentro è arrivato M. (l'altro minorenne) e ha cominciato a bussare alla porta. Durante lo svolgimento di questi rapporti i ragazzi si alternavano nel compito di impedire agli altri partecipanti alla festa di avvicinarsi alla stanza. T. sorvegliava le scale mente Patrizio era dentro, poi M. sorvegliava quando T. entrava».

Un altro testimone conferma: «Patrizio mi ha raccontato che mentre era in bagno con la ragazza, M. ha insistito per poter entrare e avere un rapporto anche lui». Un'altra ragazza ancora racconta: «Sono salita col mio fidanzato al piano di sopra ma c'erano tre ragazzi davanti alla porta che ci hanno fermati. Uno di loro, riccio (Nardinocchi, ndr), ci ha tipo fisicamente presi, ma non con violenza, per farci scendere». 

In un altro verbale c'è anche la descrizione di uno di quei rapporti: «M. aveva i pantaloni abbassati e faceva sesso con quella ragazza a terra nel bagno». Lo stesso Ralli, unico dei tre a non essere finito ai domiciliari perché ha un lavoro e il gip gli ha concesso di continuarlo con il solo obbligo di firma, invitato dalla fidanzata a un rapporto a tre con la 16enne, concentra le sue attenzioni su quest' ultima, tanto da suscitare l'ira della sua ragazza.

Stupro di Capodanno a Roma, la 16enne vittima: «Inaccettabile ciò che ho subito. Abbandonata dalle amiche e nessuna mi ha chiesto scusa»». Camilla Palladino su Il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2022.  

«Quello che ho vissuto fa schifo quindi lasciatemi in pace, devo metabolizzare». La 16enne vittima di una violenza di gruppo nella villetta del quartiere Primavalle a Roma, durante la festa di Capodanno di un anno fa parla attraverso la sua portavoce Bo Guerreschi, presidente dell’associazione Bon’t Worry che si sta occupando della difesa legale dell’adolescente. La mattina dopo le violenze, ha raccontato la vittima agli avvocati, «a momenti mi staccavo la pelle, volevo togliermi lo schifo di dosso». Il suo corpo era coperto di lividi, tanto che la prognosi dell’ospedale era di 30 giorni.

Ed è proprio quel ricordo che oggi la fa chiudere in sé stessa: non vuole parlare con nessuno di quello che è successo, dice di essere stufa e, come sostiene la sua portavoce, «si è rifugiata nel mutismo». I ricordi di quella nottata non sono ancora nitidi e farli riaffiorare a più di un anno di distanza è doloroso. «La ragazza è in una fase molto delicata perché sa che dovrà affrontare un’altra testimonianza e sarà il momento peggiore, perché dovrà rivivere tutto. Sta cercando di trovare dentro di sé la forza per affrontarlo», spiega Guerreschi.

Oltre a ribadire più volte lo stato d’animo della vittima a causa della violenza, la portavoce sottolinea anche il modo in cui l’adolescente è stata abbandonata dalle sue amiche al momento della denuncia ai Carabinieri. Le ha raccontato di essersi «sentita sola, anche le mie amiche lo hanno fatto». «Probabilmente — spiega — hanno avuto paura delle reazioni dei loro genitori e si sono tirate indietro, ma se sei sobria e vedi che una tua amica è in una situazione a rischio, la porti via. Non l’abbandoni. Invece è quello che hanno fatto. Hanno girato la testa dall’altra parte, non hanno avuto nemmeno il coraggio di chiedere scusa dopo». Così in un attimo una minore vittima di uno stupro di gruppo si è ritrovata isolata. Proprio nel momento più importante, quello della denuncia.

Racconta infatti Guerreschi: «Ormai è rimasta sola. Tutti la accusano, dicono che non c’è stata una violenza, che se l’è cercata, si dipingono come santi, ma in questa storia una verità già c’è: la ragazza non ha colpa, non sapeva neanche cosa stesse succedendo. Dopo aver fatto uno o due tiri di una sigaretta bagnata con un liquido strano si è sentita quasi subito stordita. La droga dello stupro esiste anche sotto forma di gocce». Secondo la presidente dell’associazione «ciò che si è rivelato ancora più grave dell’omertà dei giovani, è stato il comportamento degli adulti coinvolti nella vicenda». A partire dall’atteggiamento riservato al padre della vittima, inizialmente lasciato all’oscuro: «La ragazza era ospite a casa di un’amica in quei giorni. Il padre non sapeva e non avrebbe mai autorizzato che la figlia andasse a quella festa. Anzi, è venuto a conoscenza di tutto quello che era successo solo quando l’adolescente si trovava già dai carabinieri. È stata la prima mancanza da parte degli adulti».

A questo si aggiunge il muro che hanno alzato contro la vittima dopo aver denunciato la violenza. «Mi aspettavo più rispetto. Prima di tutto — sostiene Guerreschi — quei ragazzi erano presenti e solo per senso civico i genitori avrebbero dovuto convincerli a raccontare tutto ciò che sapevano. In più risulta dalle testimonianze che erano tutti ubriachi e sotto l’effetto di droghe, ma che quasi tutti erano a conoscenza di cosa stesse succedendo, e anche questo dovrebbe interessargli. Vorrei chiedere a queste persone: “Se fosse successo a vostra figlia o a vostro figlio, perché succede anche agli uomini, la pensereste allo stesso modo?”.

L’orrore vissuto in una notte, unito alla reazione dei suoi amici e conoscenti, hanno aperto nella giovane ragazza una ferita che fa ancora fatica a rimarginarsi. «È a pezzi, ha l’anima spezzata. Quando sei sotto effetto della droga dello stupro i ricordi ritornano man mano, o magari non torneranno più, per questo adesso si sente stanca e confusa. Non ne vuole proprio parlare. Ha bisogno del suo tempo per analizzare una situazione che l’ha veramente spappolata», sottolinea Guerreschi.

In attesa del rinvio a giudizio, la 16enne e la sua famiglia cercano un nuovo equilibrio per superare il trauma. «Ha ricominciato ad andare a scuola e anche a prendere bei voti — racconta ancora la portavoce della vittima — ma in questo momento ha bisogno di tranquillità. Scoprire, senza neanche ricordarlo bene, che sei stata usata come una bambola di gomma non piacerebbe a nessuno». Lei lo sta facendo per avere giustizia, ma poi vorrà solo tornare a essere una ragazza normale.

Stupro di Capodanno, le chat dei violentatori di Primavalle: "Quella ci mette nei guai, nega tutto".  Romina Marceca e Andrea Ossino su La Repubblica il 15 Gennaio 2022.

Per la festa di San Silvestro erano in trenta. Dieci, quasi tutti minorenni, di Parioli. Il resto di Primavalle e Torrevecchia. Nelle conversazioni tutto l'orrore di quella notte.  

Il giorno della Befana del 2021 nelle chat di Whatsapp scoppia il panico tra i partecipanti al Capodanno dell'orrore in una villetta di Primavalle. "Questa ci metterà nei guai, era lei che ci stava", scrive uno degli indagati. E un altro: "Devi dire che non mi conosci, tu non mi hai visto fare niente". Da qualche giorno i carabinieri hanno iniziato a sentire testimoni e sospettati di avere stuprato dentro la villetta della periferia Nord di Roma una ragazzina di 16 anni, la figlia di un diplomatico spagnolo.

Romina Marceca e Andrea Ossino per “la Repubblica – ed. Roma” il 15 gennaio 2022.

Priva di sensi, a 16 anni, è rimasta in balìa di quei ragazzi con cui avrebbe voluto festeggiare l'ultimo giorno del 2020. In cinque, per almeno tre ore, hanno abusato del suo corpo. È stata trascinata in camera, poi in bagno e di nuovo in quella stanza angusta. Entravano a turno. Certe volte insieme. 

L'hanno spogliata, poi l'hanno rivestita con abiti non suoi. E hanno esibito la maglietta di uno di loro sporca di sangue come fosse un trofeo. Nessuno dei trenta partecipanti al festino è intervenuto, neanche le sue amiche. «Lasciata sola », ha raccontato lei.

Ma non si possono nascondere lesioni giudicate guaribili in 30 giorni. E neanche la sofferenza che questa ragazzina sta cercando di sconfiggere a un anno dallo stupro. Lo sfogo raccolto dal padre della vittima è arrivato fino ai carabinieri. Quindi le inchieste della Procura e dei pm che si occupano di reati commessi da minorenni. E le misure cautelari.

Il giudice che ha firmato gli atti che hanno costretto Patrizio Ranieri e Claudio Nardinocchi agli arresti domiciliari, mentre per Flavio Ralli è scattato l'obbligo di firma, racconta di una sedicenne trattata come un oggetto, con disprezzo. 

Emerge anche una realtà più profonda, dove i figli della borghesia pariolina si organizzano con coetanei dei quartieri periferici a Nord di Roma per trascorrere una notte all'insegna del sesso e dello sballo. «Ci ubriachiamo e ce sta 'a roba» 

«Ho delle amiche che cercano dove passare il Capodanno». Inizia così il percorso verso la festa. Lo scopo del party è rivelato nelle conversazioni su WhatsApp: «Ci ubriachiamo e ce sta 'a roba».

L'amicizia tra una "pariolina" e un ragazzo di Primavalle porta due comitive a organizzarsi. Viene creata una chat, "Capodanno 2021". Ci sono una trentina di partecipanti, coincidono quasi tutti con i nomi presenti nella lista stilata per entrare nella villa al Quartaccio. In quella casa, affittata al compagno della madre di uno degli organizzatori del party, e sfruttata poi dal ragazzo, arrivano figli di professionisti, impiegati e disoccupati. 

E anche la vittima, la figlia di un diplomatico spagnolo. In altre chat come "gang scuola" si parla di droghe e psicofarmaci, di unguenti e alcolici: tutto il necessario per imbandire un tavolo dedicato allo sballo. Lo hanno riempito di cocaina, Roipnol, Xanax, vodka, whisky, olio di cannabis. 

E si sono abbuffati, dividendo le spese, vendendo a chi arrivava a mani vuote. Per questo la procura dei minori indaga anche sul giro di droga, oltre ad aver individuato altri due ragazzini che hanno violentato la sedicenne.

Abusata per tre ore

Sono almeno in cinque i giovani che hanno approfittato della vittima. L'effetto della cocaina avrebbe lasciato il posto a quello dell'acido valproico, rivelano le analisi sul sangue della minorenne. Quella sostanza rende vulnerabile chi la assume. 

E lei, a 16 anni, era molto vulnerabile. Priva di sensi. Così per almeno tre ore è stata abusata. Qualcuno dopo aver approfittato del suo corpo ne ha mostrato le prove, come se si trattasse di una preda. E invece è poco più di una bambina che nessuno ha aiutato. Poi da denigrare: «Quella è una poco di buono.

Non è stata costretta. Era tutta ubriaca», dicevano. « Mi sono risvegliata in una stanza, c'era la mia amica. Siamo andate insieme a casa sua, non ricordavo nulla», ricostruirà invece la vittima, mentre i lividi presenti sul suo corpo daranno credito alla narrazione. Le altre feste L'orrore di quella notte non avrebbe turbato i partecipanti al party. Erano pronti a rincorrere il "binge drinking", l'abbuffata di alcolici, anche dopo, nel giorno della Befana. L'appuntamento però sarebbe sfumato. Quello di Capodanno potrebbe non essere stato l'unico evento organizzato. 

«Facevano le feste anche durante il lockdown e in estate, ma non avevamo denunciato. Era gente poco raccomandabile », dicono i vicini. Venivano soprattutto dalla vicina via di Torrevecchia, da Primavalle. Anche, e non solo, dalle adiacenti case popolari. «Mettiamoci d'accordo su cosa dire » A destare sospetti sull'abitualità del rito, sono anche le conversazioni tra alcuni indagati. Venuti a conoscenza dell'indagine avrebbero cercato di proteggersi. 

« Mettiamoci d'accordo su cosa dire», scrivevano. « La situazione è greve » . E ancora: «Digli che non mi conosci e che non ho fatto niente». Una tattica che non sarebbe servita a molto. Adesso saranno gli avvocati a gestire la linea difensiva, che al momento sembra alternarsi tra un «Era consenziente, c'era anche la mia ragazza», e la negazione: «Non l'ho nemmeno sfiorata, non c'entro con questa storia». 

I giudici ricostruiranno la verità. Intanto un dato è certo: « Ancora adesso è chiusa in se stessa,, non vuole parlare di quanto accaduto. Sul banco degli imputati il nostro team di avvocati farà di tutto per far salire anche il padrone della villa che ha permesso tutto questo», dice Bo Guerreschi, la presidente della onlus che sta assistendo la vittima. La villa La villa in via del Podere Vecchio, a Roma Nord, dove nella notte del Capodanno 2021 si è consumata la violenza sessuale ai danni di una ragazza spagnola 16enne, al termine di un festino a base di alcol e droga.

Romina Marceca e Andrea Ossino per roma.repubblica.it il 16 gennaio 2021.

Dall'erba dei campi di calcio dell'Atletico Lodigiani al pavimento di quell'abitazione da cui per il momento non può allontanarsi. Patrizio Ranieri compirà 20 anni tra qualche mese. Il suo volto è pulito e al di là di un piccolo incidente con la giustizia la sua vita non sembrava destinata ad essere trascorsa tra le aule del tribunale penale di piazzale Clodio. 

E invece è proprio al cospetto della giustizia che adesso il giovane cerca di giustificare ciò che è accaduto la notte del Capodanno di un anno fa. Aveva da poco compiuto 18 anni quando, sostengono gli inquirenti, ha violentato la figlia sedicenne di un diplomatico spagnolo, una ragazzina che ha partecipato alla festa per trascorrere l'ultimo giorno dell'anno. 

Ranieri, che gli inquirenti descrivono come uno dei principali protagonisti della violenza di Capodanno, è uno dei tre indagati dalla procura di Roma. Altre posizioni sono al vaglio dei colleghi che si occupano di reati commessi da minori. E Patrizio, anche se da appena 7 mesi, quando ha allungato le mani su quella ragazzina era maggiorenne.

Non lavora. Ma non trascorre le sue giornate solo tra le vie del quartiere dove abita, a Primavalle, non troppo lontano dalla villa dove si è consumata la violenza, al Quartaccio. La passione per il calcio lo ha portato dalla parte opposta della Capitale, dove indossa la maglia di una delle squadre storiche dello scenario giovanile di Roma. 

È un centrocampista, un under 19 dai piedi buoni nel campionato di Eccellenza. Magari non avrebbe sfondato nel calcio, ma affacciarsi nel campionato Eccellenze laziale è già una soddisfazione. Ha continuato a giocare anche quando ha commesso qualche passo falso. 

Scavando tra gli atti si risale a un precedente di polizia. In passato era stato pizzicato con una piccola quantità di sostanze stupefacenti. Nulla a che fare con lo spaccio, solo una detenzione per uso personale. Una situazione che non si addice proprio a uno sportivo, ma agli occhi della legge è cosa da poco. Più grave invece la vicenda che adesso lo sta travolgendo. 

L'esibizione agli amici della sua maglietta, sporca del sangue della vittima, è al contempo la testimonianza del disprezzo con cui la sedicenne è stata trattata, e la prova del rapporto consumato con la ragazza.

Almeno secondo il gip. "Era consenziente", ha detto Ranieri ai carabinieri che hanno bussato alla sua porta. Poi lo ha ribadito al giudice. Ma le sostanze trovate nel sangue della vittima, i lividi e le lesioni giudicate guaribili in 30 giorni dicono altro.

Stupro di Capodanno, Antonia De Mita assolve il nipote: "Non va giudicato, l'hanno messo in mezzo perché suo nonno è Ciriaco". Lorenzo D'Albergo su La Repubblica il 23 Gennaio 2022. 

Parla la zia del ragazzo (non indagato) che ha partecipato al party di Capodanno partito tra cocaina e alcol e finito con lo stupro di una 16enne: "Scene da Marilyn Manson. Lui si droga? Mica è nato al Tufello".  

"È come se ci avessero fatto scoppiare una bomba in casa". Antonia De Mita è distrutta. Figlia dell’ex premier Ciriaco e zia di Simone Ceresani, uno dei ragazzi presenti al party dello scorso Capodanno che si è chiuso con lo stupro di una 16enne, dice di essere "stravolta". Il nipote, ascoltato per due volte dai carabinieri, non è indagato per le tre ore da incubo vissute dalla vittima, figlia di un diplomatico spagnolo.

Stupro di Capodanno, nei guai il nipote di De Mita. Il padre: "Non sapevo nulla". Lorenzo D'Albergo, Romina Marceca, Luca Monaco su La Repubblica il 22 gennaio 2022.  

Nelle carte, il ruolo di Simone Maria Ceresani, figlio dell’ex capo di Gabinetto dei ministri Fontana e Boschi e parente del leader Dc. Il ragazzo aveva portato la droga dai Parioli al party insieme alla sua fidanzata 17enne, figlia di una nota showgirl. 

Al festino da incubo dello scorso Capodanno c'era anche Simone Maria Ceresani, nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita. Nel villino di Primavalle ha visto Bianca - così chiameremo la 16enne abusata per tre ore da almeno cinque ragazzi - piombare improvvisamente in un inferno di insulti e violenze. Un dramma che si è chiuso con le accuse per 5 dei 28 giovani che hanno deciso di salutare il 2020 tirando cocaina, buttando giù psicofarmaci e lasciandosi andare ai peggiori istinti.

 Da Open il 22 gennaio 2022.

Si chiama Simone Maria Ceresani, è il nipote dell’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita ed è uno dei testimoni ascoltati dalla magistratura nella vicenda dello stupro di Capodanno a Roma. C’era anche lui, che non è indagato, durante il festino in via del Podere Fiume a Primavalle in cui una ragazza minorenne, figlia di un diplomatico spagnolo, ha denunciato una violenza sessuale di gruppo. 

E che oggi vede cinque indagati e tre ragazzi sottoposti a misure cautelari. Ceresani è figlio di Cristiano e di Simona De Mita, figlia dell’ex premier. Il padre è stato capo di gabinetto del leghista Lorenzo Fontana. E alla guida dell’ufficio legislativo di Maria Elena Boschi. Fonti legali smentiscono in ogni caso ogni suo coinvolgimento nella vicenda.

Le indagini

Ceresani ha raccontato che qualcuno gli ha puntato una pistola contro durante la festa. La circostanza è stata smentita dall’interessato, che ha detto di non aver avuto armi con sé quella sera. Ma secondo le testimonianze di chi alla festa c’era Ceresani ha avuto anche un altro ruolo. Ovvero ha portato parte degli stupefacenti consumati durante la serata. Come si legge nelle carte dell’inchiesta di cui ha parlato l’edizione romana di Repubblica, ha ammesso di aver «fatto uso di cocaina». Ma solo dopo averla chiesta a uno degli altri ragazzi alla festa, che gliel’avrebbe offerta senza chiedergli un euro in cambio.

Tra le ragazze dei Parioli che hanno partecipato alla festa però c’è anche chi racconta tutt’altro: «Allora, mo’ vi dico la verità: la cocaina so che l’ha portata Simone. A lui ho dato 27 euro per la cocaina. Un grammo costa 80. Ce la siamo divisa in tre».

E c’è chi lo accusa anche di aver portato un pezzo di hascisc. «Gli avevo chiesto quanti anni avesse perché mi sembrava troppo grande per quella festa di ragazzini. Lui mi ha risposto 20 e io non c’ho creduto», ricostruisce con i magistrati il giovane accusato di aver “scarrellato” la pistola secondo Repubblica. «Vuoi vedere i documenti?», ha risposto Ceresani. «E io me so incazzato. Ma che mi stai a pija pe’ ‘na guardia, te stacco a testa? Gli ho detto così», è la ricostruzione del ragazzo. 

Due canne e rapporti a tre: «Lei era cosciente, nessuna violenza»

Altre testimonianze invece puntano l’attenzione sulla serata. Quella di Flavio Valerio Ralli, 19 anni, indagato insieme a Patrizio Ranieri (19) e Claudio Nardinocchi (21), nega le violenze. «La mia vita è rovinata, ho perso il mio lavoro di pizzicarolo. Lei non stava male, altrimenti l’avrei aiutata», ha detto a verbale. Ralli è indagato anche per avere indotto la sua fidanzata, minorenne come Bianca, ad avere un rapporto a tre. «Quella sera non mi sono drogato. Me so fatto du’ canne. E non ho drogato nessuno. Sono stato invitato a quel rapporto a tre». Lui sostiene di non aver visto nessuno stupro. Le carte dicono che Ralli ha commentato con Ranieri con apprezzamenti pesanti nei confronti della ragazza.

Una 14enne accusata di aver portato Rivotril alla festa è ancora più esplicita: «La violenza non c’è stata. Lei era cosciente e lo sappiamo tutti, lo sanno tutte le persone che quella sera erano alla festa». Nega tutto: «La droga – dice l’adolescente figlia di un avvocato – la cocaina, il Rivotril di cui si parla, non c’erano». La madre annuisce. Una sua amica ha raccontato ai carabinieri «la verità: la coca l’hanno portata» la figlia della soubrette e il suo ragazzo, «il Rivotril è stato portato da lei».

Da la Repubblica il 22 gennaio 2022.  

È la difesa a tutto campo di chi quella sera da incubo c'era e ha partecipato allo stupro, ha fatto uso di droghe, e coca, pasticche e marijuana le ha portate per metterle a disposizione di tutti. Ognuno di loro ha la risposta pronta. « Non ho visto niente » , oppure « Droga non ne ho portata» e ancora «Era consenziente». In sostanza, a sentire loro, Bianca, la sedicenne figlia di un diplomatico spagnolo, addirittura avrebbe quasi stuzzicato i giovani che poi di lei hanno fatto ciò che volevano per almeno tre ore.

E se si chiede il perché nessuno l'abbia soccorsa, rispondono: « Ma stava bene » . Peccato che nel sangue di quell'adolescente sono state trovate non solo tracce di alcol ma di Rivotril, cocaina e marijuana. Risposte inaccettabili davanti a una ragazza che dopo quella sera stenta a risollevarsi a distanza di un anno. E, ancora più inaccettabile, è che nessuno di loro si chieda come stia Bianca né tantomeno si scusi per quello che è accaduto. Capodanno Il gruppo nella villetta affittata al Quartaccio dove si è consumata la violenza sessuale.

Valerio Ralli

È nervoso, si sfrega le mani, cammina avanti e indietro dentro casa. « La mia vita è rovinata, ho perso il mio lavoro di pizzicarolo. Lei non stava male, altrimenti l'avrei aiutata » . È la versione di Flavio Valerio Ralli, 19 anni, indagato anche per avere indotto la sua fidanzata, minorenne come Bianca, ad avere un rapporto a tre. « Quella sera non mi sono drogato. Me so fatto du canne. E non ho drogato nessuno - dice - Sono stato invitato a quel rapporto a tre».

Non la pensa così il giudice che ha deciso l'obbligo di dimora e l'obbligo di firma. « Guardate quella foto tutti insieme sul letto. Erano le 3,34 e lei non stava male». Perché Bianca non è stata aiutata mentre la stupravano altri quattro? « Non ho visto nessuno violentarla », dice il ragazzo. Le carte dell'indagine dicono altro. Che Ralli conosceva Pietro Ranieri e che insieme hanno commentato con apprezzamenti pesanti sulla ragazzina, le loro perfomance. Bianca per le ferite ha avuto 30 giorni di prognosi e la sua vita stenta a ripartire dopo quella notte.

La figlia dell'avvocato

« La violenza non c'è stata - assicura la ragazza 14enne accusata di aver portato il Rivotril al party di Capodanno organizzato nella villetta del Quartaccio - Bianca era cosciente e lo sappiamo tutti, lo sanno tutte le persone che quella sera erano alla festa». Nega tutto, respinge ogni accusa e parla solo sotto dettatura della madre la ragazza del " gruppo Parioli" che avrebbe portato in via del Podere Fiume il farmaco antiepilettico da assumure insieme all'hashish e alla cocaina.

Per incassare la sua versione dei fatti è sufficiente citifonare al portone di un dignitoso palazzetto in zona Gregorio VII. Non si fa vedere, chiede consiglio alla madre e poi afferma con ostentata sicurezza: «La droga - scandisce l'adolescente figlia di un avvocato - la cocaina, il Rivotril di cui si parla, non c'erano » . La madre annuisce, occorre smarcarsi. Anche se una sua amica ha raccontato ai carabinieri «la verità: la coca l'hanno portata » la figlia della soubrette e il suo ragazzo, «il Rivotril è stato portato da lei». 

La minaccia

È il ragazzo con la pistola. Un ventenne che al festino di Capodanno avrebbe minacciato Simone Maria Ceresani, il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita, che era arrivato lì con la fidanzata. È stato Ceresani a riferirlo ai carabinieri che lo hanno sentito come persona informata dei fatti. « Ma quale pistola, ma che dice questo? Nipote di un premier? Ma chi lo sapeva. Di certo si è comportato da arrogante », dice il giovane che abita a Primavalle. 

« Gli avevo chiesto quanti anni avesse perché mi sembrava troppo grande per quella festa di ragazzini. Lui mi ha risposto 20 e io non c'ho creduto » , ricostruisce il giovane. «Vuoi vedere i documenti?», ha risposto Ceresani. « E io me so incazzato. Ma che mi stai a pija pe na guardia, te stacco a testa? Gli ho detto così?», è la ricostruzione del ragazzo. Sulla serata di violenze dice: « Ho visto una ragazza su un divano che stava male. Le ho chiesto "Ma cosa ti sei presa?". E quella mi ha mandato affanculo. Mi sono girato e me ne sono andato».

Il minorenne

« La storia della pistola è ' na cazzata. Qualcuno ha solo detto: " Ti sparo in faccia". Eravamo trenta persone, nessuno l'ha vista. Ci fosse stata, te devi esse fatto " de lenta" ( di eroina) per non vederla » . È ai domiciliari per spaccio uno dei partecipanti alla festa di Capodanno 2021 che all'epoca aveva ancora 17 anni. Nega lo strupro di gruppo della 16enne anestetizzata dalle droghe nel bagno della villetta al Quartaccio, non sà neppure di essere indagato.

«Sono arrivato alla festa, invitato da alcuni amici, alle 21.30 - ricorda - appena ho visto l'ambiente ho detto: "Ma che davero? » . Fiumi d'alcol, cocaina, Rivotril e sesso sfrenato. «Quella ragazza ( la vittima) mi ha rimorchiato subito - riprende - siamo andati in bagno da soli e abbiamo fatto sesso. Poi sono sceso in salotto, mi sono seduto sul divano. M' è pure presa a male perché manco me drogo. Alle 5 sono uscito, me ne sono tornato a casa a piedi». La sua morale? « Eravamo tutti ragazzi di strada, fosse successa una violenza ci saremmo ammazzati». 

QUELLA PISTOLA CONTRO IL NIPOTE DEL POLITICO. Lorenzo d'Albergo, Romina Marceca, Luca Monaco e Valentina Lupia per "la Repubblica - Edizione Roma" il 21 gennaio 2022.  

Sono solo 8 secondi. Il tempo di un sospiro. Ma, con il massimo del cinismo, hanno la forza di sintetizzare il dramma dello scorso Capodanno. Un incubo a cui hanno partecipato il nipote di un politico di primissimo piano e la figlia di una nota soubrette, ora impegnata in uno show televisivo. Le violenze della festa di Primavalle rivivono nelle carte dell'inchiesta. Trovano sfogo sui social. Vanno ancora oggi in onda su TikTok.

Il sunto della serata, caricato online il 2 gennaio 2021, è un montaggio in due parti. La prima immortala cinque delle ragazze che hanno partecipato alla festa di Primavalle. Sono del gruppo dei Parioli e, pronte per la serata, con le labbra seguono il testo della canzone che accompagna le immagini: «L'altra sera ho detto che ti amavo». Stacco ed è giorno: il party è finito e le protagoniste ora sono solo tre. Cantano ancora: «Mi sono alzata, ho dato la colpa alla vodka». 

Scritto da una delle reduci dalla nottata, il commento a corredo del filmato recita così: «Qualcuna l'abbiamo persa per strada». Come Bianca, il nome dietro cui celiamo l'identità della minorenne stuprata per tre ore da cinque ragazzi nella viletta in via del Podere Fiume. La doppia ripresa va in loop, a ciclo continuo, e si mescola ai nuovi dettagli che emergono dall'inchiesta.

L'inchiesta ruota attorno al racconto dello stupro, alle testimonianze dei protagonisti di un party che porta nella stessa villa universi apparentemente inconciliabili. Da una parte i ragazzi di Primavalle, gli echi di vecchie e nuove storie di criminalità, le strade del Quartaccio e della Torresina. Dall'altra i pariolini. In mezzo alcol, cocaina, canne, Xanax, Rivotril e tubetti di preparazione H. A fare da collante tra due capitali a prima vista distanti, comitive che anche solo per il lockdown non si sarebbero mai dovute incrociare, sono bottiglie, droghe e farmaci.

Già prima dello stupro l'atmosfera è tesa. L'invitato più in vista, nipote di un importante politico nazionale, trema: «Uno dei ragazzi - racconta ai carabinieri - mi ha chiesto quanti anni avessi. Io gli ho risposto 20». Parte un litigio sull'età, il nipote del politico insiste: «Se non ci credete, vi faccio vedere un documento». Arriva un secondo giovane del gruppo di Primavalle, tatuato sul collo. «Con la mano destra - racconta ai militari dell'Arma il ragazzo dei Parioli - ha estratto qualcosa dal fianco, non sono sicuro se si trattasse di una pistola e mi ha minacciato: " Ti scarrello in faccia"».

Nella serata ha un ruolo fondamentale la figlia di una soubrette. È la fidanzata del nipote dell'ex premier e, stando al racconto dei testimoni e alle intercettazioni, è partita dai Parioli con tutto il necessario per far festa. La «Pugile», come la chiamano, ha cocaina e «J». Joint, canne. Le compagne di TikTok lo dicono chiaramente: «La cocaina so che l'ha portata il suo ragazzo. A lui ho dato 27 euro. Un grammo costa 80». Spunta anche un pezzo di hashish. La fidanzata è a sua volta piuttosto pratica di droghe. I messaggi vocali su WhatsApp raccontano una lunga trattativa sulla cocaina. Ai Parioli cercano tutti l'aggancio per «pippare».

Bianca, la vittima dello stupro figlia di un diplomatico spagnolo, è a corto di soldi. La conversazione è a tre e la figlia della soubrette taglia: «Vabbè amo', a Bianca je faccio fa du botte dal mio. Però non posso pia un cazzo di più». Gira già troppa cocaina. E l'incubo non è nemmeno iniziato.

Il party, infatti, va ancora pianificato. A fare da ponte tra i Parioli e Primavalle è una ragazza del secondo gruppo. Quelli della «Torresina» dettano le condizioni. Potranno partecipare solo ragazze. Quindi la concessione: «Possono venire solo due ragazzi». Le sorti del Capodanno 2021 sono segnate: le ragazze dei Parioli racconteranno ai carabinieri delle attenzioni dei coetanei, degli approcci più che spinti: «Tutti i ragazzi della casa ci hanno provato con le ragazze della casa, credo che la festa avesse proprio quello scopo». 

Il culmine è lo stupro. I dettagli sono crudi. Sangue, lividi, gli abusi tra le battute, gli insulti e le risate dei violentatori. Bianca è sola. Letteralmente. Parte del suo gruppo decide di lasciare il villino a metà serata.

Le ore successive sono quelle del silenzio e del dolore. Ma pure quelle della forza ritrovata. Bianca rivede le foto con i carabinieri e denuncia. Scattano le indagini per Patrizio Ranieri, Claudio Nardinocchi e Flavio Valerio Ralli del gruppo di Primavalle. Gli altri ragazzi, convocati al comando, la prendono malissimo. Intercettati, insultano ancora la vittima: «Giuro che io vado in Spagna... la pio e gli sparo in faccia. La fo' a pezzi». 

Ma c'è anche chi prepara già la difesa, continuando a perseguitare Bianca. Le chiamate convergono su Ranieri. Uno dei ragazzi della comitiva rassicura la madre: «Patrizio ha un video». Un filmato in cui la vittima ammetterebbe di aver avuto un rapporto consenziente girato due giorni dopo la festa di Capodanno. Ma la procura tira dritto: quella notte resta l'incubo raccontato in 73 pagine da brividi. 

Romina Marceca per "la Repubblica - Edizione Roma" il 25 gennaio 2022.

«Non trovo il Rivotril in farmacia» , scriveva una quattordicenne sulla chat "Aimone", un nome che vuol dire casa per la sua radice tedesca. E in quella " casa" le ragazzine dei Parioli si affaticavano per cercare le pasticche da portare al festino di Capodanno 2021 di Primavalle. Quella chiacchierata virtuale del 30 dicembre 2020 è agli atti delle indagini dei carabinieri sul fronte della droga. Come mai una ragazzina parla di farmacie per recuperare il Rivotril? E come mai la stessa minorenne riesce a portare al veglione dell'orrore anche lo Xanax? Per entrambe le medicine è necessario presentare una ricetta medica. E, da mesi, i carabinieri sono a caccia di quelle ricette.

La ragazzina le ha sottratte a un medico, magari un parente, o le ha ottenute da un medico compiacente? O peggio, aveva un complice in una farmacia? Interrogativi ai quali, dopo 13 mesi di indagini, non è stata data una risposta. La ragazzina dal canto suo ha sempre sostenuto: «Le ho portate da casa, senza dire altro». Ma adesso l'ordinanza che ha disposto l'arresto per due dei cinque stupratori di Bianca, il nome di fantasia della vittima sedicenne del San Silvestro da incubo, è anche in mano agli avvocati che sostengono la famiglia dell'adolescente figlia di un diplomatico spagnolo.

E questo non è un particolare da poco. Perché Bianca quando è stata violentata aveva assunto non solo cocaina ma anche Rivotril. E, forse, fumato anche spinelli imbevuti nell'hashish. «Le nostre indagini difensive punteranno anche su come quelle pasticche siano arrivate nelle mani delle amiche di Bianca - dice Bo Guerreschi di " Bon't worry", la onlus che sostiene le donne vittime di violenza - perché siamo convinti che Bianca sia stata drogata».

È sempre il 30 dicembre 2020, a meno di 24 ore dal veglione clandestino in piene ristrettezze per la pandemia. Un'altra minorenne scrive: «Vai in un'altra farmacia» e l'amica risponde che «a Conca (verosimilmente il nome di una farmacia o di un quartiere, ndr) non c'è nulla». Le minorenni, tra i 14 e i 17 anni, erano inserite anche in una seconda chat, " Festino il 5 o il 6". Un'altra serata a base di droghe si stava per profilare all'orizzonte. Ma poi quel progetto è sfumato all'indomani della denuncia di Bianca.

A poche ore dalla festa a Primavalle, sempre in chat, la quattordicenne annuncia che « le pasticche di Xanax e Rivotril ve le regalo, tanto è Capodanno sti cazzi, basta che m' accollate tipo qualcosa per stuccà ( fumare, ndr), perché sto a pijà mezzo (mezzo chilo di hashish, ndr) a 365 e non posso cioè tipo regalallo tutto, quindi niente, questo». 

Romina Marceca per “la Repubblica” il 26 gennaio 2022.

In una villetta fuori dal raccordo, alla periferia di Roma Nord, c'è una nonna che piange. «Le hanno rovinato la vita, ci hanno rovinato la vita » , ripete. E snocciola le conseguenze di quel « male » che è entrato dentro casa sua. L'anziana, chiusa in uno scialle beige di lana grossa, è la nonna di una delle ragazzine che erano al Capodanno degli stupri, dell'alcol e della droga in una villa di Primavalle. Sua nipote adesso ha 17 anni, combatte contro l'anoressia e la depressione.

«Quella sera di un anno fa ha stravolto tutto. Solo dopo abbiamo saputo che mia nipote era già stata bullizzata da alcune ragazze dei Parioli. Noi non siamo dei Parioli - continua ma siamo brava gente e mia nipote non meritava questo inferno». Vittoria, la chiameremo così l'adolescente, i suoi pomeriggi li trascorre in un centro dove ha intrapreso un percorso di riabilitazione. « Quelle ragazzine che hanno corpi come chiodi - la nonna alza il mignolo per dare un'idea della magrezza - prendevano in giro mia nipote. Le dicevano che era una balena. Ma non è vero. Era più in carne di loro ma non era grossa. Stava tanto bene».

Piange. Vittoria era attratta da quel mondo fatto di video su TikTok ad ogni passo, acconciature col liscio perfetto e dalle serate piene di alcol e qualche droga. Le parioline le aveva conosciute nei sabato dei giovanissimi a Ponte Milvio. «Aveva iniziato a non mangiare più e tornava a casa piena di lividi. Poi - continua la nonna - abbiamo capito che quei lividi su braccia e gambe li aveva perché quelle là la prendevano a calci. Che cattiveria». 

Vittoria non ha mai raccontato la verità fino al giorno in cui i carabinieri hanno bussato alla porta di casa dopo la denuncia di Bianca per lo stupro di Capodanno. In casa Vittoria dava delle giustificazioni poco credibili per quelle contusioni: « Sono caduta dalle scale, mi sono fatta male». Nelle carte dell'inchiesta il nome di Vittoria compare tra quelli dei minorenni che hanno fatto uso di cocaina e Rivotril. Anche lei ha sniffato e si vede in un video. Ma, a differenza delle amiche con le quali era arrivata alla festa, ha cercato di aiutare Bianca. Ai carabinieri della compagnia Cassia ha raccontato: «Sono salita al piano superiore della casa per cercare Bianca e l'ho trovata all'interno del bagno. Era particolarmente affaticata e provata » . Aveva già visto il viavai da quel bagno, non trovava l'amica. E aveva deciso di mettere un freno a quelle violenze con le deboli armi di una sedicenne.

«C'erano alcuni ragazzi nella camera prima del bagno - ha ricostruito - e avevano tentato di accedere all'interno. Ma sono riuscita a chiudere la porta in faccia a quei ragazzi senza farli entrare». Poi. però, non ha lanciato l'allarme alle forze dell'ordine. Racconta la nonna: « Ha chiamato un taxi, è fuggita da quella festa. Abbiamo saputo tutto dopo la denuncia. Lei era scioccata e lo è ancora». Tra le amiche di Vittoria, che frequenta un liceo linguistico, c'era anche la figlia di una soubrette ancora in voga. Era la fidanzata di Simone Maria Ceresani, il nipote dell'ex premier Ciriaco De Mita, quella notte di San Silvestro.

Aveva portato la cocaina. « Due g » , cioè due grammi, erano anche per Vittoria. Davanti ai carabinieri quell'amica conquistata sui muretti di Ponte Milvio tradirà Vittoria. Dirà agli inquirenti che il Rivotril lo aveva portato lei. È stata l'unica a dichiararlo, per coprire una pariolina come lei che le pasticche invece le aveva cercate per mezza Roma e poi le aveva offerte al party. E quel tradimento la dice lunga su quanto siano distanti quei due mondi che si sono incontrati a Ponte Milvio. l La droga alla festa Le fotografie delle dosi di cocaina scattate dai ragazzi durante la festa di Capodanno al Quartaccio.

 Romina Marceca per "la Repubblica - Edizione Roma" il 27 gennaio 2022.

Torna in libertà uno dei cinque giovani accusati di avere stuprato Bianca, la sedicenne spagnola figlia di un diplomatico, la notte di Capodanno del 2021. A deciderlo è stato il tribunale del Riesame al quale si è rivolto Claudio Nardinocchi, muratore di 21 anni, e che ha annullato l'ordinanza che aveva disposto gli arresti domiciliari con braccialetto. «Mi dà una sensazione di schifo, di ripulso. questa sensazione mi viene dal rosso del maglione, dalle scarpe, dai calzini». 

Questo diceva Bianca, stuprata nella notte di San Silvestro. E quelle parole Bianca, come abbiamo chiamato la vittima, le ha riferite ai carabinieri il 3 febbraio 2021, dopo avere individuato nelle foto i suoi stupratori. E, poi, aveva aggiunto: «Ho una sensazione di ansia guardando quella foto. Lui più di tutti. Era aggressivo nel modo di parlare, mi prendeva in giro e rideva. 

Non ricordo bene cosa diceva, era cattivo, a ripensarci mi fa schifo. Mi sento sporca, mi fa sentire così soprattutto quello con le scarpe rosse e bianche». Claudio Nardinocchi, invece, giovedì scorso aveva dichiarato, durante l'interrogatorio di garanzia: «Sono innocente. Quella ragazza ha preso un abbaglio. Con lei avevo avuto uno screzio al mattino perché non le piacevano le mie scarpe rosse».

Ai carabinieri Claudio Nardinocchi aveva invece riferito durante i primi interrogatori che con la giovane non aveva avuto alcun rapporto, che non c'era stata alcuna violenza. Una testimone ricorda quel ragazzo davanti la porta del bagno dove la giovane è stata stuprata: «Proprio il ragazzo riccio ci ha tipo fisicamente preso, ma non con violenza ovviamente, per farci scendere». Durante le intercettazioni il suo atteggiamento è stato sempre evasivo riguardo allo stupro e in una conversazione con un altro indagato aveva detto: «Ho cancellato le foto e il tuo numero».

E, poi, durante un'altra conversazione aveva anche attaccato la famiglia della vittima, pochi giorni dopo la denuncia della giovane. «Cioè tu manni tu fija a sedici anni co' lockdown oltretulto che n'abiti manco qua a na festa, e poi el giorno dopo te sveji e denunci? Ma che sei infame? Cioè così sei popo un vile, un verme, un miserabile». Claudio Nardinocchi era stato definito dalla giudice Tamara De Amicis, al pari di Pietro Ranieri, «consapevoli dello stato di inferiorità psichica in cui versava la vittima » . E per Nardinocchi aveva aggiunto che « ha dato ampia prova della considerazione che nutre nei confronti delle ragazze» . 

Una delle invitate era stata definita da lui «Nardinocchi era stato arrestato lo scorso 13 gennaio. Ai domiciliari c'è anche un altro maggiorenne, Patrizio Ranieri, 19 anni, promessa del calcio di Eccellenza locale. Gli altri tre sono indagati. Adesso Nardinocchi, difeso dall'avvocata Cristina Marinacci, ritorna in libertà, in attesa dell'eventuale rinvio a giudizio. Le motivazioni della decisione del tribunale saranno depositate tra 45 giorni.

Romina Marceca per “la Repubblica - ed. Roma” il 27 gennaio 2022.

Al Tufello tira aria di ribellione contro le dichiarazioni di Antonia De Mita, la figlia dell'ex premier Ciriaco. «Parole classiste e offensive per tutti coloro che sono nati, abitano e vivono il Tufello » , scrive in una lettera a Repubblica la dirigente del liceo Aristofane, Raffaella Giustizieri. Per salvaguardare il nipote Simone Maria Ceresani, che si trovava al party di Capodanno 2021 a Primavalle, la De Mita aveva dichiarato che «non è cresciuto al Tufello». 

A difendere l'orgoglio del Tufello, il quartiere dove è nato Gigi Proietti, arriva adesso anche il mondo della scuola dopo la replica del presidente del III Municipio, Paolo Marchionne. « Quanti di voi, cresciuti al Tufello, hanno mai partecipato a una festa da cui scaturiscono indagini per violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravata? » , aveva detto qualche giorno fa il minisindaco.

Adesso la dirigente, che scrive a nome di tutto il liceo, spiega: «Il Tufello è un quartiere che ha tanto da raccontare: ha tratto dalle sue origini popolari la spinta per crescere e superarsi trasformandosi in laboratorio di innovazione sociale sempre in fermento. Degne di nota sono le attività messe in campo dalle biblioteche di quartiere, dalla parrocchia, dalle associazioni e dai centri sociali del territorio oltre che dal nostro Liceo che invito a visitare per la sua bellezza di luoghi e student* ».

E conclude, citando la canzone di Fabrizio De Andrè " Via del Campo": «Il nostro Liceo, tra i migliori della città, è frequentato da ragazzi e ragazze del quartiere (e non solo) e mentre la cronaca ci dimostra che " dai diamanti non nasce niente", da noi con fierezza "nascono i fior"».

Ro.Ma. per "la Repubblica - Edizione Roma" il 27 gennaio 2022.

La festa di Capodanno 2021 a Primavalle era imperdibile per il gruppo "Parioli": 14 ragazze e ragazzi dai 14 ai 20 anni. Tanto che una di loro, una diciassettenne che abita vicino al Colosseo, aveva detto una bugia alla madre. E che adesso racconta a Repubblica: «Sono stata presa in giro. Le avevo dato il permesso di andare a casa di un'amica quella sera. Dovevano essere in quattro. Avrebbero dormito insieme visto che c'era il coprifuoco. Di questa festa a Primavalle non sapevo nulla».

Quando ha saputo di quel festino?

«Il giorno in cui siamo state convocate dai carabinieri, nel gennaio 2021. Le ho chiesto perché eravamo lì e lei mi ha detto che forse c'era stato uno stupro a una festa ma secondo lei non era vero. L'ho messa in punizione. Le ho tolto il cellulare e le ho vietato di uscire per un mese». 

Nell'ordinanza la giudice indaga il fidanzato anche di violenza sessuale su sua figlia.

«Non ho parole, lo sto sentendo adesso. Mi aveva detto che non le era successo nulla. Che lui si era messo nei casini ma niente di più».

Sua figlia non ha denunciato il fidanzato?

«Ripeto sono all'oscuro di questa vicenda. Non c'è alcuna denuncia presentata da noi. Mia figlia mi ha fatto una ricostruzione alla leggera, altrimenti l'avrei fatta visitare». 

Sa se sua figlia ha assunto droghe?

«No, so che non fuma le canne. Non l'ho mai vista sballata o stravolta. Delle sue amiche conosco solo una ragazzina dei Parioli con la quale proprio dopo quel Capodanno ha litigato. A me non piaceva». 

Sua figlia dove ha conosciuto le ragazze dei Parioli?

«A Ponte Milvio e poi trascorreva con loro alcune serate anche a Campo de' Fiori. Era lì che andavo a riprenderla. La ragazzina stuprata è stata anche a casa mia».

Due testimoni dicono che sua figlia ha assunto Rivotril.

«Non ho idea di cosa sia. Mia figlia mi ha detto che aveva solo bevuto e poi si era addormentata. Io sono contro le droghe. Non fumo e nemmeno le mie figlie. È stata un'incosciente se l'ha fatto, ha problemi ai reni». 

Sa che sua figlia si è sentita male a quella festa?

«No. Lei mi ha detto che si è addormentata e che si è risvegliata il mattino dopo. Non mi ha parlato di alcun malore. Adesso sono preoccupata. Chiederò a lei appena torna a casa».

Scusi, ma lei in un anno non ha indagato per capire meglio?

«Non avevo idea di tutti questi particolari. Mia figlia me l'ha fatta leggera, non mi ha detto nemmeno come sono arrivate lì. Mi parla pochissimo». 

Perché?

«È un po' ribelle. In quel periodo è andata via di casa. È andata a vivere da un'amica dei Parioli. Per 20 giorni mi ha fatta impazzire, poi sono andata a riprenderla. Adesso ha ripreso gli studi e sta con un bravo ragazzo».

IL VERBALE: "LA DROGA L'HA PORTATA LA FIGLIA DELLA SOUBRETTE". Da "la Repubblica - Edizione Roma" il 21 gennaio 2022.

Scarpe McQueen «sporche di sangue. Le note sincopate della musica rap animano le storie su social. Unghie rifatte e strisce di «coca». Ieri sera «t' ho detto che t' amavo - fa la canzone - mi sono svegliata dando la colpa alla vodka». 

Sono passati appena tre giorni dal Capodanno dell'orrore, è calato l'effetto del mix di droghe, non il cinismo dell'amica della vittima: c'è anche lei nella foto, la 16enne abusata a turno nella stanza da letto al secondo piano della villetta in via del Podere Fiume, una lingua d'asfalto stesa nel nulla al Quartaccio, appena sopra la borgata di Primavalle. 

Dentro quella casa, presa in affitto dall'ex compagno della madre di uno di loro per scontare i domiciliari, c'è la Roma di oggi, con tutte le sue contraddizioni: 30 ragazzi e una montagna di «fumo» , «coca», alcol, Rivotril, Xanax. Sesso di gruppo e storie su Instragram. C'è la figlia della subrette della tv che porta la «coca» e il nipote del politico di primo piano, che però non è indagato. Cattolicissima la famiglia, lui un po' meno.

Poi ci sono i "figli" di Primavalle, cresciuti nei lotti di via Andersen, il boccone di città a Nord del centro controllato dal clan Gambacurta dove le nonne dello spaccio cucinano la cocaina mentre badano ai nipoti. I protagonisti di questa storia non sono criminali, ma quasi tutti minorenni. Sognano il successo facile tramite i social, ed è proprio su Instagram che nasce la festa dello stupro. 

A organizzarla, con un sondaggio, è una 17enne di Selva Candida iscritta a un istituto tecnico di ponte Milvio e che dagli investigatori è individuata come parte del "gruppo Parioli". Sfreccia con la microcar, come i rampolli d'alta borghesia. Che conosce e che coinvolge nella festa. In prima fila c'è proprio la figlia della subrette. Il primo a rispondere al sondaggio è Patrizio Ranieri, il 19enne calciatorino della Lodigiani, che crea subito la chat di WhatsApp. «Allora regà, mo' ve dico la verità - scrive il nipote del politico - so ché la coca l'ha portata Mario, il fidanzato...» della 17enne figlia della subrette, «mentre il Rivotril l'ha portato Marta».

Marta, ha soli 14 anni, è la più piccola della festa. La sera di San Silvestro le comitive si danno appuntamento davanti al discount in via Andersen. Andrà li pure la vittima, ospite a Roma di un'amica dei Parioli. La regola d'ingaggio che «i due gruppi» s' erano dati è una sola: dentro quella casa dovranno esserci più ragazzi che ragazze. «Le ragazze del gruppo Parioli facevano fatica» a rispettare l'accordo, annotano ancora gli investigatori. Brigano e si confrontano spesso, nei giorni precedenti per rifornirsi di droga. 

La figlia della subrette s'arrampica sulla Cassia per comprare due «g» : due grammi. Prima, si confronta con l'amica, sarebbe dovuta andare a casa a prendere «400 euro» e poter così «risorve» , da Enzo a Lepanto o a Tor Bella. Che nel vocabolario delle tribù metropolitane di oggi significa appunto acquistare la droga. È il glossario della generazione Fortnite: giovanissimi che oscillano tra i social e la realtà e che interpretano la vita come una guerra. A Capodanno del 2021 sono passati al quadro successivo, con il benestare dei genitori che hanno messo a disposizione la villa dello stupro. Alla fine i protagonisti commentano: «scarpe McQueen sporche di sangue».

Massimo Ammaniti per "la Repubblica" il 24 gennaio 2022.

Il padre di uno dei ragazzi che ha partecipato al feroce festino di Capodanno nella villetta di Primavalle, venuto a conoscenza delle gesta non proprio onorevoli del figlio in quella nottata, ha esclamato come viene riportato dai giornali: «Sono basito!» Anche noi nel leggere le vicende di quella notte siamo rimasti basiti: 28 ragazzi e ragazze maggiorenni e minorenni, questa volta tutti italiani, non si sono privati di nulla, hashish, cocaina, alcol e psicofarmaci come Rivotril e Xanax. 

Non è stato un pusher a portare questo cocktail micidiale con effetti simili alla droga dello stupro, sono stati i ragazzi dei Parioli, quartiere romano della borghesia benestante, a rifornire i partecipanti della festa, fra cui vi erano anche giovani di Primavalle e di Torrevecchia, quartieri di periferia abitati da un ceto sociale diverso, che fungevano da padroni di casa.

In genere gli adolescenti sono piuttosto selettivi nella scelta degli amici, ma in questo caso la droga e il sesso sono stati il collante che ha fatto incontrare giovani di estrazioni sociali così diverse. Questo festino avveniva nella notte del Capodanno 2021, durante una nuova ondata della pandemia, quando erano state reintrodotte misure restrittive che vietavano gli assembramenti al chiuso. Ci possiamo chiedere se i genitori fossero a conoscenza che i figli anche minorenni si sarebbero recati ad un festa pericolosa per il contagio, ma anche per l'uso di droghe. 

È vero che il mondo degli adolescenti e dei giovani è spesso sconosciuto agli occhi dei genitori, come ha scritto nel suo libro "Mio figlio" la scrittrice Sue Klebold, madre di Dylan, uno degli autori del massacro della scuola Columbine negli Stati Uniti. Nella festa di Primavalle non ci sono stati morti, quantunque dalle testimonianze raccolte dai carabinieri sarebbe emerso che uno dei ragazzi avesse impugnato la pistola per minacciare uno dei partecipanti alla festa, al momento di distribuire la droga. Ben presto il festino ha mostrato le intenzioni di chi l'aveva organizzato, droghe a volontà e sballo col venir meno di ogni inibizione soprattutto verso le ragazze parioline costrette a subire abusi di gruppo.

Fra queste Bianca, dal suo soprannome, una ragazza spagnola di quasi 16 anni ospite di una delle ragazze dei Parioli, costretta a subire per tre ore le violenze fisiche e sessuali dei ragazzi di Primavalle, uno dei quali si è presentato davanti a tutti mostrando come trofeo il sangue della ragazza sulla sua maglietta. La stessa ragazza portata poi in ospedale per le lesioni che presentava ha avuto una prognosi di trenta giorni. Da quanto si legge nelle cronache dei giornali la madre della ragazza avrebbe spinto la figlia nei giorni successivi a sporgere denuncia per le violenze subite.

Colpisce che già in passato fosse stata vittima di un'altra violenza sessuale ad Anzio, dove era stata caricata in macchina da alcuni giovani che poi avevano abusato di lei. In quel caso non era stata sporta denuncia, probabilmente per evitare di finire sui giornali e subire la derisione e il rifiuto dei coetanei, come poi è successo da parte delle ragazze della festa. Basta vedere il breve video comparso su Tik Tok in cui due ragazze ammettono di «aver perso qualcuna per strada». Ben più brutali i ragazzi, che dopo aver abusato di lei, l'hanno insultata in modo volgare. 

La povera Bianca è finita in questo gorgo violento senza che nessuno dei ragazzi e delle ragazze della sua comitiva alzasse un dito per difenderla dalle violenze dei borgatari. Quantunque di classi sociali e frequentazioni molto diverse, i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato e assistito all'orrore del festino sono accomunati dalla stessa indifferenza e dall'omertà ed impunità, come risulta nell'intercettazione di uno dei ragazzi di Primavalle che si scaglia contro "l'infame" che aveva fatto denuncia. «A regà... ce semo andati a divertì » è stata la parola d'ordine, moralità zero, nessun pentimento e riconoscimento delle proprie responsabilità e soprattutto nessuna empatia per le ragazze vittime degli abusi, quasi una pratica accettabile.

A volte la disgregazione e la marginalità sociale possono provocare queste amoralità, ma in questo caso è successo anche ai figli della borghesia che frequentano costose scuole private. Questo fallimento educativo ci riporta alla mancanza di una guida educativa di queste famiglie borghesi che regalano ai figli macchinine, cellulari costosi, vacanze a Cortina, scuole private, spesso abbandonandoli a loro stessi. Come hanno confermato molte ricerche psicologiche i genitori, oltre a sostenere l'autonomia dei figli, dovrebbero svolgere un'azione di monitoring seguendo ciò che i figli fanno e chi frequentano, sapendo mettere dei limiti nonostante possano verificarsi dei conflitti. È sicuramente un compito impegnativo, ma è l'unica strada per aiutare i figli ad affrontare i possibili rischi che possono comprometterne la direzione personale.

Alessia Marani e Camilla Mozzetti per "Il Messaggero" il 26 gennaio 2022.

Senza freni inibitori, smaniosi nella ricerca di nuove occasioni perché la notte del 31 dicembre 2020, a base di droga e sesso, non resti l'unica. Il gruppo dei bravi giovani che a turno ha abusato di una sedicenne, nella villetta dell'orrore a Primavalle, era già pronto a procacciare altre ragazze. 

Il sei gennaio, a cinque giorni dalla mattanza di Capodanno, uno dei ragazzetti che ha abusato della minorenne scrive a Patrizio Ranieri, il primo con cui la giovane ebbe dei rapporti forzati quella notte. Gli chiede di trovare altre ragazze per divertirsi e il Ranieri non dice di no ma avverte di «Non essere un sito web finalizzato ad organizzare gli incontri», come appunta il gip Tamara De Amicis nell'ordinanza di custodia cautelare.

Ma l'altro amico non si dà per vinto e insiste, chiede di trovare delle giovani per lui ed altri, di avere una macchina a disposizione e che, naturalmente il Ranieri, sarebbe stato invitato a partecipare all'ennesimo festino. 

IL PRIMO ARRESTO Nulla di quanto accaduto a Primavalle sembra sconvolgerli e anche nei mesi a venire, le loro azioni restano scandite dalla droga e da una vita brava, come accerteranno i carabinieri, che poco avrebbe a che vedere con quella propria dei minori. Uno dei ragazzi, che la notte di Capodanno non aveva ancora compiuto 18 anni, viene fermato qualche mese più tardi - è il 27 luglio 2021 - dalle Volanti ed arrestato per traffico illecito di sostanze stupefacenti.

Lo chiameremo Giacomo che la sera di quel luglio alle 22 si trova a Casal Bruciato, in via Sebastiano Satta. Il ragazzo è a bordo di una Smart e non appena vede la polizia, accelera destando l'attenzione degli agenti che si mettono a seguirlo. Durante questa fase Giacomo getta dal finestrino un oggetto tubolare, simile a un contenitore di patatine, ma viene fermato e il tubo recuperato dagli agenti. Durante l'ispezione del contenitore viene trovato un doppio fondo e all'interno due bustine di cellophane con altre bustine contenenti dosi di droga.

Pertanto il ragazzo viene fermato, processato per direttissima e sottoposto all'obbligo di firma e al divieto di uscire di casa dalle 21 alle 8 tutti i giorni. Disposizioni che non vengono in alcun modo rispettate tant' è che durante un controllo dei militari dell'Arma il ragazzo non si fa trovare a casa, la madre non sa dove sia. Viene rintracciato ed arrestato il 27 settembre del 2021 e portato a Regina Coeli. Il primo ottobre la settima sezione penale del tribunale di Roma dispone la sostituzione del carcere con quella degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico.

IL CARICO DI DROGA Poi c'è l'altro, Ranieri, che vanta pure lui un percorso di primo piano. Il ragazzo dopo la notte di Capodanno prova a contattare la minore e la incontra anche insieme alla sua migliore amica a piazza Euclide. Lei di quanto accaduto ricorda poco o nulla. Ha la percezione che qualcosa di orribile le sia successo ed è convinta che in mezzo ci sia anche questo ragazzo. Lui prova a farle credere il contrario, dicendole che nulla era accaduto senza la sua volontà e che, a Capodanno, era consenziente. Ma la ragazzina come accerteranno anche i sanitario dell'ospedale San Pietro è stata violentata e Ranieri insieme ad altri due ragazzi finisce indagato a fronte della denuncia sporta dalla minorenne.

Sul caso partono le indagini dei carabinieri ma il ragazzo non se ne preoccupa. A tal punto che, un anno più tardi, il 16 dicembre 2021 Ranieri viene fermato alla barriera autostradale di Civitavecchia per un normale controllo e trovato però in possesso di hashish e cocaina. Nella sua auto - una Toyota IQ - le forze dell'ordine trovano 12 panetti di hashish per più di un chilo oltre a 55 grammi di cocaina e 960 euro in contanti in banconote di diverso taglio, nascosti nel vano porta oggetti.

Ancora, il ragazzo viene perquisito e la droga ce l'ha anche addosso: sempre hashish per 0,80 grammi nascosta nel calzino. Gli stupefacenti e il denaro rinvenuti non lasciano margini, Ranieri spaccia la sua casa viene perquisita ma non si trova altra droga. Tuttavia basta quella scoperta nell'auto per contestargli l'accusa di spaccio e la misura degli arresti domiciliari. «Me so scopato una vergine» diceva Ranieri la notte di Capodanno. Da lì niente è bastato a invertire la rotta.

Vittorio Feltri per "Libero quotidiano" il 24 gennaio 2022.  

Non c'è giorno che non si dica peste e corna dei giovani di oggi, ai quali si rimprovera di essere violenti, stupratori e chi più ne ha più ne metta. In effetti, le cronache grondano di imprese delinquenziali realizzate addirittura da imberbi, che suscitano allarme e generale riprovazione. Siamo d'accordo con chi grida allo scandalo. Contenere il moltiplicarsi di episodi disdicevoli attribuibili ai ragazzi è una urgenza, ma aggiungo che il problema dei furori giovanili non è una novità dei nostri tempi, bensì qualcosa di antico come il mondo.

Gli adolescenti sono sempre stati particolarmente irrequieti e ne hanno combinate di tutti i colori. Senza risalire a epoche lontane, rammento quello che accadeva nel secolo scorso, negli anni Cinquanta, quando io ero un adolescente. Allora spopolavano i teppisti (da "teppa", ossia "periferia") che nelle grandi e piccole città si segnalavano perché solevano aggredire i passanti, li derubavano, li picchiavano. A lungo andare ci fu una sorta di normalizzazione e il termine "teppisti" è uscito dalle abitudini lessicali degli italiani. Tuttavia, gli agguati e i reati proseguirono esattamente come prima. Cambiano le parole, però i fatti non mutano mai. 

Semmai peggiorano. Sul finire degli anni Sessanta gli studenti furono protagonisti di una stagione di pestaggi impressionanti di matrice politica. Il Paese era preda di estremisti politici che menavano come martelli, spaccavano teste come fossero mele, erano intenti a perseguire una rivoluzione proletaria. Non paghi, i liceali e gli universitari che si erano impegnati ad occupare atenei alzarono la mira prendendo a uccidere con armi da fuoco quelli che consideravano nemici del popolo. Nacquero le cosiddette "Brigate Rosse", "Lotta continua" e vari altri gruppi di assassini.

Le loro vittime furono centinaia, il terrorismo ideologico si impadronì della penisola. Per tre lustri l'Italia fu campo di battaglia di comunisti e generi affini, ogni dì un corteo, decine e decine di cittadini sospettati di essere borghesi venivano sprangati con chiavi inglesi. I morti ammazzati furono copiosi. Eppure, adesso, di tutto questo ci siamo dimenticati, acqua passata non macina più. Come ci siamo scordati degli esordi del fascismo che si affermò all'inizio del Novecento malmenando selvaggiamente gli avversari.

Ovviamente quelli che ricorrevano alle mani e alle bottiglie di olio di ricino erano giovanotti, non certo persone anziane desiderose di incassare una pensione. Le leve odierne che vengono accusate di commettere misfatti specialmente notturni, di organizzare risse in piazza e di molestare fanciulle in fiore non meritano senza dubbio di essere elogiate, ma non ci vuole molto per capire che non sono peggiori dei loro antenati. Anzi. Purtroppo l'umanità non evolve mai, è sempre pronta a delinquere e a segnalarsi per azioni brutali e spietate. 

Noi non intendiamo assolvere coloro che attualmente in verde età vanno in giro a turbare la quiete pubblica, semplicemente ci permettiamo di fare presente che non eravamo più saggi di loro. Le ultime generazioni forse fanno un po' meno schifo delle vecchie.

Alessia Marani e Camilla Mozzetti per "il Messaggero" il 28 gennaio 2022.

Non è stata l'amica del cuore, né la famiglia di questa; non sono state le altre amiche dei Parioli che, anzi, si sono allontanate da lei. L'unico ad aiutare la sedicenne stuprata dal branco alla festa di Capodanno è stato Alberto (è un nome di fantasia), un suo amico di infanzia, all'epoca 17enne, cresciuto da una ragazza madre. Un adolescente diverso dal branco, lontano mille anni luce da quegli atteggiamenti spavaldi, da gang senza regole e senza rispetto.

Anche Alberto era alla festa nella villetta di Primavalle la notte del 31 dicembre 2020, ma è andato via prima perché non si era sentito bene. «Mio figlio aveva lasciato la sedicenne con un'altra amica, ma questa se ne andò e la lasciò sola. Altrimenti lui non l'avrebbe mai abbandonata». A parlare è una operatrice sociosanitaria di 34 anni, la mamma di Alberto, una donna che lavora sulle ambulanze del 118 ed è abituata a capire quando qualcuno sta male e va soccorso. È stata lei il 2 gennaio del 2021 ad accompagnare la sedicenne, ancora con i lividi e sotto choc, dai carabinieri della Cassia per sporgere la denuncia. «Perché quello che le era accaduto non era per niente una cosa normale. E sono contenta di avere fatto quello che doveva essere fatto: il giusto», dice a un anno di distanza.

IL RICORDO Lei e suo figlio non abitano più a Roma, si sono trasferiti fuori città. Alberto non frequenta più l'ex fidanzatina, un'amica in comune con la sedicenne, e il suo giro. Da allora, né lui né la mamma, della ragazzina tornata a casa sua all'estero, hanno avuto più notizie e di fronte all'indifferenza di chi ha minimizzato e di chi ha preferito lavarsi le mani perché meglio evitare di chiamare i carabinieri come suggeriva un papà, la donna non ha esitazioni: «Quello che pensano gli altri non lo so e non mi interessa. Non mi sono nemmeno creata il problema».

LA CONOSCENZA Alberto e la sedicenne si conoscevano da tempo. Per le vacanze di Natale la ragazzina era tornata a Roma. «In quei giorni dormiva a casa mia, faceva un po' da noi e un po' dalla fidanzata di mio figlio racconta la mamma - Mio figlio si è accorto che c'era qualcosa che non andava, la vedeva scossa, e fortunatamente è stato bravo a trasmetterle fiducia e a fare in modo che si confidasse con me. Forse ha contribuito anche il fatto che essendo io molto giovane, ci passiamo davvero pochi anni, non mi ha considerato come una mamma bacchettona.

Diciamo che se è stato tolto il velo dell'indifferenza su quanto è accaduto quella notte è stato grazie a mio figlio che l'ha fatta parlare con me». La mamma di Alberto ripete che «lui non l'avrebbe mai lasciata sola». Ne è sicura, «perché è un ragazzo cresciuto solo con la madre e ha un'attenzione indescrivibile per il genere femminile. È proprio questa sua sensibilità che l'ha portato a capire e a fare il possibile per aiutarla».

LA SPINTA A PARLARE Nelle ore successive al veglione, Alberto si informa presso le altre amiche, chiede e cerca di comprendere cosa sia veramente accaduto alla sedicenne. Non si ferma di fronte alle risposte evasive e non commenta in maniera superficiale quando si rende conto che i racconti parlano di più rapporti avuti, o meglio subiti, dalla sua amica. Non crede nemmeno alle parole capziose di Patrizio Ranieri, uno degli indagati per le violenze, che contatta la sedicenne per informarsi delle sue condizioni e convincerla, a fronte dei suoi frammenti di ricordi iniziali, che è stata consenziente. Alberto scoprirà, infatti, che Ranieri continuerà a deriderla e a insultarla alle sue spalle col resto del branco.

Adesso che l'inchiesta giudiziaria è entrata nel vivo, con i primi indagati, la 34enne vorrebbe solo «che quella ragazzina che è stata come un'altra figlia per me quei giorni in casa, stesse bene, che sia protetta e abbia tutte le cure e le attenzioni necessarie. Dopo che è ripartita non si è più fatta sentire con me, non so nulla di lei e mi dispiace, mi farebbe piacere risentirla, non ho mai conosciuto nemmeno i genitori. Sono una mamma - racconta - e al posto loro avrei mandato un minimo di messaggio, non dico di ringraziamento, ma di riconoscimento perché se non altro, in loro assenza, qualcuno si è preso cura della figlia. Ma non siamo tutti uguali».

Su WhatsApp la trattativa per l'acquisto della droga. Ragazza stuprata a Capodanno, le minacce con pistola al nipote dell’ex premier e la coca: “La porta la figlia della soubrette”. Redazione su Il Riformista il 21 Gennaio 2022.  

I video e le foto compromettenti di quel Capodanno dell’orrore a Primavalle fanno il giro dei social. E il materiale viene annotato nei verbali dai Carabinieri, che hanno iniziato a convocare in caserma gli indagati dello stupro di una sedicenne durante la notte di San Silvestro del 2020.

Su Instagram e TikTok c’è la cronostoria di quanto accaduto prima e dopo quella notte di Capodanno. Protagoniste, le amiche della sedicenne, figlia di un diplomatico spagnolo, arrivata a Roma per festeggiare l’arrivo del 2021. Sulle note della musica rap, le ragazze alludono all’uso di alcol, fumo, cocaina, Rivotril e Xanax. Sostanze abusate dai circa 30 ragazzi presenti al party. L’organizzazione della festa di fine anno è stata gestita su WhatsApp dai partecipanti. E ognuno aveva un compito preciso. A occuparsi di portare la cocaina era la figlia di una soubrette della tv. Il Ritrovil, invece, è stato portato da una 14enne.

Come riporta Repubblica, un ruolo fondamentale ha giocato la figlia del volto noto della tv. È la fidanzata del nipote dell’ex premier e, stando al racconto dei testimoni e alle intercettazioni, è partita dai Parioli con tutto il necessario per far festa. La “Pugile”, come la chiamano, ha cocaina e canne. Le compagne di TikTok lo dicono chiaramente: “La cocaina so che l’ha portata il suo ragazzo. A lui ho dato 27 euro. Un grammo costa 80”.

