Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
ANNO 2022
L’ACCOGLIENZA
SESTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’ACCOGLIENZA
INDICE PRIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI EUROPEI
I Muri.
Quei razzisti come gli italiani.
Quei razzisti come i tedeschi.
Quei razzisti come gli austriaci.
Quei razzisti come i danesi.
Quei razzisti come i norvegesi.
Quei razzisti come gli svedesi.
Quei razzisti come i finlandesi.
Quei razzisti come i francesi.
Quei razzisti come gli spagnoli.
Quei razzisti come gli olandesi.
Quei razzisti come gli inglesi.
Quei razzisti come i cechi.
Quei razzisti come gli ungheresi.
Quei razzisti come i rumeni.
Quei razzisti come i greci.
Quei razzisti come i serbi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AFRO-ASIATICI
Quei razzisti come i marocchini.
Quei razzisti come i libici.
Quei razzisti come i congolesi.
Quei razzisti come gli ugandesi.
Quei razzisti come i nigeriani.
Quei razzisti come i ruandesi.
Quei razzisti come gli egiziani.
Quei razzisti come gli israeliani.
Quei razzisti come i libanesi.
Quei razzisti come i sudafricani.
Quei razzisti come i turchi.
Quei razzisti come gli arabi sauditi.
Quei razzisti come i qatarioti.
Quei razzisti come gli iraniani.
Quei razzisti come gli iracheni.
Quei razzisti come gli afghani.
Quei razzisti come gli indiani.
Quei razzisti come i singalesi.
Quei razzisti come i birmani.
Quei razzisti come i kazaki.
Quei razzisti come i russi.
Quei razzisti come i cinesi.
Quei razzisti come i nord coreani.
Quei razzisti come i sud coreani.
Quei razzisti come i filippini.
Quei razzisti come i giapponesi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AMERICANI
Quei razzisti come gli statunitensi.
Kennedy: Le Morti Democratiche.
Quei razzisti come i canadesi.
Quei razzisti come i messicani.
Quei razzisti come i peruviani.
Quei razzisti come gli haitiani.
Quei razzisti come i cubani.
Quei razzisti come i cileni.
Quei razzisti come i venezuelani.
Quei razzisti come i colombiani.
Quei razzisti come i brasiliani.
Quei razzisti come gli argentini.
Quei razzisti come gli australiani.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Fredda.
La Variante Russo-Cinese-Statunitense.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI.
I LADRI DI NAZIONI.
CRIMINI CONTRO L’UMANITA’.
I SIMBOLI.
LE PROFEZIE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. PRIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SECONDO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. TERZO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUARTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUINTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SESTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SETTIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. OTTAVO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. NONO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. DECIMO MESE.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE MOTIVAZIONI.
NAZISTA…A CHI?
IL DONBASS DELI ALTRI.
L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.
TUTTE LE COLPE DI…
LE TRATTATIVE.
ALTRO CHE FRATELLI. I SOLITI COGLIONI RAZZISTI.
LA RUSSIFICAZIONE.
INDICE SESTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.
IL FREDDO ED IL PANTANO.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE VITTIME.
I PATRIOTI.
LE DONNE.
LE FEMMINISTE.
GLI OMOSESSUALI ED I TRANS.
LE SPIE.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA GUERRA DELLE MATERIE PRIME.
LA GUERRA DELLE ARMI CHIMICHE E BIOLOGICHE.
LA GUERRA ENERGETICA.
LA GUERRA DEL LUSSO.
LA GUERRA FINANZIARIA.
LA GUERRA CIBERNETICA.
LE ARMI.
INDICE NONA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA DETERRENZA NUCLEARE.
DICHIARAZIONI DI STATO.
LE REAZIONI.
MINACCE ALL’ITALIA.
INDICE DECIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
IL COSTO.
L’ECONOMIA DI GUERRA. LA ZAPPA SUI PIEDI.
PSICOSI E SPECULAZIONI.
I CORRIDOI UMANITARI.
I PROFUGHI.
INDICE UNDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
I PACIFISTI.
I GUERRAFONDAI.
RESA O CARNEFICINA?
LO SPORT.
LA MODA.
L’ARTE.
INDICE DODICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
PATRIA BIELORUSSIA.
PATRIA GEORGIA.
PATRIA UCRAINA.
VOLODYMYR ZELENSKY.
INDICE TREDICESIMA PARTE
La Guerra Calda.
L’ODIO.
I FIGLI DI PUTIN.
INDICE QUATTORDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’INFORMAZIONE.
TALK SHOW: LA DISTRAZIONE DI MASSA.
INDICE QUINDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA PROPAGANDA.
LA CENSURA.
LE FAKE NEWS.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CRISTIANI CONTRO CRISTIANI.
LA RUSSOFOBIA.
LA PATRIA RUSSIA.
IL NAZIONALISMO.
GLI OLIGARCHI.
LE GUERRE RUSSE.
INDICE DICIASSETTESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CHI E’ PUTIN.
INDICE DICIOTTESIMA PARTE
SOLITI PROFUGHI E FOIBE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…le Foibe.
Lo sterminio comunista degli Ucraini.
L’Olocausto.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli Affari dei Buonisti.
Quelli che…Porti Aperti.
Quelli che…Porti Chiusi.
Il Caso dei Marò.
Che succede in Africa?
Che succede in Libia?
Che succede in Tunisia?
Cosa succede in Siria?
L’ACCOGLIENZA
SESTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.
L'Esercito. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'esercito (lat. exercitus, "esercizio", in seguito "esercizio militare") è una forza armata creata da uno Stato o da un'organizzazione per svolgere compiti militari principalmente terrestri.
Gli eserciti delle monarchie e degli imperi dell'antico Oriente (IV millennio - VI secolo a.C.) in genere erano costituiti da una parte scelta, permanente, legata da vincoli etnici o di altra appartenenza, e da una parte raccogliticcia, composta dalle masse dei popoli vinti e assoggettati. Nell'età micenea (secc. XV-XII a.C.) gli eserciti della Grecia avevano carattere gentilizio. Solo i sovrani e i loro compagni disponevano dei carri e delle costose armature in metallo, e il loro combattimento spesso risolveva la battaglia; la massa degli altri soldati, armata alla meglio, aveva un ruolo marginale.
Nei secoli successivi, lo sviluppo delle condizioni economiche e il perfezionamento della metallurgia consentirono a un numero sempre maggiore di cittadini di disporre delle armi pesanti; gli eserciti nobiliari vennero sostituiti da nuovi ordinamenti, nei quali gli opliti (fanti con armatura pesante) costituivano la forza principale. Raggruppati a massa, essi componevano la falange, tipica formazione dell'età greca classica, la cui comparsa segnò la decadenza della cavalleria. A Sparta l'esercito era costituito da un nucleo permanente, formato dagli spartiati o eguali (cittadini con pieni diritti civili), i quali, sottoposti a una rigida disciplina fin dall'infanzia, erano obbligati al servizio militare dai 20 ai 60 anni; prestavano servizio nell'esercito anche i perieci (cittadini liberi senza diritti civili) e, in caso di bisogno, gli iloti (schiavi). L'esercito degli opliti spartani era suddiviso in 5 mórai (letteralmente, «divisioni»), che comprendevano da 400 a 900 uomini, a loro volta suddivise in lóchoi, pentecostie, enomotie (queste ultime composte da 15 o 32 o 36 uomini).
Ad Atene, dopo le riforme di Solone, tutti i cittadini, suddivisi in quattro classi a seconda del censo, avevano l'obbligo del servizio alle armi; le prime tre classi fornivano gli uomini per la cavalleria e la fanteria pesante, la quarta, a spese dello stato, quelli per la fanteria leggera. Dopo le riforme di Clistene, ognuna delle 10 tribù territoriali era tenuta a fornire una schiera contingentale di cavalieri. Ogni cittadino era obbligato al servizio militare dai 18 ai 60 anni di età. L'esercito era comandato dapprima da un arconte polemarco e, in epoca classica, dagli strateghi. I corpi forniti dalle tribù territoriali erano agli ordini di un tassiarco, che veniva eletto e che a sua volta nominava i lochagoí, capitani di singole compagnie di 100 uomini. La cavalleria era raggruppata in 2 contingenti, ciascuno fornito da 5 tribù e comandato da un ipparco; il suo impiego si ebbe soprattutto dopo la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.); si diffuse inoltre l'impiego di mercenari, che integravano le unità permanenti «nazionali».
Al tempo di Filippo II di Macedonia e di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), l'esercito comprendeva la cavalleria pesante dei nobili «compagni del re» (eteri), la cavalleria leggera (peoni), la fanteria pesante (pezeteri) ordinata in compatte falangi armate di lunghe lance (sarisse), la fanteria leggera e altri corpi tra loro organicamente integrati (come gli arcieri). Nonché macchine da guerra. L'esercito macedone fu la più complessa macchina militare fino ad allora costituita. I reparti erano inquadrati da un vero e proprio corpo di ufficiali, istruiti e preparati da apposite scuole (somatofilachie). Sul piano tattico, Alessandro riuscì a sfruttare appieno questo complesso strumento militare, puntando sulla forza d'urto del cavalleria pesante, attaccando con la fanteria in ordine obliquo (tattica peraltro già impiegata da Epaminonda) e sfruttando poi a fondo ogni successo con inseguimento senza respiro.
Caratteristiche generali.
Ci sono, e ci sono stati, molti tipi diversi di esercito in tempi e in luoghi diversi, in tutti però si possono ritrovare alcune costanti fondamentali:
La struttura gerarchica, piramidale: la massa delle truppe è divisa in unità e in sottounità, con un comandante che comanda ciascuna unità e i comandanti delle unità componenti la sua, fino ad un comandante in capo di tutto l'esercito.
La disciplina e l'obbedienza agli ordini come valori fondamentali.
Salvo casi particolari, le operazioni dell'esercito hanno luogo sulla terraferma: le operazioni sul mare e nel cielo vengono delegate alle altre forze armate, la marina militare e l'aeronautica militare, coordinando le azioni delle tre strutture (cooperazione interforze). Questa divisione non è netta: ognuna di queste tre forze ha, solitamente, unità minori in grado di svolgere limitate operazioni al di fuori del suo campo d'azione principale. Per esempio la marina militare ha spesso delle unità di fanteria (come i marines,in italia detti "marò"), l'esercito ha in genere delle unità di aviazione leggera e l'aeronautica,non in tutti gli stati, ha delle unità di terra(paracadutisti)
Tipologia.
Esercito professionale.
Gli eserciti professionali si sono sviluppati - come quelli di leva - durante tutto l'arco della storia, in particolare tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI secolo. A seconda del tipo di società e di civiltà, il servizio militare era svolto o soltanto da alcuni cittadini (caste guerriere) o da tutti i cittadini, che prestavano servizio militare per un tempo ben definito. A seconda del censo e/o delle possibilità economiche, e quindi delle armi che potevano procurarsi, i soldati venivano suddivisi nelle varie armi, fanti leggeri o pesanti, arcieri, frombolieri o cavalieri: quest'ultima arma era destinata ai più ricchi, che potevano permettersi di comprare e mantenere un cavallo. L'esercito per eccellenza considerato ancora oggi il più potente è la legione romana, seguito dalla falange macedone.
Esercito nobiliare
Era costituito soprattutto dai nobili e i loro figli, che in genere combattono a cavallo (essendo gli unici a poterselo permettere), ed era molto diffuso durante l'età feudale. Gli aristocratici erano generalmente accompagnati da fanteria reclutata fra i servi della gleba del feudo, truppe raccogliticce e poco motivate. La cavalleria assume ora un ruolo di primo piano, componendosi di cavalieri con armature in ferro, indossate spesso anche dai cavalli. Le nuove formazioni di cavalleria pesante si dimostrano di una potenza devastante, molto superiori alle formazioni di fanteria dell'epoca: per tutto il medioevo e ancora per buona parte dell'evo moderno fin quasi alla rivoluzione francese, l'esito delle battaglie fu deciso dalle cariche delle unità di cavalleria.
Esercito di leva.
Questo tipo di forza armata è stato il più utilizzato e conosciuto nella storia; sviluppati gradualmente con l'affermazione degli Stati nazionali, tramite l'istituto della coscrizione. Caratteristiche erano il non eccellente equipaggiamento materiale, talvolta poco e/o male addestrato, male equipaggiato ma estremamente numeroso e continuamente rinforzato da nuovi effettivi.
Struttura degli eserciti moderni.
Esistono molti compiti da svolgere in un combattimento moderno: ed inoltre, per la sua stessa estensione un esercito pone dei problemi logistici e gestionali di tutto rispetto, tanto che lo studio dei problemi organizzativi dell'esercito americano durante la seconda guerra mondiale diede vita ad una scienza interamente nuova, la ricerca operativa.
Un esercito è tipicamente organizzato in "armi", cioè in branche di combattenti addetti a diverse classi di armamento, e di diversi tipi di "corpi", cioè di addetti a mansioni logistiche, organizzative e di supporto ai combattenti.
Armi.
L'arma più antica, e la pietra angolare di ogni esercito, è la fanteria, composta da soldati con armi e artiglieria leggere (fucili mitragliatori e mortai): segue la cavalleria, che oggigiorno ha abbandonato i cavalli a favore dei carri armati, l'artiglieria per il supporto al combattimento delle due forze precedenti con cannoni e obici. Oltre a queste forze strettamente impegnate nel combattimento, ci sono il genio per costruire ponti e strade di fortuna, togliere reticolati e campi minati, demolire strutture eccetera, le trasmissioni che si occupa del cosiddetto C3I, cioè le funzioni di Comunicazione, Comando, Controllo e Informazione, vitali per un esercito moderno. Ultima viene l'arma dei trasporti e materiali, che fornisce la logistica con mezzi e materiali per lo spostamento o il dispiegamento delle unità e, infine, l'aviazione che offre supporto alle unità terra, durante le operazioni di pattugliamento o rastrellamento: supporto tattico, supporto di fuoco o anche di artiglieria aerea.
Corpi.
Gli aspetti burocratici della macchina militare sono curati dal Corpo di Commissariato dell'Esercito (il 19 novembre si festeggia l'anniversario della costituzione dell'Intendenza dell'Armata Sarda 1796), mentre il Corpo sanitario dell'Esercito Italiano, che comprende anche eventuali sezioni veterinarie, si occupa delle strutture mediche e delle misure sanitarie. Il Corpo degli ingegneri dell'Esercito invece è deputato a sperimentare e mettere alla prova procedure, armi ed equipaggiamenti allo scopo di trovare carenze e proporre rimedi e nuove soluzioni ad esse, nonché di modificare le procedure inadatte o inefficaci.
Gerarchia, unità e gradi militari.
Gli uomini e i mezzi di qualunque esercito sono suddivisi in unità, comandate da un ufficiale che ne è il comandante e ne ha la responsabilità; a sua volta ogni unità è divisa in più sottounità comandate da ufficiali di grado via via inferiore. L'unità più grande è l'armata, comandata da un generale di corpo d'armata, composta di due o tre corpi d'armata, ciascuno dei quali formato da due-quattro divisioni, per un totale di più di 100.000 uomini, mentre la più piccola è il plotone, composto di 30-50 soldati comandati da un tenente.
Nelle varie unità, a seconda della grandezza e dello scopo, si possono ritrovare sottounità appartenenti ad armi e corpi diversi (fanteria, artiglieria ecc.): più una unità è grande e più armi e corpi diversi saranno presenti al suo interno, rendendola sempre più versatile ed autonoma. Al livello più alto, la divisione è l'unità che contiene sottounità di tutte le armi e di tutti i corpi ed è perciò completamente autonoma sia per il combattimento che per l'amministrazione e la logistica. La divisione è perciò, organizzativamente, la misura di un esercito completo: cioè il numero di effettivi (soldati, ufficiali ecc.) di una divisione segna la dimensione minima al di sotto della quale, in linea di principio, un esercito non può ridursi senza dover rinunciare a qualche funzione.
Suddivisione delle unità e i loro comandanti
Vediamo ora le varie unità e i gradi dei loro comandanti. La composizione esatta delle unità è molto variabile a seconda del tipo di unità, dell'esercito considerato e del periodo storico: quindi i dati forniti qui sotto sono, per forza di cose, solo indicativi.
Gruppo d'armate
Armata (generale d'armata)
Corpo d'armata (generale di corpo d'armata): 50.000-100.000 uomini, due o più divisioni.
Divisione (generale di divisione): 8.000-15.000 uomini, due o più brigate o reggimenti (generalmente tre brigate pluriarma, per gli eserciti occidentali, in altri casi possono esservi tre reggimenti monoarma).
Brigata (generale di brigata): 3.000-8.000 uomini, unità pluriarma con due o più reggimenti o battaglioni di specialità anche diverse.
Reggimento (colonnello): circa 1.500 uomini, unità monoarma con due o più battaglioni (in alcuni eserciti, quali l'italiano ed il francese, il reggimento può essere costituito da più compagnie oppure una compagnia comando ed un battaglione. Alcune unità particolari fanno eccezione, ad esempio alcuni rgt trasmissioni hanno più battaglioni, come pure taluni reggimenti logistici.
Battaglione (tenente colonnello o maggiore): da 300 a 1200 uomini, due o più compagnie (in alcuni eserciti, quali l'italiano ed il francese, il reggimento ha sostituito il battaglione assumendone i connotati e le dimensioni).
Compagnia (capitano o tenente): 100-150 uomini, tre o più plotoni. È affiancato da un Aiutante di compagnia (1º maresciallo o Luogotenente) che esplica le funzioni di sottufficiale di compagnia.
Plotone (sergente maggiore, maresciallo maresciallo ordinario maresciallo capo o tenente): da 20 a 50 soldati, tre o più squadre.
Squadra (sergente): da 5 a 13 soldati.
Inoltre, e questo vale soprattutto per le unità più grandi, alle sottounità componenti possono essere aggiunte sottounità di livello gerarchico più basso, ma allo stesso livello delle sottounità maggiori: una divisione può avere, al primo livello di sottounità, sia le brigate che una compagnia del corpo sanitario e una di polizia militare, per esempio.
Esercito Italiano. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'Esercito Italiano (EI) è la componente terrestre delle forze armate italiane, delle quali fanno parte anche la Marina Militare, l'Aeronautica Militare e l'Arma dei Carabinieri, tutte dipendenti dal capo di stato maggiore della difesa e inserite nel ministero della difesa.
Nato come Regio Esercito nel 1861 in occasione dell'Unità d'Italia dal nucleo della Armata Sarda, assunse la denominazione attuale dopo la nascita della Repubblica Italiana avvenuta nel 1946. Terminata la fase di transizione del secondo dopoguerra, periodo durante il quale alcune unità erano ancora sotto il controllo Alleato, l'ingresso dell'Italia nella NATO comportò per l'Esercito una riorganizzazione e un ammodernamento in funzione di contrasto a un'eventuale azione militare da parte delle forze del Patto di Varsavia. I mutevoli scenari a livello internazionale hanno fatto sì che l'Esercito Italiano partecipasse inoltre a varie missioni di pace sotto egida ONU o NATO, quale ad esempio la missione Ibis in Somalia cominciata nel 1992 nell'ambito della missione UNITAF o l'UNMIBH in Bosnia ed Erzegovina, durata dal 1995 al 2002.
Con l'avvento del XXI secolo l'Arma dei Carabinieri che prima faceva parte dell'esercito, nel 2000 ha assunto il rango di forza armata; l'emanazione poi della legge 23 agosto 2004, n. 226 ha determinato la sospensione alle chiamate del servizio militare obbligatorio a partire dal 2005 accanto a un processo di riforma generale accompagnato da una progressiva riduzione di effettivi.
Subito dopo l'unità d'Italia nel 1861, venne costituito il Regio Esercito italiano, che nacque dalla fusione dell'"Armata Sarda" con gli altri eserciti operativi nei vari stati preunitari italiani; la denominazione venne stabilita il 4 maggio 1861, con decreto (nota n. 76 del 4 maggio 1861) del Ministro della guerra Manfredo Fanti.
Da allora il Regio Esercito ha partecipato alla Terza guerra di indipendenza, alle campagne coloniali, alla prima guerra mondiale, alla guerra d'Etiopia, quindi alla Seconda guerra mondiale, dal 1940 dalla parte dell'Asse e dopo l'8 settembre 1943 dalla parte degli Alleati.
L'esercito cobelligerante e la nascita della Repubblica.
L'esercito repubblicano nacque dall'Esercito cobelligerante italiano, dopo la proclamazione della Repubblica il 2 giugno 1946. La sua base consisteva nel Corpo italiano di liberazione, che aveva partecipato alla campagna d'Italia al fianco delle forze Alleate contribuendo alla liberazione del territorio nazionale. Dopo la cessazione delle ostilità, la Missione Militare Alleata il 14 novembre 1945 stabilì le norme alle quali il nuovo esercito, detto "di transizione", doveva attenersi. La struttura doveva rimanere quella stabilita fino alla firma del trattato di pace. I cinque Gruppi di Combattimento che erano stati costituiti via via che le forze Alleate avanzavano divennero altrettante divisioni binarie, cioè formate da due reggimenti (solo di fanteria): Divisione fanteria "Friuli", "Cremona", "Legnano", "Folgore" e "Mantova".
A queste si aggiungevano tre divisioni di sicurezza interna, la "Aosta", la "Reggio (originariamente "Sabauda") e la "Calabria" cui si aggiungevano altri dieci reggimenti di cui tre alpini, portando la forza complessiva di quelle che venivano denominate "forze mobili e locali" a 90 000 uomini.
Altre componenti dell'esercito di transizione erano l'Organizzazione centrale e undici comandi militari territoriali che dovevano sostituire le funzioni dei preesistenti comandi di corpo d'armata in tempo di pace, per complessivi 9.000 uomini; l'amministrazione, comprendente le unità dei servizi con altri 31.000 uomini; la componente detta "Addestramento e complementi" che raggruppava il Centro Addestramento Complementi di Cesano e le scuole militari, per complessivi 10.000 uomini, che portavano il totale a 140.000 uomini. Alcuni reparti, consistenti in una divisione, sei raggruppamenti e due gruppi di battaglioni (equivalenti a reggimenti) rimanevano ancora sotto il comando Alleato.
L'organizzazione addestrativa di base era affidata ai comandi militari territoriali, attraverso i Centri addestramento reclute (CAR), con un organico a livello di reggimento, mentre l'addestramento avanzato veniva svolto dalle scuole militari. Inoltre ai comandi territoriali veniva assegnato un reggimento operativo in modo da garantire una presenza diffusa sul territorio, tranne in Sicilia nella quale i compiti di vigilanza vennero assegnati a due divisioni di sicurezza, visti i problemi legati alle tendenze separatiste dell'isola.
Nel 1946 le tre divisioni per la sicurezza interna vennero trasformate in unità operative, con l'aggiunta di un gruppo di artiglieria e un gruppo squadroni di cavalleria blindata (con cingolette CV35) della ricostituita Arma di cavalleria, e questa fu la struttura definitiva dell'Esercito di Transizione alla firma del trattato di Parigi nel 1947.
Gli anni cinquanta.
Dopo la fase di transizione, con l'accettazione dell'Italia nella NATO, le forze armate vengono rinforzate e riarmate, con un consistente concorso degli Stati Uniti d'America in termini di mezzi; la dottrina di impiego e l'addestramento vengono uniformati agli standard dell'alleanza, e vengono tenute regolarmente esercitazioni congiunte.
Bandiera della NATO.
La consistenza dei reparti operativi cresce fino a raggiungere dieci divisioni di fanteria e tre corazzate ("Ariete", "Centauro" e "Pozzuolo del Friuli") cui si aggiungevano cinque brigate alpine. Nel 1954 la struttura di comando fu organizzata su due armate e cinque corpi d'armata, cui si aggiungeva il "Corpo per la sicurezza della Somalia", paese affidato all'Italia per mandato fiduciario dalle Nazioni Unite fino al 1956; di conseguenza, il corpo venne sciolto nello stesso anno.
Con il concretizzarsi della minaccia di invasione da parte del Patto di Varsavia viene definita dalla NATO la dottrina di difesa avanzata, che in Italia portò alla denominazione della "soglia di Gorizia" come linea di difesa alla quale doveva essere idealmente fermata l'eventuale invasione e al miglioramento ed estensione del Vallo Alpino, sistema di fortificazioni inizialmente concepito sotto il fascismo per contrastare una minaccia proveniente dalla Germania e successivamente ripristinato dall'inizio degli anni cinquanta fino al 1992, sotto il presidio di reparti appositamente dedicati allo scopo: Alpini d'arresto e Fanti d'arresto. Nacque la III Brigata missili che, dotata di missili "Honest John" prima (trentadue lanciatori) e "Lance" poi, acquisì la capacità di lancio di testate tattiche nucleari.
Gli anni settanta - la riforma.
Nel 1975 l'Esercito Italiano è stato interessato da una delle più radicali riforme della sua storia. La riforma venne promossa dal generale Andrea Cucino, che diventato capo di stato maggiore dell'esercito il 1º febbraio 1975, ordinò una revisione immediata della struttura della forza armata. Dopo due mesi dal suo insediamento, Cucino e il suo staff presentarono un piano per ristrutturare l'intera forza armata e dopo aver assicurato ulteriori 1.100 miliardi di lire in dieci anni per modernizzare l'equipaggiamento dell'esercito, ordinò che la riforma avesse inizio il 1º settembre 1975; il 31 dicembre 1975 la riforma era conclusa e gli organi, le unità, la dottrina, l'addestramento e l'organizzazione dell'esercito erano stati radicalmente modificati. Tra gli aspetti più rilevanti della riforma l'abolizione del livello reggimentale, con i battaglioni autonomi all'interno delle brigate. Dopo la riforma le unità operative erano pronte al 93%, con la Divisione corazzata "Ariete" pronta al 100% così come il Comando di artiglieria antiaerea.
Gli anni ottanta-novanta e le missioni internazionali.
Con l'inizio degli anni ottanta l'esercito ha affrontato, dal 1980 al 1982, la sua prima missione armata (cioè non limitata alla sola presenza di osservatori) all'estero, la Missione Italcon, durante la guerra in Libano come forza di pace. Durante la missione, effettuata congiuntamente con forze di altri paesi NATO tra i quali Stati Uniti e Francia, il contingente ha guadagnato la fiducia delle parti contrapposte, riuscendo a non essere vittima di disastrosi attacchi che invece colpirono le altre forze multinazionali e perdendo alla fine un solo uomo a causa dell'esplosione di una mina.
Nel 1992, dopo le stragi mafiose in Sicilia, fu utilizzato per l'operazione di polizia Vespri siciliani, che durò diversi anni.
La caduta del muro di Berlino e il dissolvimento del Patto di Varsavia diedero una nuova dimensione alle forze armate italiane, non più in funzione esclusivamente difensiva ma anche e soprattutto in supporto alle iniziative di peacekeeping (come viene denominata internazionalmente un'operazione di mantenimento della pace). L'esercito venne infatti schierato nella missione ONU in Namibia (UNTAG, 1989-1990), in Albania e Kurdistan nel 1991, e in Somalia con l'operazione IBIS dal 1992 al 1994, operando nell'ambito dell'UNITAF, una delle operazioni più complesse in teatro estero dalla fine della seconda guerra mondiale. Il contingente italiano, nello svolgere il suo lavoro sul campo somalo, subì un'imboscata che causò la morte di alcuni soldati (battaglia del pastificio). Seguirono la missione ONU in Mozambico (1993-1995, ONUMOZ) e quelle in Bosnia ed Erzegovina (1995-2002, UNMIBH), Timor Est (1999-2000, UNAMET) e Kosovo (1999, UNMIK).
Le riforme degli anni 2000.
A partire dagli anni 1990 l'esercito italiano cominciò ad attraversare una serie di trasformazioni come l'istituzione del ruolo dei volontari in ferma breve (VFB) prima e dei volontari in ferma annuale (VFA) poi. Dall'anno 2000 poi la partecipazione ai concorsi per l'accesso a tutte le FF.AA fu aperta anche alle donne senza alcuna limitazione di impiego, anche in incarichi di combattimento. In quello stesso anno si ebbe poi la separazione funzionale dell'Arma dei Carabinieri dall'esercito, elevata al rango di forza armata, cessando di essere una specialità dell'esercito, e perdendo la tradizionale provenienza del suo Comandante generale dalle file dell'Esercito.
Con la legge Martino del 2004 e la sospensione delle chiamate al servizio militare in Italia, venne avviata un notevole fase di ristrutturazione e ottimizzazione delle risorse soprattutto umane (la forza operativa passò negli anni da oltre 230.000 a circa 102.000) ne è discesa una concezione delle forze armate e una razionalizzazione del loro impiego completamente nuove e molto più agili.
Nel 2013 l'ultima profonda riorganizzazione, razionalizzando in particolare la componente operativa, e con la nascita del Comando delle forze speciali dell'Esercito.
Armi, Corpi e Specialità dell'Esercito.
Armi e specialità.
Le Armi dell'Esercito Italiano sono sei, mentre tra le specialità attive la più antica è quella dei "granatieri", la più giovane quella dei "lagunari":
Arma di Fanteria, con le seguenti specialità:
Fanteria di linea
Granatieri
Bersaglieri
Alpini
Paracadutisti
Lagunari
Arma di Cavalleria, con le seguenti specialità:
Cavalleria di Linea (Dragoni, Lancieri, Cavalleggieri
Carristi
Arma di Artiglieria, con le seguenti specialità:
Artiglieria terrestre (comprende l'artiglieria semovente e da montagna)
Artiglieria contraerei
Arma del genio, con le seguenti specialità:
Pionieri
Pontieri
Ferrovieri
Guastatori
Arma delle Trasmissioni, con le seguenti specialità:
Telematica
Guerra Elettronica
Arma dei Trasporti e Materiali
L'Arma dei Carabinieri fu, fino al 2000, la prima Arma dell'Esercito, e successivamente fu elevata a rango di quarta forza armata italiana.
Corpi .
I Corpi dell'Esercito Italiano sono i seguenti:
Corpo di Commissariato dell'Esercito Italiano
Corpo Sanitario dell'Esercito Italiano
Corpo degli Ingegneri dell'Esercito
Specialità di forza armata.
Aviazione dell'Esercito: è l'unica Specialità della Forza Armata che non appartiene a nessuna Arma o Corpo dell'Esercito ma è formata da personale altamente qualificato proveniente da qualsiasi Arma, Corpo o altra Specialità.
Personale
Roberto Faben per “La Verità” il 9 agosto 2022.
Di Maurizio Cocciolone, aquilano, classe 1960, oggi generale in congedo dell'Aeronautica italiana, gli italiani conservano un lucido, caloroso ricordo. Nel gennaio 1991, nella guerra del Golfo, il Tornado su cui era in missione, addetto ai sistemi di navigazione e armamento accanto al pilota Gianmarco Bellini, fu colpito dalla contraerea irachena a Kuwait City. Dopo la cattura, seguì un lungo, terribile periodo di prigionia.
Dove vive ora?
«Da qualche anno mi divido tra l'Italia e il Brasile, L'Aquila, Roma e Maceió, capitale dello stato di Alagoas, per stare vicino ai miei figli Andrea, Silvia e Alessandro, alla mia cara mamma Gemma, e alla mia famiglia brasiliana con la mia dolce piccolina, Asia Gemma Nicole, e la sua mamma Willy Rose».
Da quando si è trasferito in Brasile e perché questa decisione?
«Da quando mi hanno posto in congedo, nel 2012, per le infermità riportate in servizio.
Ho deciso di riunirmi, in Brasile, con mio fratello Paolo, per dargli una mano nelle sue attività. Il mio congedo, purtroppo, è coinciso con la fine del mio matrimonio con la mia cara Adi, la mamma di Andrea, Silvia e Alessandro.
È stato un momento molto difficile per me, con un distacco precoce dall'Aeronautica, subito dopo una dolorosa separazione quando ero già profondamente avvilito per la quasi totale distruzione della mia amata città (sisma dell'Aquila, 2009, ndr.)».
Ha in progetto di tornare in Italia in futuro?
«Amo la mia patria e, tra qualche anno, con certezza, tornerò a passare la quasi totalità del mio tempo in Italia, a L'Aquila, con Asia e Willy».
Come si trova in Brasile?
«Vivo nella regione Nord Est, in area tropicale, una parte povera ma in forte sviluppo.
Una vita semplice, tra le faccende di famiglia e la cura di Asia, dopo qualche anno trascorso nel costruire la nostra casa, letteralmente con le mie mani».
La decisione di arruolarsi in Aeronautica come nacque?
«Non sono un "figlio d'arte", provengo da una famiglia di operai tutta lavoro, casa e chiesa.
Sin dall'infanzia ho avuto due grandi passioni, l'architettura e il cielo. Mi perdevo tra le facciate di chiese a L'Aquila e le scie degli Starfighters, gli F104 della Lockheed.
Un giorno vidi su un manifesto l'annuncio di un concorso per entrare in Accademia aeronautica. Era il mio sogno. Senza dire nulla ai miei, feci domanda. Salii sul trenino semivuoto L'Aquila-Napoli, feci visite mediche, test, il concorso. Lo vinsi, uno dei momenti più belli della mia vita. Avevo 19 anni. Nel 1986-87 credo, mi ritrovai anch' io in quel manifesto, perché qualcuno ebbe l'idea di mettere una mia foto, mentre salivo su un Tornado nella base di Ghedi».
Immaginava che un giorno sarebbe stato coinvolto in un'azione bellica a elevatissimo rischio?
«Guardi, ho sempre preso molto seriamente il mio ruolo di soldato. Ho vissuto i miei primi anni al 6° Stormo di Ghedi in un ambiente da Guerra fredda: allarmi, esercitazioni, attività di volo negli orari più impensati. Finita la Guerra fredda, incredibilmente le cose sono peggiorate e ci siamo ritrovati ad Abu Dhabi. Eravamo motivati, ma pensavamo sarebbe stata solo un'operazione di dissuasione».
Quanto tempo prima, lei e Bellini, foste avvertiti della vostra missione?
«L'operazione "Locusta", parte aeronautica della "Desert Storm", impegnava tutti e tre gli Stormi caccia bombardieri nazionali, il 6°, il 36° e il 50°. Gli equipaggi avevano lo stesso livello addestrativo.
Pertanto, all'arrivo, dal comando operativo di Riad, del task order, poche ore prima dell'orario di decollo da Abu Dhabi, furono comunicati velivoli, equipaggi e obiettivi della missione. Tutti eravamo pronti».
Da quanti aerei era composta la squadriglia che doveva colpire il deposito di mezzi militari e vettovagliamenti a nord-ovest di Kuwait City controllato dagli iracheni?
«Quella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, da poco scaduto l'ultimatum imposto a Saddam Hussein, partimmo in otto velivoli, ma solo sette terminarono le operazioni di decollo in condizioni di procedere e ci ritrovammo subito orfani del capo formazione. Poco dopo anche un altro velivolo ebbe problemi tecnici».
Nonostante le proibitive condizioni meteo, il vostro Tornado si rifornì in volo di carburante. Come riusciste? Fortuna o abilità?
«Dopo il decollo e il ricongiungimento in formazione, calò un silenzio affogato nel buio pesto, nessuna comunicazione radio. Mi concentrai, certo di essere dalla parte giusta. Le barbarie e atrocità viste ai tg non ammettevano dubbi.
La missione prevedeva due rifornimenti. Le cisterne volanti erano la nostra sola possibilità. Ma si avvicinavano fulmini e la turbolenza cresceva.
Eravamo rimasti in due. Il capo coppia si agganciò, ma per poco. La situazione per noi era critica. Dopo alcuni tentativi, Gianmarco riuscì a prendere carburante minimo per toglierci dall'emergenza, pur insufficiente per proseguire la missione. Il capo coppia dovette rientrare alla base. Servirono abilità e fortuna, ma poi seguì la sventura».
Che successe dopo lo sganciamento delle bombe sull'obiettivo?
«Dopo circa due ore, scesi a bassissima quota, circa 30 metri dalle onde, e poi a pochi metri dalle dune per sfuggire ai radar, colpimmo l'obbiettivo che esplose dietro di noi illuminando a giorno la notte.
Si scatenò l'inferno e, seppure quasi alla velocità del suono e rasenti la sabbia, le difese antiaeree, guidate dalle fiamme dell'esplosione e dei post-bruciatori dei nostri motori, mitragliarono il cielo dappertutto. A nulla valsero le manovre evasive e i fiotti di chaff eiettati a tutta forza. Un urto violento scosse il velivolo. A quella velocità e a quella quota, 2 o 3 secondi significavano la differenza tra la vita e la morte».
E a quel punto?
«Non potemmo far altro che azionare i seggiolini eiettabili e sperare nella buona sorte, non ci fu tempo di pregare né di pensare, una forza sette volte la gravità terrestre ci schiacciò le vertebre e il collo e un muro d'aria gelida squassò il viso infiltrandosi sotto la visiera del casco e la maschera d'ossigeno. Per un miracolo non incrociammo ostacoli o proiettili prima dall'apertura dei paracadute».
Quando foste a terra, che accadde?
«Fummo subito catturati dalle forze irachene, ancora spavalde nel secondo giorno di guerra. Fu l'ultima volta che vidi Gianmarco, da lì in poi sempre in celle separate. Ma lo sentivo urlare, e così mi tranquillizzai. Era vivo».
Cosa ricorda delle violenze subite?
«Dopo pestaggi e torture, con la punta della lingua e il braccio sinistro penzoloni e inerti, fummo trasferiti prima in una prigione da campo maleodorante, dove mi fu ricucita la lingua e sostituita la tuta da volo con i pigiami gialli marcati Pow. Poi, nel locale delle interviste. Poi, in una fortezza di cemento armato che, seppi dopo, era nel cuore di Bagdad.
Fummo sempre in isolamento, in una cella senza finestre due metri per tre, al buio e al gelo, con una ciotola di brodaglia e un mestolo d'acqua sporca a giorni alterni. Una notte, allo stremo e ridotto quasi a uno scheletro, quattro bombardieri Stealth centrarono le fondazioni dell'edificio ma la fortezza non collassò e la grata d'acciaio della cella esplose, sfiorandomi la testa.
Immaginai che stessero evacuando l'edificio, ma non trovarono le chiavi della mia cella. Tentai di salire sul water per fuggire dalla finestra senza grata, ma il water si sbriciolò. Non chiusi occhio, pregai».
Tutti ricordiamo quell'interrogatorio visto in tv
«Fu una farsa. Le domande erano preannunciate e le risposte provate, prima delle riprese. Speravo solo che i nostri genitori le vedessero, sapendo così che eravamo vivi. Ebbi la sensazione di aver a che fare con personaggi incompetenti, che non sapessero cosa chiedere. In realtà mi apparvero subito come povera gente, vittime di una situazione cui non erano preparati».
Come avvenne la sua liberazione da quella prigione pericolante?
«Il pomeriggio successivo, un manipolo di soldati scardinò la porta e mi portò via. Ero in stato semicomatoso. Dopo un'ora mi tolsero il cappuccio nero e mi ritrovai in una piccola stanza scura con altri prigionieri americani e un colonnello della forza aerea del Kuwait. Ebbi solo la forza di abbandonarmi sul pavimento.
Fui nutrito e dissetato e due giorni dopo ci portarono in uno spazio all'aperto dove fummo consegnati alla Croce Rossa e trasferiti in Giordania via pullman, dopo aver attraversato le macerie di Bagdad».
Dopo la guerra del Golfo ha partecipato ad altre operazioni militari?
«Dopo una lunga convalescenza, nonostante i rilevanti danni fisici riportati, superai le visite mediche e ripresi l'attività di volo. Fui trasferito in Germania, per tre anni, sull'Awacs, a supporto delle operazioni nei Balcani. Nel 2005, fui incaricato di pianificare l'attivazione dell'aeroporto e della base Nato di Herat (Afghanistan, ndr.).
Poi comandante della Task force Aquila, sempre a Herat. Mai come allora, responsabile di centinaia di soldati, sotto i colpi di mortaio, dopo attentati e attacchi suicidi, con il popolo afghano alla fame che ci chiedeva cibo, cure e protezione, ho provato orgoglio per il mio lavoro».
Come giudica la seconda guerra del Golfo? Che ha pensato quando Saddam Hussein fu giustiziato mediante impiccagione?
«Ancor oggi non sono certo di quale sarebbe stata la cosa giusta da fare, lasciare al popolo iracheno il fardello di liberarsi da una feroce tirannia oppure intervenire. Probabilmente non ci sono risposte giuste. Neppure l'esecuzione di Saddam mi ha aiutato a capire.
Vedendolo dinoccolarsi verso la forca come un innocuo fantoccio, la pietà per un essere vivente si alternava alla voglia di giustizia per le migliaia di vittime torturate e trucidate senza alcun rimorso».
In quell'interrogatorio disse che «la guerra è il modo sbagliato per risolvere un problema politico». Cosa pensa della guerra russo-ucraina e della decisione italiana di dare supporto militare e armi all'Ucraina?
«Quella dichiarazione, pur forzata, non mi trovava in disaccordo. La diplomazia è lo strumento da utilizzare nelle varie circostanze, ma purtroppo essa trova un limite nell'aggressività umana. Ritengo sia un dovere assicurare ai popoli oppressi il supporto necessario contro dittatori e aggressori, con Onu, Nato e Ue punti di riferimento per l'Italia».
"Io, tiratore scelto, vi racconto l'orgoglio nel salvare le persone". Sofia Dinolfo il 15 Luglio 2022 su Il Giornale.
Un'attività piena di rischi che necessita molta preparazione fisica e mentale. Il maresciallo maggiore Massimo Vicini racconta la sua esperienza a IlGiornale.it.
Un lavoro particolare, che diviene fondamentale in quei momenti di estrema delicatezza in cui si gioca tutto. Stiamo parlando dell’attività del tiratore scelto, la cui specializzazione vede questo professionista coinvolto in interventi diretti a interrompere un sequestro oppure azioni di fuoco di un folle o di un terrorista nei confronti di una o più persone.
Il suo ruolo richiede elevate capacità che vanno da una notevole competenza di carattere tecnico a un ottimo equilibrio psico-fisico, necessari per misurare le distanze, dirigere il tiro in condizioni di alta tensione senza mai cedere a stanchezza fisica o mentale. Come si prepara il tiratore scelto per lo svolgimento del suo lavoro? Ce lo spiega su IlGiornale.it il maresciallo maggiore Massimo Vicini il quale puntualizza che “Il possesso di determinati requisiti uniti a un’ottima preparazione fisica sono fondamentali".
Partiamo da una distinzione basilare. Che differenza c’è tra il Police Sniper e il Military Sniper?
“I due compiti hanno certamente in comune le basi che riguardano l’utilizzo e l’impiego dell’arma di precisione in dotazione, ma i differenti impieghi richiedono caratteristiche priorità, responsabilità e rischi diversi. Il Police Sniper opera di massima in un contesto urbano ove vi sono numerosi civili da salvaguardare. Il Military Sniper sovente opera in teatro di guerra a fronti contrapposti. Dunque correndo maggiori rischi”.
Quali sono le attività che un tiratore scelto svolge quotidianamente per tenersi in forma?
“È richiesta una ottima preparazione fisica e il possesso di particolari requisiti. Sicuramente al Military Sniper può essere richiesta maggiore prestanza fisica, vista la necessità di infiltrarsi in ambiente ostile, anche percorrendo lunghe distanze, trasportando anche il necessario al sostentamento per un periodo di permanenza medio lungo”.
Quanta resistenza si può richiedere in termini di ore durante un intervento? Fino a quanto si può arrivare?
“Il primo ricarico chiesto al tiratore scelto è quello di osservazione del proprio settore di tiro, comunicando o ingaggiando quanto prima l’eventuale minaccia individuata. Tale servizio richiede resistenza fisica e mentale che viene incrementata grazie all’addestramento. Il Police Sniper, al fine di garantirne la massima efficienza, ha maggiori probabilità di essere sostituito dopo un periodo di servizio medio lungo pari a 8/10 ore giornaliere. Il Military Sniper, in considerazione del luogo di impiego (teatro operativo sovente infiltrato in territorio nemico), raramente può ricevere il cambio sul posto per motivi tattico/operativi. Quindi il suo impiego nel luogo di osservazione può avere durate maggiori”.
Quanto conta il “peso" della responsabilità durante un intervento? Lo si avverte? O in quel momento si pensa soltanto ad agire?
“Il carabiniere, all’atto dell’arruolamento, viene sottoposto a visite psicoattitudinali al fine di verificare la sua idoneità. Lo stesso, dal momento del suo arruolamento, è cosciente delle proprie responsabilità convivendoci. Allo stesso modo, durante un’operazione, deve gestire le proprie reazioni emotive al fine di rimanere lucido. Il tiratore scelto viene sottoposto a un'ulteriore visita medica e psicoattitudinale per accertarne la specifica idoneità a svolgere tale particolare servizio. Tali selezioni, molto severe, hanno lo scopo di individuare tutta una serie di peculiarità caratteriali che mal si conciliano con l’incarico (impulsività, emotività e così via). Sicuramente, il 'peso' della responsabilità lo si avverte, ma questo rafforza la fermezza e la concentrazione nello svolgere il proprio servizio, con la consapevolezza che un eventuale errore può essere fatale”.
"Il filibustiere del Carnaro”: biografia sul marinaio Gino Pontipò, co-inventore dei MAS.
Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 31 marzo 2022
Andrea Cionci
Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore
"Beato quel paese che non ha bisogno di eroi". Difficile trovare una frase storica più stupida di quella di Brecht, dato che gli eroi stanno al culto della Patria come i santi alla religione: sono d egli esempi, dei modelli realmente vissuti da seguire e da cui trarre ispirazione. Quelle vite particolari, estreme, a volte, che ci dicono: "è possibile essere così, potete farlo anche voi".
Salutiamo quindi con favore una biografia interessante, quella di Marco Montipò, saggista di storia locale che ha scritto il libro "Gino Montipò Il filibustiere del Carnaro" già presentato al Vittoriale di d'Annunzio.
L'autore, incuriosito per l'omonimia, ha ricostruito la storia di questo grande marinaio che purtroppo, per troppo tempo, è rimasto nel dimenticatoio.
Classe 1879 e originario di Sassuolo (MO), allo scoppio della Grande Guerra era un marinaio di professione che, già reduce della Campagna di Libia 1911-1912, nel 1916 venne prescelto per prendere parte a un progetto leggendario: lo sviluppo dei MAS . Il marinaio modenese non solo fu tra i fautori di queste unità navali da guerra, ma fu proprio lui a fornire l'idea di munire i MAS di congegni lanciasiluri trasformandoli, in questo modo, in imbarcazioni per incursioni. Nel febbraio del 1916, infatti, mentre collaudava a Brindisi queste nuove unità navali, Montipò espose agli alti comandi le proprie considerazioni facendo notare quello che doveva essere modificato. Gli armamenti, secondo Montipò, erano la parte carente dei MAS e lanciò quindi l'idea di munirli di congegni lanciasiluri:"Navigavano bene, la velocità era buona, anche l'autonomia era rilevante, di circa otto ore, ma l'armamento appariva insufficiente: un cannoncino, posto lassù sulla copertura della prua, su quei gusci instabili, non dava certo affidamento e non poteva essere preciso". Ne fu interessato il comando in capo e fu approvato la proposta di Montipò di munire i MAS di congegni lanciasiluri, fissati ai bordi ”. Dopo questa sostanziale modifica, i MAS vennero impiegati nelle incursioni nei porti nemici divenendo il terrore dell'Impero asburgico.
Montipò , nel giugno del 1916, salpò con i Mas da Brindisi in direzione di Durazzo. La prima azione di questi “arditi del mare” fu eccezionale e si concluse con l'a fondamento delle navi nemiche. Già da quell'impresa emerse il coraggio e il valore del marinaio modenese che, non solo venne decorato con una medaglia al Valor militare, ma finì citato nel rapporto redatto dal comandante della spedizione, tenente di vascello Alfredo Barardinelli. Si legge: “La condotta degli equipaggi, che già nelle due azioni precedenti avevano dato prova di abilità e calma non comune, è stata questa volta superiore ad ogni elogio. I sottufficiali, comandanti, specialmente il capo timoniere di 1ª classe Montipò Gino, hanno coadiuvato i tenenti di vascello con grande freddezza e perizia”.
Montipò, quindi, fu l'ideatore, il collaudatore, colui che diede il battesimo del fuoco ai MAS , trasportò Rosselli e Paolucci per l'affondamento della Viribus Unitis. Venne così considerato “il primo comandante dei MAS” e il suo legame con queste unità, infatti, fu profondo e costellato di primati.
Dopo il conflitto, nonostante la strada spianata per una brillante carriera militare, volle essere congedato perché sosteneva: “La guerra era finita e non me la sentivo più di fare il crocierista ”. La vita del marinaio, infatti, lo costringeva a stare per mare tantissimo tempo. Solo pochi anni prima, infatti, rimasero lontano dalla terraferma ben due anni. Imbarcato sulla Regia Nave Varese, sotto il comando del Duca degli Abruzzi, in quell'occasione prese parte agli esperimenti di Guglielmo Marconi in cui si distinse per competenza. Il Duca degli Abruzzi, nel momento di congedarlo scrisse: “Ha disimpegnato per 2 anni continui il servizio alla stazione RT tipo Marconi con zelo e intelligenza sia come maneggio degli apparati che come ricezione al rivelatore anche con sovrapposizioni di trasmissioni”.
In quel viaggio marinaresco la Regia Nave Varese venne inviata anche negli Stati Uniti durante l'esposizione in Virginia, prima colonia americana, che festeggiava i suoi 300 anni. I marinai italiani, tra cui Montipò, presero parte a diverse regate internazionali dove si affrontavano le marine degli altri paesi. Anche in quel caso, la Regia Nave Varese vinse queste gare sportive raccogliendo i complimenti del Ministro della Marina italiano Carlo Mirabello: “Ho preso conoscenza con viva soddisfazione dei particolari relativi alla vittoria brillante riportata dalla Varese nelle regate corse ad Hampton Roads” .
Da civile si dedicò fin da subito alla costituzione delle associazioni reducistiche come quella degli ex-combattenti di Modena, fondata nel gennaio del 1919, e quella dei marinai, fondata il giorno di Santa Barbara del 1921.
Dal 1922 al 1947, Montipò ricoprì la carica di Comandante dei Vigili Urbani di Modena e anche in questa qualità si fece apprezzare tant'è che ricevette encomi solenni e fu trattenuto in servizio anche quando ebbe raggiunto l'età massima di servizio perché, a detta del Sindaco di Modena, nel 1945, a guerra appena conclusa, Montipò "era insostituibile". Anche in questo caso Montipò rappresenta una rarità: è difficile trovare Eroi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale che, esaltati durante il Regime Fascista, in epoca repubblicana trovarono nuovi così tanta riconoscenza e ammirazione dai Amministratori che, nel caso di Modena, provenienti dalle file comunista partigiano.
Montipò prese parte, infatti, anche alla Seconda guerra mondiale e, per quanto non più giovane, non volle rimanere seduto in un ufficio o nelle retrovie, bensì al comando di MAS, un caso più unico che raro. Egli, infatti, risulta l'unico marinaio che prese parte ad entrambi i conflitti al Comando di un MAS. Gli venne affidato il comando del MAS 519 che faceva parte della X° squadra inquadrato nella II° Flottiglia MAS. Per un periodo comandò anche l'intera squadriglia. Anche in quel conflitto, nonostante l'età, riuscì a farsi valere e venne nuovamente decorato con una croce di guerra al valore con la seguente motivazione:"Comandante di MAS e per breve tempo Comandante di squadriglia MAS, nel 1° e 2° anno del443 1940- partecipava a numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque ins ogniate dall'avversario. In circostanza dava prova di coraggio, abnegazione ed elevato senso del dovere Mediterraneo 6/10/1940 - 6/9/1942”.
Una vita eccezionale che attraversò, da protagonista, i due eventi bellici più significativi del XX° secolo.
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 4 agosto 2020. Si apre il portellone posteriore del C-130, il gommone scivola verso l' esterno fino al dispiegamento del paracadute e plana in mare. A seguire il «tuffo» dei militari, pronti a riunirsi nello specchio d' acqua sottostante. Una volta in superficie si raggruppano per la mossa successiva. Diretti verso una piattaforma offshore o una nave in movimento. L' affiancheranno e saliranno usando dei rampini leggeri. A qualche miglio di distanza i subacquei si immergono dopo aver individuato una carica esplosiva, una minaccia alla navigazione. Si avvicinano, la ispezionano a distanza di sicurezza usando delle telecamere. Può nascondere un innesco trappola. La rendono inoffensiva. Ecco la lancia e lo scudo, le missioni per i Comsubin, l' unità della Marina italiana composta dagli incursori del Goi e dai palombari del Gos. La loro base è al Varignano, protetta dalla natura e dalla segretezza, diventata insieme alla preparazione la loro religione. Per tutelare tattiche, non dare vantaggi agli avversari, accrescere il senso di imprevedibilità. Entrare nella vecchia fortezza è un percorso tra presente e passato. Il grande piazzale delle adunate. Il siluro a lenta corsa della Seconda guerra mondiale: noto come «maiale», trasportava due uomini che stavano a cavalcioni ed era usato per infiltrarsi nei porti nemici. Passavano sotto le reti di sbarramento per piazzare cariche sotto la chiglia di una nave. Osavano e colpivano. Ci sono le foto in bianco e nero a ricordare i protagonisti. Come le ricordano, nella sala storica, i battelli speciali realizzati quasi in modo artigianale da industrie italiane, da sempre un passo avanti. La nostra Marina ha inventato questa specialità, ha combinato i suoi team con la creatività dei costruttori. Il filo non si è mai interrotto. I Comsubin sono addestrati ad andare all' attacco e a parare la minaccia. Li preparano con intensità, per questo servono almeno due anni per diventare incursore o palombaro. E poi sono pronti a misurarsi mentre fuori continuano ad accendersi lampi. Nel 2019 le misteriose esplosioni sulle petroliere nel Golfo Persico, poche settimane fa i barchini neutralizzati dai sauditi nel Golfo di Aden e i poi i gruppi che sviluppano tecniche sub. È «lo spazio» dove si muovono Special Forces alleate, entità concorrenti, attori ostili non sempre identificabili con chiarezza. «Anche piccoli Stati oppure organizzazioni criminali sono in grado di compiere azioni strategiche. Il costo operativo è relativo, ma il risultato può diventare pesante», spiega il Contrammiraglio Massimiliano Rossi, comandante dell' unità, un anno con il (Navy) Seal Team 8 americano per un programma di scambio, una lunga carriera in prima linea in un mondo dove non si può raccontare tutto. Ha anche il brevetto di pilota di SDV, acronimo di Submersible Delivery Vehicle, uno dei «veicoli» sub dalle caratteristiche top secret con il quale penetrano le difese. In alternativa gli incursori possono avvicinarsi a bordo di un sottomarino - dal quale partono mezzi ad hoc - oppure piombano dal cielo, in elicottero o in aereo. Sistemi plurimi per fronteggiare situazioni mai uguali. Le mine, i droni, un'imbarcazione piena di esplosivo, l' azione kamikaze rientrano nel modus operandi di chi vuole perturbare il traffico navale, è necessario considerare ogni scenario. «Spesso basta l' atto, non tanto il risultato - spiega Rossi -. Alcune fazioni usano la strategia della presenza, un gesto simbolico vicino ad un target tiene alto il gioco». A volte il rischio è duplice, specie quando si deve mettere fuori uso un ordigno. Si può conoscere il modello, ma anche trovarsi davanti a qualcosa di inedito. Un dispositivo concepito per distruggere il naviglio e uccidere chi è chiamato a disarmarlo. Nella piscina del forte i palombari simulano l' azione. C' è una ricognizione in remoto, poi l' avvicinamento, infine la neutralizzazione. «Di solito viene usato un getto ad acqua potente che danneggia i sistemi elettronici - precisa il capitano di Corvetta Marco Cassetta -. Per ogni uomo che mandiamo sotto ve ne sono cinque in supporto, compreso uno di riserva». Interventi quotidiani, in una routine rischiosa, per eliminare residuati bellici, mettere in sicurezza un porto, indagare su un relitto, come è avvenuto sulla Concordia al Giglio. È un ciclo interminabile. La bomba è analizzata, si scambiano dati con i partner perché spesso è riconoscibile la mano che l' ha confezionata. In parallelo all' azione anti-terrorismo c' è quella convenzionale. Le esercitazioni Nato hanno profili «classici» - devi ingaggiare forze analoghe - e non solo pensare al miliziano jihadista. Non pochi Paesi si stanno dotando di apparati particolari. Da qui l' interazione con gli alleati condividendo esperienze ma proteggendo le «cose» che sono solo nostre. Perché arrivano da lontano. Come l' impresa di Alessandria d' Egitto, nel dicembre 1941, con gli incursori che colpiscono il naviglio britannico usando sempre i «maiali». Pagina affascinante. Il comandante Rossi, che ha a sua disposizione 700 militari, compresi quelli sulle navi d' appoggio, chiede più uomini. La selezione è dura, è fondamentale avere un bacino di reclutamento ampio ma anche contare su ranghi più giovani per una professione dove l' individuo ha un ruolo centrale. Una volta usciti da questa «scuola» li aspetta un Mediterraneo mai così instabile, con interessi nazionali da tutelare e tensioni regionali.
Consegnata la Bandiera di Guerra al G.I.S.- Gruppo di Intervento Speciale dell’Arma dei Carabinieri. Il Corriere del Giorno il 26 Ottobre 2020. Il G.I.S. venne fondato il 16 gennaio 1978 come unità speciale con compiti antiterrorismo inserita all’interno dell’allora 1° Battaglione CC Paracadutisti “Tuscania”. Nel 1984 è stato identificato quale Unità di Intervento Speciale a disposizione del Ministero dell’Interno. Dal 2008 il G.I.S. è stato riconosciuto reparto che può concorrere alla costituzione di task group land e maritime di Forze Speciali, con capacità di operare nell’intero spettro delle operazioni speciali per la liberazione di ostaggi e la cattura di terroristi. Questa mattina a Livorno presso la sede della 2^ Brigata Mobile Carabinieri, alla presenza del Comandante Generale Gen. C.A. Giovanni Nistri, è stata formalmente consegnata al Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma dei Carabinieri la Bandiera di Guerra, concessa con Decreto del Presidente della Repubblica del 22 aprile 2020. La Bandiera di Guerra costituisce il simbolo dell’onore, delle tradizioni, della storia delle Forze Armate e del ricordo dei Caduti. In particolare, essa accompagna la Forza Armata, il Corpo armato o il reparto cui è stata assegnata per tutta la sua vita operativa e viene difesa fino all’estremo sacrificio. Essa ha anche un altro forte significato simbolico: il militare dinanzi ad essa presta il suo giuramento. Il G.I.S. venne fondato il 16 gennaio 1978 come unità speciale con compiti antiterrorismo inserita all’interno dell’allora 1° Battaglione CC Paracadutisti “Tuscania”. Nel 1984 è stato identificato quale Unità di Intervento Speciale a disposizione del Ministero dell’Interno. Attualmente, il reparto è sempre impiegabile per l’attuazione di azioni speciali, ad elevato rischio, contro il terrorismo, nelle quali possa risultare necessario ricorrere all’uso delle armi. Le ipotesi di utilizzo sono la liberazione di ostaggi, perseguendo al massimo la salvaguardia della loro integrità fisica, la riassunzione del controllo di obiettivi di vitale interesse nelle mani di terroristi, gli interventi risolutivi su aeromobili, treni ed autobus nei casi di dirottamento o di sequestro, e l’operabilità in ambienti NBC, caratterizzati da pericolo di radiazioni nucleari, batteriologico o chimico. Nel 1994 venne proposto, con successo, un ulteriore ampliamento dei compiti del reparto, in operazioni finalizzate alla cattura di latitanti di spicco, in importanti operazioni antidroga e in operazioni finalizzate all’esecuzione di ordini dell’Autorità Giudiziaria in presenza di caratteristiche ambientali che comportassero notevoli difficoltà d’esecuzione. A partire dal 1998 il G.I.S. è stato schierato anche nell’ambito di missioni internazionali per il mantenimento della pace. A partire dal 1º gennaio 2004, il G.I.S. è inoltre entrato a far parte del Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali dello Stato Maggiore della Difesa, con rango pari a quello delle altre unità incursori e dal 2008 è stato riconosciuto reparto che può concorrere alla costituzione di task group land e maritime di Forze Speciali, con capacità di operare nell’intero spettro delle operazioni speciali per la liberazione di ostaggi e la cattura di terroristi.
Nella tana degli incursori di Marina: ecco le missioni del Comsubin. Paolo Mauri il 2 agosto 2020 su Inside Over. Il mare davanti al porto di Alessandria è calmo: gli echi della guerra sembrerebbero lontani se non fosse per le motovedette della Royal Navy che ne pattugliano l’imboccatura. Nella città vige l’oscuramento, e quella sera di dicembre del 1941 sembrava scorrere pigramente come le precedenti: gli inglesi si sentivano al sicuro nella loro base più importante del Mediterraneo insieme al munitissimo porto di Gibilterra. Se le acque in superficie apparivano quiete, nelle profondità si muoveva qualcosa, uomini si agitavano intorno a un sommergibile che era giunto, furtivo, nelle vicinanze dell’ingresso del porto. Alle 20:47 del 18 dicembre dallo Sciré, comandato dal capitano di fregata Junio Valerio Borghese, tre “maiali” – così erano chiamati i mezzi speciali della Regia Marina – vengono messi in mare dai loro equipaggi. I loro nomi sono entrati nella storia: De La Penne, Bianchi, Marceglia, Schergat, Martellotta, Marino. I sei uomini penetrano silenziosamente nella base navale superando le ostruzioni in immersione, sollevando le reti di protezione, faticosamente, nel freddo delle profondità. Si avvicinano ai loro obiettivi: le corazzate inglesi. La coppia De La Penne/Bianchi si avvicina alla Hms Valiant, Marceglia e Schergat alla Hms Queen Elizabeth, mentre Martellotta e Marino, non trovando il loro obiettivo principale (una portaerei non meglio identificata) si avvicinano alla petroliera Sagona. I sei uomini, temprati da mesi di duro addestramento, si portano sotto le chiglie delle navi ormeggiate, e, non senza difficoltà, piazzano le cariche esplosive. Qualcosa va storto durante la fase di rientro e due vengono catturati immediatamente (De La Penne e Bianchi) e imprigionati proprio nel ventre d’acciaio del loro obiettivo: gli inglesi avendoli riconosciuti per incursori pensano così di costringerli a indicare dove fossero le cariche. Ma i due tacciono. Alle 6 del mattino una potente esplosione sconquassa la Queen Elizabeth, dopo quindici minuti un’altra apre un’enorme falla nella chiglia della Valiant, poco dopo una terza esplosione fa saltare in aria la Sagona che nella sua tremenda esplosione danneggia gravemente il cacciatorpedinere Jarvis. Le corazzate vanno a picco, e se il fondale del porto fosse stato più profondo sarebbero state perse per sempre. Sei uomini misero in ginocchio la Royal Navy nel Mediterraneo. Gli inglesi seppero camuffare questa versa e propria disfatta facendo sembrare le due imponenti navi molto meno danneggiate di quanto in realtà fossero, e la nostra Regia Marina, pertanto, non seppe sfruttare il vantaggio tattico che ne derivò, ma questa è un’altra storia. Oggi gli eredi degli “uomini gamma” autori di quell’impresa storica sono gli incursori del Comsubin, il Comando Subacquei e Incursori, una delle Forze Speciali delle nostre Forze Armate, che ha sede presso il promontorio del Varignano, a La Spezia. Il comando è costituito essenzialmente dal Goi, il Gruppo Operativo Incursori, e dal Gos, il Gruppo Operativo Subacquei, che hanno trasmesso la fiaccola di una tradizione che appartiene alla nostra Marina Militare sin dalla Prima Guerra Mondiale, quando i primissimi rudimentali mezzi d’assalto compirono incursioni nelle basi navali austriache. Entrare al Varignano significa, infatti, ripercorrere la storia non solo del reparto ma anche quella d’Italia: mezzi storici, come i “maiali”, ufficialmente denominati Siluri a Lenta Corsa (Slc) si possono vedere nella base dove si addestrano i nostri incursori insieme ad altri frutto del genio dei nostri ingegneri navali. Perché proprio il Comsubin è un reparto d’élite tra i più eccellenti al mondo, e forse il più eccellente, anche grazie all’inventiva dei progettisti che ha sfornato, nel corso degli anni, mezzi d’assalto che definire all’avanguardia è limitante. Tali mezzi sono coperti dal più stretto riserbo, ma alcuni di essi sono stati osservati dalla stampa in qualche rara occasione e se ne trova traccia nel web anche oggi. Si ricorda, ad esempio, un mezzo semi-sommergibile, con scafo a idroplano e wave-piercing, visto durante la visita del presidente Ciampi nel 2000 e accreditato di una velocità di 30 nodi anche in immersione, oppure quello che è stato definito “Nessie” (dal nomignolo dello sfuggente “mostro di Lochness”) negli anni ’70 e che si ritiene essere stato un altro tipo di mezzo sommergibile. Oggi, tra i vari mezzi a disposizione dei singoli operatori si annoverano quelli chiamati Sdv (Single Delivery Vehicle), ovvero di “microsommergibili” utilizzati per la propulsione sottomarina degli operatori che si ritiene siano di caratteristiche superiori rispetto a quelli dei Navy Seals. Tali sistemi sono in grado di operare dai sottomarini classe Sauro IV o U-212A, compresa la nuova versione Nfs, e sembra che siano capaci di elevate capacità di infiltrazione occulta. Non vanno dimenticati poi gommoni e altre imbarcazioni veloci come i nuovissimi Unpav, concepiti appositamente per essere utilizzati dal Goi. Nuovi mezzi per nuove missioni. Perché nel panorama globale, caratterizzato da diversi tipi di minaccia che vanno oltre quella convenzionale data dalle entità statuali avversarie, è necessario considerare ogni tipo di scenario possibile: dai barchini kamikaze, alle mine improvvisate sino al contrasto ai droni sottomarini (chiamati Uuv) che sempre più sono diventati protagonisti della tattica dei conflitti asimmetrici. Senza dimenticare le missioni “classiche” di intervento proprie di quasi tutte le Forze Speciali, come la liberazione di ostaggi, la ricognizione in territorio ostile, il sabotaggio dei sistemi avversari, con in più un’unica e straordinaria capacità di proiezione dal mare. L’incursore di Marina moderno, rispetto al suo “antenato” entrato in azione nei due conflitti mondiali, deve avere, infatti, una capacità di avvicinarsi e infiltrarsi furtivamente che richiede l’acquisizione di diverse tecniche che non solo sono prettamente marittime: un uomo del Goi, ad esempio, deve conseguire il brevetto di paracadutista ed essere in grado di scalare una parete rocciosa, oltre che avere dimestichezza con le tattiche di combattimento a terra. L’addestramento, forse quello più intenso e difficile al mondo, è pertanto onnicomprensivo pur sempre prediligendo la “fase acqua” che è la caratteristica peculiare del Comsubin, una caratteristica che ci invidiano le altre Forze Armate del mondo (alleate o no), tanto che i nostri incursori spesso si ritrovano negli Stati Uniti per programmi di scambio con la loro controparte della Us Navy, i Seal. Su questi uomini, e su quello che fanno, vige il più alto livello di segretezza, ma sappiamo che nella loro specialità sono tra i migliori al mondo, anzi, ci sentiamo di dire che siano i migliori al mondo senza timori di peccare di superbia.
Il durissimo addestramento degli incursori dell’aria. Inside Over il 20 settembre 2020. I volti stanchi, le facce tirate, l’espressione di chi ha faticato e molto. Si presentano così gli allievi del corso personnel recovery del 17° Stormo incursori di Furbara. Ultima forza speciale in ordine cronologico, il 17° Stormo nasce nel 2003 raccogliendo l’eredita degli Adra (Arditi distruttori regia aeronautica), protagonisti di brillanti operazioni oltre le linee nemiche in Nord Africa ed in Sicilia. Più di recente, nell’agosto scorso, due militari del 17° fuori servizio si sono distinti per il salvataggio in mare di un giovane, feritosi sulla scogliera di Polignano. Il soccorso è degno di un film di Rambo: immobilizzato con i teli da mare, cioè con gli unici “strumenti” che i due incursori avessero a disposizione in quel momento. Ed è su questo aeroporto, a 60 chilometri da Roma, che quella preparazione viene infusa negli operatori Stos (Supporto tattico operazioni speciali), preparati per le missioni Personnel recovery con un durissimo addestramento. Fra le attività di addestramento più comuni c’è quella in ambiente montano, dove gli aspiranti operatori Stos imparano a muoversi ed ad orientarsi in un ambiente nel quale il mutamento delle condi-meteo può essere più veloce e creare maggiori disagi. Ed in effetti, pur essendo nella bella stagione, sentiamo anche noi un freddo velato non appena ci si ferma, per recuperare il fiato…La stanchezza per la marcia e per la notte trascorsa in movimento fanno il resto. Ma, d’altronde, il Colonnello Gino Bartoli (Comandante dello Stormo) (Alla data odierna il Comandante è il Colonnello Andrea Esposito), era stato chiaro sin da subito. Perché, nella realtà: “Questi interventi vengono spesso effettuati in condizioni ambientali non permissive (difficili, nda), per garantire interoperabilità fra gli aeromobili e la Extraction Force.Si rendono dunque necessari addestramenti mirati”. Già perché gli operatori Stos sono decisamente “ogni tempo”, capaci di muoversi in zone innevate e con temperature bassissime come in aree desertiche dove la temperatura può arrivare attorno ai 50 gradi. E lì resistenza fisica, capacità di gestione dello stress, della fatica e nello stesso tempo concentrazione e perizia sono elementi necessari per raggiungere l’obiettivo. Certo è tutt’altro che facile riuscire ad essere lucidi, competenti e freddi specie se l’ambiente circostante è in un’area di crisi popolata da quelle forze che, in gergo tecnico, si chiamano “ostili”. O, ancora, se ci si trova a mollo magari nel bel mezzo del mare, di notte e con l’acqua fredda che blocca le gambe. Ne abbiamo un assaggio nel piccolo canale che sfocia nel tratto di mare antistante l’aeroporto militare di Furbara. Un fiumiciattolo con canneto, a prima vista insignificante fin quando non ci caliamo al suo interno: l’acqua è gelida, i movimenti resi difficili dal fondo melmoso. Ma la situazione si fa peggiore quando, dal canale, ci si sposta nelle acque marine. E lì oltre a restare a galla è necessario darsi da fare per mettere in sicurezza l’Isop (Isolated Personnel). In altre parole, il soggetto da recuperare. Ciò che finora abbiamo notato è che in ogni situazione (dalla montagna all’acqua) gli istruttori fanno riferimento all’Extraction team quale cuore pulsante dell’attività degli Stos. Una squadra composta da soli cinque elementi sulle cui spalle grava l’intero peso della missione. Nel corso della simulazione di recupero a terra abbiamo un’idea più chiara dei compiti di ciascuno. Il gruppo in azione ha due coordinatori (un capo ed un vice capo), due operatori armati che garantiscono la sicurezza del perimetro circostante, un Jtac per il coordinamento con gli assetti di volo ed un sanitario – chiamato in gergo tecnico combat medic – con il compito di valutare le condizioni di salute dell’Isop, di intervenire nel caso in cui avesse bisogno di prime cure e di predisporne l’evacuazione. Ma come si diventa operatori Stos? Va subito detto (e in effetti noi ce ne siamo accorti in prima persona!) che lo Stos non è una alternativa ad essere incursore, semmai una qualifica in più che si aggiunge al già durissimo addestramento sostenuto. Per arrivare a seguire i corsi da Operatore Supporto Tattico Operazioni Speciali bisogna, infatti, aver prima affrontato i corsi Fosam (Forze operazioni speciali aeronautica militare) e il Biam (Corso brevetto incursori aeronautica militare). Ecco spiegata la capacità di saper sopravvivere e muoversi in condizioni così difficili. .. nonché l’essere riusciti a soccorrere e a mettere in salvo un giovanotto sulla spiaggia, con strumenti tutt’altro che tecnologici!
Ecco perché la Folgore si cinge il capo d'amaranto. Da sempre simbolo della specialità delle forze aviotrasportate, il basco amaranto è entrato a far parte della storia della Folgore nell'estate del 1967. Non tutti sanno, però, che quella scelta fu ispirata dal primo "nemico" dei nostri parà. Davide Bartoccini, Giovedì 06/08/2020 su Il Giornale. C'è qualcosa che rimane per sempre nel cuore di un paracadutista italiano, ed è l'onore di cingersi il capo con il basco color amaranto fregiato da ali e gladio sormontate dal paracadute spiegato. Luglio 1967. Al termine di una vasta esercitazione militare denominata "Aquila Rossa" - alla quale prende parte la Brigata Paracadutisti Folgore - il Generale Alberto Li Gobbi, eroe di guerra e comandate di quelli che neanche Winston Churchill ebbe remore a definire "leoni", sfila per la prima volta dalla costituzione della "grande unità" con il basco color amaranto. Un privilegio, anzi, un premio, concesso dall'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in accordo con il Capo di Stato Maggiore Gen. Guido Vedevato, che rivolgendosi al comandante della Folgore gli aveva confessato: "I tuoi paracadutisti meritano un premio". Il premio era quello di non passare mai più inosservati, quali truppa d'élite del nostro Esercito, che ha portato a termine un durissimo addestramento per potersi fregiare della propria "specialità". Prima di allora infatti, i paracadutisti che entravano a fare parte della divisione aviotrasportata creata nel 1941 e già ricopertasi di gloria nella battaglia di El Alamein, combattuta nel '42, indossavano il basco grigio-verde. Colore che oggi è stato riportato di auge dal Nono Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dato il loro forte legame con quelli che furono invece "gli Arditi" Grande guerra, senza tuttavia perdere il loro forte legame con la Folgore. Strano a dirsi, ma il basco amaranto deriva dalla tradizione di quello che fu il primo grande nemico: poiché erano proprio i paracadutisti britannici, i celebri "Diavoli Rossi" della 1ª Divisione Aviotrasportata comandata dal Maggior Generale Frederick Browning, a indossare quel colore di basco per primi. Tra l'altro su espresso consiglio della moglie del loro comandate, la scrittrice di romanzi Daphne du Maurier. È così che quel copricapo di antico uso militare, che venne impiegato per la prima volta nella storia dagli Chasseurs Alpins francesi del XIX secolo, passato poi alla storia come segno distintivo delle milizie Requeté, ossia i sostenitori di Carlo di Borbone durante le Guerre Carliste - i cosiddetti boinas rojas (baschi rossi, ndr) - , divenne simbolo dei soldati che scendevano dal cielo sulle ali dei loro paracadute di seta bianca che diventavano, almeno a quei tempi, abiti da sposa. Quando i ragazzi della Folgore piovevano da cielo su Bir El Gobi, non portavano l'amaranto sulla nuca provata dal sole che infuoca il deserto libico. E non lo portavano nemmeno i ragazzi della "Nembo", quando l'anno successivo si divisero per combattere chi ancora a fianco dei tedeschi, chi a fianco degli Alleati -" ... e per rincalzo il cuore". Sempre. Lo portavano però i loro avversari - i figli d'Albione -; sia in Tunisia, che in Sicilia, che in Puglia, quando appena un giorno dopo la firma dell'armistizio, presero con un colpo di mano il porto di Taranto. Quando la Folgore venne ricostituita come brigata nel 1963, assieme alla "Nembo" e ai carabinieri paracadutisti della "Tuscania", il basco era ancora grigio-verde. Ma i paracadutisti inglesi, che si fregiavano ancora la spalla con la patch amaranto con Pegaso celeste, erano oramai alleati fidati nella guerra fredda. Fu questione di anni prima che tutti potessero indossare fieramente lo stesso berretto: dello stesso colore del fiore di una pianta che secondo la mitologia greca portava "la protezione e la benevolenza delle dee" e che secondo quella romana aveva il potere di tenere lontana "l'invidia e la sventura". Invidia bonaria forse, ma sempre accesa, per gli uomini che da quasi ottant'anni scendono "Come folgore dal cielo", e ci rendono sempre fieri, quando sfilando il 2 giugno, gridano forte e all'unisono il nome che li ha consegnati cari alla storia e celebri nel mondo.
Chi sono i Ranger del Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino”. Paolo Mauri il 30 dicembre 2019 su Insider Over. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” è uno dei reparti speciali delle Forze Armate italiane ed è di base a Montorio Veronese (Vr) presso la caserma “Duca” ed è comandato attualmente dal colonnello Marco Manzone. Il reggimento fa capo a sua volta al generale Ivan Caruso, comandante delle forze speciali dell’Esercito (Comfose), che è dipendente, come gli altri reparti di Forze Speciali delle Forze Armate, dal Cofs (il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali) istituito il primo dicembre 2004 con sede presso l’aeroporto di Roma-Centocelle e comandato oggi dal generale di divisione aerea Nicola Lanza de Cristoforis. Il Quarto reggimento “Monte Cervino” provvede a fornire personale ed equipaggiamenti per le missioni speciali stabilite del Cofs che, a livello istituzionale, è la struttura di comando che regola l’impiego delle Forze Speciali delle quattro Forze Armate che sono, oltre al Quarto, il 185esimo reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi “Folgore” e il Nono reggimento reggimento d’assalto “Col Moschin” per l’Esercito, gli incursori di Marina del Goi per la Marina militare, il 17esimo stormo incursori per l’Aeronautica e il Gis (Gruppo Intervento Speciale) dei Carabinieri.
La storia del Quarto reggimento. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” affonda le proprie radici nell’omonimo reggimento alpini formatosi nel 1882. Durante la Prima Guerra Mondiale, più precisamente nel 1915, vede la luce il battaglione di milizia mobile, formatosi dal deposto Quarto reggimento alpini. Nel corso del primo anno di vita, il battaglione è costituito esclusivamente dalla 133esima compagnia, alla quale si aggiungono, nel 1916, l’87esima e la 103esima , provenienti dal battaglione “Aosta”. Il battaglione ebbe modo di scrivere il proprio nome sulle pagine di storia della Grande Guerra, distinguendosi nelle battaglie di Passo della Borcola sul Pasubio (maggio 1916), sul Monte Vodice (maggio 1917) e nella zona del Grappa. Terminato il Primo Conflitto Mondiale il battaglione viene sciolto, per la precisione nel 1919. Il reparto fu ricomposto nell’inverno del 1940, come battaglione alpini sciatori, con due compagnie (Prima e Seconda). Prese quindi parte alle operazione di guerra sul fronte greco-albanese. Nel maggio 1941 venne nuovamente sciolto per poi riformarsi nell’ottobre dello stesso anno con due compagnie sciatori e l’80esima compagnia armi d’accompagnamento. Prese parte alla Campagna di Russia ove si distinse particolarmente in diverse operazioni. Nel 1943 rientrò in Italia e venne assegnato al XX raggruppamento alpini sciatori, ma non venne impegnato in nessuna operazione bellica. L’armistizio dell’8 settembre 1943 colse il battaglione in Francia dove venne catturato dalle truppe tedesche ad eccezione dell’80esima compagnia. Nell’immediato dopoguerra, a seguito dell’esigenza di disporre di truppe in grado di effettuare operazioni di inserimento montano tramite paracadute, viene costituito, il primo settembre 1952, presso la brigata alpina “Tridentina” di Bressanone, il primo plotone di alpini paracadutisti, cui faranno seguito plotoni similari nelle brigate “Julia”, “Taurinense”, “Cadore” e “Orobica”. Il primo aprile 1964, su decisione dello Stato Maggiore dell’Esercito, i plotoni delle brigate diedero vita, presso la caserma “Cadorna” di Bolzano, alla compagnia alpini paracadutisti del Quarto corpo d’armata alpino. Il primo gennaio del 1990, la compagnia alpini paracadutisti assunse la denominazione “Monte Cervino”, che rimase sino ai nostri giorni. Il 14 luglio del 1996, anno in cui viene concessa la Bandiera di Guerra al reparto (28 novembre), avvenne l’elevazione a battaglione della compagnia alpini paracadutisti, assumendo la denominazione di battaglione alpini paracadutisti “Monte Cervino”. L’unità, a partire dal 1999, diventa un’unità “Ranger” ed entra a far parte di diritto delle Fos (Forze per Operazioni Speciali). Il 25 Settembre 2004 il battaglione rientra a far parte del ricostituito Quarto reggimento alpini, alle dipendenze del Comando Truppe Alpine. Da sempre basato a Bolzano, l’unità cambia sede nel 2011, spostandosi in quella attuale di Montorio Veronese. A gennaio del 2018 il reparto passa ufficialmente nel novero delle Forze Speciali delle Forze Armate italiane.
I Ranger del Quarto. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti è l’unica unità in Italia a potersi fregiare del titolo di “Ranger” e, come si legge nel sito ufficiale dell’Esercito, è un reparto di Forze Speciali composto da personale specificatamente selezionato e formato, particolarmente addestrato ed equipaggiato per condurre l’intero spettro dei compiti tipici delle operazioni speciali. Il Quarto reggimento, unico nel suo genere per aver coniugato le capacità tipiche della specialità da montagna (alpini) e delle aviotruppe (paracadutisti), è l’unica unità di Forze Speciali dell’Esercito specificatamente designata e qualificata per condurre operazioni in ambiente montano e artico.
L’addestramento. Le selezioni degli aspiranti Ranger avvengono nel corso di due settimane, durante le quali i candidati vengono sottoposti ad una prima “scrematura”. Tali prove di selezione hanno luogo unitamente a quelle per i candidati del Nono “Col Moschin” e del 185esimo Reggimento paracadutisti “Folgore”. Al termine di queste due settimane, i selezionati verranno chiamati ad un tirocinio, della durata di altre due settimane, che è finalizzato ad accertare non solo le caratteristiche psicofisiche e la resistenza fisica e mentale allo sforzo prolungato del candidato, ma anche le sue qualità morali e caratteriali, le motivazioni profonde che lo spingono ad affrontare pericoli e disagi e la sua capacità di reagire con calma e lucidità alle difficoltà, anche in presenza di forti fattori di stress. Successivamente i candidati vengono inviati al corso Obos (Operatore Basico per Operazioni Speciali) della durata di 24 settimane che si tiene presso il Rafos (Reparto Addestramento Forze Speciali) del “Col Moschin”, superato il quale sono indirizzati verso i corsi di specializzazione presso enti addestrativi sia nazionali che esteri. In particolare il corso prevede 4 settimane dedicate al conseguimento del brevetto di paracadutismo con la fune di vincolo, per chi non ne risulta titolare, presso il Capar di Pisa; 5 settimane dedicate alla formazione teorico pratica sulla topografia, alle marce topografiche, all’apprendimento delle tecniche di orientamento e di navigazione terrestre, 12 settimane sulle Procedure Tecnico Tattiche (Ptt) delle Fos (Forze per Operazioni Speciali); 3 settimane di addestramenti tecnici specifici riguardanti le trasmissioni, le procedure di Ps (Pronto Soccorso) ecc. Infine il corso Obos si conclude con una esercitazione continuativa di due settimane e con gli esami finali. Gli allievi ritenuti idonei (meno del 50% degli aspiranti iniziali) iniziano la fase di specializzazione, diversa per ogni reparto di destinazione finale. A questo punto comincia la specializzazione Ranger vera e propria con un addestramento che dura 47 settimane. Questa fase della formazione dell’operatore viene svolta internamente al Quarto reggimento, presso la Terza compagnia e consiste in: il corso Ranger della durata di 15 settimane suddiviso in 5 moduli; il corso di addestramento montano invernale (10 settimane); il corso di addestramento montano estivo (10 settimane); il corso di difesa personale (due settimane); il corso Advanced Combat Life Saver (due settimane); il corso Sere (Survival Evasion Resistance and Escape) della durata di 3 settimane; il corso anfibio e quello Nbc (Nucleare Batteriologico Chimico) entrambi della durata di due settimane. A seguito del conferimento della qualifica Ranger, il personale del plotone Recon è chiamato a svolgere i seguenti corsi: quello di paracadutismo e tecnica della caduta libera (a Pisa) dove si effettuano lanci ad apertura comandata da un’altezza massima di 3-4000 metri e senza ossigeno ed il corso Cqb (Close Quarter Battle) che dura tre settimane presso l’International Special Training Center di Pfullendorf (Germania). A questo punto il personale viene brevettato Ranger. Tutti gli operatori del Quarto reggimento possono inoltre conseguire diverse qualifiche tra cui: Patrol Medical Course (tre settimane), Combat Medical Training Course (3 settimane), istruttore militare scelto di sci e istruttore militare di alpinismo, corso tiratore scelto, corso operatori scorte e protezione ravvicinata Vip, corso Fac (Forward Air Controller), corsi Eor, Eod e Iedd sugli ordigni esplosivi e improvvisati, corso avanzato di paracadutismo con tecniche Halo e Haho, corsi di lingue.
Compiti. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” nasce con l’esigenza di affiancare al Nono reggimento incursori paracadutisti “Col Moschin” un reparto in grado di supportarne le operazioni. Al “Monte Cervino” è quindi richiesto di effettuare (sia a livello unitario, che di aliquote di compagnia o più semplicemente di squadra) azioni dirette in profondità, incursioni, e sabotaggi a danni di obiettivi di elevato valore. Allo stesso è anche richiesto di assolvere compiti di fanteria leggera specializzata, in situazioni ad elevato rischio, quali le operazioni di supporto alle Forze Speciali e di assicurare una prontezza operativa con preavvisi minimi ed in presenza di ogni tipologia di terreno nonché condizione meteorologica. Onde portare a termine le missioni di cui sopra, il reparto effettua l’infiltrazione in zona operazioni (e l’esfiltrazione dalla stessa) con metodi terrestri, aerei o anfibi ed è l’unico addestrato ad operare in ambiente artico.
L'organizzazione del Quarto Ranger. L’esatto numero degli operatori del Quarto reggimento “Monte Cervino” così come le loro idendità non sono note. Possiamo comunque ipotizzare, visto l’ordinamento simile a quello di altri reggimenti di Forze Speciali, che sia composto da 100 a 200 uomini. Il reparto è strutturato come segue:
Un comando, articolato nelle sezioni maggiorità e personale, Oai, logistica e amministrazione.
Una compagnia comando e servizi, che dispone anche di un plotone trasmissioni e uno ricognizione.
Due compagnie fucilieri organizzate ciascuna da un comando, un plotone comando (squadra comando + squadra trasporti), tre plotoni fucilieri, un plotone armi di supporto.
I mezzi e le armi dei Ranger. I mezzi in dotazione al Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” sono quelli generalmente in uso presso le altre Forze Speciali italiane. Tra di essi si ricordano i Vm-90, i Vtlm Lince, i Vbl Puma, i Defender 90 oltre ai mezzi in dotazione alle truppe alpine come il Bandvagn 206. Per quanto riguarda i natanti utilizzano gli onnipresenti gommoni Zodiac Commando e a scafo rigido. Per quanto riguarda le armi individuali gli operatori Ranger del Quarto utilizzano una vasta gamma di armamenti che spaziano dalle pistole Beretta 92FS alla Glock 17, le pistole mitragliatrici Mp5 e 7 nella versione silenziata (Sd), il fucile d’assalto Beretta Arx 160, lo Steyr Aug (in fase di dismissione) ed il Colt M4 SopMod e l’H&K G36. Per quanto concerne il fuoco di squadra sono ancora utilizzate le mitagliatrici Mg 42 oltre alla Minimi mentre per il fuoco di precisione viene utilizzato in ambiente montano/artico l’Accuracy International Arctic Warfare, il Sako TRG, l’H&K G3SG/1 ed il ben noto M82 Barrett. Il plotone armi di supporto ha in dotazione sistemi d’arma controcarro a media gittata Mbda Milan, lanciarazzi controcarro Dynamit Nobel Panzerfaust 3-T, TOW e mortai Hirtenberger Mod. M6C 210 da 60 millimetri.
La Giornata degli Alpini diventa un caso. Gli storici: «Data sbagliata». Angelo Picariello su Avvenire il 14 aprile 2022.
Diventa un caso l’istituzione della Giornata nazionale dell’Alpino per il 26 gennaio. Le associazioni storiche scrivono ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, contestando sia la data scelta, troppo a ridosso della Giornata della Memoria, sia il riferimento che contiene alla battaglia di Nikolajewka, episodio di grande eroismo degli alpini, durante la ritirata di Russia, celebrato da grandi scrittori e artisti, alcuni testimoni diretti, come Mario Rigoni Stern, che vide all’opera, da cappellano militare fra le truppe italiane stremate e decimate, anche il beato don Carlo Gnocchi.
E tuttavia, notano gli storici, quella battaglia si inserisce in una guerra di aggressione sciagurata decisa dal regime fascista.
La Giornata fu approvata dalla Camera il 25 giugno 2019, ed è diventata legge al Senato lo scorso 5 aprile con 189 voti a favore, nessun contrario e un astenuto. Sarà celebrata per la prima volta nel 2023 riconoscendo il 26 gennaio quale «Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini», per ricordare «l’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka», e promuovere «i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano».
Un voto «che ci riempie di un orgoglio» aveva commentato Sebastiano Favero, Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, «non solo per il consenso praticamente unanime, ma anche per la data individuata, che coincide con la battaglia di Nikolajewka, il drammatico ed eroico episodio del 1943 assurto a simbolo del valore e dello spirito di sacrificio delle penne nere».
La Società italiana per lo studio della storia contemporanea presieduta da Agostino Giovagnoli (e la Società italiana degli storici medievisti, Sismed) notano «la crescente e spesso casuale attività legislativa volta a riscrivere, infittendolo, il calendario civile italiano», spesso con l’esito discutibile di stabilire verità di Stato che nuocciono al libero esercizio della ricerca storica», dando luogo a «decisioni non sempre pienamente meditate», o «potenziali problemi all’immagine, anche internazionale».
In questo caso la data scelta (26 gennaio) «oltre a essere contigua alla Giornata della Memoria, non si collega all’intera storia e all’impegno anche umanitario del Corpo, bensì ne isola, celebrandola, un’impresa militare – la battaglia di Nikolajewka – condotta all’interno di una guerra di aggressione dell’Italia fascista, per di più in regioni oggi sconvolte da un’altra invasione».
Per la SissCo, la Sisem e la SisMed «sarebbe stato opportuno scegliere altre date», come il 15 ottobre (1872), giorno di fondazione del corpo. «Si sarebbe così sottratto un Corpo cui tanto deve l’Italia a dannose logiche di strumentalizzazione, che non giovano alla sua memoria e alla sua immagine», e al «profondo e duraturo legame degli Alpini con la società nazionale e internazionale».
La richiesta, per il futuro, è che «il Parlamento si avvalga nella fase istruttoria del parere delle Società scientifiche delle discipline storiche», in modo da «permettere alle forze politiche di prendere le loro libere decisioni giovandosi di pareri informati sulle implicazioni culturali e non solo politiche».
Il mea culpa del Pd sugli Alpini: “Errore celebrarli il 26 gennaio”. Giovanna Vitale su La Repubblica il 16 Aprile 2022.
Il Partito democratico ammette: "E'giusto riconoscere il valore e il sacrificio delle nostre truppe di montagna, è invece sbagliato far coincidere la ricorrenza con la campagna di aggressione a Est ordita dal regime fascista insieme alla Germania nazista.
Fa mea culpa, il Partito democratico. Votare prima alla Camera e poi al Senato la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini - istituita su proposta della Lega per celebrare "l'eroismo dimostrato nella battaglia di Nikolajewka" - si è rivelato "un errore grave, si doveva scegliere una data diversa", ammettono al Nazareno. Se infatti "è giusto riconoscere il valore e il sacrificio" delle nostre truppe di montagna, è invece sbagliato far coincidere la ricorrenza con la campagna di aggressione a Est ordita dal regime fascista insieme alla Germania nazista.
La portaerei Cavour, l’ammiraglia della flotta italiana. Davide Bartoccini su Inside Over il 14 ottobre 2020. Nave Cavour è una portaerei configurata per “decollo corto e atterraggio verticale” di aeromobili ad ala fissa, progettata all’alba del XXI secolo ed entrata in servizio – sebbene non pienamente operativa – nel 2009. Divenuta ammiraglia della flotta nel 2011, è intitolata al patriota, politico e imprenditore italiano Camillo Benso conte di Cavour – nome in precedenza dato alla corazzata Conte Cavour -, mentre il suo identificativo ottico “550” proviene dall’incrociatore Vittorio Veneto, ex nave ammiraglia della Marina Militare. Al fianco dell’incrociatore portaerei Giuseppe Garibaldi – e presto dalla portaeromobili Trieste – rappresenta la punta di diamante della flotta italiana; e la capacità di proiezione di potenza che il nostro Paese può esercitare nel Mar Mediterraneo e nelle zone più “calde” che necessitano l’intervento, ma soprattutto la sorveglianza e la protezione, dei membri della Nato. Le caratteristiche.
Lunghezza: fuori tutto 244 metri
Larghezza: massima 39 metri
Pescaggio: 8,7 metri
Velocità massima: più di 28 nodi (51 km/h)
Autonomia: 7.000 miglia marine ad una velocità di 16 nodi
Dislocamento: 28.000 tonnellate pieno carico
Equipaggio: 1.210 divisi in 452 marinai, 203 del gruppo aereo imbarcato, 140 comando complesso e fino a 400 fanti di marina del Reggimento San Marco
Descrizione: La Cavour, quale unico vascello della sua classe, è una portaeromobili Stovl sviluppata su un ponte di volo lungo 234 metri e provvisto di “sky jump“. La nave è dotata di sei punti di decollo ed appontaggio per aerei ed elicotteri, due aree di parcheggio aeromobili e due elevatori da 30 tonnellate che collegano il ponte di volo con l’hangar sottostante. Sul ponte vi è un’unica isola di comando, sul lato di dritta del ponte di volo. Con un dislocamento di oltre 28mila tonnellate, è propulsa da un apparato motore convenzionale basato su quattro turbine a gas Avio da 22 mw ciascuna. Esso le garantisce di raggiungere una velocità massima di 28 nodi, e un’autonomia di 7mila miglia marine ad una velocità di 16/18 nodi di media. Come unità portaeromobili, la maggiore in linea con la Marina Militare prima del varo della Trieste, può imbarcare un gruppo di volo misto di oltre 20 aeromobili tra aerei ed elicotteri e può fungere come piattaforma di lancio e logistica di operazioni anfibie, avendo previsto al proprio interno gli spazi adatti ad accogliere non solo oltre 400 fucilieri di marina del Reggimento San Marco, ma anche i mezzi anfibi preposti alle operazioni di sbarco nell’apposito garage sottostante all’hangar. Stiamo parlando di almeno 50 veicoli medi anfibi Lvtp 7 e/o mezzi corazzati Vcc 80 Dardo. In altre configurazioni può trasportare fino a 24 veicoli corazzati pesanti Mbt Ariete. Il costo complessivo dell’unità, compreso il refitting del 2018 e l’implementazione del gruppo aereo imbarcato, ha superato, secondo le stime generali, 1,5 miliardi di euro.
I sistemi elettronici:
La portaerei Cavour è dotata di una serie di sistemi radar e sensori elettronici che le consentono di svolgere un’ampia gamma funzioni nell’ambito di azioni navali, operazioni di volo, per la comunicazione e per l’autodifesa da qualsiasi genere di minaccia. Essi sono, nel dettaglio:
Spy-790 Empar: radar volumetrico 3d capace di tracciare 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente con portata superiore ai 100 km
Sps-798 Ee: radar 3d “early warning” in grado di rilevare minacce ad elevatissima distanza dalla nave (500 tracce simultanee a 300 km di distanza)
Sps-791 Rass: radar di sorveglianza e di superficie in grado di scoprire unità navali, velivoli a bassissima quota e missili in avvicinamento
Spn-753: radar nautico di ricerca
Spn-720: per guidare gli aeromobili in fase appontaggio
Spn-41 A e Tacan Srn-15 A: in grado di far eseguire avvicinamenti di precisione e di fornire informazioni agli aerei in navigazione
Sna-2000: sonar di scoperta
IR St Sass: rilevatore infrarosso
Ewss: scanner radio in grado di analizzare lo spettro e rilevare eventuali emissioni radio (e quindi anche eventuali radar attivi)
Slat: rilevatore di siluri in arrivo (vedi armamenti)
Iff Sir R/S: identificazione certa di bersagli
I sistemi d'arma:
Oltre alla forza aerea imbarcata, principale asset offensivo di questa unità di superficie della Marina Militare italiana, la Cavour è dotata di una serie di sistemi di difesa a corto/medio raggio:
3 mitragliatrici Kba 20/80 mm, 2 poste lateralmente e 1 a prua
2 cannoni Cwis Oto Melara 76/62 mm super rapido
Sistema Saam/It 32 celle in blocchi da 4 (8 celle ciascuno) del tipo Sylver A-43 con missili Aster-15 (corto raggio, 30 kg e carica da 13 kg)
2 contromisure Sclar-H da 20 tubi per razzi da 105/118 mm posizionati lateralmente a prua
2 contromisure anti-siluro Slat
Il gruppo imbarcato: La Cavour prevede un gruppo imbarcato di aeromobili ad ala fissa e rotante di 22 unità. Ma in caso di necessità ed emergenza, può trasportare in un teatro operativo fino a 36 velivoli. Numero che prevedrebbe il completo carico degli hangar e di tutti gli spot sul ponte di volo; benché questa viene considerata un’eventualità remota, analoga alla necessità della Royal Navy di trasportare più velivoli possibili nelle terre d’oltremare durante il conflitto delle Falkland. I velivoli in forza al gruppo aeromobili imbarcati dell’Aviazione Navale comprende gli aerei d’attacco al suolo Av-8B Harrier Plus e una combinazione di elicotteri imbarcati, in funzione antisommergibile, ricerca e soccorso e utility come gli Sh-3D, gli Nh-90 e Eh-101. La Cavour è stata inoltre configurata per accogliere i nuovi caccia di 5ª generazione F-35 Lightning II nella versione “B”, ossia la configurazione “Short Take-Off and Vertical Landing” che il nostro Paese, parte integrante del programma Joint Strike Fighter, ha acquisito. Dei quindici ordinati, 3 sono già stati consegnati. Gli F-35 andranno a sostituire gradualmente i più antiquati Harrier.
La storia della Cavour, l'ammiraglia: La prima nave a fregiarsi del titolo del patriota risorgimentale fu una nave da trasporto a vela in servizio nei primi anni del Regno d’Italia. La seconda fu una corazzata varata nell’anno 1935 e affondata dai bombardieri e dagli aerosiluranti inglesi nella famigerata “notte di Taranto” del 1940. La portaerei Cavour è il secondo vettore aeronavale della storia della nostra Marina – dato che non possiamo considerare di fatto la portaerei Aquila, sviluppata a partire dal 1938, pronta al varo del 1944 ma smantellata dai tedeschi nel 1945, come la prima portaerei italiana. Dopo l’entrata in servizio della nave Garibaldi nel 1985, la Marina Militare Italiana ha vagliato la pianificazione per lo sviluppo di una portaerei che rispondesse a determinate specifiche: ponte più grande e maggiore dislocamento. Questo in un momento che vedeva l’Italia come attore politico non di secondo piano nel teatro della Guerra Fredda, quale membro attivo se non “decisivo” dell’Alleanza Atlantica. Con il progressivo disgelo tra il blocco occidentale e quello sovietico, il progetto venne abbandonato per essere ripreso – con caratteristiche differenti – all’alba nel nuovo millennio. Il 22 Novembre 2000 la Direzione Generale degli Armamenti Navali firmò infatti un contratto con Fincantieri per la costruzione di una “nuova portaerei” che avrebbe visto impegnati i cantieri di Riva Trigoso e quelli Muggiano. L’obiettivo era quello di varare, entro un lustro da allora, un vettore aeronavale che raggiunga quasi 30mila tonnellate di dislocamento per un dispiegamento “dual use”. La nuova portaerei, che ha solcato il mare per la prima volta nel 2006, ricevendo la bandiera di combattimento nel 2009. La prima missione è stata un’operazione congiunta con la Marina brasiliana per la crisi di Haiti nel 2010 e ha raggiunto la piena capacità operativa al termine esercitazione Mare Aperto nel 2011, diventando lo stesso anno ammiraglia della flotta sotto il motto di “In arduis servare mentem”. Da allora prende parte a numerose missioni di pattugliamento e addestramento nel Mediterraneo. Divenendo dal 2015 la nave comando dell’Operazione Eunavfor Med. Dopo il refitting del 2018, la Cavour rappresenta, insieme alle portaerei britanniche della classe Queen Elizabeth e alle portaerei americane classe Nimitz e Ford, l’unico vettore navale che possa vantare la capacità di operare con il caccia di ultima generazione F-35: punta di diamante delle forze aeree occidentali. La Cavour, quale vettore aeromobile pienamente al passo con i tempi, consente all’Italia non solo di essere annoverata tra le poche nazioni dotate di portaerei “operative” (Usa, Regno Unito, Francia, Russia, Cina, India, Giappone), ma di proiettare la propria potenza ben oltre i confini nazionali; per missioni di umanitarie, e per essere di supporto a qualsiasi genere operazione militare nazionale o interforze.
Domenico Quirico per “La Stampa” il 23 maggio 2022.
La guerra è una attività paradossale. Da un lato è la più assoluta forma di coercizione ed esige quindi disciplina, gerarchia, obbedienza. Dall'altro chiede ad ogni individuo fedeltà, devozione entusiasmo, tutti elementi altrettanto necessari per arrivare alla vittoria. La guerra in Ucraina, scatenata dalla aggressione russa, è stata presentata, con una enfasi forse eccessiva e talora strumentale, come lo scontro emblematico, quasi apocalittico tra le autocrazie e le democrazie. È naturale.
Poiché sono pochissime le cause che costituiscono uno scopo legittimo della guerra e per cui gli uomini sono disposti a morire ognuno crea le sue: gli ucraini rivendicano di esser la trincea avanzata e impavida contro l'avanzare delle tirannidi, Putin incita i russi a sgominare una eterna, subdola congiura occidentale che punta a strangolarli, privandoli del loro "posto al sole".
Tra i paradossi della guerra allora constatiamo che proprio sul piano militare questa contrapposizione democrazia-tirannide trova un concreto riscontro: l'esercito russo è organizzato secondo una idea autocratica della società e quello ucraino invece sulla base di un principio più democratico. E questa differenza spiegherebbe molte sorprese di questo conflitto, ad esempio i successi nella prima fase dell'aggressione delle truppe di Kiev nel fermare e respingere il nemico.
Le guerre hanno molto a che fare con la politica delle identità, forse oggi ancor più di un tempo quando prevalevano obbiettivi ideologici o geopolitici. La guerra sta assicurando, dolorosamente, alla Ucraina una identità fino a ieri molto liquida e incerta.
L'esser democrazia e occidente contrapposto alla tirannide asiatica ne è la parte essenziale. L'identità che Putin cerca da 20 anni di cucire attorno al corpo russo è un misto di millenarismo e soddisfazione della potenza. Gli eserciti, perfino nel modo di combattere, ne sono il riflesso. Le identità del passato erano legate a un'idea di interesse nazionale o al sogno di un futuro. Oggi spesso non sono che rivendicazioni di potere in base a semplici etichette. Fomentare odio e paura, sbarazzarsi di chi ha una identità diversa.
Per questo non bisogna fare dell'antagonismo militare democrazia-tirannide una spiegazione assoluta e permanente. Non è detto che gli eserciti democratici, solo per questo, siano destinati a vincere.
Sparta alla fine dell'interminabile conflitto del Peloponneso, primo terribile modello di guerra infinita, annientò la democrazia ateniese e le sue imprendibili lunghe mura.
L'esercito, rifatto e rivisto dalle arroganze putiniane, assomiglia a quello zarista e poi sovietico-staliniano. Come potrebbe essere diversamente vista la natura assolutistica della società da cui è tratto?
Non bastano le armi nuove di zecca a cambiare le anime. È dunque basato sulla rigorosa centralità del comando, lo specchio di una oligarchia quasi patologica nella diffidenza verso gli inferiori, sospettosissima sulla autonomia di giudizio dei gradi più bassi della scala gerarchica. Pone rimedio a questi rischi con l'obbligo assoluto di una pianificazione matematica delle operazioni. Tutto deve essere stabilito in anticipo e controllato dai Capi; ufficiali e soldati, il popolo sempre disprezzato o potenziale traditore, devono soltanto eseguire senza discutere.
La guerra è come sempre una attività sociale. Comporta la mobilitazione e la organizzazione di uomini con lo scopo di infliggere una violenza fisica ad altri uomini. Esige sempre la regolazione di alcuni tipi di relazioni sociali. Su queste si modellano le sue forme, ovvero la tipologia delle forze militari, le tecniche e le strategie, i mezzi di combattimento, dalla Rivoluzione francese fino alle guerre totali della prima metà del secolo scorso e alla guerra immaginaria, ovvero la guerra fredda della seconda metà del novecento.
Autocrazia e democrazia erano le due forme di Stato centralizzato, razionalizzato, con un territorio e una gerarchia ordinata, che ha combattuto queste guerre feroci. Un modello sostanzialmente europeo ai cui margini gli uomini morivano per altri tipi di conflitti, definiti ribellioni, guerre coloniali, guerriglie, insurrezioni. La guerra in Ucraina è un conflitto classico, tra armate di due nazioni.
L'esercito russo ha una storia particolarmente intrisa di sangue: e di centralizzazione. Dunque grandi offensive pianificate su fronti vasti, poche manovre operative sofisticate che richiedono ai subordinati fantasia e autonomia di giudizio come, almeno in teoria, è richiesto negli eserciti occidentali. Si attende sempre l'ordine dall'alto, la firma e la controfirma perchè in uno Stato assoluto l'errore può costare molto caro.
L'esercito russo è concepito come uno sterminato stabilimento metallurgico mobile, mille gru, mille castelli di acciaio, mille ruote dentate e ingranaggi che avanzano, una acciaieria distruttiva a cui una moltitudine di operai-soldato presta una attività automatica e anonima da catena di montaggio. Il piano è fissato in modo ferreo, bisogna tradurlo in produzione, ovvero rovine fumanti e nemici eliminati.
L'armata russa scarseggia di sottufficiali che la saggezza e l'esperienza militare indicano come la colonna vertebrale degli eserciti: vicini ai soldati, alle loro paure e ardimenti e con l'esperienza del terreno e delle nebbie della battaglia. L'esercito autocratico ha pagato caro queste sue caratteristiche nella prima parte della guerra, quella della avanzata su Kiev. A un certo punto, misteriosamente, i russi che sembravano inarrestabili con le loro colonne corazzate, si sono fermati. Forse non era stato fissato con chiarezza l'obiettivo: bisognava assaltare la capitale (ma mancavano gli uomini e i rifornimenti) o semplicemente si doveva fare pressione per far crollare il governo ucraino?
Nessuno ha osato. Si aspettavano gli ordini dalla gerarchia. Che non sono arrivati. E le vittorie si giocano sul tempo, spesso sulle ore, sugli attimi. Gli ucraini, che pure discendono dal meccanismo militare sovietico, hanno una struttura più agile, dispongono di più autonomia tattica e di molti sottufficiali giovani e vicini al campo di battaglia, ben addestrati dagli americani e dagli inglesi in questi otto anni. In più hanno sperimentato la guerra vera nel Donbass, aspra, spietata. Hanno approfittato con prontezza dell'occasione, inventato contro mosse, messo in crisi i russi.
I generali di Putin hanno allora cambiato tattica, cercando di adeguarla ai vantaggi che offre la loro struttura autocratica. Ora impongono la guerra integralmente industriale, quella dell'artiglieria: annientare tutto e poi avanzare. Si distrugge e si occupano i ruderi, gli uomini sono solo pedine che segnano il procedere in avanti. Gli ucraini perdono a poco a poco, giorno dopo giorno la presa sul Donbass. Le loro linee di rifornimento si sono allungate e sono sotto tiro dei russi, che al contrario combattono a ridosso del confine e dei loro depositi. L'esercito del tiranno avanza, lento e inesorabile nel deserto dell'uomo.
Forze armate dell'Ucraina. Angelo Allegri per “il Giornale” il 26 aprile 2022.
In un verso dell'inno ucraino si parla dei nemici del Paese che spariranno «come rugiada al sole del mattino». E poi si prosegue: «Mostreremo, fratelli, che siamo la nazione cosacca». La regione della Zaporizhzhia, quella dove si trova una delle centrali nucleari prese di mira dalle truppe di invasione, è, insieme alle rive del Don in Russia, la culla del cosaccato.
Mito russo per eccellenza, mito ideale e letterario da Gogol a Tolstoj, i cosacchi hanno in realtà un ruolo molto più importante nell'identità ucraina che in quella del vicino orientale., la popolazione seminomade di diversa provenienza che si muoveva a suo piacimento nelle immense pianure a Nord di Mar Nero e Mar Caspio: una comunità autonoma di guerrieri, a cui si univano avventurieri e servi della gleba in fuga, basata sull'elezione democratica del capo, l'atamano (o etmano, dal tedesco Hauptmann).
Della Zaporizhzhia (il nome vuol dire oltre le rapide, in riferimento al fiume Dnepr) è il cosacco più famoso della letteratura: Taras Bulba, creato dall'ucraino russificato Nicolaj Gogol, o Mykola Hohol per dirlo in lingua originale, reso famoso da Hollywood in un film degli anni Sessanta («Taras Il Magnifico») interpretato da Yul Brynner e Tony Curtis. Più a est si svolgono, invece, le vicende dei cosacchi del «Placido Don» di Michail olochov (Premio Nobel nel 1965), un'altra opera letteraria che ha contribuito a consolidare la leggenda.
Tra cosacchi russi e ucraini c'è però una differenza non da poco: i primi non riuscirono mai ad esprimere la propria indipendenza politica in contrapposizione alla potenza degli zar. I secondi, per almeno tre secoli, dal XIV al XVII, rimasero autonomi e grazie alle capacità degli atamani che si susseguirono alla loro guida furono in grado di giostrarsi tra le superpotenze dell'epoca: il nascente impero russo, il regno polacco-lituano, il Khanato della Crimea, erede delle orde di Gengis Khan, il Sultano di Costantinopoli.
Alleandosi a volte con gli uni a volte con gli altri, i cosacchi ucraini riescono alla metà del XVII secolo a creare un abbozzo di stato indipendente, che nel 1654 firma un trattato con lo zar. Sarà quest' ultimo, alla fine, ad avere il sopravvento riconducendo alla propria sovranità tutti i territori a est del Dnepr. Fino a quando nel 1775, Caterina di Russia non farà distruggere definitivamente la Zaporizhzhia Sich, la capitale-accampamento degli ultimi cosacchi del Dnepr.
Quando, alla fine dell'800, il sentimento nazionale ucraino diventa forza politica, uno dei «padri» della patria, lo storico Mykhailo Hrushevsky, dichiara che i cosacchi non sono altro che i predecessori dell'Ucraina moderna. E ancora, quando tra il 2013 e il 2014 a Kiev esplode la protesta di EuroMaidan contro il presidente filo-russo Yanukovich, i manifestanti accampati per settimane in piazza si organizzano spontaneamente secondo le antiche usanze cosacche: formano una starshina, un consiglio dei capi, si dividono in centurie, sòtni, alla cui guida c'è un leader dal nome cosacco, sòtnik.
Il passato influenza la mentalità del Paese, ha scritto sull'Economist il sociologo e filosofo Volodymyr Yermolenko. Se i russi tendono al rispetto dell'autorità, gli ucraini hanno una visione anti-autoritaria fino all'anarchia: «La cultura politica in Ucraina è basata su valori repubblicani, democratici e anti-tirannici. La maggior parte dei russi approva quello che fa lo zar, gli Ucraini si identificano sempre con l'opposizione», sostiene Yermolenko.
Il potere non cade dall'alto ma ha all'origine un rapporto di tipo contrattuale: «È un riflesso di quando i guerrieri cosacchi si accordavano ed eleggevano i propri leader in cambio del riconoscimento dei propri diritti e delle proprie libertà. È una mentalità profonda e impossibile da sradicare. Il Cosacco, libero guerriero della steppa selvaggia, è uno dei simboli dell'identità ucraina».
Di questa mentalità cosacca, anarchica e insofferente all'autorità (da questo punto di vista non c'è molta differenza tra Russia e Ucraina) sono testimonianza le molte ribellioni che li hanno visti contrapporsi al potere dello zar.
Sten'ka Razin, nato lungo il corso del Don, è passato nella tradizione popolare (alimentata in questo caso anche in epoca sovietica), come il rivoluzionario che ribellandosi ad Alessio I, cercò di liberare i servi della gleba. Eroe dei poveri e degli oppressi, finì per essere tradito dai suoi e consegnato allo zar, che secondo i costumi dell'epoca lo fece torturare orribilmente e poi squartare in pubblico.
Chiedeva la liberazione dei servi della gleba anche Emel'jan Ivanovic Pugacëv, immortalato nella Figlia del capitano di Pushkin. Fu Pugacev a capeggiare tra il 1773 e il 1775 la più grande rivolta contadina della storia zarista (in carica allora c'era Caterina II). Anche in questo caso la sua fine fu orribile: tradimento e morte in mezzo ad atroci sofferenze.
La violenza è tra gli elementi più caratteristici della storia cosacca. Quando Hollywood decide di fare un film del libro di Gogol Taras Bulba, prende come spunto la trama ma cambia completamente i toni e il finale, creando dal nulla un lieto fine adatto ai gusti «soft» del moderno pubblico cinematografico. Il libro è al confronto una specie di Grand Guignol: il protagonista uccide personalmente un figlio, colpevole di aver tradito la propria gente, e assiste all'esecuzione pubblica dell'altro; tra un capitolo e l'altro non si contano morti, torture e squartamenti.
Allo stesso tempo, tipicamente cosacco è il gusto della sfida e della beffa. Il quadro più famoso che li riguarda, quello pubblicato nella pagina precedente, opera di Il'ia Repin, il più noto tra i realisti russi della seconda metà dell'Ottocento, ha un nome che dice già tutto: «I cosacchi della Zaporozhzhia scrivono una lettera al Sultano». La tela racconta un episodio leggendario: alla metà del XVII secolo, durante una delle periodiche guerre russo-turche, il Sultano chiede agli avversari cosacchi di sottomettersi. Gli interessati gli rispondono imitando lo stile aulico delle missive ufficiali, ma arricchendolo di beffardi e sanguinosi insulti.
Lo stesso gusto per lo sfottò irridente, per l'impudente coraggio si è visto in un episodio ormai famoso come quello dell'Isola dei serpenti, quando una sparuta pattuglia di ucraini ha mandato a quel paese (con termini molto più coloriti) la nave russa che li invitava ad arrendersi. Il francobollo commemorativo dell'evento (un soldato che alza il dito medio alla nave russa ritratta sullo sfondo) è andato a ruba, in un Paese che, comprensibilmente, potrebbe avere tutt' altro a cui pensare.
Oggi il mito dei cosacchi viene sbandierato da entrambe le parti impegnate nell'attuale conflitto. Se gli ucraini ne rivendicano origini e valori, i russi con una legge del 2005 hanno ricreato una milizia paramilitare ispirata al passato. Secondo l'associazione che li rappresenta «L'Unione delle forze cosacche», 5mila tra loro, cittadini ucraini, hanno già combattuto per le milizie separatiste in Donbass a partire dal 2014.
Altri 30mila provenienti dalla Russia li hanno affiancati. Tutti i morti sono stati sepolti in Ucraina, ha dichiarato Viktor Vodolatsky, deputato della Duma di Mosca ed ex atamano, perché «volevano riposare nella terra dei loro antenati».
Custodi delle tradizioni e legatissimi alla religione ortodossa i Cosacchi russi (impiegati come cavalleria specializzata dagli zar, fuori legge ai tempi del comunismo e rinati con la perestroika) sono stati schierati già negli anni Novanta in Transnistria e in Abkazia, area ribelle della Georgia. Più spesso vengono impiegati con compiti di ordine pubblico. Hanno contribuito a soffocare le proteste dei seguaci di Alexey Navalny e sono stati mobilitati in gran numero per il referendum in Crimea sull'annessione alla Russia. A loro, dicono gli ucraini, era stato affidato il lavoro «sporco»: picchiare e mettere in galera chi protestava.
Guerra, l'arma segreta degli ucraini sul campo: così Kiev sta stupendo il mondo. Libero Quotidiano il Maurizio Stefanini 27 aprile 2022.
«Nel fango insanguinato della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza dell'epoca normanna è nata quella Moscovia di cui la Russia moderna non è che una metamorfosi», scrisse Karl Marx nel 1857. «Non è ancora morta la gloria dell'Ucraina, né la sua libertà,/ a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora./ I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole,/ e anche noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero./ Daremo anima e corpo perla nostra libertà,/ e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe Cosacca», sono le parole dell'inno nazionale ucraino Sce ne vmerla Ukrajiny: composto nel 1862 dall'etnografo ucraino Pavlo Chubynskyj, e musicato l'anno dopo dal sacerdote greco-cattolico Mychajlo Verbyc'kyj. Sono due testi quasi contemporanei, risalenti a quel periodo cruciale in cui vennero a fuoco molte identità nazionali: compresa l'Italia risorgimentale. Anche Vladimir Putin nel momento in cui ha iniziato questa guerra si è rifatto a quelli russi della Rus di Kiev: nata dall'incontro tra una élite guerriera vichinga (i vareghi) e gli slavo, poi illuminata dall'incontro col cristianesimo bizantino di cui dopo la caduta di Costantinopoli i Granduchi di Mosca si proclamano eredi - Terza Roma - come Zar: "Cesari". L'Ucraina è dunque rivendicata come culla di cui la Russia non può fare a meno, e la fede ortodossa è buttata in faccia alla "decadenza" dell'Occidente.
IL GIOGO MONGOLO - Marx però ricordava quell'altra tesi, secondo cui nel 1240 quando la Rus di Kiev è abbattuta dai mongoli quel legame si spezza. La Russia è appunto la zona che finisce sotto il dominio dei conquistatori asiatici, che le danno un micidiale imprinting di autoritarismo da cui non sarebbe in pratica mai riuscita a liberarsi. L'eredita dei normanni, creatori dei più antichi parlamenti del mondo tra Islanda e Inghilterra e Sicilia, resta invece in quelle zone che si sottraggono all'invasione mongola mettendosi rispettivamente sotto la protezione della Polonia (l'Ucraina) e della Lituania (la Bielorussia). Direttore dell'Osservatorio Ucraina all'Istituto Gino Germani e autore di cinque libri sull'Ucraina, Massimiliano Di Pasquale è anche lui dell'idea che l'unione a Polonia e Lituania significhi «l'apertura a una cultura europea dove esiste il Diritto». La fede ortodossa, è vero, mantiene sia in Ucraina che in Bielorussia una identità separata rispetto al cattolicesimo dei dominatori, anche se in Ucraina occidentale questi favoriscono la formazione di una chiesa cattolica di rito orientale. Però in quella Confederazione Polacco-Lituana che all'inizio dell'era moderna è il più grande Stato d'Europa, appunto, le particolarità locali sono salvaguardate dal Sejm: un parlamento che semmai eccede in garantismo. Prevede infatti un voto unanime che paralizza le decisioni, e favorisce tre successiva spartizioni.
LA FINE DEGLI IMPERI - L'Ucraina è così divisa tra una parte orientale integrata nell'Impero zarista, dove il "cattolicesimo greco" è vietato; e una parte occidentale integrata nell'impero asburgico, dove è invece favorito. Tra 1917 e 1918 con lo sfasciarsi dei due imperi si formano le due repubbliche della Ucraina Occidentale e Orientale, che per breve tempo si riunificano, per poi venire di nuovo spartite: l'Est all'Urss; l'Ovest tra Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Insomma, l'Ucraina Occidentale non viene integrata nel mondo russo che dopo la Seconda Guerra Mondiale. A tal punto i 47 anni di sovietizzazione non sono riusciti a cancellarne la marcata impronta mitteleuropea, che lo stesso Putin le riconosce quando dice che quella non è «vera Ucraina», e che bisogna «ridarla a Polonia, Ungheria e Romania». Attenzione, però: anche l'Ucraina orientale è integrata nel mondo zarista solo dal XVIII secolo. Pur scritto nella parte mitteleuropea del Paese, l'inno ucraino si ricollega a quel mito cosacco che invece nasce a Est, e che è alla base di quell'immaginario di guerrieri libertari ora riportato in auge dalla resistenza popolare contro l'invasione. Un gruppo di soldati ucraini si è perfino fatto una foto riproducendo in divise moderne "I cosacchi dello Zaporozh' e scrivono una lettera al sultano di Turchia": famoso quadro di Ilya Repin in cui si vedono i cosacchi ucraini rispondere a una intimazione di sottomissione con una serie di insulti.
TRACCE DI OCCIDENTE - Servi della gleba fuggiti nella steppa per recuperare la loro libertà, «rifiutando di riconoscere l'autorità di qualsiasi sovrano, i Cosacchi Zaporoghi si autogovernavano secondo le tradizioni e le abitudini che si erano evolute nel corso delle generazioni», spiega Orest Subtelny nel suo "Ukraine. A History". «Tutti avevano uguali diritti e potevano partecipare ai frequenti e chiassosi consigli (rady) in cui solitamente la spuntava la fazione che gridava più forte. Questi incontri estemporanei eleggevano la leadership cosacca (...). Durante le campagne militari, l'autorità di questi ufficiali (hetman), era assoluta. Ma in tempo di pace il loro potere era limitato». Rady, da cui il termine Rada che oggi designa il parlamento ucraino, viene dal tedesco Rat: "Consiglio". E hetman è dal tedesco Hauptmann: "Capitano". Segnali ulteriori di una mediazione tra cultura slava e mondo mitteleuropeo, che è la scommessa che l'Ucraina di oggi cerca di riproporre.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Le Forze armate dell'Ucraina (in ucraino: Збройні сили України, Zbroyni syly Ukrayiny) sono le forze armate dell'Ucraina. Sono la principale forza deterrente contro qualsiasi aggressione che può essere sferrata allo stato sovrano dell'Ucraina. Tutte le forze militari e le forze di sicurezza sono sotto il comando del Presidente dell'Ucraina, e soggette alla supervisione di una commissione parlamentare della Verchovna Rada.
Le forze armate Ucraine sono composte dalle Forze Terrestri Ucraine, dalla Marina militare ucraina, dall'Areonautica militare ucraina, dalle Forze speciali ucraine e dalle Forze d'assalto aereo ucraine. A loro volta anche le forze navali mantengono una loro piccola fanteria di marina e una loro forza aeronavale.
La Guardia costiera ucraina e la forza di polizia marina dell'Ucraina non sono subordinate alla marina.
Nel 2014 a seguito della Guerra del Donbass, venne ristabilita, la Guardia nazionale dell'Ucraina come principale componente di riserva delle forze armate ucraine.
Unità militari di altri stati partecipano ad esercitazioni multinazionali insieme alle forze ucraine in Ucraina regolarmente. La maggior parte delle esercitazioni sono tenute sotto il programma di cooperazione della NATO Partenariato per la pace.
Dal 3 giugno del 2016, è stato permesso anche alle donne di servire in unità di combattimento delle Forze armate Ucraine.
Al 2021, secondo Global Fire Power, l'Ucraina si trova al 25° posto nel mondo per la forza bellica.
Componenti principali.
Forze terrestri ucraine.
Lo stesso argomento in dettaglio: Forze terrestri ucraine.
Le forze terrestri dell'Ucraina sono state costituite come parte delle forze armate dell'Ucraina sulla base del decreto del Presidente dell'Ucraina nel 1996.
Il personale arruolato al 2016 risulta di 169.000 unità.
Le forze terrestri ucraine sono costituite delle seguenti unità:
carri armati (832 unità) di cui T-64, T-64BM, T-80; T-84
mezzi corazzati per trasporto personale di cui BTR-70, BTR-80, SBA "Novator", BTR-4
SBA Novator veicoli da combattimento di fanteria (10,135 unità) BMP-1, BMP-2, BM-27 ed altri.
Aeronautica militare Ucraina.
Essa ha il compito principale del controllo dello spazio aereo, fornire attacchi aerei contro unità e strutture nemiche, fornire il supporto aereo alle forze di terra e alla marina.
La forza aerea ucraina è costituita da circa 300 unità di cui:
aerei: MiG-29, Su-27, Su-25, Su-24, Su-24МР, L-39, Il-76, An-26, An-24, An-30, Tu-134;
elicotteri (155 unità): MI-8, MI-9
sistemi missilistici antiaerei: S-300 e Buk con diverse modifiche
droni: Furia, Bayraktar
Marina Militare Ucraina.
La Marina militare ucraina ha lo scopo di proteggere la sovranità e gli interessi statali dell'Ucraina in mare, sconfiggere i gruppi nemici nella loro area operativa in modo indipendente e in cooperazione con altri tipi delle forze armate ucraine, per aiutare le forze di terra ucraine nella zona costiera. La zona operativa della Marina militare dell'Ucraina comprende le acque del Mar Nero e del Mar d'Azov, i fiumi Danubio, Dniester, Dnipro e altre aree del mare, facenti parte degli interessi dello stato.
A partire dal 2013, la Marina militare delle forze armate ucraine era di 14.700, composta da 22 navi da guerra e barche, 11 aerei ed elicotteri antiaerei, 40 carri armati, 199 veicoli da combattimento corazzati e 54 sistemi di artiglieria con un calibro di oltre 100 millimetri.
A seguito dell'intervento russo del 2014, la Marina militare ucraina ha perso la maggior parte delle sue navi da guerra e gran parte del personale. Inoltre, sono state perse le infrastrutture militari situate nel territorio della Repubblica autonoma di Crimea temporaneamente occupata.
Per funzione, la Marina militare ucraina è suddivisa nella componente navale della Forza di risposta rapida congiunta e delle forze di difesa principali delle forze armate ucraine, che, a loro volta, hanno pertinenti componenti navali, aeronautiche e costiere. La base principale della Marina è Odessa, dove si trova l'Accademia delle forze navali.
Forze speciali ucraine.
Le Forze speciali ucraine sono unità di specialisti appositamente addestrati con capacità specifiche nei settori della raccolta informazioni, dell'azione diretta e del sostegno militare per eseguire operazioni complesse, pericolose e talvolta politicamente sensibili, condotte dal comando dell'MTR.
Organi di controllo militare e unità di intelligence militari, le forze speciali delle forze armate ucraine ai sensi della legge possono essere coinvolti in misure di raccolta di informazioni di intelligence ai fini della preparazione dello stato alla difesa, preparazione e realizzazione di operazioni speciali e/o azioni speciali, garantendo la prontezza delle forze armate ucraine per la difesa dello stato. Le forze speciali delle forze armate ucraine svolgono indagini speciali.
Truppe d'assalto ucraine.
Le truppe di d'assalto altamente mobili (fino a luglio 2012 chiamata Forza aeromobile ucraina) è un tipo separato di truppe che è destinato all'attacco verticale del nemico e alle azioni interne al paese, che comprende le unità aviotrasportate e aeronautiche delle Forze armate dell'Ucraina.
Sono progettati per eseguire missioni di combattimento che non possono essere eseguite da altre forze e mezzi di combattimento armato nella parte tattica e operativa del nemico. Le truppe si stanno preparando a pieno regime per il combattimento attivo contro il nemico - in particolare nello svolgimento di operazioni di difesa (controffensiva), speciali (antiterrorismo) e di mantenimento della pace.
Forze armate della Federazione Russa. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Le Forze armate della Federazione Russa (in russo: Вооружённые силы Российской Федерации?, traslitterato: Vooružënnye sily Rossijskoj Federacii) sono costituite dall'insieme dei corpi delle Forze terrestri, Forze Aerospaziali, Forze missilistiche strategiche, dalle Truppe aviotrasportate e dalla Marina militare.
Istituite nel 1992, hanno rilevato l'eredità materiale e giuridica delle Forze armate sovietiche.
Ritenute la seconda potenza militare del pianeta dopo gli Stati Uniti d'America, al 2020 contano circa 900.000 effettivi, che giungono a circa 2.000.000 se inclusivi dei riservisti.
Il Comandante in capo è il Presidente della Federazione Russa, carica ricoperta, al 2021, da Vladimir Putin. Sempre al 2021, la carica di Ministro della difesa è occupata dal generale d'armata Sergej Šojgu mentre la carica di Capo di Stato maggiore generale è occupata dal generale Valerij Gerasimov.
Il fucile d'ordinanza è l'AK-74M, anche se a partire dal 2017 ne è stata pianificata la sostituzione con gli AK-12[3] ed AK-15.
Anni 2010.
Attuata la terza fase del piano di riforma voluto dalla presidenza della federazione, inizia la consegna seriale di numerosi sistemi d'arma.
In seguito ai fatti del 2014 nella penisola crimeana, tali consegne subiscono un rallentamento dovuto all'applicazione di sanzioni economiche da parte della comunità internazionale relative alla fornitura di apparecchiature elettroniche, propulsori ed ulteriori componenti di fabbricazione estera. Viene avviata a livello federale, il programma di sostituzione di tali componentistiche con equivalenti di fabbricazione domestica.
Il 1° ottobre 2015, è dato avvio alle operazioni russe in territorio siriano a supporto del governo di Damasco contro lo Stato Islamico e nel corso delle quali prendono parte tutti i corpi delle forze armate.
Nel 2017, il porto siriano di Tartus viene ceduto in leasing alla Federazione Russa per 49 anni e per il suo ampliamento ed adeguamento sono stanziati fino a 500 milioni di dollari. Allo stesso modo, anche la base aerea di Khmeimm, quartier generale del distaccamento delle forze aeree russe in Siria, viene ceduta in leasing per 49 anni ed ulteriormente ingrandita e riequipaggiata negli anni successivi fino a renderla idonea per i velivoli dell'aviazione a lungo raggio.
Nel 2019 viene conseguito, come preventivato, un tasso di modernizzazione dei sistemi d'arma consegnati alle truppe non inferiore al 70%.
Anni 2020.
Nel 2020 sono pubblicati nuovi piani di espansione dell'influenza russa nel continente africano. La Russia ha raggiunto accordi per l'apertura di basi militari russe all'interno dei confini dei seguenti paesi: Sudan, Eritrea, Madagascar, Egitto, Repubblica Centrafricana, Mozambico.
A seguito dell'aumento della pressione politico-militare sui confini occidentali, aumenta il ritmo di ammodernamento dell'equipaggiamento delle truppe. L'attenzione è maggiormente rivolta al riarmo delle truppe dedite alla difesa aerea ed antimissile (in particolare anti-balistica) nei cui ranghi è stata dichiarata dal dicastero russo la volontà di raggiungere, tra il 2025-27, un tasso di modernizzazione dei sistemi d'arma non inferiore all'80%.
Nel 2021 in occasione della pubblicazione del rapporto di fine anno delle performance conseguite, il ministro della difesa ha dichiarato che il tasso di ammodernamento delle forze armate si attesta al 71,2% mentre nelle forze nucleari strategiche è pari all'89%. Il tasso di prontezza al combattimento dei mezzi e dei sistemi d'arma è mantenuto al 95% in tutti i corpi delle forze armate.
Organizzazione.
Il ruolo dello Stato Maggiore (STAVKA) è ridotto a reparto del Ministero per la Pianificazione Strategica, sebbene il Ministro stia guadagnando Autorità di comando. Il ministero della difesa ha il ruolo di amministrazione centrale dell'apparato militare.
I posti di comando per lo Stato Maggiore e il Presidente, secondo Globalsecurity.org sono Čechov/Šarapovo approssimativamente a 80 chilometri a sud di Mosca, Čaadaevka Penza vicino a Voronovo a Mosca, una base a Lipeck e il monte Jamantav negli Urali. I posti di comando per il comando nazionale delle Forze Strategiche Missilistiche sono a Kuncevo a Mosca (primario) e nel monte Kosvinskij negli Urali (alternativo). Molti dei bunker di Mosca sono collegati tra loro dalla linea speciale numero 2 della metropolitana di Mosca.