Stuprata a Capodanno durante una festa, il racconto della vittima: “Avevo male dappertutto, c’era anche del sangue”

Stabilite anche le regole tra due gruppi, il Quartaccio e Torresina da una parte e i Parioli dall’altra. Dentro quella villa a Primavalle, le giovani volevano che ci fossero solo pochi ragazzi. “Le ragazze del gruppo Parioli facevano fatica” a rispettare l’accordo, annotano ancora gli investigatori. Gli inquirenti si concentrano anche sull’uso delle sostanze stupefacenti, acquistate giorni prima della festa. La figlia della soubrette ha comprato due grammi di cocaina. Prima, si confronta con un’amica, che sarebbe dovuta andare a casa a prendere “400 euro” e poter così “risorve”, da Enzo a Lepanto o a Tor Bella. Cioè, finalizzare l’acquisto.

Ma nelle conversazioni su WhatsApp, al vaglio degli inquirenti, spicca anche il nome del nipote di politico di primo piano, che però non è indagato per violenza sessuale. Il nipote dell’importante politico nazionale ha fornito una testimonianza che mostra lo spaccato della festa. “Uno dei ragazzi – racconta ai carabinieri e ripreso da Repubblica – mi ha chiesto quanti anni avessi. Io gli ho risposto 20”. Parte un litigio sull’età, il nipote del politico insiste: “Se non ci credete, vi faccio vedere un documento”. Interviene un secondo ragazzo del gruppo di Primavalle, tatuato sul collo. “Con la mano destra – racconta ai militari dell’Arma il ragazzo dei Parioli – ha estratto qualcosa dal fianco, non sono sicuro se si trattasse di una pistola e mi ha minacciato: “Ti scarrello in faccia”.

Dettagli agghiaccianti emergono dalle intercettazioni dei carabinieri nei confronti dei cinque indagati, tre maggiorenni-tra i 19 e 21 anni- e due minorenni, nell’inchiesta per lo stupro di gruppo della ragazza sedicenne. Le trascrizioni, riportate da Repubblica, svelano le conversazioni avvenute alcuni giorni dopo il party clandestino di Capodanno, tra gli indagati o dei giovani con i loro familiari.

“Lo sai che j’ha detto … de me? Che manco me la so sc… meno male!” A parlare al telefono con la madre è il 21enne arrestato una settimana fa. Il giovane è tranquillo, perché il rapporto avuto con la ragazza era stato consenziente. “Io te dico… io una me la so proprio… proprio a divettimme ma‘“.

Ma non solo. Lo stesso minore rincara la dose, per prendere le distanze dallo stupro di Capodanno, raccontando sempre alla madre: “Stavamo io e lei dentro a ‘n bagno e… uno pure se fosse…me voi beve (ossia mi vuoi arrestare, ndr)? Ecco, famme una multa e beveme perché stavo a un altro Comune e perché ho portato alcolici e stupefacenti che so minorenne”.

Per lui, così come per tutti gli altri, la colpa è della ragazza, che ha denunciato: “Giuro che io vado a … pjo sta p… de merda e gli sparo in faccia.” Il padre viene intercettato mentre dice al figlio: “Quel tizio che s’è comportato male o annate a pià a casa.”

Per il 21enne arrestato, il padre della ragazza è ‘un infame’. Viene ascoltato mentre spiega: “Capito che te vojo dì? Cioè, tu manni tu fija a sedici anni co’ lockdown, oltretutto che n’ abiti manco qua a ‘na festa, e poi er giorno dopo te sveji e denunci? Ma che sei infame? Cioè così sei popo un vile, un verme, un miserabile“.

Primavalle, il Capodanno dello stupro e quei ragazzini perduti violentandone una di loro. Franco Bechis su Il Tempo il 22 gennaio 2022.

Due gruppi di ragazzini e ragazzine, quasi tutti millennials, nati dopo l'anno 2000, molti minorenni. Tutti di Roma Nord, ma ai due poli opposti. Un gruppo del popolare quartiere di Primavalle, che mette a disposizione una casa libera per la notte di Capodanno. Occasione golosa per gli altri, che vengono dai Parioli: a loro in cambio della casa tocca portare le ragazze, altrimenti non c'è festa. All'alcol ci pensano quelli di Primavalle, i pariolini vanno a caccia di qualcosa che possa stordire la serata: hashish, dosi di cocaina, Rivotril e Xanax da procurarsi in farmacia con qualche sotterfugio.

Due mondi diversi di poco più che bambini che hanno solo quel modo per stare insieme: musica, alcol, stordimento e poi sesso, quello estremo che forse hanno visto su qualche piattaforma di video pornografici che deve essere il loro modello di riferimento. Lo sa chiunque vada a quella festa in cui pochi si conoscono, i più solo di vista. Ci sono pure rampolli di famiglie note, figli e nipoti di personaggi pubblici (di funzionari dello Stato, di un ex premier, di una showgirl e tanti altri) pizzicati dalla ricostruzione della procura e ora anche dei giudici del tribunale di Roma non solo mentre partecipano al festino, ma addirittura vendere dosi di cocaina secondo alcune testimonianze o distribuire droghe più leggere e psicofarmaci secondo il racconto di altri.

Da quella notte una ragazzina di sedici anni è uscita a pezzi. Drogata, stordita dagli psicofarmaci, ubriacata, violentata, di più: sventrata. Quando il padre di un'amica raccogliendo un sos la mattina del primo gennaio va a prenderla in quella casa e la trova quasi incosciente, piena di lividi con qualche scampolo di vestito intriso di sangue, non crede alla sua versione confusa di una caduta dalle scale, e la porta in ospedale, dove vengono riscontrate lesioni anche gravi con 30 giorni di prognosi. Ne è nata una denuncia e un'inchiesta giudiziaria che è durata un anno intero- perché il Capodanno in questione era quello fra il 2020 e il 2021- e che si è conclusa con tre provvedimenti cautelari nei confronti dei soli ragazzi maggiorenni coinvolti nelle violenze: due agli arresti domiciliari e uno con il più tenue obbligo di dimora.

Fanno rabbrividire le cronache di quella notte e le chat e le intercettazioni dei colloqui fra ragazzini e ragazzine nei giorni successivi, riportati nelle 73 pagine dell'ordinanza di applicazione di misura cautelare personale. Non solo per gli abusi compiuti sulla sedicenne inerme e resa incosciente da droga e alcol da ben otto suoi coetanei, talvolta da soli (uno due volte), altre volte in gruppo in un bagno presidiato da altri amici, ma per la totale incapacità non dico di comprendere, ma almeno di intuire l'abisso di quella notte nel tempo successivo. Sia da parte di questi bambini cresciuti che da qualche genitore che chiamato a testimoniare ha incredibilmente protetto quella notte tragica sposando le certezze dietro cui si erano nascosti i figli: quella ragazzina-fantasma “ci stava, se li è fatti tutti, ha proprio una vocazione da prostituta”.

E' quello che le ha urlato in faccia il ragazzo maggiorenne che per due volte quella notte ha fatto sesso con lei macchiandosi la maglietta con il suo sangue dopo avere forzato ogni porta per entrare in lei. E' stato il modo di tutti per archiviare quella notte: la zozzona che si passa tutti gli uomini, anche quelli delle altre (perché sì, ha assistito alla violenza anche un'altra bimba che era fidanzata con il violentatore). Tutti a cercare un'altra casa per la notte della Befana, fantasticando nuovi fiumi di alcol e droghe per fare “sesso a tre. No, a quattro almeno...”, però questa volta “bisogna dire alle ragazze di non farsi di Xanax prima”. Già perché abusare di un cencio umano non è poi così entusiasmante. Altro giro, altre notti attendono.

Ho chiesto alla mia redazione di non pubblicare la cronaca e le reali intercettazioni di quella notte: leggendole solo nausea e un grande smarrimento che ho cercato di evitare a voi lettori lo stesso disagio cercando di raccontare solo quello che è necessario per capire il vuoto in cui non vivono, ma sopravvivono questi disgraziati nostri ragazzi che sono poco più che bambini.

Da due anni raccontiamo una emergenza in Italia che certo esiste, ma cela tutte le altre. Questa, l'emergenza educativa, l'urgenza di salvare dalla rovina le vite di questi ragazzini, di un braccio teso da afferrare per sfuggire ai morsi del nulla in cui si precipita, è davvero la più grande di tutti.

La festa. Un Capodanno di sesso e violenza e il selfie di una generazione. Carlo Bonini su La Repubblica il 3 febbraio 2022.

Il 31 dicembre 2020, nella notte che seppellisce l'anno primo della pandemia che ha stravolto le nostre vite e annuncia quello che non ce le restituirà così come le ricordavamo, in una villetta di Primavalle, quartiere alla periferia Ovest di Roma, prendono a ballare le vite di 28 ragazzi, per lo più adolescenti o appena entrati nella maggiore età, almeno all'anagrafe.

Romina Marceca per “la Repubblica - ed. Roma” il 4 febbraio 2022.

Le cinque parioline in tiro fanno la linguaccia davanti allo specchio del bagno che poi sarà la stanza degli orrori per Bianca, la figlia sedicenne di un diplomatico vittima di stupro nella villetta di Primavalle. C'è anche lei in quel video: è l'inizio del San Silvestro 2020, e la minorenne non ha ancora bevuto e non ha assunto droghe. Patrizio Ranieri alle 2.24, quando già ha stuprato Bianca più volte, si riprende disteso accanto a una ragazza su un divano e mima con una mano il gesto di versarle alcol in bocca. 

È una delle amiche di Bianca, anche lei non andrà in aiuto della ragazzina. Sono le foto a colori e le stories del Capodanno dell'orrore 2021. Testimoniano segmenti di una serata di violenza, sesso, alcol e droga. Erano in rete nessuno le aveva cancellate per molto tempo. Nonostante le indagini dei carabinieri, gli arresti, l'orrore venuto a galla, l'amicizia perduta per avere abbandonato Bianca nelle mani di amici e sconosciuti. 

È la crudeltà messa in scena dai social. Repubblica. it oggi ripercorre in un Longform quella festa maledetta, ora dopo ora. Una ricostruzione basata sulle carte giudiziarie e sulle testimonianze dirette raccolte dai cronisti. C'è, tra le altre, la foto delle due comitive di Primavalle e Parioli sul divano del salone della festa. 

I visi sbiaditi nella foto in bianco e nero fotocopiata sull'ordinanza sono più nitidi. Undici ragazzi e cinque ragazze guardano dentro l'obiettivo. La festa sta per cominciare, a pochi passi da loro la tavola tonda con le droghe portate al Capodanno per sballarsi.

Patrizio Bati per “Specchio - La Stampa” il 7 febbraio 2022.

Roma, 31 dicembre 2021. Fabrizio esce dal portone di un elegante palazzo dei Parioli e sale su Padova 11, che lo aspetta già da qualche minuto. È uno dei tanti ragazzi che -protetti dall'immunità di taxi- percorrono viali deserti di auto e motorini superando incroci ritmati dal blu dei lampeggianti. 

San Basilio

Autorizzati a circolare anche nei giorni di lockdown più stretto, i taxi sono l'unico mezzo per raggiungere le zone dello spaccio. Come navette, fanno la spola tra i palazzi portierati della Roma bene e quelli fatiscenti delle periferie, creando occasioni di contatto tra persone che abitualmente avrebbero condiviso al massimo il rosso di un semaforo. Il ragazzo scende, il tempo necessario per gli acquisti. Il taxi aspetta. Fabrizio torna. 

Padova 11 riparte lasciandolo, tre chilometri dopo, di fronte a una villetta illuminata. Il tassametro è spento. Quando la corsa passa per San Basilio, il pagamento è sempre anticipato. Pietralata, Roma. Villetta di periferia. Invitati: circa una ventina, dai sedici ai venticinque anni. Tute e marsupi segnano il confine tra i ragazzi di borgata e quelli dei quartieri ricchi. Vecchie stampe appese alle pareti, scaffali zerolibri, soprammobili dozzinali impolverati, centrino di pizzo sopra a televisore tubocatodico.

Sembra una casa in cui da tanto tempo non vive nessuno. Primi tentativi di socializzazione tra i due gruppi. Selfie e risate. Occhi come neon: la cocaina inizia a entrare in circolo. È il sesso, oltre alla droga, ciò di cui -in serate come questa- tutti sono alla ricerca la cocaina allenta i freni inibitori e può, di certo, favorirlo. Se però non viene consumata in quantità importanti, le ragazze restano lucide e l'orgia potrebbe anche non scattare.

Quello che scopa per primo Giorgio ha 19 anni e muscoli pompati da anni di palestra. Spesso partecipa a festini e, quasi sempre, nel ruolo di apripista, fondamentale quanto quello di chi porta la droga. È il capobranco, il maschio che scopa per primo, lasciando poi che altri prendano il suo posto sopra lo stesso corpo. Solo che quel corpo non sempre è disposto a concedersi anche agli altri. Bisogna trovare il modo di alterare il cervello a cui risponde, di disabilitarlo. 

 Droga dello stupro o psicofarmaci. Per stordire la vittima Giorgio ha una tecnica collaudata: mette a fianco al letto un bicchierino di whisky in cui ha sciolto 2 grammi di GHB. Durante il rapporto, in quel bicchiere intinge ripetutamente indice e medio per poi infilarli in bocca alla vittima di turno. 

Il ciuccio. Così lo chiamano, in gergo, lui e i suoi amici. La mattina dopo quel corpo si risveglierà senza vestiti, sulla pelle ancora freschi i segni dell'abuso. Doccia, colazione, le amiche la riporteranno a casa. È andato tutto bene!

Una bambola che sanguina Il 31 dicembre 2020, però, c'è stata anche un'altra festa Primavalle, Roma. 

Villetta di periferia. Invitati: circa una trentina, dai sedici ai venticinque anni. Tute e marsupi segnano il confine tra i ragazzi di borgata e quelli dei quartieri ricchi. Alterati da alcol, droghe e psicofarmaci, alcuni di loro avrebbero abusato di una sedicenne, ridotta a tappetino per flessioni. Bambola gonfiabile che sanguina e quasi non respira.

ATROCE. INIMMAGINABILE. MOSTRUOSO. INQUIETANTE. Questi alcuni degli aggettivi più ricorrenti sui giornali. 

Droga e sesso Droga, sesso e deresponsabilizzazione. Quando una denuncia arriva a rompere il silenzio, quello che regolarmente si verifica e che accomuna tutti (maschio o femmina, borghese o proletario, genitore o figlio) è il costante e ostinato tentativo di deresponsabilizzarsi.

Da dichiarazioni, intercettazioni e chat di gruppo non emerge mai la consapevolezza dei fatti accaduti. Non c'è mai un'assunzione di responsabilità, mai un'ammissione di colpa. Indicativa, in questo senso, la frase a commento del video pubblicato su Tiktok da alcune ragazze invitate alla festa di Primavalle. Cinque di loro cantano, prima di andare al party di capodanno. A cantare, la mattina seguente, sono soltanto in tre. Sotto al video la scritta: «Qualcuna l'abbiamo persa per strada». 

Come a dire: non sappiamo cosa le sia successo. Non ci riguarda. Non ci interessa. Noi siamo qui. Che male c'è La sensazione è che, in maniera più o meno consapevole, ognuno di loro -chi forse ha stuprato, chi forse non ha difeso, chi forse ha coperto, chi forse non si è neanche reso conto di quello che accadeva- abbia dal giorno seguente cercato di rimuovere, dimenticare, cancellare insomma di autoassolversi. Che male c'è a sballarsi una volta ogni tanto? I miei amici l'hanno già provata tutti. 

A capodanno bisogna divertirsi! Chi viene a una festa come questa, sa a cosa va incontro Un passo dopo l'altro, nelle loro teste, ogni episodio si ridimensiona. Ma ancora non basta, quello che bisogna raggiungere è il totale azzeramento dei sensi di colpa. E allora, se responsabilità mai ci fosse stata, è sugli altri che bisogna scaricarla. Sono gli altri che hanno portato cocaina e psicofarmaci. Sono gli altri che li hanno consumati.

È lei che ha provocato. Lei che ci stava. Lei che, prima, era consenziente. Gli altri che sapevano e non sono intervenuti. Gli altri che - dopo di me - se la sono scopata. Tutti (auto) assolti Vittime o carnefici, a prescindere dal ruolo, tutti i protagonisti ne usciranno segnati. Per sempre condannati alla solitudine a cui, rifugiandosi nel gruppo, avevano sperato di sottrarsi. Stesso meccanismo mentale anche nei genitori. 

Sono i figli degli altri che hanno portato cocaina e psicofarmaci. I figli degli altri che li hanno consumati. I figli degli altri che se la sono scopata. Ma autoassolversi non è, dopotutto, ciò che - consapevolmente o no - tutti noi facciamo? Definirlo «atroce, inimmaginabile, mostruoso, inquietante», non è in fondo un modo per allontanare dalle nostre vite il capodanno di Primavalle? Per dichiararci estranei a episodi come quello?

Autoassolversi non è ciò che tante volte abbiamo fatto e che i nostri figli, semplicemente, replicano? La prossima volta Se quel sasso tirato contro il pullman dei tifosi avversari avesse rotto il finestrino e ucciso una persona? Se quel pugno sferrato in una rissa avesse mandato in coma il ragazzo con cui stavo litigando? Se l'amico a cui avevamo permesso di mettersi alla guida da ubriaco ci avesse fatto finire fuori strada? Se quei ragazzi incontrati in discoteca e che all'alba abbiamo seguito a casa loro per una spaghettata, si fossero rivelati degli assassini o degli stupratori? Rimuovere. Dimenticare. Cancellare. 

Autoassolversi, insomma. Solamente questo conta. Per poter sopravvivere ai nostri sensi di colpa. Un primo passo sarebbe, forse, ammettere che in realtà queste vicende riguardano tutti noi. Che anche se ci crediamo assolti, come dice De Andrè, siamo tutti coinvolti. L'alternativa è restare immobili. Sperando che i sassi dei nostri figli e i loro pugni manchino il bersaglio. 

 Che l'amico ubriaco non perda il controllo della macchina. Che gli sconosciuti di cui nostra figlia e le sue amiche hanno scelto di fidarsi non approfittino di loro. Restare immobili. Aspettando la prossima volta che perderemo per strada qualcun'altra.

Dayane Mello sulle molestie a La Fazenda: “Nulla di grave, ero cosciente. Sapevo cosa stava succedendo”. Ilaria Minucci il 15/01/2022 su Notizie.it.

Ospite a Verissimo, Dayane Mello ha raccontato per la prima volta la sua verità sulle presunte molestie di cui è stata vittima durante La Fazenda.

La modella e imprenditrice brasiliana, Dayane Mello, ha deciso di parlare per la prima volta di quanto accaduto a La Fazenda, facendo chiarezza sulle presunte molestie sessuali ricevute dal cantante Nego Do Borel.

Nella giornata di domenica 16 gennaio, Dayane Mello sarà ospite di Silvia Toffanin a Verissimo. In questa circostanza, la modella divenuta nota in Italia in occasione della sua partecipazione alla quinta edizione del Grande Fratello Vip parlerà per la prima volta di quando accaduto a La Fazenda, il reality brasiliano del quale è stata recentemente concorrente.

A La Fazenda, infatti, le telecamere dello show aveva ripreso Dayane Mello in stato di ubriachezza mentre veniva molestata sessualmente dal cantante Nego Do Borel.

Secondo quanto riferito dalla modella a Verissimo, tuttavia, la realtà dei fatti sarebbe molto diversa e, durante il reality, non sarebbe accaduto “nulla di grave”, contrariamente a quanto ipotizzato dal pubblico e dai fan.

Per Dayane Mello, infatti, “la verità è che non è mai successo niente, non c’è mai stata una molestia”.

Nonostante le sue affermazioni e la convinzione con la quale asserisce che non ci sia stata alcuna molestia, Dayane Mello ha dichiarato di essersi commossa per le manifestazioni di solidarietà che le sono state rivolte dopo l’episodio.

Simili manifestazioni, tuttavia, non erano necessarie in quanto l’intera vicenda è scaturita da un tragico malinteso.

A questo proposito, la modella brasiliana ha dichiarato: “So che sono stata supportata da tantissime donne, ma non posso dire una cosa falsa. Le persone non hanno capito bene la situazione. Io sono sempre con le donne, ma non posso portare sulle spalle un peso di qualcosa che non è successo. Sto bene con me stessa perché ho detto la verità.

Ero estremamente cosciente e sapevo tutto quello che stava succedendo”.

L’accaduto ha portato all’espulsione dal reality di Nego Do Borel ma le immagini incriminate non sono state mostrate alla modella prima della sua eliminazione da La Fazenda. Nel momento in cui Dayane Mello ha visto le clip che hanno fatto indignare il suo fandom, le ha accolte con estrema tranquillità, minimizzando il tutto.

La reazione dell’ex gieffina ha spiazzato i fan che l’avevano difesa per settimane mentre la donna ha più volte ribadito di non voler essere difesa. Commentando l’episodio a Verissimo, infatti, Dayane Mello ha parlato di “strumentalizzazione” della circostanza e si è detta “rammaricata” ma, allo stesso tempo, determinata a raccontare la verità per poter essere “a posto con la coscienza”.

·        Il Metoo.

(ANSA l’8 dicembre 2022) - Nick Carter dei Backstreet Boys è stato accusato di stupro da una ragazza autistica che all'epoca era minorenne. L'azione legale presentata da Shannon "Shay" Ruth è stata illustrata oggi in una conferenza stampa. Il presunto stupro risale al 2001 quando 'Shay' aveva 17 anni. 

"Gli ultimi 21 anni sono stati pieni di confusione, dolore, frustrazione vergogna e autolesionismo. Ed è stato il risultato diretto del fatto che Nick Carter mi ha stuprata", ha detto la donna: "Anche se sono autistica e soffro di paralisi cerebrale, nulla ha avuto su di me un impatto negativo pari a quello causato da Carter", che, secondo quel che lei ha raccontato, "dopo lo stupro l'ha insultata e malmenata lasciandole lividi sul braccio.

Non è la prima volta che il cantante dell'iconica boyband anni Novanta viene accusato di molestie sessuali: nel 2017 Melissa Schuman, ex componente del gruppo pop Dream, aveva asserito che Nick l'aveva aggredita sessualmente quando lei aveva 18 anni e lui 22. Un mese fa Nick Carter ha perso il fratello minore Aaron, trovato morto nella sua casa della California dopo una lunga battaglia contro le dipendenze e problemi mentali.

Simona Marchetti per corriere.it il 7 Dicembre 2022

A Hollywood essere considerati un oggetto sessuale non è una prerogativa femminile. Ne sa qualcosa George Clooney che all’inizio della sua carriera, quando ancora vestiva i panni del sex symbol in serie tv come «Sisters» e “L’albero delle mele”, ha avuto anche lui il suo momento #metoo. «Onestamente sono stato oggettificato - ha raccontato il 61enne attore al “Washington Post” - . Ricordo che durante le riprese di “Roseanne” («Pappa e Ciccia»), se mi abbassavo per raccogliere un blocco di appunti, mi davano degli schiaffi sul sedere. 

Devi farti considerare per qualcosa in più…In quest’ottica, “Good Night, and Good Luck” lo ha fatto per me, in ogni senso». Il riferimento di Clooney è al film del 2005, il suo secondo come regista, che lo ha consacrato nell’olimpo delle star, grazie alla vittoria del premio Osella per la miglior sceneggiatura e della Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile al festival di Venezia, senza dimenticare le sei candidature all’Oscar.

Vuole trascorrere più tempo con la famiglia

Nell’intervista concessa in occasione dei Kennedy Center Honors - i premi che vengono assegnati ogni anno negli Stati Uniti a coloro che si sono distinti per il loro contributo all’arte e alla cultura - l’attore ha anche parlato della scelta, fatta di comune accordo con la moglie Amal, di passare più tempo con lei e con i gemelli Ella e Alexander, che oggi hanno 5 anni, finché ha ancora l’età per godersi a pieno la famiglia. «Io e Amal abbiamo avuto lunghe conversazioni sulla mia età. 

Le ho detto “adesso ho 61 anni e posso fare molte delle cose che facevo, ma quando ne avrò 81, sarà diverso. I prossimi 20-25 anni sono anni buoni…facciamo in modo di viverli diversamente”». Il che, a livello lavorativo, si traduce con la rinuncia alla regia, a meno che non gli capiti un copione di quelli irrinunciabili. «Avere dei ruoli nei film è un lavoro facile, molto più facile che dirigerli e così posso trascorrere molto più tempo con la mia famiglia», ha concluso Clooney.

Lo strappo. Il caso Junot Díaz, le esibizioniste del MeToo e la saggezza di Stefano De Martino. Guia Soncini su L’Inkiesta l’1 Dicembre 2022

Il Premio Pulitzer costretto a nascondersi per l’accusa di aver dato un bacio sulla guancia, e un ballerino che in tv sa spiegare bene i rapporti tra i sessi e la differenza tra la violenza vera e quella verbale

Stefano De Martino è un napoletano naturalizzato televisivo, già ballerino di Amici, attualmente famoso – sebbene conduca programmi – soprattutto per aver figliato con Belen Rodriguez, la donna il cui nome tutti accentano sbagliato e la più stratosferica strafiga mai comparsa alla televisione italiana.

Junot Díaz è un dominicano naturalizzato statunitense, già premio Pulitzer per "La breve favolosa vita di Oscar Wao", (ex?) scrittore, attualmente famoso soprattutto perché all’inizio del MeToo si sparse la voce che era uno schifoso maniaco e, sebbene tutte le accuse si siano dimostrate deliranti, la sua reputazione non s’è mai ripresa.

Negli ultimi giorni Díaz è apparso su Semafor, testata on line dal nome improbabile (da che pulpito, direte voi) fondata da Ben Smith, che per metterla su ha mollato il suo posto al New York Times, dove si occupava di media e aveva, tra le altre cose, compiuto la meritoria opera di decostruire la credibilità di Ronan Farrow.

Anche prima del MeToo, anche prima del ricatto allora-non-credi-alle-donne, quando una storia distruggeva una reputazione poi in pochi si occupavano di andare a vedere cosa fosse successo dopo, come si fossero assestate le cose dopo un’accusa infondata. Da sempre, ogni accusa è un titolo in prima pagina e ogni derelitto che viene scagionato è un trafiletto a pagina 34 – figuriamoci quando, se provi a esaminare i fatti, sei sessista.

Che le storie che riguardavano Díaz fossero folli lo si capiva da dettagli più o meno piccoli. Dal comitato del Pulitzer, che prima di radiarlo indaga e non trova niente, e questo in anni così ubriachi che l’Academy radiava Polanski per un reato sessuale del 1977, avendogli però dato un Oscar nel 2003 (quando studieranno questi decenni, gli storici codificheranno la sindrome della memoria intermittente).

Ma anche dalle stesse accusatrici. La mia preferita era quella che diceva che la violenza subita da Díaz era verbale: a una cena, le aveva urlato in faccia «Rape», stupro. Tu leggi e dici beh, non credo nel concetto di violenza verbale, ma certo non è bello urlare a una sconosciuta a una cena che la stupri. Poi leggi il resoconto completo della serata e cadi dalla sedia.

La signora, all’epoca in procinto di esordire come scrittrice, aveva portato speranzosa le bozze del suo libro a una cena data in onore di Díaz, ma non gliele aveva consegnate: ci era rimasta molto male quando lui non se l’era filata per parlare con uno scrittore famoso (di certo perché quello era più famoso, mica perché era più interessante: l’inferno non conosce furia pari a quella di un anello basso nella catena alimentare).

A un certo punto durante la cena (badate bene: questa è la versione di lei, quindi quella dalla quale lui esce al suo peggio e lei al suo meglio) lei si lamenta perché il New Yorker non ha voluto un suo racconto, la tavolata parla di statistica, lei parla di rappresentazione delle minoranze, e Díaz dice «forse non sai come funziona la statistica: sarebbe come dire che lo stupro non esiste perché non sei mai stata stuprata».

Quella che la signora definisce «virulenta misoginia» è, dunque, aver usato la parola stupro in sua presenza. Nelle stesse settimane ci sono altre due signore che si lamentano di Díaz. Una dice che, a un incontro pubblico, Díaz ha risposto con «uno sbotto di rabbia misogina» a una sua domanda sul protagonista sociopatico del suo romanzo. C’è una registrazione, e chiunque la ascolti obietta che non sembra affatto arrabbiato. La signora obietta che dalla registrazione non si percepisce il linguaggio del corpo. Inserite qui un mio sospiro esasperato.

La terza signora è quella che ha l’accusa più concreta: Díaz l’ha baciata con la forza. È la primavera del 2018. La signora dice che è successo quando lei era una studentessa ventiseienne, quindi sette anni prima. Ne passano altri quattro e mezzo prima che Ben Smith si applichi al caso e convinca Díaz a raggiungerlo da McNally, la libreria fighetta di Soho.

Díaz arriva col capellino che usano quelli che non vogliono farsi riconoscere: sono quattro anni che non entra in una libreria, sono quattro anni che non scrive. Non dice niente di rilevante, ma quel che è rilevante è che, con quattro anni di ritardo, qualcuno ha fatto quel che andava fatto subito: chiedere alla commissione d’indagine costituita dai responsabili del premio Pulitzer come mai l’avessero discolpato. «Le indagini hanno rivelato che si trattava di un bacio su una guancia».

Uno dei più clamorosi danni inferti dal MeToo alla conversazione collettiva è la convinzione che, se dici che un’isterica in cerca di pubblicità è un’isterica in cerca di pubblicità, tu stia scusando gli stupratori e alimentando il loro brodo di coltura. Nessuno ti direbbe che, svelando che qualcuno ha finto gli rubassero la macchina per incassare i soldi dell’assicurazione, stai incoraggiando i furti d’auto, no?

Quello che stai facendo, svelando che il povero Díaz sarà pure un cafone con un brutto carattere, ma le tre signore sono tre esibizioniste che sperano il vittimismo faccia per le loro carriere quel che le doti letterarie non possono fare, è dire: smettetela di farvi distrarre. Smettetela di andar dietro alle mode e concentratevi sui veri reati. Smettetela di far finta di credere che essere maleducati e essere stupratori sia parimenti grave.

"La conferenza stampa" è un’ideuzza di Giovanni Benincasa, sta su RaiPlay: un personaggio pubblico viene intervistato da un’aula piena di decine di liceali, che fanno domande più o meno pretestuose, più o meno fesse, più o meno personali.

Nella prima puntata c’è Stefano De Martino. A un certo punto un ragazzo gli chiede cosa bisogna fare se tu sei gentile tutta sera, paghi la cena, e poi lei non te la dà. De Martino non fa monologhi dolenti sul consenso, non s’indigna per il sessismo implicito nella domanda, non fa predicozzi. De Martino ride: e che fai, gliela strappi? E illustra con perfettissima allegoria la questione: c’è il rischio d’impresa, investi e non sai se ne ricaverai un guadagno. Tutti questi anni monotematici sui rapporti tra i sessi e la violenza e la sopraffazione e lo stupro su appuntamento, e tu guarda: un ballerino sa dirlo meglio di molti Pulitzer.

(ANSA il 10 novembre 2022) - Virginia Giuffre, una delle vittime di Jeffrey Epstein che per anni ha accusato il giurista Alan Dershowitz di averla aggredita sessualmente quando era teenager, ha patteggiato una causa per diffamazione e ammesso che forse ha fatto un errore ad accusarlo. In una dichiarazione congiunta che annuncia l'accordo, la donna ha detto che era troppo giovane all'epoca e che, pur avendo a lungo creduto che Epstein l'avesse 'venduta' a Dershowitz, ritiene adesso che potrebbe aver sbagliato. 

La dichiarazione include un commento del giurista, celebre per aver difeso personaggi come O.J. Simpson, Claus von Bülow e Mike Tyson, che elogia Giuffre per il suo coraggio a venire allo scoperto. Il New York Times ha ottenuto la dichiarazione e Dershowitz ne ha confermato l'autenticità. Le parti hanno convenuto di chiudere il caso.

"Ha sofferto molto per colpa di Epstein e la lodo per quanto ha fatto per combattere il traffico sessuale di persone", ha detto il giurista. Dershowitz non è il solo vip accusato da Giuffre. La donna ha fatto causa a un altro amico di Epstein, il principe Andrea, accusando il terzogenito della regina Elisabetta di averla stuprata quando era minorenne. L'azione legale è stata chiusa prima di arrivare al processo in febbraio. Anche Dershowitz era amico di Epstein e aveva difeso il finanziere dopo il primo arresto in Florida ottenendo nel 2008 per lui una lieve pena detentiva.

Da tgcom24.mediaset.it il 10 novembre 2022.

Warren Beatty è stato accusato di molestie sessuali. L'attore, 85 anni, avrebbe usato la sua fama e il suo potere per costringere una minore ad atti sessuali. Il fatto risalirebbe al 1973, quando la donna che ha intentato la causa presso la Corte Superiore di Los Angeles, Kristina Charlotte Hirsch, aveva solo 14 anni. La star di Hollywood non è stata però nominata direttamente nella denuncia, nella quale la donna definisce l'accusato come "un attore candidato all'Oscar per il ruolo di Clyde nel film 'Bonnie and Clyde'". 

All'epoca dei fatti Beatty aveva 35 anni. Secondo alcuni media americani, che hanno riportato la notizia, la Hirsch sostiene di essere stata aggredita, dopo aver incontrato Beatty per la prima volta sul set di un film. Durante il primo incontro l'attore avrebbe "commentato ripetutamente" il suo aspetto fisico" e l'allora quattordicenne afferma di essersi sentita, inizialmente, "elettrizzata" dall'attenzione di un uomo adulto.

L'attore le avrebbe dato il suo numero di telefono e avrebbe iniziato a incontrarla regolarmente, facendo lunghi giri in macchina con lei, durante i quali avrebbero anche parlato della perdita della sua verginità. La donna afferma poi anche che l'attore si sarebbe offerto di "aiutarla con i compiti". 

Nella causa si legge che Beatty avrebbe usato la sua notorietà e il suo "potere" per costringere poi la giovane ad atti sessuali per i quali la quattordicenne non poteva dare un "consenso significativo".

Secondo quanto riferito la Hirsch chiede ora un risarcimento, affermando di aver sofferto di stress fisico ed emotivo negli anni successivi alla presunta aggressione e di essersi dovuta sottoporre ad una terapia e a varie consulenze psicologiche. 

La causa è stata intentata ai sensi di una legge della California del 2019 che ha aperto una "finestra d'indagine" per i reati sessuali su minori, avvenuti nel passato e che sarebbero altrimenti in prescrizione. Tale finestra scade il 1 gennaio 2023.

 Beatty, fratello minore di Shirley MacLaine, è stato un grande nome a Hollywood per decenni. Nella sua carriera è stato candidato quattro volte all'Oscar al miglior attore, per "Gangster Story", "Il paradiso può attendere", "Reds" e "Bugsy", senza mai aggiudicarsi il premio. Ha vinto però il premio due volte in altre categorie: come miglior regista per il film "Reds", mentre come produttore lo ha vinto nel 2000 aggiudicandosi il Premio alla memoria Irving G. Thalberg e in tutto è stato candidato 14 volte nelle varie categorie degli Oscar. 

 Prima e durante la lavorazione del film "Dick Tracy" è stato legato a Madonna, con la quale è apparso nel 1991 nel film documentario "A letto con Madonna". Dal 1992 è sposato con l'attrice Annette Bening; la coppia ha 4 figli: Kathlyn (1992), Benjamin (1994), Isabel (1997) e Ella (2000).

La star di "Reds" non è certo il primo artista hollywoodiano a finire nella bufera delle molestie sessuali a cinque anni dal #MeToo e dall'eclatante caso Weinstein. Tra loro  Kevin Spacey che è però stato di recente prosciolto dall’accusa di abusi ai danni di Anthony Rapp e non è quindi più un soggetto “indesiderato”. C'è poi R. Kelly condannato per pornografia ai danni di minori e adescamento di minorenni per attività sessuale, che rischia fino a 20 anni di prigione, James Franco e molti altri ancora...

Michele Serra per “la Repubblica” il 13 ottobre 2022.

Colpisce che Scarlett Johansson, al culmine di una luminosa carriera, lamenti, in un'intervista, di essere stata «ipersessualizzata» dal cinema. Non ho presente tutta la sua filmografia, ma dai film che ho visto (La ragazza con l'orecchino di perla, Lost in translation , Match Point , Black Widow) non riesco a desumere niente altro che un grande talento di attrice, parti in commedia molto varie, alcune di profonda umanità (Lost in translation) e certo, direi inevitabilmente, una percepibile messa a fuoco del suo aspetto fisico, che un poco convenzionalmente definirei: molto attraente. 

Ovviamente, la Johansson ha tutto il diritto di farsi piacere oppure dispiacere il suo lavoro. È il suo. È lei il primo giudice di se stessa, e anche il primo avvocato. Ma che il cinema abbia valorizzato, di lei, insieme al talento di attrice, anche l'aspetto fisico, dunque la forza dell'eros (il cinema, senza eros, non esiste) mi sembra nell'ordine delle cose. Fa parte del mestiere, o no? 

Se lo schermidore non si lamenta della sua destrezza, il pugile della sua forza, il funambolo del suo equilibrio, perché mai la star del cinema deve immalinconirsi per la sua bellezza fisica e per il suo potere di seduzione? Qualcosa mi sfugge, dell'epoca, e sicuramente questo è dovuto all'età (la mia) che avanza.

Ma che in pochi si sentano nei loro panni, e vogliano cambiarli, oppure li considerino panni imposti; che molti dicano "io non voglio essere quello che voi pensate che io sono"; mi sembra da un lato il sintomo di una dirompente libertà, dall'altro di una nuova, misteriosa, invincibile infelicità.

Da rollingstone.it il 12 ottobre 2022.

Le ultime dichiarazioni di Scarlett Johansson stanno facendo parlare. E tornano sul fatto di essersi sentita un “oggetto sessuale” nei suoi primi anni a Hollywood. Ospite del podcast di Dax Shepard, Armchair Expert, la diva di Match Point e dei blockbuster Marvel torna ricorda i suoi esordi nel cinema. 

«Sono stata trattata come un oggetto e classificata solo in base alle mie forme», dice Scarlett. «Sentivo che non mi venivano offerti i ruoli che avrei voluto davvero fare. Ricordo che tra me e me mi dicevo: “Forse la gente pensa che abbia quarant’anni”». «Recitavo da molti anni, perciò la gente pensava che fossi più grande», riflette oggi. «Forse per questo sono stata iper sessualizzata». 

Oggi però Johansson, l’attrice più pagata a Hollywood, sente un cambiamento in atto: «Vedo gli attori che hanno vent’anni adesso e mi sembra che siano autorizzati ad essere tutto quello che vogliono, anche “diversi” da ciò che era imposto ai miei tempi». «È un tempo nuovo», conclude l’attrice. «Non ci è più permesso di classificare gli attori come si faceva prima. È tutto molto più in movimento, grazie a dio».

Il prossimo film di Scarlett Johansson è Asteroid City, con cui è tornata a collaborare con Wes Anderson dopo l’esperienza “vocale” nell’Isola dei cani.

DAGONEWS l'11 ottobre 2022.

Cosa hanno in comune l’attore Danny Masterson e le tre donne che lo accusano di essere state violentate da lui? Sono tutti membri di Scientology. E per quanto il giudice Charlaine Olmedo abbia stabilito che non si tratterà di un processo alla chiesa, è inevitabile che avrà un ruolo chiave al processo. 

Masterson, l'ex star 46enne di "That '70s Show", deve affrontare tre accuse di stupro e una possibile condanna a 45 anni. Masterson è uno scientologist e tutti e tre i suoi accusatori erano membri della chiesa al momento delle presunte aggressioni. Olmedo ha indicato che consentirà alcune testimonianze su Scientology e le sue pratiche, soprattutto nella misura in cui può aiutare a spiegare perché gli accusatori hanno ritardato ad andare alla polizia (due di loro ci hanno messo più di un decennio). In un'udienza preliminare nel maggio 2021, tutte e tre hanno affermato di temere di violare le regole della chiesa e di essere tagliati fuori dalla loro comunità.

«Se hai un procedimento legale, potresti essere scomunicato» ha detto una delle accusatrici che viene indicata con il nome di N. Trout. Un'altra accusatrice, Jen B., ha testimoniato di essere preoccupata di essere dichiarata "persona soppressiva" da Scientology se fosse andata alla polizia di Los Angeles: «I miei genitori e i miei amici mi avrebbero rinnegata».

All'udienza preliminare, uno degli avvocati di Masterson, Sharon Appelbaum, ha sostenuto che i tre accusatori avevano formato una "sorellanza" per cercare di abbattere sia Masterson che Scientology. Ha indicato anche il coinvolgimento di Leah Remini, un'ex scientologist che è stata una delle voci del documentario contro la chiesa.

Le tre accusatrici hanno intentato una causa nel 2019 contro Masterson e la chiesa, sostenendo di essere stati vittime di attacchi di "fair game" dopo essere andate alla polizia. 

Dopo tre anni di dispute legali sull'opportunità di decidere se il caso dovesse essere deciso attraverso un processo di arbitrato gestito dalla chiesa, la scorsa settimana la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto l'appello della chiesa stabilendo che il caso andrà avanti in un tribunale civile. 

Una delle accusatrici, Chrissie Carnell Bixler, ha frequentato Masterson per circa sei anni tra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000. Nel novembre 2001, afferma di essersi svegliata trovando Masterson sopra di lei, che la penetrava. Ha deciso di reagire e lui gli ha afferrato i capelli e l’ha colpita in faccia. Dopo che è riuscita a toglierselo di dosso, lui le avrebbe sputato addosso e l'ha chiamata "spazzatura bianca".

Jen B. sostiene di essere andata a casa di Masterson nell'aprile 2003. Ha testimoniato all'udienza preliminare che lui le ha dato una bevanda alcolica e poi l'ha gettata in una vasca idromassaggio. Dopodiché ha sentito di dover vomitare: Masterson l'ha portata in un bagno al piano di sopra, dove ha vomitato. Masterson l'avrebbe messa sotto la doccia e poi sul suo letto, dove è svenuta. «Quando mi sono ripresa, era sopra di me ed era dentro di me - ha raccontato – Ho cercato di spingerlo via, ma lui mi ha afferrato i polsi, ha preso una pistola dal comodino e ha urlato: “Non muoverti, cazzo”». Trout ha affermato che Masterson l'ha violentata a casa sua alla fine del 2003.

Le violenze sono finite nel dimenticatoio per anni e sono riemerse solo quando le tre vittime si sono messe in contatto tra di loro. Quando è stato chiesto a Trout perché non avesse denunciato prima ha risposto: «Tutti sono informati all'interno della chiesa che alcune persone godono dello status di celebrità ... devono essere protette in un certo modo. Hanno molto più potere che viene loro dato dai vertici della chiesa».

Valeria Braghieri per “il Giornale” il 10 ottobre 2022.

A cinque anni dall'inizio della sua fine, è cambiato il mondo.

L'approccio al bacio del primo appuntamento, il gergo tra colleghi uomini e colleghe donne, i colloqui a porte chiuse in ufficio... Oggi si riflette perfino davanti all'eventualità di ritrovarsi in due dentro a un ascensore. E poi gli slogan, le piazze, le denunce. I ricordi e il revisionismo di certi incontri anche ad anni di distanza. Ci siamo sentite davvero libere quella sera?

O qualcosa ci è sfuggito? Un'insistenza, una coercizione impercettibile... Eravamo davvero consenzienti? Ci siamo davvero spogliate perché ne avevamo voglia o avremmo preferito sparire a bordo di un taxi? Dov' è che comincia un ricatto? E com' è fatto, è vestito di quali parole, esercitato con che tono?

È iniziato tutto con l'orco di Hollywood, quello con più tentacoli della Piovra di Placido: le dive molestate, la ribellione all'unisono, perché le accuse di una davano forza al coraggio dell'altra, come un domino al contrario.

Il mondo dopo Harvey Weinstein. Le donne dopo il Me Too. Già condannato definitivamente, l'11 marzo 2020, per stupro e violenza sessuale dalla Corte Suprema dello stato di New York a 23 anni di carcere da scontare nell'istituto penitenziario di Rikers Island, l'ex produttore cinematografico torna alla sbarra. Stavolta a Los Angeles. Il processo che si apre oggi con l'inizio della selezione della giuria vede l'ex boss della Miramax di fronte alle accuse di cinque donne che affermano di esser state violentate o molestate sessualmente tra il 2003 e il 2014 dall'allora potentissimo produttore.

Il processo a Los Angeles arriva, si diceva, dopo quello di New York durato due anni e a cinque anni dalle prime accuse rivolte a Weinstein pubblicate sul New York Times e sul New Yorker. Gli scoop dei giornali diedero vita a un movimento di donne, la maggior parte delle quali famose, pronte a denunciare le molestie subite sul luogo di lavoro, a partire dal mondo dello spettacolo. All'epoca, tante scelsero di rimanere anonime mentre alcune accettarono di uscire allo scoperto come le attrici Ashley Judd e Asia Argento.

Scoppiò lo scandalo, ovviamente. 

Anche se in realtà, nel caso di Weinstein, le voci circolavano da tempo. Dopo le prime rivelazioni, una novantina di donne si fece avanti: in molti casi le accuse, vecchie di decenni, erano cadute in prescrizione. Weinstein si è sempre dichiarato innocente, sostenendo che le relazioni sessuali sotto accusa erano consensuali. Il giorno della lettura della condanna a 23 anni, ebbe un malore mentre veniva trasportato dal tribunale al penitenziario di Rikers Island.

Ricomparve aggrappato a un deambulatore e invecchiato di botto di almeno dieci anni.

Ora, cinque anni dopo, il movimento tira le somme, e il bilancio è a luci e ombre. Per un Weinstein in prigione e un Kevin Spacey sul banco degli imputati in Gran Bretagna, altri vip come l'attore James Franco hanno patteggiato, mentre Bill Cosby è tornato in libertà per vizio di forma.

Perché evidentemente anche per i molestatori vale ciò che vale per tutti: alcuni orchi sono più orchi di altri.

Il #MeToo cinque anni dopo: cos'è rimasto. Roberto Vivaldelli su Il Giornale il 7 ottobre 2022.  

Era il 5 ottobre 2017 quando il New York Times pubblicò l'inchiesta sul produttore cinematografico Harvey Weinstein che diede il via al #MeToo. Nell'articolo, i giornalisti Jodi Kantor e Megan Twohey spiegarono come il magnate, produttore di numerosi successi di Hollywood, avesse abusato sessualmente e molestato le donne per decenni. Sul New Yorker, Ronan Farrow contribuì poi a sollevare ulteriori dettagli sugli scandali sessuali legati al noto produttore. A quel punto la celebre attrice Alyssa Milano invitò le donne di tutto il mondo a condividere le loro esperienze di molestie sessuali con l'hashtag, #MeToo, che poi divenne il nome del movimento. Soltanto il primo giorno, l'hashtag fu utilizzato più di 200mila volte su Twitter, prima di diventare virale in più di 85 paesi di tutto il mondo. Non era un termine del tutto nuovo: fu coniato originariamente dall'attivista per i diritti umani Tarana Burke nel 2006 sul social network "Myspace". Ora, cinque anni dopo, occore chiedersi cos'è rimasto e se il movimento femminista abbia portato a dei reali benefici.

Cos'è rimasto

La vera domanda è: cos'è rimasto del #MeToo dopo cinque anni? All'inizio di giugno, la corte d'appello di New York ha confermato la condanna a 23 anni per Weinstein, accusato di violenza sessuale e abusi su alcune donne. Tra le donne che lo hanno denunciato, Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Salma Hayek. Weinstein si è sempre difeso, sostenendo che i rapporti sessuali erano consenzienti. Anche altre celebrità, nel frattempo, sono state condannate per le medesime ragioni, come l'attore statunitense Bill Cosby o il fotografo francese Jean-Claude Arnault, condannato per aver violentato una donna. Nel frattempo, insieme a Ronan Farrow, Jodi Kantor e Megan Twohey hanno vinto il Premio Pulitzer degli Stati Uniti per i loro servizi su Weinstein, mentre il "#MeToo" è entrato nelle vite di tutti noi, non sempre con risvolti positivi. Anzi. C'è chi si è visto rovinare la propria vita, senza aver fatto nulla di male. E il tutto per un maledetto #hashtag, che non può diventare un'alternativa social alla giustizia, quella vera e dei tribunali, rispetto alla quale sono i singoli a rispondere. Non è la folla giacobina a decidere chi è un "porco" e chi no. Come ha preteso di fare il #MeToo.

Il lato oscuro del movimento

Il movimento, infatti, si è presto trasformato da un sacrosanto diritto a denunciare abusi (reali) subiti per anni ad opera di magnati del cinema a un'isteria colletiva e forcaiola che ha preso di mira gli uomini in quanto tali. Come se in ogni uomo si nascondesse, in realtà, un potenziale Weinstein: cosìcché i complimenti fatti una donna sono diventati una potenziale molestia e ogni tentativo di approccio - consenziente - un tentativo di abuso. Le semplici accuse sono diventate delle condanne definitive, accompagnate da un vero e proprio linciaggio mediatico. Perché accanto ai pochi Weinsten ci sono, soprattutto, i tanti Éric Brion, prima vittima del movimento #balancetonporc, il #Metoo in salsa francese. Noceventomila tweet, minacce di morte, il Weinstein francese, ricorda il Corriere della Sera. Solo che, come la sentenza del tribunale avrebbe dimostrato due anni dopo, non era il "porco" che si pensava fosse, scagionandolo dalle accuse formulate da Sandra Muller. Quanto basta per rovinargli la vita: nel momento più difficile della sua esistenza, la compagna lo ha lasciato, gli amici sono spariti, e ha perso i contratti che stava negoziando per l’agenzia di consulenza appena fondata. Momenti terribili, che nessuno potrà risarcire. 

Già nel 2018, la celebre attrice francese Catherine Deneuve fu tra le personalità note più a firmare un appello, pubblicato su Le Monde, a difesa della "libertà di importunare", parlando di una "caccia alle streghe" avviata dopo l'emergere del caso Weinstein. Tutto il mondo dell'establishment culturale le se scagliò contro, costringendola a un parziale passo indietro, ma lei condannò "un'era dove le semplice accuse sono sufficienti a ottenere punizioni, dimissioni... e spesso un linciaggio mediatico". Se poi questo puritanesimo abbia portato a dei reali vantaggi per la condizione delle donne, due studi americani, pubblicati nel 2019, hanno evidenziato come il movimento femminista non abbia portato reali benefici alle donne. Un flop a tutto tondo.

Alberto Simoni per lastampa.it il 4 ottobre 2022.

Nella lega statunitense di calcio femminile (NWSL, National Women Soccer League), «gli abusi e le condotte inappropriate – verbali, psicologiche e sessuali - erano diventate sistemiche e diffuse fra molte società e allenatori». Così Sally Q. Yates, procuratrice chiamata un anno fa a fare luce sulle denunce di abusi e comportamenti nel mondo del soccer femminile, ha scritto nel suo rapporto lungo 172 pagine diffuso ieri. 

Un vero e proprio atto d’accusa che rischia di minare le fondamenta stesse di un movimento – quello del calcio femminile – popolarissimo negli Stati Uniti.

La NWSL era stata accusata lo scorso anno dopo che un articolo di The Athletic aveva evidenziato l’esistenza di accuse per abusi sessuali contro Paul Riley, capo allenatore della North Carolina Courage. L’articolo era basato sulle rivelazioni e i racconti di una dozzina di atlete che erano state allenate da Riley. L’allenatore ha negato la maggior parte delle accuse che gli sono rivolte. Il rapporto Yates dice che la lega e i team non hanno implementato «misure basilari» a tutela della sicurezza delle ragazze. Inoltre la NWSL non è stata in grado di «rispondere in modo appropriato alle lamentele dei giocatori e alle prove di abusi».

La presidente dello U.S. Soccer (United States Soccer Federation, la lega che governa il calcio femminile) Cindy Parlow Cone ha detto che quanto rivelato dall’inchiesta «spezza il cuore e crea profondo turbamento». «Gli abusi descritti non hanno scuse». 

Il rapporto Yates ha rivelato che gli abusi e le violenze psicologiche e verbali contro le giocatrici erano ben note alla U.S. Soccer e alla NWSL ben prima che The Athletic ne scrivesse. Nel report sono citati diversi esempi.

Fra questi quello di un coach che aveva invitato un’atleta a rivedere a casa sua la partita di calcio del fine settimana e le aveva invece mostrato un film hard. Un altro allenatore ha obbligato diverse giocatrice ad avere relazioni sessuali, un comportamento che lo aveva poi portato a essere esonerato dal proprietario del team. Ma quando questo allenatore poche settimane dopo era stato assunto da un team rivale, la squadra di prima, pur avendo le prove dei suoi comportamenti, aveva preferito tacere.

Il report ha evidenziato infatti che violenze e abusi erano noti a ogni livello – manager, proprietari, allenatori – ma che nessuno ha mai fatto nulla per stroncare o denunciare questi atti. Le giocatrici che avevano provato ad alzare la voce e a denunciare alcuni comportamenti venivano boicottate e umiliate negli allenamenti.

In un clima di totale omertà, denuncia il report, «si sono moltiplicati gli atteggiamenti predatori dei coach» che hanno potuto muoversi indisturbati da squadra a squadra. Sono tre gli allenatori maggiormente coinvolti: si tratta di Paul Riley, Rory Dames e Christy Holly che lo scorso anno era stato repentinamente licenziato dai Racing Louisville senza spiegazioni. Accuse infatti sui suoi comportamenti non erano mai uscite sui media, a differenza invece che per Riley e Dames.

Andrea Ossino per repubblica.it il 2 ottobre 2022.

Un filmato mette in discussione l'aggressione subita dall'ex letterina Alessia Fabiani. O almeno è questo che sostiene l'ex compagno nella denuncia depositata un paio di giorni fa, un atto in cui l'imprenditore Fabrizio Cherubini, video e prove in mano, accusa la donna e il nuovo compagno di aver commesso una falsa testimonianza. 

La storia inizia nel 2016, quando Cherubini, secondo i pm, avrebbe aggredito l'attrice "stringendole il collo, colpendola con schiaffi e spinte, tanto da cagionarle in un'occasione le lesioni, nonché danneggiandole gli effetti personali", dicono gli atti in cui vengono narrati insulti e minacce.

La faccenda è finita in tribunale, anche se a un certo punto la procura aveva chiesto di archiviare l'indagine: la "diffusa litigiosità in cui i singoli episodi appaiono slegati gli uni agli altri", non permette di sostenere un'accusa di maltrattamenti. E le lesioni non sarebbero supportate da una denuncia, visto che la Fabiani avrebbe rimesso la querela. 

Una circostanza, quest'ultima, negata dalla donna. L'attrice infatti disconosce la firma apposta nella remissione di querela e dice di essere stata disposta a far cadere le accuse solo in virtù di una scrittura privata in cui Cherubini avrebbe prospettato una situazione rosea in sede di separazione, salvo poi non mantenere gli accordi presi. 

Quindi la causa è andata avanti e la Fabiani ha depositato un certificato medico in cui si parla di ecchimosi ovunque, ematomi al cuoio capelluto e alla mandibola, contusioni al collo, ferite da morso al labbro, tumefazioni vicino all'orecchio e anche numerosi lividi alle braccia. "Due giorni dopo (l'aggressione, avvenuta nell'aprile 2016 ndr) andai ad Avezzano a ritirare un premio sempre teatrale e dovetti farmi tutta un'acconciatura che mi copriva questa parte perché avevo un livido", ha ricordato la donna in aula lo scorso 21 aprile, tentennando tuttavia sulla data del referto medico e anche sul luogo. 

Ma è anche sulla base di questa narrazione che è stata denunciata per falsa testimonianza. Alla denuncia è stato allegato il video girato al Festival di Avezzano, appena due giorni dopo l'aggressione denunciata: "dalla visione del filmato la Fabiani che si presenta con un vestito scollato, con le braccia coperte da un solo velo trasparente, non presenta lesioni", afferma Cherubini, che a proposito della remissione di querela afferma sia stata detta un'altra menzogna che "ha generato il procedimento penale". 

L'elenco delle falsità sarebbe lungo e, come spiega l'avvocato dell'imprenditore, il penalista Emanuele Mancuso, "i fatti rappresentati trovano riscontri nei documenti allegati alla denuncia". Non è la prima volta che la Fabiani finisce negli atti degli investigatori. L'ultima volta il cognome dell'ex letterina era stato scritto nei documenti del procedimento ai Casamonica a causa delle telefonate con "Chicco", Guerino Casamonica. Si era parlato di cessioni di droga, ma poi le accuse per Chicco erano cadute. Le telefonate invece restano.

Da fanpage.it il 30 settembre 2022.  

Devis Mangia. Il ct italiano è stato sospeso temporaneamente dalla federazione di Malta per un presunto caso di molestie sollevato da alcuni calciatori.

Le accuse di molestie sessuali hanno travolto Davis Mangia, sospeso temporaneamente dalla federazione di Malta. Notizie false e infondate, così le ha definite attraverso un comunicato: "È mio dovere precisare di non aver mai tenuto, né ora né in passato, condotte lesive della dignità personale o sessuale di alcuno, men che meno di un giocatore o di un altro membro della Federazione".

Ma la smentita, proclamare innocenza ed estraneità ai fatti, non gli è servita per conservare il posto di commissario tecnico della nazionale. È Davide Mazzotta, già suo vice, a guidare la selezione e al termine dell'amichevole vinta contro Israele è sembrato spezzare una lancia in favore del collega: "La squadra ha reagito a un momento difficile e gli ha dedicato il successo", ha ammesso.

Come stanno realmente le cose? Il presunto caso di abusi nasce da una segnalazione arrivata sul tavolo della federazione da parte di un calciatore della nazionale. E adesso rischia di complicarsi. A distanza di poche ore dalla presa di posizione dell'allenatore (che ha dato piena disponibilità affinché si faccia chiarezza al più presto), c'è stato un altro giocatore che ha sollevato la questione. 

Mangia è stato anche commissario tecnico della Nazionale Under 21 italiana.

Ne parlano sia netnews.com.mt (che cita una registrazione durante il programma Replay che proverebbe quanto accaduto) sia il giornale timesofmalta.com. "Il caso sembra essere successo più di un anno fa – le parole del presentatore Christian Micallef – e presumibilmente ci sono registrazioni che sono la prova di quanto accaduto".

Adrian Delia (politico, avvocato ed ex presidente del Birkirkara) martedì sera ha presentato denuncia a nome di un altro tesserato. La sua identità è rimasta segreta, così come nulla è trapelato sul contenuto dettagliato della relazione. Quel che si sa è abbastanza per aggrovigliare la matassa: le motivazioni sarebbero le stesse del precedente atto formale, si attende solo che la federazione istruisca una commissione disciplinare straordinaria per valutare tutti gli aspetti e le prove, concedendo al commissario tecnico la possibilità di difendersi. 

Mangia (ex ct dell'Under 21 Azzurra) è a capo della nazionale di Malta dal 2019, in questi tre anni grazie al suo lavoro la squadra ha fatto buoni progressi a livello internazionale scalando posizioni (ben 15, dal 184° al 169° piazzamento) nel Ranking Fifa. Il suo contratto scadrà tra un anno (dicembre 2023), il caso scoppiato è un brutto incidente di percorso rispetto a quanto fatto finora.

I media locali citano anche un precedente a carico del ct. Una vicenda simile che risale ai tempi dell'esperienza sulla panchina dell'Università di Craiova: allora nei confronti di Mangia vennero sollevati sospetti per una relazione inappropriata con un calciatore. Era stato un ex allenatore, Victor Piturca, a parlare di apprezzamenti rivolti dal tecnico al giocatore. Ma quell'accusa cadde del vuoto: si rivelò infondata perché non ci furono riscontri né prove che confermassero quella presunta condotta illecita.

Da repubblica.it il 3 ottobre 2022. 

Il ct della nazionale maltese, Devis Mangia, è stato denunciato alla polizia per presunta cattiva condotta sessuale dalla Federcalcio di Malta. L'ex tecnico degli azzurri Under 21 è stato temporaneamente sollevato dai suoi incarichi la scorsa settimana dopo che un giocatore della nazionale lo ha denunciato per comportamenti inappropriati attinenti alla sfera sessuale, sostenendo di avere anche una registrazione delle proposte ricevute. 

Accuse respinte, unitamente a quelle formulate anche da un altro calciatore, dal 48enne tecnico lombardo. La cattiva condotta sessuale è un termine legale che si riferisce a qualsiasi tipo di comportamento sessuale che fa sentire un'altra persona violata o a disagio, a prescindere da un effettivo contatto sessuale fisico. 

La Federcalcio maltese ha affermato anche di stare valutando "attivamente" e "costantemente" tutti gli sviluppi. "Sebbene il caso sia ancora nella fase delle accuse, la gravità delle affermazioni rende imperativo per l'Associazione chiedere consiglio sia alla FIFA che alla UEFA, adottando lo stesso approccio utilizzato nei casi relativi a problemi di integrità nel calcio internazionale".

Mangia è rientrato in Italia la scorsa settimana ma il presidente della MFA, Bjorn Vassallo, ha chiarito che non si è trattato di una fuga ma di un congedo già richiesto. La stessa Federcalcio, riunita d'urgenza con il cda, ha approvato la decisione sulla sospensione temporanea del tecnico, deferendo la questione al Consiglio di salvaguardia della federazione per indagare. 

Sulla questione è intervenuto il presidente della Uefa, Aleksander Ceferin, durante il Congresso Aips-Ussi: "Conosco la questione. Ho parlato con la Federazione maltese in questi giorni e credo che si stiano già facendo indagini per capire meglio cosa è successo. E' una questione molto seria, preferisco non parlare non conoscendo i fatti e i risultati dell'inchiesta. Non vedo perché la Uefa dovrebbe prendersi responsabilità: certamente dovremo aiutare a risolvere il caso, ma come potevamo sapere cosa sarebbe successo?". 

Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera” il 28 settembre 2022.

Un'accusa di «violenze psicologiche» sulle donne e il leader dei Verdi è costretto a dimettersi. A metterlo nell'angolo è proprio una compagna, anzi una rivale, di partito, che alcuni già definiscono nuova Robespierre, priva di ghigliottina ma abile a maneggiare i media. 

Julien Bayou, 42 anni, è deputato di Parigi e fino a due giorni fa era anche il segretario nazionale dei Verdi francesi. Ha preso la guida del partito dopo una lunga militanza nelle ong ambientaliste, in difesa dei precari e contro le diseguaglianze. Un tratto contestatario forse ereditato dalla madre, persa a 5 anni, che da ragazza a Nizza aiutava gli indipendentisti algerini.

Sandrine Rousseau, 50 anni, anche lei deputata ecologista di Parigi, è la personalità emergente della politica francese. Economista ed ex vice-presidente dell'università di Lille, interpreta l'impegno ambientalista come indissolubile da quello femminista: secondo lei viviamo nell'«androcene», l'era del capitalismo sfrenato, del riscaldamento climatico e del patriarcato, mali intrecciati. 

Julien Bayou è stato costretto a dimettersi da leader dei Verdi dopo che Sandrine Rousseau lo ha definito in diretta tv «responsabile di fatti tali da rovinare la salute mentale delle donne», evocando il tentato suicidio della sua ex compagna dopo una separazione difficile. Lontano dalle telecamere Rousseau ha poi precisato al conduttore della trasmissione che «non c'è niente di penale», ma ormai la macchina si era messa in moto.

L'ormai ex leader ecologista ha annunciato le dimissioni per potersi «difendere meglio», e la sua vicenda ha preso proporzioni notevoli perché racchiude molte delle questioni che agitano la società non solo francese, dal movimento MeToo in poi. 

«Sono accusato di fatti che ignoro - dice Bayou - che le mie accusatrici definiscono privi di rilevanza penale, e comunque non posso difendermi perché non riesco a essere ascoltato». La donna che si dice vittima delle «manipolazioni» e delle «violenze psicologiche» di Bayou non ha presentato denuncia alla polizia ma ha mandato un'email alla «cellula interna» del partito che si occupa dei comportamenti lesivi della parità uomo-donna. Una sorta di tribunale parallelo che esiste anche nella France Insoumise, il partito alleato nella coalizione di sinistra Nupes. 

Da un lato queste «cellule» esistono per incitare gli aderenti a comportamenti irreprensibili, dall'altro possono tornare utili per evitare che certe vicende diventino di dominio pubblico rovinando l'immagine del partito. A meno che qualcuno, in questo caso Sandrine Rousseau, si incarichi di svelare in tv un procedimento in corso.

Bayou sostiene di avere chiesto per ben quattro volte alla cellula del partito di essere ascoltato, in modo che la sua versione venisse messa a confronto con quella della sua ex compagna, ma non gli è mai stata concessa udienza, La legale Marie Dosé, molto nota a sinistra, sostiene che è stato il suo assistito a essere vittima di pressioni, ricatti morali, e di messaggi molto pesanti da parte dell'ex compagna. 

Per esempio «la tua caduta sarà dolorosa», «ti metterò in condizione di non danneggiare nessun'altra», e «tua madre vomita su di te, ovunque si trovi adesso». Sandrine Rousseau avrebbe approfittato della debolezza di una donna in difficoltà per eliminare il rivale in vista del congresso di dicembre. Già durante le primarie, Rousseau era stata accusata di strumentalizzare la lotta femminista a fini personali, quando aveva montato un caso contro il rivale Eric Piolle che l'avrebbe «spintonata» con maschile prepotenza (Piolle disse che nella folla aveva indietreggiato e non si era neanche accorto di averla scontrata).

Bayou si dichiara vittima di una caccia all'uomo nella quale la nozione generica di «violenza psicologica» basta per rovinare una persona. Alcune femministe, come l'altra ecologista Raphaëlle Rémy-Leleu, denunciano la tendenza maschile a «imporre il proprio racconto», e a far passare per squilibrate le donne che osano denunciare maltrattamenti, fisici o psicologici che siano. Difficile districarsi, soprattutto se la giustizia non è chiamata ad accertare i fatti.

Il caso del senatore. Molestie, questione troppo seria per il giornalismo italiano. Angela Azzaro su Il Riformista il 23 Settembre 2022 

Più si legge sulla vicenda che vede coinvolto un senatore della Repubblica, più la questione – serissima – delle molestie e del potere che si esercita passa in secondo piano. Ciò che prevale non è tanto l’appurare i fatti, ma dare in pasto ai lettori, condita con pruderie e voyeurismo, una storia che avrebbe meritato ben altro rispetto. Sia che le accuse siano vere, sia che le accuse siano false prima di dare il risalto mediatico che in questo caso è stato dato andrebbero vagliate meglio, proprio nel rispetto di tutte le parti in causa. Garantismo? No, buon giornalismo.

Dal Metoo siamo state poste davanti a questo crinale: le sacrosante denunce da una parte, la strada della giustizia dall’altra e in mezzo la narrazione di giornali e tv. Lo abbiamo chiamato processo mediatico. Purtroppo questa logica, se all’inizio è riuscita a scalfire il muro di omertà, via via ha preso la piega della giustizia sommaria, dei processi di piazza e soprattutto delle speculazioni tese, non a denunciare un modello di società, ma a vendere e a fare audience. Le storie che abbiamo letto negli anni, persa la cornice dei diritti che le dovrebbe inquadrare, diventano macchine del fango che poi spesso si ritorcono contro le donne. Certo, non si deve tacere. È compito del mondo dell’informazione raccontare, approfondire, fare giornalismo d’inchiesta. Ma della vicenda di cui abbiamo letto in questi giorni sui giornali non convince prima di tutto il modo e i tempi in cui è stata resa nota. Se proponi il servizio pochi giorni prima delle elezioni diventa molto difficile che non si sollevi la questione di essere un attacco politico, per screditare le persone e i partiti coinvolti.  E questo non fa il gioco di chi denuncia, ma semmai la rende meno credibile, meno autorevole.

Poi i fatti. Quelli che andrebbero trattati, sempre, con grande cura e attenzione perché nessuno dovrebbe usare il proprio mestiere per stimolare risposte di pancia, per aizzare la piazza, per chiedere di scagliare la prima pietra. Questo è vero per tanti ambiti della cronaca e della politica. Ma più che mai lo è per un tema così importante, in un Paese dove il numero di femminicidi è sempre altissimo. Dovremmo avere una cura maggiore. Dovremmo sapere che il cambiamento necessario passa in primo luogo dalla capacità che la politica, l’informazione, la cultura hanno nel costruire un discorso pubblico che non faccia nessuna concessione al voyeurismo e alla giustizia sommaria.

Tante intellettuali da anni ci avvertono di questi rischi e continuano a battersi contro le molestie. La scrittrice canadese Margaret Atwood (sta uscendo la quinta stagione della serie il Racconto dell’ancella tratta dal suo romanzo) lo ha detto molto bene: attente a non fare concessioni alla caccia alle streghe perché le streghe siamo e restiamo sempre noi. Lea Melandri, fin dall’esplodere del Metoo, ci aveva avvisate: si tratta di un fenomeno che tende a spettacolizzare il tema delle molestie e della violenza sulle donne. Rispetto al dibattito del passato, l’attenzione mediatica è scemata, ma quando se ne parla si cade sempre nelle stesse trappole e negli stessi stereotipi. Eppure bisogna continuare a denunciare, parlare, chiedere che la politica metta questo tema al centro della propria riflessione e delle proprie proposte. Non lo fa, purtroppo. Ma la strada della spettacolarizzazione, del guardare dal buco della serratura, non genera cambiamento. Non produce consapevolezza. Scrive solo una nuova brutta pagina di giornalismo.

Angela Azzaro. Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica

Richetti e Paul Haggis: quando la vittima è l'uomo. Annarita Digiorgio il 24 Settembre 2022 su Il Giornale. Anche gli uomini possono essere vittime di violenza, ma gli stereotipi non lo contemplano.  

Il panpenalismo ha fatto si che negli ultimi anni nel nostro Paese venissero introdotti nuovi reati e decine di aggravanti sulla scia della cronaca, degli allarmi sociali, e dei fenomeni mediatici.

Mai però, dagli stessi, si ricava una lezione quando vengono smontati.

Il caso Richetti che ha occupato buona parte del dibattito politico nell’ultima settimana di campagna elettorale, se non fossimo stati a una settimana dalle elezioni (ma forse a maggior ragione perché lo siamo) avrebbe potuto divenire occasione di dibattito pubblico sulle violenze subite dagli uomini, i processi mediatici, l’assurdità del codice rosso firmato dal guardasigilli Bonafede, e la facilità con cui si condannano gli innocenti, che tali restano fino al terzo grado, anche se sono maschi e se il reato di cui sono accusati è stupro.

Che in questo caso il protagonista fosse un candidato alle elezioni, e che lo scandalo sia scoppiato a pochi giorni dal voto, aggrava solo una circostanza che meriterebbe di essere analizzata anche se capitasse, come capita, a un qualunque cittadino di questo Paese.

Poiché il processo penale non si celebra sulle statistiche, e le persone, come i fatti, non sono mai uno uguale all’altro. Come non esistono pene esemplari, e condanne un tanto al chilo.

Di uomini vittime di violenza, stalking, abusi, ricatti, da parte delle donne, anche nelle mura domestiche, ce ne sono tantissimi. Ma denunciano ancora meno delle donne perchè, alle difficoltà comuni con il genere femminile, si aggiunge lo stigma della vergogna che subisce il “maschio alfa” che diventa vittima di una donna.

Ma non volendo cadere nel cliché inverso, ed eludendo dal trasformarlo in fenomeno sociale, il punto resta che anche fosse un solo uomo vittima di violenza femminile, merita le stesse garanzie mediatiche, sociali, e penali di una donna.

La mancanza di informazione sul tema rende solo l’eventuale caso di specie meno riconoscibile, e i protagonisti meno degni di giusta valutazione.

Non è un caso che alla luce dello scoop sul caso Richetti, le più risonanti voci di politici (del Pd) e intellettuali (Michela Murgia) si siano scagliate immediatamente a difesa della donna, presunta vittima ma certa accusatrice, rispolverando il concetto della difficoltà delle donne nel denunciare le violenze, e per tanto meritevoli di difesa mediatica e politica a prescindere. A questo si è innegabilmente aggiunta l’occasione di colpire un avversario politico.

Ma quel concetto, giusto e corretto per centinaia di casi, non valeva in questo. Dove la vittima, come emerso da ulteriori dettagli, è proprio Richetti, cioè l’uomo.

Il precedente dell'ultima estate

Eppure c’era un caso simile, in questi giorni alle cronache, che almeno avrebbe potuto far esitare un attimo prima di lanciarsi in difesa della donna, in quanto tale.

Il regista canadese Paul Haggis lo scorso luglio è stato arrestato in Italia mentre dirigeva un festival a Ostuni, perché una donna dopo aver trascorso tre giorni con lui, lo ha accusato di stupro.

Difronte alla denuncia della donna il giudice delle indagini preliminari di Brindisi ha messo agli arresti Paul Haggis per “l’assoluta incapacità di controllare i propri istinti e di desistere dai propri propositi in un contegno di prevaricazione e dominanza”. Nel frattempo la notizia ha fatto il giro del mondo e il regista è diventato un mostro. Regione Puglia che organizzava il festival gli ha chiesto di non partecipare agli eventi.

Due settimane dopo però gli arresti sono stati revocati perche le indagini hanno mostrato “l’assenza di contegni violenti costrittivi da parte dell’indagato al fine di consumare gli atti sessuali. Le modalità di incontro tra indagato e persona offesa la spontanea permanenza della donna presso la residenza dell’indagato anche successivamente agli abusi, i momenti di convivialità tra loro durante le giornate o l’ordinaria messaggistica dei propri impegni/spostamenti, le modalità di commiato adottate dalla persona offesa - si legge nell’ordinanza- sono espressione di una complessità di interazioni tra le parti che, anche laddove meritevole di approfondimento, allo stato affievolisce il giudizio negativo della personalità di Haggis quale soggetto incline a esercitare violenza, fisica o psichica, in danno di terzi”.

Non contenta la procura di Brindisi ha fatto appello contro la scarcerazione, ma il riesame di Lecce ha confermato la caduta delle accuse: “le notevoli incongruenze e le contraddizioni evidenziate nell'analisi della versione della denunciante gettino pesanti ombre sulla sua attendibilità compromettendo notevolmente il requisito della gravità indiziaria. Ci sarebbero numerose incongruenze idonee a sollevare il dubbio sulla veridicità delle rappresentazioni della denunciante". Vengono riportate le trascrizioni di alcune conversazioni tra la presunta vittima e il regista nei quali si evince chiaramente "un corteggiamento che la donna rivolge al regista al fine di incontrarlo e passare alcuni giorni in sua compagnia, probabilmente per instaurare una relazione personale, più che professionale, tanto che decide di condividere la medesima camera e, dunque, lo stesso letto". Di questa donna, si sottolinea ancora, si evince "la personalità volitiva e determinata che mal si concilia con la descrizione della vittima quale donna debole e soggiogata dalla personalità dell'indagato".

Insomma tra Paul Haggis e la donna che lo accusava di stupro, la vittima era lui.

Ma neppure questo caso, risolto proprio durante i giorni del Richetti gate, ha fatto pensare immediatamente che la vittima potesse essere l’uomo. L’unico è stato Calenda, per evidenti ragioni di opportunità politica e conoscenza dei fatti.

Ma se come abbiamo detto il profilo pubblico della persona coinvolta oggettivamente rischiava di condizionare l’esito elettorale (e infatti Azione ha querelato Fanpage per lesione d’immagine), un episodio simile può accadere a chiunque lontano dalle telecamere e dalle elezioni. Magari senza neppure la controffensiva mediatica a difesa.

Mentre sarebbe utile per chiunque imparassimo tutti a giudicare le persone scevri dagli slogan che allontano dalla verità e dagli stereotipi che macchiettizzano i fenomeni sociali.

Anche un uomo può essere vittima di una donna.

Per qualcuno la parità passa anche da qui.

Natalia Aspesi per “la Repubblica” il 19 settembre 2022.

La prima fantasia fu puro horror: il corpaccio nudo di un ciccione anziano schiacciato sopra quello, fragile, arreso, offeso e consenziente per necessità di una giovane preda indifesa. Poi il mio pensiero pratico fu, ma come fa quel vecchiaccio di potere nel mondo dello spettacolo, a farsene così tante senza restarci secco? E infine il guizzo maligno della inestinguibile ferocia tra donne: era davvero impossibile dire no grazie, lei mi fa vomitare, se voglio far la diva mi trovo un'altra strada perché sono giovane, bella, intelligente e preparata e me lo merito, e se no pianto lì e mi metto a studiare astrofisica e scelgo un altro mestiere?

E se no perché non sbrigarsela il più in fretta possibile e poi non pensarci più, come quando si toglie un dente, ed è la lunga crudele storia di sopravvivenza delle femmine, per poi spassartela per tutto il resto della vita? Ma la notte del 7 gennaio 2018, ai 75° Golden Globe, quella storia divenne il grande indimenticabile spettacolo dell'ennesima rivolta femminile.

Sul tappeto rosso avanzava una folla di donne belle e ridenti, in marcia verso un avvenire senza stupri né altre violenze né "inequality" (disuguaglianze), tutte vestite di nero, non un lutto ma un'arma, tutte sexissime, tutte combattive, invincibili, una nuova tappa della storia del femminismo, anche se molto americana. 

Cinque anni fa, a Hollywood, il Me Too veniva rilanciato spettacolarmente e diventava globale: non solo qui da noi Asia Argento, autodefinitasi pure lei vittima dell'orco sfrenato, ma oltre il mondo del cinema, nella vita di tutte le donne e non solo.

L'orco è l'ex ras della produzione cinematografica Harvey Weinstein, che ora ha 70 anni, è in galera con una condanna definitiva di 23 anni: gliene rimangono 21 più altri, calcolati addirittura in 150, che potrebbero comminargli per nuove denunce. 

L'ultima notizia che viene dal carcere dove è rinchiuso è che è stato scoperto a divorare cioccolatini di contrabbando e quindi molto redarguito: non per eccesso persecutorio ma perché i medici glielo hanno proibito essendo in pessimo stato ciccionesco. Io pensavo a questa jus primae noctis che nei secoli le donne hanno dovuto pagare per esistere, sino a quando non avevano che il loro corpo come merce di scambio: ma adesso, con gli uomini sempre più spaventati o forse proprio per questo più feroci?

Mi venivano in mente che in tempi molto più grami, nella stessa possibile situazione, ragazze di rara bellezza, e intelligenza, e dignità, come Sofia Loren o Silvana Mangano, se l'erano meravigliosamente cavata sposando il produttore che le avrebbe poi protette e salvate dal mondo sporcaccione del cinema. 

Noi sempliciotte e di scarsa seduttività come ce la cavavamo, in attesa del grande amore che si ostinava a evitarci? Un metodo sicuro era quello, trovandosi sole con uno pseudorapace, o divertirlo e si sa che nulla è meno erotico della risata, oppure annoiarlo con tale perseveranza chiacchierina da fargli solo desiderare la fuga.

Ancora in dubbio su come giudicare le sentenze inappellabili del Me Too, mi rubarono Kevin Spacey e il futuro eterno di House of Cards. Lo accusava di violenza non una signora ma un attore ignoto che l'attore celebre avrebbe circuito quando costui era un ingenuo fanciullo di 14 anni che non si sa come si trovava a casa sua. 

Era il 1986, al momento della rivelazione erano passati 31 anni: non è che nel frattempo, ammesso che fosse vero, il criminale che comunque non ne aveva memoria, si era redento, affidandosi alla benevolenza di Santa Redegonda o anche solo dell'impotenza?

Per me spettatrice fu una decisione immorale perché puniva anche me che non avevo alcuna colpa, come poi ha punito gli appassionati di altri attori, registi, direttori d'orchestra, tenori, politici, non sempre approfondendo: e i capireparto, e gli chef, e i manager, e i questurini, e i padroni di casa, e i direttori, e i colonnelli, e i vescovi, e gli a.d., e il capo commesso, e il professore e tutti quei maschi al comando anche nella confezione delle verdure fresche, non tutti votati alla castità sul lavoro, in quanti sono stati denunciati da chi di quel magro lavoro sopravvive e deve tacere?

E così, villanamente ho pensato: aderire al Me Too è il gesto di una classe privilegiata, riservato alle donne che ce l'hanno fatta e ricordano un dolore antico di cui oggi possono vendicarsi e ottenere giustizia.

Ma anche: la maggior parte delle accuse riguardano il passato, come mai scarseggiano quelle del presente? Gli uomini di potere hanno imparato a chiedere il permesso e a soprassedere se non viene dato per scritto, oppure nulla è cambiato e lo si rivelerà fra vent' anni, ammesso che sia ancora concesso?

Ormai la nostra vita è regolata dalle mode, anche il Me Too si sta già estinguendo, non è più ovvio che le donne abbiano sempre ragione, vedi il processo Depp: se hanno torto, hanno torto. In questi ultimi cinque anni gli uomini si sono presi delle paure tremende, e a parte il Me Too, ci hanno lasciato in ogni campo molto spazio, illudendoci e forse danneggiandoci, pur di tenerci quiete, premi letterari, cinematografici, dizionari femminilizzati, corsi obbligatori per la parità: e il risultato è che le donne continuano, come dice il nuovo giornalismo, "a fare capolino" però lì si fermano. o peggio: il Me Too molte violenze in meno le avrà ottenute, ma non nei rapporti cosiddetti d'amore, quindi anche di odio: se si può indicare un suo fallimento è che in questi ultimi cinque anni gli uomini hanno continuato a uccidere quella che considerano non la loro compagna ma la loro donna, un loro possesso di cui possono disporre sino appunto alla morte.

Anche dopo il Me Too gli uomini continuano a uccidere. Natalia Aspesi su La Repubblica il 14 Settembre 2022.

Ormai la nostra vita è regolata dalle mode e anche questa si sta già estinguendo. Non è più ovvio che le donne abbiano sempre ragione, e continuano a morire per mano di mariti e compagni

La prima fantasia fu puro horror: il corpaccio nudo di un ciccione anziano schiacciato sopra quello, fragile, arreso, offeso e consenziente per necessità di una giovane preda indifesa. Poi il mio pensiero pratico fu, ma come fa quel vecchiaccio di potere nel mondo dello spettacolo, a farsene così tante senza restarci secco? E infine il guizzo maligno della inestinguibile ferocia tra donne: era davvero impossibile dire no grazie, lei mi fa vomitare, se voglio far la diva mi trovo un’altra strada perché sono giovane, bella, intelligente e preparata e me lo merito, e se no pianto lì e mi metto a studiare astrofisica e scelgo un altro mestiere? E se no perché non sbrigarsela il più...

Me Too, una ribellione che ci ha liberate. Chiara Valeriosu La Repubblica il 14 Settembre 2022.

Il 5 ottobre 2017 nasceva il movimento femminista globale contro le molestie e le violenze sessuali. A cinque anni da quella protesta, ecco perché è cambiato tutto

Tutte le donne che conosco, me compresa, hanno subito almeno una molestia. La molestia ha a che fare con qualcuno che abusa di una confidenza fisica o linguistica che non gli è stata accordata, e in questo abuso, quasi sempre, si annidano il ricatto, la vergogna, e l’impunità derivante dalla certezza che il mondo sia in un modo e non in un altro.

Barbara Costa per Dagospia il 10 settembre 2022.

“Non me la racconti zocc*la!”, che non te la fai con quel cavallo, ma pure con quell’alano, e t’ho visto, che “strizzavi l’occhio a quel pesce rosso”, e che hai in rubrica, segnato, “il numero del merlo di tua cugina!”. E se a questo rimproverarti è la tua fidanzata, una che al primo appuntamento “mi tolse gonna e camicetta con l’occhio sinistro, e col destro la biancheria intima”, e con cui sc*pi “a letto con sopra uno specchio, e ce n’è uno sopra il divano, uno sopra il tavolo della sala da pranzo, nell’atrio del palazzo, e uno dell’ascensore”… una relazione così sadomaso e appassionata, la tronchi per il primo quadrupede o insetto o uccello che ti passa davanti?

Sì, e per pura strategia di pubblicità, se sei una starlet in rotta con la stampa che conta per aver dichiarato, sulla scia di Miley Cyrus, che sei una squinzia “letteralmente aperta a qualunque esperienza tra consenzienti purché non coinvolga animali”, e di colpo ritrovandoti senza followers bestiole. 

Continua pure a leggermi, non sono impazzita, sto benissimo ma mille volte meglio di me sta Woody Allen che in "Zero Gravity" (La Nave di Teseo), suo ultimo libro, si conferma il genio che è. Un giorno, ma con calma eh, mister Allen va per gli 87 anni, fa lo scrittore di professione da quando ne aveva 15, e non in Francia dove lo celebrano, e non negli USA che come si sono criticamente  ridotti già è tanto che Allen non lo mettano in galera, ma qui in Italia, quanto tempo ancora deve passare, prima che si onori ma appieno la rivoluzione e la scuola che, col suo stile di scrittura e metodo e contenuti, Woody Allen è maestro?

L’Italia ha una sua grande scusante che non la discolpa, anzi: da noi, una satira siffatta non esiste (ok, è in Franca Valeri, ineguagliabile signora di intelligenza e di libri e di scrittura, che difatti se lo diceva da sé, che “a me fa ridere solo me stessa, oltre Woody Allen”): da noi quella che si mettono in bocca non è satira ma sfottò, una arte diversa di cui l’Italia è – solo per me? – insopportabile puerpera. 

"Zero Gravity" riporta i racconti che Woody Allen ha di recente scritto per il New Yorker più alcuni inediti, e stringo la mano a Alberto Pezzotta, traduttore che sa il fatto suo. A La Nave di Teseo hanno carattere nel pubblicare un libro impubblicabile per i canoni vigenti. Woody Allen è né sopra né sotto né accanto ogni politicamente corretto, le mode, ciò che meramente ti aspetti: lui è oltre, è sempre stato oltre, e solo Allen poteva sfornare un libro di surreale satira su quello che l’umanità occidentale è, nei suoi tremori, bollori, il chiodo fisso del sesso.

Non c’è fobia, follia, sozzeria pur zoofila che non esca dai tasti di Allen, lui umanizza aragoste, e mucche, pazze e assassine, e galline annoiate, cavalli quasi Rembrandt, e verga le donne, le donne che col MeToo sono tornate vergini, come no, ma in Allen fanno ciò che la gran parte fa e sa: introducono nella loro bocca, vagina, ma pure ano, il pene del potente di turno in ossequio a un patriarcato senza il quale, che farebbero…? La sapienza è sul “cofano filosofico d’una ciuccia benzina”… nella disillusione più umanamente concepibile, e no.

Non è la prima volta che Allen accoppia animali con gli umani, e sentimentalmente: ne "Tutto Quello che Avreste…", una pecora in lingerie è amante nel letto di Gene Wilder, ma i feticismi i più impronunciabili li trovi seminati nei film di Allen, scat compreso (in "Hannah e le Sue Sorelle", lo scat non lo vedi ma Allen te lo descrive e nei particolari… e ci ridi, passato il primo momento di orrore, che deve esserci, in te, spettatore, se un minimo di etica ti pulsa in cuore).

“C’è moralità se hai moralità”, dice non ricordo chi alla fine di "Radio Days". In Zero Gravity c’è quella alleniana. Che è amorale. Ovunque la si guardi. Zero Gravity ti vergognerai ad averlo tra le mani. Non ne parlerai agli amici. Men che mai al tuo partner. E però lo vorrai… Woody Allen è un dono. È titanico cervello. In azione. Su una macchina da scrivere. Lo confesso: io mi sono innamorata di lui quando dallo schermo mi ha detto che “le due parole più belle del mondo non sono ti amo, ma… è benigno!”. Ha torto??? Dai, ci puoi ridere: non ti guarda nessuno.

Barbara Costa per Dagospia il 9 ottobre 2022.  

Cos’è “l’involtino di vene blu” e “il guerriero dell’amore dall’elmo viola”? Sono due modi di chiamare il pene secondo le 13 pagine del thesaurus dalla vecchia redazione di "Playgirl" e, a proposito, se tra voi donne c’è a chi avanzano 12 euro, al mese, e non sa che farci, li può scialare su "Playgirl.com", per l’ennesima volta da poco rinato, e per vederci che…?

Uomini nudi, ma pure spulciare nell’archivio della storica rivista porno e leggerci frescacce tipo quelle che ho su riportato, e per questo motivo: se, al contrario di Playboy, Playgirl ha avuto una fortuna altalenante, è perché mai è riuscita diretta a parlare alle donne di sesso e di porno, e mi sa nemmeno oggi, e infatti: sessualmente e pornograficamente, che caz*o vogliono le donne? E qui caz*o sia inteso e come del quesito rafforzativo e come sesso di uomini che, come devono essere per fare impazzire una donna fino a farla scivolare sulle sue stesse secrezioni?

Domanda che rimarrà inevasa finché le donne, per lo meno quelle occidentali, non la smettono di cercare approvazione tenendosi stretta ogni reputazione. Che passa per la fessura che hanno tra le gambe, e per come la impiegano secondo un cervello non ancora autonomo da leggi maschili. Erika Lust e compagne non vogliono farsene ragione, ma non si potrà discernere di pornografia prettamente femminile fino a che questo femminile non creerà e svilupperà pensieri suoi e non in risposta, ancillare o rabbiosa, a ciò che l’uomo ha per sé e poi per la donna stabilito.

E infatti, Playgirl, nata nel lontano 1973, già dal nome scelto altro non era che risposta ancillare a ciò che un uomo, Hugh Hefner, aveva denudato e conquistato e su cui regnava sovrano. Hefner spogliava le donne, ne metteva ogni mese una specifica nel paginone centrale, con contorno di articoli di penne celebri? E Playgirl fece – e ancora fa – lo stesso, soltanto che al posto delle donne denuda gli uomini. Col risultato che il primo numero fece il botto della novità, i successivi non andarono male, ma già nel 1974 arriva un flessione costante.

Diversamente da Playboy che è andato in malora col web, Playgirl ha sempre boccheggiato in vendite, reggendo sullo zoccolo duro dei compratori gay. Verità che le cape del giornale aborrivano, come mettevano il muso se gli facevi notare che Playgirl era nato dalla mente – e dai soldi – di un uomo (Douglas Lambert), e che è vissuto su soldi e linea editoriale di uomini.

Sicché, non mi si tedi col femminismo, né col fatto che Playgirl era must per lettrici d’élite, plurilaureate, quando la verità è quella di Dian Hanson, gran editrice porno nel porno da una vita e che, la volta che quelle di Playgirl l’avevano interpellata perché non sapevano più a che santa votarsi per vendere, ella, Dian, glielo disse chiaro: “Ma quale élite, Playgirl lo comprano le donne semplici, casalinghe, domestiche, che vedo che lo sfogliano, e vi comparano i caz*i, e ci ridono”. 

E i caz*i, su Playgirl, come venivano trattati? Pagati bene, ma guai a dire una parola sulla loro possibile non eterosessualità. Playgirl i caz*i li truccava, con cerone e fondotinta, e turgidi li immortalava vieppiù in piscina, nell’acqua con uso di strumenti all’epoca ottimi ad elevarne la grandezza e, sebbene nei primi numeri i suoi uomini erano nudi ma girati di schiena (era vietato mostrare l’ano e giammai aperto, e vietato mostrarlo peloso) per poi cambiare idea e fotografarli frontali ma col pene celato, per poi mutare di nuovo idea e farlo vedere ma moscio, e infine ecco, sììì, avanti con l’erezione, ma come di controvoglia, come se vi si facesse un torto a omaggiarla.

E come hai preteso tu, Playgirl, di fare la pornografica rivoluzione femminista se manco sei stata tu la prima rivista a mostrare un uomo nudo??? Il primissimo nudo su magazine è del 1972, ed è Burt Reynolds su Cosmopolitan. Ma sapete quale è stato il difetto più grande di Playgirl? Poneva in copertina i più bei manzi star e ben vestiti (Elvis Presley, Robert Redford, e Harrison Ford, Antonio Banderas, Silvester Stallone, e Johnny Depp…) ma – a differenza netta di Playboy – tale invoglio non era preludio di loro svestiti all’interno!

I famosi non si spogliavano e, se trovavi in Playgirl qualche star nuda, al 99 per cento non gli vedevi il pene, il resto erano paparazzate, come i nudi integrali di Brad Pitt e Leonardo DiCaprio, i quali fecero causa a Playgirl mandandola quasi a c*lo all’aria. E il Playgirl versione italiana? È uscito nel 1994, ed è durato pochi mesi. Da noi neppure ai gay è piaciuto, eh, si vede che avevano di meglio!

Estratto dell'articolo di Arianna Finos per “la Repubblica” il 2 settembre 2022.

La divina Cate Blanchett torna a Venezia con un film che è una sfida (vi anticipiamo che l'ha vinta, ne dubitavate?) e che farà discutere: in Tár, ritorno al cinema dopo sedici anni del regista Todd Field, si racconta il mondo internazionale della musica classica attraverso la figura di Lydia Tár (Blanchett), ampiamente considerata una delle più grandi compositrici/direttrici d'orchestra viventi e la prima donna a dirigere una grande orchestra tedesca.

Il film (in sala a febbraio 2023 con Universal) la segue dall'apice dei suoi poteri creativi, di carriera e personali - vive con una violinista, hanno adottato una bimba - fino allo straziante declino. Un crescendo di accuse MeToo, video e mail rilanciati sui media: la accusano di aver favorito in orchestra la violoncellista di cui è invaghita, molestato donne in passato, perseguitato una musicista che poi si è tolta la vita. L'incontro con l'attrice è all'hotel Excelsior, giacca bianca, l'aria serena e sicura. (…)

Il film affronta tanti temi.

«È una creatura tentacolare. Mi sono svegliata stamani pensando che è una sorta di meditazione sul potere, istituzionale e creativo. Un potere in una relazione disuguale. Un direttore spesso parla dell'orchestra come del proprio strumento, ma è composta da molti individui, su cui ha il potere di nomina. 

Tu percepisci in alcune istituzioni, in particolare nel mondo della musica classica, in cui il canone è creato e diretto da maschi, che il potere è quello di un monarca. Che succede allora se sfidi il sistema per arrivare al potere? Sei consumato o alterato da questo? La relazione fragile che hai con gli impulsi creativi può essere distrutta». (…)

Il film è una storia di MeToo al contrario?

«No. Le molestie non sono una questione di genere. Ma se nel film si vede solo il MeToo è perché la questione è ancora aperta, c'è una rabbia non metabolizzata. Nel film il MeToo e la cancel culture sono funzionali alla trama, rappresentano il mondo che ci circonda. Non sono il centro». 

In una scena del film si nomina Placido Domingo.

«Tutti abbiamo seguito le sue vicende giudiziarie. Nel film i riferimenti sottili sono tanti». 

L'arte va divisa dalla persona?

«Davanti a un Picasso immagino cosa potesse accadere in quel suo studio, ma Guernica è una delle più grandi opere create. L'importante è esercitare, sempre, una critica sana. Il pregiudizio però non ti deve accecare. A 22 anni mi presero per Oleanna di Mamet, il testo mi pareva orrendo. Alle prove arrivai sprezzante e il regista urlò "sei di ostacolo allo spettacolo, ti faccio licenziare". Fu un trauma, ma imparai che al pubblico non serviva il mio giudizio: fu libero di discutere all'uscita, qualche coppia ha divorziato nel foyer». 

Da tgcom24.mediaset.it il 25 agosto 2022. 

Ancora guai giudiziari per Devin Ratray, l'attore 45enne che in "Mamma ho perso l'aereo" ha interpretato il fratello maggiore di Macaulay Culkin. A dicembre era già stato arrestato per violenza domestica, percosse e tentato strangolamento nei confronti della compagna. Ora, invece, è accusato di stupro da parte di una donna, Lisa Smith, per fatti che sarebbe avvenuti nel 2017. 

La presunta vittima ha raccontato che, la notte in cui sarebbe avvenuta la violenza sessuale, sarebbe stata drogata con una sostanza messa in un drink offerto proprio da Ratray. "Ricordo di essermi svegliata, ma non riuscivo a muovermi - ha svelato alla Cnn -. Non potevo davvero aprire gli occhi, ma potevo sentire cosa stesse succedendo". L'attore di "Mamma ho perso l'aereo" ha respinto le accuse e si è dichiarato innocente. "Non abbiamo fatto sesso", ha detto.

La Smith non aveva denunciato subito lo stupro, ma alcune settimane dopo. Ad ascoltarla nello Utah, dove viveva, era arrivato un detective della polizia di New York che, però, secondo il racconto della donna, non avrebbe compilato correttamente il rapporto, scrivendo che la presunta vittima non voleva sporgere denuncia.

La donna aveva poi avuto un colloquio con l'ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan, a seguito del quale non aveva più avuto notizie dalle autorità. Fino a quando, a un anno di distanza, aveva ritrovato gli abiti che indossava la notte della violenza e li ha inviati alla polizia, ma non avrebbe mai ricevuto un riscontro.

La polizia di New York ha respinto le accuse della Smith. "Il NYPD prende estremamente sul serio i casi di violenza sessuale e stupro ed esorta chiunque sia stato vittima a sporgere denuncia alla polizia in modo da poter svolgere un'indagine completa e offrire supporto e servizi ai sopravvissuti". Il dipartimento non ha, però, commentato l'indagine relativa a Ratray.

DAGONEWS il 13 agosto 2022.

La nipote del co-fondatore della Walt Disney ha accusato la compagnia di aver chiuso un occhio sulla cattiva condotta di Harvey Weinstein. Abigail Disney ha affermato in un'intervista a Rolling Stone che quello che faceva Harvey «era un segreto di Pulcinella» negli anni in cui la Disney possedeva lo studio Miramax di Weinstein dal 1993 al 2010. 

Abigail Disney ha parlato in relazione alla causa intentata contro Weinstein di Kaja Sokola, che aveva solo 16 anni nel settembre 2002, quando dice che Weinstein l'ha aggredita sessualmente nel suo appartamento di New York. 

«Tutti sapevano cosa faceva Harvey – ha continuato Abigail - Nessuno aveva la schiettezza morale per farsi avanti e dire: 'Beh, non qui. Non facciamo queste cose’. Penso che la Disney debba fare un passo avanti. Quando hai fatto una cosa sbagliata, anche solo voltandoti dall’altra parte, devi assumerti la responsabilità».

Sokola ha preso di mira anche la Disney, sostenendo che «durante il periodo in cui la Disney possedeva Miramax, la società Miramax ha pagato soldi per accordi con diverse  donne vittime delle molestie e degli abusi sessuali di Harvey Weinstein. Sulla base del controllo della Disney sulle finanze di Miramax, la Disney sapeva o avrebbe dovuto sapere di questi pagamenti». 

Al processo Sokola ha raccontato di aver incontrato Weinstein quando aveva 16 anni e lui 50 a un evento organizzato dalla sua agenzia per modelle: «La gente all'evento mi ha detto: “Questo è il re di Hollywood e può far sì che tutto accada”. E lui mi ha detto: “Se vuoi fare l'attrice, vedo che hai del potenziale e vorrei incontrarti a pranzo e discuterne”». Come si legge nelle carte della causa l'autista di Weinstein l'ha prelevata pochi giorni e li ha lasciati entrambi nel suo appartamento di SoHo.

Nell'appartamento Weinstein l'avrebbe costretta a togliersi i vestiti mentre "le afferrava il seno" prima di eiaculare sul pavimento. In seguito, dice che le ha impedito di provare a lasciare la sua casa, minacciando di porre fine alla sua carriera.

Per anni, gli avvocati di Weinstein hanno negato vigorosamente le accuse di Sokola. 

Gli attuali rappresentanti di Weinstein hanno detto a Rolling Stone che Weinstein ha acquistato l'appartamento di SoHo nel 2005, tre anni dopo il presunto attacco.

DAGONOTA il 9 agosto 2022.

È iniziato oggi il processo all’ex calciatore del Manchester United Ryan Giggs, accusato di violenze contro l’ex fidanzata, Kate Greville, e già emergono le prime bombette. Il giocatore, messaggiando con i suoi amici, l’apostrofava chiamandola “sgualdrina e stupida vacca”. 

Giggs, accusato anche di aggressione nei confronti della sorella minore di Kate, Emma, si è dichiarato non colpevole. Durante la relazione con Kate, Giggs ha avuto relazioni con almeno otto donne. 

Durante l’interrogatorio, Kate Greville ha descritto la relazione con il calciatore: all’inizio erano innamorati e andava tutto bene, poi lui è diventato violento: “mi dava della puttana e ha dato in escandescenze quando l’ho chiamato traditore”. Per le liti, in almeno due occasioni, Kate ha raccontato di essere stata cacciata due volte dalle camere d’albergo, nuda.

Salvatore Riggio per corriere.it il 9 agosto 2022.  

«Idolatrato in campo per le sue abilità, ma con un aspetto brutto e sinistro a porte chiuse». È stato definito così Ryan Giggs, ex stella del Manchester United ed ex c.t. del Galles (fino al giugno scorso), nel processo appena iniziato per le presunte violenze su Kate Greville, la sua ex fidanzata. 

Quest’ultima, attraverso il suo legale, ha raccontato di aver vissuto un incubo tra il dicembre 2017 e novembre 2020 con un «ciclo infinito di abusi emotivi e fisici», definendo la relazione come «tossica». Botte, calci nella schiena e anche una testata alla donna quando questa, dopo aver scoperto l’ennesimo tradimento del compagno, aveva deciso di preparare le valigie e andare via.

Un racconto da brividi quello dell’accusa – davanti ai giurati del Crown Court di Manchester – con Giggs che avrebbe anche gettato l’ex fidanzata fuori dalla sua stanza d’albergo completamente nuda, in preda a un raptus. «Diciamo che è stata una vita privata che ha comportato una serie di abusi, sia fisici che psicologici, di una donna che ha professato di amare, una donna con cui aveva una relazione e che ha trattato in un modo che non può essere scusato o ignorato né dall'adorazione del pubblico né dalla legge. Questa è una storia di controllo e coercizione di una donna che pensava di essere amata e rispettata. Purtroppo la realtà era molto diversa», le parole del legale di lei. 

Che ha citato anche dei messaggi inviati da Giggs, riguardo alla volontà della donna di lasciarlo: «Solo una str… malvagia e orribile lo fa. Semplicemente non posso credere che tu l’abbia fatto. Sono così arrabbiato in questo momento e mi sto spaventando perché potrei fare qualsiasi cosa». 

Da parte sua, l’ex esterno sinistro del Manchester United si è sempre dichiarato innocente: «Non ha mai usato violenza contro la signora Greville nel corso della loro relazione, non importa quanto le cose siano andate male. Tali accuse sono basate su distorsioni, esagerazioni e bugie. Non ha aggredito nessuno», le parole del suo avvocato. Il processo è appena iniziato e proseguirà nei prossimi giorni. Giggs a giugno si era dimesso da commissario tecnico del Galles (proprio a causa delle accuse di violenza). 

Era finito all’attenzione delle cronache per un’altra vicenda, decisamente più leggera di questa: sempre a giugno aveva dovuto incassare le critiche di molti clienti del suo ristorante – il «George’s Dining Room and Bar» di Worsley, Greater Manchester – scontenti come non mai per la qualità di cibo e servizio. Aperto nell’aprile dell’anno scorso insieme agli amici d’infanzia Kelvin Gregory e Bernie Taylor, l’elegante locale si vanta di avere «un delizioso menu british e un’ottima selezione di vini e cocktail», ma a giudicare dalle recensioni negative lasciate da alcuni ospiti su TripAdvisor, non sta riscontrando un grande successo.

Barbara Costa per Dagospia il 6 Agosto 2022.   

“Ho passato un sacco di tempo in ginocchio!”. E ancora: “Ci sono andata, a letto con i produttori, sarei una bugiarda se lo negassi. Faceva parte del lavoro. Tutte lo facevano! I produttori volevano un campione della merce e se non ci stavi tu, ce n’erano altre 25 pronte a dire sì”. Signori, ecco come si diventa Marilyn Monroe. Qualcuno ancora crede alla favoletta della povera orfanella che si riscatta a Hollywood? Scaltra, furba, furbissima era Marilyn! Che fosse dalla vita sopraffatta e indifesa è ideale costruzione. Postuma.

A 60 anni dalla morte, è ora di riequilibrarne il mito. E il virgolettato che ho riportato, lo trovi bello scritto in "Goddess", non nuova biografia della diva di Anthony Summers, uno che a indagare su fatti e fattacci di star e di politici, non aveva rivali. E lo scrive, Summers: Marilyn non aveva problemi, non si faceva problemi, a offrirsi a chi il potere a Hollywood ce l’aveva e una parte previo p*mpino – e se bene lo sapevi succhiare, tanto da farti ricordare – te la assegnava, anche se “non basta andare a letto coi pezzi grossi per diventare una star”, precisava Marilyn, “comunque aiuta. Un sacco di attrici hanno avuto la loro prima occasione in quel modo!”.

E Marilyn i primi potenti di Hollywood li conosce quando fa la escort, e se li ritrova come clienti. Altro che lavoro da operaia, altro che le foto su Playboy! Quelle sono venute dopo. All’inizio Marilyn, ancora Norma Jean, fa la taxi-girl, cioè fa la escort. Come si può immaginare che una, bella ma come cento altre prima che a lei pensino gli stylist, senza titolo di studio, senza nulla di nulla, sia potuta assurgere a mito??? Bè, pure crepare giovane conta, ci sto, ma questo mica era nei piani.

Esibire il proprio corpo, concederne le grazie, e così fare fortuna. E esibirlo anche alla cinepresa, anche sul set, non avere pudori a recitare davvero nuda (come in "Niagara", lei sotto le lenzuola, come ne "Gli Spostati", a letto con Clark Gable). Senza vergogne inutili. A Marilyn va riconosciuto: non era una ipocrita!!! Mica come oggi, che le attrici… preciso, certe attrici, più si professano impegnate, più ne fanno dramma, insulto, se non tentato stupro, se un regista in una scena gli chiede un lembo di pelle scoperto in più. Se ne sentono oltraggiate. E si credono serie.

Ma torniamo a Marilyn e al suo mito, dacché sono 60 anni che ci scassano con lei e i Kennedy, lei ammazzata, in uno scenario di disgrazie. Ma disgrazie di che? Sono tutti quelli che sono venuti dopo, ad aver riscritto di loro pugno vita e destino di una donna morta giovane (schiava di medicinali potenti) trasformandola in una eroina dolorosa! E vittima. Ma vittima di che??? Di essersi sc*pata chi voleva, fratelli Kennedy compresi? 

Vorrei vedere chi, di fronte all’inquilino capo della Casa Bianca, e qui pure più che piacente… avrebbe risposto no grazie! E basta, con la spy story che l’avrebbero uccisa i Kennedy! Con la complicità di Sinatra! E della mafia! Non si contano i libri e i film su 'sta roba. Secondo Donald H. Wolfe, uno tra i (troppi) biografi di Marilyn, Sinatra avrebbe drogato Marilyn per nuda metterla in un’orgia e in tal posa fotografarla, e così ricattarne il silenzio sui Kennedy. Seee, come no… E se invece fosse andata così? Marilyn e JFK hanno sc*pato, qualche volta, al Carlyle Hotel di New York, dove si sa i Kennedy avevano un appartamento riservato, e va bene, sc*pato lei sopra lui sotto, come ha romanzato Joyce Carol Oates nel suo libro "Blonde" ora pure film, e Marilyn e Bobby hanno sc*pato sì, un paio di volte, in California, nell’auto di lei, e a casa di lei…

Da qui, da pochi incontri pur incantevoli, non dico di no, a farne una telenovela struggente che va avanti da 60 anni, ce ne vuole!!! Ma se Marilyn era così pazza dei Kennedy, perché – parallelamente a loro – flirtava con José Bolanõs, il suo toy-boy, e le foto vere di loro due sono in rete, e però sono assenti in ogni racconto di lei abbandonata e infelice? Occhio!!! 

Le foto in rete di John Kennedy e Marilyn, son tutte false, tutti fotomontaggi, tranne una: quella con Bobby, Marilyn, JFK e Isidore Miller, ex suocero di Marilyn. È l’unica salvatasi dal party di compleanno di JFK. Le altre – che c’erano! – sono state distrutte per ordine di Bobby. E Marilyn disperata perché Joe DiMaggio non se la voleva risposare??? Ma per favoreee! Lei seduceva chiunque a lei garbava: “Mai piangere per un uomo, ti si sbava il trucco! E il mio mascara vale di più”. 

Ma solo io vedo Marilyn come una donna moderna, che viveva da sola e si pagava i conti da sola (pagava pure quelli del marito Arthur Miller, dei due, era lui, l’uomo, il mantenuto), una donna piena di problemi e però una in gamba, morta dipendente dai farmaci? L’eroina tragica se la sono inventata e tramandata gli uomini a cui un’icona fragile e fatale faceva – e fa – comodo. Fa il loro buon gioco. E fa il gioco pure di tante donnette che con un abusato mito sfortunato ci si possono confrontare da vincenti. Da migliori. Porelle. Loro.

Mica Marilyn! Ma se una son 60 anni che la pensano derelitta, perché sono 60 anni che la imitano, invano, la rincorrono, invano, vogliono essere lei, e non ci riescono? Non sarà che quello che Marilyn Monroe si era costruito, nonostante tutto, lottando, cadendo, rialzandosi, ricadendo, è un personaggio indistruttibile, e inimitabile? 

Sono 60 anni che si tenta e non si è buoni a rimarcarne un mignolo. Da ultima, Kim Kardashian, che si è platinata inserendo quel suo c*lone in uno tra gli iconici abiti di Marilyn. Dio, quant’era goffa!?? Perché inadatta. Lo charme è istinto. Innato. Non te lo puoi inventare. Né instagrammare. ("Goddess" di Anthony Summers è stato appena ripubblicato in italiano, col titolo "Dea", per La Nave di Teseo, ed era ora!).  

Da tgcom24.mediaset il 29 luglio 2022.

Il caso è chiuso. La donna che un anno fa aveva citato in giudizio Bob Dylan accusandolo di averla abusata sessualmente quando aveva 12 anni, ha abbandonato la causa, subito dopo che il team legale dell'artista folk-rock le ha contestato di aver distrutto delle prove. 

Nell'agosto dello scorso anno la querelante, che rimane senza nome ed è stata identificata solo come J.C., aveva intentato una causa sostenendo che Dylan aveva abusato di lei per un periodo di sei settimane tra aprile e maggio 1965. 

La donna ha affermato che Dylan "ha sfruttato il suo status di musicista "per fornirle "alcool e droghe e abusarla sessualmente più volte" nel famoso hotel Chelsea a Manhattan. Ha anche accusato il premio Nobel, che ha compiuto 81 anni a maggio, di averla minacciata fisicamente.

A quanto risulta dalla denuncia, che era stata depositata presso la Corte Suprema di Manhattan, il cantante di “Blowin’ in the Wind” avrebbe stabilito una "connessione emotiva con la querelante per abbassare le sue inibizioni con l'obiettivo di abusare sessualmente di lei", "lasciandola ferita e psicologicamente instabile fino ad oggi" e causandole depressione, umiliazione e ansia "di natura permanente e duratura". 

Il team legale di Dylan ha presentato mercoledì alla corte federale una lettera in cui accusa la donna di aver cancellato importanti messaggi di testo e ha suggerito che erano necessarie "sanzioni pecuniarie".

Giovedì gli avvocati di Dylan hanno detto che la querelante ha abbandonato la causa. "Questo caso è chiuso", ha detto il legale principale di Dylan, Orin Snyder, in una dichiarazione. 

Dagotraduzione dal Daily Mail il 27 giugno 2022.

Alec Baldwin ha annunciato che domani intervisterà Woody Allen su Instagram. La star ha lavorato con il regista in diversi film in passato. Nel post in cui ha annunciato l’intervista, ha spiegato che «non gli può importare di meno delle speculazioni di qualcun altro» sul regista, accusato dalla figlia di abusi sessuali. 

«Lasciatemi premettere che ho ZERO INTERESSE nei giudizi e nei post ipocriti. Ho le mie convinzioni e non mi può interessare di meno delle speculazioni di qualcun altro» ha detto l’attore su Instagram, accompagnando il post con un video. Nel filmato si vede Baldwin tenere in mano il libro di Woody Allen, “Zero Gravity” e poi sussurrare alla telecamera: “Woody Allen. Lo amo. Ti amo, Woody».

Il libro di Allen, il primo dopo il suo libro di memorie “Apropos of Nothing” del 2020, è una raccolta di saggi umoristici. È probabile che Baldwin e il regista discuteranno dei film che hanno girato insieme. Baldwin ha sempre difeso il regista dalle accuse in questi ultimi anni. Nel post in cui annunciava l’intervista, ha scritto, riferendosi al film della Hbo del 2021 “Allen v Farrow”: «Se ritieni che un processo dovrebbe svolgersi attraverso un documentario della Hbo, questo è un tuo problema». 

Serena Tibaldi per “la Repubblica” il 25 giugno 2022.

Il 28 settembre 2020 la magistratura parigina apre un'inchiesta su Gérald Marie, allora presidente di Elite Europa, una delle più importanti agenzie di modelle al mondo. Le accuse: tra il 1980 e il 1998 Marie avrebbe stuprato tre ex modelle e molestato la giornalista della Bbc Lisa Brinkworth, aggredita in discoteca mentre girava un documentario sui predatori nella moda. Nemmeno un mese dopo il quotidiano inglese The Guardian pubblica i racconti delle modelle; tra loro c'è anche l'attrice Carré Otis, oggi Sutton, ex moglie di Mickey Rourke. 

Inoltre emerge rapidamente che le vittime dell'agente in realtà sono state numerosissime, tutte alle prime armi e quasi esclusivamente minorenni. Sebbene i reati descritti siano caduti in prescrizione, la reazione del pubblico è stata così forte che Sky ha dedicato alla vicenda una docuserie, Scouting for girls: fashion's darkest secret , trasmessa da ieri su Sky nel Regno Unito, e in arrivo in Italia su Sky Documentarie s e in streaming su Now il prossimo inverno. Al di là delle drammatiche testimonianze delle intervistate - oltre a Otis ci sono Shawna Lee, Jill Dodd e Marianne Shine - quello che colpisce della serie è come Marie e alcuni suoi colleghi avessero sistematizzato i loro abusi, trasformandoli in una consuetudine. 

Il peggio è che non è mai stato un mistero: già nel 1988, nel programma tv americano 60Minutes, una modella a viso coperto aveva raccontato d'essere stata violentata da Jean-Luc Brunel, agente molto vicino a Jeffrey Epstein, e come lui morto suicida lo scorso febbraio mentre era in carcere accusato di aver procurato al miliardario le minorenni come prede sessuali. Nemmeno l'inchiesta della Bbc del 1999 (quella di Brinkworth) aveva smosso le acque, Marie se l'era cavata con una sospensione.

Negli ultimi anni diverse modelle si sono fatte avanti per spiegare i pericoli che si corrono nell'ambiente e dal 2012 Model Alliance, la prima associazione di categoria, si batte per il riconoscimento dei diritti delle modelle, denunciando le situazioni più equivoche. All'indomani delle accuse a Gérald Marie, la supermodella Linda Evangelista, sua moglie fino al 1993, aveva dato il suo supporto alle accusatrici, dichiarando: "Per esperienza, penso che dicano la verità". Eppure, solo ora se ne parla davvero: è come se prima certi comportamenti fossero normali. E, in effetti, è stato proprio così.

«Negli anni Ottanta il concetto di molestia era molto diverso da quello che intendiamo oggi: certi atteggiamenti erano frequenti nei confronti delle giovani modelle ed erano considerati "normali" da tutti», riflette Dana Thomas. In quegli anni la giornalista e scrittrice americana lavorava come modella nell'agenzia di Claude Haddad, anche lui ritratto nella serie, e ora sta preparando un libro sul tema. «Haddad era prepotente e aggressivo: dovevi farti rispettare. Io ci riuscivo, molte altre no». 

Le vittime prescelte erano adolescenti lontane da casa, sole, senza soldi, che non capivano la lingua: «Non avevano sostegno o vie d'uscita, erano inermi». Milano e Parigi erano piene di ragazze così. Che la chiave della questione sia come venissero considerate le donne nell'ambiente, lo pensa anche Piero Piazzi, tra gli agenti più importanti e con un passato da modello. «Le cose sono iniziate a cambiare con l'avvento delle top model negli anni Novanta, erano investimenti milionari da non toccare». 

In più è cambiato il senso etico della società, che ha iniziato a rigettare certi comportamenti e a considerare finalmente le donne in modo diverso. «Non erano tutti così, all'epoca», precisa però Piazzi. «Eileen Ford e Beatrice Traissac - non a caso donne - proteggevano le loro ragazze, le curavano. Io stesso, ai miei esordi come modello, vivevo in casa di Beatrice: da lei ho imparato come ci si comporta». 

Piazzi è oggi il presidente della Women Management Milano, che fa capo all'Elite World Group: il marchio dal 2011 è di Silvio Scaglia, che non ha ovviamente nulla a che fare con la precedente gestione. «Nessuna delle mie modelle ha mai trascorso le notti passando da una discoteca all'altra alla mercé dei promoter, una pratica in passato molto comune a Milano: mi hanno anche incendiato l'auto per "punirmi" di questa mia presa di posizione». Oggi le cose vanno meglio, dice Piazzi, e lo dimostra anche l'attenzione sulla vicenda. 

C'è molta più consapevolezza da parte degli addetti ai lavori: si cerca di evitare ogni situazione equivoca, e lo stesso Piazzi si sta battendo per far passare il divieto di ingaggio per le minorenni. A fare paura è il sottobosco, invisibile e ingestibile: «Sedicenti scuole per modelle, fotografi che si fanno pagare per un book fotografico, gente che millanta contatti che non ha: non mi stanco di ripeterlo alle famiglie delle ragazze, state attenti. Certi problemi iniziano da lì».

Michele Farina per il corriere.it il 19 giugno 2022.

Il coraggio e l’infamia attraversano il mare, vanno da un continente all’altro: quattro donne marocchine accusano il milionario francese Jacques Bouthier di molestie sessuali. Tre si sono presentate venerdì al tavolo di una conferenza stampa a Tangeri: volto coperto da mascherine chirurgiche e occhiali scuri (per il rispetto della privacy) e parole trasparenti: «Ho presentato una denuncia in Procura - ha detto una di loro - per dare forza alle altre donne che hanno subìto violenze sul lavoro come me. Bisogna mettere fine a questa piaga: è inammissibile che una donna per poter lavorare debba accettare avances spinte dei capi. Ne va di mezzo la nostra dignità».

Gli abusi e l’arresto

Le quattro coraggiose di Tangeri furono licenziate per aver detto no al boss della Assu 2000, un piccolo impero nel campo assicurativo francese. Bouthier pensava di essere al di sopra della legge, da una parte all’altra dello Stretto di Gibilterra. Il Marocco è la sua nemesi. Nel marzo scorso, come ha raccontato Stefano Montefiori sul Corriere, fu una giovane marocchina di 22 anni, di nome Kenza, a presentarsi in un commissariato di Parigi per denunciare l’uomo che la violentava dal 2016.

Dopo averla sfruttata, Bouthier l’aveva sostituita con una quattordicenne rumena. La donna ha mostrato ai poliziotti un video inequivocabile, vittima la ragazzina. Bouthier aveva lasciato che Kenza filmasse, credendo di poterla controllare come sempre. 

Gli abusi e l’arresto

E invece le indagini hanno portato all’arresto dell’imprenditore settantacinquenne a maggio, con l’accusa di «tratta di esseri umani nei confronti di minori e violenza e aggressione sessuale su minori». Per anni Bouthier ha abusato di giovani dai 14 ai 16 anni, che manteneva in un appartamento prima di cacciarle e sostituirle quando diventavano maggiorenni. Con lui arrestata anche la moglie, ritenuta complice.

Le cure

La società fondata nel 1975 dà impiego a 1.800 persone, con la gestione di 720 mila polizze. Anche sul lavoro, anche nelle filiali estere, il boss usava gli stessi trattamenti. In Marocco, dove di recente è stata approvata una legge che inasprisce le pene per le violenze sessuali, molte donne non si rivolgono alla magistratura per timori delle reazioni sociali e dell’ambiente familiare. 

L’avvocata Aicha Guellaa ha raccontato alla stampa algerina le traversie delle sue clienti. «Non basta dire di no per lasciarsi alle spalle una simile esperienza». Una delle quattro donne che hanno denunciato Bouthier «continua a fare ricorso a cure psichiatriche per lo choc di cui è stata vittima». 

Il gruppo

Le molestie attribuite al reuccio delle assicurazioni avrebbero avuto luogo dal 2018 all’aprile 2022. E Bouthier non è l’unico uomo coinvolto in questa storia. «Diversi superiori hanno approfittato della vulnerabilità di queste donne», denuncia l’avvocata Guellaa. 

L’impianto dell’accusa è sostenuto da diversi testimoni. Le persone indagate sarebbero una dozzina e potrebbero essere chiamate in causa nelle prossime settimane. Non agiva da solo, ha raccontato una delle vittime, «ma con il sostegno di un esercito di colleghi. Quando ho rifiutato le sue proposte, mi ha chiesto se non avevo una sorella o una cugina da proporgli: mi avrebbe fatto un bel regalo».

Un’altra ha confessato: «Avevo vent’anni quando ho detto no. Con il licenziamento mi hanno dato la buona uscita: una bella dose di minacce di morte».

(ANSA il 19 Ottobre 2022) Donald Trump è atteso oggi in un tribunale di New York per testimoniare in un caso di diffamazione contro una giornalista che lo accusa di averla stuprata negli anni 90. 

Lo riporta la Cnn. Essendo ormai prescritto il reato di violenza, tre anni fa Jean Carroll -scrittrice ed ex editorialista della rivista 'Elle'- ha citato in giudizio l'ex presidente accusandolo di averla diffamata definendo una "bugia totale" la sua accusa di stupro nei camerini di un grande magazzino di New York a metà degli anni '90. Il presidente repubblicano, allora in carica, aveva affermato che non l'aveva mai incontrata e che "non era il suo tipo di donna". Trump ha cercato in tutti i modi di rinviare la sua testimonianza ma la scorsa settimana il giudice Lewis Kaplan ha stabilito che non c'è più tempo da perdere. Non è chiaro se all'ex presidente saranno poste delle domande. Carroll testimonierà venerdì.

 (ANSA il 19 Ottobre 2022) Donald Trump ha deposto oggi a New York nella causa per diffamazione presentata contro di lui dalla scrittrice e giornalista Jean Carroll per aver definito una "bugia totale" le sue accuse di stupro all'ex presidente Usa. Lo ha reso noto un portavoce della stessa Carroll.

Secondo il New York Times, la deposizione - che si può fare anche via video tra avvocati e giustizia newyorchese - si è svolta dalla sua residenza di Mar-a-Lago. La tesi della difesa è che il caso debba essere sospeso finche' una corte d'appello non decide se il tycoon stava agendo nelle sue capacità di presidente quando chiamò Carroll una bugiarda. I legali sostengono che Trump è protetto dalla legge federale che garantisce l'immunità ai dipendenti governativi nelle denunce per diffamazione.

New York, regista Paul Haggis condannato a risarcire donna per stupro nel 2013. Il cineasta è stato arrestato e poi rilasciato in Puglia lo scorso giugno per aggressione sessuale aggravata. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno l’11 Novembre 2022.

Paul Haggis, il regista premio Oscar di 'Crash', è stato condannato a New York per stupro. Il cineasta canadese dovrà risarcire per almeno 7,5 milioni di dollari la publicist Haleigh Breest che nel 2017 lo aveva accusato di averla violentata quattro anni prima. Il processo civile a Manhattan è durato due settimane. Haggis, che in giugno è stato arrestato e poi rilasciato in Italia per aggressione sessuale aggravata, ha 69 anni, la Breest ne aveva 26 all’epoca dei fatti.

Autore anche della sceneggiatura di un altro film premio Oscar, 'Million Dollar Baby', Haggis aveva incontrato la Breest quando lei lavorava a New York per promuovere eventi cinematografici. La donna ha fatto causa nei primi mesi del movimento #MeToo, scaturito dalle accuse all’ex boss di Miramax Harvey Weinstein da parte di una novantina di donne di essere un predatore seriale.

Nella azione legale civile si afferma che, dopo una prima, Haggis aveva invitato la Breest nel suo loft a Soho dove l’aveva costretta a un atto di sesso orale e poi l’aveva stuprata. Il regista, che non deve risponderne penalmente, aveva replicato che il rapporto sessuale era stato consensuale.

La giuria di sei persone ha impiegato quasi sei ore prima di raggiungere il verdetto che ha accolto la versione della Breest: la donna ha testimoniato che non si era sentita di rifiutare l'invito a casa di Haggis a causa della sua statura come vip di Hollywood.

Haggis ha accolto la decisione in aula: alla lettura del verdetto ha guardato le figlie e mormorato «è tutto ok». E’ poi uscito in silenzio dalla corte con la famiglia e i suoi avvocati non hanno risposto ai reporter che chiedevano se il regista abbia intenzione di presentare appello.

I 7,5 milioni di dollari di danni assegnati dalla giuria come risarcimento potrebbero essere solo un assaggio: i giurati torneranno a riunirsi lunedì per decidere se Haggis dovrà pagare anche danni punitivi.

(ANSA il 20 Ottobre 2022) - Si è aperto a New York il processo civile contro il cineasta canadese Paul Haggis, accusato dall'agente pubblicitaria Haleigh Breest di averla stuprata nel 2013, quando lei aveva 26 anni. Sull'onda del #Metoo, il premio Oscar era finito nel mirino di altre accuse di violenza sessuale da parte di tre donne ma davanti al tribunale della Grande Mela non è comparso che per la vicenda denunciata da Breest. 

Lo scorso giugno era anche stato arrestato in Puglia per una sospetta aggressione sessuale di una giovane donna, episodio da lui smentito. Secondo vari media Usa, gli avvocati del regista hanno suggerito nella prima udienza che la denuncia di Breest sia stata teleguidata dalla Chiesa di Scientology, con cui il cineasta ha rotto e che ha criticato. Una tesi contestata dalla controparte.

Nella sua denuncia, la donna sostiene che Haggis, dopo la proiezione di un film a Manhattan, l'aveva invitata a bere da lui e, una volta a casa, le aveva usato violenza. Conosciuto per essere stato uno dei creatori della serie 'Walker Texas ranger', Paul Haggis aveva ricevuto nel 2006 gli Oscar per il miglior film e la miglior sceneggiatura originale per 'Crash' ('Collision'). E' stato anche lo sceneggiatore di 'Million dollar baby', 'Flags of our fathers' e 'Lettere da Iwo Jima' di Clint Eastwood, nonché degli episodi della saga di James Bond 'Casino Royale' e 'Quantum of Solace'.

Cinzia Semeraro per corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 13 settembre 2022.

«Non può acriticamente ritenersi che la posizione» della 29enne inglese che ha denunciato di essere stata abusata dal regista premio Oscar Paul Haggis «sia scevra da intenti speculativi». Lo scrive il Tribunale del Riesame di Lecce motivando il rigetto dell’appello dei pm, che insistevano per l’arresto di Haggis per presunte violenze sessuali commesse dal 12 al 15 giugno ad Ostuni. 

Secondo i giudici «le numerose incongruenze e contraddizioni evidenziate, unitamente alla manifestata non indifferenza alla ricaduta economica della vicenda, non possono che far fortemente dubitare della genuinità del racconto della persona offesa». «Ritiene il Tribunale - si legge ancora nel provvedimento - che le notevoli incongruenze e le contraddizioni evidenziate nell’analisi della versione della denunciante gettino pesanti ombre sulla sua attendibilità compromettendo notevolmente il requisito della gravità indiziaria».

Il premio Oscar, assistito dall’avvocato Michele Laforgia, è stato detenuto agli arresti domiciliari dal 19 giugno al 4 luglio. Dopo un lungo incidente probatorio nel quale la donna ha ripercorso le tre giornate di presunte violenze in un b&b di Ostuni dove il regista avrebbe dovuto partecipare al festival del cinema «Allora Fest», il gip aveva accolto l’istanza della difesa, rimettendo in libertà il regista. 

I pm avevano impugnato la scarcerazione, ma i giudici del Riesame hanno respinto il loro appello, ritenendo «sfumata la portata del compendio indiziario» e «notevolmente ridimensionata alla luce delle stesse dichiarazioni della persona offesa, non pacificamente attendibili». Ci sarebbero, cioè, «numerose incongruenze idonee a sollevare il dubbio sulla veridicità delle rappresentazioni della denunciante».

Nel provvedimento sono trascritte alcune conversazioni tra la presunta vittima e Haggis, il cui contenuto «rivela con chiarezza un corteggiamento che la donna rivolge al regista al fine di incontrarlo e passare alcuni giorni in sua compagnia, probabilmente per instaurare una relazione personale, più che professionale, tanto che decide di condividere la medesima camera e, dunque, lo stesso letto».

Una donna, la presunta vittima, della quale i giudici evidenziano «la personalità volitiva e determinata», riportando anche stralci di conversazioni con un’amica («Le due parlano di ricerca di partner economicamente “forti” tanto da garantire loro un adeguato benessere che sarebbe ricompensato dalla disponibilità sessuale»), «che mal si concilia con la descrizione della vittima quale donna debole e soggiogata dalla personalità dell’indagato».

IL CASO. Caso Haggis, Riesame rigetta appello pm su arresto: «Forse intenti speculativi della donna». Secondo i giudici «le numerose incongruenze e contraddizioni evidenziate, unitamente alla manifestata non indifferenza alla ricaduta economica della vicenda, non possono che far fortemente dubitare della genuinità del racconto della persona offesa». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 Settembre 2022.

«Non può acriticamente ritenersi che la posizione» della 29enne inglese che ha denunciato di essere stata abusata dal regista premio Oscar Paul Haggis «sia scevra da intenti speculativi». Lo scrive il Tribunale del Riesame di Lecce motivando il rigetto  dell’appello dei pm che insistevano per l’arresto di Haggis per presunte violenze sessuali commesse dal 12 al 15 giugno ad Ostuni. Secondo i giudici «le numerose incongruenze e contraddizioni evidenziate, unitamente alla manifestata non indifferenza alla ricaduta economica della vicenda, non possono che far fortemente dubitare della genuinità del racconto della persona offesa».

«Ritiene il Tribunale - si legge nel provvedimento - che le notevoli incongruenze e le contraddizioni evidenziate nell’analisi della versione della denunciante gettino pesanti ombre sulla sua attendibilità compromettendo notevolmente il requisito della gravità indiziaria». Il premio Oscar, assistito dall’avvocato Michele Laforgia, è stato detenuto agli arresti domiciliari dal 19 giugno al 4 luglio. Dopo un lungo incidente probatorio nel quale la donna ha ripercorso le tre giornate di presunte violenze in un B&b di Ostuni dove il regista avrebbe dovuto partecipare al festival del cinema Allora Fest, il gip aveva accolto l’istanza della difesa, rimettendo in libertà il regista. I pm avevano impugnato la scarcerazione, ma i giudici del Riesame hanno respinto il loro appello, ritenendo «sfumata la portata del compendio indiziario» e «notevolmente ridimensionata alla luce delle stesse dichiarazioni della persona offesa, non pacificamente attendibili». Ci sarebbero, cioè, «numerose incongruenze idonee a sollevare il dubbio sulla veridicità delle rappresentazioni della denunciante». Nel provvedimento sono trascritte alcune conversazioni tra la presunta vittima e Haggis, il cui contenuto "rivela con chiarezza un corteggiamento che la donna rivolge al regista al fine di incontrarlo e passare alcuni giorni in sua compagnia, probabilmente per instaurare una relazione personale, più che professionale, tanto che decide di condividere la medesima camera e, dunque, lo stesso letto». Una donna, la presunta vittima, della quale i giudici evidenziano «la personalità volitiva e determinata», riportando anche stralci di conversazioni con un’amica ("Le due parlano di ricerca di partner economicamente 'fortì tanto da garantire loro un adeguato benessere che sarebbe ricompensato dalla disponibilità sessuale"), «che mal si concilia con la descrizione della vittima quale donna debole e soggiogata dalla personalità dell’indagato».

Paul Haggis, il premio Oscar accusato di violenza sessuale a Ostuni. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 19 Giugno 2022.

Il regista che ha vinto nel 2006 per la migliore sceneggiatura avrebbe costretto una donna a subire rapporti per due giorni e poi l’avrebbe lasciata all’aeroporto di Brindisi. Le parole affidate al suo avvocato: «Sono innocente, fate accertamenti il prima possibile» 

Il regista canadese premio Oscar Paul Haggis, 69 anni, è stato sottoposto a fermo oggi a Ostuni (Brindisi) con l’accusa di violenza sessuale e lesioni personali aggravate. Secondo quanto comunicato dalla Procura di Brindisi in una nota, il regista avrebbe costretto una giovane donna straniera a subire rapporti sessuali per due giorni a Ostuni dove partecipa alla kermesse «Allora Fest». Secondo quanto riferito dagli inquirenti, la donna è stata poi accompagnata dal regista all’aeroporto Papola Casale di Brindisi e lasciata lì alle prime luci dell’alba, nonostante le sue precarie condizioni fisiche e psicologiche. «Fate accertamenti il prima possibile, sono totalmente innocente», ha fatto sapere Haggis attraverso il suo avvocato Michele Laforgia.

In aeroporto la presunta vittima delle violenze è stata assistita dal personale di Aeroporti di Puglia e della polizia di frontiera che, dopo averle prestato le prime cure, l’ha accompagnata negli uffici della squadra mobile. Gli agenti hanno poi portato la donna all’ospedale Perrino di Brindisi dove è stato attivato il «protocollo rosa» per le vittime di violenza. Successivamente, la presunta vittima ha formalizzato la denuncia. Nel provvedimento di fermo è stato anche richiesto l’incidente probatorio della parte offesa finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni rese. Il provvedimento eseguito scaturisce - informa la Procura - da una serrata ed articolata attività di indagine, condotta dalla squadra mobile, che ha raccolto elementi probatori sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria. A quanto si apprende, il regista conosceva da tempo la presunta vittima che, dopo uno degli episodi di violenza, sarebbe stata costretta a farsi medicare.

Nato 70 anni fa a Londra ma cittadino canadese, Paul Haggis ha vinto l’Oscar nel 2006 per la sceneggiatura del film «Crash - contatto fisico». È stato anche sceneggiatore della pellicola diretta da Clint Eastwood «Million dollar baby». Il cineasta si trovava in Puglia , come detto per l’«allora fest» di Ostuni: avrebbe dovuto intervistare e conversare con i registi Edward Norton e Michael Nozik ed era stato di recente nel Salento perché aveva curato il cortometraggio per Mesagne candidata Capitale alla cultura 2024. Il regista aveva già ricevuto in passato accuse simili: nel 2017 l’addetta stampa Haleigh Breest aveva dichiarato di essere stata stuprata da Haggis dopo una premiere nel 2013. Dal 2018 altre quattro donne si sono fatte avanti affermando di essere state vittime di molestie e aggressioni sessuali da parte del regista. Haggis ha sempre negato tutte le accuse.

Chi è Paul Haggis, sceneggiatore di fama mondiale, due Oscar e quattro figli. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 19 Giugno 2022.

Regista e produttore, nato in Canada, ma residente a Los Angeles, ha scritto anche il remake de «L’ultimo bacio» di Muccino («The last kiss»). 

Lo chiamano il cantastorie di Hollywood, anche se è canadese. Paul Edward Haggis (accusato di violenza sessuale a Ostuni) è nato a London in Ontario il 10 marzo del 1953. Oggi è un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e produttore televisivo di grande successo. Nel 2006 ha vinto il Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale del film Crash - Contatto fisico e per lo stesso film ha ricevuto la candidatura all’Oscar per il miglior regista e ha vinto il David di Donatello per il miglior film straniero. Sua anche la sceneggiatura del bellissimo film Million Dollar Baby che ha vinto l’Oscar.

Il giovane Paul, canadese dalle cinefile aspirazioni, ha trascorso la sua infanzia nella Columbia Britannica con papà Edward e mamma Mary Yvonne. Nel 1975, ottenuta la laurea in cinematografia, all’età di 22 anni decide di trasferirsi a Los Angeles per tentare la fortuna a Hollywood,continuando a studiare e a scrivere per il cinema e la tv. Lì comincia la carriera sul piccolo schermo: è autore di telefilm come Il mio amico Arnold e Love Boat, tra i più amati e seguiti dal pubblico.

Nel 1993 è omai famoso: è uno dei creatori della serie di successo Walker Texas Ranger, ma è nel 2004 che arriva la svolta decisiva: la sceneggiatura di Million Dollar Baby. Catturato dalla struggente storia della pugile Maggie Fitzgerald, il cineasta Clint Eastwood decide di dirigerla per il grande schermo. Protagonisti sono gli attori Hilary Swank e Morgan Freeman. E’ subito pioggia di Oscar. A seguire, scrive e dirige Crash - Contatto Fisico , amaro e realistico ritratto della società. Hollywood lo insegue e lui lavora e lavora: un dramma corale che affronta le diverse sfaccettature del rapporto umano e che vede tra gli interpreti Sandra Bullock, Don Cheadle, Matt Dillon, Brendan Fraser e Ryan Phillippe.

Nel 2006 Haggis realizza la sceneggiatura di The Last Kiss, remake americano de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino; e di Casino Royale, ventunesimo film della serie cinematografica di 007, saga di cui firmerà la sceneggiatura anche del seguente capitolo, Quantum of Solace (2008). Sempre nel 2006 Haggis rinnova il suo solido rapporto di lavoro con il regista Clint Eastwood con cui collabora allo sviluppo del soggetto del film Lettere da Iwo Jima e alla sceneggiatura di Flags of Our Fathers, pellicole drammatiche sul tema della seconda guerra mondiale. Nel 2007 torna alla regia con il film Nella valle di Elah, pellicola di cui cura anche soggetto, sceneggiatura e produzione. Nel 2011 Haggis dirige un cast stellare (Russell Crowe, Olivia Wilde, Jonathan Tucker, il rapper RZA, Brian Dennehy e Liam Neeson) nel film The Next Three Days, del quale è anche sceneggiatore e produttore. Due anni dopo realizza sceneggiatura e regia di Third Person, pellicola presentata in anteprima mondiale il 9 settembre 2013 al Toronto International Film Festival: un film corale, girato tra Roma, Parigi, New York e Taranto, interpretato da Liam Neeson, Olivia Wilde, Adrien Brody, e James Franco, in cui si incrociano tre storie d’amore, passione, e tradimento.