Le forze armate russe sono suddivise come segue: Esercito, Marina militare e Forze Aerospaziali le quali comprendono pure la difesa aerea e l'Aeronautica Militare. Esistono anche due servizi indipendenti: Forze Missilistiche Strategiche, Forze Militari e le truppe aerotrasportate e le Forze Ausiliarie di Supporto che comprendono la sanità militare, il vettovagliamento e il genio ferrovieri. Le Forze della Difesa Aerea, in precedenza indipendenti e note come Vojska PVO sono state unificate con l'aeronautica militare nel 1998, il 1º agosto 2015 le forze spaziali sono state unificate con l'aeronautica.
Esercito.
Sistema di combattimento della fanteria Ratnik in variante di ricognizione e kit di protezione individuale dell'equipaggio AFV Ratnik-ZK
Le forze dell'esercito sono composte da 774.500 soldati e 45.000 mezzi corazzati o blindati (2012). Il quartier generale è a Mosca. Attualmente risultano suddivise in sei distretti militari.
Distretto militare occidentale: quartier generale a San Pietroburgo. Il nome "Leningrado" è stato mantenuto in onore del milione e mezzo di caduti durante l'assedio tedesco della città nel 1941-1944. Vi militano oltre 34.000 soldati e circa 300 carri armati, inquadrati in una divisione paracadutisti e una decina di brigate (due di artiglieria, due motorizzate, una missilistica, quattro della difesa aerea ed una di forze speciali).
Distretto militare meridionale: quartier generale a Rostov. L'unità principale del distretto è la 58ª Armata. In totale, i militari del distretto sono oltre 100.000, con circa 2.800 tra carri armati e mezzi blindati. Tali forze sono inquadrate in quattro divisioni (una di paracadutisti e tre motorizzate) e dieci brigate (due di artiglieria, due motorizzate, due missilistiche, tre della difesa aerea ed una di forze speciali), oltre a varie unità minori. Gran parte di queste unità ha preso parte alla guerra in Cecenia.
Distretto militare centrale: quartier generale ad Ekaterinburg. L'unità principale del distretto è la 2ª Armata. In totale, le forze del distretto ammontano ad oltre 30.000 soldati e circa 1.200 tra carri armati e mezzi blindati. Tali forze sono inquadrate in tre divisioni (due motorizzate ed una corazzata), nove brigate (tre di artiglieria, una motorizzata, una di paracadutisti, due missilistiche, una della difesa aerea ed una di forze speciali) ed in altre unità minori. Anche in questo caso, molte unità hanno preso parte al conflitto ceceno.
Distretto militare orientale: quartier generale a Chabarovsk. Le unità principali sono la 5ª e la 35ª Armata. Risulta dotata di oltre 4.500 carri armati.
Marina Militare.
La Marina militare risulta suddivisa in quattro flotte ed una flottiglia. Composta da circa 160.000 uomini (2000), con circa 850 navi (incluse quelle d'appoggio).
Flotta del Baltico (quartier generale a Baltijsk nell'enclave dell'Oblast di Kaliningrad).
Comprende mezzi di superficie e subacquei, con base principale a Kaliningrad, difesa da una brigata di fanteria di marina; basi secondarie Kronstadt, la storica base navale vicino a San Pietroburgo, e Baltijsk.
Flotta del Nord (quartier generale a Severomorsk).
Basata sui vari porti del Mar Bianco, tra cui Murmansk e Severodvinsk. Un'altra importante infrastruttura basata nell'interno della penisola di Kola è la stazione radio ELF (Extremely low frequency) Zevs (Zeus), che trasmette segnali in codice per i SSBN, visto che i suoi segnali possono arrivare alla profondità di 200-300 metri. Comprende una nutrita flotta di superficie, tra cui l'incrociatore da battaglia a propulsione nucleare Piotr Veliki (Pietro il Grande) della classe Kirov e la portaerei Admiral Kutznezov, l'unica in dotazione alla marina Russa. Inoltre, comprende anche una quindicina di sottomarini nucleari d'attacco (SSN) delle classi Akula, Victor III, Sierra, cinque sottomarini convenzionali Kilo, oltre ad un paio di SSGN della classe Oscar II (alla quale apparteneva il Kursk). Vi sono anche una decina di sottomarini lanciamissili balistici delle classi Delta III e IV e Typhoon. Dipendono dalla Flotta del Nord anche alcuni reggimenti dell'Aviazione di Marina, dotati di Tupolev Tu-22M Backfire, di Tupolev Tu-16 Badger nelle versioni antinave (radiati o prossimi alla radiazione) e jammer (guerra elettronica, oltre che di ricognitori strategici Tupolev Tu-95 e Ilyushin Il-38 May antisommergibile, basati sugli aeroporti intorno a Murmansk, tra cui Umbozero e Babozero. Si tratta di una delle due principali flotte della marina russa (l'altra è quella del Pacifico).
Flotta del Pacifico (quartier generale a Vladivostok).
Ha come altro porto importante Petropavlovsk-Kamčatskij. Comprende mezzi di superficie e sottomarini, tra i quali quattro SSBN Delta III, vari sottomarini nucleari d'attacco classe Akula (anche dotati di missili da crociera), ed SSGN della classe Oscar II. Inoltre, è previsto che l'incrociatore da battaglia missilistico Admiral Nakhimov (appartenente alla classe Kirov), attualmente in fase di aggiornamento e riparazione a Severodvinsk, sia assegnato alla Flotta del Pacifico. In effetti, le enormi distanze non permettono una agevole gestione della flotta del Pacifico, e si è parlato anche di un suo scioglimento in passato.
Flotta del Mar Nero (quartier generale a Sebastopoli. Nel 2005 il governo ucraino ha firmato un accordo per l'affitto alla Russia di aree per l'installazione di basi militari nella vicinanza di Sebastopoli (Sevastopol') (attualmente unica città al mondo ad essere sede di due flotte militari di due Paesi diversi) con durata fino al 2017. In tutti i modi, una nuova base navale è in costruzione a Novorossik. In seguito alla spartizione della vecchia flotta sovietica del 1997 tra Russia ed Ucraina, ha subito un notevole ridimensionamento dal punto di vista numerico.
Flottiglia del Caspio (quartier generale ad Astrachan'). Composta da neanche un centinaio di unità (comprese quelle per compiti di appoggio), è in fase di riequipaggiamento. Non vi sono sottomarini.
Vi è anche la Regione Speciale di Kaliningrad, alle dipendenze del comandante della Flotta del Baltico che ha un quartier generale per le forze di terra precedentemente noto come 11ª Armata Guardie, con una divisione di fucilieri meccanizzata, una brigata di fucilieri meccanizzata e un reggimento di aviazione da caccia basato su Sukhoi Su-27 Flanker ed altre forze. La Federazione russa dispone inoltre anche della Guardia Costiera.
Alle dipendenze della marina russa vi è anche l'aviazione di marina (Aviacija Voenno-Morskogo Flota) ed il Corpo della Fanteria di Marina.
Aeronautica Militare.
Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica in quindici Repubbliche nel 1991, gli uomini ed i mezzi facenti parte dell'Aviazione Militare sono stati suddivisi tra i nuovi Stati. La Russia ha ricevuto la maggioranza di queste forze, approssimativamente il 40% del materiale ed il 65% del personale. Al momento il comandante in capo dell'Aeronautica Militare Russa è il Generale Aleksander Zelin. Con le truppe antiaeree conta all'incirca 185.000 uomini.
Secondo il sito russo warfare.ru le forze aeree possono contare su più di 4.000 mezzi, tra bombardieri, caccia ed elicotteri.
Per quanto riguarda l'organizzazione, il quartier generale è a Mosca. In generale, l'aviazione russa risulta divisa in nove armate.
Sei di queste corrispondono, dal punto di vista operativo, ai Distretti Militari. Nello specifico:
Distretto Militare del Caucaso Settentrionale: 4ª Armata aerea, con quartier generale a Rostov;
Distretto Militare Volga-Urali: 5ª Armata aerea, con quartier generale ad Ekaterinburg;
Distretto Militare di Leningrado: 6ª Armata aerea, con quartier generale a San Pietroburgo:
Distretto Militare dell'Estremo Oriente: 11ª Armata aerea, con quartier generale a Chabarovsk;
Distretto Militare Siberiano: 14ª Armata aerea, con quartier generale a Čita;
Distretto Militare di Mosca: 16ª Armata aerea, con quartier generale a Kubinka;
Le restanti tre, invece, hanno compiti operativi più “specifici”.
61ª Armata aerea da trasporto: con quartier generale a Mosca, è equipaggiata principalmente con aerei cargo Il-76. Si occupa del trasporto strategico nell'ambito delle forze aeree della Federazione Russa.
37ª Armata aerea strategica: con quartier generale ad Engels, questa unità raggruppa tutti i bombardieri strategici della VVS.
Forza aerea C3: con quartier generale a Mosca, comprende unità sperimentali, si occupa del trasporto presidenziale (o comunque di alte personalità) e raggruppa gli aerei radar A50 (equivalenti russi degli AWACS).
Corpi militari indipendenti[modifica | modifica wikitesto]
Raketnye vojska strategičeskogo naznačenija (Ракетные войска стратегического назначения), Forze Missilistiche Strategiche
Vozdušno-desantnye vojska (Воздушно-десантные войска), Truppe Aviotrasportate
Kosmičeskie vojska (Космические войска), Forze Spaziali
Altri corpi.
Altre corpi militari non alle dipendenze del Ministro della Difesa includono:
L'FSB, il Servizio federale di sicurezza interna erede del KGB, (per la sicurezza esterna l'erede del KGB è l'SVR) ha alle proprie dipendenze anche la Guardia di Frontiera per un totale di 66.200 militari.
le Guardie di Frontiera (Pograničnaja Služba Rossii)
i servizio di informazione e sicurezza militare GRU.
la Guardia Nazionale della Federazione Russa: formata sulla base delle Truppe Interne, posta alle dirette dipendenze del Presidente della Federazione e indipendente dalle forze armate.
il Servizio di Protezione Federale
L'Agenzia Federale di Comunicazioni ed Informazione
i Servizi di Sicurezza presidenziali.
Le spese militari.
Nel 2005 le spese per la difesa ammontavano a 573 miliardi di rubli, oltre il 3% del PIL. Nel 2006 la spesa è aumentata a 666 miliardi di rubli, equivalenti a circa 24,9 miliardi di dollari, mentre fonti governative hanno dichiarato una spesa di circa 32 miliardi di dollari per il 2007. Secondo diverse fonti di stampa, attualmente il governo russo ha avviato un piano di ammodernamento delle forze armate con un budget stimato in più di 200 miliardi di dollari dal 2006 fino al 2015. Dopo un'esponenziale e continuo aumento del budget delle Forze Armate della Federazione Russa tra il 2008 e il 2016, nel 2017 si è verificata una sensibile riduzione del 17% (del 20% se si tiene conto di fenomeni macroeconomici come inflazione e fluttuazione del cambio). Questa controtendenza è da attribuirsi agli effetti delle sanzioni internazionali durante la crisi ucraina e alla diminuzione del prezzo del petrolio, asset estremamente rilevante nella composizione del PIL.[14] La Federazione Russa cede in tal modo il terzo posto nella lista degli stati per spesa militare all'Arabia Saudita. Tuttavia, sebbene il recente programma di modernizzazione decennale 2017-2027 (in sostituzione del precedente 2007-2027) preveda una sostanziale stabilità delle spese militari in rubli (19 trilioni di rubli, analogamente al decennio precedente), la svalutazione della valuta della Federazione (19 trilioni di rubli valevano circa 600 miliardi di USD all'avvio del decennio precedente, contro il cambio a circa 300 miliardi USD di quello in corso) permette di prospettare un piano decennale sicuramente meno ambizioso, concentrato nella modernizzazione di armamenti già sviluppati, nel miglioramento delle capacità di comando e controllo, nella standardizzazione di sistemi d'arma esistenti e nella ricerca e sviluppo.
L’oscuro mondo dei contractors. Lorenzo Vita l'1 gennaio 2020 su Inside Over. Un sistema in crescita, che può rivoluzionare, se non l’ha già fatto, il modo di fare la guerra. I contractors non sono più semplici mercenari al soldo di qualche piccolo emirato o qualche signore della guerra. Queste organizzazioni paramilitari sono diventate delle vere e proprie forze armate parallele, sempre più utilizzate dalle superpotenze per gestire i conflitti in cui non vogliono (o non possono) impiegare i propri soldati ma anche per controllare aree di interesse strategico in cui le autorità degli Stati alleati hanno difficoltà (economiche, logistiche o anche semplicemente belliche). Non c’è nulla di romantico, se mai ce ne fosse stato, nelle logiche delle società di contractors. Ma sgombrato il campo da questioni di natura etica (che ogni utilizzo di questi uomini implica) va ormai compreso che non possano più essere ritenuti secondari nella comprensione delle guerre. Il loro uso è ormai non solo assodato ma anche estremamente consistente. E l’industria che è stata creato con il loro impiego (Repubblica parla di un giro d’affari vicino ai 400 miliardi di dollari) conferma l’assoluta importanza di un mondo che ha assunto ormai un valore politico, diplomatico ed economico che è assimilabile a quelli di vere e proprie forze parallele rispetto a quelle delle autorità nazionali.
I contractors al soldo di Mosca. La questione ha assunto particolare importanza in queste settimane perché numerose inchieste hanno portato alla luce la presenza di cittadini russi (non si possono definire soldati perché non appartenenti alle forze armate) tra le file del generale Khalifa Haftar. L’uomo forte della Cirenaica ha da sempre un rapporto privilegiato con il Cremlino confermato dalle visite a Mosca e anche dalle relazioni di interesse intessute non solo con i colossi energetici russi ma anche con vari settori dell’intelligence e della diplomazia russa (e degli alleati di Vladimir Putin). E questo rapporto è stato confermato appunto nell’assedio di Tripoli quando, con l’annuncio della cosiddetta “ora zero” da parte del maresciallo si è anche palesata la presenza di “mercenari” russi, in particolare del Gruppo Wagner. Presenza che era stata già paventata a suo tempo dai servizi segreti britannici i quali avevano segnalato la possibile presenza di uomini russi a Derna ben prima dell’avanzata su Tripoli e la contemporanea possibilità di uno scenario siriano per la Libia. Ipotesi che evidentemente all’MI6 avevano analizzato a fondi, dal momento che la realtà, a quanto pare, non è così lontana dall’allarme di Londra. La presenza di contractors russi in Libia è naturalmente solo una parte della strategia del Cremlino riguardo la Libia e tutti i conflitti in cui è direttamente o indirettamente coinvolta. Perché se è vero che la Wagner opera insieme al maresciallo Haftar nel controllo della guerra che sconvolge la Libia dalla caduta di Muhammar Gheddafi, è anche vero che la Cirenaica (e ora anche la Tripolitania) sono solo due delle molte aree in cui la Wagner opera per gli interessi di Mosca. Mercenari russi sono stati uccisi in Mozambico a novembre con un’operazione che ha destato non poche perplessità nella comunità internazionale. Non solo per la violenza con cui sono stati uccisi i russi, ma anche per la presenza (confermata purtroppo dalla loro morte) fisica di combattenti al servizio del Cremlino in un Paese con cui la Russia ha un forte collegamento politico dai tempi dell’Unione sovietica. Soldi, armi e energia – i binari su cui corre la strategia russa in Africa – hanno coinvolto anche il Mozambico. E la presenza di miliziani russi ha certificato la necessità di Mosca di controllare che i suoi interessi fossero tutelati. Interessi che non sono molto diversi da quelli che la Russia ha nella Repubblica centrafricana, dove non a caso sono presenti altri contractors, sempre della Wagner, saliti alla ribalta delle cronache per la morte di alcuni giornalisti (Orkhan Dzhemal, Aleksandr Rastorguyev e Kirill Radchenko) che viaggiavano da Bangui a Bambari. Il governo russo parlò di una rapina. Ma gli stessi media locali e africani puntarono il dito contro la Wagner e sui presunti traffici dell’organizzazione con le autorità locali. Quell’episodio è rimasto avvolto dal mistero. Ma quello che è certo è che nessuno ha più smentito la presenza di mercenari russi nel Paese, mentre le autorità locali si sono trincerate dietro l’autorizzazione della Russia da parte dell’Onu a sostenere gli sforzi della Repubblica centrafricana nel controllo del territorio.
Siria e Ucraina. Dall’Africa al Medio Oriente, la presenza di contractors russi della Wagner (generalmente ex soldati dell’esercito ed ex membri del Gru) è invece assolutamente certa nel territorio della Siria. Anzi, i combattenti mercenari sono stati spesso sfruttati dal Cremlino proprio per evitare che le forze regolari di Mosca intervenissero in scenari difficili o comunque dove fosse lecito attendersi un rischio molto elevato per le truppe. La guerra in Siria è stata (ed è) un impegno enorme per Putin: soldati uccisi non sono mai accettati dall’opinione pubblica. Ma anche in questo caso, rischi non sono mai stati pochi. Le foto di “civili” russi in mimetica, abbronzati dal sole cocente del deserto, che sbarcavano in Russia con voli spesso anonimi provenienti dal Medio Oriente hanno più volte fatto comprendere il loro impiego in teatri operativi. E nel febbraio 2018, per quattro interminabili ore, soldati americani e forze aeree Usa hanno avuto un pesantissimo scontro con i combattenti della Wagner, probabilmente 500. I caduti tra le file dei mercenari nella piana di Deir Ezzor sono state decine: nessuna cifra ufficiale. Ma quello che è certo è che per la prima volta forze statunitensi e russe (sebbene paramilitari) si sono fronteggiate in Siria provocando decine di morti. Come non si sa con esattezza quanti siano stati i morti tra i contractors russi in Ucraina, dove invece è da anni certa la presenza di queste forze negli eserciti delle repubblica filo-russe del Donbass e di tutto il fronte orientale ucraino. In particolare, l’uso dei contractors in battaglia è stato confermato nella battaglia di Debaltseve e in quella di Starobesheve. Anche in questo caso, i caduti in conflitto non hanno mai avuto un numero ufficiale. Tutto avvolto nel mistero.
Mercenari e Pentagono. La Russia non è chiaramente l’unica forza a usare i contractors. Anzi, in realtà gli Stati Uniti da tempo hanno impostato una strategia che prevede un sempre maggiore uso delle forze delle compagnie militari private nella gestione degli scenari di guerra dove Washington non ha più interesse ad avere una presenza massiccia di truppe. Il primo e più importante scenario in cui esiste questa strana convivenza tra contractors e soldati è quello dell’Afghanistan. Nella guerra più lunga degli Stati Uniti, i combattenti delle agenzie private che vengono impiegati dal governo americano sono stati migliaia. E migliaia sono stati soprattutto i morti: segno che quando si parla di mercenari è sempre sbagliato darne una lettura di parte per cui li utilizzano solo potenze o Stati non occidentali. Un’inchiesta del Washington Post ha addirittura confermato che il numero di vittime tra i contractors al servizio degli Stati Uniti è superiore (e di molto) a quella dei militari, raggiungendo la cifra record di 3.814 caduti. Un numero enorme se si pensa alla pochissima pubblicità che viene data allo sfruttamento di queste compagnie da parte del Pentagono, ma che dimostra come quella strategia pensata da Donald Trump (e Erik Prince) riguardo alla “privatizzazione” della guerra afghana non sia qualcosa da considerare avulso dalle strategia statunitensi. Al contrario, i contractors sono da sempre una componente essenziale dei piani strategici dei militari Usa in una guerra che l’opinione pubblica da tempo considera del tutto fallimentare e priva di alcuna utilità. Ma quella guerra, se non si può vincere, sicuramente non si può abbandonare. Ed è per questo che dalla Casa Bianca è arrivato l’ordine di provare a privatizzarla. Del resto, una compagnia privata cosa meno rispetto alle forze regolari (decine di milioni di dollari di meno) e un soldato morto vale, in termini di percezione sociale, molto più di un civile che va in guerra con un’azienda. Come ricorda Repubblica, The Congressional Budget Office ha chiarito che “un battaglione di fanteria in guerra costa 110 milioni di dollari all’anno, mentre un’unità militare privata 99 milioni”. Va da sé che 20 milioni in meno, ogni volta, rappresentano un risparmio non di poco conto. Ed è un investimento su cui l’America ha puntato talmente tanto che il governo federale ha speso in cinque anni (tra il 2007 e il 2012) circa 160 miliardi di dollari in queste aziende. I cui servizi possono essere usati anche in vari contesti, dall’addestramento delle truppe regolari fino ai conflitti dove gli Stati Uniti non vogliono far capire di essere pienamente coinvolti, pur avendo interesse a sostenere l’alleato sul campo.
I contractors al servizio di Pechino. Anche al Cina non è immune dall’utilizzo dei contractors. Anzi, i dati mostrano che il business delle compagnie militari private è in netto aumento a tal punto che ormai sono aziende con un fatturato enorme che Pechino sfrutta per controllare tutte le aree in cui non vuole usare le forze regolari. Lo stesso obiettivo di Russia e Stati Uniti è così stato assunto dal Dragone che, con la Nuova Via della Seta, sa di non poter lasciare i suoi interessi e le infrastrutture che costruisce in giro per il mondo in mano al controllo di forze che, soprattutto in Paesi in via di sviluppo, non garantiscono un chiaro monitoraggio del territorio. E non garantiscono soprattutto fedeltà all’alleato cinese né i suoi interessi. Per questo motivo, non deve stupire che in questi nani vi è stata una netta presa di posizione da parte della Cina nell’utilizzo delle Pmc. Anzi, il governo cinese ha anche fatto un ulteriore passo in avanti. Mentre prima i colossi del Paese utilizzavano in larga parte aziende private estere, perché, come riportato da Eastasia, i contractors cinesi erano considerati inesperti, ora viene preferito l’impiego di compagnie private cinesi che in questo modo si addestrano sul campo e soprattutto evitano che i dollari investiti dalle autorità cinesi finiscano in un fiume generalmente collegato ad altre potenze (appunto Stati Uniti e Russia in primis). Come dimostrato anche dai contratti siglati dalla Blackwater con la Cina per operazioni che Pechino ha voluto sempre mantenere nel più stretto riserbo. Ma soprattutto questo rende anche più facile la possibilità che gli interessi cinesi siano tenuti in qualche modo più coperti e nel grande calderone della burocrazia dell’Impero. Il governo cinese ha inviato compagnie private di contractors a tutela dei lavoratori inviati in Sud Sudan come in Iraq, ma ha anche blindato gli interessi del corridoio con il Pakistan così come i porti della Nuova Via della Seta e la cosiddetta “Collana di perle” dell’Oceano Indiano. Del resto, come riportato anche da Xinhua, gli investimenti sulla sicurezza all’estero per le autorità cinesi ammontano già a decine di miliardi di dollari. E questo business non può che crescere con l’aumentare degli interessi cinesi fuori dal suo territorio. La riluttanza di Pechino a non inviare truppe fuori dal Paese rende poi tutto più chiaro.
Da Focus.it. La Legione straniera tra storia e leggenda. In passato nella Legione straniera francese si entrava spesso per sparire dalla circolazione senza lasciare traccia. Quando è nata? E perché?
Il 10 marzo 1831 veniva fondata la Legione straniera. Ancora oggi si dice che solo tre cose sopravvivano nel deserto: i serpenti, gli scorpioni e i legionari. Il riferimento è ai soldati della Legione straniera francese, o semplicemente Légion étrangère, corpo militare d'élite composto da uomini "senza patria". L'avventura della Legione straniera iniziò nel XIX secolo tra le dune del Sahara algerino e il suo controverso mito, amplificato dalla letteratura e dal cinema, non è ancora passato.
ARRUOLARE GLI STRANIERI. La Legione nacque in Francia nel 1831 per ordine del re, Luigi Filippo d'Orléans (1773-1850). Il Paese usciva da un periodo difficile. Dopo l'esilio di Napoleone, nel 1815, i Borbone avevano ripreso il trono ed erano riusciti ad assicurare un periodo di relativa pace. Ma nonostante ciò all'interno del Paese persisteva un clima di instabilità sociale. L'Europa, nel 1830, era stata sconvolta da una serie di moti rivoluzionari.
Nella stessa Francia le "tre gloriose" giornate di Parigi (27, 28, 29 luglio 1830) avevano costretto il re Carlo X a lasciare il trono, poi passato al moderato Luigi Filippo di Borbone Orléans. Nel Paese ormai "pacificato" trovarono rifugio molti stranieri (italiani, polacchi e spagnoli) in fuga dai loro Paesi e in cerca di occupazione. A questa folla di sbandati si aggiungevano fiumi di soldati stranieri: ex mercenari o soldati semplici che avevano fatto parte dell'esercito francese nel periodo delle rivolte e che ora si trovavano senza lavoro.
Fu allora, probabilmente con l'intento di dare un inquadramento a tutti questi irregolari che potevano creare problemi di ordine pubblico, che nel marzo del 1831 l'Assemblea nazionale francese votò una legge che permetteva la creazione di un nuovo reggimento in cui si potevano arruolare solo gli stranieri. «Le autorità concepirono la Legione come soluzione a una minaccia d'ordine pubblico, ma c'era anche un'altra ragione per crearla», spiega il saggista canadese Jean-Vincent Blanchard, autore del volume Legione di eroi (Piemme). «Nel 1830 la Francia si era imbarcata in un'impresa coloniale in Algeria e aveva bisogno di un corpo militare in cui la perdita di vite umane non suscitasse il contraccolpo che avrebbero scatenato eventuali vittime francesi».
PER CHI NON AVEVA NIENTE DA PERDERE. La Legione nacque così, quasi come una specie di "discarica umana", con uomini che non avevano nulla da perdere, da impiegare come forza da combattimento nelle colonie. Uomini della cui eventuale morte non importava a nessuno. Così, per rimpolpare le file della Legione, fin dal principio furono arruolati non solo ex combattenti in cerca di una seconda possibilità ma anche individui che si erano macchiati di qualche crimine, intenzionati a "scomparire" dalla circolazione.
Al momento dell'arruolamento, infatti, era sì necessario dare le vere generalità, ma queste rimanevano segrete e chi voleva poteva usare un nome falso. La Legione diveniva così una nuova patria: Legio Patria Nostra recita non a caso il motto del corpo. E in questa patria si parlava tutti la stessa lingua, il francese (e chi non lo sapeva era costretto a impararlo). Tuttavia la cosa più difficile che dovevano affrontare gli aspiranti legionari era la durissima preparazione psicofisica, che portava molte reclute, anche le più motivate, a mollare.
«L'addestramento del legionario era innanzitutto noto per le lunghe ed estenuanti marce nel deserto, durante le quali le reclute erano gravate sulle spalle da zaini dal peso insopportabile», dice in proposito Blanchard. Sui metodi di addestramento non si facevano sconti a nessuno: chi rimaneva indietro, era lasciato al proprio destino (marciare o morire, si usava dire). La disciplina era inflessibile e il grado di obbedienza richiesto verso i superiori assoluto ("la missione è sacra e la eseguirai fino in fondo, se necessario [...] perdendo la vita" recita il codice d'onore dei legionari).
FATICHE QUOTIDIANE. Ma i compiti non finivano sul campo di addestramento (o di battaglia). Il legionario doveva anche gestire la routine quotidiana, in totale autonomia, per cui alle lunghe camminate di allenamento alternava momenti dedicati alla manutenzione delle armi e alla pulizia di caserme e fortini, i cui locali erano quasi sempre invasi dalla sabbia.
Tuttavia erano organizzati anche rari momenti di svago, come per esempio feste in caserma (ma solo sporadicamente). E se nelle fasi di addestramento gli uomini della Legione erano sostanzialmente interdetti dai rapporti con il mondo esterno, durante il periodo di ferma avevano diritto a qualche libera uscita. Molti dei legionari non avevano però affetti familiari e amavano passare le ore libere in qualche bettola a sbronzarsi o in compagnia di prostitute, dimenticando per un po' la dura disciplina.
«Gli ufficiali chiudevano di solito un occhio di fronte a tali comportamenti poco "eroici", sapendo che uno stato depressivo dei legionari poteva avere effetti ben peggiori», aggiunge l'esperto. E se qualcuno non si trovava bene non poteva dimettersi su due piedi dal reggimento, il rischio era quello di essere processati come disertori ed essere condannati al carcere militare. Ancora oggi è così.
DI GUERRA IN GUERRA. Dopo la conquista dell'Algeria (dove fu collocata la sede centrale della Légion étrangère, a Sidi bel Abbès), i legionari furono inviati in Crimea (1853-1856), dove vinsero la battaglia dell'Alma contro i russi (1854). Poi fu la volta del Messico, ex possedimento spagnolo dove le forze francesi erano penetrate nel 1862 e dove il 30 aprile 1863 i legionari furono impiegati nella battaglia di Camerone. «Il capitano Jean Danjou, 62 legionari e altri tre ufficiali, ritrovatisi bloccati in una fattoria circondata dalle truppe messicane, rifiutarono di arrendersi e seguitarono a combattere finché pochi di loro rimasero in piedi, mentre gli avversari esclamavano che quelli non erano uomini, ma "demoni"», racconta lo storico. «Questo episodio fu considerato emblematico della tenacia in combattimento della Légion, la cui festa annuale fu fissata proprio al 30 aprile, "giorno di Camerone"».
Nel 1870 combatterono contro i Prussiani (sul suolo francese), per poi tornare a occuparsi delle colonie africane, destinate ad aumentare. Le imprese di questi uomini, in grado di combattere in ogni ambiente e con ogni clima, iniziarono intanto a fare il giro del mondo, ispirando romanzi, canzoni e, più tardi, anche film.
ALL'INFERNO. Dopo tanti successi, anche la Légion conobbe però un periodo di crisi, corrispondente all'ondata anticolonialista che travolse i possedimenti francesi, dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1954 il corpo combatté in Indocina nella feroce battaglia di Dien Bien Phu, dove a imporsi furono le forze vietnamite. Perduti i domini indocinesi, la Francia cercò di non dire "addio" anche all'Algeria, luogo in cui era iniziata la storia della Légion e dove le forze del Fronte di liberazione nazionale (Fln) avevano intrapreso, proprio nel 1954, una grossa battaglia per l'indipendenza.
«Ancora scossi dalla sconfitta subita a Dien Bien Phu, i legionari parteciparono alla battaglia di Algeri del 1957 e condussero poi operazioni antiguerriglia in tutto il Paese, giocando infine un ruolo di primo piano nel putsch dei generali che nell'aprile 1961 tentò di rovesciare il presidente Charles de Gaulle, reo di aver avviato negoziati col Fln». Nella Guerra di Algeria la Legione perse ogni aura romantica: i legionari organizzarono squadroni della morte che si resero responsabili di torture e brutalità d'ogni sorta, anche contro i civili.
La notizia delle violenze indignò l'opinione pubblica e deteriorò l'immagine della Légion, i cui ranghi, dopo l'indipendenza algerina (1962), furono ridotti e sottoposti a un maggior controllo. «Il 24 ottobre 1962 gli ultimi legionari lasciarono il comando di Sidi bel Abbès e si trasferirono in Francia, stabilendo il nuovo quartier generale ad Aubagne, vicino a Marsiglia, dove si trova tuttora», afferma ancora Blanchard.
Un'epoca era finita, ma dopo la batosta algerina la Legione seppe pian piano ritrovare parte dello smalto perduto impegnandosi in operazioni di peacekeeping, monitoraggio di infrastrutture in aree a rischio, lotta al narcotraffico e al terrorismo. E infatti, ancora oggi, attira nuove leve. Per ciascun aspirante legionario, il momento più atteso è quello in cui, superato il tirocinio, riceve il képi blanc, caratteristico copricapo bianco visto in mille film e divenuto simbolo del corpo. È a quel punto che finalmente inizia la vera avventura, che per molti consiste, come un tempo, nel ricominciare da zero una seconda vita.
Questo articolo è tratto da "L'armata degli stranieri", di Matteo Liberti, pubblicato su Focus Storia 147 (gennaio 2019) disponibile in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia ora in edicola.
Estratto dell'articolo Giuliano Foschini e Corrado Zunino per “la Repubblica” il 10 marzo 2022.
Ci sono i nazisti che combattono accanto agli antagonisti di sinistra. Forza Nuova contro Casa Pound. Sessanta italiani, almeno, dicono le ultime analisi della nostra intelligence che sparano. Per lo più accanto all'esercito di Putin. Ma anche con i resistenti di Zelensky.
«Ventimila cittadini di 52 stati diversi hanno chiesto di entrare nella legione» ha detto il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba con numeri che sono, però, al momento impossibili da verificare. Il conflitto ucraino non è soltanto orrore su orrore. Ma sta diventando anche una palestra di un nuovo terrorismo europeo.
Una scuola di foreign fighters, filo russi principalmente, a 600 euro al mese. Che, teme l'intelligence europea, si potranno trasformare in pochissimo tempo in cattivi maestri. O in lupi solitari pronti a colpire in casa nostra.
«Perché l'Europa, per i soldati di Putin, è la nuova nemica». Già da settimane, il quadro dei combattenti del nostro Paese è abbastanza chiaro. Le ultime rilevazioni del nostro Antiterrorismo contano, ormai da anni, circa 60 persone attive nei combattimenti in Donbass.
Sono tutti uomini di chiara estrazione di destra, in alcuni casi neonazisti, che combattevano per lo più al fianco per lo più dei russi. Ma anche degli ucraini. Antonio Cataldo, campano di Nola, sta con i soldati di Putin: addestrato nella Federazione, ha combattuto come mercenario in Libia, poi in Siria con l'esercito di Al-Assad.
È con la Russia anche Arkhangel, nome di battaglia di Gabriele CarugatI. Fa parte del battaglione "Vostok", sua madre è stata dirigente della Lega a Cairate. Ed è uno dei latitanti italiani del Donbass.
Su di lui e altre quattro persone la procura di Genova ha spiccato infatti un mandato di cattura (in Italia è vietato combattere all'estero) finito però nel vuoto perché da allora non hanno mai più rimesso piede in territorio italiano. Carugati come Andrea Palmeri, "il generalissimo" ultras della Lucchese.
Nazista che combatte al fianco de "Il comandante Nemo", esponente romano del coordinamento "Donbass antinazista", figura apparentemente senza volto (ma si tratterebbe di un giornalista), a conferma come attorno a Putin si siano saldati nazisti ed esponenti della sinistra antagonista.
A combattere con gli ucraini ci sono invece Valter Nebiolo e Giuseppe Donini con un passato da guerriglieri in Medio Oriente e una simpatia esplicita fascista. D'altronde la spaccatura interna della destra eversiva italiana è abbastanza chiara anche nel nostro Paese: da un lato c'è Forza Nuova che attribuisce agli Stati Uniti e alla Nato la responsabilità del conflitto (come fanno anche gli antagonisti da sinistra).
Dall'altro Casa Pound che si è apertamente schierata, ha osservato la nostra intelligence, a favore dell'Ucraina e dei popoli europei in nome di una difesa dall'imperialismo straniero.
(ANSA il 10 agosto 2022) - C'è il primo Italiano indagato per essere andato a combattere in Ucraina con la resistenza. E' un genovese di 19 anni, Kevin Chiappalone, simpatizzante del movimento di estrema destra CasaPound.
Il sostituto procuratore Marco Zocco della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo genovese lo accusa di essere un mercenario arruolato nella Brigata internazionale ucraina e rischia una condanna da due a sette anni.
L'indagine della Digos era partita dopo le dichiarazioni del giovane al settimanale Panorama in cui annunciava di volere partire per difendere l'Ucraina dopo avere sentito Putin che parlava di "denazificare il Paese".
Secondo quanto appreso, il ragazzo, senza alcuna esperienza in ambito militare o nell'uso delle armi (se non la passione per il softfair), è partito a maggio, entrando nel Paese probabilmente attraverso il confine polacco. Dopo una fase di addestramento, come mostrano anche alcune foto sui social, ora si troverebbe in Donbass.
Al momento il giovane è l'unico indagato ma gli investigatori stanno cercando di capire se vi siano altri mercenari e se vi sia una rete di reclutatori. La Digos ha interrogato diverse persone di CasaPound. Da quanto emerso avrebbe fatto tutto da solo tramite internet. Sarebbe arrivato in Polonia con l'aereo e da lì in pullman ha raggiunto il fronte.
A Genova era stata avviata una inchiesta su un giro di mercenari filorussi, partiti dopo il conflitto del 2014. Tra questi figura Andrea Palmieri, "il generalissimo": per l'Italia è un latitante che deve scontare 5 anni per aver fatto da reclutatore. Ex capo ultrà dei Bulldog della Lucchese, estremista di destra, è in Donbass.
Altri veterani del Donbass sono Massimiliano Cavalleri detto 'Spartaco', e Gabriele Carugati, soprannominato 'Arcangelo', un ex addetto alla sicurezza di un centro commerciale in Lombardia figlio di Silvana Marin, ex dirigente della Lega a Cairate. Dovrebbero essere ancora lì a combattere al fianco dei russi. A fine marzo era stato ucciso l'ultrà del Venezia Edy Ongaro, dal 2015 tra le fila dei separatisti filorussi. Tra i filo ucraini invece c'è Giuseppe Donini, 52enne di Ravenna che era con il battaglione Azov.
Con lui c'era Valter Nebiolo, che invece è rientrato in Italia. Nei conti degli italiani rientra anche Volodymyr Borovyk, che dal 2004 vive a Roma dove lavora in un Caf. Il trentottenne, moglie e tre figli piccoli nati nella capitale, è tornato nel suo paese, a Chernivtsi, e si è arruolato nella difesa territoriale. A fine aprile era tornato in Italia Ivan Luca Vavassori, l'ex calciatore di 29 anni andato a combattere nelle brigate internazionali, a fianco dell'esercito di Kiev
(ANSA il 10 agosto 2022) - "Triste, arrabbiato ma felice". E' come si definisce su Facebook Kevin Chiappalone, lo studente di 19 anni andato a combattere in Ucraina con la resistenza e indagato dalla procura di Genova perché ritenuto un mercenario.
Le ultime tracce risalgono all'1 agosto quando pubblica una foto su Instagram in cui mostra il dito medio al fotografo, quasi certamente un altro giovane combattente nella Brigata internazionale Ucraina, imbraccia una mitragliatrice leggera, indossa un elmetto e ha il volto nascosto da un paio di occhiali scuri e da un passamontagna. In un altro scatto, nascosto in un bosco osserva con i binocoli un punto all'orizzonte.
Il 6 giugno aveva pubblicato una foto dove teneva in braccio un cucciolo di pastore tedesco citando Charles M. Schulz, l'autore di Linus: "La felicità è un cucciolo caldo". Sotto il post tuttavia, a un amico che gli chiedeva come stava ha risposto: "L'altro ieri ho perso un amico".
E ancora, in un’altra è con due amici, con abiti militari, a volto scoperto e sorridente a Cracovia in Polonia il 29 aprile, pochi giorni prima che i volontari (con lui c'è un ragazzo spagnolo) varcassero il confine con l'Ucraina.
Sempre dai social emerge la passione del ragazzo per le partite di softair e la sua militanza in Casapound con la partecipazione a manifestazioni neofasciste non solo a Genova, la rabbia di un ragazzino di periferia sfogata in una nota palestra popolare a Cornigliano, quartiere dove abitava con la madre prima di decidere di andare a fare la guerra vera in Ucraina per combattere contro Putin.
Estratto dell'articolo di M.L. per “la Repubblica” l'11 agosto 2022.
Kevin Chiappalone, 19 anni, contattato in territorio ucraino da Repubblica si dice «stupito da tutto questo. Mi aspettavo azioni legali, non di vedere la mia foto ovunque e di trovarmi mille messaggi, i miei genitori mi scrivono di giornalisti che li cercano da tutte le parti. Sto cercando di realizzare ».
Genovese, studente di estrema destra, simpatizzante se non militante di CasaPound, per la Direzione distrettuale antiterrorismo del capoluogo genovese è un foreign fighter, arruolato nella Legione internazionale di difesa territoriale dell'Ucraina, impegnato sul campo contro i russi. E come tale il suo nome è stato iscritto sul registro degli indagati dal pm Marzo Zocco.
[...] Con ogni probabilità si trova a Kharkiv anche se lui, in una stringatissima conversazione, non rivela sua esatta posizione: «Sono in zona di combattimento, sono dispiegato, ma non sono in Donbass come ho letto in alcuni articoli».
Alla richiesta di altre informazioni taglia corto: «Prima ho bisogno dell'autorizzazione dei miei superiori ». Eppure l'inchiesta di Genova è nata proprio da una sua intervista, pubblicata dal settimanale Panorama a marzo in forma anonima.
Allora sosteneva che «Putin ha promesso di voler denazificare l'Ucraina. Diciamo che in quel momento ci siamo sentiti chiamare in causa». [...]
Marco Lignana per “la Repubblica” l'11 agosto 2022.
«Noi ci chiediamo come sia possibile che l'Italia consegni armi all'Ucraina, e poi nostro figlio che ha scelto di combattere laggiù non possa rimettere piede qui, sennò finisce in prigione». Tiziana Chiappalone e Filippo Moramarco, genitori del 19enne Kevin, non volevano che il figlio partisse per la guerra: «Ci aveva detto che sarebbe andato a fare del volontariato a Sanremo... quando ormai a cose fatte ci ha raccontato la verità, ci siamo sentiti crollare il mondo addosso».
Adesso che il volto del ragazzo cresciuto con loro nel ponente genovese è comparso su siti e televisioni di tutta Italia, i due sembrano persino dimenticare che al centro di tutto c'è un conflitto, e rivendicano con orgoglio: «Kevin è una brava persona, non sta facendo male a nessuno. Ha le sue idee, certo di destra, ma è andato ad aiutare l'Ucraina, non l'invasore russo.
È dalla parte giusta e qui non è una questione di destra o sinistra, visto che fra ucraini e russi tutto è mischiato, trovi da una parte e dall'altra gente di ogni idea politica».
[...] Insomma per la madre Tiziana, che di mestiere fa la collaboratrice domestica, «è stata una scelta di vita che non condivido ma che rispetto, resterò per sempre sua mamma e di certo non lo abbandono nel momento del bisogno. Quando mettiamo al mondo delle creature cerchiamo di crescerle insegnando loro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, io sono orgogliosa che mio figlio faccia qualcosa per gli altri. Lui un mercenario? Impossibile, non prenderà un euro, sono le sue idee che lo guidano ». [...]
Kevin Chiappalone indagato e gli altri italiani sul fronte Russia Ucraina. Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 10 Agosto 2022.
Giulia Schiff ex pilota dell’Aeronautica, è l’unica donna al fronte. Andrea Palmieri. estremista di destra, deve scontare 5 anni in Italia. Edy Ongaro è il primo italiano morto.
Kevin Chiappalone, 19 anni, di Genova, è il primo indagato dalla magistratura italiana per essersi arruolato con le milizie filo ucraine. Giovanissimo simpatizzante di estrema destra non è in realtà l’unicoitaliano a trovarsi, armi in pugno sul fronte della guerra. Sia dalla parte di Kiev che di quella di Mosca. Ecco chi sono e quali sono le loro storie.
* Kevin Chiappalone è indagato dalla procura di Genova è iscritto al registro degli indagati in base a una legge del 1995 che punisce gli italiani che partecipano a un conflitto armato per conto di stati stranieri. Un «foreign fighter» in piena regola, dunque: rischia una condanna tra 2 e 7 anni. Giovanissimo, privo di qualunque addestramento militare, il giovanissimo Kevin è finito sotto la lente della magistratura per una intervista rilasciata al settimanale «Panorama» in cui annunciava la sua partenza per l’Ucraina. «Ho sentito che Putin vuole denazificare l’Ucraina e allora sono partito per impedire che ciò avvenisse» ha detto. Sui social ha postato alcune foto che lo ritraggono in mimetica e fucile mitragliatore in braccio con altri combattenti. Non è chiaro però dove si trovi in questo momento. Ha raggiunto l’Ucrina arrivando prima in aereo a Varsavia e poi proseguendo in autobus. Da lì ha postato qualche foto sui suoi profili social (su Instagram si fa chiamare «Milza Zena») in una delle quali lo si vede con in spalla un bazooka. Un’arma potente in netto contrasto con la sua espressione di adolescente . «È un bravo ragazzo, si è sempre schierato dalla parte dei deboli» dice di lui la madre.
* Giulia Schiff è un ex pilota dell’aeronautica militare. Veneziana, 23 anni, era stata espulsa dopo aver denunciato episodi di nonnismo e molestie da parte dei colleghi maschi. Nel marzo del 2022 è partita volontaria per l’Ucraina e si è arruolata nella «Legione internazionale» voluta da Zelensky. «Non vedo da parte dell’Europa la reazione che meriterebbe lo scempio che sta subendo l’Ucraina da parte di Putin. Non ci sono giustificazioni per non reagire» aveva scritto a marzo suyl suo profilo Instagram.
* Andrea Palmieri, 42 anni, di Lucca, è invece schierato con i miliziani filorussi . Si troverebbe in Donbass dal 2014 dopo anni di militanza con Forza Nuova e tra gli ultras della squadra di calcio della sua città. In Italia deve scontare una condanna a cinque anni proprio per la sua attività di reclutatore di miliziani da inviare sul fronte russo-ucraino.
* Gabriele Carugati, milanese, detto «Arcangelo», era un addetto alla sicurezza di un centro commerciale. é figlio di una militante della Lega della provincia di Varese. Combatte a fianco dei russi.
* Riccardo Sotgia , di Sassari, è stato invece un militante di estrema sinistra: ha deciso di partire per il Donbass schierandosi dalla parte di Mosca perché considera l’Ucraina uno «stato nazista».
* Edy Ongaro, 46 anni, di Portogruaro, è invece il primo italiano morto in Donbass. Anche lui si mera arruolato con i filorussi, anche lui viene da una militanza nei centri sociali di estrema sinistra e come ultrà del Venezia. Nome di battaglia «Bozambo», il 30 marzo scorso è morto dilaniato da una bomba a mano che lui stesso stava maneggiando.
Da open.online il 31 agosto 2022.
Nella guerra tra Russia e Ucraina Giulia Schiff, ex pilota dell’Aeronautica militare, è in prima linea a combattere come volontaria nelle Forze Speciali della Legione Internazionale. Secondo il suo avvocato Schiff non è una mercenaria e può quindi combattere con Kiev. E lei oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera racconta che ha rischiato due volte di morire. «Una volta eravamo in missione in direzione Cherson, il nostro veicolo blindato è finito sotto attacco ed è finito in un canale. Il casco si è strappato e ho battuto la testa. Senti? Ho ancora il bozzo».
L’altra volta è successo «di notte, stavamo tentando di infiltrarci in un villaggio occupato, i russi ci hanno individuato e hanno iniziato a bombardare. Io ero calma e ho aiutato i colleghi in difficoltà. Buttandomi a terra, ho sbattuto i denti sul mio fucile. La bomba di artiglieria più vicina mi è caduta a due o tre metri. In questa operazione sono morti 4 dei miei colleghi, uno era un caro amico e ho dovuto dire alla sua fidanzata che non c’è più. Vorrei poter tornare indietro a recuperare il suo corpo».
Schiff dice di avere paura («se non l’avessi sarei psicopatica). E aggiunge che la madre le chiede ogni giorno di tornare a casa, mentre il padre è orgoglioso della sua scelta. Poi fa sapere di aver trovato l’amore al fronte: «È un ragazzo metà ucraino e metà israeliano. Combattiamo nella stessa brigata. Ha 29 anni, è il miglior soldato che abbia incontrato e anche il miglior uomo. Siamo compagni anche sul campo e ci guardiamo le spalle l’un l’altro. Il suo nome di battaglia è Wolf e allora scherzando a volte ci chiamano Mrs e Mr Wolf, anche se in realtà il mio soprannome è Kida».
Infine, racconta che tipo di addestramento ha ricevuto: «All’inizio mi sono appoggiata a una famiglia di attivisti a Zytomyr. Lì ho parlato con il sindaco e poi con l’ex ministro della Difesa. Mi hanno portata al quartier generale dell’intelligence a Kiev dove mi hanno sottoposta alla macchina della verità. Ero incaricata anche delle pubbliche relazioni. Mi sono addestrata con membri delle forze speciali di tutto il mondo, al poligono e sul campo. Sono stata a Irpin e Bucha. Dopo poco mi sono unita a Masada e sono stata a Kharkiv, poi con base a Dnipro nel Donbass: Bakhmut e Kramatorsk. Ora la nostra area è Mykolaiv».
Domenico Quirico per “la Stampa” l'8 marzo 2022.
La guerra si complica, si gonfia come un tumore. Accade sempre così. Il segno che sarà difficile sgomitolare la ingarbugliata matassa è l'irrompere anche dei mercenari, i combattenti stranieri. Hanno sentito odore di cancrena, fiutano l'odore della guerra molto prima di vederlo. È il loro momento. Mentre milioni di ucraini cercano di fuggire in una miserabile confusione, in un intrico di fagotti, di auto stracariche, di disperazione, c'è chi risale baldanzoso la corrente nel senso opposto, ha paura di non arrivare in tempo a prendersi la sua parte di guerra.
Legione straniera di fanatici che credono nel nudo cinismo della forza o brigate internazionali di idealisti decisi a non limitarsi alle chiacchiere, come nella Spagna del '36 quando le democrazie blaterarono molto ma si limitarono a guardare i fascismi trionfare? Forse ci sono gli uni e gli altri, anche una minoranza di idealisti, illusi di poter, in una guerra smisurata come quella ucraina, esser utili con la buona volontà e un fucile. Tutti costoro hanno molti motivi per essere qui ma purtroppo la maggioranza sono ingiusti.
Il ministro degli Esteri ucraino ha lanciato un appello perché si arruolino e in America l'ambasciata di Kiev ha messo a disposizione anche un sito per iscriversi. Putin ha meno difficoltà: fa arrivare i volontari ceceni del suo complice nel massacro di Grozny, Ramzan Kabirov, e offre denaro ai siriani che hanno combattuto per l'alleato Bashar al Assad perché si ingaggino come «operatori della sicurezza». Ne ho conosciuti alcuni di questi mercenari in guerre più piccole ma non meno feroci in altre parti del mondo.
Mi ha sempre impressionato il loro cinismo, così assoluto che toglieva il fiato. Era gente che aveva trent' anni ma era già morta. Credo non avessero paura di essere uccisi ma solo perché non volevano più niente dalla vita. Era come se dentro fossero decrepiti, infatti a loro restava solo il passato. La guerra era il culmine della loro esistenza e fino a che andava bene, ogni volta combattendo la vivevano. La cosa migliore, la più luminosa della loro vita era la guerra. Non prevedevano di avere niente di meglio. Ma per la stessa ragione non poteva esserci niente di peggio. La vita era stata vissuta. I ceceni, i combattenti di Kabirov, «il khoziain» il padrone, sono già serviti a Putin.
Perché ai suoi ventimila uomini che deve rendere grazie, se ha preso in mano davvero il potere ventidue anni fa. È grazie agli spietati ceceni con cui ha vinto la impossibile guerra agli insoggiogabili indipendentisti convertiti al jihad se ha convinto i russi che era lui l'uomo adatto a tirarli fuori dal pantano eltsiniano: un post-comunismo subito fradicio, lebbroso di miseria, senza dignità, in cui la democrazia consisteva nel diventare con ogni mezzo, soprattutto illecito, milionario.
Il mediocre burocrate del Kgb che non era riuscito nemmeno a diventare colonnello manteneva le promesse: i ceceni annientati, la sconfitta ignominiosa nel '96 vendicata. È Kabirov che gli ha insegnato il baedeker delle guerre senza pietà, che solo chi è più feroce vince, che bisogna massacrare in modo spettacolare anche i civili senza badar se sono colpevoli, serve a terrorizzare gli altri. Grozny è la prova generale di Mariupol.
E i ceceni di Kabirov son di nuovo lì. Sanno come si fa. Le città bisogna ucciderle come gli uomini che ci vivono; tra le rovine nessuno meglio di loro sa lavorare di mitra, di lanciarazzi e alla fine, di baionetta. Sono uomini con cui è pericoloso mescolarsi, a cui non chiederesti mai cosa facevano prima, nella vita civile. Si troveranno come a casa: i palazzi in cui si uccide sono gli stessi, l'antico sciupato barocco zarista e i falansteri della stagnazione sovietica. Il cemento esplode, si sbriciola, diventa trincea: bisogna avere esperienza per dar lì dentro la caccia agli uomini come fossero topi, dell'uccidere, per non restarne prigionieri.
Loro sanno che nel terzo millennio ancor più che in passato, la innocenza è un delitto che deve essere severamente punito. E poi arriveranno i siriani, il regalo di Bashar all'uomo che gli ha conservato il potere. Verrebbero offerti trecento dollari per un ingaggio di sei mesi preceduto da un periodo di riaddestramento in Russia. Costano poco questi sicari. In Siria si muore di fame, trecento dollari sono un tesoro. Anche loro possono essere utili per la seconda fase dell'invasione, quando bisognerà dare l'assalto alle città e le perdite saranno elevate. Si sono allenati per anni ad Aleppo, Homs, annientate quartiere per quartiere, casa per casa.
Dall'altra parte Zelensky annuncia le sue brigate internazionali, addirittura sedicimila sarebbero coloro che si sono arruolati per aiutare l'Ucraina a resistere. Forse le cifre sono gonfiate. Molti devono essere addestrati, saranno i primi ad essere spazzati via. Quelli che invece scorrono in alcuni filmati ben equipaggiati e inneggiando alla vittoria sono già combattenti esperti. Negli otto anni di piccola guerra nel Donbass erano in prima linea, seppure in minor numero, anche tra gli ucraini. Molti tra loro appartengono a movimenti di estrema destra occidentale, cercano una guerra qualunque per esistere.
I «foreign fighter» di un estremismo totalitario speculare a quello della guerra santa islamista. C'è il rischio che anche si portino dietro i veleni della guerra come è accaduto ai jihadisti che in Afghanistan ad esempio si addestrarono per poi mettere in pratica quanto avevano imparato nelle guerre civili dei Paesi di origine.
In Ucraina era di casa anche il padrone della «Blackwater», la multinazionale dei mercenari che dal '97 al 2010 ha firmato contratti con il dipartimento di Stato Usa per due miliardi di dollari, aveva grandi progetti sull'Ucraina, accademie per addestratori e reclute ma anche rilevare la proprietà di alcuni dei grandi complessi dell'industria militare. Promettendo di sottrarli a russi e cinesi. Questa guerra è l'ennesimo affare?
Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 10 Giugno 2022.
«Puoi aver fatto cinque missioni di fila in Iraq, essere un veterano dell'Afghanistan o aver combattuto nel Mali con la legione straniera francese Credimi, non c'è niente che ti prepara a questa guerra, niente che ti insegna a difenderti dall'artiglieria e dall'aviazione della Russia». Nella sua carriera di soldato professionista, il "Lupo del Nord" ne ha viste tante ma non le aveva viste tutte.
È un italo-americano di 35 anni di cui pubblichiamo solo il nome di battaglia, vive nel nord-est degli Stati Uniti e si è unito come volontario alle forze di Kiev. «Sono stato nell'esercito americano dal 2006 al 2011, ho prestato servizio in Iraq e in Germania. Ho anche lavorato per delle società private in Afghanistan». Il Lupo si presenta così con Repubblica, parlando dal fronte di Donetsk dove si trova da due settimane.
Qual è la situazione della sua unità?
«Immaginatevi dieci stranieri in una casa che aspettano la missione e vengono bombardati tutto il giorno, mentre si domandano: "ma che cazzo stiamo facendo?": ecco, questa è la situazione».
Perché ha deciso di venire qui?
«Per porre fine al conflitto. Ho un senso di colpa per il mio servizio in Iraq e in Afghanistan, due guerre piene di bugie e corruzione. Anche l'Ucraina non è un posto perfetto, ma la causa è pura: siamo qui per difendere la sicurezza dell'Europa».
Nel Donbass il tribunale dei separatisti ha condannato a morte tre stranieri, l'ha saputo?
«Certo. Sono stati catturati nella battaglia di Mariupol e sono formalmente nell'esercito ucraino, quindi coperti dalla Convenzione di Ginevra. Non sono mercenari, dovrebbero essere trattati come prigionieri di guerra. Credo che abbiano emesso questa sentenza di morte per poi concedere la grazia all'ultimo minuto, è una messinscena. Ma se li uccidono davvero, i britannici manderanno più armi a Kiev».
Cambia qualcosa per lei?
«No, farmi catturare non è nei miei piani. Nelle guerre moderne il 70 per cento delle vittime è causato all'artiglieria. Se esco da questo conflitto vorrà dire che sono stato fatto a pezzi dalle schegge di una bomba. Per la verità, è probabile che morirò prima di dissenteria».
Quali sono i suoi piani, allora?
«Rimanere vivo, intanto. Nel Donbass meridionale il rumore dei cannoni non si attenua mai, l'intensità del combattimento è molto più alta che in Iraq o in Afghanistan. I russi si affidano ai droni e alla distruzione totale attraverso l'artiglieria, non gliene frega niente di questa terra, basta vedere che hanno fatto con Mariupol. Gli occidentali hanno un'immagine distorta dell'Ucraina, la considerano un posto squallido post-sovietico: invece ha più terreni seminabili di Italia e Spagna messe insieme, ha risorse infinite. Se non è un Paese ricco è solo per colpa della Russia che l'ha usato come Stato cuscinetto».
Quali opzioni hanno gli stranieri che vogliono combattere per l'Ucraina?
«Cinque strade: la legione straniera ucraina, le forze armate regolari, le unità combattenti di etnia russa e bielorussa composte dai disertori, la legione georgiana del comandante Mamuka e la Brigata Normand fatta dai volontari occidentali».
Società di contractor ce ne sono?
«Non ci sono gruppi stile Blackwater. Ci sono alcune Ong che navigano nella zona grigia e molti truffatori che si fingono della Cia per arruolare miliziani, come se fossimo nell'Afghanistan del 2001. Non ci sono lavori mercenari ben pagati in Ucraina, credimi, li ho cercati. E non perché io sia qui per i soldi: volevo inserirmi in una struttura di alto livello».
L'impressione è che nel gruppo dei volontari internazionali ci siano persone qualificate ma anche molta improvvisazione.
«All'inizio si è presentato chiunque gente che non aveva esperienza militare e che voleva fare il soldato perché gioca con i fucili ad aria compressa o a Call of Duty. Il 99 per cento di costoro è scappato appena ha sentito l'artiglieria russa. Chi è rimasto è più esperto, ma, ripeto, questa guerra è qualcosa di diverso, non è possibile essere pronti. I veterani dell'Afghanistan si aspettavano unità come quelle degli Stati Uniti, dove la logistica e la struttura di comando sono macchine perfettamente oliate che consentono di condurre più guerre su vari fronti. Le unità ucraine sono un'altra cosa».
Quindi, come combattete?
«Attendiamo i bombardamenti sperando di non saltare in aria. Poi prepariamo l'imboscata e aspettiamo di vedere se i comandanti russi mandano a morte i loro soldati demotivati».
Questa è una guerra per procura?
«L'Italia non dovrebbe vederla come un'espansione della Nato a Est. È una guerra di difesa in cui gli ucraini stanno proteggendo la patria. La Russia ha bisogno delle risorse della regione del Donbass, che è ricca di gas neon vitali per la produzione di semiconduttori, attualmente dominata da Taiwan e Stati Uniti. Ecco perché ha invaso».
Estratto dell’articolo di Monica Perosino per “la Stampa” il 10 Giugno 2022.
[…] Dopo Azovstal, dopo le decine di testimonianze di civili e soldati, i militari ucraini conoscono il destino dei prigionieri di guerra, oggetto di scambio nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore condannati a morte come i tre "mercenari" stranieri, due britannici e un marocchino, che ieri, dopo un "processo" lampo e senza prove, sono stati condannati alla fucilazione.
La corte suprema dell'autoproclamata Repubblica Popolare del Donetsk ha stabilito che Aiden Aslin, 28 anni, del Nottinghamshire, Shaun Pinner, 48 anni, del Bedfordshire, e Saaudun Brahim, cittadino marocchino, che combattevano per l'esercito ucraino, sono colpevoli di "terrorismo" per aver combattuto come mercenari. Il processo, che si è svolto a porte chiuse, era iniziato martedì.
Aslin e Pinner si sono difesi affermando di essere soldati dell'esercito regolare ucraino e rivendicando quindi il diritto di venire trattati come prigionieri di guerra in base a quanto prevede la Convenzione di Ginevra.
Gli analisti hanno già parlato di "processo farsa" per "crimini inventati", finalizzato piuttosto a fare pressione sulla Gran Bretagna e a chiedere uno scambio di prigionieri con soldati russi accusati di crimini di guerra. È stato Pinner, ex soldato della Royal Anglian Regiment, in un videomessaggio alla televisione russa, ad annunciare la cattura sua e di Aslin a Mariupol mentre combatteva con i marines ucraini.
Il messaggio che Mosca ha inviato all'Occidente è chiaro: russi e filorussi non guardano in faccia nessuno. La titolare del Foreign Office, Liz Truss, ha espresso «totale condanna» per la sentenza, ribadendo che sono «prigionieri di guerra, imputati in un processo farsa che non ha assolutamente alcuna legittimità».
Perché tali sono, anche se la propaganda putiniana finge di ignorarlo. Aslin, 28 anni, originario di Newark nel Nottinghamshire, si è trasferito in Ucraina, a Mykolaiv, nel 2018 e si è arruolato come marine nell'esercito ucraino. Anche Pinner, 48 anni, originario del Bedfordshire ed ex militare nell'esercito britannico, vive in Ucraina da quattro anni, è sposato con una cittadina ucraina e fa, anzi faceva, l'istruttore delle forze armate di Kiev. Gli altri combattenti che hanno resistito per settimane nell'acciaieria Azovstal, gli ucraini del battaglione Azov, 2.439 soldati, «saranno processati entro la fine dell'estate, ha comunicato il leader del Donetsk Denis Pushilin».
Antonello Guerrera per “la Repubblica” il 10 Giugno 2022.
Il suo "nom de guerre" è "Rojhat Rojava", adottato quando combatteva tra Turchia e Siria per le milizie curde Ypg e contro l'Isis: «Una scelta di libertà, di tutto l'Occidente », aveva detto Aiden Aslin appena rientrato in patria inglese nel 2016.
Allora, questo 28enne del Nottinghamshire, da ieri uno dei 3 combattenti volontari in Ucraina condannati a morte da una presunta "corte suprema" del Donbass filorusso, fu il primo foreign fighter a essere arrestato dalla polizia inglese dallo scoppio della guerra civile in Siria.
Alla fine venne assolto. E Aslin tornò a combattere sul fronte curdo. Dopo la battaglia in Medio Oriente contro l'Isis, Aiden Aslin, di Newark, è da diversi anni in Ucraina, che da tempo considera la sua patria di adozione. Precisamente dal 2018, quando, stando al racconto della sua famiglia, si è trasferito a Mykolaiv. Qui si sarebbe arruolato con la marina militare ucraina dopo essersi fidanzato con una donna del luogo. In passato, il giovane avrebbe lavorato come "caretaker" in una clinica in Inghilterra, per poi passare alle armi, e infine unirsi all'esercito ucraino contro i russi.
Il mondo ha conosciuto il volto giovane, pugnace e barbuto di Aslin a fine aprile scorso, quando i russi lo hanno catturato a Mariupol, dove si è arreso dopo settimane di assedio insieme a un altro connazionale e combattente volontario, Shaun Pinner. Da allora, i due sono stati mostrati e umiliati più volte in tv e in pubblico dai russi. La prima volta, Aslin e Pinner sono apparsi feriti, con lividi ed evidenti segni di percosse o torture: «Non avevamo più niente da mangiare né munizioni, non avevamo altra scelta se non arrenderci », dissero allora i due.
Shaun Pinner, invece, 48 anni, è un ex soldato britannico di Watford, molto rispettato dai superiori. In passato, ha prestato servizio anche in Irlanda del Nord e in Bosnia, sotto l'egida dell'Onu. Anche lui, come Aslin, quattro anni fa si è trasferito in Ucraina, dove si è unito ai militari locali, per addestrarli con la sua esperienza. Pinner ha una moglie ucraina e, secondo la famiglia dell'uomo, prima della guerra sarebbe stato in procinto di abbandonare l'esercito (dopo una permanenza di almeno tre anni) ed entrare nel settore umanitario.
Poi c'è il cittadino marocchino Saaudun Brahim, apparso anche lui dietro le sbarre con i due inglesi, tutti rasi a zero, in alcune foto apparse su Telegram. Di lui si sa poco, tanto che il governo di Rabat non si era nemmeno espresso fino a ieri sera.
Di certo, Brahim dovrebbe avere circa 25 anni, si è unito ai militari ucraini lo scorso febbraio e si trovava a Kiev per studiare all'Istituto politecnico aerospaziale. Quando è stato arrestato, ha fatto sapere alla famiglia di essere "terrorizzato" dai militari di Mosca.
Per i tre, l'accusa è di essere "mercenari", il che negherebbe loro la protezione e i diritti della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra.
Una ricostruzione smentita con forza sia dalle loro famiglie che dal governo britannico, che considera quello di Mosca un barbaro processo farsa. Ma lo stesso esecutivo in passato si è spaccato sulla questione dei combattenti volontari britannici, tanto che la ministra degli Esteri Liz Truss a inizio invasione aveva detto: «Se i volontari britannici vogliono andare in Ucraina a combattere contro Putin ben venga», per poi essere censurata dallo stesso Foreign Office. Oggi in Ucraina, tra almeno centinaia di combattenti volontari britannici, c'è anche Ben Grant, 30 anni, ex militare, veterano della guerra in Afghanistan e figlio nientemeno della deputata conservatrice Helen.
(ANSA il 9 giugno 2022) – La corte suprema della sedicente Repubblica Popolare del Donetsk ha condannato a morte i "mercenari" britannici Aiden Aslin, 28 anni, del Nottinghamshire, Shaun Pinner, 48 anni, del Bedfordshire, e Saaudun Brahim, cittadino marocchino, che combattevano per l'esercito ucraino. Lo fanno sapere le agenzie russe.
I militari sono accusati dai filorussi di essere "mercenari" ma le famiglie dei britannici, sostiene la Bbc, affermano che erano nell'esercito ucraino. Entrambi i britannici sono membri in servizio delle forze armate ucraine e il Regno Unito, spiega sempre Bbc, ha chiarito che sono da considerarsi come prigionieri di guerra che non dovrebbero essere perseguiti per aver preso parte alle ostilità. Quella pronunciata oggi dalla corte di Donetsk, non riconosciuta internazionalmente, è la sentenza di primo grado contro la quale gli imputati potranno fare appello.
(ANSA il 9 giugno 2022) - Le famiglie dei due ex militari britannici condannati a morte come mercenari in primo grado da una corte dell'autoproclamata Repubblica del Donetsk, denunciano il processo come uno show condotto "in violazione della Convenzione di Ginevra" sui prigionieri di guerra. Lo riporta il Guardian.
Mentre l'ex ministro Tory Robert Jenrick, deputato del collegio di uno dei due, accusa "le autorità russe" di averne strumentalizzato "in modo completamente vergognoso" la cattura e di "oltraggio al diritto internazionale". Ma spera comunque che "in un prossimo futuro" essi possano essere oggetto di uno scambio di prigionieri.
Un tribunale filorusso ha condannato a morte due cittadini britannici e un marocchino. DAVIDE MARIA DE LUCA su Il Domani il 09 giugno 2022
La ministra degli Esteri britannica «processo farsa senza nessuna legittimità». I tre combattevano con le forze armate ucraine e sono stati catturati in Donbass. Il processo si è svolto in un tribunale della cosiddetta repubblica popolare di Donetsk
Tre combattenti stranieri arruolati nelle forze armate ucraine sono stati condannati a morte da un tribunale della cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk, lo stato fantoccio creato dalla Russia nell’Ucraina orientale. Si tratta dei cittadini britannici Sean Pinner e Aiden Aslin e del cittadino marocchino Saadoun Brahim.
Dopo la sentenza, il governo britannico ha detto di essere «profondamente preoccupato». Un portavoce del primo ministro ha ricordato che «in base alla Convenzione di Ginevra i prigionieri di guerra hanno diritto all’immunità e non dovrebbero essere perseguiti per aver partecipato alle ostilità». Il portavoce ha poi aggiunto che il governo britannico «continuare ad agire insieme alle autorità ucraine per assicurarci il rilascio di qualsiasi cittadino britannico che ha servito nelle forze armate ucraine e che è detenuto come prigionieri di guerra». La ministra degli Esteri britannica Liz Truss ha definito il giudizio «una farsa senza nessuna legittimità».
Sono diversi i giornalisti ed esperti che in queste ore scrivono che la sentenza ha soprattutto un valore di scambio e pressione diplomatica e che, con ogni probabilità, non sarà messa in pratica.
I tre sono stati condannati per le loro attività di «mercenari» e per aver compiuto «attività terroristiche». Secondo l’accusa, avrebbero sparato sui civili e causato danni alle infrastrutture della Repubblica popolare.
Si tratta dei primi membri delle forze armate ucraine ad essere condannati per eventi relativi all’invasione iniziata il 24 febbraio. Tribunali ucraini hanno già condannato tre miliari russi per crimini di guerra a pene detentive di varia lunghezza.
Secondo il sito Dna-News, i tre imputati si sarebbero dichiarati colpevoli nel corso del processo, iniziato il 6 giugno. Ora hanno un mese di tempo per ricorrere in appello contro la sentenza, una decisione che tutti e tre avrebbero già preso.
DAVIDE MARIA DE LUCA. Giornalista politico ed economico, ha lavorato per otto anni al Post, con la Rai e con il sito di factchecking Pagella Politica.
Prigioniero britannico condannato a morte a Donetsk. Report Rai PUNTATA DEL 13/06/2022
Un tribunale militare della Repubblica popolare di Donetsk (DNR) ha condannato a morte un cittadino marocchino e due britannici, fatti prigionieri durante la battaglia di Mariupol. Sono accusati di essere mercenari stranieri, ma l'esecuzione è per ora sospesa: hanno un mese di tempo per ricorrere in appello. Il nostro inviato Manuele Bonaccorsi a fine aprile era stato il primo occidentale a intervistare uno di loro, Aiden Aslin, proprio nel suo carcere a Donetsk, dopo aver preteso che nessun militare della DNR fosse presente durante l'incontro. Durante l'intervista Aslin si è proclamato un mercenario, ma ha specificato di non essersi arruolato tramite una società privata e di essere pagato come un normale soldato di leva ucraino. Questa autoaccusa è proprio ciò che lo ha esposto alla condanna a morte (cancellata in Russia ma ancora presente nel codice della DNR) avvenuta dopo un processo di primo grado durato appena un giorno. A spingerlo in guerra, afferma Aslin, è stata la sua visione del mondo (il militare si autodefinisce "leftist" ed era già stato a combattere coi curdi sul fronte siriano) e una relazione sentimentale con una donna ucraina, che lo aveva portato a trasferirsi nel Paese prima dello scoppio del conflitto. L'obiettivo dell'intervista di Aslin, evidentemente voluta anche su pressione dei suoi carcerieri, era di chiedere uno scambio di prigionieri con Viktor Medvedčuk ex capo dell'opposizione a Zelensky in Ucraina, arrestato prima dello scoppio della guerra e attualmente detenuto a Kiev. Per questo Aslin si è rivolto direttamente al premier inglese Boris Johnson, chiedendogli di farsi portavoce dello scambio presso le autorità ucraine. Conclusa l'intervista Aslin ha chiesto di parlare con un giornalista della BBC, e l'inviato di Report gli ha passato il proprio telefono.
Antonello Guerrera per “la Repubblica” il 17 giugno 2022.
«Due combattenti volontari americani in Ucraina sono stati catturati dai russi». A sostenerlo è il Telegraph , che sottolinea come i due sarebbero i primi statunitensi a finire nelle mani dell'esercito di Mosca.
Secondo il quotidiano britannico, che ne pubblica anche le foto, i due militari si chiamerebbero Robert Drueke, 39 anni, e Andy Huynh, 27. Sarebbero ex marine, apparentemente catturati a nord-est della città ucraina di Kharkiv, nel nord del paese non lontano dal Donbass a pochi chilometri dove da settimane si combatte una battaglia decisiva tra ucraini e russi. Kharkiv è stata di recente riconquistata dai soldati di Kiev, ma ora è di nuovo sotto attacco dei nemici.
Il comandante del battaglione dei due americani, che ha parlato in maniera anonima al Telegraph , ha raccontato quanto accaduto la settimana scorsa. «C'è stato un problema di intelligence. Ci avevano detto che l'area era stata liberata, invece siamo finiti presto sotto il fuoco dei russi, arrivati con due tank T-72, diversi veicoli armati BPM-3 e 100 soldati di fanteria».
Drueke e Huynh sono andati dispersi durante la dura battaglia esplosa. I superiori dell'esercito ucraino sono convinti che siano in mano dei russi, come sarebbe confermato anche da alcuni messaggi su canali Telegram legati a Mosca. «Altrimenti li avremmo ritrovati», sostiene l'anonimo comandante.
Drueke è originario di Tuscaloosa, Alabama, ha combattuto in Iraq per l'esercito americano prima di lasciare i marines. Secondo sua madre Lois, soffrirebbe di disturbi mentali post guerra. Poi però, avrebbe deciso di andare a combattere per Kiev, anche perché non avrebbe trovato un lavoro decente negli Stati Uniti. «L'ambasciata mi ha detto che lo stanno cercando e che sarebbe vivo», ha dichiarato la donna.
Huynh, pure lui ex soldato americano, è invece nato in California ma avrebbe risieduto negli ultimi in Alabama, nella Tennessee Valley. La moglie Joy Black è stata avvertita dai commilitoni: «Non hanno più trovato mio marito dopo l'assalto dei russi, e le ricerche dei droni non hanno dato riscontri. Andy non mi aveva detto niente di questa operazione, probabilmente per non spaventarmi. Sin dall'inizio dell'invasione di Mosca, era tormentato dall'idea di andare a combattere in Ucraina».
Continua la donna al quotidiano inglese: «All'inizio non l'ho preso troppo sul serio. Ma quando ha visto tutti quei giovani ucraini costretti a prendere le armi appena maggiorenni, ha deciso di partire e dare una mano. Ho provato a dissuaderlo ma lui: "Scusami, devo davvero andare"».
La notizia arriva a pochi giorni dall'annuncio della condanna a morte di due combattenti volontari britannici catturati dai russi all'inizio della guerra in Ucraina e un altro giovane cittadino marocchino residente a Kiev, Saaudun Brahim.
Una decisione da parte della fittizia Corte Suprema dell'oblast di Donetsk, nell'est della Ucraina occupato da Mosca. Un caso che ha fatto infuriare il Regno Unito e il governo di Boris Johnson, che hanno sempre chiesto che a Aiden Aslin, 28 anni del Nottinghamshire, e Shaun Pinner, 48 e originario del Bedfordshire, venisse applicata la convenzione di Ginevra, e dunque l'immunità per i prigionieri di guerra. Invece, per tutti l'accusa è quella di essere "mercenari" contro l'esercito russo.
John Kirby, del National Security Council della Casa Bianca, non ha confermato il caso di Drueke e Huynh. Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato di essere a conoscenza delle voci a riguardo ma si è astenuto da ulteriori commenti per "ragioni di privacy". Poi ha ribadito: «Esortiamo i cittadini americani a non andare a combattere in Ucraina, perché sarebbero nel mirino dei soldati russi, e coloro già nel Paese di partire immediatamente in maniera sicura».
Luigi Guelpa per “il Giornale” il 14 luglio 2022.
«Quando si tratta di prigionieri dell'esercito nemico si può sempre aprire una trattativa per uno scambio, ma per i mercenari non esiste altra strada che la condanna a morte». Ricercato dalle autorità ucraine per separatismo, alto tradimento e terrorismo, il capo dell'autoproclamata repubblica del Donetsk, Denis Pushilin, si esprime così sulla sorte dei due combattenti britannici, Shaun Pinner e Aiden Aslin, e del marocchino Saaudun Brahin, catturati dai filorussi e condannati a morte dal tribunale locale lo scorso 9 giugno.
Si attende a questo punto la sentenza della Corte suprema dopo l'appello presentato dai tre miliziani, anche se Pushilin sembra quasi conoscere in anticipo il verdetto: «Saranno fucilati da un plotone d'esecuzione».
Stessa sorte che potrebbe toccare al cittadino americano Suedi Murekezi, 35 anni, arrestato il mese scorso a Kherson, città portuale occupata dalla Russia nel sud dell'Ucraina, dove viveva da circa tre anni. Della sua detenzione ha parlato il Guardian, intervistando il fratello Sele: «Siamo preoccupati per il suo stato di salute. Si trova in pericolo, mi auguro che le autorità americane possano intervenire per fermare un destino che purtroppo sembra già segnato».
Intanto nel Donbass la guerra procede incessante. Secondo gli analisti dell'MI6 britannico la Russia riuscirà a conquistare diverse piccole città della regione orientale nella prossima settimana, tra cui Siversk e Dolyna, ma le aree urbane di Slovyansk e Kramatorsk rimarranno gli obiettivi principali per questa fase dell'operazione.
Non si esclude che Putin possa chiedere un sostegno più massiccio da parte della sua aviazione per facilitare l'avanzata via terra delle milizie e chiudere la partita entro la fine di luglio. Soprattutto dopo che un sondaggio commissionato dal sito indipendente russo Meduza vede il 30 per cento degli intervistati favorevoli a un immediato cessate il fuoco.
Zelensky dal canto suo parla di «vittoria ucraina», ma l'impressione che i soldati di Kiev siano sempre più in difficoltà è tangibile. Dall'inizio dell'invasione su vasta scala, Mosca ha lanciato quasi tremila missili contro l'Ucraina.
Lo ha affermato lo stesso Zelensky durante un discorso ai partecipanti alla conferenza «Asian Leadership» di Seul. Nel 140° giorno di combattimenti, l'esercito ucraino ha respinto un assalto russo contro gli insediamenti di Dovhenke e Dolyna, in direzione di Sloviansk, nella regione di Donetsk.
Gli uomini del comandante Viktor Muzenko hanno anche fatto saltare in aria un deposito di armi a Nova Kakhovka, controllato dagli invasori, a circa 55 chilometri a est della città di Kherson. I soldati di Mosca hanno risposto con attacchi missilistici su varie località. Sono state bombardate le città di Kharkiv, dove un civile è morto e altri 5 sono rimasti feriti, e Bakhmut, oltre a numerosi insediamenti nell'est del Paese. Colpito per 60 volte in 24 ore l'Oblast nord-orientale di Sumy.
Durante la notte il corpo di un'altra vittima è stato recuperato dai soccorritori tra le macerie a Chasiv Yar, nel Donetsk, dove il 9 luglio un attacco russo aveva sbriciolato un edificio residenziale. Il bilancio delle vittime è salito a 47.
I russi hanno lanciato tre missili contro Kostiantynivka: una persona è stata ferita. Un edificio industriale e una casa privata sono stati danneggiati, le finestre rotte in diversi edifici residenziali vicini. Le forze d'invasione hanno inoltre colpito con razzi un'area vicina a un asilo nido e continuato a bombardare la comunità territoriale di Zvanivka, danneggiando parecchie case. Martellata ieri mattina anche la zona industriale e la fascia forestale di Kramatorsk nel Donetsk.
L'esercito di Mosca sfonda nel Donbass, ma non rinuncia al sud. È di 5 morti il bilancio parziale di un raid missilistico a Zaporizhzhia, non molto distante dall'impianto nucleare.
Gli invasori hanno lanciato almeno trenta missili in diverse località della regione di Mykolayiv uccidendo sette civili e provocando il danneggiamento di un ospedale e di alcuni edifici residenziali. Nel Mar Nero il nemico continua a tenere in stato d'allerta 4 navi portamissili Kalibr con una raffica di 24 ordigni pronti per attacchi missilistici e continua a controllare le comunicazioni marine nel mare di Azov.
Attività militari si segnalano anche nell'Oblast di Kiev e nell'area centrale dell'Ucraina. Le truppe russe hanno lanciato due ordigni a Bila Cerkva e bombardato il distretto di Nikopol due volte durante la notte e una terza nel tardo pomeriggio. Oltre alla stessa Nikopol, altre due comunità sono state attaccate: Chervonogrigorivska e Myrivska. Non risultano al momento civili coinvolti, ma in tutta l'I filorussarea manca la corrente elettrica.
Ucraina, americani catturati dai russi? Spunta la foto con le mani legate. Libero Quotidiano il 17 giugno 2022.
Una foto che toglie ogni dubbio, quella che ritrae i due americani catturati dai russi in Ucraina. Trasmesso dalla Cnn, lo scatto mostrerebbe i due con le mani legate dietro la schiena nel retro di un camion militare di Mosca. Nel tentativo di fare chiarezza su quanto sarebbe accaduto, il dipartimento di Stato americano sta lavorando per trovare conferme sulla veridicità della foto diffusa ieri su Telegram da un blogger russo, Timofey Vasilyev. L'uomo ha voluto mostrare la prova dell'avvenuta cattura da parte delle forze russe a nord di Kharkiv la scorsa settimana.
A dichiararlo alla Cnn è stata la madre di uno dei due, Bunny Druecke. I prigionieri sarebbero Alexander John-Robert Drueke, 39 anni, di Tuscaloosa, Alabama, e Andy Tai Ngoc Huynh, 27 anni, di Hartselle, Alabama. "Hanno detto che c'è una fotografia che sta circolando sui media russi. E stanno lavorando a fondo per verificarlo", ha subito commentato Drueke per poi aggiungere che "siamo molto fiduciosi".
Nel frattempo c'è un terzo americano sparito da giorni. Di Grady Kurpasi, veterano dei marine, non si hanno più notizie dallo scorso 23/24 aprile dopo che aveva deciso di unirsi agli ucraini. Ci sono notizie di un altro americano disperso. Non posso discutere i dettagli di questo caso", ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price durante una conferenza stampa. Al momento sono stati contattati i parenti dei tre cittadini scomparsi mentre l'amministrazione Biden non ha ancora parlato con il governo russo della loro scomparsa, perché non dispone di prove che indichino che i cittadini siano sotto la loro custodia. A cambiare la situazione però ci sarebbe l'ultima foto diffusa.
Da il corriere.it il 18 giugno 2022.
È vivo l'ex sergente dell'esercito Usa Alexander Drueke, che sarebbe prigioniero dei russi dopo essere scomparso in Ucraina. In un video su Telegram trasmesso dalla tv russa il soldato si rivolge alla mamma: "Voglio solo farti sapere che sono vivo e che spero di tornare a casa al più presto". Dal militare anche un saluto al suo cane Diesel.
Da "Il Messaggero" il 18 giugno 2022.
Un terzo americano, il veterano dei Marine Grady Kurpasi, è sparito in Ucraina. L'ultima volta che si sono avute sue notizie è stato fra il 23 e 24 aprile. Kurpasi è stato per venti anni nei marines e aveva deciso di andare volontario a fianco dei soldati di Kiev. A confermare la notizia della sua scomparsa è stata la moglie Heeson Kim.
È stato ancora una volta un amico del combattente Usa, George Heath, a lanciare l'allarme e a spiegare che da quasi due mesi non si hanno più sue notizie. «Voleva mettere a disposizione la sua esperienza per aiutare il popolo ucraino. Non aveva intenzione di combattere - ha dichiarato Heath -, ma solo di dare il suo contributo a un popolo che sta soffrendo».
Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price, ha spiegato che l'uomo risulta «disperso dalle ultime settimane», non ha fornito ufficialmente il suo nome, ma ha detto che è in contatto con la famiglia.
«Kurpasi è arrivato in Ucraina il 7 marzo e ha raggiunto Kiev il 21», ha detto ancora Heath. Il marine e altri membri della legione straniera sono stati incaricati di presidiare un posto di osservazione militare alla fine di aprile vicino a Kherson, più o meno nel periodo in cui Kurpasi ha smesso di comunicare con la moglie e gli amici negli Stati Uniti.
L'APPELLO La sua scomparsa si va ad aggiungere a quella di altri due ex soldati americani, volontari nell'esercito ucraino, dei quali, però, si sa, che sono stati catturati da forze russe durante una battaglia a est di Kharkiv la settimana scorsa. Anche il presidente Joe Biden è stato messo al corrente del sequestro degli americani e ha ribadito il suo appello ai cittadini statunitensi a non stare in quel Paese a causa della guerra in corso.
I due uomini sono Alexander Drueke, 39 anni, e Andy Huynh, 27. Se la notizia sarà confermata, si tratterebbe della prima cattura di soldati di nazionalità americana in Ucraina da parte russa, in quello che potrebbe diventare un caso diplomatico con richieste di importanti concessioni agli americani in cambio della loro liberazione.
E, infatti, da qualche giorno gli Stati Uniti stanno esortando Mosca a trattare i combattenti americani come prigionieri di guerra e a garantire quindi un loro trattamento umano. Anche se la Russia ha detto di «non sapere nulla» dei due volontari scomparsi. E ieri un blogger russo ha pubblicato su Telegram una fotografia che ritrae i due ex marine americani sul cassone di un veicolo con le mani dietro la schiena come se fossero legati.
Secondo la testimonianza di un compagno dei due americani, Drueke e Huynh sono stati catturati la scorsa settimana dopo che la loro unità di dieci uomini si è trovata circondata da una importante forza di russi. L'unità si era diretta verso una città che doveva essere libera ma in realtà era sotto attacco dei russi. I due si uniscono a un numero crescente di volontari militari occidentali catturati dalle forze russe, inclusi almeno due britannici.
LE STORIE Drueke è di Tuscaloosa in Alabama e aveva precedentemente prestato servizio con l'esercito americano in Iraq. Sua madre, Lois, 68 anni, ha detto che aveva lottato per mantenere un lavoro da quando era tornato dal servizio militare a causa di un disturbo da stress post-traumatico.
«L'ambasciata degli Stati Uniti mi ha assicurato che stanno facendo tutto il possibile per trovarlo e che lo stanno cercando vivo, non morto. Sto facendo del mio meglio per non cadere a pezzi, rimarrò forte. Sono molto fiduciosa che lo terranno in cambio di prigionieri di guerra russi», le sue parole.
La cattura degli statunitensi si prevede che sarà diplomaticamente delicata: il Cremlino potrebbe cercare di usarla come prova che gli Stati Uniti sono direttamente coinvolti nella guerra.
Marco Bruna per corriere.it il 9 giugno 2022.
La Corte suprema dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk ha condannato a morte, in primo grado, tre uomini che hanno combattuto con la legione straniera in Ucraina: sono i britannici Shaun Pinner e Aiden Aslin e il marocchino Saadoun Brahim, accusati di avere partecipato al conflitto come «mercenari» delle formazioni armate ucraine.
La notizia è stata riportata dall’agenzia di stampa russa Tass. Secondo le leggi della Repubblica popolare, i condannati saranno fucilati. Sulla tv russa si è acceso il dibattito sulle modalità dell’esecuzione da riservare ai tre condannati: «Gli si potrebbe sparare, potrebbero essere impiccati, fatti a pezzi o rilasciati dietro riscatto», discutono gli ospiti di Vladimir Solovyov.
Le famiglie dei due ex militari britannici denunciano il processo come uno show condotto «in violazione della Convenzione di Ginevra» sui prigionieri di guerra, scrive il Guardian. L’ex ministro Tory Robert Jenrick, accusa «le autorità russe» di averne strumentalizzato «in modo completamente vergognoso» la cattura e di «oltraggio al diritto internazionale». Ma spera comunque che «in un prossimo futuro» essi possano essere oggetto di uno scambio di prigionieri. L’agenzia russa Tass annuncia che gli uomini possono presentare appello entro un mese.
Arriva anche la replica delle autorità britanniche: «Abbiamo detto continuamente che i prigionieri di guerra non dovrebbero essere sfruttati per scopi politici», ha dichiarato il portavoce del premier Boris Johnson in una nota. «Ai sensi della Convenzione di Ginevra, i prigionieri di guerra hanno diritto all’immunità dei combattenti e non dovrebbero essere perseguiti per partecipazione alle ostilità. Continueremo a lavorare con le autorità ucraine per cercare di ottenere il rilascio di qualsiasi cittadino britannico che prestava servizio nelle forze armate ucraine».
La ministra degli Esteri del governo di Boris Johnson, Liz Truss, ha espresso «totale condanna per la sentenza di morte inflitta ai due ex militari britannici additati come mercenari: sono prigionieri di guerra, imputati in un processo farsa che non ha assolutamente alcuna legittimità. I miei pensieri sono per loro e le loro famiglie, continueremo a fare tutto ciò che possiamo per sostenerli».
Luigi Ippolito per corriere.it il 2 luglio 2022.
Ci sono altri due britannici che rischiano la pena di morte nel Donbass dopo essere stati arrestati dalle milizie filo-russe e accusati di combattere come mercenari a fianco delle forze ucraine. Ma in almeno uno dei due casi si tratta di una menzogna palese: Dylan Healy, uno chef di 22 anni, è infatti un volontario della cooperazione che è stato fermato ad aprile a un posto di blocco russo, non lontano dalla città meridionale di Zaporizhzhia, mentre stava aiutando a evacuare una donna ucraina i suoi due bambini.
Dominyk Byrne, direttore delle operazioni di Presidium Network, l’organizzazione per la quale Dylan lavorava, ha fatto sapere che «abbiamo fornito prove al governo britannico e alla famiglia di Dylan che chiaramente dimostrano che lui era un volontario umanitario in Ucraina al momento della sua cattura.
Dylan non era aggregato a nessuna unità militare o paramilitare e in nessun momento ha partecipato ad azioni militari. Le accuse mosse contro di lui dalla Repubblica di Donetsk (i separatisti del Donbass) non sono sostenute da nessuna prova e dunque possono essere spiegate solo come azioni politicamente motivate da parte del governo russo».
Diversa la posizione dell’altro britannico, Andrew Hill: lui era un combattente che si era unito alle forze ucraine ed è stato catturato ad aprile nella regione sud-occidentale di Mykolaiv. Già allora il ministero della Difesa di Mosca aveva reso pubblico un video in cui truppe russe interrogavano un uomo ferito che si era identificato come Andrew Hill e che parlava con un accento britannico.
Secondo la Tass, l’agenzia di stampa russa, i due uomini sono detenuti in attesa del processo e al momento «non intendono testimoniare né cooperare». Già il mese scorso un tribunale dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk aveva condannato a morte mediante fucilazione due britannici, Shaun Pinner e Aiden Aslin, assieme al marocchino Brahim Saadoun, con l’accusa di essere mercenari. Per Londra si tratta di una violazione della Convezione di Ginevra in quanto questi due britannici sono anche cittadini ucraini regolarmente aggregati alle forze di Kiev e non mercenari stranieri.
«Condanniamo lo sfruttamento di prigionieri di guerra e civili per scopi politici», ha detto una portavoce del Foreign Office. Il governo britannico si rifiuta di trattare direttamente con le cosiddette autorità del Donbass, perché implicherebbe riconoscerle, e vuole evitare che la questione dei propri cittadini catturati diventi un affare bilaterale con la Russia: piuttosto, si affida a Kiev per una mediazione nella speranza di uno scambio di prigionieri con i russi.
Ma è evidente che da Mosca stanno esercitando una pressione particolare su Londra, che è in prima fila in Europa nel fornire assistenza militare all’Ucraina: il premier Boris Johnson ha di recente esortato gli alleati a non cedere alla tentazione di una «cattiva pace» che finirebbe per premiare l’aggressione russa.
Marco Ventura per “Il Messaggero” il 19 aprile 2022.
Compaiono alla tv di Stato Russia 24 i due prigionieri britannici Sean Pinner e Aiden Aslin, e chiedono al premier Boris Johnson di favorire lo scambio con Viktor Medvedchuk, oligarca amico di Putin e presidente del partito filo-russo Scelta Ucraina, detenuto dagli ucraini.
Lo stesso chiede, sempre in tv a Mosca, la moglie di quest' ultimo, Oksana Marchenko. Nei giorni scorsi, Medvedchuk prigioniero aveva invece sollecitato Mosca a scambiarlo con i militari e residenti di Mariupol assediata. Inevitabile che prima o poi qualche occidentale cadesse nelle mani dei russi.
Nella brigata internazionale e tra i volontari delle diverse formazioni, mercenari o solo militanti per la libertà dell'Ucraina, vi sarebbero canadesi, olandesi, estoni, britannici, francesi, italiani, svedesi, polacchi, americani...
«Signor Boris Johnson, sono Sean Pinner», esordisce uno dei britannici. «Sono successe molte cose nelle ultime 5-6 settimane, non sono aggiornato ma per quel che ne so Medvedchuk è in custodia. Aiden Aslin e io vorremmo essere scambiati con lui. Grati per l'aiuto».
In Ucraina opera un arcipelago di decide e decine di migliaia di paramilitari da una parte e dell'altra della barricata: mercenari e volontari russi e occidentali, nazionalisti, estremisti religiosi, neonazisti, cetnici, comunisti, cosacchi, ex minatori militarmente inquadrati, ceceni pro-Mosca e altri pro-Ucraina, osseti, georgiani, siriani, gruppi criminali, terroristici... La paga va dai mille ai 2.500 euro.
Per il direttore della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica di Milano, Marco Lombardi, grande esperto di guerra ibrida, «se anche Putin e Zelensky dovessero stringere oggi un accordo per il cessate il fuoco, è dubbio che tutti questi miliziani smobilitino e accettino di non esser più pagati, difficile. Avremo anni e anni di combattimenti sul campo in Europa, indipendentemente dagli accordi tra Ucraina e Russia».
Il problema è duplice. «Nell'immediato, nessuna di queste formazioni, per entrambe le parti, risponde alle poche regole di guerra sopravvissute a decenni di ibridazione dei conflitti». Per questo sono le principali indiziate dei crimini.
«Nel futuro perché è incerto che riconoscano una catena di comando che possa imporgli di cedere le armi». Con l'eccezione, forse, di gruppi ormai inseriti negli eserciti regolari.
Il reggimento d'Azov, una milizia originariamente neonazista impegnata nel Donbass contro i ribelli russi, che ostentava lo stemma della divisione delle Waffen SS Das Reich e ha dato il pretesto a Putin di definire neonazista l'intera Ucraina, negli anni è stato via via epurato degli elementi più estremisti e attualmente conta fino a 4mila soldati d'élite che operano a Mariupol e Kharkiv, divisi in un battaglione di ricognizione e un altro di ricognizione e sabotaggio.
Ultranazionalisti ucraini di destra sono i partigiani di Pravyj Sektor, formazione nata nel novembre 2013 con le proteste di Euromaidan.
La brigata internazionale (o Legione straniera) conta circa 12mila uomini. C'è poi una Legione georgiana a cui ha aderito un ex ministro della Difesa georgiano.
A favore dell'Ucraina si battono perfino due battaglioni ceceni, Dzhokhar Dudaev e Sheikh Mansur, nemici dei ceceni di Kadyrov che invece sostengono i russi e sono il perno della sicurezza personale di Putin.
Il comandante del battaglione Sheikh Mansur, Muslim Cheberloevsky, filo-ucraino, ha sulla testa una taglia di Kadyrov da 500mila dollari e tra le sue fila ha ingusci, balcari, azeri, daghestani, cabardini, circassi, osseti...
La sua bandiera è quella anti-russa della Repubblica cecena di Ichkeria. Sul fronte opposto, oltre ai ceceni di Kadyrov militano decine di gruppi paramilitari ultranazionalisti russi e religiosi ortodossi, e i contractor del gruppo neonazista Wagner, finanziati dallo chef di Putin, Prigozhin, amico dello Zar e proprietario del suo catering.
Il sermone del Patriarca ortodosso Kirill di Mosca e di tutte le Russie, pronunciato lo scorso 6 marzo nella Cattedrale di Cristo Salvatore, attribuisce un valore fisico e metafisico alla guerra di Putin. Molte milizie sono nate dal Movimento Pamyat, cristiano-ortodosso, dal Fronte patriottico nazionale all'Esercito ortodosso russo, al Movimento imperiale russo con migliaia di volontari, alleato del Partito nazionale e socialista siriano che ha combattuto pure in Libia, al Battaglione Sparta attivo a Donetsk, fondato da Arsen Pavlov detto Motorola, ucciso nel 2016, e il cui capo carismatico, Vladimir Zhoga, è morto lo scorso 5 marzo nella battaglia di Volnovakha (Putin lo ha insignito del titolo di Eroe della Federazione russa). Il suo posto è stato preso dal padre, Artem. Il simbolo è la bandiera imperiale russa nero-giallo-bianca.
Il Battaglione Svarozich schierava, invece, 1.200 adoratori pagani del dio slavo Svarog assorbiti poi dalla Brigata Vostok, che arruola pure italiani, sia comunisti sia di estrema destra.
Pro-Putin i Cosacchi registrati della Federazione russa (che in patria sono guardie forestali), il Battaglione Alba dei bolscevichi, i bulgari di Alba ortodossa, gli spagnoli della Brigata Carlos Palomino, i cetnici del Distaccamento Jovan Sevic, gli ungheresi ultranazionalisti della Legione di Santo Stefano, oltre a più di 16mila volontari arruolati in 14 centri di reclutamento siriani, e a quelli ingaggiati in Libia e Centro Africa.
Marco Ventura per "il Messaggero" il 19 giugno 2022.
«Sono italiano, il mio nome di battaglia è Spartaco, sono arrivato nel 2014 e sono riuscito a entrare nel battaglione Vostok». Spartaco al secolo è Massimiliano Cavalleri da Palazzolo, Brescia, ha 48 anni e da 8 combatte con la milizia filo-russa del Donbass contro l'esercito ucraino. È uno dei foreign fighters che compaiono nel documentario di un canale youtube che racconta la guerra dalla parte russa del fronte.
Massimiliano-Spartaco, che si presenta solo col nome di battaglia e ha il volto coperto, si aggira tra i banchi di scuola di una classe devastata dai bombardamenti e spiega che a bombardare sono stati i «battaglioni nazionalisti ucraini» che dal 2014 «hanno - dice - maltrattato i civili usandoli come scudi umani, dicendogli di restare nelle cantine senza muoversi, senz'acqua e senza cibo». Indica sui muri i segni dei proiettili, nel pavimento un buco creata da una bomba, neanche lui capisce da dove piombata: «Forse dalla finestra, non saprei». E aggiunge: «Quando finirà la guerra, ricostruiremo tutto».
Nei sottotitoli si legge che «Spartaco si è unito alla milizia del Donbass per combattere il neo-nazismo in Ucraina, in Italia dovrà affrontare un processo ma non vuole lasciare il Donbass, qui ha trovato casa».
SCELTA DI VITA Casa e famiglia. Nel 2019 la madre è andata a trovarlo per il suo matrimonio ed è l'ultima volta che l'ha visto, lo stesso anno la Procura di Genova lo ha accusato di terrorismo nell'àmbito di un'inchiesta sull'arruolamento di elementi di estrema destra nel Donbass. In un'intercettazione telefonica dei carabinieri, Cavalleri avrebbe detto di essere considerato a Kiev «un terrorista, ho una taglia sulla testa». E sul ritorno in Italia, di cui dice di sentire la mancanza: «Se torno indietro mi viene voglia di prendere la pistola e cominciare a sparare a destra e a sinistra adesso c'ho anche il grilletto facile».
«Ha sempre avuto la passione per il combattimento», racconta la madre al Giornale di Brescia all'inizio di aprile. «Ha fatto il paracadutista e il volontario degli alpini nel Kosovo, voleva entrare nell'esercito ma non aveva più l'età, ed è partito volontario al fianco delle milizie russe». Nel 2017 il suo nome era stato censito dall'organizzazione ucraina Prava Sprava insieme a quello di altri combattenti italiani, spiccava la citazione da una sua intervista: «Quando sparo a un soldato ucraino, immagino di colpire uno dei nostri politici a Bruxelles».
Assieme a lui Gabriele Carugati di Cairate (Varese), nome di battaglia Arkhangel, pure lui nel battaglione Vostok guidato da Alexander Khovakosky, gruppo nato per volere del GRU, la direzione dell'Intelligence russa, per combattere originariamente in Cecenia. Adesso è composto da un migliaio di miliziani delle forze speciali di Donetsk, per l'80 per cento dell'Ucraina orientale, ma aperto a stranieri dalla Colombia agli Stati Uniti.
CAPO ULTRÀ Nel Donbass si troverebbe Andrea Palmeri, estrema destra, ultras della Lucchese ed ex capo dei Bulldog. Per lui i magistrati genovesi hanno chiesto 5 anni di carcere, l'ultima apparizione da un ospedale del Lugansk. Ma accanto al filone neo-fascista ce n'è uno comunista. Rossi e neri fianco a fianco. Comunista era Edy Ongaro, ucciso in questa guerra e commemorato dal Collettivo Stella Rossa del Veneziano. E l'altro ieri si è speso in un'intervista a favore dei separatisti russi Vincenzo Bellantoni, comunista senza tessera, censito da Prava Sprava nel suo dossier come membro della Carovana antifascista con quelli che Bellantoni definisce «i compagni della Banda Bassotti».
Sul fronte opposto, il ministero della Difesa russo ha appena pubblicato un censimento dei mercenari stranieri in Ucraina, pro-Kiev. In tutto, dall'inizio della guerra, ne sarebbero arrivati quasi 5mila (4866) da 64 Paesi, 1250 già eliminati e 1101 ripartiti, ve ne sarebbero 2515 in armi. Quanto agli italiani volontari contro i russi, Mosca ne ha contati finora 71, ma 21 sarebbero stati uccisi e 26 avrebbero lasciato l'Ucraina. Ne resterebbero 24 operativi.
Per loro, si pone il problema del trattamento che riceverebbero in caso di cattura. La linea di Mosca è che non possano essere considerati militari regolari, non beneficerebbero della protezione garantita dalle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra.
Foreign fighters, eroi oppure mercenari? Di certo illegali…In Italia chiunque arruoli o armi cittadini per combattere all’estero senza approvazione del governo è punito con la reclusione da 4 a 15 anni. Rocco Vazzana su Il Dubbio il 22 marzo 2022.
Costruire un identikit preciso del potenziale foreign fighter italiano pronto ad arruolarsi nella legione straniera ucraina è praticamente impossibile. Sono ancora troppo poche le informazioni verificabili in merito per poter tracciare un primo bilancio. Fonti di parte parlano di circa 20 mila soldati stranieri, provenienti da 52 paesi diversi, Italia compresa. O almeno così ha dichiarato al Corriere della sera Damien Magrou, caporale dell’esercito ucraino che si occupa proprio dell’arruolamento.
«Abbiamo alcuni italiani. Non ho in mente l’intero elenco. Ma non stiamo parlando di uno dei gruppi più grandi». Già, ma chi sono questi nostri connazionali pronti a immolarsi per la causa ucraina? «Sappiamo chi erano quelli partiti nel 2014 verso il Donbass», spiega Francesco Marone, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Pavia e presso l’Università della Valle d’Aosta e ricercatore associato dell’Ispi. Otto anni fa almeno una sessantina di connazionali partì per combattere su entrambi i fronti: una parte al fianco di Kiev, un’altra con i separatisti filo- russi. «Sicuramente alcuni di questi foreign fighters sono ancora sul territorio ucraino», dice Marone.
«Qualcuno è andato per ragioni economiche- professionali, non tanto per lo stipendio (300- 400 euro al mese) ma per la possibilità di accumulare esperienza da rivendere poi come contractors in altri teatri di guerra. Molti di loro lavoravano già nel campo della sicurezza e in quel contesto hanno avuto l’opportunità di stringere nuove relazioni», argomenta il docente di Relazioni internazionali, che poi prosegue: «Un’altra parte dei foreign fighters, invece, era mossa certamente da motivazioni squisitamente politiche: esponenti dell’estrema destra e neofascisti, soprattutto, andati a combattere su entrambi i fronti».
Tra loro, il più “famoso” è senza dubbio Andrea Palmeri, detto il “generalissimo”, capo ultrà dei Bulldog, gruppo di estrema destra della Lucchese, accusato di aver arruolato e addestrato combattenti filoputiniani da inviare in Donbass. E filo-russi sono anche i pochi militanti dell’ultrasinistra partiti al fianco dei separatisti nel 2014, foreign fighters che, ha differenza dei neofascisti, hanno scelto compattamente un solo fronte: quello di Mosca.
Mercenari, neofascisti o nostalgici dell’Urss poco conta. Per la legge italiana sono tutti perseguibili. Come già successo ad altri italiani arruolati al fianco dell’Isis o, all’opposto, contro il Califfato, insieme alle brigate curde. Il corpus giuridico è vasto: l’articolo 18 della Costituzione vieta espressamente la formazione di associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare; la legge 210 del 1995 punisce tanto il mercenario quanto il reclutatore con pene fino a 14 anni; anche l’articolo 270 quater del Codice penale colpisce l’arruolamento; e, infine, l’articolo 288 del Codice che recita: «Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni».
Chiunque arruoli senza l’autorizzazione del governo italiano è dunque perseguibile. Autorità ucraine comprese, che in queste settimane, su impulso del presidente Volodymyr Zelensky, hanno lanciato una campagna internazionale per la creazione di una legione straniera per «difendere la libertà e la democrazia europea». Devono essersi resi conto del problema al Consolato ucraino di Milano, costretto due giorni fa a rimuovere l’appello all’arruolamento dai propri canali social. E non è più possibile aderire dall’Italia alla Legione internazionale nemmeno dal sito fightforua.org, lo spazio web creato appositamente per convogliare i volontari da tutto il mondo. Per aderire all’appello di Zelensky basta cliccare sul nome del proprio Paese, chiamare il numero di telefono indicato e seguire tutte le procedure illustrate passo passo dalle autorità ucraine. È possibile arruolarsi persino dal Vaticano (c’è un numero da contattare), ma l’Italia è stata rimossa dall’elenco. E il motivo è semplice: è illegale.
Domenico Quirico per “la Stampa” il 15 marzo 2022.
La crudeltà non ha bisogno di grandi capi. Le bastano aiutanti volenterosi, esecutori di mediocre livello, oppressori dall'identikit quasi impiegatizio. Per questo Ramzan Kadyrov, «il proprietario» della Cecenia come si fa chiamare, prima o poi doveva arrivare con i suoi miliziani a Kiev. Perché qui, per questa guerra sporchissima, per chiuderla con una vittoria, a Putin occorre una violenza abituale, che avanza ripetitiva, indifferente, statica. Quella in cui Ramzan ha dato prova di essere maestro.
Occorre qualcuno che non abbia bisogno di ricorrere alla violenza eruttiva, emozionale e quindi intermittente perché procede a folate e poi si placa. Per «pacificare» Kiev come è stata pacificata Grozny le emozioni che si impadroniscono dell'uomo e lo tengono in pugno sono inutili, sono un fardello. Occorre qualcuno che abbia già sperimentato la crudeltà e sappia in questo andare al di là di sé stesso, ma senza pensarci, come avviando un macchinario.
E che sappia conservare dentro di sé questa condizione tremenda di euforia nella durata, nel tempo. Gente che può decidere un delitto mangiando tranquillante un piatto di «manti», i deliziosi ravioli ceceni; per cui la vita delle persone - perfino quelle del proprio clan - non vale un copeco, li si può disperdere come la cenere al vento. Se sei ceceno, ribelle o lealista, hai imparato che la realtà è morire con due pallottole in testa.
Non ci puoi far nulla, è così. Per questo puoi diventare solo jihadista e andare a combattere le guerre del califfato. O essere un killer di Ramzan, con la divisa nera, e il logo «Tzentoroi», il villaggio in cui è nato. Putin e Kabyrov: dovevano necessariamente incontrarsi l'ex spia che cercava una leva, uno slogan per diventare zar e il figlio di Akhmad, il capo tradizionale della confraternita dei kuntas - khadzhi, prima indipendentista poi alleato dei russi in odio ai fautori del jihad, a cui era stato chiesto di «cecenizzare» una guerra che Mosca non riusciva a vincere.
Quando il 9 maggio del 2004 una bomba nascosta sotto la poltrona nel nuovo stadio di Grozny dove si festeggiava la vittoria contro i ribelli fece a pezzi il padre, Ramzan aveva appena compiuto 28 anni ed era a Mosca. Per decifrarlo, con la violenza, il cinismo, l'ignoranza, le stravaganze, bisogna immergersi in quei 28 anni, riempirli di immagini, urla, torture, guerra, orrore.
Dal 1996 prima guerra russo-cecena: potevi essere ucciso perché avevi incrociato un soldato russo ubriaco, le donne venivano violate e gettate via come oggetti usati, rotti, i ragazzi ceceni catturati durante le retate venivano legati al filo spinato e bruciati vivi e le famiglie quando non tornavano a casa raccoglievano freneticamente del denaro per cercare di riscattarli prima che fosse troppo tardi, e quando era troppo tardi usavano la stessa somma per avere indietro almeno il cadavere; le «vedove nere» si facevano esplodere cercando di portar con sè qualche soldato russo, ma non perché cercavano il martirio del jihad, per la disperazione senza fondo del vivere senza più nulla, sogni, amori, vita.
Se non sapete questo non potrete mai capire perché esista Kadyrov, perché esistano gli innumerevoli Kadyrov che abbiamo incontrato nel nostro bel mondo. È affogati in questo odio puro che costoro hanno scoperto l'esperienza della distruzione comune, della caccia all'uomo, della uccisione. Solo alcuni sanno però passare dalla violenza emozionale, lacunosa, dissipatrice, spietata nei mezzi ma limitata nel raggio di azione a quella pianificata, stabile, intensiva, produttiva. La violenza che regge il potere.
Putin non ha scelto subito Ramzan come erede del padre come per finire il lavoro in Cecenia che l'esercito russo ancora sbandato, umiliato, riflesso del derelitto ed ebbro termidoro eltsiniano non sapeva vincere. C'è una foto di quel loro incontro il 9 maggio al Cremlino: un ragazzo quasi in lacrime, in jeans, e un capo un po' annoiato alle prese con l'ennesima seccatura nella turbolenta colonia caucasica. Non si fidava, voleva metterlo alla prova, se era in grado come il padre di trasformare i selvaggi e inutili «zatchiski», le operazioni di pulizia condotte dai russi, in una selettiva, metodica macelleria dei «chaitany», i diavoli, della guerra santa islamista.
Ramzan era capace di uccidere come si vuota una pattumiera? Putin lo nominò vice primo ministro, la presidenza la affidò a un uomo del padre, sbirro di carriera, Alkhanov. Per essere il capo doveva dimostrare di saper uccidere. Ramzan che disponeva solo di qualche centinaio di fedelissimi del suo clan, iniziò con i capi di una congiura che con a capo Alkhanov voleva decapitare la successione del «giovanotto». Il cervello si chiamava Baissarov, un gangster che comandava un'unità speciale del Fsb, i Servizi russi. Braccato fuggì a Mosca sperando nella protezione dei colleghi.
Un commando di Kadyrov lo eliminò sulla prospettiva Lenin, in centro. Invano cercò di difendersi con granate e pistole. Un altro dei congiurati fu braccato fino a Dubai. Il fratello fu ammazzato a poche centinaia di metri dall'ufficio di Putin. Sì, Ramzan era un uomo utile. Il padrone di Grozny ha ereditato il metodo della violenza, le camere di tortura hanno continuato a funzionare ma sono diventate le sue, non più dei russi.
Il suo terrore si è fatto mirato, selettivo perché sa che uccidere decine di persone non è necessario. Basta eliminarne uno perché gli altri capiscano. I parenti dei terroristi sono stati avvertiti: uccideremo voi, se non si consegnano. Crudelmente ha funzionato. Ha imposto una pace del cimitero, poi ha avviato la «ricostruzione» che con un islam arcaico e tribale è l'altro suo grande argomento di propaganda. Ma Ramzan non è un suddito. Certo senza Putin non esisterebbe. Ma in Cecenia la Russia ha perso, il padrone è davvero lui e la sua nomenklatura di corrotti con grossi orologi d'oro e anelli di diamanti. La missione a Kiev è la consacrazione di questa realtà, il suo atto finale. Adesso è Putin che ha bisogno di lui, della sua violenza pianificata e indifferente. Gli regalerà, ripulendola come ha ripulito Grozny, la capitale ucraina e chiuderà il cerchio del potere. Il suo potere.
Foreign Fighters. Chi sono (e quanto incidono) i soldati stranieri che combattono in Ucraina. Michelangelo Freyrie su L'Inkiesta il 9 Marzo 2022.
Kiev e Mosca stanno allargando i loro eserciti reclutando civili e militari da Stati terzi. Una chiamata alle armi che ha già coinvolto migliaia di persone: una dinamica già vista in Georgia e Siria
La guerra russo-ucraina non è mai stata una questione privata fra Kiev e Mosca. La mobilitazione delle forze in campo ha delle implicazioni profonde per tutto il mondo, e i difensori si sono impegnati parecchio per rappresentare il conflitto come uno scontro fra mondo libero e autocrazia.
Il presidente ucraino è arrivato a lanciare un appello agli stranieri, invitandoli a unirsi a una nuova Legione Internazionale (LI) per la difesa «dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo» di fronte all’aggressione russa.
La chiamata alle armi di Zelenksy non è rimasta inascoltata. Il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba sostiene che 20mila cittadini di 52 Stati diversi avrebbero fatto domanda per entrare nella Legione, un numero impossibile da verificare e che comunque non indicherebbe il numero di stranieri che verranno effettivamente reclutati. Per dare un senso della scala, il personale attivo nelle forze armate ucraine si attesta sui 245mila uomini, a cui si aggiungono 220mila riservisti.
La partecipazione di stranieri a guerre civili e conflitti fra Stati terzi non è nulla di nuovo. I volontari stranieri, che in Europa sono soprattutto associati ai foreign fighters dell’Isis e le brigate internazionali del YPG curdo, sono da secoli una presenza fissa del panorama bellico. Secondo lo studioso David Malet, fra il 1815 e il 2005 quasi la metà dei conflitti non a sfondo etnico (la categoria a cui si applica anche la guerra fra «i popoli fratelli» ucraino e russo) ha visto la partecipazione di soldati stranieri.
Anche nel caso specifico dell’Ucraina, la presenza di combattenti internazionale non è certo inedita. È stimato che dal 2014 circa 17mila cittadini di altri Paesi abbiano partecipato ai combattimenti in Donbass. Di questi, 15mila sarebbero cittadini russi, e circa 13mila si sarebbero arruolati nelle diverse milizie pseudoseparatiste sostenute da Mosca.
In questo campo, la Russia ha da anni affinato una strategia d’impiego piuttosto efficace. Avendo per anni negato il proprio coinvolgimento nella guerra nell’est dell’Ucraina, l’invio di veterani ed ex uomini dei servizi di sicurezza come presunti volontari ha permesso al regime di sostenere e mantenere il controllo sulle repubbliche autoproclamatesi a Luhansk e Donetsk senza un intervento ufficiale delle forze armate russe.
Al di là dei volontari di facciata, le due repubbliche hanno anche attirato numerosi suprematisti bianchi e aspiranti neofalangisti utili alla strategia del Cremlino.
Oltre alle implicazioni giuridiche di una presenza formale, la potenziale morte di reclute e soldati di carriera è stata considerata troppo impopolare domesticamente e politicamente costosa in un momento in cui la Russia era soprattutto interessata a garantirsi flessibilità sul palcoscenico globale.
Dalla Georgia alla Siria
Da parte ucraina si è invece fatto molto poco per attirare combattenti stranieri. Secondo ricerche di Buzzfeed, fra i volontari internazionali arrivati prima del 2022 ci sono qualche centinaio di combattenti provenienti dall’Unione europea e 40 statunitensi, inquadrati nelle unità di difesa territoriale di Kiev e, dal 2015, anche nell’esercito regolare.
Ma l’invasione russa ha cambiato profondamente l’approccio ucraino all’attrazione di soldati stranieri, sia in termine di metodo di reclutamento che di potenziale utilizzo militare. Le autorità hanno messo in piedi un sistema di arruolamento centralizzato che cerca di superare l’accozzaglia di milizie autonome che per anni sono servite come punto d’ingresso per gli stranieri: corpi come la Legione Nazionale Georgiana, composta soprattutto da veterani del piccolo Paese caucasico e delle guerre in Cecenia, ma anche il battaglione neonazista Azov (2.200 uomini nel 2017).
Gestendo l’arrivo di volontari stranieri attraverso la rete di ambasciate sparse per il mondo permette alle autorità ucraine di dare priorità ai veterani e impedire che nel medio termine le formazioni straniere si sgancino dalla catena di comando governativa.
In questo, il reclutamento di stranieri è molto più vantaggioso rispetto alle unità “pre-organizzate”, come gang o appunto formazioni paramilitari come Azov. La dipendenza dal governo centrale diminuisce di molto il rischio di interessi divergenti fra Kiev e le unità che combattono in suo nome, un insegnamento che i russi hanno dovuto imparare loro malgrado nella prima parte della guerra in Donbass.
Dopo essersi affidati a gangster locali e la criminalità organizzata per la creazione delle due repubbliche, i servizi di sicurezza del Cremlino hanno dovuto lanciare una campagna di assassinii mirati contro i comandanti di battaglioni “volontari” divenuti troppo indipendenti da Mosca.
Perfino l’utilizzo dei mercenari della compagnia militare privata Wagner, creata sotto impulso del Cremlino e affidata a un fedelissimo di Putin, ha causato diversi problemi di comando in passato. Nel 2018, a Deir ez-Zor, in Siria, i mercenari della compagnia avevano tentato di impossessarsi di diversi pozzi di petrolio, verosimilmente senza approvazione esplicita di Mosca. Il risultato è stato uno scontro con le forze curdo-arabe sostenute dagli americani, conclusosi con la distruzione di buona parte dell’unità paramilitare russa in un massiccio bombardamento americano.
Da allora le autorità russe hanno preferito guardare altrove per reclutare soldati stranieri per i propri scopi. L’associazione Syrians for Truth and Justice e il governo americano affermano che gli alleati assadisti di Mosca avrebbero iniziato a compilare liste di potenziali reclute siriane da assoldare per il conflitto ucraino tramite agenzie di sicurezza privata.
Se le informazioni fossero corrette, rivelerebbero un cambio di paradigma nel metodo russo: piuttosto che arruolare carne da cannone, le autorità siriane sarebbero alla ricerca di uomini con esperienza nel combattimento urbano e che abbia già servito sotto comandanti russi. La guerra civile che semina miseria nel Paese da oltre un decennio ha generato un immenso bacino di potenziali reclute, già utilizzate anche dalla Turchia in Azerbaijan e Libia.
Volontari identitari
Un discorso diverso rispetto ai volontari intenzionati a unirsi alle forze di Kiev. Uno dei pochi studi condotti su questo tipo di reclute nel contesto iracheno e afghano indica che le motivazioni per l’arruolamento sono quasi sempre da ricondursi a una questione identitaria, a una ricerca di status sociale e a un desiderio di vendetta contro il nemico (con solo il 5% interessato all’ebrezza del conflitto in sé).
Anche se si tratta di contesti estremamente diversi, è facile immaginare come l’apparente entusiasmo degli stranieri per la lotta ucraina sia soprattutto frutto di un senso di appartenenza che lega Kiev agli altri Paesi del campo democratico. Non è neanche difficile immaginare le conseguenze di un grande afflusso di stranieri al fronte: da un lato, la diffusione di capacità di combattimento fra uomini e donne che, prima o poi, torneranno in patria; dall’altro, il rischio di radicalizzazione in chiave antirussa anche in caso di demobilitazione.
Paolo Brera per “la Repubblica” il 13 aprile 2022.
Dicono che dopo la stretta di mano nei negoziati a Istanbul, quando i russi annunciarono «una significativa riduzione delle operazioni militari a nord nelle regioni di Kiev e Chernihiv», il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia mandato il suo fido capo di gabinetto, l'amico e produttore cinematografico Andriy Yermak, a lisciare il pelo al generale Valerii Zaluzhnyi, che nove mesi fa aveva nominato capo delle forze armate. Che ne dice, generale, di fare altrettanto? Di mettere in atto «un cessate il fuoco di fatto» per favorire le trattative? Zaluzhnyi gli sorrise, lo salutò cordialmente e diede l'ordine opposto: picchiare duro sui russi in rotta, prima di ritrovarseli davanti nel Donbass.
In effetti è lì che erano diretti. Ci siamo, la "fase due" di questa guerra che strazia e demolisce è alle porte dell'Est; e se ci sono due presidenti poco disposti a far pace, per certo hanno schierato due generali molto pronti a far guerra.
Vladimir Putin ha affidato le redini della battaglia ad Aleksandr Dvornikov, ribattezzato "il macellaio" per i precedenti nella seconda guerra cecena e in Siria: civili massacrati, obiettivi raggiunti. Zelensky ha consegnato le chiavi delle forze armate a Zaluzhnyi, che combatte nel Donbass dal 2014 e ha più volte ribadito di ritenere necessario «condurre operazioni offensive per liberare i territori occupati».
Decisamente non è uno stratega di pace. Ma ha respinto l'avanzata dei russi a nordovest impedendo che prendessero Kiev «in due giorni», e si è conquistato il soprannome di generale «di ferro».
Le due biografie divergono sul campo: entrambi hanno ottenuto la patente di "eroe", ma Dvornikov l'ha bagnata nel sangue dei civili siriani e ceceni massacrati senza pietà. Zaluzhnyi è nato in una cittadina 240 chilometri a ovest di Kiev, Novohrad-Volynskyi. Ha 48 anni, è figlio di un militare, laurea a Odessa e accademia a Kiev con medaglia d'oro: nel 2014 guidava una brigata motorizzata a Debaltseve, dove si combatté una delle battaglie più drammatiche e sanguinose per le forze armate ucraine.
Ha scalato tutti i gradi della carriera senza mai apparire, parlando pochissimo e mettendo a tacere i politici invadenti. Non ha mai cercato di essere una star. Per Zelensky era un partner perfetto: al generale pieni poteri sulle forze armate, a lui nessun ostacolo in politica. E così è stato ed è.
Putin invece ha scelto un 60enne nato a Ussuriysk, a 50 chilometri dalla Corea del Nord. Primo comando nell'estremo oriente, da lì una scalata fino al vertice del Distretto militare Sud da cui dipende la Crimea, il Caucaso e il Mar Nero. È accusato di avere usato spudoratamente ogni arma ibrida pur di ottenere l'obiettivo: collaborare con Assad per le partite sporche, la tortura, le armi chimiche, distruggere ogni forma di resistenza costi quel che costi. Spiana la Cecenia, demolisce Aleppo. Ma sa come ottenere ciò che vuole, e Putin ne ha un dannato bisogno.
Zaluzhnyi ha lavorato fianco a fianco con gli addestratori Nato, e fonti militari italiane assicurano che i progressi nella gestione della catena di comando ucraina sono stati decisivi. Hanno imparato «la flessibilità del comando invece della rigidità di stampo sovietico», che è costata la sconfitta nella prima parte dell'invasione.
Per Hanna Shelest, capo analista militare del think tank ucraino Prisma , «avendo realizzato che l'Ucraina non si arrenderà, il Cremlino ha scelto Dvornikov per l'esperienza di guerra e l'assenza di limiti. E purtroppo dobbiamo aspettarci un numero crescente di atrocità».
ESERCITO RUSSO.
Marina Palumbo per lastampa.it il 29 settembre 2022.
La capitale ucraina doveva cadere nel giro di pochi giorni, secondo i piani del Cremlino. Ma afflitta da errori tattici e sorpresa dalla resistenza ucraina, l'avanzata distruttiva dell’esercito di Vladimir Putin si è rapidamente bloccata e le sue forze si sono impantanate per la maggior parte di marzo alla periferia di Kiev. Da trincee, rifugi e nelle case occupate nell'area intorno a Bucha, un sobborgo occidentale di Kiev, i soldati russi hanno disobbedito agli ordini effettuando chiamate non autorizzate dai loro cellulari a mogli, fidanzate, amici e genitori a centinaia di chilometri dalla prima linea. Qualcun altro stava ascoltando: il governo ucraino.
Lo racconta il New York Times che ha ottenuto in esclusiva le registrazioni di migliaia di chiamate effettuate durante tutto il mese di marzo e intercettate dalle forze dell'ordine ucraine. I giornalisti hanno verificato l'autenticità di queste chiamate incrociando i numeri di telefono russi con le app di messaggistica e i profili dei social media per identificare soldati e familiari. Il Times ha trascorso quasi due mesi a tradurre le registrazioni, che sono state modificate per chiarezza e lunghezza.
Le chiamate, fatte da dozzine di combattenti delle unità aviotrasportate e della Guardia nazionale russa, non sono state precedentemente rese pubbliche e offrono una visione dall'interno di un esercito allo sbando a poche settimane dall'inizio della campagna. I soldati descrivono una crisi di morale e una mancanza di equipaggiamento e affermano di essere stati ingannati sulla missione in cui si trovavano, tutte condizioni che hanno contribuito alle recenti battute d'arresto per la campagna russa nell'est dell'Ucraina.
Ecco alcune delle loro frasi:
«Siamo posizionati a Bucha»
«Putin è pazzo. Vuole prendere Kiev. Ma non riusciamo a farlo»
«La nostra offensiva è bloccata. Stiamo perdendo questa guerra»
«Metà del nostro reggimento è andato»
«Ci hanno dato ordine di uccidere chiunque vediamo»
«Quando torno a casa, lascio. Fanculo l’esercito»
«Cazzo. Ci sono cadaveri dappertutto sulla strada. Civili a terra ovunque. Siamo fottuti» «Sulla strada?» «Si»
«Tutto è stato maledettamente saccheggiato. Tutto l’alcool è stato maledettamente bevuto. E tutto il denaro preso. Lo sta facendo chiunque qui»
«Nessuno ci ha detto che stavamo andando in guerra. Ci hanno avvisato un giorno prima di partire»
«Dovevamo andare a fare una esercitazione per due o tre giorni»
«Non sapevo che sarebbe successo questo. Ci hanno detto che dovevamo partire per una esercitazione. Questi bastardi non ci hanno detto niente»
«Mamma, questa è la decisione più stupida che il nostro governo abbia mai preso, penso»
«Che cos’altro dicono? Quando finirà tutto questo Putin? Cazzo» «Lui dice che tutto sta andando secondo i piani e i tempi prestabiliti» «Si sbaglia gravemente».
«Non possiamo prendere Kiev, prendiamo solo dei villaggi e basta».
«Volevano fare tutto in un colpo qui e non ha funzionato così, cazzo»
«Vogliono solo fregare la gente in tivù, tipo: “va tutto bene, non c’è nessuna guerra, solo una operazione speciale” ma nella realtà è una fottuta guerra»
«Siamo in una posizione di merda, per così dire. Ci siamo spostati in difesa. La nostra offensiva è in stallo».
«Un sacco di paracadutisti si muovevano davanti a noi. Sono stati fottutamente colpiti»
«Le nostre forze armate ci hanno bombardato. Pensavano fossero dei fottuti khokhol... Pensavamo di essere finiti».
«Vanya, le bare continuano ad arrivare. Stiamo seppellendo un uomo dopo l’altro. Questo è un incubo»
«Li abbiamo detenuti, spogliati e abbiamo controllato tutti i loro vestiti. Poi si è dovuto decidere se lasciarli andare. Se li avessimo lasciati andare, avrebbero potuto rivelare la nostra posizione... Così è stato deciso di sparargli nella foresta». «Gli avete sparato?» «Naturalmente, gli abbiamo sparato». «Perché non li avete presi prigionieri?» «Gli avremmo dovuto dare da mangiare e non abbiamo abbastanza cibo neanche per mangiare noi, quindi…»
«Mamma, non abbiamo visto un solo fascista qui... Questa guerra è basata su un falso pretesto. Nessuno ne aveva bisogno. Siamo arrivati qui e le persone vivevano una vita normale. Molto bene, come in Russia. E ora devono vivere negli scantinati. La vecchia signora che abitava vicino a noi doveva abitare in cantina. Riesci a immaginare?».
Anna Zafesova per la Stampa il 20 luglio 2022.
La Lada Granta bianca scorre sullo sterrato. Il suo primo viaggio è al cimitero, disordinato quanto la campagna intorno, con le croci di legno che spuntano dai cespugli e dall'erba che nessuno taglia. L'uomo anziano al volante racconta alla telecamera che l'auto è bianca, «come la sognava Aleksey». Aleksey è suo figlio, morto «come i nonni e i bisnonni, combattendo il fascismo», comunica una voce fuori campo, e spiega che l'auto è stata comprata grazie al risarcimento del governo per i caduti in Ucraina: «Il popolo chiama questi soldi "i soldi per la bara"».
Il servizio trasmesso dalla Tv pubblica russa è talmente mostruoso da sembrare quasi una denuncia. Ma la storia di una famiglia della regione di Saratov che ora ha una auto nuova grazie alla morte del figlio è uscita nel programma del propagandista Dmitry Kiselyov, ed è invece uno spot pubblicitario della guerra. Il servizio è stato tagliato dalla versione del programma destinata a Mosca, mentre è rimasto nelle versioni trasmesse per l'Estremo Oriente e la Siberia (in Russia lo stesso palinsesto televisivo esce più volte in base ai fusi orari).
Non è la prima volta che la trasmissione di Kiselyov censura reportage su famiglie felici di avere un figlio in guerra. I ragazzi delle capitali non vengono mandati al fronte, le liste dei caduti si riempiono di nomi di soldati e ufficiali di zone remote e povere, e spesso abitate da minoranze etniche non slave: dalla mappa del Institute for the Study of War, a mandare più soldati sono la Buriazia e la Tyva, al confine con la Mongolia, la Chuvashia, sul Volga, il Caucaso musulmano, dalla Cecenia al Dagestan. Il calcolo è cinico e semplice: laggiù, l'esercito è uno dei pochi datori di lavoro, e un livello di cultura più basso rispetto alle grandi metropoli promette un livello più alto di obbedienza alle autorità.
È la Russia ideale sognata da Vladimir Putin, dove padri, madri, sorelle e vedove ripetono alle telecamere - seduti in cucine e tinelli arredati con mobili ancora sovietici, con i tappetini con le renne sulla parete e un'icona di carta sopra il frigorifero - le bugie della propaganda sugli ucraini che «si bombardano da soli», e non nascondono che il risarcimento per il figlio caduto gli ha permesso di comprare un'auto, chiudere un mutuo, fare una vacanza. È in quelle case che i soldati russi mandano i frullatori e la biancheria saccheggiati nelle case ucraine. Ma anche nella Russia più povera la quantità di ragazzi pronti a diventare carne da macello è sempre più bassa.
Aleksandra Garzhamapova del fondo "Buriazia libera" in un'intervista alla Bbc ha sfatato il mito della sua regione: da quella con il più alto numero di caduti in Ucraina è ora quella dove più militari si rifiutano di venire mandati al fronte. Almeno 500 soldati buriati si sono dimessi nelle ultime settimane, di cui 150 sarebbero «saltati giù dai camion quando hanno capito dove li portavano», e 78 parà d'assalto dell'11sima divisione sono stati chiusi in un garage e minacciati.
I servizi ucraini pubblicano intercettazioni di occupanti russi che raccontano episodi simili. A giudicare dai "muri della vergogna" installati in molte guarnigioni, si parla di centinaia di "disertori", che formalmente non sono tali: la Russia non ha dichiarato guerra all'Ucraina, e quindi un militare a contratto può rifiutare una missione. Un problema «sempre più acuto», secondo l'Intelligence britannica che vede un'avanzata russa nel Donbass in difficoltà «per mancanza di soldati».
Una dichiarazione che Mosca smentisce come disinformazione occidentale, ma che trova conferma, per esempio, nella dichiarazione del colonello Oleg Korotkevich, comandante ad interim della 41sima armata, che ha cercato di persuadere i familiari dei militari che la guerra deve andare avanti: «Putin può ordinare di farla finire domani, ma significa che ce ne dovremo andare come cani bastonati».
Che non tutte le famiglie sono felici di mandare figli e mariti al fronte lo si era già capito da numerose proteste di mogli e madri trapelate nei media regionali russi, e il fatto che Korotkevich sia costretto a incontrarle e a cercare di convincerle che la guerra va persa almeno con una parvenza di onore, è rivelatorio. Anche perché il rifiuto ad andare a combattere in Ucraina spesso non è dettato da ideali di pacifismo, ma più banalmente a un razionale calcolo delle probabilità di venire uccisi: se la 41sima armata è comandata da un colonnello, è perché tutti i suoi generali sono stati uccisi già a marzo.