Haggis vive attualmente a New York. Dal 1977 al 1997 è stato sposato con Diane Christine Gettas da cui ha avuto tre figli: Alissa Sullivan, Lauren Kilvington e Katy Elizabeth. Divorziato dalla prima moglie, nel 1997 si è risposato con l’attrice Deborah Rennard, da cui ha avuto un altro figlio: James. Nel 2012 ha divorziato anche dalla sua seconda moglie. Nel 2009 ha fondato la Artists for Peace and Justice, un’organizzazione no-profit che incoraggia la pace e la giustizia sociale e affronta i problemi della povertà e del suffragio in tutto il mondo. In un’intervista con il giornalista Dan Rather, Haggis ha professato il suo ateismo.

L’attuale accusa di stupro, non è nuova nella vita del regista il quale sta affrontando una causa civile negli Usa, nata dalle accuse formulate nel 2017 dell’addetta stampa Haleigh Breest, che aveva dichiarato di essere stata stuprata da Haggis dopo una premiere nel 2013. Dal 2018 altre quattro donne si sono fatte avanti affermando di essere state vittime di molestie e aggressioni sessuali da parte del regista. Haggis ha negato tutte le accuse, sostenendo che il rapporto con l’addetta stampa era stato consensuale e ha tentato di citare in causa a sua volta Haleigh Breest (la mozione è stata respinta dal giudice) per diffamazione attraverso false accuse e perché avrebbe tentato di estorcergli 9 milioni di dollari. Del caso si era tornati a parlare l’anno scorso quando Haggis aveva chiesto al giudice di velocizzare la causa civile, dichiarando di essere vicino alla bancarotta e di non poter coprire le spese legali che sarebbero arrivate a quasi due milioni di dollari. Costi che non sarebbe più in grado di sostenere, secondo quanto dichiarato, per le difficoltà che starebbe incontrando nel trovare ingaggi, proprio per le accuse di violenza. Il cineasta negli ultimi anni è stato spesso al centro delle polemiche, soprattutto per lo scontro con Scientology, di cui è stato membro per 35 anni e che ha abbandonato nel 2009 dopo le posizioni dell’organizzazione religiosa fondata da Ron Hubbard contro i matrimoni gay.

Violenza sessuale, fermato a Ostuni il regista «premio Oscar» Paul Haggis. La replica: «Sono innocente». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Giugno 2022 

Avrebbe costretto una donna a subire abusi durante la festa del cinema in corso nella "città bianca"

Il regista canadese premio Oscar, Paul Haggis, è stato sottoposto a fermo oggi a Ostuni (Brindisi) con l’accusa di violenza sessuale e lesioni personali aggravate. Secondo quanto comunicato dalla Procura di Brindisi in una nota, il regista avrebbe costretto una giovane donna straniera a subire rapporti sessuali per due giorni a Ostuni dove partecipa alla kermesse 'Allora Fest’.

Secondo quanto riferito dagli inquirenti, la donna è stata poi accompagnata dal regista all’aeroporto Papola Casale di Brindisi e lasciata lì alle prime luci dell’alba, nonostante le sue precarie condizioni fisiche e psicologiche.

In aeroporto la presunta vittima delle violenze è stata assistita dal personale di Aeroporti di Puglia e della polizia di frontiera che, dopo averle prestato le prime cure, l’ha accompagnata negli uffici della squadra mobile. Gli agenti hanno poi portato la donna all’ospedale Perrino di Brindisi dove è stato attivato il «protocollo rosa» per le vittime di violenza.

Successivamente, la presunta vittima ha formalizzato la denuncia. Nel provvedimento di fermo è stato anche richiesto l'incidente probatorio della parte offesa finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni rese. Il provvedimento eseguito scaturisce - informa la Procura - da una serrata ed articolata attività di indagine, condotta dalla squadra mobile, che ha raccolto elementi probatori sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria. A quanto si apprende, il regista conosceva da tempo la presunta vittima che, dopo uno degli episodi di violenza, sarebbe stata costretta a farsi medicare.

GIÀ ACCUSATO DI STUPRO NEGLI USA

Le accuse di violenza sessuale e lesioni personali aggravate a Paul Haggis, che hanno portato al suo fermo a Ostuni, non sono le prime del genere arrivate al cineasta canadese.

Il regista di Crash sta affrontando una causa civile negli Usa, nata dalle accuse formulate nel 2017 dell’addetta stampa Haleigh Breest, che aveva dichiarato di essere stata stuprata da Haggis dopo una premiere nel 2013. Dal 2018 altre quattro donne si sono fatte avanti affermando di essere state vittime di molestie e aggressioni sessuali da parte del regista. Haggis ha negato tutte le accuse, sostenendo che il rapporto con l’addetta stampa era stato consensuale e ha tentato di citare in causa a sua volta Haleigh Breest (la mozione è stata respinta dal giudice) per diffamazione attraverso false accuse e perché avrebbe tentato di estorcergli 9 milioni di dollari.

Del caso si era tornati a parlare l’anno scorso quando Haggis aveva chiesto al giudice di velocizzare la causa civile, dichiarando di essere vicino alla bancarotta e di non poter coprire le spese legali che sarebbero arrivate a quasi due milioni di dollari. Costi che non sarebbe più in grado di sostenere, secondo quanto dichiarato, per le difficoltà che starebbe incontrando nel trovare ingaggi, proprio per le accuse di violenza.

Il cineasta negli ultimi anni è stato spesso al centro delle polemiche, soprattutto per lo scontro con Scientology, di cui è stato membro per 35 anni e che ha abbandonato nel 2009 dopo le posizioni dell’organizzazione religiosa fondata da Ron Hubbard contro i matrimoni gay.

ALLORA FEST CONFERMATO

L'organizzazione del Festival «Allora fest» «ha appreso con costernazione e shock la notizia che Paul Haggis è in stato di fermo per presunta violenza e comunica che il Festival rimane confermato». È quanto si legge in una nota degli organizzatori della kermesse in programma a Ostuni, alla quale il regista avrebbe dovuto partecipare prima di essere fermato. «Le direttrici dell’"Allora Fest» hanno immediatamente provveduto ad eliminare ogni partecipazione del regista dalla manifestazione - prosegue la nota -. Esprimono al contempo piena solidarietà verso la donna coinvolta nella vicenda. I temi scelti per il Festival sono, tra gli altri, quelli della eguaglianza, parità di genere, solidarietà. Come professioniste e donne sono costernate e si augurano che il Festival sia uno strumento di informazione e sensibilizzazione su un tema così attuale e drammaticamente in aumento». La conferenza stampa per illustrare il programma del festival è rinviata a martedì 21 giugno a Ostuni. A breve verranno comunicati il luogo e l’orario.

LA REPLICA DI HAGGIS: SONO INNOCENTE

«Fate accertamenti il prima possibile, sono totalmente innocente». Così attraverso il suo avvocato Michele Laforgia, il regista premio Oscar Paul Haggis accusato di violenza sessuale. Secondo quanto si è appreso la famiglia ha raggiunto Haggis dall’America.

Da antennasud.com il 19 giugno 2022.

Il regista canadese premio Oscar Paul Haggis, 70 anni, è stato sottoposto a fermo da personale della Squadra Mobile della Questura di Brindisi unitamente a personale della Polizia di Frontiera, con contestuale richiesta di applicazione di misure cautelari ai domiciliari, emesso dai pm Negro e Orlandodella locale Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi. 

L’uomo è gravemente indiziato dei reati di violenza sessuale aggravata e lesioni personali aggravate, reati commessi nei confronti di una giovane donna inglese. Secondo gli elementi raccolti, l’indagato avrebbe costretto la giovane, da lui conosciuta tempo addietro, a subire rapporti sessuali in un hotel di Ostuni.

La vittima, a seguito di uno dei rapporti sessuali ha riferito di essere stata costretta a rivolgersi alle cure dei sanitari. Dopo un paio di giorni di permanenza e di rapporti non consenzienti la donna è stata accompagnata dall’uomo dinanzi all’aeroporto Papola Casale di Brindisi e lì lasciata alle prime luci dell’alba, nonostante le precarie condizioni fisiche e psicologiche della donna.

Nello scalo aereo la ragazza, in evidente stato confusionale, è stata notata da personale di “Aeroporti di Puglia” e da personale della Polizia di Frontiera che, dopo averle prestato le prime cure, la conducevano negli Uffici della Squadra Mobile. Gli operatori di polizia provvedevano, quindi, ad accompagnare la donna presso l’ospedale “Perrino” di Brindisi per il cosiddetto “protocollo rosa” destinato alle vittime di violenza. Successivamente la vittima ha formalizzato la denuncia e riferito circostanze fatte oggetto di successiva attività di riscontro da parte degli investigatori. 

Gli agenti avrebbero poi trovato riscontri all’interno della stanza d’albergo che è stata successivamente ispezionata dagli specialisti della polizia scientifica. Nel medesimo provvedimento è richiesto l’incidente probatorio della parte offesa finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni della stessa.

Dagonews il 19 giugno 2022.

Paul Haggis non è nuovo ad accuse di violenza sessuale. Già nel 2018 quattro donne avevano accusato il regista premio Oscar di averle molestate. 

La prima a puntare il dito contro di lui era stata Haleigh Breest: ha raccontato di essere stata costretta a fare sesso orale su di lui e che poi lui l’ha violentata. 

Le altre donne hanno reso pubbliche le loro accuse seguendo l’esempio della prima: tutte e tre hanno raccontato che il regista ha cercato di baciarle e che quando loro hanno opposto un rifiuto è diventato più aggressivo.

Salvatore Morelli per “il Messaggero” il 21 giugno 2022. 

«Mi ha chiesto di andarlo a trovare in Puglia, era a Ostuni per dirigere un festival del cinema. Mi ha invitato lì, per passare qualche giorno insieme. Non sapevo che andavo incontro a un incubo». 

Così agli investigatori la 28enne inglese che ha denunciato il regista premio Oscar Paul Haggis. Una telefonata tra amici, tra due persone che si conoscevano da tempo. E un invito all'apparenza innocuo, ma che poi si sarebbe rivelato una trappola, stando al racconto della giovane. Una volta arrivata in Puglia, la ragazza ha preso alloggio in un b&b poco lontano dall'hotel di lusso dove erano ospiti il regista e alcuni membri della sua famiglia. 

Nulla, però, lasciava presagire quello che sarebbe accaduto in quella stanza per tre giorni: per l'accusa, rapporti non consenzienti che avrebbero spinto la giovane donna a denunciare episodi di violenza sessuale subiti dal cineasta canadese.

Una stanza, quella del b&b, passata poi al setaccio dagli investigatori, che hanno analizzato anche i filmati registrati da alcune telecamere di videosorveglianza, mentre il personale della Scientifica hanno cercato le tracce che hanno poi determinato il fermo del regista. Haggis, che aveva accompagnato personalmente la ragazza in aeroporto, pensava che fosse tornata a casa, ma il telefono della giovane era diventato muto da qualche giorno. Poi la sorpresa, con l'arrivo della polizia e l'arresto.

Ora il regista si trova in stato di fermo in una stanza d'albergo a Ostuni, sulle sue spalle pesano le accuse di violenza sessuale e lesioni aggravate. A fargli compagnia ci sono un nipote e i due figli, arrivati con lui dall'America nella Città Bianca da nemmeno una settimana, per partecipare al festival cinematografico Allora Fest, che sarà presentato oggi (salvo ripensamenti dell'ultima ora) e dal quale sono stati scrupolosamente tagliati tutti gli eventi a cui avrebbe dovuto partecipare Haggis. 

Gli incontri incriminati con la ragazza sarebbero avvenuti nel b&b in cui alloggiava lei, tra domenica e mercoledì scorsi. Una sorta di alcova, tra gli ulivi nelle campagne di Ostuni, dove la ragazza - per alcuni giorni - avrebbe subito rapporti sessuali non consenzienti. 

La vittima sarebbe stata costretta anche a rivolgersi alle cure dei sanitari prima di essere lasciata dallo stesso regista, mercoledì scorso, fuori dall'aeroporto. Con un biglietto che doveva spedirla a casa. Ma la giovane non ha mai messo piede su quell'aereo con destinazione prima Roma e poi Regno Unito: ha formalizzato una denuncia negli uffici della Questura.

Le indagini si sono concentrate anche sui filmati delle telecamere di videosorveglianza in aeroporto e presso il b&b, in cerca di immagini utili. Ora, in attesa di un incidente probatorio e di un interrogatorio di convalida del fermo, a parlare per conto del regista è il suo legale, Michele Laforgia: «Siamo in attesa di essere convocati dal giudice per le indagini preliminari per l'interrogatorio di garanzia e rendere la nostra versione. Haggis ha dichiarato di essere del tutto innocente e di auspicare la massima celerità di tutti gli accertamenti necessari a chiarire la vicenda. 

L'udienza e l'interrogatorio saranno entro giovedì». Intanto, la Procura sta provvedendo a tradurre gli atti in inglese. La ragazza, in attesa di essere ascoltata, si trova ancora in Puglia, ma sulla identità c'è il massimo riserbo da parte della magistratura. Intanto tutti gli eventi a cui avrebbe dovuto partecipare Haggis nel Salento vengono via via cancellati: non solo quelli più strettamente legati all'Allora Fest di Ostuni, ma anche tutti gli altri a cui il regista premio Oscar avrebbe dovuto presenziare in varie località della provincia di Brindisi. 

(ANSA il 22 giugno 2022) - Il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis, accusato di violenza sessuale e agli arresti domiciliari da domenica scorsa in un albergo di Ostuni (Brindisi), darà oggi la sua versione dei fatti al gip Vilma Gilli nell'interrogatorio di garanzia per la convalida del fermo. 

In un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, viene anticipato un memoriale difensivo del regista il quale affermerebbe - secondo la versione del quotidiano - che i rapporti con la presunta vittima siano stati consenzienti e che sarebbe stata lei a raggiungerlo in Puglia, dove Haggis avrebbe dovuto partecipare a un festival. Il regista avrebbe anche conservato i messaggi WhatsApp scambiati con la donna.

Nel memoriale Haggis spiegherebbe di averla incontrata e che lei "voleva essere la prossima Bond Girl". Mercoledì 15 il regista l'avrebbe portata in aeroporto a Brindisi, alle 6 del mattino. 

"L'ho lasciata lì all'aeroporto con i suoi bagagli - spiegherebbe Haggis nel memoriale - a quel punto mi ha detto che dovevo darle dei soldi. Le ho detto che mi dispiaceva ma non l'avrei fatto e me ne sono andato". 

Il difensore di Paul Haggis, l'avvocato Michele Laforgia, smentisce "che il testo parzialmente pubblicato corrisponda alle dichiarazioni che l'indagato renderà nell'interrogatorio fissato per stamattina dinnanzi al gip di Brindisi". 

"Le frasi virgolettate - evidenzia il legale - sono state estrapolate da una nota confidenziale e riservata inoltrata da Mr Haggis prima di essere sottoposto a fermo, in aperta violazione della riservatezza delle comunicazioni private e della corrispondenza tutelate dalla legge penale, dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Per tale violazione, Mr Haggis riserva ogni azione a tutela dei suoi diritti dinnanzi alle autorità competenti".

(ANSA il 22 giugno 2022) - È arrivato al tribunale di Brindisi il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis per l'interrogatorio di garanzia in cui si deciderà sulla convalida del fermo. Haggis è accusato di violenza sessuale e per questo è agli arresti domiciliari da domenica scorsa in un albergo di Ostuni (Brindisi).

In Puglia avrebbe dovuto partecipare a un festival cinematografico. Con il regista c'è il suo legale difensore, Michele Laforgia, il quale aveva già annunciato che Haggis risponderà alle domande del gip Vilma Gilli. Il regista e il suo legale non hanno rilasciato dichiarazioni al loro arrivo.

(ANSA il 22 giugno 2022) - "Paul Haggis ha spiegato come sono andati i fatti. Si è dichiarato totalmente innocente, così come aveva fatto nell'immediatezza del fermo. I rapporti che ha avuto con questa donna sono totalmente consensuali nel corso di questi tre giorni trascorsi insieme ad Ostuni".

Lo ha affermato Michele Laforgia, difensore del regista premio Oscar Paul Haggis al termine dell'interrogatorio di convalida del fermo del 69enne avvenuto questa mattina in Tribunale a Brindisi. "Abbiamo chiarito - ha precisato Laforgia -, anche contrariamente a quello che si ipotizza nelle imputazioni, che non c'è nessuna lesione e nessun segno di violenza". 

"Io credo - ha sottolineato il penalista barese - che abbiano male interpretato il referto del Pronto Soccorso, dove la ragazza è stata visitata a seguito della denuncia. Adesso stiamo aspettando il provvedimento del giudice che dovrà pronunciarsi sia sul fermo che sulla richiesta dell'accusa, che è di mantenere gli arresti domiciliari in attesa degli accertamenti urgenti."

Violenza sessuale, la difesa di Haggis a Brindisi: «È innocente, rapporti consensuali». Ma il regista resta ai domiciliari: può reiterare il reato. Il regista rimarrà in Italia fino a che non sarà scagionato. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 Giugno 2022.

BRINDISI - Si è svolto questa mattina al tribunale di Brindisi alla presenza del regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis  l'interrogatorio di garanzia in cui si deciderà sulla convalida del fermo. Haggis è accusato di violenza sessuale e per questo è agli arresti domiciliari da domenica scorsa in un albergo di Ostuni (Brindisi). In Puglia avrebbe dovuto partecipare a un festival cinematografico. Con il regista c'è il suo legale difensore, Michele Laforgia, il quale aveva già annunciato che Haggis risponderà alle domande del gip Vilma Gilli. Il regista e il suo legale non hanno rilasciato dichiarazioni al loro arrivo.

LE PAROLE DELLA DIFESA DI HAGGIS

«Paul Haggis ha spiegato come sono andati i fatti. Si è dichiarato totalmente innocente, così come aveva fatto nell’immediatezza del fermo. I rapporti che ha avuto con questa donna sono totalmente consensuali nel corso di questi tre giorni trascorsi insieme ad Ostuni». Lo ha affermato Michele Laforgia, difensore del regista premio Oscar Paul Haggis al termine dell’interrogatorio di convalida del fermo del 69enne avvenuto questa mattina in Tribunale a Brindisi. «Abbiamo chiarito - ha precisato Laforgia -, anche contrariamente a quello che si ipotizza nelle imputazioni, che non c'è nessuna lesione e nessun segno di violenza». «Io credo - ha sottolineanto il penalista barese - che abbiano male interpretato il referto del Pronto Soccorso, dove la ragazza è stata visitata a seguito della denuncia. Adesso stiamo aspettando il provvedimento del giudice che dovrà pronunciarsi sia sul fermo che sulla richiesta dell’accusa, che è di mantenere gli arresti domiciliari in attesa degli accertamenti urgenti».

«È stato già richiesto l'incidente probatorio ascoltando la denunciate in contradditorio. Mr Haggis ha dichiarato espressamente che non solo non ha fatto nulla per sottrarsi agli accertamenti della giustizia italiana, e di essere rimasto qui anche perché qui stava lavorando e doveva lavorare per il festival. Ma anche di avere tutto l’interesse ad essere presente a questi accertamenti e poi di rimanere in Italia fin quando non sarà accertata la sua totale innocenza, perché da questo dipende la sua vita qui, ma anche negli Stati Uniti dove risiede». Lo ha affermato l'avvocato Michele Laforgia, legale del regista premio Oscar Paul Haggis, incontrando i giornalisti al termine dell’interrogatorio di convalida del fermo del 69enne avvenuto questa mattina nel Tribunale di Brindisi. Haggis ha reso una dichiarazione scritta al Gip.

«Non entriamo più nel merito per rispetto del giudice che è in camera di consiglio e ne uscirà non prima del pomeriggio. Il giudice ha già detto che deciderà oggi, e ci vorranno ore. Come avete visto l’udienza è durata non poco, abbiamo discusso, lui ha reso dichiarazioni, ha risposto alle domande. Opportunatamente va fatto un approfondimento, gli atti non sono tanti, ma la vicenda è molto delicata. L’incidente probatorio non è stato ancora fissato, ma è stato già richiesto». Lo ha affermato l’avvocato Michele Laforgia, legale del regista premio Oscar Paul Haggis, incontrando i giornalisti al termine dell’interrogatorio di convalida del fermo dinanzi al gip del Tribunale di Brindisi.

IL REGISTA RESTA AI DOMICILIARI: PUO' REITERARE IL REATO

Il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis resta agli arresti domiciliari ad Ostuni. Lo ha deciso la gip del Tribunale di Brindisi Vilma Gilli che non ha convalidato il fermo per mancanza del pericolo di fuga, ma ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare per violenza sessuale ai danni di una 30enne inglese. Nell’interrogatorio di questa mattina, assistito dall’avvocato Michele Laforgia, Haggis aveva risposto alle domande dichiarandosi innocente.

Paul Haggis può inquinare le prove e reiterare il reato. Sono le esigenze cautelari sulla base delle quali il gip di Brindisi ha disposto gli arresti domiciliari per il regista premio Oscar accusato di violenza sessuale. Il giudice ritiene che «in attesa dell’ascolto in contraddittorio della presunta vittima - fa sapere la difesa di Haggis, l’avvocato Michele Laforgia - sussista il rischio di inquinamento dell’unica fonte di prova». Quanto al pericolo di reiterazione del reato, il gip lo ha ritenuto sussistente «in ragione - aggiunge il difensore - della pendenza di un contenzioso civile avente analogo oggetto negli Stati Uniti».

Contestualmente alla esecuzione del provvedimento di fermo, lo scorso 19 giugno, la Procura di Brindisi aveva già chiesto l’incidente probatorio per cristallizzare il racconto della donna presunta vittima di Haggis, «unica fonte di prova che lo stesso giudice - dice la difesa del regista - ritiene necessario sottoporre ad ulteriori verifiche e riscontri «posto che la versione difensiva offerta offre numerosi spunti investigativi». «Nel provvedimento - spiega l’avvocato Michele Laforgia - si dà atto delle opposte versioni della persona offesa e dell’indagato, riconoscendo che nei referti medici non vi è prova di alcuna lesione fisica a carico della presunta vittima, come sostenuto dalla difesa nel corso dell’udienza di convalida».

«La difesa, nel formulare espressa riserva di impugnazione del provvedimento nei termini e nei modi previsti dalla legge, ribadisce ancora una volta che l’indagato dichiara di essere completamente estraneo alle accuse, confidando che sarà rapidamente ristabilita la completa verità dei fatti e restituita la libertà all’indagato». Lo dichiara l'avvocato Michele Laforgia, difensore del regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis, nei confronti del quale la gip del Tribunale di Brindisi ha disposto gli arresti domiciliari per violenza sessuale commessa una settimana fa a Ostuni nei confronti di una 30enne inglese.

«Paul Haggis è l’ideatore dell’Allora Fest di Ostuni». Il vero ruolo del regista, ai domiciliari indicato nei documenti della Regione. Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Giugno 2022.

C’è una lettera del 15 aprile con cui il dipartimento Cultura della Regione, «su conforme indirizzo del presidente della giunta», mette in campo tutte le sue società e agenzie a sostegno dell’Allora Fest, la manifestazione cinematografica che ha appena chiuso i battenti a Ostuni, «a cui è già stata assicurata una prima dotazione finanziaria» di 150mila euro. Soldi che però non coprono la richiesta degli organizzatori, che si aggira «tra 300 e 400mila euro». Tra quegli organizzatori c’è pure Paul Haggis, il regista canadese premio Oscar che da giovedì scorso è ai domiciliari in una masseria di Ostuni e che domani dovrà comparire davanti a un giudice di Brindisi: sarà messo a confronto con la 28enne inglese che lo accusa di averla stuprata.

I documenti, trasmessi alla «Gazzetta» dalla stessa Regione, mostrano che la associazione romana Allora Film Festival guidata da Sol Costales, 25enne figlia di un diplomatico spagnolo, ottiene in pochi mesi tutto ciò che chiede. Ai 350mila euro che la giunta regionale ha stanziato il 6 giugno, e che saranno materialmente erogati dalla Apulia Film Commission («Sulla base di idonea documentazione», precisa il capo dipartimento Aldo Patruno), si sommano i 70mila euro che Aeroporti di Puglia ha messo a disposizione a titolo di «contributo» per l’acquisto dei biglietti aerei (valutati 200mila euro) e il «patrocinio gratuito» di Pugliapromozione che si è limitata a realizzare alcuni video promozionali. Sommando dunque gli altri 58mila euro chiesti e ottenuti dal Comune di Ostuni, si arriva a 480mila euro a fronte di costi vivi preventivati per poco più di un milione di euro, e circa altri 523mila euro che gli organizzatori hanno ipotizzato di poter ottenere in natura da alberghi e strutture ricettive del territorio.

Per Haggis il budget trasmesso dagli organizzatori alla Regione prevede un compenso di 25mila euro (più altri 50mila a raggiungimento della copertura finanziaria), oltre a spese vive (un executive assistant a Los Angeles, un assistente in loco, viaggi, pernottamenti, ospitalità dell’intera famiglia) per diverse decine di migliaia di euro. Nella mail del 17 gennaio con cui Costales chiede il contributo pubblico della Regione, si spiega che «il progetto (del festival; ndr) è stato ideato dal regista e sceneggiatore americano Paul Haggis, vincitore di 2 Oscar e 2 Emmy, dall’attore italiano Raoul Bova e dall’imprenditore pugliese Giovanni De Blasio».

De Blasio, imprenditore fasanese anche lui socio di Allora Festival, è il braccio destro del banchiere Renèe De Picciotto, che insieme al commercialista ostunese Francesco Zaccaria è una delle anime della manifestazione. Il cinema Roma, che ha ospitato le masterclass del festival (a pagamento), è stato acquistato da De Picciotto come il prestigioso Palazzo Bn di Lecce, l’ex sede del Banco di Napoli trasformata in albergo dal finanziere italo-svizzero: entrambe le strutture sono state messe gratuitamente a disposizione della manifestazione. Zaccaria, presidente della Bcc di Ostuni, inserito nel comitato di ospitalità del festival, ha invece concesso l’utilizzo dell’ex manifattura tabacchi per la mostra di Paolo Canevari: l’immobile di famiglia, che sorge ai piedi della Città bianca, durante la settimana del festival sarebbe stato al centro di una trattativa con la famiglia di un importantissimo banchiere che mirerebbe a trasformarlo in hotel di lusso.

E dunque, nonostante il direttore artistico Costales scriva che «la Puglia sarà la cornice ipnotica di questo evento eccezionale» a cui hanno partecipato a spese della Regione alcune star (Oliver Stone, Jeremy Irons, Matt Dillon, Edward Norton, Marisa Tomei), a Ostuni più che di cinema (il budget appostava appena 1.000 euro di «costi film» e 2.600 per «digital transport») si è probabilmente parlato di altro. Minimizzando la presenza - ingombrante - di Paul Haggis. All’indomani del fermo operato dalla Polizia di Brindisi con l’accusa (tutta da dimostrare) di aver stuprato una 28enne inglese, gli organizzatori del festival si sono affrettati a prendere le distanze dal regista canadese, che però è socio, promotore e ideatore della manifestazione. Già prima di sbarcare in Puglia, dove in febbraio ha girato il cortometraggio per promuovere la candidatura di Mesagne a capitale europea della Cultura, il premio Oscar era inseguito da accuse di molestie sessuali (pure queste tutte da dimostrare).

Ostuni, così il regista premio Oscar Haggis lavorò per preparare il festival: «Era un organizzatore, non un ospite». La rabbia di Mesagne: «Ci siamo fidati di lui, ci sentiamo traditi». Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Giugno 2022.

Su questo festival del cinema Paul Haggis ci aveva messo la faccia. Lo sceneggiatore e regista canadese non era uno dei tanti ospiti di Hollywood che in questi giorni affollano la Città bianca, come si sono affrettati a far credere gli organizzatori il giorno in cui Haggis, 69 anni, è stato fermato per il presunto stupro della giovane inglese conosciuta a Monte Carlo. Non solo perché fa parte del consiglio direttivo dell’associazione romana che ha lanciato l’iniziativa. Ma anche perché fino a due settimane fa Haggis ha fatto incontri e stretto mani, spendendo il peso del suo Oscar per promuovere l’Allora Fest da cui adesso è stato escluso.

Tutti, in una Ostuni che sembra volersi godere i giorni pieni di celebrità del cinema, sapevano chi era questo signore che guarda la gente passare dalla finestra del suo albergo dietro la piazza. E ne sono rimasti affascinati, nonostante le accuse di stupro che lo inseguono da anni negli Stati Uniti. Haggis è arrivato in Puglia a febbraio per girare il cortometraggio che ha promosso la candidatura di Mesagne a capitale della cultura. In quei giorni alloggiava a Tenuta Moreno, una delle strutture più belle della zona, la stessa che avrebbe dovuto accogliere anche gli ospiti del festival almeno fino al giorno dell’arresto del regista, quando il resort ha sbarrato le sue porte al cinema. Quello che è accaduto lo racconta Pierangelo Argentieri, patron di Tenuta Moreno, uno che con le celebrità è abituato a trattare e da questa vicenda ha ricavato («Ma lo sta dicendo lei...») solo una sonora fregatura. «Ci siamo sentiti colpiti e un po’ traditi da quanto accaduto - dice - ed è una percezione più umana che professionale. Non rinneghiamo nulla dei rapporti avuti in questi mesi con Paul, a cui avevamo dato la nostra fiducia. La notizia dell’arresto ha toccato la nostra sensibilità: c’è chi legittimamente ha deciso che the show must go on e chi, invece, ha fatto scelte diverse». Argentieri ha portato Haggis in giro per Ostuni a incontrare gli altri albergatori per coinvolgerli nel progetto del festival: lo conferma ad esempio Michele Martucci del bellissimo Ostuni Palace che un giorno - racconta - si è trovato Haggis «seduto su quel divanetto lì, e a pelle mi è stato subito simpatico». Chiedeva due stanze, due stanze per il festival, e le ha avute. Argentieri, che è uomo di mondo, non si nasconde dietro un dito e ammette che lui sapeva delle accuse al regista: «Devo badare a tutelare la mia struttura e i grandi nomi che ospita. Quando in passato ci sono state situazioni non consone, non ho mai esitato a intervenire. Con Paul Haggis, per evitare chiacchiericcio e metterlo in tranquillità, ho fatto in modo di tutelare sia lui che il mio staff da situazioni imbarazzanti. Ho protetto il mio lavoro e ho tutelato il cliente». Comportamenti fuori dalle righe? «No, semplicemente questo. Perché se avessi avuto una percezione diversa il discorso sarebbe stato differente».

Fatto sta che mentre a Ostuni sono contentissimi per quello che la manifestazione sta portando (ancora Martucci: «Le foto delle celebrità in giro ci accompagneranno per anni»), nella vicina Mesagne hanno deciso di non volere avere più niente a che fare con l’Allora Fest. «Noi - dice il sindaco Toni Matarrelli - amavamo Paul Haggis, e gli siamo stati riconoscenti per il lavoro di promozione della nostra città. Perché abbiamo annullato tutte le manifestazioni? Abbiamo ritenuto che non ci fosse più il clima giusto per una festa. Non condanniamo nessuno, abbiamo espresso solidarietà alla vittima».

La vittima è il grande mistero di questa storia. La donna, inglese con origini russe, che ad Haggis si è presentata come avvocato e scienziato comportamentale, dicendogli che stava valutando un lavoro nel private banking a Monte Carlo, è ancora in Puglia. Si trova in una struttura protetta, dove viene assistita da una associazione che le ha eretto intorno un muro protettivo. Era arrivata a Ostuni con uno zainetto, mercoledì 15 sarebbe dovuta rientrare a Londra. Forse già la prossima settimana potrebbe essere messa a confronto con l’uomo che ha accusato di averla violentata.

Bufera politica sulla Regione per i 350mila euro ad «Allora Fest». Amati (Pd): «Emiliano spieghi». Bellomo (Lega): «Figuraccia». su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Giugno 2022.

I350mila euro concessi all’Allora Fest scatenano le polemiche contro la Regione. Dopo le proteste degli operatori del cinema pugliese («A noi solo le briciole, a una associazione romana che è sputata pochi mesi fa i soldi subito sulla base di una promessa») arriva la presa di distanza bipartisan della politica. Con il presidente della commissione Bilancio, Fabiano Amati, che annuncia una ...

Ostuni, la Regione nella bufera: tutti i soldi al festival di Haggis. La decisione della Apulia film commission: all'Allora 350mila euro, agli altri niente. Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Giugno 2022.

La Regione garantisce che nessuna delle manifestazioni incluse nella rete dei festival del cinema verrà penalizzata per effetto del finanziamento erogato all'Allora film festival di Ostuni. E che i soldi provenienti dal programma «Costruiamo la cultura» non sono propriamente risorse Covid anche se si tratta di risorse destinate «alla ripartenza del sistema regionale fiaccato dalla pandemia». 

Le polemiche degli ultimi giorni sono state innescate dalla protesta degli...

La Puglia impari la lezione dal caso Haggis. Il premio Oscar Paul Haggis sotto l'occhio del ciclone. La rete donne costituenti pugliesi: una faccenda delicata su cui le istituzioni devono prendere una posizione. La rete donne costituenti pugliesi su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Giugno 2022.

La vicenda che coinvolge Paul Haggis, nei giorni del Festival sul Cinema in corso di svolgimento a Ostuni, suscita profondo turbamento; a prescindere dalla vicenda giudiziaria, che comporta rispetto dell’operato della magistratura, esprimiamo grande solidarietà umana nei confronti della giovane donna vittima delle circostanze ormai balzate agli onori delle cronache.

La vicenda riflette un tema culturale e di costume di fondo su cui non è possibile soprassedere, né è possibile accettare il silenzio assordante delle istituzioni coinvolte. Anche il campo della cinematografia è costellato di episodi che troppo spesso affidano la promozione della professionalità femminile al potere maschile (di registi, produttori, ecc) di assoggettamento, anziché al riconoscimento del talento. Potere di assoggettamento della libertà e competenza femminile che chiama in causa sia innanzitutto il dominio predatorio maschile sia la responsabilità dell’esercizio della libertà femminile.

L’ombra che questa vicenda sta generando sull’immagine della Puglia richiede, altresì, un di più di vigilanza e cautela da parte della sfera pubblica sulla credibilità di fornitori di servizi, consulenti culturali legati a rapporti retribuiti o che a vario titolo associano il loro nome e la loro immagine alla Puglia e alle sue istituzioni. E allora come è stato possibile che, per tutto il tempo in cui Haggis è stato presente in Puglia e coinvolto nei progetti più diversi, nessuno di chi avrebbe dovuto si è premurato di verificare con fonti accreditate, evidentemente, le origini delle denunce, le circostanze contestate e, pur senza sostituirsi mai ad alcuna autorità giudiziaria, di assumere decisioni conseguenti tali da non rischiare neppure di danneggiare l’immagine della Puglia e i mille sforzi perpetrati da istituzioni pubbliche e private per il contrasto di ogni forma di violenza e maltrattamento contro le donne?!

Quel che sta succedendo, nel pieno rispetto del lavoro in corso di accertamento della verità giudiziaria, deve vedere i rappresentanti di tutte le istituzioni e di tutti i soggetti pubblici , al pari dei pronunciamenti di Brindisi e Mesagne , prendere posizione. Spiegazioni e scuse, questo ci saremmo aspettate e ancora attendiamo, in ossequio a quell'etica pubblica che non deve mai venir meno.

Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera” il 23 giugno 2022.

Paul Haggis resta ai domiciliari nella masseria di Ostuni per le accuse di violenza sessuale su una ventottenne di cittadinanza inglese. Secondo la giudice delle indagini preliminari, Vilma Gilli, le «modalità» dei fatti descritti dalla ragazza denoterebbero che il regista da Oscar ha una «assoluta incapacità di controllare i propri istinti e di desistere dai propri propositi in un contegno di prevaricazione e dominanza». Il fatto poi che abbia una causa civile pendente a New York per fatti analoghi, anche se sub iudice , potrebbe essere «sintomo di una inclinazione delinquere in ambito sessuale».

Sono pesanti i sospetti che gravano sull'autore di Crash-Contatto Fisico . Accuse che l'autore canadese sessantanovenne, con doppia cittadinanza statunitense, ieri mattina, in un interrogatorio di oltre due ore, ha respinto categoricamente dicendo, in sintesi, e al netto delle traduzioni: «Non c'è stata alcuna violenza. Rapporti sì, ma consenzienti».

Ma la gip, pur non convalidando il fermo, vuole vederci più chiaro. Ed evitare, si legge nel provvedimento di 6 pagine, che la ragazza «mediante contatti con Haggis o con terzi possa essere indotta a ritrattare» la sua versione. Una doccia fredda per la difesa: l'avvocato Michele Laforgia sperava che Haggis avesse «chiarito tutto», raccontando la sua versione, supportata da alcune chat agli atti.

Era stata la ragazza ad avvicinarlo a marzo al Festival di Monaco da lui diretto. Gli aveva chiesto di fare con lei un selfie che poi aveva pubblicato su Instagram, facendoglielo sapere con una «tag». Lui l'aveva contattata. E invitata a Ostuni dove lo sceneggiatore doveva essere il padrone di casa della prima edizione del Festival di Cinema, Musica e Arte, «Allora Fest». Fatti, questi, confermati da lei. Solo che poi le versioni divergono. Lui la racconta come una storia finita in tre giorni e due scambi di intimità. Lei no. Dice che a quel festival si era proposta a lui con il ruolo di consulente. E che Haggis l'aveva contatta e invitata a raggiungerlo a Ostuni dove «avrebbe diretto un festival». Lì, ricostruisce il gip, l'aveva accolta all'aeroporto, portata al bed and breakfast dove risiedeva e «già sulla porta le aveva fatto comprendere le sue intenzioni».

L'«assalto» descritto dalla ragazza ha dettagli scabrosi. Ma poi lei spiega perché a quel punto non è andata via: il regista l'avrebbe portata a pranzo e «rassicurata sulle proprie intenzioni di voler instaurare con lei una relazione sentimentale». Ma il pomeriggio ci sarebbe stato un nuovo assalto, malgrado le «richieste di smettere» della ragazza in oggettiva impossibilità di avere un rapporto intimo e per questo finita al pronto soccorso. È lei stessa però a riferire che è Haggis il giorno dopo a spingerla ad andare da amici a Lecce.

E ad ammettere di aver lasciato al regista un biglietto: «Ho apprezzato la tua gentilezza» «Mi mancano le tue carezze». «L'uccello della felicità si posa su chi sa aspettare». Ma la sera decide di tornare. E c'è il terzo agguato e la fine delle illusioni. «Il gip ci ha dato atto che non c'è prova di alcuna lesione fisica», assicura Laforgia, che si riserva di impugnare il provvedimento del gip. Secondo la procura però non sono importanti le lesioni fisiche ma quelle psicologiche.

Violenza sessuale a Ostuni: la vittima confidò gli abusi di Haggis e poi tornò da lui. La donna avrebbe raccontato i presunti stupri a un medico, un infermiere e alcuni amici. Il premio Oscar ancora ai domiciliari. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Giugno 2022.

Per tre volte la presunta vittima degli abusi sessuali del regista premio Oscar Paul Haggis si sarebbe allontanata da lui, confidando le presunte violenze subìte a un medico, a una farmacista e anche a diversi amici, e tutte le volte sarebbe poi tornata dal regista. È uno dei particolari contenuti negli atti giudiziari della magistratura brindisina che ieri ha confermato gli arresti domiciliari per Haggis, detenuto in una masseria a Ostuni da domenica scorsa.

Dopo essersi fatta medicare in ospedale la prima delle tre giornate nelle quali lo sceneggiatore canadese avrebbe abusato di lei in un b&b della Città bianca, la donna, una inglese 28enne, ha riferito nella denuncia di aver deciso «di scrivere e far leggere al medico due bigliettini in cui raccontava gli abusi» ma poi li avrebbe «cestinati per timore che giungesse Haggis».

Il medico, letti i biglietti, le avrebbe chiesto - stando sempre al racconto della presunta vittima - «se si sentisse sicura a rientrare in struttura con l’uomo e lei, trovandosi da sola in Italia e quindi non sentendosi sufficientemente protetta, minimizzava l’accaduto nella speranza, tra l’altro, che Haggis iniziasse davvero una relazione amorosa con lei». 

Oliver Stone: "Haggis come Amanda Knox. Il MeToo è agghiacciante, quando incontri una donna ora è meglio essere in tre". Arianna Finos su La Repubblica il 23 Giugno 2022.

Il suo film su Bush presentato a Ostuni, al festival travolto dalla vicenda del regista accusato di stupro. "Ogni verità richiede indagini approfondite, come ho fatto io con i miei film su JFK"

Incontriamo Oliver Stone a mezzogiorno, maglietta rossa e pantaloncini, un caffè, nel salotto antico del Paragon di Ostuni. Il regista è all’Allora Festival che ospita tra gli altri Matt Dillon, Marisa Tomei, Jeremy Irons, Edward Norton, divi che si sono eclissati rinviando, poi disdicendo, le interviste fissate, per evitare di commentare la vicenda di Paul Haggis, ai domiciliari in una masseria con l’accusa di aver violentato una trentenne inglese.

Ostuni, il memoriale di Haggis: «Tre notti insieme nel B&B. Lei ha insistito per fare sesso». Le accuse di stupro al regista premio Oscar. La donna: «Ha abusato di me». Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 Giugno 2022.

Chi è la misteriosa e non ancora 30enne che ha raccontato di essere stata violentata dal regista canadese Paul Haggis? E soprattutto: perché la ragazza con passaporto inglese, discendenza russa (dagli amici si fa chiamare con un nome italiano), sedicente avvocato e scienziato comportamentale, ha dato alla polizia un nome falso che suona come francese? È uno dei tanti punti che l’indagine della Polizia dovrà chiarire, mentre il premio Oscar si prepara - oggi - a raccontare la sua verità: diametralmente opposta rispetto a quella di lei. Due versioni che dovranno essere messe a confronto in un incidente probatorio.

Il regista (difeso dall’avvocato Michele Laforgia) comparirà stamattina dal gip di Brindisi, Vilma Gilli, per la convalida del fermo disposto domenica dal procuratore aggiunto Antonio Negro e dal pm Silvia Orlando. Haggis è ai domiciliari in un albergo. La sua versione dei fatti è in un memoriale di sette pagine, in italiano e inglese, in cui Haggis dice sostanzialmente due cose. Che è stata la donna, da lui conosciuta con il falso cognome francese, a insistere per avere rapporti sessuali con lui. E che la sera del 12 giugno, quello in cui lei lo ha raggiunto in un B&B di Ostuni senza portare con sé alcun bagaglio, il regista l’ha accompagnata al pronto soccorso dell’ospedale cittadino ma per un motivo diverso da quello delle presunte violenze: la ragazza - secondo Haggis - aveva un assorbente interno che non riusciva a rimuovere. I due si sarebbero conosciuti ad aprile a Monte Carlo, dove Haggis era presidente del film festival e dove la donna gli avrebbe chiesto un selfie. «Abbiamo parlato per meno di un minuto - dice il regista - e lei mi disse che avrebbe dovuto essere la prossima Bond Girl. Ho pensato che stesse scherzando e sono andato a cena con gli altri membri della giuria». Poi, il 2 maggio, la ragazza lo avrebbe ricontattato inviandogli su Instagram quella foto di Monte Carlo, e da lì sarebbe nato un lungo scambio andato avanti per due mesi. «Dopo diversi messaggi le dissi che poteva venire a Roma, dove mi trovavo in quel momento, o in Puglia prima del festival».

È così che nasce l’idea dell’incontro a Ostuni, dove il regista - così dice - le avrebbe trovato una camera nel B&B in cui alloggiava. Solo che la struttura era al completo. «Ha risposto per iscritto che voleva stare con me», ricostruisce Haggis che sul punto ha conservato i messaggi Whatsapp scambiati in inglese con lei. «Dopo aver messo le sue poche borse nella mia stanza ci siamo baciati, e poi lei mi ha baciato molto appassionatamente. Mi ha detto che doveva fare la doccia e ho aspettato. È uscita indossando solo l’asciugamano da bagno. Abbiamo fatto sesso sul letto. Non sapevo che fosse l’ultimo giorno del ciclo. Dopo aver fatto sesso ho notato che c’era del sangue sulle lenzuola».

La giornata di domenica - secondo il regista - prosegue fuori dalla stanza. «Continuava a volermi tenere per mano e le ho detto che non ero a mio agio, il che penso l’abbia un po’ turbata». Alle 22, al rientro in camera, «ha detto che pensava che il suo ciclo si fosse fermato e ha detto che voleva fare di nuovo sesso. Lei è stata molto insistente e ha continuato a baciarmi, poi ha iniziato a fare sesso orale. Abbiamo quindi tentato un rapporto sessuale, ma presto ho notato che aveva ancora un assorbente interno». Ed è allora che lei, dopo aver sentito per messaggi un amico medico, ha chiesto di andare al pronto soccorso per rimuoverlo. Il giorno successivo (lunedì 13) la ragazza - dice Haggis - è stata a Lecce. Lui nel frattempo ha cambiato camera, e la sera è andato a riprenderla alla stazione. «Quando siamo arrivati di nuovo in hotel, ha ricominciato a fare sesso, anche se ho detto che avrei preferito di no. Ha insistito, mi ha fatto sesso orale e poi abbiamo avuto un breve rapporto», ricostruisce il regista. Il martedì 14 Claudia è tornata a Lecce («Ha detto di aver incontrato alcuni studenti di giurisprudenza lì e che li avrebbe incontrati di nuovo) e si è ripresentata al B&B intorno a mezzanotte. «Era molto ubriaca e di nuovo ha cercato in modo aggressivo di istigare il sesso. L’ho rifiutata e rifiutata più volte, il che le ha dispiaciuto, e ha parlato per un’ora di come voleva che la amassi come lei amava me e di come voleva essere la prossima Bond Girl. Le ho detto gentilmente che dovevamo dormire e ho insistito che lo facesse. Ho dormito e ho pensato che lo facesse anche lei». Ma alle 4 del mattino, Haggis dice di essersi svegliato perché il letto era «molto bagnato, aveva fatto pipì nel sonno. L’ho svegliata e non ero contento. I proprietari si erano già arrabbiati per il sangue sulle lenzuola della prima stanza, ora questa. Le ho detto che dovevamo andarcene subito, e mentre faceva la doccia ho preparato le sue poche cose. Aveva un blazer blu, che ho messo nella sua borsa. Se n’è andata con indosso un blazer blu, che ora credo fosse mio».

E così mercoledì 15 il regista l’ha scaricata in aeroporto a Brindisi, alle 6 del mattino, anche se l’aereo della donna era nel primo pomeriggio. «L’ho lasciata lì all’aeroporto con i suoi bagagli, a quel punto mi ha detto che dovevo darle dei soldi. Le ho detto che mi dispiaceva ma non l’avrei fatto e me ne sono andato». Le carte dell’indagine dicono che in aeroporto la donna è stata notata in evidente stato di agitazione dal personale dello scalo, che ha avvertito la Polizia di frontiera. Di qui è stata avvisata la Procura di Brindisi, che ha disposto gli accertamenti previsti dal protocollo per gli stupri: i tamponi eseguiti all’ospedale di Brindisi hanno confermato il rapporto sessuale. La donna ha raccontato ai poliziotti di essere stata costretta, per due volte, a fare sesso contro la sua volontà, ed è stata presa in carico da una associazione del territorio. Ora dovrà essere un giudice a stabilire come siano davvero andate le cose.

Caso Haggis, la 28enne conferma le accuse di violenza. La difesa del regista: «Fiduciosi di restituirgli presto la libertà». Si è conclusa l'udienza-fiume nel Tribunale di Brindisi alla presenza del regista e della giovane presunta vittima di violenza. Isabella Maselli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Giugno 2022.

Si è appena conclusa l'udienza fiume nel Tribunale di Brindisi (dopo oltre 12 ore) in cui è stato raccolto l'incidente probatorio finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni della 28enne inglese che accusa di violenza sessuale il regista premio Oscar Paul Haggis.

"Siamo assolutamente fiduciosi di poter innanzitutto restituire la libertà a Paul Haggis in tempi brevi e poi di poter chiarire fino in fondo questa vicenda", ha detto l'avvocato Michele Laforgia, difensore del regista Paul Haggis agli arresti domiciliari con l'accusa di violenza sessuale, al termine dell'incidente probatorio nel Tribunale di Brindisi sulle dichiarazioni della presunta vittima. "Abbiamo anticipato la formalizzazione della istanza di revoca della misura cautelare anche all'esito dei risultati dell'incidente probatorio", ha detto Laforgia. "Stiamo parlando - ha sottolineato - di un cittadino non italiano che si trova ristretto in questo Paese con una misura restrittiva della libertà personale. La faremo domani o appena sarà possibile".

LE PAROLE DEI LEGALI DELLA 28ENNE

"La signora ha confermato senza nessuna esitazione e senza nessuna incertezza il contenuto della denuncia e questa è la cosa più importante".

Lo ha detto dopo l'incidente probatorio nel Tribunale di Brindisi l'avvocato Claudio Strata, legale della 28enne presunta vittima di violenza sessuale da parte del regista premio Oscar Paul Haggis.

 "Dopo 8 ore e mezza lei è molto stanca e provata" ha detto l'avvocato, rispondendo però "no" a chi gli chiedeva se avesse avuto un crollo: "Ha chiesto un paio di volte di sospendere per avere un momento di riposo, per prendere un po' d'acqua e un caffè, ha tenuto molto bene". "Ci sono state tantissime domande. Lei ha risposto e ha chiarito tutti i dubbi che sono stati sollevati - ha detto l'avvocato Strata - . Siamo molto grati al lavoro della questura e della procura. Siamo solo all'inizio e credo che ci sarà un percorso non breve. Siamo rimasti a disposizione della procura e attendiamo fiduciosi gli sviluppi" 

Caso Haggis: il regista premio Oscar in Tribunale per incidente probatorio. Saranno cristallizzate le dichiarazioni della presunta vittima di violenze sessuale. La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Giugno 2022

Il regista e sceneggiatore canadese premio Oscar Paul Haggis è arrivato nel Tribunale di Brindisi, accompagnato dal suo difensore, il penalista barese Michele Laforgia, per partecipare all’incidente probatorio finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni della 28enne inglese che lo accusa di violenza sessuale. Anche il legale della donna, l'avvocato Claudio Strata, si trova negli uffici giudiziari di Brindisi.

Entrando nel palazzo di giustizia, alla domande dei giornalisti che chiedevano della presunta vittima, il legale ha risposto «è già dentro, arrivata con largo anticipo».

Dinanzi alla gip Vilma Gilli la ragazza risponderà alle domande di accusa e difesa sulle presunte tre giornate di abusi subiti nella camera di un b&b di Ostuni, dove il premio Oscar, agli arresti domiciliari dal 19 giugno, alloggiava per partecipare a un festival di cinema. Dopo la denuncia, risalente al 15 giugno, oggi per la prima volta Haggis e la donna si ritroveranno faccia a faccia.

Ore 20, l'incidente probatorio è ancora in corso

E’ ancora in corso, ormai da circa cinque ore, l’incidente probatorio davanti alla gip del Tribunale di Brindisi Vilma Gilli per cristallizzare il racconto della 28enne inglese, presunta vittima di violenza sessuale da parte del regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis. Nell’aula della Corte di Assise, la Procura di Brindisi e la difesa del regista, l’avvocato barese Michele Laforgia, starebbero ponendo domande alla donna - come chiesto dai pm nella richiesta di incidente probatorio - per ricostruire in una anticipazione del processo quello che è accaduto in un b&b di Ostuni nei tre giorni dal 12 al 15 giugno, durante i quali la 28enne ha denunciato di aver subito abusi. L’incidente probatorio si svolge a porte chiuse. Nulla trapela dall’interno dell’aula, neppure indiscrezioni sui tempi previsti per la conclusione. All’udienza partecipa anche lo stesso Haggis, detenuto agli arresti domiciliari dal 19 giugno, arrivato poco prima delle 15 con il suo legale. La presunta vittima, invece, sarebbe arrivata «con largo anticipo», ha dichiarato il suo difensore, l’avvocato torinese Claudio Strata.

Caso Haggis, la 28enne conferma le accuse e lascerà l'Italia. La difesa del regista ha chiesto la revoca dell'arresto: «Nessuna violenza». Si è conclusa ieri a tarda ora l'udienza-fiume nel Tribunale di Brindisi alla presenza del Premio Oscar e della giovane presunta vittima. Isabella Maselli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Giugno 2022.

Questa mattina la difesa del regista e sceneggiatore canadese premio Oscar Paul Haggis ha depositato istanza di revoca della misura cautelare. Haggis è agli arresti domiciliari dal 19 giusto per i reati di violenza sessuale e lesioni aggravate su una 28enne inglese. «L'istanza di revoca - spiega il legale, il penalista barese Michele Laforgia - si basa non solo sulla base del dato, che era già stato accertato, dell’assenza di lesioni da rapporto sessuale di carattere ginecologico, ma anche sulla base degli esiti del lungo incidente probatorio di ieri». Per 8 ore e mezza ieri la presunta vittima dinanzi alla gip Vilma Gilli, la stessa che ha firmato l’ordinanza di arresto per Haggis, ha risposto alle domande di accusa e difesa per cristallizzare il suo racconto. "A nostro avviso - dice l’avvocato Laforgia - sono state ampiamente confermate tutte le ragioni per le quali in questa vicenda non c'è stata alcuna violenza sessuale». 

«Una persona così esercita un certo fascino, un potere di attrazione, è una persona molto carismatica, per il mondo che rappresenta, che catalizza l’attenzione, e questo fa sentire "soggiogato" chi le si avvicina». Così l’avvocato torinese Claudio Strata, che assiste la 28enne inglese presunta vittima di violenza sessuale da parte di Haggis, definisce il contesto, anche psicologico, nel quale si sarebbe trovata la donna nei tre giorni, dal 12 al 15 giugno, durante i quali ha denunciato di essere stata abusata dal regista e sceneggiatore canadese. La giovane nei prossimi giorni lascerà l’Italia e andrà prima in Francia e poi a Londra dove vive la sua famiglia. Avrebbe spiegato di aver visto in quel contatto con Haggis avuto «in modo assolutamente casuale» dice il legale, durante un festival di cinema a Montecarlo alcuni mesi fa, una «opportunità professionale», dopo aver «avviato un dialogo molto garbato e rispettoso con messaggi prima su Instagram e poi Whatsapp, mai dal contenuto dubbio».

Ieri sera l'incidente probatorio

Si è conclusa ieri sera a tarda ora l'udienza fiume nel Tribunale di Brindisi (dopo oltre 12 ore) in cui è stato raccolto l'incidente probatorio finalizzato a cristallizzare le dichiarazioni della 28enne inglese che accusa di violenza sessuale il regista premio Oscar Paul Haggis. «Siamo assolutamente fiduciosi di poter innanzitutto restituire la libertà a Paul Haggis in tempi brevi e poi di poter chiarire fino in fondo questa vicenda», ha detto l'avvocato Michele Laforgia, difensore del regista agli arresti domiciliari, al termine dell'incidente probatorio. «Abbiamo anticipato la formalizzazione dell'istanza di revoca della misura cautelare anche all'esito dei risultati dell'incidente probatorio», ha detto Laforgia. «Stiamo parlando - ha sottolineato - di un cittadino non italiano che si trova bloccato in questo Paese con una misura restrittiva della libertà personale. La faremo domani o appena sarà possibile».

«La signora ha confermato senza nessuna esitazione e senza nessuna incertezza il contenuto della denuncia e questa è la cosa più importante»: lo ha detto dopo l'incidente probatorio l'avvocato Claudio Strata, legale della 28enne presunta vittima di violenza sessuale. «Dopo 8 ore e mezza lei è molto stanca e provata» ha dichiarato l'avvocato, rispondendo però di "no" a chi  chiedeva se avesse avuto un crollo: «Ha chiesto un paio di volte di sospendere per avere un momento di riposo, per prendere un po' d'acqua e un caffè, ma ha tenuto molto bene. Ci sono state tantissime domande. Lei ha risposto e ha chiarito tutti i dubbi che sono stati sollevati. Siamo solo all'inizio e credo che ci sarà un percorso non breve. Siamo rimasti a disposizione della Procura e attendiamo fiduciosi gli sviluppi».

Lucia Portolano per “la Repubblica” l'1 luglio 2022.

«Ero affascinata, soggiogata, ammaliata da Paul. E mi sono trovata in una situazione che non avrei mai immaginato. Ho cercato di respingerlo, ma lui continuava e si mostrava indifferente». Non cambia di una virgola il proprio racconto la 29enne inglese che ha accusato il noto regista canadese Paul Haggis di violenza sessuale, confermando davanti al premio Oscar i fatti già denunciati il 15 giugno agli agenti della Squadra mobile di Brindisi. Il faccia a faccia di mercoledì, durato 8 ore, fra la presunta vittima e il regista era stato chiesto dal procuratore aggiunto brindisino Antonio Negro e dalla pm Livia Orlando.

Un passaggio necessario per cristallizzare le sue dichiarazioni come prova. Durante l'incidente probatorio la donna ha ribadito i tre presunti episodi di violenza in un b&b di Ostuni dal 12 al 14 giugno. All'alba del 15 il regista alle 5 del mattino l'avrebbe scaricata fuori dall'aeroporto di Brindisi. Dieci ore prima del volo. È qui che è stata trovata in stato confusionale.

La donna ha raccontato dettagliatamente i suoi giorni con Haggis a Ostuni. Ha spiegato il suo stato d'animo in quei momenti. Il perché fosse rimasta per tre giorni nonostante l'atteggiamento dell'uomo. «Ero molto presa da mister Paul - spiega ai magistrati - una persona di grande fascino e carisma. Quando mi ha invitata per il weekend in Puglia mi sembrava di sognare». Ma poi il sogno si rivelato ben altro. «Mi sono chiesta cosa stesse accadendo - dice ancora - e non capivo. Ero molto confusa. Ho trascorso questi giorni alternando momenti di sconforto con altri in cui mi sentivo più forte».

Ha spiegato di aver passato tante ore da sola a pensare, di essersi sentita persa e di aver «anche pensato che forse ci poteva stare». Secondo l'avvocato della difesa, il penalista Michele Laforgia, il racconto della 29enne non farebbe altro che confermare il fatto che non ci sia stata alcuna violenza da parte di Haggis, ma si tratterebbe di comportamenti consenzienti. Tanto che lei torna tutte le volte da lui.

Ma su questo tema l'avvocato della ragazza, Claudio Strata, replica: «Il fenomeno della donna abusata che torna dal suo aggressore è la regola. Basta guardare le statistiche sui femminicidi».

Il legale di Haggis ieri mattina ha presentato una istanza di scarcerazione. La decisione del giudice è attesa fra le giornate di lunedì e martedì. Secondo l'avvocato Laforgia non ci sono più le esigenze cautelari legate all'incidente probatorio ormai avvenuto. Inoltre, come ha rilevato anche il gip, nel referto del pronto soccorso dell'ospedale non sono segnalate lesioni fisiche. «L'istanza di revoca - spiega l'avvocato Laforgia - si basa non soltanto sul dato dell'assenza di lesioni, ma anche sugli esiti del lungo incidente probatorio. A nostro avviso sono state ampiamente confermate tutte le ragioni per le quali non c'è stata alcuna violenza sessuale».

Cinzia Semeraro per corriere.it il 4 luglio 2022.

Dopo 16 giorni agli arresti domiciliari il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis è tornato in libertà. La gip del Tribunale di Brindisi, Vilma Gilli, ha dunque accolto l’istanza di revoca del fermo presentata il 30 giugno scorso dall’avvocato Michele Laforgia, suo difensore. Nei confronti del canadese, fermato a Ostuni il 19 giugno con l’accusa di violenza sessuale e lesioni aggravate nei confronti di una 28enne inglese, la misura cautelare era stata confermata per il pericolo che reiterasse il reato. Secondo l’accusa, gli abusi sarebbero avvenuti in un b&b di Ostuni dal 12 al 15 giugno.

Violenza sessuale, il premio Oscar Paul Haggis torna libero. La Gip di Brindisi accoglie l'istanza di revoca dell'arresto dopo 16 giorni. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 04 Luglio 2022

Il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis è tornato in libertà dopo sedici giorni agli arresti domiciliari con le accuse di violenza sessuale e lezioni aggravate nei confronti di una 28enne inglese. Gli abusi - secondo l’accusa - sarebbero avvenuti in un b&b di Ostuni dal 12 al 15 giugno. La gip del Tribunale di Brindisi, Vilma Gilli, ha accolto l’istanza di revoca dell’arresto presentata il 30 giugno scorso dal difensore, il penalista barese Michele Laforgia. Haggis era agli domiciliari dal 19 giugno. Il 29 giugno, su richiesta della Procura, la presunta vittima è stata sentita in un lungo incidente probatorio.

Il racconto della 28enne inglese, presunta vittima di violenza sessuale da parte del premio Oscar Paul Haggis, fatto nel lungo incidente probatorio del 29 giugno scorso, «non solo ha confermato l’assenza di contegni violenti costrittivi da parte dell’indagato al fine di consumare gli atti sessuali, ma ha rivelato una complessa vicenda che sfuma l'originario giudizio espresso nella ordinanza» che aveva disposto gli arresti domiciliari per il regista, e cioè la «incapacità di Haggis di resistere ai propri istinti sessuali». Lo scrive la gip di Brindisi Vilma Gilli nel provvedimento di revoca della misura cautelare.

La gip spiega che «le modalità di incontro tra indagato e persona offesa, la spontanea permanenza» della donna «presso la residenza dell’indagato anche successivamente agli abusi, i momenti di convivialità tra loro durante le giornate o l’ordinaria messaggistica dei propri impegni/spostamenti, le modalità di commiato adottate dalla persona offesa, sono espressione di una complessità di interazioni tra le parti che, anche laddove meritevole di approfondimento, allo stato affievolisce il giudizio negativo della personalità di Haggis quale soggetto incline a esercitare violenza, fisica o psichica, in danno di terzi».

La difesa: «Certi che sarà acclarata totale innocenza»

«Siamo certi che in tempi altrettanto brevi sarà definitivamente acclarato che Haggis non ha commesso alcun reato ed è completamente innocente rispetto alle gravi accuse mosse nei suoi confronti, come abbiamo sempre detto». Lo dichiara l’avvocato Michele Laforgia, il difensore del regista premio Oscar Paul Haggis, arrestato per violenza sessuale e oggi tornato in libertà dopo 16 giorni. «Il provvedimento di revoca del giudice per le indagini preliminari - spiega il legale - dà atto non solo dell’assenza di qualsiasi esigenza cautelare, ma ha confermato 'l'assenza di contegni violenti o costrittivì da parte di Paul Haggis. È un risultato importante - prosegue Laforgia - , che conferma la versione offerta sin dal primo momento da Haggis sulla spontaneità e volontarietà del rapporto intrattenuto con la denunciante e dimostra come il nostro sistema processuale sia in grado, in tempi brevi, di rimediare agli errori e restituire la libertà a chi ne ha diritto».

Gip: «Fondatezza accuse in Usa non verificata»

«La pendenza giudiziaria a carico di Haggis presso la Corte dello Stato di New York non offre significatività al rischio di reiterazione in quanto ha natura meramente civilistica, in assenza di una verifica, anche solo investigativa, della fondatezza delle accuse e della assenza di intento calunnioso». Lo scrive la gip del Tribunale di Brindisi Vilma Gilli nel provvedimento con il quale ha disposto la revoca degli arresti domiciliari per il regista premio Oscar Paul Haggis, detenuto dal 19 giugno a Ostuni per violenza sessuale su una 28enne inglese.

La giudice motiva la sua valutazione sulle accuse negli Usa sulla base di quanto «documentato dalla difesa dell’indagato e in assenza di smentite della pubblica accusa o dei difensori della persona offesa».

La gip ritiene, quindi, «fortemente affievolite» le esigenze cautelari, anche con riferimento al rischio di inquinamento probatorio. A questo proposito, la giudice evidenzia che, dopo l'incidente probatorio, «non è ipotizzabile, neppure in astratto, che l’indagato o terzi a lui vicini possano oggi determinare una rivisitazione/alterazione dei contenuti accusatori acquisiti, che sono senza dubbio stigmatizzati».

La decisione del gip di Brindisi. Paul Haggis torna libero, primo colpo all’accusa di stupro: “Assenza di violenza o costrizione”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 4 Luglio 2022 

Il ‘mostro’ Paul Haggis, il regista e sceneggiatore Premio Oscar torna in libertà dopo 16 giorni trascorsi agli arresti domiciliari, con l’arresto il 19 giugno scorso, per la pesante accusa di violenza sessuale e lezioni aggravate nei confronti di una 28enne inglese. 

La gip del tribunale di Brindisi, Vilma Gilli, ha accolto l’istanza di revoca degli arresti domiciliari presentata il 30 giugno scorso dal difensore di Haggis, l’avvocato Michele Laforgia.

Secondo l’accusa gli abusi nei confronti della vittima, sentita su richiesta della Procura lo scorso 29 giugno in un lungo incidente probatorio, sarebbero avvenuti in un b&b di Ostuni dal 12 al 15 giugno. 

Ma sono in particolare le parole messe nero su bianco dal gip nel provvedimento di revoca dei domiciliari a gettare una pesante ombra sulle indagini. Secondo il giudice per le indagini preliminari Gilli, la presunta vittima nell’incidente probatorio “non solo ha confermato l’assenza di contegni violenti costrittivi da parte dell’indagato al fine di consumare gli atti sessuali, ma ha rivelato una complessa vicenda che sfuma l’originario giudizio espresso nella ordinanza” che aveva disposto gli arresti domiciliari per il regista, e cioé la “incapacità di Haggis di resistere ai propri istinti sessuali”, scrive l’Ansa riportando il provvedimento del gip.

Secondo la giudice “le modalità di incontro tra indagato e persona offesa, la spontanea permanenza” della donna “presso la residenza dell’indagato anche successivamente agli abusi, i momenti di convivialità tra loro durante le giornate o l’ordinaria messaggistica dei propri impegni/spostamenti, le modalità di commiato adottate dalla persona offesa, sono espressione di una complessità di interazioni tra le parti che, anche laddove meritevole di approfondimento, allo stato affievolisce il giudizio negativo della personalità di Haggis quale soggetto incline a esercitare violenza, fisica o psichica, in danno di terzi”.

La gip ritiene, quindi, “fortemente affievolite” le esigenze cautelari, anche con riferimento al rischio di inquinamento probatorio da parte del regista. A questo proposito il gip evidenzia nel provvedimento che, dopo l’incidente probatorio, “non è ipotizzabile, neppure in astratto, che l’indagato o terzi a lui vicini possano oggi determinare una rivisitazione/alterazione dei contenuti accusatori acquisiti, che sono senza dubbio stigmatizzati”.

Soddisfatto ovviamente il penalista barese Michele Laforgia, avvocato difensore di Haggis, che ora punta “in tempi altrettanto brevi” ad acclarare che “Haggis non ha commesso alcun reato ed è completamente innocente rispetto alle gravi accuse mosse nei suoi confronti, come abbiamo sempre detto”.

Come sottolinea l’avvocato, il provvedimento firmato oggi dal gip Gilli “dà atto non solo dell’assenza di qualsiasi esigenza cautelare, ma ha confermato ‘l’assenza di contegni violenti o costrittivi’ da parte di Paul Haggis. E’ un risultato importante – prosegue Laforgia – , che conferma la versione offerta sin dal primo momento da Haggis sulla spontaneità e volontarietà del rapporto intrattenuto con la denunciante e dimostra come il nostro sistema processuale sia in grado, in tempi brevi, di rimediare agli errori e restituire la libertà a chi ne ha diritto”.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Cinzia Semeraro per il “Corriere del Mezzogiorno” il 5 luglio 2022.  

Dopo 16 giorni agli arresti domiciliari il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis è tornato in libertà. La gip del Tribunale di Brindisi, Vilma Gilli, ha dunque accolto l’istanza di revoca del fermo presentata il 30 giugno scorso dall’avvocato Michele Laforgia, suo difensore. 

Nei confronti del canadese, fermato a Ostuni il 19 giugno con l’accusa di violenza sessuale e lesioni aggravate nei confronti di una 28enne inglese, la misura cautelare era stata confermata per il pericolo che reiterasse il reato. Secondo l’accusa, gli abusi sarebbero avvenuti in un b&b di Ostuni dal 12 al 15 giugno.

La gip: «Non ci sono segni di violenza»

Il racconto fatto dalla 28enne inglese nel lungo incidente probatorio (durato otto ore) del 29 giugno scorso, «non solo ha confermato l’assenza di contegni violenti costrittivi da parte dell’indagato al fine di consumare gli atti sessuali, ma ha rivelato una complessa vicenda che sfuma l’originario giudizio espresso nella ordinanza» che aveva disposto gli arresti domiciliari per il regista, e cioè la «incapacità di Haggis di resistere ai propri istinti sessuali». Lo scrive la gip di Brindisi Vilma Gilli nel provvedimento di revoca della misura cautelare.

La gip spiega che «le modalità di incontro tra indagato e persona offesa, la spontanea permanenza» della donna «presso la residenza dell’indagato anche successivamente agli abusi, i momenti di convivialità tra loro durante le giornate o l’ordinaria messaggistica dei propri impegni/spostamenti, le modalità di commiato adottate dalla persona offesa, sono espressione di una complessità di interazioni tra le parti che, anche laddove meritevole di approfondimento, allo stato affievolisce il giudizio negativo della personalità di Haggis quale soggetto incline a esercitare violenza, fisica o psichica, in danno di terzi». 