Un rischio che non vale la pena correre, anche perché la Lada bianca è un premio che molti hanno visto soltanto in Tv: diverse famiglie non hanno ricevuto ancora i risarcimenti promessi. Lo stesso Korotkevich a giugno aveva firmato una richiesta di aiuti al sindaco di Novosibirsk, nella quale chiedeva aiuti umanitari: caffè, sigarette, sapone e perfino calzini e mutande da donare ai soldati mandati da Putin al fronte.
Da repubblica.it il 7 giugno 2022.
Matrimoni finti per sfuggire alla guerra. Secondo l'Intelligence di Kiev i militari russi per tentare di lasciare il fronte e tornare a casa stanno organizzando finte cerimonie. Gli 007 di Kiev su Telegram hanno reso nota una conversazione intercettata fra due militari di Mosca dove uno spiegava all'altro lo stratagemma. La sua idea però sarebbe stata bocciata dal comando secondo cui gli unici motivi per lasciare l'area dei combattimenti sono "ferimento, morte o decesso di un parente stretto".
Ucraina, storia di Aleksej, il soldato russo che non voleva andare in guerra. Il Corriere della Sera il 7 Giugno 2022.
«Sono vivo — dice alla madre —. Presto ci rispediranno al fronte ma possiamo rifiutare, basta presentare domanda». Le richieste di esonero sono moltissime, e da comandanti e agenti dei servizi arrivano le prime intimidazioni
di Maria Serena Natale / CorriereTv
Guadagnano l’equivalente di 460 euro al mese, a marzo 2020 ne risultavano 400 mila: i contrattisti dell’esercito russo si sono trovati al fronte in Ucraina senza preavviso e spesso senza capire perché. Come Aleksej, vent’anni, soldato a contratto dal novembre 2021 che ha smesso di rispondere al telefono il 23 febbraio 2022, vigilia dell’invasione. Da quel momento per sua madre Svetlana è cominciata l’attesa.
Putin manda a morire le minoranze etniche. Chi sono i Buriati, i Kazaki, i Tuvani. Federico Fubini su Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022.
Putin evita di arruolare i giovani delle grandi città perché teme le proteste delle famiglie. La ricercatrice Maria Vyushkova: «Chi si accorge di queste minoranze?»
Un gruppo di soldati buriati dell’Armata rossa in Ucraina prega sotto la guida di un monaco buddista
Vladimir Putin paragona sé stesso a Pietro il Grande e dall’inizio la guerra è stata concepita dentro il Cremlino da una ristretta cerchia di uomini bianchi, in età avanzata, legati al sogno di un grande impero slavo che riconquisti le sue antiche regioni europee. Ma il tributo di sangue lo stanno pagando, fuori da ogni proporzione, giovani uomini dall’aspetto completamente diverso: occhi a mandorla, alti zigomi mongoli o carnagioni olivastre del Caucaso.
Province sperdute
Spesso sono musulmani dell’Ossezia del Nord o del Daghestan o buddisti tibetani della Buriazia o della Repubblica di Tuva, alle frontiere della Mongolia. Oppure vengono da qualche provincia sperduta dell’Estremo Oriente non lontana dai confini con la Cina e con la Corea del Nord, come la Provincia ebraica autonoma dove Stalin aveva cercato di deportare un’intera minoranza scomoda. In nome del sogno imperiale di Putin — numeri alla mano — questi giovani delle terre più lontane hanno una probabilità di morire in Ucraina centinaia di volte più alta dei coetanei di Mosca o di San Pietroburgo. La testarda ricerca e l’analisi dei dati dicono che loro per primi sono stati gettati nella fornace della guerra nelle settimane più cruente. I buriati per esempio sono appena lo 0,3% della popolazione, ma erano il 4,5% dei morti nelle prime tre settimane di guerra.
Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi
«Otto morti a Mosca»
La quota di kazaki etnici travolti nella macina della guerra è sette volte superiore al loro peso nella popolazione russa. È gente come loro e delle altre minoranze a trovarsi esposta molto più dei russi slavi, bianchi e originari delle grandi città europee. Di Mosca da oggi si conoscono appena otto morti in guerra, in una popolazione di venti milioni nell’area metropolitana. Di Tuva si conoscono con certezza sei volte più morti, malgrado una popolazione oltre sessanta volte più piccola: la probabilità di morire è centinaia di volte superiore, se si è è fra quelli venuti dalla parte sbagliata della Russia. Spinti contro il fuoco nemico tanto quanto questi russi asiatici o caucasici finora sono stati solo gli ucraini dei territori occupati, arruolati a forza a fianco dell’esercito di Mosca: coscritti con minacce e violenza nelle «repubbliche indipendenti» di Donetsk e Lugansk o mandati a morire sotto il fuoco ucraino da Sebastopoli che solo pochi anni fa è stata sottratta da Putin al controllo di Kiev. Esiste in Russia una rete clandestina che tiene ogni giorno la contabilità dei caduti, perché anche questo è un atto di resistenza civile sotto un regime che mente: il governo di Mosca aveva parlato di 1.351 caduti il 25 marzo e poi da allora più nulla, al punto che il presidente della commissione Difesa della Duma Andrei Kartapolov si è spinto a dire questo mese che sui morti in Ucraina regna il silenzio «perché non ce ne sono più».
Silicon Valley
Maria Vyushkova sa che non è così. Come rivelano i suoi tratti asiatici, viene dalla Buriazia, è espatriata dalla Russia nel 2010, oggi è una ricercatrice di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale di Notre Dame a Silicon Valley ed è fra pochi nodi visibili della rete. La sua competenza la rende utile nella gestione della banca dati creata per smontare la grande menzogna di Putin sui morti. «Non avrei mai immaginato di trovarmi in un ruolo simile — dice Maria Vyushkova, 40 anni —. Siamo la sola organizzazione che conta i caduti anche per origine etnica». Gli aderenti della rete sono centinaia distribuiti sugli undici fusi orari russi: ciascuno cooptato su presentazione di altri elementi fidati della rete, ciascuno autorizzato a conoscere solo pochissimi altri in modo che un arresto o un tradimento non rischi di compromettere l’intera struttura. Lavorano come possono. Tengono d’occhio i giornali locali per gli annunci mortuari o i necrologi, sorvegliano i social media russi come VKontakte o Odnoklassniki («Compagni di classe»), scorrono le chat di Telegram se qualcuno parla di un amico morto in guerra. Solo così hanno individuato circa 4 mila, divisi per etnia e regioni.
La conta dei caduti
Ma alcuni muoiono senza che nessuno parli di loro da qualche parte e per individuare queste persone i membri della rete visitano i cimiteri, contano le tombe fresche e controllano se su di esse campeggia la foto di un ragazzo in divisa. Così hanno individuato altri 4 mila caduti. C’è poi l’enorme numero di dispersi, spesso quasi sempre morti taciute, che fa salire il conto a 12 mila e infine i morti di Wagner e delle altre forze a contratto. «Il nostro conto totale dei decessi dal lato russo non è lontano dai 15 mila di cui parla il Pentagono», dice Vyushkova. A suo avviso le minoranze vengono mandate avanti a morire «per disprezzo, non per il disegno di una purga nello stile di Stalin». In parte sono sempre i più poveri delle periferie che si arruolano, come accadeva ai latinos dell’esercito americano in Iraq. «Ma Putin è attento a preservare le famiglie di Mosca e San Pietroburgo perché teme le proteste nelle grandi città — aggiunge Vyushkova —. Se muore qualche buriato in periferia, chi vuole che se ne accorga?».
IL CASO DEI TUVANI LONTANI DA MOSCA. Putin manda al macello le minoranze che si arruolano per evitare la miseria. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 23 aprile 2022
Tra le foto della guerra, quella di un sacerdote buddista mentre celebra una cerimonia religiosa per i numerosi soldati “russi” in Ucraina. Quei soldati russi, nello specifico, provengono dalla Buriazia, dalla Calmucchia e da Tuva, tre regioni buddiste della Federazione russa.
La questione del massiccio arruolamento di soldati tra le minoranze etniche del paese da parte della Russia è stata discussa fin dalle prime fasi della guerra, tanto da ispirare battute sarcastiche da parte di account ucraini sui social, quali «Sembra quasi che la prima pulizia etnica Putin la stia facendo nel suo paese».
Ironia a parte, Tuva ha una storia affascinante e dolorosa, la storia di un popolo con radici nomadi, che per secoli ha vissuto nelle yurte di feltro e che ha praticato lo sciamanesimo.
La foto della guerra in Ucraina che più è circolata in questi giorni ritrae la truppa cecena di Ramzan Kadyrov che festeggia la presa di Mariupol tra palazzi in fiamme. “I mercenari di Putin al grido di Allah Akbar” sono stati definiti i soldati, con quell’immagine sgangherata in cui sembravano catapultati lì, in un paesaggio apocalittico, direttamente da un altro mondo.
Ma di soldati arrivati letteralmente da altri mondi, nell’esercito russo, ce ne sono molti e tra le foto più bizzarre dal fronte, nell’ultima settimana, è impossibile non notare anche quella che immortala un sacerdote buddista nella sua tunica rossa fiammeggiante mentre celebra una cerimonia religiosa per i numerosi soldati “russi” in Ucraina. Quei soldati russi, nello specifico, provengono dalla Buriazia, dalla Calmucchia e da Tuva, tre regioni buddiste della Federazione russa.
MINORANZE SFRUTTATE
La questione del massiccio arruolamento di soldati tra le minoranze etniche del paese da parte della Russia è stata discussa fin dalle prime fasi della guerra, tanto da ispirare battute sarcastiche da parte di account ucraini sui social, quali «Sembra quasi che la prima pulizia etnica Putin la stia facendo nel suo paese». In realtà, i motivi per cui si attinge da queste regioni per infoltire le fila dell’esercito sono cinicamente semplici: sono aree in cui la situazione socio-economica è disastrosa, dove si registrano i peggiori tassi di povertà e disoccupazione.
Gli abitanti vivono sotto la soglia della povertà e la carriera militare è l’unico modo per affrancarsi dalla miseria. Inoltre, in Russia, le persone che hanno conoscenze e mezzi (possibilità di procurarsi falsi certificati medici, di svolgere studi all’estero) riescono a evitare il servizio militare, i più poveri non hanno scampo. E se moriranno in battaglia, le modeste famiglie di villaggi sperduti a cinquemila chilometri da Mosca non protesteranno facendo rumore.
Non stupisce dunque che, sebbene non esista una lista ufficiale dei soldati morti, secondo la Bbc e altre indagini sulla composizione dell’esercito russo e le perdite subite, il maggior contributo di sangue verrebbe, in proporzione alla popolazione, da Buriazia, Abkhazia, Daghestan, Calmucchia, Ossezia del sud, ma anche dalla sconosciuta e misteriosa Tuva, di cui poco si è parlato in questa guerra.
IL RECLUTAMENTO DEI TUVANI
Eppure, i tuvani, sono presenti in Ucraina e buona parte delle loro truppe è stata chiamata alle armi proprio in questa seconda fase (erano per esempio a Yahidne, vicino a Chernihiv, e hanno rinchiuso 370 persone del villaggio nel seminterrato di una scuola senza farle uscire, ha raccontato la giornalista Nataliya Gumenyuk).
La cerimonia con cui due settimane fa si è dato il via al reclutamento e alla partenza per la missione speciale dei tuvani in Ucraina è diventata virale su canali Telegram ucraini, con vari richiami anche su Twitter. E per un motivo tragicomico: il momento solenne è stato immortalato e nel video si vede la truppa che giunge nella piazza della capitale Kyzyl.
Ci sono i soldati tuvani pronti a partire, le madri, le famiglie lì a salutarli, la cerimonia. I soldati hanno una divisa che appare modesta, inappropriata, da alcuni primi piani si nota che l’età media dei soldati è molto alta, un soldato dai tratti mongoli sembra avere almeno 60 anni. Sotto le divise hanno tutti degli stivali di gomma. Nascono meme sarcastici, i commenti sono impietosi: «La loro vita vale meno dei loro stivali di gomma». «Putin ha una nuova riserva di carne da cannone», «Sembrano vestiti da raccoglitori di funghi». E poi «Il ministro della Difesa Shoigu è tuvano, sono i suoi pretoriani». E tra i commenti sarcastici degli ucraini, purtroppo, nel cercare di capire meglio cosa sia Tuva e cosa rappresenti, si scopre che c’è molta verità.
Tuva ha, per certi versi una storia tristemente affascinante. La Repubblica della Federazione Russa di Tuva è a 4.600 km a est di Mosca, nella Siberia meridionale, al confine con la Mongolia. Fino a pochi anni fa non esisteva neppure un volo diretto da Mosca alla capitale Kyzyl e ancora oggi ci sono pochi aerei a settimana che coprono la tratta.
Non esiste ancora una rete ferroviaria nella regione. In alcuni mesi dell’anno si toccano i -32 gradi e buona parte del paese è ricoperto dal permafrost. Dominata dai nomadi mongoli e dai cinesi, poi integrata nell’Impero russo, ha avuto una breve indipendenza (1921-1944) prima di fare parte dell’Urss e poi della Federazione russa dopo il 1991.
La Repubblica popolare di Tuva fu il primo stato a schierarsi con l’Urss nella Seconda guerra mondiale dichiarando guerra alla Germania e leggenda vuole che Hitler non rispose alla provocazione perché non riuscì neppure a individuarla sulla mappa.
UN POPOLO NOMADE
Ironia a parte, Tuva ha una storia affascinante e dolorosa, la storia di un popolo con radici nomadi, che per secoli ha vissuto nelle yurte di feltro e che ha praticato lo sciamanesimo. Un popolo che abbracciò gli spiriti della natura e il buddismo lamaista, pagando un prezzo altissimo in termini di libertà: con le purghe staliniane, i templi buddisti furono rasi al suolo e un patrimonio culturale di immensa importanza venne distrutto. Oggi, su 300mila abitanti, due terzi della popolazione appartiene all’etnia tuvana.
A Tuva, nonostante il processo di russificazione, si parla il tuvano, lingua di ceppo turco, mentre il russo è utilizzato dai russi e come lingua franca. Oltre al buddismo si pratica lo sciamanesimo tuvano, segno che le purghe nulla hanno potuto contro una storia di secoli e una spiritualità che vuole i tuvani strettamente legati alla natura e in comunicazione con gli spiriti della terra e di altri mondi.
LE VACANZE DI PUTIN
Non è un caso che Vladimir Putin ami trascorrere proprio a Tuva le sue vacanze. Certo, sarà senz’altro affascinato dai paesaggi selvaggi e infiniti in cui sia nel 2017 che nel 2018 è stato immortalato mentre pescava e faceva rafting proprio con quel ministro della Difesa, Sergei Shojgu, che è un tuvano. Ma, soprattutto, puntava e punta a risolvere il problema della disomogeneità etnica, religiosa e culturale della Russia, ben consapevole del fatto che - tra le altre cose - da regioni come Tuva può attingere le riserve più preziose per l’esercito.
Perché Tuva non è solo sciamani e paesaggi da cartolina. È la regione più povera della Russia, con problemi enormi di criminalità, alcolismo, disoccupazione, ma con uno dei tassi di natalità più alti del paese. È facile capire perché da qui i giovani (e a quanto sembrava dal video della cerimonia di reclutamento anche i meno giovani) vedano nell’esercito l’unico ascensore economico e sociale possibile. E perché in fondo, mandare questi soldati a morire - soldati che non hanno alternative e che combattono contro un paese che dista migliaia di km da casa loro - è la scelta più comoda. Soldati i cui corpi forse non verranno neppure reclamati, con genitori che si accontenteranno di comunicazioni sbrigative.
Tra l’altro, oltre al ministro della Difesa Sergei Shoigu anche il vicepresidente della Duma Sholban Kara Ool è di Tuva, conferma che la povera, sperduta regione ai confini con la Mongolia è fortemente sovrarappresentata sia nell’esercito che nel governo, per ragioni di evidente convenienza. Il tutto, con un governo centrale che dà a Tuva l’impressione di contare molto all’interno della Federazione. E non è forse un caso che dopo la misteriosa sparizione di due settimane del tuvano ministro Sergei Shoigu ritenuto colpevole del parziale fallimento della guerra in Ucraina, il suo ritorno sia stato battezzato anche da quella cerimonia a Tuva, con l’arruolamento solenne di nuovi soldati così vicini di casa a Gengis Khan, ma “con degli stivali di gomma che valgono meno delle loro vite”.
SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.
Dalle navi agli aerei, l'arsenale "sovietico" di Mosca. Lorenzo Vita il 15 Aprile 2022 su Il Giornale.
I russi dispongono di mezzi vecchi ma aggiornati. I piani di rinnovo frenati nel 2014 dalle sanzioni.
Secondo il generale Helmuth Karl Bernhard von Moltke, «nessun piano operativo si estende con certezza oltre il primo contatto con la principale forza ostile». Una frase che viene parafrasata in questi termini: nessun piano sopravvive dopo il primo contatto col nemico. Il significato è che si può progettare qualsiasi tipo di guerra, ma sarà poi la prima battaglia a decidere come si condurrà quella successiva e a far comprendere la piega del conflitto.
Il presidente russo Vladimir Putin, dopo 50 giorni di «operazione militare speciale», ha probabilmente capito bene quella lezione. Perché la guerra in Ucraina, che secondo il Cremlino doveva durare meno e con perdite decisamente inferiori, si è rivelata un pantano che molti, ora, paragonano alla guerra in Afghanistan dell'Unione Sovietica. L'ultima immagine, quella del danneggiamento all'incrociatore Moskva, ammiraglia della Flotta del Mar Nero, sembra avere inciso in modo profondo sull'immagine delle forze russe. Ma i primi segnali di questa difficoltà da parte di Mosca si erano già visti con le colonne di convogli ferme per strada, i mezzi abbandonati, i soldati catturati e con le poche vittorie sul campo. E in tanti cominciano a domandarsi se non sia stato sopravvalutato il dispositivo militare schierato dal Cremlino.
Sul punto, diversi analisti sottolineano che la Russia sembra avere schierato mezzi non particolarmente nuovi, ma rodati. Lo si è visto con gli aerei, che infatti hanno dimostrato di non avere ottenuto quella superiorità che si pensava avessero già dopo le prime ore di conflitto. Ma lo si nota in particolare a terra, con mezzi di produzione sovietica o semplicemente aggiornati successivamente. Diverse unità utilizzano carri armati T-72B3, aggiornamento del vecchio T-72B, e non i nuovi T-14 Armata. Sono utilizzati i semoventi 2S19 Msta, i 2S3 Akatsiya, i 2S7 Malka, i sistemi aggiornati Grad, gli Uragan o i Buratino. La flotta russa ha utilizzato molte unità vecchie, per quanto alcune modernizzate. Basti pensare che una delle navi colpite dalle forze ucraine nelle scorse settimane, il Saratov, è stata varata nel 1966. Le classi Ropucha, le navi da sbarco anfibio che secondo molti avrebbero dovuto attraccare vicino Odessa, sono tutte di epoca sovietica. E il Moskva, per tornare all'ammiraglia colpita nel Mar Nero, è entrato in servizio nel 1983 ed ha subito importanti lavori di ammodernamento per molti anni.
A questo, si deve aggiungere che in molti casi l'esercito russo ha dimostrato di non avere mezzi di comunicazione adeguati alle nuove capacità tecnologiche degli avversari, che infatti stanno armando gli ucraini con strumenti in larga parte decisamente più sofisticati. Molte conversazioni tra militari vengono decrittate con estrema facilità. E per finire, all'obsolescenza dei mezzi e alla giovane età di tantissimi soldati, si deve unire a un problema strutturale delle forze russe che è quello della strategia impiegata nel conflitto. L'armata di Mosca appare impostata ancora sul modello sovietico, con avanzate massive di mezzi pesanti e artiglieria. Le forze russe, dopo il 2008, hanno subito un importante processo di modernizzazione, con ingenti investimenti. Tuttavia, dal 2014, essendo sotto sanzioni, Mosca ha dovuto mettere un freno a molteplici (e ambiziosi) piani. E il programma tecnologico in ogni caso non può incidere in modo sensibile sul modo di condurre la guerra.
Ucraina, Putin schiera nel Donbass il generale Surovikin: vuole prendere anche Lysychansk. Corrado Zunino su La Repubblica il 25 giugno 2022.
Il comando russo a inizio giugno ha ruotato alti ufficiali operativi e cambiato l'andamento della guerra. Il militare è stato accusato in patria di brutalità e sanzionato dall'Unione europea per la guerra. Severodonetsk presa dai ceceni, civili deportati in Russia. Ora è in corso l'attacco alla città gemella
La presa di Severodonetsk è figlia della volontà del comando militare ucraino di non perdere centinaia di uomini in uno scontro impari, ma anche delle ultime scelte del governo Putin nel proprio campo militare. I servizi segreti britannici, nel quotidiano rapporto in chiaro che offrono sulla guerra in Ucraina, sottolineano come dall'inizio di giugno - proprio in vista dell'attacco in forze dell'esercito invasore a Est - l'Alto comando russo ha "molto probabilmente" rimosso numerosi generali da ruoli di comando operativi.
Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 26 giugno 2022.
Accade spesso nelle guerre che, se le cose non vanno come previsto, chi le ha decise scarichi la colpa sui generali dell'esercito, i quali sono facili da rimuovere e sostituire. Il presidente russo Vladimir Putin ne ha già silurati più di qualunque altro autocrate guerriero della storia, ma l'ultima purga, decisa pochi giorni fa, sta causando molte preoccupazioni nelle intelligence occidentali.
Secondo il ministero della Difesa britannico, al comando delle operazioni in Ucraina ci sarà ora il colonnello-generale Sergei Surovikin, i cui modi sbrigativi sono già stati sperimentati in Siria con ampia soddisfazione del Cremlino. Secondo il rapporto dei servizi britannici, dall'inizio di giugno Putin ha rimosso dai ruoli di comando operativo in Ucraina alcuni altri ufficiali, tra i quali il generale Alexander Dvornikov, comandante dell'esercito meridionale, e il colonnello-generale Andrei Serdyukov, comandante delle forze aviotrasportate.
Quando un capo di stato non si fida più dei suoi generali, deve mettere al comando qualcuno di più simile a lui, con il quale possa capirsi al volo. Sergei Surovikin, la cui carriera è costellata di brutalità e di accuse di corruzione, è stato dunque scelto secondo quanto riferisce il ministero della Difesa britannico per sostituire Dvornikov e guidare le attuali operazioni sulle coste del Mar Nero.
Se Putin vuole chiudere in fretta il conflitto, Surovikin sembra l'ufficiale più adatto. Nel 2017 in Siria aiutò le truppe di Assad a riprendere in pochi mesi il controllo del 50% del territorio del Paese e le sue campagne militari impressero una svolta alla guerra. Di certo, se si vuole fare in fretta, non bisogna andare tanto per il sottile. Nell'agosto del 1991, nel pieno del golpe contro Michail Gorbaciov, comandò un battaglione che doveva fermare i manifestanti in un tunnel di Mosca: i soldati spararono e ne uccisero tre. Arrestato dopo il fallimento del golpe, fu poi graziato dal nuovo presidente Boris Eltsin perché «stava solo eseguendo gli ordini».
Nel 1995 Surovikin fu condannato dal tribunale militare a un anno di libertà vigilata per vendita illegale di armi, condanna poi annullata perché si poté accertare che si trattava solo di una pistola prestata ad un amico. In molti altri casi è riuscito a evitare processi e condanne: nel 2004 un colonnello, Vktor Chibizov, lo accusò di averlo picchiato dopo una discussione politica, e nello stesso anno il colonnello Andrei Shtkal si sparò in sua presenza esasperato dalle continue critiche che riceveva.
In entrambi i casi, il procuratore militare non trovò addebiti da muovere a Surovikin.
Brillante anche nelle azioni militari in Cecenia, il nuovo comandante delle operazioni sul Mar Nero ha nel suo curriculum anche la creazione della polizia militare russa ed è stato nominato nel 2017 comandante delle forze aerospaziali, la nuova importante branca dell'esercito con la quale si combatteranno le guerre del futuro.
Alle parate sulla Piazza Rossa, la divisa di Surovikin è quella con più medaglie: è Eroe della Federazione Russa, ha ricevuto tre volte l'Ordine della Stella Rossa, l'Ordine del Merito Militare e l'Ordine del Coraggio. La nomina in Ucraina rafforza le voci secondo le quali sarà presto lui a prendere il posto del Capo di Stato Maggiore delle forze armate Valery Gerasimov, messo in naftalina da Putin insieme a tanti altri generali: Serhiy Kisel, sospeso per non aver preso Kharkiv, il viceammiraglio Igor Osipov, rimosso dopo la perdita dell'incrociatore Moskva, il comandante della Sesta armata, Vladislav Ershov, quello della Ventiduesima, Arkadij Marzoev, e il vice-ammiraglio Sergej Pinchuk, che figura ancora sotto inchiesta.
È sparito dalla circolazione anche Sergei Beseda, il capo dei servizi segreti colpevole di avere fatto credere che Kiev sarebbe caduta in poche ore. La mancanza di scrupoli di Surovikin potrebbe avere successo dove altri hanno fallito, ma anche lui sa che l'Ucraina non è la Siria, e dovrà stare in equilibrio su un filo dal quale è molto facile cadere.
Vladimir Alekseyev al comando. Putin, colpo di spugna sugli 007: ha scelto il nemico dell'Occidente. Libero Quotidiano il 10 maggio 2022.
Il colpo di spugna di Vladimir Putin sui suoi 007. Il Cremlino ha messo il servizio di intelligence militare del Gru a capo delle operazioni di intelligence in Ucraina al posto dell'Fsb. Lo scrivono i giornalisti investigativi Andrei Soldatov e Irina Borogan, tra i massimi esperti di intelligence russa, gli stessi che a metà marzo avevano raccontato come il presidente, furente perché "l'operazione speciale" non andava come previsto, avesse operato una purga di massa "stalinista" ai vertici dell'intelligence.
Ora Putin avrebbe rimosso la più grande agenzia di intelligence russa, l'Fsb, erede del Kgb e fucina della classe dirigente, dal suo ruolo di principale agenzia di spionaggio per la guerra e affidato la responsabilità a un ramo dell'intelligence militare pesantemente militarizzato, il Gru. Al vertice, Vladimir Alekseyev, il primo vice capo del Gru, considerato l'uomo dietro molti dei più gravi attacchi di Putin all'Occidente negli ultimi dieci anni: è accusato, per esempio, dal Regno Unito e dall'Unione Europea di aver supervisionato l'attacco con armi chimiche a Salisbury nel 2018, con l'avvelenamento della spia britannica Sergei Skripal e della figlia Yulia; ed è anche sanzionato dagli Stati Uniti per il suo coinvolgimento negli attacchi informatici al Partito Democratico degli Stati Uniti e per l'interferenza nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.
Il segnale pubblico del cambiamento sarebbe arrivato la scorsa settimana, quando un canale televisivo pro-Cremlino, Tsargrad, ha pubblicato un articolo intitolato "Generali della vittoria: chi è a capo dell'operazione speciale russa?". E tra i nomi suggeriti c'era appunto il temibile Alekseyev.
Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 28 giugno 2022.
Da due giorni, anche ufficialmente, la Russia ha sostituito l’ennesimo generale (anzi, ne ha sostituiti diversi), ma questa volta si tratta di un passaggio particolarmente simbolico, per il regime putiniano.
Togliendo ad Alexandr Dvornikov il comando del Distretto meridionale, e affidandolo a Sergey Surovikin, si compie uno spostamento ulteriore verso la nomenklatura chekista e para golpista della Russia che transitò dall’Unione sovietica al mercato. Sentite come.
Di Surovikin il ministero della Difesa britannico ha scritto: «Per oltre trent'anni, la carriera di Surovikin è stata perseguitata da accuse di corruzione e brutalità». E tutti ricordano il suo periodo brutale di comandante in Siria.
«Dall'inizio di giugno – si legge nell’ultimo assessment della Difesa del Regno Unito – l'Alto Comando russo ha molto probabilmente rimosso numerosi generali da ruoli di comando operativi nella guerra in Ucraina.
Fra questi vi sono il comandante delle truppe aviotrasportate (Vdv), generale-colonnello Andrei Serdyukov, e il comandante del Raggruppamento delle Forze Meridionali, generale di armata Alexandr Dvornikov, il quale è stato probabilmente per un periodo comandante di tutte le operazioni».
Ma Surovikin non è un generale qualunque, fu molto più che brutale. E la Siria non è il solo inquietante precedente della sua carriera. Fu incarcerato due volte: una per presunta vendita illegale di armi, l’altra per aver guidato una colonna militare durante il tentato (e fallito) colpo di stato dell'agosto 1991 che uccise tre manifestanti a Mosca, che difendevano la Casa Bianca nella caotica stagione di trapasso eltsiniana. Fu Surovikin a lanciare i mezzi corazzati sulla folla. Questo curriculum è stato un problema quando Surovikin è stato nominato capo della polizia militare.
L’analista Rob Lee ha ricordato altre circostanze, per esempio Surovikin avrebbe spinto un colonnello in servizio sotto di lui a suicidarsi dopo un violento rimprovero. E ha comandato due volte le forze russe in Siria guadagnandosi a tal punto un legame personale con il dittatore siriano Bashar Assad, che Assad stesso chiese di prolungargli l’incarico.
È anche abbastanza inusuale che un ufficiale di terra venga incaricato delle forze aerospaziali russe (il ruolo precedente di Surovikin), e poi «è alquanto sorprendente che non sia stato inserito prima in un ruolo più operativo in questa guerra».
Forse Putin stesso ci ha voluto pensare bene, rendendosi conto di quanto questo passo sia ricco di risonanze terribili. Il ritorno anche simbolico agli apparati che lottarono contro l’aspirazione alla democrazia della Russia.
Il motivo è semplice: guidando una delle colonne del tentato putsch del 1991 contro la nascente democrazia russa, Surovikin rimane chiaramente legato a quella parte delle strutture militari russe che, sia nell’esercito sia nel Kgb, ostacolarono ogni tentativo di apertura democratica nella stagione post-sovietica e poi, fallito il piano, si riadattarono e mimetizzarono, aiutando a piazzare un loro emissario – Vladimir Vladimirovich Putin – al Cremlino.
Curiosamente, Surovikin fu promosso generale proprio da Putin in una data non casuale, il 16 agosto 2021: esattamente nel ventennale del fallito golpe a cui Surovikin partecipò. E Putin, com’è noto, è uno che tiene molto alle date e a una sua re-interpretazione della storia.
Tornando ai fatti di quella ominosa notte dell’agosto1991, l’attivista Alexander Cherkassov – del Memorial Center, la più antica ong russa appena messa fuorilegge da Putin – ricorda: «Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1991, il 1° battaglione di fucili a motore della 2a divisione Taman di fucili a motore della Guardia, per ordine del Comitato di emergenza statale, fu inviato a stabilire dei presidi sul Garden Ring.
I compiti del comandante del battaglione furono svolti da Sergei Surovikin. Secondo la versione ufficiale, nel tunnel sotto Novy Arbat, “la colonna fu fermata dalla folla, erano stati costruiti dei blocchi sulla strada”.
Poi, con parte della colonna, [Surovikin] ha sfondato le macerie e ha lasciato il luogo dello scontro, e durante i continui attacchi della folla ai restanti veicoli da combattimento, tre giovani sono rimasti uccisi».
Forse conviene ricordare i nomi di quei tre giovani russi uccisi: Dmitry Komar, morto sotto le ruote di un veicolo da combattimento di fanteria, Ilya Krichevsky e Vladimir Usov.
Surovikin fu arrestato. Passò appena sei mesi in custodia cautelare. Poi le accuse furono miracolosamente ritirate: lo stato disse che l’allora capitano stava eseguendo gli ordini. Fu riferito che Boris Eltsin in persona disse: «Rilasciare immediatamente il maggiore Surovikin».
Lo chiamò “maggiore”. Non lo stava solo liberando, lo stava nominando maggiore: per l'esemplare adempimento del dovere militare. Putin ha completato l’opera facendolo generale e, adesso, mandandolo a sterminare gli ucraini. La storia di una tragedia che viene da molto lontano.
Chi è Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore delle forze armate. Mauro Indelicato su Inside Over il 9 maggio 2022.
Valery Gerasimov è l’attuale capo di stato maggiore dell’esercito russo. Assume questa carica nel novembre del 2012, pochi mesi dopo l’inizio del terzo mandato alla presidenza della federazione russa da parte di Vladimir Putin. Viene considerato l’ideatore dell’omonima “dottrina Gerasimov”, per la verità delle considerazioni sul nuovo tipo di guerra del XXI secolo pubblicate dallo stesso generale nel 2013.
La nascita e la formazione di Gerasimov
Valery Gerasimov nasce l’8 settembre 1955 a Kazan, capitale della Repubblica del Tatarstan, una delle entità che attualmente compone la federazione russa, abitata in maggioranza dalla popolazione turcofona dei tatari. Nella sua biografia viene specificato che la famiglia di Gerasimov è di “origini umili” e di lavoratori. Lui da subito propende per un’educazione di tipo militare.
La sua formazione si svolte in primo luogo proprio a Kazan. Si diploma infatti nel 1973 presso la scuola militare Suvorov della sua città natale, successivamente si iscrive presso la “Scuola Superiore per il Comando dei Carri”, sempre a Kazan. Diplomatosi qui nel 1977, procede con la Scuola Superiore per il Comando dei Carri Unità per i successivi cinque anni.
Dal 1984 al 1987 risulta poi inserito all’interno dell’Accademia Militare delle Forze Armate Malinovsky. Completa la sua formazione, quando è già nei ranghi dell’esercito, frequentando tra il 1995 e il 1997 l’Accademia Militare dello stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa.
La scalata all'interno dell'esercito
Il primo incarico di Gerasimov si ha nel 1982, quando con il grado di ufficiale inferiore è comandante di plotone presso l’80esimo reggimento carri della sesta divisione meccanizzata delle Guardie, inquadrata all’interno del Gruppo delle Forze del Nord. Successivamente diventa, sempre all’interno del medesimo gruppo, comandante di compagnia e aiutante maggiore.
Gerasimov diventa poi maggiore nel 1984, mentre assume i gradi di tenente colonnello nel 1987 e di colonnello quando l’Urss risulta già caduta, nel 1992, e l’esercito in cui è inquadrato è adesso quello della Russia. Così come si legge nella sua biografia, una volta assunti i gradi di maggiore viene mandato nell’estremo oriente russo, all’interno del distretto militare dell’Estremo Oriente. Qui rimane fino al 1993, quando viene promosso a maggiore generale e viene nominato comandante della 144esima divisione fucilieri meccanizzata, inquadrata nel distretto militare del Baltico.
Un incarico che ricopre per due anni, quando poi ultima la formazione all’interno dell’accademia Militare dello stato maggiore. Nel 1999 Gerasimov inizia una delle avventure professionali che, in seguito, gli garantiscono un’importante fama all’interno del mondo militare russo: viene infatti nominato capo di stato maggiore della 58esima armata combinata, inquadrata nel distretto militare del Caucaso Settentrionale. Si è alla vigilia della seconda guerra di Cecenia, quella avviata dal neo premier Vladimir Putin, ed è qui che emergono le doti militari di Gerasimov.
Viene quindi promosso nel 2003 nel grado di tenente generale e viene nuovamente inviato in oriente, dove fino al 2005 ricopre l’incarico di capo di stato maggiore del distretto militare dell’Estremo Oriente. In quell’anno è promosso colonnello generale e diventa capo del Direttorato Principale per l’Addestramento al Combattimento delle forze armate.
La sua scalata prosegue poi nel 2006, quando ritorna nel Caucaso con la nomina di capo di stato maggiore del distretto militare del Caucaso Settentrionale. Nel 2007 e fino al 2009 è capo di stato maggiore del Distretto Militare di San Pietroburgo, dal 2009 al 2010 invece è capo di stato maggiore del distretto militare di Mosca. Il 23 dicembre del 2010 è nominato vice capo di stato maggiore delle forze armate. È l’ultimo passo prima della definitiva consacrazione: dopo un breve passaggio al distretto militare centrale, nel novembre 2012 Vladimir Putin, su suggerimento del ministro della Difesa Sergei Shoigu, lo nomina capo di stato maggiore della difesa. Incarico ricoperto ancora oggi.
La guerra cecena
Come detto, la fama militare di Gerasimov si forma soprattutto durante la seconda guerra cecena. In quel momento la piccola repubblica caucasica è fuori dal controllo delle forze di Mosca. La crescente pressione militare dei separatisti e gli attentati compiuti dai terroristi ceceni all’interno del territorio russo, convincono l’allora presidente Boris Eltsin a usare il pugno duro. Viene quindi chiamato ad assumere l’incarico di primo ministro Vladimir Putin, fino a quel momento capo dell’Fsb, il servizio segreto russo.
È il 1999 e proprio in quell’anno Gerasimov è nominato capo di stato maggiore della 58esima armata combinata, inquadrata nel distretto militare dove ricade la Cecenia. Quando Putin decide di intervenire contro i separatisti con l’intento di riconquistare la repubblica caucasica, Gerasimov è quindi chiamato a recitare un ruolo di protagonista.
Il buon andamento della guerra, che permette all’esercito russo di arrivare a Grozny già nei primi mesi del 2000, contribuisce ad accrescere la buona nomina di Valery Gerasimov. Ma il suo nome inizia a circolare prepotentemente in occasione dell’arresto del colonnello Yuri Budanov, accusato proprio nel marzo del 2000 di aver abusato e brutalmente ucciso una ragazza cecena. Gerasimov appare direttamente coinvolto nell’arresto di Budanov e questo gli fa guadagnare la fama di integerrimo. Di lui parla bene la giornalista Anna Politkovskaya, notoriamente contraria alle azioni del Cremlino in Cecenia: “Gerasimov – scrive la cronista – è un uomo capace di preservare il proprio onore di ufficiale”.
La nomina a capo di stato maggiore
Finita la sua esperienza in Cecenia, il militare prosegue la sua carriera all’interno dell’esercito. La svolta si ha nel 2010, quando Gerasimov viene nominato a capo del distretto militare di Mosca. Dirigere il distretto della capitale è spesso l’ultimo passo prima di arrivare alla direzione generale delle forze armate.
Tuttavia Valery Gerasimov non sembra essere particolarmente benvoluto dall’allora capo di stato maggiore Nikolay Makarov. Per questo nell’aprile del 2012 viene mandato a dirigere il distretto militare centrale, un incarico che sembra sbarrargli le porte al comando dello stato maggiore delle forze armate. I pessimi rapporti con Makarov sono per la verità tutti da dimostrare. Ad ogni modo sembra che quest’ultimo fosse molto vicino, come sottolinea DifesaOnLine, al ministro della Difesa Anatoly Serdyukov. Quando però a capo del ministero, sul finire del 2012, arriva Sergej Shoigu, cambiano le nomine nella direzione dell’esercito.
Makarov si dimette, forse su pressione dello stesso Cremlino, e nel novembre 2012 è lo stesso Shoigu a suggerire la nomina Gerasimov. In tal modo il generale diventa nuovo capo di stato maggiore.
La dottrina Gerasimov
Uno dei motivi per i quali da allora in poi la fama di Gerasimov si spinge oltre i confini russi, riguarda la dottrina che da lui prende il nome. Si tratta di un insieme di considerazioni con le quali Gerasimov esprime il suo punto di vista sulle guerre del nuovo secolo, conflitti cioè non più combattuti sul campo ma sul fronte della cosiddetta “guerra ibrida”.
Valutazioni che partono da quanto accaduto nel 2011 nel mondo arabo, la cui “primavera” altro non è che la dimostrazione di come sia possibile, secondo il capo di stato maggiore russo, colpire uno Stato florido e in pace avviandolo verso una destabilizzazione. Disinformazione, armi psicologiche, difesa degli interessi fuori dal proprio territorio sono le nuove parole d’ordine nel quadro di una cosiddetta “autodifesa attiva”.
“Le regole della guerra sono cambiate e il ruolo degli strumenti non militari nel conseguimento di obiettivi strategici e politici […] in molti casi ha superato in efficacia la forza delle armi”, si legge nelle considerazioni di Gerasimov. Frasi che sono racchiuse nell’articolo “Il valore della scienza nella previsione”, scritto sul Corriere Militare-Industriale nel febbraio 2013.
Per la verità quella di Gerasimov non è una vera dottrina. A specificarlo è anche colui che per primo alla stampa occidentale l’ha presentata come tale, ossia Mark Galeotti. Il suo è un “mea culpa”, in quanto specifica che soltanto per un errore di traduzione il testo di Gerasimov viene interpretato come dottrina offensiva ma, nella realtà, è un compendio su come la Russia deve difendersi nel nuovo contesto internazionale. Le frasi del capo di stato maggiore russo sono comunque importanti per comprendere il suo operato e il suo livello di influenza all’interno del Cremlino.
La guerra in Ucraina
Da capo di stato maggiore Gerasimov ovviamente è pienamente coinvolto nelle due missioni più importanti della Russia negli ultimi dieci anni: la Siria e l’Ucraina. Su quest’ultimo fronte a lui viene attribuita buona parte dell’architettura della strategia di Mosca in Crimea, quando la penisola viene annessa alla federazione il 18 marzo 2014, all’indomani delle proteste di Euromaidan a Kiev.
La paura di perdere influenza nel Mar Nero e di perdere la base di Sebastopoli, inducono la Russia a una guerra in cui però non un solo colpo viene sparato. La Crimea è infatti annessa dopo l’azione degli “omini verdi”, militari in divisa senza insegne che favoriscono le dichiarazioni di secessione dall’Ucraina e il referendum di annessione alla Russia.
Il ruolo di Gerasimov è certificato anche dalle sanzioni approvate contro la sua persona dall’Unione Europea sempre nel 2014. Le tensioni con l’Ucraina tornano ad acuirsi nel dicembre 2021. In quell’occasione è lo stesso Gerasimov a lanciare il 9 dicembre un monito a Kiev: “Le consegne di elicotteri, velivoli senza pilota e aerei in Ucraina stanno spingendo le autorità ucraine verso passi improvvisi e pericolosi – dichiara Gerasimov – Kiev non rispetta gli accordi di Minsk.”.
Quando il 24 febbraio Putin decide di attaccare l’Ucraina, su Gerasimov si diffondono diverse voci contraddittorie. Il 26 febbraio sarebbe stato infatti allontanato da una riunione dallo stesso Putin, alcune fonti parlano addirittura di un “commissariamento” dell’esercito e di una destituzione de facto di Gerasimov.
Il 29 aprile invece, al contrario, il capo di stato maggiore viene segnalato da alcune fonti ucraine presente nel Donbass, a coordinare le operazioni sul campo di battaglia e non invece da Mosca.
Davide Casti per il corriere.it il 9 aprile 2022.
La Russia avrebbe cambiato la guida delle operazioni militari in Ucraina. Secondo quanto comunicato da diverse fonti occidentali, al comando delle truppe russe, nella guerra scatenata contro l’Ucraina, ci sarebbe ora il generale Alexander Dvornikov, un veterano delle operazioni russe in Siria.
La notizia è stata confermata da un funzionario di alto livello, che ha chiesto l’anonimato, alla Bbc.
«Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria - quindi ci aspettiamo di veder migliorare il comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina», ha detto la fonte all’emittente britannica.
Il cambio al vertice arriva dopo che - dopo settimane di battaglie feroci - l’esercito russo non è riuscito a completare la conquista di alcuna grande città ucraina, e dopo aver subito «pesanti perdite» (come riconosciuto dal portavoce del Cremlino).
Nei 44 giorni passati dall’inizio dall’invasione - come sottolineato dal Pentagono giorni fa - Mosca non solo non è riuscita a rovesciare il governo ucraino, ma nemmeno a sferrare l’assalto a Kiev, o a conquistare alcuna grande città ucraina.
Giorni fa, la Russia ha comunicato di aver modificato i propri obiettivi di breve termine in Ucraina, e di voler concentrare le proprie operazioni nel Donbass, nell’Est del Paese. Da allora, le forze russe si sono progressivamente ritirate dal Nord dell’Ucraina, anche se i bombardamenti continuano in diverse aree del Paese (a Odessa, nel Sud Ovest dell’Ucraina, è stato imposto un coprifuoco nell’attesa di possibili attacchi missilistici russi).
«Ma a meno che la Russia non cambi le sue tattiche, è difficile che possa avere successo anche solo negli obiettivi che si è data», ha detto la fonte britannica alla Bbc.
Secondo le stesse fonti, ora Mosca sembra avere fretta - e per ragioni più politiche che militari: l’obiettivo potrebbe essere quello di arrivare a una qualche forma di successo militare entro il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale.
In Siria, la Russia ha combattuto seguendo schemi che ricalcavano in parte la brutale guerra in Cecenia - e che alcuni analisti rivedono ora in azione in Ucraina. Come scriveva Guido Olimpio raccontando le operazioni russe in Siria, Mosca agiva schierando caccia e pezzi d’artiglieria, bombe guidate e bombe a grappolo, sistemi missilistici termobarici e ideati per «saturare» larghe porzioni di territorio: «Fanno terra bruciata, devastano. Hanno anche un effetto psicologico su chi subisce il tiro».
L’obiettivo: «colpire gli avversari più temuti; logoramento dell’avversario; distruzione di depositi e raid sulle vie di rifornimento; azioni per testare le difese; costituire punti da dove poi lanciare manovre in profondità».
(ANSA il 3 giugno 2022) - Il generale Alexander Dvornikov non sarebbe più al comando dell'operazione militare russa in Ucraina. Ad affermarlo è il Conflict Intelligence Team, ong investigativa russa.
Al suo posto sarebbe stato nominato il generale Gennady Zhidko, ex comandante del distretto militare orientale e viceministro della difesa di Mosca per gli affari politici. Secondo quanto indicato dall'analista Ruslan Leviev, la rimozione potrebbe essere legata a un "processo di rotazione" dei vertici operativi delle forze armate, "come quello visto in Siria", dato che non risulta al momento che sia la conseguenza di una gestione ritenuta deludente.
La Russia cambia il generale alla guida della guerra: chi è Alexander Dvornikov, e perché Mosca ora sembra avere fretta. Davide Casati su Il Corriere della Sera il 9 aprile 2022.
Secondo fonti occidentali, il comando delle operazioni in Ucraina passa al generale Alexander Dvornikov, veterano delle operazioni in Siria: Mosca deve arrivare a una qualche forma di successo entro il 9 maggio.
La Russia avrebbe cambiato la guida delle operazioni militari in Ucraina. Secondo quanto comunicato da diverse fonti occidentali, al comando delle truppe russe, nella guerra scatenata contro l’Ucraina, ci sarebbe ora il generale Alexander Dvornikov, un veterano delle operazioni russe in Siria.
La notizia è stata confermata da un funzionario di alto livello, che ha chiesto l’anonimato, alla Bbc.
«Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria — quindi ci aspettiamo di veder migliorare il comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina», ha detto la fonte all’emittente britannica.
Il cambio al vertice arriva dopo che — dopo settimane di battaglie feroci — l’esercito russo non è riuscito a completare la conquista di alcuna grande città ucraina, e dopo aver subito «pesanti perdite» (come riconosciuto dal portavoce del Cremlino).
Finora, le forze russe in campo venivano organizzate e comandate separatamente: e questo causava un mancato coordinamento tra diversi comandi. Dvernikov dovrebbe invece ora essere al comando dell’intera «operazione speciale».
Nei 44 giorni passati dall’inizio dall’invasione — come sottolineato dal Pentagono giorni fa — Mosca non solo non è riuscita a rovesciare il governo ucraino, ma nemmeno a sferrare l’assalto a Kiev, o a conquistare alcuna grande città ucraina.
Giorni fa, la Russia ha comunicato di aver modificato i propri obiettivi di breve termine in Ucraina, e di voler concentrare le proprie operazioni nel Donbass, nell’Est del Paese. Da allora, le forze russe si sono progressivamente ritirate dal Nord dell’Ucraina, anche se i bombardamenti continuano in diverse aree del Paese (a Odessa, nel Sud Ovest dell’Ucraina, è stato imposto un coprifuoco nell’attesa di possibili attacchi missilistici russi). L’Ucraina ritiene che Mosca possa concentrarsi nell’immediato su città dell’Est del Paese (Mariupol, Kharkiv) per poi eventualmente lanciare l’offensiva finale contro Kiev.
«Ma a meno che la Russia non cambi le sue tattiche, è difficile che possa avere successo anche solo negli obiettivi di breve termine che si è data», ha detto la fonte britannica alla Bbc.
Secondo le stesse fonti, ora Mosca sembra avere fretta — e per ragioni più politiche che militari: l’obiettivo potrebbe essere quello di arrivare a una qualche forma di successo militare entro il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale.
«C’è una tensione tra la logica militare di riorganizzare le forze, imparare dagli errori commessi e mettere in campo tattiche migliori, e l’imperativo politico di agire più in fretta».
In Siria, la Russia ha combattuto seguendo schemi che ricalcavano in parte la brutale guerra in Cecenia — e che alcuni analisti rivedono ora in azione in Ucraina. Come scriveva Guido Olimpio raccontando le operazioni russe in Siria, Mosca agiva schierando caccia e pezzi d’artiglieria, bombe guidate e bombe a grappolo, sistemi missilistici termobarici e ideati per «saturare» larghe porzioni di territorio: «Fanno terra bruciata, devastano. Hanno anche un effetto psicologico su chi subisce il tiro». L’obiettivo: «colpire gli avversari più temuti; logoramento del l’avversario; distruzione di depositi e raid sulle vie di rifornimento; azioni per testare le difese; costituire punti da dove poi lanciare manovre in profondità».
Fabrizio Dragosei per il "Corriere della Sera" il 10 aprile 2022.
Ci sono voluti 44 giorni e alla fine il Cremlino sembra aver deciso di nominare un comandante unico dell'Operazione militare speciale in Ucraina.
Da tempo gli esperti occidentali facevano notare come le varie forze impegnate sui differenti fronti sembrassero non agire in maniera coordinata. Segno evidente della mancanza di un solo centro di supervisione generale. Adesso, secondo una fonte della Bbc, al generale Aleksandr Dvornikov, ex capo del corpo di spedizione in Siria, sarebbe stata assegnata la guida di tutte le truppe in vista della battaglia che dovrebbe portare Mosca a controllare l'intero Sud-Est dell'Ucraina.
Le truppe alle quali era stato affidato il tentativo di conquista di Kiev, poi abortito, e quelle schierate nel Donbass o sulla costa del Mare d'Azov «sembravano competere per ottenere le risorse necessarie, invece di agire in maniera univoca», ha commentato un analista americano parlando con la Cnn.
«Invece uno dei princìpi della guerra è l'unità del comando, nel senso che una persona deve avere la responsabilità di tutto: deve coordinare gli attacchi, dirigere la logistica, adoperare le forze di riserva, misurare i successi e gli insuccessi delle differenti ali del fronte e, in base a quello che vede, modificare la strategia».
Questa situazione ha portato probabilmente molti generali russi a doversi impegnare direttamente quasi in prima linea per tenere sotto controllo l'azione dei vari reparti. Da qui le fortissime perdite tra gli alti gradi denunciate dagli ucraini che affermano di aver ucciso almeno sei generali russi.
E la morte in combattimento di un altissimo ufficiale è un evento che di solito è estremamente raro, secondo David Petraeus, ex comandante delle forze statunitensi in Afghanistan e in Iraq nonché ex direttore della Cia.
Non è del tutto certo che prima di Dvornikov i russi non avessero una guida unica delle operazioni, il cui nome, magari, non era stato rivelato. Nel caso, sostengono gli analisti occidentali, si sarebbe trattato di un comandante non molto efficiente, visti i risultati.
Dvornikov, sessant'anni, è attualmente alla guida del Distretto militare del Sud, dopo essere stato a capo delle forze in Siria. In quell'occasione i russi adoperarono la cosiddetta «tecnica Grozny», vale a dire bombardamenti massicci e indiscriminati per spianare la strada alle forze di terra mandate poi ad occupare i centri cittadini.
Quella strategia comportò un ampio uso di bombe a grappolo e di armi termobariche, che provocano un alto numero di morti tra i civili. Si teme che lo stesso metodo stia per essere adottato nelle città tenute dall'esercito di Kiev e dai volontari. Il generale, che ha studiato alla prestigiosa accademia Frunze di Mosca, è stato insignito del titolo di Eroe della Russia proprio per la sua attività in Siria.
In vista di quella che dalla prospettiva di Mosca dovrebbe risultare l'offensiva definitiva, i russi continuano a tentare di fermare i rifornimenti di armi alle forze di Kiev. Anche con rinnovate minacce. Ieri è stata la volta dell'ambasciatore negli Usa Anatolij Antonov: «I Paesi occidentali seguitano a rifornire di armi l'Ucraina. Sono azioni provocatorie e pericolose che possono portare gli Stati Uniti e la Russia sulla strada del confronto diretto». Antonov ha detto ancora una volta che i convogli sono considerati «obiettivi militari legittimi».
Un veterano della Siria al fronte ucraino: Putin chiama Dvornikov. Mauro Indelicato il 9 Aprile 2022 su Il Giornale.
La sua nomina, secondo fonti russe citate dalla Bbc, costituirebbe un "cambio di passo" nella strategia di Mosca in Ucraina.
Per il momento non ci sono state conferme ufficiali da Mosca, ma stando a diverse fonti occidentali definite “accreditate e affidabili” dalla Bbc, dal Cremlino è arrivato l'ordine del cambio ai vertici della missione in Ucraina. Dai prossimi giorni dovrebbe essere il generale Alexander Dvornikov a guidare i militari russi impegnati in guerra.
Lo sguardo sarebbe caduto su di lui in primo luogo per la sua esperienza in Siria. Dvornikov è infatti indicato come tra i principali veterani dell'operazione condotta da Mosca al fianco dell'esercito siriano a partire dal settembre 2015. Un'operazione che è ancora in corso ma che ha raggiunto il suo principale scopo: mantenere il presidente Bashar Al Assad al potere.
Una missione quindi coronata da successi e che ha permesso ai russi di preservare l'integrità di un governo alleato nella delicata regione mediterranea. Mosca adesso, dopo le gravi perdite subite e dopo il ritiro da Kiev, vorrebbe ricalcare i successi siriani in terra ucraina.
“Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria – ha dichiarato una fonte russa alla Bbc – da lui ci aspettiamo un miglioramento nella fase di comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina”.
E in effetti una delle preoccupazioni più importanti dei russi in questo primo mese e mezzo di guerra ha riguardato proprio la struttura di comando delle operazioni, giudicata troppo dispersiva e poco funzionale. Il numero così elevato di generali morti sul campo non sarebbe casuale. Una volta messo piede in Ucraina, i russi avrebbero eccessivamente “allungato” le linee costringendo molti generali a fare la spola tra il fronte più avanzato e le retrovie.
Questo ha creato, tra le altre cose, una dispersione della catena di comando e una comunicazione tra le linee e i vari reparti giudicata poco funzionare. Dvornikov è quindi stato chiamato per mettere in qualche modo “ordine” all'interno delle truppe.
La sua esperienza in Siria per il Cremlino sarebbe una primaria fonte di garanzia. Qui il generale ha operato per diversi anni ed è stato tra gli artefici dell'organizzazione della macchina militare russa nel Paese mediorientale. Nel marzo 2016, proprio per il suo ruolo in Siria, è stato insignito del titolo di “eroe della federazione russa”.
Un riconoscimento giustificato soprattutto per le sue doti mostrate al comando. La qualità quindi principale richiesta da Putin per un cambio di passo delle operazioni in Ucraina. La nomina di Dvornikov potrebbe essere un segno di come per Mosca adesso è tempo di pensare alla missione in Ucraina come a una guerra.
Un termine censurato in Russia, ma che è stato indubbiamente evocato al Cremlino nel momento di nominare Dvornikov. Un generale che ha già guidato delle truppe in guerra e che ha già fatto una guerra e che adesso deve riorganizzare un esercito che in Ucraina era quasi convinto di non dover combattere.
La missione del generale è molto chiara: accelerare sui piani militari e portare a casa significativi risultati nel Donbass in vista del 9 maggio. Il giorno cioè della parata in ricordo della vittoria militare nella seconda guerra mondiale. Una parata in cui Putin vorrà celebrare almeno un successo.
Domenico Quirico per “la Stampa” il 6 giugno 2022.
Chissà se nell'ufficio di Putin al Cremlino, dopo l'avvio della operazione speciale Ucraina, è stato collocato un enorme tabellone come quello che campeggiava al comando supremo di Cadorna ad Udine, fino a quando i tedeschi non lo fecero traslocare di alcune centinaia di chilometri.
C'erano impilati i nomi dei generali e dei colonnelli impegnati nella operazione speciale carsica e anti-austrungarica. I nomi erano scritti a matita, come raccontavano tremebondi quelli che erano ammessi alla scrivania del Capo. Il capoufficio della anagrafe ufficialesca spiegava che così era più facile eliminare quelli che erano sottoposti al frenetico movimento quotidiano del «siluramento».
Nell'elenco putiniano l'ultimo nome defunto amministrativamente al servizio della patria è di gran peso, Dvornikov, il normalizzatore, a cannonate della Siria. Gli era stata affidata, due mesi fa, l'operazione Donbass con la raccomandazione di tornare ai cari vecchi metodi delle armate russe, annientare tutto e poi occupare i susseguenti deserti. Metodo in cui lo si voleva giustamente maestro. Rimosso, silurato si dice senza nemmeno due parole, senza spiegazioni. Mosca tace. Brutto segno. Strano.
Al contrario dei colleghi di cui aveva preso il posto, poteva vantare risultati: avanzate frutto di bestiali spallate, resa di Mariupol, esercito ucraino messo alle strette con le cannonate tanto da dover ammettere dopo mesi di propaganda all'insegna di «abbiamo vinto» di essere in serie difficoltà. Il suo marchio di fabbrica, distruggere tutto compresi i civili perché le macerie non oppongono resistenza funzionava, c'era abbastanza materiale in ruderi per soddisfare gli appetiti di vittoria del suo comandante supremo. E invece...
Non si è prestato al siluramento dell'uomo che conquistò Aleppo riducendola in briciole con l'aviazione, il giusto peso. E se fosse l'anticamera di quello scricchiolio che, a orecchie tese, l'Occidente da più di cento giorni spera di avvertire nell'aria primaverile di Mosca, ovvero il tintinnar di sciabole, i mugugni degli alti comandi, ebbene sì il golpe aggiusta tutto?
Perché questo ci resta, dopo sanzioni e presunte aspirazioni alla rivolta della società civile e malattie a decorso assai lento. A rovesciare lo zar non saranno certo i cosiddetti oligarchi, una minutaglia troppo pavida e interessata per alzar la testa contro il padrone. Meno ancora i servizi di sicurezza, che, da vecchia spia, Putin maneggia come se fossero coltello e forchetta. Restano loro, i generali, che dispongono dell'unico arnese davvero indispensabile per rovesciare governi e tiranni, ovvero i carri armati.
È stato un errore imbastire delle iliadi sui generali russi uccisi in combattimento, traendone vaticini di collasso militare. Diciamo la verità: se i generali cadono in battaglia è un buon segno per la salute dei rispettivi eserciti. Vuol dire che non erano burocrati da scrivania, collezionisti di decorazioni e gradi a sbafo, frequentatori, più che di trincee, di anticamere ministeriali. A mieter vittime in questi stati di servizio sono apoplessie e implacabili tassi di colesterolo.
I generali italiani dei tempi delle guerre mondiali, ad esempio, erano celebri tra gli stati maggiori stranieri soprattutto per l'altissima qualità dei loro cuochi. Gli eserciti in cui muoiono solo dai colonnelli in giù non sono in genere efficienti. Quando i marescialli di Napoleone non risultarono più negli elenchi degli eroi caduti in battaglia accanto ai «grognard» ma solo in quelli di contee e marchesati l'orizzonte del poverino si restrinse rapidamente all'Elba e a Sant' Elena.
I generali di Putin muoiono perché si arrabattano a comandare reggimenti e battaglioni per gli acciuffamenti quotidiani: già, scarseggiano gli ufficiali intermedi o non sono all'altezza, e quindi con fregi e medaglie devono avanzare anche loro in prima linea a controllare che i macelli si facciano a puntino.
Storia più ricca di seguiti importanti invece è quella dei liquidati, caduti sotto il fuoco implacabile dell'equivalente russo del nostro collocamento a riposo. Che sono ormai un bel gruppo.
Prendiamo Dvornikov, biografia e faccia interessante, significativa. Un classico militare non inceppato da sentimenti morali, un sinfoniarca del cannone e del plotone di esecuzione, il volto di quei re assiri scolpiti nei bassorilievi di Ninive per cui soldati e civili non erano altro che materiale da gettare nella fornace. A guardarlo in fotografia l'uomo fa paura, ha nello sguardo una specie di vibrazione fredda che mette la tremarella perfino a collaboratori e sottoposti. Sulla «libretta rossa» di questo sessantenne sta scritto un abc tattico in poche parole: annientiamoli tutti.
Un tipo così lo immaginate, ora, a spasso per i vialetti di San Pietroburgo o del parco Gorki a spettegolare con qualche altro incartapecorito pensionato e rinvangare i bei tempi della Siria? Laggiù ha lavorato soprattutto con le forze speciali e i finti mercenari tipo Wagner. Negli anni passati a eliminare gli oppositori di Bashar assai più che i jihadisti deve aver saldato fedeltà personali con questi centurioni fracassatori e dai mediocri scrupoli. Li può chiamare a raccolta per afferrare il potere. E la Russia di oggi non più quella sovietica dove era il partito che controllava i fucili.
Ci ammaestrano Malaparte che compilò un prontuario per il colpo di stato che, pare, affascinò anche Lenin, e i sudamericani che ne hanno fatto quasi una scienza esatta: il golpista perfetto, efficiente non ha una ideologia o dei sogni politici. Semplicemente lo muovono o il rancore o la paura.
Putin ha commesso forse un errore, non ha applicato la lezione di un maestro forse insuperato in tirannide, Stalin. Il georgiano i generali, anche solo per un sospetto, non li mandava in pensione, li consegnava agli artigli dell'Nkvd e ai sotterranei della Lubianka. Con le «purghe» in un colpo solo furono eternamente collocati a riposo tre marescialli si cinque, tutti gli ammiragli, l'80 per cento dei generali di corpo d'armata e di divisione. Così mancava la materia prima per aspirare a un golpe. Inaridita alle radici.
A vincere la guerra, poi, bastarono qualche superstite e raccomandato come Zukov e Rokossovskij (ammaestrato da galera e percosse). Un colpo di stato è una operazione complicata, soprattutto in un posto come la Russia putiniana, se fallisci l'unica via di uscita è la morte. Il sospettoso Putin, oltre che sul suo fiuto nello scovare i traditori, può puntare su una constatazione: per ammutinarsi occorrono truppe fedeli, i generali da soli non bastano. E forse i soldati russi odiano più i generali, corrotti e incapaci, che lui.
Dagotraduzione da Daily Mail il 6 giugno 2022.
Il presidente russo Vladimir Putin ha perso due dei suoi comandanti più anziani in un solo giorno in un'imboscata su un ponte nell'Ucraina orientale. Lo ha affermato un gruppo di giornalisti indipendenti che lavorano su entrambi i fronti della guerra.
La Russia ha confermato la morte del maggiore generale Roman Kutuzov domenica, ma nuovi rapporti di lunedì affermano che il tenente generale Roman Berdnikov è stato ucciso lo stesso giorno in un attacco effettuato dalle forze di Kiev.
La morte di Kutuzov è stata confermata da Mosca con insolita celerità, un fatto che è stato interpretato come un tentativo di coprire la perdita del 47enne Berdnikov.
Meno di un mese fa, Berdnikov era comandante della task force delle forze armate russe in Siria ed è stato spostato al comando delle forze di Putin e di quelle della Repubblica popolare di Donetsk [DPR] nel Donbas.
Se la sua morte sarà confermata, sarà il 12° generale ucciso in guerra.
Ciò significherebbe che due dei più alti comandanti russi a Donetsk sono stati eliminati in un colpo solo, un colpo durissimo per Putin.
Sia la notizia della morte di Berdnikov che quella di Kutuzov provengono dal canale Volya Telegram, da giornalisti di guerra indipendenti che lavorano su entrambe i fronti del conflitto.
"La mattina del 5 giugno, il tenente generale Roman Berdnikov, che guidava le truppe russe e le unità della DPR da Donetsk, è partito per un viaggio di lavoro", si legge nel post. "Durante il tragitto, presumibilmente su un ponte, i veicoli sono stati attaccati da un gruppo di sabotaggio e ricognizione ucraino".
Parte del convoglio è stato "distrutto o immobilizzato", ma alcuni veicoli, "dopo aver subito gravi danni e aver risposto al fuoco, sono riusciti a sfuggire all'imboscata e ad andarsene", si legge nel post.
"Dopodiché, le nostre fonti hanno riferito che Roman Berdnikov è morto nello scontro", continuava il rapporto. "Poco dopo, altre due fonti lo hanno confermato, specificando che altri alti ufficiali potrebbero essere morti durante lo scontro."
Rapporti successivi sono emersi secondo cui il secondo in comando di Berdnikov, Kutuzov, era morto. Volya ha dichiarato di fidarsi delle sue fonti sul fatto che entrambi i generali siano stati uccisi: Kutuzov su un ponte nella regione di Donetsk, e non nel luogo nella regione di Luhansk specificato nei primi rapporti russi.
"È logico che entrambi viaggiassero nello stesso convoglio ed entrambi siano caduti in un'imboscata", afferma il rapporto. «Una parte del convoglio è riuscita a fuggire. Partiamo dal presupposto che Berdnikov fosse su una delle auto sopravvissute, ma che sia morto durante i bombardamenti.
«Coloro che sono scampati al fuoco non hanno potuto conoscere la sorte di coloro che sono rimasti sul ponte. Hanno comunicato l'attacco e la morte di Berdnikov al quartier generale mentre quella parte del convoglio è rimasta isolata ed era sotto tiro.
«E’ diventato subito chiaro che il maggiore generale Kutuzov era tra quelli rimasti sul ponte. E non appena l'esercito russo è arrivato sul campo di battaglia, è stato trovato anche il suo corpo.'
Il rapporto afferma: "Quello che i comandanti russi avevano nelle loro mani [erano] due generali morti, uno dei quali guidava un intero raggruppamento dell'esercito in Siria [fino a maggio], e poi ha svolto un ruolo importante nel comandare l'intero raggruppamento nell'Ucraina orientale.
'Le forze armate russe non avevano ancora perso due generali in un giorno in Ucraina.
'E' chiaro che i 'sabotatori' ucraini non taceranno e parleranno del successo dell'attacco.
"Non sanno che sono riusciti a uccidere anche Berdnikov, perché hanno visto il corpo dell'unico maggiore generale Kutuzov."
Il canale ha ipotizzato che la Russia abbia annunciato la morte di Kutuzov, nel tentativo di mascherare la perdita del "molto più famoso e importante Berdnikov".
Bernikov, che in precedenza ha prestato servizio in Siberia, è apparso in un video meno di un mese fa, alla parata del Giorno della Vittoria del 9 maggio alla base aerea russa di Hmeimim in Siria.
Nel video si spiegava: "Soldati e ufficiali delle forze armate russe hanno difeso con onore gli interessi della Russia nella lotta al terrorismo internazionale nella Repubblica araba siriana e durante l'operazione militare speciale in Ucraina, continuando degnamente le tradizioni vittoriose degli eroi in prima linea".
La Russia ha perso generali a un ritmo allarmante, con rapporti non confermati che suggeriscono che l'intelligence occidentale - in particolare quella degli Stati Uniti - ha aiutato l'Ucraina a prendere di mira le figure militari più importanti di Putin in Ucraina.
Perdere anche due generali in una guerra sarebbe considerato eccessivo nella maggior parte dei conflitti dalla seconda guerra mondiale. Se la morte di Berdnikov sarà confermata, Putin avrà visto uccidere una dozzina di suoi generali.
Inoltre, almeno 49 colonnelli sono stati uccisi finora nella guerra con l'Ucraina.
Ucciso un altro colonnello russo: ecco chi era. Alessandro Ferro su Il Giornale il 29 Maggio 2022.
Un altro comandante russo è stato ucciso dagli ucraini nella guerra contro Putin entrata ormai nel suo terzo mese: si tratterebbe del tenente colonnello Alexander Dosyagaev, capo del 104esimo reggimento d’assalto aereo. L’annuncio lo ha dato su Facebook direttamente il Dipartimento per le comunicazioni strategiche delle Forze armate ucraine. Si tratta dell'ennesima perdita di un esponente di rilievo dell'esercito di Putin che in quesi mesi ha già perso numerosi generali e colonnelli sorprendendo gli stessi analisti che non si aspettavano un'escalation così negativa.
Chi era Dosyagaev
"Il comandante di un battaglione d'assalto aereo del 104° reggimento d'assalto aereo, il tenente colonnello Alexander Dosyagaev, è diventato un fan VIP delle opere di Kobzon. Alexander ha vinto la nomination 'Fanteria alata' al festival 'Esercito russo 2021', ma questo non lo ha aiutato durante l'incontro con i guerrieri ucraini", si legge nella nota pubblicata dal Dipartimento di Zelensky. All'inizio del mese di maggio, il generale David Petraeus, ex direttore della Cia ed ex comandante del comando centrale degli Stati Uniti, ha affermato che almeno dieci generali russi erano già stati uccisi in Ucraina ma il numero è ancora più alto. Alla fine della nota si legge una certa soddisfazione ucraina per aver eliminato un altro esponente importante per le forze di Putin: "Credi nelle forze armate dell'Ucraina! L'Ucraina vincerà!"
La notizia è stata riportata (stavolta) anche dai media russi come Vk, che ha confermato la scomparsa del colonnello pubblicando alcune foto d'archivio. La morte risalirebbe al 24 maggio anche se ne è stata data notizia soltanto oggi. "Il 24 maggio 2022, durante una battaglia offensiva come parte di un gruppo d'assalto, il comandante del battaglione ha ricevuto ferite multiple incompatibili con la vita", commentano i russi.
La morte dei generali russi
Come detto, quindi, la guerra in Ucraina si sta rivelando fatale per le alte cariche di Mosca che contano almeno 16 generali uccisi oltre numerosi colonnelli e capitani. Il Cremlino non ha mai commentato apertamente queste perdite ma è sempre stato "molto irritato" per numeri impensabili alla vigilia del conflitto. Analizzando le ragioni, ci sono almeno due considerazioni da fare: la tecnologia di comunicazione non ha aiutato, fin qui, più di tanto i soldati russi esponendo anche i loro strateghi ad essere particolarmente esposti all'esercito di casa e poi perché gli stessi soldati, a volte, non sarebbero stati in grado di eseguire gli ordini impartiti costringendo i grandi capi ad andare in prima linea e guidarli.
Lo Stato maggiore ucraino ha appena aggiornato i numeri relativi alle perdite che Kiev ha contato fino ad oggi: come scrive Ukrinform, avrebbero appena superato quota 30mila (30.150) le perdite dei soldati di Putin, 150 nelle ultime 24 ore. Per non parlare dei carri armati, veicoli, razzi, sistemi di guerra antiaerei, elicotteri e navi fin qui distrutti.
Generali russi localizzati e uccisi con l'aiuto degli Usa. Mauro Indelicato il 5 Maggio 2022 su Il Giornale.
L'alto numero di generali russi morti in Ucraina dipenderebbe dall'aiuto dei servizi segreti americani fornito a Kiev.
Una degli elementi più importanti della guerra in Ucraina ha riguardato l'alto numero di generali russi morti sul fronte. Una cifra, stando alle rivelazioni dell'intelligence di Washington e Londra, molto alta. Almeno dodici sarebbero infatti gli alti graduati russi deceduti sul campo di battaglia.
Il motivo di questa situazione è da ricercare, in primo luogo, nell'errata tattica portata avanti da Mosca soprattutto nelle prime settimane di guerra. Fronti troppo lunghi, mancanza di una precisa comunicazione tra i vari reparti, con generali costretti a muoversi tra la posizione più avanzata e le retrovie, hanno rappresentato delle trappole per gli stessi comandi russi.
Ma c'è dell'altro. Al netto infatti di strategie confuse e di errori tattici importanti di un esercito, quale quello di Mosca, che ha sottovalutato la resistenza avversaria, un così alto numero di generali uccisi è dipeso anche da informazioni di intelligence in mano all'Ucraina.
"Uccisi altri due generali": continua la caccia di Kiev agli ufficiali russi
Kiev, in particolare, ha avuto modo in queste settimane di sapere e conoscere gli spostamenti dei generali e di personalità importanti dell'esercito russo. Lo si è visto di recente con il caso di Valery Gerasimov, capo di stato maggiore dell'esercito di Mosca. La scorsa settimana si era diffusa la notizia di un suo ferimento a Izyum, località strategica attigua Donbass conquistata dai russi il mese scorso.
La notizia non era vera, ma è stata realmente tuttavia accertata la sua presenza sul terreno. Con gli ucraini che hanno colpito un posto di comando russo nell'area attorno Izyum. Kiev era dunque a conoscenza degli spostamenti di Gerasimov e delle sue sortite in territorio ucraino.
"È stato ferito". Qual è la verità su Gerasimov
Un'informazione del genere è possibile averla solo grazie a una dettagliata attività di intelligence. I sospetti sono stati in parte confermati nelle scorse ore su un articolo del New York Times. In particolare, secondo il quotidiano della grande mela i servizi segreti Usa avrebbero aiutato gli ucraini a conoscere la posizione di molti generali, permettendo quindi alle forze locali di colpirli in più occasioni.
In poche parole, non è affatto un caso che sul campo di battaglia siano morti più di dieci generali. Un numero veramente alto e che dal 24 febbraio, giorno di inizio della guerra, preoccupa e non poco gli alti comandi di Mosca.
Funzionari della Difesa Usa al New York Times hanno specificato che i servizi segreti degli Stati Uniti sono in grado di sapere con diversi giorni di anticipo gli spostamenti dei graduati dell'esercito di Mosca. Le informazioni sono state quindi costantemente girate a Kiev, le cui truppe hanno potuto individuare e colpire molti dei generali poi uccisi.
Per la Russia si tratta di un doppio smacco. Non solo infatti l'esercito lamenta la morte di tanti graduati, ma evidentemente il Cremlino deve fare i conti con un'intelligence avversaria in grado di avere informazioni riservate e delicate circa le attività delle proprie truppe. Talpe interne e documenti riservati non così ben nascosti potrebbero turbare i sonni degli alti comandi di Mosca. Un'insidia in più in una guerra che per il momento per la Russia sta riservando più insidie del previsto.
Da leggo.it il 27 marzo 2022.
Putin perde un altro generale nel trentaduesimo giorno di guerra in Ucraina. Il generale russo Yakov Rezantsev, 48 anni, è stato ucciso in un attacco vicino alla città meridionale ucraina di Kherson.
La conferma dell’uccisione è arrivata dal ministero ucraino della Difesa citato dalla Bbc. Secondo una fonte occidentale si tratterebbe del settimo generale dell’esercito russo rimasto ucciso in Ucraina.
Il militare 48enne era il comandante della 49esima armata combinata del distretto militare meridionale, e il quarto giorno dell'invasione avrebbe detto ai suoi soldati che la loro campagna di "smilitarizzazione e denazificazione" dell'Ucraina sarebbe stata vittoriosa nel giro di poche ore, secondo alcune comunicazioni intercettate rilasciate dall'esercito di Kiev.
Le soffiate degli 007 americani dietro l’uccisione dei generali di Vladimir Putin. Paolo Mastrolilli su La Repubblica il 6 Maggio 2022.
Le rivelazioni del New York Times sul ruolo dell’intelligence Usa nel conflitto in Ucraina: presi di mira 12 alti ufficiali del Cremlino.
C'è l'intelligence americana, dietro all'uccisione di una dozzina di generali russi in Ucraina. La rivelazione del New York Times non sorprende più di tanto, perché era chiaro che l'assistenza militare fornita da Washington a Kiev includesse le informazioni raccolte dai servizi segreti sugli spostamenti delle truppe di Mosca. Quello che colpisce invece è la volontà degli Usa di farlo sapere, perché nonostante le dichiarazioni della Casa Bianca per ridimensionare il proprio ruolo nella morte degli alti ufficiali russi, è presumibile che le varie fonti ufficiali citate dal Times non abbiano parlato solo per iniziativa personale.
Lo scoop del New York Times. La Cia ha fatto uccidere 12 generali russi, la guerra in Ucraina a rischio escalation. Piero Sansonetti su Il Riformista il 6 Maggio 2022.
Il New York Times ha rivelato che l’uccisione di ben 12 generali russi durante questi due mesi di guerra è opera degli agenti segreti americani. Diciamo della Cia. È stata la Cia a scovarli e a dare all’esercito ucraino le indicazioni necessarie per colpirli. La Casa Bianca ha reagito immediatamente, ma non per smentire la notizia, al contrario per accusare il quotidiano di “irresponsabilità”, e dunque, di fatto, confermando lo scoop. Naturalmente la rivelazione del Nyt non è un dettaglio ma ha conseguenze enormi.
Se son stati gli americani a pianificare e realizzare gli attacchi ai massimi vertici militari russi, è chiaro che di fatto gli Stati Uniti possono essere considerati in guerra. Gli aiuti concessi a Kiev non hanno più niente a che fare con l’azione di difesa. Mosca ha accolto la notizia con una certa prudenza, perché anche per i russi prendere atto del fatto che l’America è entrata in guerra sarebbe un passo molto pericoloso. Che potrebbe rendere inevitabile una escalation dagli effetti imprevedibili. Perciò il Cremlino invece di replicare direttamente all’attacco americano si è limitato a rilanciare una propria provocazione, simulando un attacco nucleare all’Ucraina con bombe atomiche tattiche.
Chiaro che la tensione è sempre più alta e che Washington e Mosca fanno, ciascuno per la sua parte, tutto il possibile per incendiare il clima e allontanare il rischio delle trattative. La pace sembra sempre più lontana e non interessare nessuno. Qualche ammaccatura la rimedia anche la libertà di stampa. In alcuni paesi, come l‘America, la libertà di stampa ancora esiste (da noi un po’ meno…) tanto che il Nyt smaschera la Cia. Però fa una certa paura l’intervento a gamba tesa della Casa Bianca, che in modo evidente intima al quotidiano di New York di sospendere le sue denunce.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Lo specchio dei Times. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 6 Maggio 2022.
Contrariamente a quanto trovate scritto anche sul nostro giornale, è del tutto improbabile che il New York Times abbia rivelato un segreto militare (l’intelligence americana aiuta gli ucraini a localizzare i generali russi da colpire), provocando le ire di Biden e del Pentagono. Certi lussi possono concederseli soltanto le democrazie, mentre ogni giorno ci viene ampiamente ricordato da fior di democraticissimi postfascisti e poststalinisti che gli Stati Uniti sono un regime liberticida. Non essendoci, secondo costoro, alcuna differenza sostanziale tra la Casa Bianca e il Cremlino, se il New York Times avesse davvero pubblicato una notizia scomoda per il governo, il suo direttore Dean Baquet sarebbe già agli arresti o alle prese con la difficile digestione di un hamburger al polonio, mentre è stato visto aggirarsi tranquillamente tra i talk show come un Santoro qualsiasi. Anche il furibondo scontro in materia di aborto tra la Corte Suprema e il Presidente suonerà a certi orecchi come una fandonia palese, dal momento che nella dittatura gemella, quella di Putin, se un giudice osasse contraddire il suo Presidente rischierebbe di finire denazificato in un gulag.
Possiamo onestamente immaginare che negli Stati Uniti le cose vadano diversamente? Perché se così fosse, e se il New York Times avesse davvero pubblicato quell’articolo, significherebbe che le libertà, per quanto «borghesi» e formali, da qualche parte esistono ancora e non fanno nemmeno poi così schifo.
Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera” il 6 maggio 2022.
Il New York Times rivela che l'intelligence americana ha aiutato gli ucraini a localizzare e a uccidere i generali russi sui campi di battaglia. L'esercito di Kiev, scrive il quotidiano, «ne avrebbe eliminati circa 12». La Casa Bianca reagisce con durezza.
Adrienne Watson, la portavoce del Consiglio di sicurezza guidato da Jake Sullivan, ha dichiarato: «È da irresponsabili scrivere queste cose; gli Stati Uniti forniscono informazioni per aiutare gli ucraini a difendere il loro Paese, non con l'obiettivo di uccidere i generali russi».
In serata è intervenuto anche John Kirby, portavoce del Pentagono: «Il governo ucraino dispone già di proprie informazioni sul terreno che mette insieme con le nostre e con quelle in arrivo da altri partner; noi non abbiamo alcun ruolo nell'identificazione degli obiettivi». Il New York Times ha poi precisato che i rapporti dell'intelligence Usa «individuavano i comandi mobili dei russi sul terreno», senza indicare i generali come possibile bersaglio. Come dire: la responsabilità delle azioni militari ricade interamente sugli ucraini.
Ma tutta la vicenda lascia molti dubbi. Fin dall'inizio della crisi, prima ancora dell'invasione, il 24 febbraio, l'Amministrazione Biden aveva scelto di condividere non solo con i governi alleati, ma anche con l'opinione pubblica le notizie raccolte dai servizi segreti.
E ancora martedì scorso, in un'audizione al Senato, il capo di Stato Maggiore, il generale Mark Milley, aveva detto ai parlamentari: «il Pentagono ha aperto i rubinetti; abbiamo passato informazioni importanti a Kiev». Nei primi giorni della guerra, per esempio, gli americani avevano avvertito il comando ucraino che le truppe speciali russe si sarebbero paracadutate all'aeroporto di Hostomel, vicino alla capitale, per tentare di catturare il presidente Volodymyr Zelensky. Che cosa è cambiato allora?
Nelle ultime settimane Joe Biden ha aumentato in modo esponenziale la fornitura di armi, chiedendo al Congresso di stanziare altri 20 miliardi di dollari. Nello stesso tempo il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha fatto sapere che l'obiettivo degli Stati Uniti è «indebolire la Russia al punto che non possa più aggredire altri Paesi». Finora, la diffusione delle notizie riservate faceva parte di questa strategia.
Ma, evidentemente, le cose sono andate troppo in là. Il segnale di allarme è arrivato nel fine settimana, quando il generale Valery Gerasimov, appena nominato comandante in capo da Vladimir Putin, è sfuggito a un blitz degli ucraini. Casa Bianca e Pentagono hanno subito preso le distanze dall'operazione. Biden non vuole essere accusato di fomentare l'allargamento del conflitto e il coinvolgimento sempre più diretto degli Stati Uniti. In questo senso l'uccisione dei capi militari equivarrebbe all'istituzione della «no-fly zone» sui cieli dell'Ucraina.
Le sfumature Sono sfumature che sembrano difficile conciliare con quella che è la strategia complessiva: appoggiare la resistenza ucraina fino alla vittoria. Nel Congresso, in particolare, cresce la spinta per spazzare via quelle che sono percepite come «ambiguità». Ma Biden resiste: gli Stati Uniti non stanno facendo una «proxy war», una guerra per procura contro Putin.
G. Sar. per il “Corriere della Sera” il 6 maggio 2022.
Biden «ha aumentato il suo impegno in Ucraina, ma vuole a tutti i costi evitare un'escalation. Probabilmente per questo la Casa Bianca ha reagito così duramente con il New York Times ». È un problema soprattutto politico, osserva Charles Kupchan, 63 anni, già consigliere di Barack Obama e oggi, tra l'altro, docente di Relazioni internazionali alla Georgetown University di Washington.
L'attacco dell'Amministrazione al «New York Times» segnala un cambiamento di strategia? Finora il governo Biden ha diffuso i report dell'intelligence...
«Non so se sia un cambio strutturale. Però siamo in una fase molto pericolosa della guerra. Ci stiamo avvicinando al 9 maggio, quando la Russia celebrerà la vittoria della Seconda guerra mondiale. Qui a Washington ci aspettiamo che Putin possa annunciare qualcosa di clamoroso, per esempio l'annessione del Donbass, oppure la mobilitazione di altre truppe. Insomma, c'è il potenziale per un'ulteriore escalation».
E quindi la Casa Bianca è più prudente?
«Probabilmente ritiene che quell'articolo, scritto in quei termini, cioè con l'affermazione che il governo americano avrebbe aiutato gli ucraini a eliminare i generali russi, possa diventare un ostacolo per prevenire l'ulteriore escalation».
Ma non pensa che gli Stati Uniti si siano già spinti molto in avanti?
«Gli Usa e gli alleati hanno aumentato la consegna di armi, dopo aver visto quanto l'esercito ucraino sia stato capace di respingere l'iniziale avanzata russa. Sappiamo, e lo sa anche Putin naturalmente, che gli americani stanno fornendo armi, sostegno economico e anche informazioni di intelligence. Tuttavia credo che l'impegno iniziale a evitare l'allargamento della guerra rimanga intatto. Biden non vuole mandare soldati a combattere sul campo, non vuole istituire la "no-fly zone"».Non è una posizione che sta diventando sempre più ambigua?
«La Casa Bianca deve reggere anche la pressione politica del Congresso. Nancy Pelosi è andata a Kiev e ha parlato di "vittoria". A questo punto penso che Biden dovrebbe avere un confronto con gli alleati e con gli ucraini per stabilire quali siano gli obiettivi della guerra. Perché ora non lo sappiamo».
I 12 generali russi uccisi: mai tanti caduti dai tempi di Stalingrado. Michele Farina su Il Corriere della Sera il 5 Maggio 2022.
Il primo era un fedelissimo del dittatore ceceno Kadyrov, l’ultimo un esperto di cyber war. Il confronto con gli alti ufficiali americani morti in Vietnam: 9 in vent’anni di guerra.
Il primo è caduto nell’imboscata a una colonna di carri armati verso Kiev: Magomed Tushayev era un fedelissimo del dittatore Ramzan Kadyrov in Cecenia, dove aveva fama di «persecutore di omosessuali». L’ultimo è stato ucciso il 2 maggio vicino a Izyum, in una scuola diventata comando avanzato della Seconda Armata in Donbass: Andrei Simonov, 55 anni, esperto di cyber war, ha perso la vita quando missili ucraini hanno centrato un convoglio di 30 mezzi corazzati; l’obiettivo principale del blitz era la missione in prima linea di Valery Gerasimov, massimo comandante russo; il «mascellone» che compare accanto a Vladimir Putin al Cremlino aveva appena lasciato la scuola. Tra il primo e l’ultimo, una decina di altri generali russi sono morti nell’«operazione speciale». «È quasi finita», aveva assicurato il comandante della 49ma armata Yakov Rezantsev alle sue truppe a fine febbraio. Per lui tutto è finito un mese dopo, quando il generale a due stelle è saltato in aria in un raid dell’artiglieria ucraina nei pressi dell’aeroporto di Kherson.
Seconda guerra mondiale
Per ritrovare una moria di alti ufficiali come questa, bisogna tornare indietro di 80 anni: durante la Seconda guerra mondiale, circa 235 generali sovietici morirono in combattimento secondo i dati raccolti dallo storico Aleksander Maslov. Ma anche nel periodo peggiore, dal giugno 1941 al novembre 1942 quando l’Armata Rossa circondò la Wehrmacht a Stalingrado, la media delle perdite tra gli alti gradi mandati da Mosca fu di sei al mese. Più o meno le cifre di oggi.
Il paragone con l’Afghanistan
Gli americani in vent’anni di conflitto in Vietnam persero nove generali, la maggior parte a bordo di elicotteri abbattuti dal nemico. E persino nell’occupazione dell’Afghanistan, cominciata nel 1979, l’Urss contò nei primi sei mesi non più di sei generali morti. In Ucraina i russi possono affidarsi alle moderne comunicazioni criptate delle radio Azart, ma il problema è che non hanno abbastanza apparecchi. E per anni la Cia ha addestrato i paramilitari ucraini sul fronte del Donbass (compresi i cecchini) a intercettare il nemico. Il maggiore generale Andrei Sukhovetsky, 48 anni, pluridecorato paracadutista, è stato ucciso dal proiettile di un tiratore scelto a Hostomel, fuori Kiev, quattro giorni dopo l’inizio dei combattimenti. La sua morte è stata certificata ai funerali, nella città portuale di Novorossiysk sul Mar Nero. Il vice sindaco ha detto che Sukhovetsky «è morto da eroe». Altre conferme sono indirette: la scomparsa di Vitaly Gerasimov, comandante della 41ma Armata, era stata annunciata dall’intelligence di Kiev a inizio marzo. Pochi giorni dopo una conversazione tra agenti dei servizi di sicurezza russi, intercettata e resa pubblica, ha provato la morte del loro superiore, già veterano di molte campagne dalla Cecenia alla Siria, passando per l’annessione della Crimea nel 2014.
Bersagli
Il generale Oleg Mytyaev , 46 anni, anch’egli veterano della Siria, è stato ucciso a Mariupol, dopo che le forze ucraine avevano intercettato una comunicazione che lo localizzava. I russi sul campo si ritrovano spesso a usare i telefonini, rendendo più agevole l’individuazione di «bersagli grossi». Ufficialmente le autorità di Mosca non hanno mai fatto parola di queste perdite, che testimoniano le difficoltà incontrate sul terreno dall’armata di Putin. Ma forse al Cremlino non deve dispiacere troppo se queste notizie filtrano alla popolazione. Come dire: vedete, non muoiono soltanto i coscritti; anche i generali sono in prima linea e sacrificano la vita con i loro soldati.
Alexander Chirva, morto tra atroci sofferenze il comandante russo: battaglia navale, altro colpo ucraino. Libero Quotidiano il 18 aprile 2022.
Un altro durissimo colpo per le forze di Mosca e per Vladimir Putin. Come se l'affondamento dell'incrociatore Moskva nel Mar Nero, un caso avvolto ancora da un inquietante mistero soprattutto per quel che riguarda il vero numero delle vittime (potrebbero essere più di 500). Si apprende infatti che la Flotta di Mosca perde anche uno degli ufficiali più alti in grado in assoluto.
Oggi, lunedì 18 aprile, è infatti morto il comandante della nave da sbarco russa "Caesar Kunikov", Alexander Chirva. A darne la notizia su Telegram il governatore di Sebastopoli, Mikhail Razvozhayev. Il capitano della nave, che faceva parte della 197esima brigata da sbarco della flotta russa del Mar Nero, si apprende essere morto a causa delle ferite riportate lo scorso 24 marzo, verosimilmente nell'attacco alla Saratova, altra nave da sbarco russa distrutta dalla resistenza ucraina.
In quell'occasione la "Casera Kunikov" e la sua nave gemella, la "Novocherkassk", erano state avvistate mentre salpavano insieme dal porto di Berdiansk. Successivamente, in una fotografia, la Kunikov - nave in grado di trasportare tank e reparti di fanteria - era stata ritratta in fiamme, alla deriva. Chirva, si suppone, è stato ferito a morte in quell'occasione ed è deceduto nelle ultime ore dopo un'agonia durata più di 25 giorni. Chirva era capitano di terzo grado, nato a Sebastopoli, in Crimea. Nel suo passato anche la Siria, dove aveva combattuto nel biennio 2015-2016.
Vladimir Frolov, ucciso l'ottavo generale russo: "Un sacrificio eroico", voci misteriose sulla sua morte. Libero Quotidiano il 16 aprile 2022.
Un altro generale russo è morto sul campo in Ucraina: si chiamava Vladmir Petrovich Frolov ed era vice comandante dell'ottava armata del distretto meridionale. Lo ha riferito l'ufficio stampa del governatore di San Pietroburgo Alexander Beglov, il quale poi ha spiegato che Frolov è stato sepolto oggi in città. Le circostanze della sua morte, in ogni caso, non sono state chiarite.
Nel discorso tenuto al funerale, Beglov ha detto che Frolov "è morto in maniera eroica sul campo di battaglia con i nazionalisti ucraini" e che "ha sacrificato la sua vita in modo che i bambini, le donne e gli anziani del Donbass non potessero più sentire le esplosioni delle bombe". Parole in linea con quello che è lo scopo (solo apparente) dell'operazione speciale in Ucraina secondo Putin: liberare il Paese dai neonazisti.
Stando a quanto afferma l'Ucraina, finora sarebbero otto i generali russi morti in battaglia. Diversa la versione di Mosca, che invece - oltre a Frolov - avrebbe confermato solo la morte del maggiore generale Andrei Sukhovetsky. Se i caduti fossero davvero otto, però, si tratterebbe di un numero elevato e inusuale, visto che in genere i ranghi militari più importanti non combattono in prima linea. In ogni caso, stando ad alcune teorie, generali e comandanti russi sarebbero stati costretti a scendere in campo per via della scarsa preparazione degli altri soldati. O forse di mezzo ci sarebbero le falle nei sistemi di comunicazione tra i russi.
Alexander Bespalov ucciso in Ucraina. Vladimir Putin perde il suo nono colonnello. Libero Quotidiano il 09 aprile 2022.
Un altro duro colpo è stato inferto dalla resistenza ucraina all'esercito di Vladimir Putin che ha perso il suo nono colonnello in battaglia da quando ha invaso l'Ucraina a febbraio. Venerdì 8 aprile, infatti, si è tenuto il funerale del colonnello Alexander Bespalov nella città russa chiusa di Ozersk, secondo un annuncio locale riportato dal Daily Mail, che comunica che l'alto militare è stato ucciso "durante l'operazione militare speciale in Ucraina", il termine usato da Mosca per evitare di dire "guerra".
Bespalov era il comandante del 59esimo reggimento della forza armata russa ed è l’ultimo alto ufficiale militare russo a essere ucciso dalla resistenza ucraina. Come si può notare dall'unica foto che circola di lui, Bespalov era pluri-decorato, con due file di medaglie blasonate sul petto. I tributi al comandante sono stati condivisi con l'annuncio che è stato pubblicato sulla bacheca locale chiamata "Overheard Novogorny", una piccola città vicino a Ozersk.
Da allora l'annuncio del suo funerale è stato cancellato. Ozersk peraltro è una città russa "chius"a, il che significa che i viaggi in entrata e in uscita sono fortemente limitati. Nome in codice Città 40, Ozersk è stata la culla del programma di armi nucleari sovietiche dopo la seconda guerra mondiale.
Nel tributo della sorella si leggeva: "È impossibile esprimere a parole il dolore che si prova quando perdi una persona cara", ha scritto Tatyana Karsakova. "Caro fratello, sarai sempre vivo nei nostri cuori".
Muore l’ottavo comandante di Putin: chi era Denis Kurilo. Alessandro Ferro su Il Giornale il 30 marzo 2022.
L'esercito russo continua a perdere pezzi tra i suoi condottieri: due battaglioni russi e gruppi tattici (Btg) sono stati distrutti nelle battaglie vicino a Kharkiv dove ha perso la vita il comandante della 200esimama brigata di fucilieri a motore, il colonnello Denis Kurilo. Come fa sapere lo Stato maggiore ucraino, soltanto in questa brigata le perdite sono state di oltre 1.500 soldati. Kurilo è l'ottavo ufficiale russo morto da quando è iniziata la guerra in Ucraina, colui il quale ha la funzione di comando sull'unitià militare che gli è stata assegnata.
Chi era il comandante
L'agenzia di stampa ucraina Unian.net ha condiviso una foto del comandante con una croce rossa su di lui a indicarne la morte. La 200esima brigata da lui condotta era considerata come una delle unità da combattimento più "d'élite" dell'esercito russo e si diceva fosse equipaggiata con le armi più moderne che la Russia avesse nel suo inventario. I soldati russi, sempre più ridotti ai minimi termini e con la perdita di ufficiali di alto rango, hanno il morale a pezzi e accusano mancanza di cibo e carburante oltre all'allarme "rasputitsa", le condizioni fangose dovute alla pioggia e allo scioglimento della neve che rallentano il cammino dei mezzi di combattimento, soprattutto quelli in gomma ma anche i carri armati.
Le perdite dei leader russi
Nel linguaggio militare, ormai lo sappiamo, sono svariate le figure che ricoprono posti di comando. Kurilo fa parte dei comandanti ma sono state anche le numerose perdite di generali a mettere a repentaglio l'intera operazione di Putin. Come abbiamo visto sul Giornale.it, l'ultimo generale russo ucciso dagli ucraini è stato il 48enne Yakov Rezantsev, comandante della 49esima armata del distretto militare meridionale. La sua morte, unita a quella di Kurilo, significa che l'esercito russo ha perso l'incredibile cifra di 8 generali uccisi in azione, 9 generali arrestati, 14 colonnelli uccisi in combattimento oltre a 15 tenenti colonnelli e un vice comandante ucciso come viene riportato dal giornale militare specializzato Sofrep.
Prima di Rezantsev, appena cinque giorni prima, era stato il turno di Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava Armata del Distretto Militare meridionale delle Forze armate della federazione russa, quinto generale a morire per mano ucraina ucciso da colpi di artiglieria nella città di Chernobayevka, nei pressi di Kherson. Il nome di Mordvichev si era aggiunto a quello di altri quattro generali di lungo corso: si tratta di Vitaly Gerasimov, Andrei Kolesnikov, Oleg Mityaev e Andrei Sukhovetsky, tutti veterani delle guerre combattute negli ultimi trent'anni dalla Federazione russa contro Cecenia, Georgia, Siria e Donbass.
Guerra Ucraina, generale russo ucciso dall'esercito ucraino. Ai soldati diceva: "In poche ore vinciamo". Il Tempo il 27 marzo 2022.
Un altro generale russo ucciso dall'L'esercito ucraino. Kiev lo annuncia ma Mosca non conferma: si tratterebbe di Yakov Rezantsev, caduto in un attacco in un aeroporto vicino a Kherson, in una zona di pesanti combattimenti. Il militare 48enne era il comandante della 49esima armata combinata del distretto militare meridionale, e - secondo alcune comunicazioni intercettate rilasciate dall'esercito di Kiev - il quarto giorno dell'invasione aveva rassicurato i suoi soldati che la loro campagna di "smilitarizzazione e denazificazione" dell'Ucraina sarebbe stata vittoriosa nel giro di poche ore.
All'inizio di questa settimana - riporta il Times - era stata resa pubblica una telefonata tra un soldato russo demoralizzato e il suo ufficiale in comando, con il primo che dipingeva un quadro desolante della vita in prima linea, dicendo che la sua unità era addirittura finita sotto fuoco amico e che metà delle sue forze avevano i piedi congelati. "Rezantsev è al comando qui", raccontava il soldato nell'audio pubblicato. "Sai cosa ci ha detto? Non è un segreto che mancano solo poche ore alla fine di questa operazione speciale. Stiamo ancora contando quelle ore".
Così la lista delle pesanti perdite russe si allunga. Si tratterebbe del sesto generale russo ucciso in Ucraina dall'inizio della guerra il 24 febbraio, secondo Kiev che finora ha rivendicato l'uccisione dei generali Andrei Sukhovetsky, Andrei Kolesnikov, Vitali Guerassimov, Oleg Mitiayev e Andrei Mordvichev. La Russia però ha finora confermato solo la morte in Ucraina del generale Sukhovetsky, vice comandante della 41a armata e che aveva prestato servizio in Siria nel 2018-19, nonché del numero due della flotta del Mar Nero, il capitano Andrei Palii.
"Reclute spedite in guerra alla cieca, come me". Matteo Sacchi il 26 Marzo 2022 su Il Giornale.
Lo scrittore russo: "Ero di leva: mi hanno sequestrato i documenti e mandato in Cecenia".
Nicolai Lilin, classe 1980, è la «voce» russa forse più conosciuta in Italia. È diventato famoso con i suoi romanzi, a partire da Educazione siberiana (trasformato in film da Gabriele Salvatores), Caduta libera e il Respiro del buio. Raccontano la sua giovinezza criminale in Transnistria, il suo arruolamento nell'esercito russo per la Seconda guerra cecena e il difficile reinserimento a Bender, la sua città d'origine. Lilin però è anche tatuatore e disegnatore, le sue opere reinterpretano l'antica iconografia della malavita siberiana, una società criminale ma anche di opposizione al regime comunista. E tra i suoi libri c'è una biografia per niente autorizzata del presidente russo, appena ripubblicata con un capitolo aggiuntivo sull'Ucraina: Putin. L'ultimo zar (Piemme). Abbiamo incontrato Lilin mentre presentava alcune delle sue ultime opere artistiche, realizzate con la Originale Multiplo, su Tesory Channel.
Nicolai Lilin, lei ha avuto un'esperienza militare terribile nella Seconda guerra cecena.
«Sono stato chiamato per il servizio militare, mi sono presentato per cercare di spiegare che volevo rinviarlo di qualche mese. Nonostante non avessi avuto una educazione regolare e avessi precedenti criminali volevo trovare il modo di dedicarmi alla mia passione, il disegno... Mi hanno detto: Non preoccuparti entra entra, ci pensiamo noi. Poi mi hanno sequestrato i documenti e chiuso in una stanza. Sono uscito da lì con altri coscritti che sono arrivati solo per essere caricati su un mezzo ed essere spediti in un gigantesco campo di addestramento vicino a Mosca... Dopo tre mesi ho capito che sarei stato inserito nelle forze speciali. Ho cercato di scappare due volte. Mi hanno ripreso e il mio capitano mi ha fatto fare un giro in una prigione militare... Ho deciso che meglio qualunque cosa che finire là dentro. Poi hanno iniziato a parlarci di esercitazioni, ma ad addestrarci è arrivato un signore ceceno ed è proprio là che siamo finiti».
Quindi quando si parla di soldati di leva mandati in Ucraina senza sapere è credibile...
«Certo. Il modello di esercito professionale provato in Siria secondo me è fallito e questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale».
Molti parlano di un ritorno sovietico di Putin... Lei no.
«Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è Alessandro III. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano».
Una sorpresa per l'Occidente.
«Non abbiamo voluto guardare. Il percorso era chiaro. E quanto all'Ucraina, Putin ha mandato un sacco di segnali. Io sono per la condanna netta di qualsiasi aggressione. Chi mette solo lo stivale di un suo soldato in un'altra nazione ha torto. Però bisogna essere onesti: l'Occidente non si è occupato del fatto se i protocolli di Minsk venissero rispettati o no. E non si può fingere che in Ucraina non ci siano neonazisti. Anche il modo in cui Zelensky, che è ebreo, è stato accolto in Israele è indicativo. Ora purtroppo siamo a questo punto e mandare armi per me non è la soluzione...».
Qual è allora?
«La diplomazia. La sola soluzione passa dalla trattativa ed in questo senso l'Europa deve trovare un ruolo. Doveva trovarlo anche prima»
In Russia c'è chi si ribella a Putin. Nei suoi libri la ribellione è un tema forte...
«A partire da Tolstoj, tutta la letteratura russa è caratterizzata da questa dualità tra regime e desiderio di libertà. Non solo la donna che abbiamo visto con il cartello in televisione. Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pensarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema».
E gli oligarchi ribelli?
«Dipendono dalle sue concessioni. Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come Elon Musk che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi».
Antonio Palma per fanpage.it il 25 marzo 2022.
Si infittisce ancora di più il mistero della sorte del ministro della difesa russo Sergei Shoigu, sparito improvvisamente nel nulla da circa due settimane dopo essere stato al centro dell'attenzione mediatica di Mosca a seguito dell'attacco all'Ucraina e della guerra.
Scomparso da ogni trasmissione o video pubblico, Shoigu è riapparso giovedì, dopo 13 giorni, durante un briefing in video conferenza con Putin e altri dirigenti russi.
Un'apparizione che però invece di fugare i dubbi emersi in questi giorni, ne ha aggiunti altri visto che Shoigu è apparso per pochissimi secondi seduto in un angolino di un ufficio sconosciuto per poi sparire di nuovo improvvisamente. Il ministro ha fatto in tempo ad alzare la mano confermano che non si trattava di una foto ma l'audio non era attivo e poi il video è rimasto nero e non è escluso che potesse trattarsi di un video preregistrato.
Secondo il Cremlino, durante la teleconferenza con Putin di giovedì Shoigu, ha riferito delle operazioni militari in Ucraina, spiegando al presidente russo "i progressi nell'operazione militare speciale e gli sforzi compiuti dai militari per fornire aiuti umanitari, garantire la sicurezza e ripristinare le infrastrutture vitali su i territori liberati”.
Affermazioni che però non hanno placato le voci di un allontanamento forzato di Shoigu da parte dello stesso Putin proprio per l'andamento della guerra. A gettare acqua sul fuoco delle voci incontrollate sulla sorte di Shoigu ci aveva provato in precedenza anche il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov.
A chi gli chiedeva che fine avesse fatto il ministro in un momento tanto delicato per il paese, Peskov ha affermato semplicemente che "Il ministro della Difesa ha molto si cui occuparsi in questo momento". “È in corso un'operazione militare speciale. Certamente, ora non è proprio il momento giusto per le attività mediatiche. Questo è abbastanza comprensibile” ha sostenuto Peskov.
Secondo l'informazione di opposizione russa, molto probabilmente, la riunione del Consiglio di sicurezza ha avuto luogo, ma Shoigu non c'era e a sua immagine è stata semplicemente montata. Altre fonti sostengono che sia malato di cuore e che la situazione abbia aggravato il suo stato di salute.
Non è escluso però che lo stesso Putin lo abbia allontanato, sia perché potrebbe essersi sentito minacciato da un uomo che ha l'appoggio dell'esercito sia per la guerra in Ucraina che si è prolungata oltre il previsto . Del resto il Presidente russo non è nuovo a simili gesti e già nelle settimane scorse aveva umiliato pubblicamente il capo dei servizi segreti esteri del paese, Sergei Naryshkin, durante un incontro televisivo sul destino dei territori del Donbass controllati dalla Russia nell'Ucraina orientale.
Dal “Corriere della Sera” il 27 marzo 2022.
Dopo un'assenza di 12 giorni che aveva dato adito ad ogni sorta di congetture sulla sua sorte, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu è riapparso in immagini diffuse dalla televisione. Ma ciò ancora non basta a fugare tutti i dubbi, mentre il governo ucraino parla di un infarto che lo avrebbe colpito di recente.
Nel video non è indicata alcuna data, ma a far pensare che si tratti di una registrazione delle ultime ore è il fatto che il ministro fa riferimento ad un incontro avuto al dicastero delle Finanze venerdì. Shoigu afferma che gli ordini e le consegne avvengono secondo il programma, «nonostante le difficoltà del momento» dovute alle sanzioni imposte dall'Occidente alla Russia per la sua azione militare in Ucraina.
Marco Ventura per “il Messaggero” il 27 marzo 2022.
Compare, scompare e ricompare il ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Ieri per la prima volta dopo ben quindici giorni lontano dai media, lo strettissimo collaboratore e amico del presidente Putin, col quale va pure a caccia e pesca in Siberia, si materializza in un video postato sul sito del suo dicastero con i vertici dello staff tra cui il capo di Stato maggiore, generale Gerasimov (lui stesso da giorni fuori dai radar dei media).
Volto pallido e respiro lievemente affaticato, Shoigu impartisce ordini e cita un incontro dell'altroieri presso il ministero delle Finanze: «Alla luce dell'operazione militare speciale bisogna mantenere l'attuale ritmo nella fornitura di armi avanzate compresi i sistemi robotici, i mezzi di acquisizione delle informazioni, la guerra elettronica, e naturalmente i mezzi di sostegno materiale e tecnico alle forze armate, come sempre». E poi elenca le priorità.
«Armi a lungo raggio guidate di precisione, hardware per l'aviazione, e mantenere la prontezza al combattimento delle forze nucleari strategiche». Shoigu è uno dei tre detentori dei codici nucleari a Mosca, dopo Putin e con Gerasimov. Ieri ha anche annunciato che i reduci dell'Ucraina avranno agevolazioni fiscali e assistenza sanitaria come quelli di Siria e Afghanistan.
I contenuti sono quelli dello Shoigu di sempre, da dieci anni ministro della Difesa, ma prima capo della Protezione civile, del partito di Putin Russia Unita e ministro per le Situazioni di emergenza. È lui che ha sviluppato le tecnologie d'avanguardia militari, il concetto di guerra ibrida, e dato ali all'apparato militar-industriale.
È famoso per aver guidato la macchina da guerra russa in scenari come la Siria e il Donbass (prima dell'invasione), oltre a aver avuto la responsabilità ultima delle non perfette operazioni per avvelenare Skripal a Salisbury e Navalny in Siberia. Un paio di giorni fa era apparso tra i membri del Consiglio per la sicurezza nazionale collegati con Putin, senza parlare.
Non si vedeva in pubblico dall'11 marzo, quando il capo del Cremlino aveva ordinato a lui e a Gerasimov l'allerta da combattimento delle unità per la deterrenza nucleare. Dal 24 febbraio, una settimana prima dell'invasione, il Pentagono inutilmente cerca entrambi. Il giallo continua, anche perché nella conferenza stampa a un mese dall'inizio della guerra non c'erano Shoigu o Gerasimov a fare il punto, ma un semplice vicecapo.
Al 23 del mese scorso risale invece l'immagine che ha fatto il giro del mondo, di Putin a capotavola di una stretta e lunga scrivania in fondo alla quale, di lato, a metri di distanza siedono ancora Shoigu e Gerasimov. Al primo viene attribuita la complicità nel decidere l'attacco all'Ucraina a dispetto della contrarietà dei servizi d'Intelligence, e la paternità insieme a Putin dell'ideologia che la sottende.
Proprio per questo, la sua assenza dai media aveva fatto discutere. Circolava voce di problemi al cuore. Il governo ucraino è arrivato a sostenere che Shoigu era stato colpito da infarto perché incolpato da Putin dei fallimenti della campagna militare.
Voci smentite dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «Il ministro della Difesa ha molto da fare essendoci un'operazione militare speciale in corso, non è il momento per lui di dedicarsi ai media».
L'assenza da news e programmi aveva colpito per via del ruolo e della popolarità, seconda forse soltanto a quella di Putin. Originario della Repubblica di Tuva, nella Siberia centro-meridionale al confine con la Mongolia, figlio di un giornalista e politico tuvano e di una contadina russa di origini ucraine, è il titolare della Difesa di una grande potenza che destina oltre il 4.6 per cento del Pil alle spese militari e conduce una politica di espansione imperialista, senza aver lui stesso fatto il militare.
Sua è la decisione di ripristinare per gli alti ufficiali l'uniforme sovietica del 1945. A un mese dall'invasione, i limiti della capacità bellica di Mosca sono sotto gli occhi di tutti. Internamente, pesa l'altissimo numero di vittime tra i soldati (più di 1350 è la cifra ufficiale di Mosca, oltre 16mila secondo gli ucraini), oltre alla morte di diversi generali sul campo e alla girandola di voci su epurazioni nell'Intelligence. Gli esperti di affari russi individuavano in Shoigu il possibile successore di Putin, ma ora che le cose vanno male in Ucraina, la domanda è fino a che punto Putin possa non farne ricadere la responsabilità sul ministro della Difesa. E viceversa. Marco Ventura
Sergei Shoigu in terapia intensiva: grave infarto per cause non naturali. La rivelazione dell'oligarca. Il Tempi il 15 aprile 2022.
Sergei Shoigu sarebbe in fin di vita a causa di un grave infarto, le cui cause non sarebbero naturali. La notizia sul ministro della Difesa russo è stata resa nota da Leonid Nevzlin, oligarca di 52 anni con la cittadinanza russa ed israeliana che è finito in esilio per essersi opposto a Vladimir Putin, vicenda che lo ha costretto a lasciare la proprietà del colosso petrolifero Yukos. "Shoigu è fuori dai giochi, potrebbe diventare disabile se sopravvive. Improvvisamente ha avuto un grave infarto. È in terapia intensiva, collegato ai dispositivi medici. Si dice che l'infarto non possa essersi verificato per cause naturali” le parole di Nevzlin rilanciate dal Daily Record in Inghilterra.
Inoltre, sempre secondo l’acerrimo nemico di Putin, addirittura 20 generali del ministero della Difesa sono stati arrestati nell'ambito di un caso di "corruzione" da 7,6 miliardi di sterline, quasi 10 miliardi di euro, con altri 150 agenti del Servizio di sicurezza federale (FSB) che erano stati già arrestati con le stesse motivazioni. Al centro ci sarebbero fondi per la guerra in Ucraina distratti dai membri dell’élite militare. La notizia, ha fatto sapere l’oligarca, è stata trasmessa dalle sue fonti anonime a Mosca, ma non è ancora stata confermata da fonti indipendenti. Già nelle scorse settimane si erano diffuse più volte voci inquietanti sul destino di Shoigu, che era sparito dalle apparizioni pubbliche in Russia. Ora questa sul grave infarto e sul pesante pericolo di vita.
Sergej Shoigu «rimosso» dalla propaganda: i dubbi sulla compattezza dello Stato Maggiore russo. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 16 Aprile 2022.
Il ministro della Difesa, defilato da settimane, non viene più menzionato dall’organo ufficiale del ministero. Dopo i generali morti o silurati, è l’ennesimo segnale di crisi
Negli ultimi due numeri della rivista del Ministero della Difesa russo, il nome del ministro della Difesa russo è stato citato zero volte. Neppure una menzione di sfuggita. Come se non esistesse. Krasnaja Zvedzva, ovvero Stella rossa, venne fondato nel 1923, concepito per essere l’organo di stampa dell’Unione sovietica per gli affari bellici. Ancora oggi è forse il periodico più diffuso del Paese. Ogni soldato e ogni famiglia con un militare ha diritto a riceverlo per posta. Ma in quello che è lo strumento di propaganda bellica per eccellenza, il nome di Sergej Shoigu compare di rado.
Nelle ultime settimane i canali Telegram dei media indipendenti hanno ricominciato a chiedersi dove sia finito il potente ministro nonché capo delle Forze armate. Lo scorso 13 aprile, Leonid Nevzlin, ex socio di Mikhail Khodorkovsky nel gigante petrolifero Yukos e anche ex senatore, che dal 2003 vive in Israele, ha rivelato sui social una serie di notizie apprese da sue «fonti a Mosca». Secondo lui, il ministro sarebbe «ormai fuori gioco» dopo un infarto che lo costringe da tempo alla degenza in un ospedale di Mosca. «E forse rimarrà anche invalido» aggiunge con una nota di perfidia.
La fonte è dubbia, per quanto informata. L’ex oligarca Nevzlin è pur sempre stato condannato in Russia per una serie di omicidi. Ma quello stesso giorno il Cremlino si è sentito in dovere di pubblicare un breve video di una non meglio precisata riunione, dove Shoigu appare per un breve momento. A capo chino, intento a prendere appunti mentre il professor Vladimir Putin sta tenendo lezione. E anche questa immagine, a voler pensare male, ha un certo peso.
All’inizio della guerra, tutti gli osservatori internazionali erano concordi nel considerare Shoigu come il falco che sussurrava all’orecchio del presidente, mentre il ministro degli Esteri Serghey Lavrov era identificato come la colomba che si opponeva all’operazione militare speciale. Adesso, dopo più di cinquanta giorni, appare vero il contrario. Così come appare certificata la posizione precaria del ministro della Difesa all’interno del cerchio ristretto del potere putiniano.
A tenerli insieme è sempre stata la reciproca convenienza. Nell’autunno del 1999, l’opposizione di sinistra ha il vento in poppa per le imminenti elezioni del Parlamento russo. Boris Eltsin è molto impopolare, e il suo primo ministro Putin, che già si è candidato a presidente, teme di subirne le conseguenze. A venirgli in soccorso è Shoigu, giovane e popolare ministro delle Emergenze, una specie di capo della Protezione civile. Gli mette a disposizione il suo partito Edintsvo, ovvero Unità, che adotta come simbolo l’orso tanto amato dai russi. In cambio, vuole la conferma. Il voto del 19 dicembre 1999 vede la vittoria dei comunisti, ma il risultato di Edintsvo consente la formazione di una maggioranza liberale conservatrice. E l’Orso diventerà ben presto il simbolo di Russia Unita, il partito-nazione di Putin.
Non è mai stata amicizia, bensì un accordo di potere tra i due uomini che fino al 24 febbraio riscuotevano il maggiore consenso tra i russi. Poi, uno di loro è sparito dai radar. Ma non è questo l’unico mistero incombente sull’esercito russo, una entità monolitica, circondata da un’aura di sacralità che lo stesso Putin ha contribuito ad alimentare durante il suo ventennio al Cremlino. Sempre Nevzlin, una fonte da prendere con le molle, parla di 20 generali «non di campo ma delle stanze di comando» arrestati con l’accusa di essersi appropriati del denaro destinato a preparare «la dirigenza ucraina e la popolazione a una solenne accoglienza dei liberatori russi». Dal 2014 sarebbero stati sottratti dieci miliardi di dollari, una cifra così alta da sembrare inverosimile.
A oggi, gli unici fatti accertati sono la decisione improvvisa di affidare il comando generale della cosiddetta operazione speciale all’ex capo delle truppe in Siria, Aleksander Dvornikov, e il licenziamento del generale Roman Gavrilov, che dirigeva la Guardia nazionale, uno dei reparti che hanno subito le maggiori perdite in Ucraina. Ma insieme alle notizie che giungono dal fronte e all’eclissi continua di Shoigu, dimenticato anche dal «suo» giornale, tanto basta a far venire qualche dubbio sull’effettiva compattezza dell’esercito russo. O meglio, dei suoi vertici.
Shoigu, voci di infarto: "Avvelenato". Roberto Fabbri il 17 Aprile 2022 su Il Giornale.
Attacco cardiaco non naturale per il ministro della Difesa. "Menomato per sempre".
Sergei Shoigu come Navalny e Litvinenko? La clamorosa ipotesi di un avvelenamento del ministro della Difesa russo è stata fatta da un noto uomo d'affari israeliano di origini russe, l'ex oligarca Leonid Nevzlin, citato dal Daily Mail. Secondo Nevzlin, che ha abbandonato la Russia nel 2003 dopo che i suoi beni erano stati sequestrati con quelli della compagnia petrolifera Yukos di Mikhail Khodorkovsky, il 66enne Shoigu avrebbe sofferto nelle scorse settimane «un grave attacco cardiaco non di origini naturali» e si troverebbe ricoverato in ospedale in condizioni talmente serie che, anche qualora venisse in futuro dimesso, rimarrebbe menomato. Nevzlin, che cita sue fonti russe, conferma i forti dubbi già espressi da osservatori internazionali sulle recenti immagini che mostrerebbero Shoigu partecipare in presenza a riunioni al Cremlino: si tratterebbe di filmati risalenti a momenti precedenti, spacciati per attuali. Ieri il ministero russo della Difesa ha smentito queste affermazioni. L'assenza prolungata di Shoigu dalla scena pubblica è già stata liquidata con frasi del tipo «il ministro ha ben altro da fare in questi giorni», ma manca un'inequivocabile sua dichiarazione che faccia chiarezza. I sospetti paiono dunque fondati e la notizia è rilevante per due ragioni: da una parte perché Shoigu non è un qualsiasi pezzo grosso del Cremlino, ma uno degli uomini più vicini a Putin, dall'altra perché la sua caduta in disgrazia altro non sarebbe sempre secondo Nevzlin che quella di maggior spicco in un gruppo di una ventina di generali: personaggi che non solo potrebbero essere stati «purgati» per aver criticato la scelta di attaccare l'Ucraina, ma più probabilmente perché considerati responsabili di corruzione e ruberie a un livello tale (si parla di 10 miliardi di dollari) da aver danneggiato la stessa capacità militare della Russia. In entrambi i casi, le denunce di Nevzlin evidenziano una frattura profonda tra Putin e i suoi vertici militari. Un tentativo di Putin (o forse di qualche suo gerarca) di liquidare Shoigu sarebbe clamoroso perché lo zar lo ha sempre considerato non solo uno dei pochi degni di ascolto, ma anche un amico personale: Shoigu è tra i pochissimi del giro ristretto del vero potere putiniano a non provenire dall'ex Kgb, ed è ministro della Difesa dal 2012. È anche il solo a non avere origini russe (viene dalla provincia di Tuva ai confini con la Mongolia), e con lui Putin ha spesso condiviso periodi di vacanza in Siberia. La fine traumatica dei rapporti personali tra i due avrebbe a che vedere con il secondo punto: il ministro della Difesa (uno degli uomini cui Putin ha concesso ricchezze e potere in cambio di fedeltà assoluta) potrebbe aver osato muovere critiche esplicite alla scelta strategica del capo di invadere l'Ucraina, magari informandolo solo a decisione presa e qui ci si ricorda dell'espressione tra il cupo e il perplesso di Shoigu e del capo delle forze armate generale Gerasimov in una foto ufficiale al Cremlino diffusa in occasione dell'avvio della «operazione militare speciale». Ma più probabilmente, fa intendere Nevzlin, Putin avrebbe lanciato su Shoigu i suoi fulmini perché non gli perdona di aver coperto (magari partecipandovi di persona) il saccheggio da parte della già citata ventina di generali del ricco budget destinato al rinnovamento delle forze armate nazionali. I vertici militari avrebbero continuato a garantirgli che quei soldi erano stati ben spesi per una macchina moderna e ben oliata, ma l'amara verità è emersa sul campo in Ucraina. Da qui una purga in schietto stile staliniano.
Da iltempo.it il 19 aprile 2022.
Ricompare il ministro della Difesa Sergei Shoigu, da settimane assente dalla scena pubblica russa, secondo alcune fonti per ragioni di salute - avrebbe avuto un infarto - secondo altre isolato perché ritenuto colpevole del fallimento della guerra in Ucraina da parte della Russia.
Parlando durante la riunione del consiglio del ministero della Difesa, ha ricordato che oggi si celebra il 239° anniversario dell’annessione della Crimea, chiesta dai suoi abitanti nel 1783 sotto l’impero di Caterina II.
«Oggi è una data memorabile», ha detto Shoigu, ricordando che il referendum del marzo del 2014 per l’annessione della Crimea, nel frattempo passata alla sovranità ucraina, alla Russia è la logica continuazione della storia della penisola. «Con una maggioranza assoluta di voti, gli abitanti della Crimea hanno sostenuto la riunificazione con la Russia, che ha permesso di mantenere la stabilità e la pace nella penisola», ha sottolineato. ancora il ministro.
Shoigu ha poi fatto sapere che la Russia sta «sistematicamente attuando» i piani per la liberazione di Donetsk e Luhansk: «Nel corso dell’operazione militare speciale l’Esercito russo sta attuando i compiti identificati dal comandante in capo supremo. Il piano per la liberazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk viene attuato sistematicamente e sono prese le misure per ripristinare la vita normale».
Il ministro ha poi sottolineato «il coraggio e l’eroismo» dimostrato dai militari nell’operazione in Ucraina. Gli Stati Uniti e i paesi occidentali, la denuncia del (ex?) fedelissimo di Vladimir Putin stanno facendo di tutto per prolungare il più possibile l’operazione militare speciale.
Il crescente volume di forniture di armi straniere dimostra chiaramente le loro intenzioni di provocare il regime di Kiev a combattere «fino all’ultimo ucraino». Il discorso di Shoigu è stato trasmesso dal canale televisivo statale russo Rossiya 24: non è però chiaro se l'incontro fosse preregistrato o trasmesso in diretta dalla tv russa.
Shoigu e Gerasimov spariti dalla circolazione, dove sono i due generali di Putin con i codici nucleari. Il Tempo il 26 marzo 2022.
Che fine hanno fatto il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore delle forze armate russe Valery Gerasimov, Scoppia il giallo sui due fedelissimi di Vladimir Putin spariti dalla circolazione. La voce sul caso del ministro della Difesa russo, scomparso dall'11 marzo scorso con la guerra in Ucraina in corso, circolava già da giorni tra preoccupazione e smentite. Un fatto che ha destato subito interesse, lui così presenzialista in tv e molto attivo con i media. Dalle apparizioni quasi quotidiane al nulla.
Secondo Dmitri Peskov, la voce del Cremlino, non ci sarebbe però da preoccuparsi perché il ministro della Difesa russo sarebbe molto impegnato a causa dell'operazione militare in Ucraina. Qualcuno avrebbe messo addirittura in giro la voce che il generale soffrirebbe di problemi cardiaci. Ma ieri l'agenzia Ria Novosti ha riferito che il ministro della Difesa era presente alla riunione del Consiglio di Sicurezza nazionale presieduta dal presidente della Russia, Vladimir Putin, postando anche un video. Nel filmato Shoigu è apparso in videocollegamento vestito in giacca e cravatta e non con la divisa militare d'ordinanza. Un'immagine che ha tutt'altro fugato i dubbi: la rapida comparsata del funzionario più popolare del Paese sembrerebbe studiata a tavolino per mettere a tacere le voci. Ma Shoigu non sarebbe l'unico militare scomparso.
Anche Valeri Gerasimov, capo di stato maggiore, sarebbe sparito. I due architetti dell’invasione fedelissimi dello zar sono gli unici ad avere i codici per azionare l’arsenale nucleare della Russia.
Sei generali russi sarebbero stati uccisi dalle forze armate di Kiev e fra questi proprio Gerasimov. Scriveva il 20 marzo sui social il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak: "Colpisce l'elevata mortalità degli alti ufficiali della Russia. Già uccisi 6 generali: Tushayev, Gerasimov, Kolesnikov, Sukhovetsky, Mityaev e Mordvichev. Decine di colonnelli e altri ufficiali. L'esercito russo è completamente impreparato e combatte solo con numeri e missili da crociera",
Il generale Mizintsev, il «macellaio» russo che conduce il massacro di Mariupol. Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 25 Marzo 2022.
Mikhail Mizintsev è considerato il responsabile dell’attacco barbaro alla città di Mariupol: è stato coinvolto nelle guerre più violente, dal Caucaso alla Siria. Ad affrontarlo il maggiore ucraino Denis Projipenko, uno dei fondatori del Battaglione Azov.
La battaglia per Mariupol è barbara. Si combatte tra morti insepolti, palazzi ridotti a teschi e civili che muoiono di fame, sete, freddo e paura. Ce ne sarebbero ancora centomila tra le macerie della città, in cerca di cibo e riparo tra bombe che esplodono senza pausa. Putin vuole quelle macerie a ogni costo . Potrà così riunificare lo storico Donbass e congiungere la Russia alla Crimea. Esattamente come ha fatto con la capitale cecena Grozny.
Per strappare la città di Maria agli ucraini ha incaricato due uomini: il secondo più alto in comando delle sue Forze Armate, il generale Mikhail Mizintsev, e il «ragazzo» che pacificò per suo conto la Cecenia a forza di stermini e ricatti, il presidente Ramzan Kadyrov.
I due leader dell’assedio hanno a disposizione circa 15 mila uomini e tutte le bombe e i cannoni che vogliono.
A difendere quel che resta della città ci sono invece 3 mila soldati, forse meno. Hanno ancora artiglieria e qualche mezzo corazzato. Sanno che difficilmente potranno arrendersi senza essere passati per le armi, cioè uccisi a sangue freddo. Perché i tremila di Mariupol sono il simbolo di quel pericolo nazista che sventola Putin davanti alla sua opinione pubblica. Li guida un maggiore di neanche 40 anni, Denis Projipenko, comandante della Brigata Azov.
«I miei ragazzi comunicano via radio di aver preso il municipio di Mariupol. La nostra bandiera sventola sul comune». Il ceceno Kadyrov si è attribuito così ieri sera la conquista attraverso un messaggio su Telegram. Non è arrivato a sostenere che la città assediata fosse caduta, ma solo di avere le mani su uno degli edifici più simbolici. Quel «via radio», poi, fa pensare che lui sia lì, poco lontano a guidare l’offensiva.
È un imbroglio, sostiene Meduza , il sito d’informazione che ha spostato la sua sede fuori dalla Russia per poter continuare ad informare libero dalla censura putiniana. La foto del «comune» che mostra Kadyrov non è di Mariupol, ma del quartiere satellite sulla riva sinistra del fiume Kalmius già sotto controllo russo da giorni.
Non è il primo bluff del leader ceceno in questa guerra. Pochi giorni fa aveva detto di essere in combattimento a pochi chilometri da Kiev e invece se stava tranquillo nel cortile di casa in Cecenia, di fianco alle gabbie delle tigri dove finiscono i suoi oppositori.
Anche senza le bravate kadyroviane, Mariupol non può resistere a lungo. Secondo i servizi segreti ucraini a supervisionare l’assedio c’è Mizintsev.
Da 10 anni il generale è a capo del centro nazionale di comando della Difesa e su tutti i fronti caldi del revanscismo putiniano, dal Caucaso alla Siria. Sulla carta un ufficiale troppo alto in grado per una specifica area di conflitto, ma forse l’importanza dell’assedio per il successo dell’«operazione speciale» russa giustifica il coinvolgimento diretto del numero due delle Forze Armate.
Sarebbe quindi stato Mizintsev, da Mosca, ad ordinare di colpire le infrastrutture civili (luce, gas, riscaldamento, telecomunicazioni) per inasprire le condizioni dell’accerchiamento, lui ad aumentare via via la potenza e il numero dei raid aerei, lui ad ordinare il bombardamento dei rifugi dei civili (l’ospedale ginecologico, il teatro, la scuola d’arte, oltre a innumerevoli condomini). Lui ora a dover schiacciare la resistenza del contingente del maggiore Projipenko.
I social ucraini fanno rivivere, a ragione, per l’assedio di Mariupol la storia di Davide contro Golia, dei pochi contro i tanti. Davide è, in questo caso, Denys Projipenko, «eroe dell’Ucraina» e già leggenda, e Golia è il «macellaio» Mizintsev. Tre anni fa un neopresidente Zelensky dovette piegare il collo indietro per riuscire a guardare in faccia il gigante Projipenko, prima di decorarlo.
I suoi uomini e la 36° Brigata di marines ucraini riescono ancora a rallentare l’attacco. Ieri la sua brigata Azov avrebbe distrutto quattro blindati russi e anche fatto dei prigionieri. Su Projipenko il sospetto di neonazismo. Il governo ucraino sostiene che Azov è ripulito da elementi d’ultradestra da quando è entrato a far parte della Guardia Nazionale. Nelle condizioni attuali, però, è poco rilevante. Sono tremila uomini in trappola e nessuno sembra in grado di evitare il loro massacro.
La strage degli ufficiali russi, morti 77 comandanti e generali. EMILIANO FITTIPALDI su Il Domani il 25 marzo 2022.
La strage degli ufficiali russi viene aggiornata dai servizi segreti dei paesi Nato quasi ogni giorno. E, al 22 marzo, la lista che Domani ha potuto ricostruire arriva a quasi 80 nomi.
Qualche giorno fa un giornale vicino al Cremlino, la Komsomolskaya Pravda, ha pubblicato (probabilmente per errore, la notizia è stata subito rimossa) il numero complessivo dei soldati russi morti in battaglia, parlando di quasi 10mila decessi.
Il massacro di alti ufficiali, più ancora delle gravi perdite della fanteria, sta creando sconcerto tra le gerarchie dell’esercito di Putin, che i comparti di sicurezze degli Usa e della Ue considera fondamentale nel caso di un rovesciamento del regime russo.
EMILIANO FITTIPALDI. Nato nel 1974, è vicedirettore di Domani. Giornalista investigativo, ha lavorato all'Espresso firmando inchieste su politica, economia e criminalità. Per Feltrinelli ha scritto "Avarizia" e "Lussuria" sulla corruzione in Vaticano e altri saggi sul potere.
Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 15 maggio 2022.
Il capo di Stato maggiore russo Valerij Gerasimov è sempre al centro delle speculazioni. Qualche settimana fa raccontavano che fosse sfuggito ad un attacco ucraino, quindi lo hanno dato per ferito.
Ora da Kiev sostengono che lo avrebbero sospeso, messo in punizione per non essere riuscito a riorganizzare le operazioni, e citano la sua assenza alla parata del 9 maggio. Le medesime fonti parlano di altri ufficiali sollevati dall'incarico: i generali Vladislov Ershow, Sergei Kisel e Arkady Marzoev, responsabili di reparti corazzati ai quali hanno addebitato errori e troppe perdite.
Sono informazioni che vengono dalla trincea nemica, per dimostrare che l'invasore è nella tempesta, quindi richiedono cautela: basta ricordare le parabole dei gerarchi nordcoreani dati per morti e poi riemersi ossequiosi davanti a Kim Jong-un. Non possiamo escludere siluramenti reali, ma anche rotazioni e avvicendamenti: capita nei conflitti, quando il piano è messo in discussione dal campo.
E a proposito di resurrezioni, vere o presunte, c'è quella di Sergei Beseda, uno dei dirigenti dell'Fsb, il servizio segreto. Era stato incaricato di preparare l'invasione con gli uomini del Quinto Dipartimento, ma ha fallito clamorosamente.
Per questo giravano voci di un suo arresto, seguito dalla sua partecipazione - per smentirlo - alle esequie di una celebre spia. Ora sarebbe tornato in ufficio - ha scritto il giornalista investigativo russo Andrei Soldatov - con un ruolo depotenziato.
Farlo sparire avrebbe significato, agli occhi del grande apparato, l'ammissione di gravi sbagli: meglio quindi tenerlo alla scrivania, a leggere rapporti o magari neppure quello. Una caduta relativamente «morbida», in attesa di altri ordini o magari della pensione. Sempre secondo Soldatov, il regime ha affidato il dossier Ucraina al Gru, l'intelligence militare.
Il vice direttore del Gru
A guidare la missione sarà il numero due Vladimir Alekseyev, figura ben nota alle spie occidentali in quanto coinvolto in azioni in Europa, compreso il tentativo di uccidere con il veleno l'agente doppio Skripal a Salisbury, in Gran Bretagna.
Nato nel 1961 a Holodky, a sudest di Kiev, quando l'Ucraina era parte dell'Urss, è entrato nelle unità aviotrasportate per poi diventare parte dei commandos, gli Spetsnaz.
Successivamente è passato nelle intelligence ricoprendo incarichi nella Russia Orientale e nel 2011 ha assunto la carica di vice direttore del Gru.
Alekseyev ha fatto carriera in quel mondo, si è misurato con i nemici in Siria e Donbass, ha seguito a lungo il dossier ucraino, gestito attività speciali. Conosce il mestiere, lo attende una prova non facile.
La decisione di affidarsi al Gru rispecchia il giudizio del leader che si è formato come quadro del Kgb. Putin preferisce gli 007 militari a quelli civili perché sono devoti alla causa e alle disposizioni, non importa il prezzo da pagare.
Questo spiegherebbe perché in alcuni casi siano stati scoperti: hanno fatto errori, ma l'importante è conseguire i risultati.
In questa fase critica, alle prese con avversari tenaci, il Cremlino ha bisogno di personaggi che uniscano la fedeltà alla determinazione.
L'intelligence Usa
Se il capo del servizio estero dell'Fsb Beseda ha pagato gli errori di valutazione sull'Ucraina, negli Stati Uniti le agenzie di intelligence hanno avviato una revisione interna dopo aver sbagliato due volte in un anno, e in modo clamoroso.
Prima hanno sopravvalutato la capacità di resistenza degli afghani contro i talebani, dopo il ritiro americano, poi sottovalutato quella degli ucraini all'inizio dell'offensiva russa: pensavano che Kiev sarebbe caduta in 3 o 4 giorni.
Martedì, la commissione intelligence del Senato ha inviato una lettera classificata all'ufficio della direttrice dell'intelligence nazionale Avril Haines, al Pentagono e alla Cia, chiedendo di riesaminare le proprie metodologie.
Le 17 agenzie che compongono la United States Intelligence Community - sostengono i critici - devono verificare il metodo di valutazione gli eserciti stranieri e, soprattutto, chiarire ai propri funzionari che ogni errore può avere conseguenze enormi.
Putin liquida i suoi pretoriani Gerasimov e Beseda: le risposte gradite (ma sbagliate) pagate care. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 21 Marzo 2022.
Gerasimov, responsabile dell’esercito, è sparito. Ed è finito agli arresti domiciliari Beseda, il dirigente degli 007 incaricato di seguire la guerra in Ucraina.
«Bisogna ricordare che la vittoria si raggiunge sempre non solo con la forza materiale di un singolo Stato, ma anche dalle risorse spirituali del suo popolo, dall’unità e dal desiderio di opporsi con tutta la sua volontà all’aggressione». Nel marzo del 2017, Valerij Gerasimov, a quel tempo capo di Stato maggiore da otto anni, scrisse un articolo su come il suo esercito si stava trasformando «per fare una guerra moderna». Sembrano uno scherzo del destino, queste parole che si applicano in modo perfetto a quanto sta accadendo in Ucraina, con una completa inversione di ruolo. Perché finora non è certo mancata la «forza materiale», ma tutto il resto.
Le informazioni sul campo sono di competenza del Quinto servizio, il settore esteri dell’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb che ne ha mantenuto il quartier generale nell’enorme palazzo della Lubianka. L’espansione del ruolo dell’ex Kgb oltre i confini nazionali venne decisa alla fine degli anni Novanta dal suo capo di allora, un certo Vladimir Putin. Ma a partire dal 2004, questo nuovo ramo così strategico ha avuto al vertice Sergey Beseda, che fino ad allora aveva guidato il dipartimento dell’Fsb addetto alla sicurezza del presidente. Era un uomo di fiducia. Come Gerasimov, sopravvissuto alla rimozione del precedente ministro della Difesa Anatolij Serdyukov proprio per portare a termine la riforma dell’esercito russo. L’ultima apparizione in pubblico del generale risale allo scorso 27 febbraio, quando non diede l’impressione di essere entusiasta dell’ordine di mettere in stato d’allerta le forze di deterrenza nucleare. Da allora, è sparito dai radar. A Beseda è andata anche peggio. Agli arresti domiciliari, come hanno rivelato i giornalisti Andrei Soldatov e Irina Borogan, che da anni si occupano dei servizi di sicurezza russi.tana
Le interferenze
Esiste un filo comune che lega questi due destini. Il Quinto servizio, spiegano Soldatov e Borogan, nasce per «spingere» i candidati graditi al Cremlino nelle elezioni dei Paesi confinanti, e ha sempre avuto l’Ucraina come priorità assoluta. Nel giugno del 2010 alcuni documenti classificati rivelarono come questo settore indirizzasse i suoi report direttamente a Putin, circostanza che Beseda rivendicava con orgoglio. Nell’aprile del 2014, il ministero degli Esteri di Kiev chiese addirittura di poterlo interrogare, per conoscere i motivi della sua presenza durante la rivolta filoccidentale di piazza Maidan. Beseda se la cavò motivando la sua presenza con la necessità di garantire la sicurezza dell’ambasciata russa. I primi a non credere a questa versione furono l’Unione Europea e gli Usa, che lo inserirono tra le persone fisiche colpite dalle sanzioni dell’epoca. Ma da allora apparve chiaro come fosse lui l’uomo di Putin addetto alla raccolta di notizie sull’Ucraina. Al presidente sono bastate due settimane per capire che il suo amato Fsb non ci aveva capito poi molto. Quelle informazioni non corrette costituiscono però la base dell’intervento armato.
La riforma mancata
Ma Gerasimov non è certo una vittima del suo collega. La dottrina che porta il suo nome prevedeva una modernizzazione, cominciata nel 2009 con l’abbandono dell’impostazione «sovietica» dell’esercito, che si basava su un alto numero di soldati e scontava l’arretratezza delle sue strutture, a favore di forze armate dai numeri più ridotti composte da militari di professione. I 34 miliardi di dollari messi a disposizione ogni anno dal Cremlino a partire dal 2009 sono stati spesi nel settore tecnologico delle cyber-guerre e in parte nell’aviazione. «Esistono ormai strumenti di natura non militare più efficaci della semplice forza delle armi» scriveva Gerasimov. Secondo l’intelligence americana, anche lui avrebbe fornito una rappresentazione della realtà falsata. In questo caso sullo stato di salute dell’esercito russo, ormai impantanato in una guerra da combattere con le forze di terra, sulle quali si è scelto di disinvestire.
Le prime crepe
Il capo dell’esercito e quello del Fsb sono entrambi Siloviki, termine che indica «gli uomini della forza» e in senso esteso identifica la colonna vertebrale del sistema di Putin. Erano garanti di quel potere di Stato considerato un contrappeso al crescente potere economico rappresentato dagli oligarchi. L’intelligence ucraina, certo non una fonte imparziale, sostiene che le élite della società russa tramano per rimuovere il presidente il prima possibile e ripristinare così i legami economici con l’Occidente. Sono informazioni da prendere con le molle. Ma se confermate, queste due rimozioni dimostrano che Putin sta divorando i suoi figli. E che il vincolo di fedeltà con esercito e servizi segreti potrebbe non essere così stretto come viene descritto. Alla fine, sia Beseda e Gerasimov sono colpevoli di aver dato a Putin le risposte che lui desiderava sentire. Peccato che fossero tutte sbagliate.
Dagotraduzione dal Daily Star il 18 marzo 2022.
Secondo il media bielorusso Nexta, il morale dei soldati russi è così basso che gli uomini si sparano alle gambe per finire in ospedale ed evitare di combattere in Ucraina. Il giornale, che pubblica le sue notizie su Telegram e Youtube, ha intercettato una conversazione delle forze russe in cui i soldati dicevano di essere in «cerca di munizioni ucraine per spararsi alle gambe e andare in ospedale».
In un’altra conversazione pubblicata sabato si sente un soldato russo dire: «Ci sparano da 14 giorni. Abbiamo paura. Stiamo rubando cibo, irrompendo nelle case. Noi stiamo uccidendo dei civili». E ancora: «Gli ufficiali russi si sparano alle gambe per tornare a casa. Ci sono cavaderi dappertutto».
Secondo i rapporti americani, le truppe russe sono così demoralizzate che abbandonano i loro veicoli e scappano nei boschi. Per questo la Russia avrebbe deciso di avvicinare al fronte ucraina 20 generali, in modo da risollevare il morale dell’esercito.
Ma la mossa si è rivelata un boomerang: almeno quattro generali sono stati uccisi nei combattimenti insieme ad un’altra dozzina di comandanti. Evelyn Farkas, alto funzionario del Pentagono per Russia e Ucraina durante la presidenza Obama: «Perdite come questa influiscono sul morale e sulla coesione delle truppe, soprattutto perché questi soldati non capiscono perché stanno combattendo».
Da ilmessaggero.it il 19 marzo 2022.
Sale il conto dei generali russi morti in Ucraina. Il ministero della Difesa di Kiev ha rivendicato l'uccisione di Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava armata generale del distretto militare meridionale. Si tratta del quinto generale russo morto dal giorno dell'invasione di Putin, ormai 24 giorni fa. Una sua fotografia è stata postata su Twitter dallo Stato Maggiore della Difesa ucraina.
Nei giorni scorsi sono stati già uccisi il generale Oleg Mityaev, il generale Andriy Kolesnikov, Vitaly Gerasimov e Andrei Sukhovetsky.
La Russia perde un quinto generale. Redazione il 20 Marzo 2022 su Il Giornale.
Il comandante dell'ottava armata caduto sotto i colpi dell'artiglieria vicino a Kherson . Abbattuti 210 velivoli.
L'esercito russo perde un'altra testa importante. Tra le migliaia di vittime delle tre settimane di conflitto c'è un quinto generale, Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava Armata del Distretto Militare meridionale delle Forze armate della federazione russa, quella responsabile dei cosiddetti «distretti separati delle regioni di Donetsk e Luhansk», ucciso da colpi di artiglieria nella città di Chernobayevka, nei pressi di Kherson.
La notizia arriva dalla Bbc, che cita fonti della Difesa ucraina dopo la pubblicazione su Facebook di un'immagine dell'alto ufficiale mentre passa in rassegna le truppe, sfregiata con una grossa X rossa che non lascia adito a dubbi. Il nome di Mordvichev si aggiunge a quello di altri quattro generali di lungo corso caduti sotto i colpi ucraini. Si tratta di Vitaly Gerasimov, Andrei Kolesnikov, Oleg Mityaev e Andrei Sukhovetsky, tutti veterani delle guerre combattute negli ultimi trent'anni dalla Federazione russa contro Cecenia, Georgia, Siria e Donbass. Un fatto inusuale questa moria tra gli alti ranghi dell'esercito. Un motivo, secondo l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa ed ex capo di Stato maggiore, è che «tra i bassi ranghi c'è meno libertà di azione, meno preparazione, soprattutto meno capacità di leadership e intraprendenza e questo può portare i livelli di comando superiori a essere impiegati più vicini alla linea del fronte». Inoltre, dal momento che «l'avanzata russa non sembra procedere come inizialmente stimato, può essere che ci sia stato bisogno di impiegare generali più vicino alla linea del fronte per guidare con maggiore determinazione l'attacco». Infine, spiega sempre Di Paola, c'è da considerare che «i posti di comando mobili si trovano su mezzi che sono abbastanza vicini alla linea del fronte» e tenuto conto che «le forze ucraine hanno attaccato molto le retrovie» con raid «mordi e fuggi», è «ragionevole pensare che tra i vari mezzi abbiano distrutto anche posti di comando».
Nei primi venti giorni di conflitto l'esercito di Mosca ha subito molte perdite. Il ministero della Difesa ucraino nel suo bollettino quotidiano, postato su Twitter, afferma di aver ucciso finora 14.400 soldati russi, di aver abbattuto 210 velivoli militari (95 aerei e 110 elicotteri), distrutto 466 carri armati e 1.470 veicoli corazzati e blindati, 914 veicoli militari e 60 cisterne di carburante, oltre a 213 pezzi d'artiglieria e di avere affondato tre imbarcazioni.
Le «purghe» di Putin: licenziato il generale Roman Gavrilov per «fuga di informazioni militari». Fabrizio Dragosei su Il Corriere della Sera il 19 marzo 2022.
Tre fonti indipendenti riportano la notizia del siluramento del vice comandante della Rosgvardia ed ex addetto della sicurezza dei capi di Stato russi.
Prima è toccato ai servizi segreti colpevoli di non aver dato le notizie giuste su quello che l’esercito russo si sarebbe trovato di fronte in Ucraina. Poi alla Guardia nazionale, Rosgvardia, che avrebbe subìto perdite eccessive e non avrebbe svolto i suoi compiti di sorveglianza sulle località occupate durante quella che in Russia si chiama «Operazione militare speciale». Naturalmente dall’alto sono venute solo smentite. Ma in maniera tale da far ritenere del tutto verosimili le notizie diffuse da siti d’opposizione posizionati all’estero.
Dopo quella su due agenti dell’Fsb, principale successore del Kgb, giovedì è arrivata la notizia del siluramento di Roman Gavrilov, vice comandante della Rosgvardia ed ex addetto della sicurezza dei capi di Stato russi. Immediatamente è intervenuto il presidente della commissione della Duma per le comunicazioni Alexander Khinshtein che è anche vice segretario del partito putiniano Russia Unita. «Fake assoluta», ha tuonato. Precisando poi che Gavrilov, col quale ha detto di aver parlato, si è dimesso, dice, perché aveva raggiunto il minimo di 20 anni di servizio dopo i quali si può andare in pensione.
Spiegazione che sembra più una conferma del siluramento: figuriamoci se in mezzo a una guerra, anzi, a una «operazione speciale» con migliaia di suoi uomini impegnati oltrefrontiera, un generale pensa di andarsene. La notizia era stata data da Christo Grozev del sito investigativo internazionale Bellingcat al quale sarebbe stata confermata da tre fonti indipendenti: «è stato fermato dall’Fsb o per fuga di informazioni militari o per furto di carburante». Già l’11 marzo la scure è caduta sulla testa di due super-spie che sembra siano agli arresti domiciliari, secondo quanto afferma un quotato esperto di cose militari russe, Andrei Soldatov, ripreso dal sito informativo meduza.io.
Vladimir Putin sarebbe stato furioso perché il quadro sbagliato della realtà ucraina è stato alla base dell’impantanamento dell’esercito di invasione. Secondo diverse fonti, le aspettative all’avvio dell’«Operazione militare speciale» erano ben altre. In poche ore il Paese invaso avrebbe dovuto collassare e i militari ucraini non avrebbero dovuto quasi reagire all’«amichevole» missione dei colleghi russi. Sergej Beseda è il capo del quinto servizio dell’Fsb, principale successore del Kgb. Anatolij Bolyukh è o era il suo vice. Si tratterebbe del Dipartimento di informazione operativa (Doi) creato dallo stesso Putin quando era a capo dell’Fsb negli anni Novanta.
Lo spionaggio estero era già appannaggio dell’Svr (ex primo direttorato del Kgb) e del Gru, servizio di informazione militare. Ma Vladimir Vladimirovich volle avere suoi «occhi» diretti soprattutto per operazioni di intelligence nelle ex repubbliche sovietiche diventate indipendenti a partire dalla fine del 1991. Dopo le cosiddette rivoluzioni colorate dell’inizio di questo secolo (quella delle rose in Georgia, poi arancione in Ucraina, e dei tulipani in Kirgizistan) Putin avrebbe iniziato a fidarsi solo degli uomini dell’Fsb.
Il siluramento del generale Gavrilov specchio di un'invasione mal riuscita. Angelo Allegri il 19 Marzo 2022 su Il Giornale.
"Dimissionario" il vice comandante della Guardia nazionale, finita in prima linea in Ucraina ma protagonista di un fallimento.
Non è un alto ufficiale come gli altri. E i suoi guai dicono parecchio sull'operazione ucraina e sul clima tra gli uomini più vicini a Vladimir Putin. Ufficialmente il generale Roman Gavrilov è dimissionario, ma sui giornali si è parlato di messa in stato d'accusa e addirittura di arresto. Le accuse trapelate: aver diffuso informazioni e sprecato materiale (combustibile) che ha condotto alla perdita di vite umane. Questo almeno secondo le indiscrezioni che davano conto del malcontento del Cremlino per l'andamento dell'«operazione militare speciale».
Gavrilov non è un generale dell'esercito ma della Rosgvardiya, la Guardia nazionale, la milizia che Putin si è costruito su misura nel 2016, facendola dipendere direttamente dal Cremlino e affidandola alla sua ex guardia del corpo dei tempi di San Pietroburgo, Viktor Zolotov.
Gavrilov è uno dei vice di quest'ultimo. Anzi, è l'«addetto alle pulizie», come l'ha definito Andrei Soldatov, uno dei maggiori conoscitori delle forze di sicurezza russe, incaricato di intervenire nei casi più delicati e nel portare a termine le «epurazioni» più dolorose.
Da braccio destro del capo, Gavrilov ha avuto un incarico di primo piano anche in Ucraina. Ma proprio la presenza massiccia della Guardia nazionale nell'invasione mette in luce le contraddizioni dell'operazione. La Guardia nazionale (circa 400mila uomini) è specializzata in compiti di ordine pubblico (è lei che nelle città russe reprime le proteste contro la guerra) e anti-terrorismo, anche se al proprio interno ha alcuni reparti di assalto (come Omon o le cosiddette Sobr, Unità speciali a risposta rapida). In linea di massima, però, il suo impiego poteva essere giustificato soprattutto nella gestione di disordini tra la popolazione civile. È quello che è successo nei giorni scorsi a Kherson, conquistata dall'esercito e poi affidata alla Rosgvardiya, che ha effettuato tra la popolazione ucraina circa 400 arresti.
Nei primi giorni della guerra, però, in prima linea è finita anche la Guardia Nazionale. La mancanza di addestramento, i mezzi inadeguati, e, secondo alcuni, una mancanza di coordinamento con il resto delle forze armate (che dipendono dal Ministero della Difesa) ha finito per provocare perdite altissime (emerse in un filmato comparso sulla Rete in cui i parenti di alcuni soldati se la prendevano con il governatore di una regione siberiana in cui la Rosgvardiya ha uno dei centri di coordinamento). «L'impiego della Rosgvardiya è stato un completo fallimento in termini di strategia militare», ha spiegato Ruslan Leviev del Cit, Conflict Intelligence Team. Da notare, tra l'altro, che il militare più alto in grado fatto prigioniero dagli ucraini e mostrato in una confessione pubblica di fronte alle telecamere, un tenente colonnello, appartiene proprio alla Guardia nazionale.
Gli errori compiuti dalla Rosgvardiya in Ucraina, sono ancora più significativi se si considerano i suoi compiti interni. La Guardia nazionale e il suo capo, Zolotov, ha scritto in questi giorni su Gulagu.net il dissidente Vladimir Osechkin, sono «una sorta di scudo contro i colpi di Stato a palazzo». Uno dei motivi della stabilità di Putin è la moltiplicazione delle forze di sicurezza ottenuta anche grazie alla creazione di una struttura come Rosgvardiya, gestita senza alcuna mediazione ministeriale o burocratica. Tanto più se a guidarla è un «signorsì» da 30 anni fedele sino al fanatismo come Zolotov. Nella riunione del Consiglio di sicurezza ripresa dalla tv prima dell'invasione pronunciò le parole più dure: «gli ucraini sono solo vassalli degli americani, li stanno riempiendo di armi ... dobbiamo muoverci per difendere il nostro Paese». Ora le dimissioni di Gavrilov toccano anche lui.
Ucraina, Putin fa arrestare il "ministro dell'Interno" di Lugansk. I servizi segreti di Kiev: prime epurazioni nel Donbass. Il Tempo il 20 aprile 2022
Di pari passo alle epurazioni e alle purghe tra i funzionari russi che hanno consigliato Vladimir Putin per l'intervento militare in Ucraina, proseguono anche le rimozioni e gli arresti degli ufficiali di Mosca al fronte. La guerra non va come previsto dal Cremlino, e nomi fino a ieri importanti ne fanno le spese. L'ultimo caso è quello che fa trapelare l’intelligence del ministero della Difesa dell’Ucraina, secondo cui la Russia ha iniziato a "fare pulizia" tra le proprie fila anche nelle aree occupate del Donbass. Il Kyiv Independent scrive che il servizio segreto interno di Mosca, FSB, ha arrestato il maggiore Igor Kornet nell’Oblast di Lugansk. L'ufficiale e politico sarebbe attualmente detenuto in un centro a Rostov sul Don in Russia.
Secondo le fonti ucraini Kornet sarebbe il leader del "Ministero degli affari interni della LPR", la sedicente repubblica separatista e filorussa di Lugansk, insomma un uomo di primo piano per i russi nella regione ora occupata dalle forze di Mosca. L'arresto "ha provocato una reazione negativa da parte delle forze dell'ordine e della leadership politica della 'repubblica', che lo valutano come l'inizio di cambiamenti nel blocco di potere del quasi-stato”, afferma l'intelligence ucraina citata dal quotidiano di Kiev.
Il cambio di generali e vertici militari anche nel Donbass, secondo gli 007 di Kiev, è un segnale che la Russia sta cercando di mobilitare risorse umane nei territori intorno a Lugansk "per compensare rapidamente le perdite" militari "e continuare le ostilità contro l'Ucraina".
La furia del Cremlino per le difficoltà in Ucraina. Putin fa arrestare il generale Gavrilov, altre purghe a Mosca: giallo sulla sorte del vice capo della Guardia nazionale. Carmine Di Niro su Il Riformista il 17 Marzo 2022.
Le difficoltà incontrate dai militari russi in Ucraina fanno una nuova ‘vittima’ nelle alte gerarchie delle forze armate. Il generale russo Roman Gavrilov, vice capo della Guardia nazionale russa, la Rosgvardia, è stato arrestato dall’Fsb, i servizi di sicurezza della Federazione russa erede del Kgb sovietico.
La notizia è stata resa nota da Christo Grozev, giornalista del sito investigativo Bellingcat, che cita “tre fonti indipendenti”. La Rosgvardia è una delle unità dell’esercito che ha subito maggiori perdite nel corso del conflitto in Ucraina, in corso ormai da 22 giorni.
Soltanto pochi giorni fa il capo di Rosgvardia, Viktor Zolotov, aveva ammesso durante una funzione religiosa in presenza del patriarca ortodosso di Mosca Kirill che l’operazione militare speciale in Ucraina “non sta andando alla velocità prevista”.
Quanto a Gavrilov, i motivi dietro l’arresto non sono ancora chiari: stando ad una fonte riportata da Grozev sarebbe stato arrestato dal dipartimento di controspionaggio militare dell’FSB per “fughe di informazioni militari che hanno portato alla perdita di vite umane“, mentre altre due fonti sottolineano invece che l’accusa sarebbe di “sperpero dispendioso di carburante“.
La notizia dell’arresto è stata ovviamente smentita da Mosca. Il deputato della Duma Aleksandr Khinshtein ha definito l’arresto un “falso assoluto“, mentre l’agenzia di stampa russa ‘Ura.ru’ parla di licenziamento e non arresto. Un provvedimento che sarebbe stato avviato personalmente dal direttore del Servizio federale delle truppe della Guardia nazionale russa, Viktor Zolotov.
Con l’arresto di Gavrilov salgono a tre i vertici militari arrestati dall’inizio del conflitto. Nei giorni scorsi era emersa, anche se ad oggi non è mai stata confermata ufficialmente, la notizia dell’arresto di Serghei Beseda e Anatoly Bolukh, numero uno e numero due della Quinta divisione dell’Fsb, la ‘filiale’ dei servizi segreti specializzata nei Paesi dell’ex Urss.
Dietro la ‘purga’ ci sarebbe l’accusa nei loro confronti di aver deliberatamente fornito notizie errate sulla situazione in Ucraina e rubato denaro destinato ad arruolare agenti e organizzare operazioni sovversive.
Beseda, 68 anni, è un pezzo da novanta dell’Fsb con grande esperienza in Ucraina: fu lui infatti a guidare gli sforzi (falliti) da parte Russa di fermare la rivoluzione di Euromaidan nel 2014, nel tentativo da parte del Cremlino di tenere alla guida del Paese il presidente filo-russo Viktor Yanukovich, in predicato di tornare al governo di Kiev in caso di rovesciamento del potere e caduta dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky.
Proprio per il suo ruolo nel tentativo di reprimere la rivolta popolare contro il governo Yanukovich, Beseda fu anche inserito nella lista di persone colpite da sanzioni da parte dell’Unione Europea.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Marco Ventura per “il Messaggero” il 18 marzo 2022.
Un'altra epurazione, forse un altro arresto, a riprova delle preoccupazioni di Vladimir Putin e della stretta sugli organismi direttamente responsabili della fallimentare campagna di Ucraina. Stavolta, il siluramento colpisce i vertici della Guardia nazionale russa, istituita personalmente da Putin nel 2016, storica erede del Corpo delle Guardie interne creato nel 1811 dallo Zar Alessandro I.
Il generale Roman Gavrilov, vicecomandante della Rosgvardia, sarebbe stato arrestato dall'Fsb (i servizi di sicurezza della Federazione russa, l'ex Kgb), secondo altri solo «rimosso dall'incarico», con l'accusa di fuga di notizie e abusi amministrativi. A divulgare la notizia è Christo Grozev, giornalista investigativo del sito Bellingcat, che rimanda a tre «fonti indipendenti». Puntuale anche la smentita, tramite il deputato della Duma, Aleksandr Khinstein, per il quale l'arresto è «un falso assoluto».
La testata Ura.ru si limita a parlare di «licenziamento» e cita fonti anonime «a conoscenza della vicenda». A silurare Gavrilov è stato, a quanto pare, personalmente il direttore della Guardia Nazionale, e almeno fino agli ultimi giorni suo amico, Viktor Zolotov. Gavrilov non è una figura di secondo piano. Ha fatto parte della Guardia personale di Yeltsin, di Putin e di Medvedev. Se non un esponente del cerchio magico del Cremlino, comunque un alto ufficiale che aveva accesso al gotha della Federazione.
E numero 2 della Rosgvardia, corpo militare di 380mila unità che ha competenza fra l'altro sulla protezione dei confini della Federazione russa, sull'ordine pubblico interno, e il cui comando risponde a Putin. Lo si potrebbe paragonare ai nostri carabinieri. È uno dei corpi che hanno subìto il maggior numero di perdite in Ucraina. Nei giorni scorsi l'agenzia Tass ha sottolineato che unità della Rosgvardia svolgono nel conflitto «un ruolo speciale per la protezione della rete di trasporti e infrastrutture vitali, comprese le centrali nucleari di Chernobyl e Zaporozhye, cadute sotto il controllo delle forze di Mosca».
Inoltre, il dipartimento di cui era responsabile Gavrilov è attivo nelle operazioni militari, nel mantenere la sicurezza e l'ordine pubblico, nella difesa dal crimine e dal saccheggio negli insediamenti liberati, parole della Tass, dalla presenza dei nazionalisti ucraini. In più, scorta i convogli di aiuti umanitari.
In pratica, funziona come polizia militare. La purga non può essere stata decisa se non su indicazione o dietro avallo personale di Putin. Di recente il capo di Gavrilov, Zolotov, ha ammesso durante una funzione religiosa con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che la cosiddetta operazione speciale militare in Ucraina «non procede alla velocità prevista». A Gavrilov sarebbero imputate «fughe di informazioni militari che hanno portato alla perdita di vite umane», secondo altri invece «sperpero inutile di carburante».
Potrebbe essere il segno di un crescente nervosismo al Cremlino. Durissime le parole del presidente: «La Russia sa distinguere i veri patrioti, sarà purificata e più forte: dobbiamo sputare fuori come i moscerini dalla bocca i traditori». Mai confermata ufficialmente è la notizia di qualche giorno fa circa l'arresto di Sergei Beseda e Anatoly Bolukh, capo e vice della quinta divisione dell'Fsb, che si occupa dei Paesi dell'ex Unione Sovietica e che aveva il compito di fornire al Cremlino tutte le informazioni sulla resistenza che i battaglioni russi avrebbero incontrato in Ucraina. Beseda aveva guidato anche le operazioni per tenere in sella nel 2014 il presidente filo-russo Yanukovich, rovesciato in una notte dalla rivolta di Euromaidan.
E proprio per questo, era finito tra i destinatari delle sanzioni Ue. Gli osservatori cercano adesso di analizzare i comportamenti di Putin, in particolare l'apparente fissazione della distanza nelle riunioni coi suoi più stretti collaboratori. Impressionanti le foto e le immagini video di alcuni meeting con il ministro della Difesa, Shoigu, e il capo di Stato maggiore delle Forze Armate, Gerasimov.
Lo Zar sa di doversi guardare più dai signori del Palazzo, che dalle manifestazioni di piazza. I suoi fedelissimi provengono quasi tutti dai servizi, alcuni erano al suo fianco a Leningrado e lo hanno accompagnato fino a Mosca. Shoigu è suo amico e insieme fanno battute di caccia e pesca in Siberia. Ma crepe nel cerchio magico sono evidenti nelle prese di posizione sui social, per esempio, di moglie e figlia del portavoce Peskov. E tutti ricordano l'impietoso show di Putin con il capo dei Servizi esterni, Sergey Naryshkin, balbettante prima di allinearsi alla decisione di invadere l'Ucraina.
Ucraina, ucciso il quarto generale russo: è Oleg Mityaev, aveva guidato le truppe nel 2014 nel Donbass. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 16 marzo 2022.
In 20 giorni di combattimento le forze di difesa dell’Ucraina hanno ucciso dieci membri del comando delle truppe russe, tra cui quattro generali.
Un funzionario del ministero dell’Interno ucraino, Anton Gerashenko, ha annunciato l’uccisione in battaglia a Mariupol del generale russo Oleg Mityaev. Lo riferisce la Bbc. Non c’è al momento alcuna conferma né da parte russa né di fonti indipendenti. Nel suo appello via video notturno il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aveva annunciato l’uccisione di un altro generale russo, il quarto dall’inizio del conflitto, senza specificarne il nome. Veterano della Siria, Mityaev, 47 anni, era al comando della centocinquantesima divisione motorizzata fucilieri.La foto del suo cadavere è stata postata dal reggimento ucraino Azov, che avrebbe ucciso il generale insieme ad altri sette membri di un commando delle forze speciali russe. Il giornale ucraino Telegraf ricorda che il generale Mityaev aveva guidato le truppe russe nel 2014 nel Donbass.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
In 20 giorni di combattimento le forze di difesa dell’Ucraina hanno ucciso dieci membri del comando delle truppe russe. Tra di loro sono morti in combattimento quattro generali (oltre a Mityaev, Vitaly Gerasimov, Andriy Kolesnikov e Andriy Sukhovetsky), tre colonnelli e tre tenenti colonnelli. A riferirlo è il Center for Countering Disinformation del National Security and Defense Council dell’Ucraina. Il governo ucraino sostiene inoltre che i russi «hanno deciso di coinvolgere nel conflitto anche i primi cadetti degli istituti di istruzione militare superiore», perché «hanno perso il 40% delle unità impiegate sul terreno» e «hanno problemi a fornire munizioni alle truppe».
Strage di generali, ritardi e disfattismo. E l'Armata richiama le truppe dal Pacifico. Francesco De Remigis il 17 Marzo 2022 su Il Giornale.
L'avanzata di terra sembra incagliata, frenata dalla resistenza ucraina. Altri soldati pure dall'Armenia e mercenari dalla Siria. In supporto i droni kamikaze. Ma la guerra-lampo ormai è solo un lontano ricordo.
Carri armati letali ma ormai superati: T-72 e T-80. Soldati mandati allo sbaraglio. Verrebbe da dire: «Che succede...? Dov'è il milite russo?». Al 21° giorno di guerra, l'avanzata dell'Armata rossa in terra ucraina appare incastrata. Non tanto sui cieli contesi da cui continuano a piovere missili da crociera a 950 km orari, i temibili 3M-54 Kalibr con un carico bellico da mezza tonnellata, che distruggono scuole, asili, palazzi, mercati, e ieri una chiesa, a Chernihiv. Ma a terra, dove più di qualcosa sembra andar storto per Mosca.
«L'appetito dell'autocrate», per citare Joe Biden, costringe Mosca a cercare in ogni angolo terrestre altra carne da mandare al macello; per rimpolpare trincee prosciugate, spaesate, colte alla sprovvista dalla resistenza ucraina. E' l'intelligence militare britannica a sostenere che le forze russe starebbero dislocando altri uomini per superare lO stallo in cui sono cadute le truppe: soldati in arrivo dai distretti dell'est russo, dal Pacifico. Londra parla anche di militari dall'Armenia (dal Nagorno-Karabakh). E dell'impiego di 15mila mercenari siriani e africani.
In Armenia, Mosca aveva piazzato 1.960 soldati per una missione quinquennale dopo l'accordo di pace siglato con la sua mediazione, e quella di Ankara (che oggi sgambetta l'Armata rossa con i suoi droni a Kiev). Circa una metà di quelle truppe sarebbe chiamata a mobilitarsi. Ma Vladimir Putin, che ha già ufficializzato la morte di un generale 47enne, Andrei Sukhovetsky, ucciso il 3 marzo da un cecchino in un luogo imprecisato (ed era in forza a una divisone strategica, capo della 7a paracadutisti), ieri è intervenuto spiegando che in Ucraina "l'operazione militare speciale sta procedendo con successo".
A bombardare le città e far fuoco anche sui giornalisti sono finiti coscritti, mercenari, persino migranti. E se la censura russa sul fronte è totale, la lista delle sepolture si allunga ogni giorno; e in patria le madri scrutano Telegram per avere notizie sui figli caduti. Per Kiev, già 14 mila da inizio invasione; più caute le stime Usa, 5-6 mila. Venti 20 generali russi schierati. Ben 4, fedelissimi di Putin, sarebbero deceduti: l'ultimo ieri, smentito da Mosca. Si tratterebbe di Oleg Mityaev, 46 anni, comandante della 150esima divisione motorizzata, veterano già schierato in Siria, poi a Rostov, ucciso con 7 unità delle forze speciali.
Nel ciclone ci sono gli apparati dei servizi di sicurezza, dov'è partita la caccia alle "talpe". Tanto a Mosca, quanto al fronte. Una nuova lettera inviata da una gola profonda dell'Fsb all'attivista dei diritti umani in esilio Vladimir Osechkin conferma infatti come nell'ex Kgb si stimi allo "0% la realizzazione del piano, pensavamo che i politici di Kiev avrebbero fatto la fila per sostenerci".
Sul campo, solo pochi giorni fa sono arrivate armi più sofisticate da Mosca. I mini-velivoli telecomandati tristemente noti col nome di "droni kamikaze". A marchio di garanzia di letalità: Kalashnikov. Esplodono il colpo, bruciano l'obiettivo e aumentano la devastazione con sfere d'acciaio. E' però una superiorità potenziale. Continuano infatti a vedersi carri armati russi distrutti, mostrati anche ieri dagli ucraini: le "Z" in bella vista, sfregiati, inceneriti.
Difficile bollare i video soltanto come propaganda. Dietro c'è l'aeroporto di Kherson, la città che i russi hanno annunciato di aver preso. Sempre ieri, le immagini di un altro mezzo segnato "Z", russo, distrutto a Mariupol (dove Mosca accusa invece il battaglione Azov d'aver distrutto il teatro). Informazioni complesse da sminare: forse plateali, ma danno l'idea di come "Azov" abbia azionato con successo i droni arrivati dall'estero. Mosca al palo?
Il battaglione Aidar, integrato nella guardia nazionale ucraina al grido di patria e fucile, diventa quindi il capro espiatorio per ogni crimine commesso da Mosca. Il loro profilo neonazi è parte integrante della resistenza ucraina che rallenta l'Armata Rossa. I russi sembrano ancora in grado di prevalere. Ma l'aspetto psicologico colpisce soprattutto i militari di leva russi; anch'essi chiamati a combattere in Ucraina nonostante le smentite di Putin. Forse la prima gaffe mediatica-militare che ha segnato il passo del conflitto.
L'Orso è ferito, e per questo è più pericoloso. Da ipotetica guerra "lampo", l'escalation è dietro l'angolo. Sapendo di non poter vincere alla lunga, il premier ucraino è categorico: "Non abbiamo mai pensato alla resa". E via con la notizia di due caccia russi abbattuti dalla contraerea sui cieli di Odessa, dove Mosca sembra però pronta all'accerchiamento.
Anna Zafesova per la Stampa il 12 marzo 2022.
«Mamma, sono io. Mamma, sono prigioniero. In Ucraina, ci hanno mandato a liberarli, ma invece siamo invasori, mamma, non ho fatto nulla di male, non ho sparato». Il soldatino biondo singhiozza nel cellulare offertogli da un militare ucraino. Il video è uno dei tanti, decine e decine, pubblicati sul canale Telegram Ishi Svoikh, cerca i tuoi, istituito dai militari di Kiev per informare le famiglie russe che i loro figli erano caduti uccisi, o prigionieri, in Ucraina.
Ovviamente può essere propaganda, ma tanti, troppi soldatini russi raccontano la stessa storia: avanzavano con una colonna di blindati, è finito il carburante, sono stati abbandonati.
Anche se fosse una storia per impietosire il nemico, non fanno la figura degli eroi della seconda armata più potente del mondo. Piangono. Si lamentano. Accusano i loro comandanti di averli ingannati e piantati nel fango dei campi ucraini. Le scene dei trattori dei contadini ucraini che trainano carri armati, blindati o addirittura batterie di artiglieria russe sono ormai uno dei simboli di questa guerra, riprese su t-shirt e murali, in una iconografia da Davide contro Golia.
L'analista militare Stijn Mitzer ritiene di aver verificato informazioni su 1100 mezzi russi abbattuti o catturati dagli ucraini, o anche semplicemente abbandonati nelle foreste (contro circa 300 mezzi ucraini): carri, camion, cannoni, e perfino aerei ed elicotteri. Ieri, un'intera colonna è caduta in mano agli ucraini, munizioni comprese.
E la famosa colonna di mezzi militari lunga 60 chilometri che puntava su Kiev è ancora lì, dopo diversi giorni, ma non è più una colonna: «Alcuni veicoli sono scesi dalla strada per ripararsi tra gli alberi, ma non per avanzare, per nascondersi mentre gli ucraini continuano a bersagliarli», dice un esperto militare americano alla NBC.
«Nessun stratega militare avrebbe mai permesso a un distaccamento così grande di affidarsi a una sola strada, circondata da campi troppo soffici per permettere ai blindati di scendere», si stupisce sul Telegraph il tenente-generale britannico Ben Hodges.
Le strade ucraine non sono larghissime, e l'ambiziosa avanzata russa, da tre fronti contemporaneamente, ha finito per intasarle bloccando anche il trasporto di rifornimenti alle avanguardie russe. «Un disastro logistico, una pianificazione che poteva andare bene solo nel caso di una operazione lampo, con Kiev che cadeva in pochi giorni», commenta Hodges.
Ma così non è stato: i droni di produzione turca Bayraktar stanno colpendo metodicamente le colonne russe, mentre le comunicazioni russe vengono intercettate per mancanza di trasmettitori criptati. L'impressione, a volte, è che i generali di Putin stiano combattendo ancora una guerra novecentesca, dove si scommette su numero soverchiante di mezzi di terra, e di soldati, una sorta di riedizione della battaglia di Kursk nell'epoca delle tecnologie.
Il mito della ex Armata Rossa sta cedendo all'immagine dì una armata rotta, i cui soldati saccheggiano supermercati e si perdono nei boschi. L'ex ministro degli Esteri russo Andrey Kozyrev non si stupisce: «La maggior parte del budget militare russo è stata rubata è trasformata in mega yacht a Cipro. Ma i consiglieri militari non potevano dirlo al presidente». Già qualche anno fa la procura militare russa aveva parlato di un quinto dei finanziamenti finiti in corruzione.
Sono i "militari Potiomkin", come li chiama Kozyrev, che hanno mostrato a Putin per anni prototipi di armi potenti, fino a che non gli ha chiesto di usarli in una guerra vera. Una guerra di una portata che la Russia non aveva sperimentato dal 1945: oltre alla disastrosa avventura in Afghanistan, Mosca ha perso la prima guerra cecena, ha "vinto" la seconda dopo anni di bombardamenti, e in Siria ha impiegato tre anni a piegare un nemico sprovvisto di aviazione. Nel Donbass, nel 2014, l'esercito russo era stato costretto a fermarsi, e molti esperti militari russi avvertivano già all'epoca che, escluse alcune divisioni aviotrasportate, ben addestrate ed equipaggiate, il grosso dell'esercito era ancora molto sovietico, cioè povero, arretrato e disorganizzato.
Il risultato è che in una settimana sono caduti sul fronte ucraino già tre general-maggiori russi, comandanti di ranghi che raramente vengono uccisi sul campo di battaglia. La chiamata alle armi di volontari siriani e non meglio identificati soldati della Repubblica centroafricana potrebbe essere propaganda per mostrare la solidarietà internazionale con Mosca.
Ma il vero segnale inquietante giunge dal gruppo Wagner, che annuncia un reclutamento «senza filtri» per tutti i mercenari scartati in precedenza: secondo la BBC, l'invito ai tagliagole dì «andare a mangiare il lardo», tipica specialità Ucraina, è un segno che i soldati del Cremlino non bastano più.
Gian Micalessin per “il Giornale” l'11 marzo 2022.
«Chiederemo all'esercito di dare informazioni». Le parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, risuonate dopo il disgraziato bombardamento della maternità di Mariupol non lasciano dubbi. A Mosca tira aria di tempesta.
La decantata macchina militare «ibrida» del ministro della difesa Sergej Sojgu e dal Capo di stato maggiore Valery Gerasimov non sembra più girare al meglio. Lo dimostrano le cantonate strategiche, con conseguenti perdite di uomini e mezzi, inanellate nei primi quindici giorni di campagna ucraina.
Errori inaccettabili alla luce degli oltre 1.400 miliardi di euro investiti nell'ultimo decennio per ammodernare l'inadeguato esercito ereditato dall'Unione Sovietica. Prendiamo l'aviazione. Dove sono finiti i 440 aerei da combattimento messi in linea tra il 2009 e il 2020 fondamentali per annientare i centri di comando e comunicazione ucraini? Fin qui non si sono praticamente visti.
I moderni bombardieri
Su 34 sono stati avvistati solo nei cieli di Kharkiv, distante appena 40 chilometri dal confine russo. Il tutto mentre i 700 missili impiegati contro installazioni radar, aeroporti e centri di comunicazione sembrano aver mancato gli obbiettivi.
Un insuccesso che ha permesso alle anti-aeree di Kiev, rimaste in gran parte operative, di abbattere, si dice, almeno quattro Su 34. Ai caccia Su 30 e Su 35 e agli elicotteri Mi 28, equivalenti in teoria agli Apache americani, non sta andando meglio.
Quando vengono impiegati per difendere le lunghe colonne di mezzi russi dispiegate sul terreno finiscono troppo spesso nel collimatore degli Stinger americani, i missili anti aerei a spalla che già negli anni '80, in Afghanistan, facevano strage di velivoli russi.
Ma il disgraziato bombardamento di Mariupol riserva anche altre domande. La principale riguarda il mancato ricorso alle bombe intelligenti. A differenza di quanto avvenuto in Siria l'aviazione di Mosca sta ricorrendo quasi esclusivamente alle antiquate bombe gravitazionali.
Una scelta che, oltre a moltiplicare il rischio di colpire obbiettivi civili, costringe i piloti a sganciare a bassa quota esponendosi ai missili Stinger. Il limitato impiego dell'aviazione e dei droni rende, tra l'altro, ancor più vulnerabili le colonne di carri armati e blindati russi.
Affidate a personale di leva scarsamente motivato, poco esperto e incapace di reagire agli assalti, le colonne sono un facile bersaglio per le unità ucraine pronte a martellarle ai fianchi e nelle retrovie grazie ai missili anticarro Javelin forniti da Stati Uniti e Gran Bretagna.
E a rendere più lento e vulnerabile questo mastodontico dispositivo militare s'aggiungono inadeguatezze logistiche e usura dei mezzi. La colonna lunga sessanta chilometri ferma alla periferia di Kiev si ritrova, di fatto, intrappolata in un gigantesco ingorgo causato dai mezzi paralizzati da guasti meccanici o bloccati, più banalmente, da fango e mancanza di carburante.
In quel girone infernale sono prigionieri oltre 15mila soldati alla mercé dei Bayraktar TB-2 i micidiali droni venduti a Kiev dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan. E a rendere la situazione più tragica s'aggiungono le temperature scese, da ieri, a meno venti.
Uno scenario da incubo per un'armata priva di alloggiamenti e di pasti caldi, ma esposta a continui attacchi. E a far montare la rabbia del Cremlino s'aggiungono le ingenti perdite. L'uccisione di 12mila russi rivendicata da Kiev è sicuramente una smisurata esagerazione. Tuttavia anche i 498 caduti, ammessi una settimana fa da Mosca, rappresentano soltanto parte di un bilancio stimato ormai intorno alle 2mila unità.
Una cifra da incubo se paragonata ai 15mila uomini persi in 10 anni di Afghanistan dall'Armata Rossa. Ma il segnale peggiore è forse l'uccisione del generale a due stelle Andrei Sukhovetsky.
Una morte seguita, una settimana dopo, da quella del generale di pari rango Valery Gerasimov. Due caduti di alto rango che segnalano come la confusione del fronte costringa i comandanti a spingersi in prima linea per governare un'offensiva destinata, altrimenti, a naufragare nel caos.
Ecco chi è Andrey Kolesnikov, il terzo generale russo che gli ucraini avrebbero ucciso. La Stampa l'11 marzo 2022.
Un terzo maggior generale russo è stato ucciso in Ucraina. Lo affermano funzionari occidentali citati dal Guardian, secondo cui i generali impiegati per guidare le truppe nel conflitto sono circa 20. Stando alle forze armate di Kiev, si tratta del generale Andrey Kolesnikov. Secondo i funzionari citati dal quotidiano britannico, si tratta di una cifra sorprendentemente alta di generali schierati vicino alla linea del fronte e potrebbe indicare che «le truppe non sono in grado di prendere decisioni da sole e non hanno consapevolezza della situazione». Nel 2021 Kolesnikov è diventato il comandante della 29esima armata del distretto militare orientale. In precedenza ha servito come capo di stato maggiore dell'esercito. Kolesnikov sarebbe il terzo alto militare russo ucciso nel conflitto dopo il generale Andrey Aleksandrovich Sukhovetsky e il comandante della 41esima armata Vitalij Petrovič Gerasimov. «L'eliminazione dei leader militari sul campo sta diventando davvero catastrofica per la Russia», scrive su Twitter ul reporter di guerra ucraino Ilia Ponomarenko, che per primo ha rilanciato la notizia.
Anna Guaita per “Il Messaggero” il 9 marzo 2022.
«Scusi se disturbo...». Una voce rotta dal pianto arriva fievole da una lontana provincia della Russia. A Kiev, nel cuore dell'Ucraina dilaniata, le risponde un'altra voce femminile, con un tono quasi materno. In quelle due voci che dialogano con dolcezza, tutte e due con il pianto a mala pena trattenuto, si riassume la follia di questa guerra.
La voce che chiama è quella di una donna russa che non riesce più ad avere notizie del marito, partito per la guerra credendo di andare a fare esercitazioni militari. La voce che le risponde è di una volontaria ucraina che aiuta le russe a trovare informazioni sui loro cari: «Quando gli ha parlato l'ultima volta? E dov'era suo marito?».
L'iniziativa è stata voluta dal presidente Zelensky, come gesto di buona volontà nei confronti delle mamme in Russia. La linea verde si chiama «Trova il tuo caro» ed è stata annunciata sui social, poi il passaparola ha fatto il resto.
Migliaia di telefonate sono arrivate al numero di Kiev, voci di madri, nonne, mogli, fidanzate, sorelle. Talvolta sono i padri a parlare: «Stanno usando i nostri figli come carne da cannone», si è sfogato il papà di un povero ragazzo di campagna, soldato di leva.
E non mancano le telefonate da altri Paesi, come lo zio che ha chiamato dagli Usa quando la sorella, mamma di un giovane soldato al fronte, gli ha spiegato che aveva paura di telefonare: «Tutti hanno paura in Russia - dice l'uomo che chiama dagli Usa -. Sono tutti controllati. Ci provo io allora. Ogni cosa ci fa pensare che Nikolai sia morto, ma se fosse possibile vorremmo ritrovarne il corpo».
Oramai i morti sono tanti. Il Cremlino dice che sono solo 498, gli ucraini sostengono che si arriva addirittura a 11 mila, il Pentagono ieri ha calcolato che siano un numero imprecisato fra 2 e 4 mila.
I primi funerali di giovani caduti nella guerra in Ucraina fanno la loro comparsa sui social e non c'è censura che tenga. Le foto di lunghe file di auto dietro il feretro di un soldato spingono le mamme russe a cercare notizie dei propri figli.
Una ha provato a contattare la caserma del figlio: «Mi hanno risposto che era a fare esercitazioni al confine con l'Ucraina. Ho risposto che era impossibile, perché nell'ultimo messaggio diceva che si stava muovendo dalla Bielorussia verso l'interno dell'Ucraina. Mi hanno attaccato il telefono in faccia».
Gli ucraini hanno anche stampato volantini per incoraggiare i soldati russi ad arrendersi pacificamente, le foto e i video apparsi sulla pagina Facebook del ministero della Difesa di Kiev mostrano numerosi soldati di Mosca prigionieri di guerra.
Sono quasi tutti soldati di leva giovanissimi, con un'aria molto poco bellicosa. Ha fatto il giro del mondo il video di un ragazzo che accetta un tè caldo da una madre ucraina e usa il telefono della donna per avvertire la famiglia in Russia che è vivo e sta bene.
Non è detto che questa disposizione umanitaria verso il nemico sia solo dettata da un cuore d'oro: il telefono amico, i volantini e le immagini con il tè aiutano l'Ucraina a vincere la guerra dell'informazione e a conquistare la simpatia del mondo.
La Russia non ha simili immagini da condividere e anzi una nuova legge di censura vieta a chiunque di commentare la guerra se non secondo la linea ufficiale del Cremlino. E quel che dicono le mamme e i familiari che trovano il coraggio di chiamare la linea di Kiev non echeggia la propaganda di Putin: «Non volevamo questa guerra, glielo giuro», piange un'altra madre disperata. «Lo so, le credo - risponde la voce amica, anch'essa in lacrime -. Ma non sapete che distruzione avete portato nel nostro Paese».
Vladimir Putin vieta i funerali per le vittime russe, "usate forni crematori portatili": le ragioni dell'orrore. Renato Farina su Libero Quotidiano il 09 marzo 2022
Questo che propongo è un esercizio pericoloso. Può essere fatto passare per intelligenza con il nemico, per una forma di assoluzione degli aggressori. Ma non posso farci niente. È consentito avere pietà, guardare con pena e compassione i soldati russi morti? Certo erano pedine di un piano criminale. Ma questo ci autorizza a buttarli fuori dal recinto del rispetto che si deve a chi fa parte di un esercito nemico del bene e della civiltà? Dico di no.
Lo dico adesso, tardivamente, perché la paura di una guerra che ci coinvolgesse, l'evidenza di chi fosse il predatore e chi la preda, rendeva esecrabile ai miei stessi occhi, nel pieno di una ondata sacrosanta di indignazione, qualsiasi forma di commozione per "i cattivi". Impossibile davanti al terribile filmato della mamma e del bambino carbonizzati da un missile russo, e a quello di donne con i fagotti e le valige, i cui bambini tiravano loro la gonna perché il papà restava. Accanto a questi, che chiamava il nostro pianto, ne è circolato un altro. Ma è sparito subito, per impedire la confusione dei sentimenti, di quelli consentiti e di quelli vietati in guerra, in cui - piaccia o no - anche noi siamo coinvolti.
Nelle prime ore dell'invasione il cellulare di un combattente ucraino ha registrato e diffuso sul web la scena di una vittoria del debole contro il forte. Alcuni cadaveri di soldati russi giacevano presso il loro carro armato fatto saltare per aria, corpi disarticolati, carne senz' anima, nessun lenzuolo che li coprisse, mentre si odono le voci dei loro nemici che li scherniscono. La guerra è così. Fa schifo. Probabilmente quei soldati russi non sapevano neppure dove fossero. Un ordine e si parte, direzione Sud, si va a impedire il massacro dei russi del Donbass. Questo forse - o neanche - gli deve esser stato detto. E chi avesse il diritto di ammazzarli è chiaro da quale parte stesse. Tardivamente lo dico e mi accuso. Quei militari dell'Armata Rossa meritano anch' essi un segno di croce, un istante di silenzio, o il classico R.I.P dei social. Ovvio. Sarebbe una pretesa ridicola pretendere la pietà per il nemico da chi se l'è visto venire addosso con il cannone puntato.
Ma è qualcosa che a noi tocca, pena la rinuncia all'umano che dovrebbe essere il fondamento dei famosi valori dell'Occidente illuminista e cristiano. È un esercizio ammesso solo in privato, nel segreto della stanza e dei propri pensieri notturni. Ma in pubblico è un tabù, non si fa, ti fa iscrivere sull'elenco dei putiniani o peggio ancora dei buonisti, per cui anche il male va cosparso di fiori. Ma no, non il male, ma quelli che sono coinvolti in una guerra, qualsiasi essa sia. Ci sono anche i cimiteri degli sconfitti, non li ricorda nessuno. I soldati non sono colpevoli di essere dalla parte sbagliata della storia o semplicemente da quella perdente. Ho in mente i nostri alpini, eroici, ma invasori alleati dei nazisti, non bisogna essere nazionalisti nella pietà per i disgraziati chiamati a far la guerra. Quanti sono i morti sul campo di questo conflitto? L'Onu parla di 1200 ucraini, tra cui 27 bambini. Non si sa quanti di questi siano militari o civili. Il presidente Zelensky ha ordinato con tracotanza a tutti i cittadini di armarsi e difendersi, di fatto indicendo una «guerra di popolo». Tutti soldati, e questo rende difficile e un po' ipocrita la distinzione (non quella tra l'aggressore e l'aggredito, ovvio). In compenso i soldati russi morti sono secondo Kiev circa 12mila. Il Pentagono ridimensiona le perdite a 4mila al massimo.
Ma questi poveri soldati russi morti non hanno il diritto a un nome nella loro Redipuglia, hanno ricevuto l'ordine dal Cremlino di non esistere. Infatti Putin non ha dichiarato guerra a un altro Stato, ma ha ordinato un'operazione speciale dentro un'unica nazione russo-ucraina. Dunque non valgono le regole antiche. Secondo una legge approvata dalla Duma nel 2015, chi muore non ha diritto all'onore pubblico e neppure al fiore della mamma e della fidanzata. L'intelligence britannica ha fatto trasmettere sui siti il filmato di forni crematori tascabili, perfettamente mimetizzati come camion frammezzo alle colonne di carri armati e mezzi blindati. Alzi la tendina però, e vede questa specie di grossa botte d'acciaio capace di contenere un cadavere e trasformarlo in cenere. Le immagini sono datate 2013, ma il ministro della Difesa Ben Wallace al Daily Telegraph conferma che il sistema funziona ancora: «Se fossi madre o padre di un figlio soldato, e il mio governo pensasse che il modo per coprire le perdite sia un forno per bruciarlo, sarei profondamente preoccupato». Tu non esisti come persona.
In un capitolo di "Imperium", il libro nel quale Ryszard Kapucinski (1932-2007) ha raccontato lo sfaldarsi dell'Urss, appare un esercito invincibile. Era fatto dalle madri dei soldati mai tornati dall'Afghanistan, si ostinavano a tenere in vista, qualunque generale o ministro passasse, la foto del figlio così bello, con quegli occhi azzurri: «Dov' è? Ditemi almeno dov' è la sua tomba!». Non contò poco questa sollevazione della madri a distruggere la credibilità dei comunisti nell'Urss, con il triplice funerale in sequenza: Breznev-Cernenko-Andropov. Morire sì, ma togliere la tomba, seminare le ceneri senza avvertire dove, facendo firmare alle madri, previo indennizzo, l'impegno di tacere, non lo meritano neppure i soldati dello Zar. Da come sono trattati i morti si capisce la differenza tra barbarie e umanesimo. Facciamoli almeno esistere noi questi poveri morti che non dovevano morire nella follia della guerra.
Il dolore delle famiglie. La Russia vieta i funerali dei soldati morti in Ucraina, l’ultima censura di Putin: “Non vogliono scatenare il panico”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 9 Marzo 2022.
Se una guerra ufficialmente non c’è, dato che dall’inizio del conflitto in Ucraina dal Cremlino si parla esclusivamente di una “operazione militare speciale”, perché svolgere funerali ai soldati morti in battaglia?
È il paradosso russo, dove i funerali dei militari morti durante la guerra che sulla carta è tesa a difendere le popolazioni russofone del Donbass e a “denazificare” l’Ucraina, sono vietati dal governo.
“Ci hanno detto che non avremo il corpo del nostro caro indietro finché tutto non sarà finito”, ha confidato una donna alla Novaja Gazeta, uno dei pochi giornali indipendenti russi, che ha dovuto rinunciare agli articoli riguardanti la guerra per il timore del carcere per i propri giornalisti.
Lyudmila, la donna che parla col quotidiano russo, spiega infatti che la tomba del figlio Maxim, soldato di leva 22enne morto in battaglia il 24 febbraio scorso, è vuota perché il governo “non vuole scatenare il panico”.
Una possibilità, quella di impedire i funerali dei militari morti in battaglia, che nasce proprio dal mancato riconoscimento da parte del Cremlino della guerra in Ucraina. Come conseguenza il governo può applicare un decreto sulla secretazione delle perdite nei combattimenti in tempo di pace, che è stato legittimato nel 2015 dalla Corte suprema russa.
In questo modo vengono di fatto nascosti all’opinione pubblica i morti provocati dal conflitto, ulteriore modo per ‘silenziare’ le poche voci contrarie al regime di Vladimir Putin, che d’altra parte ha già “messo la mordacchia” alla libera informazione con leggi che prevedono fino a 15 anni di carcere per chi prova solamente a scrivere o parlare di “invasione” in Ucraina.
La storia di Maxim, il figlio di Lyudmila caduto in guerra, è simile a quella di tanti altri giovani che all’improvviso si sono ritrovati in prima linea nella guerra in Ucraina.
Il 22enne aveva parlato con la famiglia il 23 febbraio, il giorno prima di morire nei combattimenti. “Siamo qui per delle esercitazioni, appena mi ridanno un telefono ti chiamo“, aveva promesso a sua madre. “Non potevamo nemmeno immaginare che un soldato di leva sarebbe stato inviato lì. Ha tenuto la mitragliatrice in mano due volte!”, accusa oggi la madre. Una denuncia che è simile da parte di tanti genitori che hanno perso i propri figli, mandati in guerra senza esperienza e senza essere a conoscenza delle reali intenzioni dello Zar Vladimir Putin.
Soltanto oggi, dopo due settimane di combattimenti, il ministero della Difesa della Federazione Russa ha riconosciuto ufficialmente la partecipazione dei soldati di leva alla guerra in Ucraina, smentendo così lo stesso Putin che solo pochi giorni fa lo aveva negato pubblicamente.
“Purtroppo, sono stati scoperti diversi soldati di leva nelle unità delle forze armate russe che partecipano a un’operazione militare speciale sul territorio dell’Ucraina. Quasi tutti sono già stati riportati nel territorio della Russia“, ha spiegato il Ministero della Difesa russo, che ha sottolineato come “si stanno adottando misure esaustive” per impedire l’invio di ulteriori soldati di leva nelle aree di combattimento.
Quanto ai numeri del fronte, anche se di difficile verifica, restano drammatici: per il direttore della Defence Intelligence Agency americana, Scott Berrier, i soldati russi caduti in Russia sarebbero “2mila o 4 mila”, numero che sale a 12mila per lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine. Ben più basso il numero fornito dalla Difesa russa, che parla di 498 vittime.
Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.
Sergej Shojgu fatto fuori, le indiscrezioni-choc sul generale: perché cala la mannaia di Vladimir Putin. Libero Quotidiano il 10 marzo 2022.
Vladimir Putin sta mandando al fronte pure i ragazzini di leva, nonostante le assicurazioni alle famiglie che non lo avrebbe fatto. Una bugia che, con l'andamento disastroso della campagna in Ucraina, potrebbe portare presto alla caduta di teste nell'entourage del presidente. Ieri rimbalzava su account Twitter baltici con contatti in Russia la voce che starebbe per cadere la testa del potente ministro della Difesa, Sergej Kuzhugetovi Shojgu,fautore dell'invasione e della svolta dittatoriale di Putin.
Sarebbe lui il capro espiatorio per il disastro. La menzogna sui ragazzi di leva è stata scoperta perché un certo numero di coscritti russi sono stati catturati dagli ucraini. Lo ha ammesso proprio il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, dopo che due giorni fa il presidente Vladimir Putin aveva assicurato che in Ucraina «non combattono e non combatteranno» né riservisti, né militari di leva. Solo professionisti.
E invece... «Purtroppo, sono stati scoperti diversi fatti sulla presenza di coscritti nelle unità delle Forze armate russe che partecipano all'operazione militare speciale sul territorio dell'Ucraina (come Mosca chiama la guerra nel Paese vicino, ndr). Quasi tutti questi militari sono già stati riportati in territorio russo», ha detto Konashenkov durante un briefing. Subito il Cremlino ha fatto ricorso allo scaricabarle: su istruzione del presidente Putin, la Procura generale militare «verificherà e valuterà le azioni legali da intraprendere per punire i funzionari responsabili dell'invio in Ucraina di soldati di leva», ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. In Russia il servizio militare è obbligatorio e dura dodici mesi. Putin ha dichiarato di volerlo abolire ma si è limitato per ora a ridurne la durata. Due giorni fa, il presidente aveva escluso l'impiego di soldati di leva.
«Prima dell'inizio dell'operazione militare speciale, su istruzione del presidente Vladimir Putin, tutti i comandanti delle unità delle Forze armate sono stati incaricati di escludere categoricamente il coinvolgimento di coscritti per svolgere qualsiasi compito sul territorio dell'Ucraina», ha ricordato Peskov.
L’uomo dei disastri. Chi è Sergej Šojgu, l’ingegnere che ha pianificato l’invasione russa in Ucraina. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 10 marzo 2022.
È laureato in ingegneria civile, ha costruito la sua carriera politica negli anni ‘90 ed è uno dei siloviki più vicini al capo del Cremlino. Il ministro della Difesa non ha una vera formazione militare, ma la sua carriera è segnata da successi importanti in Crimea e in Siria
Nelle prime due settimane dall’inizio dell’invasione l’esercito russo non è riuscito a sbaragliare le difese ucraine. Nonostante la differenza tra le forze militari di Mosca e Kiev, l’invasore ha trovato sulla sua strada una resistenza validissima che ne ha fermato l’avanzata. E non solo: come avevamo raccontato nei giorni scorsi, la potenza militare russa è limitata da problemi e contraddizioni – come la dipendenza dai semiconduttori stranieri e le difficoltà finanziarie – che la rendono meno temibile.
L’intera offensiva russa, però, da un punto di vista interno rappresenta una vittoria per l’esercito russo: il Cremlino ha affidato i suoi piani d’attacco al comparto militare anziché al Servizio di sicurezza federale (Fsb), l’agenzia di sicurezza e spionaggio russa erede del Kgb.
«Fino a poco tempo fa l’esercito non era coinvolto nel processo decisionale russo ed era subordinato ai servizi di sicurezza, dai cui ranghi proveniva lo stesso Putin. Ma negli ultimi anni l’esercito ha assunto una nuova importanza, anche a livello politico», scrive Foreign Affairs, indicando un radicale cambiamento nella gerarchia della sicurezza russa.
A guidare questa transizione è stato uno dei membri più ambiziosi della cerchia ristretta di Vladimir Putin: Sergej Kužugetovič Šojgu, ministro della Difesa dal 2012.
Šojgu è nato il 21 maggio 1955 a Čadan, in Siberia, nella repubblica buddista di Tuva, territorio che confina con la Mongolia. Dopo una laurea in ingegneria civile è entrato nel settore delle grandi costruzioni e all’inizio degli anni Novanta ha ottenuto il primo grande incarico pubblico: la vicedirezione del Comitato di architettura e costruzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Šojgu è diventato capo del ministero delle Situazioni di emergenza – una posizione nata proprio per inquadrare lui –, che si occupa soprattutto di persone e territori colpiti dai disastri naturali.
Il suo successo viene notato da Putin, che nel 1999 lo sceglie tra i leader del suo partito, Russia Unita: a quel punto, per Putin, Šojgu un volto spendibile a livello nazionale per alimentare la narrazione populista che cerca.
Da quel momento in poi, l’attuale ministro della Difesa diventa uno dei più affidabili nella cerchia ristretta del presidente. «Oggi Putin e Šojgu fanno regolarmente brevi batture di caccia e pesca in Siberia, dove possono dialogare su qualsiasi argomento. In questo momento, c’è solo un membro del gabinetto che fa parte del Politburo 2.0: questo è Šojgu», scriveva il Guardian a inizio febbraio.
Più sorprendente è stata la decisione di Putin nel 2012 di nominare Šojgu ministro della Difesa, dal momento che questi non aveva mai prestato servizio nell’esercito e non aveva una reputazione nella gerarchia militare.
Ma i risultati sono giudicati, da tutti, Putin per primo, molto soddisfacenti. «Šojgu è sempre pronto alla battaglia, ha provato a modernizzare l’esercito, ha anche aumentato gli stipendi per il corpo degli ufficiali. Allo stesso tempo, ha reso quasi impossibile per i giovani russi evitare il servizio militare», si legge su Foreign Affairs.
Due successi militari hanno cementato la reputazione di Šojgu ad altissimo livello. Il primo è l’invasione della Crimea del 2014, una delle cause all’origine dell’attuale conflitto in Ucraina. Il secondo è arrivato subito dopo, con la guerra civile siriana. L’esercito del dittatore siriano Bashar al-Assad, alleato del Cremlino, era in enorme difficoltà contro i ribelli, e solo l’intervento decisivo dell’esercito russo nel settembre 2015 ha permesso al dittatore mediorientale di conservare la sua posizione. Tra l’altro si è trattato di un successo a un costo relativamente molto basso per le truppe russe.
Nell’ultimo anno, quando Putin ha iniziato a pianificare la sua campagna in Ucraina, è stato chiaro fin da subito che non avrebbe considerato la Fsb per guidare l’avanzata. L’enorme dispiegamento di truppe al confine ucraino, durato diverse settimane, dimostra la forza e la considerazione politica di Šojgu in questo momento alla corte di Putin – anche se questo non gli è risparmiato quel senso di instabilità che accompagna tutti i rappresentanti delle istituzioni del Paese: se l’autocrate dovesse cambiare idea, anche Šojgu salterebbe, su questo non c’è dubbio.
Intanto però il ministro della Difesa procede alla sua maniera, distinguendosi anche dagli altri siloviki. Lo si è visto ad esempio nella riunione del Consiglio di Sicurezza che ha preceduto l’inizio dell’invasione: mentre tutti gli altri si sono limitati a dire che, ovviamente, erano d’accordo con Putin nell’approvare il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste – qualcuno tremando di paura, come il capo dei servizi segreti Sergej Naryškin – Šojgu è andato oltre, arrivando ad accusare Kiev di voler diventare una potenza nucleare. «In Ucraina ci sono più tecnologie, specialisti e capacità produttive che in Iran e nella Corea del Nord», ha detto.
A proposito di nucleare: Šojgu è l’uomo che ha tra le mani uno dei codici nucleari necessari per lanciare i razzi atomici russi. La prima chiave è ovviamente nelle mani del presidente, le altre due valigette sono in dotazione al capo di stato maggiore interforze Gerasimov e allo stesso ministro della Difesa.
Prima dell’invasione dell’Ucraina, un attacco su larga scala sembrava improbabile, per più di un motivo: lo schieramento di truppe aveva fatto perdere del tutto l’effetto sorpresa; la reazione del mondo occidentale sarebbe (ed è) stata immediata; i problemi interni della Russia sarebbero (e sono) stati un fattore. Ma il nuovo peso dell’esercito nella politica del Cremlino e il credito guadagnato negli anni da Šojgu devono aver convinto Putin a fare la mossa più azzardata.
«Ora che l’assalto è in corso – scrive Foreign Affairs – la campagna militare è guidata da un capo che non vedeva l’ora di fare la guerra, un uomo che finora ha avuto solo successi e che non ha un l’addestramento militare adeguato per capire che anche una vittoria sul campo di battaglia a volte può portare a una sconfitta politica ancora più grande».
Alberto Simoni per “la Stampa” il 6 marzo 2022.
«Putin contava su una guerra breve, pensava di raggiungere il suo obiettivo rapidamente ma ha sovrastimato il suo esercito e soprattutto sottostimato la resistenza ucraina. Quindi ora è costretto a cambiare strategia perché la catena logistica russa non è stata ben allestita».
Il generale Philip M. Breedlove è stato il comandante delle forze Nato in Europa durante il conflitto nel Donbass e l'annessione della Crimea del 2014 e conosce il modo di pensare dei russi e le loro tattiche come pochi.
Generale, quando dice cambio di strategia cosa intende?
«Gli ultimi movimenti e i bombardamenti con missili su infrastrutture civili ci riportano a quanto i russi hanno fatto in Cecenia e nel deserto orientale siriano».
Sta dicendo che Kiev rischia di essere azzerata come Grozny?
«In Cecenia Putin mandò migliaia di uomini e mezzi militari a radere al suolo la città. Quello che vediamo adesso è che da giorni - e lo ha detto anche il segretario di Stato Blinken - ci sono attacchi brutali contro i civili. Come fu in Cecenia appunto e in Siria. Quando Mosca vuole chiudere una questione, bersaglia i civili in modo indiscriminato».
Sono crimini di guerra per i quali c'è la Corte di giustizia internazionale
«Io credo che Putin meriterebbe di finire davanti a un tribunale del genere, ma se le nazioni un domani avranno la forza di portare avanti una causa contro Putin, non lo so. Io sono un pilota dell'Air Force non un giurista. Comunque, ora è prematuro».
Mosca invierà altri mercenari, 1000 pare, sul terreno di guerra che si aggiungeranno a ceceni e alla compagnia Wagner. Cosa significa?
«Non ho informazioni dirette ma se è così questo rientra nella strategia di alzare il livello degli scontri, di portarli a un livello di violenza e brutalità terrificante. E l'obiettivo diventano i civili. Quel che han fatto in passato le brigate di ceceni non lo scopriamo certo adesso, ci sono montagne di documenti».
Cosa può fare la Nato se la guerra dovesse degenerare ulteriormente?
«Dobbiamo continuare a fare quel che si facendo ora, far arrivare più armi possibili agli ucraini. Poi l'Alleanza deve rafforzare le sue frontiere, difendere i propri spazi in maniera forte e mandare messaggi di compattezza e unità alla Russia».
Questo però non cambia quel che succede sul campo di battaglia, ovvero nella pianura ucraina non trova?
«La resistenza ucraina si sta battendo bene grazie all'addestramento americano e alle armi che gli alleati hanno consegnato e continuano tutt' ora a far arrivare».
Si può fare qualcos' altro senza arrivare alle no fly zone ormai fuori dal ventaglio delle opzioni?
«Serve istituire delle no-fly zone umanitarie, fasce di cielo e di terra dove i velivoli possono portare medicinali, cibo, materiale vario dove è necessario. E nel contempo aiutare i feriti e le persone più deboli e senza protezioni a uscire dal Paese».
Putin accetterebbe questa idea? Non potrebbe considerarla un atto di guerra alla stregua delle sanzioni e degli armamenti occidentali a Kiev?
«Ha bombardato la gente durante il cessate il fuoco, sparato sui corridoi umanitari, la tregua ieri è durata un attimo. Non mi aspetto cedimenti, ma bisogna lavorare per evitare una crisi umanitaria - già in corso - di proporzioni immani».
Siamo arrivati al decimo giorno di scontri e gli ucraini resistono in modo inaspettato. Come sono organizzati?
«Anzitutto più che l'aspetto tattico, ce ne è uno diciamo così morale che conta quasi di più: la loro prima risorsa sono lo spirito, la volontà e la determinazione di combattere. Non tutti avrebbero scommesso su questo. A partire da Putin che pensava gli ucraini avrebbero accolto a braccia aperte i suoi soldati e ora invece si trova a fronteggiare una nazione intera che non vuole essere russa ed è fieramente ucraina».
Alla volontà bisogna dare un po' di concretezza. Come hanno fatto a bloccare il convoglio che si stava dirigendo verso Kiev?
«Anzitutto non tutta l'aviazione è stata distrutta. Il Pentagono continua a dire che i cieli sono "contesi", significa che i russi non sono riusciti a imporre la loro superiorità. Poi gli ucraini sono stati abili a usare missili anti-tank e anti-aerei come gli Stinger che hanno rallentato se non bloccato i russi in alcune zone. Sono stati addestrati dagli americani e dagli alleati, d'altronde sono anni che nella base di Yavoriv, cinquanta chilometri a Ovest di Leopoli, Nato e ucraini collaborano e tengono esercitazioni congiunte».
Quanto potrà resistere l'Ucraina?
«Non voglio fare previsioni, quando si va in guerra ci sono scenari studiati a tavolino che poi si ribaltano. Però bisogna essere realisti: se la resistenza ucraina finora è stata efficace e ha avuto successo, Putin ha ammassato tantissime truppe e ha molte forze - dai soldati ai mezzi militari alle apparecchiature - cui attingere per spostare le sorti del conflitto».
DAGONEWS il 7 marzo 2022.
Un comandante russo fatto prigioniero in Ucraina ha chiesto "misericordia" per le forze di Putin, dicendo che sono state indotte a invadere con l'inganno nella falsa convinzione che il governo fosse stato rovesciato dai nazisti e che il Paese avesse bisogno di essere liberato.
L'uomo, che ha raccontato di essere un tenente colonnello, ha detto che i suoi connazionali sono stati sottoposti al "lavaggio del cervello" per sostenere la guerra ma, avendo visto di persona la situazione in Ucraina, ora si “vergogna" di aver preso parte a un "genocidio".
Astakhov Dmitry Mikhailovich ha detto che i suoi dubbi sono aumentati quando ha visto due dei suoi pugili preferiti - Oleksandr Usyk e Vasiliy Lomachenko - accettare di combattere per la resistenza: «Ragazzi, siate coraggiosi. Questo è un genocidio, le persone vengono semplicemente uccise. Mi vergogno di essere venuto in questo Paese, in questo territorio, il territorio dell'Ucraina. I russi a casa non hanno idea della realtà della guerra».
Mikhailovich ha chiesto un rilascio sicuro per i prigionieri in modo che, al loro ritorno in Russia, possano spiegare la vera situazione ai loro connazionali.
Ovviamente, trattandosi di prigionieri, non si sa se le dichiarazioni siano state rese in maniera libera o sotto costrizione. L’unica certezza è che diversi soldati catturati in Ucraina hanno raccontato la stessa versione.
Gerasimov, la morte del generale e l’auto-sabotaggio dei russi del loro sistema criptato di comunicazioni. Paolo Ottolina su Il Corriere della Sera il 9 Marzo 2022.
Che cos’è il sistema Era citato nelle intercettazioni ucraine sull’alto ufficiale ucciso a Kharkiv, da dove salta fuori e com’è possibile che i servizi segreti di Mosca facciano telefonate su una linea “civile” non protetta.
La morte del generale russo Vitaly Gerasimov, capo di stato maggiore della 41esima armata, è un piccolo mistero nella più ampia tragedia della guerra d’invasione in Ucraina. Com’è possibile che i militari russi utilizzino comunicazioni non criptate in territorio nemico, al punto da mettere a rischio le operazioni in corso e da svelare la perdita sul campo di un capo d’armata? E tutto è accaduto proprio per un clamoroso errore degli stessi russi, che per annientare la capacità di comunicazione ucraina hanno fatto terra bruciata anche dei propri sistemi sicuri?
Facciamo un passo indietro.
La morte di Gerasimov è stata confermata, con doppia fonte, dai reporter e “fact cheker” di Bellingcat e in particolare, su Twitter, dal direttore esecutivo Christo Grozev, più volte premiato negli anni scorsi per i suoi lavori di giornalismo investigativo. Secondo quanto rivelato da Grozev, la notizia è uscita perché è trapelata una telefonata di un ufficiale dell’Fsb (i servizi segreti russi) aggregato alla 41esima armata. Questi ha chiamato il suo capo, individuato come Dmitry Shevchenko, nella città di Tula, affermando che «sono state perse tutte le comunicazioni sicure». Da cui una chiamata usando una banale Sim card locale. E di conseguenza ecco l’intercettazione da parte dei servizi ucraini, con Grozev che ne viene in possesso e la divulga, previa ulteriore verifica.
Nella chiamata tra i due ufficiali dei servizi russi, oltre alla morte del generale, si menziona il “sistema Era” per le chiamate sicure. Da Tula, il più alto in grado dice che «Era non funziona».
Nei film di guerra e di spionaggio siamo abituati a vedere personaggi che dicono «Apriamo una linea sicura» oppure chiedono «Questa linea è protetta?». Sulle difficoltà della macchina militare russa in Ucraina sono stati pubblicati molti articoli, anche se alcuni esperti sottolineano come la propaganda di Kiev abbia fatto bene il suo lavoro ingigantendo i problemi del nemico. Tuttavia, lascia a bocca aperta pensare a uomini dei servizi costretti a chiamare su una linea civile, tanto più per parlare di notizie estremamente riservate come la morte di un alto ufficiale.
Ma che cos’è il sistema Era e com’è possibile che non abbia funzionato?
Parlare di “sistema Era” rimanda al polo tecnologico Era, costituito a partire dal 2018 nella città russa di Anapa, sul Mar Nero. Si tratta di una vera e propria cittadella della scienza, un campus di laboratori e centri di ricerca che accoglie una “banca delle idee”: oltre 100 imprese del complesso militare-industriale che lavorano su progetti congiunti e che coinvolge a vario titolo nomi quali Kalashnikov (che non è solo un celebre fucile d’assalto ma è tuttora il più grande produttore russo di armi leggere, proiettili di artiglieria guidati e armi di alta precisione), Sukhoi (aerei) o Sozvezdie (sistemi di guerra elettronica e contromisure elettroniche).
I temi su cui è specializzato il centro Era sono quelli legati alla ricerca avanzata, in particolare in 14 campi che spaziano dalla robotica alle biotecnologie, dai nanomateriali alle armi innovative basate su “nuovi principi fisici”. E nell’elenco c’è anche la “sicurezza delle informazioni”. Nella cittadella Era negli ultimi anni si sono aggiunte non a caso aziende come Mikran (il principale produttore russo di dispositivi microelettronici) e la società di cybersicurezza Rostelecom-Solar.
Nel 2021, il ministero della Difesa della Russia aveva annunciato, attraverso l’agenzia Tass, che sarebbero stati creati smartphone prodotti in Russia e app speciali per il personale militare e le loro famiglie. I dispositivi «funzioneranno in varie modalità, comprese quelle che garantiranno una comunicazione sicura». E si menziona proprio il centro scientifico Era Technopolis, dove si lavora a «un ecosistema digitale per le attività quotidiane dei militari».
L’apparato militare-governativo russo si è dotato di un proprio sistema operativo mobile. Si chiama Aurora Os ed è uno “spinoff” di Sailfish Os, piattaforma nata in Finlandia sulle ceneri di MeeGo, idea Nokia mai decollata. A occuparsi di Aurora Os è la russa Omp (Open Mobile Platform), azienda che ha distribuito almeno 400 mila dispositivi, tra smartphone e tablet, al governo russo e ad aziende private. È stato creato un ecosistema software basato su Aurora OS, con un’infrastruttura server/cloud che gestisce Vpn, messaggistica sicura, software ad uso aziendale.
La vicenda della morte di Gerasimov coinvolge questa piattaforma e questi dispositivi, con i loro legami al centro Era sul Mar Nero.
Ma perché il sistema criptato Era non è stato usato per chiamare la base dell’Fsb a Tula? A quanto pare proprio perché i bombardamenti dei russi avevano danneggiato troppo in profondità la rete 3G/4G a Kharkiv. Inoltre, alcuni ripetitori erano stati sostituiti con “stingray”, ovvero simulatori di siti cellulari (noti anche come IMSI catcher): dispositivi per intercettazioni che si mascherano da punti di trasmissione legitimi per carpire informazioni e dati.
Insomma, troppe antenne erano ko per poter usare il sistema russo protetto. «Non è possibile sapere esattamente come funzioni — dice Antonio Capone, docente di Telecomunicazioni al Politecnico di Milano —, ma possiamo ipotizzare che la cifratura necessiti della rete dati. Una telefonata, non protetta, invece può partire anche con un segnale debole». Una situazione che molti di noi hanno sperimentato quando ci sono poche «tacche» e a malapena prende il 3G: una chiamata con WhatsApp o Skype non è possibile, ma una normale telefonata invece sì (per altro le reti 4G Lte prevedono un meccanismo detto “CS Fall Back”, in cui lo smartphone passa da Lte a 2G o 3G per effettuare una chiamata vocale).
Il problema dei russi avrebbe potuto essere aggirato utilizzando un telefono satellitare, ma evidentemente nessun personale russo sul campo in quel momento ne era provvisto (o l’ufficiale Fsb è stato frettoloso e incauto).
Finora la Russia ha preso di mira alcune infrastrutture Internet in Ucraina, oltre a danneggiarle con i bombardamenti, ma non ha cercato di disconnettere completamente il Paese invaso, come invece avrebbe potuto.
Un’altra spia del fatto che anche l'esercito russo sta facendo uso delle infrastrutture. Ne ha bisogno perché, altro aspetto paradossale che la morte del generale rivela, Mosca ha dovuto ricorrere in corsa ai telefoni cellulari e al sistema Era (forse da perfezionare, visto il risultato…).
Gli ucraini si sono infatti accorti in fretta che molti soldati di Mosca comunicavano attraverso radio e “walkie talkie” facilissimi da intercettare, come dimostrano i tanti audio divulgati in rete su social come Clubhouse. Testimonianze ucraine in rete parlano di apparecchi addirittura di provenienza sovietica, senza crittografia moderna: «Noi in Ucraina lo abbiamo scoperto rapidamente e abbiamo iniziato a bloccare le trasmissioni con rumore e stupidaggini. Stanco di essere ‘trollato’, il Ministero della Difesa russo ha annunciato di aver risolto il problema».
La soluzione stava nel sistema Era, ma in questo caso è stata la foga nel distruggere a beffare la macchina bellica russa.
Vitaly Gerasimov, auto-sabotaggio russo dietro alla morte del generale fedelissimo di Putin: l'intercettazione-choc. Libero Quotidiano il 09 marzo 2022
La morte del generale russo Vitaly Gerasimov svela il gravissimo problema dei soldati di Vladimir Putin in Ucraina: tecnologie obsolete o, peggio, un clamoroso errore umano. Il sospetto è rilanciato dal Corriere della Sera, che ricostruisce le ultime ore sul campo di battaglia del Capo di Stato maggiore della 41esima armata russa. "Com’è possibile che i militari russi utilizzino comunicazioni non criptate in territorio nemico?", si domanda il Corsera ricordando come la notizia della scomparsa di Gerasimov sia stata intercettata nel corso di una conversazione al telefono tra l'ufficiale dei Servizi segreti russi aggregato all'armata di Gerasimov e Dmitry Shevchenko, il suo responsabile, nella città di Tula. "Sono state perse tutte le comunicazioni sicure", spiega l'agente, costretto ad affidarsi a una banale carta Sim ucraina, immediatamente intercettata dagli 007 locali. A questo punto Christo Grozev, famoso giornalista investigativo, ha pubblicato tutto sul profilo fact checker di Bellingcat, esponendo l'esercito russo a una colossale figuraccia mondiale.
Il sistema Era, ricorda il Corsera, era nato nel 2018 nella cittadella tecnologica di Anapa ed era il fiore all'occhiello dell'alta tecnologia russa non solo in campo bellico, spaziando dalla robotica alle biotecnologie, dai nanomateriali alle armi innovative basate su "nuovi principi fisici". E poi, ovviamente, "la sicurezza delle informazioni", con il coinvolgimento di settori come i dispositivi microelettronici e la cybersicurezza, con l'obiettivo di arrivare alla creazione di smartphone e app riservati ai militari russi e alle loro famiglie. La guerra in Ucraina ha però rivelato alcuni limiti gravissimi: i bombardamenti avrebbero infatti danneggiato la rete 3G/4G a Kharkiv, mentre alcuni ripetitori erano stati sostituiti con "stingray", simulatori di siti cellulari. "Insomma - chiosa il Corriere -, troppe infrastrutture erano ko per poter usare il sistema russo protetto (mentre una banale Sim “civile”, in qualche modo, era riuscita a prendere la linea)". Sarebbe bastato un normale telefono satellitare, ma nessuno ce l'aveva. O non ha pensato di usarlo.
Putin ha estromesso il suo capo di Stato maggiore Gerasimov? Paolo Mauri su Inside Over il 26 febbraio 2022.
Negli ultimi minuti si sono rincorse voci sulla possibile estromissione, da parte del presidente russo Vladimir Putin, del generale Valery Vasilyevic Gerasimov, attuale capo di Stato maggiore delle Forze armate della Federazione russa. Gerasimov, uno dei maggiori strateghi militari di Mosca, è noto per il suo famoso articolo sulla Hybrid Warfare pubblicato nel 2013 su Voenno-Promyshlennyj Kuryer (traducibile come “il corriere militare-industriale”) The value of science is in the foresight: new challenges demand rethinking the forms and methods of carrying out combat operations che dettaglia ulteriormente il modello di Guerra Ibrida precedentemente messo a punto dai generali Gareev e Slipcenko aggiungendo un mix di componenti diplomatiche, pressione economica e politica e altre ingerenze non militari (facendo tesoro quindi della metodologia occidentale) per riuscire ad annientare il nemico, magistralmente messo in atto durante il colpo di mano in Crimea (ma molto meno riuscita in Donbass).
Media ucraini riportano che Oleksiy Goncharenko, deputato di European Solidarity, ha affermato, citando una fonte, che Putin avrebbe paura che la sua cerchia ristretta possa rimuoverlo dal potere. “Ci sono informazioni da una buona fonte. Putin ha licenziato il capo di stato maggiore russo. Putin è isterico. Si è trasferito nel bunker. Non comunica con la sua cerchia ristretta per paura che cercheranno di rimuoverlo dal potere”, ha scritto Goncharenko su Telegram.
Se davvero fosse confermato che il generale Gerasimov è stato estromesso, sarebbe un pessimo segnale per quanto riguarda i rapporti di forza al Cremlino: da parte occidentale verrebbe interpretato come la mancanza di coordinamento e unità tra il leader di Mosca e le sue forze armate, ma soprattutto come un tentativo di accentramento di potere. Non abbiamo modo di confermare l’indiscrezione, che proviene sempre da una fonte di parte, anche perché il Cremlino è sotto attacco informatico e i siti di alcuni uffici, tra cui quello del Ministero della Difesa, non sono online attualmente. Soprattutto potremmo pensare che sia una mossa per incrinare il morale dei russi, e anche per gettare ombre sulla lucidità del Cremlino in queste ore.
Mosca ha infatti fatto sapere che si prepara alla stretta finale su Kiev: alle truppe, che combattono in città da stanotte, potrebbe venire dato ordine di procedere con decisione per conquistare la città, aprendo così uno scenario di guerra urbana che, probabilmente, trasformerebbe la capitale ucraina in una Grozny o Aleppo.
L’agenzia stampa russa Interfax riporta che Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha affermato poco fa che “siccome, in effetti, la parte ucraina ha rifiutato di negoziare, l’avanzata delle principali forze russe è ripresa questo pomeriggio secondo il piano operativo”. Parlando coi giornalisti riuniti in conferenza stampa, Peskov ha anche affermato che l’avanzata delle truppe era stata sospesa il giorno prima per ordine del comandante supremo (Putin). Mosca quindi ha ordinato di riprendere l’offensiva “a tutto campo” dopo che – afferma Mosca – il governo di Kiev ha rifiutato i negoziati. “Attualmente, tutte le unità hanno ricevuto l’ordine di ampliare l’offensiva in tutte le direzioni, in accordo con il piano di attacco” ha dichiarato il Ministero della Difesa russo in un comunicato
L’offensiva russa prosegue non solo nella capitale: arrivano notizie che Melitopol, anche grazie allo sbarco anfibio avvenuto nella notte, sia caduta in mani russe, mentre Mariupol continua a resistere. Sul fronte nord la direttrice russa, dopo aver accerchiato la capitale, si sta spostando verso Lviv, evidentemente per tagliare le linee di rifornimento ucraine da occidente, mentre nel settore centrale e orientale è avvenuto un sostanziale sfondamento delle linee che sta portando a una fusione dei vari fronti. Dalla Crimea la puntata oltre la foce dello Dnepr continua, sebbene incontri resistenza, pertanto si sta configurando una manovra generale che dai confini, anche marittimi, si spinge verso l’interno.
La situazione, a livello internazionale, continua a peggiorare: quasi tutti i Paesi dell’Europa Orientale hanno chiuso i loro spazi aerei ai voli russi, e anche la Finlandia sta per fare lo stesso. Quest’oggi un comunicato del Ministero della Difesa Russo ha affermato, per la prima volta, che durante un attacco di motovedette e motomissilistiche ucraine effettuato contro navi della Flotta del Mar Nero avvenuto ieri – molto probabilmente per cercare di contrastare l’operazione anfibia – , i veicoli aerei senza pilota strategici statunitensi RQ-4 Global Hawk e MQ-9A Reaper che pattugliavano l’aerea “è molto probabile” che siano stati utilizzati per dirigere “le barche ucraine contro le navi della flotta russa”.
È la prima volta da quando è cominciata questa guerra che Mosca chiama in causa direttamente gli Stati Uniti e la Nato: un segnale da non sottovalutare. Si ricorda, infatti, che quando l’Iran abbatté un drone da ricognizione statunitense, nel giugno del 2019, la reazione militare statunitense fu fermata quasi all’ultimo minuto.
Cosa succederebbe, oggi, se i russi dovessero abbattere volontariamente uno degli RQ-4 che, quotidianamente, pattugliano i cieli del Mar Nero? La risposta è di quelle che fa paura. Su tutto si aggiunge il giallo di un possibile blocco del Bosforo da parte turca: il presidente Zelensky afferma di essere riuscito a strappare ad Ankara questa possibilità, ma la Turchia, che già ieri aveva affermato che non potrebbe proibire alla Russia il ritorno delle sue navi alle basi secondo il documento di Montreux – un modo per dire che non intendono farlo – per ora non ha smentito ufficialmente quanto affermato dal leader ucraino.
Guido Olimpio per corriere.it il 5 marzo 2022.
Dalla nebbia di guerra un’altra notizia: il generale russo Andrei Sukhovetsky sarebbe stato ucciso sul fronte di Gostomel, nella regione di Kiev, area contesa. Una storia in bilico tra mezze conferme e interrogativi.
Veterano dei conflitti in Abkhazia, Nord Caucaso e Siria, 47 anni, parte delle unità aerotrasportate, l’alto ufficiale era il vice comandante di un contingente di forze miste ed aveva anche il ruolo di coordinatore tra le diverse componenti. Per questo era nella località presa d’assalto fin dal primo giorno con una missione elitrasportata.
Inizialmente i russi (insieme a ceceni) hanno avuto la meglio, poi hanno incontrato una resistenza tenace da parte degli ucraini. Molte le perdite. Durante gli scontri – racconta una versione – il generale è stato ucciso dal tiro di un cecchino.
L’informazione è stata rilanciata da fonti locali, da qualche sito specializzato (come The Aviationist) e da un articolo della Pravda da Mosca che ha citato un’associazione di reduci. «Con grande dolore abbiamo appreso della tragica morte del nostro amico, il generale Sukhovetsky, in territorio ucraino durante l’operazione speciale. Esprimiamo le nostre condoglianze alla famiglia».
I media hanno cercato di trovare riscontri nelle fonti militari americane che però si sono rifiutate di confermare i particolari e la circostanza stessa. Christov Grozev, del sito Bellingcat, ha ripescato una vecchia intervista dove Sukhovetsky sottolineava l’addestramento per gli ufficiali dell’Armata fosse intenso: tu vedi (in prima linea, ndr), tu distruggi. E poi ha aggiunto un commento sferzante per sostenere che lo avevano preso in parola.
Come in ogni conflitto c’è una componente di propaganda, i due schieramenti usano le loro munizioni e dunque è obbligatoria la cautela. L’eliminazione di una figura così prestigiosa potrebbe servire a dare morale ai difensori, a confermare quanto sia complessa la missione, a evidenziare le difficoltà.
Un colpo da 1.500 metri: così è stato ucciso il generale di Putin. Alessandro Ferro il 5 Marzo 2022 su Il Giornale.
Un cecchino ucraino ha ucciso uno tra i più importanti generali russi, il 47enne Andrey Sukhovetsky. La conferma della scomparsa dei media russi rappresenta una "vittoria tattica" per gli ucraini, ecco perché.
Grave perdita per la Russia nel conflitto contro l'Ucraina: è stato infatti ucciso uno dei più alti generali russi, Andrey Sukhovetsky. Secondo quanto riportato da Kiev e confermato da un'organizzazione di ufficiali locali nella regione di Krasnodar, nella Russia meridionale, la morte sarebbe stata causata da un cecchino che ha scagliato il colpo da 1.500 metri di distanza. Il generale, 47 anni, aveva preso parte alla campagna russa in Siria.
Il duro colpo per la Russia
Secondo gli esperti, si tratta di un duro colpo per Putin. Come riporta l'Independent, Andrei Sukhovetsky era il comandante generale della settiva divisione aviotrasportata russa e uno dei vicecomandanti della 41esima armata di armi combinate. Era considerato, di gran lunga, la figura russa più importante ad essere deceduta finora nel conflitto con l'Ucraina. Nella sua carriera, oltre a essere un rispettato paracadutista, ha praticato numerosi in missioni in "territorio ostile" e, secondo quanto si apprende, era stato decorato per il suo ruolo nell'annessione della Crimea alla Russia. Sergey Chipilev, un deputato del gruppo di veterani russi della Combat Brotherhood, ha espresso il suo cordoglio sui social media. "Con grande dolore abbiamo appreso la tragica notizia della morte del nostro amico, il maggiore generale Andrey Sukhovetsky, sul territorio dell'Ucraina durante l'operazione speciale. Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla sua famiglia".
"Notizia che scoraggia"
Il contraccolpo sulla scomparsa del generale aveva frenato inizialmente i media gestiti di Putin a dare la notizia, tacendo sulla sua morte. Però, dopo che la notizia è venuta inevitabilmente a galla, il lungo silenzio è stato interrotto dalla conferma. Il quotidiano russo Pravda ha affermato che Sukhovetsky si è laureato alla Ryazan Higher Airborne Command School nel 1995 dopo aver iniziato come comandante di plotone prima di diventare capo di stato maggiore dell'unità d'assalto aviotrasportata della Guardia. Christo Grozev, direttore esecutivo del sito web di giornalismo investigativo Bellingcat, ha twittato che la conferma della sua morte sarebbe un "importante demotivatore" per l'esercito russo, in pratica una notizia scoraggiante per i militari.
"Se è vero, è importante", aveva affermato al NYpost Dan Hoffman, un ex ufficiale della Cia quando ancora la morte di Sukhovetsky non era stata confermata. Secondo gli esperti, quanto accaduto potrebbe rafforzare la determinazione dell'esercito ucraino rappresentando una vittoria tattica. Fino a questo momento, la Russia ha affermato di aver perso 498 dei suoi soldati uccisi in Ucraina e altri 1.597 sono stati feriti. Tuttavia, i funzionari britannici affermano che il numero effettivo di persone uccise e ferite sarà quasi sicuramente considerevolmente più alto e continuerà ad aumentare.
Andrey Sukhovetsky, chi e come ha ammazzato il super generale di Putin: beffa atroce e colpo durissimo per i russi. Libero Quotidiano il 04 marzo 2022.
La Russia ha perso un pezzo grosso nel corso dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. Dopo ore di silenzio, anche in Russia non è stato possibile tacere sulla scomparsa di uno dei più alti generali presenti sul territorio. Dopo Kiev, anche da Mosca è arrivata la conferma che Andrey Sukhovetsky è morto: fatale un colpo partito da 1.500 metri di distanza da parte di un cecchino ucraino.
Un compagno d’armi lo ha salutato con un post pubblicato sui social: “Con grande dolore abbiamo ricevuto la tragica notizia della morte del nostro amico, il maggiore generale Andrey Alexandrovich Sukhovetsky, sul territorio dell’Ucraina durante un’operazione speciale. Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia”. Si tratta di un duro colpo per la Russia, dato che Sukhovetsky era un uomo di grande esperienza sul campo: aveva preso parte alle missioni nel Caucaso settentrionale, in Abkhazia e in Siria.
Era anche stato premiato dopo il primo attacco all’Ucraina, terminato con l’annessione della Crimea alla Russia. Lo scorso autunno era stato nominato vicecomandante, ma in precedenza era stato a capo per tre anni della settima divisione d’assalto aviotrasportato a Novorossijsk. Si tratta di un duro colpo per la Russia e di un successo per l’Ucraina, che con un suo cecchino è riuscito ad eliminare uno dei più alti generali nemici.
(ANSA il 3 marzo 2022) - Un tycoon di origine ucraina, immigrato nel Regno Unito oltre 20 anni fa, è stato trovato impiccato nel garage della sua villa nel Surrey, Inghilterra meridionale, e il Sun avanza sospetti sulla sua morte, collegandola al conflitto in corso in Ucraina. Il 66enne Mikhail Watford (il cui cognome originario era Tolstosheya, cambiato nel 2000) prima d'immigrare aveva fatto affari nel settore della raffinazione del petrolio proprio in Ucraina, riferisce il tabloid, citando i sospetti attribuiti a fonti a lui vicine che Watford possa essere stato in qualche "lista nera" del Cremlino.
Altri giornali, come il Guardian, riprendono la ricostruzione del Sun, mentre la polizia locale fa sapere di stare indagando con "grande attenzione" sul ritrovamento del corpo avvenuto lunedì scorso. In passato il Cremlino è finito sotto accusa diverse volte per le morti di esuli o transfughi nel Regno Unito considerati sgradito o invisi al sistema di potere che ruota attorno al presidente russo Vladimir Putin.
Un collaboratore di Watford ha detto al giornale: "La sua morte solleva una serie di interrogativi". Fra questi la motivazione del suicidio difficile da individuare, in quanto l'imprenditore viveva con la moglie estone, Jane, i loro due figli e un terzo avuto da un precedente matrimonio, in una villa da 18 milioni di sterline e non sembrava avere particolari problemi.
Domenico Quirico per “la Stampa” il 5 marzo 2022.
È difficile fissare il momento del fallimento della guerra. Non tutti gli uomini che la combattono, anche quelli dell'esercito che forse vincerà, quello russo, si sono alzati insieme nel mezzo della guerra. Alcuni non l'hanno scavalcata, o spinta fino in fondo. Non tutti hanno sopportato, con la loro ferraglia più o meno scientifica e tutta perversa, di diventare inumani. L'hanno mancata, la guerra. Per fortuna. E da questa guerra sono stati vinti. Questa guerra d'Ucraina è cattiva perché vince gli uomini. Questa guerra moderna, di ferro e di bugie. Questa guerra scientifica, implacabile in cui non c'è più nulla, nemmeno l'illusione o la forma, di quello che un tempo si bestemmiava come «arte».
I vinti dalla guerra sono i soldati russi che telefonano alle madri, per piangere insieme. Entrati nella guerra non urlando ma a capo chino, spesso ingannati. Non dimentichiamo la loro mirabile nudità, non confondiamoli. Attenzione a non farsi illusioni. la Russia vincerà, forse sta già vincendo. Giorno dopo giorno la resistenza ucraina sotto il semplice peso del nemico si flette, lentamente. Poi di colpo si spezzerà. I russi dominano il cielo e la terra, hanno invaso il cielo come hanno invaso la terra con fragore di aerei e missili.
Hanno artiglieria e corazzati spropositati, schiaccianti. Ma l'esercito russo non è un blocco unico, è attraversato da faglie e da strati, come se fosse formato da classi sociali diverse. Perché anche negli eserciti come nella società che li produce si distinguono classi lontane tra loro, ben riconoscibili nell'abbigliamento, nel mondo di comportarsi, nel rapporto con i superiori. La guerra li costringe a ricominciare da capo, a imparare il mondo, li avvicina alle cose, chiarisce i pensieri. E li separa brutalmente.
Ci sono i soldati "d'élite", l'ultima generazione di guerrieri creata da Putin sul modello occidentale, ben armati, addestrati, ben pagati, «gli specialisti» che non hanno bisogno nemmeno di una ideologia. Combattere è la loro ideologia, cercano nel vincere la motivazione sufficiente. Professionisti. Lavorano nella costanza definitiva del loro furore, trionfano. Con loro Putin può mescolare tutti i veleni e attizzare tutti i fuochi del suo inferno. Difficile che lo abbandonino. E poi ci sono gli altri.
Quelli che pensavano di andare alle esercitazioni al confine e poi hanno scoperto che venivano catapultati in una "operazione militare". I richiamati, la leva, i "poilu" con cui si sono sfamate di carne tutte le guerre grosse: che forse a una guerra così, pur vestendo un'uniforme, non avevano mai pensato. Che nel giorno in cui si sono ritrovati in Ucraina sotto le bombe e le pallottole sembravano metallo che usciva dalla terra e ti esplodeva in faccia, hanno vissuto in un attimo una vita intera.
Perché ci sono avvenimenti che di colpo, in una sola prova, esauriscono tutte le possibilità dell'essere. Siete invincibili, avevano gridato gli ufficiali durante l'addestramento, nessuno ha mai sconfitto l'esercito russo. E poi hanno scoperto che la guerra si faceva grottescamente sdraiati per terra, appiattiti al suolo perché gli altri uccidevano.
E con il passare delle notti e dei giorni l'avanzata era lenta in quel il paesaggio che si scioglie nella foschia dell'orizzonte come un immenso mare che si è pietrificato. I poveri caseggiati di campagna, i campi marci e deserti, la facce della gente, ah le facce dei contadini! Era come se fossero a casa. Le stesse città e paesi: modesti e quasi domestici, più che vecchi, invecchiati.
Era come se facessero la guerra alle campagne e alle città dove sono nati e vivono le loro famiglie. Non erano afgani o jihadisti con le tuniche e i turbanti, i dialetti aspri e incomprensibili: erano come loro. Erano loro. Allora questi poveri soldati hanno scoperto di aver fame e freddo e di soffrire. Certo sono molto diversi dai compagni che non parlano che di avanzare, che odiano il nemico che la «loro» vittoria rallenta come un fastidioso ostacolo che abbruttisce un lavoro ben fatto, e chiacchierano solo di città distrutte, di chilometri lasciati alle spalle, del confine che si avvicina. Sì.
La Russia si svuota e in numeri sempre maggiori si ammassa qui nel sud, nel nord, nell'Est dell'Ucraina dove i nonni di questi soldati già avevano combattuto. Ma allora tutto era più chiaro, più semplice: gli invasori erano gli altri parlavano un'altra lingua e soprattutto quella terra era Russia.
Adesso gli invasori sono loro e tutto si confonde. Comincia il momento delle domande. È perchè ora la morte li prende di petto, li prende in tutta la sua larghezza come prima li prendeva la vita. La guerra fa arrugginire gli uomini come i fucili, più lentamente forse ma più in profondità. È successo agli americani in Vietnam, ai sovietici in Afghanistan.
Spesso è stato proprio il dolore delle madri a scombinare i piani dei pedanti della barbarie bellica. In guerra si è sempre in attesa: attesa del cibo, delle munizioni, della benzina per i camion e i carri. E loro rivelano alle madri che le razioni sono scadute, dimenticate da tempo nei magazzini o rubate dai corrotti; che munizioni e benzina non arrivano e sono riservate prima alle truppe d'assalto. Le belle divise nuove sono già piene di fango in queste pianure ancora intirizzite dall'inverno, sono accartocciati e pieni di sporcizia, emanano un tanfo da gamella mal pulita.
Dal “Corriere della Sera” il 3 marzo 2022.
Un soldato russo in lacrime in mezzo ad alcuni ucraini che gli danno da mangiare e lo aiutano a parlare al telefono con la madre. È quanto si vede nel filmato che gira sui social ed è stato rilanciato dai media internazionali. Nel video, pubblicato dal britannico Sun , si vede il giovane militare, che probabilmente è stato preso prigioniero, mentre beve una tazza di tè e mangia qualcosa.
Scosso e con gli occhi gonfi. Al suo fianco una donna ucraina cerca di calmarlo. Offrendogli il suo telefono per comunicare con la madre in Russia. Mentre si sente una voce fuori campo che dice in ucraino: «Non è colpa di questi giovani, non sanno perché sono qui».
E aggiunge: «Hanno mappe vecchie, si sono persi». Diversi rapporti di analisti militari occidentali in questi giorni hanno riferito che tra le truppe russe mandate al fronte ucraino non mancano episodi di scoramento.
Guerra in Ucraina, Zelensky: «I soldati russi sono bambini confusi e usati». Il presidente Zelensky nella notte ha assicurato una resistenza feroce da parte dei suoi uomini contro l'invasore russo. «Non avranno pace, li cacceremo». Il Dubbio il 3 marzo 2022.
«Ovunque andranno, saranno distrutti. Qui non avranno calma, non avranno cibo, non avranno un solo momento di tranquillità. Gli occupanti riceveranno solo una cosa dagli ucraini: la resistenza. Una resistenza feroce. Una resistenza tale che ricorderanno per sempre che non rinunciamo a ciò che è nostro, che ricorderanno cos’è una guerra patriottica». Lo afferma il presidente ucraino Volodimir Zelensky in un nuovo messaggio tv.
«Il nostro esercito sta facendo di tutto per spezzare completamente il nemico. Quasi 9.000 russi sono stati uccisi in una settimana. A Nikolaevsk, gli occupanti sono costretti a usare decine di elicotteri per raccogliere i loro morti e feriti – 19 e 20 anni. Cosa hanno visto nella loro vita se non questa invasione? Ma la maggior parte di loro sono lasciati dappertutto. L’Ucraina non vuole essere coperta dai corpi morti dei soldati. Andate a casa. Con tutto il vostro esercito. Dite ai vostri ufficiali che volete vivere. Che non volete morire ma vivere. Dobbiamo fermare la guerra e ristabilire la pace il più presto possibile».
«Sono convinto – conclude Zelensky – che se sono arrivati da qualche parte, allora sarà temporaneamente. Li cacceremo via. Con disonore. Come quella gente comune che scaccia gli occupanti dai negozi di alimentari dove i soldati russi vanno a cercare cibo e qualcosa da mangiare. Questi non sono guerrieri di una superpotenza. Sono bambini confusi che sono stati usati. Portateli a casa».
I soldati-ragazzini russi e l’urlo delle madri che hanno costretto la Difesa a svelare i dati delle perdite: 498 morti. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2022.
Sono state loro, con il riconoscimento dei prigionieri, con la scelta di rendere pubblica la loro disperazione, ad avere costretto il ministero a raccontare le cifre emerse dalla guerra: 1.540 feriti gravi, una quantità imprecisata di catturati. Le madri dei soldati russi sono la voce dei figli che non possono parlare. E sanno di poterla usare, sanno che loro rappresentano una zona franca, per quel che stanno patendo, per quanto ancora soffriranno. E quindi parlano, e raccontano di ragazzi mandati al fronte all’inganno, catturati, ridotti in lacrime, esibiti come una prova dell’approssimazione di questa guerra, che doveva durare due giorni e invece è già costata molto in termini di vite umane. Sono state loro, con il riconoscimento dei prigionieri, con la scelta di rendere pubblica la disperazione più grande che si possa immaginare, ad avere costretto il ministero della Difesa a svelare i dati delle perdite subite dall’esercito, che non sono stati nemmeno citati dai telegiornali pubblici, quasi una nota a margine nella narrazione trionfale dell’operazione di mantenimento della pace voluta dal Cremlino.
Ma intanto, questi numeri esistono, 498 vittime, 1.540 feriti gravi, una quantità imprecisata di militari catturati dal nemico ucraino. Grazie alle madri, le uniche persone che non possono essere obbligate a tacere. Sarebbero tutte notizie false, senza di loro. Le fake news, termine che viene utilizzato in lingua inglese, come a rimarcare che si tratta di una invenzione altrui, nel mondo rovesciato della Russia di Vladimir Putin sono molto spesso la verità. Anche il ragazzo protagonista suo malgrado del video che ha fatto il giro del mondo, con una donna ucraina che gli offre un thè caldo e una videochiamata con la madre, non doveva esistere. Il suo spavento, anche la sua inadeguatezza, non hanno diritto di cittadinanza. Ma la sua famiglia lo ha riconosciuto e lo ha comunicato attraverso quei pochi social che ancora sfuggono a un controllo sempre più serrato.
La fake news è diventata pura e semplice realtà. In questa che è anche una guerra di propaganda, il ministero della Difesa ucraino ha dimostrato di conoscere una delle poche debolezze della Russia, diffondendo lo scorso 2 marzo sui social un comunicato nel quale si spiega che «i soldati fatti prigionieri saranno resi alle madri che verranno a prenderli a Kiev». Per sapere, basta chiamare il numero mostrato in un volantino, oppure mandare una mail. Chissà se è tutto vero. In questa guerra così social, l’esercizio del dubbio è un dovere. Ma almeno delle madri, non è lecito dubitare. La donna di Uland-Udè, remota città della Siberia meridionale, che si mostra sotto il monumento di Lenin con il cartello No alla guerra dopo avere riconosciuto in un video il figlio Sergey Ochirov fatto prigioniero in Ucraina, non può mentire. «Voglio che la gente capisca che non si tratta di un falso, il mio ragazzo di diciannove anni è stato spedito a combattere con l’inganno, non sapeva neppure dove era diretto». Non possono essere un caso le facce da bambini di militari russi fatti prigionieri o uccisi. Rivelano qualcosa, che sia la convinzione errata che l’invasione fosse una passeggiata da fare anche con reclute poco esperte oppure un livello di preparazione che non sembra essere all’altezza della fama dell’esercito di Putin.
Comunque, si tratta di una nota stonata. E l’hanno fatta suonare le madri dei soldati, rivolgendosi ai due Comitati che portano il loro nome, uno governativo e l’altro no. Valentina Melnikova, che dirige il primo, almeno riconosce che il problema esiste. La partecipazione ad azioni belliche, questo è il suo ragionamento in punta di diritto, deve essere regolata da ordini precisi. «Ma siccome la guerra in Ucraina non è stata dichiarata secondo la Convenzione di Ginevra, mi chiedo se questi ordini, nel caso esistano, siano anche giuridicamente corretti». Andrej Kurochkin, a capo dell’Organizzazione non governativa quasi omonima dell’altra, è più eloquente. «Il numero mai così elevato di ragazzi giovanissimi mandati al fronte senza preavviso dimostra che qualcosa non sta andando per il verso giusto». Rimangono quei video, e queste testimonianze.
Grazie alle madri. Ai tempi della prima guerra in Cecenia ebbero un ruolo nel convincere Boris Eltsin a ritirarsi da quel carnaio senza senso. Si accamparono alla base russa di Khankala, vicino a Grozny. Girarono per i villaggi con le foto dei figli, chiedendo notizie, proponendo scambi di prigionieri. Dissero che non se ne sarebbero mai andate prima di avere loro notizie, o una tomba sulla quale piangerli. Anche durante le fasi seguenti alla tragedia del sottomarino Kursk, 2 agosto 2000, imposero il recupero a ogni costo dei 107 corpi delle vittime. Quel disastro sembrò un simbolo del declino russo. Le autorità volevano tenerlo nascosto. Non ci riuscirono. Alla fine di quel mese, Putin incontrò una delegazione delle madri dei marinai alla base di Vidyayevo. Fu e la prima e unica volta in cui subì una contestazione durante un evento pubblico.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 2 marzo 2022.
In lacrime, i prigionieri di guerra russi confessano che non avevano ''idea di essere stati inviati a invadere l'Ucraina'' e che sono stati usati come «carne da cannone» dai loro comandanti che li hanno lanciati in battaglia contro «persone pacifiche che difendevano il loro territorio» dopo che le forze di Vladimir Putin hanno subito pesanti perdite nei giorni di apertura del conflitto.
«Questa non è la nostra guerra. Madri e mogli, richiamate i vostri mariti. Non c'è bisogno di essere qui», ha detto un soldato russo ferito seduto davanti a una bandiera ucraina.
Altri filmati mostrano un prigioniero russo ammanettato che piange, mentre dice: «Non raccolgono nemmeno i cadaveri, non ci sono funerali. Ci hanno mandato a morire».
L'Ucraina afferma che la Russia ha perso 5.840 soldati nei primi giorni del conflitto: gli uomini di Putin volevano ottenere una rapida vittoria ma invece hanno incontrato una dura resistenza da parte delle forze ucraine e hanno subito una serie di sconfitte imbarazzanti.
Da allora l'avanzata della Russia è stata rallentata per dare modo all'apparato. militare di riorganizzarsi, cambiare strategia e rinnovare il loro assalto in quella che ora dovrebbe diventare una guerra di risorse sempre più sanguinosa con gli uomini di Kiev che affrontano difficoltà schiaccianti. Il ministero della Difesa ha affermato che la Russia ha rinnovato la lotta su "tutti i fronti" e «ha subito perdite».
Sebbene sia l'intelligence statunitense che quella ucraina ritengano che il morale all'interno dei ranghi russi sia a terra, Putin e i suoi militari non hanno mostrato alcun segno di ritirata e hanno invece promesso di attaccare ancora di più per cercare di raggiungere gli obiettivi chiave.
Sergey Shoigu, il ministro della Difesa del Paese, ha dichiarato martedì che l'offensiva proseguirà fino al completamento di tutti gli obiettivi.
Volodymyr Zelensky ha affermato che la Russia sta cercando di cancellare l'Ucraina e il suo popolo mentre l'invasione di Vladimir Putin è entrata oggi nel suo settimo giorno con rinnovati attacchi su tutti i fronti, incluso un previsto assalto alla città che ospita la più grande centrale nucleare d'Europa.
Coscritti e veterani: le due anime che spiegano l’avanzata russa. Lorenzo Vita su Inside Over il 5 marzo 2022.
Una guerra è fatta di immagini. E il conflitto in Ucraina non fa eccezione. Dai territori sottoposti all’invasione russa, continuano ad arrivare immagini di soldati che si arrendono, camion impantanati, blindati distrutti o carri e altri mezzi abbandonati. Questi video che vengono continuamente fatti circolare – naturalmente da parte ucraina – sono il contraltare dell’immagine che viene rilanciata da Mosca: cioè quella di un esercito che non si arrende, di forze che in una settimana hanno cinto d’assedio ogni grande città a est del Dnepr e a sud e si preparano a soffocare Kiev.
In questi casi la propaganda è un elemento fondamentale. Qualsiasi parte in guerra vuole dimostrare di essere prossima alla vittoria e mostrare le debolezze del nemico. Impossibile quindi valutare in modo assoluto queste immagini: perché se prive di un inquadramento in un contesto bellico rischiano di essere mezze verità o non verità.
Chi ha condotto l’offensiva finora
Detto questo, però, è anche possibile estrapolare alcuni elementi che – se uniti ad altri sullo studio della dottrina russa, le motivazioni del conflitto e le analisi dei diversi fronti – possono fornire un quadro interessante o il più possibile completo della prima parte dell’offensiva.
Molti analisti ritengono che la lentezza dimostrata in questa prima parte del conflitto possa essere il frutto dell’utilizzo di personale non preparato alla guerra, soldati richiamati, soldati di leva, persone che credevano che quello che accadeva in Bielorussia o ai confini dell’Ucraina dovesse rimanere solo un’esercitazione. Tanti raccontano che molti tra i più giovani sarebbe stato sostanzialmente ingannati. Altri che non volevano nemmeno combattere. Altri che semplicemente erano impreparati, e lo avrebbero dimostrato proprio quelle prime giornate di guerra in cui l’avanzata di Mosca è apparsa lenta e quasi inadeguata.
La questione è stata analizzata soprattutto dagli esperti statunitensi, che da diverso tempo studiano il fattore “morale” come chiave per capire le mosse russe. Secondo alcuni, il problema nascerebbe da un massiccio utilizzo dei coscritti in una guerra che fondamentalmente non sanno combattere né perché. Mark Cancian, del Center for Strategic and International Studies, ha spiegato alla Nbc che il problema che fino a questo momento è stato fondamentale nella lentezza di Mosca è il fatto che l’invasione in Ucraina “costringe le forze russe a creare lunghe linee logistiche che non sono state addestrate a mantenere e pone anche una maggiore dipendenza dai soldati coscritti”. I soldati dunque più giovani, più impreparati e certamente meno motivati sono quelli che di fatto hanno costruito il grosso della prima avanzata. Ed è un tema che ha “sorpreso” lo stesso Ciancian.
Un funzionario della Difesa americana, invece, ha detto che le ultime osservazioni su quanto sta avvenendo in Ucraina indicherebbero che le tattiche russe sarebbero cambiate dopo circa sei giorni. Nella prima settimana di guerra, spiega l’ufficiale del Pentagono, vi sarebbero state prove “di un certo comportamento avverso al rischio da parte dell’esercito russo”. E questo comportamento si sarebbe confermato sia nello sbarco di Mariupol avvenuto lontano dalla città e in una zona protetta, sia con gli aerei, che sembrano essere particolarmente restii a correre rischi troppo elevati. Mentre sul tema dei coscritti, anche qui si dà la lettura di una sostanzia impreparazione: “Ad alcuni di loro, crediamo, non è stato nemmeno detto che sarebbero stati in guerra”. Questo avrebbe poi portato anche a quella scelta da parte degli ucraini di impegnarsi non solo nel mandare sempre più immagini dei soldati russi catturati, specialmente quelli più giovani, ma anche nel aprire canali di dialogo per convincere proprio le prime linee. Una vera e proprio guerra psicologica per fiaccare l’armata russa al suo arrivo nel Paese, demoralizzando le truppe una volta fatto il loro ingresso nei primi centri abitati.
Le truppe più preparate
Se gli analisti concordano in parte su questa lettura, che sarebbe confermate anche dalle testimonianze che sono necessariamente solo di parte ucraina, dall’altra parte in molti ritengono che la differenza di passo negli ultimi giorni sia data proprio dall’impiego delle forze di veterani e di volontari. Dove combattono truppe più preparate, la situazione si sarebbe evoluta in maniera nettamente diversa: come per esempio è stato possibile osservare a nord della Crimea, con la presa di Cherson. La seconda ondata, come ha chiamato qualcuno questa parte appena iniziata della guerra, sarebbe il frutto pertanto non solo di un naturale e progressivo cedimento di un Paese invaso, ma anche dall’impiego di forze diverse. Qualcuno parla di veterani della Siria e del Donbass, altri sottolineano la presenza di combattenti ceceni o di chi ha già combattuto proprio nel Caucaso.
Il Times ha parlato di 400 mercenari del gruppo Wagner che sarebbero già presenti in Ucraina. Secondo il quotidiano britannico avrebbero come obiettivo addirittura l’uccisione del presidente Voldymyr Zelensky, ma al netto di queste ipotesi è possibile che l’armata dei contractor possa diventare cruciale per gestire una nuova fase del conflitto o anche quella immediatamente successiva. Wagner è composta in larga parte proprio da ex militari delle forze armate russe, veterani che hanno combattuto in tutti gli ultimi teatri di guerra in cui è stata coinvolta Mosca. E sono impegnati anche tutti quei conflitti in cui il Cremlino vuole far vedere di esserci senza impiegare direttamente i propri “boots on the ground”, gli “stivali sul campo”. Insieme ai soldati d’élite, quelli che Domenico Quirico su La Stampa la definisce “l’ultima generazione di guerrieri creata da Putin sul modello occidentale, ben armati, addestrati, ben pagati, ‘gli specialisti’ che non hanno bisogno nemmeno di una ideologia”, c’è quindi tutto un sistema di forze pronto a prendere il sopravvento se la guerra dovesse continuare nello stallo. La corsa contro il tempo di Putin per giungere alla fine della guerra nei tempi che il Cremino pensava di avere stabilito (forse il 6 marzo come svelano alcuni documenti) nasce anche da questa duplice anima delle forze russe. Una strategia che è parte della dottrina russa e che sembra essersi rivelata esatta.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 2 marzo 2022.
Secondo le registrazioni vocali ottenute da una compagnia di intelligence britannica, i soldati russi che prendono parte all'invasione dell'Ucraina sono "allo sbando". I messaggi radio intercettati fanno pensare che le truppe si rifiutino di obbedire agli ordini del comando centrale di bombardare le città ucraine e si lamentino dell'esaurimento delle scorte di cibo e carburante.
Le registrazioni fanno parte di circa 24 ore di materiale ottenuto dalla società di intelligence ShadowBreak dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina. In una delle conversazioni intercettate, ascoltata da The Telegraph, un soldato sembra piangere.
In un altro, si sente un soldato perdere la pazienza quando chiede quando arriverà cibo o carburante. Dice: «Siamo qui da tre giorni! Quando diavolo sarà pronto?».
Un terzo messaggio rivela uno scambio teso in cui lo stesso soldato deve ricordare a un collega che parla da un centro di comando che non possono usare l'artiglieria in un'area finché i civili - che vengono etichettati come "oggetti" - non se ne saranno andati.
Il fondatore di ShadowBreak, Samuel Cardillo, 26 anni, ha detto al Telegraph: «Quello che abbiamo scoperto è che gli operativi russi stanno operando in completo disordine». «Non hanno la più pallida idea di dove stanno andando e di come comunicare davvero tra loro in modo corretto».
Ha aggiunto: «Ci sono stati periodi in cui li abbiamo sentiti [soldati russi] piangere in combattimento, un periodo in cui si insultavano a vicenda, ovviamente non un segno di morale alto». Cardillo ha affermato che alcuni dei messaggi erano anche "prove di crimini di guerra" perché rivelavano l'ordine di lanciare missili nelle aree urbane.
Altre video mostrano soldati russi che si ritirano, mentre un soldato avrebbe inviato un sms alla madre: «L'unica cosa che voglio in questo momento è uccidermi».
In un ulteriore segno che il morale potrebbe essere tetro, martedì un alto funzionario della difesa degli Stati Uniti ha detto al New York Times che alcune truppe hanno «deliberatamente fatto dei buchi» nei serbatoi di benzina dei loro veicoli nella speranza di evitare il combattimento.
Parti dell'esercito russo stanno ancora utilizzando radio ricetrasmittenti analogiche "walkie talkie", rendendole più vulnerabili alle intercettazioni. Si dice anche che le forze ucraine non abbiano avuto problemi a disturbare le comunicazioni russe e ad interromperle con il suono del loro inno nazionale.
Invece, le forze ucraine sono ora al nono giorno di resistenza all'attacco russo e diversi video rivelano civili che affrontano le truppe e i convogli invasori.
Anna Zafesova per “la Stampa” il 3 marzo 2022.
Il manifestino è stato affisso alla porta di legno del commissariato militare di una città siberiana, la porta che devono varcare le reclute e i riservisti che oggi vengono richiamati dall'esercito russo. Recita: «L'ingresso è qui. Per uscire, bisogna passare dall'Aja». La mano ignota che l'ha scarabocchiato rischierà tra pochi giorni fino a 15 anni di prigione, in base alla legge sulle «fake news sull'operazione militare» che la Duma sta discutendo con procedura d'urgenza.
Ma sembra ormai che la paura non riesca a spegnere la rivolta dei russi contro la guerra, sui campi di battaglia in Ucraina come nelle vie delle città russe. Ieri centinaia di persone sono di nuovo scese nella prospettiva Nevskij di Pietroburgo, sapendo di stare andando a raggiungere quei quasi ottomila manifestanti arrestati nell'ultima settimana. Nei social si moltiplicano intanto le dichiarazioni di protesta, e sempre più lettere aperte delle più svariate categorie di persone raccolgono centinaia di firme: dai medici ai geografi, dai deputati dei consigli municipali ai rapper, sacerdoti e addirittura oligarchi.
Roman Abramovich ha annunciato che i proventi dalla vendita del Chelsea - il cui acquisto, vent' anni fa, aveva segnato l'ingresso dei magnati russi nel jet set internazionale - andranno alle vittime della guerra in Ucraina, una dichiarazione che al Cremlino verrà senz' altro equiparata ad alto tradimento. Ma la defezione più clamorosa dal fronte putiniano è quella di Natalia Poklonskaya, ex procuratrice della Crimea annessa e testimonial del revival nazionalista, che ha chiamato a fermare le ostilità: «Siamo andati troppo oltre».
Se non un senso di sconfitta imminente, almeno uno shock per la mancata vittoria, e perfino il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ammette che la Russia è stata «scossa» dalla reazione unanime del mondo contro l'aggressione. Perfino nei media ufficiali la «operazione militare speciale» in Ucraina all'improvviso ha smesso di essere così vittoriosa: l'ammissione ufficiale da parte del ministero della Difesa di 498 caduti, dai due menzionati ufficiosamente qualche giorno fa, apre ai russi una dimensione nuova di un conflitto che il governo proibisce di chiamare "guerra".
Dal fronte intanto arrivano voci di soldati russi che si arrendono, o che cercano di sabotare i mezzi per rallentare l'avanzata. Fonti del Pentagono hanno confermato a New York Times e Cnn che ci sono stati casi di militari di Mosca che hanno bucato i serbatoi dei blindati e dei carri per rimanere indietro.
Potrebbe essere una campagna di disinformazione, naturalmente, ma l'offensiva russa sembra rallentare, e le associazioni dei madri dei soldati da diverse città russe denunciano il coinvolgimento nella guerra anche di militari di leva, trasformati con una rapida firma di un contratto in "professionisti" e inviati sul fronte. I russi sanno benissimo leggere tra le righe dei comunicati ufficiali, e a moltiplicare per due o per tre i numeri dichiarati, come avevano già fatto durante la pandemia di Covid.
E il fatto che ieri Vladimir Putin ha esentato dalla leva i giovani professionisti dell'informatica ha segnalato chiaramente a tutti che la guerra non è una passeggiata, e che probabilmente ormai nemmeno il Cremlino conta di finirla in pochi giorni. Molti, soprattutto i giovani, stanno mettendo in atto piani di fuga, anche perché gira voce che il Cremlino potrebbe proclamare la legge marziale e chiudere i confini. Che sono comunque già difficili da varcare: i voli per l'Europa e l'America sono stati sospesi, e per quelli verso Istanbul, Erevan o Dubai c'è una corsa ai biglietti.
Chi decide di scappare, rischia di farlo con quello che ha addosso: Putin ha proibito di portare via più di 10 mila dollari in contanti e di trasferire denaro all'estero, anche sui conti propri. Le carte di credito delle banche sotto sanzioni non funzionano più, e bisogna superare anche controlli al confine: diversi russi hanno raccontato di essere stati interrogati da agenti dell'Fsb che li costringono a mostrare le chat dei messenger sul telefono, e li sospettano di voler disertare dal fronte, per il momento soltanto quello ideologico, della guerra contro l'Ucraina.
La fuga però non è possibile per tutti, e lo sgretolarsi improvviso del benessere abituale - alcuni oligarchi hanno perso fino all'80% del loro patrimonio in titoli, mentre i russi comuni si sono ritrovati in poche ore senza Apple, Netflix, Bmw e Visa, senza viaggi all'estero e senza tutto quello che rappresentava per il ceto medio e l'intellighenzia il premio (e l'evasione) per il silenzio - ribaltano il rapporto rischio-beneficio della ribellione.
L'ex parlamentare Dmitry Gudkov, ora alleato del movimento di Alexey Navalny, esorta dal suo esilio all'estero la nomenclatura ad abbandonare il regime: «Avete paura di essere i primi, ma se sarete gli ultimi non se ne accorgerà più nessuno, mentre i primi avranno una chance di sopravvivere nella nuova Russia, e in quel mondo nel quale dovrà rientrare faticosamente, dalla catastrofe che ha creato con le sue mani», ha scritto in un post, rivolto ai suoi conoscenti nell'élite russa. «Dissociarsi dai crimini contro l'umanità è la garanzia di una tranquilla vecchiaia, a casa, e non in tribunale».
Ucraina, ammutinamento dell'esercito russo: "Bucati i serbatoi per non combattere". Le intercettazioni: rivolta contro Putin. Libero Quotidiano il 03 marzo 2022.
Soldati in lacrime, arresi. Tank bloccati nel fango e abbandonati dalle truppe russe in fuga. Mezzi senza più benzina. L'invasione in Ucraina delle truppe di Vladimir Putin ha contorni tragicomici. Soprattutto, al di là dei tanti video e foto pubblicate sui social dalla resistenza ucraina (video e confessioni dal chiaro sapore propagandistico, e dunque da prendere con le molle come in ogni conflitto), filtrano indiscrezioni sul senso di "scoramento e delusione" degli stessi soldati dell'Armata rossa. "Questa non è la nostra guerra. Madri e mogli, richiamate i vostri mariti. Non c'è bisogno di essere qui", ha detto un soldato russo davanti a una bandiera ucraina. Ma non sono questi filmati la prova decisiva di quanto sia infuocato il clima dentro l'esercito di Putin.
Il britannico Daily Mail ha pubblicato le registrazioni vocali ottenute da una compagnia di intelligence britannica, la ShadowBreak: a parlare sono soldati russi, ma non quelli finiti nelle mani degli ucraini. Sfoghi interni, non confessioni a uso e consumo di Twitter. Ne emerge l'immagine di un corpo d'armata "allo sbando". "Siamo qui da tre giorni! Quando diavolo sarà pronto?", chiedono i soldati a proposito dell'arrivo dei rifornimenti di cibo e carburante. "Quello che abbiamo scoperto è che gli operativi russi stanno operando in completo disordine". sottolinea al Telegraph il 26enne Samuel Cardillo, giovanissimo fondatore di ShadowBreak.
"Non hanno la più pallida idea di dove stanno andando e di come comunicare davvero tra loro in modo corretto". Nelle intercettazioni, si sentono soldati russi "piangere in combattimento", "insultarsi a vicenda", a conferma di quanto il morale tra le truppe di Mosca non sia alto. Alcuni messaggi sarebbero addirittura "prove di crimini di guerra" in quanto rivelerebbero l'ordine impartito di colpire con missili aree urbane.
Ci sarebbe addirittura il sospetto di ammutinamento: un alto funzionario della difesa degli Stati Uniti ha rivelato al New York Times che alcune truppe russe avrebbero "deliberatamente fatto dei buchi" nei serbatoi di benzina dei loro mezzi militari per evitare il combattimento. Una situazione di delusione mista a improvvisazione, visto che le truppe russe utilizzerebbero ancora "walkie talkie", che rendono le comunicazioni facilmente intercettabili dal nemico.
Da lastampa.it il 2 marzo 2022.
L'ambasciatore ucraino all'Onu, Sergiy Kyslytsya, durante la riunione speciale di emergenza dell'Assemblea generale, ha letto i messaggi dallo smartphone di un soldato russo morto in guerra.