Inoltre «la pendenza giudiziaria a carico di Haggis presso la Corte dello Stato di New York non offre significatività al rischio di reiterazione in quanto ha natura meramente civilistica, in assenza di una verifica, anche solo investigativa, della fondatezza delle accuse e della assenza di intento calunnioso», scrive la gip che motiva la sua valutazione sulle accuse negli Usa sulla base di quanto «documentato dalla difesa dell'indagato e in assenza di smentite della pubblica accusa o dei difensori della persona offesa».

La giudice ritiene, quindi, «fortemente affievolite» le esigenze cautelari, anche con riferimento al rischio di inquinamento delle prove: dopo l'incidente probatorio, «non è ipotizzabile, neppure in astratto, che l'indagato o terzi a lui vicini possano oggi determinare una rivisitazione/alterazione dei contenuti accusatori acquisiti, che sono senza dubbio stigmatizzati». 

La difesa: «Sarà acclarata la totale innocenza»

«Siamo certi che in tempi altrettanto brevi sarà definitivamente acclarato che Haggis non ha commesso alcun reato ed è completamente innocente rispetto alle gravi accuse mosse nei suoi confronti, come abbiamo sempre detto». Lo dichiara l’avvocato Michele Laforgia, il difensore del regista premio Oscar Paul Haggis.

«Il provvedimento di revoca del giudice per le indagini preliminari - spiega il legale - dà atto non solo dell’assenza di qualsiasi esigenza cautelare, ma ha confermato “l’assenza di contegni violenti o costrittivi” da parte di Paul Haggis. È un risultato importante - prosegue Laforgia - , che conferma la versione offerta sin dal primo momento da Haggis sulla spontaneità e volontarietà del rapporto intrattenuto con la denunciante e dimostra come il nostro sistema processuale sia in grado, in tempi brevi, di rimediare agli errori e restituire la libertà a chi ne ha diritto».

Caso Haggis, la Procura Brindisi impugna la revoca dell'arresto. Per il pm «c'è rischio di reiterazione del reato di violenza sessuale». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno l'11 Luglio 2022.

BRINDISI - La Procura di Brindisi ha impugnato la revoca dell’arresto disposta nei giorni scorsi per il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis, indagato per violenza sessuale e lesioni nei confronti di una 28enne inglese. Haggis era agli arresti domiciliari dal 19 giugno (prima in stato di fermo e poi su ordinanza), accusato di aver abusato della donna per tre giorni, dal 12 al 15 giugno, in un b&b di Ostuni (Brindisi), dove si trovava per partecipare ad un festival di cinema. Il 29 giugno, su richiesta della stessa Procura, la presunta vittima è stata sentita in un lungo incidente probatorio e, all’esito dell’esame incrociato, la gip Vilma Gilli alcuni giorni dopo, il 4 luglio, ha accolto l’istanza di revoca dell’arresto presentata dal difensore del premio Oscar, il penalista barese Michele Laforgia. Ora i pm hanno fatto appello, chiedendo al Tribunale del Riesame di rivalutare le esigenze cautelari, in particolare il pericolo di reiterazione del reato, e contestando anche i rilievi della gip sulla tenuta del quadro indiziario dopo l’incidente probatorio.

La giudice, nell’ordinanza di revoca dell’arresto, aveva infatti evidenziato che «il racconto della persona offesa non solo ha confermato l’assenza di contegni violenti o costrittivi da parte dell’indagato, ma ha rivelato una complessa vicenda che sfuma l’originario giudizio di incapacità di Haggis di resistere ai propri istinti sessuali» e «affievolisce il giudizio negativo della personalità di Haggis quale soggetto incline a esercitare violenza, fisica o psichica». Valutazioni non condivise della Procura, che insiste per l’applicazione di una misura cautelare.

Giuliano Foschini per repubblica.it il 12 luglio 2022.

"Credo nei tribunali perché sia accertata la verità. E fatta giustizia. Sono innocente e sono certo che questo emergerà". Partiamo dalla fine. Paul Haggis, il regista premio Oscar di Crash, è finito in un incrocio non programmato della sua vita. Era in Italia, in Puglia, per partecipare a un festival cinematografico con altri divi di Hollywood quando la Polizia gli ha messo le manette ai polsi. L'accusa è tremenda: violenza sessuale. A muoverla è una ragazza inglese che aveva raggiunto Haggis in Puglia e aveva trascorso con lui qualche giorno. Haggis si è sempre detto innocente e che quei rapporti erano stati consensuali. 

Il giudice di Brindisi, Wilma GIlli, che aveva ordinato il suo arresto, dopo aver interrogato la donna in incidente probatorio e letto l'istanza dell'avvocato di Haggis, Michele Laforgia, dello studio Polis, ha deciso di scarcerarlo. "Assenza di violenza e costrizione" ha scritto la giudice. 

"E' una storia che ruota attorno al concetto di consenso", dicono gli investigatori. "Nessuna lesione, nessun segno di violenza, nessuna manifestazione di dissenso, né in privato né in pubblico: mister Haggis è assolutamente innocente", dice l'avvocato Laforgia che, per ora, lo ha tirato fuori da questo inferno. La Procura ha appellato la decisione del giudice. "Com'è evidente, non possiamo parlare di quello che è oggetto del processo. Ho grande rispetto per la Corte", dice Haggis, le sneakers sotto una giacca nera, la stretta di mano ferma.  "Oggi c'è una luce bellissima".

Mr Haggis, come sta?

"Meglio ora. Durante le due settimane di arresti domiciliari, sono sempre restato sereno perché sapevo di non aver commesso alcun reato e ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Naturalmente, ci sono stati momenti difficili. Ma sono stato in grado di affrontarli grazie all'amore e al supporto della mia famiglia e dei miei amici. E al lavoro e all'assistenza del mio avvocato e del suo team. Sono stati eccezionali".

Lei si è sempre dichiarato innocente. Dopo aver ascoltato la presunta vittima, il giudice ha creduto alla sua versione mentre la Procura continua a sostenere le sue responsabilità. Ritiene, in quello che è accaduto, di aver commesso qualche errore? Rifarebbe tutto?

"Come ho detto alla giudice il mio primo errore è stato permettere a qualcuno che conoscevo appena di venire a trovarmi. E' stata una stupidaggine. Il secondo errore è avvenuto l'ultima mattina, quando è accaduta una cosa che ho trovato particolarmente spiacevole e ho deciso di troncare questa situazione. Ho portato quella donna all'aeroporto alcune ore prima del suo volo. Ma, sì, sono arrabbiato con me stesso per questi errori. Però non riesco ancora a capire cosa abbia portato a queste accuse false contro di me". 

Lei è stato faccia a faccia con la sua accusatrice, in tribunale, nel corso dell'incidente probatorio. Che sensazioni ha provato? Chi ha incontrato la signora, la mattina della denuncia, ha raccontato che fosse molto scossa e provata. Ha avuto un pensiero per lei in questi giorni?

"Preferirei non parlare della signora che mi ha accusato. L'indagine è ancora in corso, e penso sia giusto dimostrare il massimo rispetto per i magistrati. Posso solo dire che sono d'accordo con le conclusioni alle quali è arrivata la giudice Gilli sulla versione della mia accusatrice. Sinceramente non vedo alcun motivo plausibile per cui una persona sinceramente interessata a una relazione non usi il suo vero nome (ndr, la signora si era presentata con un nome di fantasia). Un'altra cosa: durante il suo interrogatorio, mi è sembrata sempre molto preparata, come se avesse fatto le prove. Tutt'altro che fragile o soggiogata, come ha affermato". 

Che impatto ha avuto con la giustizia italiana? Si è sentito garantito?

"Il sistema giudiziario italiano mi è sembrato efficiente. In sole due settimane la giudice è arrivata una conclusione chiara. Tuttavia, ci sono alcune cose che non riesco a capire: come sia possibile che nel vostro Paese si possa iniziare un processo anche quando l'accusa non è corroborata da prove certe. Mi sembra strano e ingiusto che persone innocenti possano essere processate per anni. La reputazione di una persona si costruisce in una vita, ma può essere distrutta in un minuto, anche da un'accusa del tutto infondata come questa". 

Lei è stato accusato sia in America sia in Italia di reati a sfondo sessuale. Crede di avere un problema con le donne?

"Lavoro in teatro, televisione e cinema da oltre quarant'anni e ho collaborato, letteralmente, con migliaia di donne. Sono stato sposato due volte e ho un figlio e tre figlie fantastiche, due delle quali sono sposate con donne incredibili. Ho avuto relazioni e grandi amicizie con decine di donne. Nessuna è mai andata dalla polizia o da un pubblico ministero per denunciarmi, in nessun Paese. No, non ho problemi con le donne". 

L'accusa in Italia è arrivata dopo una causa civile intentata negli Stati Uniti per una vicenda simile: in entrambe le situazioni si dice innocente. Si è chiesto allora il perché di queste accuse?

"Ovviamente me lo sono chiesto e vorrei poter commentare quella causa civile, ma purtroppo sono ancora vincolato da un ordine del tribunale che mi obbliga a non rivelare alcuna prova o informazione che ho appreso. In ogni caso, negli Stati Uniti nessuna donna mi ha denunciato, sono stato io a rivolgermi alla Procura. Mi sono stati invece chiesti nove milioni di dollari in cambio del silenzio su un rapporto consensuale di una notte, avvenuto cinque anni prima.".

A proposito: qualcuno in queste settimane ha ricordato il suo rapporto difficile con Scientology. Perché ne è uscito?

"Ci vorrebbe troppo tempo per spiegarlo: lentamente sono arrivato a capire che Scientology era, in effetti, profondamente corrotta. Forse avrei dovuto capirlo molto prima, ma di certo non potevo più difenderla nè farne parte". 

Quando lei è uscito, ha avuto il coraggio di raccontare la sua esperienza in un documentario che ha sconvolto gli Stati Uniti e, successivamente, in una lunga intervista al New Yorker. Ritiene che possa esserci una relazione con quello che le è successo?

"Non ho prove, ma da quello che ho imparato da Scientology, so che sono capaci di qualsiasi cosa. Se parli contro di loro, useranno qualsiasi mezzo per distruggere la tua reputazione, la tua carriera e la tua famiglia".

La causa negli Stati Uniti, come lei stesso ha raccontato, le ha causato grossi problemi sul lavoro anche se non c'è stata condanna o processo penale. Qual è il rapporto di Hollywood con queste storie?

"Ho atteso cinque anni per riabilitare il mio nome nella causa civile. Di recente, finalmente, ero riuscito ad ottenere due lavori come sceneggiatore. Quando sono stato arrestato in Italia, li ho persi entrambi". 

Lei è un regista e sceneggiatore pluripremiato. Ha scritto film memorabili. Ha avuto mai la sensazione di essere al centro di un brutto copione? Se davvero fosse un film, come uscirebbe da una situazione del genere?

"Nella finzione, conosci il cuore di un personaggio soltanto quando si trova sotto una terribile pressione. Credo che questo sia vero anche nella vita reale. Ho sempre cercato di comportarmi con dignità e credo nei tribunali, affinché sia accertata la verità. E fatta giustizia".

Caso Haggis: pm insistono per l'arresto. La difesa: «si archivi». Il regista resta libero: rigettato l'appello. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 luglio 2022.

Il Tribunale del Riesame di Lecce si è riservato di decidere sull'appello della Procura di Brindisi contro la revoca dell’arresto del regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis, 69 anni, indagato per violenza sessuale e lesioni personali nei confronti di una 29enne inglese. Oggi, dinanzi ai giudici salentini, i pm Livia Orlando e Gualberto Buccarelli hanno discusso l’appello con il quale insistono perché venga ripristinata la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Il regista, fermato il 19 giugno scorso con l’accusa di aver abusato sessualmente per tre giorni (dal 12 al 15 giugno) della donna in un B&B di Ostuni dove si trovava per partecipare al festival cinematografico Allora Fest, è stato scarcerato il 4 luglio a seguito dell’incidente probatorio durante il quale è stato raccolto in contraddittorio tra le parti il racconto della presunta vittima. Secondo i pm il quadro accusatorio ne è risultato «decisamente confermato», evidenziando il rischio di reiterazione del reato. Haggis, che dopo essere tornato in libertà ha scelto di non lasciare l’Italia, oggi ha partecipato all’udienza assistito dal penalista barese Michele Laforgia, il quale si è opposto all’appello, depositando una memoria contenente indagini difensive ed evidenziando «contraddizioni emerse nel corso dell’incidente probatorio» e la natura "consensuale» della relazione sessuale tra i due. I giudici decideranno nelle prossime ore. «Mi aspetto che il procedimento venga archiviato - ha detto a margine dell’udienza l’avvocato Laforgia - e che ne venga aperto un altro procedimento, ma non a carico di Paul Haggis». 

Secondo la Procura di Brindisi la presunta vittima del regista premio Oscar «ha descritto vividamente e con ricchezza di dettagli le gravi violenze sessuali subite, precisando che tutti gli atti sessuali sono stati subiti senza che vi avesse prestato alcun consenso, esplicito o implicito» e descrivendo «lo stato di terrore, shock, disorientamento e incredulità in cui si trovava dopo le violenze subite». I pm, nell’appello, hanno ribadito che «le modalità del fatto sono gravissime e allarmanti e rendono evidente il pericolo di reiterazione del reato derivante dalla assoluta incapacità dell’indagato di controllare i propri istinti sessuali», ricordando anche la circostanza che, l’ultimo giorno insieme, lui la «abbandonò all’alba in aeroporto per sbarazzarsi di lei», dove poi la donna fu soccorsa in stato confusionale e denunciò. Per la Procura l’indagato «ha manifestato una personalità totalmente priva di freni inibitori in presenza di determinate situazioni scatenanti che, se non impedite mediante una misura custodiale, possono riproporsi in qualsiasi momento della vita di relazione, con grave pregiudizio all’integrità sessuale di altre persone che con lui possano venire in contatto». Nella memoria difensiva, nella quale vengono riportati contenuti di messaggi Instagram e chat, di registrazioni e fotografie, è evidenziato il «clamoroso equivoco» su cui si baserebbe l'accusa, ricordando l’assenza di lesioni e ribadendo la natura "consensuale» della relazione sessuale tra i due.

HAGGIS RESTA LIBERO

Il regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis resta libero. Il Tribunale del Riesame di Lecce ha rigettato l’appello della Procura di Brindisi contro la revoca dell’arresto di Haggis, indagato per violenza sessuale e lesioni su una 29enne inglese. Il premio Oscar, assistito dall’avvocato Michele Laforgia, è stato detenuto agli arresti domiciliari dal 19 giugno al 4 luglio. I presunti abusi sessuali sarebbero avvenuti - stando alla denuncia della presunta vittima e alla ricostruzione accusatoria - dal 12 al 15 giugno in un B&B di Ostuni dove il regista avrebbe dovuto partecipare al festival di cinema Allora Fest. Dopo un lungo incidente probatorio nel quale la donna ha ripercorso le tre giornate di presunte violenze, il gip aveva accolto l’istanza della difesa, ritenendo cessate le esigenze cautelari e anche ridimensionato il quadro accusatorio. I pm avevano poi impugnato la scarcerazione, ma oggi i giudici salentini hanno respinto il loro appello

Cristiano Ronaldo-Mayorga: archiviata la denuncia di violenza sessuale. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera l'11 giugno 2022.

Archiviata la denuncia contro Cristiano Ronaldo presentata dall’ex modella Kathryn Mayorga e legata a una presunta violenza sessuale avvenuta nel 2009 in un hotel di Las Vegas. Nelle motivazioni della sentenza il giudice federale la ritiene irregolare e, quindi, da respingere. La donna, che oggi ha 37 anni, chiedeva al fuoriclasse portoghese un risarcimento danni fino a 65 milioni di euro.

La motivazione è che il legale di lei, Leslie Stovall, avrebbe contaminato il processo basandosi su documenti rubati che hanno rivelato informazioni privilegiate sulla strategia legale del calciatore, documenti fatti emergere da Football Leaks,

È quanto sostiene il giudice federale Jennifer Dorsey nella sua sentenza, ribadendo quanto già detto, nell’ottobre 2021, da un altro giudice, Daniel Albregts: «L’archiviazione del caso Mayorga a causa del comportamento scorretto del suo avvocato è grave. Ma purtroppo è l’unica sanzione appropriata per garantire l’integrità del processo giudiziario», scrisse il giudice Albregts. Anche se Mayorga cambiasse legale «la corte non sarebbe in grado di dire quanto del caso si basi solo sui suoi ricordi o quanto sia stato influenzato dai documenti di Football Leaks».

Il caso Mayorga: cos’è successo

Mayorga sostiene che Cristiano Ronaldo l’abbia aggredita sessualmente al Palms Casino di Las Vegas il 13 giugno 2009. Da parte sua, l’ex attaccante della Juventus ha sempre ammesso il rapporto sessuale, ma sempre respingendo ogni accusa di violenza. Le parti avevano trovato un accordo di quasi 357mila euro nel 2010. Ma le cose erano cambiate quando, nel 2017, il quotidiano tedesco Der Spiegel, aveva pubblicato un articolo che descriveva la presunta aggressione sessuale e l’accordo transattivo. Il Der Spiegel aveva affermato di aver ricevuto documenti sul caso dagli informatori di Football Leaks. Da qui era partita poi la denuncia della donna nei confronti di CR7, sostenendo che il team legale del portoghese l’aveva spinta a firmare l’accordo. «L’uso ripetuto da parte di Leslie Stovall (l’avvocato di Kathryn Mayorga, ndr) di documenti rubati e privilegiati per perseguire questo caso ha tutte le indicazioni di condotta in malafede», ha scritto il giudice. Cala il sipario su questa vicenda.

Alfio Sciacca per il “Corriere della Sera” il 12 giugno 2022.

La decisione era attesa e potrebbe mettere la parola fine alle accuse di stupro nei confronti di Cristiano Ronaldo. Nell'ottobre scorso il giudice incaricato nell'ambito del procedimento civile aveva infatti chiesto l'archiviazione del caso e ieri il giudice distrettuale di Las Vegas, Jennifer Dorsey, ha accolto la «raccomandazione» e respinto la causa presentata dall'ex modella Kathryn Mayorga che sostiene di essere stata violentata nel 2009. Mentre in sede penale le accuse contro il campione portoghese erano già state archiviate nel 2019 per mancanza di prove. 

Non solo. Il giudice ha anche ritenuto che Ronaldo sia stato vittima di un danno alla sua attività. Già mesi fa l'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall, era stato accusato di aver agito «in malafede», sulla base di documenti raccolti irregolarmente attraverso Football Leaks (sito di hacker che svela accordi e corrispondenza privata di calciatori) e riguardanti le comunicazioni tra Ronaldo e il suo staff legale. Ciò avrebbe danneggiato il cinque volte pallone d'oro.

Ieri il giudice distrettuale Jennifer Dorsey ha rincarato la dose. Nelle 42 pagine del suo provvedimento critica duramente il legale della donna per il suo modo di operare.

«Merita sanzioni dure», dice Dorsey.

Si chiude dunque anche la causa civile avviata dalla modella del Nevada, oggi 37enne. Anche se i suoi avvocati potrebbero ancora presentare ricorso. Da parte sua la stella del Manchester United ha sempre respinto ogni accusa, parlando di rapporto «del tutto consensuale». 

Nel 2009, all'epoca dei fatti, la donna aveva chiamato la polizia di Las Vegas per denunciare di essere stata violentata, ma aveva omesso di fare il nome del suo aggressore. Un anno dopo era stata avviata una mediazione tra i legali delle parti che aveva portato Ronaldo a versare 375.000 dollari in cambio di un impegno di riservatezza anche sull'esistenza dell'accordo stesso.

Successivamente i legali della donna dichiararono nulla quell'intesa: siglata, a loro dire, in condizione di pressione psicologica. Venne presentata un'ulteriore richiesta di risarcimento pari a 65 milioni e tra il 2017 e il 2018 la notizia finì prima su alcuni giornali e poi si concretizzò in un'accusa pubblica della presunta vittima nei confronti di Ronaldo, portando all'apertura dei procedimenti penale e civile.

Cristiano Ronaldo, il giudice di Las Vegas archivia la causa per stupro. Il Tempo l'11 giugno 2022.

Un giudice distrettuale statunitense ha respinto la causa per stupro contro la stella del calcio Cristiano Ronaldo. La causa, avviata da una donna del Nevada, accusava il calciatore di averla violentata più di 10 anni fa. Ad accusare Ronaldo di averla abusata sessualmente in una stanza d’albergo di Las Vegas nel 2009 è la ex modella Kathryn Mayorga. La decisione del tribunale distrettuale di Las Vegas, datata 10 giugno, ha seguito le raccomandazioni del giudice Daniel Albregts che lo scorso ottobre aveva raccomandato l’archiviazione del caso.

«Si raccomanda di accogliere la mozione di Ronaldo per porre fine al caso. Si raccomanda inoltre di archiviare l’azione legale di Mayorga», aveva detto il giudice. Le accuse di Mayorga erano state risolte in via extragiudiziale 13 anni fa, con il versamento di oltre mezzo milione di dollari dall’attaccante portoghese, allora con il Real Madrid. Tuttavia, nel 2018, Mayorga ha avviato un procedimento per annullare il suo accordo iniziale, sostenendo che era stato firmato sotto costrizione, ma senza fornire argomenti legali. Le nuove pretese di Mayorga sono state categoricamente respinte da Ronaldo quando ha presentato la sua difesa davanti a un tribunale di Las Vegas dove ha chiesto un nuovo risarcimento di 77 milioni di dollari per danni e spese.

"Nessuna violenza sessuale": archiviate le accuse contro Ronaldo. Antonio Prisco l'11 Giugno 2022 su Il Giornale.

Dopo l'archiviazione in sede penale per mancanza di prove, respinta anche la richiesta di risarcimento della modella Kathryn Mayorga.

Cristiano Ronaldo è stato completamente scagionato anche in sede civile negli Stati Uniti dalle accuse di stupro che gli aveva mosso la modella Kathryn Mayorga.

Secondo i media americani, la causa, intentata presso il tribunale federale del Nevada dall'ex modella, aveva come obiettivo ottenere un altro risarcimento milionario dal campione portoghese. In una ordinanza di 42 pagine, il giudice ha spiegato che la causa è stata intentata sulla base di alcuni documenti raccolti irregolarmente attraverso 'Football Leaks' e che Ronaldo è stato danneggiato dalla condotta dell'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall.

Tuttavia il team legale della Mayorga potrebbe presentare ricorso contro la decisione. Non solo innocente, ma anche vittima di un danno morale. Questa la conclusione del giudice di Las Vegas, Jennifer Dorsey, che ha archiviato le accuse di stupro nei confronti di Ronaldo. Il giudice ha archiviato il caso, accusando l'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall, di aver agito in "malafede".

Lo scorso ottobre anche il giudice Daniel Albregts aveva raccomandato l'archiviazione in merito alla causa intentata presso il tribunale federale del Nevada da Kathryn Mayorga, sostenendo che l'avvocato della donna avesse agito in "malafede" sulla base di alcuni documenti raccolti irregolarmente attraverso "Football Leaks" e riguardanti le comunicazioni fra il giocatore e il suo staff legale.

Il caso

I fatti risalgono al giugno 2009, quando la Mayorga aveva chiamato la polizia di Las Vegas denunciando la violenza sessuale ma rifiutandosi di rivelare l'identità del presunto aggressore. Il caso era quindi stato chiuso. Nel 2010 poi era stata organizzata una transazione privata con i rappresentanti di Ronaldo: 375 mila dollari in cambio di assoluta riservatezza sui presunti fatti e sull'accordo, con tanto di rinuncia ad ogni causa. Allo stesso tempo Ronaldo ha sempre negato le accuse di stupro, sostenendo di aver avuto una relazione "completamente consenziente".

Poi la marcia indietro degli avvocati, che asserivano la nullità dell'accordo a causa del disturbo psicologico e delle pressioni sulla donna (di cui non c'è prova secondo il giudice Albregts) e avevano chiesto la riapertura del suo caso. Di qui la richiesta fino a 200 milioni di dollari. Nell'agosto 2018 Mayorga aveva ripreso i contatti con la polizia di Las Vegas e chiesto la riapertura del caso, accusando pubblicamente Ronaldo per la prima volta. Tuttavia la giustizia americana aveva annunciato nel luglio 2019 che queste accuse non potevano "essere provate oltre ogni ragionevole dubbio", rinunciando quindi a perseguirlo.

Lorenzo Nicolao per corriere.it l'8 giugno 2022.

Un miliardo di dollari. Questa è la cifra che chiedono all’Fbi e al Dipartimento di Giustizia americano come risarcimento le ginnaste e tutte le altre vittime di Larry Nassar, l’ex medico del team nazionale statunitense, per come è stato gestito il caso delle molestie sessuali perpetuate fino al 2015, anno decisivo per le prime denunce. Nomi importanti della disciplina negli Usa e a livello mondiale come Simone Biles, Aly Raisman e McKayla Maroney, insieme a molte altre, sono convinte che le vicende vennero inizialmente sottovalutate e trascurate dalla giustizia americana, tanto da richiedere un significativo compenso in denaro per i ritardi e la superficialità che avrebbero condizionato le prime indagini sui fatti.

Le lacrime di Biles

Questo non è il primo tentativo da parte delle vittime, perché la prima richiesta di risarcimento, per un valore pari a 130mila dollari, era stata respinta, nonostante Biles e le altre avessero già denunciato pubblicamente un’eccessiva tolleranza nei confronti del loro carnefice da parte degli organi giudiziari. Durante un’audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato dedicata proprio alle negligenze dell’Fbi, sono emerse lo scorso settembre le stesse motivazioni, con Biles che in aula è scoppiata in lacrime. Nel mirino la scarsa tempestività dell’agenzia nell’indagine sugli abusi sessuali, oltre ai ritardi dei funzionari e delle strutture federali.

Gli abusi e le denunce

Dopo oltre un decennio di abusi, sin dai primi anni Duemila, le prime denunce vennero fatte solo nel 2015, mentre fu nel 2017 che Larry Nassar venne condannato in totale a 300 anni di carcere (per singole condanne dai 40 ai 175 anni), che si sono poi riconvertiti in 60 anni in un carcere federale, al termine di un processo epico, che ha visto testimoniare almeno 160 persone. L’accusa, quella di aver molestato bambine e ragazze per anni, con la scusa di manipolarle per trattamenti medici o massaggi di vario tipo. Alcune di queste avevano solo sei anni, mentre la maggior parte delle vittime erano ginnaste olimpiche.

Nassar è stato anche condannato per pedopornografia, con il possesso di almeno 37mila video e immagini di pornografia infantile, comprese fotografie di bambini impegnati in atti sessuali. Gli abusi sono stati ammessi dallo stesso responsabile, almeno per sette vittime, ma a mano a mano che i numeri delle denunce crescevano, sempre più persone che avevano lavorato a stretto contatto con il medico si dimettevano. Come l’allenatrice Maggie Haney, sospesa per maltrattamenti in tutt’altra storia, ma omertosa sul comportamento del medico della squadra nazionale. 

L’allenatrice e i ritardi sospetti

Sulla vicenda, che non sembra avere fine, la stessa pluricampionessa Biles è tornata più volte, approfittando in diverse occasioni delle circostanze pubbliche che l’hanno vista protagonista, non solo per accusare Nassar, ma per sollevare sospetti anche sul sistema che per anni sembra «aver coperto» il suo carnefice. Le domande dei giornalisti in occasione delle conferenze stampa relative al processo, anche dopo l’ultima audizione (non va dimenticato che l’inchiesta non partì dalle aule di tribunale, ma dalle inchieste giornalistiche pubblicate sulle colonne del quotidiano Indianapolis Star) incalzano ancora sulla solita questione: come mai Nassar è arrivato dove è arrivato rimanendo per tanti anni impunito?

Perché un coinvolgimento così ampio di persone, in un ambito tanto in vista come la squadra nazionale e la federazione Usa, non è riuscito a far subito chiarezza sulle vicende? Per Biles e le altre non è stata semplice negligenza. Una colpa che merita un risarcimento materiale per il danno morale subito.

DAGONEWS il 16 novembre 2022.

Jennifer Siebel Newsom, moglie del governatore della California, che nel 2005 era un’aspirante attrice, è scoppiata in lacrime in tribunale martedì, nel suo secondo giorno di testimonianza contro Harvey Weinstein: lo sfogo è arrivato descrivendo come abbia finto un orgasmo nel tentativo di porre fine allo stupro, per poi essere invitata dall'avvocato della difesa a fingere un orgasmo per la corte. 

Jennifer è la quarta donna a testimoniare a Los Angeles contro il produttore hollywoodiano, che sta già scontando una condanna a 23 anni a New York per stupro e aggressione sessuale.

Visibilmente emozionata e arrabbiata al banco dei testimoni, ha difeso il fatto di essere rimasta in contatto con Weinstein dopo la presunta aggressione, sottolineando il suo immenso potere nel settore: «Ha rovinato la mia vita». 

Siebel Newsom ha dichiarato di aver finto un orgasmo per porre fine al suo calvario.

Durante l'esame, l'avvocato difensore Mark Werksman ha chiesto all'accusatrice in che modo avesse "simulato il suo piacere", sconvolgendo la donna.

La First Lady californiana ha risposto: «Non siamo a "Harry ti presento Sally". Non lo farò. Era per accelerare la cosa in modo da poter uscire da lì» ha continuato alla corte per poi ricordare di avergli toccato il pene nel tentativo di porre fine al calvario. 

Werksman ha iniziato a leggere una trascrizione dell'intervista, in cui Siebel Newsom dichiara che Weinstein «le chiese di fargli una sega».

Siebel Newsom, è stata poi interrogata da Werksman sulle e-mail che gli aveva inviato dopo l'aggressione: «Gli ha inviato 18 e-mail e lo ha visto almeno due o tre volte». Lei si è difesa dicendo che voleva continuare la sua carriera perché sapeva il potere che lui aveva: «Gli ho detto no. L'ho fatto! L'ho fatto con tutta la mia voce e il mio corpo. Ho cercato di uscire da lì, ci ho provato, ci ho provato così tanto».

DAGONEWS il 17 novembre 2022.

Altro giorno, nuova udienza. L'attrice Natassia Malthe, 48 anni, ha raccontato come Harvey Weinstein abbia cercato di costringerla ad avere un rapporto a tre con lui e una "prostituta" in un hotel nel 2008. 

La modella e attrice ha raccontato come Weinstein l'abbia attirata nella sua stanza d'albergo con la scusa di farle consegnare un nastro per un provino.

Ma quando è arrivato lo ha trovato impegnato in un rapporto orale con una prostituta e i due cercarono di attirarla in un'orgia.

Ha descritto la pressione della situazione, dicendo che Weinstein la teneva in pugno, perché sapeva che, se non avesse assecondato le sue avance, la sua carriera sarebbe finita.

Durante la testimonianza, Malthe ha anche raccontato come Weinstein l'avesse precedentemente violentata in un hotel all'inizio dello stesso anno, per poi invitarla a fare un provino per uno dei suoi film il giorno successivo.

Malthe ha raccontato che Weinstein stava pensando di scritturarla per un film , dopo mesi di lezioni di canto e di esercitazioni, ha registrato la sua voce e lo ha informato via e-mail che voleva inviargli un provino.

Ha chiarito che voleva inviargli un cd invece di consegnarlo di persona per evitare di vederlo, visto che solo pochi mesi prima lui l'aveva violentata. 

Weinstein, tuttavia, disse che voleva che il campione gli fosse consegnato di persona e, nella sua e-mail, ha insistito affinché lei lo portasse alla sua assistente al Peninsula Hotel di New York.

 Malthe ha raccontato che nell'e-mail Weinstein le aveva accennato a un rapporto a tre, ma lei gli aveva risposto che non voleva fare "sesso a tre" con lui.

Malthe ha raccontato di aver accettato di consegnare il CD all'hotel, ma che quando è arrivata l'assistente di Weinstein si è rifiutata di prenderlo e ha insistito per consegnarlo a Weinstein di persona.

«Mi ha ingannato per farmi entrare nel suo hotel. All'improvviso mi sono ritrovata nella sua stanza d'albergo» ha detto.

Malthe scoppiò in lacrime ricordando la prostituta "e le sue gambe magre”: «Stavano cercando di convincermi a fare una cosa a tre con loro. E io avevo già detto che non volevo».

Malthe ha raccontato che pochi mesi prima dell'incontro, Weinstein l'aveva violentata dopo aver bussato alla porta della sua camera d'albergo nel cuore della notte, chiedendo di entrare.

«Era lì in piedi. Sembrava che fosse stato da qualche altra parte, non aveva un aspetto ordinato. È entrato come una furia – ha detto - Ha detto che nessuno può diventare una star se non passa attraverso di me. Ero così spaventata da quest'uomo, aveva così tanto potere.. incarnava il mondo del cinema.

 Non sapevo cosa fare in questa situazione e mi sono completamente bloccata- Si è tolto i pantaloni, mi ha spinto sul letto e mi è salito sopra e mi ha penetrato. Non è durato molto perché non ho avuto alcuna reazione, ho fatto finta di niente. Si è alzato ed ha finito da solo. Ha eiaculato nella sua mano». Weinstein ha poi lasciato la stanza d'albergo. Il giorno dopo ho trovato un copione ad attenderla nella sua stanza.

DAGONEWS il 25 ottobre 2022.

I genitali “deformati” di Harvey Weinstein saranno “messi a nudo” e descritti nel dettaglio durante il processo in California.

Le accusatrici dell'ex magnate di Hollywood saliranno sul banco dei testimoni e descriveranno "cose uniche del suo corpo", compresi dettagli sui suoi testicoli, mentre ricostruiranno le aggressioni sessuali, ha detto il vice procuratore distrettuale Paul Thompson nella sua dichiarazione di apertura al tribunale di Los Angeles.

«Quello a cui mi riferisco è il risultato di un intervento chirurgico che l'imputato ha subito nel 1999 - ha detto Thompson - A causa di un'infezione, ha subìto un intervento ai testicoli, riportando diverse cicatrici. Nessuna delle accusatrici descriverà perfettamente la sua anatomia, ma la maggior parte di loro sarà in grado di descrivere queste anomalie che hanno visto durante le aggressioni sessuali. Ognuna di queste donne si è fatta avanti indipendentemente l'una dall'altra. Dopo che l'imputato ha aggredito le donne, si sono sentite emotivamente devastate. Temevano che avrebbe potuto distruggere le loro carriere se avessero riferito ciò che aveva fatto loro».

Thompson ha anche riprodotto un video,  mostrando le foto delle accusatrici con le loro testimonianze:  "Sto tremando e sono stata trascinata in camera da letto" e "Mi ha messo il pene dentro ma non era eretto", “Mi ha spogliato e poi mi è venuto in faccia”, “Sono rimasta scioccata. Ero terrorizzata. Continuavo a dire: 'No! No!'” 

L’udienza di lunedì si è conclusa con la testimonianza della prima accusatrice che ha raccontato come Weinstein l'ha violentata nel febbraio 2013 nella sua stanza d'albergo a Los Angeles.

La donna, che era un'attrice, ha detto di aver partecipato quella sera al Los Angeles Italia Film Festival, dove ha visto Weinstein: «Si è fatto strada nella mia stanza e mi ha chiesto di succhiargli le palle mentre si masturbava. È stato degradante. Ho cercato di scappare e lui mi ha afferrato i capelli. Mi ha attirato verso i genitali e mi ha costretto a fare ciò che ha chiesto. Piangevo, soffocavo».

WEINSTEIN, NUOVO PROCESSO AL VIA NELL'AULA DI O.J. (di Alessandra Baldini) (ANSA il 25 ottobre 2022) - "Usò il suo potere come re di Hollywood per aggredire sessualmente donne a Los Angeles e Beverly Hills": questa la tesi centrale con cui la procura della città del cinema spera di portare Harvey Weinstein in carcere per il resto dei suoi giorni. Sono cinque anni da quando le prime accuse contro Weinstein sono venute a galla, due da quando è stato condannato per la prima volta a New York per molestie e stupri.

Il processo contro l'ex produttore entra oggi nel vivo e la difesa spera che il luogo sia di buon auspicio: l'aula dove si svolge il procedimento è la stessa dove fu prosciolto O.J. Simpson. Quello di Los Angeles doveva essere un processo in gran parte simbolico: due anni fa Weinstein è stato condannato a New York a 23 anni di carcere.

La posta in gioco è cambiata dopo che in agosto l'ex boss di Miramax ha ottenuto luce verde per il ricorso in appello sulla prima condanna: se Weinstein dovesse vincere a New York, sarà il verdetto di Los Angeles a determinare se tornerà un uomo libero. Le militanti del movimento #MeToo sono dunque sulle spine: temono un bis della causa civile in cui Amber Heard non è riuscita a convincere i giurati delle violenze domestiche a cui l'avrebbe assoggettata l'ex marito Johnny Depp.

Kevin Spacey, del resto, solo pochi giorni fa, è uscito indenne dalle accuse di aver molestato un altro attore, Anthony Rapp, quando entrambi erano esordienti semisconosciuti a Broadway. Spacey, come Weinstein, ha avuto la carriera rovinata dalle accuse. Ex demiurgo di Hollywood i cui film - da "Pulp Fiction" a "Shakespeare in Love" - spopolavano agli Oscar, Weinstein stavolta deve rispondere di undici capi di imputazione tra cui stupro e sesso orale forzato. 

Tra le sue cinque accusatrici una è Jennifer Siebel Newsom, una documentarista e la moglie del governatore della California Gavin Newsom, con cui il produttore sosterrà di aver avuto un rapporto consensuale. Un'altra, protetta dall'anonimato, è una ex modella e attrice italiana che Weinstein avrebbe molestato nel febbraio 2013 durante il Festival Los Angeles-Italia dopo essersi introdotto a forza nella sua stanza d'albergo.

Sul suo racconto la procura di Los Angeles ha già ascoltato l'organizzatore della rassegna, il giornalista Pascal Vicedomini. Il processo dovrebbe durare due mesi. Un'ottantina i testimoni finora ammessi dalla giudice Lisa Lench: tra questi l'attore Mel Gibson, coinvolto perchè avrebbe ascoltato dalla sua massaggiatrice (una delle accusatrici anonime) il racconto delle molestie subite dall'ex produttore.

Anche la giuria è protetta dall'anonimato: tra i nove uomini e le tre donne uno ha espresso perplessità per l'assenza di prove del Dna tra quelle portate dalla procura; un'altra ha mostrato riserve sul movimento #MeToo: "Credo alle donne - ha detto prima di essere scelta - ma non necessariamente a tutte".

(ANSA il 25 ottobre 2022) - Il sostituto procuratore di Los Angeles Paul Thompson ha usato citazioni crude dalle deposizioni di alcune accusatrici di Harvey Weinstein per lanciare il nuovo attacco giudiziario all'ex re di Hollywood. "Sentirete la voce di otto donne che sono state aggredite da Harvey Weinstein a Los Angeles. Quattro della nostra città e le altre venute da fuori. Tutte che si sono fatte avanti indipendentemente", ha detto, mentre l'accusato ascoltava seduto in aula.

L'argomentazione di Thompson ha aperto il processo all'ex boss di Miramax. Weinstein deve rispondere a undici capi di imputazione e rischia fino a 140 anni di prigione: "E' grosso, e' grande, e' sovrappeso. E' dominante. Aveva tanto potere nell'industria del cinema. Avevo paura del suo lato oscuro. Era il re", sono alcune delle dichiarazioni lette in aula dal procuratore.

Weinstein, la Corte d’appello di New York conferma la condanna per stupro. La Stampa il 2 giugno 2022.

La Corte d'appello di New York ha confermato la condanna per stupro nei confronti di Harvey Weinstein, ex produttore di Hollywood, respingendo le sue affermazioni secondo cui i giudici avrebbero pregiudicato il processo consentendo alle accusatrici di testimoniare su accuse che non facevano parte del procedimento penale. A stabilirlo è stata una giuria di cinque giudici. Il 70enne Weinstein è in carcere in California, mentre è in attesa di processo per l'accusa di aver aggredito sessualmente cinque donne a Los Angeles e Beverly Hills tra 2004 e 2013. A New York è stato condannato nel febbraio 2020 per violenza sessuale su un'assistente nel 2006 e per stupro di un'aspirante attrice nel 2013. Le accuse nei suoi confronti sono un caso chiave del movimento contro le violenze sessuali #MeToo.

DAGONEWS il 12 ottobre 2022.

L’avvocato che rappresenta Harvey Weinstein ha lamentato che il suo cliente è stato tenuto in una cella “non igienica e fetida” prima di entrare nell’aula di tribunale. Parlando davanti al giudice Lisa B. Lench, l'avvocato Mark Werksman ha detto che Weinstein è stato abbandonato sulla sua sedia a rotelle per tre/quattro ore in condizioni che ha definito “medievali”. 

«Sono preoccupato per la sua salute e la sua capacità di sopravvivere a questa prova. Ha 70 anni – ha detto Werksman - Sono preoccupato per il fatto che non possa sopravvivere a questa prova senza un infarto o un ictus». Poi ha chiesto un trattamento speciale per l’uomo che ha problemi di salute.

Ma quando si è azzardato a dire che non c’era il bagno in cella, il giudice si è alterato: «C’è il bagno in cella. Non lascerò che passi il messaggio che non ha accesso al bagno». Una dura posizione che ha portato l’avvocato a fare un passo indietro: «Non intendevo dire che non c’era il bagno, ma non igienico, è praticamente inutilizzabile, è medievale».

Da Ansa il 12 ottobre 2022.  

Un'attrice e modella italiana è tra le cinque 'Jane Doe' che accusano Harvey Weinstein a Los Angeles. 

Undici le imputazioni, tra molestie e stupri, nel processo penale che si è aperto oggi nella città del cinema dove, fino a cinque anni fa, l'ex boss della Miramax aveva fatto il bello e il cattivo tempo.

Weinstein, che ha 70 anni ed è in malferma salute, rischia fino a 140 anni di carcere oltre ai 23 per cui è stato condannato nel 2020 a New York: una condanna, di fatto, alla morte dietro le sbarre. Ma per l'ex produttore di film come "Shakespeare in Love" e "The Artist" c'è forse uno spiraglio in vista. 

I giudici di Los Angeles sono notoriamente benevoli verso i vip di Hollywood: se questa volta Weinstein dovesse farla franca, sarebbe la peggiore débacle per il movimento #meToo da quando, cinque anni fa, decine di donne - tra queste star come Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Salma Hayek - si fecero avanti per accusarlo.

Il processo al Clara Shortridge Criminal Justice Center dovrebbe durare un paio di mesi con due settimane riservate alla selezione della giuria, ma già la procura ha cominciato a sentire i primi testimoni: tra questi Pascal Vicedomini, fondatore e organizzatore del festival Los Angeles-Italia durante il quale, nel febbraio 2013, "Jane Doe 1", l'attrice e modella italiana, sarebbe stata aggredita da Weinstein in un hotel di Beverly Hills. La donna ha accusato Weinstein di "averla afferrata per i capelli e costretta a far cose che non avrebbe voluto fare".

Sarebbe stato Vicedomini, che ha confermato all'ANSA di esser stato sentito dai magistrati, ad averle presentato l'allora re di Hollywood a Roma un anno o due prima, secondo atti di tribunale citati dai media Usa. La donna avrebbe detto anche che, dopo lo stupro, Weinstein avrebbe lasciato la giacca nella sua camera d'albergo e lei avrebbe contattato l'italiano per restituirla al proprietario. Vicedomini, secondo Variety, avrebbe testimoniato di non ricordare molto dell'incontro e nulla della giacca. La deposizione via Zoom sarebbe durata ore, scrive ancora Variety, secondo cui il video potrebbe essere usato dalla procura durante il processo. La strategia dei legali di Weinstein è screditare la credibilità delle accusatrici.

Come all'epoca del primo processo a New York, per il quale a fine agosto ha ottenuto il via libera al ricorso in appello, l'ex produttore ha negato ogni addebito. 

La procura ha ottenuto dal giudice Lisa Lench di far deporre altre quattro donne come testimoni di "precedenti malefatte": tra queste la modella italiana Ambra Battilana Gutierrez che nel 2015 denunciò Weinstein alla polizia di New York per averle messo le mani addosso durante un incontro di lavoro nel suo ufficio. Weinstein, che in aula si presenterà in abiti civili e non nell'uniforme del carcerato, è rappresentato dai legali di Los Angeles, Alan Jackson e Mark Werksman, che hanno espresso preoccupazioni sulla potenziale influenza di un nuovo film sulla sorte del loro cliente. "She Said", il racconto romanzato dell'inchiesta premio Pulitzer del New York Times sul caso Weinstein, uscirà il 18 novembre nel bel mezzo del processo.  

Harvey Weinstein incriminato per violenza sessuale anche in Gran Bretagna. La Stampa l'8 giugno 2022. 

Harvey Weinstein, il 70enne ex produttore cinematografico condannato negli Stati Uniti a 23 anni per violenza sessuale ed abusi nei confronti di alcune donne, ora è stato incriminato anche dalla magistratura britannica per un'aggressione sessuale avvenuta a Londra nell'agosto del 1996. «Le accuse sono state autorizzate contro Weinstein, a seguito della revisione delle accuse raccolte dalla Metropolitan police nella sua inchiesta», ha dichiarato la procuratrice Rosemary Ainslie. Si aggiunge così un nuovo procedimento contro l'ex potentissimo fondatore di Miramax - accusato la prima volta di aggressioni e violenze sessuali in un'inchiesta di The New Yorker che diede l'inizio al movimento del 'me too' - che, dopo la condanna, recentemente confermata in appello, a New York ora è sotto processo a Los Angeles, dove deve fronteggiare le accuse che gli muovono dieci donne. Il Crown Prosecution Service ha affermato che è stato dato il via libera all'incriminazione contro Weinstein a seguito di un esame delle prove raccolte dalla polizia metropolitana di Londra. La polizia britannica in precedenza aveva riferito che stava indagando su molteplici accuse di aggressione sessuale contro Weinstein. A differenza di molti altri paesi, il Regno Unito non prevede una prescrizione per stupro o aggressione sessuale.

Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 giugno 2022.

Altri due capi d’accusa per abuso sessuale pendono sulla testa di Harvey Weinstein. Lo hanno reso noto oggi i pubblici ministeri britannici. Le accuse sono state presentate da una donna per fatti avvenuti nell’agosto del 1996 a Londra. La decisione è stata presa dopo aver esaminato le prove raccolte dal Met. 

Rosemary Ainslie, capo della divisione crimini speciali del Crown Prosecution Service, ha confermato che Scotland Yard era stata autorizzata ad accusare l'ex produttore cinematografico: «Il CPS ha autorizzato la polizia metropolitana ad accusare Harvey Weinstein di due accuse di aggressione indecente contro una donna nell'agosto 1996». 

Da rainews.com l'8 giugno 2022.

Nel 2019 si ribaltò a bordo della sua Jeep Wrangler mentre cercava di evitare un cervo. Oggi fa causa alla casa produttrice del mezzo, Fiat Chrysler Automobiles (oggi Stellantis). Non è un guidatore qualsiasi ma Harvey Weinstein, produttore cinematografico multimilionario, ora in carcere dopo una condanna per abusi sessuali. 

La notizia, riportata dalla Reuters, colpisce anche per l’ammontare della cifra chiesta a titolo di risarcimento danni: 5 milioni di dollari. L’incidente, accaduto nell’agosto di tre anni fa a Bedford, Stato di New York (circa 60 km a nord di Manhattan), lo lasciò «gravemente ferito e paralizzato», con «dolori e sofferenze continue e significative», oltre a quelle che il suo avvocato ha definito «gravi lesioni alla colonna vertebrale e alla schiena».

A detta della denuncia presentata presso il tribunale dello Stato di New York, a Manhattan, l’ex produttore cinematografico stava indossando la cintura di sicurezza quando i freni non hanno risposto ai comandi e la Jeep, nel tentativo di rallentare avvicinandosi al cervo, si è ribaltata. 

Ad aggravare la situazione, Weinstein ha precisato che FCA gli aveva fornito quel mezzo «irragionevolmente pericoloso» con la richiesta di inserire il prodotto (product placement, ndr) in uno dei suoi film. Stellantis, il nome della casa produttrice che oggi ha preso il posto di FCA, per ora non ha rilasciato dichiarazioni.

Gary Kavulich, legale di Weinstein, ha contestato le indiscrezioni di stampa secondo cui il suo cliente sia effettivamente rimasto illeso nell’incidente, dicendo che l’ex produttore ha riferito alle autorità di essersi ferito al momento del ribaltamento della Jeep. «È sempre dolorante, e questo è sfiancante» ha dichiarato Kavulich, aggiungendo che le trattative con FCA per evitare una causa «sono proseguite per mesi e mesi». 

Weinstein, che ha 70 anni, sta scontando una pena detentiva di 23 anni di carcere a partire dal febbraio del 2020, quando una corte di Manhattan lo ha condannato per violenza sessuale e stupro. Giovedì scorso è arrivata la conferma del verdetto in appello. 

Il suo caso resta senza dubbio il principale tra quelli promossi dal Movimento femminista #Metoo contro i comportamenti sessuali di uomini in posizioni di potere. Nel frattempo, durante il processo, Weinstein si è sottoposto a un intervento alla schiena nel dicembre 2019: ancora si ricordano le immagini dell’imputato presentatosi in aula con un deambulatore.

Intanto, l’ex produttore è in attesa di giudizio a Los Angeles per altri presunti reati sessuali commessi dal 2004 al 2013. Anche in queste altre occasioni, si è sempre dichiarato non colpevole. Weinstein ha infatti negato qualsiasi incontro sessuale non consensuale riconducibile alla sua condotta.

Mattia Feltri per “La Stampa” il 4 giugno 2022. 

Imperversa una domanda: la vittoria in tribunale di Johnny Depp contro Amber Heard, segna la fine del #metoo? 

Ma quello che mi domando io è se esista una risposta giusta a una domanda sbagliatissima. 

Il processo serviva a stabilire se Heard avesse diffamato Depp dandogli del violento, ed è diventato un giudizio universale sugli uomini e sulle donne, se gli uomini accusati siano tutti colpevoli, ovvero porci maneschi prevaricatori, e le donne accusatrici tutte vittime, ovvero succubi di una cultura brutale e bestiale. 

O, all'opposto, se tutti gli uomini accusati siano diffamati e se tutte le donne accusatrici siano infide bugiarde. Ha vinto Depp, e la sua assoluzione è l'assoluzione di tutti gli altri? E ha perso Heard, e la sua condanna è la condanna a tutte le altre?

Il dibattito dimostra quanto sia posta male la questione, quanto pretendano una parte e l'altra, rappresentate da cortei di supporter con cartelli e cori fuori dal palazzo di giustizia, una resa dei conti spietata, e non per quello che si è fatto, ma per quello che si è e si simboleggia, per nascita, per classe sociale, per genere, per colore della pelle. Un approccio filosofico che abbiamo ben visto, qui in Europa, nel Novecento.

I nemici del #metoo esultano e i sostenitori si affliggono e protestano, ma siccome la questione è seria, se fosse un dibattito serio il processo non l'avrebbe spostato di un millimetro, né con un verdetto né con l'altro. Del processo in sé a un certo punto non importava più a nessuno, importava del processo in funzione di una generale battaglia di giustizia, o più precisamente di una generale e cieca vendetta.

DOPO LA CONDANNA DELL’ATTRICE. Nel processo Heard-Depp la verità è diventata un pantano. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 03 giugno 2022

Nessuno saprà mai cosa è successo davvero, ma ci sono alcune cose che sono vere al di là della sentenza e che ci lasciano addosso la sensazione appiccicosa di aver partecipato a uno spettacolo pietoso che non ci riguardava

É finita come era chiaro che sarebbe finita e come non sarebbe dovuta finire, ovvero con una sentenza che decreta un vincitore – Johnny Depp – e che però, in fondo, dice che qualcosa ha vinto anche Amber Heard. Una sentenza che è il contrario di come sarebbero dovute andare le cose: dovevano perdere entrambi.

Lo spiega bene l’analista legale Danny Cevallos in un lungo articolo su Nbc News, in cui analizza il processo da un punto di vista tecnico e sostiene che la giuria abbia sbagliato tutto. Perché se è vero che l’ormai famoso articolo sul Washington Post in cui Amber Heard faceva riferimento agli abusi domestici subiti era diffamante, è vero che Amber Heard ha sempre mentito. Su tutto. Che non c’è mai stato un maltrattamento fisico o psicologico, che ogni singolo racconto e aneddoto è stato architettato per distruggere il suo ex marito.

Perché sarebbe bastato credere ad un solo racconto per stabilire che le sue parole non fossero diffamanti. Ma dal momento che non è stata creduta in nulla e si è ritenuto che abbia agito con dolo effettivo, non è ben chiaro perché abbia vinto contro l’ex avvocato di Johnny Depp, Adam Waldman, che l’aveva accusata di aver architettato un imbroglio ai danni di Depp e che accanto a Depp aveva perso la causa contro il Sun in Inghilterra.

Insomma: Depp è un picchiatore per la corte inglese, la vittima di un imbroglio per la corte americana. Amber Hard è una diffamatrice perché ha mentito sugli abusi e una diffamata perché è stata accusata di aver inventato gli abusi. Ecco perché non dovevano esserci vincitori ma solo sconfitti. Perché in questo processo a porte spalancate e forse senza neppure un tetto e le pareti, la verità è sempre stata un pantano.

Nessuno saprà mai cosa è successo davvero. È difficile perfino interpretare gli equilibri su cui si reggono le nostre, di relazioni, figuriamoci quanto può essere complesso comprendere i disequilibri su cui si è schiantata la relazione tra due attori che hanno raccontato di dita mozzate, feci nel letto e droga a colazione.

AUTOPSIA DI UN MATRIMONIO

Ci sono però alcune cose che sono vere, al di là di una sentenza che decreta un vincitore quasi assoluto, lasciandoci addosso la sensazione appiccicosa di aver partecipato a uno spettacolo pietoso, che non ci riguardava. É vero, per esempio, che questo processo non sarebbe mai dovuto finire in tv e su Youtube, che nessuno dei due avrebbe mai dovuto avere una telecamera puntata addosso a coglierne smorfie, sorrisi, stizza e complicità con gli avvocati.

È vero che si doveva evitare l’autopsia di un matrimonio, perché il rischio di buttare nel cesso la buona pratica di non esporre al tribunale del popolo chi racconta abusi domestici (chiunque esso sia) dovrebbe rimanere un cardine imprescindibile del buonsenso. Perché il rischio è esattamente ciò che si è verificato. Ovvero, che la giustizia diventi tifo.

Che chi racconta gli abusi non indossi il vestito della vittima perfetta, ma che sia –magari – un’attrice algida, bellissima, con lo sguardo duro e pettinature da severa istitutrice. Che sia ambigua, anche, che racconti perfino bugie, che dia l’idea di essere stata anche parte attiva in una relazione disfunzionale e non la fragile soccombente. Che non sia simpatica. Che abbia tentato di raccontare una storia malata come una storia in cui c’era un malato e basta.

Non dovevamo vedere il suo pianto asciutto, perché avevamo già deciso che mentiva e che non ci era simpatica. Che ogni suo sguardo e parola erano falsi e maldestri. Non bisognerebbe mai esporre nessuno che parla di abusi a tutto questo. Perché gli abusi, il racconto degli abusi, sono materia da maneggiare con attenzione, rispetto e prudenza fino all’ultimo, anche quando non ci convincono, anche quando ci sembra che qualcosa non torni, anche e soprattutto quando – come in questo caso – i fatti suggeriscono un’escalation di follia reciproca.

Tutto si è giocato sull’emotività, sulla delegittimazione della Heard, sulla lapidazione pubblica a colpi di tweet, meme, video, hashtag e fanbase. Per mesi ho assistito allibita alla scelta chirurgica delle foto da abbinare agli articoli sul processo, foto in cui Depp era quasi sempre sorridente, rassicurante la Heard cristallizzata in smorfie sadiche e deformanti. Inutile dire che se fosse stata la Heard a ridersela continuamente con i suoi avvocati, la lettura sarebbe stata: guardate come è beffarda. I sorrisi di Depp invece sono stati letti come la sua leggerezza sicura di fronte alle isterie di una pazza. 

VITTIME E CARNEFICI

E a proposito di stato mentale vero o presunto, va aperto un altro capitolo. Depp ha ingaggiato una psicologa forense per interpretare la personalità della ex moglie. La diagnosi è stata disturbo borderline di personalità e disturbo istrionico. Depp, a sua volta, ha ammesso dipendenze da varie sostanze, dipendenze ampiamente documentate da filmati e foto.

Dunque, se tutto questo è vero, si tratta di due persone con dei problemi da risolvere. Eppure nessuno ha mai giudicato Amber Heard come una persona che andrebbe aiutata, vittima dei suoi stessi mostri, di un disturbo che andrebbe trattato da esperti. Lei è una megera sadica e opportunista con cui la vita doveva essere un inferno.

Dall’altra parte, invece, c’è un attore idolatrato, amato da tutte le generazioni, ormai non più giovanissimo, imbolsito, che fa un po’ malinconia perché, poverino, è vittima dei suoi mostri. Se li è trascinati dietro tutta la vita, povero uomo. E qui bisognerebbe aprire un’altra parentesi, ovvero su come la droga e le dipendenze siano fascinose e malinconiche nel ritratto maledetto dei famosi milionari e di come siano roba “da marcioni” nei poveri cristi, ma ci perderemmo.

Non ci perdiamo, però, se fissiamo un punto: la vita con una persona che ha dipendenze da alcol, psicofarmaci, cocaina non è una passeggiata nel bosco, ma questo, se quella persona si chiama Johnny Depp, sembra non avere alcun peso. «Cambiava personalità a seconda della droga che prendeva», ha raccontato Amber Heard. E in questo caso è difficile pensare che mentisse. Abbiamo visto le foto delle sue “colazioni”. Il suo dormire a terra stordito dalle sostanze. I calci ai mobili della cucina, le urla.

Ma l’idea romantica del maledetto – alla fine –  cancella il sospetto che tutto questo possa diventare un atteggiamento abusante. Lo si assolve anche se lui ha 33 anni più di lei, anche se ha avuto una vita per disintossicarsi, anche se una persona che ha quelle dipendenze dovrebbe sapere bene che le relazioni, se non ci si cura, sono una palude piena di rischi, specie perché in quella palude si trascina sempre qualcuno con sé.

Ma Johnny, che avesse ragione o torto o metà e metà, era invincibile. Le ex compagne famose lo hanno difeso con affetto e onestamente si fa fatica a credere che nessuna di loro abbia mai patito quel suo abbrutimento, ma si sa, il tempo ingentilisce i ricordi (Kate Moss che racconta di essere scivolata sulle scale durante un temporale non era molto più credibile di Amber Heard che finge di cadere dalle nuvole quando le chiedono se abbia girato delle foto di Johnny strafatto a Tmz).

Molti attori e personaggi famosi lo hanno difeso. Perfino la sua avvocata Camilla Vasquez è diventata protagonista di una fantasia romantica («lei e Johnny si amano», dicevano i fan).

I MEDIA E AMBER HEARD

La stampa, con Amber Heard, è stata spietata. Non le ha perdonato nulla, ha analizzato perfino il suo linguaggio non verbale scorgendo bugie nelle labbra troppo serrate, ha ripescato vecchie storie dimenticando le vecchie storie di Johnny, ha assecondato la violenza dei social, ha ritenuto che in Amber Heard esistessero solo furbizia e malafede, come se anche la furbizia e la malafede non potessero essere immerse in una fanghiglia torbida assieme a molte verità.

Intendiamoci. Amber Heard non andava creduta aprioristicamente come nessuna presunta vittima, per giunta, ma andava ascoltata come ogni presunta vittima meriterebbe. Andava ascoltata con il rispetto che le si doveva, con la presunzione di innocenza che le si doveva, con il pudore che si doveva a lei e a tutta questa vicenda.

E no, non è vero che «adesso le donne faticheranno ad esser credute». Amber Heard, se ha mentito come stabilito dalla verità processuale, non rappresenta tutte le donne, rappresenta sé stessa, esattamente come Johnny Depp con i suoi mostri inseparabili non rappresenta tutti gli uomini, ma solo se stesso. Non è neppure la prima donna che mente, e non è questo il punto. Il vero passo indietro, in questo processo, lo ha fatto la capacità di ascolto. Tra il pirata fragile e la sciacquetta opportunista abbiamo deciso fin da subito che la seconda non avrebbe avuto scampo. Perché, come dice il pirata: «Figliolo, sono il capitano Jack Sparrow, comprendi?».

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Il processo Depp è stato uno show? Sì, ma da noi la gogna arriva prima dell’aula. A chi si indigna per l'esposizione mediatica della vicenda americana, bisogna ricordare che in Italia l’esposizione delle bestie in gabbia avviene quasi esclusivamente prima del dibattimento. Nella fase nella quale dovrebbe invece imporsi la più assoluta segretezza degli atti. Gian Domenico Caiazza su Il Dubbio il 3 giugno 2022.

Dunque un banale processo per diffamazione sarebbe, numeri alla mano, il processo del secolo. L’hashtag che inneggiava alle ragioni del bel tenebroso è stato cliccato, dicono, un miliardo e 200mila volte. I video delle udienze non hanno rivali in termini di visualizzazioni sulla rete. Media di tutto il mondo, per conseguenza, hanno dato alla vicenda ed al suo esito il massimo rilievo.

È del tutto ovvio che la notorietà planetaria dei protagonisti da un lato, e la strettissima privatezza delle tematiche trattate dall’altro, abbiano costituito la miscela esplosiva che ha fatto deflagrare questa formidabile, morbosa attenzione della pubblica opinione. Piaccia o meno, nulla può funzionare meglio, in termini di attenzione mediatica, che consentire di guardare dal buco della serratura la vita privata di un idolo.

Quello su cui però sarebbe utile – e forse doveroso – soffermarsi, è come tutto ciò possa conciliarsi con un processo, e dunque con la serenità ed equità del suo svolgimento e della sua decisione. Il tema è annoso, e ci interroga su una questione cruciale: quali siano, o meglio quali debbano essere in una società democratica i limiti di esposizione mediatica di un processo. Ma una riflessione si impone. Questo che da più parti è stato definito “uno zoo”, era un dibattimento, cioè una fase procedimentale fatta di udienze pubbliche, dove la prova si forma davanti al giudice che ne governa le regole, ed alla giuria popolare che pronuncerà la sentenza. Un processo civile (cioè destinato a concludersi con sanzioni risarcitorie, non con pene detentive), ma per il resto del tutto assimilabile ad un processo penale.

Nulla a che fare – questa è la riflessione – con la vergogna alla quale siamo abituati nel nostro Paese, dove l’esposizione delle bestie in gabbia avviene quasi esclusivamente prima del dibattimento, cioè prima della fase pubblica della vicenda giudiziaria. In Italia, come è noto, l’attenzione morbosa, l’interesse mediatico, il dibattito sui media e sui social, e dunque il giudizio sociale di innocenza o di colpevolezza, si consuma sempre nella fase nella quale dovrebbe invece imporsi la più assoluta segretezza degli atti.

Viene perciò da sorridere, ed anche forse da indignarsi, nel leggere commenti pensosamente critici sulla indubbia sguaiataggine di questa vicenda processuale americana, pensando però ai giochi al massacro che qui si consumano su persone solo indagate, assistite inutilmente dalla presunzione costituzionale della propria innocenza, e svergognate – per esempio – nelle loro conversazioni telefoniche squadernate sui giornali o nelle “inchieste” giornalistiche televisive, mesi o spesso anni prima del processo, a seguire il quale, ovviamente, non andrà più nessun cronista, come infatti puntualmente accade nelle nostre aule giudiziarie.

È comprensibile che i difensori della signora Amber Head abbiano attribuito alla idolatrata notorietà di Depp, e dunque alla forse imprudente decisione di ammettere le telecamere in aula, l’esito sfavorevole del processo deciso da una giuria inevitabilmente condizionata da un simile putiferio. Ma chissà cosa direbbero i colleghi se sapessero che qui in Italia le conversazioni telefoniche le avremmo lette ben prima del dibattimento sul Fatto Quotidiano, i video delle liti casalinghe presentate con orgoglioso ghigno digrignante da Sigfrido Ranucci su Report, mentre Kate Moss sarebbe stata previamente intervistata da Barbara D’Urso su Canale 5; e tutto ciò in nome del diritto di cronaca e del diritto della pubblica opinione ad essere informati. Chissà cosa direbbero, se sapessero che la loro assistita sarebbe stata processata e verosimilmente condannata anni prima del processo, ed a prescindere da esso.

Prima del quale sarebbero stati già pubblicati almeno un paio di libri contenenti tutti gli atti coperti da segreto; mentre sulla vicenda sarebbe stata prodotta – sempre prima del processo – una serie televisiva dal titolo, chessò, “Mafia Casalinga”. E chissà cosa direbbero se sapessero che qualunque proposta di legge volta a prevenire simili vergogne, sarebbe naufragata a furia di girotondi e manifestazioni contro le “leggi bavaglio”. Voi, cari colleghi, protestate, non senza ragione, per questa celebrazione mediatica planetaria del processo; ma credetemi, per come siamo messi noi qui, non riusciamo a fare altro che invidiarvi.

Amber Heard e l’odio online per le donne. Chiara Severgnini su Il Corriere della Sera il 3 Giugno 2022.

Il processo a Johnny Depp in Rete si è trasformato in «Tutti (e tutte) contro Amber Heard». E l’odio che l’ha investita riguarda tutte le donne, al di là del dolo effettivo che la giuria ha riconosciuto. 

Perché il processo «Johnny Depp contro Amber Heard», in Rete, si è trasformato in «Tutti (e tutte) contro Heard»? L’odio verso l’attrice, poi giudicata colpevole di diffamazione, ha iniziato a montare fin dai primi giorni e ben presto ha assunto dimensioni grottesche. YouTube, TikTok, Instagram e Twitter si sono riempiti di giudizi crudi e minacce vomitevoli. Ora che la giuria popolare ha dato ragione a Depp, poi, gli haters sono ancora più agguerriti (e compiaciuti).

Gli algoritmi dei social, affamati di contenuti polarizzanti, ci hanno messo del loro. Ma questa violenza verbale affonda le sue radici nelle pieghe più profonde della nostra società. La Rete fa ai nostri istinti peggiori ciò che gli specchi dei luna park fanno ai nostri corpi: li esaspera, li ingigantisce. Ha il potere di slatentizzare pulsioni collettive che in realtà fanno già parte di noi. Come la misoginia. Dal processo sono emerse molte verità sgradevoli, su Heard. Ma anche Depp non ne è uscito bene, tra problemi con l’alcol e atteggiamenti violenti. La Rete, con lui, è stata comprensiva e compassionevole. Con lei, invece, è stata spietata. Perdonare gli uomini ci viene facile, ma odiare una donna ancora di più. Soprattutto se la sua condotta non è certo irreprensibile. Per questo, prima ancora del verdetto, Heard era già colpevole agli occhi della Rete. Per questo, secondo molti, ora merita di essere umiliata.

Parlarne è fondamentale, perché l’odio che l’ha investita ci riguarda tutte, al di là del dolo effettivo che la giuria ha riconosciuto. Online, ogni donna è sempre a un passo di distanza da un insulto. Per constatarlo, non serve essere una star. Pochi giorni fa, ho scritto un articolo sul processo per cui ho intervistato due esperte («Perché la Rete ha già deciso che Heard è colpevole?»). Tutte e tre siamo state bersagliate sui social. Ho chiesto a uno degli odiatori: «A cosa servono gli insulti a Heard?». Ha eluso la domanda: «Se li è meritati». La Rete che odia le donne non dubita delle proprie ragioni.

Il processo Depp e la causa delle donne dopo il #MeToo. Federico Rampini su Il Corriere della Sera Giorno il 2 Giugno 2022.

Adesso il rischio è di perdere di vista la tragedia vera di tante vittime di violenze che non osano denunciare.

Avendo fatto il giurato in un tribunale americano, ne ho ricavato un profondo rispetto per il modo in cui maturano i verdetti delle giurie popolari. Nel processo «Depp contro Heard» è stata raggiunta questa conclusione: l’attrice ha diffamato l’ex marito, ha agito con dolo per danneggiarlo. Semplificando un verdetto un po’ più complesso e bilanciato, ha vinto lui e ha perso lei. Ma questa non era più una vicenda privata, non soltanto. Aveva appassionato l’opinione pubblica, soprattutto il mondo giovanile. Molto prima che decidessero i giurati, un altro verdetto era stato pronunciato sui social media. Una petizione per «cancellare» Amber Heard dai suoi prossimi impegni di attrice aveva raccolto quasi cinque milioni di firme, mentre il processo era ancora in corso. È anche per questo che la conclusione viene giudicata come un colpo contro il tipo di femminismo rappresentato da #MeToo. Forse era inevitabile arrivare qui. Quel movimento era partito da un’esigenza fondamentale: denunciare, contrastare, estirpare il sessismo, a cominciare dalla piaga delle violenze o delle molestie contro le donne, in famiglia o nei luoghi di lavoro. Tra i primi casi agli albori del movimento c’erano state anche delle «donne del popolo», coraggiose quanto sconosciute. Ma rapidamente #MeToo aveva conquistato visibilità perché se n’erano impadronite delle celebrity di Hollywood. Come per altre cause progressiste — vedi i campioni multimilionari Black dello sport che boicottavano l’inno nazionale in nome dell’antirazzismo — quando le «avanguardie rivoluzionarie» sono una élite iper-privilegiata, eccitano risentimenti e contro-reazione da altre parti della società. #MeToo si era distinto anche per l’uso dei social media come tribunale di piazza, inappellabile, con il potere di emettere condanne sommarie, sospendendo la presunzione d’innocenza e le regole del diritto.