Alla madre che gli chiedeva delle esercitazioni in Crimea, rispondeva «Mamma ma che Crimea, sono in Ucraina, qui c'è una guerra. Bombardiamo anche i civili» e prosegue «Ci chiamano fascisti mamma, è così difficile, ho paura».
“I nostri figli mandati in guerra con l’inganno”, le proteste delle madri dei soldati russi contro Putin. Vito Califano su Il Riformista l'1 Marzo 2022.
Secondo il sito indipendente OVD-Infogruppo che si occupa della tutela dei diritti umani in Russia sono quasi seimila le persone arrestate nel Paese per le proteste contro l’invasione dell’Ucraina. Non solo: anche le madri dei militari spediti in guerra manifestano contro il Cremlino e il Presidente Vladimir Putin. “Li hanno ingannati – dice Andrey Kurochkin, vicepresidente del Comitato delle madri dei soldati russi, a Il Corriere della Sera – Fanno sempre così. I tempi cambiano, ma la guerra è sempre uguale”.
L’organizzazione era nata alla fine degli anni ’80 dopo che l’Armata Rossa era rimasta impantanata in Afghanistan dopo l’invasione alla fine degli anni ’70. Secondo quanto scrive il quotidiano molti ragazzi si sono ritrovati in guerra a loro insaputa: erano partiti per una esercitazione in Bielorussia della durata di un mese. “Mio figlio è partito per il servizio militare nel dicembre del 2021, e ora sta combattendo in Ucraina”, si legge sul canale Telegram del Comitato. Tanti sarebbero quindi militari di leva, non professionisti. “Due bambini”, i primi due militari russi fatti prigionieri dopo l’invasione del 24 febbraio. Così li aveva descritti Anton Gherascenko, consigliere del ministro ucraino degli Interni. Uno era Rafik Rakhmankulov, 19 anni, di Petrovka.
L’arresto era stato subito bollato come fake news dai media russi. I genitori dei due hanno invece raccontato a BBC e media indipendenti che i loro figli non sapevano di essere destinati all’Ucraina, nonostante la legge russa consenta l’invio dei soldati in zone di combattimento solo dopo quattro mesi dall’inizio del servizio professionale nell’esercito. “Non so se qualcuno ci ascolterà, ma è certo che questa mobilitazione così improvvisa di ragazzi ancora impreparati alla guerra non si era mai vista”, ha commentato Kurochkin che con l’organizzazione raccoglie i dati dei soldati di leva da trasmettere alla procura militare e al ministero della Difesa.
Secondo pareri tecnici militari i russi non hanno ancora spinto al massimo la propria macchina armata. Probabilmente la resistenza ucraina e le forze di Kiev erano stata sottovalutate da Mosca. Si procede al momento soprattutto con l’artiglieria. Al momento un convoglio di circa 60 chilometri delle forze russe è in colonna verso la capitale stamattina. Si potrebbe andare verso un vero e proprio assedio di Kiev. Dopo le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dell’Occidente, il Presidente russo Putin ha messo in stato d’allerta le forze di deterrenza russe, vale a dire le forze strategiche dell’esercito che comprendono mezzi e sistemi militari di attacco e di difesa, tra cui le armi nucleari. Secondo le Nazioni Unite dall’inizio del conflitto, sei giorni fa, sono oltre 400 le vittime civili.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Le madri russe: «I nostri figli spediti in guerra con l’inganno». Marco Imarisio, inviato a Mosca, su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022.
La denuncia del Comitato: «I coscritti vengono in qualche modo obbligati alla firma del contratto militare, e subito dopo vengono spediti al confine con l’Ucraina»
«Li hanno ingannati». Andrej Kurochkin fa una lunga pausa. Poi aggiunge che non si tratta di una novità. «Fanno sempre così. I tempi cambiano, ma la guerra è sempre uguale».
L’ultimo domicilio conosciuto del Comitato delle madri dei soldati russi era appena dietro il palazzo della Lubjanka che fu sede del Kgb. In fondo a un vicolo fangoso, al pianoterra di un cortile, accanto ai bagni comuni. Già non se la passavano bene, poi li hanno anche mandati via, bollati come agente straniero, accusati di ricevere denaro dagli Stati Uniti, infine costretti anch’essi alla diaspora tra Lettonia e Germania. L’organizzazione non governativa, della quale Kurochkin è vicepresidente operativo, è nata alla fine degli anni Ottanta, ai tempi della ritirata dell’esercito sovietico dall’Afghanistan. Arruolamento forzato degli studenti, casi di nonnismo, assistenza ai reduci, lasciati soli da un impero in disfacimento.
Sono rimasti un punto di riferimento. E fin da subito hanno cominciato a ricevere messaggi di famiglie preoccupate per la sorte dei loro figli, militari di leva, non certo soldati professionisti, e in molti casi neppure intenzionati a diventarlo, che all’improvviso si sono ritrovati in prima linea. «I coscritti vengono in qualche modo obbligati alla firma del contratto militare, e subito dopo vengono spediti al confine con l’Ucraina». Molti di loro sono entrati in guerra senza saperlo. Gli era stato detto che il loro ultimo servizio sarebbe stato una esercitazione in Bielorussia della durata di un mese. I ragazzi da poco sotto le armi vengono mandati al confine per le esercitazioni, e all’improvviso chiamano a casa per dire che il loro status di soldato è cambiato, così come la loro missione. Alcune conferme affiorano anche dal web. «Mio figlio è partito per il servizio militare nel dicembre del 2021, e ora sta combattendo in Ucraina» scrive una donna sul canale Telegram del Comitato.
A far crescere l’angoscia e il panico delle famiglie c’è anche l’inevitabile propaganda di guerra al tempo dei social. Il 24 febbraio, primo giorno dell’invasione, Anton Gherascenko, consigliere del ministro ucraino degli Interni, ha pubblicato su Facebook la foto dei primi due militari russi fatti prigionieri. «Due bambini» ha commentato. E non aveva torto. Uno di loro si chiamerebbe Rafik Rakhmankulov, diciannovenne di Petrovka, nella regione di Saratov. I canali federali della televisione russa hanno subito bollato come fake news questa notizia. Ma le televisioni indipendenti hanno parlato con il padre del ragazzo, mentre il servizio russo della Bbc ha intervistato una donna che sostiene di essere la madre del secondo soldato, anche lui diciannovenne. Entrambi hanno detto che i loro figli non sapevano di essere destinati all’Ucraina. La legge russa consente l’invio dei soldati in zone di combattimento solo dopo che sono trascorsi quattro mesi dall’inizio del loro servizio professionale nell’esercito. Quindi, né i coscritti né i soldati di prima firma dovrebbero trovarsi al fronte. Altre testimonianze raccontano di un avvicinamento repentino a quello che sarebbe diventato il fronte. Due giorni prima dell’invasione, sarebbe stato trasferito nella regione di Belgorod, vicino al confine ucraino. E da lì, sono entrati.
«Stiamo raccogliendo i dati dei soldati di leva per trasmettere queste informazioni alla procura militare, al ministero della Difesa, e ad altri ministeri» dice Kurochkin con un tono di voce poco convinto. «Non so se qualcuno ci ascolterà, ma è certo che questa mobilitazione così improvvisa di ragazzi ancora impreparati alla guerra non si era mai vista». Anche lui si chiede se sia dovuta a una guerra decisa in fretta, oppure se sia un segno di debolezza del sistema militare. L’unica certezza è che le voci delle famiglie dei coscritti cadranno nel vuoto. Le autorità russe hanno problemi più urgenti. Ieri il comando generale dell’esercito ha dovuto ammettere di aver subito perdite umane in Ucraina. Un comunicato di poche righe, senza alcuna cifra, senza alcun riferimento a morti o feriti.
ESERCITO UCRAINO.
L’altro esercito. Come i cittadini ucraini stanno respingendo gli invasori russi. L'Inkiesta il 13 Agosto 2022.
Lo sforzo dei civili nelle città per contrastare i soldati del Cremlino. Un lavoro volontario e spontaneo, come raccontato da Anne Applebaum in un lungo articolo sull’Atlantic
Da quasi sei mesi le notizie in arrivo dall’Ucraina popolano le cronache quotidiane. Operazioni militari, contromisure, strategie improvvisate. Poi le ricadute, raccontate da ogni angolazione: le persone in fuga dal fronte, la crisi energetica e quella alimentare.
Le vite dei cittadini ucraini sembrano descritte solo come collettività: la paura e la resistenza, la quotidianità spezzata e la vita che riparte. È tutto troppo grande e macroscopico per raccontare il punto di vista dei comuni cittadini. Ha provato a farlo Anne Applebaum in un lungo articolo pubblicato sull’Atlantic intitolato “L’altro esercito ucraino”, in cui racconta le vite di un presente in cui tutto sembra effimero e nessuno sa cosa accadrà dopo.
L’autrice ha scelto come punto di osservazione Odessa, «una città sospesa tra grandi eventi» dove il panico che ha travolto la città a febbraio sembra ormai appartenere a un’epoca distante nel passato: in estate la città è calda, semivuota e si sta preparando per ciò che verrà dopo.
«Alcuni si stanno abituando al peggio», scrive Applebaum. «Odessa ha subito un assedio di 10 settimane da parte di tedeschi e rumeni durante la Seconda guerra mondiale, poi un’occupazione di tre anni; l’attuale sindaco, Gennadiy Trukhanov, mi ha detto che la città ora sta riempiendo i magazzini di cibo e medicine, nel caso la storia si ripeta».
L’11 luglio scorso, i servizi di sicurezza ucraini hanno catturato una spia russa che cercava potenziali obiettivi nella città; il 23 luglio le bombe russe hanno colpito i moli di Odessa.
Nella quotidianità che si sta ricreando in città i pedoni passeggiano davanti alle facciate italiane nel centro storico di Odessa e bevono un caffè sotto l’ombrellone. Ma la gente presta attenzione alla guerra, un’attenzione ossessiva e per certi versi rassegnata.
Qualcuno ha installato sul telefono un’app che fa eco alle sirene antiaeree, poi però disattiva l’audio quando partono gli allarmi: un segnale che dopo tanto tempo la paura si confonde, diventa rumore di fondo. «Il mio hotel aveva un rifugio antiaereo – si legge nell’articolo – una stanza senza finestre, ma nessuno ci andava durante i raid aerei. “Sarai fortunato o sfortunato”, mi ha detto il custode. Non ha senso cercare di sfuggire al destino».
Non tutti sono afflitti dall’apatia, dall’ansia o dalla paura. In tutta la città, studenti, contabili, parrucchieri e altri professionisti hanno aderito a quello che Applebaum definisce «un movimento sociale senza precedenti»: sono volontari che, con campagne di crowdfunding e attivismo, aiutano a spiegare perché l’esercito ucraino ha combattuto così duramente e così bene, perché un tentativo russo decennale di cooptare e assimilare lo Stato ucraino è quasi del tutto fallito, anche in una città come Odessa, in cui c’è una grande diffusione della lingua russa.
Sono queste persone ad aprire una finestra sul futuro in un paesaggio altrimenti paralizzato, in un’economia in stallo, in una città in cui nessuno può più pianificare nulla.
Un esempio è il Servizio di volontariato ucraino (Uvs) creato da Anna Bondarenko (26 anni): un’organizzazione nata per fare formazione alle persone che volevano essere volontari o promuovere il volontariato in diversi settori.
Da quando è iniziata la guerra, le richieste di adesione si sono moltiplicate. Nessuno nel team dell’Uvs ha più di 30 anni e alcuni ne hanno meno di 20. I volontari, distribuiti in tutto il Paese, hanno aiutato a distribuire pacchi alimentari alle persone che hanno perso la casa, ripulire le macerie dopo i bombardamenti e, per coloro che sono disposti a correre rischi reali, per guidare auto o autobus nelle zone di guerra e tirare fuori le persone.
Ormai la rete creata da Bondarenko è tentacolare. Anne Applebaum ha citato nel suo articolo Lisa, una volontaria di Melitopol, che all’inizio dell’invasione russa era responsabile della distribuzione di cibo in una parte della città tagliata fuori dal centro, e così è rimasta finché qualcuno di un’organizzazione partner ha chiamato Bondarenko per avvertirla che Lisa era su una lista per essere arrestata o rapita. Uvs ha aiutato Lisa ad andarsene in poche ore.
Ma il lavoro dei volontari non è solamente umanitario, va molto oltre e diventa anche parte integrante dello scontro militare. «Serhiy Lukachko, dell’Uvs, gestisce un sito web chiamato My City, che un tempo era dedicato al sostegno di eventi culturali e altri progetti a Odessa», si legge nell’articolo. «Ora lui e un collega hanno messo le loro conoscenze al servizio di una brigata dell’esercito ucraino. Attraverso il crowdfunding, acquistano giubbotti antiproiettile, uniformi extra e i suv a quattro ruote motrici che sono molto richiesti al fronte».
Gli esempi di aiuti militari non sono finiti. In molti modi i cittadini che non vanno direttamente al fronte imbracciando un fucile o facendo fischiare un lanciarazzi possono ricoprire un ruolo decisivo in una battaglia.
Dmytro Milyutin gestisce una profumeria in centro a Odessa, ma all’inizio della guerra preso un prestito per fornire sofisticati abiti militari ai soldati ucraini che combattevano vicino a Odessa: l’esercito ucraino distribuisce le divise, ma non dà i giubbotti con molte tasche appositamente disegnati per trasportare armi e kit di pronto soccorso, o gli zaini leggeri che ad esempio i soldati americani hanno in dotazione.
L’ufficio di Olexander Babich, uno storico originario di Odessa, oggi ospita mucchi di sacchi a pelo, materassini, binocoli e visori notturni acquistati grazie a donazioni: presto o tardi verranno distribuiti ai militari. Con l’aiuto di alcuni storici suoi colleghi di Kherson – che ora vivono nel suo appartamento – rintraccia, importa e distribuisce l’attrezzatura all’esercito.
Questa storia, spiega Applebaum, rivela anche un lato oscuro, da ricercare nelle storiche difficoltà e nei problemi che affliggono l’Ucraina da anni. «Se l’esercito ucraino fosse stato meglio equipaggiato, o se l’Ucraina fosse un Paese più ricco, o se non ci fosse così tanta corruzione, il movimento sociale nato in questi mesi non sarebbe stato necessario: i volontari sono emersi proprio perché i soldati ucraini non hanno kit di pronto soccorso, i cecchini ucraini non hanno le divise giuste e nemmeno lo Stato ha la capacità di distribuire queste cose».
I volontari diventano fondamentali perché lavorano nelle pieghe di un Paese che per tre decenni è cresciuto su un’impalcatura amministrativa piuttosto instabile, fragile.
C’è ovviamente anche la mano di Vladimir Putin dietro questa condizione di infinita precarietà: seguendo le orme dei leader sovietici che lo hanno preceduto, il capo del Cremlino ha sistematicamente distrutto qualunque spirito civico emerso dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
«Per impedire alle persone di organizzarsi, per convincere le persone che non ha senso fare o cambiare qualcosa, lo Stato russo e la sua macchina propagandistica hanno promosso per due decenni la paura, l’apatia e il cinismo», scrive Applebaum.
Ovviamente la partecipazione al movimento di volontariato, sebbene diffusa, non è universale. E l’Ucraina non è una nazione di santi. Non tutti stanno combattendo mettendo in gioco la propria vita per le sorti del Paese. Molti sono già andati via con scarsa intenzione di tornare.
«L’Ucraina del dopoguerra, però, sarà forgiata da chi è rimasto – si legge ancora nell’articolo – e da chi si è offerto volontario, da chi ha fatto lo sforzo di collegare fornai, tassisti e medici allo sforzo bellico: loro creeranno la cultura ucraina del dopoguerra, ricostruiranno le città e guideranno il Paese in futuro resistendo all’influenza russa, all’occupazione e a chi minaccia la loro identità. Loro sono emersi in opposizione a un’autocrazia russa che reprime la spontaneità e la creatività, e continueranno a farlo anche dopo la fine della guerra».
Ucraina, scoop di Deborah Haynes: "Soldati inglesi schierati a Kiev". Il governo conferma: "Li perseguiremo". Putin che farà? Libero Quotidiano il 10 marzo 2022.
Ci potrebbero essere dei soldati inglesi tra i militari che combattono per fermare l'avanzata russa. A rivelarlo Deborah Haynes. La giornalista, editrice di Sky News per la sicurezza e la difesa, ha fatto sapere su Twitter che "il Regno Unito conferma: un 'piccolo numero di soldati' potrebbe essere andato AWOL a combattere in Ucraina. Il portavoce dell'esercito britannico: 'Siamo a conoscenza di un piccolo numero di singoli soldati che hanno disobbedito agli ordini e sono andati via senza permesso, e potrebbero essersi recati in Ucraina a titolo personale'".
E ancora, sempre riportando le parole del portavoce dell'esercito inglese: "Li stiamo incoraggiando attivamente e con forza a tornare nel Regno Unito". Infatti, era stato l'avviso, "a tutto il personale di servizio è vietato recarsi in Ucraina fino a nuovo avviso. Ciò vale indipendentemente dal fatto che la persona di servizio sia in congedo o meno. Il personale che si recherà in Ucraina dovrà affrontare conseguenze disciplinari e amministrative". Ma la notizia di soldati britannici sul campo in Ucraina, al Cremlino, potrebbe determinare reazioni drammatiche. Insomma, lo scoop rischia di avere pesanti conseguenze sul conflitto.
Al momento infatti Boris Johnson non intende inviare uomini, evitando nuove e più tragiche conseguenze. Diverso discorso invece sulle armi. Dopo l'Unione europea, è il Regno Unito a equipaggiare gli ucraini. È stato dunque valutato l'invio di missili anti-aerei Starstreak. A dare l'annuncio è stato il capo della Difesa britannica Ben Wallace. "Possiamo tutti vedere l'orribile devastazione inflitta alle aree civili dall'artiglieria russa e dagli attacchi aerei, indiscriminati e assassini - ha premesso dopo il bombardamento all'ospedale pediatrico di Mariupol -. È quindi fondamentale che l'Ucraina mantenga la sua capacità di volare e di sopprimere l'attacco aereo russo. Ma la capacità deve essere rafforzata, quindi in risposta alle richieste ucraine, il governo ha preso la decisione di esplorare la donazione di missili anti-aerei portatili ad alta velocità Starstreak".
Otto e mezzo, Caracciolo e la verità sugli ucraini: "Addestrati da americani e britannici". Come finisce la guerra. Giada Oricchio su Il Tempo il 10 marzo 2022
“Putin pensava a una guerra lampo. Non sapeva che gli ucraini militarmente sono stati attrezzati da americani e britannici”. La rivelazione è di Lucio Caracciolo, direttore della scuola di "Limes" e direttore dell’omonima rivista. La Russia è a un passo dal default per la scellerata decisione di invadere l’Ucraina, mentre i negoziati falliscono, la propaganda la fa da padrona sul campo e l’Occidente teme la crisi energetica e il rallentamento economico dopo la già devastante pandemia. A “Otto e Mezzo”, il talk politico preserale di LA7, giovedì 10 marzo, Lilli Gruber cerca di capire l’oggi e il domani con Lucio Caracciolo.
Il direttore sottolinea: “La guerra di propaganda è parte essenziale della guerra stessa e sta a noi capire cosa è vero e cosa è falso. Alcune cose sono evidenti però: questo conflitto non può che finire con una forma di compromesso. La Russia non si ritirerà spontaneamente e l’Ucraina non può vincere contro l’esercito russo, qualche compromesso si troverà”. La via della diplomazia, con concessioni da una parte e dall’altra, sembra l’unica percorribile anche se Caracciolo individua una seconda strada alla luce degli errori di Putin e dei suoi sodali: “L’alternativa è che qualcuno in Russia spieghi a Putin che è ora di andare a ritirarsi, ma questo non può avvenire durante la guerra. Ma le voci che ci dicono di malumori all’interno della nomenclatura, anche quella militare, si fanno sempre più evidenti”.
Ed ecco il passaggio più interessante: “I russi hanno sbagliato completamente i calcoli, hanno sbagliato tutto nelle operazioni militari. Non hanno capito che c’era una resistenza forte e militarmente attrezzata in questi anni soprattutto da americani e britannici che avrebbe dato filo da torcere”.
Parole che ricordano e quasi ricalcano quanto dichiarato pochi giorni fa da Mike Repass, ex comandante del Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti in Europa, alla CNN: “La NATO e gli Stati Uniti hanno fatto un lavoro magnifico nell'addestrare l'esercito ucraino. Quando ho visitato un'unità delle forze speciali ucraine a settembre, ho percepito immediatamente che questi ragazzi erano ben addestrati; sembravano i nostri ragazzi. Avevano gli stessi automatismi, gli stessi processi di pianificazione”.
Il generale che guida la resistenza ucraina: «Non esiste il diritto all’arroganza». Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 5 Marzo 2022.
Valerij Zaluzhny è il primo capo di stato maggiore ucraino a non essere uscito da un’accademia sovietica. Ha trasformato un corpo improvvisato in un’armata. Uomo dell’ovest, falco pro-Nato. L’arma preferita il Javelin: sarà lo stringer «afghano»?
Nel 2014 l’Ucraina ha perso la Crimea quasi senza sparare un colpo. Gli ufficiali di Kiev davanti all’arrivo dei soldati russi cambiarono bandiera. L’intera catena di comando era cresciuta nelle accademie dell’Unione sovietica. I loro vicini di branda, i giovani con cui avevano combattuto in Afghanistan o in Cecenia erano diventati i nemici. Difficile, difficilissimo per gli ucraini combattere ex commilitoni. Valery Fyodorovich Zaluzhny, il capo di stato maggiore che sta guidando la resistenza del Paese contro l’invasione russa è l’esatto opposto di quelli che allora tradirono la nuova patria.
Primo, Zaluzhny è un uomo dell’ovest. È nato a Novohrad-Volynskyi, una città di tradizione cattolica e influenza polacca. Se Ucraina significa confine, frontiera tra mondo ortodosso e cattolico, tra la steppa e il continente urbanizzato, lui è figlio del mondo di qua. Se potesse scegliere dove stare, come cultura, impostazione politica, relazioni sociali, non avrebbe dubbi, sceglierebbe l’Europa, non l’Asia. «Le stellette sulla manica non danno diritto di essere arroganti», ha detto.
Fa ancora parte di una generazione a metà strada tra il suo presidente attore, disinvolto, maglietta e selfie, social e pr, e le mummie targate Urss. Ma è un generale che sa sorridere ai soldati. È entrato in carica meno di un anno fa quando il presidente Zelensky ha capito di dover avere in quella posizione qualcuno di cui fidarsi.
Secondo, è il primo capo di stato maggiore ucraino a non essere uscito da un’accademia sovietica. Il tessuto rigido della divisa resta quello, così la passione per una smisurata quantità di medaglie, persino la struttura di comando del suo esercito è d’impostazione sovietica. Ma lui non ha amici e conoscenti dall’altra parte. Anzi. Il suo battesimo del fuoco da giovane ufficiale è stata proprio la secessione pro-russa del Donbass nel 2014. È per merito suo e di tanti altri giovani ucraini se le prime conquiste russe si sono limitate a una frazione del territorio della regione. Ha sparato, ha combattuto, ma soprattutto ha saputo animare un esercito improvvisato, fatto più da volontari e miliziani che da professionisti.
È diventato leggendario in Ucraina il reparto di giovani ribelli di Maidan, universitari di Kiev dai capelli lunghi e la passione per il rock, che Zaluzhny ha portato nel Donbass. È con soldati così che allora l’Ucraina fermò l’avanzata dei separatisti filorussi. «A volte è stato difficile con loro. Non erano come c’è scritto nel manuale del soldato. Ma con le loro vite, il loro sangue, il loro coraggio, hanno fatto quello che andava fatto. Abbiamo fermato il nemico, siamo rimasti in piedi a difendere la nostra terra». Il modello è lo stesso che le sue Forze Armate stanno cercando di replicare anche in questa guerra, a dimensione nazionale.
Terzo, è un modernizzatore senza rimpianti. «I giovani che entrano in Accademia oggi, sono diversi da come eravamo noi. Sono migliori. Conoscono le lingue, passano dalla scrivania al campo di battaglia portandosi dietro l’abilità con i gadget elettronici che sono entrati nell’equipaggiamento».
È un falco pro Nato. È stato lui ad insistere perché l’Ucraina partecipasse a campi di addestramento con americani e britannici. Lui a chiedere la compatibilità tra gli armamenti e i sistemi di comunicazione della Nato, pur sapendo che entrarci sarebbe stato difficilissimo.
Le sue liste per la spesa sono fatte di droni, elettronica, sensori. È innamorato del Javelin, un razzo anti carro a spalla Usa micidiale e facile da usare: il carro armato nemico non ha scampo. Il Javelin potrebbe diventare per l’Ucraina quello che lo stinger è stato per l’Afghanistan.
Quarto, è un combattente di prima linea. E l’Ucraina ha tantissimo bisogno di coraggio.
Chi è il generale che preoccupa Putin. Alessandro Ferro su Il Giornale il 6 marzo 2022.
È l'uomo da cui dipende la strategia operativa ucraina nei confronti della Russia e uno degli uomini di cui si fida maggiormente il presidente Zelensky: il suo nome è Valery Fyodorovich Zaluzhny, Capo di stato maggiore che sta guidando la resistenza del Paese contro l’invasione russa. Il generale ucraino è un uomo tutto d'un pezzo e l'esatto opposto di chi, nel 2014, si arrese praticamente senza combattere regalando la Crimeai ai russi.
Al quarto giorno di combattimento, il tenente generale Zaluzhny ha inviato un forte messaggio ai suoi per motivarli e caricarli pur sapendo di combattere contro uno degli eserciti più grandi del mondo, sottolineando come in soli due giorni fossero stati mobilitati quasi 100mila cittadini, la metà dei quali riservisti delle Forze armate. "Siamo osteggiati da uno dei più grandi eserciti del mondo. Ma siamo più forti! E ogni giorno le nostre panchine diventano più forti". A parte il discorso motivazionale e strategico, Zaluzhny è un uomo dell’occidente: è nato a Novohrad-Volynskyi, città con fortissima tradizione cattolica e influenza polacca. Se dovesse idealmente indossare una maglia, la sua impostazione culturale, politica e sociale è europea, non asiatica. "Le stellette sulla manica non danno diritto di essere arroganti", ha affermato durante un suo intervento alla stampa.
Chi lo conosce dà sempre lo stesso giudizio: il generale entrato in carica meno di un anno fa e uomo di fiducia di Zelensky, è una via di mezzo tra il "presidente attore" e i musoni russi. Il suo carattere è ben apprezzato dai suoi sottoposti che hanno dichiarato come "sappia sorridere", quasi un ossimoro quando si parla di un militare che occupa la sua posizione. Secondo punto a suo favore: come riporta il Corriere, si tratta del primo capo di stato maggiore ucraino che non proviene da una formazione in un’accademia sovietica ma non ha nulla a che spartire con i russi. Grazie a lui, nel 2014, i danni nel Donbass sono stati limitati aiutando e armando un esercito composto non certo da professionisti ma da volontari spesso e volentieri alle prime armi, senza esperienza né formazione.
Nel reparto dei giovani ribelli di Maidan, in Ucraina, è considerato una leggenda. Gli universitari disinvolti e ancora frivoli devono molto a Zaluzhny. "A volte è stato difficile con loro. Non erano come c’è scritto nel manuale del soldato. Ma con le loro vite, il loro sangue, il loro coraggio, hanno fatto quello che andava fatto. Abbiamo fermato il nemico, siamo rimasti in piedi a difendere la nostra terra". Terzo, stiamo parlando in modernizzatore al passo con i tempi, non di certo un austero e compassato uomo di un'altra epoca. "I giovani che entrano in Accademia oggi - ha dichiarato - sono diversi da come eravamo noi. Sono migliori. Conoscono le lingue, passano dalla scrivania al campo di battaglia portandosi dietro l’abilità con i gadget elettronici che sono entrati nell’equipaggiamento".
Infine, ama la Nato: ha insisto affinché l’Ucraina partecipasse ai campi di addestramento con americani e britannici. È stato lui a domandare se ci fosse compatibilità tra gli armamenti e i sistemi di comunicazione della Nato anche se l'impresa sarebbe stata improba. Moderno e tecnologico, se ne intende di droni, elettronica e sensori. Insomma, fin quando sarà al comando, l'Ucraina ha sicuramente un "centravanti", un attaccante di altissimo livello.
MERCENARI FILO RUSSI.
Francesco Battistini per il “Corriere della Sera” il 27 settembre 2022.
Non che non l'avessimo capito. Solo due giorni fa, dal podio dell'assemblea generale dell'Onu, il colonnello golpista maliano Abdoulaye Maiga era salito a ringraziare pubblicamente i mercenari di Wagner che Putin ha inviato in Africa, «esemplare e fruttuosa collaborazione fra Mali e Russia». E in Siria la stampa araba parla di «vuoto russo», da quando il Cremlino ha richiamatogli uomini di Wagner per spostarli nel Donbass.
E nel Donetsk che domani verrà annesso alla Russia coi finti referendum, nelle acciaierie ucraine Yenakiieve e Steel Works, 500 operai sono stati arruolati a forza e portati ad addestrarsi con gli istruttori di Wagner. Non che non si sapesse. Però a dircelo ieri è stato l'uomo che ha fondato Wagner, Evgeny Prigozhin, 61 anni, il famoso «cuoco di Putin», che per la prima volta l'ha ammesso pubblicamente: i miei soldati, altro che semplici patrioti, altro che omini verdi di buona volontà, sono mercenari bell'e buoni. E dipendono direttamente dal Cremlino.
«E ora, una confessione», ha detto Prigozhin. La domanda gliel'ha fatta un giornalista che s' era stupito del video circolato giorni fa, dove si vedeva l'amico di Putin arringare un gruppo di detenuti d'un carcere per convincerli a combattere: Evgeny Viktorovic, gli ha chiesto, non neghi più d'essere l'arruolatore per conto del Cremlino? Ebbene, ha ammesso lui, «nel 2014 ho fondato il Gruppo tattico Wagner proprio per poter inviare soldati capaci nel Donbass».
Come andò? «Il primo maggio, nacque il primo gruppo di patrioti. Questi ragazzi hanno difeso i russi dal genocidio, il popolo siriano dagli altri arabi, hanno combattuto i demoni africani e latinoamericani. Sono diventati il pilastro della nostra patria». Un lavoro da imprenditore, lo descrive lui: «Nel 2014 andai nei centri d'addestramento dei nostri cosacchi, per investire soldi e reclutare uomini armati che potessero muoversi rapidi a protezione dei russi.
Ma vidi che i cosacchi non funzionavano. Allora formai un gruppo mio, andando in un poligono e rimboccandomi le maniche. Gettai via le vecchie armi, selezionai le persone che potessero aiutarmi. E in poco tempo fummo pronti a liberare l'aeroporto di Lugansk e a cambiare il destino del Donbass».
L'ammissione ha un suo peso. Il legame fra il «cuoco» e Putin dura dai tempi di San Pietroburgo, da quando Prigozhin accoglieva nel suo ristorante il futuro presidente.
In questi otto anni, i due son sempre stati ben attenti a tenere il Cremlino fuori dalle attività di Wagner: a Mosca c'è una sede ufficiale, si pubblicano bandi d'arruolamento, ma ai media finora era vietato nominare il gruppo armato.
Figurarsi indagare. Qualche «cane giornalista» che l'ha fatto, «sputando, cercando elementi negativi, trovando i panni sporchi» (parole di Prigozhin), è morto. Alle famiglie dei mercenari caduti, il silenzio viene pagato da Putin fino a 50 mila dollari. Le decorazioni sono conferite con cerimonie segrete. E pochi mesi fa, lo Zar negava quel che tutti sanno: che gl'invisibili di Prigozhin fanno ovunque il lavoro sporco che le truppe di Mosca non possono rivelare.
«Se prima facevamo tutti finta che non esistessero - svela Special Task Channel, un blog vicino al Cremlino -, ora è diverso. Loro non sono più indefiniti volontari che combattono. Sono gli uomini di Wagner!». Le sconfitte di queste settimane stanno lasciando ferite. E se il leader ceceno Ramzan Kadyrov contesta la strategia, qualcosa sembra muoversi anche nei palazzi: il responsabile della Difesa, Sergej Shoigu, soffre il ruolo del «cuoco», ormai il ministro-ombra della campagna militare. Prigozhin s' è conquistato i meriti sul campo, «ho difeso gl'interessi del Paese e protetto gli svantaggiati» dal Centrafrica al Venezuela, dalla Libia alla Crimea, sollevando spesso invidie e sospetti.
All'inizio dell'Operazione speciale - rivela un corrispondente militare russo - i generali moscoviti avevano tagliato fuori i mercenari di Wagner, pensando di prendere Kiev in pochi giorni: «Quando però è iniziata la guerra di trincea, sono dovuti ricorrere» a loro. E anche ora che le cose si complicano, i wagneriani vengono indicati, citati, esaltati. «Sono i primi musicisti della nostra orchestra!», dice un po' retorico un inviato tv di Rossiya1: chiamati a cambiare spartito.
Estratto dell’articolo di Marco Ventura per “il Messaggero” il 9 agosto 2022.
«Patria, onore, sangue, coraggio. WAGNER». Il manifesto è comparso a sorpresa, gigantesco e ammiccante con l'immagine di tre paramilitari in uniforme, per le strade di Ekaterinburg, la quarta città della Russia per numero di abitanti e il principale centro industriale degli Urali. Un altro recita: «L'orchestra Wagner ti aspetta».
Chi voglia entrare nel gruppo di musicisti mercenari della guerra può rivolgersi a una sfilza di agenti reclutatori in tutta la Federazione russa, a partire da San Pietroburgo che della compagnia di contractors privati è insieme culla e base.
Oppure può andare sul sito dell'azienda e scoprire un appello più esplicito, accanto all'immagine degli incursori e combattenti al soldo dell'organizzazione: «Hanno già liberato Popasna, unisciti a noi per liberare l'intero Donbass. Vai alla tua prima campagna militare con le leggende viventi del settore».
[…] La notizia […] è che in questo modo Wagner esce dal silenzio, se non addirittura dall'illegalità. Le Pmc (Private military company, o aziende private militari) sarebbero fuori legge in Russia, per quanto almeno dal 2014, cioè proprio dall'inizio della guerra del Donbass prima dell'invasione russa di febbraio 2022, venivano tollerate anche al livello più alto. Su fino al Cremlino.
Fino a non molto tempo fa ogni attività dell'organizzazione, dal reclutamento alle campagne militari alle aree di impegno, era avvolta in un fitto mistero caldeggiato dall'alto. Per entrare bisogna firmare una clausola di riservatezza, che si estende ai familiari in caso di morte del loro caro. Segretezza che non ha impedito però al Cremlino di insignire ufficiali mercenari di prestigiose onorificenze patriottico-militari.
Quando l'aviazione americana, in Siria nel 2018, uccise circa 200 mercenari tra cui uomini di Wagner, a domanda di Washington il Cremlino rispose che non sapeva nulla della presenza di privati in armi.
Sempre negati contatti e collegamenti con Wagner e col suo fondatore, Dmitry Valeryevich Utkin, nato nel 1970, un ex tenente colonnello del GRU, il servizio d'informazione delle forze armate russe, che lasciando l'esercito nel 2013 aderì al gruppo Moran, una società di contractors sciolta poi nello Slavonic Corps, da cui infine sarebbe nato, sotto la sua guida, il Wagner Group, dal nome del compositore più amato da Hitler.
[…] Neo-nazista dichiarato, Utkin si è fatto ritrarre con elmetti della Wermacht, ha una venerazione per le SS e per il loro creatore, Himmler, ed è vicino al neopaganesimo russo che esalta i Rus (scandinavi stanziati nel Medioevo tra Ucraina e Russia Occidentale). Ma dalla leggenda si è passati poi all'industria, secondo molti osservatori grazie anche al suo presunto principale finanziatore, e uomo-cerniera col Cremlino, Yevgeny Prigozhin, classe 1961, venditore di hot dog diventato ricchissimo oligarca della ristorazione e, naturalmente, chef di Putin. Celebre una sua foto nella quale scopre la campana su una pietanza servito allo Zar, che ricambia il gesto con una smorfia di piacere. […]
Dagotraduzione dal Daily Mail il 7 giugno 2022.
Un mercenario russo diventato noto per aver massacrato prigionieri di guerra e civili nel Donbass è stato ucciso in Ucraina. Secondo i media russi, Vladimir Andonov, 44 anni, del gruppo Wagner, è stato colpito da un cecchino vicino a Kharkiv durante una missione di ricognizione il 5 giugno.
In patria Andonov era conosciuto come “Vakha” o “il volontario della Buriazia”, la regione da cui proveniva, mentre per gli ucraini era “il boia” per via dei massacri che ha contribuito a compiere durante la prima invasione russa nel 2014. La sua morte è stata confermata da Zhambal-Zhamso Zhanaev, capo della regione da cui proveniva Andonov, che ha parlato al quotidiano russo Moskovskij Komsomolets.
Andonov ha prestato servizio nell'esercito regolare russo dal 1997 al 2005, poi si è trasferito nella città di Ulan-Ude dove ha studiato in una scuola di insegnamento. Ha abbandonato la scuola prima di completare gli studi e ha ottenuto un lavoro nel commercio, prima di arruolarsi volontario per andare a combattere in Ucraina nel 2014.
Andonov è stato arruolato nella compagnia delle forze speciali di Olkhon che combatteva nel Donbass e all'inizio del 2015 ha preso parte alla battaglia di Debaltseve, una delle ultime grandi battaglie della guerra del 2014. A quel tempo, è apparso in un video girato nella regione presto diventato uno dei primi elementi di prova che i volontari della Buriazia erano in Ucraina.
L'Ucraina lo accusa di aver partecipato personalmente al massacro di prigionieri di guerra nella città di Logvinovo all'indomani della battaglia e di aver ucciso civili in altre parti del Donbass.
Andonov è rimasto in Ucraina anche dopo gli accordi di Minsk del 2015, ed è tornato in Russia nel 2017. Ma alla fine di quell'anno è scomparso: ha cancellato le sue tracce online, e negli anni successivi ha combattuto con le unità Wagner in Siria e in Libia.
I mercenari Wagner si sono guadagnati la loro reputazione di assassini per aver combattuto battaglie che l’esercito regolare russo non poteva intraprendere - partecipando a massacri, torture e uccisioni indiscriminate lungo il percorso.
Andonov è tornato poi in Ucraina a seguito dell'ordine di Putin di invadere nuovamente il Paese, il 24 febbraio. Non è chiaro dove avesse combattuto esattamente prima della sua morte nei pressi della città ucraina di Kharkiv domenica.
Chi è il boia della Wagner ucciso dagli ucraini. Alessandro Ferro il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.
Un cecchino ucraino avrebbe ucciso uno degli uomini più temuti dei mercenari Wagner: ecco chi era Vladimir Andonov e perché aveva acquisito la nomea di "boia".
A inizio aprile avevamo visto che Putin, per la sua "operazione speciale" in Ucraina, aveva arruolato anche i mercenari Wagner, un’organizzazione paramilitare russa che agisce come un esercito privato in aggiunto a quello ufficiale che ha subìto pesantissime perdite dal 24 febbraio ad oggi. Ecco la necessità di chiamare in combattimento questi militari di varia nazionalità alle dipende dello Zar. È notizia delle ultime ore che, dopo aspri combattimenti in Donbass epicentro della guerra, è stato ucciso quello che era soprannominato "il boia", ossia uno dei soldati più forti e temuti della Wagner. Il suo nome è Vladimir Andonov, 44 anni, deceduto a causa di un cecchino dell'esercito di Zelensky.
Chi era Andonov
Conosciuto per essere stato uno spietato killer con un curriculum che affonda le radici già nel 2014, la notizia è stata data dal giornale di Mosca Moskovsky Komsomolets: "È morto la scorsa notte durante la ricognizione della zona insieme al suo amico". Andonov era conosciuto dai russi come "Vakha" o "il volontario della Buriazia", regione da cui proveniva, ma dagli ucraini come "il boia" per i massacri che ha iniziato a compiere ormai otto anni fa. Di origini mongole, ha prestato servizio nell'esercito russo dal 1997 al 2005, quando poi ha deciso di trasferirsi nella città di Ulan-Ude, in Siberia orientale, dove ha studiato in una scuola per diventare insegnante. Gli studi, però, non erano il suo futuro e ha lavorato nel commercio prima di arruolarsi tra i volontari per combattere in Ucraina nel 2014.
Andonov è stato arruolato nella compagnia delle forze speciali di Olkhon, combattenti in Donbass, e ha preso parte alla battaglia di Debaltseve (nel Donetsk) all'inizio del 2015, una delle ultime grandi battaglie di inizio guerra. In quel periodo, il suo volto era anche apparso in un video girato nella regione diventato uno dei primi elementi di prova che i volontari della Buriazia si trovassero in Ucraina. Kiev lo ha accusato di aver preso parte in prima persona al massacro di alcuni prigionieri di guerra nella città di Logvinovo oltre ad aver ucciso numerosi civili.
Un passato misterioso
Come ricorda il DailyMail, Andonov sarebbe rimasto in Ucraina in prima linea anche dopo che la guerra su vasta scala che era terminata con la firma degli accordi di Minsk nel 2015 e prima di tornare nella sua regione d'origine nel 2017. Alla fine di quell'anno, però, di lui non si è saputo più nulla, ha fatto sparire ogni traccia di se stesso anche dai social: gli esperti ritengono che abbia combattuto con la Wagner in Siria e Libia. I mercenari Wagner si sono guadagnati la loro nomea di assassini e sanguinari per essere ancora più spietati del "regolare" esercito russo e uccidere chiunque incontrino lungo il noro percorso oltre ad aver partecipato a massacri e torture.
Sembra un ossimoro, e in realtà lo è, ma il nome del gruppo deriverebbe da quello di Richard Wagner, il famoso compositore tedesco in tutto il mondo le cui opere, che costituiscono un patrimonio immenso, avrebbero ispirato l’ideologia degli stessi mercenari.
(ANSA il 26 marzo 2022) - Hezbollah ha accettato di inviare 800 combattenti in Ucraina per prendere parte alle ostilità a fianco della Federazione Russa. Lo riporta il quotidiano russo dell'opposizione Novaya Gazeta citato da Unian.
Ai combattenti sono stati promessi 1.500 dollari al mese. Secondo alcune fonti, i rappresentanti della compagnia militare privata russa Wagner si sono incontrati con i militanti di Hezbollah. Sarebbe stato raggiunto un accordo per assumerne 800 e 200 di questi saranno inviati in Bielorussia entro la fine del mese.
Riccardo De Palo per “Il Messaggero” il 15 maggio 2022.
«Non volevo più combattere contro i miei fratelli. Soprattutto, avevo capito che l'Ucraina era lontana dall'aver completamente torto e la Russia dall'essere irreprensibile».
È stato nell'estate del 2015, in missione come mercenario a Lugansk, nel Donbass, che Marat Gabidullin comincia a porsi delle domande.
Sta per salire sull'Iliushin che lo riporterà a Mosca, quando si rende conto «di quanto fosse falsa e illusoria la presunta nobile causa che sosteneva di difendere gli interessi della Russia di fronte alle ingerenze di una potenza straniera ostile».
Gabidullin, 50 anni, è il primo e unico mercenario del Gruppo Wagner - l'armata segreta e privata di Putin di cui nessuno a Mosca riconosce l'esistenza, accusata di ogni sorta di violenze nel mondo - che abbia deciso di raccontare le sue esperienze in un libro (Io, comandante di Wagner, Libreria Pienogiorno, 288 pagine, 18,90 euro), senza trincerarsi dietro l’anonimato.
«Difficile prevedere cosa sarà del mio Paese, e di me - scrive - Temo forse per la mia vita o la mia libertà? Non sono una figura di spicco come Aleksey Naval'nyi o Boris Nemcov (il primo il capo del dissenso incarcerato, e il secondo il politico assassinato nel 2015 vicino al Cremlino, ndr). Non lancio appelli per salire sulle barricate e non dirigo alcun movimento di opposizione. Non faccio altro che parlare apertamente e con conoscenza di causa».
In servizio presso un ospedale di Lugansk, il mercenario scopre che il reparto più impegnato non è la traumatologia, come ci si potrebbe aspettare, ma la chirurgia maxillo-facciale. «Quando il marito torna dal fronte di pessimo umore - gli spiegano - si imbottisce di alcol, e comincia a picchiare tutto ciò che si muove». Così trova «camere piene di donne, con delle stecche alle mandibole e delle bende a coprire le ferite».
«Questa guerra noi non la volevamo, siete stati voi a scatenarla e ad alimentarla», gli dice un ragazzo a cui vende una stecca di sigarette al mercato. Così promette a se stesso: «Se mi spediranno di nuovo nel Donbass, per di più magari per combattere, allora no, non andrò».
Gabidullin ha tenuto fede a questo suo proposito. Nel 2019, ha lasciato la divisa di un'organizzazione che, ufficialmente, non esiste. Oggi sostiene, in dichiarazioni alla Reuters, che il fallimento delle forze russe in ucraine si poteva prevedere: «L'esercito non era all'altezza del compito».
Lui la chiamata per tornare al fronte l'aveva ricevuta, ma aveva rifiutato di tornare a combattere, e aveva avvertito che stavano sottovalutando il nemico. «Sono stati colti di sorpresa dal fatto che l'esercito ucraino abbia resistito così ferocemente».
L'ex mercenario nel libro spiega di essersi accorto che la Russia stava preparandosi a questa guerra da molto tempo, investendo miliardi di dollari mentre nel suo Paese «le persone anziane sono costrette a vivere di pensioni umilianti».
Oggi, scrive, sono tre distaccamenti di Wagner a partecipare ai combattimenti, a Mariupol e Kharkiv. «La nuova tendenza è scambiare il patriottismo con i dollari». Ma Gabidullin non è un pentito, né un delatore, come spiegano i curatori del volume, Ksenia Bolcharova e Alexandra Jousset. È un soldato, che si porta dietro tutte le contraddizioni dei russi contemporanei, che ha cominciato a scrivere ispirato dalla lettura dei Racconti di Sebastopoli di Tolstoj. Ex militare, poi passato alla criminalità, e infine alle operazioni militari segrete.
Nel suo libro racconta la gavetta, la nomina a comandante, gli assalti alle città mentre le truppe di Assad restavano nelle retroguardie, la ferita provocata da una granata, proprio mentre stavano liberando Palmira dall'Isis. Tutti i fatti - sostiene - sono veri, solo i nomi sono cambiati. Così, il capo dell'organizzazione, il tenente colonnello Dimitrij Utkin, detto Wagner, è diventato Beethoven.
Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 14 maggio 2022.
«La Russia non aveva le informazioni e l'intelligence giuste sull'Ucraina. Non ha un Comando centrale unificato sul campo. Ha un miscuglio di gruppi che non si coordinano tra loro, l'esercito, la Rosgvardia, i kadyroviti, e i generali del Cremlino si fanno belli con le morti di chi si sacrifica sul campo. Alla fine la guerra la Russia la perderà, ma le vittime civili saranno ancora tante, le vittime militari saranno ancora tante, la guerra non sarà breve».
Chi parla così, in una città europea, è Marat Gabidullin, 50 anni, ex dell'aeronautica russa e soprattutto ex comandante del Wagner Group, il più temuto gruppo mercenario al mondo, finanziato dall'oligarca Evgheny Prigozhin (il "cuoco di Putin", proprietario tra l'altro della troll factory di San Pietroburgo, e ovviamente in cima alle sanzioni americane e europee, ha sempre negato).
La "Wagner" è stata per anni il terrore negli scenari di guerra ibrida, mercenari russi che hanno combattuto nelle situazioni più sporche del pianeta, in Siria, Libia, Centroafrica, e adesso, checché ne dica Serghey Lavrov, sono presenti anche in Ucraina. Gabidullin ha scritto un libro, Io, comandante di Wagner (Libreria Pienogiorno), che ora esce in italiano, ampliato rispetto all'edizione russa (dove c'erano state molte omissioni «per sfuggire alla censura»). Non è il libro di un pentito, questo bisogna saperlo. Piuttosto di uno che vuole difendere i suoi compagni dicendo la verità sul Cremlino, sui suoi generali, sulla «assurda guerra in Ucraina».
Lei nel libro scrive che ormai Wagner è male armata e male addestrata. Cosa è successo?
«Nel 2016, contro l'Isis in Siria, avevamo più munizioni e eravamo meglio equipaggiati, avevamo anche carri armati T-90.
Dal 2017 abbiamo cominciato ad avere una quantità molto limitata di munizioni. A Hama gli americani sapevano tutte le nostre mosse in anticipo, e fu un massacro. Alla fine della battaglia di Palmyra, gli unici carri armati che avevamo erano cinque T-72 sottratti ai siriani».
Lei dice che i morti di Wagner vengono taciuti e ignorati dal Cremlino. Ormai la brigata viene mandata allo sbaraglio?
«Non esattamente allo sbaraglio, almeno fino al 2017 erano combattenti addestrati molto bene. Oggi non più. Non c'è training, non c'è coordinamento delle azioni. Lo si è visto anche all'Isola dei Serpenti. Le vittorie in Siria furono dovute principalmente ai morti della Wagner, mentre i generali del Cremlino si fanno belli e vengono promossi. Ma l'Isis non aveva artiglieria, droni turchi, mezzi corazzati. In Ucraina è tutto completamente diverso».
Il ministro degli esteri russo Lavrov dice che Wagner non è in Ucraina.
Gabidullin sorride. «I politici non mentono mai: diciamo che non dicono mai tutta la verità.
Io penso che veramente Wagner non ci sia in quanto tale, ci sono tantissimi contractor di Wagner con qualcun altro che dirige le loro azioni».
Un'altra società rispetto a quella per cui lavorò lei (la Evro Polaz di Prigozhin)?
«Sicuramente i combattenti di Wagner oggi in Ucraina non vengono comandati da una società qualsiasi ma dalle forze ufficiali russe. Altrimenti sarebbe il caos».
Nel canale Telegram di Wagner, "RSODM", sono state scritte alcune verità sgradite alla propaganda russa. Per esempio che a Snake Island i russi si ritiravano, e era stata colpita una nave, un elicottero. Come lo spiega?
«Uno, evidentemente gli è permesso, si prendono un certo grado di libertà. E due, mandano, diciamo così, degli avvisi, un memento ai dirigenti russi: signori, ricordatevi che noi siamo qua, stiamo combattendo per voi».
Quanti russi sono morti in Siria, e quanti della Wagner? E quanti in Ucraina?
«In Ucraina non lo so, in Siria non voglio rivelarlo. Ma tutta la propaganda di Mosca è basata sul mentire sui morti, e dire che le vittorie sono ottenute con minimi sacrifici».
Come giudica militarmente il Comando delle Forze armate in Ucraina? Il generale Valery Gerasimov è stato duramente criticato.
«Non lo giudico bene. Pensavano a una guerra veloce, ma avevano cattiva intelligence sull'Ucraina. Non erano preparati, erano male infornati. Tre giorni dopo l'inizio della guerra quel c di Lukashenka - che non è russo ma parla solo su mandato di Mosca - fece un'intervista a Solovyov per dire che la Russia avrebbe vinto in tre giorni, "perché di là non c'è nessuno a fronteggiarli". Che c».
Alcuni membri della Wagner sono accusati di stupri, violenze sui civili, lei ha mai assistito a crimini del genere?
«Un contractor privato in Russia è una persona non riconosciuta, che per la legge non esiste, è fuorilegge, nessuno è responsabile per il suo destino.
D'altra parte, lui sa che potrà evitare qualunque responsabilità criminale per le sue azioni.
Una zona grigia tremenda, in cui ognuno è solo con i suoi demoni. Io non ho visto gli stupri, ma so che non tutti riescono a seguire le regole e l'etica, e trattenere la violenza».
Cosa pensa dell'invasione di Putin in Ucraina?
«Credo che sia un errore tragico. Non si poteva assolutamente attaccare l'Ucraina, sono nostri fratelli. Questa guerra va contro qualunque senso, contro il popolo ucraino, ma anche contro quello russo, sarà la rovina dell'economia e dello stato russo. So che la guerra sarà lunga. E so che se i russi riuscissero a tenere i confini degli oblast di Donetsk e Luhansk, si fermerebbero: non perché vogliono, ma perché non hanno assolutamente le forze per andare oltre. Ma hanno le forze per tenere eventualmente Kherson, Mariupol, Melitopol, Berdyansk? Da quello che mi dicono i miei compagni, no. Dopo questo disastro una Russia esisterà ancora, ma come? In che modo? Non sono una figura di spicco come Navalny o Nemtsov. Non dirigo alcun movimento di opposizione.
Non faccio altro che parlare apertamente, e con cognizione di causa. Ormai basta questo in Russia a essere accusato come nemico del popolo. Putin vive ormai in un suo mondo parallelo, è cocciuto e non cederà mai, sappiate che se non viene fermato potrebbe andare avanti all'infinito, lo dico ai tanti putiniani d'Italia, potrebbe inventarsi di dover invadere l'Italia perché un secolo fa eravate andati a combattere contro la Russia. Lo so, è fantascienza, ma fino a un certo punto».
Francesco Palmas per “Avvenire” il 22 aprile 2022.
L'influenza del Cremlino in molti Paesi del Continente e i legami con l'attività bellica in corso Soldati irregolari che si sono spesso macchiati di crimini, vengono portati nel nuovo teatro di conflitto. Un inquietante intreccio tra interessi militari, petroliferi e di controllo politico Impantanata nel conflitto ucraino, Mosca sta attingendo a tutte le risorse disponibili per dipanare una matassa dai bandoli finora inestricabili.
Da settimane sta rafforzando gli effettivi già in teatro con mercenari e suppletivi, molto bellicosi. Secondo l'intelligence militare britannica, almeno un migliaio di contractor del gruppo privato Wagner sarebbe stato richiamato dall'Africa e dalla Siria per essere proiettato nell'est ucraino. Molti di questi uomini sarebbero stati già ingaggiati a Mariupol e Kharkiv, due snodi cruciali di questa guerra barbara. Fra loro ci sono criminali di guerra, noti per i loro metodi sbrigativi nel Vicino Oriente, in Libia, in Centrafrica e in Mali.
Una fonte anonima libica, citata dal quotidiano Al-Araby Al Jadeed, afferma che i russi avrebbero sguarnito la città di Sukna e altri centri mediani e orientali della Cirenaica, radunando i mercenari nella base aerea di Al-Jufrah e imbarcandoli su un cargo militare. Destinazione: Ucraina.
Già all'inizio della guerra, alcuni scherani della Wagner sarebbero stati impegnati nella cattura fallimentare del presidente ucraino Zelensky. Se ne sa poco. Alcune fonti stigmatizzano gli irregolari russi anche per il massacro di Bucha. Non sarebbe una novità, visti i crimini da loro commessi altrove. Il via vai di mercenari dall'Africa al nuovo teatro di guerra è confermato anche da un responsabile militare egiziano e dalla giornalista Alexandra Jousseto, autrice del documentario 'Wagner, l'esercito dell'ombra di Putin'. Secondo lei, molti quadri della società militare privata hanno lasciato nei giorni scorsi anche il Centrafrica.
Dal 2015 Mosca ha investito moltissimo sul 'continente nero'. Vanta, nel soft power africano, il successo della campagna siriana, presentata come prova di quanto possa giovare il sostegno di Mosca nel garantire sovranità e indipendenza, a dispetto delle sanzioni occidentali. La manovra le ha già permesso di ottenere contratti per i suoi mercenari in una dozzina di paesi africani.
Opera con 6-7mila irregolari in Guinea Conakry, in Guinea Bissau, in Ruanda, in Angola, in Botswana, in Zimbabwe, nel Madagascar, in Sudan e nel Regno dello Eswatini (l'ex-Zwaziland). Tramite i buoni uffici della società militare privata Wagner, ha guerreggiato in Libia, in Mozambico e in Centrafrica. Sta facendo altrettanto in Mali e ha prospettive pure in Burkina Faso. Il Cremlino interviene surrettiziamente.
Smentisce legami ufficiali con Wagner, una società senza personalità giuridica in Russia, con sede legale in Argentina.
Ovunque intervengano, i mercenari di Mosca sono accompagnati da geologi dei colossi energetici. Il motivo è presto detto. Per pagare i servizi dei contractor, molti paesi africani, dalle casse vuote, offrono in cambio diritti minerari. Avverrà così anche in Mali, visto che Wagner è cara: si parla di un contratto da 11 milioni di dollari al mese con Bamako.
Lo schema è mutuato dal vicino Centrafrica e copiato dal modus operandi della famigerata Executive Outcomes. A Bangui girano non meno di 2.500 mercenari russi. La geografia fisica delle loro zone di combattimento combacia come una goccia d'acqua con le aree di massima concentrazione di risorse minerarie.
La società Lobaye Invest Ltd, controllata dal gruppo di San Pietroburgo M-Invest, ha ottenuto la licenza di sfruttamento di una miniera d'oro presso Ndassima, in una regione presidiata dai ribelli musulmani della Séléka. M-Invest non è un gruppo qualsiasi.
Fa capo a Eugenyi Prighozin, fedele di Putin e finanziatore di Wagner. Prighozin, da ex criminale comune, ha fatto fortuna con le sue catene di catering di lusso a Mosca e San Pietroburgo. Ha diversificato le attività. Ha una holding mediatica, Media Patriot, possiede compagnie di genio civile, ha attivi nell'industria del petrolio e in quella mineraria.
I l suo modello di sviluppo in Africa affianca le ambizioni geopolitiche di Mosca. Si offre come un fornitore di servizi, specie in materia di consulenza politica e di campagne d'influenza, ottenendo in cambio partecipazioni azionarie in compagnie minerarie. Inutile dire che l'uomo e le sue società sono sotto sanzioni americane ed europee.
Ma altre due sono le figure chiave di Lobaye in Centrafrica: Eugenii Khodotov, un ex ufficiale russo di polizia, ora direttore generale della compagnia, e Dimitri Alexandrov, che cura la strategia mediatica russa in Centrafrica. Mosca punta però ancora più in alto. Più che le risorse minerarie, di cui è già ricchissima e di cui il Centrafrica non abbonderebbe troppo, al Cremlino interessano la geopolitica regionale e la stabilità del paese, che verrebbero sfruttate come un trampolino di lancio verso zone più attraenti economicamente.
Un alto responsabile dell'Onu, che si occupa di questioni di sicu- rezza, non esclude che «i russi si siano stabiliti in Centrafrica per creare un duplice asse d'influenza, attraverso il Sudan a nord e verso l'Angola a sud». Per molti esperti conservatori russi, fra cuiVyacheslavTetekina, membro del comitato di difesa della Duma, citato dall'Ifri, «Mosca ha ormai escluso Parigi dal gioco centrafricano» e punta ad estrometterla anche dal Burkina Faso, dopo averla defenestrata dal Mali.
A fine gennaio, Alexandre Ivanov, uno dei capi degli 'istruttori' russi in Centrafrica, ha elogiato su Twitter i golpisti burkinabé, offrendo loro «l'esperienza dei suoi uomini in Centrafrica per la formazione dell'esercito del Burkina». Il problema è che i mercenari russi sono accusati di crimini di guerra. In Centrafrica avrebbero commesso esecuzioni arbitrarie, stupri e saccheggi. C'è il rischio che il modello sia esportato anche in Burkina, in Mali e ora in Ucraina.
E il tutto potrebbe avvenire nel silenzio delle Nazioni Unite. Sembra di essere tornati agli anni 70, quando Mosca sosteneva governi filosovietici in Madagascar, in Benin, in Burkina Faso, in Angola, in Mozambico, in Guinea-Bissau, a CapoVerde, in Algeria, in Libia, in Mali e in Kenya. All'epoca, l'influenza russa in Africa era all'apogeo del suo splendore, con quasi 40mila consiglieri militari all'opera, cui si sommavano le truppe socialiste cubane.
E rano legami preziosi, che permettevano di piazzare in tutto il continente le armi fabbricate dal Patto di Varsavia. Ancora oggi mercenari e armi viaggiano a braccetto, tant' è che l'export di armi russe verso il Continente nero è cresciuto del 23% nell'ultimo quadriennio. Mosca sta correndo. Ambisce a galvanizzare ulteriormente la sua impronta africana. Per ora, fatica a competere con Pechino. Ma sta ripartendo da un lungo letargo e sta scommettendo sui settori in cui primeggia: le armi e gli irregolari, dando battaglia su tutti i fronti. Un affare imbarazzante. Ma se il Cremlino uscirà con le ossa rotte dal pantano ucraino, come prevedibile economicamente e sul piano di immagine, le sue ambizioni africane saranno compromesse per i decenni a venire. Un effetto collaterale della sua ingordigia.
Mosca, "reclutati con 1500 dollari". Russi? Non proprio: chi chiama Putin a combattere in Ucraina. Guerra giá segnata? Maurizio Stefanini su Libero Quotidiano il 27 marzo 2022.
1500 dollari al mese per andare a combattere e forse morire in Ucraina. In Italia non sarebbe allettante neanche con questi chiari di luna, ma in un Libano dove a una crisi già gravissima si aggiunge ora anche il rischio di carestia innescato dalla fine dell'export provocato proprio dalla guerra può diventare una cosa allettante. 800 uomini di Hezbollah avrebbero dunque accettato l'invito del Gruppo Wagner di venire al fianco dei russi appunto per quella cifra. La notizia viene data da Novaya Gazeta, testata russa di opposizione, mentre è Nexta Tv a specificare l'ammontare dello stipendio. Il primo gruppo di 200 combattenti dovrebbe arrivare in Bielorussia martedì, per poi andare al fronte. Nato nel giugno 1982 il Partito di Dio, questo è il significato del suo nome, è un'organizzazione libanese di sciiti filo -iraniani creata durante la guerra civile, e che ha molti versanti. Innanzitutto è infatti un partito politico, presente al parlamento libanese con 14 deputati su 128: 13 trai 27 riservati agli sciiti, ma anche un musulmano sunnita. Nel meccanismo consociativo per cui tutti i principali partiti sono rappresentati nel governo ha anche due ministri: Lavori Pubblici e Cultura. Nel contempo è però anche una sorta di holding, stimata nel 2014 da Forbes della capacità di incassare mezzo miliardo di dollari di utili all'anno: da at tività legali, da finanziamenti iraniani, da contribuiti della diaspora libanese nel mondo, ma anche da una quantità di attività illegali, incluso il narcotraffico. Così riesce a gestire una specie di Stato sociale fa-da-te, con scuole, ospedali e perfino il pagamento di pensioni. Ma Hezbollah è anche un apparato militare. Non solo giudicato terrorista in molti Paesi: inventore degli attentati kamikaze, è accusato in particolare dei due attentati anti-ebraici che nel 1992 e 1994 a Buenos Aires fecero 115 morti e quasi 600 feriti, e giusto il 10 marzo il tribunale speciale del Libano ha condannato due suoi militanti per l'omicidio del 2005 dell'ex primo ministro libanese Rafic Hariri. Ha anche una milizia convenzionale capace di mettere in campo 65.000 combattenti. Nella guerra civile siriana ha schierato al fianco di Assad, degli iraniani e dei russi tra i 6.000 e gli 8.000 uomini, e ne sarebbero caduti 1.705. Proprio in Siria i comandi russi avrebbe appreso a apprezzare Hezbollah e Hezbollah avrebbe iniziato a considerare i russi come alleati.
IL BANCO DI PROVA
Sempre secondo la Novaya Gazeta, uffici di reclutamento di Hezbollah sarebbero attivi in Siria nelle città di Qusayr, Aleppo, Yabrud e Sayyida-Zeynab, oltre che in Libano in quel sobborgo meridionale di Beirut in cui Hezbollah ha una roccaforte. Stando a quanto rivelato dal canale Al-Hadas, della società Al-Arabiya, l'incontro tra Hezbollah e Wagner sarebbe avvenuto qualche giorno fa, e a provarlo ci sarebbero dei documenti Non solo Hezbollah, in effetti. Nei giorni scorsi si era parlato dell'arruolamento di almeno 16.000 siriani, e anche di libici e centroafricani. «È bene aiutare tutti coloro che dal medio oriente vogliono aiutare le nostre forze armate nel Donbass», una frase pronunciata da Putin l'11 marzo, che è sembrata confermare queste voci. Ma il Pentagono pochi giorni fa ha chiarito che per ora i siriani in Ucraina non sono ancora arrivati. Scelte del genere sono evidentemente da fare con molta attenzione, visto il ruolo di mediatore che Israele sta provando a esercitare. Però la Russia ha un bisogno disperato di combattenti, e nei giorni scorsi era stato denunciato anche l'arruolamento di immigrati centroasiatici in cambio della promessa di cittadinanza.
LE FORZE IN CAMPO
La controffensiva che gli ucraini stanno portando avanti attorno a Kiev e verso Kherson dimostrerebbe un ripiegamento di reparti russi, che secondo alcune stime avrebbero ormai perso la metà degli effettivi. La cifra Nato di 30-40.000 perdite russe tra morti, feriti, dispersi e prigionieri non è troppo controllabile, i 10.000 caduti ammessi sul sito web del giornale filo-Cremlino Komsomolskaya Pravda e poi subito scomparsi con accuse di attacchi hacker sono un mistero, ma i 7 generali russi morti sembrano confermare un terribile logorio. Come pure il fatto che dopo oltre un mese la guerra continua ancora, e il governo di Mosca sembri aver rinunciato all'obiettivo massimo di distruggere l'Ucraina, per concentrarsi sulla semplice occupazione del Donbass. Insomma, il logorio c'è, e il bisogno di buttare nuove forze al fronte è indubitabile. Il Pentagono ha detto che i Russi avrebbero tra l'85 e il 90% della forza iniziale ancora disponibile. Significa che tra il 10 e il 15% sarebbe stata distrutta. Sempre il Pentagono afferma che la Russia starebbe per far entrare in Ucraina altri 10 battaglioni. Sicuramente arriveranno anche altre truppe del ministero dell'Interno, la Rosgvardiya. Anche le repubbliche secessioniste del Donbass hanno incrementato la leva. Rimangono comunque molto pochi rispetto agli ucraini, in base a quel principio base della tattica secondo cui a parità di altri fattori gli attaccanti dovrebbero essere almeno in rapporto 3 a 1 rispetto ai difensori. Sembra invece che, tenendo conto della mobilitazione generale ucraina, i 150-200.000 russi si siano trovati invece ad attaccare in rapporto 1 a 3.
Il flop della legione straniera di Putin. Mauro Indelicato su Inside Over il 25 marzo 2022.
I volontari siriani non sono arrivati. La Russia, almeno per il momento, non disporrà dei sedicimila combattenti pronti ad arrivare dalla Siria. Da Washington hanno smentito le previsioni fatte soprattutto da parte ucraina nei giorni scorsi: “Non abbiamo prove di un piano di reclutamento dei siriani da portare in Ucraina – ha dichiarato nei giorni scorsi in audizione al Senato Usa il generale Kenneth Frank McKenzie, comandante delle truppe Usa in medio oriente – Questo non significa che non possa avvenire in futuro”.
In futuro per l’appunto. Il presente parla di tutt’altra situazione rispetto a quanto trapelato nel recente passato. Possibile una marcia indietro del Cremlino nei suoi piani oppure un semplice rinvio a un altro momento.
Perché si era parlato dei sedicimila siriani in Ucraina
Tutto era partito da una dichiarazione del presidente russo Vladimir Putin: “Se ci sono combattenti che dal medio oriente vogliono venire a combattere in Ucraina – ha dichiarato l’11 marzo scorso – allora è bene aiutarli a raggiungere il fronte”. Una dichiarazione resa durante un incontro con il ministro della Difesa, Sergej Shoigu. Peraltro quella è stata l’ultima uscita in pubblico proprio di Shoigu, da allora non più apparso in Tv o nelle riunioni con Putin. Subito dopo questo discorso, sui social sono apparse le immagini di combattenti siriani in uniforme sventolanti bandiere della Russia e inneggianti alla guerra che il Cremlino ha lanciato contro l’Ucraina.
Una prova di come qualcosa si stesse muovendo in tal senso. Da Kiev poi sono arrivate ulteriori conferme. L’intelligence militare ucraina sarebbe entrata in possesso di documenti in grado di attestare piani russi per spostare sedicimila siriani lungo i fronti del Donbass. Non “volontari” quindi, bensì combattenti già ben conosciuti da Mosca, addestrati dai russi durante le fasi più calde della guerra in Siria, dove il Cremlino ancora oggi è impegnato ad appoggiare il presidente Bashar Al Assad.
Sono passate due settimane da allora, ma al momento non ci sono prove che la “legione siriana” pro Putin sia effettivamente arrivata in Siria. Anzi, come detto, dal Pentagono hanno categoricamente smentito. Nessuna grande manovra, né grandi spostamenti in vista dal medio oriente all’Ucraina. E questo vale anche per la Libia. Sempre da Kiev sono emerse informazioni secondo cui le forze russe avrebbero stretto un’intesa con il generale Haftar, da tempo supportato da Mosca, per l’invio di combattenti libici nel Donbass.
Tuttavia non ci sono elementi che confermino un accordo del genere. Anche perché l’uomo forte della Cirenaica da tempo viene visto con diffidenza dal Cremlino, essendo stato in passato un “alleato scomodo” nella partita libica. Il trasferimento della guerra civile siriana e libica in Ucraina potrebbe essere stato però solo rimandato: “Al momento non c’è stato alcun afflusso di mercenari – ha spiegato ai media Usa il portavoce del segretario alla Difesa, John Kirby – Ma non escludiamo che Putin ci stia effettivamente pensando”.
Mosca pesca dal Caucaso
La smentita dell’arrivo di una legione siriana in Ucraina è una buona notizia. L’indiscrezione sui sedicimila siriani pro Mosca aveva già fatto attivare un’attività di reclutamento tra le fila dell’opposizione siriana, in cui molti gruppi sono intenzionati a prendersi una vendetta contro i russi. Ad Afrin membri ricollegabili a milizie del Free Syrian Army (costituito in gran parte da forze islamiste sostenute, in funziona anti curda, dalla Turchia) si dicevano pronti a trasferire uomini e mezzi per aiutare Kiev. Lo scenario di uno scontro mediorientale in terra ucraina era in grado di aggiungere ulteriori problemi a un conflitto già devastante per la popolazione civile. Tuttavia una “legione straniera” pro Cremlino esiste già. Anche perché Mosca deve rispondere a Kiev, supportata da diverse centinaia di volontari stranieri provenienti soprattutto dall’Europa e dagli Stati Uniti. Nei giorni scorsi ad esempio alcuni video hanno mostrato volontari americani in azione ad Irpin, la cittadina a nord della capitale ucraina dove l’esercito ucraino è riuscito ad attuare un importante contrattacco.
La Russia però al momento non ha pescato dal medio oriente, bensì da “casa sua”, ossia dal Caucaso. Gli stranieri presenti nei fronti ucraini sarebbero in gran parte ceceni, osseti e abcasi. Si tratta cioè di combattenti che hanno già nazionalità russa. La Cecenia è parte integrante della federazione, è stata ripresa da Mosca nelle guerre combattute tra gli anni ’90 e 2000 ed è attualmente retta da Ramzan Kadyrov. L’Ossezia del Sud e l’Abcasia sono due repubbliche separatiste de jure in territorio georgiano, ma de facto indipendenti e protette da Mosca. I loro cittadini hanno anche cittadinanza russa. Stranieri sì quindi, ma pur sempre russi. E, come tali, più facilmente inquadrabili tra le proprie fila. I ceceni sono arrivati ricevendo direttamente ordini da Kadyrov, osseti e abcasi invece sarebbero presenti più su base volontaria.
Mercenari e guerra: gli Stati che appaltano il lavoro sporco. Francesco Battistini, Milena Gabanelli e Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2022.
Dicono che sia il secondo lavoro più antico del mondo, di sicuro negli ultimi 20 anni ha avuto un boom di fatturato. È il mestiere del mercenario e la ditta per cui lavorano sono società di sicurezza. Si tratta di decine di migliaia di soldati capaci, a seconda dei casi, di addestrare, proteggere o combattere. Ma il vantaggio della privatizzazione è soprattutto nella nebbia. Pochi controlli pubblici e contratti senza appalto. I soldati a noleggio sono i co.co.co. della guerra, licenziabili a fine contratto e senza problemi di reinserimento a carico del bilancio pubblico. Gli Stati esternalizzano sempre di più il lavoro sporco nei conflitti: costa meno e non li espone politicamente, perché questi soldati non indossano divise. Nella definizione di David Isenberg del Peace Research Institute di Oslo i moderni soldati di ventura colmano il gap tra gli obbiettivi geopolitici e gli strumenti che il pubblico può accettare. Quando muore uno di loro è un incidente sul lavoro, quando muore un milite in divisa è un dramma nazionale. I casi di violenza e violazione delle regole internazionali non si contano.
Gli Stati esternalizzano sempre di più il lavoro sporco nei conflitti: costa meno e non li espone politicamente, perché questi soldati non indossano divise.
Russia: dove opera la Wagner
Putin ha a disposizione gli uomini della Wagner, società di sicurezza, perfetta estensione del suo rinnovato senso imperiale: Ucraina, Siria, Sahel sono i teatri più attivi. Per la Wagner lavorano russi ed ex sovietici delle repubbliche dell’Asia Centrale. Il Codice penale italiano e una legge del 1995 vietano di combattere all’estero per soldi e un messinese di 28 anni, Giuseppe Russo, che su Facebook si vanta di sparare «per Putin» è ricercato dal 2016. La Procura di Genova ha mandato a processo 21 mercenari italiani, per lo più neonazi filorussi, che rispondono agli ordini d’un ex iscritto a Forza Nuova, Andrea Palmeri, un hooligan di Lucca che tutti chiamano «il generalissimo».
L’Africa paga con miniere d’oro e pozzi di petrolio
L’ondata di colpi di Stato di questi mesi in Africa Occidentale è stata salutata con soddisfazione da Evjeny Prigojne, fondatore della Wagner e soprannominato il «cuoco di Putin». I successi della Nigeria contro Boko Haram dipendono dall’aiuto dei «carri armati volanti» Mi-24 Hind della Wagner. Con quel biglietto da visita, in Sudan la Wagner ha aiutato i militari golpisti. In cambio Mosca potrebbe ottenere dal nuovo governo la sua prima base navale africana dalla caduta dell’Urss. In Centrafrica la Wagner ha ottenuto una miniera di diamanti. In Ruanda una d’oro. In Siria un pozzo di petrolio. A metà febbraio i soldati francesi lasciavano il Mali e i mercenari russi li rimpiazzavano come consiglieri militari dell’esercito nazionale. Il maggiore successo russo in Africa resta forse il salvataggio nel 2019 del generale Haftar dall’offensiva dell’esercito nazionale libico appoggiato dai turchi. Mille mercenari e 8 cacciabombardieri hanno impedito la riunificazione del Paese. In cambio ora controllano due pozzi petroliferi e Mosca punta alla concessione di un altro porto sul Mediterraneo dopo aver salvato quello siriano dallo Stato Islamico. La chiave dei successi del binomio Wagner-Putin è che non pesano sulle casse pubbliche di Mosca. La Wagner punta a farsi pagare dai Paesi che «aiuta», Mosca dà solo semaforo verde. Un’eccezione è l’Ucraina. Lì Mosca paga di tasca sua.
Crimea e Donbass
Il 26 febbraio 2014 in Crimea, paramilitari con anonime divise – «omini verdi» li chiameranno – occupano i palazzi del potere ucraino a Sinferopoli e a Sebastopoli, imponendo un governo filorusso e aprendo la via all’annessione della penisola da parte di Putin. Sono sempre gli uomini della Wagner. Pochi mesi dopo, non appena scoppia la guerra nel Donbass, l’Ucraina orientale diventa terra di conquista per mercenari d’ogni parte. Ceceni, cechi, moldavi, kazaki. Molti vengono dai Balcani: i serbi ad aiutare i «fratelli russi», i croati in sostegno degli ucraini. I soldati di ventura dell’organizzazione serba «Jovan Šević» si vantano sui giornali di Mosca d’avere distrutto molti tank ucraini. Il governo di Kiev cattura un volontario di Belgrado, Dejan Berić, cecchino della società «Vento del Nord», che combatte coi separatisti di Donetsk. Lo stesso dall’altra parte: nel 2015 si scopre che 25 croati reclutati dall’organizzazione «Misanthropic Division» di Zagabria sono inquadrati nel Battaglione Azov, una formazione paramilitare ucraina, e s’addestrano agli ordini d’un cecchino svedese di nome Mikael Skilt, in arte «Viking». Uno di questi mercenari, Denis Šeler, è noto alle questure di mezza Europa come capo degli hooligan della Dinamo Zagabria, i Bad Blue Boys. Di recente un’operazione internazionale ha fatto arrestare e processare nella Repubblica Ceca un reclutatore bielorusso, Aleksey Fadeev, in affari con un rappresentante dell’autoproclamata repubblica di Donetsk che aveva in agenda 26 mercenari di vari Paesi, pagati 5mila dollari al mese. Dall’altra parte anche i filorussi denunciano la presenza dei contractor della compagnia privata Lancaster-6, base a Dubai, e dell’ex Blackwater americana. Gli accordi di pace di Minsk, firmati fra il 2014 e il 2015, al punto 10 esigevano il «ritiro dei mercenari stranieri». Non è mai avvenuto.
Usa: Le società di sicurezza fedelissime
Anche gli Stati Uniti hanno le loro «società di sicurezza»: tre o quattro (delle decine attive) fedelissime e super pagate. Quelle dai fatturati più consistenti sono registrate in Gran Bretagna, Australia, Usa e Sud Africa, ma il cliente geopolitico resta Washington. In Nord Carolina c’è un poligono di addestramento per soldati di ventura da 28 chilometri quadrati con 20 aerei, blindati, trasposta truppe, lanciarazzi, artiglieria. È la base della Academi, ex Blackwater. I bilanci arrivano a essere miliardari, ma neppure il Congresso Usa rilascia le cifre di quanto gli costano. Per le società occidentali lavorano soprattutto americani, britannici, australiani, sudafricani, cileni, colombiani, nepalesi, filippini, europei. Utilizzati in Afghanistan e soprattutto in Iraq, dove durante l’occupazione tre compagnie di mercenari sono arrivate ad avere più di 250 mila dipendenti non iracheni nel Paese e offrivano servizi ai soldati regolari: pulizia latrine e mense per l’85% dei casi, ma scorte ai convogli, guardia alle infrastrutture petrolifere, contrasto al terrorismo, interrogatori per il restante 15%. Sembra poco, ma non lo è visto che, nei momenti più caldi in Iraq, morivano in combattimento più mercenari che soldati regolari. Nel 2003 in Iraq c’era 1 mercenario ogni 10 soldati; a fine missione nel 2017, invece, il rapporto era invertito: 3 a 1. Gli Stati Uniti hanno «esternalizzato» molti compiti per non aumentare gli arruolamenti. Ogni 5 dollari spesi in Iraq per l’occupazione uno andava alle compagnie di sicurezza, ogni 4 militari Usa uccisi uno era di ventura.
Dalla Turchia all’Iran: per fede e per denaro
Turchia, Sudan, Afghanistan, Iran e persino la galassia jihadista hanno (o hanno avuto) «società di sicurezza» create da loro veterani che mantengono legami privilegiati con i rispettivi governi. Ci sono afghani, siriani, libanesi e iracheni al servizio dell’Iran: oltre a combattere per soldi hanno il collante della fede sciita. Sono stati fondamentali per battere lo Stato Islamico. Sudanesi offrono i loro mitragliatori sin dai tempi di Gheddafi in Libia e altri Paesi africani, ma senza un disegno geopolitico cambiano spesso datore di lavoro. Per Isis e Al Qaeda la società Malhama Tactical ha curato l’addestramento dei volontari. È composta da uzbeki, ceceni e daghestani rigorosamente sunniti, ma comunque indisponibili senza finanziamenti, al massimo possono aspettare l’esito di campagne online di crowdfunding, ma vogliono essere pagati. La Turchia offre i suoi droni bombardieri con istruttori privati annessi. Ankara ha arruolato nella dissoluzione dello Stato Islamico siriani ed ex volontari del jihad e li sta impiegando in Libia. Secondo l’Armenia sono stati gli artefici nella sua sconfitta nella guerra con l’Azerbaijan per il Nogorno Karabach. Droni turchi (e relativi piloti) combattono in questi giorni in Ucraina contro Mosca.
Quanto sono pagati
Ci sono soldati in cerca di guadagno in Libia, Egitto, Algeria, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Burkina Faso, Mali, Guinea Bissau, Mozambico, Ruanda, Eritrea, Ciad, Zimbabwe, Israele, Yemen, Kurdistan iracheno, Venezuela, Ecuador, Panama, El Salvador, Cile, Indonesia. I loro stipendi variano di molto. I più alti passano dalle impermeabili banche delle Isole Vergini. Si dice che ex Navy Seal prendano 10 mila dollari al giorno dagli Emirati per i loro interventi in Yemen. In Libia sembra che i 1.200 russi siano pagati 3600 euro al mese, ma un pilota da caccia ne prenderebbe 18 mila; secondo diverse interviste, i turchi pagano 2 mila dollari i loro 7 mila mercenari arruolati in Siria e mandati a combattere in Libia; per gli operatori di droni arrivano a 5 mila contro i 10 mila mensili che ricevono i piloti privati dei droni di sorveglianza della Cia. Somali e ciadiani si accontentano di 1,5 mila; i colombiani della Academi viaggiano sui duemila dollari mensili, la metà i gurka nepalesi che difendevano l’Onu in Iraq; i più economici restano gli afghani hazara che hanno combattuto in Siria contro la Stato Islamico ricevendo appena 600 dollari al mese dall’Iran. La Convenzione Internazionale Onu del 1989 vieta «il reclutamento, il finanziamento, l’addestramento, l’uso di mercenari», ma solo la Svizzera ha deciso nel 2015 di non accettare più società di sicurezza nel suo registro delle imprese.
Ucraina, le "bestie" di Putin: "Stuprano e giocano a calcio con le teste dei bimbi", cosa succede a un'ora e mezza da Roma. Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.
Andrea Margelletti è stato ospite di Tiziana Panella nello studio di Tagadà. Il consigliere del ministero della Difesa ha parlato sempre in maniera chiara e anche piuttosto cruda, mettendo tutti davanti alla durissima realtà della guerra in Ucraina e delle ultime mosse di Vladimir Putin. Quest’ultimo ha ingaggiato circa 16mila mercenari siriani pronti a combattere per la Russia.
“Vengono pagati col diritto al saccheggio e allo stupro - ha dichiarato Margelletti - le regole di ingaggio ce le hanno i militari, queste persone invece vanno lì, si ‘divertono’ con chi trovano e rubano quello che trovano per portarselo a casa. Abbiamo il dovere di sapere e di dire che cosa faranno queste persone se entrano nelle città. Lo fanno a un’ora e mezzo di volo da Roma, questo deve essere chiaro, ci sono persone vere che muoiono, partite di calcio fatte con la testa dei bambini, questo abbiamo visto da queste persone”.
Inoltre Margelletti ha sottolineato che i soldati siriani “sono abituati a combattere a 40 gradi, in Ucraina invece sono sotto zero, si tratta di un ambiente completamente diverso. Ma d’altronde i russi nei confronti dei combattenti siriani hanno un disprezzo: sono carne da cannone, soprattutto se si dovessero utilizzare armi chimiche, che colpirebbero i civili ma anche truppe di prima linea, che in quel momento potrebbero non essere russe ma siriane”.
Volontari o mercenari? Ecco chi sono i 16 mila miliziani arruolati dai russi. Davide Frattini su Il Corriere della Sera l'11 marzo 2022.
I reclutatori di Mosca si muovono nei villaggi della Siria: cercano combattenti esperti. «Così Assad vi perdonerà». Per Zelensky sono «killer pagati per distruggere Kiev».
I reclutatori passano nei villaggi e cercano di convincere chi «abbia esperienza di combattimenti» a lasciare il nome nella lista. Non è difficile trovarne in un Paese dove «esperienza di combattimenti» significa una guerra civile che ancora va avanti da undici anni. C’è chi accetta per fame e perché la paga non è male, a qualcun altro viene promesso che così si guadagnerà l’amnistia, il dittatore Bashar Assad gli perdonerà di esser stato dall’altra parte, di aver lottato contro il suo potere.
Il fronte in Ucraina invece della miseria o della prigione. La rivista Al Monitor ha raccolto per prima le testimonianze di organizzazioni indipendenti siriane: raccontano che già da una settimana gli ufficiali del regime stanno mettendo insieme gruppi di uomini, gli elenchi vengono presentati ai comandanti russi dispiegati dal 2015 per sostenere l’alleato nel Levante, chi viene accettato dovrebbe sottoporsi a un breve addestramento. Ieri Vladimir Putin – in una riunione del consiglio di sicurezza trasmessa dalla televisione di Stato – li ha chiamati «volontari», ha sottolineato che «si arruolano per loro scelta». Sergei Shoigu, il ministro della Difesa, ha spiegato che ci sono 16 mila miliziani pronti a trasferirsi dal Medio Oriente in Donbass. E da lì in marcia verso Kiev.
Ucraina-Russia: le ultime notizie sulla guerra
In realtà si tratta soprattutto di mercenari, spesso forzati. I russi hanno già utilizzato in Libia questi fanti induriti dalle primavere arabe diventate conflitti sanguinosi. In quel caso a reclutare i siriani – combattenti sciiti o alauiti vicini al regime – erano i contractors del gruppo Wagner, con una supervisione a distanza dello Stato Maggiore russo. Per sostenere il leader libico Khalifa Haftar, in opposizione al governo di Tripoli, Putin aveva dato il via libera all’invio di 1200 paramilitari di quello che gli analisti considerano il suo esercito privato. Sono soprattutto russi, ma anche ex soldati di eserciti stranieri: combattono sotto il nome del musicista che ispirava Hitler e sotto gli ordini di Dimitrij Utkin, colonnello in congedo che si ispira ai nazisti.
I "macellai" di Aleppo per conquistare le città. Gian Micalessin il 12 Marzo 2022 su Il Giornale.
Violenti e pronti alla guerriglia. Così Mosca riduce le perdite, ma rischia la faccia. Nella guerra civile spagnola lo scontro tra le Brigate Internazionali rappresentò il prologo della Seconda guerra mondiale. In Ucraina lo scontro tra mercenari e volontari pronti a battersi da entrambe le parti promette un'insolita e tragica replica della Storia. Secondo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba almeno 20mila volontari e mercenari, provenienti da 52 paesi, sono già pronti a imbracciare le armi al fianco degli ucraini. E tra questi moltissimi occidentali grazie anche al via libera concesso ai «volontari» da due donne ai vertici della politica europea: la segretaria agli esteri di Sua Maestà Liz Truss e la premier danese Mette Frederiksen.
Ma il Cremlino è pronto a rispondere alla pari. O peggio. Proprio ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha annunciato di avere a disposizione 16mila volontari, reclutati in Siria e in altri paesi mediorientali, pronti a combattere in Ucraina. Secondo Peskov la decisione di arruolare i volontari mediorientali è arrivata dopo il via libera pronunciato dal presidente Vladimir Putin durante l'ultima riunione del Consiglio Presidenziale. La notizia ha una doppia valenza. Dal punto di vista politico il Cremlino, come ha già fatto reagendo punto per punto alle sanzioni e all'invio di armi occidentali, vuole dimostrare di saper rispondere ad ogni mossa avversaria. Così se Europa e Stati Uniti inviano i loro volontari, la Russia è pronta a dispiegare i propri. Ma poi c'è il lato militare. Su questo versante l'impiego di mercenari tempratisi nel conflitto siriano o in altre guerre mediorientali ha una doppia valenza. Da una parte consente di schierare delle truppe da sfondamento addestrate ai sanguinosi combattimenti urbani indispensabili per piegare la resistenza di città come Kiev, Karkhiv o Mariupol. Dall'altra consente di limitare il già elevato numero di caduti russi evitando pericolose perdite di consenso sul fronte interno.
Ma la scelta ha anche evidenti controindicazioni. Spedire nella gelida steppa ucraina combattenti abituati a misurarsi con la polvere e il deserto degli scenari mediorientali può comprometterne seriamente l'efficienza. Per non parlare delle conseguenze dal punto dell'immagine internazionale. Schierare manipoli di feroci combattenti abituati a non andare troppo per il sottile nè con i soldati, nè con i civili rischia di compromettere ulteriormente l'immagine di una Russia già costretta a misurarsi con un'opinione pubblica internazionale pronta a condannarla e ad accusarla di crimini contro l'umanità. Una controindicazione già emersa quando il Cremlino ha avvallato l'arrivo di migliaia di combattenti ceceni messi a disposizione dal discusso leader Ramzan Kadyrov.
Ma da dove arrivano i 16 mila volontari mediorientali citati da Peskov? Il principale e scontato campo di reclutamento è ovviamente la Siria. Qui la Russia dispone del cosiddetto «Quinto Corpo d'Armata» un'unità di circa14mila uomini fondata nel novembre 2016 abituata a coordinarsi esclusivamente con i comandi russi evitando le interferenze dell'Iran, secondo ingombrante alleato di Bashar Assad nella guerra civile siriana.
Impiegato con successo negli assedi di Homs e Aleppo e su tutti gli altri fronti siriani il Quinto Corpo opera agli ordini del quartier generale russo della base di Al Khmeimim e non risponde alle direttive dei comandi siriani. Considerati dei privilegiati in virtù di una paga di 110 dollari mensili, tre volte quella dei soldati governativi, i militari siriani del Quinto Corpo ricevono un miglior addestramento, contano su equipaggiamenti garantiti dal Cremlino, hanno a disposizione i carri armati e i blindati di Mosca e possono contare sull'appoggio tattico dell'aviazione di Mosca.
Grazie a questa esperienza e alla capacità di coordinarsi con i militari russi alcune centinaia di uomini del Quinto Corpo sono già stati impiegati in Libia dalle forze del Wagner Group, l'unità di contractor fedele agli interessi di Mosca presente in molti paesi africani. E proprio dagli effettivi del Wagner Group potrebbero arrivare combattenti reclutati in Iraq, Egitto e altri paesi mediorientali.
Sebastiano Messina per la Repubblica il 13 marzo 2022.
Putin ha deciso di avviare l'importazione di mercenari dalla Siria. Costano poco e sono spietati. Poi però li esporterà subito in Ucraina, con il compito di fare il lavoro sporco a Kiev. Se mai ce ne fosse stato bisogno, è la conferma che oggi lui è il numero uno, nell'import-export di sicari.
Marco Ventura per il Messaggero il 13 marzo 2022.
Ingaggio di mercenari russi e ceceni, detenuti mandati a combattere dalla Russia in Ucraina in cambio dell'amnistia, unità speciali che hanno l'ordine di sparare ai disertori russi sulla linea del fuoco, purghe e arresti di generali inadeguati a Mosca. Tutte notizie di fonte occidentale o ucraina, che pur non avendo conferme indipendenti rafforzano lo scenario che il Segretario alla Difesa britannico, Ben Wallace, ha definito in questi giorni di crescente «disperazione» a Mosca.
LE VITTIME RUSSE Sarebbero migliaia i soldati russi uccisi e diversi i generali e colonnelli caduti per lo più sotto il fuoco degli sniper, i cecchini armati di fucili di precisione in uso nelle guerre mediorientali. Tra gli ultimi, il general maggiore Andrei Kolesnikov capo della 29a Armata del Distretto militare orientale, e il colonnello Andrei Zacharov comandante della 90a Divisione carri armati. Perdite che, per numero e rango, secondo l'Institute for the Study of War «indicano l'insufficiente catena di comando e controllo russa, tale da richiedere il dislocamento avanzato dei generali e il rischio di finire sotto il fuoco ucraino mentre sono al comando».
L'evidente stallo dell'avanzata russa verso le città ucraine a Nord e a Est, e il rallentamento sul fronte meridionale di Mar Nero e Mar d'Azov, secondo gli osservatori potrebbero essere manovre per riorganizzare la macchina bellica, rifornire le linee, far arrivare vettovaglie, carburante, munizioni, e soprattutto uomini e mezzi per far ripartire l'attacco, completare l'accerchiamento di Kiev e di altre città strategiche, cingerle d'assedio e conquistarle.
L'esigenza principe dei russi è quella di sostituire le truppe stanche e demotivate. Il ricambio di 180mila soldati del primo assalto ne vuole almeno il doppio come rimpiazzo e preparazione della terza ondata. Oltre mezzo milione in tutto. Per legge in Russia non possono essere mandati in prima linea i soldati di leva senza 4 mesi di addestramento. Eppure, è quanto avvenuto per ammissione stessa del Cremlino, e siccome Putin aveva dichiarato pubblicamente che mai un soldato di leva sarebbe stato inviato al fronte e lui stesso lo avrebbe scoperto solo leggendo i report militari, sono scattate inchieste e altre epurazioni per punire i colpevoli.
MINSK TEMPOREGGIA Il leader russo sta insistendo con l'omologo bielorusso Lukashenko perché entri in guerra, ma l'alleato cerca di evitare o ritardare il coinvolgimento di Minsk, per non avere vittime e non esporsi alle sanzioni economiche. Avrebbe pure difficoltà a convincere i generali. Alcuni report riferiscono di movimenti verso l'Ucraina delle forze russe di mantenimento della pace in Nagorno-Karabakh. Le autorità di Kiev, intanto, hanno deciso di esporre pubblicamente i prigionieri russi in conferenza stampa per fargli «chiedere scusa» e dare notizie (quasi sempre non verificabili). «Volevamo tornare indietro dice in un video un soldato 22enne dell'unità 51532 del Genio ma gli ufficiali ci hanno avvertito che alle nostre spalle c'erano plotoni di nostre forze speciali pronte a sparare sui disertori che fuggivano».
PRONTI I RISERVISTI Su Telegram lo Sbu (servizi segreti ucraini) comunica che «vicino Odessa circa 600 marinai si sono ribellati e si rifiutano di sbarcare, perché hanno capito cosa sta succedendo». Mosca starebbe attingendo anche ai riservisti, ma quelli realmente in grado di combattere secondo gli standard occidentali sarebbero poche migliaia. Di conseguenza, ecco il piano di reclutamento dei volontari (leggi mercenari) giustificato dai russi come bilanciamento delle brigate occidentali pro-Kiev. In particolare, 16mila mediorientali, «truppe che hanno combattuto contro l'Isis». Il portavoce di Putin, Peskov, spiega che si tratta di siriani, e che al momento non sono previsti volontari russi.
Probabile pure il dispiegamento di unità dell'esercito siriano (SAA) come in Libia. Da qui, ma ancora di più dal Mali e dalla Repubblica centrafricana, sarebbero in arrivo i paramilitari dell'organizzazione russa Wagner Group, che avrebbe cambiato nome in Liga ma sarebbe sempre guidata da Yevgeny Prigozhin, amico di Putin. Infine, le migliaia di ceceni di Kadyrov. Uno dei loro signori della guerra, Magomed Tushayev, sarebbe stato ucciso nei primi giorni dell'invasione a Hostomel. L'ultimo espediente, quello di inviare al fronte detenuti delle prigioni del Rostov Oblast, la regione russa che confina col Donbass, in cambio dell'amnistia. Da parte ucraina, la fabbrica di armamenti Ukroboronprom promette un milione di dollari ai piloti di caccia russi (e mezzo milione agli elicotteristi) che «si arrendono e consegnano i loro equipaggiamenti».
Ucraina, i siriani "sporche brigate di Putin". Domenico Quirico: "Li ho visti ad Aleppo", Kiev diventerà un mattatoio. Libero Quotidiano il 13 marzo 2022.
Li ha visti da vicino in Siria, Domenico Quirico. L'inviato della Stampa sa chi sono veramente i miliziani siriani che Vladimir Putin schiererà al fronte in Ucraina, come improbabili "volontari" nella "guerra ai neo-nazisti" di Kiev. Quello che la propaganda del Cremlino non può permettersi di confessare, soprattutto ai russi, è il salto di qualità che questa scelta sta per comportare. Quirico chiama le nuove truppe "le sporche brigate" di Putin, e basterebbe questo a inquadrarle il grado di brutale violenza che travolgerà le città ucraine.
"Se gli ucraini pensano che sia un segno di debolezza, che l'esercito russo descritto come affievolito da diserzioni, scarsa combattività, e abbia bisogno disperato di nuove reclute, temo che si sbaglino". Si tratta, sintetizza l'inviato di guerra "semmai di una nuova pena. I siriani, perché questi saranno i mercenari, vengono schierati per interpretare l'ultimo capitolo del programma dell'invasione: dopo i bombardamenti, le città assediate, le puntate a Nord e a Sud delle colonne corazzate, è il momento della conquista strada per strada delle città. A questo servono i siriani: non mercenari all'ingrosso, carne da macello per rimpolpare divisioni esauste. Ma professionisti esperti della mischia urbana, operai della espugnazione delle macerie".
Svuotare le città dai civili, come dissanguare un corpo. Sono gli uomini dell'esercito di Bashar al-Assad, hanno già operato in maniera cruenta in patria, sono i veterani della 25esima divisione dell'armata siriana già "riorganizzata e riaddestrata da ufficiali russi proprio per completare la riconquista di Aleppo nel 2016". Una macelleria militare in piena regola. Tra i soldati i fedelissimi del presidente siriano, ma pure ribelli riabilitati. Già visti in Libia, sempre a fianco dei russi. Ora agiranno a Kiev, Mariupol, Kharkiv, "fanti specializzati nella guerra più insidiosa del ventunesimo secolo, quella che ha come teatro e vittima la città" e le sue periferie. Le loro armi? Bombe a mano, lanciagranate e coltello. "Occorre tecnica e ferocia per violentarla, la città, strada dopo strada, quartiere dopo quartiere", suggerisce Quirico. Il loro obiettivo è conquistare piano per piano di un edificio, "sgozzare un cecchino che ha ucciso qualche compagno". La differenza tra un soldato di professione e "gli assassini della guerra urbana" è che questi ultimi non hanno tregua o pause. "Ad Aleppo ho incrociato questi piccoli gruppi saturi di morte tornare all'alba portandosi dietro i cadaveri dei compagni uccisi nelle loro fosche epopee. Anche gli altri combattenti si ritraevano in silenzio". La cosa più spaventosa degli uomini che combattono questa guerra, conclude Quirico il suo macabro affresco, "è proprio il loro feroce coraggio".
DOMENICO QUIRICO per la Stampa il 13 marzo 2022.
Una nuova vena sta per essere aperta per irrorare il moloch della guerra ucraina. L'annuncio di Putin che autorizza l'arruolamento di «volontari in Medio oriente» significa che il conflitto è arrivato a un altro più cruento passaggio. Se gli ucraini pensano che sia un segno di debolezza, che l'esercito russo descritto come affievolito da diserzioni, scarsa combattività, e abbia bisogno disperato di nuove reclute, temo che si sbaglino. È semmai l'annuncio di una nuova pena.
I siriani, perché questi saranno i mercenari, vengono schierati per interpretare l'ultimo capitolo del programma dell'invasione: dopo i bombardamenti, le città assediate, le puntate a Nord e a Sud delle colonne corazzate, è il momento della conquista strada per strada delle città.
A questo servono i siriani: non mercenari all'ingrosso, carne da macello per rimpolpare divisioni esauste. Ma professionisti esperti della mischia urbana, operai della espugnazione delle macerie. Bisogna vuotare le città come un corpo si dissangua. Dalla Siria infatti arrivano conferme: i reclutatori russi con la collaborazione degli uomini dei Servizi e dell'esercito di Bashar al-Assad, alleato riconoscente, non ingaggiano chiunque. Solo veterani della venticinquesima divisione dell'armata siriana, quella riorganizzata e riaddestrata da ufficiali russi proprio per completare la riconquista di Aleppo nel 2016. Accanto a loro ci sono i «volontari» reclutati nel Sud, a Deraa, gli smobilitati del quinto corpo di assalto.
Lo componevano milizie locali fedeli a Bashar, manovalanza della guerra senza regole, prigionieri o pietismi; e anche ex ribelli amnistiati dal regime e che hanno dimostrato sul campo di voler cancellare la colpa di avere combattuto al fianco della rivoluzione. Alcuni di loro sono reduci dalla missione in Libia sempre a fianco dei russi. Sette mesi di missione per l'operazione speciale: settemila dollari. È possibile che una parte di loro sia già nel Donbass «liberato».
Ma finora erano stati impiegati per allestire fortificazioni e per irrobustire la resistenza degli insorti filorussi. Finora li avevano tenuti nelle retrovie. Inutili in una guerra di divisioni corazzate e aviazione. Non gli appartiene, non ne hanno l'alfabeto. Ma per prendere Kiev, Mariupol, Kharkiv, l'atto finale, occorrono i fanti specializzati nella guerra più insidiosa del ventunesimo secolo, quella che ha come teatro e vittima la città, la città moderna, gigantesca con le periferie labirintiche, i palazzi di cemento spesso come quello delle fortezze, le strade che diventano trincee di macerie, trappole popolate di cecchini.
Ora artiglieria e carri che in città sono vulnerabili anche al gesto di un uomo ben armato, passeranno in retrovia. È la volta degli uomini, delle bombe a mano, del lanciagranate, del coltello. Occorre tecnica e ferocia per violentarla, la città, strada dopo strada, quartiere dopo quartiere. È una guerra a parte, la morte ogni giorno e ogni notte diventa così presente, così pesante come piombo sui sensi.
È fatta da pattuglie vagabonde che seguono itinerari di sopravvivenza e di morte scritti solo nella loro esperienza, si tendono agguati, si cercano a tentoni nel silenzio della città uccisa. Ci vogliono uomini senza pietà, già morti e risorti mille volte, combattenti per cui la vittoria finale è una parola senza significato.
La loro vittoria è impossessarsi dei piani devastati di un edificio distrutto, sgozzare un cecchino che ha ucciso qualche compagno. La guerra è la tua pattuglia di assassini, il tempo non ha più senso, lo scala la pazienza con cui sai aspettare la mossa falsa dell'altro o la velocità con cui scavalchi il frammento di cemento che ti sta davanti. I siriani e i ceceni ne son diventati maestri. La strada. Il lavoro di uccidere, l'orrore e il sangue. Li ho visti in azione questi uomini. Quando ti immergi nelle immense trincee urbane, il tuo orizzonte diventa una città ormai orizzontale, ti sembra che la guerra sia universale, che ovunque tutti ammazzino tutti.
Che il mondo e la vita si siano ridotti a questo. Non può essere diversamente, altrimenti impazziresti. Il soldato normale ha momenti di quiete, gli danno il cambio, c'è la retrovia con altra gente normale. Uccidere è un lavoro a tempo, afferri le armi e poi se sei ancora vivo li riponi fino al prossimo turno.
Gli assassini della guerra urbana no, non possono avere ondeggiamenti di irresolutezza. Ad Aleppo ho incrociato questi piccoli gruppi saturi di morte tornare all'alba portandosi dietro i cadaveri dei compagni uccisi nelle loro fosche epopee. Anche gli altri combattenti si ritraevano in silenzio. Sembravano appena usciti da una bara, tremavi se quegli occhi ti sfioravano. In quella guerra di imboscate erano uomini tornati a istinti oscuri diabolicamente ingegnosi, come se li avessero incontrati in una foresta selvaggia non fitta di alberi, ma di macerie, di relitti dell'uomo. In azione non parlano, solo cenni. L'aria si riempie ogni tanto di rumori metallici.
La fucileria da qualche parte brucia rapidamente come una stoppia. Sembrano nati con le rovine stesse e legati lì. Gli stamburamenti del cannone sembrano loro inutilmente rabbiosi, ormai servono solo a far sobbalzare i cadaveri degli edifici: la questione ormai è nostra, ci appartiene, la sfida è tra noi e quelli nascosti dall'altra parte nel reciproco panico degli agguati. Perché non ci sono fronti. Il fronte è dove in quel momento sei tu e i compagni. Per combattere in città bisogna che sotto i tuoi scarponi la terra diventi sensibile come una membrana, ti trasmetta i rumori anche i più vaghi e lontani.
Diventi un predatore, i tuoi sensi si affinano in quell'odore di pietra e di fumo. Ti devi abituare all'instancabile lezzo della carne imputridita sotto i palazzi crollati. La cosa più spaventosa degli uomini che combattono questa guerra è proprio il loro feroce coraggio. Non si possono abbattere gli uomini come le bestie al mattatoio. Bisogna affaticarsi a ucciderli.
“Massacro in Mali”: il gruppo Wagner sotto accusa. Andrea Muratore su Inside Over l'8 aprile 2022.
Nelle settimane in cui la guerra in Ucraina infuria e la Russia è accusata dal Paese da lei invaso di aver compiuto la strage di civili nella cittadina di Bucha un’altra accusa piove sugli uomini di Mosca e riguarda un teatro lontano, il Mali. Il quotidiano francese Libération ha accusato i miliziani del gruppo Wagner di aver compiuto un’operazione violentissima nel Paese africano tra il 27 e il 31 marzo scorso nella località di Moura, nella regione centrale di Mopti, causando tra i 200 e i 400 morti civili.
Moura è una città di circa 10 mila abitanti situata nell’area amministrativa di Djennè, nella regione centrale di Mopti, che dal 2015 è l’epicentro di violenze, abusi e sfollamenti legati ai conflitti. Wagner avrebbe colpito assieme alle forze del governo di Bamako contro i jihadisti locali ma l’operazione avrebbe causato forti contraccolpi sui civili.
Nella giornata del 2 aprile l’esercito maliano ha rivendicato di aver ucciso “203 combattenti” di “gruppi terroristici armati” effettuata nell’area saheliana dal 23 al 31 marzo. Nel corso dell’operazione “su larga scala”, avvenuta “nell’area di Moura, 17 chilometri a nord-est di Kouakjourou”, sono state anche arrestate 51 persone” e sono state recuperate “importanti quantità di armi e munizioni”, si legge in un comunicato dell’esercito. Bersaglio dell’operazione il Gruppo di supporto per l’Islam e i musulmani (Jnim), legato ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), autore di una brutale escalation negli ultimi mesi. a violenza jihadista ha ucciso nelle ultime settimane decine di civili nel Mali centro-orientale e nella cosiddetta regione dei tre confini (tra Mali, Niger e Burkina Faso), una vasta zona in cui, dunque, Bamako ha schierato truppe regolari e mercenari Wagner, impegnati nel sostegno al governo insediatosi dopo il golpe del maggio scorso.
I Wagner sono calati in forze nel Mali su aperta richiesta della giunta militare al potere dopo il colpo di Stato dello scorso maggio. Una presenza ingombrante poiché nel Paese dal 2014 operavano contro la minaccia terrorismo fondamentalista le truppe francesi, impegnate nell’operazione Barkhane, e dal 2020 nella task force europea Takuba. Come ricordato su queste colonne da Lorenzo Vita, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina la ritirata francese dal Mali è stata annunciata come una “sconfitta di fronte all’evidenza. La presa di coscienza che il Mali era cambiato al punto da considerare quelle forze francesi non più un supporto all’esercito per contrastare i jihadisti, ma un problema politico”. Spazio dunque a Wagner nel quadro di una profonda penetrazione in Africa. Ma poche settimane dopo, ecco che si apre il primo caso politico.
All’accusa di Liberation si è aggiunta Human Rights Watch, secondo la quale le forze maliane e combattenti stranieri avevano ucciso 300 civili a Moura. Hrw ha definito il caso “la peggiore atrocità in un decennio di conflitto armato in Mali”. L’esperto indipendente di diritti umani, Alioune Tine, ha esortato la missione di pace delle Nazioni Unite in Mali, Minusma, a svolgere un’indagine indipendente e ha chiesto alle autorità del Paese africano di autorizzarla. “I risultati devono essere resi pubblici e i responsabili devono essere assicurati alla giustizia”, ha aggiunto Tine in una nota. Anche gli Stati Uniti, l’Unione europea, l’Onu e la commissione per i diritti umani del Mali hanno chiesto di indagare sulla presunta strage. Hrw ha sottolineato che il massacro sarebbe avvenuto durante lo svolgimento di una fiera del bestiame durante un’operazione militare in cui i civili sarebbero stati mitragliati dagli elicottrei e nelle perquisizioni casa per casa sarebbero stati uccisi a sangue freddo coloro identificati come jihadisti per via delle barbe lunghe o dell’accento fulani, etnia associata da molti militari alla protezione a Aqim.
Non si tratta del primo caso che getta ombre su Wagner. L’analista Stefano Mauro a metà marzo ha sottolineato che “sono numerosi i video sui social che ritraggono i cadaveri bruciati e accatastati durante un’incursione delle Forze armate maliane (Fama) insieme ai mercenari russi della compagnia Wagner, avvenuto presumibilmente la prima settimana di marzo” nella città di Niono, nel cuore del Mali. Hrw sul massacro di fine mese, che avrebbe proporzioni ancora maggiori, ha però aggiunto un elemento di dettaglio. In un report l’Ong ha parlato di “soldati stranieri associati”, che Hrw identifica, attraverso diverse testimonianze raccolte, come “russi”.
I vertici delle Fama negano ogni coinvolgimento di loro truppe. In un intervento trasmesso alla televisione nazionale e citato da Agenzia Nova, il capo di Stato maggiore delle Forze armate (Fama) Oumar Diarra ha difeso l’intervento delle truppe nella località.. “Grazie ad informazioni precise e convalidate le Fama sono state portate ad intervenire nella località di Moura dove si è tenuto un grande e importantissimo incontro dei vertici della katiba di Macina, con la finalità di pianificare attacchi contro le installazioni dell’esercito, oltre a continuare a fare pressione sulla popolazione civile”, ha detto il generale, negando le accuse di “massacro” rivolte da Human Rights Watch ai militari maliani. Il pubblico ministero presso il Tribunale militare di Mopti ha aperto un’inchiesta per far luce sui fatti. Come a Bucha, anche in Mali la razionalità deve prevalere sull’emotività. Difficile quando si tratta di discutere di massacri come quelli di cui i russi sono accusati in entrambi i casi: perlomeno in Mali, delle autorità provano a far luce sui crimini contro i civili. A Bucha, invece, solo una commissione internazionale indipendente potrà appurare i fatti, dato lo stato di guerra aperta tra due Stati sovrani in corso.
Gruppo Wagner arrivato a Donetsk, "Kalashnikov silenziati". L'indiscrezione sull'AK-47 modificato. Libero Quotidiano il 09 aprile 2022
Il Gruppo Wagner si sta preparando per sferrare l'attacco decisivo nella guerra d'Ucraina, quello che servirà a Vladimir Putin per assicurarsi il controllo totale del Donbass. La parte orientale dell'Ucraina, di fatto già sotto il controllo di Mosca, è l'ultimo e oggettivamente realizzale obiettivo della "operazione militare speciale" del Cremlino, iniziata con l'avvicinamento a Kiev per deporre "i nazisti drogati" al governo e che terminerà, forse, là dove tutto è partito nel 2014. Si combatterà a Sud, a Mariupol ormai "polverizzata", l'aviazione russa colpisce ancora gli impianti strategici di carburante di Mykolayiv, Kharkiv, Zaporizhzhia e Chuhuiv. Ma poi si combatterà ancora una volta quartiere per quartiere, strada per strada, palazzo per palazzo nel Donbass.
Nelle stesse ore in cui un missile ha centrato la stazione dei treni di Kramatorsk piena di civili in fuga, provocando decine di morti (Kiev accusa Mosca, Mosca accusa Kiev, ma tutto lascia intendere che come a Bucha la firma sia russa), su Telegram iniziano a girare le foto dei mercenari della Wagner, davanti all'hotel Park Inn di Donetsk. Pessimo segnale, per la popolazione locale finora, dall'inizio del conflitto totale, parzialmente "risparmiata" dalle tragedie del resto del Paese. Significa che sta per scorrere il sangue. Le milizie del gruppo paramilitare al soldo del Cremlino non si separano mai dal letale kalashnikov Ak47, modificato ad hoc con un silenziatore per rendere ancora più mortifere le raffiche di colpi.
Si tratta, di fatto, della prima documentazione ufficiale della loro presenza in Ucraina. Una presenza che si aggiunge al battaglione ceceno guidato dal famigerato Ramzan Kadyrov, altro rinomato "macellaio" e vero e proprio signore della guerra. Il segno che l'ambizione di Putin, quello di vedere accolti i soldati russi come "liberatori" dagli ucraini, non solo quelli dell'Est, ha tristemente lasciato il posto alla realpolitik bellica. Occorrerà fare di tutto per vincere. Anche l'indicibile.
I DOCUMENTI SUL BATTAGLIONE FANTASMA. Chi sono i mercenari russi del “Wagner”di Putin partiti per la guerra in Ucraina. SARA CRETA E GIOVANNI TIZIAN su Il Domani il 31 marzo 2022
Per capire come si muovono i mercenari del Wagner e le loro azioni, Domani ha letto alcuni rapporti finora inediti del consiglio dell’Unione europea sulle missioni africane delle milizie irregolari di Putin, rapporti dell’intelligence occidentale e ha analizzato decine di profili social riconducibili ai gruppi di mercenari.
Il gruppo Wagner è il famigerato contingente di mercenari usati dal Cremlino in operazioni speciali nell’ambito di conflitti a bassa intensità e di vere e proprie guerre come in Siria.
Secondo i funzionari di Bruxelles, ci sarebbero almeno 3.000 mercenari russi in Repubblica Centrafricana, distribuiti tra la base di Bérengo, la capitale Bangui e le zone occidentali e centrali del paese, in cui si trovano le basi satellitari, nelle immediate vicinanze delle aree minerarie di Lobaye Invest.
SARA CRETA E GIOVANNI TIZIAN
Gruppo Wagner, quei neo-nazisti che combattono per lo Zar Putin. Dall’Africa al Medio Oriente al Donbass: ecco chi sono i mercenari segreti del Cremlino. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 30 marzo 2022.
Vladimir Putin ha detto di voler “denazificare” l’Ucraina, facendo correre un brivido lungo la schiena ai suoi tanti ammiratori occidentali che, probabilmente, vedono in lui una specie di reincarnazione del generale Zukov. E nell’esercito ucraino una proiezione scalcinata della Wehrmacht con il famigerato battaglione Azov a fare da “gancio” psicologico per giustificare le nefandezze della guerra. In fondo se i bombardamenti servono a eliminare quei brutti ceffi il prezzo vale la candela.
Tutto molto edificante se non fosse che il presidente russo le milizie naziste ce le ha in casa propria e non si fa certo scrupolo a usarle per annientare i suoi avversari o semplicemente imporre l’egemonia di Mosca nelle varie zone di crisi. Sono i mercenari del Gruppo Wagner una società privata di contractors che ha sede in Argentina e opera in tutto il mondo anche se l’unico terminale a cui fa capo è il Cremlino, per la precisione il ministero della Difesa. Anche se sono da tempo sotto il fuoco delle sanzioni economiche di Usa e Unione europea, ufficialmente i mercenari di Wagner non esistono, la legge russa proibisce infatti la creazione di gruppi di sicurezza privati, di fatto operano nella scia dell’esercito di Mosca per il quale compiono il cosiddetto “lavoro sporco” operazioni segrete, sabotaggi, feroci rappresaglie, principalmente all’estero.
Praticamente una versione russa della Blackwater statunitense che ha operato a lungo in Medio Oriente e in Asia centrale a supporto dei marine e degli eserciti locali, a dimostrare quanto i due “imperialismi” siano speculari, anche nelle metodologie di supporto alle iniziative militari.
In Mali prestano servizio per la giunta golpista, occupandosi della protezione dei funzionari governativi e nella guerra agli insorti, che siano oppositori politici o milizie jihadiste. Nella Repubblica Centroafricana circa tremila mercenari lavorano per il presidente Faustin-Archange Touadéra, che in cambio ha stretto un accordo con Mosca per lo sfruttamento dei giacimenti minerari di Bamako.
In Siria hanno imperversato per anni a fianco dell’armata russa e delle truppe di Bashar al Assad nella lotta all’Isis, macchiandosi dei peggiori crimini di guerra, in particolare ad Aleppo, rasa al suolo dall’artiglieria russo-siriana. O a Palmira dove hanno torturato a morte e bruciato i cadaveri dei disertori di Damasco come denunciò Marat Gabidullin, un “pentito” di Wagner successivamente censurato dal governo russo. In Libia invece affiancano da anni l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar e le sue violente offensive contro il governo di Tripoli.
Ovviamente sono presenti e attivi anche nei territori ai confini della Russia, come in queste settimane in Ucraina dove combattono nelle città contro l’esercito di Kiev assieme ai miliziani ceceni e persino a fedayn libanesi di hezbollah. Proprio come gli odiati “cugini” del battaglione Azov, sono nati nel 2014 durante la guerra in Donbass tra milizie filorusse e nazionalisti ucraini. Il gruppo, che prende il nome da Richard Wagner il celebre compositore tedesco idolatrato durante il Terzo Reich, è il frutto della volontà politica del Cremlino e dei rubli dell’oligarca Evgueni Prigojin, soprannominato “il cuoco di Putin” (è un magnate della ristorazione). Ma soprattutto dell’esperienza sul campo del luogotenente colonnello Dimitri Utkin, 51 anni, ex paracadutista, ex agente dell’intelligence militare russa e fervente ammiratore di Adolf Hitler, tanto da avere tatuato sul collo il simbolo delle SS.
Utkin è stato decorato personalmente da Putin con medaglia al merito “all’ordine del coraggio” per «il ruolo decisivo» svolto nella sanguinosa battaglia di Aleppo. La Bbc è riuscita a tracciarne un profilo ideologico d dopo essere venuta in possesso di un tablet abbandonato in Libia nel sobborgo di Ain Zara da un contractor nel 2017: «Nella biblioteca digitale di Wagner abbondano riferimenti ad Adolf Hitler, al Mein Kampf, alle simbologie neopagane, alla purezza e alla superiorità della razza slava e all’inferiorità dei musulmani, tutti tratti tipici dell’estrema destra russa», scrive la tv pubblica britannica.
Le imprese militari e gli “orizzonti culturali” del Gruppo Wagner non lasciano spazio a troppi dubbi: quando Vladimir Putin tuona contro i «nazisti ucraini» prende in giro il mondo e il suo stesso popolo. Una propaganda rozza ma allo stesso tempo decisamente efficace come dimostrano tutti gli allocchi ipnotizzati dalle parole del pifferaio di Mosca.
L'esercito privato russo. Chi sono i mercenari Wagner “spediti in Ucraina da Putin per uccidere Zelensky e altre 22 persone”. Giovanni Pisano su Il Riformista l'1 Marzo 2022.
Sono definiti sabotatori dal governo ucraino che da giorni è impegnato a dargli la caccia oltre che a difendersi su più fronti dall’invasione sia via terra che via aerea dall’esercito di Vladimir Putin. Sarebbero circa 400 i mercenari del Gruppo Wagner, paramilitari russi arrivati in Ucraina con l’obiettivo preciso di eliminare il presidente Volodymyr Zelensky e altre 22 cariche di alto profilo istituzionale e militare, rovesciando il governo attualmente in vigore, considerato, da Mosca, un esecutivo fantoccio manovrato dagli Stati Uniti e dall’Occidente in generale.
A lanciare l’allarme è il Times di Londra secondo il quale i miliziani sarebbero stati richiamati oltre un mese fa da una missione in Africa e spediti a Kiev in cambio di una ricca ricompensa una volta completata la missione. Altri mercenari, si stima oltre duemila, sono stati schierati nelle regioni ucraine separatiste di Donetsk e Luhansk, nel Donbass. Si tratta di paramilitari addestrati a uccidere “a prescindere“, senza alcuna regola. Una piccolo esercito privato, gestito da società private e pagato profumatamente dal committente di turno per portare a termine missioni specifiche. Dotati di tecnologie sofisticate, riescono a infiltrarsi nella quotidianità locale, camuffandosi tra i cittadini per poi entrare in azione quando il momento è propizio.
Un’operazione preparata da tempo, quando Vladimir Putin ammassava decine di migliaia di truppe al confine ma continuava a negare di voler invadere l’Ucraina. Sui mercenari del gruppo Wagner sono adesso attivi i radar degli 007 di Kiev che avrebbero ricevuto la notizia della loro presenza sabato 26 febbraio, poche ore prima dell’annuncio del coprifuoco totale di 36 ore, finito nella mattinata di lunedì. “Chi sarà trovato in strada, sarà trattato da nemico“, aveva avvisato il sindaco Vitalij Klitschko. Dalla Libia alla Siria, all’Africa subsahariana e al Venezuela, i mercenari di Wagner sono stati in questi anni una delle armi segrete del Cremlino per rovesciare o modificare le sorti dei conflitti strategici presenti in altri Paesi. Ma la Russia può contare anche sui ‘cacciatori di teste’ delle forze speciali cecene, anche loro in missione per arrivare al cuore di Kiev, la cui presenza in Ucraina è stata rivendicata dal braccio destro di Putin a Grozny, Ramzan Kadyrov.
Lo scorso dicembre 2021 il Consiglio Ue dei ministri degli Esteri ha adottato un pacchetto di misure restrittive nei confronti del Gruppo Wagner perché ritenuto responsabile di “attività sovversive” e “destabilizzanti”. Da canto suo, il Cremlino ha sempre negato qualunque legame i mercenari, sostenendo che agisce in qualità di milizia privata e non riceve istruzioni da Mosca.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Cristiana Mangani per “il Messaggero” l'1 marzo 2022.
Sanzionata dall'Unione europea, sotto accusa degli Usa, temuta dagli ucraini, Wagner è il convitato di pietra nei ragionamenti sulla crisi in Est Europa. Tecnicamente è una organizzazione paramilitare russa, in realtà sono veri e propri mercenari che hanno iniziato a operare in concomitanza della occupazione della Crimea nel 2014.
Addestrati a uccidere, da qualche settimana sono sbarcati nella capitale ucraina con un obiettivo ben preciso: destabilizzare, ma soprattutto eliminare il presidente Volodymyr Zelensky e i suoi più stretti collaboratori. Un'operazione voluta da Mosca che avrebbe spianato la strada all'ipotesi di un governo fantoccio fedele al Cremlino.
IL SEGNALE Sono oltre 400 i miliziani del gruppo paramilitare e agiscono da anni nelle zone di conflitto di mezzo mondo senza regole né riconoscimenti ufficiali. E ora, secondo il Times, si sarebbero mimetizzati da circa cinque settimane a Kiev, per dare la caccia al nemico numero uno di Mosca.
Erano in missione in Africa e sono stati richiamati con la promessa di una ricca ricompensa. La conferma del fatto che Putin aveva ben chiaro da tempo l'obiettivo di attaccare l'Ucraina, visto che ammassava decine di migliaia di truppe al confine pur continuando a negare di voler fare la guerra. Ad avere notizia della minaccia contro il leader del paese sono stati gli 007 di Kiev sabato scorso. Ed è per questo che l'amministrazione comunale ha annunciato un coprifuoco totale per 36 ore. Una mossa che adesso appare chiara.
«Chi sarà trovato in strada, sarà trattato da nemico», aveva avvisato il sindaco Vitalij Klitschko. E la ragione risiedeva nell'incubo dei sabotatori russi, più volte evocato dalle autorità ucraine. Su mandato di Putin sono ormai troppi i sicari esperti e difficilmente riconoscibili che la Russia sta assoldando per uccidere il presidente. Contractor specialisti in operazioni coperte e ibride, nerbo delle forze di Mosca schierate ai confini tra Russia e Ucraina, area in cui già opera una forza di circa centomila uomini armati e in assetto di battaglia.
Negli ultimi anni i mercenari del gruppo Wagner sono passati dalla Libia alla Siria, all'Africa subsahariana, usati come arma in più per le mire espansionistiche dello zar russo. Presenti ma mai ufficialmente in azione, e sempre pronti a cambiare le sorti dei conflitti strategici. E per di più non sono i soli nella capitale ad agire senza scrupoli, perché sono arrivati anche gli spietati cacciatori di teste delle forze speciali cecene. Si muovono per assassinare Zelensky, e la loro presenza in Ucraina è stata rivendicata dal braccio destro di Putin a Grozny, Ramzan Kadyrov.
I nemici pronti ad attentare alla vita del presidente-eroe sono però anche interni. Nelle scorse ore, Kiev ha denunciato l'evasione dai domiciliari dell'oligarca ucraino di origini russe Viktor Medvedchuk, molto vicino al Cremlino e ritenuto tra i possibili candidati alla guida di un governo leale a Mosca, se quello attuale venisse rovesciato. Il tycoon, attivo in molti campi dall'energia ai media, stava scontando una condanna per alto tradimento dopo essere stato giudicato colpevole di sostegno alle forze separatiste del Donbass. Ora, ha fatto sapere il suo legale, «si trova in un posto sicuro a Kiev».
Quello che per Zelensky sembra non esserci più. In quest' ottica la presenza di Wagner non fa che intorpidire ulteriormente le acque. Gli omini verdi si erano già visti ai tempi della crisi del 2014, quando la Crimea è stata annessa alla Russia. Anche in quel caso Mosca si era avvalsa del gruppo fondato da Dmitri Utkin, che avrebbe tra i suoi patroni lo chef di Putin, Yevgeny Prigozhin. Elementi questi che sembrano aver aiutato gli 007 a capire che lo spostamento di effettivi dall'Africa all'Est Europa, era il campanello d'allarme per un'invasione. Quella che, poi, c'è stata.
L'OPERAZIONE Del resto, a novembre Bellingcat, sito di open source intelligence, aveva rivelato la presenza di duecento effettivi Wagner anche a fianco delle forze di sicurezza bielorusse intente a reprimere le proteste nel giardino di casa della Russia.
Nel luglio 2020, poi, come hanno riferito Ucraine crisis e Insideover, le indecisioni del governo di Zelensky hanno portato al fallimento di un'operazione ideata dai vertici del Comparto intelligence principale presso il ministero della difesa, con cui era stato promosso «un reclutamento false flag (agenti sotto copertura che organizzano incidenti ad arte) di mercenari per una compagnia militare privata non funzionante» avente come scopo «quello di adescare decine dei combattenti russi, ucraini e bielorussi» legati a organizzazioni come Wagner per portarli in Ucraina e arrestarli. Dimostrando così l'esistenza di collusioni tra poteri russi, compagnie militari private e operazioni sotto copertura.
Roberto Fabbri per “il Giornale” il 6 aprile 2022.
Il sanguinario leader ceceno Kadyrov al potere a Mosca? Sembra una follia, ma in Russia c'è chi ne parla con serietà. Non nel senso di considerare probabile che Vladimir Putin venga detronizzato da un simile personaggio, ma come messa in guardia: il rischio di caos ai vertici della Russia è potenzialmente tale da non poterlo escludere in presenza di una serie di segnali. Siamo infatti di fronte a uno scontro, poco visibile dall'esterno, tra un partito della guerra e uno della pace, e Kadyrov sembra volerlo sfruttare per prendere la testa del primo. Se vi riuscisse, non gli resterebbe che un passo prima di un grande balzo che potrebbe tentarlo.
Del resto, in queste settimane di guerra, il tema della rimozione dal potere di Putin è stato più volte sollevato, e non solo da Joe Biden in verità. E anche quando l'idea di risolvere con un colpo di palazzo il sanguinoso nodo ucraino non viene esplicitata nel dibattito, essa rimane in qualche modo sullo sfondo. Veder rimpiazzato il presidente russo sembra a molti osservatori occidentali non solo l'unica maniera per porre fine al conflitto, ma anche per reimpostare i rapporti dell'Occidente con Mosca su una base più favorevole. Altri, tuttavia, fanno notare che non è affatto detto che un successore di Putin debba rivelarsi migliore di lui: potrebbe, anzi, rivelarsi peggiore. Qualcuno, come Kadyrov ad esempio, che scelga di schiacciare l'acceleratore della guerra fino in fondo, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze.
E quindi torniamo a lui. Ex combattente separatista della repubblica caucasica musulmana di Cecenia, che fa parte della Federazione russa, già nel 2000 aveva cambiato campo.
Si è messo a completa disposizione di Putin per governare in suo nome la Cecenia - "normalizzata" dopo la feroce guerra del 1999 - con la massima durezza. Kadyrov non si è fermato davanti a nulla per compiacere il suo capo, torture o omicidi che fossero. E' considerato il più che probabile mandante (ovviamente impunito) dell'assassinio della implacabile critica di Putin Anna Politkovskaya, compiuto il 7 ottobre 2006 (giorno del compleanno dello «zar»): due giorni prima la celebre e coraggiosa giornalista aveva messo in guardia contro il «pazzo e idiota violento Kadyrov».
Qualche settimana fa, il fedelissimo leader ceceno è tornato utile a un Putin in difficoltà nella sua «operazione speciale» in Ucraina. Su richiesta del suo boss, si è trasferito al fronte con un migliaio dei suoi tagliagole, e ha subito cercato di distinguersi come il più duro sostenitore della guerra a oltranza. Alcuni giorni fa, ha attaccato a testa bassa Dmitry Peshkov, portavoce di Putin e uno dei suoi più intoccabili uomini di potere, accusandolo di «incapacità di riconoscere il vero patriottismo mentre in Ucraina si combatte duramente». Appena prima, Kadyrov aveva puntato il dito anche contro Vladimir Medinsky, capodelegazione russo ai negoziati con gli ucraini: Medinsky aveva annunciato il ritiro dalla regione di Kiev, e Kadyrov reagì suggerendo di tappargli la bocca col nastro adesivo.
Secondo una fonte occulta d'intelligence russa che da tempo passa informazioni all'attivista in esilio Vladimir Osechkin, Kadyrov ha deciso di lanciare una campagna al Cremlino per screditare i vertici della sicurezza nazionale. Se riuscisse a convincere Putin che è lui l'uomo adatto per guidarla, ragionano queste fonti, domani potrebbe puntare al potere assoluto in Russia. Agli scettici va ricordato che non sarebbe il primo caucasico a riuscirci: Stalin era georgiano, e come lui lo era il brutale Lavrentij Berija, che brevemente gli succedette nel 1953 prima di esser fatto - letteralmente - fuori da un colpo di mano armato orchestrato da Nikita Krusciov.
Andrea Nicastro per il "Corriere della Sera" il 30 marzo 2022.
Il presidente ceceno Ramzan Kadyrov è il leader che ha pacificato la Cecenia per conto di Mosca. L'ha fatto non ancora trentenne versando ettolitri di sangue. Ora che si avvicina ai 46 anni, tiene il controllo della repubblica caucasica con il terrore e a Kadyrov piace che tutti lo sappiano, alimenta la sua leggenda nera a forza di video, come un influencer.
Né Kadyrov né i suoi uomini, i kadyrovzky, hanno però mai fatto la guerra con cannoni e carri armati. Sono una forza anti sommossa, di controllo interno. Dai loro un prigioniero e sapranno torturarlo fino a farlo parlare.
«Sono un soldato di fanteria di Putin» ha ripetuto modesto per anni. In questo mese di guerra, a Kadyrov non basta più. In Ucraina sembra che i suoi uomini abbiano compiti di polizia militare («plotone di contenimento», cioè chi spara ai disertori) e di rastrellamento.
Sanno entrare nei palazzi, setacciare un quartiere e sono quindi utilissimi per «ripulire» Mariupol dalla Brigata Azov ancora asserragliata.
Show da battaglia
Il presidente ceceno ama esibirsi. Due settimane fa era al fronte di Kiev: «Siamo a 20 chilometri da voi nazisti ucraini, arrendetevi o vi finiremo». La settimana scorsa, era già a Mariupol.
Prima ha annunciato che i suoi ragazzi avevano preso il municipio. Poi pregava rivolto alla Mecca, nella piazzola di un benzinaio RosNeft. Domenica, abbracciava il comandante dell'8a armata russa, tenente generale Andrei Mordvichev. «Pochi giorni e ripuliremo la città».
Un'altra clip mostra l'assalto dei suoi kadyrovzky allo scheletro di un palazzo di Mariupol: infernale fuoco di sbarramento, schieramento compatto dietro un blindato che spara col cannoncino.
Sembrava un film con la telecamera in linea tra i coraggiosi ceceni e le finestre sventrate da dove avrebbe dovuto sparare il cecchino. In linea? I kadyrovzky acquattati dietro al blindato e il cameraman totalmente esposto? Infatti era un film. Nei primi fotogrammi si sente urlare in russo: «Strilayte, strilayte. Snimayu». Che vuol dire: «Sparate, sparate. Sto filmando».