I suoi limiti erano stati avvertiti con inquietudine da alcune femministe storiche, che intuivano il suo innesto sulla tradizione puritana e sessuofobica degli Stati Uniti. Tra le prime voci critiche ci fu la scrittrice canadese Margaret Atwood, autrice di The Handmaid’s Tale, storia ambientata in una società totalitaria dove le donne sono proprietà dello Stato, il desiderio e il piacere sono banditi, l’atto sessuale è rigidamente pianificato a fini di procreazione. Una distopia ispirata al fondamentalismo puritano dei Padri Pellegrini che furono all’origine degli Stati Uniti. Di fronte al fenomeno #MeToo, Margaret Atwood pubblicò una lettera aperta molto polemica, di cui oggi torna in mente questo passaggio: «La mia posizione fondamentale è che le donne sono esseri umani, con tutto il ventaglio di comportamenti santi e diabolici che questo comporta, inclusi gli atti criminali. Non sono angeli incapaci di commettere il male. Se lo fossero, non avremmo bisogno di uno Stato di diritto col sistema giudiziario. Né credo che le donne siano come bimbi incapaci di prendere decisioni morali. Se lo fossero, ci ritroveremmo nell’Ottocento quando le donne non potevano essere titolari di proprietà, studiare all’università, decidere sulla riproduzione, e votare. Ci sono delle forze che la pensano così in America, ma di solito non sono considerate femministe. #MeToo è un sintomo di un sistema legale che non funziona. Troppo spesso, delle donne e altre vittime di abusi sessuali non sono riuscite ad avere giustizia attraverso le istituzioni o dentro le aziende, per cui hanno usato un altro strumento: Internet. Le stelle sono cadute dal cielo. Questo è stato molto efficace, ed è stato visto come un grande risveglio. Ma poi? Si può scegliere di far funzionare meglio la giustizia; oppure di farne a meno. Se aggiriamo il sistema legale, che cosa lo sostituirà? Quali saranno i nuovi poteri? Nei tempi estremi vincono gli estremisti. La loro ideologia diventa una religione, chiunque non scimmiotti le loro opinioni è visto come un eretico, un traditore, i moderati vengono eliminati».

Sulla stessa lunghezza d’onda, in Francia ci fu il cosiddetto «appello di Catherine Deneuve», che in realtà aveva cento firmatarie tra cui la grande filosofa Elisabeth Badinter. Prendeva proprio le mosse dal caso più celebre e più turpe di Hollywood: «Lo stupro è un crimine. In seguito allo scandalo Weinstein c’è stata una legittima presa di coscienza delle violenze commesse sulle donne, in particolare nel mondo del lavoro, dove certi uomini abusano del loro potere. Era necessaria. Ma quella liberazione della parola oggi si rovescia nel suo contrario: ci si chiede di parlare secondo le regole, di tacere ciò che disturba, e quelle fra noi che rifiutano i diktat sono trattate come delle traditrici, delle complici! È tipico del puritanesimo: fa suoi gli argomenti di protezione delle donne per incatenarle alla condizione di eterne vittime, poveri piccoli oggetti dominati dai diavoli fallocrati, come ai bei tempi della stregoneria. #MeToo ha scatenato sulla stampa e i social media una campagna di delazioni e di accuse pubbliche contro individui che, senza avere la possibilità di rispondere né di difendersi, sono stati catalogati come aggressori sessuali. Questa giustizia sbrigativa ha già fatto delle vittime, uomini sanzionati nella loro professione, costretti a dimettersi, talvolta solo per aver toccato un ginocchio, tentato di rubare un bacio, per aver parlato di cose intime in una cena di lavoro o per aver mandato un messaggio a sfondo sessuale a una donna con cui l’attrazione sessuale non era reciproca. La corsa febbrile a mandare i maiali al mattatoio, lungi dall’aiutare le donne a liberarsi, in realtà serve gli interessi dei nemici della libertà sessuale, gli estremisti religiosi, i reazionari, gli eredi di una morale vittoriana secondo i quali le donne sono esseri diversi, bambine col viso di adulte, in cerca di protezione...».

Ricordo Atwood, Badinter, Deneuve e tante altre femministe perché avevano intuito con anni di anticipo il pericolo di un esito alla Depp-Heard. Le rivoluzioni hanno in sé il germe della contro-rivoluzione. È bastato che il «pirata» Depp apparisse nel ruolo di una vittima, per far scattare l’identificazione e l’impulso di protezione in milioni di fan. Chi ha usato per anni il falò pubblico delle condanne sommarie, delle sentenze emesse dalla piazza digitale inferocita, deve mettere in conto il rischio che prima o poi l’ingranaggio divori chi lo ha inventato. Adesso il rischio, se dovesse davvero estinguersi #MeToo, è di perdere di vista una tragedia vera. Tante donne continuano ogni giorno ad essere vittime di violenze che non osano denunciare. Qualche celebrity arrivista e opportunista, che ha barato al gioco, danneggia chi non ha né il glamour né il potere né il denaro per ottenere giustizia.

È indispensabile aggiungere che l’Italia non è l’America. Se lo sfondo culturale del puritanesimo anglosassone ha visto attecchire delle forme estreme di «caccia ai peccati del maschio», in Italia il sessismo è ancora diffuso, tollerato, protetto da indulgenza, omertà e complicità, fino a generare la terribile scia dei femminicidi. Per evitare che la causa delle donne sia travolta dalle bassezze di Amber Heard, bisognerebbe far funzionare lo Stato di diritto. Per proteggere chi ne ha bisogno, per fare giustizia, quello è ancora lo strumento migliore che sia stato creato. Cosa fare prima di arrivare all’approdo estremo che è un’aula di tribunale? L’educazione al rispetto, che comincia in famiglia, è la migliore prevenzione.

Arianna Farinelli per “la Repubblica” il 3 giugno 2022.

La sentenza che ha condannato l'ex moglie di Johnny Depp, Amber Heard, nella causa per diffamazione intentata contro di lei dall'attore, potrebbe avere ripercussioni che vanno ben oltre l'aula giudiziaria. Già due settimane fa il New York Times scriveva che questo processo potrebbe decretare la morte definitiva del Me Too e un generale deterioramento dei rapporti tra i generi. 

Il movimento era nato all'inizio degli anni duemila per denunciare gli abusi sessuali subiti dalle donne nei luoghi di lavoro ed era diventato globale dopo il caso del produttore cinematografico Harvey Weinstein.

 Negli anni il MeToo ha finito per travolgere non solo il mondo del cinema ma anche quello della finanza, della politica, dello sport, della musica, della scienza, delle grandi compagnie tecnologiche, come Uber e Google, e dei media tradizionali con decine di uomini in posizioni di potere rimossi dai loro incarichi. Il movimento, però, è stato accompagnato anche da forti polemiche.

In molti casi, infatti, la responsabilità degli accusati viene sancita a priori, senza un reale accertamento dei fatti e senza una reale dimostrazione della veridicità delle accuse. 

Ci sono stati casi famosi come quello di Woody Allen, accusato di molestie dalla figlia Dylan, che hanno diviso l'opinione pubblica e decretato la fine della carriera del regista, almeno negli Stati Uniti.

Se l'America è anzitutto la rappresentazione che dà al mondo di se stessa, un film e una serie televisiva spiegano bene la parabola del movimento. Il primo, Bombshell , denunciava senza se e senza ma la cultura di sessismo e molestie perpetrata dal direttore del canale televisivo Fox News.

La seconda, The morning show , ispirata alla vicenda del popolare conduttore televisivo Matt Lauer, si poneva con occhio più critico nei confronti della questione: dal necessario accertamento delle accuse al problema del consenso, ai benefici di carriera di cui hanno potuto godere alcune vittime, alla complicità delle donne di potere che per anni hanno coperto i colleghi maschi.

Torniamo a Heard e Depp: la conclusione di questo processo ha decretato la fine del MeToo? Da ora in poi sarà più difficile per una donna vittima di abuso essere creduta? Dopo il caso Weinstein c'era stato un aumento delle denunce da parte delle donne. 

Allo stesso tempo erano aumentati anche i casi di uomini accusati di molestie che intentavano cause per diffamazione. Le donne che hanno denunciato sono state spesso travolte da un'ondata di misoginia - cosa che è accaduta anche ad Amber Heard, distrutta mediaticamente dai fans dell'ex marito, e in maniera minore alla professoressa Christine Blasey Ford che accusò di molestie il giudice della Corte Suprema Bret Kavanaugh.

Il movimento non è esente da parossismi che ne hanno fiaccato l'intento delle origini. Nei luoghi di lavoro, a seguito del MeToo, la paura di una qualsiasi denuncia ha spinto molti uomini a non rimanere mai soli con le colleghe, non chiudere la porta dei loro uffici, non condividere il pranzo o l'aperitivo dopo il lavoro. 

D'altra parte, il discredito che ha colpito alcune accusatrici rischia di travolgere tutte coloro che hanno subito molestie e che hanno il sacrosanto diritto di denunciare. In tutto questo i rapporti tra i due generi si sono tutt' altro che normalizzati e, a parte gli abusi sessuali, rimangono aperte altre questioni molto spinose, soprattutto nel mondo del lavoro.

Le donne continuano ad essere pagate meno rispetto ai colleghi maschi (a parità di funzioni una donna americana viene pagata in media solo 80 centesimi per ogni dollaro ricevuto da un uomo) ed è molto più difficile per le donne accedere alle promozioni e diventare Ceo di una compagnia, soprattutto se crescono dei figli. 

La domanda, quindi, non è tanto se il MeToo sia morto o meno ma è cosa possiamo fare per raggiungere veramente la parità dei diritti tra i generi. Il femminismo non è l'odio verso gli uomini, anche se negli anni Settanta c'era un femminismo radicale che voleva sostituire il patriarcato con il matriarcato. Qualsiasi società in cui i rapporti tra i generi siano sbilanciati a favore degli uni o degli altri, è una società sbagliata, manchevole e destinata al fallimento.

Ora è tempo di azzerare il punteggio delle sconfitte e delle vittorie e ricominciare da capo chiedendoci anzitutto cosa possiamo fare gli uni per le altre e per le generazioni che verranno. Come scrive Chimamanda Ngozi Adichie, dovremmo cominciare anzitutto lavorando sulla cultura, crescendo i nostri figli e le nostre figlie in modo diverso. 

E contemporaneamente dovremmo agire sulle politiche pubbliche a cominciare dalla parità di salario, l'accesso alle promozioni, il sostegno alle donne che hanno una famiglia e, finalmente, un maggiore coinvolgimento degli uomini nella crescita dei figli. Il nuovo senso del MeToo potrebbe essere questo: anch' io voglio lavorare per cambiare le cose e dare a tutti, indipendentemente dal genere, le stesse opportunità.

Miriam Romano per “Libero Quotidiano” il 3 giugno 2022.

Una sentenza diversa da tutte quelle degli ultimi processi venuti alla luce delle cronache per questioni legate alla violenza di genere. A dispetto della rilevanza mediatica del processo, dovuta alla notorietà delle parti, il caso che ha coinvolto l'attore Johnny Depp, che ha ottenuto un risarcimento di 15 milioni di dollari che dovrà versargli l'ex moglie Amber Heard colpevole di averlo diffamato accusandolo di violenze, accende i riflettori su uno spaccato di casistiche diverse. Quelle in cui sono gli uomini le vittime di trame orchestrate dalle donne per altri fini.

A fare compagnia al povero Depp, ci sono centinaia di altri maschi, contro cui si innesca il meccanismo delle accuse legate a presunte violenze nei confronti di mogli che si dicono oppresse. 

Quando in realtà, spesso e volentieri, sono più carnefici che vittime. «È una sentenza un po' nuova rispetto a quelle degli ultimi tempi. La denuncia per violenze da parte delle donne è diventata sempre più diffusa.

Non raramente è uno strumento con il quale agendo penalmente e denunciando il marito si cerca di avere o più soldi nell'ambito di un procedimento per divorzio o di avere i figli con sé con un marito relegato al ruolo di padre», spiegano Antonella Izzo e Teresa Devercelli, due avvocatesse del "Family Team" dello studio Bvsa di Milano.

Tante volte accusare il marito di violenza è un tentativo di depistaggio. Utile a distogliere l'attenzione da altri elementi e focalizzarsi su presunte aggressioni. Quando la parola violenza rimbomba all'interno dell'aula di un tribunale, è difficile che i mariti la spuntino. «Quando emerge il tema delle violenze, diventa un boomerang all'interno di un processo», spiegano le esperte.

Al contrario, le vere vittime di maltrattamenti spesso non denunciano. «Purtroppo, accade che le donne che effettivamente subiscono delle violenze non le denunciano. E a volte è anche difficile per loro identificare i maltrattamenti effettivi. Sono quasi sempre quelle che le utilizzano come arma a proprio vantaggio a parlarne senza remore». 

E agli uomini messi alla gogna per una finta o esagerata accusa, cosa accade? «Sono le vere vittime. Accusati di qualcosa che non hanno mai fatto. All'improvviso si sentono dire cose che non corrispondono alla verità. Allora iniziano a ripensare alla loro vita coniugale, a ripercorrere le tappe, i momenti salienti.

Molto spesso, a quel punto i mariti si rendono conto in un lampo che in realtà non erano loro i carnefici del matrimonio, ma "era lei". Capiscono che non erano stati loro a fare violenza, ma anche anzi molto spesso i comportamenti "sbagliati" provenivano dalla moglie. "Io tornavo a casa e lei urlava, non era mai disponibile". E altri mille comportamenti da mogli sicuramente non amorevoli».

Messi spalle al muro, con la parola violenza puntata come una pistola alla tempia, gli uomini temono che da quella spirale di accuse non ne usciranno... «Si spaventano anche se non c'è nulla di vero. Consci di quale direzione prendono gli altri casi di violenza in genere. Ci vorrebbe più responsabilità da parte dei legali e della magistratura.

Il singolo caso di presunta violenza che viene denunciata va contestualizzato all'interno del matrimonio. L'avvocato deve rendersi conto che una denuncia per maltrattamenti è una denuncia forte. Devi stare molto attento. Non si può decidere sempre per partito preso. 

Spesso sono gli avvocati a caldeggiare le accuse, cercando di conquistarsi un punto a proprio favore in un processo. Ma sono situazioni delicate, dove spesso sono coinvolti anche i minori. Per questo va posta molta più attenzione. La sentenza a favore di Johnny Depp ha ridimensionato il fenomeno del Me Too che aveva prodotto troppe storture nel sistema».

La sconfitta delle talebane del Metoo. Francesco Maria Del Vigo il 3 Giugno 2022 su Il Giornale.

Quello tra Johnny Depp e Amber Heard non è solo uno dei processi più mediatici della storia recente. Ma è un processo al nostro tempo e alle sue ossessioni. 

Quello tra Johnny Depp e Amber Heard non è solo uno dei processi più mediatici della storia recente, che indaga la loro pubblicissima - e alquanto sbilenca - vita privata. Ma è un processo al nostro tempo e alle sue ossessioni. Ossessioni che, in taluni casi, trasformano il diritto in rovescio, piegano la giustizia deformandola in una vendetta ideologica che sfoga sul singolo una presunta colpa collettiva di genere. Il processo Depp-Heard è la massima ascesa e la conseguente rumorosa caduta del talebanismo femminista del #MeToo. Che non è il sacrosanto diritto di denunciare il proprio aggressore, ma l'idea che dietro ogni uomo si nasconda necessariamente un molestatore. Il pregiudizio, prima strisciante e poi sfacciato, che un essere umano maschile - nel caso di Depp con le imperdonabili aggravanti di essere eterosessuale, bianco, famoso e ricco - sia necessariamente un predatore. Se la parte più moderata del movimento ha contribuito a rompere il muro di omertà e sbriciolare lo stigma che ancora avvolgeva le donne che denunciavano una violenza, la parte più estrema, più visibile, chiassosa e quindi più influente, ha di fatto sancito un codice penale del politicamente e sessualmente corretto nel quale vige sempre la presunzione di colpevolezza. E, badate bene, qui non c'entrano maschilismo e femminismo, ma un'opinione pubblica mainstream ostaggio di un pregiudizio maschiofobico. Gli occhiutissimi difensori dei diritti Lgbtq+, di fronte a questo tipo di discriminazioni vengono immediatamente colpiti da assoluta cecità.

Paradossalmente, alla luce di quello che ha stabilito la corte di Fairfax, Amber Heard calunniando Johnny Depp ha anche, di riflesso, danneggiato la causa di tutte le donne che sono state realmente vittime di violenze. Qui non si tifa per Johnny Deep che, per sua stessa ammissione, in vita sua ne ha combinate di tutti i colori: i processi non sono stadi nei quali sfogare la propria tifoseria, anche se in Italia siamo abituati a questa incivile canea da più di vent'anni. A noi interessa che, con un processo così clamoroso e una sentenza altrettanto importante, possa fermarsi lo sputtanamento ingiustificato che da anni ormai macina vittime e distrugge carriere. Vittime che nessun #MeToo si prende la briga di difendere.

Con il "caso" Johnny Depp fallisce il Me Too. Francesco Giubilei su Il Giornale il 2 giugno 2022.

Il processo più discusso e mediatico dell’anno tra Johnny Depp e Amber Heard si è concluso con la condanna all’attrice statunitense a risarcire con 15 milioni di dollari l’ex marito per averlo diffamato. Sebbene anche Johnny Depp debba pagare un compenso di 2 milioni, la sentenza rappresenta un’indubbia vittoria per l’attore divenuto celebre per la sua recitazione nel film “I pirati dei Caraibi”.

Si è trattato di una lunga vicenda mediatica e giudiziaria che ha messo sulla pubblica piazza la vita personale dell’ex coppia spogliando entrambi della loro privacy ma che sancisce un principio molto importante. Il valore dell’esito del processo non è tanto da un punto di vista mediatico quanto per ciò che si afferma: le accuse false e diffamatorie non hanno sesso e la verità processuale non deve e non può tenere conto di pregiudizi ideologici o della narrazione per cui un uomo accusato di violenze deve per forza essere colpevole.

Johnny Depp non è uno stinco di santo e, anche alla luce di quanto emerso dal processo, è tutt’altro che un modello, così come non può essere un modello la società hollywoodiana basata su eccessi, dissolutezza, uso smodato di alcol e sostanze stupefacenti. Eppure la sentenza della corte di Fairfax in Virginia difende un principio purtroppo passato in sordina negli ultimi anni: l’opinione pubblica dovrebbe smettere di mettere alla gogna una persona in base ad accuse non provate. 

I casi di personaggi pubblici la cui reputazione è stata distrutta per essere stati tacciati di reati poi rivelatesi infondati sono numerosi, nell’epoca del Me Too è sufficiente un’accusa particolarmente odiosa come quella di violenza per distruggere la vita privata e professionale di una persona. Se poi tali accuse sono rivolte nei confronti di una personalità nota, viene gettata in pasto all’opinione pubblica con una gogna mediatica inversamente proporzionale alla visibilità che anni dopo otterrà per un'assoluzione in un eventuale processo. Ciò non significa che non vi siano casi di violenze o molestie, fenomeni purtroppo ancora troppo diffusi nella nostra società su cui è necessario tenere alta l’attenzione e condannare senza esitazione quando avvengono.

Il caso di Johnny Depp contraddice però ogni principio di garantismo e testimonia una mentalità sintetizzata dal commento di Amber Heard dopo la sentenza che portato avanti la stessa narrazione affermando che stiamo assistendo al "ritorno all'epoca in cui una donna che avesse osato parlare contro la violenza domestica veniva pubblicamente umiliata".

Di tutt'altro tenore il commento di Johnny Depp: “Spero che la mia ricerca della verità sia stata d'aiuto ad altri, uomini o donne, che si sono trovati nella mia situazione, e che coloro che li sostengono non si arrendano mai. Spero anche che ora si torni a parlare di innocenza fino a prova contraria, sia nei tribunali che nei media”. Sarà la volta buona? 

Johnny Depp, evviva! La sentenza che ha ribaltato il Me Too: perché è una decisione fondamentale. Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 4 giugno 2022

L'ipocrisia del Me Too è stata ribaltata. Merito della sentenza più attesa d'America, quella che ha chiuso il processo mediatico che nelle Tv è riuscito a battere, per ascolti, persino le maratone sulla guerra. Johnny Depp ha vinto il processo contro l'ex moglie Amber Heard, riconosciuta colpevole di aver diffamato l'ex marito. Depp riceverà un risarcimento di 15 milioni di dollari. Il verdetto è stato raggiunto all'unanimità dai 7 membri della giuria guidati da un giudice donna, Penney Azcarate, dettaglio non di poco conto. 

Perché parlo di ribaltamento del Me Too? Questo processo ci ha detto che la donna non è sempre la vittima e non è così scontato che se piagnucola davanti alla Corte, dietro a lei c'è sempre un maschio violento da condannare senza se e senza ma. Ma cos'è stato il Me too? Una campagna di opinione per spingere una quantità di donne, soprattutto delle classi alte, a una azione travolgente e di massa di delazione, per trasformare in crimini i contrasti fra maschi e femmine. Non c'entra nulla il me too ("anch' io", è la traduzione in italiano) con la lotta alla violenza sessuale. La violenza sessuale è un reato; i dissidi di coppia, o gli scambi di favori tra potere e sesso, sono una cosa del tutto diversa, che coinvolge le capacità delle donne e degli uomini di gestire le proprie relazioni nel modo migliore. O nel modo più conveniente, che non c'è niente di male. Dico meglio: permette loro di essere liberi.

L'aggressione sessuale, lo stupro, l'inaudita violenza espressa da un uomo, o più uomini, che con la loro forza fisica costringono una ragazza disperata a subire un atto sessuale, non possono mai essere confusi con i giochi di potere o di seduzione, o con le liti in famiglia. Confonderli è un abominio. Perché minimizza e banalizza la violenza sessuale, che è il più orrendo dei reati, dopo l'omicidio. La sentenza Depp ci aiuta a superare questa clamorosa ipocrisia esaltata dai giornali e dalle Tv negli ultimi anni. E aiuta le donne a capire che a loro si chiede forza e capacità di discernimento. Come agli uomini. E che non è ricorrendo a una toga che possono appianare le controversie matrimoniali o i rapporti ambigui con il capoufficio.

AMBIGUITÀ - Vedete, è proprio in questa parola (ambiguo) che sta la chiave di volta. Può la giustizia stabilire con certezza (con certezza: è il suo dovere) in cosa consista una ambiguità, e da che parte oscilli? Può decidere che in presenza di una relazione ambigua - per motivi storici, per ideologie, o per pressappochismo - esista comunque una responsabilità maschile e non femminile?

Il Me too, per come io lo ho capito è esattamente questo. Un modo di pensare che stabilisce la debolezza della donna. La sua inferiorità. Esclude l'uguaglianza, la parità. Condanna la donna ad una condizione di subalternità permanente e naturale, e per questa ragione ne tutela le debolezze e le incapacità di esprimersi e di volere.

ANTIFEMMINISMO - Il me too, a mio modestissimo avviso, è il contrario esatto del femminismo. Dico di più: è una reazione al vecchio femminismo combattente e un modo per eliminarlo e far tornare la civiltà verso la vecchia società con la donna sottomessa. Perché il problema è esattamente questo. Dovremmo smetterla di denunciare a prescindere la malvagità e la superiorità del maschio. Il problema non è quello di tagliare i coglioni all'uomo. Il problema è di riportare la donna alla propria altezza. In posizione paritaria, o talvolta anche di dominio. Capace di battersi, imporsi, decidere, dettare. In grado di duellare con l'uomo. Non costretta a piangere tra le braccia di un giudice. Speriamo che la sentenza Depp spazzi via questa parentesi oscurantista. E che le donne possano tornare in prima fila. Dobbiamo qualcosa a Depp. E alla signora giudice che non si è fatta impietosire dalle lacrime e ha affermato verità e giustizia.

(ANSA il 14 luglio 2022) - Si apre uno spiraglio nel processo americano al regista Roman Polanski per lo stupro di una tredicenne, 45 anni fa. George Gascon, procuratore di Los Angeles, ha annunciato che il suo ufficio non si oppone più alla rivelazione di un documento che potrebbe gettare nuova luce sul caso e portare a un suo riesame. 

Si tratta della trascrizione della testimonianza dell'allora viceprocuratore Roger Gunson, secondo cui il giudice dell'epoca Laurence Rittenband si accanì contro il regista premio Oscar per 'Il pianista'. 

Quest'ultimo al processo si dichiarò colpevole concordando una pena minima ma, quando seppe che il giudice aveva confidato ad alcuni amici che avrebbe ignorato l'ammissione di colpevolezza condannandolo a 50 anni, fuggì in Francia - dove come cittadino francese era protetto dall'estradizione - e non rimise mai più piede negli Stati Uniti per evitare il rischio di essere arrestato, processato e condannato.

A chiedere a lungo il rilascio del documento erano stati Polansky e Samantha Geimer, la vittima dello stupro. Ora il giudice Gascon ha deciso di renderlo pubblico, "dopo attenta considerazione del desiderio della vittima, delle circostanze uniche e straordinarie che portarono alla testimonianza di Gunson e del mio impegno per la trasparenza e la responsabilità di tutti nel sistema giudiziario". Negli ultimi anni Polanski, che ha ammesso la sua attrazione per le teenager, è stato accusato da almeno altre cinque donne di aggressione sessuale quando erano minorenni, una a soli 10 anni. 

(ANSA il 15 luglio 2022) - La testimonianza chiave di Roger Gunson, procuratore nel processo per stupro contro Roman Polanski, sarà pubblicata quaranta anni dopo la condanna. Lo ha deciso un tribunale della California. Il regista di 'Chinatown' e 'Rosemary's Baby' è stato arrestato nel 1977 dopo che la tredicenne Samantha Gailey lo accusò di averla drogata e stuprata. Polanski all'epoca decise di patteggiare ammettendo di aver avuto un rapporto sessuale con una minorenne, ma poi fuggì in Francia quando apprese che il giudice voleva riconsiderare il caso e infliggergli una pena più pesante.

Il regista disse allora di essere stato fuorviato dal sistema legale e da allora ha chiesto che fosse pubblicata la testimonianza dell'ex vice procuratore distrettuale Gunson, il primo che gestì il suo caso. Gailey ha pubblicamente perdonato Polanski nel 1997, accusando la stampa e il sistema giudiziario di averle inflitto un trattamento peggiore del crimine originale. Da allora altre donne hanno accusato Polanski, ora 88 anni, di crimini sessuali. Accuse che lui ha sempre negato.

Stefano Montefiori per corriere.it il 17 ottobre 2022.

Polemiche in Francia dopo l’apparizione, domenica sera nel programma tv «Sept à huit», di Emmanuelle Seigner , 56 anni, l’attrice di molti film tra i quali Frantic, Luna di Fiele e L’ufficiale e la spia, nonché moglie del regista Roman Polanski, 89enne. Seigner si è lanciata in una difesa appassionata del marito. 

In questi anni lei gli è sempre stata vicino ma, nella trasmissione di domenica sera ha usato argomenti che le valgono ora molte critiche. La prima accusa contro Polanski risale al 1977, quando fu accusato di aver drogato e violentato Samantha Gailey, allora tredicenne, a Los Angeles. Il regista è stato condannato e ha trascorso 42 giorni in carcere prima di lasciare gli Stati Uniti, quando un giudice sembrava sul punto di rinnegare l’accordo e condannarlo a diversi anni di prigione.

«A 13 anni si è giovani, certo, ma quella era un’epoca molto permissiva», dice Emmanuelle Seigner. «Il rapporto con l’età è cambiato molto. All’epoca, la lolita veniva elogiata e celebrata. Io ho iniziato la mia carriera di modella a 14 anni, non è stata una storia che mi ha sconvolto». Seigner poi sottolinea i buoni rapporti che hanno oggi Polanski e la sua vittima. «Si scambiano e-mail. Lei non sopporta più questo status di vittima. Per questo motivo chiede l’archiviazione del procedimento». 

Ma ci sono molte altre donne che accusano il regista, obietta l’intervistatrice. Emmanuelle Seigner risponde che «quando ho conosciuto mio marito, tutte le donne volevano andare a letto con lui, tutte le ragazze giovani volevano andare a letto con lui, era una cosa assurda, pazzesca. Aveva 52 anni, ne dimostrava 30, era un grande regista; quindi, era molto attraente e non credo che avesse bisogno di violentare qualcuno». 

Secondo l’attrice, ora il regista è visto come un paria e questo ha avuto ripercussioni sulla sua carriera: «È terribile perché non può fare un film, agli attori viene consigliato di non recitare nei suoi film. Io stessa sono sulla lista nera in Francia. L’uomo con cui vivo non è affatto la persona di cui ho sentito parlare, è un ottimo marito e un ottimo padre». 

Hélène Devynck, che ha appena scritto il libro «L’impunité» accusando il celebre anchor man Patrick Poivre d’Arvor di averla violentata, ha condannato con forza su Twitter l’intervento di Emmanuelle Seigner: «La presunzione irrefutabile del consenso. Il viale dell’impunità. Su Tf1, come sempre». Tf1 è la rete dove per anni Patrick Poivre d’Arvor ha condotto il telegiornale più seguito di Francia.

Oltre a Samantha Gailey, sono molte le donne che accusano Roman Polanski per fatti caduti in prescrizione: nell’agosto 2017 «Robin» lo ha accusato di violenza sessuale quando aveva 16 anni, nel 1973. Nel settembre 2017 Renate Langer, ex attrice, ha presentato una nuova denuncia per stupro, sostenendo di essere stata aggredita nel 1972 a Gstaad, in Svizzera, quando aveva 15 anni. 

Nell’ottobre 2017, anche un’artista americana, Marianne Barnard, ha accusato il regista di averla aggredita nel 1975, quando aveva 10 anni. E nel novembre 2019, anche una donna francese, Valentine Monnier, lo ha accusato di averla violentata nel 1975 in Svizzera quando aveva 18 anni. In precedenza, nel 2010, l’attrice Charlotte Lewis aveva dichiarato di essere stata abusata sessualmente dal regista nel suo appartamento di Parigi all’inizio degli anni ‘80, quando aveva 16 anni.

Un altro passaggio criticato dell’intervista è quando Emmanuelle Seigner sembra evocare le persecuzioni antisemite a proposito del marito, ricordando le proteste alla cerimonia dei Caesar, gli Oscar del cinema francese, quando Polanski venne premiato per la regia di L’ufficiale e la spia. «Fuori della sala le militanti femministe manifestavano e i poliziotti hanno usato i gas lacrimogeni. Alcune hanno gridato “Non siamo noi che dovete gasare, ma Polanski”. Vorrei ricordare comunque che la madre di Roman è morta incinta nelle camere a gas di Auschwitz. Dunque, non so se abbiamo bisogno di queste militanti femministe». 

Lady Polansky e la difesa insostenibile dello stupro. Valeria Braghieri su Il Giornale il 18 ottobre 2022. 

Si amano, adesso persino più di prima. Si ammirano, sono complici e hanno lo stesso umorismo dark. Quando si sono conosciuti, nel 1985, lei aveva diciannove anni che, a suo avviso, corrispondono ai trenta di oggi (lui trentatre in più). È convinta che un tempo la Francia fosse molto più libera di oggi. Oggi che il polically correct ha finito con l'appiattire la vita. Tutte queste premesse, affidate al Corriere della Sera, in un'intervista in cui confessava anche di avere una passione per la «burrata e Padre Pio», e nella quale si definiva una donna noiosa che non ha mai sedotto nessuno, sono importanti per raccontare l'attrice Emmanuelle Seigner (cinquantaseienne), moglie del regista Roman Polanski (ottantanovenne), e per spiegare la sperticata, impopolare difesa in favore del marito nella quale si è lanciata. L'intervento al programma francese Sept à huit, ha scatenato infinite critiche.

L'argomento era sempre quello dal quale la coppia cerca di prendere le distanze ormai da anni. E che inevitabilmente ritorna: l'accusa di stupro a Los Angeles del 1977 che raggiunse Polanski quando fu accusato di aver drogato e violentato Samantha Gailey, allora tredicenne. Colpisce sempre una donna che decide di stare accanto al proprio uomo dopo un'accusa così infamante. Se poi, l'accusa infamante coinvolge una tredicenne, la decisione appare del tutto infrequentabile. Eppure Seigner non ha dubbi: «Poteva distruggerci invece ha rinsaldato la nostra unione. Quando ho conosciuto mio marito, tutte le donne volevano andare a letto con lui, tutte le ragazze giovani. Aveva cinquantadue anni, ne dimostrava trenta, era un grande regista; quindi, era molto attraente e non credo che avesse bisogno di violentare qualcuno».

Lo tsunami si è scatenato quando l'intervistatrice le ha fatto notare che la vittima aveva solo tredici anni e lei ha risposto: «A 13 anni si è giovani, certo, ma quella era un'epoca molto permissiva. Il rapporto con l'età è cambiato molto. All'epoca, la lolita veniva elogiata e celebrata». Ci sforziamo di comprendere la moglie, rinunciamo a capire la donna.

Roman Polanski potrebbe tornare libero, ecco la 'carta' che può salvarlo: “Il giudice tradì i patti”. Paolo Mastrolilli su La Repubblica il 19 Luglio 2022.  

Nel 1977 il regista stuprò Samantha Geimer. Dalla condanna vive fuori dagli Usa per evitare l’arresto. Spunta la promessa (disattesa) di pena lieve. Si riapre il caso Polanski, o almeno così lui spera. Perché avendo trovato la prova che il giudice del suo abuso sessuale contro una minorenne gli aveva promesso la libertà, in cambio dell’ammissione di parte della colpa, gli avvocati sperano ora di ottenere una condanna in contumacia ai giorni già scontati in carcere. Non è sicuro che si arrivi a questo, perché l’attuale procuratore pretende che si presenti in tribunale a Los Angeles, e nel clima del movimento #MeToo sarà comunque difficile far accettare la liberazione di un potente regista che aveva avuto un rapporto con un’aspirante attrice tredicenne.

"Ora incastrerò Polanski". Nell'audio di 45 anni fa l'accanimento del giudice.  Francesco De Remigis su Il Giornale il 20 luglio 2022.

Una magistratura subdola, se non impazzita, protagonista nell'affaire Polanski in cui l'unica vittima era stata la 13enne Samantha (Geimer) Gailey, torna a far parlare di sé. Perché nel processo americano al regista, risalente a 45 anni fa, niente sembra davvero essere andato per il verso giusto. E più che le ombre sul cineasta, pronto allora a patteggiare ammettendo un rapporto sessuale con una minorenne, risparmiandosi l'accusa di stupro, sono le zone grigie sul comportamento del giudice istruttore Laurence J. Rittenband ad assumere i contorni dello scandalo: perché dopo i 42 giorni di Polanski superati in un carcere californiano con tanto di test psicologici, il giudice si era detto segretamente pronto a virare sull'accanimento giudiziario. 

Ben più di una confidenza potrebbe ora cambiare le sorti del caso; o quanto meno l'idea che il cineasta di origini polacche aveva dato di sé fuggendo dagli States. E il motivo sta nella testimonianza resa nel 2010 dal vice procuratore Roger Gunson, che seguì il processo del '77, in cui accusava proprio il giudice istruttore (morto nel '93) di voler incastrare il regista. Tanto che ne chiese a più riprese la rimozione dal caso.

A verbale, Gunson parlò dell'intenzione del giudice di infrangere la promessa fatta a Polanski: accettare il patteggiamento. E condannarlo invece con l'inganno a una pena fino a 50 anni. La trascrizione dell'interrogatorio a cui nel 2010 si sottopose il viceprocuratore era stata secretata. Ma già emersa in parte in un documentario. Diventata pubblica il 13 luglio grazie al Freedom of Information Act, e su input di due giornalisti (Sam Wasson e William Rimple), lo sbobinato integrale dimostra quella malcelata intenzione di infierire sul regista nonostante l'accordo tra le parti. E che Polanski avesse dunque buone ragioni per fuggire in Francia alla vigilia della sentenza, in quanto tradito dal sistema giudiziario Usa.

Nel '78, annusata l'aria e nel dileggio collettivo, Polanski riparò infatti nella sua seconda patria, l'Esagono. E contro la toga mitomane alle prese con una star (accusata nel frattempo da almeno altre 5 donne di aggressione sessuale quando erano minorenni) vittima e carnefice si sono trovati dalla stessa parte. Anche la Gailey, come Polanski, chiede da tempo verità su certi colloqui off the record del giudice Laurence; pronto a far carta straccia del patteggiamento consigliato al regista. Una trappola, secondo l'avvocato di Polanski, Harnald Braun, che rinnoverà adesso la richiesta di far pronunciare la sentenza nei confronti del Premio Oscar senza che quest'ultimo debba rientrare negli Usa, dove teme ancora d'essere arrestato. Il processo in absentia è lungo. C'è l'ipotesi di collegamento di Polanski via Zoom. Braun ha chiesto però che sia un nuovo giudice ad occuparsi del caso. L'attuale, Sam Ohta, «è inutile, inaffidabile», ha detto a Variety, visto che per 12 anni si è opposto alla trascrizione-verità.

Il cineasta è ancora oggetto di un mandato d'arresto internazionale. E se da cittadino francese è protetto dall'estradizione, nel 2009 fu fermato al festival del film di Zurigo. Trascorse 77 giorni in carcere e 221 giorni agli arresti domiciliari a Gstaad, in Svizzera. Nel luglio 2010 le autorità elvetiche negarono l'estradizione revocandogli il braccialetto elettronico. Ora inizia un nuovo capitolo. Grazie a un’altra toga, George Gascon, nuovo procuratore di Los Angeles, che ha dato semaforo verde affinché la Corte d'appello rendesse pubblico il documento-choc: «Dopo attenta considerazione del desiderio della vittima, delle circostanze uniche che portarono alla testimonianza di Gunson e del mio impegno per la trasparenza nel sistema giudiziario».

DAGONEWS il 16 novembre 2022.

Kevin Spacey è stato accusato di altri sette reati sessuali nel Regno Unito, che si aggiungono ai cinque che ha già dovuto affrontare quando era direttore artistico del teatro Old Vic di Londra.

La star hollywoodiana e premio Oscar, 63 anni, protagonista della serie Netflix “House of Cards” e dei film “American Beauty” e “I soliti sospetti”, sarà accusato dal Crown Prosecution Service di una serie di aggressioni sessuali ai danni di un uomo.

Rosemary Ainslie, capo della Special Crime Division del CPS, ha dichiarato: «Il CPS ha autorizzato ulteriori accuse penali contro Kevin Spacey per una serie di aggressioni sessuali ai danni di un uomo tra il 2001 e il 2004. La Procura ha inoltre autorizzato un'accusa per aver indotto una persona a praticare attività sessuale senza consenso. L'autorizzazione all'incriminazione fa seguito a una revisione delle prove raccolte dalla Metropolitan Police nel corso delle indagini».

Spacey è già accusato di una serie di aggressioni sessuali a tre uomini a Londra e nel Gloucestershire tra il 2005 e il 2013.

A luglio si è presentato all'Old Bailey per affrontare quattro accuse di aggressione sessuale e un'accusa di aver indotto una persona a praticare attività sessuale senza consenso. Spacey ha negato i presunti reati.

All'epoca delle accuse, Spacey era direttore artistico del teatro Old Vic di Londra, carica che ha ricoperto tra il 2004 e il 2015.

I dirigenti del teatro si sono scusati dopo aver rivelato di aver ricevuto 20 denunce per "comportamento inappropriato" nei confronti del direttore artistico, accusato di avere un "disturbo della personalità”. Ora, per queste nuove accuse, dovrà affrontare un processo di tre o quattro settimane a partire dal 6 giugno del prossimo anno.

(ANSA il 18 ottobre 2022) - Un giudice di New York ha archiviato parzialmente le accuse contro Kevin Spacey in un processo civile per molestie sessuali nei confronti di un uomo che all'epoca era minorenne. 

I giurati dovranno adesso decidere solo se il due volte premio Oscar è responsabile per aver usato violenza nei confronti di Anthony Rapp, un altro attore, che all'epoca aveva appena 14 anni. Il giudice ha infatti dichiarato il non luogo a procedere per un' altra accusa, quella di avere intenzionalmente inflitto al ragazzo danni emotivi.

 "E' essenzialmente un duplicato dell'altra accusa", ha spiegato il giudice. Rapp chiede a Spacey 40 milioni di dollari di danni. Oggi Spacey ha deposto in aula. Ha detto di non essersi dichiarato pubblicamente omosessuale per anni perchè traumatizzato dal padre Thomas Fowler, che era razzista e omofobo.

(ANSA il 21 ottobre 2022) - Kevin Spacey non è responsabile: non ha molestato Anthony Rapp nel 1986. E' il verdetto della giuria chiamata a pronunciarsi sulle accuse avanzate da Anthony Rapp, un altro attore che lo ha accusato di aver usato violenza nei suoi confronti quando aveva appena 14 anni.

Kevin Spacey assolto dalle accuse di molestie sessuali: «Non ha molestato Anthony Rapp». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 20 ottobre 2022.  

Vittoria in tribunale per Kevin Spacey che, secondo la giuria di un tribunale di New York, non ha molestato l’attore Anthony Rapp nel 1986, quando erano entrambi poco noti a Broadway e avevano rispettivamente 26 e 14 anni. I giurati hanno impiegato meno di 90 minuti a deliberare e hanno concluso che Rapp non è riuscito a dimostrare che Spacey «l’aveva toccato in parti intime o sessuali». Il verdetto chiude uno dei processi che più ha scatenato il dibattito del movimento #metoo a Hollywood ed è stato accolto dall’attore due volte premio Oscar, oggi 63enne, nell’abbraccio dei suoi avvocati, senza rilasciare dichiarazioni.

Il legale di Rapp aveva cercato di convincere la giuria fino alla fine spiegando che Spacey aveva mentito sul banco degli imputati. I giurati però non lo hanno ascoltato e hanno respinto la causa: già prima che iniziassero le deliberazioni il giudice di New York aveva archiviato parzialmente le accuse contro Spacey, dichiarando il non luogo a procedere per l’accusa di avere intenzionalmente inflitto al ragazzo danni emotivi. «È essenzialmente un duplicato dell’altra accusa», aveva detto il giudice.

Nei giorni scorsi Rapp e Spacey avevano testimoniato in tribunale e all’attore era stato chiesto conto delle affermazioni di Rapp secondo cui Spacey l’aveva preso in braccio come uno sposo fa con una sposa dopo una festa del 1986 e l’aveva messo sul letto prima di sdraiarsi sopra di lui. Rapp aveva testimoniato in precedenza nel processo di essersi dimenato ed essere fuggito. In quell’occasione la star di «House of Cards» aveva detto di non essersi dichiarato pubblicamente omosessuale per anni perché traumatizzato dal padre Thomas Fowler, che era razzista e omofobo.

Nonostante questa vittoria, i guai non sono finiti per Kevin Spacey che deve comunque affrontare altre battaglie legali, fra cui pesanti accuse di violenza sessuale nei confronti di tre uomini nel Regno Unito.

Il solito sospetto. L’assoluzione di Kevin Spacey e la fine della stagione di un porco al giorno. Guia Soncini su L'Inkiesta il 22 Ottobre 2022

Una giuria di New York ha stabilito che il più formidabile attore di questo secolo non ha molestato un quattordicenne nel 1986. Bene, ora ridategli tutti i ruoli cinematografici che merita 

Mettiamo in ordine un po’ di date, perché l’eterno presente in cui viviamo con la memoria dei pesci rossi e l’ignoranza di perpetui cinquenni mi pare non aiuti a comprendere la realtà. Lo so, le date sono noiose fin da quando a scuola pretendevano studiassimo le guerre, ma facciamo un piccolo sforzo.

Nel 1986, Kevin Spacey è un attore agli inizi: fa una particina in Heartburn, è il ladro che adocchia Meryl Streep in metrò e poi la deruba. È il suo primo ruolo cinematografico, mancano nove anni ai Soliti sospetti, cioè a quando ci accorgeremo tutti di lui. È, all’epoca, soprattutto un attore di teatro: quell’anno, a Broadway, è in una pièce di Eugene O’Neill.

L’ottobre del 2017 comincia con gli articoli del New York Times su Harvey Weinstein, ed è l’inizio di quell’autunno che nei libri di storia verrà riportato come la stagione di un porco al giorno: ogni mattina ci svegliamo e andiamo a guardare i giornali americani per vedere chi è indicato al pubblico ludibrio per le sue impresentabilità sessuali oggi. A novembre Al Franken verrà costretto a dimettersi da senatore, e Louis CK si ritroverà senza una carriera (poi ci torniamo), ma in ottobre il pesce grosso è un altro.

Nell’ottobre 2017 Kevin Spacey è il più formidabile attore di questo secolo, tiene in piedi col suo solo talento quella porcheria di House of Cards, i migliori ruoli sono giustamente i suoi. Sta per essere Jean Paul Getty nel film di Ridley Scott, e Gore Vidal in un film di Netflix. Già girati e pronti. Poi un attore mai sentito, Anthony Rapp, dice che nell’86 Kevin Spacey lo molestò, lui quattordicenne e giovane attore di Broadway, l’evento più traumatico della sua vita (beato lui, che vita serena), non l’aveva mai denunciato ma non aveva mai smesso di pensarci. Spacey dice che non si ricorda della scena descritta da Rapp ma in caso era sicuramente ubriaco e si scusa. Da lì, a valanga, un po’ chiunque accusa Spacey di molestie (no, ma che dite, non esistono mode né contagi sociali nelle denunce di reati sessuali così come non esistono nella transizione di genere). Ridley Scott rifilmerà le sue scene sostituendolo con Christopher Plummer, Netflix il film su Gore Vidal deciderà di non farcelo vedere mai.

Vorrei che tenessimo presente questo dettaglio apparentemente marginale. In qualche hard disk negli uffici di Netflix c’è Kevin Spacey che fa Gore Vidal, e s’è deciso che non dobbiamo vederlo perché forse Spacey nell’86 toccò il culo a un minorenne. Il tribunale dice che non gliel’ha toccato, ma non credo che questo basti a Netflix per decidere di non privarci dell’opera, punendo noi più che Spacey (che immagino sia stato comunque pagato per il ruolo). Ma pure se Spacey fosse colpevole, pure se avesse fatto di molto peggio e l’avesse fatto di certo: per fortuna alla polizia morale d’occidente interessano solo i reati sessuali, considerati chissà perché molto più gravi di qualunque altra cosa; pensa se decidessero che non possiamo più guardare Giuditta e Oloferne perché Caravaggio era un assassino.

Torniamo alla cronologia. Si istruiscono vari processi, che pian piano perdono i pezzi per strada, il mio preferito è quello che diceva che Spacey l’aveva molestato ma nel suo telefono c’erano i messaggi in cui prendevano appuntamento per fare sesso.

L’altroieri, a New York, una giuria stabilisce che no, Spacey non deve risarcire Rapp, perché dalle ricostruzioni non emergono prove che le molestie siano avvenute e anzi sembrano essercene che non siano avvenute. Diversamente dai saperlalunghisti dell’internet, che non sanno cosa succede in casa loro ma hanno sempre grandi certezze circa quel che accade nei letti altrui, io non ho la più pallida idea di come sia andata nel 1986.

Rapp si è sentito escluso (Spacey dice d’aver avuto un flirt col terzo ragazzo che era a cena con loro) e questo trauma gli ha costruito un falso ricordo? Spacey ci ha davvero goffamente provato con Rapp (non sarebbe comunque successo niente, neanche nella versione di Rapp: prendendolo in braccio, Spacey gli avrebbe, ohibò, toccato una chiappa) e Rapp ci ha proiettato su chissà cosa e ha rimuginato su questa stronzata ipertrofizzandola fino a renderla gravissimo trauma? I piani si sono mescolati e Rapp ha confuso il teatro e la vita (la scena della presunta molestia è molto simile a una scena dell’opera teatrale che Rapp interpretava nell’86)?

Quello che so è com’è andata dal 2017 a oggi. Che Kevin Spacey non solo non ha più potuto lavorare – né come attore, né in altre mansioni nel settore: la polizia morale gli ha tolto anche la direzione dell’Old Vic, teatro londinese – ma ha anche dovuto risarcire 31 milioni di dollari a House of Cards. Che noialtri siamo stati privati del talento del miglior attore contemporaneo, e quello ha dovuto passare cinque anni in giro per tribunali. Che adesso mica lo so se sono capaci di dire «scusi tanto, ci siamo sbagliati», e offrirgli tutti i ruoli che merita.

La differenza tra il 2022 e il 2017 è l’evoluzione da «uomini, tutti porci stupratori» a «gli unici che sicuramente sono non porci non stupratori non gente che s’approfitta delle circostanze sono quelli che dicono di percepirsi donne»: se Spacey si fosse messo una parrucca da femmina, le accuse oggi verrebbero liquidate come transfobiche. Non capisco come mai gli avvocati non ci abbiano pensato. 

Il ritorno di Louis CK, che dopo cinque anni di espiazione sta per esibirsi di nuovo al Madison Square Garden, è stato accolto da gridolini indignati: lo vedete che la cancel culture non esiste, persino questo che sventolava il pisello in faccia alle amiche torna come niente fosse (come niente fosse, dopo cinque anni d’esilio, un film ritirato dalla distribuzione, decine di milioni di dollari persi: ma vuoi mettere la gravità di quel pisello agitato).

Non so bene cosa voglia, la polizia morale: ci sono mestieri consentiti, o una volta che uno è accusato d’un reato sessuale la condanna prima d’ogni processo è quella alla disoccupazione perpetua? Temo ci siano mestieri consentiti, e siano quelli che non vengono percepiti come invidiabili, nell’epoca in cui la fama è la valuta più pregiata: puoi avere una catena di panetterie, ma non puoi essere famoso. Ma se il lavoro che sai fare si fa su un palco, il che ti rende famoso, come la mettiamo? Esistono reati che prevedano l’impossibilità d’accedere al proprio settore professionale per il resto della vita? E ai non reati sanzionati solo dalla polizia morale, si applica anche a quelli una versione lavorativa dell’ergastolo ostativo? Fateci sapere, dei princîpi generali e pure di quando diavolo intendete farci vedere Kevin Spacey nel ruolo di Gore Vidal.

Kevin Spacey a processo: «Non ho detto che ero gay per paura di mio padre neonazista». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 17 Ottobre 2022. 

L’attore, a processo per molestie contro un minorenne, ha raccontato la sua complicata dinamica famigliare: «Io e i miei fratelli eravamo costretti ad ascoltarlo per ore» 

Kevin Spacey ha testimoniato oggi in un’aula di tribunale a New York difendendosi dall’accusa di molestie all’attore Anthony Rapp, che lo ha citato in giudizio, sostenendo che l’attore premio Oscar ha cercato di portarlo a letto quando aveva 14 anni. Identificandosi come «Kevin Spacey Fowler», all’attore è stato chiesto delle affermazioni di Rapp secondo cui Spacey, allora 26enne, lo prese in braccio come uno sposo fa con una sposa dopo una festa del 1986 e lo mise sul letto prima di sdraiarsi sopra di lui. Rapp ha testimoniato in precedenza nel processo di essersi dimenato ed essere fuggito.

«Non sono vere», ha detto Spacey parlando delle accuse. Poi l’attore ha aggiunto: «Provengo da una dinamica familiare molto complicata», riferendosi alle invettive di suo padre che quando era giovane lo hanno portato a odiare «il bigottismo e l’intolleranza». «Mio padre era un suprematista bianco e neonazista», ha detto Spacey. «Significava che io e i miei fratelli eravamo costretti ad ascoltare ore e ore di mio padre che ci insegnava le sue convinzioni». Del suo orientamento sessuale «non ne abbiamo mai parlato. Non ho mai parlato pubblicamente di queste cose», ha detto spiegando che quando ha iniziato a fare teatro «mi urlava contro all’idea che potessi essere gay».

Davide Cantire per cinema.everyeye.it il 13 ottobre 2022.  

Continua a New York il processo che vede alla sbarra Kevin Spacey, accusato di aver compiuto delle molestie sessuali nei confronti di Anthony Rapp, quando questi aveva solamente 14 anni. Al processo gli avvocati si sono adoperati in arringhe di parecchie ore per smontare tali accuse alla presenza di Rapp, testimone e artefice dell'accusa. 

L'avvocato di Kevin Spacey, Jennifer Keller, ha trascinato Anthony Rapp alla sbarra nella causa per abuso sessuale da 40 milioni di dollari intentata dall'attore di Star Trek: Discovery contro l'ex protagonista di House of Cards.

Il suo controinterrogatorio di Rapp è durato circa un'ora - portando la durata totale del processo a quasi cinque ore - ma i veri fuochi d'artificio sono arrivati verso la fine dell'interrogatorio del suo cliente da parte dell'avvocato Peter Saghir, che ha chiesto se Rapp avesse parlato a BuzzFeed di Spacey per aumentare la sua notorietà agli occhi del pubblico. "Mi sono fatto avanti perché sapevo di non essere l'unico a cui Kevin Spacey aveva fatto delle avances", ha testimoniato Rapp. 

Questo ha creato un tumulto in aula, mentre gli avvocati di Spacey si sono opposti. Il giudice Lewis A. Kaplan ha accolto l'obiezione, ha ordinato di cancellare la frase dal verbale e ha detto alla giuria di non tenerne conto. La conferenza al banco che ne è seguita è durata qualche minuto prima che Kaplan dicesse: "La sentenza è valida".

Saghir ha posto un'ultima domanda al suo cliente: se Rapp avesse inventato qualcosa della sua storia su Spacey. "Non l'ho fatto", ha testimoniato. "È una cosa che mi è successa e che non è andata bene". Rapp ha ora terminato la sua testimonianza nel caso. 

Durante il suo controinterrogatorio, la Keller ha continuato a insistere sulla sua storia, sul perché l'abbia fornita a BuzzFeed e sul perché non abbia mai parlato di Spacey al suo terapeuta, chiedendo incredula: "Non gli ha parlato di quello che considera uno degli eventi più traumatici della sua vita?". 

In seguito, durante il suo interrogatorio da parte di Saghir, Rapp ha testimoniato: "Non è venuto fuori dai miei pensieri in nessun aspetto di ciò di cui stavo parlando". Keller ha anche interrogato Rapp sulle motivazioni che lo hanno spinto a rendere pubbliche le accuse a Spacey.

"Lei ha partecipato al nuovo show di Star Trek, ma non era chiaro se sarebbe stato rinnovato nel 2017 per una seconda stagione", ha detto. "Volevi promuovere lo show, aumentare la tua visibilità e rendere pubblica la storia di BuzzFeed faceva parte di questo", ha detto. Ha poi chiesto perché Rapp non si sia rivolto al New York Times, che aveva spianato la strada alle denunce del #MeToo. "Buzzfeed non è noto per le liste e i quiz sulle celebrità?", ha chiesto.

Massimo Basile per repubblica.it il 12 ottobre 2022.

L’ennesima storia di molestie nel cinema stavolta riguarda Bill Murray. O meglio, lo riguarda di nuovo, trent’anni dopo l’ultima volta. L’attore americano dell’Illinois, 72 anni, protagonista di oltre sessanta film, tra cui Ghostbusters, Lost in translation e I Tenenbaum, ha pagato 100 mila dollari una ragazza, membro dello staff di produzione, come risarcimento per averla baciata durante la lavorazione per l’ultimo film. 

I fatti risalgono ad aprile ma sono emersi ora con una serie di dettagli. Sul set di Being mortal, adattamento del libro di Atul Gawande, Murray avrebbe sdraiato sul letto allestito sul set una giovane assistente alla produzione, le sarebbe salito sopra, tenendola ferma con il peso del suo corpo, e l'avrebbe baciata addosso e sulla bocca, anche se attraverso la mascherina che entrambi indossavano per il protocollo anti-Covid. Murray ha sostenuto che fosse un gesto “scherzoso” e che pensava lei stesse flirtando con lui, mentre la ragazza ha dichiarato di aver interpretato il comportamento dell’attore come “totalmente sessuale” e di essere rimasta “inorridita”. 

La donna aveva poi presentato una denuncia ufficiale, insieme a un altro membro dello staff che aveva assistito alla scena. La produzione aveva interrotto i lavori, in attesa che i due raggiungessero una mediazione. Secondo le rivelazioni del sito Puck News, che ha tirato fuori la storia, l’attore ha accettato di versare alla ragazza 100.000 dollari a titolo di risarcimento, a patto di ritirare qualsiasi denuncia. Poche settimane dopo, in un’intervista a Cnbc, Murray aveva accennato all’episodio, liquidandolo a “diversità di vedute”, ma senza scendere nei dettagli. 

“Ho fatto qualcosa - raccontò - che pensavo fosse buffo, ma non è stato preso in quel modo. La produzione voleva fare le cose nel modo giusto e dunque ha avviato un’indagine e fermato le riprese”. Murray, che è molto amato dal pubblico e ha sempre rappresentato il tipo di attore al di sopra di ogni sospetto, rischia di essere travolto dallo scandalo in un momento in cui una serie di grossi personaggi di Hollywood, dall’ex produttore Harvey Weinstein al regista Paul Haggis e l’attore Kevin Spacey, sono stati accusati di abusi e violenze sessuali. In realtà Murray non è nuovo ad atteggiamenti considerati “inappropriati".

L’attrice Geena Davis aveva raccontato, in passato, quanto fosse difficile lavorare con lui. In un’intervista Davis aveva rivelato un retroscena: durante le riprese di Scappiamo con il malloppo, girato nell’89, l’attore aveva insistito per usare su di lei sulla scena uno strumento per i massaggi “ben sapendo quello che stava facendo”. “Dissi molte volte no - aveva raccontato - ma lui aveva insistito. Avevo dovuto urlare sul set per farlo smettere. Gli altri uomini che erano nella stanza non avevano fatto niente per fermarlo”. La Disney ha sospeso le riprese del film di Murray, arrivato ormai a metà della lavorazione, senza fornire dettagli.

Da Ansa il 6 ottobre 2022.  

Cinque anni dopo le accuse di abusi sessuali da parte dell'attore Anthony Rapp, Kevin Spacey va alla sbarra in un tribunale federale di New York.

Lo riferiscono diversi media americani. 

L'avvio del processo è previsto per oggi, giovedì 6 ottobre, dopo che Rapp fece causa a Spacey nel settembre del 2020. Secondo l'attore, la star di 'American Beauty' cercò di 'gratificare il suo desiderio sessuale' durante un incontro ad una festa a Manhattan nel 1986. All'epoca Rapp aveva solo 14 anni mentre Spacey 26 o 27 anni.

Il processo, tuttavia, non sarà incentrato sulle accuse di aggressione sessuale in quanto sono passati troppi anni da quando sarebbe successo il fatto bensì sugli atti intenzionali da parte di Spacey che avrebbero inflitto un trauma emotivo a Rapp, il quale chiede un risarcimento di 40 milioni di dollari. Spacey nega ogni accusa.

L'attore di 'Rent', oggi 50enne, è stato il primo uomo nell'ottobre 2017 ad accusare Spacey di molestie sessuali. Stando alle sue dichiarazioni, Spacey lo sollevò su un letto e si stese sopra di lui prima che il ragazzino riuscisse a 'divincolarsi' e a scappare. L'intero episodio non sarebbe durato più di due minuti. 

(ANSA il 7 ottobre 2022) - Kevin Spacey è comparso in un tribunale di New York per rispondere dell'accusa di aggressione sessuale da parte dell'attore Anthony Rapp, che sostiene di essere stato molestato dal premio Oscar nel 1986, quando aveva 14 anni. L'attore di 'House of Cards' ha sempre negato ogni accusa, Rapp chiede un risarcimento di 40 milioni di dollari. I due attori si sono conosciuti nel backstage di un teatro di Broadway e una settimana dopo Spacey ha invitato il ragazzo a cena con alcuni amici nella sua casa di Manhattan. 

Quando gli altri ospiti se ne sono andati, secondo l'accusa, Spacey avrebbe "palpeggiato Rapp", lo avrebbe "messo sul letto" e si sarebbe "sdraiato completamente vestito, brevemente, accanto e sopra" il 14enne che alla fine è riuscito ad alzarsi ed è scappato dall'appartamento. 

L'avvocato del protagonista di 'American Beauty', Jennifer Keller, oggi ha sostenuto in tribunale che non c''è stata nessuna aggressione sessuale e che per anni Rapp ha raccontato "una storia falsa" ai media ma "non è mai andato alla polizia". Il processo non sarà incentrato sull'aggressione sessuale tuttavia poiché i fatti sono considerati prescritti ma la giuria, di sei uomini e sei donne, dovrà valutare se ci sia stato un "danno emotivo".

L'attore è stato il primo uomo ad accusare Spacey di molestie sessuali nel 2017. La star è sotto accusa anche a Londra per aggressioni sessuali su tre uomini tra il marzo 2005 e l'aprile 2013, quando era direttore di un teatro, e per le quali si è dichiarato non colpevole lo scorso luglio.

(AGI il 5 agosto 2022) –L'attore Kevin Spacey dovrà pagare circa 31 milioni di dollari alla società di produzione della serie "House of Cards" come risarcimento per le perdite subite a seguito del danno creatole con le molestie sessuali nei confronti di alcuni membri dello staff. In seguito alla vicenda Spacey era già stato licenziato. 

La decisione è stata presa con un arbitrato del tribunale di Los Angeles, secondo il quale la condotta dell'attore ha provocato la rottura con colpa del contratto cui era legato, con conseguente danno materiale e di immagine.

(ANSA il 14 luglio 2022) - Kevin Spacey si è dichiarato oggi non colpevole delle imputazioni di abusi sessuali contestategli nelle settimane scorse dalla giustizia britannica, in un’udienza preliminare dinanzi a un giudice della corte londinese si Old Bailey del caso che lo riguarda nel Regno Unito. L'attore americano 62enne deve rispondere delle accuse rivoltegli da tre uomini, all'epoca dei fatti giovani, in relazione a diversi episodi avvenuti a partire da 17 anni fa. Il giudice ha poi chiuso l'udienza fissando lo svolgimento del processo contro Spacey a partire dal 6 giugno dell'anno prossimo.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 30 maggio 2022.

L’attore premio Oscar Kevin Spacey accusato di recente di quattro nuovi episodi di violenze sessuali avvenute in Gran Bretagna ai danni di tre uomini, rischia di essere arrestato dalla polizia statunitense per essere instradato in Inghilterra se non deciderà di consegnarsi spontaneamente alle autorità per farsi processare. 

Le nuove violenze contestate all’ex star di “House of Card” e per le quali subirà un processo, sarebbero avvenute a Londra e nel Gloucestershire tra il 2005 e il 2013, quando Spacey era direttore artistico del teatro Old Vic di Londra. 

Ora la star 62enne di “House of Cards” dovrà decidere se consegnarsi, altrimenti le autorità britanniche avanzeranno la richiesta di estradizione nei suoi confronti.

Nick Vamos, ex capo dell'estradizione del CPS, ha dichiarato al Guardian che l'estradizione formale di Spacey potrebbe richiedere molti mesi: il tempo necessario ai funzionari Usa per analizzare i documenti inviati dalla Gran Bretagna.

Se non contesta il processo, questo potrebbe celebrarsi in poche settimane, ha spiegato Vamos. Che cosa deciderà di fare l’attore?

«Aggressione sessuale nei confronti di tre uomini». Kevin Spacey incriminato in Inghilterra. Renato Franco su Il Corriere della Sera il 26 Maggio 2022.

Le accuse fanno seguito a una revisione delle prove raccolte da Scotland Yard nel corso delle sue indagini. 

«Aggressione sessuale nei confronti di tre uomini». Kevin Spacey è stato incriminato dalla giustizia britannica con quattro capi di imputazione, tra questi anche «per aver indotto una persona a impegnarsi in attività sessuali penetrative senza consenso». I tre casi, distinti, si sono verificati nel corso di diversi anni, tra il 2005 e il 2013. Per Kevin Spacey si tratta dell’ennesimo colpo a una carriera ormai andata in pezzi, una corsa nel precipizio che si è avviata quando il #MeToo ha preso slancio.

Il 29 ottobre 2017, nell’ambito del caso Harvey Weinstein, l’attore — due volte premio Oscar, come non protagonista per I soliti sospetti nel 1996 e come protagonista per American Beauty nel 2000 — viene accusato di molestie sessuali da parte Anthony Rapp per un fatto risalente al 1986, quando Spacey aveva 26 anni e Rapp solo 14: poco dopo l’esplosione del caso Spacey fa coming out dichiarando la propria bisessualità e chiedendo scusa a Rapp, sostenendo però di non ricordare nulla dell’accaduto. A quel punto però l’argine dell’omertà si rompe e iniziano a fioccare accuse da tutte le parti: otto membri della troupe di House of Cards, il figlio dell’attore Richard Dreyfuss e quello della giornalista Heather Unruh (vicenda poi archiviata) dichiarano di essere stati molestati da Spacey mentre altri casi risalirebbero al periodo (2004-2015) in cui l’attore era direttore artistico del teatro Old Vic di Londra. L’attore decide quindi di interrompere subito le sue attività per farsi curare dalla dipendenza da sesso ma nuove accuse contro di lui giungono da Ari Behn, ex genero del re Harald V di Norvegia e da un massaggiatore che alla Corte superiore di Los Angeles racconta che Spacey avrebbe tentato di abusare di lui nel 2016 a Malibù.

Per Spacey ormai è la fine. Saltano tutti i progetti in cui era coinvolto a partire da House of Cards , la serie che aveva dato un’ulteriore lucidata al suo successo e al suo portafoglio grazie al ruolo di Frank Underwood, un politico cinico, senza scrupoli e avvelenato di potere. Un disastro non solo per il licenziamento, ma anche per la richiesta di danni: a seguito del suo allontanamento dalla produzione di House of Cards, Mrc (lo studio che produceva la serie) aveva dovuto interrompere le riprese della sesta stagione, accorciare gli episodi da 13 a 8 e riscriverli per depennare il suo personaggio. Per Spacey un’altra mazzata: alla fine è stato condannato a pagare un risarcimento di 30 milioni di dollari.

Simona Siri per la Stampa l'8 giugno 2022.

Il #Me Too è davvero finito con la vittoria in tribunale di Johnny Depp contro Amber Heard? Per alcuni sì, per altri non era neanche mai iniziato, per altri ancora il #MeToo non finisce mai, anzi. 

Se infatti i guai giudiziari di Depp sono finiti (e bene), quelli di Kevin Spacey devono ancora cominciare. Respingendo il ricorso fatto dall'attore americano, un giudice federale ha infatti stabilito che potrà essere processato nella causa intentata contro di lui da Anthony Rapp, l'attore che nel 2017 era stato tra i primi a raccontare pubblicamente di presunti abusi. 

In particolare, l'episodio per il quale ha poi sporto denuncia nel 2020 fa riferimento a una festa a casa di Spacey nel 1986 quando entrambi lavoravano a Broadway e Rapp era appena quattordicenne: in quell'occasione sarebbe stato toccato dal futuro premio Oscar nelle parti intime, steso sul letto e con il peso del suo corpo sopra di lui. In questi anni Spacey ha più volte cercato di evitare il processo, facendo richiesta di chiudere la causa sulla base del fatto che la sua presunta aggressione non era abbastanza grave da qualificarsi ai sensi del Child Victim' s Actma. per il giudice Lewis Kaplan, i reati che possono essere contestati sono quelli di percosse e atti intenzionali che hanno inflitto un trauma emotivo nella vittima.

Spacey non può invece essere processato per aggressione perché sono passati troppi anni dal fatto. Via dunque quindi al processo, forse già a ottobre, non si sa ancora se a porte chiuse o aperte, per quello che, insieme a Harvey Weinstein, è forse l'uomo simbolo di tutto il movimento, sul quale grava non una singola accusa, ma una serie di accuse nel corso di più di venti anni. È notizia recente che Spacey dovrà andare a processo anche In Inghilterra grazie alle denunce di tre uomini per fatti avvenuti tra il 2005 e il 2013 quando era direttore artistico dell'Old Vic Theatre. Due capi di imputazione sono per aggressione sessuale a Londra nel marzo 2005 e si riferiscono a un denunciante, un uomo che ora ha 40 anni.

Un altro riguarda un secondo denunciante, un uomo che ora ha 30 anni, nell'agosto 2008.

L'ultima accusa è di violenza sessuale da un terzo denunciante, un uomo che ora ha 30 anni, episodio che sarebbe avvenuto nel Gloucestershire nell'aprile 2013.

In un comunicato rilasciato al programma Good Morning America della ABC, Spacey si è detto fiducioso di poter provare la sua innocenza rispetto a queste accuse e ha annunciato che si recherà volontariamente nel Regno Unito, senza bisogno che scatti l'estradizione. La stessa Inghilterra che prima ha condannato Johnny Depp e poi, la settimana scorsa, lo ha accolto trionfalmente dopo la vittoria legale contro Amber Heard in Virginia, sarà teatro di un altro processo a uno dei volti più noti di Hollywood.

Leonardo Martinelli per “la Stampa” il 26 maggio 2022.