Ci fosse un timbro «fake» bisognerebbe bollare così tutte le apparizioni del presidente ceceno fino ad oggi: falsi. Si tratta di video montati mescolando immagini reali ad altre vecchie o in luoghi diversi.
Un espediente consueto per i kadyrovzsky che infatti si sono guadagnati il poco marziale soprannome di tiktoker per la loro smania di apparire sui social. Al fronte di Kiev il presidente ceceno potrebbe non esserci mai stato. Persino il ministero della Difesa russo ha detto «non ci risulta». Lui era probabilmente ancora a Grozny, la sua capitale, in una cantina.
Bluff e realtà
Il Financial Times ha ironizzato su un guerriero che sfoggia al fronte stivali Prada da 1.500 euro, bellissimi per carità, ma poco adatti per correre. Il municipio di Mariupol catturato dai suoi era un distaccamento periferico e anche la preghiera era un bluff: in Ucraina non ci sono distributori RosNeft.
Quanto all'abbraccio con il tenente generale Mordvichev, il poveretto è stato ucciso 10 giorni prima del presunto saluto con Kadyrov. Il fact checking potrebbe continuare. Il leader ceceno è probabilmente nei pressi di Mariupol, da un paio di giorni.
Ha incontrato il presidente della repubblica indipendentista di Donetsk e ha visitato in ospedale il suo kadyrovzky più fidato, ferito proprio ieri a Mariupol, quel Ruslan Geremeyev sospettato dell'omicidio di Boris Namtzov, ex sfidante di Putin.
Nella trasferta al fronte, Kadyrov si è fatto accompagnare da guerrieri rotti ad ogni violenza e da un ragazzino con la faccia imberbe. La telecamera dei tiktoker della guerra si ferma a lungo sul suo primo piano. È il figlio Adam, 14 anni. Già vittima prima ancora che qualcuno gli spari.
Svelato il bluff del “macellaio” Kadyrov, che minacciava la conquista di Kiev: ecco dove è in realtà. Il Tempo il 15 marzo 2022.
Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ieri aveva fatto sapere di trovarsi in Ucraina nei pressi di Kiev, ma è tutta una farsa. Era stato lo stesso Kadyrov a pubblicare un video dove lo vede in uniforme militare in una stanza insieme ad altri miliziani. Alle spalle una bandiera con il volto del padre di Achmat ucciso in un attentato a Grozny nel 2004. Ma in realtà si è trattato di un bluff, visto che Kadyrov, definito un fedelissimo di Vladimir Putin, è a Grozny, capitale della Cecenia. Alcuni media hanno mostrato delle immagini dell’incontro con il consigliere della sicurezza russo.
Già ieri pomeriggio era sorto un giallo per le parole del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che aveva riferito che Mosca non poteva confermare il fatto che il leader ceceno, Kadyrov, si trovasse in Ucraina, come da lui affermato. «Non abbiamo questa informazione», aveva detto Peskov in conferenza stampa, rispondendo a una domanda della Tass e invitando a porre la questione direttamente alle autorità cecene.
Ramzan Kadyrov, il «macellaio» ceceno arriva al fronte ucraino in aiuto di Putin. Guido Olimpio Il Corriere della Sera il 14 Marzo 2022.
Il sanguinario leader ceceno sostiene in un video online di essere vicino a Kiev: i suoi miliziani dovevano uccidere Zelensky, ma ha perso decine di uomini nella battaglia di Hostomel.
Ramzan Kadyrov è a suo agio tra i morti e lo è ancora di più al fianco di Vladimir Putin. Dunque è possibile che il dittatore ceceno sia arrivato sul campo di battaglia per coordinare il suo contingente in Ucraina. Il leader è apparso in un video sul canale Telegram nelle vesti di condottiero. Indossa la mimetica, forse gli scarponcini di una marca della gran moda italiana, pronto a discutere le prossime mosse con i comandanti delle unità schierate nella zona di Hostomel. «L’altro giorno eravamo a circa 20 chilometri da voi nazisti, ora siamo ancora più vicino», ha affermato esortando i nemici ad arrendersi o «vi finiremo».
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
Parole di un personaggio brutale, sanguinario, fedele esecutore degli ordini dello zar. Per ora non ci sono conferme sulla sua presenza, mentre il Cremlino ha preferito affermare di non avere informazioni. Frase che lascia aperta ogni ipotesi attorno ad una figura che ama essere al centro dell’attenzione, non teme gli eccessi, buono per tutte le stagioni del Cremlino. La breve sortita sul web, infatti, rappresenta una doppia veste, operativa e propagandistica. La prima legata alla pressione delle forze russe in direzione della capitale. La seconda serve a dare spinta ai soldati dopo le perdite subite nelle scorse settimane. Un binario sul quale si è incamminato Kadyrov, sempre pronto «a difendere gli interessi della Russia», che poi sono anche i suoi.
L’adunata in piazza
All’inizio dell’operazione speciale il presidente ha presenziato ad un’adunata di piazza con centinaia di miliziani, i «kadyrovtsky», uno show per accompagnare la notizia dell’invio di 10 mila uomini al fianco dell’Armata. Un’avanguardia. Perché, come ha tuonato lui stesso, ne sono pronti 70 mila. Proclami seguiti dalle immagini di una colonna di militari ripresa sul terreno dopo l’invasione, sempre a confermare un impegno diretto non privo di sorprese. Un reparto ha avuto decine di morti, colpito dal raid di droni TB2 (produzione turca) e dall’attacco delle forze speciali locali. Tra le vittime degli ufficiali.
Rovescio negato su tutta la linea dal regime filo-russo. Abbiamo avuto solo due caduti, ha replicato il despota, cercando di minimizzare l’impatto. Ma era ormai molto tempo fa, la battaglia nella regione di Hostomel si è fatta poi più intensa, con danni per tutti. Kadyrov, come sembrano rivelare alcuni messaggi audio passati alla Bbc, era tra i pochi ad essere informato da mesi su quanto sarebbe avvenuto. Nei dialoghi — di difficile autentificazione — il numero uno discute con un suo ufficiale dei preparativi di guerra, dei target, dei timori di reazioni negative tra i ranghi. Ci sono riferimenti espliciti a riunioni svoltesi con i russi per il coordinamento. Un coinvolgimento che si rispecchia nel supporto continuo da Grozny a Mosca.
Come ha sottolineato Neil Hauer, la Cecenia rappresenta uno schema che il Cremlino vorrebbe riprodurre — pur tenendo conto delle differenze — in terra ucraina. Inoltre i miliziani hanno partecipato al decisivo intervento in Siria, prendendo parte prima agli scontri, per poi svolgere compiti di polizia militare. Ruolo che potrebbero ricoprire una volta conquistati i grandi centri. Magari dovranno anche vedersela con i ceceni alleati dell’Ucraina e non da oggi. È sempre Hauer a ricordare la presenza di due formazioni anti-russe, il Battaglione Sheikh Mansour e il Battaglione Dudayev, il cui leader Adam Osmaev ha subito un attentato a Kiev nel 2017 dove è morta la moglie. La coppia aveva partecipato al conflitto nel Donbass.
Gli agguati sono l’altra specialità di Kadyrov, non pochi oppositori sono stati liquidati all’estero. Un suo team sarebbe stato incaricato di eliminare il presidente ucraino Volodymyr Zelesnky e catturare altri dirigenti. Si è anche detto che gli agenti avessero mazzi di carte raffiguranti i ricercati, un’imitazione di quanto fatto dagli americani quando davano la caccia ai collaboratori più stretti di Saddam Hussein in Iraq. Forse la vicenda del piano segreto è solo una «voce», la sostanza non cambia: quando Mosca chiama il despota esegue.
I volontari siriani
Più tortuoso il caso dei «volontari» siriani, una componente sulla quale girano notizie non verificabili. Un report ne segnala 400 nella regione di Rostov, la tv russa invece ha mostrato l’arruolamento in Siria, area di Deir ez Zour, un’operazione gestita da Husam Qaterji, un gerarca piuttosto influente. Fino a qualche giorno fa fonti statunitensi avevano mostrato cautela sull’afflusso massiccio dei mercenari arabi mentre gli analisti sembravano non troppo convinti, ritenendo che Mosca non ne avrebbe bisogno e che sarebbe persino controproducente. Se arriveranno sul serio non ci vorrà molto tempo per scoprirlo.
“Re Ramzan”. Chi è Kadyrov, il signore della guerra mandato a Kiev a uccidere Zelensky. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 16 Marzo 2022.
Il Capo della Repubblica cecena è accusato di omicidi, persecuzioni e torture nel suo feudo del Caucaso. Il quotidiano Politico lo ha definito «la creazione più macabra di Vladimir Putin». Ed è arrivato in Ucraina nelle vesti di killer d’élite del Cremlino.
«Arrendetevi o per voi è finita». Il messaggio di Ramzan Kadyrov è rivolto alla resistenza dell’Ucraina. Il Capo della Repubblica cecena appare in un video su Telegram, parla da un bunker non lontano da Kiev, è vestito in tuta mimetica, circondato dai suoi soldati. «Potete arrendervi, l’offerta è ancora valida, ma non per molto».
Kadyrov è arrivato in Ucraina nelle vesti di braccio armato d’élite di Vladimir Putin. Il suo contingente si muove sul territorio con grande consapevolezza: secondo fonti della Bbc, Kadyrov sapeva da tempo delle intenzioni del Cremlino, ma ritiene che l’esercito russo fin qui non abbia fatto in pieno il suo dovere. Secondo lui l’offensiva del Cremlino non progredisce perché i russi non sono abbastanza spietati, è per questo che chiede a Mosca di «chiudere gli occhi di fronte a tutto e consentirci di farla finita in un paio di giorni».
Il leader ceceno ha 45 anni, è al potere da quando ne aveva 30. È una macchina da guerra, un despota sanguinario che governa la repubblica russa del Caucaso settentrionale come un feudo personale, con pugno di ferro. Sotto la sua guida, la Cecenia è diventata un buco nero per i diritti umani e la democrazia. Nel 2016 un articolo di Politico Europe definiva Ramzan Kadyrov «la creazione più macabra di Vladimir Putin, un Golem politico che rimane servilmente fedele al leader russo ma che funge anche da costante e assillante promemoria di quanto possa diventare brutta l’autocrazia in stile Putin quando va davvero oltre il limite».
Kadyrov ha ottenuto mano libera per governare a suo piacimento in Cecenia in cambio della promessa di fedeltà a Vladimir Putin.
Ma non è sempre stato così. Al fianco di suo padre Akhmad, Kadyrov era tra i ribelli della prima guerra cecena del 1994, guidando la resistenza di una repubblica alla ricerca dell’indipendenza fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Appena salito al potere, nel 1999, Putin ha riacceso il conflitto e dato il via alla seconda guerra cecena, che ha permesso a Mosca di riconquistare il controllo della regione – nel luglio del 2000 – a seguito di una campagna di bombardamenti che ha fatto migliaia di vittime tra i civili. È in quest’occasione che la famiglia Kadyrov ha ceduto al Cremlino: Akhmad Kadyrov è diventato capo della nuova amministrazione provvisoria, scelto direttamente da Putin.
Il momento del giovane Ramzan invece arriva nel 2005, dopo la morte del primo ministro Sergej Abramov. Da quel momento, «Kadyrov ha sviluppato un rapporto diretto con il Cremlino», scriveva la Bbc un paio d’anni fa, in riferimento a una relazione di mutuo interesse: i soldi di Mosca avrebbero finanziato la ricostruzione delle infrastrutture in Cecenia, comprese nuove strade e una gigantesca moschea nella capitale della repubblica, Grozny; Ramzan in cambio sarebbe rimasto sempre fedele al Cremlino.
In un reportage del 2016 pubblicato sul New Yorker, il giornalista Joshua Yaffa descriveva il culto della personalità fiorito in Cecenia nel primo decennio di Ramzan Kadyrov al potere: «Mi trovavo in una grande piazza di fronte alla moschea Akhmad Kadyrov, conosciuta come “il cuore della Cecenia”, ero in attesa dell’inizio di un concerto. Un giovane di Grozny mi aveva dato indicazioni piene di sarcasmo: “Incontriamoci davanti alla moschea Kadyrov, in piazza Kadyrov, all’incrocio tra Kadyrov Prospect e Putin Prospect”. Una volta iniziato l’evento organizzato dal governo in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale, la sicurezza ha impedito a chiunque di andarsene finché Kadyrov non avesse parlato».
La parola di Ramzan Kadyrov è legge, in Cecenia. Lo Stato di diritto, invece, è ampiamente sotterrato. Le organizzazioni per i diritti umani hanno accusato il leader ceceno di una lista chilometrica di abusi, tra cui la scomparsa di oppositori, la tortura e la persecuzione degli omosessuali.
Il suo esercito, una forza di sicurezza paramilitare conosciuta come “Kadyrovtsy”, è responsabile della maggior parte degli assassini, stupri, rapimenti e tortura nella repubblica caucasica – lo ha rivelato l’Associazione per i popoli minacciati (un’organizzazione internazionale per i diritti umani con sede in Germania).
Proprio come in tutta la Russia, in Cecenia la politica non ha più alcun valore. Tutti gli oppositori del regime vengono perseguitati, sono costretti a fuggire, e anche all’estero non sono mai davvero al sicuro.
Nel 2009, l’ex guardia del corpo di Kadyrov, Umar Israilov, che aveva pubblicamente dichiarato di essere stato torturato dallo stesso Kadyrov, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. Era fuggito a Vienna.
Tumso Abdurakhmanov è un ingegnere che lavorava a Grozny, è stato il primo a organizzare una protesta di piazza contro il regime. È stato costretto a fuggire prima in Georgia – che però gli ha negato il diritto d’asilo – poi in Svezia e infine in Polonia. Da qui critica Kadyrov soprattutto dal suo canale YouTube “Abu-Saddam Shishani”. Oggi sulle sue tracce c’è Magomed Daudov, il braccio destro di Kadyrov, conosciuto in Cecenia con il soprannome di “Lord”, che ha giurato «vendetta di sangue» contro di lui.
Nel 2019 Zelimkhan Khangoshvili, un ex combattente ceceno è stato ucciso in un parco di Berlino: aveva combattuto nella seconda guerra cecena contro le forze russe, all’inizio degli anni Duemila. Nello stesso anno, un rivale politico di Kadyrov, Sulim Yamadayev, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Dubai.
«Ci sono stati una mezza dozzina di politici ceceni uccisi a Istanbul negli ultimi dieci anni, e le autorità turche credono che i servizi di sicurezza russi siano coinvolti. Mentre in Ucraina, dove i dissidenti ceceni si sono uniti ai battaglioni di volontari che combattono le forze filo-russe, la combattente cecena Amina Okuyeva è stata uccisa in un agguato della sua auto nel 2017», scrive la Bbc.
Kadyrov è considerato anche il mandante dell’omicidio di Boris Nemtsov, ex leader dell’opposizione russa: il Comitato Investigativo ha incriminato 5 nativi della Cecenia per l’assassinio
È molto probabile che Kadyrov abbia ricevuto direttamente da Mosca l’incarico di eliminare il presidente ucraino Volodymyr Zelesnky. «La tua intelligence è zoppa», diceva nel video, rivolgendosi direttamente al leader ucraino. «l’altro giorno eravamo a circa 20 chilometri da voi nazisti di Kiev e adesso siamo ancora più vicini».
Nonostante le minacce non sembra ancora partita una vera e propria caccia all’uomo. Ma intanto l’ex parlamentare ucraino Yevhen Rybchynsky ha promesso una casa con un appezzamento di terreno a Kiev a chiunque riesca a uccidere il leader ceceno: «Se Kadyrov è davvero vicino a Kiev, allora ogni combattente delle forze armate e dell’antiterrorismo deve porsi l’obiettivo di fermarlo».
Chi è Ramzan Kadyrov, il presidente della Cecenia. Pietro Emanueli su Inside Over il 9 maggio 2022.
Ramzan Kadyrov, il padre padrone della Cecenia dal 2007, è uno dei personaggi più importanti della Russia contemporanea. Pittoresco, talvolta folcloristico, Kadyrov legifera nella piccola repubblica nordcaucasica come se fosse un capoclan, dispone di una piccola ma capace armata privata in grado di condurre operazioni in tutto il mondo ed è tra i fedelissimi di Vladimir Putin.
A lungo trattato dalla stampa occidentale come una sorta di paria, uno dei tanti autocrati che dominano il panorama russo-turcico, Kadyrov ha catalizzato l’attenzione dei riflettori internazionali durante la guerra in Ucraina. Guerra di cui Kadyrov è stato protagonista, avendo inviato combattenti in loco e che gli è valso ulteriore apprezzamento da parte di Putin.
Kadyrov prima di Kadyrov
Ramzan Akhmadovič Kadyrov nasce il 5 ottobre 1976 in un remoto villaggio di nome Tsentaroj, che oggi si chiama Akhmat-Yurt, all’epoca sotto la giurisdizione della repubblica autonoma ceceno-ingusceta e ora appartenente alla Cecenia.
Ramzan non è mai stato una persona qualunque: il suo lignaggio, che in certi posti è tutto, non gli avrebbe mai permesso di vivere nell’anonimato. Ramzan, infatti, crebbe con la consapevolezza di essere figlio di Akhmad e Aimani, membri del prolifico e potente clan Kadyrov.
Akhmad, imam tanto riverito quanto temuto, allo scoppio della prima guerra cecena fu tra i capifila del movimento di indipendenza. Sulle orme dei padri spirituali (e non solo) del nazionalismo ceceno, come lo sceicco Mansur e l’asceta Hassan Izrailov, Akhmat proclamò il Jihad, la guerra santa, contro i soldati russi inviati dal Cremlino per sedare la voglia di emancipazione di uno dei popoli più agguerriti e fieri del Caucaso settentrionale.
Insieme, Akhmat e Ramzan, combatterono al fronte, dando prova di grande coraggio agli occhi degli indipendentisti e riuscendo a trasformare i Kadyroviti in una forza determinante all’interno del frammentato e destrutturato panorama clanistico ceceno. Qualcosa che avrebbero capitalizzato a guerra terminata.
Il cambio di guardia al Cremlino, emblematizzato dal passaggio di scettro da Boris Eltsin a Vladimir Putin, fu interpretato da Ramzan padre come il segno di un cambiamento più vasto, destinato a durare e rimanere, perciò i Kadyroviti, un tempo nemici del potere centrale, a partire dal 1999 sarebbero diventati i più strenui sostenitori di Mosca. Una scelta, dettata da un mix di calcoli economici e lungimiranza politica, che li avrebbe premiati.
Padre della Cecenia
All’indomani della morte del padre, assassinato in un attentato ricco di ombre il 9 maggio 2004, Ramzan fu eletto vice primo ministro. Un ruolo utilizzato per implementare nottetempo una serie di politiche controverse, perché in direzione dell’islamizzazione dell’impianto normativo, e dunque della società, della Cecenia: dalla proibizione della manifattura di alcolici al divieto del gioco d’azzardo. Preludio di una più ampia agenda di islamizzazione, avvenuta con il tacito assenso di Mosca.
La dirigenza moscovita era insofferente nei confronti di Kadyrov, che sfidava le sentenze federali, chiedeva più denaro al governo centrale e minacciava di danneggiare l’immagine pubblica della Russia – ad esempio, gettando benzina sul fuoco ai tempi delle caricature di Maometto sullo Jyllands-Posten –, ma l’alternativa era una non-alternativa: la rinascita del caos in Cecenia e, a latere, nel resto del Caucaso settentrionale. Putin ne era consapevole, in quanto pragmatico, perciò il 4 marzo 2006 diede la benedizione alla sua elezione a primo ministro. Prima tappa del percorso verso la presidenza.
Fu Putin in persona, il 15 febbraio 2007, a consacrare la trasformazione di Kadyrov in Kadyrov, mettendo la firma su un decreto che lo fece presidente della Repubblica cecena. A partire da quel momento, nonostante le pressioni della lobby anticecena a Mosca e quella della lobby indipendentista a Groznyj, tra Putin e Kadyrov sarebbe stato idillio: l’uno al servizio dell’altro, l’uno fedele all’altro.
La prima presidenza Kadyrov sarebbe passata all’insegna della catalisi dell’islamizzazione, del consolidamento del nuovo ordine – emblematizzato dall’istituzionalizzazione della milizia privata, i Kadyroviti – e della ricostruzione della Cecenia, possibilitata dalla pioggia di rubli proveniente dal Cremlino, sullo sfondo dell’aumento di influenza nell’immediato vicinato nordcaucasico. La Cecenia come piccola potenza, informalmente semi-indipendente, in grado di assoggettare le contigue repubbliche alla propria volontà.
Nonostante i proclami sulla fine del capitolo russo della Guerra al terrore, Kadyrov avrebbe dovuto affrontare una nuova ondata di attacchi terroristici sul suolo ceceno nel 2010. In particolare, risaltarono per dimensioni e simbolicità l’assalto a Tsentaroj – una chiara provocazione da parte dei separatisti jihadisti nei confronti del presidente – e l’attacco al Parlamento.
Rieletto per un nuovo mandato nel 2011, e di nuovo negli anni successivi, Kadyrov avrebbe trascorso gli anni Dieci del Duemila a rafforzare la proiezione internazionale della Repubblica. Quando siglando accordi intergovernativi con nazioni sovrane, come l’Azerbaigian e l’Arabia Saudita, e quando operando incursioni all’estero a servizio del Cremlino, ad esempio con l’invio di Kadyroviti in chiave filo-assadista durante la guerra civile siriana.
Vero banco di prova delle relazioni Putin-Kadyrov, più che la guerra civile siriana e il conflitto nel Donbass – anch’esso partecipato dai Kadyroviti sin dal 2014 –, è stato il più grave scontro tra i due blocchi dall’inizio della competizione tra grandi potenze: la guerra in Ucraina. Perché nel teatro bellico ucraino, sia per dare manforte al contingente russo sia per terminare una caccia all’uomo cominciata nel 2014 – i jihadisti e gli islamisti al soldo di Kiev –, Kadyrov ha inviato un esercito, in prima linea nelle operazioni, che gli è valso la promozione a tenente generale.
Le tante ombre
Kadyrov è stato accusato, sia in patria sia all’estero, di aver convertito la Cecenia in un feudo personale, dove la shari’a è legge, dove l’omosessualità è reato punibile con la morte, dove la giustizia è affare controllato con la violenza dai Kadyroviti e dove il miglioramento delle condizioni di vita è il miraggio di un’economia artificiale, drogata, in quanto basata sugli ingressi di rubli provenienti da Mosca.
Kadyrov stesso è stato accusato di possedere un patrimonio immenso, frutto di quel denaro elargito dal Cremlino, ma fare indagini sul suo conto non è mai stato facile. Perché chi ha provato a mettersi contro Kadyrov, talvolta credendosi al sicuro perché nascosto all’estero, spesso ha avuto come destino la morte.
L’elenco delle persone presumibilmente assassinate dai Kadyroviti è esteso. Include gente residente nella Federazione, come Movladi Baisarov (2006) e Ruslan Yamadaev (2008), e gente residente all’estero, come Sulim Yamadaev (2009), Umar Israilov (2009), Imran Aliev (2020). Si è a lungo vociferato, inoltre, il coinvolgimento dei Kadyroviti nell’uccisione di volti noti del giornalismo e della politica russi, come Anna Politkovskaya, Natalia Estemirova e Boris Nemtsov.
Il Presidente accusato di tortura e persecuzioni. Chi è Ramzan Kadyrov, il “soldato di fanteria di Putin” che comanda la Cecenia con pugno di ferro. Vito Califano su Il Riformista il 14 Marzo 2022.
È arrivato in Ucraina a sostenere le proprie truppe e a motivarle per l’assalto a Kiev. E a minacciare gli ucraini, Ramzan Kadyrov: “L’altro giorno eravamo a circa 20 chilometri da voi nazisti, ora siamo ancora più vicino”, ha detto invitando le forze ucraine alla resa altrimenti “vi finiremo”. Il video con la sortita del “Capo della Repubblica cecena” è rimbalzato oggi sui media di tutto il mondo a partire da un gruppo Telegram. Il dittatore si troverebbe a Gostomel, nei pressi di Kiev, la capitale accerchiata che da giorni si prepara all’assedio delle forze russe. Che bombardano ma ancora non stringono la morsa. La notizia dell’arrivo in Ucraina di Kadyrov era stata confermata dalla televisione cecena. “Non c’è una conferma ma sembra plausibile”, scrive l’esperto di intelligence del Corriere della Sera Guido Olimpio.
Kadyrov lo si vede in quello che sembra un bunker sotterraneo, in tuta mimetica, circondato dai suoi uomini mentre discutono delle operazioni. Alle sue spalle la bandiera con il volto di Ahmad, il padre deceduto in un attentato nel 2004 e attorno al quale ha costruito un vero e proprio culto della personalità. Alla dichiarazione di invasione dell’Ucraina del Presidente della Russia Vladimir Putin il dittatore fedelissimo del capo del Cremlino aveva risposto presente, in una piazza gremitissima di persone, con 10mila uomini pronti a partire.
L’uomo che comanda con pugno di ferro sulla Cecenia ha 45 anni. Ha ricevuto da Putin il Paese caucasico pur di tenerlo al riparo da ribellioni e impulsi secessionisti che hanno portato Mosca a combattere due feroci guerre dopo la fine dell’Unione Sovietica. Groznyj è stata rasa al suolo. Il protetto di Putin è salito al potere come presidente nel 2007, dal 2011 è “Capo” della repubblica. Ha sempre mostrato fedeltà al Presidente russo del quale si è definito anche “soldato di fanteria”. È stato ripetutamente accusato da Stati Uniti, Unione Europea e organizzazioni per i diritti umani di torture e persecuzione soprattutto ai danni di omosessuali e oppositori politici. La sua milizia è detta “kadyrovtsy” ed è considerata responsabile di torture, rapimenti e arresti arbitrari. “Non ci sono gay in Cecenia”, replicò il leader sanguinario dopo l’inchiesta del giornale indipendente russo Novaja Gazeta, ripresa da Amnesty International, che lo accusò di aver aperto un campo di concentramento per omosessuali.
Altra ombra: non è mai stato chiarito chi abbia assassinato Boris Nemstov, ex vice premier russo e principale oppositore di Putin, ucciso di fronte al Cremlino in un delitto ancora irrisolto. Alcune accuse hanno coinvolto proprio il leader ceceno. Kadyrov si è speso molto in diverse operazioni simpatia: ha ospitato per esempio numerosi eventi e partite calcistiche cui ha invitato campioni del calibro di Diego Armando Maradona, Luis Figo, Jean-Pierre Papin. È anche presidente della squadra Terek Groznyj, allenata in passato da Ruud Gullit, e ha fatto costruire il Terek Stadium da 30mila posti.
L’ex calciatore brasiliano Rai, dopo un’amichevole – lo stesso Kadyrov giocava – con stelle brasiliane, si era detto profondamente pentito di aver partecipato a quell’evento, di essersi prestato a quella propaganda. Quando è esplosa la pandemia da coronavirus, Kadyrov ha negato l’esistenza del virus e non ha preso misure per contrastare il contagio. Il cammino di purificazione dal negazionismo ha contemplato una cura a base di limone, aglio e miele; l’introduzione della quarantena per i contagiati con pena: la morte; il contagio che ha reso necessario il suo ricovero in una clinica specializzata di Mosca.
Il ministero degli Interni ucraino Anton Gerashenko ha sostenuto che Kadyrov si trovi in questo momento in un seminterrato nel distretto di Kiev. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto di non essere a conoscenza della presenza o meno del leader ceceno in Ucraina. Kadyrov ha intanto parlato un’altra volta nel corso della giornata e ha suggerito al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di rivolgersi a Putin e di ammettere la propria sconfitta.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Domenico Quirico per “la Stampa” il 14 marzo 2022.
Olà, eccoli! Mentre i tonfi plumbei delle bombe scandiscono i giorni di guerra, dopo i mercenari, sono arrivati anche loro, inevitabili come gli sciacalli quando si sente l'odore di morte: i pescecani, i profittatori, gli speculatori del rincaro, il conflitto li ha messi in calore. È il vasto fronte che fa fortune troppo colossali per essere oneste mentre gli altri, i poveracci, i profughi, i soldati, si fanno ammazzare per quattro rubli. Attorno al pericoloso conflitto che inaugura il terzo millennio fioriscono gioiosamente le mercature più o meno lecite, si attivano affaroni a misura di coscienze a bassissima tensione.
Avventurieri e imbroglioni esistono in tutti i tempi, già se ne lamentava Aristofane nella guerra del Peloponneso. La prima guerra mondiale ne fece, nel giustificato rancore dei sopravvissuti, quasi una classe sociale. Ma le dimensioni di questa guerra rischiano di farne una istituzione economica, una nuova voce scoppiettante dell'universo del libero mercato.
Mercanti d'armi e venditori di petrolio, gas e granaglie che agiscono a viso aperto, ma anche violatori di embarghi attenti al loro particolare, perspicaci nell'evitare i rischi del lucro cessante, oligarchie mafiose (a proposito come funziona in questo periodo il fatturato di quelle ucraine e russe? Temo benissimo) meglio strutturate che lo zaretto del Cremlino e consigli di amministrazioni in giacca e cravatta, emirucci e caudillos petroliferi, governi ingordi e refrattari alla democrazia almeno quanto l'aggressore russo: tutta gentaglia che non si è mai vergognata di sfruttare la guerra nè sanno cosa significhi sentirsi colpevoli e chiedersi chi nel conflitto abbia ragione o torto.
Hanno l'io ingordo, gonfio, refrattario alla morale. L'economia di guerra, la penuria, il razionamento la sognano; la paura funziona benissimo quando hai qualcosa da vendere, farina, gas, proiettili. la penuria e l'accaparramento e i suoi affari sono la fase suprema del capitalismo! Non ci sono più guadagni impossibili perché troppo immorali. Deo gratias, siamo in guerra. E questa non è una di quelle periferiche in cui si possono portare a conclusione piccoli affari mentre il mondo continua a girare allo stesso ritmo: lì soldi pochi, bande più che eserciti, tanti profughi ma sui fuggiaschi non si possono lucrare i milioni. Questa è una guerra mondiale, anzi di più globale.
Una chioccia colossale che cova le sue uova nel centro dell'Europa: prognosi perfetta per il pescecane, ne accende le midolla, c'è da nuotarci dentro sgorgando estri affaristici e sfruttando occasioni. Addirittura si rischia di passare non per avventuriero epilettoide dell'illecito profitto ma come patriota, benefattore della giusta causa. Forse non ce ne accorgiamo ma stiamo riempiendo le sacocce di alcuni dei governi più deprecabili del pianeta. Bisogna sostituire il gas e il petrolio russo insanguinato dalla aggressione alla Ucraina. In fretta, anzi subito.
Non si guarda tanto per il sottile e purtroppo, ammettiamolo, democrazia, tolleranza e buongoverno non vanno quasi mai d'accordo con questi preziosi prodotti. Ma il tempo stringe, i prezzi salgono, il Pil dei ricchi del pianeta ribarcolla. Allora ecco che Maduro, un caudillo pittoresco e a cui forse nemmeno il dittatore nordcoreano offrirebbe asilo, passa dalle sanzioni alle telefonate riguardose del presidente americano Biden. Non è il solo che in questi giorni ha l'anticamera piena di ministri degli esteri indaffarati a cercare contratti, forniture da far scoppiare gli oleodotti e affondare le petroliere. L'Algeria per esempio: regime accudito da una mafia affaristico militare che tiene ben custoditi in galera giornalisti e oppositori che hanno cercato di innescare pacificamente una timida primavera algerina.
Regime due volte odioso perché mescola impudentemente corruzione e repressione, che la primavera la abolirebbe per non far venire tentazioni. Con il sovrappiù di gas rimetterà a posto i conti saccheggiati dall'avidità degli incontentabili manutengoli del potere. E poi ci sono i reucci del medio oriente, autocrati da operetta se non fossero gonfi di petrolio regalato da Allah. Tipini pericolosi perché con le rendite del gruzzolo si danno arie da potenza militare, bombardano ospedali e scolaresche dello Yemen con lo stesso stile omicida dei russi in Ucraina.
Difficile però che in queste emergenze nei rifornimenti qualche benemerito del diritto internazionale cominci ad accumulare istruttorie per future Norimberghe: per favore, aumentate la produzione, abbiamo bisogno... Loro fanno i preziosi, si negano anche agli americani, bisogna approfittare del momento, si possono strappare indulgenze e complicità, oltre che un fatturato che fino a ieri rischiava a poco a poco di illanguidirsi per queste manie «green» occidentali e che alla lunga poteva regredirli da milionari dell'oro nero a allevatori di dromedari.
E qui veniamo al businnes più lucroso e sudicio: le armi. Si è appena conclusa, il 9 marzo, in Arabia saudita, che combinazione!, la prima edizione di una faraonica fiera dell'armamentario bellico, il World Defense Show, un'altra idea modernista e civilizzatrice di un nostro fedele amico, il principe ereditario Mohammed Bin Salman, che officiava patriarcalmente l'evento. C'erano gli stand di seicento aziende di 42 paesi, pubbliche e private, i giganti e i piccoli, americani, brasiliani, cinesi, coreani, francesi spagnoli e, molto ammirato, il made in Italy.
Tra i più interessanti in questo laboratorio di costosi incanti mortiferi i prodotti russi e ucraini, che sono abituali protagonisti di questo non lodevole mercato. La guerra, vera, ha offerto agli intenditori insperate proficue occasioni di verifica sul campo del livello letale dei loro prodotti esposti nella vetrina saudita. Il momento è buono, la richiesta cresce, le catene di montaggio cigolano. Mentre i pacifisti nella loro tenace santità sfilano contro la guerra tutto il mondo si sta armando freneticamente con aberrazione materialistica, è preso dal furore di riempire e aggiornare gli arsenali.
Alleati e mercenari. Bielorussi, ceceni e centrafricani, i soldati non russi assoldati da Putin. Michelangelo Freyrie su L'Inkiesta il 16 Marzo 2022.
Nonostante le voci sulle diserzioni dei suoi militari, Minsk fornisce supporto logistico a Mosca e permetterà lo schieramento di forze nucleari se richiesto dal Cremlino. Ma nel conflitto sono coinvolti anche combattenti siriani, circa 3mila soldati da Groznyj e da Bangui.
Nella nebbia di guerra è difficile distinguere informazioni veritiere dalla propaganda degli schieramenti sul campo. I dati sulla partecipazione di forze straniere all’invasione russa sono fra i più difficilmente verificabili, soprattutto in mancanza di testimonianze dirette sul campo.
Per questo anche la notizia di una possibile ondata di diserzioni nell’esercito bielorusso, di cui si sta parlando in queste ore, andrebbe presa con la massima cautela: diversi ufficiali avrebbero contattato l’opposizione ucraina, segnalando la volontà russa di prendere il controllo delle forze bielorusse e coinvolgerle nel conflitto. L’indiscrezione proviene da un’intervista data da Franak Viačorka, uno dei consiglieri della leader bielorussa in esilio Svetlana Tikhanovskaya, a un giornale israeliano.
A ogni modo, la situazione riamane chiara: lo Stato Maggiore ucraino e il ministero della Difesa avevano lanciato numerosi allarmi riguardanti un possibile coinvolgimento delle forze armate bielorusse nell’invasione, segnalando perfino un presunto tentativo russo di creare un incidente sul confine per spingere Minsk a intervenire a fianco del Cremlino.
Il regime di Alijaksandr Lukashenko sembra riluttante a farsi coinvolgere nel conflitto e i canali ufficiali della presidenza e del ministero della Difesa hanno reiterato più volte che nessun soldato bielorusso parteciperà all’intervento militare, nonostante il supporto politico dato da Lukashenko al regime di Putin.
Secondo un sondaggio condotto da Ryhor Astapenia, ricercatore di Chatham House per la Bielorussia, solo il 3% della popolazione sosterrebbe una partecipazione alla guerra. Dal canto suo, Tikhanovskaja ha lanciato un appello ai membri delle forze armate bielorusse, invitandoli a rifiutare ordini in tal senso e mostrandosi lei stessa solidale con l’Ucraina.
Membri dell’opposizione hanno rivendicato le azioni di “cyberpartigiani” che da gennaio operano contro il sistema ferroviario bielorusso, una delle arterie di rifornimento principali per le truppe russe in ucraina. A questi si aggiunge qualche decina di cittadini bielorussi, scappati in Ucraina dopo la repressione del 2020, che a fine febbraio si sarebbero arruolati nelle forze territoriali di Odessa e Kiev.
Al netto di queste considerazioni, Minsk rimane un partner privilegiato nella guerra di Putin. Come la Cina – che sembrerebbe intenzionata a rifornire la Russia con alcuni sistemi d’arma avanzati e strumenti di guerra elettronica – anche il vicino alleato europeo fornisce un supporto politico e logistico importante per Mosca.
Grazie a un referendum tenutosi il 28 febbraio (e indubbiamente pilotato, come le elezioni presidenziali), la Bielorussia ha rinunciato alla propria neutralità costituzionale e permetterà lo schieramento di forze nucleari russe nel Paese, fornendo a Mosca un ulteriore strumento di pressione contro la Nato.
In termini più immediati, il Paese si è fondamentalmente trasformato nella retrovia più importante del fronte, e in particolare per la direttiva nord-sud dalla quale le forze armate russe cercheranno di accerchiare e prendere Kiev.
La maggior parte degli attacchi missilistici rivolti verso la città e le forze ucraine nel nord provengono dalla Bielorussia, che dagli inizi del millennio ha avviato una profonda cooperazione militare con il Cremlino. Dal 2004 esistono diversi programmi di cooperazione tecnica e logistica che permettono alle forze russe di sfruttare le infrastrutture del Paese in caso di necessità. Il Supporto Tecnico Unificato, in particolare, garantisce l’agibilità delle ferrovie bielorusse alle unità logistiche russe, un bisogno vitale per un esercito il cui sistema logistico si basa prima di tutto sul trasporto su rotaia.
Le numerose esercitazioni svoltesi negli ultimi anni, soprattutto Zapad-2021 e Allied Resolve-2022, hanno contribuito a un’integrazione dei sistemi logistici russo e bielorusso, ed è improbabile che truppe ferroviarie bielorusse non stiano supportando il rifornimento russo fino al confine.
Meno chiaro è quanto i bielorussi siano effettivamente coinvolti nella pianificazione dei processi logistici: normalmente tali operazioni sarebbero predisposte da un Gruppo di Gestione dei Combattimenti – un nucleo operativo nel Centro di Gestione della Difesa Nazionale di Mosca incaricato di coordinare gli aspetti politici e militari di un intervento militare.
Secondo il ricercatore Mark Galeotti, questo Gruppo sarebbe però stato istituito solo il giorno dopo l’inizio delle operazioni, spiegando parzialmente la catastrofica inefficienza delle prime settimane di combattimento.
Un maggiore coordinamento sarà richiesto anche per gestire il potenziale arrivo di nuove forze alleate sul campo. Già la settimana scorsa erano emerse voci di un possibile reclutamento di cittadini siriani nel conflitto, da inquadrare sotto comandanti russi e scelti da liste di reclutamento create ad hoc. Anche il ministero della Difesa ucraino ha confermato le informazioni provenienti da Ong anti-Assad.
Una novità sarebbe anche il possibile invio di “volontari” della Repubblica Centroafricana, uno dei regimi africani più vicini alla leadership russa. Bangui ha fatto largo uso di mercenari russi della compagnia Wagner, un’azienda di sicurezza privata il più delle volte inquadrata nelle forze irregolari fornite da Mosca ai suoi alleati in Africa e Medio Oriente.
Un recente video mostrerebbe uomini armati che si offrono volontari per andare a sostenere i propri “fratelli” nella lotta contro l’Ucraina, una messinscena forse figlia dell’intensa campagna propagandistica svolta da Mosca per accrescere le proprie credenziali da egemone nella regione. È lecito dubitare quanto di tutto ciò si tradurrà in qualcosa di più che semplice disinformazione.
La dimensione psicologica di queste mobilitazioni non va però sottovalutata. Se da una parte i russi hanno un incentivo a reclutare un gran numero di truppe “sacrificabili”, estranee alla società russa e quindi impiegabili in operazioni più pericolose in ambito urbano, è molto improbabile che la qualità di unità create in fretta e furia e schierate in un teatro di guerra a loro poco familiare aumenterà le capacità di combattimento delle truppe del Cremlino.
Un simile principio si applica ai 2-3mila soldati ceceni già oggi schierati sul campo in formazioni della Guardia Nazionale cecena, della Rosgvardia (la guardia nazionale russa, creata per la sorveglianza delle retrovie) e di battaglioni speciali (fra cui Yug e Vostok, già in passato presenti in Siria).
Il morale di queste unità è verosimilmente più alto di altre, complice il supposto arrivo sul campo dell’uomo forte ceceno in persona, Ramzan Kadyrov. Nelle ultime due settimane queste truppe si sono però dimostrate nella media in quanto a successi militari: hanno fallito un tentato raid su Kiev e sono stati respinti in diverse parti del fronte.
L’arma più importante portata da questi soldati è una reputazione di brutalità, in parte confermata dal loro ruolo da guardia pretoriana di Kadyrov, in parte propagata dalle autorità russe utilizzando stereotipi orientalisti per seminare il terrore fra i loro nemici.
Come per le altre unità non appartenenti all’esercito regolare, i Kadyrovisti permettono alla Russia di distanziarsi internamente dagli eventi sul campo e allo stesso tempo di aumentare rapidamente il numero di soldati schierati.
In questo senso è verosimile che le nuove unità verranno utilizzate per rastrellare le sacche di territorio per ora aggirate dalle direttive d’attacco, mettendo in sicurezza le fragili linee di rifornimento russe. Un ruolo simile è probabile per le unità Wagner attualmente in corso di mobilitazione, che potrebbero anche andare a sostituire le unità Rosgvardia inspiegabilmente schierate in prima linea nonostante il loro ruolo da milizia territoriale.
La rete dei mercenari italiani al soldo di Putin. L’intelligence: «Sono nel Donbass con i filorussi». Fascisti, ultras ed estremisti, da quasi dieci anni fanno la spola con l’Ucraina, per i magistrati «reclutando combattenti» dalla Lombardia alla Sicilia. Su molti di loro pende un mandato di cattura. Ma da latitanti in questi giorni sui social fanno propaganda per la Russia. Antonio Fraschilla su L'Espresso il 28 febbraio 2022.
Il riferimento numero uno degli uomini di Putin in Italia in cerca di mercenari pronti a combattere contro gli ucraini per gli inquirenti si chiama Andrea Palmeri. Soprannominato «il generalissimo», è un ex skinhead e capo ultras di Lucca. Legati a lui sarebbero anche Gabriele Carugati detto «Arcangelo», di Varese, e Massimiliano Cavalleri, detto «Spartacus», di Brescia. Sono tutti fascisti e tutti latitanti, considerando che su di loro pende un mandato di cattura europeo.
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” l'8 marzo 2022.
Riccardo Emidio Cocco, Andrea Palmeri, l'estrema destra, la guerra in Ucraina, il Donbass e gli striscioni comparsi a Roma. Due italiani si sono arruolati nelle fila dei gruppi militari filo russi per combattere a favore delle due Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk.
Una decisione che li ha portati anche a pubblicare diversi video in cui sostengono le scelte di Vladimir Putin dell'invasione dell'Ucraina. Brevi filmati diventati virali nei canali Telegram tra chi sostiene il conflitto scatenato da Mosca.
Sia Cocco che Palmeri gravitano nella galassia del neofascismo italiano. Ed entrambi, spesso, si sono trovati a dover fronteggiare altri camerati sul lato opposto delle barricate ma di fede nazionalista differente. Kiev, infatti, ha spesso demandato il compito di combattere la guerra nel Donbass (iniziata ad parile del 2016) a delle formazioni militare neonaziste ucraine, come il battaglione Azov, e politiche come Pravyj Sektor (Settore destro).
Il 23 febbraio e il 6 marzo 2022, annotano diverse informative dell'intelligence occidentali, sono stati pubblicati due brevi video di Cocco. Inoltre, il 21 febbraio, sempre Cocco, aveva partecipato, al fianco di Palmeri, ad una conferenza a sostegno delle popolazioni del Donbass. Il filo conduttore dei video è sempre lo stesso. Lanciare un appello agli italiani per supportare le Repubbliche separatiste «con donazioni e atti dimostrativi».
Lo stesso atto dimostrativo che Cocco ha sostenuto di aver compiuto a Roma: uno striscione comparso a piazza del Popolo: «Usa la guerra è colpa tua. Europa rialza la testa. Fuori dalla Nato. No alle sanzioni suicide. Chiedi la pace». I video hanno spopolato tra i supporter di Putin e del conflitto russo - ucraino. In questo modo Cocco è diventato una sorta di star anche se di lui, nel web si trova ben poco a differenza di Palmeri.
Quest' ultimo, già da diversi anni, otto, ha preso parte al conflitto in Donbass. Palmeri era uno dei leader della curva della Lucchese, tra i capi dei Bulldog, gli ultras di estrema destra. Stessa fede politica sbandierata sui social, con diverse foto, anche da Cocco in prima fila per sostenere la candidatura di Alfredo Iorio come sindaco di Roma, per Forza Nuova, nel 2016.
Sempre il Donbass è al centro di un altro video divenuto virale in queste ore. Un filmato di sei minuti, pubblicato il 6 marzo, in cui il presidente della Repubblica separatista di Donetsk, Denis Pushilin, sostiene di avere le prove dei «piani aggressivi del regime ucraino e di coloro che vi sono dietro».
Prove inconfutabili, secondo la versione offerta da Pushilin, acquisite durante un blitz delle milizie filo russe nella città di Berdyansk, nella sede dell'organizzazione paramilitare ucraina di estrema destra Pravyj Sektor. Il leader politico ha spiegato che i suoi miliziani hanno trovato nelle sede del partito un computer portatile «con matricola Nato che contiene le mappe dettagliate dell'area di Donetsk e della Crimea, con l'ubicazione di unità e strutture militari» avversarie.
In pratica Pushilin asserisce di aver messo le mani sui progetti di attacco ucraini, pianificati con il sostegno dell'Alleanza Atlantica. Piani militari che avrebbero portato ad un attacco, contro le due Repubbliche separatiste, l'8 marzo. Pushilin ha concluso la conferenza stampa affermando che «la tempestività dell'avvio dell'operazione speciale russa ha impedito l'attuazione dei progetti del nemico». Ovviamente la notizia è rimbalzata sui canali Telegram filo-russi, così come i video di Cocco, l'italiano che ha sposato la guerra in Ucraina dalla parte di Mosca.
L'esercito privato russo. Chi sono i mercenari Wagner “spediti in Ucraina da Putin per uccidere Zelensky e altre 22 persone”. Giovanni Pisano su Il Riformista l'1 Marzo 2022.
Sono definiti sabotatori dal governo ucraino che da giorni è impegnato a dargli la caccia oltre che a difendersi su più fronti dall’invasione sia via terra che via aerea dall’esercito di Vladimir Putin. Sarebbero circa 400 i mercenari del Gruppo Wagner, paramilitari russi arrivati in Ucraina con l’obiettivo preciso di eliminare il presidente Volodymyr Zelensky e altre 22 cariche di alto profilo istituzionale e militare, rovesciando il governo attualmente in vigore, considerato, da Mosca, un esecutivo fantoccio manovrato dagli Stati Uniti e dall’Occidente in generale.
A lanciare l’allarme è il Times di Londra secondo il quale i miliziani sarebbero stati richiamati oltre un mese fa da una missione in Africa e spediti a Kiev in cambio di una ricca ricompensa una volta completata la missione. Altri mercenari, si stima oltre duemila, sono stati schierati nelle regioni ucraine separatiste di Donetsk e Luhansk, nel Donbass. Si tratta di paramilitari addestrati a uccidere “a prescindere“, senza alcuna regola. Un piccolo esercito privato, gestito da società private e pagato profumatamente dal committente di turno per portare a termine missioni specifiche. Dotati di tecnologie sofisticate, riescono a infiltrarsi nella quotidianità locale, camuffandosi tra i cittadini per poi entrare in azione quando il momento è propizio.
Un’operazione preparata da tempo, quando Vladimir Putin ammassava decine di migliaia di truppe al confine ma continuava a negare di voler invadere l’Ucraina. Sui mercenari del gruppo Wagner sono adesso attivi i radar degli 007 di Kiev che avrebbero ricevuto la notizia della loro presenza sabato 26 febbraio, poche ore prima dell’annuncio del coprifuoco totale di 36 ore, finito nella mattinata di lunedì. “Chi sarà trovato in strada, sarà trattato da nemico“, aveva avvisato il sindaco Vitalij Klitschko. Dalla Libia alla Siria, all’Africa subsahariana e al Venezuela, i mercenari di Wagner sono stati in questi anni una delle armi segrete del Cremlino per rovesciare o modificare le sorti dei conflitti strategici presenti in altri Paesi. Ma la Russia può contare anche sui ‘cacciatori di teste’ delle forze speciali cecene, anche loro in missione per arrivare al cuore di Kiev, la cui presenza in Ucraina è stata rivendicata dal braccio destro di Putin a Grozny, Ramzan Kadyrov.
Lo scorso dicembre 2021 il Consiglio Ue dei ministri degli Esteri ha adottato un pacchetto di misure restrittive nei confronti del Gruppo Wagner perché ritenuto responsabile di “attività sovversive” e “destabilizzanti”. Da canto suo, il Cremlino ha sempre negato qualunque legame i mercenari, sostenendo che agisce in qualità di milizia privata e non riceve istruzioni da Mosca.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Dagotraduzione dal Times il 28 febbraio 2022.
Secondo il Times, più di 400 mercenari russi stanno operando a Kiev con l'ordine del Cremlino di assassinare il presidente Zelensky e il suo governo e preparare il terreno affinché Mosca prenda il controllo.
Il gruppo Wagner, una milizia privata gestita da uno dei più stretti alleati del presidente Putin e che opera come un ramo a distanza dello stato, cinque settimane fa ha ingaggiato i mercenari dall'Africa in missione per decapitare il governo di Zelensky in cambio di un bel bonus finanziario.
Le informazioni sulla loro missione sono arrivate al governo ucraino sabato mattina e poche ore dopo Kiev ha dichiarato un coprifuoco "duro" di 36 ore per spazzare la città dai sabotatori russi, avvertendo i civili che sarebbero stati visti come agenti del Cremlino e avrebbero rischiato di essere "liquidati" se fossero stati trovati fuori.
Una fonte strettamente collegata alle attività del gruppo ha confermato che a gennaio erano arrivati in Ucraina tra i 2.000 e i 4.000 mercenari. Alcuni sono stati schierati nelle contese regioni orientali di Donetsk e Luhansk. Altri 400 sono entrati dalla Bielorussia e si sono diretti nella capitale.
Ai mercenari è stato detto che Putin vuole una breve pausa per mostrare che sta negoziando con Zelensky, ma ha assicurato loro che nessun accordo sarebbe stato raggiunto e che lo sforzo sarebbe stato semplicemente "fumo e specchi", secondo una fonte vicina ai membri anziani del Gruppo Wagner.
Zelensky ha accettato ieri di inviare una delegazione per incontrare una squadra russa al confine con la Bielorussia, ma ha espresso scetticismo sulla serietà di Mosca.
I mercenari sono in attesa di un segnale dal Cremlino e gli sono stati promessi ingenti bonus per le uccisioni nei prossimi giorni e un passaggio sicuro dall'Ucraina entro la fine della settimana. Oltre a Zelensky, la loro hit list contiene altre 23 figure, tra cui il primo ministro, l’ufficio del gabinetto, il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko e suo fratello Wladimir, entrambi popolari ex campioni di boxe che si sono uniti alla lotta militare contro gli invasori.
I mercenari si vantano di sapere esattamente dove si trovano il presidente e i suoi colleghi a Kiev e apparentemente sono in grado di rintracciarli tramite i loro telefoni cellulari. Dopo che Mosca ha invaso la scorsa settimana, Zelensky si è rivolto alla nazione, affermando che le forze speciali russe erano nella capitale alla ricerca di lui come "bersaglio n. 1". Quando l'America gli ha offerto la possibilità di fuggire, ha detto: «Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio».
Wagner ha anche preparato il terreno per un'invasione, aiutando a guidare le colonne russe a Kiev e localizzando e pianificando omicidi che avrebbero decapitato il governo ucraino.
Sebbene Wagner sia una compagnia militare privata, è stata strettamente associata ai progetti di Putin in tutto il mondo. È di proprietà di Yevgeny Prigozhin, un oligarca noto come lo chef di Putin. Hanno condotto operazioni segrete in Africa e Medio Oriente e nel 2014 sono stati anche responsabili di fomentare problemi nell'Ucraina orientale.
«Sono molto efficaci perché sono difficili da definire», ha detto il generale Sir Richard Barrons, ex comandante del Joint Forces Command. «Possono apparire dall'ombra, fare cose molto violente e poi scomparire di nuovo, senza che sia evidente chi fosse il responsabile. Non sono direttamente collegati al governo russo e quindi sono plausibilmente smentibili».
Sembrano anche essere più di fiducia per il Cremlino rispetto alle normali forze russe. Fonti hanno affermato di essere state informate sulla prevista invasione dell'Ucraina a dicembre, molto prima che l'esercito russo fosse informato. I mercenari affermano che c'erano preoccupazioni sul fatto che se i soldati russi lo avessero saputo avrebbero rifiutato gli ordini e che molti sarebbero stati giustiziati per averlo fatto.
Andrea Marinelli, Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 7 Luglio 2022.
Il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev ha confermato ieri che gli obiettivi di Mosca restano gli stessi del 24 febbraio: denazificare e demilitarizzare l'Ucraina. Questo significa che, dopo aver ridotto il raggio d'azione e gli obiettivi al settore orientale, sfiancando comunque i difensori, gli invasori potrebbero tornare ad attaccare il resto dell'Ucraina.
Gli ucraini si difendono come possono, provano a rallentare l'avanzata, cercano di renderla costosa per l'Armata. Intanto arretrano su posizioni più difendibili e provano a colpire da lontano, grazie ai sistemi a lunga gittata ottenuti dalla Nato, mentre preparano controffensive in particolare a sud, nella zona di Kherson.
Queste azioni clandestine sono una specialità della resistenza, che colpisce anche oltre confine grazie a una squadra d'élite per le operazioni speciali: insieme ai bombardamenti, negli ultimi mesi sono stati numerosi i casi di sabotaggi ed esplosioni sospette - raffinerie, depositi di carburante e munizioni, infrastrutture per la comunicazione - in territorio russo, dalla stessa Belgorod a Kursk, fino a Bryansk, che gli ucraini non hanno mai rivendicato apertamente sostenendo piuttosto che si tratti del «karma».
A portarli a termine è il battaglione Shaman, la 10ma divisione per le operazioni speciali dell'esercito ucraino, che in genere è destinata alle operazioni di intelligence e raid.
È composto da uomini fra i 18 e i 50 anni provenienti da ogni strato della società, c'è persino un ex viceministro, uniti dalla stessa motivazione. Possono farne parte soltanto soldati che godono di eccellenti condizioni fisiche, che hanno ricevuto un addestramento avanzato.
Nelle prime ore dell'operazione militare «speciale» di Putin, il battaglione era entrato in azione nella battaglia dell'aeroporto di Hostomel, dove erano sbarcate le truppe russe aviotrasportate che dovevano decapitare il governo ucraino, ma che invece erano finite in una trappola della resistenza. In seguito era stato inviato a Moshchun, a ovest di Kiev lungo il fiume Irpin, dove si era arrestata l'avanzata russa. In questa fase del conflitto, gli uomini di Shaman hanno ricevuto il compito di danneggiare le infrastrutture russe e hanno per questo effettuato diverse incursioni in piena notte, operazioni che restano però classificate.
I soldati arrivano in territorio russo a bordo di elicotteri che volano a bassissima quota per eludere le difese antiaeree - una tattica già vista a Mariupol per rifornire i soldati di Azov - e da lì si muovono via terra, piazzando esplosivi sugli obiettivi e tentando così di instillare un senso di insicurezza nell'avversario.
Il ruolo più importante lo hanno piloti degli elicotteri. «Ci aiutano a infiltrarci, e poi a esfiltrarci: pianificano ogni dettaglio», ha spiegato a The War Zone il comandante di Shaman. «Queste operazioni in territorio nemico sono le operazioni più interessanti», ha rivelato al Times di Londra «Adonis», pseudonimo usato da un soldato del battaglione che per la prima volta conferma i colpi sferrati dagli ucraini oltreconfine, ammettendo che Shaman è al momento a corto di risorse, ma non di uomini. «Il più delle volte», aggiunge, «i russi non riescono a credere che siamo riusciti a fargli visita».
Angelo Allegri per “il Giornale” il 7 Luglio 2022.
La guerra si fa sempre più dura e massacrante, le parti in causa si regolano di conseguenza. A farsi meno scrupoli è Mosca: secondo un'indagine del sito d'informazione russo Istories, guidato da uno tra i più noti giornalisti investigativi del Paese, Roman Anin, in almeno tre prigioni della zona di San Pietroburgo è stata avviata una campagna di reclutamento tra i detenuti che verrebbero avviati verso il fronte del Donbass.
Uomini di Wagner, la milizia paramilitare privata al servizio del Cremlino, guidata da Yevgheny Prigozhin, si sarebbero presentati, secondo le testimonianze di alcuni parenti dei detenuti, nelle carceri di Yablonevka, Fornosovo e Obukhovo.
Ai carcerati verrebbe proposto di prestare servizio per sei mesi in cambio di 200mila rubli, circa 3mila euro al cambio attuale, e (soprattutto) di una completa amnistia in grado di ripulire le fedine penali più complesse. Agli interessati Wagner offrirebbe di prolungare il contratto anche terminato il primo semestre di servizio. In prima battuta l'offerta sarebbe rivolta ai detenuti più giovani e a quelli con esperienza di servizio militare o addirittura di combattimento.
Anche se poi, secondo le testimonianze citate, i reclutatori avrebbero allargato la proposta praticamente a tutti. Non si sa quante siano state le adesioni: si parla di 200, anche se poi concretamente non sarebbero per ora più di 40 i prigionieri già in viaggio verso il fronte.
I reclutatori non hanno nascosto la pericolosità delle missioni a cui i detenuti mercenari di Wagner sarebbero destinati: secondo Istories in alcuni casi hanno detto che i caduti potrebbero essere circa il 20% degli arruolati con punte però anche molto più alte. In caso di morte alle famiglie verrebbero assicurati 5 milioni di rubli, poco più di 81mila euro.
Nei primi giorni di guerra anche il presidente ucraino Zelensky fece riferimento alla possibilità di liberare alcune categorie di detenuti per difendere il Paese. Nel caso russo tra le motivazioni patriottiche usate con i detenuti c'è anche l'esigenza di denazificare l'Ucraina.
Detto dagli uomini di Wagner suona ironica: il fondatore del gruppo Dmitri Utkin, ex tenente colonnello del Gru, è noto per le sue simpatie neonaziste: sul corpo ha almeno un paio di tatuaggi ispirati i simboli del Terzo Reich.
A corto di aguzzini. La Russia ha iniziato ad arruolare chiunque. L'Inkiesta il 13 Luglio 2022.
Il prolungarsi dell’aggressione all’Ucraina costringe il Cremlino a cercare nuovi militari in ogni angolo del Paese. Alcune fonti indipendenti rivelano che l’esercito sta offrendo accordi a detenuti, lavoratori dei cantieri navali, minatori e a tutte le persone alla periferia della nazione.
La Russia è a corto di uomini. Può sembrare assurdo per un Paese enorme, con quasi 150 milioni di abitanti, ma la guerra in Ucraina è già durata troppo a lungo rispetto ai piani iniziali del Cremlino e le cose si sono complicate più del previsto.
Da settimane si parla delle difficoltà nel ricalibrare tutto nell’ottica di un conflitto lungo, e tra le necessità che si stanno presentando – da una parte e dall’altra del fronte – c’è quella di arruolare nuove forze.
I programmi dell’esercito russo non possono sfornare nuove reclute da un giorno all’altro, così le carceri e le cooperative in tutto il Paese stanno reclutando volontari per combattere in Ucraina, come ha spiegato il Moscow Times la settimana scorsa.
«L’iniziativa sembra essere un tentativo dell’esercito russo di sostituire le sue truppe indebolite dopo un duro impegno di quattro mesi per appropriarsi dei territori nell’Ucraina meridionale e orientale. Il Gruppo Wagner, una compagnia militare privata collegata al Cremlino, avrebbe offerto ai prigionieri di San Pietroburgo e Nizhny Novgorod alti stipendi e una potenziale amnistia per sei mesi di servizio», si legge sulla testata indipendente, che cita come fonte la piattaforma iStories.
Ma non si tratterebbe di veri contratti. Invece di accordi scritti, ai detenuti il Cremlino promette circa 3.500 euro e l’amnistia, ammesso che tornino a casa vivi dopo sei mesi in Ucraina; alle loro famiglie vengono proposte grandi quantità di denaro – circa cinque milioni di rubli (90.500 dollari) – che verrebbero consegnati in caso di morte.
In una prigione di San Pietroburgo, scrive iStories, almeno 200 detenuti hanno mostrato interesse per l’offerta, ma solo 40 alla fine si sono arruolati fino a fine giugno.
Le carceri non sono l’unico hub di reclutamento. Un altro obiettivo sono i cantieri navali della compagnia statale United Shipbuilding Corporation a San Pietroburgo e in una miniera della Metalloinvest a Belgorod, proprio al confine con l’Ucraina – entrambe sottoposte a sanzioni occidentali, tra l’altro.
«Agli operai dei cantieri navali sono stati offerti contratti sotto l’ombrello del ministero della Difesa, con salari di 300mila rubli (oltre 5mila euro) mensili per andare a combattere. Ma nessuno avrebbe accettato l’offerta», ha raccontato a Moscow Times un operaio intervistato a giugno. Nelle miniere di Belgorod il reclutamento va avanti da mesi, anche se la Metalloinvest ha negato tutto.
In un articolo lungo pubblicato domenica scorsa, il New York Times parlava di «mobilitazione invisibile», descrivendo una lunga serie di operazioni non proprio canoniche con cui Mosca starebbe reclutando i prossimi soldati da inviare al fronte.
«Quattro veterani russi della guerra in Ucraina – ha raccontato il quotidiano americano nell’introduzione del suo articolo – hanno recentemente pubblicato brevi video online per lamentarsi di quello che hanno definito il loro trattamento squallido dopo essere tornati nella regione russa della Cecenia, dopo essere stati sei settimane sul campo di battaglia. Uno ha detto che non gli è stato dato un pagamento promesso di quasi duemila dollari. Un altro si è lamentato del fatto che un ospedale locale ha rifiutato di rimuovere le schegge rimaste nel suo corpo».
Le loro richieste di aiuto pubbliche hanno avuto eco in Russia, ma non del tipo che speravano. Un uomo vicino a Ramzan Kadyrov, l’autocrate sanguinario che guida la Cecenia, li ha bersagliati a lungo nelle tv cecene, li ha additati come ingrati e li ha costretti a ritrattare. «Sono stato pagato molto di più di quanto avevano promesso», ha detto un reduce dall’Ucraina che aveva giurato di essere stato truffato.
La rapidità con cui la leadership cecena – e ovviamente anche quella russa – si muove per ammutolire queste voci critiche dall’interno è un segnale del fatto che i funzionari russi vogliano eliminare qualsiasi critica sul servizio di arruolamento per l’Ucraina.
«Hanno bisogno di più soldati, disperatamente, e stanno già utilizzando quella che alcuni analisti chiamano “mobilitazione invisibile” per portare nuove reclute senza ricorrere a una leva nazionale che sarebbe politicamente rischiosa», scrive il New York Times. «Allora per colmare la carenza di personale militare, il Cremlino fa affidamento su una combinazione di minoranze etniche impoverite, ucraini provenienti dai territori separatisti, mercenari e unità militarizzate della Guardia Nazionale per combattere, e promette ingenti incentivi in denaro per chi scende in campo».
Per alcuni volontari che accettano di imbracciare le armi, gli stipendi possono oscillare tra i 2mila e i 6mila euro mensili, di gran lunga superiori allo stipendio medio che è circa di 700 euro. Ma per i mercenari, prima dell’invasione dell’Ucraina, questi accordi avrebbero fruttato ai soldati circa 200 euro al mese, forse poco di più.
Alcuni volontari sono emotivamente ispirati da un conflitto intriso dalla propaganda del Cremlino, altri invece sono semplicemente alla ricerca di soldi che altrimenti rischierebbero di non vedere mai, come nel caso dei lavoratori delle regioni industriali colpite dalla chiusura di fabbriche a causa delle sanzioni.
Non è un caso che il computo delle vittime tra i soldati russi conduca sempre più spesso verso le repubbliche più povere, popolate da minoranze etniche, come il Daghestan e la Buriazia (nella Siberia meridionale): il Cremlino riempie le prime file del suo esercito sempre più spesso con queste persone alla periferia della nazione.
«I coscritti di molte minoranze, in particolare, sono praticamente costretti a firmare contratti. I funzionari dell’esercito dicono loro che nella loro città natale non troverebbero lavoro, quindi è meglio rimanere nell’esercito per guadagnare soldi», ha detto al New York Times Vladimir Budaev, portavoce della Free Buryatia Foundation, un gruppo pacifista che dall’estero sostiene i Buriati, minoranza etnica della Buriazia, repubblica orientale al confine con la Mongolia.
Evitando una chiamata alle armi generalizzata, universale, rivolta a tutti i maschi adulti – ma concentrata solo su alcuni target di popolazione – il Cremlino può alimentare la narrazione della guerra come «operazione militare speciale» limitata nel tempo. In questo modo riduce al minimo i rischi di una reazione pubblica forte, come quelle che hanno minato dall’interno le precedenti campagne militari russe, come quella in Afghanistan e la prima guerra cecena.
VOLONTARI FILO UCRAINI.
Che cos’è il battaglione Mansur. Emanuel Pietrobon il 19 Ottobre 2022 su Inside Over.
In Ucraina è guerra mondiale. E lo è dal vicino eppure lontano 2014, l’anno in cui tutto ha avuto inizio: Euromaidan, la nascita della questione separatistica nel Donbas, l’occupazione della Crimea. L’anno in cui si è avverato il sogno recondito di Zbigniew Brzezinski, fare dell’Ucraina la leva per “espellere la Russia in Asia“, e i cui riverberi si sono protratti ed estesi sino a scatenare la guerra estesa del 2022.
Guerra mondiale, come nel Biafra dei tardi anni Sessanta e come nell’Afghanistan degli anni Ottanta. Perché in Ucraina, fianco a fianco a russi e ucraini, combattono persone di ogni nazionalità e fede. Cristiani e musulmani. Britannici e serbi. Tatari e polacchi. E tanti, tanti ceceni.
Una parte del popolo ceceno ha visto e vissuto l’Ucraina come una “terza guerra cecena“. Perciò, sin dal 2014, migliaia di persone, in larga parte reduci dei conflitti contro la Russia, si sono recate nelle trincee del Donbas. Una presenza, la loro, che non è passata inosservata al signore di Groznyj, Ramzan Kadyrov, che nel 2022, approfittando del caos generale, ha sguinzagliato i kadyroviti e dato vita ad una guerra nella guerra. Obiettivo: eliminare le ultime sacche di resistenza al progetto della “nuova Cecenia”, comandata dal teip Kadyrov e asservita a Mosca, prima che resuscitino gli spettri dello sceicco Mansur e dell’imam Šamil. Prima che il battaglione Mansur esporti la guerra dall’Ucraina alla Cecenia.
Le origini e le ombre
Il battaglione Mansur, il cui nome è un omaggio ad uno dei più grandi eroi nazionali della Cecenia, lo sceicco Mansur, è stato fondato all’indomani dello scoppio dei moti separatistici nelle regioni di Donetsk e Lugansk, nell’ottobre 2014, da un gruppo eterogeneo di persone: reduci delle due guerre cecene, oppositori della presidenza Kadyrov, semplici membri della folta diaspora cecena nel Vecchio Continente, ex combattenti del neonato battaglione Dudaev.
La testa pensante del battaglione si trova in Europa, negli uffici danesi dell’Organizzazione per il Caucaso libero – fondata nel 2006 –, mentre i suoi soldati hanno operato nei fronti caldi di Donetsk e Lugansk sin dall’apertura delle ostilità. Al comando di un veterano di entrambe le guerre cecene, Muslim Čeberloevskij, il battaglione Mansur è stato per un certo periodo inquadrato all’interno del Corpo volontario ucraino di Settore destro, dopo di che, con l’ascesa della presidenza Zelenskij, è entrato in un periodo di crisi.
Lo smantellamento del battaglione Mansur costituiva una delle richieste avanzate dal Cremlino ai tavoli di pace. E Volodymyr Zelenskij, allo scopo di rendere fruttuosi i negoziati, avrebbe inizialmente assecondato i voleri di Vladimir Putin (e Kadyrov). Prima lo smantellamento dell’arsenale degli uomini di Čeberloevskij, poi l’emissione di alcuni mandati di cattura – propedeutici all’estradizione in Russia. Ma la guerra del 2022 ha cambiato tutto, spronando Zelenskij a invertire la rotta, riconsegnando le armi al battaglione e dando carta bianca a Čeberloevskij.
In prima linea nella guerra totale
Alleato di ferro del battaglione Azov, col quale il gruppo dello sceicco Mansur ha combattuto fianco a fianco sin dal 2014, questo esercito di ceceni ha dimenticato in fretta le persecuzioni soft della presidenza Zelenskij e accettato volentieri di difendere nuovamente la causa ucraina. Perché nella Rus’ di Kiev è dove si sta consumando la terza guerra cecena, a detta dei tenaci soldati del battaglione Mansur, e dove si sta scrivendo l’ultimo episodio di una faida, quella con la Russia, in piedi dal Settecento.
Rinato a una nuova ma vecchia vita, sempre sotto l’egida del comandante Čeberloevskij, il battaglione Mansur ha partecipato alla battaglia di Kiev, ha contrastato l’assedio di Mariupol e ha silenziosamente combattuto, tra periferie e foreste, contro la sua nemesi: i kadyroviti. I diecimila di Kadyrov contro i nessuno di Čeberloevskij, che su numeri e demografia ha sempre mantenuto il più stretto riserbo. Una guerra nella guerra, quella tra i ceceni, di cui poco e nulla è dato sapere. A parte che esiste, dal 2014, e che avviene nel dietro le quinte del palcoscenico.
Le (grandi) ambizioni del battaglione
Sopravvissuto alla tentata resa dei conti lanciata da Kadyrov, che per la prima volta ha potuto inviare i propri cacciatori di teste in Ucraina, il battaglione Mansur ha annunciato attraverso i propri canali, nel mese di luglio, l’intenzione di voler estendere le proprie operazioni in madrepatria. In altre parole: insurgenza. Magari, se possibile, come quella dell’Emirato del Caucaso nei primi anni Duemila e con il sostegno di altri gruppi paramilitari. Un ritorno al passato che ostacolerebbe sia l’agenda estera del Cremlino nel suo complesso, obbligando i decisori a prestare attenzione agli accadimenti domestici, sia la stabilità del Caucaso settentrionale, storicamente dipesa dalla situazione nella centrale Cecenia-Inguscezia.
La chiamata alle armi del battaglione, avvezzo a spaventevoli grida di battaglia proprio come lo sceicco di cui porta il nome, non ha tardato a dispiegare degli effetti. Il più importante dei quali è stato, senza dubbio, il risorgere di un sotterraneo movimento di supporto alla defunta repubblica dell’Ichkeria, l’anti-Cecenia al centro delle due guerre, emblematizzato dal fiorire di discussioni politiche sul suo status – tra Ucraina ed Europa orientale – e dalla comparsa sulla scena di gruppi guerriglieri, come “i figli dell’Ichkeria”, che promettono di destabilizzare l’ordine kadyroviano.
Se le minacce del battaglione Mansur siano precorritrici di una nuova primavera di combattimenti nel Caucaso settentrionale, o un intelligente getto di fumo negli occhi – indebolire la morsa di Mosca su Kiev costringendola ad un’attenzione dispersiva –, lo dirà soltanto la storia. Certo è che hanno sortito uno degli effetti sperati: intimorire Kadyrov, spronandolo a richiamare i suoi fedelissimi in patria. Nell’attesa di combattere una guerra, forse, alle porte.
“Minacce e abusi”, scandalo nella legione straniera che combatte per Kiev. Roberto Vivaldelli il 28 Agosto 2022 su Inside Over.
Era il 27 febbraio scorso quando, su richiesta diretta del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, veniva creata la Legione internazionale di difesa territoriale dell’Ucraina, unità militare inquadrata nell’esercito governativo di Kiev e formata dai volontari stranieri giunti nel Paese per combattere contro l’esercito russo, che secondo le stime governative sarebbero circa 20 mila. Nel giugno scorso, due cittadini statunitensi che combattevano per l’Ucraina sono stati catturati dalle forze russe e ora devono affrontare un futuro incerto. Ciò è avvenuto poche settimane dopo che due britannici e un marocchino sono stati catturati e successivamente condannati a morte. Ora la Legione internazionale voluta da Zelensky torna a far parlare di sé con un’inchiesta pubblicata dal Kyiv Independent, nella quale emergono una serie di gravi abusi commessi da parte della leadership della Legione stessa.
Minacce e abusi, la Legione internazionale nella bufera
La Legione Internazionale è composta da due unità. Le forze di terra ucraine ne supervisionano la prima. L’altra è coordinata dalla direzione dell’intelligence del ministero della Difesa, nota con l’acronimo Gur: l’inchiesta del quotidiano riguarda quest’ultima, in particolare. Secondo i membri dell’unità della Legione gestita dall’intelligence, i loro comandanti riferiscono direttamente al capo della Gur, Kyrylo Budanov, che Zelensky ha nominato a capo del comitato dell’intelligence nell’ufficio del presidente a fine luglio: questo corpo, che conta circa 500 unità, è gestito dal maggiore Vadym Popyk.
L’unità viene gestita da un gruppo di poche persone: il braccio destro di Popyk, il maggiore Taras Vashuk (indicato dai soldati come “giovane Taras”), lo zio di Vashuk e un ufficiale dei servizi segreti; e Sasha Kuchynsky. Il giovane Taras e lo zio, e Sasha gestiscono le operazioni dell’unità. Mandano soldati in missione e coordinano l’ala dell’intelligence della Legione. Sasha è anche responsabile della logistica e delle forniture. I legionari accusano il trio di vari illeciti. Per quanto concerne i due Taras, le maggiori denunce riguardano l’invio di soldati in missioni suicide.
“Soldati mandati a morire”
Un soldato americano intervistato dal Kyiv Independent ha descritto un paio di missioni che hanno avuto luogo vicino alla città meridionale di Mykolaiv, uno dei punti caldi della guerra. Secondo quanto testimoniato dal soldato americano, le truppe russe hanno scoperto la posizione della loro squadra e hanno iniziato a bombardarla pesantemente. Il resto delle truppe si è ritirato dalla posizione secondaria dietro di loro, lasciando la squadra a mantenere la prima linea da sola, senza rinforzi. “Siamo stati letteralmente lasciati (dietro) e non volevano evacuare”, ha detto il soldato. Il suo commilitone, Scott Sibley, è stato ucciso , mentre altri tre sono rimasti gravemente feriti in quella missione.
Contro il parere dei soldati stranieri, Tara ha inviato un altro gruppo nello stesso posto. L’attacco – previsto – dei russi ha provocato quattro morti, feriti e un soldato è stato fatto prigioniero: si tratta di Andrew Hill, che ora sarà processato dai russi a Donetsk. Le accuse dei soldati stranieri contro Sasha Kuchynsky sono addirittura più ampie. Oltre a mandare i combattenti a morire, Kuchynsky li avrebbe costretti ad aiutarlo a saccheggiare i negozi. I combattenti hanno detto al Kyiv Independent che è anche un forte bevitore che abusa dei suoi subordinati. Secondo un soldato ebreo americano, Kuchynsky sarebbe anche antisemita. Secondo un altro legionario americano, Kuchynsky avrebbe anche molestato le donne mediche nella loro unità, usando con loro un linguaggio sessualmente allusivo. Secondo il soldato americano, i medici della legione si sono lamentati, ma nessuno ha fatto nulla al riguardo per risolvere la situazione. Secondo le fonti del Kyiv Independent all’interno della legione, Sasha Kuchynsky non è il suo vero nome. Si tratterebbe di Piotr Kapuscinski, un ex membro di un’organizzazione criminale polacca, fuggito in Ucraina dopo diversi problemi con la legge. In Polonia, Kapuscinski è ricercato per frode e rischia fino a otto anni di carcere.
La legione internazionale? Un flop
L’ex Marine Andrew Milburn, editorialista per la rivista online Task and Purpose, è andato in Ucraina, descrivendo in maniera impietosa lo stato di preparazione della Legione internazionale. Dopo l’arrivo a Leopoli, scrive Milburn, le reclute vengono inviate in un campo vicino al confine polacco per la selezione e l’addestramento. “La selezione apparentemente non segue alcun processo distinguibile se non quello di separare coloro che non hanno esperienza militare da quelli che ne hanno. I primi sono sottoposti a un corso di addestramento di 4 settimane: ai secondi viene data un’arma e inviati al fronte in unità ad hoc con un ufficiale ucraino”. In ogni caso, sottolinea, “il processo presenta alcuni difetti fatali: nessuno diventa un soldato competente in sole 4 settimane e anche i soldati esperti richiedono un addestramento specifico. Ogni guerra ha le sue dinamiche che possono essere ugualmente letali per veterani e principianti se non adeguatamente comprese”. In conclusione, la creazione della Legione internazionale è stata tutto fuorché un’operazione di successo, anche dal punto di vista strategico-militare.
Mozart vs Wagner. Il gruppo di ex militari occidentali che aiuta gli ucraini a difendersi dai russi. Benedetta Barone su L'Inkiesta il 19 Agosto 2022
Sono una trentina, giovani e quasi tutti di origine anglosassone. Si muovono allo scopo di fornire una preparazione professionale a civili e soldati, oltre che a soccorrerli con acqua, cibo e aiuti medici. E la loro vera preoccupazione è di fare troppo poco
Le differenze tra Mozart e Wagner sono talmente tante che sarebbe difficile elencarle tutte. Il primo è nato a Vienna nel Settecento, il secondo era tedesco ed è vissuto nel tardo Ottocento. Mozart disponeva di un‘orchestra piccola, da camera. L‘orchestra di Wagner era sontuosa, poderosa, composta di elementi numerosissimi. Wagner godette subito di un successo incondizionato, tanto che gli dedicarono un intero festival nella città di Bayreuth. A Mozart venne riconosciuto lo status di genio, ma in maniera minore, più lenta, forse meno grandiosa, soprattutto e in parte perché la sua musica restò sempre, essenzialmente, non ideologica. Wagner, come sappiamo, fu un vero e proprio punto di riferimento per il movimento nazional-socialista tedesco.
Oggi, in questo tempo confuso, disordinato, informe, Wagner è il nome di una formazione di mercenari russi alle dipendenze di Vladimir Putin, e diventato oggi tristemente celebre per il ruolo giocato nella guerra in Ucraina, soprattutto nella regione separatista del Donbass (ma agiscono anche in Africa, dove vantano una presenza sempre più radicata). Alcuni sostengono una dichiarata adesione al nazismo, o meglio, a quello che il fondatore Utkin definisce “nazismo esoterico”.
Dall‘altra parte, invece, è sorto il gruppo Mozart. Un‘associazione privata americana, quasi segreta, a sostegno degli ucraini. La sua stessa natura, infatti, ricorda l‘assetto dei complessi del musicista di Salisburgo: esigua, ermetica, sapiente.
È composta da non più di trenta uomini, quasi tutti di origine anglosassone, di età compresa tra i trenta e i quaranta, che non intendono partecipare in alcun modo azioni militari. I loro obiettivi sono principalmente umanitari. Intervengono nella formazione degli ucraini, tentano di insegnare loro a difendersi, ma senza iniziative dirette. Non vogliono e non devono prendere parte ai combattimenti. Sono infatti reduci di guerra, esponenti di truppe di alto lignaggio. Il fondatore, il capitano Andy Milburn, è un colonnello dei marines ora in pensione dopo trentun anni di servizio. «Se uno degli uomini viene coinvolto all‘interno di scontri deve lasciare Mozart», ha dichiarato a Le Monde, specificando che molti di loro non portano con sé neanche un‘arma.
Molti degli ucraini che resistono all‘offensiva russa sono spesso sprovvisti di un addestramento, risultano inesperti e in difficoltà. La maggior parte di loro sono volontari e non si sono mai trovati nella posizione di dover reggere un mitra. Spesso tra le reclute compare qualche donna. A Bakhmout, nell‘Ucraina orientale, i soldati del 72esimo reggimento sono spossati e non hanno più di vent‘anni. Ecco che allora i componenti del gruppo Mozart si avvicinano e domandano se sono interessati a ricevere un periodo di vera formazione militare, gratuita naturalmente, che di solito ha una durata prevista di dieci giorni, e si focalizza sui rudimenti classici del combattimento: il maneggio delle armi, e le tattiche sul campo. Ci si iscrive in modo diretto, senza cioè passare per il ministero della Difesa ucraino, e in generale ogni sessione vede radunate circa 40 persone (dovrebbero essere almeno il doppio, ma è difficile per gli ucraini lasciare anche solo per un breve periodo il fronte). E negli ultimi quattro mesi sono stati formati più di 2.500 soldati ucraini.
Nessuno degli affiliati al gruppo Mozart è disposto a svelare la sua identità. Così come anonimi sono i donatori che, attraverso internet, finanziano le loro attività. L‘obiettivo che li anima è soltanto uno: sconfiggere, abbattere un nemico comune. Ma occorre farlo con estrema prudenza, anche per non dare appoggio alla propaganda del Cremlino, che sostiene che siano presenti sul campo dei combattenti della Nato.
Non è così: Washington dall’inizio del conflitto si è premurata di fare evacuare tutti i consiglieri militari americani presenti nel Paese. Il suo sostegno è logistico e in armamenti, ma non in soldati. Alla Casa Bianca preme scongiurare la minaccia di uno scontro diretto con la Russia. Anche per questo il Pentagono rifiuta e nega qualsiasi tipo di connessione con il gruppo Mozart (così come fa con le altre società militari private nel mondo, sempre più numerose nei Paesi a rischio) e, conferma Milburn, «Non fa altro che dire la verità».
Oltre alla formazione, da fine febbraio si sposta di regione in regione, di città in città, per provvedere ad acqua, cibo, rifornimenti e vestiti. Non temono di fare troppo. Il rischio vero, secondo loro, non è un progressivo coinvolgimento nel conflitto, che porterebbe a uno scontro sempre più alto e incontrollabile. Al contrario, il loro timore è quello di fare troppo poco. Un domani, si dicono, «la gente si chiederà solo se fosse davvero necessaria tutta questa prudenza, e se non si potesse fare di più».
Mirko Molteni per “Libero quotidiano” il 10 agosto 2022.
Nella guerra in Ucraina la partecipazione di militari russi si manifesta in modi atipici. Da un lato abbiamo dissidenti anti-putiniani, si stima fra qualche centinaio e un migliaio, che hanno formato un reparto che combatte al fianco degli ucraini. È la Legione per la Libertà della Russia, che comprende sia prigionieri di guerra e disertori passati a Kiev, sia cittadini russi, magari con parenti ucraini, accorsi sotto le bandiere giallo-blu. Dall'altro lato, l'esercito russo starebbe schierando aliquote crescenti di volontari reclutati dai governi regionali della federazione da impiegare in alternativa al personale di leva.
La Legione per la Libertà della Russia, che ha una bandiera bianco-blu, è stata formata dallo scorso marzo inizialmente con 100 russi disertori e si sarebbe accresciuta, sebbene sulla sua reale consistenza Kiev mantenga il segreto. Per l'esattezza, il 10 marzo venne aperto un canale Telegram a nome della legione, poi il 30 marzo l'agenzia di stampa ucraina Unian specificò che «l'unità è stata creata a partire da una compagnia dell'esercito russo che si è consegnata a noi».
La presentazione ufficiale avvenne con una conferenza stampa del 5 aprile, tenendo segreti i nomi «per motivi di sicurezza». Da allora fioriscono ipotesi sulla sua consistenza, che resta top secret. In giugno il consigliere presidenziale ucraino Oleksiy Arestovych aveva dichiarato che era composta da «poche centinaia di membri». In luglio, fonti della stessa legione asserivano che la sua forza era pari a «due battaglioni pienamente equipaggiati», cioè circa 1000 uomini.
I canali social della Legione vanterebbero 94.000 contatti e uno dei militi, noto col nome di battaglia Arni, ha dichiarato in questi giorni al Moscow Times, mostrandosi col volto mascherato, che «riceviamo ogni giorno 300 richieste di adesione, ma non significa che vengano tutte accettate». Arni ha spiegato la sua scelta: «Ho pensato sarebbe stato meglio morire con la coscienza pulita, anziché morire come assassino e occupante. Così ho cambiato fronte».
Sarebbe invece arrivato in Ucraina direttamente dalla Russia un altro "legionario" anti-Putin, nome di battaglia Professor, che ha raccontato: «Vengo dalla Russia Centrale e ho iniziato a sostenere l'opposizione a Putin dopo l'arresto nel 2019 dell'attivista Yegor Zhukov.Quando l'Ucraina è stata assalita nel febbraio 2022 mi sono vergognato e non ho potuto starmene in disparte».
A tutt' oggi, l'unico membro della Legione per la Libertà della Russia di cui sia nota l'identità è Igor Volobuyev, ex-funzionario della potente Gazprombank, nativo dell'Ucraina, unitosi al reparto dallo scorso 11 giugno perché, dice, «voglio una Russia libera e democratica». Quanto alla efficacia militare del reparto, l'esperto ucraino Illia Ponomarenko, del Kyiv Independent, è cauto: «Potrebbero esserci vari combattenti russi, ma su come sia organizzata la legione è una domanda aperta».
Intanto, dalla Russia - che ha molti problemi a dispiegare sul terreno forze adeguate al doppio compito di combattere e tenere i territori conquistati- si apprende, dal giornale Kommersant, che sta procedendo il piano del Cremlino di reclutare soldati volontari a contratto che affianchino e rimpiazzino il più possibile quelli di leva nel conflitto in Ucraina, essendo più spendibili politicamente.
Si tratta di un piano di reclutamento regionale portato avanti dai governatori locali della Federazione Russa e Mosca ha come obbiettivo finale raggruppare almeno un battaglione di 400 soldati, in media, per ognuna delle 85 regioni dell'enorme paese, per un totale stimato in 34.000 uomini. «Finora- scrive Kommersant - sono stati reclutati 40 reparti di volontari, di consistenza variabile fra 90 e 500 residenti, in 19 regioni russe, che vanno da San Pietroburgo a Primorsky, nel lontano oriente».
Serviranno al fronte per stipendi mensili compresi fra 130.000 e 300.000 rubli, cioè fra 2100 e 5000 dollari. Molti di essi proverrebbero dalle regioni più povere del paese, specie dalle lande della Siberia, e costituirebbero per il Cremlino una valida alternativa alla proclamazione di una «mobilitazione generale» che Putin intenderebbe eventualmente riservare solo a potenziali rischi di scontri diretti con la Nato.
Mercernari o combattenti per la libertà? Ecco chi sono i «legionari internazionali» di Zelensky. Zelensky ha creato una Legione Internazionale per la Difesa territoriale dell’Ucraina, composta da volontari stranieri. A Kyiv ho incontrato quelli che hanno combattuto al fronte. MATTEO PUGLIESE su Il Domani il 19 luglio 2022.
La Legione internazionale è ancora in evoluzione, ma dopo cinque mesi si è formato uno zoccolo duro di veterani che hanno contribuito a difendere Severodonetsk e Kharkiv, pur subendo perdite pesantissime, mi è stato riferito.
Ho visto le foto di due combattenti brasiliani, Talitha do Valle e Douglas Burrigo, morti carbonizzati nell’incendio del loro bunker colpito dai russi, e come loro sono tanti gli stranieri caduti nei mesi scorsi.
Il punto di svolta nel reclutamento di volontari è arrivato lo scorso 13 marzo, con il bombardamento della base militare di Yavoriv, vicino al confine polacco.
Emiliano Bernardini per "il Messaggero" il 9 aprile 2022.
«Vuoi andare a combattere in Ucraina? L'Italia lo vieta ma...». Lo spiraglio aperto lo lascia una delle funzionarie dell'ambasciata ucraina a Roma. Non può dire troppo di più perché il palazzetto che si trova in via Guido d'Arezzo è presidiato da due militari italiani che guardano e ascoltano tutto. Impossibile entrare, lo stesso personale ucraino non si fida.
Sul citofono ci sono due pulsanti: uno in italiano e l'altro in caratteri cirillici. Suono mentre c'è un viavai di persone. «Italiyska», dicono tra loro. Subito dopo esce un militare dell'esercito ucraino che vuole sapere cosa vogliamo.
Non parla italiano ma non ci toglie gli occhi di dosso. Scruta ogni movimento e si fa tradurre tutto dalla signora che ci dà indicazioni. «Vorrei sapere come entrare a far parte della Legione Internazionale dell'Ucraina». «Per gli italiani è vietato», risponde subito la ragazza che si è fermata a parlare con noi sull'uscio. Poi, dietro le nostre insistenze, si sbottona un po': «È vietato ma...».
Dietro quel ma ci sono un mondo di possibilità. Il primo approccio è molto deciso: «Gli italiani non si possono arruolare, la legge italiana lo vieta». Ci giriamo un po' intorno, cercando un pertugio. «Ma un modo per andare ci sarà?».
«Beh...se vuole...». A quel punto parla più piano si guarda un po' intorno e ci apre una strada per andare a combattere in Ucraina: «Dovrebbe organizzarsi da solo, senza vie ufficiali. Cioè dovrebbe raggiungere da solo l'Ucraina. A quel punto, una volta arrivato in una delle città più grandi, c'è la possibilità di arruolarsi come soldato volontario».
Tra l'altro le selezioni di volontari pare non siano così accurate. Dunque, aggirare i divieti, è possibile. Nessuno lo mette nero su bianco ma basta toccare i tasti giusti per sentirsi dire «non si può fare ma se lei lo fa di sua iniziativa...». Tradotto non la fermerà nessuno.
IL SITO PER ARRUOLARSI Eppure, prima del piccolo incidente con la Farnesina, il sito fightforua, messo online dal Ministero della Difesa ucraino, che dà indicazioni su cosa debbano fare gli stranieri che vogliono arruolarsi nella Legione di difesa ucraina, dava libero accesso anche agli italiani. Ora cliccandoci sopra l'Italia è sparita dalla lista dei paesi, ma il vademecum è ancora lì, utilissimo per chi decide di effettuare il viaggio fai da te.
Il primo step prevede di «rivolgersi all'ambasciata dell'Ucraina del proprio paese, puoi seguire tre strade: andare in ambasciata; chiamare; scrivere una mail». Il secondo riguarda l'esperienza in campo militare o in agenzie di sicurezza: «I documenti e il tipo di equipaggiamento di cui hai bisogno. Carta d'identità o passaporto; documenti che attestino lo svolgimento del servizio militare o attività in agenzie di sicurezza e la partecipazione in operazioni militari».
Il terzo passo prevede il colloquio in ambasciata con il responsabile della Difesa e l'avvio delle procedure per ottenere il visto con il console. Il punto quattro riguarda la domanda di ammissione: «È possibile scrivere una domanda di ammissione alla Difesa territoriale delle forze armate dell'Ucraina per il servizio militare con contratto su base volontaria».
In sostanza, il candidato viene informato che non dovrà sostenere spese né per il vitto né per l'alloggio una volta al fronte. Viene poi consigliato al volontario - se è nelle sue possibilità - di portare con sé abbigliamento tecnico-militare come elmetto e giubbotto antiproiettile. L'indicazione più importante è alla fine dove si specifica che il raduno avviene a Leopoli, a 500 chilometri da Kiev, al confine con la Polonia.
Il suggerimento, soprattutto per chi viene da Roma, è di percorrere la direttrice che attraversa lo stato polacco. Una volta a Leopoli, i volontari potranno beneficiare di vitto e alloggio pagati. Sarebbe previsto anche un rimborso spese. Ma è bene non dirlo davanti ai soldati italiani che ascoltano fuori dall'ambasciata.
Guerra in Ucraina, c’è un battaglione di bielorussi dissidenti che combatte con Kiev e contro Putin. Riparati in Polonia per la repressione del dittatore Lukashenko, si uniscono ai soldati ucraini perché “la loro lotta di liberazione dal Cremlino è la nostra”. Li abbiamo incontrati. Chiara Sgreccia su L'Espresso il 6 aprile 2022.
Andrej, 40 anni, di Minsk. Dietro di lui la bandiera della Bielorussia assieme a quella dell'Ucraina.
Bielorussi per l’Ucraina. Il pensiero unico di Minsk, interpretato dalle posizioni pro Putin del presidente Alexander Lukashenko, ha delle crepe. Se aumenta il timore di un possibile ingresso della Bielorussia nella guerra, a sostegno di Vladimir Putin, gli oppositori al regime dell’ultimo dittatore d’Europa si organizzano per andare a combattere nelle fila dell’esercito ucraino. Un modo per resistere a quella che chiamano «russificazione», spiegano.
Fra.Sem. per “la Stampa” il 22 marzo 2022.
«Mi casa es tu casa». Il benvenuto viene ripetuto come un mantra ogni volta che qualcuno varca la soglia dell'appartamento a Kiev. Una casa come tante, in un palazzo come tanti, se non fosse che, una volta dentro, appare chiaro che quello in corso non è un ritrovo ludico. Su una parete campeggia un cartello con scritto «Kiev capital of freedom» (Kiev è la capitale della libertà), accanto ragazzi e uomini che provengono dalle aree più disparate del Pianeta.
Ci sono anche alcune donne, fanno tutti parte dei volontari stranieri che sposano la causa del popolo ucraino. Il viaggio con i «foreign fighters» al fianco di Kiev parte da un'associazione di volontariato dove si raccolgono generi di prima necessità per inviarli al fronte, a sostegno delle truppe che combattono contro i russi.
«Carichiamo il van e passiamo a prendere alcuni amici», dice Yuri, un ucraino dal fisico asciutto e la barba lunga, veste di nero, ha sempre il Kalashnikov al collo. Una volta riempito il furgoncino di conserve, frutta e acqua si fa rotta verso «il covo». «Mi casa es tu casa», ripete un omone dal marcato accento americano che indica sul tavolo della cucina caffè, tè e biscotti: «servitevi». Indossa una giacca con l'aquila dell'Air Force e le spalline coi gradi di ufficiale, è lui che coordina i volontari in entrata e in uscita, ovvero quelli che sono appena arrivati e quelli diretti al fronte. Viene chiamato «il Texano».
Accanto a lui c'è Lane, 26 enne del Missouri ma residente a San Diego con un passato nella Us Navy. È partito per combattere, nella fase di addestramento soprattutto logistica. Così come James, cadenza british, di Leeds, tifoso di calcio e della birra, con un'esperienza nell'Esercito di Sua Maestà.
Non di solo occidente si nutrono i volontari di Kiev: Chintan è indiano del Punjab, una passione per la storia italiana ed esperienza da paramedico, ha sposato la causa ucraina subito: «Non ho avuto dubbi, voglio andare a combattere». Ci sono anche un ragazzo asiatico, uno svedese, alcuni attivisti dell'Europa orientale e - ci raccontano - un italiano. Il nome non lo sanno, ma è una presenza importante tra le trincee a Nord di Kiev, si tratta di uno molto preparato, tra le sue esperienze militari c'è anche la legione straniera francese.
La multinazionale dei volontari, in gran parte ex soldati, conta anche personale sanitario e specialisti di vario genere, come gli informatici, che vengono inquadrati nel gruppo fondato dal Texano e chiamato, non a caso, «Wild Goose» (ispirato al film «I 4 dell'Oca Selvaggia», storia di quattro mercenari assoldati per liberare il presidente di uno stato africano, prigioniero dei golpisti). L'obiettivo è «aiutare gli ucraini a difendere la libertà». A tenere i rapporti con «Wild Goose» è il deputato Sviatoslav Yurash, eletto a 23 anni, è il più giovane membro del parlamento di Kiev.
«Organizzo missioni portando aiuti alla popolazione e ai soldati nelle aree sotto attacco russo - spiega con Ak-47 e caricatori a tracolla -. Con me ci sono i volontari stranieri». Il deputato-combattente, eletto nel partito del presidente Volodymyr Zelenskyy, sta inoltre lavorando a un provvedimento per regolarizzare i volontari stranieri che sposano la causa di Kiev. Yurash è il figlio di Andriy Vasylyovych Yurash, l'ambasciatore presso la Santa Sede: «Aggiorna nel dettaglio il Pontefice su tutto ciò che sta accadendo qui».
Con la colonna di volontari arriviamo alle porte di Liutizh, a Nord di Kiev dove l'artiglieria martella la linea del fronte. Ripariamo dietro uno stabilimento che fa da scudo «nel caso di lancio di razzi», spiegano i militari ucraini al seguito. Oggi non è un buon giorno per arrivare sulla prima linea, «è questione di tempo, ma non abbiamo scelta se non combattere o soccomberemo», dice Yurash. Lo scambio di fuoco accompagna il crepuscolo, le oche selvagge fanno ritorno al covo, spiccheranno il volo di nuovo domani, diretti, questa volta, sulla prima linea.
Marta Serafini per il “Corriere della Sera” il 21 marzo 2022.
«Vorrei chiarirlo. Non siamo foreign fighters. Quell'espressione richiama alla memoria Isis. La legione internazionale ucraina è parte dell'esercito ufficiale di Kiev. Non siamo una milizia. Siamo un reparto ufficiale, un'unità di combattimento. Su entrambi i fronti esistono gruppi che non sono integrati nei ranghi: non è il nostro caso».
Damien Magrou, caporale dell'esercito ucraino, sulla trentina, gira per le strade di Leopoli in divisa. Inglese perfetto, volto rassicurante, è l'ufficiale di collegamento che si occupa dei volontari stranieri arruolati per combattere a fianco delle forze di Kiev. Seduto su una panchina davanti alla Chiesa di San Pietro e Paolo, la stessa dove ogni giorno si tengono i funerali dei militari uccisi al fronte, spiega qual è il suo lavoro mentre decine di stranieri in abiti militari si aggirano nei paraggi. Pochi giorni dopo l'inizio dell'invasione il presidente Volodymyr Zelensky ha rivolto un appello chiamando volontari a combattere dall'estero. Si è parlato nei giorni scorsi di 20 mila uomini.
È un dato corretto?
«Temo di non poter dare una cifra esatta per motivi di sicurezza. Posso dire che sono molti. E posso confermare che ne arrivano altri ogni giorno».
Da dove vengono?
«L'ultima volta che ho controllato due giorni fa avevamo 52 nazionalità, ne sono arrivati anche dalla Corea del Sud. I più numerosi sono i britannici e gli statunitensi. Ma arrivano anche dagli Stati baltici e dall'Europa del Nord: molti in proporzione, considerata la popolazione totale. E tanti dal Canada».
E dall'Italia?
«Abbiamo alcuni italiani. Non ho in mente l'intero elenco. Ma non stiamo parlando di uno dei gruppi più grandi. Il più numeroso dall'Europa, dopo i britannici, è composto dai francesi, dai tedeschi e dai portoghesi».
Qual è l'età media dei legionari?
«Generalmente sono giovani. La maggioranza ha tra i 25 e i 40 anni. Ma accettiamo anche più anziani tra i 60 e gli 80 anni. Direi che copriamo l'intera fascia adulta».
Ci sono donne?
«Sì, ne abbiamo alcune. L'ultima volta che ho controllato erano il 3 per cento».
Cosa fate di queste persone?
«Il mio ruolo è prendermi cura di loro. Quindi la logistica, organizzare i trasferimenti dalla Polonia, dove arrivano quasi tutti. Poi curo la parte di fundraising. Ma anche la comunicazione su social media e stampa».
Che tipo di compiti hanno i legionari? Ci sono differenze tra uomini e donne?
«Parto da me. Non ho esperienze né in campo umanitario né militare, ma sono entrato nella legione in una fase iniziale. Ora cerchiamo solo profili che abbiano già un addestramento militare, che siano stati sul campo di battaglia, che abbiano già servito in zone di guerra: vengono assegnati al fronte, integrati con i comandi locali e impiegati a seconda delle necessità. Non ci serve chi non ha esperienza: non facciamo molto addestramento. Poi ci sono profili come il mio, che agiscono dietro le quinte per supportare. Sulle donne non ci sono differenze formali o di principio. Molte di loro hanno un addestramento medico e come tali operano».
Cosa è successo a Yavoriv, la base colpita dai russi. Davvero come sostiene Mosca c'era personale straniero. O mercenari come li chiama Mosca?
«Nego categoricamente che ci siano stati legionari morti. C'è molta disinformazione. Bisogna fare doppi e tripli check».
Lo stesso anche nella base di Zytomyr dove oggi (ieri per chi legge, ndr ) i russi dicono di aver ucciso altri stranieri?
«Non ho informazioni su questo. Io non posso confermare o smentire che a Yavoriv ci fosse personale straniero, quello che posso dire è che nessuno straniero è morto».
È originario dell'Ucraina?
«No, no. La legione straniera ucraina è composta solo da cittadini che provengono dall'estero. Ci sono alcuni ucraini come ufficiali, ma il resto no. Io sono nato in Francia, a Lione, ma sono naturalizzato norvegese».
Qual è la sua professione nella vita di tutti giorni? Diceva prima di essere avvocato
«Sì, lavoro per una grossa società ucraina. Ho vissuto a Kiev negli ultimi due anni. La decisione di unirmi alla Legione è stata personale. Il mio appartamento, i miei amici, tutta la mia vita è a Kiev. Per questo ho deciso di combattere».
Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 14 marzo 2022.
Per tenere viva la lotta anti-russa, gli Stati Uniti e altri 30 Paesi inviano materiale bellico in Ucraina con un grande sforzo logistico. I resistenti hanno un punto d'appoggio cruciale a Rzeszow Jasionka, base in Polonia, diventato l'hub, il punto d'arrivo per decine di cargo. Altri potrebbero trovarsi in Romania. Una retrovia che preoccupa Mosca: per questo ha sferrato un attacco contro il centro per il training a Yavoriv, vicino al confine polacco. Un segnale atteso, e non sorprenderebbe qualche sabotaggio da parte dei russi.
I carichi sono scortati fino al territorio ucraino, quindi sono suddivisi in modo da raggiungere il maggior numero di unità possibile ma anche per sottrarli alla caccia lanciata da Mosca. Esiste un corridoio settentrionale e uno più a sud: camion, veicoli camuffati, normali vetture, treno ove è possibile fanno parte della filiera che vede anche il coinvolgimento di civili. Molti che vivono all'estero acquistano online o attraverso intermediari. Questa grande macchina non nasce all'improvviso: Kiev sta probabilmente attuando il Resistance Operating Concept, una «cornice» creata con l'aiuto del Pentagono e della Nato fin dal 2018.
Tre i pilastri: 1) Coordinamento di civili, reparti regolari, riservisti. 2) Tattica che include guerriglia, disobbedienza civile, metodi non violenti. 3) Canale per favorire il supporto di Paesi amici. Questa struttura è stata mobilitata per ricevere sistemi anti-aerei portatili ma soprattutto gli anti-carro. I video hanno mostrato le imboscate di piccole formazioni ucraine che colpiscono tank con gli Spike, di produzione israeliana, o il Javelin, statunitense. Per sparare quest' ultimo, l'operatore carica in spalla il tubo che contiene il missile che, quando parte, riconosce l'obiettivo dal calore.
Una volta arrivato in prossimità, s' innalza di 150 metri e precipita in verticale, per colpire la parte superiore, meno protetta. Per questo si chiama Javelin, giavellotto. Ha una portata di circa 4 chilometri ed è l'arma più sofisticata contro i mezzi corazzati, ma non può essere sufficiente a fermare l'avanzata dei russi, che cercano di riparare i mezzi con «tettoie» di metallo. L'Alleanza Atlantica ha inviato oltre 17 mila di questi missili anticarro: sono costosi - fra gli 80 e i 200 mila dollari a esemplare - e i produttori americani sono in grado di realizzarne circa 6.500 all'anno. Ma, osservano gli esperti, anche modelli meno sofisticati possono incidere: diversi Paesi hanno spedito «pezzi» d'altro tipo, dall'AT4 al Panzerfaust.
M. Ser. per il “Corriere della Sera” il 14 marzo 2022.
Addestratori, militari ucraini. Ma anche volontari arrivati dall'estero per unirsi alla brigata internazionale delle forze ucraine, evocata dal presidente Volodymyr Zelensky fin dalle prime ore di battaglia. All'International Peacekeeping and Security Center, lo Yavoriv Military Range, il poligono di addestramento di Yavoriv, si parlavano diverse lingue prima che i 30 missili russi distruggessero tutto. Armi, aiuti, tute mimetiche.
Termovisori, droni, kit salvavita. Tra i compiti della base, insegnare alle reclute a usare i lanciarazzi contro i jet russi. Un hub di addestramento da cui passano le reclute prima di andare al fronte. E un battaglione di 6 mila reclute, arrivate in tutto il Paese.
«Non posso confermare la presenza di stranieri tra le vittime», dice nel corso della giornata il portavoce del ministero della Difesa di Kiev Markian Lubkivsky. Ma con il passare delle ore diventa chiaro. A Yavoriv non c'erano solo militari ucraini.
Un hub per migliaia di uomini (e decine di donne), venuti da tutto il mondo per aiutare l'Ucraina. Stati Uniti, dal Regno Unito, dall'Australia. Dall'Europa. Secondo quanto riportano i media olandesi, «un numero imprecisato di affiliati alla milizia straniera in Ucraina partiti dai Paesi Bassi sono stati feriti nell'attacco».
A confermarlo è anche il coordinatore del gruppo di miliziani volontari, Gert Snitselaar, al quotidiano olandese De Telegraaf . Da qui è passata anche la veterana del Kosovo Joyce Koster. Sabato era partita con un gruppo dalla base al fronte: «Il nostro gruppo è composto da me e 16 uomini, ci fidiamo completamente l'uno dell'altro. Siamo assolutamente pronti per la battaglia», aveva dichiarato prima di lasciare la base. Un altro gruppo, di canadesi questa volta, è stato avvistato nei giorni scorsi nella piazza della Libertà di Leopoli, con una grande bandiera canadese.
Ma ci sono anche volontari dagli stati baltici e dalla Georgia. Secondo Reuters, anche dozzine di paracadutisti d'élite dell'esercito britannico hanno raggiunto l'Ucraina. Per le strade di Leopoli ormai sono decine e decine le lingue che si sentono parlare. C'è anche chi arriva dal Sudamerica, dal Giappone.
La leggenda narra di un giamaicano. «La brigata internazionale più grande dai tempi della Guerra civile spagnola», secondo il Guardian . «Estremisti e mercenari», secondo i media più critici con Kiev. Fino a ieri mattina, chi non aveva ancora l'esperienza militare proprio da Yavoriv passava.
Obiettivo, prepararsi per il campo di battaglia. Un atto di guerra secondo Mosca. Poi, nel tardo pomeriggio il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konachenkov, in un briefing scandisce il bollettino di morte. L'esercito di Mosca ha ucciso nell'attacco 180 «mercenari stranieri». Cifre ben più alte del bilancio di 35 vittime dato dagli ucraini senza fornire dettagli sulla loro nazionalità. Poi un sibilo, la minaccia: «Continueremo a eliminare chiunque venga in Ucraina a combattere».
Chi sono i miliziani stranieri uccisi nel raid vicino a Leopoli: volontari olandesi e una veterana del Kosovo. Marta Serafini, inviata a Leopoli su Il Corriere della Sera il 13 Marzo 2022.
Addestratori e miliziani arrivati dall’estero: all’International Peacekeeping and Security Center di Yavoriv si era creato un hub di addestramento per migliaia di volontari da tutto il mondo.
LEOPOLI e STARYCHI — Addestratori, militari ucraini. Ma anche volontari arrivati dall’estero per unirsi alla brigata internazionale delle forze ucraine, evocata dal presidente Volodymyr Zelensky fin dalle prime ore di battaglia. All’International Peacekeeping and Security Center, meglio noto come Yavoriv Military Range, il poligono di addestramento di Yavoriv, si parlavano diverse lingue prima che i 30 missili russi distruggessero tutto. Armi, aiuti, tute mimetiche. Termovisori, droni, kit salvavita. Tra i compiti della base, insegnare alle reclute a usare i lanciarazzi contro i jet russi. Un hub di addestramento da cui passano le reclute prima di andare al fronte verso Est e verso Kiev. «Non posso confermare la presenza di stranieri tra le vittime», dice nel corso della giornata il portavoce del ministero della Difesa di Kiev Markian Lubkivsky. Ma con il passare delle ore diventa chiaro. A Yavoriv non c’erano solo ucraini.
Un hub per migliaia di loro, venuti da tutto il mondo per aiutare l’Ucraina. Stati Uniti, dal Regno Unito, dall’Australia. E dall’Europa. S econdo quanto riportano i media olandesi, «un numero imprecisato di affiliati alla milizia straniera in Ucraina partiti dai Paesi Bassi sono stati feriti nell’attacco». A confermarlo è anche il coordinatore nazionale olandese del gruppo di miliziani volontari, Gert Snitselaar al quotidiano olandese De Telegraaf.
Da qui è passata anche la veterana del Kosovo Joyce Koster. Sabato era partita con un gruppo dalla base al fronte: «Posso solo dire che il nostro gruppo di 16 uomini è completo e ci fidiamo completamente l’uno dell’altro. Siamo assolutamente pronti per la battaglia», aveva dichiarato sempre al quotidiano olandese prima di lasciare la base. Poi, nel tardo pomeriggio, il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konachenkov, in un briefing a Mosca scandisce il bollettino di morte. L’esercito russo ha ucciso nell’attacco 180 «mercenari stranieri». Cifre ben più alte del bilancio dato dagli ucraini che parlano di 35 vittime. Poi, in un sibilo, la minaccia: «Continueremo a eliminare i mercenari stranieri che arrivano in Ucraina».
L'aiuto alle truppe di Kiev. Chi è ‘Wali’, il cecchino più letale al mondo arrivato a Kiev per unirsi alla resistenza: “Bombardati perché vogliono essere europei”. Redazione su Il Riformista l'11 Marzo 2022.
Le sue ‘gesta’ sono note in tutto il mondo, così come il suo nome da combattimento. ‘Wali‘, scienziato informatico franco-canadese che ha già partecipato due volte alla guerra in Afghanistan, prima nel 2009 e poi nel 2011, è arrivato mercoledì in Ucraina per unirsi alla resistenza contro l’invasione delle truppe russe.
Si tratta del cecchino più famoso al mondo: di lui si dice che in Afghanistan, durante la guerra scatenata dagli Stati Uniti contro il regime dei talebani, abbia ucciso col suo fucile diverse dozzine di combattenti locali assieme all’unità d’élite JTF-2.
Nel 2017 è diventato celebre per avere ucciso un combattente dell’Isis da una distanza di oltre 3,5 chilometri: il colpo letale esploso con un fucile McMillan Tac-50 gli è valso il record mondiale.
‘Wali’ ha risposto di fatto all’appello del presidente ucraino Volodymir Zelensky, che aveva chiesto a volontari di tutto il mondo di unirsi nella lotta armata contro l’invasione delle truppe fedeli a Vladimir Putin.
Il 40enne canadese, secondo quanto riporta Nexta Tv, media indipendente bielorusso, può arrivare a provocare fino a 40 morti al giorno sui campi di combattimento: la ‘produttività’ media di un cecchino, per fare un paragone, è di 7 uomini uccisi al giorno.
Pur non dichiarando mai il suo nome, il cecchino canadese è stato anche ospite di programmi televisivi. Alla Cbc News statunitense ha spiegato perché si è precipitato in Ucraina: “Devo aiutarli perché ci sono persone qui che vengono bombardate solo perché vogliono essere europee e non russe. Una settimana fa stavo ancora programmando cose. Ora sto maneggiando missili anticarro in un magazzino per uccidere persone reali … Questa è la mia realtà in questo momento. Mia moglie si è opposta all’idea, e questa è stata la parte più difficile della decisione”.
Dagotraduzione dal New York Post il 10 marzo 2022.
Mentre le famiglie ucraine fuggivano dal loro paese dilaniato dalla guerra al confine con la Polonia, un cecchino canadese d'élite è andato dall'altra parte, entrando in Ucraina nel cuore della notte.
«Voglio aiutarli. È così semplice», ha detto il soldato, che, in una recente intervista con la Canadian Broadcasting Corp, ha dato solo il suo soprannome, "Wali". «Devo aiutare perché ci sono persone qui bombardate solo perché vogliono essere europee e non russe».
L'ex membro dell'élite del 22e Royal Regiment of Canada ha affermato che si tratta di un'esperienza surreale, e che ha prestato servizio sia in Iraq che in Afghanistan, oltre a essersi unito ai combattenti curdi diversi anni fa per combattere l'ISIS.
Wali ha detto di essere stato accolto a braccia aperte dagli ucraini quando è venuto a combattere.
«Erano così felici di vederci», ha detto Wali. «È stato come se fossimo amici da sempre».
«Una settimana fa, stavo programmando roba in ufficio», ha detto. «Ora sto afferrando missili anticarro in un magazzino per uccidere persone reali. … Questa è la mia realtà in questo momento».
Il canadese ha detto che mancherà il primo compleanno di suo figlio, che è tornato a casa con il resto della sua giovane famiglia.
La CBC ha detto di aver parlato con una mezza dozzina di canadesi che si stavano unendo alla lotta.
Dagonews il 12 marzo 2022.
Barbra Streisand, l’attrice che compirà 80 anni il 24 aprile, prende posizione contro la guerra: “I miei nonni paterni sono emigrati dall’Ucraina e il mio cuore si spezza per le persone coraggiose che combattono questa invasione russa. La propaganda di Putin sulla “denazificazione” come motivazione della guerra è una delle grandi bugie di questo secolo. L’esercito di Putin sta deliberatamente prendendo di mira i civili violando la convenzione di Ginevra. Questo è un crimine di guerra".
Da nextquotidiano.it il 17 marzo 2022.
Dopo essersi esposto sull’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill, Arnold Scwarzenegger dal suo studio parla ai russi e dice la sua sulla guerra di Putin in Ucraina, in un video di 9 minuti caricato sui suoi profili social con i sottotitoli in inglese e in cirillico. L’ex attore e governatore dello stato della California introduce il discorso parlando del perché “ama” il popolo russo, dopo essere rimasto ispirato a 14 anni da un campione di sollevamento pesi, Jurij Petrovic Vlasov: teneva il suo poster in camera nonostante il padre – tedesco che aveva combattuto a Leningrado – non fosse d’accordo.
Si rivolge direttamente ai cittadini all’ombra del Cremlino, ritenendo sia suo dovere spiegare loro cosa sta accadendo, visto il controllo capillare delle informazioni in Russia. “A nessuno piace sentirsi dire qualcosa di critico sul proprio governo, lo capisco, ma da un amico di lunga data del popolo russo come mi considero, spero che mi starete ad ascoltare”. Si riferisce a quanti sono scesi in piazza per protestare contro la guerra chiamandoli “eroi”.
“So che il vostro capo (Putin, ndr) vi ha detto che è una guerra per denazificare l’Ucraina. Ma non è vero. Il presidente ucraino è ebreo i cui zii sono stati uccisi dai nazisti. L’Ucraina non ha iniziato questa guerra, né i nazisti”. “Questa non è la guerra dei russi“, aggiunge. A Vladimir Putin dice: “Tu hai iniziato questa guerra, tu la stai guidando, tu puoi fermarla”. “Colpire l’Ucraina è come colpire un fratello o una sorella”, aggiunge, ricordando come ci siano 13 milioni di famiglie russe con parenti oltre il confine.
Maria Volpe per corriere.it l'8 marzo 2022.
Scende in campo una grandissima star internazionale per aiutare l’Ucraina. Leonardo DiCaprio ha donato ben 10 milioni di dollari alle forze armate ucraine per sostenere l’esercito, gli armamenti e gli aiuti umanitari a chi resta nel Paese. Lo riporta Ukrinform, l’agenzia di stampa ucraina, citando la Gsa News, secondo la quale si tratta della somma più alta finora donata alla nazione attaccata dalla Russia.
Secondo le fonti dell’agenzia, la scelta avrebbe una ragione affettiva oltre che umanitaria: l’attore di Titanic ha infatti radici ucraine per via della nonna materna, originaria di Odessa, e ha condannato con forza l’invasione russa. DiCaprio non è nuovo alle battaglie civili: da sempre sensibile alle tematiche sociali e ambientali, non ha potuto fare a meno di aiutare il popolo ucraino donando una somma cospicua.
La nonna di Leonardo DiCaprio, Elena Smirnova, è morta nel 2008 a 90 anni. Era originaria di Odessa , la città affacciata sul Mar Nero che rientra fra gli obiettivi dell’esercito russo. La donazione dell’attore arriva dopo l’appello del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha chiesto di supportare la lotta ucraina sia a livello militare che finanziario; i 10 milioni di dollari donati da DiCaprio sarebbero già stati versati sul conto della Banca Nazionale ucraina. Dopo Blake Lively e Ryan Raynolds, Mila Kunis e Ashton Kutcher, si tratta dell’ennesima star americana che ha deciso d’intervenire economicamente a favore dell’Ucraina.
L'attore premio Oscar non è l'unica star che ha scelto di aiutare l'Ucraina. “Mia nonna era di Odessa”, Leonardo DiCaprio dona 10 milioni di dollari all’esercito ucraino. Roberta Davi su Il Riformista l'8 Marzo 2022.
Dieci milioni di dollari: la cifra più alta che sia stata finora donata all’Ucraina. Opera dell’attore hollywoodiano Leonardo DiCaprio, che ha condannato con forza l’invasione russa del Paese.
A riportare la notizia è l’agenzia di stampa ucraina Ukrinform, che cita la Gsa News: una donazione fatta alle forze armate per sostenere l’esercito, gli armamenti e gli aiuti umanitari.
La donazione di DiCaprio
L’attore premio Oscar è noto per il suo attivismo, essendo da sempre molto sensibile sia alle tematiche ambientali che a quelle sociali, ma avrebbe fatto questa scelta anche per motivi affettivi. La nonna materna di Leonardo DiCaprio, Elena Smirnova– morta nel 2008 a 93 anni- secondo le fonti dell’agenzia era infatti originaria di Odessa, cittadina affacciata sul Mar Nero, uno degli obiettivi delle truppe russe. La donazione dell’interprete di Titanic è arrivata dopo l’appello lanciato dal presidente ucraino Zelensky, che ha chiesto aiuti finanziari oltre che militari. I 10 milioni di dollari sarebbero già stati versati sul conto corrente della Banca Nazionale ucraina.
Leonardo DiCaprio però non è l’unica star che ha deciso di schierarsi accanto all’Ucraina, intervenendo economicamente.
La raccolta fondi di Mila Kunis
Qualche giorno fa l’attrice Mila Kunis, insieme al marito Ashton Kutcher, ha lanciato la raccolta fondi su GoFundMe ‘Stand with Ukraine’ per aiutare i rifugiati. La Kunis ha infatti ricordato le sue origini ucraine, di cui ‘non potrebbe essere più orgogliosa’: è nata infatti a Chernivtsi, nel 1983, per poi trasferirsi con la famiglia negli Stati Uniti nel 1991.
La coppia ha donato 3 milioni di dollari e sulla piattaforma sono stati finora raccolti oltre 18 milioni di dollari su un obiettivo di 30.
Le altre star in supporto dell’Ucraina
Lo scorso 27 febbraio la coppia Blake Lively-Ryan Reynolds ha lanciato un appello, tramite Instagram, per invitare i loro follower a donare all’Agenzia Onu per i rifugiati, promettendo di raddoppiare ogni donazione fino ad arrivare alla cifra di un milione di dollari.
Mentre la modella Gigi Hadid, di origini palestinesi e olandesi, seguendo l’esempio della collega argentina Mica Argañaraz, ha dichiarato che devolverà i guadagni derivanti dalle sfilate per le collezioni dell’autunno 2022 a chi sta soffrendo a causa della guerra in Ucraina, oltre a continuare a sostenere coloro che vivono la stessa situazione in Palestina. “Alla fine sono gli innocenti a pagare i costi della guerra, non i leader. Giù le mani dall’Ucraina, giù le mani dalla Palestina. Pace Pace Pace” ha scritto su Instagram.
Contro l’invasione russa del Paese si è mossa anche la regina del pop Madonna. Lo scorso 26 febbraio la cantante ha condiviso sul suo profilo Instagram un video di denuncia, usando una versione rivisitata del suo brano Sorry, in cui immagini di devastazione e dolore si sovrappongono a quelle di Putin e Hitler, che alla fine diventano una persona sola.
In Italia la cantante Elodie ha annunciato che il ricavato della vendita del suo nuovo singolo Bagno a mezzanotte, in uscita oggi 8 marzo a mezzanotte, sarà destinato “ai progetti di Save the Children in Ucraina e nei paesi confinanti per distribuire cibo, acqua pulita, kit igienici, medicine, coperte per l’inverno e supporto psicologico ed economico a migliaia di bambini e bambine in fuga dalla guerra.”
Anche la fashion blogger e imprenditrice Chiara Ferragni ha chiesto ai propri follower di sostenere la Croce Rossa Italiana, come ha fatto lei: “Fate la differenza per la popolazione Ucraina anche con una piccola donazione” ha scritto su Instagram. Roberta Davi
Fabrizio Corona, appello a Zelensky: "Voglio morire in gloria", vuole farsi ammazzare in Ucraina. Libero Quotidiano il 04 marzo 2022.
Fabrizio Corona sta facendo discutere per il modo in cui ha “risposto” alla chiamata alle armi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Io voglio andare - ha scritto l’ex re dei paparazzi - andrò. Voglio morire in gloria”. Subito nei commenti gli hanno fatto notare in maniera brutale che, pur volendo, non può andare a combattere in Ucraina: sta scontando la pena di un anno di detenzione domiciliare, disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Milano.
“Chiunque voglia unirsi alla difesa dell’Ucraina, dell’Europa e del nostro mondo - recitava l’appello lanciato da Zelensky nei giorni scorsi - può venire a combattere fianco a fianco con noi ucraini. Sarà la prova del vostro sostegno al nostro Paese”. Recentemente Corona ha fatto parlare di sé anche per motivi di gossip, molto più leggeri rispetto alla tremenda guerra attualmente in corso in Ucraina e scatenata dall’offensiva russa ordinata da Vladimir Putin.
Corona ha fatto irruzione nel Grande Fratello Vip per il presunto flirt che ha avuto con Sophie Codegoni. “Abbiamo avuto una storia - ha dichiarato l’ex re dei paparazzi - e lei ancora non ha superato questa cosa. Fra me e Basciano sceglierebbe me e il lavoro. Io e lei eravamo proprio fidanzati e no, vi assicuro, che non le è ancora passata. Fra poco tanto ci vedremo per forza. Lavora con me, la rappresento e ho molte idee per lei”.
Giampiero Mughini per Dagospia il 29 marzo 2022.
Caro Dago, premesso che dalla comoda poltrona su cui guardo la tv non intendo fare l’esaltazione di chi combatte e cade in battaglia, ti confesso che in questa giornata il mio animo è interamente dalla parte dei soldati ucraini che stanno tenendo ancora le ultime case e gli ultimi scantinati della città di Mariupol, una città su cui la violenza della guerra si è abbattuta come su poche altre città della Seconda guerra mondiale.
Quei soldati hanno resistito sino all’indescrivibile nello stoppare una delle strade principali dell’irruzione di Putin in Ucraina. E se le sorti della guerra sono ancora tali che Putin non potrà non sedersi al tavolo della pace, lo si deve innanzitutto a loro. E dunque agli uomini del battaglione Azov, di cui so così e così ma di cui leggo tutto ciò che li riguarda.
Sul “Fatto” di oggi ho letto un articolo che li deride, che li taccia di essere dei “nazisti” punto e basta, dei nazisti loro che stanno probabilmente per essere uccisi come cani da un esercito le cui doti cavalleresche sono dubbie. Ho letto sui giornali italiani interviste a loro ufficiali che non collimavano affatto con questo ritratto. Non so, non sono uno specialista purtroppo.
So che al loro coraggio, alla loro dedizione alla causa ucraina va portato un omaggio e un rispetto. La mia memoria saluta il campione mondiale di kickboxing che faceva parte del reggimento Azov e che è morto sul campo. (Mi vengono in mente i soldati tedeschi che vennero catturati a Stalingrado. Centomila, di cui ne tornarono vivi in Germania seimila.) La guerra è spaventosa, più che questo; e non è che in ciascun frangente della guerra è facilissimo tracciare una linea di demarcazione tra i “buoni” e i “cattivi”.
Nell’aver difeso a ogni costo la loro terra, quelli del battaglione Azov sono oggi ai miei occhi dei “buoni”, degli eroi, altro che dei nazisti da indicare al pubblico disprezzo mentre stanno per essere massacrati. Di più non ne so. Mi piacerebbe che i soldati russi ne accettassero eventualmente la resa e ne rispettassero la vita. Ma forse questo accade solo in qualche libro e in qualche film. Dio mio, Dio mio, che tragedia.
Guerra Russia-Ucraina, campione mondiale di kickboxing muore in battaglia a Mariupol: faceva parte del battaglione Azov. Il Fatto Quotidiano il 28 marzo 2022.
L’allenatore della squadra nazionale di kickboxing, Oleg Skirt, ha dichiarato “dormi tranquillo, fratello, la terra è tua, ti vendicheremo”. Azov, unità militare di matrice nazista, è impegnata nell'area di Kiev con circa duemila soldati, ma ha presidi anche Kharkiv, Mykolaiv e Odessa. E' uno dei bersagli dell'operazione di "denazificazione dell'Ucraina" annunciata da Mosca
.Maksym Kagal, campione del mondo di kickboxing di origini ucraine, è morto in battaglia a Mariupol. Kagal faceva parte del battaglione Azov – un’unità militare ucraina di matrice neonazista impegnata nella resistenza all’invasione russa. A riferire della morte del campione ucraino è stata l’emittente televisiva Ukraine24. L’allenatore della squadra nazionale di kickboxing Iska (International Sport Karate Association), Oleg Skirt, citato da Ukrinform, ha dichiarato “dormi tranquillo, fratello, la terra è tua, ti vendicheremo”.
La brigata Azov è uno dei bersagli della cosiddetta “operazione di denazificazione” che ha annunciato il Cremlino nel giustificare l’invasione dell’Ucraina. Intervistato dall’Ansa, il terzo comandante della brigata Azov, Maksym Zhorin – originario del Donbass – ha dichiarato che lo scopo di Azov è “salvare l’Ucraina, la sua unità e la sua integrità”: “Putin ci chiama nazisti come pretesto per uccidere gli ucraini”. Zhorin ha una trentina d’anni ed è impegnato nell’area di Kiev con circa duemila soldati.
“In questo momento sono a Irpin e negli ultimi giorni le possibilità di attacco da parte della Russia sono via via diminuite. Abbiamo già distrutto alcuni tank russi, molte loro attrezzature, e abbiamo buttato tutto nel fiume. Ora sono lì, assieme ai pesci” ha dichiarato Zhorin all’Ansa, presentandosi con l’uniforme tradizionale della brigata, che include lo stemma che rimanda al Wolfsangel, il simbolo germanico ripreso anche dal nazismo. “Da quando è iniziata la guerra” ha aggiunto Zhorin, “nostre unità sono presenti in tutte le principali città del Paese, come Kharkiv, Mykolaiv e Odessa”.
Gramellini fa l’apologia del nazista di Azov: ‘giusto’ come Schindler. Continua la rivergination dei nazi, purché ucraini: il generale che offre la sua vita. DANIELA RANIERI su Il Fatto Quotidiano il 29 marzo 2022.
Prosegue la romantizzazione dei nazisti ucraini del battaglione Azov da parte dei nostri media bellicisti, e anzi sfiora vette liriche (speriamo) intoccate in altri Paesi. Vi abbiamo detto dell’intervista su Repubblica a un capitano dell’Azov che legge e cita Kant: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, omettendo le fosse […]
I nazi-illuminati dell’Azov: prima le torture, ora Kant. DANIELA RANIERI su Il Fatto Quotidiano il 27 marzo 2022.
Dopo la foto glamour della bambina-soldato con fucile e lecca-lecca, il Gruppo Gedi, non insensibile al valore (simbolico e pecuniario) delle armi, ci regala un’altra piccola, romantica epopea. Repubblica intervista Dmytro Kuharchuck, 31 anni, comandante del battaglione Azov, un’unità della Guardia nazionale ucraina esplicitamente nazista, almeno a voler prender sul serio le svastiche, i simboli […]
Quando per il TG1 il Battaglione Azov era "apertamente neo-nazista". Agata Iacono il 14 Marzo 2022 su lantidiplomatico.it.
Era il 19 ottobre 2021. E l'operazione mediatica era denigrare il "no vax" e farlo passare per tutto: anche neo-nazista. E quale operazione più facile di collegarli a quelli che si sono addentrati nei gangli del potere ucraino grazie al golpe del 2014.
Ascoltate con attenzione questo servizio del TG1 del 19 ottobre scorso (NON 10 ANNI FA!!) riproposto recentemente dal "Comitato per il Donbass antinazista".
Avete sentito bene la giornalista? "Apertamente neo-nazista" in riferimento al Battaglione Azov.
La procura di Napoli, nelle figure del procuratore capo Giovanni Melillo e dei suoi sostituti: Antonello Ardituro e Claudio Onorati, avevano aperto un'indagine su una organizzazione sovversiva di formazione neonazista e suprematista. Al centro dell’inchiesta “Ordine di Hagal”, o ancora “Ordine Naturale di Hagal”. Sì tratta di un movimento realizzato da Maurizio Ammendola, originario di Maddaloni (Campania) e soprannominato “il grande professore” in considerazione della sua carica di presidente-fondatore del sodalizio.
Nel comunicato della Procura di Napoli si legge che l’indagine riguarda attività di addestramento paramilitare e le azioni sui social, con campagne di apologia del fascismo, negazionismo della Shoah e incitazione all’odio razziale e all’antisemitismo, di un gruppo di matrice neonazista. La Procura afferma anche che sono emersi contatti frequenti con organizzazioni ultranazionaliste e apertamente neonaziste ucraine, come il “Battaglione Azov”, la “Misanthropic Division”, “Pravi” e “Sector Centuria”.
Eh si perché la procura di Napoli, che aveva aperto l'inchiesta scrive testualmente e con cognizione di causa della "natura neonazista" del battaglione AZOV come confermava la giornalista Rai nel finale del suo servizio.
Il Battaglione Azov, anche per quanto riguarda l’ambito della simbologia, pare essersi rifatto alla tradizionale iconografia nazista, impiegando la runa “Wolfsangel” (Dente di lupo), icona della seconda divisione panzer Das Reich, facente parte della Waffen-SS, e lo “Schwarze Sonne” (Sole nero), una variante della svastica, che riprende lo stretto legame che intercorre tra le pratiche esoteriche e il nazismo.
Mentre la Stampa cancella in modo grottesco gli articoli e Mentana dichiara apertamente il falso da direttore di un tg nazionale, l'Italia ha deciso di inviare armi per sostenere nazisti dichiarati con il rischio concreto di scenari apocalittici (nucleari) in Europa. E per quel che riguarda i media filo Nato... eh no la storia non potrà mai assolverli!
P.s. Dall'indagine citata nell'articolo sono risultati estranei, invece, gli "esponenti no vax".
AGATA IACONO. Sociologa, antropologa, giornalista certificata Wrep Blockchain
Andrea Cuomo per “il Giornale” il 3 agosto 2022.
Eroi o terroristi? Il giudizio sui miliziani del battaglione Azov è controverso e naturalmente dipende anche da quale parte del tavolo della storia si è seduti. I russi, che sono seduti dalla parte opposta rispetto a quella occidentale, non hanno dubbi: si tratta di terroristi. E da ieri esiste anche una sentenza della Corte suprema di Mosca a stabilirlo.