Ovviamente, lo sapevano tutti com' era Jacques Bouthier. Uno degli uomini più ricchi di Francia, 75 anni, una fortuna creata dal niente nell'assicurazione, era «un porco» con le donne, sottolineano oggi tanti dei suoi dipendenti (anonimi) ai media. «Quando lo incrociavi, per una donna, meglio non essere giovane e carina - ricorda oggi una dirigente di Assu 2000, il suo gruppo, ribattezzato Vilavi nel gennaio scorso -. Era incapace di stare zitto, t' infliggeva riflessioni pesanti e oscene. E come rideva il codazzo dei suoi collaboratori». Insomma, lo scandalo sorprende fino a un certo punto, anche se nessuno arrivava a immaginare che pagasse «schiave del sesso» minorenni, a sua disposizione in un appartamento a Parigi.

Bouthier è in carcere da sabato, accusato di una serie di capi d'accusa, tra cui «violenza e aggressione sessuale su minori» e «tratta di esseri umani». E dire che, fino a quel momento, agli occhi del francese medio, l'uomo era solo il prototipo del self-made man, che nel 1975, nel giardino davanti a casa, a Noisy-le-Sec, periferia popolare di Parigi, aveva messo su un bungalow in legno, dove aveva iniziato a vendere polizze assicurative.

Oggi Vilavi ne gestisce 720mila, ha 1800 dipendenti e un patrimonio personale stimato a 160 milioni di euro. Senza laurea, ma intraprendente e chiacchierone, il baby-boomer Bouthier è stato sempre uno sportivo, da giovane campione di salto con l'asta, quando faceva il militare. Ha fatto costruire una palestra all'avanguardia per i lavoratori nella sede del gruppo. 

Nel marzo scorso a un commissariato parigino si è presentata Kenza, 22 anni, nata in Marocco, che su Bouthier ha raccontato un'altra storia. Aveva sedici anni quando, giunta da poco in Francia, l'imprenditore cominciò ad avere rapporti sessuali retribuiti con lei, che fece poi trasferire in un suo appartamento. Lì sostituì un'altra ragazza, sulla ventina, troppo vecchia ormai.... 

Kenza ha libertà di movimento, ma per anni deve sottoporsi agli appetiti sessuali dell'uomo, che la porta perfino in club di scambisti oppure a fare sesso nel suo ufficio e nella famosa palestra aziendale. All'inizio dell'anno, Bouthier, a cui piacciono giovani, molto giovani, ha chiesto a Kenza di finirla lì, affidandole un'ultima missione: trovare una sostituta. 

Sarà ancora una ragazza psicologicamente fragile, come lei, strappata alla strada, di 14 anni e di nazionalità rumena. Kenza, però, realizza un video compromettente del primo incontro con l'anziano signore e poi comincia a ricattarlo. E Bouthier, a sua volta, la minaccia pesantemente. Kenza ha paura e lo denuncia alla polizia, che per più di due mesi ha messo sotto controllo il suo telefono. 

Al di là della pedofilia, è emersa una storia ancora più incredibile. Preso dal panico, Bouthier ha contattato un piccolo imprenditore delle costruzioni, suo fornitore, per chiedergli di procurarsi il video e di sequestrare Kenza e portarla di forza all'estero. Quest' uomo si è associato a un dipendente di Vilavi e anche a un ex poliziotto delle forze speciali del Gign.

I tre non sono riusciti nell'intento, ma hanno inventato una storia per spillare soldi a Bouthier: la polizia sa tutto, ma se paghiamo un milione d'euro, lasceranno stare. È la moglie dell'imprenditore, al corrente della sua doppia vita, ad accertarsi che il bonifico sia effettuato. Alla fine, nei giorni scorsi, è scattato il blitz e tutti questi personaggi sono finiti in carcere, compresa la consorte di Bouthier. Secondo fonti vicino all'inchiesta, citate da diversi media francesi, avrebbero confermato il grosso dei fatti. Intanto, scorre il fiume di dichiarazioni anonime di chi sapeva che Bouthier era «un porco» e che ci provava con le ragazzine. E intorno a lui ridevano tutti.

Dagotraduzione da Liberation il 28 maggio 2022.

In un’intervista alla tv francese BFMTV, una donna di circa 20 anni ha raccontato di essere stata molestata tra il 2017 e il 2020 da Jacques Bouthier, il miliardario francese accusato di pedofilia e tratta di esseri umani e arrestato dalla polizia d’oltrealpe. 

A meno di una settimana dal fermo del miliardario, continuano ad arrivare denunce sul suo conto. Nour (nome fittizio), ex dipendente del gruppo Vilavi (ex Assu 2000), la società di cui Bouthier era amministratore e socio di maggioranza, ha raccontato le molestie subite. La giovane sostiene di essere stata licenziata nel novembre del 2021 dopo aver rifiutato le avances dell’uomo.

Nour ha iniziato a lavorare per la società di intermediazione assicurativa Assu 2000 nel 2017, nei loro uffici a Tangeri, in Marocco. Aveva 20 anni. Secondo la sua testimonianza, i funzionari del gruppo hanno svolto un ruolo di “battitori” e ha le hanno fatto capire, dopo un primo approccio, che avrebbe potuto accontentare l’amministratore delegato. 

«Durante la formazione, mi hanno spiegato che ero chiaramente un tipo da Jacques Bouthier» ha detto Nour. Pochi mesi dopo, il grande capo viaggia in Marocco per visitare la sede. Lì incontra l’impiegata. «Mi viene accanto, mi tocca la spalla, facendo scorrere la mano. Lo spingo via. Davanti a tutti dice: “In nome del cielo, che bellezza, che bel petto”» ricorda Nour.

Poi, durante un ricevimento nel 2018, Bouthier le si era avvicinato e le aveva sussurato all’orecchio: «”Sai, al consolato francese ci sono delle piccole stanze dove nascondersi”. Gli ho detto: “Signor Bouthier, perché me ne parla? Non me ne andrò mai con lei”. Però avevo paura di perdere il lavoro». 

Dopo i rifiuti che ha opposto al grande capo, Nour viene minacciata di licenziamento. Lei vuole conoscerne i motivi e li chiede a Jacques Bouthier. E lui le risponde: «Presto verrò a Tangeri. Dormi con me e io ti proteggerò. Sarai la mia protetta». Nour rifiuta, dicendogli che «non è quel tipo di ragazza». Ma non è abbastanza per scoraggiare Bouthier, che continua. «Quando inizierai a succhiarmelo, ti ascolterò», le dice, racconta Nour. Poi passa agli insulti via Sms: «Puttana, te ne andrai». Il giorno successivo la giovane viene licenziata. Racconta di essere stata minacciata di non rivelare gli scambi con Bouthier. Nour ha sporto denuncia.

Dal 22 maggio Jacques Bouthier è stato incriminato e incarcerato con altre cinque persone per «tratta di esseri umani» e «stupro di minori». Lui continua a negare tutto. Martedì ha dato le dimissioni dalla presidenza della società, ma resta ancora l’azionista di maggioranza. L’uomo è stato citato in giudizio da una 22enne che ha raccontato di essere stata sua prigioniera per 5 anni. Avrebbe anche girato un video di Buothier a letto con una quattordicenne. Gli inquirenti avrebbero rilevato l'esistenza di diverse giovani donne, minorenni e adulte, anche loro vittime. Ogni volta, lo stesso profilo: quello di ragazze difficili o in fuga, che rompono con la famiglia o con la società.

Consapevole che la sua ex presunta vittima aveva un video compromettente, il settantenne, uno dei 500 uomini più ricchi di Francia, è stato anche accusato di aver allestito una squadra per rapirla e costringerla a lasciare la Francia per il Maghreb, da dove viene. Ne avrebbero fatto parte sua moglie, due dipendenti della sua azienda, una giovane donna vicina al denunciante nonché un ex poliziotto del GIGN. Anche queste altre cinque persone sono state incriminate per gli stessi motivi. L'indagine è stata affidata al Dipartimento per la tutela dei minori della polizia giudiziaria di Parigi. 

(ANSA il 26 maggio 2022) - L'ex star 34/enne della reality tv Josh Duggar si è visto infliggere oltre 12 anni di galera per possesso di materiale pedopornografico. Un giudice dell'Arkansas lo ha inoltre condannato a 20 anni di libertà vigilata durante i quali non potrà avere con minori contatti che non siano supervisionati. Duggar era diventato noto con le serie su Tlc '19 Kids and Counting'.

Giovanna Venturini, Carlo Sangalli e il «calvario» delle accuse: «Lui mi ha molestata, poi ha mentito». Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 29 Maggio 2022.

L’ex segretaria del presidente di Confcommercio era accusata di avergli estorto 216 mila euro: «Questa sentenza mi restituisce la vita, avevo rispetto e stima per Sangalli fino a quando il suo comportamento è diventato molesto». 

Giovanna Venturini, ex segretaria del presidente Confcommercio Carlo Sangalli

Dopo la sentenza che l’ha assolta con formula piena dall’accusa di aver estorto 216 mila euro allo storico presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, minacciando che l’avrebbe accusato di molestie sessuali — aveva denunciato lui nel 2018 —, Giovanna Venturini, che è stata per anni la sua segretaria, ha ancora addosso la tensione del momento in cui venerdì scorso il giudice Alessandro Arturi ha letto il dispositivo che si somma a tutta quella accumulata dal 2010, da quando questa storia ha preso inizio. Il giudice le ha anche restituito il denaro che le era stato sequestrato, donatole da Sangalli con un atto notarile.

Che anni sono stati?

«Devastanti. Hanno cambiato profondamente la mia persona, tuttavia in questo mio calvario ho sempre avuto fiducia piena nella giustizia e questo mi ha dato la forza per andare avanti».

Non è stata delusa.

«Per questo ringrazio il giudice Arturi che, attraverso la sua attenta analisi degli atti, ha emesso un’assoluzione “perché il fatto non sussiste”».

A fine 2010 il rapporto professionale con il presidente si interrompe perché, come ha denunciato lei, vuole sfuggire alle sue molestie sessuali.

«Come ho sempre affermato, ho avuto verso Sangalli rispetto e stima fino al momento in cui il suo comportamento nei miei confronti è cambiato diventando molesto».

Per anni, però, non ha detto nulla, neppure ai suoi familiari. Perché?

«L’ho detto anche al giudice facendo dichiarazioni spontanee: fosse stato per me questa storia sarebbe morta con me, me la sarei portata nella bara sottoterra. Purtroppo, quando la notizia ha cominciato a circolare a fine 2017 tra i vertici della Confederazione, sono stata costretta a radunare la mia famiglia per dire tutto. Non ho mai voluto fare scandali, l’unica cosa che ho chiesto in Confcommercio è stato di aiutarmi a cambiare posto. Punto. Non ho mai chiesto altro, i soldi mi furono proposti da Francesco Rivolta (ex direttore generale, anche lui assolto dopo una richiesta di 5 anni di carcere) che mi disse che il presidente Sangalli voleva chiedere scusa, risarcire e che se ne sarebbe addirittura andato».

Quando Sangalli l’ha querelata, ha temuto che la giustizia potesse non crederle?

«Di pensieri ce ne sono stati tanti. Quando sono stata iscritta nel registro degli indagati è stata una cosa da morire».

La prima volta, immagino.

«La prima e l’ultima».

Qual era il suo stato d’animo mentre il giudice si apprestava a leggere la sentenza?

«Sapevo di dipendere dal giudizio di un’altra persona, ma sapevo anche che sarei stata aiutata, supportata. Ho anche tanta fede. Aspettavo quel momento sperando che tutto finisse nel modo in cui io avevo sempre voluto. Nell’ultimo periodo, ogni volta che entravo a piazzale Clodio (il nome con cui viene indicato il palazzo di giustizia di Roma, ndr.) per me era un colpo al cuore, qualcosa di devastante. Mi chiedevo: “Io non ho fatto nulla, non ho mai chiesto nulla, perché dovrei essere condannata?”».

Ha pregato?

«Io prego da sempre e l’ho fatto anche prima della sentenza. Alla lettura del dispositivo, a fianco del mio avvocato Paolo Gallinelli, avevo il crocifisso tra le mani. Quando ho capito di essere stata assolta sono scoppiata in lacrime per la sensazione di liberazione da una spada di Damocle che per tre anni e mezzo è stata sopra la mia testa. Poi mi hanno fatto sedere su una sedia, credo che qualcuno mi abbia dato un po’ di acqua».

Quanto ha contato per lei la sua famiglia?

«Tutto. Non c’è stato un momento in cui i nostri affetti e la nostra unione hanno traballato. Pur con il dolore, l’ansia e lo sgomento, i miei mi sono stati sempre vicini. Di fronte a loro ho sempre cercato di essere forte, sorridente, anche se dentro di me c’era la devastazione e provavo dolori lancinanti perché dovevo affrontare una situazione allucinate».

Ora, vita nuova?

«Questa sentenza da oggi restituisce la vita a me e alla mia famiglia. Venerdì sera abbiano fatto un timido brindisi. Ci siamo guardati negli occhi, tante lacrime, abbracci profondi».

Se pensa a Sangalli, cosa le viene in mente?

«Mi faccia un’altra domanda...».

Elon Musk. Usa, «Musk accusato di molestie» vittima risarcita con 250 mila dollari. Il Corriere della Sera il 20 Maggio 2022. Le accuse pubblicate dal Business Insider: nel 2016 ha abusato sessualmente di una assistente di volto della’azienda aerospaziale. Ma lui nega: una falsità 

SpaceX, l’azienda aerospaziale fondata da Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, avrebbe corrisposto a un assistente di volo 250 mila dollari per evitare una denuncia per molestie contro Musk nel 2018. Questo è quanto sostiene Business Insider. La hostess, che ha lavorato come membro dell’equipaggio di cabina per la flotta di jet aziendali di SpaceX, ha accusato Musk di averle mostrato il pene, strofinandolo contro la sua gamba senza consenso. Musk poi avrebbe proposto di comprarle un cavallo in cambio di un massaggio erotico.

L’incidente, avvenuto nel 2016, è denunciato in una dichiarazione firmata da un’amica dell’assistente e preparata a sostegno della sua affermazione. Secondo la dichiarazione, l’assistente avrebbe confidato all’amica che dopo aver accettato il lavoro di assistente di volo, sarebbe stata incoraggiata a ottenere la licenza come massaggiatrice in modo da poter fare massaggi a Musk. Fu durante uno di questi massaggi in una cabina privata sul Gulfstream G650ER di Musk, disse all’amica, che Musk le fece una proposta. «Se fossi propenso a subire molestie sessuali, è improbabile che questa sia la prima volta che viene alla luce in tutta la mia carriera trentennale», ha risposto Musk, definendo l’articolo un «pezzo politicamente motivato».

Usa, media: accuse di molestie per Elon Musk: "SpaceX pagò 250.000 dollari". Lui nega: "Articolo politicamente motivato". La Repubblica il 20 Maggio 2022.

Business Insider, l'incidente nel 2016, poi nel 2018 l'accordo.

Accuse di molestie per Elon Musk. Una ex assistente di volo che lavorava per la flotta di aerei privati di SpaceX ha accusato Musk di averle mostrato il suo pene, di averla toccata senza consenso e di averle offerto in regalo un cavallo in cambio di un massaggio erotico. Lo riporta Business Insider citando alcune fonti, secondo le quali SpaceX avrebbe poi patteggiato con la donna il pagamento di 250.000 dollari nel 2018 per il suo silenzio.

La replica. Elon Musk nega di aver commesso molestie come riportato da Business Insider. "Se fossi incline alle molestie, questa difficilmente sarebbe la prima volta nella mia carriera che emergerebbe", afferma Musk con Business insider definendo l'articolo "politicamente motivato".

Molestie a una hostess, bufera su Musk. Lui: "Le accuse? Politicamente motivate". Nino Materi il 21 Maggio 2022 su Il Giornale.

Episodio del 2016, il miliardario avrebbe pagato 250mila dollari per chiudere la vicenda. Il recente endorsement per i repubblicani.

La situazione è grave, ma la traduzione dall'inglese rischia di renderla anche piuttosto greve. Lo «scoop» sui guai del miliardario Elon Musk per una presunta molestia sessuale, anticipata da Business Insider, è stato infatti riportato dai media italiani come segue: a una hostess che lavorava «come membro» dell'equipaggio, Musk avrebbe mostrato «il pene»; e qui il buon gusto già suggerirebbe un salvifico atterraggio d'emergenza. Invece no, si continua a volare alto.

I mastini di Business Insider, entrando dentro l'affare, hanno infatti accertato i dettagli della scabrosa vicenda. Si è quindi scoperto che quello sporcaccione di Elon «lo» avrebbe pure «strofinato contro la sua (sua di lei ndr) gamba, senza il consenso della donna». Un comportamento da disturbato sessuale (il fattaccio risalirebbe a 4 anni fa) che è costato al fondatore dell'azienda aerospaziale SpaceX un risarcimento stellare, pari a 250 mila dollari: la somma che la povera (ora ex povera) hostess molestata si è convinta ad accettare, evitando di denunciare l'avvilente performance in alta quota.

Nel 2018 - sempre che le informazioni divulgate dai segugi di Business Insider non siano fake - Musk era vittima forse di una patologica «turbolenza» a sfondo erotico, e ciò non solo tra le nuvole a bordo del suo Gulfstream G650ER, ma pure quando aveva i piedi piantati in terra: una posizione «stabile» che tuttavia non ha impedito al dominus di Tesla di perdere la testa «offrendo alla hostess un cavallo in dono in cambio di un massaggio intimo». Tutto davanti a testimoni, che l'assistente di volo nel mirino di Elon avrebbe minacciato di portare in tribunale in caso di «mancato accordo finanziario»; e si sa come negli Stati Uniti, sul punto, siano pignoli.

A confermare la storia boccaccesca ci sarebbero anche registrazioni ed email che Business Insider sostiene di «aver visionato». Un particolare su cui riflettere (si fa per dire): pare che l'assistente di volo tanto cara a Elon abbia «confidato all'amica che, dopo aver accettato il lavoro, era stata incoraggiata a prendere la licenza di massaggiatrice proprio per fare massaggi a Musk».

La scena che ne è seguita non sfigurerebbe in una commedia sexy anni '80, con Musk in versione Renzo Montagnani e l'hostess dello scandalo in formato Edwige Fenech: «Quando sono arrivata ho visto Musk completamente nudo tranne che per un lenzuolo che copriva la metà inferiore del suo corpo. Durante il massaggio lui mi ha mostrato i genitali e mi ha toccata»; per poi proseguire le avances una volta giunti a destinazione: «Mi ha offerto in dono un cavallo se avessi fatto di più, riferendosi chiaramente ad atti sessuali».

A questo punto la hostess, evidentemente disinteressata a omaggi equini, si sarebbe limitata al «massaggio normale», senza accettare profferte di «extra». Un diniego cui Musk avrebbe reagito prima «cambiando alla donna tutti i turni di lavoro» poi «licenziandola in tronco». Insomma, tarpandole professionalmente le ali: circostanza piuttosto penalizzante per un'assistente di volo. Sta di fatto che la hostess-massaggiatrice ha deciso di passare al contrattacco, affidandosi a un avvocato che ha ottenuto per la sua cliente la bella cifra di 250 mila dollari.

Intanto Musk ha definito l'articolo di Business Insider «politicamente motivato». Annunciando che non voterà più per i democratici, ma per i repubblicani. Sessualmente parlando, Trump è una garanzia.

Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera” il 21 maggio 2022.

Abituato a fare notizia tutti i giorni, a volte anche sparando tweet tanto sorprendenti quanto contraddittori, stavolta Elon Musk perde il controllo del ciclo dell'informazione e deve vedersela con un'accusa pesante: quella di molestie sessuali a una hostess in servizio sui jet privati della sua SpaceX. 

La storia, pubblicata dal sito Insider, che sostiene di aver ricevuto documenti originali e aver contattato lo stesso Musk che parla di «attacco politico» contro di lui, risale al 2016.

In sostanza, il fondatore di Tesla, durante un viaggio avrebbe chiesto all'assistente di volo un massaggio. Alla hostess sarebbe stato in precedenza suggerito di ottenere anche la licenza come massaggiatrice in modo da poterli fare al magnate a bordo e poter lavorare più spesso. Lei gli avrebbe praticato il massaggio, ma poi, palpeggiata, avrebbe respinto una sua richiesta di prestazioni sessuali. Secondo Insider, Musk «espose i suoi genitali» e accompagnò l'offerta con la promessa di regalarle un cavallo.

La storia è bizzarra ma da Musk ci si può aspettare di tutto. Il caso viene fuori in modo curioso - attraverso il racconto di un'amica della donna molestata - probabilmente perché la hostess, che sarebbe stata messa a suo tempo a tacere con un assegno da 250 mila dollari, ha firmato un accordo nel quale si impegna al silenzio.

Contattato da Insider , Musk prima ha detto che ci sarebbe molto di più da raccontare sulle circostanze del caso. Poi ha parlato di un attacco motivato da ragioni politiche, aggiungendo: «Se fossi un tipo incline alle molestie sessuali non sarebbe strano veder emergere notizie di questo tipo solo 30 anni dopo l'inizio della mia carriera professionale?» 

Interrogativi ma non smentite: alla fine Insider ha deciso di pubblicare. Più tardi, Musk che è attualmente impegnato nell'acquisizione di Twitter, ha usato proprio il social media per rispondere: «Per la cronaca, queste accuse assurde sono completamente false». 

Poi ha ironizzato: «Finalmente, possiamo usare Elongate come nome di uno scandalo», come il tycoon aveva suggerito in un tweet del marzo 2021. Infine ha lanciato una «sfida a questa bugiarda che afferma che la sua amica mi ha visto nudo: descriva solo una cosa, qualsiasi cosa (cicatrici, tatuaggi) che non sia nota al pubblico. Non sarà capace perché non è mai accaduto». Ha accusato la donna di essere una «attivista-attrice di estrema sinistra a Los Angeles con una grossa ascia politica da affilare». 

"Ora sono il partito dell'odio". Musk silura i dem americani. Marco Leardi il 19 Maggio 2022 su Il Giornale.

Elon Musk volta e spalle ai democratici americani, di cui era stato sostenitore. "Ora sono il partito della divisione e dell'odio, voterò repubblicano", ha scritto il magnate in un tweet.

"Ora sono il partito della divisione e dell'odio". Elon Musk volta le spalle ai democratici americani e anzi, li rinnega proprio. Il miliardario della Silicon Valley, un tempo sostenitore della sinistra dem a stelle e strisce, ora ha cambiato idea: lo ha riferito lui stesso, con parole che risuonano come uno schiaffo alla compagine politica guidata da Joe Biden. In un tweet pubblicato nelle scorse ore, il fondatore di Tesla si è inserito a modo suo nel dibattito in vista delle elezioni di midterm e lo ha fatto lanciandosi in un endorsement per i repubblicani.

"In passato ho votato democratico, perché erano (soprattutto) il partito della gentilezza. Ma sono diventati il partito della divisione e dell'odio, quindi non posso più sostenerli e voterò repubblicano. Ora guarda la loro campagna di trucchi sporchi contro di me", ha twittato Elon Musk, riuscendo ancora una volta ad attirare l'attenzione su di sé. Già nella mattinata di ieri l'imprenditore, durante un podcast, aveva espresso le proprie intenzioni di voto in riferimento alle elezioni di metà mandato che costituiranno una vera e propria prova del fuoco per l'attuale presidenza americana.

Che il milionario sudafricano non sopportasse più le contraddizioni e le mosse politiche della sinistra statunitense era ormai chiaro, così come era evidente la reciprocità di questi attriti. Nelle scorse settimane, quando Musk si era lanciato alla conquista di Twitter, erano stati soprattutto i democratici a manifestare critiche e contrarietà alla mossa. "Questo accordo è pericoloso per la nostra democrazia", aveveva accusato la senatrice democratica Elizabeth Warren, auspicando l'introduzione di "una tassa sui ricchi e di regole più stringenti affinché Big Tech sia responsabile". Affermazioni che certo non potevano lasciare in silenzio il diretto interessato.

Già in passato, il magnate di Tesla e SpaceX aveva assicurato su Twitter che "gli attacchi politici" nei suoi confronti sarebbero aumentati "a dismisura nei mesi a venire". E lo stesso Elon non aveva fatto nulla per evitarli. Anzi. Pochi giorni fa, l'imprenditore aveva aperto al ritorno di Donald Trump sulla popolare piattaforma, facendo infuriare ancora di più la sinitra (in questo caso globale) e i sostenitori del politicamente corretto via social. Ma la battaglia, su quel fronte, sembra essersi arenata.

Musk ha infatti dichiarato la momentanea sospensione del suo accordo per l'acquisizione di Twitter. Prima di finalizzare l'affare (per un valore di 44miliardi di dollari offerti), il fondatore di Tesla ha infatti chiesto chiarimenti sul reale numero di utenti falsi presenti sulla piattaforma. Secondo alcune stime meno del 5%, secondo Elon molti di più: circa il 20%. Una cifra che potrebbe cambiare le carte in tavola nella valutazione del reale valore della società.

Anais Ginori per “la Repubblica” il 23 maggio 2022.

Appena nominato nel nuovo governo, Damien Abad è già in difficoltà per accuse di violenza sessuale. La nomina del ministro qualche giorno fa aveva fatto notizia perché Abad era capogruppo dei Républicains in parlamento e rappresentava quindi un ennesimo "trofeo" di Emmanuel Macron nel suo lavoro per indebolire la destra. Ma forse Macron non sapeva che due donne accusavano il neoministro alla Solidarietà, 42 anni, di averle violentate più di dieci anni fa. O forse doveva saperlo, se è vero quanto scrive il sito Mediapart, che ha rivelato l'affaire.

L'Osservatorio delle violenze sessiste e sessuali, un'istanza creata da gruppi di femministe all'origine del movimento #meTooPolitique, aveva infatti mandato una segnalazione sul nome di Abad, in corsa per diventare ministro, già prima della sua nomina. L'informazione, corredata dalle testimonianze, era stata inviata sia al suo ex partito che a quello macronista che probabilmente ha creduto ad Abad, il quale si dichiara innocente.

«Contesto qualsiasi abuso di potere legato alle funzioni da me ricoperte. Le relazioni sessuali che posso aver avuto durante tutta la mia vita sono state sempre reciprocamente consenzienti ». Il neoministro aggiunge: «Queste accuse riferiscono di atti o gesti che mi sarebbero semplicemente impossibili a causa del mio handicap».Abad è affetto da una rara malattia, l'artrogriposi, che blocca le articolazioni e riduce la mobilità. 

«L'atto sessuale - ha spiegato ieri il neoministro in un comunicato - può avvenire soltanto con l'assistenza e la benevolenza della mia partner». Nel 2012, Abad fu il primo politico con handicap eletto all'Assemblée Nationale. La prima donna che l'accusa ha 41 anni e denuncia fatti risalenti a una sera del 2010, quando Abad le avrebbe offerto un calice di champagne in un bar. La donna sostiene di aver avuto a quel punto «un black out totale» e di essersi risvegliata la mattina seguente in una stanza d'hotel vicina al bar in «abbigliamento intimo» e in «profondo stato di shock e di nausea». 

L'altra donna, una ex militante centrista di 35 anni, afferma di aver avuto un rapporto sessuale che all'inizio era consenziente ma successivamente non più. Secondo la sua versione, l'uomo avrebbe compiuto atti di «non rispetto, di ingiunzione e di insistenza».

Nel 2017 ha presentato una denuncia per stupro contro il politico ma l'indagine è stata archiviata «per mancanza di reato sufficientemente caratterizzato» secondo la procura di Parigi che ora dovrà riesaminare le due segnalazioni arrivate dall'associazione. 

Abad al momento non risulta comunque ufficialmente indagato. È una delle prime grane per la premier Elisabeth Borne che venerdì ha annunciato la lista dei ministri del suo nuovo esecutivo. «Posso assicurarvi che se ci saranno nuovi elementi, se la giustizia dovesse di nuovo essere investita del caso, ne trarremmo tutte le conseguenze» ha spiegato Borne.

«Sulle violenze sessuali non ci sarà alcuna impunità» ha proseguito la premier, seconda donna arrivata alla guida del governo nella storia della République. Per alcune asso ciazioni femministe il caso di Abad è un nuovo segnale negativo che viene dall'entourage macronista. Durante il precedente mandato, il leader francese aveva dato via libera alla nomina agli Interni di Gérald Darmanin nonostante fosse stato oggetto di accuse di violenza sessuale. Darmanin aveva rivendicato la presunzione di innocenza e le indagini erano state archiviate per mancanza di prove.

 L'ultima follia del #MeToo: corsi contro la "virilità". Roberto Vivaldelli il 17 Maggio 2022 su Il Giornale.

Boom di iscritti a corsi e stage in Francia contro la virilità e la "mascolinità tossica". La furia ideologica del #MeToo per colpevolizzare il sesso maschile.

Basta all'uomo virile e ai vecchi schemi della società patriarcale: con il #MeToo e la nuova religione "woke", l'uomo deve dire addio una volta per tutte al machismo e alla "mascolinità tossica". Non è più tempo, insomma, per i "veri duri" alla Clint Eastwood, l'archetipo dell'uomo moderno deve essere liberal, gender fluid, deve piangere, emozionarsi, essere attento ai diritti delle minoranze e, soprattutto, deve provare un senso di colpa in quanto maschio. Un'inchiesta pubblicata dal quotidiano francese Libération esplora la realtà dei corsi e degli stage dedicati agli uomini che intendono interrogarsi sull'identità maschile e sulla loro "virilità" e che hanno raggiunto sempre maggiore popolarità dopo l'esplosione del #MeToo. "Ho fatto una crociata contro la virilità che ci viene imposta". A raccontarlo è Thierry, 59 anni, che ha deciso di esplorare alcune sfaccettature di quella che chiama la sua "identità maschile": la sua sensibilità, le sue debolezze e la sua "parte di femminilità", che identifica come la benevolenza, la gentilezza e la saggezza, quando la parte maschile rappresenta invece la forza, l'azione e la conquista.

#MeToo in Francia: corsi contro la virilità e la mascolinità tossica

Questo decoratore di sede a Le Mans da vent'anni partecipa a “corsi di iniziazione” e circoli di uomini destinati a porre fine alla "fatica emotiva" indotta - a suo dire - da ciò che la società – sia in famiglia, in amore o sul lavoro – richiede al genere maschile: essere forti, resistenti, di non abbassare mai la testa, di non esternare le proprie emozioni. "Sono stato in grado di confrontarmi con lo sguardo di altri uomini e di far cadere la mia armatura. Perché potrei tenere altri uomini per mano, guardarli negli occhi. Ora sono un essere umano prima di essere un uomo e tutto ciò che implica. Ho il diritto di mostrare le mie debolezze" afferma.

Uno degli organizzatori di questo tipo di corsi contro la virilità è Jacques Lucas. Nel 1998, questo psicoterapeuta di Montpellier (Hérault), ha fondato Tantra Hommes. Questa struttura organizza soggiorni misti (sei all'anno) o tra uomini (cinque all'anno), in tutta la Francia, rivendicando i precetti del tantra, pratica che unisce spiritualità e sessualità e sottolinea l'importanza dell'intimità durante un'esperienza sessuale. "Gli uomini che seguono i miei stage - spiega a Libération Lucas - hanno perso i punti di riferimento. A volte vogliono liberarsi di problemi relazionali, in particolare con le donne, in casa ma anche al lavoro". Per arrivare a un equilibrio gli uomini seguono "sedute di connessione con la natura, ma anche di confronto con la propria nudità, soprattutto quando si ha un'immagine negativa di sé stessi". Si tratta di corsi e stage tutt'altro che a buon mercato, che vanno dai 500 a 750 euro per tre giorni. Ma con il #MeToo sono tutti pieni e molto frequentati. Secondo gli esperti interpellati dal quotidiano della sinistra gauche caviar, mettendo in discussione la virilità e i vecchi schemi patriarcali, si eliminano anche le violenze domestiche. "Quando sono tornato dal mio stage - afferma Stéphane a Libération -mia moglie mi ha trovato più aperto, più sensibile. Adesso mi è più facile mostrare amore e tenerezza senza pensare di essere considerato un effeminato".

Il parere dell'esperto: "Fa parte di un processo di asservimento"

Sul fatto che questi corsi e stage possano avere degli effetti positivi permangono tuttavia seri dubbi. Come spiega il professor Roberto Giacomelli, psicoanalista nonché formatore per la Regione Lombardia, interpellato sul tema dal Giornale.it, "è un segno dei tempi, fa parte dell'asservimento di generazioni di maschi particolarmente deboli che ormai sono i protagonisti della nostra storia contemporanea, a parte lodevoli eccezioni. Da terapeuta posso confermare, dal punto di vista clinico, un'impotenza spirituale che poi diventa anche fisica, generando un danno che è sotto gli occhi di tutti e provoca disturbi di tipo depressivo nonché quadri ansiosi importanti". L'esperto e autore del saggio Oltre il maschio debole. Ritrovare la "Via del Guerriero" (Passaggio al Bosco) osserva come questa deriva nasca dalla "mancanza della figura paterna e di un archetipo dell'inconscio personale fondamentale per la costruzione della mente di un essere umano di sesso maschile. Mancano gli esempi, mancano i modelli. Archetipo è il modello primo, assoluto, e quando viene a mancare per un bambino maschio l'impronta paterna il danno è assicurato. E questo si riflette nella nostra vita sociale".

Siamo dinanzi a persone "già devirilizzate, e per virilità intendo quella spirituale che poi si riflette nella dimensione psichica e in ultimo in quella fisica. Andare a indebolire ulteriormente con una colpevolizzazione non fa che peggiorare la situazione e determinare danni su danni". Maschi e femmine hanno caratteristiche proprie, dunque, ma non secondo l'ideologia progressista dominante. Che vuole renderci tutti uguali, senza identità.

Simona Bertuzzi per "Libero Quotidiano" l'8 maggio 2022.

In tempi di generi fluidi ed eterosessuali curiosi apparentemente attratti dall'altro sesso ma sinceramente in cerca di approdi gemelli, un manuale che distingue gli uomini dalle donne e attribuisce a queste ultime l'onore della conquista ha il sapore romantico di certe letture alla Jane Austen, soprattutto fa capire che quando Dio fissò il creato Adamo ed Eva non erano facce sovrapponibili di una stessa medaglia ma anime contrapposte destinate a procreare. 

Premessa: Il manuale della conquista certa - Non esistono uomini inconquistabili di Turchese Baracchi e Benedetta Spazzoli (Mediolanum Editori, 167 pagine, 14,90 euro) creerà un certo scompiglio nelle case.

I maschietti si sentiranno spiazzati e le donne ne trarranno gran godimento. L'assunto iniziale - appunto - è che tutti gli uomini siano conquistabili (averlo saputo a suo tempo...) purché sinceramente eterosessuali.

A quel punto si tratta di sminuzzare il maschietto prescelto e individuarne i punti deboli. Bravissime le autrici (che non a caso si definiscono sorelle di vita) in questa operazione di sano e generoso compatimento del genere maschile che riporta a un femminismo meno infarcito di Metoo e un tantino più simpatico e stronzo. 

Non allarmatevi. Ce n'è anche per noi donne, ma cominciamo dai maschi. Ebbene alla voce "tipologia di uomo" compaiono una sfilza di caratteri: il sempiterno "Peter pan", pischello allergico a qualsiasi tipo di responsabilità e alla ricerca di una felicità inversamente proporzionale all'età anagrafica della concupita (forse l'isola che non c'è?); il "malato di mammà", che guida, mangia, dorme come se avesse accanto la buona anima di colei che lo ha partorito; il "narcisista" della scrivania accanto che fa una battuta e si guarda intorno a cercare consensi e sorrisi; il "palestrato" muscoli e saette, nemico della propria e dell'altrui ritenzione idrica. E ancora il controllore, il malandrino, l'insicuro, il fissato, l'intellettuale, il morto di sonno, il riccone e il padre di famiglia.

Che farsene di tutti questi tipi umani? Usateli per catalogare il vostro prescelto e per capire come conquistarlo. Non riuscirete a seguire la guida minuziosamente (impossibile recarsi a un incontro galante con l'abc della seduzione sotto il braccio) ma troverete perle da cui attingere in qualsiasi momento lo vogliate.

Certo, molto dipende da come siamo noi donne. Per esempio alla voce "cacacazzi" (non c'è refuso, è scritto proprio "cacacazzi") ci siamo state tutte una volta nella vita: il ditino alzato, lo sguardo cupo e la vocina stridula che non domanda ma solo mette in croce.

Vero che un uomo distingue solo una linea retta mentre noi scorgiamo curve, archi, frecce e le mille luci dell'arcobaleno, ma "cacacazzo" restiamo. Tolto il fardello di dosso, possiamo comodamente trovare il nostro posticino nel mondo e inserirci in una tipologia prestabilita: fiammiferaia (non alzate il sopracciglio perché va per la maggiore), ammaliatrice, ricca, crocerossina.

Le zoccole non sono ben viste nel manuale in questione perché oltre a darla facilmente appartengono alla categoria che non ha bisogno di libri ma sfoggia un bel culo per prendersi il maschio di turno.

Comunque sia, trovata la casellina adatta a voi e fatto un bel bagaglio di dolcezza, stronzaggine, furbizia, con tubino alla Audrey Hepburn che fa sentire fiche spaziali, occorre seguire poche regole fondamentali, una specie di quintessenza del sapere femminile che nessuno aveva mai messo in forma di abbecedario.

Siate presenti ma non troppo. Amorevoli ma distaccate. Fatevi vedere come spiriti liberi. Non cadete nell'errore di domandare «a che punto siamo della nostra storia?» a meno che non siate nel mezzo di una partita di squash.

Se passate la notte col concupito, non fategli lo sgarbo di lasciargli la mattina tutto in disordine. Pulite il bagno, rifate il letto, e grattate via le impronte dal bicchiere sia mai che lui pensi/temi che vi siate "piazzate".

Alcuni consigli lo confesso sono sani e lungimiranti ma inarrivabili. Tipo: ballate sexy ma non volgari, camminate erette come regine, non vomitategli addosso la vita e non siate la sfigata logorroica. E la voce, vi prego, che sia una carezza sulla sua pelle se volete risvegliare lo sguardo ancestrale e animalesco del maschio. 

La tavola, invece, è un punto cardine. Imprescindibile. Dunque non siate donne biecamente bisognose di nutrimento. Non ordinate mai (dico mai) trippa alla romana e coda alla vaccinara. Sembrereste sensuali ed erotiche come un rutto. Optate per una tartare di gamberi rossi afrodisiaca oppure piatti che non siano troppo cari.

È fondamentale al primo appuntamento fare la danza della forchetta inclinando la testa in modo da mostrarsi attente al discorso ma già intrise di pensieri maliziosi. Siate insomma - e questa me la sono segnata - «sirene su uno scoglio che contempla la potenza del mare e attira tutto». 

L'obiettivo è diventare per il vostro lui «linfa vitale», «segretaria sexy», «factotum bellissima», «cuoca provetta» e soprattutto fargli massaggi da urlo. Ripeto, la zoccola è la più fortunata perché le riesce ogni conquista e non fa fatica, e se non fosse che poche di noi vogliono sentirsi zoccole sarebbe tutto più facile.

La morale della storia comunque è che alla fine il manuale è un valido e spassionato aiuto per le giovani che si affacciano al mondo dei maschi ma anche per le donne attempatine che si trovano d'improvviso sole o vogliono assaggiare cosa si sono perse negli anni e cosa avrebbero potuto fare se solo avessero seguito qualche regola in più.

Le autrici d'altronde sono bravissime. La prima (Turchese Baracchi) è nipote d'arte del premio oscar Fausto Saraceni, produttore cinematografico della commedia all'italiana, conduttrice radiofonica, opinionista scrittrice. 

Benedetta Spazzoli invece è nipote di Tonino Spazzoli eroe di guerra, esempio di coraggio e valore. Entrambe mettono talento, amicizia, passione e disincanto divertito. Come dice Maurizio Costanzo nella prefazione del libro: non si può fare a meno di scrivere dell'amore... e se a raccontare sono le donne, ironia e umorismo la fanno da padrone.

Certo alla fine i commenti dei vip sulla donna ideale sono la classica doccia fredda che spegne tutte le speranze. Cosa deve fare una donna per conquistarti? Fabrizio Corona: «Non rompere i coglioni». Ignazio La Russa: «Non rompere i coglioni». Francesco Oppini: «Non cacarmi». Appunto. 

E cosa fa lei per conquistare un uomo? Rita Dalla Chiesa: «Niente». Valentina De Laurentis: «Lo ignoro». Floriana Secondi: «Scodinzolo». Ecco, un po' la poesia si spegne. Ma la sezione racconti di vita vale quanto le mille regole per sedurre un uomo. Ah, dimenticavo: il libro è vietato agli uomini, ma voi non diteglielo tanto non capirebbero...

Da ilgazzettino.it l'1 marzo 2022.

Arrestato per un clamoroso errore, uno scambio di persona basato su un riconoscimento fotografico fatto da una ragazza che si prostituisce online, a distanza di quattro anni dai fatti.

In seguito all'interrogatorio reso davanti al gip del Tribunale e agli spunti investigativi resi, sono stati revocati gli arresti domiciliari al funzionario della Polizia di Stato, l'udinese Giovanni Belmonte, dirigente della Divisione Amministrativa della Questura di Udine.

Il provvedimento è stato notificato nel primo pomeriggio di oggi, lunedì 28 febbraio. Belmonte era stato indicato dalla Procura di Bologna, che sta lavorando a un'inchiesta sulla prostituzione minorile, come uno dei clienti di una baby squillo di origini magrebine che vive al confine tra le province di Pordenone e Venezia.

Belmonte, che si è affidato all’avvocato Stefano Comand, nel lungo interrogatorio di garanzia reso anche alla presenza del sostituto procuratore Michele Martorelli, si era difeso punto su punto, tanto che nell’ordinanza di revoca dei domiciliari si mettono in dubbio gli elementi di grave colpevolezza.

Dagotraduzione da Mediaite.com il 16 marzo 2022.

Nella seconda parte del documentario della Hbo Phoenix Rising, Evan Rachel Wood ha fatto nuove accuse all’ex, Marylin Manson. L’attrice lo aveva già denunciato a febbraio del 2021 per violenze, raccontando che tutto era iniziato quando lei era ancora adolescente: «ha abusato di me in modo orribile per anni». Nel documentario della Hbo, Wood ha descritto i suoi anni di terrore, svelando che Manson la torturava con una frusta nazista decorata con una svastica e le faceva bere il suo sangue. Wood ha anche mostrato le cicatrici dovute all’incisione di marchi. 

«Lui si è scolpito una “E”, e io ho inciso una “M” per dimostrare appartenenza e lealtà, e l’ho scolpita proprio accanto alla mia vagina per fargli vedere che gli appartenevo. Era gennaio 2007. Voglio rimuovere quella cicatrice». L’attrice ha detto che Manson l’ha torturata con una Violet Wand, un sex toy rilascia scosse elettriche ad alta tensione.

Wood ha raccontato anche di un patto di sangue stretto con Manson durante il quale, tra le altre cose, ha «bevuto il sangue». Non solo. Lui la violentava nel sonno. «Mi svegliavo, ricordo solo che facevo rapidamente i miei calcoli mentali e pensavo: ‘Resta addormentata, non muoverti, non farlo spostare’». 

«Quindi me ne stavo sdraiata, inerte e immobile fino alla fine, e poi giuro su Dio, mi rimetteva semplicemente rimesso a posto la gamba e usciva dalla stanza», ha detto.

Secondo Wood, Manson l’avrebbe anche torturata sessualmente e picchiata ripetutamente con una "frusta nazista" mentre lei era pregava su un inginocchiattoio davanti a lui. «Mi ha fatto così male che ho rotto l'inginocchiatoio a metà», ha detto Wood. «Ricordo in quel momento di aver pensato, “Digli solo quello che vuole sentire, digli solo quello che vuole sentire”... e gli ho detto: “Mi dispiace tanto, mi dispiace tanto”. Io imploravo perdono, e lui cullava e dicendo: "Adesso capisci". E poi ha aperto la mano... e mi ha fatto bere il suo sangue, mi ha tagliato... e ha bevuto il mio!.

Almeno altre 15 donne si sono fatte avanti e hanno accusato Manson di abusi emotivi, sessuali e fisici. Manson ha negato le affermazioni di Wood, rilasciando questa dichiarazione tramite il suo avvocato: «[Warner] nega con veemenza qualsiasi pretesa di aggressione sessuale o abuso. Queste orribili affermazioni contro il mio cliente hanno tre cose in comune: sono tutte false, risalgono a fatti presumibilmente avvenuti più di un decennio fa e fanno parte di un attacco coordinato da parte di ex partner e soci del signor Warner trasformano dettagli altrimenti banali della loro vita personale e delle loro relazioni consensuali in storie dell'orrore inventate».

MeToo, stop ai patteggiamenti segreti. La vittoria della ex giornalista Fox. Viviana Mazza su Il Corriere della Sera l'11 febbraio 2022.

Passata al Congresso con appoggio bipartisan la fine degli arbitrati extra-giudiziali nelle aziende per molestie e abusi sessuali.  

«Marciare nelle strade può ispirarci. Gli editoriali possono aprirci la mente. Gli hashtag possono spronarci. Ma le leggi sono l’unica cosa che resta». Con queste parole Gretchen Carlson, l’ex presentatrice della rete di destra Fox News ha celebrato l’altro ieri il passaggio al Congresso degli Stati Uniti — con raro appoggio bipartisan di democratici e repubblicani — di una legge che mette fine all’imposizione di arbitrati extra-giudiziali per i casi di molestie e abusi sessuali nelle aziende: una riforma storica e una vittoria del movimento #MeToo.

Molte aziende fanno firmare ai dipendenti un contratto che prevede (in caso di molestie sessuali ma non solo) la rinuncia ad apparire in tribunale e la risoluzione delle dispute attraverso l’arbitrato di corti private senza giuria. È un sistema — dicono le aziende — più rapido e meno costoso, che però — notano i critici — permette di coprire questioni che danneggiano l’immagine e fa sì che i responsabili rimangano al loro posto. Un rapporto della «American Association for Justice» stima che i casi si concludono spesso in patteggiamenti segreti. Nel 2016 Carson, che accusò di molestie il potente boss di Fox News Roger Ailes, scoprì che il suo contratto imponeva questo tipo di arbitrato. Con gli avvocati aggirò l’ostacolo denunciando direttamente Ailes, costretto a dimettersi dopo le accuse di decine di altre donne. Risarcita con 20 milioni di dollari, ottenute le scuse pubbliche, ritratta da Nicole Kidman nel film Bombshell , Carlson ha deciso che serviva una legge.

Il suo ruolo è stato cruciale nell'intesa bipartisan sulla «Ending Forced Arbitration Act»: nel 2017 ha persuaso Lindsey Graham, senatore repubblicano, a sponsorizzare la legge al fianco della senatrice Kirsten Gillibrand e della deputata Cheri Bustos, democratiche; poi ha convinto a firmarla diversi repubblicani che erano stati suoi fan quando faceva la conduttrice. Ci sono voluti oltre 4 anni, ma la legge è retroattiva: invaliderà anche i vecchi contratti.

Dagotraduzione da Axios l'11 febbraio 2022.

Con un raro sostegno bipartisan, giovedì il Senato ha approvato uno storico disegno di legge che vieta alle aziende di portare le richieste di molestie sessuali e aggressioni in arbitrato. 

Perché è importante: il processo segreto di risoluzione delle controversie tiene il contenzioso fuori dagli occhi del pubblico ed è ampiamente considerato a favore dei datori di lavoro rispetto ai lavoratori. Il disegno di legge è il primo importante atto legislativo uscito dallo sconvolgimento dell'era #MeToo. Ora si dirige al presidente Biden per la sua firma. 

È anche una vittoria per l'ex conduttrice di Fox News Gretchen Carlson, a cui è stato attribuito il merito di aver riunito un gruppo diversificato e trasversale dietro il disegno di legge. I membri includono Sens. Lindsey Graham (RSC), Kirsten Gillibrand (DNY) e Rep. Cheri Bustos (D-Ill.).

Dettagli: Il disegno di legge, l'Ending Forced Arbitration Act, è stato approvato a maggioranza dopo essere approvato lunedì alla Camera con uno schiacciante sostegno bipartisan. 

Il presidente ha detto di sostenere la legislazione e i funzionari della Casa Bianca hanno affermato che potrebbe essere un modello per affrontare l'arbitrato forzato per altre rivendicazioni. 

Come è successo: «Gretchen Carlson si è seduta con Lindsay [Graham] per parlargli della sua esperienza a Fox News, e penso che sia stato qualcosa di molto importante per lui», ha detto Gillibrand durante un'intervista con Axios mercoledì. 

Ha detto che Graham l'ha poi contattata per lavorare insieme sulla legislazione, che hanno introdotto nel 2017.

Carlson ha lavorato a stretto contatto con Bustos alla Camera, e Gillibrand e Graham al Senato, e ha portato a bordo alcuni dei 10 co-sponsor repubblicani - che hanno familiarità con lei da Fox News. 

Cosa stanno dicendo: i sostenitori che hanno spinto per anni contro l'arbitrato si sono meravigliati che il disegno di legge fosse effettivamente convertito in legge. 

«I gruppi per i diritti civili e persino i presidenti non sono stati in grado di farlo», ha affermato Cliff Palefsky, un avvocato del lavoro che sostiene tale legislazione da decenni e ha lavorato con Carlson su una legge simile in California.

Contesto: Carlson ha cercato di intentare una causa per molestie sessuali contro Fox nel 2016, ma è rimasta scioccata nell'apprendere che le era stato impedito di portare la rete in tribunale. Aveva firmato un contratto di lavoro che le richiedeva di risolvere in arbitrato, essenzialmente un'aula di tribunale privata che le società pagano per l'uso. 

«Quello è stato il giorno più buio», ha detto ad Axios. Alla fine, Carlson e i suoi avvocati hanno trovato una soluzione alternativa, citando direttamente l'ex presidente della rete Roger Ailes. Successivamente è stato estromesso, un cambiamento epocale per Fox. 

Ha risolto il suo caso per 20 milioni di dollari ed è ancora vincolata a un accordo di riservatezza che le vieta di discutere i dettagli. Da allora, Carlson sta costruendo supporto per la legislazione. 

L'altro lato: alle aziende piace usare l'arbitrato perché tiene questo tipo di casi fuori dagli occhi del pubblico. Se non si accontentano e finiscono in uno di questi tribunali privati, è probabile che vinca il datore di lavoro.

Sebbene alcune aziende si siano allontanate dall'arbitrato forzato nei casi di molestie sessuali, la pratica è ancora popolare tra le grandi aziende, secondo un rapporto dello scorso anno dell'American Association for Justice, un gruppo di avvocati penali. 

La Camera di Commercio ha respinto il disegno di legge, sostenendo in una lettera ai legislatori lo scorso autunno che «l'arbitrato è un mezzo equo, efficace e meno costoso per risolvere le controversie». 

Cosa c'è dopo: il disegno di legge è relativamente ristretto e i sostenitori sperano di approvare ulteriori misure che vietano l'arbitrato forzato in altre aree dei diritti civili, inclusa la discriminazione razziale, nonché nei contratti con i consumatori.

Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera" il 9 febbraio 2022.

Scienziato brillante, ma anche uomo arrogante e irrispettoso con le donne. Le due cose non potevano convivere alla Casa Bianca. Così lunedì 7 febbraio Eric Lander, 65 anni, si è dimesso dalla carica di direttore per le Politiche scientifiche e tecnologiche, un ruolo equiparato a quello di ministro nel governo di Joe Biden. Lander, nato a New York, matematico di formazione, è poi diventato un punto di riferimento assoluto per la genetica. È professore di biologia al Massachusetts Institute of Technology (il Mit di Boston) e docente alla Harvard Medical School.

Nella primavera del 2021 il presidente lo aveva scelto come consigliere scientifico, affidandogli anche la guida della ricerca sul cancro, la cosiddetta «Moonshot Initiative» che punta a ridurre le morti per tumori di almeno il 50% nei prossimi 25 anni. Un progetto molto importante per Biden che ha perso il primogenito, Beau, per una neoplasia al cervello. La rinuncia di Lander, quindi, è un colpo politico, ma anche personale per il leader degli Stati Uniti. La situazione, però, era diventata insostenibile, dopo che il sito «Politico» aveva raccolto le rivelazioni di Rachel Wallace, una dirigente dell'«Office of Science and Technology Policy», guidato dal 2 giugno del 2021 da Lander.

Wallace ha raccontato di aver presentato una denuncia interna per mettere fine al «bullismo» del capo nei suoi confronti e in quelli di altre impiegate. «Numerose dipendenti sono state ridotte in lacrime, traumatizzate e con la sensazione di essere vulnerabili e isolate». In un primo momento l'indagine interna non ha portato alla luce «comportamenti discriminatori basati sul genere sessuale». Anche la Casa Bianca aveva coperto Lander. La portavoce Jen Psaki osservò come il suo comportamento fosse stato accuratamente vagliato dai senatori, durante la procedura di ratifica della nomina.

In realtà, nel corso delle audizioni, diversi parlamentari gli avevano chiesto conto della frequentazione con Jeffrey Epstein, il finanziere-predatore sessuale. Lo scorso gennaio, 500 scienziate firmarono un editoriale sulla rivista Scientific American , chiedendo a Biden di congedare Lander «per la sua reputazione controversa e per il suo ego senza fine». Un biologo, James Watson, aveva detto pubblicamente che l'illustre collega aveva «una lunga storia di commenti razzisti e sessisti». Lander ha provato ad arginare l'ondata con una lettera di scuse. Ma non è stata sufficiente per placare la rabbia di Wallace e delle altre persone offese.

“èA quel punto ha lasciato l'incarico con un ultimo messaggio: «Sono devastato perché ho causato sofferenza ai miei colleghi. Ho cercato di fare pressione su me stesso e su di loro per raggiungere i nostri obiettivi condivisi. Ma è chiaro che ho superato il limite». All'inizio del suo mandato Biden aveva promesso: «Se qualcuno vi manca di rispetto, mentre lavorate per me, vi prometto che lo licenzierò all'istante». Così lunedì sera non ha potuto che accettare le dimissioni di Lander, sia pure «con gratitudine».

Guido Santevecchi per corriere.it il 7 febbraio 2022.

Violenza sessuale? «Un grosso equivoco». Scomparsa? «Ma no: è solo che un sacco di gente, amici e gente dello sport, mi ha mandato messaggi ed era semplicemente impossibile rispondere a tutti». Il post con la sua accusa oscurato sul web cinese? «L’ho cancellato io».

Colpo di scena (sotto forma di colpo di spugna) sullo scandaloso mistero di Peng Shuai . La campionessa cinese di tennis che con un post sui social ha portato #MeToo nel cuore del potere politico cinese, si corregge. Non è la prima volta che Peng apparentemente ha dei ripensamenti, perché nelle scorse settimane il potere cinese aveva diffuso dichiarazioni e riapparizioni rassicuranti della stella.

Ma questa volta, Peng ha potuto parlare con la rivista sportiva francese L’Equipe e ha detto: «Non voglio che il significato del mio post continui ad essere manipolato e non voglio che la stampa monti ancora la mia storia». C’è stata anche una cena con il presidente del Cio Thomas Bach, nella bolla olimpica di Pechino e Peng ha assistito a una partita di curling. Le tre uscite sono state organizzate dal Comitato olimpico cinese, che vuole spazzare via l’ombra dello scandalo dai Giochi.

Il caso è chiuso? Sì, dal punto di vista delle autorità cinesi, che avevano steso un cordone sanitario di censura intorno alla vicenda. No, per quanto riguarda i sospetti che Peng Shuai sia sempre sotto sorveglianza e sia stata costretta a correggersi per non esporsi a rappresaglie dolorose. 

Gli inviati di L’Equipe a Pechino dicono di aver dovuto sottomettere le loro domande per iscritto, di aver parlato con Peng per un’ora in un albergo, ma di aver ricevuto le sue risposte tramite la mediazione di un funzionario cinese che l’accompagnava. Nessuna risposta alle domande sull’origine del caso, sul perché Peng avesse deciso di sfogarsi pubblicamente per quella relazione controversa con il politico. 

Lo scandalo esplose la notte del 2 novembre: in un lungo e tormentato post su Weibo (il Twitter mandarino), la trentacinquenne Peng aveva rivelato di essere stata costretta a riprendere una relazione sessuale con un potente politico di Pechino, il settantacinquenne ex vicepremier ed ex membro del Politburo Zhang Gaoli.

Una vicenda complessa, un rapporto extramatrimoniale (per il mandarino Zhang) cominciato nel 2007 nella città di Tianjin, interrotto nel 2012 quando lui era stato chiamato a Pechino, tra i sette grandi del Politburo comunista e non voleva che circolassero voci imbarazzanti. Poi, nel 2018, Zhang andò in pensione. Aveva più tempo libero. E secondo Peng decise di riprendere il rapporto.

La invitò a cena a casa e la spinse ad avere un rapporto sessuale. «Non volevo e ho pianto tutto il tempo», ha scritto Peng nel post, pure ammettendo di sentirsi anche lei in colpa: «Non sono una brava ragazza». 

Insomma, non ha mai detto che Zhang l’avesse violentata, ma che ha vinto la sua resistenza, ha forzato la sua volontà. Materiale per la magistratura, se non fosse una vicenda cinese. Quell’atto di denuncia e sfida al potere era sparito in pochi minuti dal web cinese, Peng non aveva dato più notizie e nel mondo dello sport e della politica si era aperta una spirale di polemiche, sospetti, accuse e recriminazioni. 

Per settimane, la più forte tennista cinese di tutti i tempi è scomparsa; non ha risposto agli amici dall’estero che chiedevano sue notizie. Sdegno e preoccupazione per le sue condizioni, hanno spinto la Women’s Tennis Association (WTA) a sospendere tutti i suoi tornei sul territorio cinese; su Twitter è stato lanciato l’hashtag #WhereIsPengShuai: quella domanda «Dov’è Peng?» è rimbalzata in milioni di contatti, è stata condivisa da decine di star del tennis mondiale, da Chris Evert a Rafa Nadal.

A Pechino, solo silenzio. I censori cinesi ingaggiarono una battaglia con milioni di cinesi che volevano commentare la notizia: furono bloccate le ricerche dei nomi della giocatrice e del politico, anche la parola tennis (wangqiu in mandarino) è stata inaccessibile per molti giorni. 

La legge del silenzio: è stato questo, da subito, il punto più inquietante. Il vero cuore della vicenda, al di là dell’accusa controversa di abuso sessuale. In Occidente, una vicenda del genere sarebbe stata dibattuta in pubblico, l’accusatrice sarebbe stata ascoltata, le sarebbe stato chiesto di spiegare e precisare; il mandarino politico avrebbe dovuto fornire la sua versione dei fatti. Il sistema cinese, invece, usa la strategia del buco nero.

E in silenzio prepara le contromisure. Nel post, Peng diceva: «So che dato il tuo potere non hai paura di me, vicepremier Zhang Gaoli, ma anche se sono sola, come un uovo che si scontra con una roccia, come una falena verso una fiamma, dirò la verità su di te». Quella verità, ora è stata «corretta». I Giochi possono continuare. 

Michele Serra per “la Repubblica” l'11 febbraio 2022.

Sicuramente ci sono scandali più lividi e sanguinosi - per esempio le guerre, per esempio la fame - ma per quel poco o tanto di bagaglio etico che mi sono faticosamente costruito, considero scandalose le dimissioni forzate del presidente della Cnn, Jeff Zucker, "colpevole" di una relazione extraconiugale, prolungata e consenziente, con una collega.

Un amore, insomma. Non è il primo né l'ultimo caso, negli Stati Uniti, in cui una relazione sessuale (non una violenza; non una molestia; non un abuso: una relazione sessuale tra adulti consenzienti) porta alla cancellazione di una carriera e all'umiliazione di una persona. 

Beh, per chiunque creda nell'autodeterminazione, nella libera scelta, nel rispetto che si deve all'uso del proprio corpo e del proprio tempo, il moralismo americano contro il sesso fuori dal matrimonio è un'offesa grave.

Una forma di discriminazione che avrebbe spiegazione nella mentalità e negli usi di una chiesa o chiesetta ossessionata dal peccato. Non in quella che definiamo, un po' per pigrizia un po' per distrazione, "la prima democrazia del mondo". 

La vigilanza attiva e a volte aggressiva che in America si dispiega sui diritti delle minoranze sessuali, sulla libera determinazione del proprio eros e della propria identità, dovrebbe includere, per essere più credibile e più completa, anche gli adulteri. 

Discriminati platealmente dalla follia moralista e dalla sessuofobia che devasta quel Paese. È molto facile e molto giusto indignarsi per le oppressioni tribali e arcaiche in essere in molti Paesi islamici. Non è meno oppressiva, stupida, schiavizzante l'idea che le scelte sessuali e sentimentali siano una colpa, se contraddicono l'odio puritano per l'eros.

Dagotraduzione dal New York Mag il 3 febbraio 2022.

All'inizio, è sembrato che le dimissioni di Jeff Zucker fossero solo un altro danno collaterale della fine di Andrew Cuomo, per gli stessi motivi che misero fuori combattimento il fratello Chris alla Cnn mesi prima. 

Ma per molti membri dello staff della Cnn, qualcosa non torna sulle dimissioni a sorpresa di Zucker. Il presidente della rete ha dichiarato di non aver reso pubblica una relazione romantica con la sua numero 2, Allison Gollust, fino al momento in cui è emersa durante un'indagine su Chris Cuomo (Gollust lavorava come capo delle comunicazioni di Andrew Cuomo prima che si trasferisse alla CNN e fu sostituita dalla famigerata Melissa DeRosa.)

Per cominciare, la relazione tra Zucker e Gollust è stata uno dei più grandi segreti di pulcinella. I membri dello staff della Cnn hanno navigato goffamente in questa situazione, e ogni volta che si occupavano di lei, erano perfettamente consapevoli del suo coinvolgimento con il capo. E hanno alzando gli occhi al cielo quando Gollust che ha detto «la nostra relazione è cambiata durante il Covid». 

Andava avanti da molto più tempo: Page Six ci strizzava l'occhio di tanto in tanto, i due si conoscono da quando hanno lavorato insieme alla NBC decenni fa. Come ha scritto Katie Couric nel suo dissoluto libro di memorie: «Dovevo chiedermi perché Jeff stesse puntando così tanto per portare Allison a bordo». «Lei, suo marito e i suoi figli si erano trasferiti nell'appartamento proprio sopra quello di Jeff e Caryn - tutti quelli che hanno sentito parlare dell'accordo hanno pensato che fosse davvero strano».

Come avrebbe potuto WarnerMedia, la società proprietaria della CNN, non averlo saputo? Una fonte vicina a Jason Kilar, il capo uscente della WarnerMedia che ha accettato le dimissioni di Zucker, afferma che Kilar non sapeva che le voci fossero vere fino a quando l'indagine Cuomo non le ha confermate. La fonte dice che Kilar aveva sentito parlare per la prima volta della relazione quando Radar Online aveva pubblicato un articolo a dicembre, ma aveva pensato che fosse solo un pettegolezzo. (Questo è il motivo per cui non bisognerebbe assumere un uomo della Silicon Valley per dirigere una società di media di New York - non conoscono nemmeno i buoni pettegolezzi). 

Gli due grandi capi non andavano d’accordo: Zucker era infuriato per il fatto che Kilar rimescolasse l'organigramma dell'azienda, ordinando che Gollust e altri membri dello staff senior della CNN riferisso direttamente a WarnerMedia. «È come se Allison e Jeff fossero in una sorta di viaggio di potere codipendenti», dice qualcuno che conosce la coppia dai tempi della NBC.

Questa settimana Zucker non ha partecipato alle riunioni editoriali mattutine della rete, ma questo non è stato necessariamente interpretato male: alcuni presumevano che si stesse semplicemente preparando per un lavoro più grande. In effetti, Zucker stava per essere l’uomo giusto al posto giusto: la Discovery, gestita dal suo amico David Zaslav, è nelle fasi finali della fusione con WarnerMedia, e il continuo regno di Zucker sembrava quasi assicurato. «Tutti pensano che questo sia opera di Kilar», afferma un membro dello staff della CNN. «Jeff ha detto che sarebbe rimasto fino alla fusione, e questo è proprio dietro l'angolo».

Molti membri dello staff della CNN sono rimasti sgomenti per il suo licenziamento, dato che gli è stato attribuito il merito di aver ribaltato la rete quando ha preso il controllo nove anni fa. «Jeff è stato un grande leader durante un periodo tumultuoso nel paese», afferma un corrispondente senior della rete. «È un enorme spreco di talento e visione in un momento critico per la rete e un vero peccato». Un altro membro dello staff dice: «È un misto di shock e crepacuore. Jeff ha avuto rapporti con tutti, dai conduttori ai giornalisti ai produttori. Tutti amano Jeff». Ed è ancora il negozio di Zucker. Uno dei tre capi ad interim incaricati oggi è Michael Bass, che è amico di Zucker dai tempi di Harvard. «È Jeff Jr.», dice una persona che conosce entrambi gli uomini.

È un lungo autunno per Zucker, che ha iniziato la sua carriera come «il 27enne produttore esecutivo e bambino monello dello show di Today», nelle parole della rivista Spy dell'epoca. Naturalmente, la sua eredità sarà anche legata a quella di Donald Trump. Zucker ha riabilitato la carriera di Trump nel 2004 dando il via libera a The Apprentice. Durante i primi giorni della sua prima corsa presidenziale, Trump è stato valutato d'oro per la CNN, che lo ha coperto incessantemente prima che lo considerasse «produttore di notizie false».

Quando sono trapelate le registrazioni di una telefonata tra Zucker e Michael Cohen nel 2016, in cui offriva consigli a Trump e diceva che aveva «tutte queste proposte» per uno spettacolo settimanale con Trump, pochi sono rimasti sorpresi. Come ha affermato lo stesso Trump in un'intervista del 2015 a The Hollywood Reporter: «Jeff è un mio amico ».

Ora Zucker, Trump ed entrambi i Cuomo sono senza lavoro. Forse possono iniziare qualcosa insieme.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 marzo 2022.

La rockstar Marilyn Manson ha citato in giudizio la sua ex fidanzata, l’attrice Evan Rachel Wood, per «le falsità dannose» contenute nella sua accusa di abusi. Manson sostiene che quanto dichiarato dalla donna ha «fatto deragliare la sua carriera musicale, televisiva e cinematografica di successo». 

La denuncia è stata presentata mercoledì mattina alla Corte superiore di Los Angeles. L’artista accusa Wood e Ilma Gore di essersi finte agenti dell’Fbi per distribuire una lettera contraffatta e «creare la falsa apparenza» che le presunte vittime di Manson e le loro famiglie fossero in pericolo.

Manson dice anche che le due donne hanno creato un indirizzo email falso per far sembrare che lui avesse inviato loro «pornografia illecita» e che lo scorso mese hanno orchestrato un incidente della loro casa di Los Angeles. 

Wood, 34 anni, ha accusato Manson di aver abusato di lei. Sostiene che lui le «ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha manipolata fino alla sottomissione». «Ha iniziato a curarmi quando ero un’adolescente e ha abusato di me in modo orribile per anni». 

Inoltre lui l’avrebbe «costretta a compiere un atto sessuale commerciale con false pretese» ed «essenzialmente mi ha violentata davanti alla telecamera». L'attrice si riferisce alle riprese del video "Heart-Shapped-Glass" del 2007, uno dei successi di Manson: Wood accusa Manson di averla violentata mentre giravano una scena di sesso, poi inserita nel filmato. 

Paolo Foschi per corriere.it il 22 giugno 2022.

Bill Cosby è colpevole di aggressione sessuale su una donna che all’epoca era minorenne. Lo ha deciso la giuria del processo civile arrivato al traguardo in California. Judy Huth, la vittima, all’epoca aveva 16 anni. Le molestie sono avvenute nella Playboy Mansion di Hugh Hefner nel 1975.

Come ricostruito dall’agenzia Ansa, la Huth aveva accettato l’invito di Cosby, all’epoca già un attore famoso, di raggiungerlo nella villa di Hefner ma non si aspettava che il comico, che in quegli anni recitava in film con Sydney Poitier e Richard Pryor, l’avrebbe costretta a un atto sessuale indesiderato per cui adesso Cosby dovrà pagare mezzo milione di dollari di danni. Il verdetto contribuisce a demolire ancora una volta l’immagine dell’ex `papa´ buono’ del «Bill Cosby Show» (in Italia uscì col titolo «I Robinson») che già era stato condannato da un tribunale penale per molestie sessuali e poi liberato per un vizio di forma.

La Huth era entrata in campo nel 2014, ma oltre a lei il verdetto di Los Angeles dà soddisfazione alle decine di donne che nel corso degli anni hanno raccontato su Cosby la stessa storia: lusingate e adescate in camera da letto, drogate o indotte a bere fino a perdere i sensi e poi aggredite. Molte di loro, all’epoca del primo processo, non avevano potuto essere ascoltate perché non si erano fatte avanti al momento dei fatti, ma nel caso di Judy Huth la possibilità di mettere Cosby di fronte alle sue responsabilità è stata ammessa perché la donna nel 1975 era minorenne e aveva fatto causa davanti a un tribunale civile. 