Il tribunale russo ha designato il battaglione Azov come organizzazione terroristica, proibendo di conseguenza ogni attività sul territorio di russo. «Riconosciamo l'associazione paramilitare nazionalista Azov come organizzazione terroristica e ne vietiamo le attività in Russia», dichiara il tribunale moscovita in un comunicato, che precisa che la decisione entra in vigore «immediatamente».
Il tribunale ritiene che l'ideologia del battaglione includa elementi di «razzismo biologico estremo», piani di segregazione razziale nella sfera giuridica, rifiuto della democrazia, della morale e del diritto internazionale. La Corte accusa anche i suoi membri di attaccare i rappresentanti delle minoranze etniche e gli oppositori politici, di intimidire la comunità russofona in Ucraina, di effettuare rapimenti e di ricorrere alla tortura, soprattutto nella regione del Donbass, nell'Est del Paese. La sentenza, emessa su richiesta della Procura generale, prevede anche pene più severe per i membri del battaglione Azov.
L'udienza del tribunale si è svolta in gran parte a porte chiuse perché i materiali presentati sono classificati come segreti. Motivazioni ridicole, secondo i miliziani dell'Azov. «La Russia - fa sapere il portavoce del battaglione - sta cercando nuove giustificazioni ai suoi crimini di guerra». Designando gli esponenti dell'Azov come terroristi, la Russia «legittima l'esecuzione pubblica di massa dei prigionieri di guerra del battaglione», come è avvenuto qualche giorno fa nell'attacco al carcere di Olenivka, in cui sono morti almeno 50 prigionieri politici ucraini lì rinchiusi.
I militanti dell'Azov fanno poi un accorato appello agli occidentali. «Chiediamo al dipartimento di Stato americano e agli organismi autorizzati di altri Stati che si considerano civili di riconoscere la Federazione russa come Stato terrorista. La Russia ha dimostrato di esserlo con le sue azioni quotidiane da molti anni. Il silenzio è complicità! Il mondo intero deve unirsi contro questo Stato terrorista».
Il battaglione Azov è un'organizzazione paramilitare di ispirazione fascista che prima della guerra in Ucraina anche in occidente era guardato con sospetto. È stato accusato dall'Osce, dall'Alto commissariato Onu per i diritti umani e da Human Rights Watch di crimini di guerra compiuti tra il 2014 e il 2016.
Lo stesso occidente ha trasformato i membri della milizia fondata dal suprematista bianco Andrej Bileckyj in eroi dopo la strenua resistenza opposta all'assedio russo nell'acciaieria Azovstal, alla periferia di Mariupol, dall'inizio dell'ostilità fino al 16 maggio quando i miliziani, in accordo con il governo di Kiev, hanno iniziato le operazioni di resa e si sono consegnati ai russi, che li ha rinchiusi in campi di prigionia nella autoproclamata repubblica filorussa del Donetsk.
La loro valorosa opposizione all'avanzata russa è stata seguita con passione e simpatia da gran parte del mondo e anche il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky ha riconosciuto formalmente il loro coraggio conferendo il 19 marzo il titolo di Eroe dell'Ucraina al tenente colonnello Denys Prokopenko, comandante del Reggimento Azov, «per il coraggio personale e l'eroismo mostrato in difesa della sovranità statale e dell'integrità territoriale» durante l'invasione russa.
E proprio nell'acciaieria dell'Azovstal i russi avrebbero intenzione di organizzare un grande concerto rock. Una decisione che appare come un ulteriore sfregio russo in un luogo «dove sono morti centinaia di combattenti ucraini per difendere la città di Mariupol», come si legge sul canale Telegram del comune in esilio. «Ancora una volta, stanno cercando di distrarre i residenti da problemi reali con eventi e diversivi. Non forniscono acqua e riscaldamento normali, ma tengono concerti in una città dove centinaia di cadaveri sono ancora sotto le macerie».
E sul piano militare Kiev sta lavorando a una «valle dei droni» che ha sede in Polonia in collaborazione con il governo di Varsavia e con gli Stati Uniti, un laboratorio altamente tecnologico per sviluppare uno strumento che si sta rivelando fondamentale nella guerra ucraina, oltre che un business miliardario.
Il battaglione Azov, l’imbarazzante braccio armato dei nazisti ucraini. Giampiero Casoni il 10/03/2022 su Notizie.it.
Cosa è e cosa ha fatto in questi anni il terribile battaglione Azov, l’imbarazzante braccio armato dei nazisti ucraini fondato da un suprematista bianco.
Nelle guerre i giusti non stanno mai tutti dalla stessa parte e per Kiev che oggi non si arrende alla Russia la riprova è il battaglione Azov, l’imbarazzante braccio armato dei nazisti ucraini. Il battaglione Azov, dal nome del mare dove venne formato nella città di Urzuf, nei pressi di Mariupol, oggi è il “movente” sulla scorta del quale la Federazione Russa ha bombardato un ospedale pediatrico nella città ucraina attribuendogli la patente di base logistica dei fanti neri dell’Azov.
Vero o falso che sia, il battaglione Azov è una banda di macellai patentati.
Il battaglione Azov e i nazisti ucraini
Si tratta di una unità militare in piena regola, unità di fanteria leggera motorizzata, non di una formazione sciolta, che ha combattuto per destituire Yanukovich nel 2014, poi in Donbass ed in Crimea. I fanti dell’Azov sono quelli che fanno il lavoro sporco che nessuno vorrebbe fare. Ideologizzati sul versante nazionalista estremo e raggruppati in circa 4mila effettivi, i fanti dell’Azov sono quasi tutti volontari e multietnici, tanto che fino al 2018 nei loro ruoli matricolari c’erano anche italiani.
Con loro anche serbi a fine ferma,quindi non più in ruolo delle forze armate francesi, nel II Rep Etrangeres parachustistes della Legione Straniera e addirittura anche ex poliziotti militari, rigorosamente bianchi secondo il mood suprematista del reparto, del Bope brasiliano. Riti e battage ideologico dll’Azov occhieggiano alla mistica nazista: hanno svastiche, fanno il saluto romano e il loro simbolo, la “Wolfsangel”, ricorda la runa del martello di Thor che ruota, ossia una svastica, nera su sfondo giallo.
Il governo Ucraino li usò per integrare i ranghi e loro non delusero le aspettative: il presidente ucraino Petro Poroshenko li “i migliori guerrieri” a disposizione dell’Ucraina.
L’ideologia del fondatore Biletsky
Il fondatore, Andriy Biletsky, è un suprematista bianco che odia ebrei e musulmani. Per lui lo stupro è “sacrosanto diritto naturale del maschio alla riproduzione” e l’Ucraina deve “Guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i subumani sottomessi dai semiti“.
I rapporti Onu ed Osce attribuiscono all’Azov massacri spaventosi in danni di civili e prigionieri, specie in Donbass, dove effettivi del “reggimento” ammazzarono anche il nostro Andrea Rocchelli, fotoreporter ucciso con un collega da bombe di mortaio deliberatamente sparategli addosso perché aveva documentato gli orrori dell’Azov.
Battaglione Azov, il video brutale contro i soldati ucraini: "Avete scelto la via della vergogna". Mariupol, caos totale. Libero Quotidiano il 15 aprile 2022.
"Si vergogni chi ha disertato": A Mariupol il battaglione Azov, formazione di estrema destra con tendenze al neonazismo inglobata nell'esercito, non perdona i combattenti ucraini che hanno preferito arrendersi alle forze russe piuttosto che andare avanti per difendere la propria terra e il proprio popolo. "Noi non ci arrendiamo", hanno ribadito invece Denis Prokopenko, colonnello del reggimento Azov, e il maggiore Serhiy Volyna, comandante della 36esima brigata dei Marines ucraini. Lo hanno detto in un video caricato su Youtube lo scorso mercoledì. I due protagonisti del filmato, come spiega il Messaggero, hanno fatto sapere di essere riusciti a unire le loro forze. Si tratta degli ultimi uomini che provano a resistere a Mariupol, finita quasi del tutto sotto il controllo russo.
I combattenti ucraini rimasti sarebbero assediati all'interno dell'acciaieria di Mariupol. Lì dentro si troverebbero gli Azov, soli fino a un paio di giorni fa, e i Marines, che li hanno raggiunti in un secondo momento. In molti, invece, hanno deciso di arrendersi: secondo i russi almeno un migliaio di Marines. Tra di loro anche un militare molto popolare nel Regno Unito, Aiden Aslin, che era andato a combattere con gli ucraini e che poi ha annunciato di non avere scelta, perché cibo e munizioni stavano finendo.
"Ieri ci siamo riuniti con i valorosi combattenti del battaglione dei Marines, veri soldati, fedeli al giuramento e al popolo dell'Ucraina - ha continuato Prokopenko nel video -. Questi uomini difendono e difenderanno la città di Mariupol insieme a noi. Questi sono uomini veri che hanno scelto la via della guerra. Non chiamate eroi quei disertori che si sono arresi. Hanno scelto la via della vergogna".
Che cos'è il battaglione Azov. Cesare Treccarichi, Giornalista, il 10 marzo 2022 su Today.it .È il braccio armato più celebre e organizzato dei nazisti in Ucraina, che combatte Putin e non da oggi.
Il Battaglione Azov è il braccio armato più potente dei nazisti in Ucraina che ha fatto della guerra ai russi una ragione esistenziale. Il presidente russo Vladimir Putin ha giustificato l'attuale invasione dell'Ucraina con la "denazificazione " del Paese per proteggere la popolazione russa residente dai soprusi dei nazisti. Il Battaglione Azov è in prima linea nel combattimento contro i russi e non da oggi: è stato vitale negli scontri durante le proteste che hanno destituito il presidente filorusso Yanukovich nel 2014 e ha combattuto, ottenendo dei risultati, a fianco dell'esercito ucraino nella guerra in Crimea e nel Donbas. Ma cos'è nello specifico il Battaglione Azov?
Cos'è il battaglione Azov?
Quando è stato formato?
Da chi è stato fondato?
Quanti sono i membri del battaglione Azov?
Il battaglione Azov e i crimini di guerra
Cos'è il battaglione Azov?
È un'unità militare di fanteria ucraina di chiara ispirazione nazionalista, composta da volontari provenienti anche da altri Paesi (tra cui l'Italia). La posizione ufficiale dell'unità non prevede l'adesione all'ideologia nazista, ma l'uso di simboli nazisti come la svastica e le insegne delle SS sono diffusi tra i membri dell'Azov.
Il simbolo del battaglione Azov è un riferimento esplicito al simbolo neonazista "Wolfsangel" che ricorda una svastica nera su sfondo giallo. La sede è a Urzuf, città sul Mar d'Azov da cui prende il nome, a circa quaranta chilometri da Mariupol nell'oblast di Donetsk, pesantemente bombardata in questi giorni.
Quando è stato formato?
L'unità è stata inizialmente costituita nel 2014 come gruppo di volontari provenienti da formazioni di estrema destra come i "Patrioti di Ucraina" e i membri dell'Assemblea social-nazionale. Nelle prime fasi della guerra in Donbas, il Governo ucraino si servì di questi reparti per sopperire alle mancanze dell'esercito regolare. Nel 2014, dopo aver riconquistato l'importante città portuale di Mariupol liberandola dai separatisti sostenuti dalla Russia, il battaglione Azov ottenne grandi elogi dall'allora presidente ucraino Petro Poroshenko che li definiì "i migliori guerrieri" a disposizione dell'Ucraina. Successivamente, il battaglione Azov venne integrato nella Guardia nazionale ucraina.
Da chi è stato fondato?
Il battaglione Azov è stato fondato da Andriy Biletsky, un militante ultranazionalista. Negli anni scorsi ha assunto posizioni nette (per cui è anche stato bannato da Facebook) contro ebrei, musulmani in favore del suprematismo bianco, arrivando a definire lo stupro "sacrosanto diritto naturale del maschio alla riproduzione" anche per porre rimedio alla diminuzione delle nascite e alla "contaminazione" della "razza" bianca. Nel 2010 Biletsky disse che la missione della nazione ucraina era di "Guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i subumani sottomessi dai semiti".
"Noi non siamo neonazisti, vogliamo solo cambiare il nostro paese in meglio"
Quanti sono i membri del battaglione Azov?
Attualmente il battaglione Azov può contare su circa 3mila uomini, anche se è difficile avere numeri precisi. Il gruppo combatte soprattutto contro i separatisti filo-russi nella regione di Donetsk. Nelle prime fasi dela guerra in Donbas nel 2014 i volontari arrivarono a toccare le 12mila unità.
Il battaglione Azov e i crimini di guerra
Un rapporto del 2016 dell'Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani dell'Onu ha accusato il battaglione Azov di violare il diritto umanitario internazionale. Il rapporto sosteneva che i membri avrebbero stabilito le loro basi in edifici civili, dopo averli sfollati con la forza e saccheggiati e di aver prodotto violenze e torture sui prigionieri. Sempre nel 2016 un rapporto dell'Osce ritenne il battaglione "Azov" responsabile dell'uccisione di massa di prigionieri, di occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e dell'uso sistematico di tecniche di tortura fisica e psicologica.
Reggimento Azov, il comandante Kuharchuck: "Non sono nazista, ai soldati leggo Kant. Lottiamo per la nazione". Fabio Tonacci La Repubblica il 25 Marzo 2022.
Parla l'uomo che guida il secondo battaglione presente a Kiev: "Nel 2014 nel Donbass c'era chi sventolava la svastica, ora non più. E il ministero della Difesa ci ammetterà nelle forze armate". "Se stai cercando nazisti sei venuto nel posto sbagliato, giornalista". Entrare in una delle basi del Reggimento Azov è questione delicata, per tanti motivi. Se poi l'ingresso è scandito dai mortai russi che piovono nelle vicinanze di questa fabbrica abbandonata riadattata a dormitorio e campo di addestramento, lo è un po' di più. "In effetti non è il luogo più sicuro dove stare a Kiev, al momento...", dice con un mezzo sorriso Dmytro Kuharchuck, 31 anni, comandante del secondo battaglione presente nella capitale.
Veterano del Donbass, ex politico, è uno dei tre più alti in grado: si occupa delle operazioni al fronte nord-ovest (Irpin, Bucha, Hostomel), gestisce il reclutamento e conferisce direttamente col capo, Andrij Biletsky, che nel 2014 formò il Reggimento mettendo insieme gruppi di ultranazionalisti ucraini e attivisti di Maidan. Dmytro non è il tipo di combattente che ti aspetti di trovare nell'Azov. Misura le risposte, legge Kant e argomenta non solo col bazooka.
Il governo ucraino ha riconosciuto ufficialmente l'Azov?
"Il reggimento che sta difendendo Mariupol è inserito nella Guardia nazionale. A Kiev siamo ancora inquadrati nella Difesa territoriale, anche se combattiamo sul fronte nord. Il ministero della Difesa ha promesso di darci lo status di battaglione delle Forze armate. Avremo armi più potenti per uccidere i russi".
Quanti siete?
"A Kiev abbiamo due battaglioni, non posso dire dove. A Mariupol c'è un reggimento di più di 1.500 uomini. Purtroppo per alcuni di loro sarà l'ultima battaglia, i russi stanno compiendo un genocidio a Mariupol. L'Azov rimarrà lì fino alla fine".
I russi lanceranno un'offensiva massiccia su Kiev con l'aviazione?
"Se lo faranno perderanno. Ci hanno già provato e li abbiamo respinti. Lanciano missili sulla città per piegare il governo al tavolo dei negoziati, ma non sono in grado di circondare Kiev".
L'Azov è accusato dalle organizzazioni umanitarie e da molti Paesi di essere un gruppo di estremisti che non rispetta diritti umani e commette crimini. Come se lo spiega?
"C'è una ragione. L'Azov ha sempre detto che l'Ucraina si doveva preparare alla grande guerra contro la Russia, perché prima o poi ci avrebbe attaccato. I nostri politici però non ci credevano, la nostra posizione per loro era sconveniente. Ecco perché ci hanno affibbiato l'immagine di estremisti nazisti".
Il vostro simbolo rimanda a quell'ideologia. E ci sono foto del conflitto nel Donbass in cui alcuni dei vostri sventolano la svastica.
"Gente del genere si trova anche nella polizia, nella Guardia nazionale e in diversi gruppi sociali. Noi ne avevamo una piccola percentuale, ora non più".
Come fa ad esserne certo?
"Sottoponiamo le reclute a lunghe interviste. Il nazismo è lontanissimo da me. La nostra posizione ufficiale, come Azov, è un'altra: siamo nazionalisti ucraini".
Come si entra nel Reggimento?
"Ti presenti qui, vieni sottoposto a una serie di domande e se hai certe abilità ti prendiamo".
Che tipo di abilità?
"Cerchiamo persone con esperienze militari, che sappiano scavare trincee, tagliare legna, manovrare gli escavatori. Abbiamo campi di addestramento in posti segreti e strutture a Kharkiv, Chernihiv, Nikolaev, Sumy".
Com'è l'addestramento?
"Prima c'erano prove fisiche da superare, dopo il 24 febbraio non abbiamo più tempo per scegliere solo i soggetti altamente qualificati. Siamo comunque in grado di selezionare i più motivati, che vengono da noi perché offriamo disciplina e fratellanza".
Ci faccia un esempio.
"Costruiamo relazioni che non si basano solo sul curriculum militare ma anche su principi morali universali. Io leggo Kant e diffondo i suoi insegnamenti nell'Azov. Devo dire che i ragazzi apprezzano".
Perché proprio Kant?
(Cita a memoria) "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me".
Accettate solo ucraini?
"Abbiamo anche russi, bielorussi, georgiani, croati, americani, inglesi, francesi. A Mariupol, nel 2014, avevamo un italiano. Nessuno di noi è pagato, siamo volontari".
Chi vi dà le armi?
"La difesa territoriale di Kiev, quindi il sindaco Klytschko".
Quanti russi avete con voi?
"Non so dirlo con precisione. Anni fa a Mariupol erano 50. Non combattono solo per l'Ucraina, ma per il concetto più ampio di libertà: la Russia è la negazione della libertà, l'Ucraina, invece, ne è il sinonimo".
Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca. Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 23 marzo 2022.
Sull’edizione russa di Wikipedia, il nome Denis Projipenko è messo in cima alla lista dei comandanti del battaglione Azov. Il più alto in grado. Il nemico numero uno di Mosca, l’uomo che personifica sul campo quell’Ucraina «nazista» da cui Putin vuole liberarla. Sui siti di Kiev, invece, nulla. Projipenko non c’è. Scomparso, la memoria digitale cancellata. Pulizia totale di tutto quanto lo riguardava. Fosse per Internet, l’ufficiale in capo della resistenza militare a Mariupol sarebbe un uomo senza passato, senza gloria, ma anche senza i sospetti di simpatie neonaziste che oggi nuocerebbero alla causa ucraina. Uno e novanta, biondo, naso sottile e occhi azzurri, il maggiore Denis Projipenko è uno dei fondatori del Battaglione Azov.
Addestrato come un incursore, bello come un attore, da anni è in prima linea contro i filorussi del Donbass e oggi, adesso, in questi minuti, è in trappola a Mariupol. Accerchiato senza possibilità di rinforzi. Bombardato dal cielo e dal mare. Braccato dai droni e dalle orecchie elettroniche. Basta una sua comunicazione, un avvistamento, una soffiata per potergli indirizzare contro un missile. Mosca sa come fare. Ci riuscì durante l’assedio di Grozny, in Cecenia, negli anni ’90 contro il presidente indipendentista Dudaev. E allora le tecnologie erano molto più arretrate.
A Mariupol 14-15mila militari russi stanno riversando una marea di esplosivi sulla città per eliminare lui e i suoi uomini. Decine di missili sono pronti a disintegrarlo, migliaia di soldati a reclamare la taglia che il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, intimo del leader del Cremlino Putin, ha messo sulla sua testa. Vivo o morto. Mezzo milione di dollari. Ciò che sta succedendo ai soldati che difendono Mariupol e al loro comandante Projipenko, ha lo spessore tragico delle grandi battaglie che cambiano il corso della storia e ispirano forti sentimenti. Anche se, nel frattempo, i protagonisti sono tutti morti. I 960 zeloti di Masada. I 300 spartani alle Termopili. Gli affamati di Stalingrado. Tutti sacrifici, vittoriosi o perdenti non è così importante per la storia, capaci però di segnare la consacrazione di un’identità non più negoziabile. Per il maggiore Projipenko, il riferimento più diretto è un altro, inciso persino in un bassorilievo dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. E’ la battaglia combattuta a metà del 1600 dai liberi cosacchi della steppa di Zaparozhzhie contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni II Casimiro. Ortodossi contro cattolici. Un impero dell’ovest contro le steppe dell’est. La battaglia di Berestenchko è, probabilmente, il più grande scontro terrestre di un secolo per nulla pacifico. I cosacchi di Crimea e del bacino del fiume Dnipro non volevano sottomettersi. Persero, ma 400 anni dopo, Denis Projipenko continua ad ispirarsi alla loro lotta per giustificare la sua.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
È, probabilmente pronto a diventare il nuovo eroe nazionale ucraino. E le sue simpatie politiche, verranno strumentalizzate o meno a seconda di chi si impossesserà della sanguinosa leggenda. Ex capo degli ultrà della Dinamo Kiev, con la guerra del Donbass, Projipenko accorse volontario nel 2014 alla difesa del Paese. Da allora è diventato un soldato professionista, si è addestrato, ha imparato a combattere battaglie vere, non contro i lacrimogeni degli stadi. I russi dicono che abbia avuto istruttori stranieri, dai Delta Force alla Legione Straniera.
Il nucleo dei primi volontari del 2014 si struttura con il passare dei mesi. Riceve armi. Entra a far parte della Guardia Nazionale nell’autunno del 2014 ed è a quel punto che si libera di alcuni elementi di estrema destra. Da allora, in teoria, dovrebbe seguire le regole dell’esercito nazionale per cui l’apologia del nazismo è vietata. Il clima dentro il battaglione diventato brigata resta quello della sua iconografia, il simbolo così simile alla runa nazista, le t-shirt nere, le teste rasate, il saluto con il pugno al petto. Tutto molto militarista, machista e super nazionalista e forse oltre.
Tre giorni fa, il Maggiore ha fatto arrivare fuori dalla trappola di Mariupol un suo video selfie, sul genere di quelli registrati dal presidente Zelensky. Ma nel caso di Projipenko, non era solo la maglietta verde a dare l’idea della guerra. Il Maggiore dell’Azov ha elmetto, armi e caricatori. Parla in inglese, dritto in camera. Alle sue spalle un muro di cemento scrostato. Il coro delle esplosioni accompagnano le sue parole. La morte è a poche centinaia di metri. Lui continua a parlare imperterrito. Era al dodicesimo giorno di accerchiamento. Siamo al 21esimo. Azov, marines e Guardia Nazionale ucraina difendono Mariupol. Tremila combattenti, forse meno, che hanno contro almeno 14mila russi. “Stiamo facendo miracoli” dice il comandante in video.
In genere per sconfiggere una guarnigione che difende, la dottrina militare chiede un rapporto tra attaccanti e assaliti di 3 a 1. Qui siamo quasi 5 a 1 e ancora Projipenko e i suoi non si sono arresi. Non potranno farlo perché temono che non ci sarà l’onore delle armi, ma lo sterminio. Ci vorrebbe un garante. Ma di mediatori non ce ne sono. Fuori dell’assedio, fuori da Mariupol, altri esponenti dell’Azov chiedono l’autorizzazione ad impiegare unità militari ucraine per rompere il cerchio russo. Chiedono rinforzi per salvare il Maggiore e i suoi. Senza risposta. Il XXI secolo sta vivendo una tragedia da mondo antico, con tremila uomini che combattono per la patria. Da un giorno all’altro Mariupol cadrà. Fare di loro un mito non conviene a Putin. L’essere ucraino diventerà ancora di più qualcosa di diverso, inconciliabile, alternativo all’essere russo. Ma tutta questa guerra, così come si sta sviluppando, non conveniva al Cremlino. La razionalità svanisce sotto le bombe. L’umanità anche.
Vyacheslav Abroskin, l'eroismo del generale ucraino: "Prendete me al posto loro", chi salva (al costo della sua vita?) Libero Quotidiano il 25 marzo 2022.
Il vice capo della polizia ucraina, il generale Vyacheslav Abroskin, si è offerto come ostaggio alle forze di invasione russe in cambio dell'evacuazione dei bambini e dei minori da Mariupol. Un gesto eroico per salvare i ragazzi e i più piccoli che si trovano ancora nella città stremata dall'assedio russo. L'annuncio lo ha fatto lo stesso generale con un post pubblicato sul suo profilo Facebook. Ma non si sa ancora se la proposta sia stata accettata o meno: "Molte persone mi scrivono. Ora ci sono agenti pronti a salvare i bambini insieme a una squadra per poi arrenderci e consegnarci alle autorità della Russia".
Abroskin, riporta il Messaggero, si dice vicino al battaglione Azov e di essere noto ai Russi per aver organizzato le proteste antirusse nel Donestk tra il 2014 e il 2018. "Sono incluso nella vostra lista delle sanzioni. Sono nella vostra ricerca", si legge ancora. "Avete organizzato un tentativo di eliminarmi. Decine dei vostri soldati sono stati uccisi e migliaia dei vostri collaboratori sono stati arrestati in mia presenza. Sono il generale più vicino al famoso reggimento Azov".
"Ancor prima che la guerra iniziasse, promisi agli abitanti della città che in caso di guerra, insieme ad Azov, avrei difeso Mariupol", conclude Abroskin nel post aggiungendo che poi però si è recato a Odessa, pensando che questa sarebbe stato il primo obiettivo dei russi. "ma mi sbagliavo" continua il generale, che denuncia la situazione di emergenza a Mariupol e rivolge il suo appello alle autorità russe. La sua richiesta è entrare con una squadra di uomini per tre giorni in città, guidare l'evacuazione dei bambini e poi consegnarsi ai russi. «Questa è la mia iniziativa personale.La mia vita appartiene solo a me e la offro in cambio della vita dei bambini che restano ancora a Mariupol».
"Sono già nella vostra lista: i bimbi rischiano di morire, il tempo stringe". “Salvo i bimbi di Mariupol e mi offro come ostaggio, sono vicino al Battaglione Azov”: l’appello del generale Abroskin a Putin. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 25 Marzo 2022.
“Fatemi salvare i bambini di Mariupol, poi mi prenderete come ostaggio, tanto sono anche nella vostra lista, avete già cercato di eliminarmi. La mia vita appartiene solo a me e la offro in cambio della vita dei bambini che restano ancora lì”. E’ l’appello eroico che il generale di polizia ucraino Vyacheslav Abroskin lancia a Vladimir Putin e all’esercito russo. “Oggi sono rimasti molti bambini in una città completamente distrutta” spiega in un lungo post pubblicato sui social. “Se non verranno salvati moriranno nei prossimi giorni, il tempo stringe” aggiunge.
Mariupol, città a sud dell’Ucraina, è stata letteralmente rasa al suolo da settimane di guerra, con i bombardamenti delle truppe di Mosca che hanno distrutto scuole, abitazioni, ospedali e centri culturali. Scarseggiano viveri, manca l’acqua, gli abitanti vivono in condizioni disperate. Sono migliaia le vittime civili non ancora accertate dall’Onu il cui conteggio, al 25 marzo, è di 1.081 innocenti uccisi in tutto il Paese (1.707 i feriti). Ma i dati sulle città più martoriate dall’esercito russo sono assai approssimativi. Sono centinaia quelle gettate in fosse comuni così come era già emerso nelle scorse settimane.
Il generale Abroskin ha combattuto a lungo contro la Russia in Donbass tra il 2014 e il 2018. “Ancora prima che la guerra iniziasse – spiega – promisi agli abitanti della città di Mariupol che l’avremmo difesa insieme al Battaglione Azov“. Poi la proposta agli invasori: “Faccio appello agli occupanti russi: datemi l’opportunità di far uscire i bambini da Mariupol, invece di loro vivi mi offro io. Vi chiedo di farmi entrare a Mariupol per raccogliere bambini e organizzare la loro evacuazione. Ho bisogno di tre giorni in città. Poi mi consegnerò”.
Poi chiarisce che è incluso nella lista delle sanzioni del Cremlino. “Sono un vostro ricercato, avete organizzato un tentativo per uccidermi. Sono esattamente quel generale che è, forse, più vicino al famoso reggimento Azov” aggiunge sperando di provare a ‘sensibilizzare’ l’esercito di Putin che da tempo dà la caccia al battaglione paramilitare.
Aumentano le fosse comuni nella città di Mariupol così come denunciato da Matilda Bogner, responsabile della missione di monitoraggio per i diritti umani delle Nazioni Unite. “Con le immagini satellitari, siamo riusciti ad raccogliere informazioni su una fossa comune. Stimiamo che in ognuna di questa fosse ci siano 200 cadaveri“, ha affermato, citata dalla Bbc, precisando che non si tratta necessariamente solo di civili. I corpi delle persone uccise sono spesso lasciati ai bordi delle strade, perché è troppo pericoloso recuperarli. Per questo, vengono poi portati in fosse comuni.
Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.
L’esercito ucraino è veramente un covo di nazisti come dicono Putin e gli anti imperialisti? La riposta è no: ma I capi Azov sono chiaramente degli estremisti imbevuti di razzismo antirusso, ma la gran parte dei volontari si sono arruolati per motivi pratici, semplicemente perché era il modo più efficace di proteggere il Dombass dall’offensiva separatista. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 25 marzo 2022.
Lo stemma che occhieggia sulle divise non lascia spazio a grandi dubbi: un wolfsangel, un “gancio di lupo” o una runa rovesciata, praticamente lo stesso simbolo della Seconda divisione delle SS Panzer- Das Reich adattato al campo giallo-blu della bandiera ucraina. Anche il sole nero sullo sfondo proviene dalla simbologia mistica nazista, una svastica irradiante e arrotondata.
Stiamo parlando famigerato battaglione Azov, l’argomento principale utilizzato da Vladimir Putin quando ha detto di voler «denazificare» l’Ucraina e ripetuto a pappagallo dai suoi tanti fan occidentali. Ma davvero l’esercito di Kiev è l’inquietante covo di nazisti descritto dal Cremlino e dai suoi improvvisati uffici stampa europei? Ovviamente no, ma per capirlo bisogna misurare la consistenza militare e l’influenza politica del battaglione Azov nella società ucraina facendo un passo indietro di otto anni, nel 2014, quando scoppia la guerra in Donbass: i separatisti russofoni sono volitivi e organizzati e, per non venire sopraffatto come è accaduto in Crimea, l’esercito ucraino autorizza la creazione di corpi di volontari da affiancare alle forze armate.
Ad arruolarsi tanti giovani nazionalisti, tra di loro diversi militanti di estrema destra che provengono dal mondo degli ultras dello Shaktar Donetsk e da ambienti paramilitari. I più estremisti formeranno il battaglione Azov dal nome del mare che bagna il sud est del Paese. Il suo fondatore Andreï Biletski, leader del partito Corpo Nazionale è uno xenofobo antisemita ammiratore di Adolf Hitler. È stato lui a dirigere l’offensiva per la vittoriosa riconquista di Mariupol nel giugno del 2014 diventando una specie di eroe per la popolazione della regione. A guerra finita il governo ucraino nel timore che Azov (già denunciata da Amnesty e Human Right Watch per abusi e torture nei confronti della minoranza filorussa), diventi una milizia autonoma e incontrollabile, magari con pruriti golpisti, decide di integrarla nell’esercito regolare. Se i suoi effettivi non superano le duemila unità su un esercito nazionale che conta più di 200mila soldati, lo “zoccolo duro” di nazisti duri e puri all’interno del battaglione non va oltre trecento unità.
Peraltro anche nell’esercito russo ci sono corpi di chiara ispirazione nazi accompagnati da lugubri simbologie probabilmente in proporzione ancora maggiore. Certo, i capi Azov sono chiaramente degli estremisti imbevuti di razzismo antirusso, ma la gran parte dei volontari si sono arruolati per motivi pratici, semplicemente perché era il modo più efficace di proteggere il Dombass dall’offensiva separatista. La proiezione politica di Azov è poi del tutto risibile: se alle elezioni del 2014 Biletski riesce a farsi eleggere in Parlamento, nel 2019 il “grande cartello” delle destre nazionaliste Svoboda ottiene un misero 1,9%, sparendo dal paesaggio elettorale ucraino.
L’assedio di Mariupol e il battaglione Azov. DAVIDE MARIA DE LUCA su Il Domani il 04 marzo 2022
Le truppe russe stanno assediando la città dove ha sede una formazione della guardia nazionale ucraina che si ispira al nazismo e che in passato è stata accusata di numerosi crimini di guerra.
Al decimo giorno di guerra in Ucraina, le truppe russe hanno ormai circondato Mariupol, la città ucraina dove ha sede il famigerato e controverso “battaglione Azov”, un’unità della Guardia nazionale ucraina guidata da estremisti neonazisti e accusata di numerosi crimini di guerra.
Sostenere che le truppe russe stanno combattendo contro questo gruppo neonazista impegnato a condurre crimini di guerra è uno dei pochi modi a disposizione del presidente russo Vladimir Putin per giustificare l’invasione e quella che ha definito la “de-nazificazione” dell’Ucraina.
I crimini commessi dal battaglione, alcuni dei quali sospettati di essere fabbricazioni, sono da anni un tema ricorrente della propaganda russa. Non è un caso se la battaglia intorno a Mariupol è uno dei pochi teatri di combattimento che media e account social filorussi sembrano in grado di sfruttare.
Negli ultimi giorni, ad esempio, si sono moltiplicati le foto e i video delle truppe russe intorno a Mariupol, impegnate in combattimenti contro soldati ucraini che vengono descritti come membri del battaglione, mentre video e testimonianze non confermate parlano anche di civili bloccati dal gruppo mentre cercavano di lasciare la città.
La “de-nazificazione” dell’Ucraina di cui ha parlato Putin è considerata dalla quasi totalità delle diplomazie e degli esperti una scusa poco credibile per l’invasione. Ma nonostante le mistificazioni del presidente russo, sarebbe sbagliato sostenere che l’estrema destra è del tutto ininfluente in Ucraina.
Come dimostra la vicenda del battaglione Azov, i neonazisti ucraini sono deboli in parlamento, dove non hanno praticamente rappresentanti, ma hanno molti alleati nelle forze di sicurezza e nell’esercito e sono ancora capaci di esercitare un peso significativo nelle manifestazioni e negli scontri di piazza.
IL BATTAGLIONE
Il battaglione Azov nasce nel maggio del 2014 dalla fusione di due gruppi paramilitari provenienti dall’eterogenea galassia dell’estrema destra ucraina. Fondato da Andriy Biletsky, un militante neonazista, il battaglione viene impiegato nella riconquista di Mariupol, che diventerà successivamente il suo quartier generale.
Non ci sono cifre ufficiali sul numero di componenti del gruppo paramilitare, ma si tratta probabilmente di 2mila persone. Aggiungendo le altre organizzazioni legate al gruppo, il partito Corpo nazionale e le organizzazioni paramilitari non affiliate all’esercito, si arriva probabilmente a circa 10mila persone.
Ufficialmente, rappresentanti del battaglione Azov hanno dichiarato che solo il 10-15 per cento dei suoi membri hanno simpatie naziste, ma sono pochi gli studiosi e gli esperti che hanno preso seriamente queste dichiarazioni. Il loro simbolo è un’icona legata al nazismo e il battaglione celebra regolarmente Stepan Bandera, un ultranazionalista ucraino, collaboratore del regime nazista durante la Seconda guerra mondiale, assassinato dal Kgb nel 1959 e proclamato eroe nazionale nel 2010.
La fortuna del battaglione Azov si deve soprattutto ad Arsen Avakov, industriale ucraino e ministro dell’Interno sotto tre differenti governi tra il 2014 e il 2021. Come dimostra il suo lungo mandato, Avakov è ritenuto in Ucraina uno dei ministri più competenti, anche se non è un personaggio particolarmente popolare.
È stato lui a garantire il funzionamento delle forze di sicurezza nei mesi e negli anni turbolenti seguiti alla rivoluzione di Euromaidan del 2013-2014 e sempre lui ha sponsorizzato la creazione di battaglioni di volontari con cui integrare le deboli forze regolari ucraine nelle prime fasi del conflitto nell’Ucraina orientale.
Tra le formazioni che ha sponsorizzato ci sono il battaglione Kyiv-1, una formazione guidata da un gangster di Odessa con precedenti penali e in cui ha militato suo figlio, e lo stesso battaglione Azov. È stato Avakov a spingere per l’integrazione dell’Azov nella guardia nazionale, trasformandolo così in una forza regolare dell’esercito ucraino.
Avakov e la sua creatura sono presto finiti sotto accusa. Avakov per aver lasciato mano libera ai gruppi paramilitari e per non aver fatto abbastanza per limitare la violenza politica che ha insanguinato l’Ucraina negli ultimi anni – nel 2019, alcuni attivisti ucraini hanno appeso manifesti e fotografie di oppositori politici uccisi o feriti alla sua villa al Circeo, vicino a Roma.
Secondo i rapporti dell’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni unite e di numerose altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani, i volontari del battaglione Azov e di altre unità della guardia nazionale ucraina (come il battaglione Donbass) avrebbero commesso diversi crimini di guerra durante il conflitto in Ucraina orientale, compreso il bombardamento ingiustificato di aree densamente abitate, detenzioni illegali, torture e uccisioni extra giudiziali.
Nel marzo del 2019, a pochi mesi dalle presidenziali ucraine, i paesi del G7 avevano fatto pressioni pubbliche su Avakov perché rimettesse sotto controllo le formazioni paramilitari collegate al battaglione Azov e agli altri gruppi di estrema destra. «Il gruppo G7 è preoccupato dai movimenti estremisti ucraini, le cui azioni violente sono un pericolo di per sé», avevano scritto all’epoca gli ambasciatori del G7. Non sembra che a queste pressioni siano seguite particolari iniziative.
I NEONAZISTI IN UCRAINA
Le formazioni dell’estrema destra ucraina sono numerose, controllano gruppi paramilitari e a volte sono ufficialmente presenti all’interno delle forze armate ucraine, come nel caso del battaglione Azov. Elettoralmente però hanno una forza trascurabile.
Alle elezioni del 2014, tenutesi nel momento di massima visibilità per la destra radicale ucraina, Svoboda – una delle formazioni più strutturate di questo campo - ha raccolto soltanto il 4,7 per cento dei voti, eleggendo sei deputati. Le formazioni più giovani e radicali sono andate anche peggio. Settore destro (il gruppo all’epoca più legato al battaglione Azov) ha raccolto l’1,8 per cento ed è riuscito a eleggere un solo deputato. Cinque anni dopo, alle elezioni 2019, alla destra radicale non è riuscita a eleggere nessuno dei suoi candidati.
A livello locale la situazione è diversa, e i partiti della destra radicale, compresi alcuni che si richiamano al neonazismo, hanno eletto diversi consiglieri locali. Il Corpo nazionale, il partito diretta emanazione del battaglio Azov, al momento conta 23 consiglieri locali (su un totale di oltre 150mila).
AZOV E ZELENSKY
Durante il mandato del predecessore di Zelensky, l’oligarca Petro Poroshenko, il battaglione Azov veniva regolarmente celebrato dal governo ucraino. Nel 2014, Poroshenko aveva detto che si trattava della «migliore unità» dell’esercito ucraino.
Da allora la situazione è cambiata. Con l’emergere delle accuse di neonazismo e di crimini di guerra e con la sua crescente e violenta attività nelle strade ucraine, il battaglione ha iniziato a essere trattato come un gruppo estremista e pericoloso.
I suoi account social sono stati rimossi e soltanto di recente Facebook ha deciso di smettere di rimuovere i post che inneggiano alle imprese dell’unità, ma solo se sono relativi alla difesa dell’Ucraina contro la Russia. Oggi, il gruppo fa propaganda e recluta membri attraverso Telegram oppure sfruttando gli account e i canali di altri gruppi estremisti in tutta Europa.
Il presidente Zelensky, un russofono di origine ebraica che alle elezioni ha battuto Poroshenko e la sua linea nazionalista e anti-russa, è apertamente osteggiato dall’estrema destra ucraina, che ha più volte minacciato un colpo di stato in caso di cedimento alle richieste russe.
Zelensky non ha mai celebrato il battaglione e le altre formazioni della destra radicale, come aveva fatto invece il suo predecessore, e in questi dieci giorni di guerra non c’è pressoché alcuna traccia delle imprese compiute dagli uomini di Azov nella propaganda ufficiale ucraina.
Le cose potrebbero cambiare, ora che Mariupol, quartier generale del battaglione, è sulla linea del fronte. Di certo, la propaganda russa ne approfitterà per presentarsi come liberatore dell’Ucraina dai nazisti se le truppe sul campo dovessero riuscire nella conquista della città.
DAVIDE MARIA DE LUCA. Giornalista politico ed economico, ha lavorato per otto anni al Post, con la Rai e con il sito di factchecking Pagella Politica.
Fausto Biloslavo per “il Giornale” il 5 marzo 2022.
«Il Nostromo», nome di battaglia di Sergei Korotkikh è uno dei nemici pubblici numero uno del presidente russo Vladimir Putin. «Ci accusa di essere nazisti? È lui ad essere come Mussolini», spara uno dei fondatori dell'unità Azov, gli «uomini neri» che i russi accusano di essere ultrà fascisti. Korotkikh, nato a Togliattigrad e poi cresciuto in Bielorussia, è il comandante del battaglione Squalo.
I suoi uomini, compresi russi e bielorussi, armati come Rambo, hanno occupato un hotel di Kiev e si preparano a resistere all'attacco di Mosca. Il Nostromo ci accoglie in un bunker pieno di armi con la bandiera dell'Azov e il simbolo che ricorda una runa per un'intervista esclusiva al Giornale.
Si aspettava un attacco russo su larga scala?
«L'invasione era attesa dal 2014 (quando la rivolta di piazza Maidan destituì il presidente filo russo, nda). Sapevamo che prima o dopo sarebbe scoppiata una grande guerra. La Federazione russa vuole prendere il controllo della Bielorussia e dell'Ucraina. Putin non ci è riuscito allora, ma continua a coltivare il sogno di ricostituire una seconda Unione sovietica».
Lei, il battaglione Azov e altre formazioni paramilitari siete accusati di simpatie naziste....
«È Putin ad essere come Mussolini. Il governo russo, che sopprime il dissenso e invade i vicini, è fascista. Non io, ma Orwell aveva commentato che il fascismo del futuro chiamerà se stesso anti fascismo. Penso che Putin abbia perso il senno e accusa chi lo combatte di nazismo rievocando la Seconda guerra mondiale. Il risultato è che distruggerà la Russia con guerre inutili».
Cosa succederà a Kiev?
«Alla fine proveranno a circondare la capitale tagliando i rifornimenti per affamarla e costringerla al gelo, ma gli ucraini non si arrenderanno mai e combatteranno. Noi siamo pronti a farlo casa per casa, strada per strada».
Siete veramente convinti di resistere ad un'offensiva russa?
«Questa è la mia quinta guerra, ma la prima volta che si trasforma in una battaglia di popolo, una nazione che insorge come un sol uomo. I ragazzi preparano le molotov, gli anziani tirano fuori i fucili da caccia per opporsi alle colonne russe».
Però stanno occupando le città...
«Non riusciranno mai a mantenere le posizioni. E mai l'Ucraina tornerà vassallo d Mosca».
Da chi sono formate le vostre unità?
«Ci sono diversi russi e bielorussi, oppositori del regime di Putin, che combattono al nostro fianco. Nel 2014, quando comandavo il reparto esploratori del battaglione Azov, avevo diversi italiani, compresi cecchini. C'erano anche altri europei: svedesi, croati, finlandesi, francesi e molti polacchi. Nuovi volontari stanno arrivando e una cinquantina sono già a Leopoli (nell'ovest del Paese, nda) pronti ad unirsi alla brigata. Ovviamente gli italiani sono i benvenuti».
Chi si può arruolare?
«Accettiamo solo volontari con esperienza militare capaci di utilizzare le numerosE armi che stiamo ricevendo dall'Europa. L'Ucraina ha bisogno di una vera e propria Legione internazionale che combatta contro Putin. La guerra in Ucraina è per l'Europa, per i nostri valori e per la libertà».
L. Cr. Per “il Corriere della Sera” il 18 Aprile 2022.
«Resa? Non ne abbiamo mai neppure parlato. I russi possono tranquillamente fare a meno dei loro ultimatum. Gli eroi combattenti di Mariupol si batteranno sino all'ultimo uomo, non cercano il martirio ma sono pronti a morire. Ma i rinforzi arriveranno prima».
Resta quasi interdetto il comandante Michail Pirog quando gli si chiede dell'eventualità che gli ucraini accerchiati da quasi due mesi scelgano di arrendersi per avere salva la vita: «Non è un'opzione contemplata», spiega calmo. A 55 anni, Pirog guida il quarto Battaglione dei volontari della formazione nazionalista Azov, circa mille uomini nel distretto di Zaporizhzhia, la città del Centro-Sud più prossima a Mariupol.
Quanti sono gli ucraini accerchiati che ancora combattono?
«Sono dati riservati. Posso dirle che ci sono Marine della 36esima e 503esima Brigata, soldati della Guardia nazionale e tanti volontari della Azov. Sono unità ancora operative, siamo riusciti a inviare loro rinforzi di armi e munizioni sino a poche settimane fa.
Possono ancora resistere per settimane, ma gli mancano cibo e acqua come ai civili».
Qui negli ambienti militari si parla di circa mille soldati ucraini accerchiati contro 10.000 russi. Ha senso?
«Sì, direi che la proporzione è quella. Non so però dire con precisione quali quartieri siano ancora nelle loro mani oltre alla zona delle acciaierie Azovstal, anche perché le posizioni cambiano di continuo: stiamo parlando di una battaglia tra le vie di una grande zona urbana. I posti di resistenza sono parecchi e rendono complicata l'avanzata russa».
Una classica guerriglia urbana con bombe molotov e cecchini?
«Direi più di così. I nostri posseggono ancora razzi, armi anticarro, mortai leggeri.
Sono soldati di un esercito, non guerriglieri urbani».
Cosa risponde a chi, anche tra i Paesi europei alleati dell'Ucraina, accusa la Azov di essere una formazione neonazista e razzista?
«Noi siamo patrioti che combattono per la libertà e la democrazia. La propaganda russa falsifica la realtà e ci accusa di nazismo, mentre sono proprio i soldati russi a uccidere civili, a rubare e violentare. Sono loro i nuovi hitleriani. Noi ci battiamo anche per difendere le democrazie europee contro il fascismo espansionista di Putin».
E le vostre origini cosacche? Siete figli delle stesse unità che stavano a fianco delle SS durante la Seconda guerra mondiale.
«Lo sa che c'erano un mucchio di russi collaborazionisti tra le guardie dei lager nazisti? Ma l'Armata Rossa era un'altra cosa. Per noi l'anima cosacca è oggi sinonimo di libertà contro la dittatura oppressiva di Putin. Altro che razzisti! Con noi ci sono ebrei, azeri, tartari di Crimea, armeni, cattolici, musulmani».
Chi vi critica menziona la svastica sulle vostre uniformi e bandiere.
«La svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo. Accusereste mai gli indiani per le svastiche antiche millenni? Ma sono discorsi che davvero oggi non hanno senso. La realtà è che ci stiamo difendendo da un'aggressione violenta e fanatica. Abbiamo bisogno di tutto il vostro aiuto».
Odessa, "la brigata Azov in campo contro i russi": estremisti neri e legione straniera, clamoroso sul campo di battaglia. Libero Quotidiano il 04 marzo 2022
Anche la "Brigata Azov" schierata contro i russi. La famigerata "legione straniera di estremisti neri" filo-ucraini ha fatto la sua comparsa sullo scenario bellico a Odessa, uno dei fronti-chiave per la guerra in Ucraina. Mercoledì "una vedetta lanciamissili ha colpito una nave russa", spiega Repubblica a proposito della città affacciata sul Mar Nero, snodo tattico fondamentale al Sud. Porto importantissimo e vera e propria "porta" per Vladimir Putin non solo nel controllo del Paese, che verrebbe letteralmente tagliato in due, ma soprattutto verso la Transnistria, il territorio indipendente nella confinante Moldavia che secondo molti analisti internazionali potrebbe essere la prossima tappa della folle campagna militare iniziata una settimana fa. E lo stesso presidente della Bielorussia Lukashenko, dittatore-fantoccio in mano al Cremlino, ha incautamente mostrato la prossima direttrice bellica dell'esercito russo.
Finora Odessa è in attesa e assista alla resistenza drammatica di un altro porto ucraino, Mariupol, assediato dai russi e sfinito. Resta un grave sospetto, un'ombra sull'avanzata dei russi nel resto del Paese. "Putin ha sottovalutato la resistenza ucraina: sia quella dei militari che quella dei civili", scrive sempre Repubblica. E poi ci sono i caduti: le cifre ufficiose, che il Cremlino non può né vuole confermare, parlano di tremila russi morti in una sola settimana, "troppi caduti per quella presentata come una operazione di pace nel Donbass".
L'impressione, almeno per ora, è che la resistenza ucraina e la tattica mordi-e-fuggi dei soldati di casa abbia spiazzato i vertici militari russi. "La difesa sul confine russo e nel Donbass è dinamica - sottolinea sempre Repubblica -, alternando azioni di guerriglia e battaglie tradizionali. Semoventi di artiglieria sparano e scompaiono nei boschi; bunker lasciano passare le avanguardie corazzate e poi decimano le seconde linee; plotoni di fanti compaiono all'improvviso nelle località che i russi ritenevano sicure". Questo finché non arriveranno i bombardieri russi, quando cioè i bombardamenti saranno meno "mirati" e le città ucraine non diventeranno tante Aleppo o Grozny. Più la guerra andrà avanti, più la paura si trasformerà in drammatica certezza.
Foreign fighters nella guerra in Ucraina: i 60 italiani «neri» e «rossi» sul fronte del Donbass. Goffredo Buccini su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022.
L’Antiterrorismo: combattenti in entrambi gli schieramenti. Estremisti o mercenari, quelli che hanno risposto al richiamo in Ucraina sono 17mila e vengono da cinquanta Paesi.
Nel cuore della primula nera del Donbass pietà l’è morta: «L’Ucraina come Stato unitario cesserà di esistere, ha venduto l’anima al diavolo». E il diavolo, si capisce, è l’America ma siamo anche un po’ noi, «colonia americana, non alleati ma servi». Il bersaglio sono le odiate democrazie liberali «dei diritti da esportare». Scrive da una corsia dell’ospedale di Lugansk Andrea Palmeri, il latitante italiano più famoso nel nuovo inferno creato da Vladimir Putin, aggiornando su Facebook un profilo con bandiera imperiale di «Santa Madre Russia». Detto «il generalissimo» da quand’era capo degli ultrà del Lucca, una condanna a 5 anni sulle spalle, venne salutato con entusiasmo al suo arrivo dal governatore dell’autoproclamata repubblica autonoma di Donetsk nel 2014: «Un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia!».
Il reclutamento
Da allora ha raccolto fondi e addestrato soldati di ventura, è stato un apripista per la nuova brigata internazionale. Da non confondere in alcun modo con i ragazzi ucraini che, residenti da noi con le famiglie, stanno partendo in queste ore per difendere la loro patria sotto attacco, ecco dunque i foreign fighters: coloro che negli anni hanno risposto al richiamo dell’ideologia o alla paga da mercenario accorrendo in Ucraina orientale sono diciassettemila, provenienti da cinquanta Paesi, sia tra i ranghi delle milizie nazionaliste che di quelle separatiste.
Tra essi, secondo stime dell’Antiterrorismo, gli italiani sono una sessantina. Al loro rientro, spiegano le medesime fonti, si rischierà «un travaso in organizzazioni che fanno parte della galassia dell’ultranazionalismo».
Per questi futuri returnees, l’Ucraina sarebbe ciò che la Siria è stata per i jihadisti, una palestra di sangue e azione: «Potrebbero rientrare come terroristi capaci di compiere attentati e soprattutto di diventare “cattivi maestri” per tanti giovani». È l’estrema destra il loro milieu fondamentale (benché non il solo): popolato da soggetti del radicalismo nero vicini a Lealtà e Azione, a Forza nuova e a formazioni naziskin, così come dimostrato dai primi due processi imbastiti a carico di reclutatori e mercenari, a Genova e a Messina, con le prime condanne, alcune delle quali in contumacia (tra i latitanti, il rampollo di una dirigente leghista del Varesotto, «orgogliosa» delle scelte del figlio ma «preoccupata come madre»). L’esaltazione è spesso la molla principale di molti, poiché talvolta la paga non supera i 400 dollari al mese. Parlare di mercenari può dunque essere improprio, almeno in alcuni casi.
L’ideologia
«Per noi e i ragazzi europei il Donbass può rappresentare ciò che era la Fiume del Novecento», racconta in un’intercettazione Orazio Maria Gnerre, amico del leader neofascista Roberto Fiore. Nemmeno trentenne, Gnerre è prezioso per inquadrare il panorama «rossobruno» sullo sfondo. Politologo e saggista (il suo Prima che il mondo fosse si cimenta con i concetti di volontà ed eccezione nel decisionismo novecentesco), è stato coinvolto nell’inchiesta di Genova che ha portato alla condanna di un ex parà russo e di un aspirante legionario moldavo, ma la sua posizione è stata archiviata. Rigetta da tempo l’etichetta di «estremista di destra», avendo fondato «Millennium-partito comunitarista europeo» e intrattenendo «rapporti culturali» con il vero guru del sogno euroasiatico di Putin, Alexandr Dugin, filosofo antimodernista formatosi su Evola.
È studiando miti e retroterra culturale dei miliziani venuti dall’Italia che si capisce come la sfida ultima sia tra la modernità dell’Occidente e i valori premoderni della Russia putiniana, ben sintetizzati nel parterre del summit di San Pietroburgo che nel 2015 riunì il gotha del sovranismo europeo. La chiave è trasversale. Ecco, infatti, sulla scena anche il «Comitato per il Donbass antinazista», che ha la sua base nel quartiere di San Lorenzo a Roma: proprio da qui potrebbe essere partito un romano cui ancora l’antiterrorismo cerca di dare un nome, l’elusivo «comandante Nemo», anima della brigata InterUnit. È il secondo filone: quello «rosso». Del resto, nel processo di Genova, appare un militante dell’estrema sinistra già vicino al Pkk curdo come Luca Pintaudi.
Molte categorie si mescolano. Da Kiev i neonazisti del battaglione Azov hanno intessuto rapporti cordiali con gli italiani di CasaPound. E «in Ucraina e in Russia ci sono pure movimenti che si dicono comunisti ma al 90% delle cose la pensano come noi», medita Gnerre nell’ennesima, illuminante intercettazione, che nel suo caso — rammentiamolo — ha un mero valore storico. Un situazionista come Pino Russo, finito nell’inchiesta di Messina, sintetizza al telefono tanto caos con inconsapevole slancio marinettiano: «È stato bello sparare come i pazzi, vrrrumm, vrrummm!». E il «generalissimo» Palmeri chiosa da par suo: «Spara per primo, per non fare la fine di Piero». È l’ultimo oltraggio, per noi che credemmo nella pace: lo stupro delle rime di De André.
Volontari da tutta Europa per difendere l’Ucraina da Putin: nasce la Brigata internazionale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 28 Febbraio 2022.
Per la Brigata Internazionale ucraina sono stati organizzati centri di reclutamento presso le ambasciate ucraine nel mondo. Inglesi, svedesi, azeri e volontari di altri paesi hanno già combattuto a fianco delle forze ucraine nella guerra che infuria dal 2014 nel Donbass contro le forze filo- russe. Arriveranno anche i ceceni in esilio della Repubblica cecena di Ichkeria dopo la sanguinosa vittoria militare di Kadyrov. Si troveranno di fronte i miliziani schierati con i russi proprio dal dittatore di Grozny.
Dopo avere invitato tutta la popolazione in età adulta a imbracciare le armi, Il presidente dell’ Ucraina Volodymir Zelensky ha esortato anche gli stranieri a raggiungere l’Ucraina dall’estero “per la nostra difesa territoriale” e ieri ha annunciato la creazione di una Brigata Internazionale di volontari per combattere contro l’invasione russa. Un appello ha suscitato immediatamente adesioni in tutto il mondo. “Se dei cittadini britannici vogliono appoggiare la lotta per la libertà di Kiev, il governo è assolutamente disposto a sostenerli” ha dichiarato Liz Truss, ministra degli Esteri del Regno Unito, aggiungendo “Il popolo ucraino sta combattendo per la libertà e la democrazia non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa“. E’ significativo che Londra lo abbia avvallato, dopo avere perseguito a livello giudiziario gli inglesi che in anni recenti si sono arruolati nella jihad dell’Isis andando a unirsi alle forze del sedicente stato islamico in Siria, processati per terrorismo e talvolta privati della cittadinanza.
Anche la Danimarca ha dato il suo assenso all’iniziativa ucraina: “È una scelta che può fare chiunque” ha detto la premier Mette Frederiksen. “Vale per i molti ucraini che vivono fra noi, ma anche per gli altri che pensano di poter contribuire al conflitto “. Il primo ministro danese ha aggiunto di non vedere “alcun ostacolo legale” al progetto.
Anche da Israele e da altri paesi si sono levate voci a sostegno della chiamata alle armi del presidente ucraino. Una sorta di “legione straniera” di volontari che ricorda il precedente storico delle Brigate Internazionali formate durante la guerra civile spagnola del 1936-’38 per combattere con le truppe repubblicane contro le forze fasciste del generale Francisco Franco: il movimento di solidarietà antifascista al quale parteciparono scrittori come l’inglese George Orwell e l’americano Ernest Hemingway e che vide l’ adesione e partecipazione di circa 4 mila combattenti italiani, tra i quali Luigi Longo, Emilio Lussu, Rodoldo Pacciardi e Carlo Rosselli.
“La Legione georgiana è al fianco dell’Ucraina per combattere i russi. Abbiamo aperto l’arruolamento una decina di giorni fa e stanno arrivando un centinaio di richieste al giorno da tutto il mondo. Cinque italiani, ex militari, vogliono unirsi a noi per addestrare i volontari e aiutare gli ucraini a difendere la libertà del loro paese” rivela Mamuka Mamulashvili. Al centro dello stendardo bianco della Legione, nata nel 2014, svetta un lupo. Il comandante aggiunge che “gli italiani dovrebbero arrivare molto presto, in questi giorni, se non bloccano i voli” come è già stato annunciato da lunedì. Alle sue spalle sventola la bandiera crociata della Georgia in mezzo ad una specie di campo sportivo all’aperto, dove vengono addestrati i civili, che sono pronti a combattere se i russi invaderanno il paese.
Per la Brigata Internazionale ucraina sono stati organizzati centri di reclutamento presso le ambasciate ucraine nel mondo. Inglesi, svedesi, azeri e volontari di altri paesi hanno già combattuto a fianco delle forze ucraine nella guerra che infuria dal 2014 nel Donbass contro le forze filo- russe. Arriveranno anche i ceceni in esilio della Repubblica cecena di Ichkeria dopo la sanguinosa vittoria militare di Kadyrov. Si troveranno di fronte i miliziani schierati con i russi proprio dal dittatore di Grozny.
I veterani georgiani sono 200, in gran parte sul fronte del Donbass. La brigata è diventata internazionale con l’arrivo di americani, inglesi, albanesi e anche un indiano. Molti sono ex soldati e fra i georgiani alcuni non si fanno fotografare perché, ammettono gli stessi combattenti, “sono ricercati dall’Fsb”, i servizi segreti russi. Uno di loro si copre il volto con una sciarpetta militare, che non può nascondere l’accento americano: “Sono arrivato da un paio di giorni. La Legione recluta in tutto il mondo. Addestriamo i volontari alle tattiche sul campo di battaglia. Io ero nell’esercito Usa e terrò le lezioni di primo soccorso“. Il volontario in mimetica da combattimento viene dalla California e all’ingresso della “base”, alla periferia della capitale, sventolano la bandiera a stelle e strisce e quella georgiana. Dasha Khomenko è un’affascinante bionda di 23 anni con gli occhi verdi, che per la prima volta indossa un giubbotto militare con lo stemma di un teschio sulla spalla. “Voglio combattere contro i russi come hanno fatto i georgiani. Non scapperò e non ho paura di morire per la mia patria” garantisce la volontaria.
Un riservista porta uno scudetto sull’uniforme che non lascia dubbi: “Mia madre è l’Ucraina e mio padre Bandera”, l’eroe ultranazionalista che aveva dato del filo da torcere ai sovietici anche dopo la fine della seconda guerra mondiale con i partigiani annidati nell’ovest del paese. Mosca lo vede come fumo negli occhi. Ad un’ora di macchina da Kiev, dopo essere sbucati da una fitta foresta, altre centinaia di riservisti e volontari si preparano ad uno scenario post Chernobyl in mezzo a scheletri in cemento di vecchi stabilimenti.
La difesa territoriale, che al fianco dell’esercito, dovrebbe fronteggiare e fermare i russi è composta pure da casalinghe, studenti, impiegati pubblici, informatici pronti ad imbracciare le armi. E conta su un testimonial d’eccezione, Taras Topoly, della banda musicale amata dai giovani, «Antytila», che rilancia video invitando alla mobilitazione generale. “Anche mia madre e donne anziane vogliono far parte della difesa territoriale – racconta un veterano della guerra nel Donbass – Sappiamo che a voi sembra incredibile, ma noi crediamo veramente che i russi ci invaderanno e siamo pronti a resistere“.
Putin a questo punto dovrebbe rendersi conto che contro di lui praticamente si è schierato il mondo intero.
Redazione CdG 1947
Da Byron all’Ucraina, il richiamo eterno delle “Brigate Internazionali”. Andrea Muratore su Inside Over l'8 marzo 2022.
Il termine di “Brigate Internazionali” è universalmente associato alle truppe che si arruolarono volontarie da tutti i Paesi del mondo per soccorrere la Spagna repubblicana assediata dall’insurrezione franchista tra il 1936 e il 1939, aiutandola nella Guerra civile spagnola. Il suo rilancio da parte del presidente ucraino Volodymir Zelensky a seguito dell’aggressione russa si inserisce in una retorica narrativa che, dal punto di vista di Kiev, individua in Vladimir Putin il nuovo Hitler, nell’Ucraina l’antemurale al confronto decisivo tra democrazia e dittatura. E dunque nella nuova Spagna, la cui caduta definitiva nelle mani del regime franchista precedette di pochi mesi lo scoppio del Secondo conflitto mondiale.
Dalla Danimarca al Regno Unito, passando per la Lituania, diversi Paesi hanno già dichiarato che non si opporranno all’afflusso in Ucraina di loro concittadini desiderosi di inquadrarsi nelle fila delle armate di Kiev. La chiamata alle armi da parte dell’Ucraina dei volontari internazionali ci porta a riflettere su quanto, negli ultimi due secoli, più volte delle cause politico-strategiche abbiano ricevuto una risposta corale da parte di volontari e combattenti provenienti, soprattutto dai Paesi occidentali. Il caso della Spagna è il più famoso, ma non è unico. Cosa spinge un uomo a legarsi sentimentalmente a una causa lontana? Cosa lo porta a identificarsi in esso, fondersi in un tutt’uno con la sua volontà di resistenza, aderire alla sua chiamata alle armi? Questa è una coppia di domande che ha avuto risposte diverse negli ultimi due secoli. Da quando, cioè, le prime “Brigate Internazionali” ante litteram ebbero un cantore d’eccezione: lord Byron.
Byron e Garibaldi, il volontarismo "romantico"
Mentre nel cuore dell’Europa mediterranea la Grecia, a partire dal 1821, si ribellava contro la plurisecolare dominazione ottomana, George Byron nel Regno Unito vide in essa il simbolo dell’epica romantica di cui era imbevuta la sua opera letteraria. Nella retorica degli indipendentisti greci, cavalcata dallo Zar Alessandro di Russia, la libertà ellenica intendeva riscattare i lumi dell’antichità contro i secoli bui della dominazione turca, le radici della civiltà contro il sintomo declinista dell’età oscura, l’Europa come comunità ideale contro il Grande Altro, incarnato dallo stereotipo perenne del Turco. Nel 1823 Byron, persuaso dall’amico John Cam Hobhouse, aderì all’associazione londinese filoellenica a sostegno della guerra d’indipendenza greca contro l’Impero ottomano.
In Europa occidentale, il caso greco diventò inoltre il simbolo della lotta dei liberali e finì per incarnarne tutte le loro cause: la libertà contro il dispotismo, ma anche il diritto dei popoli all’autodeterminazione e la lotta contro l’oppressione di una monarchia conservatrice e arcaica, cause che erano state represse dopo la fine dell’Età di Napoleone, rivissero in Grecia anche grazie all’opera di propaganda di Byron che in Grecia trovò la morte, colpito da febbri malariche, nel 1824 a Missolongi ma che col suo epistolario contribuì a infiammare l’Europa a favore della causa greca. Conclusasi infine al termine del decennio con l’indipendenza, anche grazie al continuo afflusso di volontari dall’Europa e perfino dal Nord America.
Alcuni decenni dopo fu Giuseppe Garibaldi a diventare il simbolo della lotta contro ogni oppressione. L’Eroe dei Due Mondi si conquistò questa fama con le sue campagne in Sud America, dapprima a fianco del Rio Grande do Sud in lotta contro l’Impero Brasiliano (1839), in seguito combattendo con i “Colorados” uruguaiani alleati con gli Unitari argentini contro i “Blancos” dell’ex presidente uruguaiano Oribe, alleati con i federalisti argentini di Rosas; in entrambi i casi le gesta di Garibaldi gli procurarono la notorietà che l’avrebbe accompagnato fino allo sbarco in Sicilia del 1860. Dopo l’unità d’Italia, Garibaldi comandò in due occasioni vere e proprie armate multinazionali: il Corpo Volontari Italiani di 43mila uomini, composto anche da centinaia di stranieri (francesi, spagnoli, tedeschi, polacchi) che operò nel corso della terza guerra di indipendenza del 1866 sul fronte del Trentino contro l’impero austriaco e, episodio meno noto, l’Armata dei Vosgi della Terza Repubblica Francese attiva nelle fasi finali della guerra contro la Prussia di Bismarck nel 1870.
Le Brigate Internazionali e la coalizione antifascista
Non a caso proprio a Garibaldi furono dedicate le unità italiane impegnate nella Guerra civile spagnola. Una vera e propria guerra intestina tra italiani, con decine di migliaia di volontari a sostegno della Repubblica che si opponevano ai corpi mandati da Benito Mussolini a sostegno di Franco.
Prima delle brigate internazionali si erano costituite delle spontanee colonne, come la Colonna Italiana di ispirazione prevalentemente libertaria e giellista (Giustizia e Libertà) creata dagli esuli antifascisti Emilio Lussu, Carlo Rosselli, Mario Angeloni. In seguito anche Randolfo Pacciardi (repubblicano) e Luigi Longo (comunista) ricevettero in Spagna il battesimo del fuoco che li avrebbe fatto inaugurare una carriera nelle fila dell’antifascismo destinata a durare fino alla Resistenza.
Lo storico tedesco Arno Lustiger, nel libro Shalom Libertad!, stima inoltre che un’altra grande quota di combattenti fosse quella dei volontari ebrei, il cui numero pare in un certo momento raggiungesse le 7.758 unità, vale a dire poco meno di un quinto dell’intero corpo volontario.
Anche artisti e scrittori come George Orwell e Andre Malraux parteciparono ai combattimenti sanguinosi, un’esperienza traumatica che segnò una tappa cruciale della guerra civile europea ma consolidò, al tempo stesso, l’opposizione internazionale contro il fascismo. Un pensatore di estrema destra come Julius Evola avrebbe scritto che “la mia patria è dove si combatte per il mio ideale. Per una particolare eterogenesi dei fini, sarebbero stati proprio i volontari antifascisti a dare una vera interpretazione di questo detto.
I casi del secondo dopoguerra
Dal Mozambico all’Angola, le guerre di decolonizzazione contro l’Impero portoghese nel secondo dopoguerra chiamarono volontari da entrambe le parti: sia sul fronte di chi vedeva nell’Africa australe la nuova trincea per la libertà dei popoli, e Cuba iniziò con l’invio di volontari per poi intervenire con l’esercito regolare nei successivi conflitti civili seguiti alla decolonizzazione, sia di chi si batteva nella trincea anticomunista.
Più recentemente, è stata nota a livello globale la causa dei Curdi siriani, che ha attratto un’onda di sentimenti contraddittoria: simboli del confederalismo democratico e idoli della sinistra radicale occidentale, i Curdi resistenti contro l’Isis e attaccati dalla Turchia sono stati però portatori di uno dei più convinti sentimenti nazionalisti. A testimonianza della fluidità delle cause per cui spesso i volontari andarono a combattere. Il Donbass ha mostrato invece un lato più inquietante di questo fenomeno, con estremisti di destra e di sinistra di tutta Europa andati ad arruolarsi o nelle formazioni separatiste o nelle milizie di sostegno all’esercito ucraino. Zelensky ora chiama a una guerra di resistenza col sostegno di volontari europei. Sarà la sua coalizione una nuova forma delle “Brigate Internazionali”? Ancora presto per dirlo. Ma unendo la sua causa di libertà a quella dell’Europa intera, il presidente prova a inserirsi in un solco ben chiaro, che da Byron e Garibaldi arriva fino a noi. E la storia continua a marciare anche in un’Europa che credeva di poterne fare a meno.
«Sono italiano e ho deciso di andare a combattere per l’Ucraina. Non credo tornerò vivo». Rita Rapisardi su La Repubblica il 3 Marzo 2022.
L’Espresso ha parlato con Marco (nome di fantasia), uno dei primi connazionali che ha aderito alla chiamata internazionale alle armi di Zelensky. Già nella legione straniera francese, al rientro in Italia rischia il carcere.
“Per sostenere la resistenza contro gli occupanti russi e difendere la sicurezza globale, stiamo formando una legione internazionale”, così twitta Volodymyr Zelensky il 27 febbraio, rievocando le brigate internazionali create durante la Guerra civile spagnola del 1936. Dopo l’annuncio del presidente ucraino Marco (nome di fantasia) non ci pensa un secondo. Dalla Bolivia prende un volo per Milano e torna in Italia: vuole arruolarsi per difendere l’Ucraina.
Sembra che siano migliaia i volontari che da tutto il mondo stanno facendo domanda per partire verso il paese assediato da Vladimir Putin per questo le pratiche di arruolamento sono veloci, due giorni e si parte. «Quello dell’Ucraina è un grido di aiuto. Di fatto sono soli, anche se la Nato fornisce armamenti, cibo, servono uomini sul terreno. Chi ha fatto il militare capisce che quella colonna di carro armati lunga 60 chilometri è un segnale forte: Putin vuole distruggere Kiev e non so se si fermeranno solo alla capitale», racconta Marco con voce ferma e tranquilla. La sua paura è quella che la Russia punti addirittura alla Polonia; per lui vedere anziani, bambini, donne che restano a difendere il territorio, imbracciando fucili per la prima volta o contribuendo con la creazione di molotov, fa male. «Preferisco aiutare concretamente invece che mandare soldi o vestiti».
Per questo martedì si reca al consolato ucraino a Milano dove, dopo una breve intervista, firma tre fogli: una lettera in bianco in cui dice che si arruola come volontario nella Legione Straniera di Difesa Territoriale dell’Ucraina, un foglio con i suoi dati e la fotocopia dei documenti. Unica domanda: se ha passate esperienze militari. Marco firma subito di fronte a un funzionario ucraino e una donna che traduce tutto quello che dice. Lo stringono in un grande abbraccio e lo ringraziano. «Mi hanno detto che sono il terzo-quarto italiano che ha chiesto di arruolarsi, la maggior parte va all’ambasciata di Roma e gli appartenenti alla legione straniera non passano neanche di lì: hanno dei pass speciali».
Per un decreto ministeriale ucraino del 2016 ai sensi della normativa sul servizio militare nelle Forze Armate degli stranieri e degli apolidi, un cittadino straniero può, su base volontaria, arruolarsi nelle forze armate, comprese quelle di difesa territoriale. Ma se la legislatura ucraina è aperta a riguardo, quella italiana lo è meno. La maggior parte dei paesi occidentali, compresa l’Italia, ha leggi che puniscono l’unirsi a ranghi militari stranieri. Dopo i fatti di Parigi del 2015, poi, e il decreto antiterrorismo, imbracciare armi fuori dal territorio italiano può portare a una condanna da tre a sei anni. Per alcuni si è chiuso spesso un occhio. Ma molti italiani andati in Siria a fianco dei curdi hanno subito processi e condanne, com’è stato per Eddi Marcucci, sorvegliata speciale dal 2020. Nessuno sconto invece per chi si è unito all’Isis. Al momento solo il governo britannico ha dato il suo benestare ai giovani combattenti. «Noi andiamo per difendere, non per provocare - dice Marco - Non interessa se ci sarà la prigione per me una volta tornato in Italia: ora voglio andare a salvare vite».
L’arruolamento
L’unico foglio che rilasciano al consolato di Milano (come all’Ambasciata di Roma) - e che l’Espresso ha visionato - è quello con le istruzioni per entrare in Ucraina: la lista degli spostamenti, i riferimenti delle cariche militari e il commissariato a cui rivolgersi una volta lì. Marco partirà da Malpensa verso Londra. Da lì andrà in Polonia, a Rzeszon, dove ci sono dei pullman per i gruppi di reclutamento, poi indirizzati con mezzi blindati fino a Korchova, proprio sulla frontiera. Una volta in Ucraina firmerà un altro documento per l’arruolamento volontario. Poi dritto al coordinamento di Novoyavorivsk, prima di Lviv (Leopoli), dove, dopo un colloquio con un ufficiale, a lui e ai soldati sarà detto dove andranno in base all’esperienza e dove c’è bisogno. Troveranno anche divise ed equipaggiamenti.
«Da quello che ho capito stanno mandando tutti a Kiev, perché ceceni e russi stanno circondando la città e puntano ad abbatterla. Lì ci sarà la grande resistenza, c’è da capire se la Russia vuole fare una carneficina o se è solo pressione psicologica. Se prendono Kiev è finito tutto». Marco è un franco tiratore cecchino, la probabilità che finisca nella capitale è alta.
Ha già un volo per mercoledì, ma non so sa se riuscirà a prenderlo: «Devo aspettare le placche di riconoscimento con i miei dati e devono confermarmi tutti gli spostamenti. So già che la comunicazione lì sarà difficile, i nostri telefoni non prendono, la connessione è saltata ovunque, le reti sono state distrutte». Forse daranno dei telefoni ai volontari, hanno consigliato a tutti di avere una lista con i numeri di emergenza e da chiamare, ma è difficile che queste chiamate avverranno: gli ucraini hanno paura di essere intercettati.
Un passato nella legione straniera francese
Marco non è nuovo al mondo militare. Aveva 21 anni quando fa domanda per entrare nella legione straniera francese, lo storico corpo militare noto per la durissima formazione. Marco ci rimane per due anni.
«Mi sono arruolato in un momento difficile della mia vita, era morta mia madre e mi sentivo fragile e confuso. Giocavo a calcio a livello professionistico e non sapevo se continuare o meno. Avevo anche problemi con mio padre». Prima di quel giorno nessuna esperienza con le armi, anche se da quando era adolescente aveva una passione per i corpi militari: «Mi informavo sulle varie accademie. Un anno ho provato ad entrare all’Accademia Teulié, ma ero vecchio di un anno. Dopo quella porta in faccia chiusa non ci ho provato più».
Marco sceglie di andare in Francia, a Aubagne, inizia una preselezione fisica e psicologica severa: dei 500 candidati iniziali, ne rimangono otto. Poi si ritrova a Castelnaudary. «Nella legione corri, non ti fermi mai, ti dicono che devi correre sempre. Ti svegliano di notte all’improvviso per correre, anche sotto la pioggia». C’è una selezione per i ragazzi più forti, quelli che resistono maggiormente allo stress, per questo il test psicologico è fatto per essere passato solo da uno su cinquanta: «Vogliono una mente libera e lavorabile, per farti diventare una macchina da guerra. Molti di quelli che escono da lì diventano mercenari». Dopo due anni Marco fa richiesta di abbandono, al terzo l’avrebbero mandato in territori ostili: «Avevano iniziato a plasmarmi, ero una persona fredda e senza sentimenti. L’amore per la mia famiglia e mia madre mi hanno portato indietro. Non volevo diventare di pietra».
E ora mancano poche ore alla partenza per l’Ucraina. Marco ha avvisato della sua scelta il padre e il suo migliore amico, da cui è ospite in questo momento. «Non ci credo ancora che abbia preso questa decisione. Sono senza parole, sto male perché so che non è un gioco questo», dice l’amico. Alle spalle si è lasciato la Bolivia, dove vive da due anni, un lavoro, una relazione, che ha troncato prima della partenza senza dire alla sua compagna il perché: «È la cosa migliore per lei. Deve andare avanti nella sua vita personale e professionale. Non può stare a preoccuparsi se io sono vivo o no».
«Ho già fatto testamento, so che le probabilità di sopravvivere sono poche, forse meno del 50 per cento», dice con il tono sereno che mantenuto per tutto il tempo. Non è freddo, ma consapevole. Alla fine della discussione Marco aggiunge: «Dimenticavo, sono nato in Russia, da una famiglia russa che non poteva mantenermi, mi hanno messo in un orfanotrofio e sono stato adottato a sette anni. Ho sangue russo, ma lì Putin sta bombardando anche i russi».
Gli italiani che combattono in Ucraina rischiano il carcere fino all'ergastolo. Flick gela i freedom fighter. Il Tempo il 04 marzo 2022
Viste le implicazioni ci siamo dentro con tutte le scarpe ma è bene chiarire: l'Italia è in guerra o no? A rispondere l'interrogativo è il costituzionalista Giovanni Maria Flick, già presidente della Consulta e ministro della Giustizia. "Stiamo aiutando un Paese a esercitare la legittima difesa. Non è un'operazione strettamente bellica. Il confine fra i due concetti è esattamente definito" dice il giurista che spiega: "Non c'è un atto ostile contro uno Stato estero. Ci si muove nell'ambito di un trattato Nato, siamo al di fuori dell'ambito della guerra che dobbiamo ripudiare".
L'Italia però invierà armi a Kiev. "Bene ha fatto" il premier Mario Draghi a" esplicitare la natura dell'intervento e le sue motivazioni di fronte a Camera e Senato", dice Flick a Repubblica, perché "è sufficiente la minaccia esterna su un Paese confinante con l'organizzazione: Polonia e Romania, membri Nato, confinano con l'Ucraina. L'Italia sta interpretando correttamente la duplice portata dell'articolo 11 della Costituzione: limitare il male della guerra alle ipotesi di difesa legittima, e adempiere ai doveri di solidarietà e coesione che caratterizzano un trattato internazionale a favore della pace. Il patto atlantico è nato con questo fine". Insomma, non siamo in guerra e l0invio delle armi è stato deciso con tutti i crismi, sostiene il costituzionalista.
Diverso il discorso per i cosiddetti freedom fighter. ossia gli italiani che hanno accolto l'appello del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a unirsi alla resistenza e sono partiti, o lo faranno, per combattere contro l'esercito russo. Sappiano che commettono un reato "a meno che non abbiano l'approvazione del governo", spiega Flick. La Costituzione prevede che i cittadini abbiano diritto di associarsi liberamente ma "specifica che sono proibite le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare", inoltre il Codice Penale "prevede la punizione di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero con pene da 6 a 18 anni, ma fino all'ergastolo se poi qualcuno attacca per ritorsione l'Italia". In aggiunta c'è la legge 210 del 1995 che "punisce tanto il mercenario quanto chi lo recluta con pene fino a 14 anni. L'arruolamento infine è punito dall'articolo 270 quater del Codice Penale, introdotto nel 1995 con riferimento alle finalità di terrorismo".
“Mamma, qui è un inferno”. Nelle voci dei soldati russi il terrore sul fronte Sud. Brunella Giovara su La Repubblica il 30 Agosto 2022.
Ai checkpoint ucraini, rivolte verso il nemico, ci sono lapidi nere con il viso di Putin con la data di morte indicata per il 2022
Le telefonate intercettate dai servizi segreti di Kiev rivelano l’angoscia delle truppe a Kherson di fronte all’offensiva ucraina. Uno dice: «I comandanti non sono qui con noi». E dove sono, domanda l’amico. «A distanza di sicurezza», e ride, ma c’è poco da ridere sul fronte di Kherson, se le cose vanno davvero così. Ci sono alcune intercettazioni recenti, telefonate tra soldati russi, e tra soldati e la Russia, diffuse dal servizio segreto ucraino Sbu.
Mosca abbandona i cadaveri dei soldati e non risarcisce le famiglie. Redazione Tgcom24 il 28 luglio 2022.
Niente corpo da seppellire e quindi niente risarcimento. E' il drammatico meccanismo messo in atto dai russi secondo quanto denunciato dal ministero degli Esteri ucraino. "I russi non prelevano i cadaveri dei soldati dal campo di battaglia - spiega Oleg Nikolenko - perché, secondo la loro legislazione, la famiglia di ogni morto riceve sette milioni di rubli. Se il soldato è scomparso nessun corpo significa niente soldi".
La denuncia arriva dalle colonne dell'intervista all' Irish Time.
Secondo l'agenzia russa Interfax, a marzo Putin avrebbe dichiarato al Consiglio di sicurezza russo che le famiglie dei militari uccisi nella cosiddetta "operazione militare speciale" in Ucraina avrebbero ricevuto un pagamento forfettario di 7,421 milioni di rubli (circa 121.000 euro), in aggiunta a un compenso mensile.
Il bilancio - Gli ultimi dati comunicati dall'Ucraina parlano di oltre 40.200 caduti tra i soldati russi dallo scoppio del conflitto. A questi si aggiunge la distruzione di 1.742 carri armati, 3.979 mezzi corazzati, 117 sistemi di difesa antiaerea, 190 elicotteri, 222 aerei, 729 droni e 15 navi.
Invasione barbarica. Tutti i limiti dell’esercito russo che hanno portato al fallimento della guerra all’Ucraina. L'Inkiesta il 6 Luglio 2022.
Il potere militare non è solo una somma di armi e soldati, ci sono altri fattori da considerare che il Cremlino ha ignorato. La sua «operazione speciale» diventerà un esempio di superficialità e cattiva gestione
Prima dell’invasione del 24 febbraio tutto l’Occidente di vedere concretizzarsi sul campo l’enorme differenza tra l’esercito russo e quello dell’Ucraina. Ammassati al confine tra i due Paesi c’erano 190mila soldati al servizio di Vladimir Putin, ben 120 gruppi tattici, tutti muniti di molte armi, difese e artiglieria, e supporto aereo alle spalle. Pochi immaginavano che le forze ucraine avrebbero potuto resistere a lungo contro una simile organizzazione.
Il potere militare, però, non si pesa solo con gli armamenti e il numero di munizioni. Bisogna tener conto delle risorse del nemico, dei contributi che possono fornire Paesi alleati e partner, ma anche nella qualità degli armamenti stessi – la differenza tra i vecchi sistemi sovietici e i più sofisticati della Nato è enorme – e dall’addestramento e dalla motivazione del personale che li utilizza.
A questi elementi vanno poi aggiunte la capacità economica di un Paese nel sostenere lo sforzo bellico, la resilienza dei sistemi logistici per portare i rifornimenti al fronte, la capacità di mantenere il sostegno per la propria causa e minare quella del nemico, con la costruzione di narrazioni avvincenti in grado di razionalizzare le piccole sconfitte durante il percorso.
Soprattutto, va considerato che il potere militare dipende da un comando efficace. E questo include sia i leader politici di un Paese, che agiscono come comandanti supremi, sia i quadri dell’esercito. L’invasione dell’Ucraina è un promemoria sul ruolo cruciale del comando nel determinare il successo militare. I leader occidentali lo hanno imparato a loro spese – in epoca recente – in Afghanistan e in Iraq: l’equipaggiamento militare e la potenza di fuoco superiori possono ottenere controllo del territorio, ma incidono poco o nulla nella fase di mantenimento e di amministrazione di quella stessa zona.
«In tempo di guerra, i comandanti affrontano la sfida speciale di persuadere i subordinati ad agire contro i propri istinti di sopravvivenza e superare le normali inibizioni sull’uccisione dei loro simili», scrive Lawrence Freedman sul nuovo numero di Foreign Affairs.
L’autore dell’articolo, docente di War Studies al King’s College di Londra, spiega che il comando militare è considerato un tipo specifico di leadership e le qualità ricercate nei capi militari sono le stesse che andrebbero bene in molti altri contesti lavorativi: profonda conoscenza professionale, capacità di utilizzare le risorse in modo efficiente, buona comunicazione, capacità di andare d’accordo con gli altri, un senso di scopo morale e di responsabilità. La differenza rispetto agli altri lavori è nell’alta posta in gioco della guerra e nello stress del combattimento.
Solo che non tutto dipende dai leader: «Non tutti i subordinati seguiranno automaticamente i comandi», si legge su Foreign Affairs. «A volte gli ordini sono inappropriati, forse perché si basano su informazioni incomplete e possono quindi essere ignorati anche dall’ufficiale sul campo più diligente. I subordinati possono cercare alternative alla totale disobbedienza: possono procrastinare, eseguire gli ordini con noncuranza o interpretarli in un modo che si adatta meglio alla situazione che devono affrontare».
La moderna filosofia di comando si è evoluta in altre direzioni: i comandanti si fidano sempre più spesso di coloro che sono vicini all’azione per prendere le decisioni vitali, poi sono pronti a intervenire se gli eventi vanno storti. La filosofia di comando della Russia invece è ancora antiquata, è gerarchica. E sistemi di comando così rigidi possono portare a un’eccessiva cautela, con i subordinati che non osano segnalare problemi e invece insistono sul fatto che tutto va bene.
Quando Putin ha lanciato quella che ha definito «un’operazione militare speciale» in Ucraina, molti osservatori occidentali hanno temuto coscientemente che potesse avere successo. Ma è stato dato poco peso al fatto che l’accumulo di truppe russe, nonostante le dimensioni formidabili, era tutt’altro che sufficiente per prendere e controllare tutta l’Ucraina. Anche molti all’interno o collegati all’esercito russo avrebbero avuto gli elementi per comprendere le difficoltà.
All’inizio di febbraio Igor Girkin, uno dei primi leader separatisti russi nell’invasione della Crimea del 2014, ha osservato che l’esercito ucraino era più preparato di quanto non fosse otto anni prima. Eppure Putin non ha consultato esperti sull’Ucraina, ha preferito affidarsi ai suoi più stretti consiglieri – molti vecchi compagni del Kgb – che hanno fatto eco alle sue opinioni.
Così fin dall’inizio dell’invasione sono state messe in luce gli evidenti limiti del piano russo: il Cremlino prevedeva una guerra breve, con avanzamenti decisivi in diverse parti del Paese fin dal primo giorno – l’elevato numero di direttrici di avanzamento ha creato una serie di guerre separate combattute contemporaneamente, ciascuna con le proprie strutture di comando e senza un meccanismo appropriato per coordinare gli sforzi e valorizzare la superiorità delle risorse in campo.
«L’errore strategico originale di Putin era di presumere che l’Ucraina fosse sufficientemente ostile da impegnarsi in attività anti-russe e incapace di resistere alla potenza dell’esercito russo», si legge su Foreign Affairs. «Durante la festa nazionale del 9 maggio – prosegue Freedman – non c’era molto da festeggiare a Mosca. Erano circolate voci su una mobilitazione generale per rimpolpare l’esercito, ma non se n’è fatto nulla: una mossa del genere sarebbe stata profondamente impopolare in Russia, ci sarebbe voluto troppo tempo per portare coscritti e riservisti al fronte, e la Russia avrebbe comunque dovuto affrontare una cronica carenza di attrezzature».
Dopo i primi tre mesi di conflitto, molti osservatori hanno iniziato a notare che la Russia era rimasta impantanata in una guerra impossibile da vincere, ma che non osava perdere. I governi occidentali e alti funzionari della Nato hanno cominciato a parlare di un conflitto che potrebbe continuare per mesi, e forse anni, a venire.
«Dipenderà molto dalla capacità dei comandanti russi di continuare a combattere con forze esaurite e morale basso, e anche dalla capacità dell’Ucraina di passare da una strategia difensiva a una offensiva. O forse Putin a un certo punto vedrà che conviene chiedere un cessate il fuoco in modo da poter incassare i guadagni realizzati all’inizio della guerra, anche se ciò significherebbe ammettere il fallimento», scrive Freedman su Foreign Affairs.
Non sempre la guerra porta con sé degli insegnamenti, ma il comando russo ha dimostrato cosa può accadere quando non si riescono a inserire tutti i fattori nei propri calcoli. Analisti e strateghi militari studieranno la guerra in Ucraina come esempio dei limiti del potere militare, cercando spiegazioni sul perché una delle forze armate più forti e più grandi del mondo, e con esperienza di combattimento recente e di successo, ha vacillato così malamente.
«La guerra di Putin in Ucraina – è la conclusione dell’articolo di Foreign Affairs – è soprattutto l’esempio di un fallimento del comando supremo. Il modo in cui vengono fissati gli obiettivi e le guerre lanciate dal comandante in capo modella ciò che segue. Gli errori di Putin sono stati quelli tipici dei leader autocratici che arrivano a credere alla propria propaganda: si fidava troppo delle sue forze armate, non si rendeva conto che l’Ucraina rappresentava una sfida su una scala completamente diversa dalle precedenti operazioni in Cecenia, Georgia e Siria, faceva anche affidamento su una struttura di comando rigida e gerarchica che non era in grado di assorbire e adattarsi alle informazioni da terra e, soprattutto, non consentiva alle unità russe di rispondere rapidamente al mutare delle circostanze».
I due eserciti sono a pezzi. Ma Londra lancia l'allarme. "Pronti alla guerra in Ue". Andrea Cuomo il 20 Giugno 2022 su Il Giornale.
Gli 007: "Morale instabile e casi di diserzione". La lettera del capo di Stato maggiore britannico.
Che guerra fa? Al giorno 116 bisogna chiedersi come stanno i due fronti e che cosa dobbiamo aspettarci mentre ci apprestiamo a girare la boa del quarto mese.
Partiamo dai due eserciti nemici, che appaiono stanchi e demotivati. Ci affidiamo volentieri all'analisi dell'intelligence britannica, che negli ultimi mesi è sempre stata acuta nel fare il punto della situazione: secondo Londra sia tra gli ucraini sia tra i russi si verificano numerosi casi di diserzione o insubordinazione. In particolare il morale dell'esercito putiniano appare particolarmente basso malgrado la piega positiva che hanno preso nelle ultime settimane le operazioni militari soprattutto nel Donbass. Si sarebbero verificati casi di intere unità russe che hanno rifiutato ordini, provocando scontri accesi tra ufficiali e le loro truppe. Tra i fattori che determinano il down tra i russi, una insufficiente percezione della leadership, la confusione sui reali obiettivi della guerra, la scarsa rotazione delle unità, le perdite molto pesanti e naturalmente lo stress da combattimento. E si sa che se eserciti motivati non bastano a vincere le guerre, eserciti demotivati certamente le perderanno.
Meno imparziale ma certamente significativa anche l'analisi del consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, secondo cui «i propagandisti russi sono preoccupati perché i difensori ucraini verranno addestrati all'estero prima di andare al fronte. Tutto questo perché l'Ucraina dà il massimo valore alla vita dei suoi cittadini. Chi è mobilitato in Russia non viene addestrato, ma mandato direttamente incontro alla morte come carne da cannone».
Elementi che non fanno che confermare che la guerra sarà lunga e incerta. E piena di incognite anche per i Paesi che finora sono stati solo indirettamente coinvolti. Il nuovo capo di stato maggiore britannico, il generale Sir Patrick Sanders, il primo «dal 1941 ad assumere il comando dell'esercito all'ombra di una guerra terrestre in Europa che coinvolge una grande potenza continentale», ha inviato una lettera a «tutti i gradi e ai dipendenti pubblici» per invitarli a tenersi pronti ad affrontare la minaccia russa che potrebbe diventare incombente. «L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia - scrive Sanders - sottolinea il nostro scopo principale, proteggere il Regno Unito ed essere pronti a combattere e vincere le guerre di terra, e rafforza l'esigenza di scoraggiare l'aggressione russa con la minaccia della forza. Il mondo è cambiato dal 24 febbraio e ora c'è l'imperativo categorico di forgiare un esercito in grado di combattere a fianco dei nostri alleati e di sconfiggere la Russia in battaglia».
Una visione troppo cupa e paranoica? Non certo per il generale, convinto che «siamo la generazione che deve preparare l'esercito a combattere ancora una volta in Europa». Per questo serve «accelerare la mobilitazione e la modernizzazione dell'Esercito per rafforzare la Nato e negare alla Russia la possibilità di occupare altre zone d'Europa».
E del resto anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg la vede più o meno allo stesso modo: la guerra in Ucraina potrebbe «andare avanti per anni», l'Occidente deve quindi essere pronto a offrire a Kiev un supporto di lungo periodo «anche se i costi sono alti, non solo in termini militari ma anche per l'aumento dei costi dell'energia e dei beni alimentari». La guerra è guerra. E non finirà presto.
Così la Difesa Usa “dipende” da Cina e Russia. La geopolitica della corsa allo spazio. Federico Giuliani su Inside Over il 18 giugno 2022.
Gli Stati Uniti sono pronti a recapitare in Ucraina un nuovo pacchetto di aiuti militari dal valore di un miliardo di dollari. Washington invierà a Kiev forniture di sistemi di artiglieria, di difesa missilistica e costiera, e pure altre attrezzature tra cui mirini termici in abbondanza. Volodymyr Zelensky ringrazia, mentre le autorità ucraine chiedono ancora più armi. Il motivo è semplice: nel Donbass l’esercito russo ha aumentato la pressione, sta guadagnando terreno e accerchiando le forze nemiche nelle città chiave.
Certo, Severodonetsk, di fatto l’ultimo e più importante baluardo della regione di Lugansk, continua a resistere ma non sappiamo per quanto tempo ancora sarà in grado di farlo. L’imminente arrivo tra le mani dei soldati ucraini di una decina di MLRS e oltre 100 munizioni potrebbe, in parte, cambiare la situazione nel quadrante orientale del Paese, visto che questi sistemi missilistici possono colpire bersagli situati ad una distanza di 80-85 chilometri.
Attenzione però, perché la coperta a disposizione degli Stati Uniti potrebbe presto mostrarsi per ciò che è diventata: più corta del previsto. Washington ha scelto di supportare, finché sarà possibile, la causa ucraina, inviando armi e armamenti di ogni tipo. Il problema è che le quantità di armi non sono infinite, così come infinite non sono le materie prime a disposizione degli Usa e necessarie alla costruzione dei suddetti armamenti. Lo scenario assume connotati ancora più curiosi se consideriamo un aspetto chiave: la catena di approvvigionamento militare degli Stati Uniti, a causa di politiche economiche spesso miopi, oggi dipende fortemente da Cina e Russia, ovvero dai suoi principali nemici.
I materiali chiave
Per produrre munizioni e altri armamenti sono necessari minerali piuttosto particolari, non sempre facili da reperire. Come ha sottolineato Defense News, l’antimonio è uno di questi, ed è fondamentale per alimentare la supply chain relativa al comparto industriale-difensivo degli Usa.
Indicato con la sigla SB, abbreviazione di stibiu (bastoncino), l’antimonio è necessario per sfornare proiettili perforanti, esplosivi, varie attrezzature militari (visori notturni, per fare un esempio concreto) e pure armi nucleari. L’elenco è in realtà molto più lungo e comprende, tra gli altri, titanio, tungsteno, cobalto e litio.
Il Congresso Usa si è probabilmente mosso in ritardo per far sì che il Paese possa contare su una riserva di minerali e materiali strategici, nota come riserva di difesa nazionale. Ebbene, le stime non sono per niente confortanti: a meno di azioni correttive, di questo passo i minerali e materiali sopra citati diventeranno insolventi entro il 2025. In altre parole, molto presto Washington non potrà più contare su materiale sufficiente per costruire armi e armamenti.
Corsa contro il tempo
La guerra in Ucraina, con il conseguente inasprimento delle relazioni diplomatiche e commerciali con Russia e Cina, ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora. L’House Armed Services Committee, e cioè la Commissione per i servizi armati della Camera Usa, ha per la prima volta affrontato il problema del predominio di Pechino sulla catena di approvvigionamento dell’antimonio, pubblicando una bozza di legge sul tema accompagnata da un rapporto.
Quest’ultimo ha richiesto al gestore delle scorte di difesa nazionale di informare il comitato sullo stato dell’antimonio entro ottobre, si legge, fornendo “una prospettiva quinquennale di questi minerali e delle vulnerabilità attuali e future della catena di approvvigionamento”. “Il comitato è preoccupato per le recenti dinamiche geopolitiche con Russia e Cina e per come ciò potrebbe accelerare le interruzioni della catena di approvvigionamento, in particolare con l’antimonio”, ha osservato il documento.
Il progetto di legge ha inoltre richiesto al Dipartimento della Difesa di istituire una politica di riciclaggio delle batterie usate per recuperare “metalli preziosi, minerali di terre rare ed elementi di importanza strategica (come cobalto e litio) nella catena di approvvigionamento o nelle riserve strategiche degli Stati Uniti”.
Il tallone d’Achille Usa
Durante la Seconda Guerra Mondiale il Giappone aveva interrotto la fornitura di antimonio degli Stati Uniti dalla Cina. Da quel momento in poi, Washington ha iniziato a reperire il minerale da una miniera d’oro dell’Idaho. Peccato che questa miniera abbia cessato la produzione nel 1997. Come si legge in un rapporto datato 2020 e realizzato dallo US Geological Survey, nel territorio americano “non esiste una miniera domestica per l’antimonio”. Al contrario, la Cina è il più grande produttore di antimonio estratto e raffinato, nonché “una delle principali fonti di importazione per gli Stati Uniti”.
Il report ha aggiunto che Pechino sta “perdendo quote di mercato con la Russia, secondo produttore mondiale” di antimonio, mentre il Tagikistan guadagna terreno nel mercato globale come terzo fornitore mondiale del prezioso minerale. L’interesse dei legislatori nel rafforzare le scorte nazionali di minerali strategici per la difesa Usa è arrivato forse in ritardo, e per di più dopo anni durante i quali il Congresso aveva autorizzato molteplici vendite multimilionarie della stessa riserva per finanziare altri programmi.
Il Dipartimento della Difesa ha presentato una proposta legislativa proprio al Congresso, chiedendo di autorizzare 235,5 milioni di dollari per procurarsi minerali aggiuntivi. E pensare che all’inizio della Guerra Fredda, nel 1952, le scorte degli Stati Uniti valevano circa 42 miliardi di dollari. Quel valore oscillerebbe adesso attorno agli 888 milioni di dollari.
“Le scorte della difesa nazionale non sono più in grado di coprire le esigenze del Dipartimento della Difesa per la stragrande maggioranza dei materiali identificati in caso di interruzione della catena di approvvigionamento”, hanno fatto sapere i legislatori statunitensi. Da qualunque prospettiva la si guardi, gli Stati Uniti pagano lo scotto di una lunga politica sul tema a dir poco velleitaria. Una politica che, di fatto, ha subordinato Washington a Russia e Cina, che controllano le fette più grandi di antimonio e altri minerali fondamentali per la costruzione di armi e armamenti. Nel frattempo l’Ucraina continua a chiedere altre armi per fronteggiare la minaccia russa.
Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 17 giugno 2022.
Le trincee e le cittadine del Donbass triturano uomini, mezzi, piani. È una battaglia senza tregua, con bilanci drammatici e distruzioni profonde. David Arakhamia, uno dei negoziatori di Zelensky, ha dichiarato al sito Axios che l'Ucraina perde, tra morti e feriti, mille uomini al giorno: un tributo ben superiore a quello ammesso fino a pochi giorni fa, quando il presidente parlava di 200 caduti.
Un'oscillazione determinata dalla durezza del confronto, un dato sempre complesso da verificare. La resistenza, a sua volta, ruota la truppa quando può, manda in prima linea elementi non addestrati in modo sufficiente, conta sui volontari stranieri. Per ora spera in un rallentamento dell'avversario, di più non ha.
Le retrovie
Nelle retrovie crescono i danni alle infrastrutture, ai depositi, alle caserme. Per l'ex generale australiano Mick Ryan siamo all'inizio della fine della prima fase, con i contingenti quasi al limite, usurati e stanchi.
L'intelligence britannica insiste: i battaglioni degli invasori sono largamente incompleti rispetto ai 700-900 soldati previsti mentre fonti statunitensi affermano che il contingente ha visto incenerire il 20-30% dei corazzati.
La Russia, infatti, porta avanti una mobilitazione strisciante e si affida all'arruolamento offrendo nuove condizioni. Secondo il Washington Post mette sul tavolo un salario base di 3-4 mila dollari più bonus, con un'aggiunta di 55 dollari per ogni giorno extra impegnato al fronte.
I coscritti
Lo Stato Maggiore cerca di coinvolgere quote di coscritti, estende i limiti d'età, fa campagna ovunque ci possano essere persone disposte a rischiare la pelle. Se sono note le difficoltà di organico per l'Armata, è però altrettanto evidente che al momento non ha pesato troppo nell'equilibrio di forze.
Gli invasori sono da settimane all'offensiva, muovono su più assi (limitati), riescono comunque a procedere. A volte di pochi metri, altre per chilometri. I generali sono consapevoli delle condizioni, tuttavia premono perché è importante prendere Severodonetsk e altre località nel Donbass.
La loro occupazione ha un valore politico. È il segnale di un successo. Per la stessa ragione Kiev ha deciso di difendere ad oltranza sacrificando plotoni su plotoni quando molti strateghi suggerivano un arretramento.
L'arsenale in arrivo
La pressione dello Zar ha poi una spiegazione militare. Nel giro di qualche settimana Kiev potrebbe accrescere l'arsenale.
Il capo di Stato Maggiore statunitense Mark Milley è stato puntiglioso nel descrivere il supporto: «Abbiamo consegnato di fatto l'equivalente di 12 battaglioni d'artiglieria, il gruppo di contatto Nato ha mandato 97 mila anti-tank, dato che supera quello dei carri armati nel mondo.
Hanno chiesto 200 tank, ne hanno avuti 237. Hanno chiesto 100 veicoli blindati da combattimento, ne hanno ricevuti 300». Pacchetti ampi ai quali si aggiungono molte promesse su lunghi calibri, munizioni, equipaggiamenti.
La stanchezza
A quel punto i russi dovrebbero attaccare posizioni robuste, in grado di tirare da lontano e lo farebbero avendo sulle spalle settimane di scontri. Torna così per alcuni lo scenario dell'invasore troppo stanco per procedere ulteriormente.
Ma queste sono analisi, poi c'è il campo. E questo dice che la determinazione dell'aggressore è rimasta, probabilmente è stato sottovalutato, malgrado i difetti cronici ha mantenuto l'assalto.
Se il motore dell'Armata si gripperà lo rivelerà l'andamento futuro, i separatisti lanciano proclami per annunciare che non si fermeranno alla regione orientale. Le prossime settimane saranno come un test della verità per le ambizioni di Putin e le speranze di Zelensky.
Da lastampa.it il 5 giugno 2022.
Giovedì si è tenuto il funerale di un generale dell'aeronautica russa in pensione, il cui aereo era stato abbattuto durante una missione in Ucraina.
L'agenzia di stampa russa Tass ha dichiarato che Kanamat Botashev, 63 anni, che si era offerto volontario per tornare in servizio, era stato abbattuto il mese scorso mentre sorvolava la regione orientale del Donbass.
Da quando ha invaso l'Ucraina il 24 febbraio, la Russia ha perso diversi generali e altri alti ufficiali. Nel riferire di una cerimonia commemorativa tenutasi giovedì a Cherkessk, la capitale della Repubblica di Karachay-Cherkess, in Russia, la Tass ha detto che Botashev stava volando in risposta a una richiesta di aiuto da parte di un gruppo d'assalto bloccato dalle forze nemiche.
Ha "deciso di effettuare un attacco a bassissima quota e ha colpito le Forze armate dell'Ucraina, aiutando poi il gruppo a uscire dall'accerchiamento", ha riferito l'agenzia di stampa statale. La Tass ha riferito che, dopo aver sferrato l'attacco, l'aereo è stato abbattuto da un missile antiaereo e Botashev è stato ucciso. Gli è stato conferito il titolo postumo di "eroe della Federazione Russa".
Il 22 maggio, lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine aveva dichiarato che un aereo d'attacco russo Su-25 era stato abbattuto sopra la regione di Luhansk e che il pilota non aveva avuto il tempo di lasciare il velivolo. Le notizie di allora, che collegavano quell'incidente alla morte di Botashev, sono state confermate solo giovedì.
I soldati di Kiev stanno davvero decimando l’esercito russo? Davide Bartoccini su Inside Over il 2 giugno 2022.
I numeri riguardanti le perdite russe che il governo di Kiev continua a divulgare sono devastanti, e anche se non sono in alcun modo verificabili, sembrano sottolineare la grave sofferenza di Mosca, che dopo aver fallito obiettivi e manovre, non cessa – almeno secondo la concezione occidentale del conflitto – di mandare allo sbaraglio uomini e mezzi. Per questo motivo, dopo aver perso migliaia di soldati in quelli che oramai sono cento giorni di conflitto, il Cremlino è giunto all’extrema ratio di arruolate uomini fino a 50 anni di età (dieci anni in più rispetto ai criteri precedenti); non limitandosi a pescare in quella famosa “età militare” (dai 18 ai 27 anni) che terrorizza i giovani moscoviti e pietroburghesi; i quali temono di finire arruolati per essere spenditi da un giorno all’altro sul fronte di una guerra sovietica che non capiscono e silenziosamente aborrono.
Una mossa “disperata”, dichiarano i funzionari della difesa degli Stati Uniti che stanno monitorando – e influenzando – lo svolgersi del conflitto che inizia ad apparire sempre più incerto e complesso nella sua risoluzione. Soprattutto per l’enorme disinformazione che fa breccia a grande distanza dal vero teatro di scontro dove i reggimenti e le divisioni non possono “misurare” altro che le perdite tra i loro effettivi. Lasciando a Kiev e a Mosca l’ultima parola riguardo i “progressi” del conflitto da mostrare ad alleati de facto e avversari teorici.
“Non c’è modo di verificare che 29.600 soldati russi siano morti durante l’invasione”, ha affermato questa settimana lo stesso ministero della Difesa ucraino, ma ciò che si apprende da oltrecortina, per usare un’espressione da guerra fredda, è Mosca – in virtù della sua scelta di considerare il conflitto “operazione militare speciale” e non “guerra totale” – continua a cercare volontari. E per trovarli “aumenta il limite di età degli arruolati“. A riportare queste dichiarazioni è il sito specializzato Defenseone, che di concerto con la maggior parte degli analisti internazionali concentra l’attenzione sul cambiamento di strategia del contingente d’invasione russo, il quale, dopo aver perduto senza nasconderlo migliaia di uomini, e centinaia di mezzi corazzati su ruote e cingoli, ha abbandonato le tre direttive sulle quali aveva impostato l’invasione dell’Ucraina, chiudendo un fronte e concentrando gli sforzi bellici nel settore orientale. Con l’evidente obiettivo di occupare e prendere il controllo dell’intero Donbass e dell’intera regione di Luhansk.
Nulla invece è accaduto, come a lungo si era previsto, nel settore di Odessa. Le truppe della Transnistria non si sono mosse dalle basi nello repubblica filo-russa autoproclamatasi in Moldavia; né le avvisaglie di alcuno sbarco si sono più palesate. Al contrario fonti dirette che si trovano embedded con i soldati russi a Mariupol e si “aggirano” in quel che rimane dell’ Azovstal, l’acciaieria dove si nascondeva l’ultima sacca di resistenza presente nella città portuale, dichiarano apertamente che già prima della resa “il grosso delle forze [russe] si sono state spostate su altri fronti“. Evidentemente per dare manforte o rimpiazzo agli schieramenti in altri settori.
L’Esercito di Kiev sta avendo la meglio dunque?
“La Russia ha subito pesanti perdite in questa campagna, che ridurrà la sua capacità di impegnarsi in conflitti nei prossimi anni”, ha sostenuto analista della FDD, Ryan Brobst. Convenendo con alcune “conclusioni” approssimative raggiunte anche sui nostri canali nelle scorse settimane. Il sito di analisi indipendente Oryx, considerato attendibile e imparziale nei suoi report, ha stimato le perdite russe nell’ultime fasi del conflitto in 734 tra mezzi corazzati e blindati, e 148 velivoli ad ala fissa e rotante. Comprendendo anche droni di vario genere. Ma nessuna conferma su quelli che gli americani chiamano KIA, “Killed in action”. I soldati che sono caduti per “denazificare” l’Ucraina.
Perdite “devastanti”, tra gli ufficiali e non solo
Il blocco occidentale, basandosi su fonti ucraine (e si sospetta operatori altamente specializzati presenti “sul campo” sotto copertura, ndr) è fermamente convinto che Mosca abbia subìto delle “perdite devastanti” nei primi tre mesi di conflitto. Secondo l’intelligence inglese la Russia avrebbe perso: “tante truppe negli ultimi tre mesi quante ne perdette durante i suoi nove anni di guerra in Afghanistan“; un numero impietoso considerati i progressi sul campo. Si sarebbe inoltre verificata una strage tra i generali, come ampiamente documentato, e tra i giovani ufficiali di grado intermedio.
“I giovani ufficiali hanno dovuto guidare le operazioni tattiche di livello più basso poiché all’esercito mancano i quadri di sottufficiali altamente qualificati che svolgono quel ruolo nelle forze occidentali”, spiega l’intelligence britannica, che ha evidenziato numerosi casi di “ammutinamento“, segnalando la “scarsa disciplina” che sembra essere notoria tra le unità di fanteria russe (si consiglia a tal proposito la lettura di La Russia di Putin di Anna Politkovskaja, ndr).
Secondo gli ultimi bollettini forniti dallo Stato maggiore delle Forze armate ucraine, le perdite russe ammonterebbero nel complesso a circa “30mila uomini, 1349 carri armati, 3282 mezzi corazzati, oltre duemila mezzi ruotati, 643 sistemi d’artiglieria, 205 lanciarazzi multipli, 93 sistemi di difesa antiaerea”. A queste andrebbero aggiunti “207 jet da combattimento, 174 elicotteri e 507 droni”. Numeri sicuramente arrotondati in rialzo. Ma comunque spaventosamente alti. Sono 13 invece le unità navali andate perse (dato plausibile se considerato che la metà di queste sono facilmente identificabili).
Il Pentagono – impegnato in prima linea nella fornitura di armi e mezzi alle forze di Kiev – si sarebbe rifiutato di stimare le perdite di personale russo, limitandosi a dichiarare che secondo le informazioni di cui è in possesso dell’intelligence americana le “perdite russe” di uomini ed equipaggiati sono da considerare “significative“. “Riteniamo che abbiano perso o reso inutilizzabili quasi 1.000 dei loro carri armati in questo combattimento”, avrebbe dichiarato un alto funzionario del Pentagono, riporta sempre Defenseone. “Hanno perso ben più di 350 pezzi di artiglieria. Hanno perso quasi tre dozzine di caccia o cacciabombardieri ad ala fissa e più di 50 elicotteri”. Numeri assai più ridotti e plausibili rispetto a quelli riferiti da Kiev.
La lenta ma costante avanzata
Nonostante questa decimazione annunciata della forza d’invasione inviata da Mosca, e il numero sempre maggiore di armi sofisticate, mezzi ed equipaggiamenti forniti dagli alleati de facto della NATO, l’Esercito di Kiev non sembra essere intenzionato – o del tutto in grado – di respingere i russi sferrando una controffensiva su vasta scala. Fonti in loco descrivono le città ucraine del settore occidentale come “metropoli sottoposte alla mobilitazione” dove si vedo molti soldati che però non sono affatto in procinto di partire per il fronte. Nei centri di arruolamento ucraini, inoltre, non si viene accettati se non si è trascorso almeno un anno nell’Esercito regolare o si è prestato servizio nelle formazioni militari autonome che hanno servito nella guerra del Donbas. La ragione sembrerebbe legata – nonostante le forniture estere – alla necessità di “non sacrificare” equipaggiamenti preziosi affidandoli a reclute inesperte che andrebbero incontro a morte certa.
Per questo Mosca continua ad avanzare lentamente ma inesorabilmente verso i suoi obiettivi secondari. Portando a termine – seppur con perdite considerevoli – quello che sembra essere a tutti gli effetti il suo “piano di contingenza”. Come riporta il New York Times, che si è dedicato alla minuziosa ricostruzione su mappa delle ultime fasi del conflitto, le forze russe hanno fatto progressi da quando si sono concentrate sull’Ucraina orientale. Hanno circondato e si apprestano a catturare Sievierdonetsk, riportata come una delle città più importanti nonché nodo strategico del settore orientale. Presto potrebbero ottenere il controllo dell’intera regione di Luhansk.
Un esercito che non può essere “decimato” facilmente
Secondo l’Istituto internazionale per gli studi strategici, che conduce una stima annuale delle forze militari e delle armi in tutto il mondo per effettuare le comparazioni del caso, la Federazione Russa – da sempre considerata la seconda maggiore potenza militare del globo – può contare su circa 280.000 soldati. Contando anche i coscritti. L’ultimo rapporto dell’IISS riguardo alle forze di Mosca risale all’inizio di febbraio 2022, “ante bellum” come ricordano gli analisti statunitensi, e vedeva in forza alla Russia oltre 2.900 carri armati in linea – dunque operativi e immediatamente impiegabili in azione. Tra questi erano oltre 2.000 unità delle varianti T-72. Altri 10mila unità sarebbero nei depositi. Oltre trentamila sarebbero invece i mezzi blindati e di vario genere. Le forze terresti, suddivise su quattro distretti militari – Occidentale con quartier generale a San Pietroburgo / Meridionale con quartier generale a Rostov / Centrale con quartier generale ad Ekaterinburg / Orientale con quartier generale a Chabarovsk – conta 11 armate a cui vanno aggiunte le brigate indipendenti delle forze speciali “Spetsnaz” (approssimativamente 17mila unità) e le brigate aviotrasportate che possono contare su altre 40mila unità. A queste vanno aggiunte inoltre le formazioni paramilitari della Wagner.
Avendo classificato l’invasione dell’Ucraina come una semplice “operazione militare speciale” – e non come una guerra convenzionale – il Cremlino non può contare sulla riserva militare, che non è stata mobilita. Attualmente il Pentagono considera “impegnati” sul campo “più dell’80%” dei “gruppi tattici” che ora si starebbero concentrando nella regione del Donbas.
In conclusione, se confermata, la perdita di 26mila soldati rappresenterebbe senza dubbio un duro colpo per Mosca: e sul piano strategico, e su sul piano del morale nazionale; da non trascurare nonostante la “condotta autoritaria” del Cremlino riguardo le decisioni belliche lasci poco spazio a qualsiasi tipo di dissidenza. Queste perdite significative tuttavia, non devono distrarci o farci dimenticare – almeno nel quadro generale – come la super potenza eurasiatica possa contare su 79 milioni di cittadini arruolabili. Un’armata difficile da decimare, se si guarda indietro nella storia.
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Dagotraduzione dal Washington Post il 31 maggio 2022.
Quando era piccola, nel giorno del Memorial Day Deana Martorella Orellana viaggiava fino al Muro dell'Onore nel centro della sua città natale, dove i nomi dei soldati morti sui campi di battaglia nel mondo vengono nel granito nero.
Quest’anno la sua famiglia farà quel viaggio senza di lei.
È morta con alcune citazioni infilate nelle sue tasche. Quella mattina di marzo del 2016, era andata al Veterans Affairs e aveva chiesto un consulto.
Non poteva parlare con la sua famiglia di come la sua missione in Afghanistan l’avesse cambiata - e sì, l'ha cambiata, hanno detto tutti - servendo in una squadra femminile laggiù.
«Ne ha parlato con una delle sue sorelle e ha detto che poteva sopportare tutto tranne i bambini», ha raccontato Laurie Martorella, la mamma di Deana. «Qualcosa nei bambini l'ha davvero colpita».
E tenere tutto dentro la faceva stare male.
«Nessuno parla di salute mentale», ha detto Laurie. «Se lo fai, sei debole, stai assumendo farmaci, potresti influenzare i guadagni futuri, potrebbe esserci uno stigma».
Deana si è sparata all'età di 28 anni con una pistola calibro .45, aggiungendosi al numero crescente di donne militari che si tolgono la vita.
Anche il Memorial Day parla di queste guerriere.
Dal giorno degli attentati alle Torri Gemelle, il suicidio è diventato il principale motivo di morte del personale statunitense. La Brown University ha calcolato che da allora si sono ammazzate più di 30.000 militari. Nello stesso periodo, sono morti 7.000 soldati in combattimento o in esercitazione.
Il suicidio nella comunità militare ha raggiunto il tasso più alto dal 1938, secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa pubblicato il mese scorso.
Le vittime sono sempre più donne.
Secondo i dati del Dipartimento della Difesa, nel 2020 le donne hanno rappresentato il 7% dei suicidi militari, rispetto al 4% di un decennio prima. Circa un membro del servizio su sei è di sesso femminile.
I rapporti suddividono i decessi per sesso, età e ramo, ma difficilmente affrontano il drammatico aumento tra le donne.
La storia di Deana è stata descritta in 22 Too Many, un progetto in onore dei circa 22 suicidi militari che accadono ogni giorno.
Il mese scorso, tre marinai della portaerei USS George Washington di stanza a Norfolk si sono suicidati in meno di una settimana. Uno di loro era l'elettricista Natasha Huffman.
La natura stessa del business della guerra fa ben poco per scoraggiare questa calamità per la salute mentale.
«Le donne che si trovano in questi ambienti dominati dagli uomini nell'esercito sono addestrate per essere forti, per farcela», ha detto Melissa Dichter, professoressa associata alla School of Social Work della Temple University che quest'anno ha pubblicato un rapporto sul suicidio delle donne tra i militari.
Quando le donne entrano in crisi con la salute mentale, in particolare con il disturbo da stress post-traumatico, lavorano di più.
Quando le donne veterane cercano di trovare sostegno nel mondo civile, le loro storie di guerra, corpi e bombe non sono materia di legame, ha scoperto Dichter. I gruppi di supporto, dagli incontri ufficiali al VA a quelli non ufficiali al VFW, sono feste del testosterone.
Dichter ha analizzato più di un milione di chiamate anonime alla Veteran Crisis Line per il suo rapporto. Secondo il suo studio, circa il 53% delle donne che hanno chiamato la linea erano a rischio di suicidio, rispetto al 41% degli uomini.
Molte hanno avuto storie di disturbo da stress post-traumatico e traumi da combattimento. Ma Dichter ha trovato una differenza fondamentale: mentre gli uomini avevano maggiori probabilità di lottare con l'abuso di sostanze e la dipendenza, la maggior parte delle donne chiamava per problemi con il partner intimo o per violenza sessuale.
Questo è stato ciò che alla fine ha spinto Taniki Richard a tentare di uccidersi: il trauma del combattimento e un'aggressione sessuale che non ha mai denunciato.
«Quando sono tornato dall'Iraq, ho iniziato ad avere incubi di essere violentata, e poi di essere sull'aereo», hanno detto la mamma e il marine in pensione di Chesapeake, Virginia, in un video su Yahoo.
«Un giorno, è diventato semplicemente troppo. Ero sottoposta a così tanto stress e dolore estremi che volevo solo che finisse», ha detto, quindi si è schiantata l'auto contro un palo della luce fuori da una stazione aerea del Corpo dei Marines nella Carolina del Nord, «nel tentativo di porre fine alla mia vita».
Taniki è sopravvissuta. E andata in terapia, e ha compreso che i suoi incubi non riguardavano solo la notte in Iraq quando il suo elicottero era sotto tiro. Si è resa conto che tra i suoi compagni guerrieri - la famiglia che i militari erano diventati per lei - c'era il suo stupratore. Ora lavora con il Wounded Warrior Project e racconta la sua storia in discorsi e podcast per aiutare altre donne sopravvissute all'aggressione.
Le donne nell'esercito hanno a che fare con PTSD, isolamento e un'esperienza così comune da avere un proprio acronimo militare: MST, Military Sexual Trauma.
È una forma di abuso straordinariamente sinistra. Non è come un'aggressione da parte di uno sconosciuto o un appuntamento malvagio. I compagni guerrieri dovrebbero essere quelli che ti danno le spalle in battaglia. L'unità consiste nel sostenersi a vicenda. Immagina il pericolo e l'insicurezza che proverebbe qualsiasi soldato quando viene attaccato dai propri compagni. È un tema comune tra le donne che chiedono aiuto.
«Nelle violenze sessuali del partner intimo le donne spesso si sentono bloccate, è difficile trovare una via d'uscita, vedere una via d'uscita», ha affermato Dichter, la cui ricerca ha incluso l'intervista a sopravvissuti ad aggressioni sessuali nell'esercito che lottano con la dualità degli aggressori come colleghi.
Il suo lavoro sta mostrando ai militari quanto sia vasta e sfregiata la loro epidemia di aggressioni sessuali. E quanto sia importante per le donne che lasciano l'esercito trovare supporto nel mondo civile, che si tratti di MTA, PTSD o entrambi.
Dopo aver tolto la corona, Barber ha continuato il suo lavoro come CEO del Service Women's Action Network, un potente gruppo con sede a Washington che fa lobby per conto delle donne militari e le collega a gruppi di supporto.
La famiglia di Deana vuole continuare a raccontare la sua storia, per far sentire meno sole le donne che hanno vissuto la storia della figlia. Raccontano la sua storia, dicono il suo nome, hanno creato una borsa di studio in suo onore.
E questa settimana andranno su quel muro di granito nero nella sua città natale in Pennsylvania. Il nome del nonno di Deana è lì. Ora, c’è anche il suo.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 31 maggio 2022.
“Putin è un figlio di puttana, Shoigu? Del tutto incompetente”. Due colonnelli russi in servizio, il 42enne Maxim Vlasov e Vitaly Kovtun, 47 anni, sono stati "intercettati" mentre muovono insulti e critiche a “Mad Vlad” e al suo ministro della Difesa Sergei Shoigu per il fallimento della guerra con l'Ucraina.
I loro sfoghi in una chiamata vocale privata, presumibilmente intercettata dai servizi segreti di Kiev - mostrano un profondo dissenso tra gli alti ranghi per come viene condotto il conflitto.
Nelle frasi piene di imprecazioni Putin viene accusato per la sua scelta di non bombardare il parlamento ucraino e altri obiettivi chiave. Shoigu viene liquidato come incompetente negli affari militari.
I due alludono a perdite devastanti da parte dell'Armata Rossa in Ucraina, che non sono state ufficialmente riconosciute. Le pungenti critiche dei colonnelli, pubblicate da Radio Liberty/Svoboda, hanno creato forte imbarazzo al Cremlino…
«Putin è un incompetente»: due colonnelli russi intercettati dai servizi ucraini. Marco Bruna su Il Corriere della Sera il 31 maggio 2022.
«Putin è un incompetente, un figlio di p*****a perché non ha bombardato il Parlamento di Kiev e altri siti strategici in Ucraina». Sono le parole di due colonnelli russi, Maxim Vlasov, 42 anni, e Vitaly Kovtun, 47. Sarebbero stati intercettati dai servizi segreti di Kiev, riporta il tabloid britannico Daily Mail.
Nelle ore in cui il governatore della regione di Lugansk, Sergiy Gaidai, annuncia che quasi tutta Severodonetsk è ormai in mano all’Armata («Il nemico sta attaccando le nostre truppe con mortai, artiglieria e lanciagranate lungo la linea del fronte»), i ranghi più elevati delle forze armate russe sarebbero alle prese con tensioni non indifferenti.
Sempre secondo il Daily Mail, i due alti ufficiali avrebbero insultato non solo Putin ma anche il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, definendolo «una m***a» e imputandogli il fallimento dell’operazione militare «speciale» in Russia e per non avere reclutato abbastanza soldati. Quelli invece impiegati in Ucraina, sempre secondo Vlasov e Kovtun, non sarebbero pagati adeguatamente. «Putin deve bombardare più pesantemente», si lamentano i colonnelli. Le loro intercettazioni sono state rese note da Radio Liberty/Svoboda.
(ANSA il 28 maggio 2022) - Sono circa 30.000 i soldati russi uccisi in Ucraina dall'inizio dell'invasione, secondo l'esercito di Kiev. Nel suo aggiornamento sulle perdite subite finora da Mosca, l'esercito ucraino indica che dopo 94 giorni di conflitto si registrano anche 207 caccia, 174 elicotteri e 503 droni abbattuti. Inoltre le forze di Kiev affermano di aver distrutto 1.330 carri armati russi, 628 pezzi di artiglieria, 3.258 veicoli blindati per il trasporto delle truppe, 116 missili da crociera, 203 lanciamissili, 13 navi, 2.226 tra veicoli e autocisterne per il trasporto del carburante e 93 unità di difesa antiaerea.
Lo Zar cancella i limiti di età per entrare nell'esercito. Redazione il 29 Maggio 2022 su Il Giornale.
La Russia "allarga" il suo esercito in una sorta di mobilitazione silenziosa che dovrebbe rafforzarla in vista di un prolungamento della guerra in Ucraina.
La Russia «allarga» il suo esercito in una sorta di mobilitazione silenziosa che dovrebbe rafforzarla in vista di un prolungamento della guerra in Ucraina. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una legge che elimina il limite di età per la firma del primo contratto dei militari professionisti, rimuovendo il limite superiore di 40 anni. La legislazione finora vigente prevedeva che il primo contratto di servizio militare potesse essere firmato da cittadini di età compresa tra i 18 e i 40 anni (30 per gli stranieri). Un progetto di legge redatto dai deputati di Russia Unita Andrei Kartapolov e Andrei Krasov e approvato dalla Duma di Stato e poi dal Consiglio della federazione lo scorso 25 maggio, premette che «l'uso di armi di alta precisione, il funzionamento delle armi e dell'hardware militare richiedono specialisti altamente qualificati», e fissa all'età di 40-45 anni il raggiungimento delle piene competenze. L'attuazione della legge incentiverà ad arruolarsi gli specialisti delle professioni più richieste, in primo luogo quelle relative alle professioni civili (supporto medico, ingegneria, servizi tecnici, funzionamento, comunicazioni, eccetera). I militari a contratto (che attualmente sono 400mila, a cui si aggiungono le 130mila reclute che possono essere dispiegate all'estero dopo quattro mesi dall'inizio del loro servizio militare) potranno restare nell'esercito fino a 65 anni (60 nel caso delle donne). Il viceministro della Difesa della Federazione Russa ha chiarito che sarà comunque possibile concludere il primo contratto di servizio militare in Russia prima dei 50 anni.
Ieri a San è partita la campagna di arruolamento nell'esercito russo a contratto. Secondo quanto riportato nelle chat Telegram, ai nuovi arruolati vengono pagati 250mila rubli una tantum per la firma (circa 3.500 euro). Lo stipendio mensile parte invece da 220mila rubli (circa 3.080 euro) mentre per rimborsi ulteriori sono previsti 8mila rubli al giorno (112 euro). In caso di morte ai familiari vengono rimborsati oltre 13milioni di rubli (182mila euro), in caso di ferite gravi 3 milioni e 296 mila rubli (46mila euro) e in caso di ferite leggere 3 milioni e 74 mila rubli (43mila euro).
E secondo lo stato maggiore dell'esercito ucraino, continua anche la mobilitazione dei riservisti russi. Secondo quanto riferiscono le forze armate di Kiev «i riservisti vengono addestrati nella regione di Voronezh», che si trova a 300 chilometri dal confine orientale dell'Ucraina. I russi starebbero anche portando via dai «centri di mobilitazione» le armi e le altre attrezzature militari considerate «obsolete».
Settecento milioni al giorno per la guerra dello zar. La Russia ha già esaurito il 70% della forza militare. Francesco Verderami su Il Corriere della Sera il 28 Maggio 2022.
Quella che doveva essere un’«operazione militare speciale», si sta rivelando per Putin una guerra onerosa in termini di uomini, mezzi e soldi. Dal 24 febbraio, data d’inizio del conflitto, la Federazione russa ha utilizzato in Ucraina il 70% della sua forza militare convenzionale, con un impegno economico quotidiano che si aggira attorno ai settecento milioni di euro. Sono numeri elaborati da centri di analisi occidentali in possesso della Nato e dei Paesi che ne fanno parte. Danno la misura dello sforzo di Mosca pur di soggiogare Kiev. Testimoniano una volta di più quanto fossero «sopravvalutate le capacità belliche» degli invasori, come ha detto anche Draghi. Sono il motivo per cui Putin ha dovuto rivedere i suoi piani iniziali.
Nel primo mese di guerra la Russia ha impiegato le migliori risorse a sua disposizione. Ma la resistenza ucraina le ha inflitto perdite considerevoli: sono circa trentamila gli uomini lasciati finora sul campo insieme alla distruzione dei mezzi a tecnologia più avanzata, sostituiti con truppe poco addestrate e carri armati degli anni Sessanta. Così lo sforzo è stato concentrato in una porzione di territorio ed è stato sostenuto soprattutto da attacchi missilistici: «Duemilaquattrocento, con testate di diverso tipo», secondo quanto ha riferito Zelensky. Nel Donbass — in base alle rilevazioni dell’Alleanza atlantica — i militari russi procedono «a ondate», potendo contare su un rapporto di forza che in principio era di due a uno in loro favore. E che si è ulteriormente sbilanciato perché gli ucraini non hanno ricambi.
Ma proprio per l’errato calcolo bellico iniziale di Putin, «la guerra non ha preso un’inerzia definita»: lo spiega un autorevole esponente dell’esecutivo italiano, secondo il quale «senza situazioni impreviste e imprevedibili che facciano di colpo cambiare le sorti del conflitto, e senza gli spiragli di pace a cui si è riferito Draghi, si andrà avanti per mesi». Anche perché c’è una avvertenza che il ministro della Difesa Guerini ha posto in una riunione di governo: «Conquistare il territorio è cosa diversa dal controllarlo». Un modo per spiegare che i russi non hanno certezza di consolidare la loro avanzata su aree così vaste del Paese: visti gli uomini e i mezzi attualmente a disposizione, sarebbero comunque in difficoltà. Usano l’artiglieria per colpire a distanza, hanno ripreso i bombardamenti aerei notturni. Ma sul campo è un’altra cosa.
C’è un motivo quindi se Zelensky, in un messaggio lanciato su Telegram due giorni fa, ha sottolineato che «si potrebbe porre fine alla guerra in poche settimane»: basterebbe a suo parere che «il mondo fosse unito e onesto riguardo a questa aggressione russa». È l’ennesimo messaggio agli alleati occidentali, la richiesta di supportarlo con più sofisticati strumenti di difesa e un’azione maggiormente incisiva sul fronte delle sanzioni. Il costo quotidiano della guerra per Putin è elevatissimo: quei settecento milioni calcolati dai centri di ricerca sono di fatto coperti dai ricavi per la vendita di gas e petrolio ai Paesi europei.
Sulle sanzioni a Bruxelles si sta cercando un compromesso, mentre sulle armi sono gli Stati Uniti a premere. Fonti qualificate della Nato sostengono che al vertice dell’Alleanza, previsto per fine giugno a Madrid, «Biden si farà sentire». Certo non nei riguardi dell’Italia, se è vero che di recente l’Amministrazione americana ha pubblicamente rivolto pubblici attestati di stima a Roma. E Draghi, pur impegnato nel ricercare una strada per il dialogo, ancora la scorsa settimana ha detto in Parlamento che sulle armi «agiremo in stretto raccordo con gli alleati».