Questo verdetto è l’ennesimo tassello della storia giudiziaria dell’attore. Nello scorso marzo la Corte Suprema di Washington aveva rifiutato di prendere in esame il ricorso della procura della Pennsylvania contro l’ultimo appello che aveva portato alla scarcerazione dell’attore per vizio di forma in un processo contro di lui per molestie sessuali. L’anno scorso la Corte Suprema della Pennsylvania aveva cancellato la precedente sentenza di primo grado affermando che il procuratore avrebbe dovuto rispettare un accordo stipulato dal suo predecessore di non portare Cosby davanti al giudice.

I togati di Washington (i cui nove membri includono due uomini accusati di cattiva condotta sessuale) però non avevano spiegato perché hanno deciso di non affrontare il caso. Cosby, che ha 84 anni ed era diventato famoso come il «papà buono della serie tv «I Robinson» era stato nel 2018 la prima celebrità condannata per molestie sessuali nell’era del #MeToo. L’attore era stato riconosciuto colpevole di aver drogato e molestato Andrea Constand, l’allenatrice di una squadra della Temple University, l’ateneo di Filadelfia di cui era un benefattore. Cosby era rimasto in carcere quasi tre anni fino a quando la Corte Suprema della Pennsylvania ne aveva ordinato il rilascio.

Simona Siri per "la Stampa" il 28 gennaio 2022.

Forse il commento migliore è quello dato all'inizio da una ex collega de I Robinson che alla domanda su cosa sia oggi Bill Cosby risponde: «la testimonianza della complessità della natura umana». Vale per lui e vale anche per Marilyn Manson, due icone dell'intrattenimento cadute sotto i colpi di accuse pesantissime, protagonisti di vicende giudiziarie serie (arresto e poi scarcerazione per vizio di forma per Cosby, indagine ancora in corso per Mason) e di due documentari appena presentati al Sundance Festival. 

Il primo si intitola We Need To Talk About Cosby, andrà in onda da domenica su Showtime. «Mi considero un figlio di Cosby» dice il regista W Kamau Bell, anche lui comico e presentatore. «In ogni momento della mia vita ha fatto parte della carta da parati della Black America. Venire a sapere quello che oggi sappiamo su di lui è stato traumatico ed è stato importante per me imparare qualcosa da tutto questo». 

Con interviste a attori, giornalisti, professori e alcune delle vittime, il documentario si apre con un ottimo lavoro di ricostruzione storica nel ricordare agli spettatori l'impatto sulla cultura americana di Cosby comico rivoluzionario, star della tv, educatore e filantropo a favore della causa afroamericana. Fino a quando non si viene interrotti da una donna (a oggi sono 60 ad accusarlo) che racconta di come sia stata circuita, drogata, molestata sessualmente da lui. 

L'altro merito del regista è di mettere in sincrono le accuse con la carriera dell'attore: più diventava potente e famoso, più si sentiva intoccabile, più le molestie aumentavano. Da cui la domanda: chi tra quelli intorno a lui sapeva? Quali sono le responsabilità del sistema Hollywood nell'aver coperto i suoi comportamenti? 

«Da solo, senza alcun tipo di impalcatura, non avrebbe mai potuto farla franca - dice Bell -. Quando hanno costruito Hollywood non hanno iniziato con il dipartimento delle risorse umane. È una fabbrica di sogni che ti permette di nasconderti in bella vista. È una questione più grande di Cosby».

 La stessa domanda torna in qualche modo in Phoenix Rising, documentario diretto da Amy Berg (già candidata all'Oscar nel 2007 per Deliver Us From Evil sui preti pedofili) in cui l'attrice Evan Rachel Wood ripercorre la sua tossica relazione con Marilyn Manson, dal primo incontro allo Chateau Marmont nel 2006 - quando lei aveva 18 anni e lui 37 - fino alle accuse di abusi sessuali e psichici rese note nel 2019 (da allora altre 15 donne lo hanno accusato di condotte simili).

 «Sono stata costretta con false pretese a compiere un atto sessuale», racconta Wood nel documentario riferendosi al video di Heart-Shaped Glasses, girato nel 2007. L'accordo tra lei e Manson era che l'atto sessuale sarebbe stato simulato, mentre secondo Wood Manson l'avrebbe penetrata senza consenso. 

«È lì che è stato commesso il primo crimine contro di me: sono stata essenzialmente violentata davanti alla telecamera», mentre la troupe presente era «molto a disagio e non sapeva cosa fare». 

In un altro episodio durante il tour del 2010 Wood racconta di essere stata lasciata sola in camerino mentre Mason era in preda a una violenta crisi e di aver temuto per la propria vita, mentre il manager del cantante faceva finta di niente. È anche per mascherare l'omertà attorno ai comportamenti di artisti considerati intoccabili («nel suo mondo Manson era Dio», ripete più volte) che l'attrice dice di essersi buttata nell'attivismo.  

Il titolo Phoenix Rising viene dal disegno di legge che lei stessa ha presentato al senato della California nel 2019 e che puntava ad estendere da tre a cinque anni i limiti per la prescrizione nei casi di violenza domestica. 

Da Open il 25 gennaio 2022.

«Non ho acconsentito: ha cominciato a penetrarmi senza il mio consenso». Le dichiarazioni, scioccanti, arrivano dalla voce di Evan Rachel Wood. L’attrice ha accusato Marilyn Manson di avere approfittato di una scena di sesso simulata per violentare l’attrice, nel corso delle riprese del video musicale del suo singolo del 2007 Heart-Shaped Glasses (When the Heart Guides the Hand).

L’episodio è stato raccontato nel documentario che tratta proprio della vicende attorno agli abusi sessuali del cantante, oltre che della vita e della carriera dell’attrice, dal titolo Phoenix Rising, presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2022. Wood ha poi spiegato di essere stata nutrita con l’assenzio sul set del video, ed era a malapena consapevole di quello che stava facendo.

«Non ero mai stata su un set così poco professionale in vita mia fino ad oggi. Era un caos completo e non mi sentivo al sicuro. Nessuno si prendeva cura di me», ha dichiarato. L’episodio l’avrebbe poi fatta sentire «disgustosa, come se avessi fatto qualcosa di vergognoso». 

Wood non è la prima ad accusare Manson di abusi: altre prima di lei lo hanno additato per le stesse colpe, come l’attrice de Il Trono di Spade Esmé Bianco. Ma il cantante ha negato tutto, definendo le accuse come «orribili distorsioni della realtà. Le mie relazioni intime sono sempre state del tutto consensuali». 

Giulio De Santis per corriere.it il 21 gennaio 2022.

«Il momento più difficile è stato quando i miei figli mi hanno chiesto perché qualcuno mi chiamasse prostituta. Ma hanno capito. Ora sono serena. Ma sono stati mesi bui».

Cosi l’attrice Asia Argento, 46 anni, ricorda davanti al giudice il dolore provato dopo le opinioni espresse da Mario Adinolfi, ex deputato, giocatore di poker, 50 anni, sotto processo con l’accusa di averla diffamata in una serie di post e articoli, il primo su Facebook, poi ripreso da una testata online con il titolo «Asia Argento? È prostituzione». 

Nel testo l’ex parlamentare commentava - per la Procura con toni tali da offendere l’onore e il decoro dell’attrice - gli abusi sessuali commessi su di lei da Harvey Weinstein, il produttore cinematografico condannato nel 2020 per violenza sessuale. Il primo articolo di Adinolfi, difeso dall’avvocato Francesco Zilli, è del 18 ottobre 2017. 

Pochi giorni prima, il 6, un’inchiesta del New York Times aveva svelato le molestie ai danni di alcune attrici, tra cui Ashely Judd, compiute da Weinstein negli anni ‘90. Il 10 ottobre anche Asia Argento trova il coraggio di rivelare in un’intervista a Ronan Farrow, figlio di Woody Allen e di Mia Farrow, gli abusi subiti dal produttore in gioventù. In quei giorni nasce il movimento MeToo contro le violenze subite dalle donne sul lavoro.

Adinolfi decide di esprimere un parere sulla vicenda dell’attrice. Prima su Facebook, che lo bloccherà. Poi in un articolo sul suo giornale, dai contenuti simili a quello sul social network e intitolato «Un caso per riflettere sulla dignità», dove sostiene che «aver subito le attenzioni controvoglia del regista, senza reagire e denunciare, è stato senza dubbio un errore» e aggiunge che «il maschio è un porco ma quella è prostituzione». Pareri ripetuti su Twitter quando «cinguetta» che «quella dell’attrice era prostituzione d’alto bordo».

Parole che hanno ferito Asia Argento, costituitasi parte civile con l’avvocato Ervin Rupnik, come ricorda davanti al pm Gianluca Mazzei: «Leggere certe posizioni mi ha fatto male, mi sono chiusa in me stessa. Spiegare ai miei figli cosa stesse accadendo è stato duro, ma hanno compreso. Grazie a loro e a chi mi vuole bene, mi sono risollevata. È stato un percorso doloroso. Ma rifarei tutto. Ancora adesso, dopo 4 anni, aspetto che Adinolfi si scusi». L’ultimo passaggio l’attrice lo dedica alla stampa: «A volte ho avuto l’impressione di essere stata più compresa dai media stranieri, che da alcuni italiani». 

Gabriele Niola per badtaste.it il 24 marzo 2022.

Pascal Vicedomini, giornalista televisivo italiano e direttore di festival come Capri Hollywood o Los Angeles Italia, è stato convocato a testimoniare per quello che, il prossimo autunno, sarà il processo ad Harvey Weinstein, ma ha fatto sapere di non trovarsi in America contrariamente a quanto si poteva supporre. 

Il pubblico ministero aveva infatti immaginato di convocarlo obbligatoriamente a testimoniare in questi giorni contando di trovarlo a Los Angeles, visto che si svolge adesso il suo festival Los Angeles Italia Film, Fashion and Art Festival (di questi festival poco noti al grande pubblico avevamo già parlato). Invece Vicedomini, che dal 2006 si reca a Los Angeles a marzo per il suo festival, quest’anno è rimasto a Roma.

Nonostante sia rimasto in Italia non ha tuttavia rinunciato a presentare il suo festival losangelino. Dal suo canale YouTube infatti presenta in uno studio virtuale una trasmissione che si chiama Live from Hollywood e che fino a pochi giorni fa iniziava con lo stesso Vicedomini, in uno studio digitale, che diceva “Good Morning Los Angeles […] We are live from Hollywood” mentre in quelle più recenti precisa, come ha dovuto fare anche al pubblico ministero americano, che in realtà il programma “Live from Hollywood” è registrato “live from Rome”.

La ragione per la quale quest’anno è rimasto in Italia, ha fatto sapere tramite il suo avvocato, è però la registrazione di un’altra trasmissione: Paradise – La finestra sullo showbiz che va in onda su Rai Due. La notizia la riporta Variety e Vicedomini alla domanda di quando potrà andare Los Angeles a testimoniare non ha fornito nessuna risposta.

I fatti che lo interessano riguardano il 2013 quando una ragazza sostiene di essere stata violentata da Weinstein, ospite del festival losangelino nella sua stanza di hotel. Nello stesso anno Vicedomini ha anche invitato Weinstein a un altro festival che organizza, ma a Capri. L’accusa della vittima sostiene che in quel caso fu proprio lui, Vicedomini, a presentarla a Weinstein e che poi, a violenza ultimata, Weinstein avesse lasciato la sua giacca nella camera di hotel di lei e che fosse stato proprio Pascal Vicedomini la persona da lei contattata per restituirgliela. Tramite il suo avvocato Vicedomini ha fatto sapere di non ricordare la questione.

Sempre fuori posto. La violenza mascherata dell’accappatoio di Weinstein. Carolin Emcke su L'Inkiesta il 18 Gennaio 2022.

Un’ossessione, un particolare che disturba e impressiona. È il dettaglio sempre presente nei resoconti del #MeToo, fa notare Carolin Emcke nel suo monologo ora trasformato in un libro (La Tartaruga - Baldini + Castoldi), che lo posiziona a metà tra il vestito e la nudità, tra l’abuso e il ridicolo

L’accappatoio.

L’accappatoio proprio non mi dà pace. 

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Ovunque, nelle storie del #metoo, a un certo punto spunta quest’accappatoio…

Non nel corso di una vacanza in spiaggia. Non a casa, in camera da letto. Bensì in ufficio. Durante un colloquio. In albergo. Durante un colloquio. In un contesto simulato come professionale.

Ma che razza di ossessione è questa dell’accappatoio?

Proprio non lo capisco. Dico sul serio. Proprio non capisco la scena. Lo svolgimento. Quale dovrebbe essere lo scopo. E nessuno lo spiega. Né durante, né dopo, ovvio. Bisogna arrivarci da soli.

Donne giovani o più anziane, colleghe, collaboratrici, dipendenti di hotel, stagiste, donne con cui questi uomini lavorano già da parecchio o che non conoscono, donne che si aspettano di vedere un tizio in completo, in jeans, con qualunque cosa addosso, ma in ogni caso vestito, donne che vengono convocate e poi:

ta-ta-ta-taaan,

entrata in scena in accappatoio.

Non riesco a smettere di immaginarmelo. Non so perché ma visualizzo solo accappatoi di spugna bianca. Di solito simili tiranni indossano seta. Maiocosaneso. Da quando sento queste storie sto sviluppando un rapporto molto disturbato già con il mio, di accappatoio. 

Il saluto in accappatoio – ma che diavolo è? È il prologo dell’attesa sottomissione? Un invito sessuale? È orgoglio? Ehi tu, guarda che bel pisello che ho? Ma sono seri? Una donna si presenta per un colloquio e, in maniera del tutto gratuita e fuori contesto, si ritrova davanti un pisello… Potrebbe essere l’inizio di una barzelletta. Tipo quelle sui carabinieri di un tempo. «C’è un carabiniere con uno spazzolino al guinzaglio.» Questa invece inizia così: «C’è un pisello che entra in un ufficio in accappatoio…»

E ciò dovrebbe accendere il desiderio? Ma di chi? E che tipo di desiderio suscita nel padrone del pisello? Desiderio di umiliare?

Non viene mostrato il corpo denudato, ma la capacità di controllare, la possibilità di disattivare tutto ciò che si conviene (in un contesto lavorativo), la possibilità di dominare, di umiliare, a proprio piacimento, ogni volta che se ne ha voglia. Ancora meglio, quindi, se non si addice alla situazione, ancora meglio se va contro tutte le forme, contro tutto ciò che normalmente si addice a un ufficio o a un colloquio, contro ciò che normalmente rientra nel desiderare: voglia reciproca e tenerezza, passione e dedizione nei confronti di un’altra persona.

L’accappatoio è sempre fuori posto.

Finora non c’è stato nessun racconto che facesse spuntare l’accappatoio in maniera innocua o adeguata o seducente. Nessun racconto in cui una coppia volesse mettersi qualcosa addosso dopo una notte d’amore, nessun racconto in cui un uomo volesse eccitare una donna

– o una donna un’altra donna, un uomo un altro uomo, una donna un uomo – lasciandosi fissare, esponendosi, rivelandosi allo sguardo altrui prima in accappatoio, poi senza. Nessun racconto in cui l’accappatoio celasse qualcosa da scoprire prima lentamente, la propria nudità, la corporeità vulnerabile.

da “Sì significa sì”, di Carolin Emcke, La Tartaruga – Baldini + Castoldi, 2021, pagine 96, euro 15 (in uscita il 20 gennaio)

Dal "Corriere della Sera" il 13 gennaio 2022.  

Molestie sessuali o saluti Italian Style? Un tribunale di Londra ha assolto l'ex direttore del British Council di Roma dall'accusa di comportamenti inappropriati dopo che lui ha spiegato che si trattava solo di tipiche affettuosità italiane.

Paul Sellers era stato cacciato dal suo posto nel 2019 in seguito a una indagine interna scattata dopo la denuncia di una impiegata dell'ambasciata britannica in Italia: secondo la donna, il direttore del British Council l'aveva baciata sulla bocca e le aveva toccato il seno al termine di una festa nella quale lui le era apparso «abbastanza ubriaco».

Il tribunale del lavoro di Londra, cui Sellers si è rivolto, non ha però creduto alla versione della donna e ha dato ragione al direttore, che ora avrà anche diritto a una compensazione. 

Al presunto incidente avevano assistito diverse persone, tra cui la moglie e i figli di Sellers: e proprio la moglie ha testimoniato in difesa del marito, spiegando che la presunta vittima della molestia «era nuova e non si era integrata appieno nell'ambasciata», ma che soprattutto «aveva un atteggiamento conservatore rispetto allo stile italiano di saluti».

Roberto Vivaldelli per “il Giornale” il 12 gennaio 2022.

Si attendeva l'aiuto sincero del movimento #MeToo, lo stesso che ha animato negli ultimi anni l'America «woke», del risveglio progressista e della politica identitaria che atomizza la società in tante piccole minoranze immerse nella «cultura del piagnisteo», come direbbe Robert Hughes. 

Ma anziché ricevere aiuto e comprensione, o quantomeno essere ascoltata, è stata prima snobbata, poi screditata e il suo nome infangato. Lei è Tara Reade, una delle otto donne che nel 2019 si sono fatte avanti sostenendo di essere state molestate da Joe Biden, al tempo senatore e oggi presidente degli Stati Uniti d'America.

L'episodio, com'è noto alle cronache, risale al 1993, quando Tara Reade, oggi 57 anni, portò all'esponente dem una borsa per la palestra. Al Giornale, l'ex collaboratrice di Biden, in compagnia dell'amica italiana Michela Morellato, con la quale aiuta le donne vittime di violenza sessuale, racconta di com'è stata scaricata da quel mondo - quello dei democratici - in cui si riconosceva. 

Come ha già dichiarato in altre occasioni, la donna, all'epoca nello staff di Biden, sostiene di essere stata toccata, baciata e infine «penetrata con le dita» dall'allora senatore del Delaware fra le mura di Capitol Hill.

Dal presunto fattaccio è passato molto tempo e, a oggi, le sue accuse contro il Presidente Biden non hanno trovato effettivo riscontro. La sua storia può però aiutarci a comprendere il clima settario e ideologico che si respira negli Stati Uniti nell'era del #MeToo, impregnato di ipocrisia e doppiopesismo: basti pensare allo spazio dedicato dai media ai presunti scandali che riguardavano Donald Trump e a quelli in cui è coinvolto il Biden o il figlio Hunter.

«Quando, nel 2019, ho reso pubblica la mia storia con altre sette donne - ricorda Reade - mi hanno denigrata». Si aspettava il sostegno del #MeToo e dei dem. Così non è stato. «Per me e per le altre sembrava un momento sicuro per esporci. Prima che Joe Biden si candidasse alla presidenza, avevo già deciso di rendere pubblica la cosa. Mia figlia era cresciuta, volevo sapesse la verità. Non potevo sapere però che due delle fondatrici di Time's Up erano advisor di Joe Biden», in riferimento al gruppo no-profit che raccoglie fondi per sostenere le vittime di molestie sessuali fondato nel 2018 dalle celebrità di Hollywood.

«Non solo hanno ignorato la mia storia, ma mi hanno screditata come persona in tutti i modi. Pensavo che il movimento mi desse una mano, ma è con l'élite dem. Vedete quello che è successo con l'ex governatore Andrew Cuomo: hanno tentato di screditare le donne che si sono esposte contro di lui».

Lapidario il suo giudizio sulla democrazia americana, come ha scritto anche in un recente tweet: «Per me, la democrazia americana è morta in un corridoio del Campidoglio nel 1993 quando, da giovane membro del suo staff, Joe Biden, mi ha aggredito sessualmente. Poi, ha usato il suo potere e le sue risorse per mettermi a tacere».

(ANSA il 4 Gennaio 2022) - Il procuratore distrettuale della contea di Albany ha annunciato che lascerà cadere l'accusa penale contro l'ex governatore di New York Andrew Cuomo di aver "toccato con la forza" una sua assistente nel 2020. La decisione di David Soares è arrivata tre giorni prima che l'ex governatore democratico comparisse in tribunale. Pur avendo definito la presunta vittima "cooperativa e credibile", il procuratore ha spiegato che "dopo aver esaminato tutte le prove disponibili abbiamo concluso che non possiamo proseguire il processo". 

Da corriere.it il 5 gennaio 2022. Accusato di atti sessuali inappropriati e abusi (palpeggiamenti di donne che dipendevano dal suo ufficio), ad agosto Andrew Cuomo è stato costretto a dimettersi da governatore dello Stato di New York, ma non andrà in prigione per i reati contestati. La procura della contea di Westchester aveva già rinunciato a incriminarlo per l'accusa di un'anonima poliziotta della sua scorta: palpeggiata sul fondoschiena in ascensore. Subito dopo la procura di Manhattan ha archiviato il caso degli ospizi statali nei quali la morte di molti anziani, durante la prima ondata della pandemia, era stata attribuita dai nemici di Cuomo a ordini errati da lui impartiti nell'inverno 2020. Restava il caso più insidioso, anch' esso esploso all'improvviso, dopo che la procuratrice dello Stato di New York, Letitia James, democratica come il governatore, lo aveva accusato di abusi addirittura su 11 donne: Brittany Commisso, una ragazza del suo staff, aveva presentato una denuncia penale affermando che un anno prima (nel 2020) Cuomo l'aveva palpeggiata sul seno in casa del governatore ad Albany (capitale dello Stato). David Soares, District Attorney della contea di Albany, ha indagato per mesi e ieri ha affermato di non avere elementi sufficienti per incriminare l'ex governatore (rischiava un anno di carcere). Soares ha spiegato che la Commisso è credibile, ma casi di questo tipo sono difficili da provare e finiscono molto spesso con l'assoluzione dell'imputato. L'accusa, infatti, deve dimostrare non solo il fatto, ma anche che chi l'ha commesso voleva soddisfare un desiderio sessuale o umiliare la vittima. Per i colpevolisti i procuratori, anziché difendere la parte debole, le donne, hanno chiuso un occhio davanti a un politico che ha ancora amici influenti. Ma va anche detto che il caso è esploso in circostanze sospette: in molte foto Brittany compare in atteggiamenti affettuosi con Cuomo. La sua accusa è arrivata nella scia del dossier (165 pagine) della James che accusa Cuomo. E la procuratrice, dopo le dimissioni del governatore, si è candidata alla sua successione (salvo, poi, ritirarsi, qualche giorno fa). E la denuncia della Commisso fu raccolta dallo sceriffo della contea che scavalcò Soares, l'autorità giudiziaria competente, dichiarando che gli elementi per incriminare Cuomo erano «molto forti».

Per Cuomo archiviata un'accusa di molestie. Redazione su Il Giornale il 4 Gennaio 2022. Decade un'altra delle accuse a carico dell'ex governatore democratico di New York Andrew Cuomo. Il procuratore distrettuale della contea di Albany ha annunciato che lascerà cadere l'accusa penale contro l'ex governatore di aver «toccato con la forza» una sua assistente nel 2020 il cui nome non compare nella denuncia ma che è identificabile in Brittany Commisso, una delle assistenti di Cuomo. La decisione di David Soares è arrivata tre giorni prima che l'ex governatore democratico comparisse in tribunale. Pur avendo definito la presunta vittima «cooperativa e credibile», il procuratore ha spiegato che «dopo aver esaminato tutte le prove disponibili abbiamo concluso che non possiamo proseguire il processo». La giovane ha detto che l'ex governatore avrebbe fatto scivolare la mano sulla sua camicetta e le avrebbe afferrato il seno quando erano soli in un ufficio nella sua residenza alla fine del 2020.

Cuomo si è dimesso nell'agosto scorso a causa delle accuse di molestie sessuali da parte di diverse donne. E proprio la testimonianza di Commisso compare tra quelle incluse nel rapporto pubblicato ad agosto dalla procuratrice generale dello Stato, Letitia James, in cui si affermava che Cuomo avrebbe molestato sessualmente undici donne, che avrebbe pesantemente contribuito alla sua uscita di scena.

E ieri il procuratore distrettuale di Manhattan ha annunciato che non incriminerà l'ex governatore nell'indagine sulle case di cura durante la prima fase della pandemia. Cuomo era accusato di aver truccato al ribasso i numeri sui morti per Covid.

New York, archiviate le accuse di molestie sessuali contro Andrew Cuomo. Andrew Cuomo si era dimesso ad agosto a causa delle accuse di molestie sessuali da parte di diverse donne. Ora il procuratore di New York chiude il caso. Il Dubbio il 4 gennaio 2022. Il procuratore distrettuale della contea di Albany ha annunciato che lascerà cadere l’accusa penale contro l’ex governatore di New York Andrew Cuomo di aver «toccato con la forza» una sua assistente nel 2020. La decisione di David Soares è arrivata tre giorni prima che l’ex governatore democratico comparisse in tribunale. Pur avendo definito la presunta vittima «cooperativa e credibile», il procuratore ha spiegato che «dopo aver esaminato tutte le prove disponibili abbiamo concluso che non possiamo proseguire il processo».

Nella denuncia non compare il nome della donna, che tuttavia si è identificata come Brittany Commisso, una delle assistenti di Cuomo. La giovane ha detto che l’ex governatore ha fatto scivolare la mano sulla sua camicetta e le ha afferrato il seno quando erano soli in un ufficio nella sua residenza alla fine del 2020. Cuomo si è dimesso ad agosto a causa delle accuse di molestie sessuali da parte di diverse donne. La testimonianza di Commisso è stata inclusa nel rapporto pubblicato ad agosto dalla procuratrice generale dello Stato, Letitia James, in cui si affermava che Cuomo ha molestato sessualmente 11 donne, dossier che ha poi portato al suo addio

Mauro Zanon per "Libero quotidiano" il 23 dicembre 2021. «Tutti sapevano, tutti sapevano». A un mese dell'esplosione dell'affaire Hulot, dal nome dell'ex ministro dell'Ecologia di Macron e icona dell'ambientalismo chic francese Nicolas Hulot, accusato di stupro e aggressioni sessuali da cinque donne, un'inchiesta dell'emittente radiofonica Rtl aggiunge nuovi elementi imbarazzanti. Rtl ha intervistato alcune donne che, per il loro ruolo politico, hanno avuto a che fare con Hulot: tutte hanno confermato i «comportamenti problematici» del santino green e tutte hanno parlato dell'insopportabile clima di omertà che regnava nella gauche ecologista. «Nei corridoi del Senato, esattamente come per Denis Baupin (vicepresidente dell'Assemblea nazionale in quota green dimessosi per le accuse di molestie sessuali alle colleghe, ndr), si diceva così: "Cerca di non ritrovarti da sola con lui in ascensore". Tutti sapevano, ma nessuno faceva nulla», ha rivelato Ninon Guinel, attuale capo di gabinetto del sindaco ecologista di Lione Grégory Doucet e firmataria della lettera aperta "Metoo politique" apparsa su Le Monde lo scorso 15 novembre. Guinel era una giovane assistente parlamentare quando le consigliarono di stare alla larga da Hulot per non fare la stessa fine di Pauline Lavaud, militante allontanata dalla campagna per le primarie dei Verdi nel 2011 perché «eccitava troppo» l'ex ministro di Macron. L'attuale inquilino dell'Eliseo, sostiene Guinel, non poteva non essere al corrente delle spiacevoli abitudini di Hulot con certe ragazze. «Quando uno della sua campagna dice a Pauline "non ti prendiamo nella squadra perché lo ecciti troppo", vuol dire che si sapeva. Dunque se si sapeva nei Verdi all'epoca delle primarie con Eva Joly, non poteva non saperlo anche Emmanuel Macron quando lo ha assunto come ministro dell'Ecologia». Jean-Paul Besset, figura di primo piano degli ecologisti francesi, ha cercato di difendere l'amico Hulot, dicendo che non «è mai stato testimone di un comportamento predatorio» dell'ex ministro. Versione che è stata smentita da Pauline Lavaud: «Lo sapeva che Nicolas Hulot importunava le donne». Già all'epoca dell'affaire Baupin erano stati lanciati diversi allarmi, come riportato da Sandrine Rousseau, seconda classificata alle ultime primarie ecologiste: «Una testimone parlava di comportamenti inappropriati da parte di un celebre uomo della Fondazione Hulot. La nostra idea è che quest' uomo fosse Nicolas Hulot».

·        Il Revenge Porn.

"Il fatto non sussiste". Assolto l'ex fidanzato di Tiziana Cantone. Sergio Di Palo, ex fidanzato della 31enne morta suicida nel 2016, era stato indagato per aver falsamente accusato cinque persone (risultate estranei ai fatti) di aver diffuso in rete i video privati della vittima. Rosa Scognamiglio l’8 Novembre 2022 su Il Giornale.

Sergio Di Palo, l'ex fidanzato di Tiziana Cantone, la 31enne morta in circostanze non ancora chiarite il 13 settembre del 2016, è stato assolto con formula piena dalle accuse di falsità privata, simulazione di reato, calunnia e accesso abusivo a sistema informatico. Di Palo e Cantone furono indagati per aver falsamente accusato cinque persone - poi risultate estranee ai fatti - di aver diffuso in rete alcuni video hot della vittima.

Il livido sul collo e il sospetto: Tiziana Cantone è stata uccisa?

L'assoluzione

I reati per i quali Di Palo è stato assolto venivano contestati in concorso con Tiziana Cantone che, però, nel processo non è stata imputata in quanto era già deceduta. Le accuse nei confronti dell'uomo muovevano dalla diffusione sul web di alcuni filmati intimi della vittima. Fu la 31enne a sporgere denuncia nei confronti di cinque persone ritenendo che fossero gli artefici dell'iniziativa. Le indagini, però, fecero emergere alcune incongruenze sulla testimonianza della donna. Pertanto, gli inquirenti decisero di archiviare la posizione dei denunciati per i quali, all'inizio degli accertamenti investigativi, erano stati ipotizzati i reati di diffamazione e violazione della privacy. In conseguenza di ciò, Di Palo fu rinviato a processo con l'ipotesi di avere dichiarato il falso. Oggi il giudice del Tribunale di Napoli Dario Gallo ha assolto l'uomo dall'accusa di falsità con la formula "il fatto non sussiste"; dall'accusa di calunnia perché "il fatto non costituisce reato"; dall'accesso abusivo per "improcedibilità" (manca la denuncia) e dalla simulazione di reato perché "il fatto non sussiste".

Il perito: "Nessun suicidio, Tiziana Cantone fu strangolata"

La morte di Tiziana Cantone

La trentunenne fu trovata senza vita nella cantina di casa della zia, a Mugnano (Napoli), il 13 settembre del 2016. La Cantone si sarebbe suicidata - il condizionale è d'obbligo perché le risultanze autoptiche lasciano dei margini di dubbio sulle circostanze del decesso - con una pashimina foulard legata al collo. Un gesto estremo che, secondo gli inquirenti, la donna aveva compiuto in preda alla disperazione per alcuni video privati (a sfondo sessuale) finiti sul web a sua insaputa. Le prime indagini orbitarono attorno al mondo della rete e dei social network concentrandosi, in particolar modo, su quattro uomini con cui la giovane aveva intrattenuto relazioni virtuali ma non portarono a nulla di fatto. Nella primavera del 2021, la madre di Tiziana Catone, da sempre convinta che la figlia sia stata vittima di femminicidio, aveva chiesto e ottenuto la possibilità di riesumare il cadavere per poter procedere con gli accertamenti autoptici. Il 28 maggio del 2021, il pubblico ministero di Napoli Giovanni Corona ha aperto un fascicolo per omicidio contro ignoti.

Tiziana Cantone, il video torna (di nuovo) visibile sul web. Fulvio Bufi su Il Corriere della Sera il 3 Novembre 2022.

È riapparso uno dei filmati a luci rosse che hanno rovinato la vita alla donna che si è suicidata a 33 anni. È la seconda volta in sei mesi che succede 

La pubblicazione online di uno dei video privati di Tiziana Cantone — notizia riportata sulle pagine del Fatto Quotidiano — riapre la ferita mai rimarginata per la madre e i parenti della ragazza napoletana suicida il 16 settembre 2016 e allo stesso tempo ripropone la questione di quanto sia complicato, se non impossibile, godere del diritto all’oblio quando c’è di mezzo il web. Tiziana Cantone è la donna che si uccise a 33 anni impiccandosi nella tavernetta della casa di alcuni parenti, dove si era trasferita insieme alla madre, dopo aver visto naufragare la sua battaglia legale per ottenere la rimozione da Internet dei video privati che lei stessa aveva diffuso via WhatsApp ad alcune persone, ma che poi, in virtù del contenuto intimo, erano circolati fino ad arrivare sulle pagine di una infinità di siti porno.

La battaglia legale

Tiziana intraprese una complessa battaglia legale per far sparire quelle immagini dalla Rete, ma l’esito fu per lei una ulteriore mazzata. A fronte di una sentenza che fu favorevole rispetto ad alcuni piccoli operatori, fu chiamata a risarcire i colossi del web che aveva citato in giudizio. Pochi giorni dopo si uccise. Da allora molte cose sono cambiate. In Italia è stata approvata una legge specifica contro il revenge porn e la società specializzata alla quale si rivolse Teresa Giglio, la mamma di Tiziana, riuscì a individuare e far rimuovere i video della ragazza che circolavano in Rete. La convinzione di chi operò in tal senso fu che non ci fosse più nulla in circolazione, e probabilmente per un periodo è stato anche così.

Il ritorno sul web

Ma già nel maggio scorso un video di Tiziana Cantone era di nuovo online, accompagnato addirittura da una presentazione in cui si faceva esplicito riferimento al fatto che la protagonista si fosse uccisa proprio a causa di questi video. In breve fu bloccato, sempre dai tecnici ingaggiati dai legali di Teresa Giglio, ma ora ne è comparso un altro. Sarà sicuramente rimosso anche questo con le stesse procedure adottate in passato (che in alcuni casi consentono anche di risalire al server utilizzato per caricare i video in Rete, se non anche all’utente che ha eseguito l’operazione), ma nulla fa escludere che domani o tra un mese o tra un anno possano comparirne altri. Quando i video circolavano abbondantemente di sicuro in tanti li hanno scaricati e archiviati sul proprio pc, e questo significa che in qualunque momento quelle stesse persone possono ricaricare le immagini sul web. Che per la sua stessa definizione di «world wide» è troppo vasto per poter potersi aspettare che tutti quelli che lo frequentano abbiano rispetto sia delle leggi che delle persone.

Luca Monaco e Andrea Ossino per repubblica.it il 9 ottobre 2022.  

"Dopo dieci giorni da quella maledetta sera in cui ho mandato le foto e un video del mio corpo al mio fidanzato, un amico mi ha mandato uno screenshot di un gruppo Telegram per avvisarmi che quelle immagini stavano circolando sui social. Oltre al mio video ce n'erano altri: a Roma almeno altre 20 ragazze stanno vivendo il mio stesso dramma".

È il febbraio del 2019 quando Marta, allora appena 13enne, invia delle sue foto di nudo al fidanzatino dell'epoca. Da quel giorno la ragazza non vive più. Oggi racconta a Repubblica come funziona e cosa significa finire nel tritacarne del revenge porn organizzato tra minorenni. 

Perché Marta ha visto con i suoi occhi, in Rete, i video e le foto di altre adolescenti, nude. "Su Telegram è pieno - afferma - sul primo gruppo nel quale erano finite le mie foto, che ormai sono ovunque, c'erano anche i video di altre ragazze della mia stessa età. Io credo che all'inizio quei materiali circolino tra i nostri coetanei, poi però finiscono anche nei gruppi frequentati solo dagli adulti". 

La 16enne è riuscita a raccontare il suo dramma ai genitori solo dopo tre mesi, quando a maggio 2019 il preside l'ha convocata insieme alla madre per parlare del problema e lei si è trovata costretta a cambiare scuola.

Con precisione, "io mi ero fatta tre foto e un video - aggiunge - li ho spediti al mio fidanzato dell'epoca. Non li ho inviati a nessun altro". Perché sono diventati virali? "Il mio ex - ricostruisce Marta, che ora studia Turismo - dice che il suo migliore amico gli ha preso il telefono e ha condiviso tutto con altri. Non so come sia andata veramente la cosa, so solo che non si è mai scusato". 

Forse perché tra una parte dei nuovi nativi digitali, che oscillano tra i social e la realtà, la pratica di scambiarsi le foto di nudo sembra essere diventata più diffusa di quanto non si creda. "Purtroppo è così - conferma la studentessa - io ho sbagliato per ingenuità, non lo rifarei. Ma mi ero ripresa solo il corpo, sopra e sotto, in intimo. Ma vi assicuro che ci sono altre mie coetanee che inviano video mentre si toccano o addirittura mentre usano i sex toys".

Se le si domanda se siano i ragazzi a pretenderlo, Marta annuisce convinta. "Ormai i maschi della mia generazione pensano solo al sesso - ragiona - gli interessa solo quello. È complicato instaurare una vera relazione affettiva. Io non ci riesco più. Dopo quello che mi è successo non mi fido più di nessuno". 

La reputazione da latin lover, o da bulli, per chi fa parte delle due baby gang 17 (Roma Nord) e 18 (Roma Sud), che si affrontano in città senza esclusione di colpi, nasce e si rinforza sul web. "Mostrando le foto delle loro ragazze nude agli amici si sentono importanti. Grandi, fighi". Lo scambio dei materiali funziona così.

"Creano dei gruppi appositi su Telegram. Io li ho visti - assicura - Lì sopra c'è chi entra e scrive, "Avete le foto di Marta, Maria...", indicando il nome preciso. Chi le ha le condivide con gli altri, che poi si toccano con quelle immagini". 

Il video di Marta "ancora circola - osserva - Hanno fatto anche uno sticker con la mia foto nuda, da condividere su WhatsApp". Adesso la 16enne invoca: "Voglio dire a chi mi insulta che non le faccio circolare io le mie foto. È una cosa che non riesco a fermare. Vi prego smettetela, lasciatemi in pace".

Luca Monaco e Andrea Ossino per “la Repubblica – ed. Roma” il 9 ottobre 2022.

« È successo tutto a febbraio del 2019, avevo solo 13 anni, ero piccola, ingenua. Andavo a scuola in centro, ho dovuto cambiare istituto. Le mie foto e quel video in cui mi si vede il seno circolano ancora sui profili falsi di Instagram, scrivono: " Se metti like ti faccio un rapporto orale gratis". Sono passati più di tre anni e ancora mi insultano tutti, mi scrivono "Vai sulla Salaria" e roba del genere. L'inverno scorso tre ragazze di Roma sud mi hanno picchiata all'Eur perché hanno visto le mie foto sui cellulari dei loro fidanzati». Adesso Marta ha 16 anni, studia turismo, fatica a metabolizzare l'incubo del revenge porn subito a opera della baby gang 18.

A chi aveva mandato quelle foto?

«L'avevo mandate una sera del febbraio 2019 al mio fidanzatino dell'epoca. Mi pento amaramente di quello che ho fatto. Lui e il suo migliore amico l'hanno mandate in giro, non perché ci eravamo lasciati, visto che ancora ci parlavamo, ma più che altro credo per vantarsi con gli amici. Li per lì, il mio ex mi ha detto che il suo migliore amico gli aveva preso il telefono e le aveva condivise. Io gli ho creduto perché ero ingenua». 

Da quel giorno come è cambiata la sua vita?

«Mi sono depressa. A scuola mi insultavano tutti, mi dicevano che ero una poco di buono, che ero la figlia sbagliata dei miei genitori.

Continua a succedere». 

Ha tentato atti di autolesionismo?

«In un certo senso si, è così. Ero preda dell'ansia. Come se non avessi più voglia di vivere. Ho iniziato a non stare mai a casa, tornavo solo la sera e rispondevo male a mia madre. A scuola non riuscivo a stare attenta, mi hanno bocciata tre volte. Spesso facevo sega e mi facevo un sacco di canne. Ancora oggi non mi fido più di nessuno, ho grandi difficoltà a relazionarmi con le persone». 

È stata aggredita per via di quelle foto?

«Si. Un sabato dello scorso inverno stavo al McDonald's dell'Eur, mi sono venute addosso tre ragazze di Roma Sud e mi hanno picchiata in tre, perché hanno visto che sui telefoni dei loro ragazzi c'erano le mie foto. Ma io che c'entro? Vorrei dirlo al mondo, a tutti quelli che mi accusano: non sono io a pubblicare le foto che circolano su Internet. È una cosa che non riesco a fermare». 

Le tre ragazze erano della gang 18?

«No, io quelle persone non le frequento. Sono ragazzini. Gang 18 è Roma Sud e Gang 17 Roma Nord, ma si conoscono tutti, tra loro. E tutti conoscono qualcuno di loro».

Quanto è complicato convivere con tutto questo?

«Non riesco più a fidarmi di nessuno. Ho solo un'amica che considero fidata e non so neanche fino a che punto. Le ultime relazioni sentimentali che ho avuto le ho rovinate io, perché sono diventata fredda, algida, non mi fido più».

Adriana Marmiroli per “La Stampa” l'1 agosto 2022.

Qualche volta tra tante repliche estive può capitare che arrivi in tv anche qualche gioiellino. È il caso della miniserie Nudes, approdata il 27 su Rai2, e poi in onda il 3 e il 10 agosto, dopo un'anteprima su RaiPlay. 

Nudes tocca un tema delicato ma anche molto sottovalutato, il revenge porn, il «porno vendicativo» di chi diffonde sul web immagini intime di qualcuno che nulla ne sa, e certo se sapesse non vorrebbe. Le dimensioni della sua diffusione sfuggono, e invece è dilagante: i dati della Polizia Postale italiana parlano di circa due milioni di persone coinvolte nel solo 2021. In pochissimi lo denunciano, e come risultato anche la legislatura lo sottovaluta. Ne vediamo solo la punta quando qualche vita si spezza e arriva in cronaca nera.

Colpisce soprattutto le donne, età media 27 anni (il che significa che molte sono le minorenni), e per tutte è come subire una specie di stupro digitale. 

Ambientate nella normalità assoluta della provincia italiana, quelle di Nudes sono storie molto semplici, normali e quotidiane: qualunque, verrebbe da dire. Raccontano le vite spezzate da momenti di leggerezza, incoscienza e rabbia; l'umiliazione, vulnerabilità e solitudine delle vittime, ché la vergogna isola, anche da chi potrebbe aiutare. E dicono anche quanto sia facile entrare ma poi impossibile uscire dalla memoria eterna del web: ogni immagine, parola o notizia condanna all'immortalità, a essere per sempre (da qualche parte).

Prodotto da Bim per Rai Fiction, è l'adattamento di un teen drama norvegese e mostra gli effetti di questo fenomeno su alcuni adolescenti. In tre blocchi autonomi, altrettanti giovanissimi - Vittorio, Sofia e Ada - vivono l'incubo di immagini rubate e postate su internet, divenute oggetto di battute crudeli nella vita reale e sui social prese di mira dagli odiatori in modo ancora più crudele, accanito e abietto. 

Vittorio, in un momento di rabbia, filma e posta le immagini di una ex mentre fa sesso. Lo stesso accade a Sofia, inquadrata da un cellulare in un momento di intimità. Quanto a Ada, la più piccola, solo 14 anni, si fa convincere da un ragazzo conosciuto sul web a mandargli foto in topless: verrà contattata da un sedicente amico che le rivela che sono finite in rete me che lui la può aiutare: per soldi, naturalmente, o in cambio di altri scatti.

«Il revenge porn può sconvolgere anche la vita più equilibrata - ha detto Fotinì Peluso, tra gli interpreti della miniserie forse la più nota per essere stata tra i protagonisti de La compagnia del cigno. - È un fatto inatteso che deflagra. Purtroppo se ne parla poco: occorrerebbe una apposita educazione civica, invece come tutto ciò che coinvolge la sfera sessuale viene evitato. Soprattutto a scuola».

Lei dalla scuola è uscita da qualche anno ormai, ma ricorda: «Non c'è studente che non conosca qualcuno che c'è finito dentro. Il liceo è un luogo crudele. Ho visto girare foto e sentito commenti: i ragazzi se le scambiano come le figurine dei calciatori; le ragazze per curiosità. 

Usare il telefonino per fare foto per la mia generazione è un diritto acquisito: riprendiamo quello che ci va. Ma spostare il peso della responsabilità di una foto dal carnefice alla vittima è assurdo, è come imputare uno stupro a una minigonna».

Se quelli di Nudes sono casi di «ordinario» revenge porn, la miniserie L'uomo più odiato di internet, da pochi giorni in streaming su Netflix, ne racconta invece il business e lo sfruttamento, il macro fenomeno sociale e la cultura del disprezzo che ne è sottesa. L'uomo del titolo è Hunter Moore: da noi uno sconosciuto, ma negli Usa tra 2010 e 2012 godette di una certa notorietà in quanto cattivo ragazzo fondatore di un piccolo e remunerativo impero del revenge porn, la piattaforma IsAnyoneUp.com.

Seguito da milioni di followers, veri e propri adepti di una specie di culto, godeva e si vantava di demolire le vite di perfetti sconosciuti. Un sociopatico. Poi incappò in una madre che voleva giustizia, Charlotte Laws. Volitiva ex attivista che sapeva come muoversi, riuscì a innescare la valanga che determinerà chiusura del sito e la condanna di Moore a 30 mesi. Documentato con dovizia di chat e testimonianze sofferte di alcune vittime, colpisce la brutalità gratuita e la misoginia che sta dietro a questa macchina del fango (inventore e followers), le parole sempre volte all'annientamento, e parallelamente l'umiliazione e la vergogna, il senso di impotenza e il disorientamento, il desiderio di scomparire per sempre delle vittime. Anche questo è femminicidio.

Hunter Moore, "L'uomo più odiato di internet" che ha inventato il revenge porn. Viola Stefanello La Repubblica il 30 Luglio 2022.

Al centro di una docuserie su Netflix, sul suo sito Is Anyone Up, tra 2010 e 2012 pubblicò migliaia di contenuti a sfondo sessuale, incurante di aver rovinato la vita ai protagonisti di foto e video.

Il termine corretto sarebbe diffusione non consensuale di materiale intimo. Foto e video scattate per se stessi o per il partner del momento, inviate con la convinzione che ci si possa fidare della persona che le riceve e poi caricate, invece, su siti terzi, forum, canali seguiti da migliaia di persone. Il termine incorretto, ma più immediato e ormai entrato nell'immaginario comune, è revenge porn. E l'ha inventato Hunter Moore, "l'uomo più odiato di Internet".

Nato a Sacramento, in California, nel 1986, Moore è il fondatore di Is Anyone Up?, famigerato sito che tra il 2010 e il 2012 ha condiviso, appunto, migliaia di contenuti a sfondo sessuale senza il consenso delle persone raffigurate. A differenziare Is Anyone Up? dall'infinito numero di siti che contengono porno amatoriale online era una funzione particolarmente crudele: alle foto e ai video intimi era collegata quasi sempre l'identità della persona - il loro nome, i link ai suoi profili Facebook, Instagram e Twitter, qualche volta addirittura i suoi contatti. Nella sezione commenti, come spesso succede, centinaia se non migliaia di persone spendevano poi il loro tempo a insultare le persone nelle foto e augurare loro il peggio.

A far meritare a Moore il soprannome di "uomo più odiato di Internet" - come l'ha definito un profilo pubblicato su Rolling Stone nel 2012 - è però il totale e aperto disdegno che l'uomo ha più volte dimostrato nei confronti delle persone la cui vita è stata resa un inferno dal suo sito.

Il sito era nato quasi per sbaglio, mentre Moore cercava un modo di condividere con i suoi amici le foto di una ragazza fidanzata con cui stava andando a letto. Dopo averle pubblicate su un dominio che aveva acquistato tempo prima per promuovere una festa, si era reso conto che sarebbe stato divertente permettere ai suoi amici di pubblicarci a loro volta le foto intime altrui che avevano sul computer: nell'arco di poche settimane, Is Anyone Up? era sulla bocca di tutti all'interno della scena alternativa californiana. Nell'arco di un paio d'anni, avrebbe ricevuto centinaia di contenuti intimi non consensuali al giorno da tutto il mondo.

Giustificando, come ha fatto dal primo istante, il proprio lavoro, Moore diceva che se avesse cominciato a rimuovere il "revenge porn" il suo intero business model sarebbe collassato: era proprio tramite l'umiliazione e la distruzione della reputazione delle persone che arrivava a fare tra gli 8 e i 13 mila dollari al mese. Difendendosi in televisione, diceva che il suo lavoro "non gli sembrava affatto squallido" e che "non capiva come le ragazze potessero puntare il dito contro di lui: sono loro che hanno scattato la foto". 

Fermarlo sembrava impossibile: il ragazzo era noto per ignorare completamente gli appelli delle persone che gli chiedevano di rimuovere le loro immagini dal sito. In alcuni casi, se rispondeva, lo faceva solo per scrivere un sardonico LOL. Nei casi peggiori, arrivava a manipolare le ragazze, offrendosi di rimuovere le loro foto soltanto in cambio di prestazioni.  

A infrangere il suo impero è stata una donna, Charlotte Laws, che è riuscita a scoprire che Moore aveva ingaggiato un hacker per rubare immagini intime direttamente dai computer di molte ragazze dopo che una foto della figlia Kayla era finita sul sito. Aiutata da Anonymous e poi dall'FBI, questa inchiesta inizialmente privata porta all'arresto di Moore e dell'hacker Charles Evans il 23 gennaio 2014, dopo che Is Anyone Up? era già stato venduto a un attivista contro il bullismo. Moore, che rischiava sette anni di carcere, ne ha ottenuti alla fine soltanto due e mezzo, ma una volta uscito di prigione ha mantenuto un profilo molto più basso, smettendo di pubblicare cose su Twitter e Instagram e scrivendo un libro di memorie, Is Anyone Up?: The Story of Revenge Porn.

Ora, questa storia è raccontata su Netflix nella docu-serie intitolata, appunto, The most hated man on the Internet.

Quella di Moore è, fondamentalmente, una storia di trolling. Qualcuno, durante la docuserie, lo definisce "il primo troll della storia": un primato che il californiano non può sicuramente vantare, considerato che la pratica di molestare il prossimo online con commenti sempre più offensivi era già molto in voga online nei primi anni Novanta, ma che aiuta a mettere a fuoco quanto molte delle sue azioni possano essere interpretate all'interno di una sottocultura che venerava - e in parte ancora venera - personaggi estremamente provocatori a scapito dei danni reali, e tangibili, che provocano alle persone.

Moore aveva inizialmente acconsentito ad essere intervistato per il documentario, ma in un secondo momento si è tirato indietro: così, il suo punto di vista nella serie viene fatto trasparire attraverso tweet pubblicati tra il 2010 e il 2012, video e podcast in cui ripete spesso di non pentirsi affatto del proprio operato, qualche intervista rilasciata ai giornalisti. Il quadro che ne è emerge è quello di un sociopatico monodimensionale, un cattivo fatto apposta per la tv. Ma, d'altronde, lo stesso Moore intervistato da Rolling Stone aveva affermato di sentirsi come se stesse interpretando il personaggio "di un fottuto coglione". 

Che sia o meno un sociopatico - una diagnosi più adatta a uno psichiatra che a un documentario da poco meno di tre ore - una cosa è certa: mentre le ragazze che finivano sul suo sito tentavano il suicidio, perdevano il lavoro o l'affidamento dei figli per colpa delle immagini pubblicate su Is Anyone Up?, lui raccontava ai giornalisti di dormire sonni tranquilli. "Per qualcuno che non ha un'istruzione, Internet può fornire una valida alternativa di carriera se sai come leggere e manipolare le sue tendenze", riportava Alex Morris dopo aver passato diverso tempo con Moore. "Ciò implica dare alle persone ciò che vogliono e, secondo Moore, ciò che le persone vogliono è ferirsi a vicenda, vendicarsi delle persone che le hanno ferite e vedere altre persone fare cazzate".  

Abuso sessuale. La gogna pubblica del revenge porn e il ruolo stigmatizzato delle donne. Francesca Florio su L'Inkiesta il 24 Giugno 2022.

Francesca Florio, in “Non chiamatelo Revenge Porn. Storie di vittime presunte colpevoli” (Mondadori), spiega in cosa consiste il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. E perché è necessario tutelarsi.

Il sapere, non solo rende liberi, come diceva Socrate, ma è anche un potentissimo strumento di protezione.

Le storie che abbiamo raccontato sono solo alcuni esempi dei mille modi in cui la violenza sessuale digitale può manifestarsi, e se in medicina vale l’antico principio per cui prevenire è meglio che curare, nel diritto penale può specularmente dirsi che prevenire è meglio che punire. Di seguito, troverete una breve rassegna delle fattispecie incriminatrici (dunque dei reati esistenti nel nostro ordinamento) che si possono applicare in concreto nei casi genericamente riconducibili al revenge porn, oltre a una guida pratica di prevenzione che può aiutare le vittime ad agire subito per tutelarsi nel modo più efficace possibile.

Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (articolo 612-ter c.p.)

Quello che i media continuano impropriamente a chiamare reato di revenge porn, altro non è che il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, introdotto nel nostro codice penale dal cosiddetto “Codice rosso” (legge 19 luglio 2019, n. 69) e disciplinato dall’articolo 612-ter. Questo reato punisce ogni tipo di condivisione (e nello specifico, l’invio, la consegna, la cessione, la pubblicazione o la diffusione) di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

In buona sostanza, è punita la divulgazione, in qualsiasi modo avvenga, di foto o video a contenuto sessuale, creati con il consenso della vittima la quale, però, voleva rimanessero privati. La legge, tuttavia, nel punire la diffusione di queste immagini prevede una regola diversa a seconda di come l’autore del reato ne sia entrato in possesso.

Si distinguono, infatti, due macrocategorie:

1. soggetti che posseggono le immagini perché le hanno sottratte oppure perché hanno partecipato alla loro creazione (per esempio, il caso in cui una coppia realizzi un sextape amatoriale);

2. soggetti che posseggono le immagini per qualsiasi altro motivo (per esempio, perché sono state inviate loro direttamente dalla vittima durante il sexting, oppure perché gli sono state inoltrate da altri).

Nella prima circostanza (nel caso in cui le immagini siano state diffuse da qualcuno che le ha sottratte o che ha partecipato alla loro creazione) l’autore del reato è sempre punibile per il solo fatto di averle volontariamente pubblicate senza il consenso della vittima, indipendentemente da quale fosse il suo scopo quando ha deciso di diffonderle.

Nel caso, invece, in cui l’autore del reato sia venuto in possesso delle foto o dei video per altri motivi (compresa l’eventualità che gli siano stati inviati direttamente dalla vittima), le sue azioni saranno punibili solo se siano state commesse allo specifico scopo di recare un danno alla vittima.

La pena prevista per questo reato è identica in entrambi i casi e consiste nella reclusione da un minimo di un anno a un massimo di sei e nella multa da un minimo di 5000 a un massimo di 15.000 euro.

Il reato è aggravato, dunque la pena è aumentata in relazione a una serie di ipotesi specifiche:

1. quando è commesso da un coniuge, da un ex coniuge, o da una persona con la quale la vittima ha o ha avuto una relazione affettiva;

2. quando è stato commesso utilizzando strumenti tecnologici come smartphone, computer, televisioni, DVD o rete Internet;

3. quando la vittima versa in condizione di inferiorità fisica o psichica oppure è una donna incinta.

Il delitto è procedibile a querela della persona offesa, ciò significa che per avviare l’iter che porterà a un eventuale processo penale sarà necessaria una denuncia da parte della vittima che richiede espressamente che il colpevole sia identificato e punito.

Questa regola, comunque, non vale sempre. È previsto, infatti, che quando il delitto sia stato commesso in danno di una donna in stato di gravidanza o comunque una persona fragile, lo Stato prosegua autonomamente senza necessità di una richiesta da parte della persona offesa (la cosiddetta “procedibilità d’ufficio”); lo stesso accade quando il reato è connesso a un altro per il quale è prevista, appunto, la procedibilità d’ufficio.

Immaginiamo due casi.

1. Giuseppe e Carla sono fidanzati e stanno per sposarsi.

Poco prima del matrimonio Giuseppe scopre che Carla lo tradisce con il suo migliore amico, così, per vendicarsi di lei e umiliarla di fronte a tutti, invia tramite mail agli invitati al matrimonio un filmato, girato consensualmente mesi prima, in cui lui e Carla hanno dei rapporti sessuali. Giuseppe ha commesso il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, ma le indagini possono essere avviate solo se Carla sporge formale querela e dunque lo richiede.

2. Anna, ossessionata da un’attrice famosa, decide di rapinarla per impossessarsi del suo telefono e avere accesso alle sue foto private; si apposta dietro la casa della vittima e quando la vede uscire le punta un coltello alla gola, intimandole di consegnarle la borsa con tutti i suoi averi. Una volta ottenuto lo smartphone, Anna trova delle immagini dell’attrice in atteggiamenti intimi con il suo compagno e decide di pubblicarle online. In questo caso, Anna commette lo stesso reato di Giuseppe, ma, al contrario di lui, per ottenere le foto ha commesso anche una rapina; dato che la rapina è un reato procedibile d’ufficio, non sarà necessario che l’attrice sporga formale querela affinché siano avviate delle indagini e successivamente un processo nei confronti della responsabile della rapina oltre che del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

Empoli, infermiere filmate nella doccia dell’ospedale: «Noi sotto choc, è una violenza». Marco Gasperetti su Il Corriere della Sera il 29 Maggio 2022.

L’ira delle cento dipendenti dell’ospedale San Giuseppe. Caccia a chi ha installato la videocamera. «E adesso rischiamo di finire sul web in pasto a maniaci e guardoni».

Empoli - L’infermiera Francesca, un marito e due figli piccoli, quella minuscola anomalia nelle piastrelle della doccia dell’ospedale l’aveva già vista da tempo. Ma non ci aveva fatto troppo caso, sembrava una scheggiatura, nulla di più. Poi aveva allungato la mano e aveva stretto con l’indice e il pollice quel puntino nero, tirandolo a sé, e in mano si era trovata un occhio elettronico e un lungo filo elettrico: una microcamera che chissà per quanto tempo aveva spiato lei e un altro centinaio di donne, tra infermiere, operatrici socio sanitarie, tecniche di laboratorio, tutte dipendenti dell’ospedale San Giuseppe di Empoli. Poi, profondamente turbata, ha raccontato tutto alle colleghe e alla direzione dell’ospedale. E ha presentato la prima denuncia ai carabinieri: ne seguiranno tante altre.

Spiate

«Ci hanno spiato durante la doccia chissà per quanto tempo», racconta l’infermiera. «E adesso rischiamo di finire sul web in pasto a maniaci e guardoni». È accaduto alcuni giorni fa ma Francesca (nome di fantasia) e le altre donne, che ogni giorno usavano la doccia dello spogliatoio femminile dopo il lavoro, sono ancora sotto choc. «Non è stata soltanto una molestia, che sarebbe già una cosa gravissima, ma una violenza vera e propria», denunciano. «Siamo profondamente turbate. È stato uno spregio al nostro essere donne, mamme e lavoratrici. Persone che ogni giorno fanno il proprio dovere aiutando i pazienti e salvando vite umane. E che si lavavano dopo aver indossato ore e ore maschere e tute per proteggersi dal Covid».

Si parla di un sospettato

L’identità del voyeur resta un mistero. Carabinieri e procura mantengono il segreto, ma venerdì nell’ospedale toscano si parlava di un sospettato. «Circolava la voce di una perquisizione e di una persona inquisita», conferma Simone Baldacci, coordinatore Cgil Funzione pubblica Toscana centro. «Speravamo che questo caso vergognoso fosse stato risolto ma poi non abbiamo saputo più niente». Restano i sospetti che ad agire possa essere stato un dipendente dell’ospedale. Gli spogliatoi delle donne, dove si trovano anche le docce, sono in una zona difficilmente raggiungibile da un non addetto ai lavori. Bisogna percorrere un grande atrio, camminare per decine di metri, attraversare un corridoio e aprire alcune porte con un badge.

Le indagini

La videocamera era collegata con un cavo a un monitor. Il sistema non era particolarmente sofisticato anche se la mimetizzazione era stata studiata nei minimi particolari. Non sembra ci fosse un disco fisso per registrare i video, ma con uno smartphone davanti allo schermo tutti lo avrebbero potuto fare. S’indaga (oltre ai carabinieri c’è anche un’inchiesta interna dell’Asl) ma non solo. Gli uomini dell’ospedale non vogliono limitarsi alle sole parole di solidarietà. «Stiamo pensando a un gesto concreto per dimostrare a queste lavoratrici che siamo non solo dispiaciuti», continua il sindacalista Baldacci, «ma anche noi feriti da questo atto sessista e violento». 

Irene Famà per “La Stampa” il 23 gennaio 2022.

Non sono la prescrizione o i tempi dei processi a tenere banco, in questi giorni, nelle conversazioni tra gli avvocati al Palazzo di Giustizia di Torino. Nei corridoi si parla di un unico argomento: «Dc_LegalShow». Ovvero? Una pagina Instagram creata da due avvocate che ora, complice il chiacchiericcio, la curiosità, il voyerismo, conta più di 12mila followers. 

Perché una pagina di «marketing legale» dovrebbe creare uno scalpore tale da smuovere l'Ordine degli avvocati di Torino, che le ha convocate e della questione lunedì scorso ha discusso sino a tarda sera? E anche, da richiedere l'intervento del presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, che alle due esprime completa solidarietà?

Per raccontare questa vicenda, iniziata tra il serio e il faceto e diventata grottesca e offensiva, bisogna iniziare dal primo post, pubblicato il 31 dicembre 2020. Alessandra Demichelis e Federica Cau sono due avvocate («avvocato, al maschile» precisa Demichelis in un'intervista televisiva), colleghe e amiche. 

Conducono una vita «glamour», così la descrivono loro, tra corsi di yoga e palestra, abiti e borse griffate, cene stellate. E fascicoli e udienze in Tribunale. Tutto questo lo postano su una pagina Instagram dove è un susseguirsi di ricchezza ostentata, sorrisi, brindisi, hastagh #lawerlife, #law, #avvocati e così via.

Scimmiottando i telefilm americani che raccontano di legali e della loro «vita al top». L'idea iniziale, così è stato detto, era quella di postare «contenuti legali» in maniera divulgativa. E «patinata». Il primo contenuto è dedicato alla pianificazione successoria e compare quattro giorni fa. Il secondo, un colloquio sulle «vittime di reati violenti», è dell'altro ieri. 

In quanti li hanno visti? Chissà, perché ormai la questione è tutt'altra. Da qualche giorno, infatti, è diventato virale su WhatsApp un video in cui Demichelis, una sera in vacanza a casa di amici, pronuncia frasi esplicite e dirette sulla sua vita sessuale.

Cosa c'entra con la pagina Instagram? Nulla. Cosa c'entra con la sua vita professionale? Nulla. Eppure è tutto un condividere, darsi di gomito, insinuare. Il filmato è passato di cellulare in cellulare, di chat in chat. Comprese quelle di alcuni avvocati che l'hanno condiviso. 

Al di là dell'aspetto etico, del rispetto e del buon senso, trascurando che la condivisione di materiale privato può comportare anche rischi legali che ben dovrebbero conoscere. «Sporgerò querela», annuncia Demichelis, pronta a rivolgersi alla Polizia Postale. Ce l'ha con l'amico o l'amica che quel video l'ha fatto girare.

«Come reazione ho anche pensato di condividerlo io su Facebook, ma la mia famiglia non capirebbe». Ormai è un cortocircuito di messaggi, reazioni e commenti. E anche di conseguenze istituzionali: l'Ordine degli avvocati di Torino ritiene la faccenda «delicata», da trattare con il massimo riserbo. 

A partire dalla pagina Instagram, ancora online, che a giudizio delle toghe solleva la questione del rispetto dei criteri di decoro e delle forme di pubblicità imposte dalla deontologia. Il filmato di Demichelis solleva la questione del rispetto della sfera privata. E soprattutto della persona. 

Lei è diventata oggetto di scherno dei colleghi. In questa storia ogni aspetto, anche quello più grave, diventa un post su Instagram. Il detto «Basta che se ne parli» riassume diverse posizioni, compresa quella di Demichelis. Eppure i temi in ballo sono diversi.

«Dc_LegalShow» avrebbe potuto aprire un dibattito sul rapporto tra social e vita professionale; è diventato una chiacchiera su quale «dress code» è più o meno glamour per un avvocato. I nomi delle due sono scomparsi dal sito dello studio legale in cui lavoravano. Nessuna dichiarazione ufficiale, anche di questo si è parlato sui social. Federica Cau, intanto, getta la spugna. Si è sfilata dal progetto.

Toghe e lusso, l’Ordine di Torino convoca le avvocate del “legal show”. Il Dubbio il 18 gennaio 2022.  

Nell'occhio del ciclone le due avvocate che hanno lanciato un canale instagram per raccontare il "mondo legal" in chiave glamour.

“Dc Legal Show”. Si chiama così l’operazione social avviata da due avvocate di Torino, Alessandra Demichelis e Federica Cau, che hanno una missione del tutto speciale: far diventare “lo show legale reale”. In che modo? Intrecciando il racconto del mondo legal a uno stile di vita glamour, tra lussi e vacanze da sogno degne di un influencer. Al pari del più noto modello americano confezionato in forma di serie tv con “Suits”, il legal drama sugli avvocati super smart di New York in onda su Netflix.

Aperto a fine dicembre, il canale instragram ha già raccolto migliaia di follower e l’attenzione dell’avvocatura. Compresa quella dell’Ordine degli avvocati di Torino che le ha convocate per vederci chiaro. Si tratta di un’iniziativa pubblicitaria ai limiti della deontologia professionale? Di certo da giorni le chiacchiere si rincorrono sul web e sulle chat degli avvocati che non vedono di buon occhio l’accostamento tra professione, abiti glamour e bella vita. «Siamo sorprese che una persona importante come la presidente Grabbi possa perdere tempo per parlare di una cosa così insulsa», dice Alessandra Demichelis al Corsera riferendosi alla presidente del Coa di Torino. «Mi sembra davvero too much – aggiunge – quando abbiamo visto la mail siamo rimaste basite».

Diana Di Meo, l'arbitro vittima di revenge porn: «Momenti terribili, da giorni sto chiusa in casa». Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 22 Gennaio 2022.

La 22enne di Pescara ha denunciato tutto sui social: «Stanno girando dei miei video privati su social, non condivisi da me e alcuni fatti a mia insaputa. Ho sporto denuncia. Voglio dare voce alle vittime colpevolizzate quando invece i colpevoli sono altri». 

L'ennesimo caso di violenza sulle donne tocca il mondo del calcio. Lo racconta Diana Di Meo, 22enne arbitro di calcio della sezione di Pescara , che ha denunciato sul suo profilo Instagram la vicenda di cui è stata involontaria protagonista e vittima: «Stanno girando dei miei video privati su social come Telegram e Whatsapp, video non condivisi da me e alcuni fatti a mia insaputa. Ovviamente ho sporto denuncia, stanno rintracciando i colpevoli e chi si occupa della condivisione dei video perché anche questo è un reato da codice rosso».

La donna prosegue: «Ho scoperto questi video grazie a dei ragazzi. Ho denunciato tutto sui social per farmi forza perché erano due giorni che ero chiusa in casa. Ringrazio tutti i ragazzi e le ragazze che mi stanno scrivendo da tutta Italia. È una situazione che non auguro a nessuno, sto cercando di resistere ma non tutti ci riescono. Dobbiamo segnalare questi video e le persone che continuano a condividere queste cose. Io sono qui a parlarne, molti di noi non riescono a farlo e si nascondono, spero di dare voce a tutte quelle vittime che vengono colpevolizzate, quando in realtà il colpevole è dall’altra parte dello schermo, che riprende o ‘”si limita’” a condividere. Oggi la vittima sono io, domani potrebbe essere una persona vicina a chi magari adesso sta guardando i video e sorride. Non è mai colpa della vittima, ricordatevelo».

Diana Di Meo racconta di non sapere come tutto sia potuto accadere: «Io non li ho mandati. Temo che qualcuno sia entrato nel mio cellulare, nel mio i-Cloud». Da lì quelli che la donna definisce «giorni incredibili. C’è chi mi condanna, chi esagera, ci sono commenti brutti. Per fortuna tanti mi esprimono solidarietà . Poi ognuno ha le sue idee. Basta essere educati e rispettosi, io non esprimo giudizi su nessuno».

Assistente arbitro della sezione di Pescara, studentessa di Servizi giuridici per l’impresa e appassionata di fitness, Di Meo ha superato il corso arbitri nel dicembre 2015. Della sua carriera aveva di recente parlato così: «Fare l’arbitro non è semplice come sembra. Ricordo ancora la tensione i 10 minuti prima di entrare in campo al mio debutto, a 16 anni. Il ricordo più bello invece è il ritorno in campo dopo lo stop forzato dei campionati a causa del Covid. Il sogno? Dirigere un giorno una partita a San Siro o in qualche altro grande stadio».

Diana Di Meo, vittima di revenge porn: "Ho denunciato per dare la forza a tutte di ribellarsi". Cosimo Cito su La Repubblica il 23 Gennaio 2022.

Intervista all'arbitra pescarese che aveva raccontato su Instagram la sua vicenda. "Due settimane di sofferenza, ora respiro, mi sono tolta un peso. Non so chi sia stato a diffondere i miei video privati, penso sia stato hackerato il cloud del mio telefono".

"Inizio a stare meglio, mi sono liberata di un peso". Diana Di Meo, l'assistente arbitrale vittima di revenge porn inizia a respirare dopo due settimane di "sofferenza assoluta e di infinita tristezza". Ventidue anni, pescarese, dopo aver raccontato via Instagram la sua vicenda si è trovata all'improvviso "al centro di un uragano, con migliaia di messaggi in grandissima parte di sostegno, anche da ragazze che hanno vissuto e stanno vivendo qualcosa di simile.