Semmai nel quartier generale di Bruxelles si volge lo sguardo verso Berlino. È la Germania che aveva promesso i carri armati Leopard ai polacchi, che proprio sulla base di questa garanzia hanno dato agli ucraini i loro T-62 di fabbricazione sovietica. E sempre la Germania aveva offerto a Kiev i blindati Ghepard, ma privi di munizioni e dunque inservibili. «I tank a Zelensky arriveranno», assicurano da Roma. Ma non sarà Roma a mandarli, anche perché praticamente non ne ha.
Sono le armi dell’Occidente all’Ucraina il vero strumento di pressione (anche diplomatica) sulla Russia. E non a caso Putin se n’è lamentato con Macron e Scholz. La guerra per Mosca è troppo onerosa, lo dicono i numeri. Perciò gli alleati di Kiev tengono la presa. Perciò ieri Guerini ha evocato la quarta fornitura italiana alla resistenza: «Abbiamo di fronte scelte difficili che saremo chiamati ancora a compiere». Più chiaro di così...
Goffredo Buccini per il “Corriere della Sera” il 26 maggio 2022.
È un demone che viene da lontano la korruptzia : «I malvagi che hanno spogliato il popolo si sono riuniti, hanno assoldato i militari e i giudici per proteggere la loro orgia, e banchettano», annota Tolstoj nei suoi Diari , il 5 ottobre 1878. Come una tabe che percorre la storia russa, quel demone si specchia grottesco nella narrazione di Gogol e dentro i «peccatucci» di Anton Antonovic, nel suo L'ispettore generale.
E, resistendo a cambi d'epoca e di regime, dalla burocrazia zarista alla nomenclatura comunista, approda ai campi di battaglia dell'invasione putiniana in Ucraina, fiaccando l'animo dei soldati non meno delle loro armi e delle loro vettovaglie guastate da ruberie e appalti truccati in patria.
È la corruzione, forse, la chiave nel grande enigma di questa stagione bellica voluta da Putin. A spiegare insuccessi vistosi non basta soltanto un gigantesco errore di valutazione sul popolo da sottomettere (al posto dei previsti fiori e lanci di riso sulle truppe «liberatrici», molotov confezionate persino dai ragazzini ucraini sin dal primo giorno d'invasione). Zelensky e i suoi hanno identificato quasi subito la crepa.
E hanno diffuso una lettera aperta a generali e funzionari moscoviti ringraziandoli ironicamente per il contributo alla difesa dell'Ucraina: «Il ladrocinio ci ha dato una mano enorme. Le risorse per l'attacco contro di noi sono state rubate prima ancora di arrivare ai nostri confini». Non è solo l'ennesima operazione mediatica dell'ex attore trasformato in eroe.
Il campo di battaglia parla. Secondo Polina Beliakova, del Centro studi strategici della Tufts University, dietro le ormai famigerate razioni di rancio per i soldati russi scadute nel 2015 ci sarebbe la lunga ombra di Yevgeny Prigozhin, boss dei mercenari della Wagner, accusato da Alexei Navalny di avere truccato con un cartello contratti per la Difesa da centinaia di milioni di dollari fornendo «cibo peggiore che in carcere» (ne conseguono ufficiali che manomettono i pacchi al fronte dei soldati, soldati demoralizzati che scrivono alle madri «non mandarmi più nulla, è inutile» e, come si scopre da telefonate intercettate dai servizi segreti occidentali, si riducono a mangiare i cani nelle città conquistate).
Il carburante dei tank manca, paradossalmente, in un Paese dove abbondano petrolio e gas: viene rubato così spesso e in modo così clamoroso da essere chiamato «la seconda valuta» dell'esercito russo. Pure la tecnologia avanzata è dirottata da furti e mazzette: alcune società appaltatrici di sofisticati sistemi antimissile per 26 milioni di dollari avevano sede nei bagni pubblici di Samara, sul Volga. Niente di strano o di nuovo. Carlo Brioschi, nel suo La corruzione, una storia culturale (Guanda editore), ricorda quanto la vecchia Unione Sovietica fosse intrisa di tangenti e scambi di favori «dal livello più basso dei kolchoz» a quello «gerarchicamente più elevato del processo amministrativo».
Ancora una volta, la narrativa descrive ciò che un popolo imbavagliato dalla censura e dalla repressione poliziesca non può raccontare, con la satira surreale di Bulgakov contro una burocrazia marcia e parassita. La cleptocrazia già sovietica e poi russa ha riempito scaffali di Panama Papers e di dossier occidentali.
Nel 2021, su 188 Paesi censiti nell'Indice mondiale della corruzione percepita di Transparency International, la Russia figura al 129 esimo posto (noi italiani, non certo virtuosi in materia, ci attestiamo al quarantaduesimo). Il Risk and Compliance Portal del 2020, rivolto ad aziende e uomini d'affari, fotografa un ambiente dove puntare quattrini è sconsigliabile: «La corruzione ostacola in modo significativo le imprese che operano o pianificano di investire in Russia».
Corruzione ad alto livello e piccola corruzione «sono comuni soprattutto nel sistema giudiziario e negli appalti pubblici», le leggi esistono ma vengono applicate «con incoerenza», qualche ministro o ex ministro finisce pure nei guai ma a fronte dei molti con ville orientaleggianti da milioni di euro.
Nei sondaggi degli ultimi anni, pur difficili da valutare, il 51% dei russi pensa che le istituzioni pubbliche abbiano un ruolo nella corruzione, il 37% dichiara di avere pagato tangenti, il 44% crede che Putin cerchi di lottare contro i corrotti ma il 19% lo ritiene al centro della corruzione (più o meno la stessa percentuale che non ne appoggia la cosiddetta Operazione speciale in Ucraina). Ciò che emerge è solo la punta dell'iceberg. Da gennaio a luglio 2021 sono stati segnalati 24.500 casi di corruzione (più 16% rispetto all'anno prima).
Secondo il Foreign Policy Research Institute, «è raro trovare una nazione che abbia incorporato la corruzione nella propria coscienza collettiva così profondamente come la Russia»: si pagano tangenti per questioni anche minime «come avere cure mediche o ottenere la patente». Navalny pensa che la guerra sia stata scatenata «per coprire il furto ai danni dei cittadini russi».
Destinato al carcere di massima sicurezza di Melekhovo, il più temuto oppositore del regime è riuscito a pubblicare su YouTube una lunga inchiesta (vista da 100 milioni di utenti) su Putin, le sue origini, il suo cerchio di sodali al tempo delle tangenti di Pietroburgo, la villa da un miliardo di dollari che, schermata dietro prestanome, il dittatore avrebbe sul Mar Nero.
«A Melenkhovo ti strappano le unghie», ha scritto di recente in un ultimo tweet : «Bene, almeno avrò una scusa per usare questa emoj alla moda», ha poi chiosato, aggiungendo un'iconcina con mano smaltata. L'ironia è l'uscita di sicurezza d'un popolo abituato a dare del tu ai propri incubi. «Dicono che faccio pagare cari i miei favori», sorrideva amabile il corrottissimo sindaco Anton Antonovic di Gogol: «Ma io lo giuro, se anche può essere che abbia preso qualcosa da qualcuno, l'ho fatto sempre senza malanimo».
I blindati russi l’anello debole dell’invasione: 700 distrutti dagli ucraini. Una cifra colossale che ci restituisce un’immagine precisa delle enormi difficoltà incontrate dall’armata russa nella sua “operazione speciale”. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 21 maggio 2022.
Settecento carri armati distrutti dall’esercito ucraino o comunque messi in condizione di non nuocere in meno di tre mesi, praticamente un quarto dei mezzi disponibili. Si tratta di una cifra colossale che ci restituisce un’immagine precisa delle enormi difficoltà incontrate dall’armata russa nella sua “operazione speciale”.
I dati sono disponibili sul sito oryxspioenkop. com, un “counter” quotidiano che aggiorna le perdite subite da entrambi gli schieramenti, utilizzando criteri di conteggio oggettivi e ignorando le rispettive propagande ( Kiev afferma di aver fatto a pezzi addirittura 1300 tanks). A cosa è dovuta questa ecatombe di mezzi blindati? In primo luogo alle loro caratteristiche tecniche: in Ucraina Mosca ha dispiegato in prevalenza vecchi T- 72 e in minima parte i più moderni T- 80 e T- 90. Tutti e tre i modelli hanno infatti le munizioni stoccate all’esterno dello scafo: «Ogni volta che vengono colpiti, le munizioni rischiano di esplodere: sono particolarmente esposti al tiro dei missili Javelin americani o dei britannici NLAW», spiega a Le Monde un ufficiale dell’esercito francese. Inoltre non sono dotati di sistemi di difesa efficaci contro i razzi anti- carro e spesso sui lati hanno delle protezioni artigianali aggiunte dai soldati di Mosca.
Li abbiamo visti, in questi tre mesi di guerra, i blindati russi fumanti e abbandonati sul ciglio delle strade, bersagli facilissimi della resistenza ucraina equipaggiata con i sofisticati armamenti degli alleati occidentali: la tattica scelta da Kiev e probabilmente suggerita dagli esperti della Nato è stata far penetrare facilmente i carri all’interno del territorio per colpirli con attacchi laterali “mordi e fuggi” grazie alle segnalazioni dei droni. A quasi cento giorni dall’inizio della guerra, l’armata russa sembra però aver capito la lezione e nelle ultime settimane il numero di veicoli perduti si è fortemente ridotto grazie a strategie più accorte e all’impiego massiccio dei blindati “BMBT Terminator”, loro sì all’avanguardia, che servono a “scortare” i carri sui fianchi negli scenari di guerra e guerriglia urbana.
Enrico Franceschini per “la Repubblica” il 21 maggio 2022.
Una purga di generali, per punirli dei fallimenti nell'invasione dell'Ucraina. Decisa personalmente da Vladimir Putin, furioso per come sta andando la guerra. Nelle prime settimane del conflitto, quando diventò evidente che le truppe russe non riuscivano a conquistare Kiev e che la resistenza era più forte del previsto, il presidente licenziò un paio di capi dell'intelligence, a suo giudizio colpevoli di non averlo bene informato sulla capacità del nemico.
Adesso Putin se la prende con i militari. Secondo indiscrezioni diffuse dai servizi segreti ucraini, poi confermate dall'intelligence britannica e infine almeno in parte anche dal Pentagono, il capo del Cremlino ha sospeso il generale Sergej Kisel, comandante delle forze corazzate del distretto occidentale, accusato del fallimentare ritiro da Kharkiv, seconda maggiore città ucraina: sarebbe stato destituito o addirittura arrestato.
Costretto a dimettersi anche l'ammiraglio Igor Osipov, comandante in capo della flotta del Mar Nero, capro espiatorio dell'umiliante affondamento dell'incrociatore Moskva, colpito da un missile di Kiev secondo la versione ucraina e occidentale, vittima di un incendio casuale secondo Mosca.
Altre fonti, ricavate da conversazioni sulla chat online dell'esercito su Telegram ma non ancora confermate dall'intelligence di Londra e di Washington, sostengono che la lista degli alti ufficiali defenestrati in questi giorni è più lunga: comprenderebbe anche il generale Vladislav Ershov, comandante della Sesta armata; il generale Arkadij Marzoev, comandante della Ventiduesima Armata; il vice- ammiraglio Sergej Pinchuk, messo sotto inchiesta; e il vicecomandante del generale Kisel, anch' egli coinvolto nella sconfitta di Kharkiv.
Lo spionaggio britannico aggiunge che traballa pure la poltrona Valerij Gerasimov, il capo di stato maggiore delle forze armate russe: dato per estromesso già nei giorni scorsi, assente alla parata militare sulla Piazza Rossa del 9 maggio, ricomparso a sorpresa giovedì nella telefonata con il suo omologo americano, il generale Mark Milley, avrebbe «perso la fiducia di Putin», dicono gli 007 di Sua Maestà, sebbene sia possibile che gli venga data un'altra chance.
Se si aggiunge che una dozzina di generali russi sono stati uccisi in battaglia, l'invasione dell'Ucraina è stata una disfatta per i militari di Mosca con le stellette sulla divisa.
Vitaly Gerasimov morto, dove hanno trovato il suo corpo: pugno nello stomaco a Putin. Libero Quotidiano il 21 maggio 2022
Vitaly Gerasimov è morto. Il nipote del generale Valery Gerasimov è deceduto a marzo scorso mentre era impegnato nella guerra in Ucraina, ma solo oggi è stato possibile ritrovare il suo corpo. L'uomo, nipote del capo di stato maggiore russo e primo vice comandante della 41esima armata del distretto militare centrale della Russia, è stato trovato sepolto a Kharkiv. Il cadavere è stato trovato insieme a quello di altri soldati russi. La sepoltura sarebbe avvenuta per mano di alcuni abitanti ucraini, mentre la riesumazione sarebbe stata fatta dalla polizia. Il generale è morto in una battaglia contro le forze di Kiev. Prima della guerra in Ucraina, Vitaly aveva combattuto la seconda guerra in Cecenia e l'operazione militare russa in Siria per poi ricevere una medaglia per l'operazione in Crimea nel 2014.
I cittadini locali, oltre a dare degna sepoltura ai nemici caduti in battaglia, hanno apposto sulle tombe anche delle croci di legno fatte in casa. "Abbiamo ricevuto delle segnalazioni di tombe trovate su diverse strade senza segni che non fossero delle croci di legno fatte in casa", ha detto su Facebook il capo del dipartimento investigativo della polizia della regione di Kharkiv, Serhiy Bolvinov, postando alcune foto.
E ancora: "Abbiamo dovuto scavare queste tombe per identificare e trasferire i corpi come previsto dalle procedure internazionali". Poi la frecciata contro i russi che "non sono interessati a portar via i propri morti". Gerasimov compreso, gli agenti hanno trovato 6 corpi, tutti con ancora l'uniforme della Federazione russa.
Nuove epurazioni: ecco tutti i generali rimossi da Putin. Alessandro Ferro su Il Giornale il 21 maggio 2022.
La Caporetto della Russia nel conflitto in Ucraina non si evince soltanto dalle ingenti perdite di uomini e mezzi dopo quasi tre mesi, ma anche dalle espulsioni ordinate da Putin nei confronti dei suoi generali per non essere stati in grado di guidare i soldati, di adottare le giuste strategie e contromosse contro l'esercito di Zelensky e anche, a volte, per essersi "comportati male" durante le varie fasi dell'invasione ma soprattutto all'inizio con la cocente delusione della mancata acquisizione di Kiev.
Chi sono i generali cacciati
Come abbiamo visto sul Giornale.it, tra i nomi di spicco rivelati dall'intelligence britannica spicca il tenente generale Serhiy Kisel, comandante della prima Armata carri armati d'èlite, sospeso "per la mancata cattura di Kharkiv". Licenziamenti anche per i generali sul Mar Nero come nel caso del viceammiraglio Igor Osipov, fatto fuori dopo il clamoroso affondamento dell'incrociatore Moskva nel mese di aprile. Che fine ha fatto, invece, il tanto discusso Valerij Gerasimov? Come ci siamo occupati su InsideOver, "probabilmente rimane al suo posto, ma non è chiaro se mantenga la fiducia del Presidente Putin". Nella fattispecie, ricorderete che Gerasimov fu al centro di numerose voci quando sparì dalla circolazione per almeno un paio di settimane assieme al ministro della Difesa, il generale Sergei Shoigu. Molti parlarono di salute, altri ancora il misterioso silenzio lo interpretarono come una punizione dello Zar per come stavano andando le cose a Kiev.
La lista dei licenziamenti
Lo Zar non è contento per come si sta svolgendo il conflitto, anche adesso che la situazione in Donbass non si sblocca. Ma il risentimento di Putin affonda radici ben più lontane e profonde, come detto, alle prime settimane del conflitto quando la situazione era ancora peggio di quella attuale. Le fonti londinesi ricavate da numerose chat su Telegram affermano che la lista dei generali fatti fuori è molto lunga: si va da Vladislav Ershov, ormai ex comandante della Sesta armata al generale Arkadij Marzoev a capo della Ventiduesima. Come si legge su Repubblica, poi, tra gli altri nomi figurano anche il vice-ammiraglio Sergej Pinchuk, attualmente sotto inchiesta "e il vicecomandante del generale Kisel, anch'egli coinvolto nella sconfitta di Kharkiv", affermano gli esperti.
Tra gli altri nomi di spicco che adesso si ritrovano senza lavoro figura anche uno dei più importanti dirigenti dell' Fsb russo, Sergei Beseda, colpevole di aver dato indicazioni sbagliate a monte che ha fatto precipitare la situazione in Ucraina. Insomma, anche se per il Cremlino la vittoria sarebbe a un passo, saranno conquistati i territori previsti e tanti sorrisi durante il Giorno della Vittoria lo scorso 9 maggio, la realtà è ben lontana dalla propaganda che Mosca racconta quotidianamente.
Autosabotaggio. L’esercito russo non sa prendersi cura dei suoi stessi soldati. L'Inkiesta il 20 maggio 2022.
Gli scarsi risultati ottenuti da Mosca nei tre mesi di conflitto sono lo specchio di un apparato militare che abbandona il suo personale, lo coinvolge in piani imprecisi, senza adeguati rifornimenti e con equipaggiamenti di pessima qualità
L’esercito russo ha portato per la prima volta nel Donbass i nuovi BMPT-72 Terminator. Sono veicoli blindati con una grande potenza di fuoco: montano quattro lanciamissili anticarro, due cannoni, una mitragliatrice e anche due lanciagranate.
Sono sistemi ancora non utilizzati nel conflitto prima di questa settimana, segnale che il Cremlino vorrebbe alzare il tiro. Una mossa non necessariamente disperata, ma comprensibile per un esercito che fin qui ha ottenuto davvero poco rispetto alle aspettative iniziali.
Nonostante il suo sofisticato equipaggiamento militare e tutti i vantaggi sulla carta, la Russia è inciampata strategicamente, operativamente e tatticamente in Ucraina. Colpa di una pianificazione errata, scadenze non realistiche, obiettivi poco pratici. Ma anche di forniture inadeguate, cattiva logistica e uno scarso coordinamento delle sue forze.
Dall’inizio dell’invasione sono stati sottolineati più volte i limiti dell’armata russa dovuti a corruzione e strumenti obsoleti. Ma Dara Massicot su Foreign Affairs evidenzia un altro aspetto determinante: «I problemi non si limitano alle apparecchiature tecniche, alla scarsa formazione o alla corruzione, c’è un tema di fondo fondamentale: la mancanza di interesse dei vertici militari per la vita e il benessere del proprio personale».
Una cultura dell’indifferenza totale nei confronti dei soldati che starebbe compromettendo l’efficacia delle operazioni militari. L’alto comando russo si comporta come se le sue truppe fossero numeri su una tabella, prendendo decisioni come se potesse semplicemente lanciare le persone verso obiettivi mal progettati finché non ci riesce.
L’esercito russo, si legge su Foreign Affairs, ha una lunga storia di maltrattamenti dei suoi soldati: «Durante la guerra dell’Unione Sovietica in Afghanistan, molti coscritti furono informati all’ultimo momento dell’inizio del combattimento, e quando morivano le autorità sovietiche erano brusche e sprezzanti nei confronti dei genitori in lutto. Negli anni ’90, l’esercito russo ha inviato coscritti impreparati in Cecenia per estenuanti guerre urbane, e molte di queste truppe furono uccise, ferite o catturate. Le madri dei soldati che cercavano di ottenere il rilascio dei loro figli catturati erano facilmente ignorate dai comandanti».
Lo stesso atteggiamento si può ritrovare in questa campagna ucraina. I russi avrebbero potuto preparare e addestrare meglio le proprie forze per i conflitti urbani che sapevano di dover affrontare. Ma poiché erano preoccupati soprattutto delle fughe di notizie, i vertici militari hanno mantenuto i piani segreti a quasi tutti i soldati, mettendo a repentaglio la stessa realizzazione dei piani.
E non è un caso che le truppe russe abbiano iniziato a saccheggiare ciò che potevano dalle abitazioni in Ucraina per spedire tutto a casa, comprese lavatrici, padelle, televisori e persino cosmetici usati; hanno fatto irruzione nei minimarket ucraini per carne, sigarette e alcol.
Il 12 marzo l’intelligence ucraina ha riferito che l’esercito russo ha concesso il saccheggio indiscriminato, con questa motivazione: «A causa di significativi problemi logistici e comunicazioni allungate, non sono in grado di fornire adeguatamente carburante, cibo, equipaggiamento, munizioni e rotazione alle loro unità».
Come scrive Lucian Staiano-Daniels su Foreign Policy, «alcune delle motivazioni sono da ricercare nella scarsa retribuzione e nella mancanza di forniture: i coscritti russi ricevono uno stipendio mensile pari a 31 dollari – al tasso di cambio prebellico– e prima della guerra i soldati a contratto ricevevano 62mila rubli al mese, circa 961 dollari al mese. Se questi uomini muoiono, le loro mogli riceveranno 10mila rubli, l’equivalente di circa 153 dollari».
È una situazione di precarietà, incertezza e debolezza sistematica, quella dell’esercito russo. Una condizione che lo psichiatra Robert Jay Lifton definisce una «situazione che produce atrocità». Non deve stupire che i soldati russi, fiaccati e frenati dai loro stessi superiori, siano arrivati a commettere crimini come i massacri pienamente documentati di Bucha e altre città ucraine.
Anche il coordinamento delle operazioni sul territorio ucraino è stato di livello piuttosto scarso: la mancanza di copertura e di supporto ad alcuni assalti costringe l’esercito russo a dover muovere convogli di rifornimenti attraverso territori ostili, con scarse comunicazioni e indicazioni improvvisate.
«Nonostante abbia un esercito più grande, più armato e più potente, la Russia aveva aspettative irrealistiche», ha scritto David Ignatius sul Washington Post a inizio maggio. Anche per una incapacità di valutazione delle proprie forze: l’aggiornamento, o ammodernamento, dell’esercito russo negli ultimi anni, ad esempio, è stato alquanto incompleto.
«Tra gli errori più costosi della Russia – prosegue Ignatius nel suo articolo – è stato pensare che avrebbe dominato la parte della battaglia di guerra elettronica. Lo scopo dell’arte militare della guerra elettronica è manipolare lo spettro elettromagnetico attraverso il disturbo, l’intercettazione o l’alterazione di comunicazioni, radar, Gps o altri segnali, e i russi hanno sopravvalutato le proprie capacità, ha sottovalutato quello dell’Ucraina e non ha tenuto conto del potere del supporto militare della Nato a Kiev».
Ma se nel 2014 gli strumenti russi in questo campo erano molto validi in senso assoluto, e sicuramente superiori a quelli ucraini in termini relativi, oggi Kiev ha notevolmente migliorato le sue capacità, dotandosi degli strumenti necessari per bilanciare le forze nemiche.
Questi errori di valutazione che nascono nel passato, nella storia e nella cultura della società prima ancora che dell’esercito russo, possono essere un fattore determinante nell’indirizzare le sorti di un conflitto che teoricamente avrebbe avuto Mosca nella parte del favorito.
«L’esercito russo – è la logica conclusione dell’articolo su Foreign Affairs – potrebbe quindi non avere altra scelta che cambiare la propria cultura alla radice, ma sarebbe comunque troppo tardi per raggiungere i suoi obiettivi più grandi in Ucraina. Sarebbe troppo tardi anche per salvare le migliaia di soldati che vengono sacrificati con noncuranza per il tentativo di conquista della Russia».
Soloviev, la ribellione in diretta tv: "Esercito imbarazzante", il fedelissimo umilia Putin. Crepa al Cremlino. Libero Quotidiano il 12 maggio 2022.
Si cominciano a intravvedere le prime crepe nelle propagandiste tv russe. L'Operazione militare speciale non è più osannata come succedeva finora con minacce di far saltare Londra o Varsavia in una manciata di secondo. Ora nei programmi televisivi di Putin, per la prima volta, si disquisisce della mancata avanzata in Ucraina dell'Armata Rossa. Riporta il Corriere della Sera che a Sessanta minuti è andato in onda l'intervento del colonnello in pensione Mikhail Khodaryonok, un eroe di guerra, che ha detto: "Dobbiamo ammettere che anche la mobilitazione generale non aiuterebbe a uscire da questa situazione, perché mandare ragazzi muniti di armi vecchie come le nostre a combattere una guerra del ventunesimo secolo contro un esercito equipaggiato dalla Nato, non è la cosa giusta da fare".
Il più famoso dei propagandisti russi, noto ormai anche in Italia, Vladimir Soloviev, ha addirittura definito "imbarazzante" la prestazione dell'esercito russo. L'analista militare Kostantin Sivkov ha dato la colpa alle sanzioni. "Oggi il nostro mercato economico è incapace di soddisfare le esigenze di armamento ed equipaggiamento delle nostre Forze armate". Ma Soloviev si è infuriato e ha aggiunto che la Russia non può competere con le forniture di droni che arrivano all'Ucraina dalla Turchia. "I nostri soldati al fronte ci fanno queste richieste. Mi chiedo perché questa non possa essere prodotta a casa nostra".
E mentre le tv russe cominciano timidamente a sollevare qualche dubbio o domanda Vladimir Putin tira dritto. In Ucraina è pronto a "un lungo combattimento", come riporta il quotidiano Moskovsky Komsomolets: "La durata dell'Operazione militare speciale non gli interessa, il presidente vuole raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefissato".
Da corriere.it il 17 maggio 2022.
La propaganda russa aveva fino ad ora mantenuto un profilo estremamente aggressivo, sulla tv di Stato russo. Ma qualcosa - specie in questi ultimi giorni - sembra essere cambiato, a Mosca.
Nelle scorse ore, nel corso del più popolare talk show russo, Mikhail Khodaryonok — ex colonnello e ora analista esperto di questioni militari — ha sorpreso tutti, affermando che le informazioni che parlano di una demoralizzazione delle truppe ucraine «sono false», che anzi gli ucraini sono «molto motivati e pronti a morire per il loro Paese» (la cui stessa esistenza era stata messa in discussione da Putin), e che la Russia si trova «in una posizione di isolamento geopolitico totale», con Paesi come India e Cina «che non stanno completamente al nostro fianco». «Di fatto, anche se odiamo ammetterlo, tutto il mondo è contro di noi», ha detto, aggiungendo che «la situazione peggiorerà».
La sua posizione - espressa dal palcoscenico più seguito da parte del pubblico russo: quasi a voler «abbassare» le aspettative dei russi rispetto a una «operazione speciale» che fino ad ora non è andata secondo i piani — si unisce a quelle di un piccolo, ma crescente manipolo di ex militari che criticano ormai apertamente non il comandante in capo, ma il generale Shoigu — il suo ministro della Difesa.
Il 13 maggio, Igor Girkin — ex comandante delle forze filorusse nel Donbass — ha pronunciato contro il titolare della Difesa di Mosca parole di fuoco: «Accuso direttamente Shoigu, come minimo, di negligenza criminale», ha detto, in un video apparso sul suo canale Telegram. «Non ho prove per accusarlo anche di tradimento, ma ne ho il sospetto».
Girkin — detto anche «Strelkov», «cecchino» — è accusato di omicidio in Olanda per il ruolo che avrebbe giocato nell'abbattimento del volo Malaysian Airlines MH17 sul cielo dell'Ucraina, nel 2014: la sua è una critica «da destra», che chiede a Putin di aumentare la proiezione militare della Russia nella guerra, aumentando truppe e mezzi in campo.
Nelle scorse settimane, a posizionarsi allo stesso modo era stato il ceceno Ramzan Kadyrov, mentre il 10 maggio un ex mercenario del Cremlino, Marat Gabidullin della Wagner, aveva detto all'agenzia Reuters che le truppe russe erano state inviate in Ucraina senza un adeguato addestramento.
Gabidullin aveva preso parte alle spedizioni della Wagner in Ucraina, prima di lasciare il gruppo, nel 2019.
"Fallimento". Ufficiali russi in rivolta. Andrea Cuomo il 18 Maggio 2022 su Il Giornale.
Ex colonnello sulla tv di Stato: "Apriamo gli occhi: siamo isolati, la situazione peggiorerà".
Se l'ottimismo è il sale della vita, i vertici militari russi mangiano piuttosto sciapo da qualche tempo. Gira infatti un certo scoramento per come sta andando quella che da guerra lampo si è trasformata in una guerra di posizione e ora addirittura in una guerra che forse si perderà. E questo scontento ha ormai bucato la fitta cortina della propaganda ufficiale voluta da Mosca. Ed è arrivata perfino in televisione.
A smascherare in diretta le difficoltà dell'armata russa in Ucraina è stato, sul primo canale della tv pubblica Rossjia 1, l'ex colonnello Mikhail Khodaryonok, che opsite di uno dei più seguiti talk show nazionali non si è nascosto dietro eufemismi. Punto primo: «Gli ucraini sono ben addestrati, hanno un morale alto, sono pronti ad arruolare molti civili e a combattere fino all'ultimo uomo. Considerando che il piano Usa di armare l'Ucraina sta funzionando e anche che l'Ue sta aiutando Kiev un milione di soldati armati saranno presto una realtà nel prossimo futuro». Punto secondo: «Odio ammetterlo ma tutto il mondo è contro di noi. Per noi russi, tenendo conto dei calcoli operativi e strategici, la situazione peggiorerà e potrebbe precipitare a nostro svantaggio». E nemmeno la pasionaria putiniana Olga Skabeyeva, che conduceva il dibattito, è riuscita con il suo furore ortodosso a contraddire in modo convincente l'ex militare e la sua lucidità: «Dobbiamo essere realisti dal punto di vista politico e militare o saremo colpiti così duramente dalla realtà della Storia che ce ne pentiremo». Va detto che già qualche giorno fa Khodaryonok aveva sullo stesso canale sottolineato che «mandare ragazzi muniti di armi vecchie come le nostre a combattere una guerra del XXI secolo contro un esercito equipaggiato dalla Nato non è la cosa giusta da fare».
Del resto che qualcosa stia andando storto nella guerra di Putin è chiaro. Basti il dato reso noto ieri dall'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera Josep Borrell: «Se è vero che la Russia ha perso il 15 per cento delle sue truppe all'inizio della guerra si tratterebbe di un record mondiale di perdite per un Paese che invade un altro Paese». Ma è chiaro che le critiche più sanguinose sono quelle che arrivano dall'interno. Come quella di Igor Girkin, detto «Strelkov» («cecchino»), ex comandante delle forze filorusse nel Donbass, che qualche giorno fa ha parlato chiaramente di «fallimento» dell'operazione militare in Ucraina e ha accusato il ministro della Difesa Sergei Shoigu «come minimo di negligenza criminale. Non ho le prove per accusarlo anche di tradimento, ma ho un forte sospetto».
Insomma, tira una brutta aria ai vertici delle forze armate russe. Un'aria di resa dei conti. Secondo l'intelligence del ministero della Difesa ucraino il Cremlino starebbe punendo i comandanti delle proprie forze di occupazione russe considerati responsabili delle scadenti performance sul campo. «La leadership del Paese occupante ha iniziato la ricerca dei colpevoli nelle migliori tradizioni staliniste». Ed elenca militari rimossi o addirittura arrestati per le disfatte.
L'andamento deludente della guerra ha spinto lo stesso Vladimir Putin ad attribuirsi sempre maggiori responsabilità nella gestione bellica, prendendo decisioni operative e tattiche «a livello di colonnello o brigadiere», come avvertono fonti militari occidentali citate dal Guardian. Lo Zar si confronta continuamente con il generale Valery Gerasimov, comandante delle forze armate russe, ancora al suo posto malgrado le precedenti voci di un suo esautormento.
Fabrizio Dragosei per corriere.it il 18 maggio 2022.
Quando le guerre vanno male, anche se non si chiamano guerre, è facile che lo scontento inizi a serpeggiare pure nelle file dei fedelissimi. Diverse fonti russe parlano oramai apertamente di mugugni e perfino di esplicite critiche al modo in cui Vladimir Putin sta conducendo l’Operazione militare speciale in Ucraina. Perché agli uomini sul campo non starebbe arrivando a pieno il segno della sua leadership.
Perché il Capo esiterebbe ad imboccare la strada di una escalation militare, nonostante le difficoltà incontrate su quasi tutti i fronti. E perché avrebbe assunto personalmente la guida delle operazioni assieme al capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov, pretendendo di controllare qualsiasi decisione, anche a livello di singoli comandanti di unità. I silovikì, gli uomini che provengono dai cosiddetti ministeri “di forza” (Difesa, Interno, Servizi segreti), da sempre vicinissimi al presidente, fanno sentire la loro voce nei circoli più ristretti.
Vorrebbero la mobilitazione generale, vorrebbero il ricorso a strumenti decisivi per vincere le battaglie più importanti, non escluse le bombe atomiche tattiche (quelle che i militari chiamano con eufemismo “piccole”). Le voci girano, tanto che perfino un colonnello in pensione che abitualmente commenta la “trionfale” campagna sul secondo canale tv, Rossiya, si è permesso di criticare l’andamento dell’Operazione, di dire che per i russi le cose non vanno bene e che, anzi, “peggioreranno”.
Il colonnello Mikhail Khodaryonok ha svelato ai telespettatori quello che da quasi tre mesi tutti i conduttori e gli esperti continuavano a negare recisamente: “Gli ucraini sono ben addestrati, hanno un morale alto, sono pronti ad arruolare tantissimi civili e a combattere fino all’ultimo uomo”. Quelli che circondano Putin e che lui incontra continuamente si aspettavano annunci forti in occasione della parata del 9 maggio. Nel celebrare l’anniversario della vittoria sui nazisti nel 1945 (in Europa si festeggia l’8 per via del fuso orario: la resa fu firmata a Berlino di notte, quando a Mosca era già passata la mezzanotte) Putin avrebbe voluto originariamente proclamare la vittoria sui “nuovi nazisti, marionette degli Usa”. Ma le cose sono andate diversamente, con la ritirata sul fronte di Kiev e i grandi problemi nel Sud-Est.
Allora bisognava annunciare che quella contro l’ex paese fratello non è una Operazione ma una guerra vera e propria e avviare la mobilitazione per poter disporre di tutte le risorse necessarie per condurre una campagna di attacco “totale”. Ma il capo del Cremlino avrebbe deciso di non farlo per paura delle ricadute sociali e politiche di una simile decisione. Migliaia e migliaia di uomini richiamati alle armi (se non milioni) avrebbero potuto innescare reazioni imprevedibili in un paese già fiaccato dalle sanzioni e dall’ostracismo di buona parte del mondo.
Lo stesso discorso vale per il ricorso all’uso degli oltre mille ordigni nucleari di limitata potenza di cui la Russia dispone nel suo arsenale. Putin è sempre seguito da un ufficiale che ha in mano la famosa valigetta nera contenente un computer dal quale inviare i codici necessari per disporre il lancio di missili o lo sgancio di bombe da aerei. Ma l’ordine del presidente non basta. Ci vuole contemporaneamente il via libera del ministro della Difesa e quello del capo di Stato maggiore che hanno altre due valigette. Quindi la direttiva passerebbe ad altri due alti ufficiali operativi che darebbero materialmente la luce verde agli addetti agli ordigni. E Putin, dicono alcuni esperti militari, avrebbe il timore che qualcuno lungo la linea di comando potrebbe non obbedire alla disposizione di scatenare per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale una azione nucleare.
Così, nell’impossibilità di ricorrere a strumenti che al Cremlino si reputano decisivi, il Capo avrebbe preso l’abitudine di controllare personalmente le decisioni prese dai generali, di cui si fida sempre meno, visti i risultati. Occupandosi direttamente delle operazioni, Putin arriverebbe a decidere con i più stretti collaboratori anche azioni che in situazioni normali verrebbero delegate a comandanti di medio rango. E questo rallenterebbe ulteriormente la capacità di reazione agli eventi della macchina bellica russa. Qualcosa che era già avvenuto nella Seconda guerra mondiale, ma nello schieramento opposto.
Jacopo Iacoboni per "La Stampa" il 18 maggio 2022.
Salvate il soldato Mikhail Khodaryonok, colonnello in pensione dello Stato maggiore russo che ieri l'altro, sulla tv del Cremlino Rossiya-1, nel talk show di una delle più accese propagandiste putiniane, Olga Skabeyeva, è andato a dire serenamente: «La Russia è isolata in tutto il mondo. Il morale dell'Ucraina è altissimo, e verrà rifornito di altre armi. Guardiamo in faccia la realtà, se non lo faremo ce ne pentiremo». È stato uno di quei momenti di verità che gli amanti di quel genere di spettacolo che è la tv del Cremlino faticheranno a dimenticare: una tv di regime, in quella che è sempre più una dittatura, e oltretutto nel pieno di una guerra, in cui si sente risuonare la pura e semplice verità.
Khodaryonok, che oggi fa l'analista militare, esordisce così: «Ogni cosa va valutata nella sua totalità. Dal punto di vista strategico. Per prima cosa, non dovremmo prendere per buone tutte le informazioni tranquillizzanti, per esempio che l'esercito ucraino sia sull'orlo di una crisi nel morale, o cose del genere. Questo, per dirla in modo molto pacato, è falso. Certamente ci sono alcuni casi, ma sono casi individuali, prigionieri di guerra, alcune singole unità. Ma come dicevo, bisogna guardare il quadro nell'insieme».
Il pessimismo di Khodaryonok non è nuovo. Già prima della guerra - mentre i fantocci di Putin come il dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko andavano dicendo che la Russia in tre giorni sarebbe arrivata a Kyiv - scrisse un articolo della Nezavisimaya Gazeta che avvertiva: non sarà un blitz, nessuno se l'aspetti. E ci aveva preso in pieno.
Scrisse che gli esperti si sbagliavano sulla situazione politica in Ucraina, e che molti avrebbero difeso il «regime di Kiev», compresi i russofoni. Tuttavia andarlo a dire nello show in prime time di Rossiya-1, davanti a Olga Skabeyeva, già di suo scatenata, ma ovviamente incalzante contro una posizione del genere, ha colpito molti osservatori. La trimurti Solovyov-Kiselyov-Skabayeva di solito appare inattaccabile, in questo genere di arene tv.
Lei ci ha provato, a insistere, a spezzare questa verità imprevista: «Ma i casi individuali - gli ha obiettato - non determinano poi il quadro nell'insieme? E se alcune unità ucraine hanno detto che mancano loro finanziamenti e armi, tutto questo significa qualcosa, e non va tenuto fuori dal quadro». Khodaryonok però l'ha rimpallata. «Certamente, ma dal punto di vista strategico la situazione è che l'Ucraina può armare milioni di persone. Loro stessi l'hanno detto. La vera questione è: quanto sono in grado di fornire armi e hardware militare moderno a questo milione di soldati? Certamente da soli non ci sarebbero riusciti, ma è in atto un programma di aiuti militari e la resistenza di un solo senatore (si riferisce agli aiuti Usa e al voto contrario del senatore americano filorusso Rand Paul, ndr) verrà facilmente superata. Sta per iniziare anche a pieno regime il programma di aiuti europei. Di questo dobbiamo tenere conto. La situazione per noi peggiorerà».
«Il livello di professionalità - spiega il Colonnello K - non dipende dal fatto di essere dei professionisti, ma dalla qualità del training personale, e soprattutto dal morale che è molto alto, essere disposti a morire per la propria patria. Nel nostro Paese si è radicata l'idea che un professionista sia un militare professionista, mentre invece decisivo è il morale, e quanto sei disposto a morire per il tuo Paese». Sta dicendo - lo interrompe Skabayeva - che il desidero di morire è professionismo? «No, sto dicendo che una componente decisiva degli eserciti è l'alta prontezza a combattere. Lo dicevano già i marxisti leninisti, e in questo senso non erano degli stupidi, in definitiva la vittoria sul campo di battaglia viene decisa da un alto livello nel morale delle truppe, che versano il loro sangue per un'idea in cui credono e a cui sono preparati. E in Ucraina hanno esattamente questa situazione».
Si conclude parlando di Svezia e Finlandia, cioè della questione dell'allargamento della Nato. Vladimir Vladimirovich Putin ha inserito questa, tra le motivazioni della «operazione militare speciale» in Ucraina: l'Alleanza atlantica si stava allargando. «Tornando alla Nato - spiega Khodaryonok riuscendo nel miracolo di non farsi interrompere dai suoi ultranazionalisti interlocutori - il nostro comando militare dovrebbe attenersi a un sano realismo politico militare. Se vai oltre il realismo, presto o tardi la realtà della storia ti colpirà così duramente che te ne pentirai. Non ci impegniamo in tintinnii di sciabole con i missili in direzione della Finlandia.
Può sembrare divertente, ma guardiamo la cosa nel suo insieme: la nostra principale debolezza politico-militare è che siamo totalmente isolati dal punto di vista geopolitico e, per quanto possiamo odiare di ammetterlo, il mondo intero è contro di noi». Skabeyeva prova a obiettare che ci sono Cina e India. Ma anche qui la verità di Khodaryonok è implacabile: anche il presunto sostegno di Delhi e Pechino a Mosca non è così incondizionato. Sipario.
Da huffingtonpost.it il 18 maggio 2022.
Mentre ci si interroga sul destino degli eroi dell'Azovstal finiti in mano ai russi, Mosca per la prima volta ammette "difficoltà" sul campo di battaglia. E lo fa attraverso una figura di grande rilievo istituzionale: il vice capo del Consiglio per la sicurezza nazionale, Rashid Nuurgaliyev.
Il fedele di Putin ha però assicurato che "nonostante le attuali difficoltà", la Russia continuerà la sua "operazione militare speciale fino al suo compimento". Tutti gli obiettivi, "compresa la demilitarizzazione e denazificazione dell'Ucraina e la difesa delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, saranno completamente raggiunti".
Già stamattina Ramzan Kadyrov ha parlato di "errori" commessi dalla Russia all'inizio dell'operazione, aggiungendo però il mantra preferito del Cremlino: "Tutto procede secondo i piani". Il leader ceceno ha infatti dichiarato: "Va tutto bene e stiamo andando come previsto, stiamo adempiendo al 100% il compito fissato dal nostro presidente".
E ha poi concluso: "Libereremo l'Ucraina". Inoltre, sono sempre più numerose le segnalazioni di soldati russi che si riufiutano di combattere. Anche stamattina l'intelligence ucraina ha dichiarato che diverse unità della 70esima brigata di fucilieri a motore si sono apertamente rifiutate di prendere parte alla guerra. Mosca, però, a chi chiede di tornare in patria risponde spedendolo nelle zone più pericolose del fronte.
La misteriosa scomparsa dell’aviazione di Putin dalla guerra in Ucraina: “Evitano di combattere”. Gianluca Di Feo su La Repubblica il 17 maggio 2022.
Mosca ha 15 volte più caccia di Kiev. Ma tattiche vetuste, piloti poco addestrati e la sorveglianza dei radar volanti occidentali la fanno ritirare pure dal cielo
I caccia ucraini che sfrecciano indisturbati sulla prima linea russa ripropongono il mistero di questa guerra: che fine ha fatto l'aviazione di Mosca? Sulla carta non c'è partita: dispone di 1.435 aerei da combattimento contro i 98 di Kiev, un vantaggio di quasi 15 a uno. E non si può nemmeno dire che siano vecchi, perché Putin ha speso miliardi per acquistarne 400 di nuovi e aggiornare un numero consistente di quelli più datati.
Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 18 maggio 2022.
Il grande mistero della guerra in Ucraina è l'assenza dell'aviazione russa. Dall'inizio del conflitto gli esperti militari occidentali si interrogano sulle ragioni per le quali gli aerei di Putin si vedono molto poco, colpiscono malamente e non svolgono azioni coordinate con le forze di terra, come si fa in ogni offensiva. Anzi, i pochi aerei che volano sono spesso abbattuti dai missili terra-aria forniti agli ucraini dagli Stati Uniti, dalla Slovacchia e da altri paesi amici.
Persino alla parata militare sulla Piazza Rossa che ha celebrato il 9 maggio scorso l'anniversario della vittoria sulla Germania l'aviazione era assente. Il Cremlino cercò di giustificare la cosa con le nuvole basse, ma senza convincere nessuno.
La Russia ha 4000 aerei da combattimento, il più recente dei quali, il Sukhoi Su-34, non ha in teoria niente da invidiare al Boeing F-15 E americano. In Ucraina ne sono stati schierati circa 200, già ampiamente collaudati nelle guerre in Siria e in Cecenia.
Possono trasportare 12 tonnellate di bombe e missili e dispongono di un cannone da 30 millimetri.
Possono colpire con precisione obiettivi a terra dalla distanza di 10-15 chilometri e da un'altezza di 5-6 mila metri, tenendosi a distanza di sicurezza dai più sofisticati missili terra-aria.
Perché dunque i Su-34 non colpiscono come potrebbero? Quando erano stati presentati erano apparsi aerei molto moderni e pericolosi per il nemico, con innovazioni interessanti come i sedili affiancati per i due piloti, una soluzione mai vista su un caccia. Ma al Pentagono si sono ormai convinti che quella presentazione fosse solo fumo negli occhi, che mostrava sistemi d'arma sofisticati e intelligenti che non sarebbero in realtà mai stati usati né installati sui nuovi aerei.
GLI ESPERTI I Su-34 impegnati in Ucraina, hanno osservato gli esperti militari come Justin Bronk, del Royal United Services Institute di Londra, utilizzano solo le vecchie bombe stupide che equipaggiavano i Su-25 della generazione precedente. «La maggior parte degli aerei da combattimento ad ala fissa dell'aviazione russa ammassati in giro per l'Ucraina ha solo bombe e razzi non guidati a cui attingere per le sortite di attacco al suolo», ha scritto Bronk in un rapporto.
Come nella Seconda guerra mondiale, i piloti devono vedere l'obiettivo da colpire, passarci sopra, sganciare una bomba e cercare poi di tornare alla base senza danni. Per farlo devono volare sotto le nuvole, a quote basse nelle quali diventano facile obiettivo dei missili e dei sistemi di difesa ucraini, basati sugli Stinger americani e sui più sofisticati missili S-300 della Slovacchia, che agganciano 100 bersagli e possono colpirne 30 simultaneamente.
La ragione per la quale la Russia sta usando aerei molto sofisticati come se fossero caccia di mezzo secolo fa è molto semplice: non ha abbastanza soldi per sviluppare i sistemi di guida automatica di bombe e missili, che richiedono una rete di assistenza competente, addestrata e composta da centinaia di persone.
Le componenti dei sistemi elettronici provengono inoltre quasi tutte dall'estero e le sanzioni ne hanno di fatto bloccato l'importazione. La corruzione dilagante ha poi fatto in modo che le risorse disponibili venissero sprecate o prosciugate da tangenti e creste sulle voci di spesa. C'è infine la rivalità tra i generali e le diverse componenti delle forze armate, ognuna gelosa dell'altra.
L'aviazione vorrebbe avere un ruolo più autonomo, ma lo stato maggiore russo, e anche lo stesso Putin, continuano a essere convinti che le guerre si vincono con la fanteria e i carri armati, a patto che si abbia un numero quasi infinito di soldati da mandare a morire, come avvenne nella Seconda guerra mondiale. Per la fanteria russa, gli aerei sono ancora solo dei cannoni volanti guidati da militari che devono obbedire agli ordini e non usare mai il proprio cervello.
GLI UCRAINI
Gli ucraini invece utilizzano la propria aviazione con molta fantasia, servendosi anche di numerosi velivoli a guida autonoma. Un drone è stato mandato a disturbare i sistemi di difesa dell'incrociatore Moskva prima di lanciargli contro due missili Neptune: è solo un esempio di quello che i russi, prigionieri della loro rigida dottrina di guerra, non potrebbero mai fare. L'Ucraina ha così mantenuto il controllo dei cieli, fondamentale per l'esito della guerra come lo fu la resistenza dei piloti britannici agli aerei della Luftwaffe, «quei pochi a cui mai nella storia così tanti dovettero così tanto», per citare le parole di Winston Churchill, più attuali che mai.
Ucraina, gli 007 britannici: «Mosca ha silurato diversi alti ufficiali». Ecco chi sono. Lo scrive in una nota l'intelligence della Gran Bretagna. Un vice ammiraglio sarebbe stato licenziato a causa dell'affondamento dell'incrociatore Moskva. Il Dubbio il 19 maggio 2022.
Nelle ultime settimane Mosca ha licenziato diversi alti ufficiali che avrebbero commesso gravi errori durante le fasi iniziali dell’invasione dell’Ucraina. Lo scrive l’intelligence britannica, citando tra i “silurati” il generale Serhiy Kisel, «sospeso per non essere riuscito a conquistare Karkhiv», ed il vice ammiraglio Igor Osipov, che comandava la Flotta russa nel Mar Nero e il cui licenziamento sarebbe dovuto all’affondamento dell’incrociatore Moskva, mentre il capo di Stato maggiore russo, Valeriy Gerasimov, è «probabilmente» al suo posto, «ma non è chiaro se ha ancora la fiducia del presidente Putin».
Secondo il consueto aggiornamento dell’intelligence britannica sul conflitto in Ucraina, «la cultura del capro espiatorio è probabilmente prevalente all’interno del sistema militare e di sicurezza russo» e per questo motivo «molti ufficiali coinvolti nell’invasione dell’Ucraina saranno probabilmente sempre più distratti dagli sforzi per evitare responsabilità personali per le battute d’arresto operative della Russia. Ciò probabilmente metterà a dura prova il modello centralizzato di comando e controllo della Russia poiché gli ufficiali cercheranno sempre più di delegare le decisioni chiave ai loro superiori». «Sarà difficile per la Russia riprendere l’iniziativa in queste condizioni» conclude la nota dell’intelligence britannica.
(ANSA il 18 maggio 2022) - La Russia ha "significativi problemi" di reclutamento per la guerra in Ucraina, che "probabilmente stanno contribuendo a un comando disunito che continua a ostacolare le operazioni" di Mosca: lo scrive l'intelligence britannica nel suo aggiornamento sulla situazione in Ucraina pubblicato dal ministero della Difesa di Londra.
Per cercare di far fronte alla resistenza ucraina, la Russia sta facendo un uso notevole di personale ausiliario, incluso lo schieramento delle forze cecene, che probabilmente consiste di svariate migliaia di combattenti concentrati soprattutto nelle regioni di Mariupol e Lugansk, commenta l'intelligence.
Queste forze, prosegue il rapporto, consistono probabilmente di unità formate da volontari e membri della Guardia Nazionale, che normalmente vengono impiegate per garantire il potere al leader ceceno Ramazan Kadyrov. Quest'ultimo, conclude il rapporto, probabilmente segue da vicino, personalmente, lo schieramento dei suoi uomini, mentre suo cugino Adam Delimkhanov probabilmente ha assunto il ruolo di comandante in campo a Mariupol.
(ANSA il 18 maggio 2022) - Human Rights Watch (Hrw) afferma di aver documentato una serie di presunti crimini dei soldati russi contro i civili nelle regioni di Kiev e Chernihiv, nell'Ucraina settentrionale. Lo riferisce la Cnn online. Secondo il rapporto pubblicato oggi, un team dell'organizzazione in visita nell'area tra aprile e maggio afferma di aver "indagato su 22 presunte esecuzioni sommarie, altri nove omicidi illegali, sei possibili sparizioni forzate e sette casi di tortura". Si ritiene che i presunti crimini siano stati commessi a febbraio e marzo dalle truppe russe poiché controllavano gran parte dell'area.
Hrw afferma di aver intervistato 65 persone tra il 10 aprile e il 10 maggio, comprese le famiglie delle vittime e le persone che hanno affermato di essere state detenute e torturate dalle truppe russe. L'organizzazione ha anche riportato la testimonianza degli abitanti di un villaggio che hanno raccontato di essere tra le 350 persone tenute prigioniere per 28 giorni in uno squallido e angusto seminterrato a Yahidne, vicino a Chernihiv.
Altri abitanti sono stati uccisi dalle truppe russe, afferma Hrw. "Questi abusi contro i civili sono evidenti crimini di guerra che dovrebbero essere indagati tempestivamente e in modo imparziale e adeguatamente perseguiti", ha detto il direttore di Hrw per l'Europa e l'Asia centrale, Giorgi Gogia.
(ANSA il 18 maggio 2022) - Sono almeno 28.300 i soldati russi uccisi in Ucraina dall'inizio dell'invasione: lo rende noto l'esercito di Kiev. Nel suo aggiornamento sulle perdite subite finora da Mosca, l'esercito indica che dopo 84 giorni di conflitto si registrano anche 202 caccia, 167 elicotteri e 441 droni abbattuti. Inoltre le forze di Kiev affermano di aver distrutto 1.251 carri armati russi, 586 pezzi di artiglieria, 3.043 veicoli blindati per il trasporto delle truppe, 102 missili da crociera, 199 lanciamissili, 13 navi, 2.137 tra veicoli e autocisterne per il trasporto del carburante, 91 unità di difesa antiaerea e 43 unità di equipaggiamenti speciali.
Estratto dell'articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica” il 17 maggio 2022.
Mentre sono in servizio, il loro obiettivo principale è arricchirsi». Così il giovane capitano d'artiglieria Lev Tolstoj descriveva con disgusto i suoi superiori impegnati nel conflitto di Crimea del 1854.
In guerra e in pace, le tangenti nell'esercito russo restano una regola aurea. I risultati si vedono sul campo, con un'armata spesso rossa di vergogna per le condizioni degli equipaggiamenti con cui deve combattere.
Droni, aerei, tank, missili, radio portatili, giubbotti antiproiettile e persino razioni di cibo di pessima qualità: dotazioni che stanno decidendo il destino dei soldati ma che sono state prodotte pensando più alle bustarelle che non alla battaglia. Tanto che il governo di Kiev ha ringraziato la corruzione di Mosca, definendola «il nostro migliore alleato».
Le immagini dei droni Orlan 10 abbattuti in Ucraina hanno fatto infuriare i commentatori russi: possibile che quegli aeroplanini telecomandati primordiali siano stati pagati 100 mila euro l'uno?
I modelli occidentali costano la metà e hanno prestazioni superiori. I rottami dei caccia Sukhoi invece hanno mostrato l'accrocco: nonostante la spesa record per ammodernarli, c'erano navigatori Gps di sottomarca aggiunti in cabina con i supporti che si usano per i TomTom sulle auto. E i critici interni si chiedono dove siano finiti i carri armati d'ultima generazione, fatti sfilare da anni nelle parate ma mai diventati operativi perché gli appalti per qualsiasi mezzo innovativo vengono assegnati alla stessa azienda cara al Cremlino.
L'intero piano multimiliardario lanciato da Putin per rendere le forze armate in grado di sfidare la Nato sembra marcio, con prezzi gonfiati e un dieci per cento finito nelle tasche delle camarille di potere. Il "Moscow Times", una delle rare testate indipendenti, ha rivelato l'indagine segreta dei detective finanziari del Cremlino: ben 27 banche hanno segnalato massicci trasferimenti di denaro cash dietro le forniture belliche. Ci sono situazioni incredibili.
La fabbrica dei missili usati oggi per colpire le città ucraine ha finto la distruzione dei cruise Kh-55 impiegati nelle esercitazioni. Invece li smontava: parte dei pezzi è stata rifilata come nuova allo Stato; parte è stata addirittura venduta di nascosto ai nemici di Kiev.
Il 21 aprile scorso ha preso fuoco il centro di ricerche aerospaziali di Tver, dove si disegnano i missili più avanzati: l'impianto anti- incendio era difettoso. Non è stata una sorpresa. Il più longevo direttore dell'istituzione è finito in cella nel 2019: il generale Sergei Yagolnikov aveva creato un'impresa parallela, intestata a pensionati del centro ricerche, che otteneva contratti per realizzare sistemi militari hitech.
Droni e tank russi, "giro di tangenti": soldi sporchi dietro al disastro in Ucraina, chi ha tradito. Libero Quotidiano il 17 maggio 2022
Kiev ha riconosciuto nella corruzione russa “il nostro migliore alleato”. Uno dei tanti motivi della fallimentare “operazione militare speciale” in Ucraina risiede anche nello storico problema di Mosca con il malaffare che serpeggia a tutti i livelli, dall’ultimo anello della catena bellica fino ai vertici delle forze armate. Nell’edizione odierna Repubblica si è occupata delle tangenti su radio, droni e missili che hanno “disarmato” i russi: tra prezzi raddoppiati e qualità infima, dietro le carenze degli invasori c’è il peso delle mazzette.
In questo senso si sprecano gli esempi, a partire dai droni Orlan 10: sono stati abbattuti con facilità disarmante dagli ucraini, indignando gli analisti russi, che si sono chiesti come sia possibile che questi droni siano stati pagati 100mila euro l’uno, quando quelli occidentali costano la metà e hanno prestazioni superiori. Altro scandalo è emerso dai rottami dei caccia Sukhoi: la spesa per ammodernarli era stata da record, ma si è scoperto che erano stato montati navigatori Gps sottomarca, quindi i soldi saranno finiti nelle tasche di qualcuno…
E ancora, sui carri armati di ultima generazione: “Fatti sfilare da anni nelle parate - si legge su Repubblica - ma mai diventati operativi perché gli appalti per qualsiasi mezzo innovativo vengono assegnati alla stessa azienda cara al Cremlino. L’intero piano multimiliardario lanciato da Putin per rendere le forze armate in grado di sfidare la Nato sembra marcio, con prezzi gonfiati e un dieci per cento finito nelle tasche delle camarille di potere”.
Andrea Marinelli,Guido Olimpio per “il Corriere della Sera” il 17 maggio 2022.
Vladimir Putin non può permettersi la mobilitazione generale e allora si affida al reclutamento mascherato di piccoli contingenti, con offerte di salario e qualche bugia. Il quadro emerge da segnalazioni esterne - centri studi, come Institute for the Study of War - e osservazioni di specialisti. È un passo che provoca reazioni impreviste: bottiglie molotov lanciate contro commissariati e centri di arruolamento. Secondo alcuni sarebbero numerosi gli episodi di insofferenza, gesti enfatizzati dalla propaganda ucraina.
L'Armata usa sistemi diversi per raccogliere rimpiazzi.
Primo. I riservisti sono convocati nei centri dove gli viene offerto un nuovo ingaggio.
Secondo. Le compagnie di sicurezza private stanno mettendo insieme reparti misti, unendo nuovi arrivati e soldati delle unità aviotrasportate. È un sistema che non porta efficienza: mancano ufficiali d'esperienza, ne sono morti molti. Terzo. A Belgorod sono arrivati circa 2.500 elementi, seguono un corso rapido d'aggiornamento in vista dell'impiego nell'operazione.
Quarto. Dalla Cecenia sono partiti circa 600 miliziani, che si aggiungono ai compagni già in battaglia. Dal campo - oltre alle notizie contrastanti sulla sorte di Mariupol - lo sviluppo più interessante è nel settore di Kharkiv. La resistenza ha raggiunto il confine con la Russia, nei pressi della località di Ternova, e ha diffuso le foto mostrando il cippo con i colori nazionali: è il risultato dell'offensiva conclusasi con il ripiegamento del nemico.
Che, stando ad alcune informazioni, potrebbe rientrare poco più a est attraversando il fiume a Stari Saltov. Sempre gli invasori hanno «risposto» con un'incursione di commandos a nord di Sumy. È un modo per esercitare pressione costringendo gli ucraini a non sguarnire l'area, stessa tattica usata dalla Bielorussia.
Più a sud nella regione di Donetsk, attorno a Severodonetsk, gli ucraini hanno distrutto un ponte ferroviario per impedirne l'uso da parte della Russia. In questa regione gli invasori inglobano ogni giorno qualche villaggio mentre proseguono i duelli d'artiglieria. È un'erosione lenta ai danni dell'Ucraina, che reclama un costo anche per gli invasori.
Non sappiamo se la resistenza dovrà abbandonare territorio per evitare accerchiamenti, come a Lyman, in bilico. Il quadro di insieme indica alcune tendenze. L'invasore registra piccole vittorie tattiche nel Donbass, ma è lontano dai grandi risultati. È necessario imporre un cambio, tuttavia le forze sono relative. Per il Pentagono Putin ha già impegnato l'80% dei suoi battaglioni, 106 partecipano all'operazione: non ha più molto in riserva.
Presunti documenti russi catturati dagli ucraini dimostrerebbero come Mosca abbia perso centinaia di corazzati. Continuando con questo passo - avvisano gli esperti - per Putin sarà complicato andare avanti. C'è della propaganda, ma c'è anche del vero in un conflitto spaventoso per tutti. Resta da capire l'improvvisa rimozione da parte di Zelensky del comandante della Territoriale, componente essenziale del suo esercito. Ihor Tantsiura prende il posto di Yuri Halushkin, generale in carica da gennaio. Non è certo un buon segnale.
Ucraina, "Confine liberato", i russi disertano: l'impresa della "mostruosa piovra" che divora tutto. Libero Quotidiano il 17 maggio 2022.
"Ce l'abbiamo fatta presidente". Una frase quella pronunciata dal caposquadra dei soldati ucraini che riscrive un po' la narrazione di questa guerra. Le forze di Kiev sono arrivate a riconquistare i confini di una parte del territorio. "Abbiamo raggiunto il confine russo. Qui con noi c'è una guardia di frontiera, da adesso passiamo il controllo di questa posizione a lui". Il messaggio rivolto al presidente Zelensky è abbastanza chiaro: l'esercito di Kiev va avanti e di fatto sta guadagnando posizioni su posizioni abbastanza vicine a quelle del confine russo. La parola d'ordine è una sola, come riporta Repubblica, ricacciare i russi da dove sono venuti, urlano gli ucraini.
La strategia sul campo sta cambiando. I russi ieri hanno annunciato di aver guadagnato 5 kilometri con i loro posizionamenti, ma la sensazione è che sul terreno di guerra la situazione stia entrando in una fase di stallo. Putin adesso deve capire fin dove vuole spingersi. Sfondare verso Ovest oppure cercare di blindare l'Est. Tra le unità che danno la caccia ai russi c'è anche quella dei veterani: la "Kraken". Il nome non è casuale, deriva dalla piovra di dimensioni mostruose capace di affondare da sola una nave.
Sono quelli della Kraken che battono metro per metro il terreno a caccia di russi. Ma di fatto in questo contesto di inseguimenti, di fatto c'è una particolare circostanza da sottolineare: diversi militari di Mosca si stanno dando alla diserzione. Dal Donbass arriva un video di una squadra di russi che rifiuta di obbedire agli ordini. Il motivo? Troppe perdite in quella zona, la regione occupata a sud di Zaphoriza. E da qui arriva anche la voce dell'apertura di alcuni centri di reclusione per i militari che si rifiutano di combattere. Insomma la guerra prosegue con le sue atrocità, ma si aprono brecce importanti tra le truppe dello zar.
Da leggo.it il 15 maggio 2022.
Dalle intercettazioni raccolte dagli ucraini emerge ancora una volta una realtà scioccante che riguarda i comandanti dell'esercito russo che si ribellano a Putin. Più volte nelle ultime settimane è infatti emerso come soldati o ufficiali di Mosca, delusi dall'esito della guerra in Ucraina e non convinti degli ordini che ricevono, finiscano per ammutinarsi o addirittura per autosabotarsi: ma le punizioni ai loro danni sono incredibilmente crudeli.
Alcuni comandanti sarebbero infatti stati spogliati, legati e portati via con i camion verso destinazioni sconosciute. E il responsabile di queste punizioni sarebbe il generale Rustam Muradov, vicecomandante del distretto militare meridionale della Russia noto per le sue azioni brutali durante l'intervento russo in Siria.
Secondo quanto raccontato da un soldato russo a un suo amico, avrebbe organizzato «processi esemplari» durante i quali avrebbe umiliato i soldati che si rifiutano di proseguire la guerra in Ucraina.
Le intercettazioni
«Muradov è venuto e ha fatto un processo esemplare - si sente nell'intercettazione di un soldato russo a suo padre -, perché nessuno voleva andare avanti. I comandanti non volevano portare i loro ragazzi alla morte. Per esempio, ha spogliato questi comandanti, ha legato loro le mani. Hanno dovuto tirare fuori tutto dalle tasche. Li ha gettati negli autobus e li ha portati via».
Un'umiliazione. Per Putin c'è poi la carenza di uomini al fronte. Il soldato ha ammesso che anche lui sta aspettando di essere mandato "in licenza". «La Russia non può ammettere ufficialmente di avere così tanti soldati che si rifiutano di combattere in Ucraina».
In una seconda registrazione, si può sentire un altro soldato russo che esprime le sue frustrazioni per la situazione a un'amica. La sua principale lamentela sembra essere il discorso di Putin nel Giorno della Vittoria il 9 maggio: l'amica dice al soldato che pensava che il discorso di Putin fosse «schifoso», aggiungendo che aveva «tremato tutto il giorno» dopo averlo ascoltato. Il soldato russo risponde: «Beh, cosa vuoi, è un vecchio pazzo».
"Lasciati colpire". La drammatica telefonata del soldato russo. Federico Garau il 15 maggio 2022 su Il Giornale. Nuova intercettazione resa pubblica della autorità ucraine nella quale si ascolterrebbe un soldato russo demoralizzato parlare alla madre che lo attende a casa. Nel corso della conversazione registrata dagli uomini di Kiev, si udirebbe anche la donna consigliare al figlio di lasciarsi colpire per poter così tornare in patria.
La telefonata, che sarebbe stata intercettata dalla direzione principale dell'intelligence del ministero della Difesa ucraino, è stata rilasciata nel corso della giornata di ieri e ad una prima interpretazione farebbe proprio pensare ad uno scoramento generale all'interno delle truppe russe o, almeno, fra alcuni componenti.
Siamo ormai a quasi novanta giorni di conflitto e non stupisce che fra i soldati possano registrarsi episodi di stanchezza o di sconforto. Nella telefonata diffusa dalle autorità ucraine, il militare spiega alla madre le ragioni che lo starebbero spingendo ad abbandore lo scontro.
"Perché gli ucraini dovrebbero arrendersi? Siamo nella loro terra. Non finirà presto. A cosa diavolo mi serve questo? A 20 anni… non mi interessa per niente l'Ucraina. Devo tornare e dimettermi", sarebbe la dichiarazione del giovane soldato alla madre, come riportato da Il Messaggero. Sempre il soldato racconta di aver avuto un comandante che, pur di lasciare l'Ucraina e fare ritorno in patria, ha preferito spararsi a una gamba. La madre, sconvolta, ascolta quanto le riferisce il figlio, e si stupisce del fatto che non ci siano soldati ancora disposti a proteggere la Russia.
"La nostra gente sta scomparendo da sola. Alcuni di loro sono scomparsi senza lasciare traccia, altri sono stati fatti prigionieri, altri si stanno nascondendo, altri sono già in Russia", prosegue il giovane soldato. "Non hai bisogno di spararti alla gamba, perché chi sa come andrebbe a finire. O lascia che qualcuno ti colpisca", suggerisce quindi la madre.
Ma la registrazione pubblicata dagli ucraini non finisce qui. Si sente anche il presunto militare russo parlare di un'operazione effettuata in un villaggio alcuni giorni prima. Il comandante, racconta, aveva ordinato a lui e ad altri soldati di usare delle granate. "Per fortuna non lo abbiamo fatto, perché dentro una di quelle case c'erano quattro bambini", commenta.
Secondo le autorità ucraine non si tratterebbe della prima registrazione in cui un soldato di Mosca medita seriamente di ritirarsi. Pochi giorni fa, sempre da Kiev era stato pubblicato un altro audio in cui la moglie di un militare consigliava al marito di "cadere da un carro armato".
"Si suicidano": il racconto choc sui soldati russi in Ucraina. Alessandro Ferro il 12 Maggio 2022 su Il Giornale.
Oltre agli ammutinamenti, alla disobbedienza agli ordini e agli auto-ferimenti per tornare in patria, alcuni soldati russi hanno preferito suicidarsi che combattere: ecco il racconto choc di uno di loro.
L'esercito di Putin, anche se in alcune circostanze sembra ancora tenere testa agli ucraini, in altre mostra segni di fragilità, debolezza e una strenua tenuta delle forze. Se in passato abbiamo raccontato di ammutinamenti e ferimenti alle gambe da parte dei soldati russi pur di non combattere e rientrare a casa, la storia che ha svelato Andrey Ushakov, 20 anni, in forza all'esecito russo, è veramente incredibile. Intervistato dal giornale online Open Media Ukraine, ha raccontato di aver conosciuto due soldati che avrebbero preferito suicidarsi piuttosto che continuare la guerra e andare incontro, comunque, alla morte.
"Non venite qui"
Durante il suo racconto su quanto avvenuto finora in Ucraina, ha sconsigliato vivamente ad altre giovani leve di arruolarsi e andare a combattere in Ucraina, anche se Putin ha raccontato alle famiglie dei soldati morti che sono "eroi" come quelli della Seconda Guerra Mondiale. "Non venite qui. Non c'è niente da fare per noi. Portiamo solo dolore... la gente qui è buona", dichiara Ushakov. Come scrive Il Messaggero, la maggior parte delle situazioni in cui l'esercito si rifiuta di combattere non prevede il suicidio ma il ferimento, anche di una certa gravità, così da essere rispediti a casa. Ecco il significato dell'espressione "Cargo 300", cioè "feriti", mentre Cargo 200 significa "caduti sul campo di guerra". "L'unica possibilità di andarsene era come 300 - aggiunge il 20enne -. Alcuni non ce l'hanno fatta e si sono sparati".
"Niente cibo né acqua"
Il lungo racconto del 20enne in un video pubblicato su YouTube è da brividi: soldati abbandonati a loro stessi senza rifornimenti e un minimo di ristoro, oltre alla paura di essere uccisi dagli ucraini si è unita quella per la mancanza del minimo necessario a sopravvivere quotidianamente. "Non c'era cibo, né acqua", ha raccontato al giornalista di Kiev Volodymyr Zolkin. Per quel che si sa il soldato catturato dagli ucraini proviene da un povero sobborgo russo e ha deciso di arruolarsi nell'esercito per racimolare qualchne soldo e aiutare i propri cari.
La disobbedienza agli ordini
Come abbiamo visto sul Giornale.it, ferimenti e suicidi sono soltanto la punta dell'iceberg di quanto accade tra i russi: sebbene la guerra doveva volgere a loro favore con il restringimento del conflitto sul Donbass, l'inversione di tendenza sperata non è ancora avvenuta tant'é che numerosi militari si rifiutano di obbedire agli ordini dei loro superiori. Il Corriere della Sera ha spiegato che le ragioni sarebbero essenzialmente due: la fanteria non vuole correre rischi e avanza molto lentamente fin quando non vi è certezza di aver centrato un obiettivo. E poi la logistica e la tattica non hanno mai aiutato i russi dal 24 febbraio e il problema persiste tutt'ora. L'insieme di questi elementi fa sì che il vento non sia cambiato, che la durata del conflitto stia mettendo a dura prova soprattutto la tenuta mentale degli uomini di Putin e che, con i continui aiuti occidentali agli ucraini, la vittoria finale della guerra diventa sempre meno probabile.
Fuoco (di paglia) nei cieli. Perché l’aviazione russa è così disastrosa. Linkiesta l'11 Maggio 2022.
L’aeronautica avrebbe dovuto rappresentare un vantaggio sistemico per il Cremlino, invece finora non hanno portato risultati significativi. Colpa della scarsa abitudine a usare gli aerei militari per aprire la strada alle forze di terra e delle pessime connessioni tra i reparti militari.
Lunedì scorso a Mosca, alla parata per il Giorno della Vittoria, hanno sfilato sulla Piazza Rossa 11mila ufficiali, al fianco di carri armati sovietici, lanciarazzi e altri equipaggiamenti da guerra. In tutto c’erano oltre 130 mezzi. Mancava solo una componente fondamentale: l’aviazione. Il portavoce del Presidente Putin, Dmitry Peskov, ha spiegato al Kommersant che l’esibizione dei jet è stata annullata a causa del maltempo. Ma l’assenza dell’aviazione è subito diventata un simbolo, almeno secondo molti media occidentali, delle difficoltà della Russia nel prendere un vantaggio in questa guerra nello scontro aereo.
La forza aerea avrebbe dovuto rappresentare uno dei maggiori vantaggi della Russia rispetto all’Ucraina. Mosca vanta quasi 4mila aerei da combattimento ed esperienze pregresse nei bombardamenti aerei in Siria, Georgia e Cecenia. L’aviazione avrebbe dovuto aprire la strada all’esercito, consentendo alle truppe di terra di entrare in profondità nel territorio ucraino. Ma a più di due mesi dall’inizio della guerra, l’aviazione di Vladimir Putin non ha ottenuto alcunché.
Questo non vuol dire che il Cremlino non abbia gli strumenti per cambiare le sorti della guerra anche attraverso la sua aviazione – potrebbe ancora ottenere la supremazia aerea e cambiare radicalmente il corso del conflitto – ma per ora non ha saputo costruirsi un vantaggio che sembrava scontato.
Il primo giorno di guerra, quando Putin ha annunciato l’inizio dell’invasione, raccontavamo che a differenza degli Stati Uniti – abituati ad anticipare le loro avanzate con un bombardamento intensivo di aeroporti, radar e postazioni antiaeree – l’aviazione russa è poco abituata a svolgere questo compito preliminare. Nasce da qui la difficoltà russa.
«L’aviazione è potenzialmente decisiva in ogni guerra, ma è difficile da sfruttare in modo efficace», si legge in un articolo dell’Atlantic scritto da Phillips Payson O’Brien, professor of strategic studies at the University of St. Andrews in Scotland, ed Edward Stringer, maresciallo dell’aviazione della Royal Air Force ora in pensione. «Le forze aeree dipendono da una serie di tecnologie che richiedono personale altamente qualificato in grado di configurare rapidamente ciò che equivale a un ecosistema militare aviotrasportato: stazioni radar aviotrasportate per fornire comando e controllo, combattenti per proteggere e sorvegliare i cieli, rifornire di carburante gli aerei per mantenere tutti pieni di gas, aerei da guerra elettronica per mantenere soppresse le difese nemiche e una serie di raccoglitori di informazioni e aerei d’attacco per localizzare e distruggere le forze nemiche».
L’esercito russo è stato rimodernizzato negli ultimi anni, ma queste operazioni hanno interessato soprattutto l’aspetto più visibile all’esterno: un esempio può essere l’arrivo del velivolo da attacco SU-34. Ma dietro le quinte l’aviazione russa continua a soffrire di blackout logistici, la mancanza di un addestramento regolare e realistico per i suoi piloti e altre difficoltà di questo tipo.
Fino ad oggi, in Ucraina l’aviazione russa ha fornito principalmente supporto aereo alle truppe di terra, o ha bombardato le città ucraine. Ha seguito la tattica tradizionale di una potenza continentale che privilegia sempre e comunque le forze di terra, ma come spiegano Payson O’Brien e Stringer sull’Atlantic, concentrarsi sulla fanteria può funzionare se hai un numero quasi infinito di soldati, ma in quest’epoca è difficile non capire l’importanza di controllare i cieli in un conflitto come questo.
«Ai piloti russi – si legge nell’articolo – viene assegnato un obiettivo con l’indicazione di volare il più rapidamente possibile per attaccarlo, in molti casi con munizioni non guidate, per colpirlo e poi volare via cercando di non farsi abbattere».
Il dettaglio delle bombe non guidate non è marginale. Nella terminologia militare sono note come bombe a caduta libera o “bombe stupide”, nomi nati dopo l’arrivo delle bombe guidate, chiamate anche bombe intelligenti o “smart bomb”.
Le bombe non guidate su cui continuano a fare affidamento gli aerei da guerra russi sono più grezze rispetto anche a quelle costruite dagli Stati Uniti subito dopo la Seconda guerra mondiale. Parlando al New York Times, un alto funzionario dell’intelligence americana ha detto che «il design russo privilegia la produzione di massa a basso costo rispetto alla precisione e richiede molto meno assemblaggio prima del volo, il che rende quelle bombe un’opzione più attraente per l’uso da parte di forze russe relativamente non addestrate».
Le uniche bombe guidate usate dalla Russia sono limitate ai missili cruise Kh-101 lanciati dai bombardieri Tu-95 Bear e Tu-160 Blackjack che volano nello spazio aereo russo e bielorusso, e poi i missili balistici a corto e medio raggio lanciati a terra come Tochka e Iskander; e un piccolo numero di missili cruise Kalibr lanciati dalle navi da guerra in mare.
C’è poi una differenza sostanziale tra gli attacchi aerei della Russia in Ucraina e quelli delle precedenti esperienze, come in Siria – la spiega John Ismay sul New York Times: «In Siria gli aerei da guerra russi potevano volare incontrastati e indugiare sui loro obiettivi per tutto il tempo che volevano prima di sganciare una bomba, cosa che i jet ucraini e i missili terra-aria rendono impossibile».
La capacità dell’Ucraina di proteggere il proprio spazio aereo non solo ha fornito protezione alle proprie forze, che era ed è la priorità numero uno, ma ha anche permesso loro di passare all’offensiva in alcuni frangenti.
All’inizio della guerra, gli ucraini hanno adoperato i droni turchi Bayraktar per attaccare alcuni obiettivi specifici, per identificare e distruggere i missili terra-aria russi e rendere così le forze di terra russe più vulnerabili agli attacchi dall’alto.
Una spiegazione dell’inefficacia dell’aviazione russa sta anche nell’aiuto militare che arriva in Ucraina da occidente. Varie armi antiaeree altamente efficaci sono state fornite alle forze armate ucraine, che vanno da missili antiaerei portatili più piccoli come il Raytheon FIM-92A Stinger di fabbricazione statunitense e il Thales Starstreak HVM di fabbricazione britannica, a grandi camion -sistemi missilistici terra-aria a lungo raggio S-300 montati.
Le prossime settimane probabilmente ci diranno se i russi hanno la capacità di imparare dai propri errori e sfruttare meglio la loro massiccia superiorità numerica negli aerei – che nonostante tutto è ancora una superiorità vera e propria.
Gli ucraini, invece, potrebbero veder crescere le loro capacità aeree offensive proprio grazie agli aiuti europei e americani: i nuovi droni, ad esempio, potrebbero consentire un migliore targeting dell’artiglieria a lungo raggio. Gli ucraini stanno ricevendo sistemi molto avanzati, come i nuovi droni Phoenix Ghost e Switchblade. Questi ultimi sono noti come munizioni circuitanti (loitering munitions) ma popolarizzati con il nomignolo di “droni kamikaze”: si tratta di un drone usa-e-getta che si schianta contro gli obiettivi nemici.
«Finché lo spazio aereo sul campo di battaglia rimarrà conteso tra le due parti – concludono Payson O’Brien e Stringer sull’Atlantic – gli ucraini potranno migliorare ed espandere il loro uso della forza aerea. Forse questo non sarà decisivo per vincere la guerra, ma di sicuro stanno cambiando gli equilibri tra le forze per le prossime battaglie».
Dagotraduzione dal Daily Mail il 10 maggio 2022.
L’Ucraina ha distrutto la speciale “nave da parata” che Putin utilizza per ispezionare le sue flotte navali. Lo ha comunicato l’esercito ucraino. Secondo quanto riferito, una nave da pattuglia di classe Raptor e di colore bianco è stata abbattuta da una bomba a guida laser sganciata da un drone Bayraktar TB2 vicino a Snake Island, nel Mar Nero.
Il presidente russo ha utilizzato una barca del genere con la designazione 001 per le ispezioni della flotta a Sebastopoli e a San Pietroburgo, oppure per alcuni discorsi o alcune parate militari.
La marina ucraina ha condiviso sul suo canale Facebook le riprese effettuate dai droni in volo del presunto attacco, che però non è stato verificato in modo indipendente. Se confermata, sarebbe la terza motovedetta russa ad essere abbattuta, dopo che in attacchi simili sono stati distrutti altri due Rapton. La Russia, a quanto si dice, avrebbe finora schierato otto navi della classe Raptor, di cui cinque distrutte dagli ucraini.
Le forze armate ucraine hanno distrutto anche un mezzo da sbarco di classe Serna con a bordo un sistema missilistico terra-aria Tor sospettato di prendere di mira Snake Island, a circa 125 chilometri a sud di Odessa.
Il canale Telegram Ukraine Now ha riferito: «Abbiamo ricevuto informazioni che una delle barche distrutte del tipo Raptor nell'area di Snake Island era la barca da parata di Putin». La nave si distingue «per il colore bianco del suo scafo» (mentre quelle da “guerra” sono dipinte con i colori della mimetica). La nave del leader del Cremlino è una «barca da parata appositamente attrezzata con il numero di coda 001», afferma il rapporto. «A bordo, il dittatore russo Vladimir Putin ha ospitato più volte parate militari a San Pietroburgo e Sebastopoli».
Dietro la parata. I fallimenti dell’esercito russo che Putin non può nascondere con la retorica. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 10 Maggio 2022.
La guerra in Ucraina ha già causato la morte di 15mila soldati, più delle perdite dell’Unione Sovietica in dieci anni di guerra in Afghanistan. In più sono emersi limiti tattici, strategici e di qualità degli armamenti, tutti conseguenza della corruzione endemica nell’esercito.
«La Russia ha esortato l’Occidente a impegnarsi in un dialogo onesto. Tutto invano. La Nato non ha voluto ascoltarci: erano in corso i preparativi per un’altra operazione punitiva nel Donbass e un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea». Le menzogne di Vladimir Putin per giustificare la sua guerra, la sua inopinata e sconsiderata invasione dell’Ucraina, arrivano direttamente dalla parata per il Giorno della Vittoria in ricordo della fine della Seconda guerra mondiale. Un evento che non aveva mai avuto tanta visibilità in tutto il mondo come quest’anno.
La cerimonia è stata un’occasione per il Cremlino per fare sfoggio della propria potenza militare, con molte delle armi utilizzate in Ucraina che hanno attraversato la Piazza Rossa. Hanno sfilato 11mila ufficiali, carri armati sovietici e lanciarazzi: in tutto c’erano oltre 130 mezzi, poi ufficiali, sergenti, cadetti, membri del movimento giovanile Yunarmiya, unità del ministero delle situazioni di emergenza, della Guardia nazionale russa e agenti dell’Fsb.
Una dimostrazione di forza che vorrebbe nascondere le enormi difficoltà dell’esercito russo dal 24 febbraio a oggi.
Mosca ha subito gravi perdite poiché si è trovata a combattere la fiera resistenza ucraina, certo. «Ma gli errori sono anche dietro le linee del fronte – un fallimento meno visibile nel fornire e mantenere le truppe sul campo ha gravemente ostacolato i piani di invasione di Mosca, secondo le valutazioni dell’intelligence occidentale», scrive il Wall Street Journal.
Non essendo riuscita a conquistare la capitale Kiev, la Russia sostiene che concentrerà i suoi sforzi militari su quello che è diventato il suo obiettivo principale, cioè l’area della «liberazione del Donbass» nell’est del Paese.
Da quando hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio, le forze russe sono riuscite a catturare solo una grande città, Kherson, cui si aggiungono le rovine di Mariupol e, appunto, alcune aree del Donbass. Un magro bottino arrivato al costo di 15mila soldati russi morti, cioè più di tutte le perdite sovietiche in un decennio di guerra in Afghanistan.
«L’invasione è stata chiaramente un fiasco, ma quanto di questo è dovuto alle scarse capacità militari della Russia?», si chiede l’Economist.
Fin dall’inizio della guerra si parla dell’enorme sproporzione tra le forze russe e quelle ucraine, di un confronto impari come Davide e Golia. Le agenzie di intelligence americane stimavano che Kiev sarebbe caduta in pochi giorni. Alcuni funzionari europei pensavano che potesse resistere solo per alcune settimane. Sono passati due mesi dall’inizio dei combattimenti e la capitale non è mai caduta.
Dopo le difficoltà iniziali, l’esercito russo ha scelto di entrare nel secondo Paese più grande d’Europa da diverse direzioni, dividendo le sue risorse in molte sezioni separate, inefficaci e isolate.
«Le cattive tattiche hanno aggravato la cattiva strategia: armature, fanteria e artiglieria hanno combattuto le proprie campagne disconnesse. I carri armati che avrebbero dovuto essere protetti dalla fanteria a piedi invece vagavano da soli, solo per essere catturati in agguati ucraini. L’artiglieria, colonna portante dell’esercito russo dai tempi dello zarismo, sebbene diretta con ferocia verso città come Kharkiv e Mariupol, non poteva sfondare le linee ucraine intorno a Kiev», si legge sull’Economist.
L’inesperienza ha giocato un ruolo determinante: la Russia non aveva un ruolo di primo piano in una guerra di questa portata, e contro un esercito così organizzato, da quando ha tolto la Manciuria al Giappone. Era il 1945.
La scala del conflitto non è un dettaglio marginale. Molte armi messe in campo da Mosca nel Donbass e in Siria negli ultimi anni, come l’utilizzo di sensori elettronici sui droni per fornire feedback ai bersagli dell’artiglieria, si sono rivelate poco efficaci negli ultimi due mesi.
Poi ovviamente entra in gioco anche la componente umana. Tutti gli eserciti commettono errori, alcuni più di altri. E i buoni eserciti, si dice, sono quelli che imparano rapidamente dai propri errori. Mentre la Russia mostra segni di adattamento molto lenti rispetto al procedere del conflitto.
Di contro, va sottolineato che i molti problemi della Russia sono dovuti anche all’eroica resistenza dell’Ucraina, sostenuta ovviamente dagli aiuti – di armi e intelligence – occidentali.
«Ma la frantumazione delle illusioni russe risiede in un fenomeno noto da tempo ai sociologi militari: gli eserciti, nel complesso, riflettono le qualità delle società da cui emergono e lo Stato russo si basa su corruzione, bugie, illegalità e coercizione», ha scritto Eliot Cohen della Johns Hopkins University. Tutte queste criticità sono emerse una ad una durante il conflitto.
La corruzione aiuta a spiegare ad esempio perché i veicoli russi erano equipaggiati con pneumatici cinesi di bassa qualità e si sono ritrovati bloccati nel fango ucraino. Potrebbe spiegare perché così tante unità russe si sono ritrovate senza radio crittografate e sono state costrette a fare affidamento su civili insicuri o persino su reti di telefonia mobile ucraine.
La parata di ieri, dunque, vorrebbe essere un’esaltazione della forza militare russa. Una forza sicuramente pericolosa, mortale e in grado di creare problemi ancora a lungo, ma non valorizzata da un esercito e una classe dirigente incapace di sfruttarne tutte le capacità.
Il 9 maggio, per il Cremlino, è soprattutto un momento dal grande valore simbolico, che vorrebbe accomunare le vittorie dell’Unione sovietica nella Seconda guerra mondiale con l’invasione dell’Ucraina, nella speranza di glorificare il passato e rinvigorire l’esercito e il popolo del presente.
Ma il disegno non procede secondo i piani. «Nella speranza di trasformare quest’anno in un trionfo, Putin sembra essere arrivato al punto di pianificare l’operazione militare ucraina in modo che si concludesse per le celebrazioni che intendeva tenere a Kiev, come rivela il ritrovamento di abiti da parata in furgoni abbandonati truppe russe», scrive Le Figaro.
Questa ossessione per il 9 maggio in realtà non è sempre esistita. Anzi, lo stesso Stalin vi rinunciò molto presto, temendo di dare troppo lustro ai suoi generali e in particolare al popolarissimo Georgi Joukov, di cui temeva il carisma.
Il nuovo culto della Grande Guerra Patriottica è tornato più forte nei decenni successivi, quelli più caldi della Guerra Fredda, ma si è indebolito di nuovo nel corso degli anni ’80.
«Con l’invasione la Russia spera di rievocare una sorta di surreale ritorno al passato, con Putin che crede di essere nel 1991, di poter cancellare gli ultimi trent’anni come se non fossero accaduti. Questo irrealismo porta al disastro», si legge su Le Figaro. Un disastro a cui si può rimediare solamente rinunciando a queste parate di puro populismo e a dimostrazioni muscolari senza esito, sostituendole con i valori democratici che in Russia vengono continuamente rimpiccioliti.
L'ufficiale russo in tv e le critiche choc a Putin: «Non possiamo competere con le armi della Nato». Leggo Lunedì 9 Maggio 2022.
L'ex ufficiale in pensione non le manda a dire al presidente russo Vladimir Putin e alla sua strategia nella guerra contro l'Ucraina. Mikhail Khodaryonok, colonnello in pensione, ospite della tv di Stato Russia-1, ha detto senza mezzi termini che i russi «non possono competere» con le armi Nato e neanche una "mobilitazione di massa" potrebbe cambiare nel breve periodo le sorti della guerra. Le sue parole hanno già fatto il giro del web e stanno facendo discutere in tutto il Paese, per la netta critica all'operato di Putin.
L'ex ufficiale ha detto che lo Stato russo sta «lottando per reintegrare le sue colossali perdite in Ucraina» e ha aggiunto che la Russia ha difficoltà a reperire piloti e aerei da inviare sul campo di battaglia: professionalità e mezzi difficili da reperire anche nel caso in cui venisse convocata una "mobilitazione di massa". «Entro quando, con questa mobilitazione, avremo il primo reggimento di aviazione da combattimento? Lo otterremo entro Capodanno» dice Khodaryonok. «Se stasera ordiniamo la costruzione di nuove navi, quanto presto avremo la prima? Tra due anni!». Lo stesso per i carri armati: se si ordinasse oggi di formare una nuova divisione di tank sarebbe pronta non prima di 90 giorni.
Un altro pianeta rispetto all'Ucraina, rifornita invece con armi di ultima generazione fornite dagli occidentali: «Non abbiamo armi e attrezzature moderne nelle nostre riserve. Mandare persone armate con armi del passato in una guerra del 21° secolo per combattere contro le armi NATO standard globali non è la cosa giusta da fare». Parole pesanti, che arrivano su un canale tv controllatissimo dal Cremlino, e che non saranno sicuramente piaciute allo 'zar' di Mosca.
Putin umiliato in tv da un colonnello russo in pensione: «Nemmeno con mobilitazione di massa possiamo competere con Kiev». Da ilmessaggero.it. Lunedì 9 Maggio 2022.
IL CASO
Gerasimov, il capo delle forze armate assente alla parata...
I russi «non possono competere» con le armi Nato e neanche una "mobilitazione di massa" potrebbe cambiare nel breve periodo le sorti della guerra. A dirlo non è la controparte ucraina, ma Mikhail Khodaryonok, un colonnello in pensione di Mosca direttamente alla tv di stato Russia-1 controllatissima dal Cremlino. Le parole del colonnello sono diventate un video virale che ha già raggiunto oltre 1 mlione di visualizzazioni e sta facendo discutere in Russia. Nel mirino, dunque, le mosse di Putin.
Le dichiarazioni del colonnello Khodaryonok
In diretta il colonnello ha ammesso le difficoltà che la Russia sta avendo sul campo di battaglia, dicendo che lo stato sta «lottanado per reintegrare le sue colossali perdite in Ucraina». L'ex militare ha poi aggiunto che la Russia ha difficoltà a reperire piloti e aerei da inviare sul campo di battaglia: professionalità e mezzi difficili da reperire anche nel caso in cui venisse convocata una "mobilitazione di massa".
«Entro quando, con questa mobilitazione, avremo il primo reggimento di aviazione da combattimento? Lo otterremo entro Capodanno» dice Khodaryonok. E continua con l'analisi dei tempi tecnici necessari: «Se stasera ordiniamo la costruzione di nuove navi, quanto presto avremo la prima? Tra due anni!». Secondo il militare, lo stesso varrebbe anche per i carri armati, se si ordinasse oggi di formare una nuova divisione di carri armati sarebbe pronta non prima di 90 giorni.
Infine il militare ha parlato anche del divario tecnologico tra la Russia e l'Ucraina, rifornita con armi di ultima generazione fornite dagli occidentali, ammettendo che anche una nuova divisione «Non sarebbe equipaggiato con armi moderne perché non abbiamo armi e attrezzature moderne nelle nostre riserve. Mandare persone armate con armi del passato in una guerra del 21° secolo per combattere contro le armi NATO standard globali non è la cosa giusta da fare».
Estratto dell'articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica” il 9 maggio 2022.
[...] Oggi davanti a Vladimir Putin sfileranno soldati sconfitti e una grande domanda: possibile che l'esercito russo si sia rivelato una "tigre di carta"?
Molti dei mezzi che si incolonneranno per celebrare la sconfitta del Terzo Reich non si sono mai visti sul fronte ucraino.
Sono come le lussuose corazze che i nobili del '500 sfoggiavano nei cortei reali: temibili nell'aspetto ma inutili sul campo di battaglia.
Prendiamo i tank Armata T 14, presentati dal 2015 come "i più potenti del mondo". La loro apparizione ha scosso gli osservatori occidentali: un cannone da 125mm in grado di sparare 10 colpi al minuto; automatizzazione per ridurre l'equipaggio a tre persone; un radar per gestire contromisure a prova di missile.
In 7 anni però Mosca non è riuscita ad avviare la produzione: non funzionano. E cresce il sospetto che la fiducia accordata ai costruttori, la fabbrica Uralvagonzavod, nasca solo dalla gratitudine per il sostegno che gli operai diedero a Putin, offrendosi di «sgomberare le strade dai manifestanti» che contestavano il Cremlino.
Stessa cosa per il suo derivato T 15, un blindato dalle forme futuristiche per portare in combattimento una squadra di otto fanti. La sua torretta telecomandata ha un volume di fuoco insuperabile; il sistema di difesa e le corazze in materiali speciali sulla carta non temono i missili Javelin.
Quello di cui i russi avrebbero bisogno nel Donbass ma che resta da 7 anni alla fase di prototipo: serve solo per la parata.
Un altro habitué è il cannone semovente 2S35 Koalitsiya- SV: gli è stata attribuita una gittata di 80km, tale da annichilire gli obici forniti dall'Occidente agli ucraini. Ma l'ingresso in servizio viene rinviato di anno in anno.
Questi progetti incompiuti dimostrano i limiti nell'industria hi-tech russa, incapace di convertire la tradizione meccanica sovietica nell'era dell'elettronica. Un deficit così profondo da essere arrivato persino nei talk show delle tv statali.
L'ex colonnello Mikhail Khodaryonok, un esperto sempre allineato con l'entourage putiniano, sabato ha criticato la situazione, sostenendo l'inutilità di mobilitare nuove reclute: «Non dovremmo mandare uomini con equipaggiamenti del passato in una guerra del ventunesimo secolo per affrontare le dotazioni della Nato. [...]
Parata del 9 maggio, il sospetto del generale Camporini sulle armi di Putin: "Prototipi e pezzi da museo". Federica Pascale su Il Tempo il 09 maggio 2022.
La parata del 9 maggio con cui la Russia ha celebrato il "Giorno della vittoria" sulla Germania nazista si è svolta sotto gli occhi del mondo. “Non stanno messi molto bene come sistemi d'arma", afferma il generale Vincenzo Camporini durante la puntata di lunedì 9 maggio di Stasera Italia, il talk show politico condotto da Barbara Palombelli su Rete4, riferendosi alle forze armate del presidente Vladimir Putin.
“Hanno degli splendidi ingegneri – continua il generale, ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica - hanno degli ottimi uffici di progetto che costruiscono dei bellissimi prototipi. Dopodiché, questi prototipi vengono passati al settore industriale per la serializzazione, e qui ci sono tutte le problematiche della pessima qualità delle lavorazioni industriali russe.” Un prototipo funzionante, dunque, rivela poi dei problemi tecnici sul piano pratico.
“Quello che abbiamo visto chiaramente durante questa parata sono i gioielli che sono in sviluppo” sottolinea il generale riferendosi alla grande parata del 9 maggio tenutasi oggi a Mosca, in commemorazione della vittoria dei russi contro i nazisti, “quindi non necessariamente tutto quello che è passato e che vediamo sullo schermo è qualche cosa di disponibile. Tant'è che nelle operazioni abbiamo visto carri armati costruiti negli anni 80, quasi dei pezzi da museo”. Nel conflitto in corso in Ucraina, occupata dalle forze armate russe da settimane, risulta fondamentale per la Russia, dal punto di vista strategico, lo sbocco al mare che avevano ottenuto con l’annessione della Crimea.
“L’accordo con l’Ucraina, prima del 2014, era un affitto permanente della base di Sebastopoli fino al 2057 – ricorda Camporini -. C’erano degli accordi ben precisi che consentivano alla flotta del Mar Nero di operare senza nessun problema.” Dunque, seppur il quadro geopolitico sia fortemente mutato a seguito dell’”operazione speciale” della Russia, lo sbocco al mare non risulta credibile come movente.
«I loro soldati iniziano a disobbedire»: così la guerra di logoramento pesa sulle truppe. Andrea Marinelli e Guido Olimpio su Il Corriere della Sera il 9 Maggio 2022.
C’è chi non si fida dei toni usati da Putin nel discorso alla parata: può essere una mossa di logoramento verso la Nato.
La guerra è una maratona feroce, fatta di conquiste e rovesci non definitivi: lo è almeno in questa lunga fase, con il cambiamento di obiettivi da parte di Vladimir Putin. Le sue truppe sono in una posizione nettamente favorevole nel settore di Severodonetsk. Pur con perdite, hanno obbligato il dispositivo ucraino a sgombrare posizioni. Se la spinta dovesse proseguire e chiudersi, alcune migliaia di soldati rischiano di essere accerchiati. È una manovra che risponde alla previsione di chi ha ipotizzato una tattica per passi: lenti, costosi, ma che portano in una direzione. Gli ucraini negano qualsiasi sfondamento, affermano che sono arrivati i rinforzi. È prematuro dire se il neo-zar riuscirà ad avere un successo minimo o massimo: voleva Kiev e la testa di Zelensky, ma è stato costretto a concentrarsi sul Donbass con risultati alternanti. Lo rivelano le mappe del prima e dopo (nella foto in alto, quelle del 1° marzo e dell’8 maggio).
Nella regione di Kharkiv sono stati gli invasori a dover abbandonare i villaggi. È stato detto che nell’arco di un paio di settimane i difensori potrebbero persino liberare il quadrante e ripiantare le bandiere sui confini nazionali, fino a minacciare una linea di rifornimento. L’Armata, però, avrebbe concentrato 19 Battaglioni nella retrovia di Belgorod. In teoria hanno circa 700-1.000 uomini ognuno, non sono note però le loro condizioni (qualità, preparazione): un dubbio che concerne anche le riserve della resistenza. I due «fuochi» — Severodonetsk e Kharkiv — possono influenzarsi l’uno con l’altro e certamente condizionano le scelte dei comandanti. Così come conta la battaglia a sud di Izyum, i ponti distrutti e quelli creati con pontoni sul fiume Donets.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
Dal Pentagono arrivano alcuni dettagli. I progressi nel Donbass sono rallentati dal fatto che la fanteria non prende rischi e aspetta che l’artiglieria svolga la sua missione: c’è fango nei campi a far da ostacolo e la logistica sempre insufficiente. Inoltre, alcuni reparti si sarebbero rifiutati di obbedire agli ordini mentre alcuni ufficiali sono lenti nell’eseguirli.
Sono informazioni (di parte) che richiamano le debolezze di Mosca. Riassumiamo per punti. Poca abitudine a operazioni ampie e prolungate: gli interventi in Georgia e Siria hanno coinvolto solo numeri ridotti. Le maxi esercitazioni condotte negli anni passati non erano sufficienti e solo sulla carta avevano coinvolto reparti completi. Corruzione nei ranghi, mancanza di sotto-ufficiali e ufficiali con esperienza, centralismo delle gerarchie, soprattutto una logistica disastrosa. L’intelligence ha fallito a livello strategico — credendo che una parte dell’Ucraina li avrebbe accolti come liberatori — e tattico, non informando adeguatamente i reparti. Poco incisivo il ruolo dell’aviazione: l’arma aerea non ha imposto la sua supremazia nonostante l’abbondanza di velivoli: dipende da cattiva organizzazione, poca abitudine a interagire con altre componenti, training non sufficiente. I generali si sono affidati — sempre nella prima fase — a tecniche obsolete, esponendo le colonne alle trappole di nemici ben addestrati.
Per entrambi gli schieramenti contano le scorte, i mezzi, i soldati e l’organizzazione. Gli ucraini, a oggi, sono apparsi più determinati, oltre che preparati. Ma quanto ha inciso su di loro lo sforzo? Qualche giorno fa un alto funzionario di Kiev lo ha ammesso in modo trasversale: loro hanno perdite, ma noi non siamo Superman. Sfuggono però alla censura le notizie non positive sul loro status. Nel duello propagandistico, Kiev dice di aver eliminato circa 25 mila nemici, Mosca replica di aver ucciso un numero quasi analogo. E poi ci sono migliaia di mezzi distrutti.
La resistenza spera nei rifornimenti alleati, il Cremlino dei depositi ancora pieni di «pezzi» oltre che nei 97 Battaglioni (in origine erano 120) che ha impegnato, numeri sufficienti per una campagna d’attrito. L’intelligence britannica insiste: i russi hanno sempre meno sistemi di precisione, i report dal campo segnalano l’uso di vecchie bombe da parte dei caccia. Però i proiettili cadono comunque e aprono vuoti. E la flotta, pur avendo subito lo schiaffo dell’affondamento dell’ammiraglia Moskva, continua a lanciare missili cruise. Gli ultimi dati confermano la presenza di una formazione di 6 navi e due sottomarini dotati di questi sistemi a lungo raggio. L’insistere nel descrivere i guai dei russi non può tuttavia tramutarsi in una sottovalutazione dell’Armata, altrimenti si cadrebbe nello stesso errore compiuto dalla Russia.
Il leader del Cremlino ha evitato per ora la mobilitazione generale, tuttavia potrebbe cercare comunque di mettere insieme reparti. E c’è chi non si fida dei toni usati nel discorso alla parata: può essere una mossa di logoramento verso la Nato, rivolta a quanti in Occidente credono che Putin abbia solo reagito a delle provocazioni.
Dagotraduzione dal Daily Beast il 9 maggio 2022.
Secondo le registrazioni delle presunte telefonate delle truppe russe intercettate dal Servizio di sicurezza dell'Ucraina (SBU), i combattenti russi si sono scambiati consigli su come danneggiare deliberatamente il proprio equipaggiamento e ostacolare i piani di guerra del presidente russo Vladimir Putin in Ucraina.
In un reggimento, un soldato russo avrebbe detto di aver versato sabbia nei sistemi di alimentazione dei carri armati per intasarli. «Non seguo ordini stupidi, semplicemente li rifiuto», lo si sente dire rivolto a un compagno. «Il figlio di puttana mi ha inviato nei carri armati, fottuto pezzo di merda. E io ho rovinato tutto e basta». Quando il commilitone russo dall'altra parte della linea capisce che l'unità non è stata punita per l'insubordinazione, si rende conto che può ripetere la stessa tattica nella sua unità.
Secondo un'altra intercettazione condivisa dalla SBU, un altro combattente russo ha raccontato a un membro della famiglia che lui e i suoi compagni hanno deliberatamente danneggiato il loro carro armato, l'ultimo rimasto nel loro reggimento, per interferire con un piano di attacco. «Abbiamo un carro armato rimasto nel reggimento», ha detto. «In breve, abbiamo rotto noi stessi il serbatoio al mattino per non andare».
Durante l'invasione, i piani di battaglia russi non sono andati come avrebbe voluto Putin, lasciando Putin frustrato e nervoso, secondo un alto funzionario della difesa degli Stati Uniti. Uno dei suoi obiettivi principali era catturare la capitale, Kiev, e installare un governo fantoccio pro-Putin. Ma le sue truppe hanno vacillato fuori dalla capitale per giorni e hanno avuto innumerevoli problemi logistici, e in particolare hanno avuto problemi con il rifornimento, secondo l'ufficiale della difesa.
I funzionari statunitensi per settimane hanno sostenuto di non sapere se i fallimenti dell'esercito russo siano dovuti alla mancanza di pianificazione o semplicemente alla cattiva esecuzione dei piani, ma le chiamate intercettate suggeriscono che in alcuni casi la risposta è molto più semplice. Le truppe stesse stanno disobbedendo agli ordini e sabotando apposta lo sforzo bellico.
Un pilastro della guerra sono state le immagini dei russi che abbandonano le loro attrezzature e armi. Il morale dell'esercito russo è stato basso dall'inizio dell'invasione e non migliora affatto; Le truppe hanno iniziato a pubblicare post sui social media chiedendo donazioni per lo sforzo bellico, e mostrando tra i loro miseri kit di pronto soccorso paragonati a quelli degli ucraini.
Lo sforzo bellico russo non è solo ostacolato dall'interno. Ispirato dalle telefonate intercettate dai russi, il governo ucraino ha incoraggiato altre truppe russe a disobbedire agli ordini e rifiutarsi di attaccare, facendo eco alle precedenti richieste di arrendersi e abbandonare il percorso di guerra.
«La SBU accoglie favorevolmente questa pratica», ha affermato la SBU in una dichiarazione venerdì. «Ma può essere migliorata: basta 'arrendersi' e lasciare la guerra in Ucraina!».
Gli ucraini hanno opposto una dura resistenza sin dal primo giorno della guerra, sorprendendo Putin lungo la strada, secondo il Pentagono. Anche il Pentagono ha fornito informazioni chiave che hanno aiutato gli ucraini a prendere di mira le principali risorse russe, inclusa la nave da guerra russa Moskva, che è affondata nel Mar Nero dopo che gli ucraini l'hanno colpita in un attacco missilistico ad aprile, secondo il Washington Post.
Il segretario stampa del Pentagono John Kirby ha riconosciuto lo sforzo di condivisione dell'intelligence, ma ha affermato che gli Stati Uniti non hanno preso parte all'obiettivo.
Jacopo Iacoboni per "La Stampa" il 9 maggio 2022.
In uno dei paradossi di questa guerra di sterminio succede anche questo, apparentemente impensabile: i canali Telegram del Wagner group - i mercenari russi dell’oligarca plurisanzionato Evgheny Prigozhin, noto come “cuoco di Putin”, in realtà capo della società militare privata più famosa di Russia, oltre che della troll factory IRA di San Pietroburgo, al centro dell’inchiesta del procuratore speciale americano Robert Mueller - stanno paradossalmente dicendo la verità su un pezzo di questa guerra: l’Ucraina ha sostanzialmente scacciato via i russi da Snake Island, colpendo elicotteri e navi russe. Disfatta russa, raccontata da russi.
Sia chiaro, a chi non ne ha mai sentito parlare, che il Wagner è composto – almeno in alcune sue parti – da alcuni soggetti inseguiti dalle accuse più terrificanti dei teatri di guerra sporca. L’ultima in ordine temporale è che, secondo il Daily Beast, tre mercenari russi del Wagner avrebbero violentato donne che avevano appena partorito, dopo aver preso d'assalto una clinica per la maternità nella Repubblica Centrafricana (uno dei teatri di guerra dove intervengono – per lo più in Africa, e adesso in Ucraina).
Una volta chiarito con chi abbiamo a che fare, va notato che ieri, nel loro canale Telegram, i mercenari scrivevano imprevedibilmente la verità: la Russia ha subito affondamenti di navi d’appoggio e abbattimenti di elicotteri a Snake Island, considerando ormai «inutile» continuare a stare lì.
Mentre la Russia nei canali ufficiali tace, il canale del Wagner ammette che l'Ucraina ha distrutto infrastrutture militari critiche (e forze dei gruppi speciali Spetznaz) sull'isola, incluso un elicottero russo MI-8 (che invece veniva descritto dai russi ufficialmente come elicottero ucraino abbattuto).
Oltre all'MI-8 (nell’abbattimento non si registra nessun superstite) e alla distruzione della squadra di evacuazione Spetsnaz, Wagner ci fa sapere che l'Ucraina ha distrutto un numero imprecisato di sistemi antiaerei Tor-M2, due Raptor, basi russe e navi che portavano armi sull'isola.
Il portavoce dell'esercito russo aveva affermato che l'elicottero MI-8 era ucraino ed era stato colpito dalle forze russe: l’esatto contrario di ciò che viene ora comunicato dai mercenari russi. Nella sostanza, russi di Wagner smentiscono altri russi del governo di Putin.
Si tratta di una storia nella storia che ci consente di provare a capire anche il sentimento diffuso tra militari russi (tenendo presente che il Wagner fa parte di una milizia formalmente privata, anche se finanziata da un oligarca di stato e già utilizzata nelle guerre formali della Russia, per esempio in Siria). Due giorni fa, sempre il canale Telegram Wagner (il cui acronimo è RSOTM, Reverse Side of the Medal), che, conviene ricordarlo, è gestito da contractor attualmente in Ucraina, ha affermato che «o ci sarà una mobilitazione o perderemo la guerra».
I contractor di Wagner pensano di aver bisogno di 600-800mila persone per sconfiggere l'Ucraina. E anche le loro considerazioni hanno dato luogo a diverse speculazioni, in Russia, sulla possibilità che proprio nella giornata del 9 maggio Putin possa annunciare una «mobilitazione generale». Cosa che appare improbabile ma non è esclusa alla vigilia, al punto che il morale nella Wagner rimane decisamente virato in negativo.
Per misurare il loro grado di paradossale sincerità si può ricordare che erano stati gli stessi soldati del Wagner a dire per primi, da parte russa, che la nave ammiraglia Moskva era affondata, molto prima che fosse pubblicamente segnalato altrove, e avevano anche comunicato, primi in assoluto, che Kiev aveva effettuato un’operazione di distrazione di successo usando dei droni, gli UCAV TB2, come poi venne confermato indipendentemente dal New York Times.
Un funzionario europeo, parlando a condizione dell’anonimato a Reuters, ha affermato che la Russia ha da 10mila a 20mila combattenti privati nel Donbass. Sono un mix di mercenari russi del gruppo Wagner e combattenti per procura russi provenienti da altri paesi, Siria e Libia. Nella contestata apparizione su Rete4, il ministro russo Serghey Lavrov disse – tra varie cose deliranti – che i mercenari della compagnia Wagner «non sono presenti in Ucraina», e che Kiev aveva bisogno di parlarne per distogliere l'attenzione dai mercenari occidentali. Come molte delle affermazioni lavroviane, qualcosa che bisogna costantemente mettere in dubbio “e contrario”.
I soldati fanno causa a Putin: "Non combattiamo". Francesca Galici su Il Giornale il 7 maggio 2022.
Il 9 maggio si avvicina e non si vede la fine della guerra in Ucraina. Il giorno in cui la Russia festeggia la vittoria della Seconda guerra mondiale sarebbe dovuto essere quello in cui Vladimir Putin avrebbe dovuto dichiarare anche la vittoria su Kiev. Questo, almeno, sembrava fino ad alcune settimane fa e questi pare fossero gli intenti dello Zar. Ma la resistenza dei soldati di Volodymyr Zelensky ha rallentato le operazioni e sebbene la Russia abbia rimodulato i suoi obiettivi, "accontentandosi" del Donbass, i risultati per Putin non arrivano. Per questo motivo, viste le gravissime perdite militari e la necessità di nuova organizzazione, il 9 maggio lo Zar potrebbe fare una formale dichiarazione di guerra, che risolverebbe molti dei problemi dal lato russo. Infatti, ci sono soldati che stanno intentando cause legali, rifiutandosi di andare in guerra.
In particolare, sta facendo discutere il caso di 25 uomini della Guardia nazionale di Vladikavkaz, capitale della Repubblica autonoma dell'Ossezia Settentrionale, che hanno risposto negativamente all'ordine di partire per l'Ucraina. Questo è costato loro il licenziamento ma, agendo in punta di diritto, i militari hanno deciso di adire le vie legali dal momento che tra i compiti del corpo della Guardia nazionale ci sono solo operazioni difensive sul suolo russo che, quindi, non implicano combattimenti all'estero. Per questo motivo hanno deciso di denunciare il loro comandante, avviando un precedente che potrebbe rivelarsi molto pericoloso per la Russia.
Sono in tutto 340mila gli uomini arruolati nella Guardia nazionale in tutta la Russia e, stando ad alcune stime, pare che un'alta percentuale di loro, che potrebbe arrivare al 40%, avrebbe rifiutato (o sarebbe pronto a farlo) di andare a combattere in Ucraina, proprio perché i combattimenti all'estero non rientrano tra gli obblighi di questo corpo militare. Ma la Guardia nazionale non è l'unica spina nel fianco per Vladimir Putin, visto che secondo la legge nemmeno i militari di leva potrebbero essere inviati al fronte per un combattimento, a meno che non vengano sottoposte a uno specifico addestramento della durata di 4 mesi. Invece, come emerge dai racconti di alcune famiglie e dei prigionieri, sono tanti i giovanissimi russi di leva che sono stati inviati a combattere in Ucraina. Questi problemi legali, delle vere e proprie forzature messe in atto per rimpolpare le truppe in Ucraina, potrebbero essere ovviati con una formale dichiarazione di guerra. Se Putin procedesse davvero in questa direzione, potrebbe avere a disposizione del suo esercito ulteriori 2 milioni di riservisti.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 5 maggio 2022.
Questo è il momento in cui le truppe ucraine distruggono uno dei carri armati più avanzati della Russia, protetto da speciali armature reattive. L'armatura del T-90M è progettata per esplodere se viene colpita, in modo da ridurre il potere di penetrazione del proiettile in arrivo.
Il carro è inoltre protetto da un sistema di difesa automatizzato che spara granate fumogene quando viene raggiunto dal raggio laser di un missile in arrivo.
Nonostante la tecnologia, però, l'esercito ucraino ha rilasciato filmati in cui si vedono droni abbattere il carro armato da 4,5 milioni di euro e un sistema a razzo multiplo termobarico.
L'esercito ucraino ha affermato che gli attacchi sono avvenuti nella regione ucraina nord-orientale di Kharkiv. Ufficiali dell'intelligence hanno identificato gruppi di equipaggiamenti russi e si sono coordinati con le truppe di terra per organizzare una serie di attacchi, distruggendo secondo quanto riferito due carri armati e due MTLB (veicoli da trasporto russi).
Il comando delle forze operative speciali (SSO) delle forze armate dell'Ucraina (AFU) ha dichiarato lunedì: «Il movimento di resistenza dell'SSO dell'Ucraina sta funzionando. Nella regione di Kharkiv, durante le operazioni di ricognizione, i nostri soldati hanno scoperto ammassi di equipaggiamento nemico, inclusi veicoli corazzati pesanti e leggermente corazzati».
Hanno aggiunto: «Un'ora dopo la determinazione degli obiettivi prioritari per l'attacco, i soldati del Movimento di Resistenza hanno coordinato un'unità di una delle brigate di artiglieria e hanno aperto il fuoco sui bersagli nemici».
«Come risultato del lavoro congiunto dei soldati delle forze di difesa dell'Ucraina, le perdite dei russi sono ammontate a: carro armato T-90 - distrutto. Carro armato T-80BVM - distrutto. MTLB - distrutto. MTLB – danneggiato».
L'Ucraina ritiene che la Russia abbia finora perso 23.800 soldati nelle dieci settimane dalla loro invasione. L'esercito ucraino afferma inoltre che la Russia ha perso 1.048 carri armati, 2.519 veicoli corazzati da combattimento, 459 sistemi di artiglieria, 152 sistemi MLR, 80 sistemi antiaerei, 194 aerei da guerra, 155 elicotteri, 1.824 veicoli, 8 navi, 76 autocisterne, 271 UAV a livello operativo-tattico, 38 unità di equipaggiamento speciale e quattro sistemi SRBM mobili.
Daniele Raineri per “la Repubblica” il 5 maggio 2022.
Zaporizhzhia è la prima grande città nel Sud dell'Ucraina che si incontra se si arriva dalle aree occupate dai russi, è piazzata fra la Crimea annessa nel 2014 e i separatisti di Donetsk e per questo è un magnete per i sabotatori filorussi.
Ramyl è l'ufficiale che comanda l'unità locale della polizia che si occupa delle intercettazioni internet e quindi soprattutto dei sabotatori, perché comunicano fra loro e con i loro contatti in Russia «con metodi che possono usare tutti, scambiandosi messaggi su Signal e su Telegram».
Parla dalla portiera aperta di un Suv civile, con un fucile compatto messo di traverso sul petto e il giubbotto antiproiettile. È stato nelle Spetsnaz, le unità speciali dell'esercito, e sostiene che per questo motivo ha familiarità con le tecniche dei sabotatori filorussi, che fanno le stesse cose: operano in profondità dietro le linee nemiche e tentano di fare il maggior danno possibile. Soltanto che si lavora molto in mezzo ai civili, nelle città.
«I danni maggiori li fanno se riescono a guidare i raid aerei dei russi, quando mandano informazioni dettagliate e coordinate precise, oppure osservano le postazioni dei soldati e tutto quello che può essere attaccato. A volte fanno operazioni anche loro. Non aggrediscono obiettivi militari, perché non ne hanno la forza, ma civili: incendiano pompe di benzina e gli oleodotti. Fanno un primo attacco, poi aspettano che arrivino i poliziotti e i vigili del fuoco e attaccano di nuovo. A volte lo fanno con le squadre mandate a riparare».
È il cosiddetto double tap, una tecnica spesso usata dai piloti russi nei bombardamenti e - com' è ovvio - considerata un crimine di guerra. «A volte lasciano un cecchino appostato molto indietro, che spara alle spalle di chi arriva e poi se ne va».
La vita degli infiltrati è resa facile dal fatto che il russo è usato da tutti e che poi ci sono anche gli ucraini che lavorano con la Russia, a cominciare dai separatisti.
Come fate a riconoscerli? «I sabotatori sono di due specie.
Ci sono quelli veri e ci sono quelli spazzatura. Nel 2014 durante la guerra i separatisti sono entrati negli uffici che preparano i documenti personali e hanno portato via casse di passaporti intonsi, che adesso usano come documenti falsi per infiltrarsi.
Però noi li scopriamo subito quei passaporti. Vedi - si fa passare un documento - questo si capisce che non è nuovo, i loro si notano. Inoltre abbiamo i numeri di serie dei passaporti rubati e quindi possiamo verificare».
E cosa succede quando li trovate? «Se li troviamo durante un controllo in città li portiamo via - mima il gesto di andare a braccetto con uno - ma se invece li incontriamo in azione»: tira un pugno contro il palmo dell'altra mano aperta. «I sabotatori reali sono i professionisti bene addestrati e con una copertura solida, molto più difficili da trovare e molto più efficienti. Cellule al massimo di quattro-cinque persone, così anche se ne arresti uno non ne trovi molti altri collegati al primo e il danno è contenuto».
Durante il primo mese di guerra l'intelligence ucraina ha dichiarato di avere catturato più di 350 sabotatori russi, il numero non è stato ancora aggiornato al secondo mese di guerra. «Quando l'invasione è cominciata, i poliziotti di quartiere - che conoscono tutti faccia per faccia - sono andati a vedere se c'erano macchine nuove nei posteggi e gente che aveva affittato appartamenti di recente. Hanno fatto domande in giro. Così abbiamo cominciato a trovarli, funziona».
Il blogger ucraino Volodymyr Zolkin e i prigionieri russi: la fuga, la cattura, il sangue. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 6 Maggio 2022.
Le interviste dello youtuber Volodymyr Zolkin ai soldati di Mosca catturati in battaglia. Le testimonianze e le voci di tanti giovanissimi: «Non eravamo pronti, così non si vince».
«A me hanno detto di trascinare uno di quei tre a bordo strada. E mentre lo trascinavo per i piedi lui ha fatto un suono. Avevo una paura fottuta. Allora ho urlato e gli ho sparato». Non è un interrogatorio e non ci sono militari di fronte a lui. Dambaev Chingiz Tumonovich — da prigioniero chissà dove — sta parlando con un blogger che si chiama Volodymyr Zolkin, uno youtuber che ha ottenuto il permesso di intervistare «gli invasori catturati», come li definisce lui. Una sorta di ricerca sociologica, chiamiamola così, che ha pure un nome: Ishchi Svoikh, cioè «cerca il tuo». «Cerca il tuo» dev’essere un invito per i parenti degli intervistati. Che possono trovare l’intervista del soldato di casa sul canale Telegram di Zolkin. Finora ne ha sentiti più di cento. Loro si siedono di fronte a lui e all’inizio sembrano pezzi di legno per quanto sono rigidi. Ma una domanda dopo l’altra si lasciano andare.
I prigionieri feriti e le lacrime
E così Stepanov Dmitri Arkadevich, giovanissimo soldato semplice e cecchino della divisione militare 18664, racconta di aver incrociato civili sulla strada per Kiev e che lui e la sua squadra hanno preso a quella gente telefonino e sigarette. «Preso?», lo incalza Zolkin. «Sì, li abbiamo chiesti prima». L’altro scoppia in una risata. «Ma ti senti? Secondo te potevano dire no davanti a voi che gli puntavate l’arma addosso?». E lui ammette che «sì, in effetti…», e aggiunge che quelli di un altro plotone hanno rubato un Pajero. «Secondo te perché il vostro governo fa questo?», chiede l’intervistatore. Risposta: «Perché vuole Luhansk e Donetsk». «Ma quelle sono a Sud. E allora perché venivate a Kiev?» «Non lo so, non ne ho idea. Io non sapevo niente prima di passare il confine». Molti giurano di essere arrivati all’alba del 24 febbraio senza avere idea di cosa li aspettasse, alcuni hanno avuto le armi quand’erano ormai in territorio ucraino. Il blogger chiede se vogliono telefonare a casa. E allora nelle registrazioni finiscono (con il consenso dato in diretta) anche le nonne, le mamme, le fidanzate. E le lacrime. I prigionieri raccontano quasi sempre che sono stati feriti ma «adesso sto meglio, ma’, non ti preoccupare». «Mi stai mentendo?» chiede la nonna a Stepanov. «No, giuro di no. Sto bene. Lo puoi vedere con i tuoi occhi domani sul canale Telegram...». I più sono stati catturati da feriti. Nikita Luzin, 22 anni, arriva su due stampelle. Sembra stupito quando Zolkin gli chiede che cosa vuol dire per lui «denazificazione». Imbarazzato, come se non avesse studiato per un’interrogazione a scuola. «Giuro che non l’ho ancora capito», dice.
La fuga, la cattura, il sangue
Vladislav Vasiliev, nato nel 2004, viene da Luhansk, una delle due province ribelli dell’Est. Racconta che stava lavorando in una fabbrica quando «sono arrivati loro, mi hanno puntato una pistola alla testa e mi hanno detto: adesso vai a combattere. Non eravamo preparati e non penso che in questo modo si possa vincere la guerra». Anche Daniil Kornilov è nato nel 2004, anche lui ha la faccia da ragazzino e non sa niente di «denazificazione». Si accalora, parlando, fino a dire che secondo lui «Putin è un pazzo». L’intervistatore gli chiede se non ha paura nel dire una cosa del genere e lui ripete che «no, nessuna paura. È quel che penso davvero». Il luogotenente Vladislav Alekseyevich Salov è nato nel 1997. Ha problemi a un occhio. Racconta la scena drammatica della cattura: la fuga, il bosco, i soldati ucraini sempre più vicini e poi l’esplosione e il sangue. «Ho detto ai miei uomini: arrendiamoci». Pensava di morire, Vladislav, e non poteva nemmeno chiamare casa un’ultima volta: «Ci avevano sequestrato i cellulari per evitare che ci localizzassero». E poi c’è Igor Volkov (classe 2001) che si sveglia ogni mattina sperando sia il giorno buono per tornare a casa. «Mi hanno promesso che farò parte di uno scambio di prigionieri — dice — perché sono stato catturato proprio all’inizio della guerra e non ho mai fatto niente di stupido». Chissà. Magari il suo giorno buono è oggi.
Giancarlo Mazzuca per “Libero quotidiano” il 5 maggio 2022.
Altro che ebrei nazisti! Purghe o non purghe, Putin, dovrebbe stare attento ai dissidenti interni, soprattutto giovani. Infatti sono molti i teenager russi che dicono no alla guerra in Ucraina e che continuano ad aumentare. Se finora avevamo solo avuto sentore di queste voci discordanti, adesso ne abbiamo la conferma grazie ad un sondaggio condotto da Levada Center - indicata dal Financial Times come l'unica società russa del settore indipendente- che fornisce dati piuttosto clamorosi.
Uno, in particolare: solo il 29% dei russi tra i 18 e i 24 anni, una chiara minoranza, si dice favorevole al conflitto a Kiev e dintorni. Ma anche in un'altra fascia d'età, quella tra i 25 e i 39 anni, gli intervistati che dicono sì alla guerra restano in minoranza: il 42%. In altre parole, il Cremlino sembra appoggiato solo dai "senior": dice sì al conflitto il 56% dei cittadini russi compresi tra 40 ed i 54 anni ed il 64% di quelli che vanno dai 55 anni in su.
In altre parole, proprio questi dati potrebbero essere le vere sanzioni comminate all'inquilino numero uno del Cremlino: più i tempi della guerra in Ucraina s' allungano, più Putin, a differenza di Zelensky, perde consensi tra i suoi stessi connazionali. Ecco perché sarebbe il momento giusto, per l'Occidente, per stringere i tempi del negoziato e trovare finalmente una pace con la Russia: se Papa Francesco, dopo aver continuato a ripetere in tutti questi mesi «Fermatevi!», si è dichiarato pronto ad andare a Mosca per cercare di porre fine al conflitto, cosa fanno Biden e i leader europei?
Del resto, diversi osservatori internazionali si trovano ora d'accordo sul fatto che lo stesso Vladimir - al di là delle sue roboanti dichiarazioni che potrebbero far pensare ad una ulteriore escalation della guerra - sia pronto a trattare proprio per il dissenso che, ogni giorno di più, si ritrova a casa sua. E oggi sono ancora molti a non credere che il presidente russo, tra i suoi difetti, sia pure masochista. Quale migliore sanzione per Putin che obbligarlo alla pace, consensi interni alla mano? I "niet" dei suoi stessi connazionali parlano chiaro.
L'insuccesso in Ucraina e la rivolta dell'esercito. Putin finirà come Krusciov, rivolta dell’Armata rossa contro lo Zar. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 5 Maggio 2022.
La guerra ha tre fronti: quello sul terreno di combattimento, quello dei rapporti internazionali e quello della propaganda che è prevalentemente russa. A questo proposito non si capisce bene perché e sulla base di quali elementi e solo sui media italiani fiorisce il mantra secondo cui “si sa che poi c’è la guerra di propaganda e dunque chi può dire che cosa sia vero o falso visto che entrambe le parti mentono”. Il che è parzialmente vero. Esempio: fino a ieri l’altro il Cremlino ha sostenuto – anche per bocca dell’ineffabile ministro degli Esteri per il quale Hitler era ebreo e gli ebrei sono la vera causa della rovina degli ebrei – che i civili che hanno vissuto nella città sotterranea dell’acciaieria di Mariupol erano ostaggi e scudi umani del battaglione “nazista”, ma quando sono usciti fuori e sono stati portati in salvo, a nessuno di questi poveri profughi che hanno vissuto nelle catacombe è saltato in mente di confermare una tale versione semplicemente perché è falsa.
C’è poi un quarto fronte di cui si parla poco e con prudenza perché si tratta del fronte russo: uno dei modi in cui questa guerra potrebbe finire è con l’allontanamento di Putin, una sua sostituzione e quindi con l’inizio di una credibile diplomazia di pace. Su questo terreno le leggende, i pettegolezzi e le fake news si sprecano. Ma alcuni fatti emergono con prepotenza. Primo: per la prima volta nella storia una grande potenza annuncia al mondo di voler fare una operazione militare nell’orto di casa – come ne fecero gli americani a Granada e a Panama – usando una dizione giuridicamente inesistente ma politicamente chiara: operazione militare speciale. Questa dizione significa: non allarmatevi, è una questione interna di breve durata. Ma non era mai stata usata pubblicamente prima, salvo in via informale e a livello di intelligence: tutte le agenzie sapevano dell’invasione perché erano stati i russi a comunicarla.
Quando Joe Biden, anziché prendere atto dichiarò al mondo di sapere dell’imminente operazione, scelse questa risposta per dire ai russi che gli Stati Uniti non avrebbero avallato il carattere limitato e speciale di una operazione militare in Ucraina. Tutto ciò era noto, ma ciò che non sapevamo era che la formula della “operazione speciale” scelta da Putin comportava limiti che due mesi fa non conoscevamo e che adesso invece siamo in grado di valutare: prima ancora che l’esercito ucraino fosse bene armato dagli occidentali tutto il mondo ha visto che l’operazione speciale di Putin era fallita perché gli ucraini si erano stretti come un sol uomo intorno al loro presidente dimostrando di avere un morale altissimo, cosa che ha dimostrato l’inconsistenza servile dei servizi d’informazione putiniani.
Oggi gli analisti militari scoprono che dopo due mesi e rotti di guerra, l’esercito russo – benché responsabile di atrocità perpetrate per diffondere il terrore come arma di distruzione di massa – non ha attaccato gli obiettivi militari che avrebbero potuto mettere l’Ucraina in ginocchio, o almeno danneggiarla molto seriamente, omettendo di distruggere punti ed autostrade, di colpire in modo distruttivo tutte le infrastrutture intorno a Kiev e rendere impossibile ai leader occidentali di recarsi nella capitale ucraina per incontrare Volodymyr Zelensky che ha potuto mostrarsi televisivamente a tutto il mondo mentre accoglieva i grandi della Terra. Inoltre, contro tutte le previsioni, non c’è stata alcuna guerra cibernetica che avrebbe potuto danneggiare gli Stati europei che sostengono l’Ucraina, e in particolare mettere in difficoltà le loro forniture energetiche.
E poi la guerra sul terremo è stata combattuta con armi inadeguate e vecchie con truppe inesperte nel combattimento ma occasionalmente capaci di mostrare una ferocia disumana con esecuzioni, torture, stupri e l’uso di forni crematori semoventi con cui eliminare i cadaveri e ridurre le prove di crimini contro la popolazione civile.
Tutti gli esperti di questioni militari si sono chiesti se l’esercito, la gloriosa Armata Rossa avesse davvero voglia di combattere questa “operazione militare speciale”. L’altissimo numero di giovani generali russi mandati a morire in prima linea dimostra che questi alti ufficiali sono stati mandati a occupare non dei posti di comando ma fronti in cui la morte fosse più o meno certa. Ecco un sicuro elemento di frattura fra Putin e i servizi militari e di intelligence in questa “operazione speciale”.
Veniamo alle novità. Il 9 maggio, anniversario della vittoria sulla Germania nel 1945, la parata militare si annuncia striminzita. L’idea che era stata ventilata di esporre cinquecento ucraini prigionieri come Cesare faceva esibendo i galli catturati prima di farli trucidare è stata abbandonata. Ma c’è un’altra novità in attesa di conferma. Il Cremlino ha lasciato trapelare voci secondo cui proprio in quel giorno, o forse una settimana più tardi, se la situazione in Ucraina fosse ancora precaria, Putin potrebbe formalmente dichiarare guerra al Paese di cui ha ordinato l’invasione il 24 febbraio scorso. Dichiarare guerra, come non è di moda dalla fine della Seconda guerra mondiale. Se ricordiamo bene, l’ultima volta che uno Strato sovrano ha dichiarato guerra fu quando Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti subito dopo l’attacco giapponese contro la base navale americana all’ancora a Pearl Harbor. Roosevelt dichiarò allora guerra al Giappone ma evitò di farlo con la Germania e fu Berlino a dichiarare formalmente aperte le ostilità. La dichiarazione di guerra costituisce l’unico stato giuridico per cui uno scontro armato si può chiamare guerra, e non attacco o aggressione o invasione. Quando la nostra Costituzione afferma che l’Italia si impegna a non fare la guerra, intendeva (ai tempi in cui fu scritta) a non usare mai la guerra come prosecuzione della politica in tempo di pace.
Ma come mai Vladimir Putin sarebbe costretto a dichiarare guerra a quell’Ucraina in cui sta già combattendo con un corpo di spedizione ridotto molto male e che ha già imbarazzato gli alti comandi militari perché espone la Russia a una umiliazione? I russi sono particolarmente sensibili alle umiliazioni e al prestigio militare. Quando il presidente americano John F. Kennedy vinse il suo duello con Nikita Krusciov ingiungendogli lo smantellamento e il ritiro delle basi missilistiche segretamente allestire a Cuba (accettando di smantellare basi missilistiche americane in Turchia) l’effetto di quella vittoria fu che Nikita Krusciov venne di lì a poco rimosso e le foto lo mostrarono pensionato ai giardini pubblici, mentre dava da mangiare ai piccioni. Le analisi dei think-tank di una tale sequenza dovrebbe essere questa: la classe militare russa che costituisce una delle basi fondamentali del potere politico effettivo di Putin (che ne ha già fatto uso in Cecenia, in Ossezia, in Crimea e in Donbass con reparti speciali senza insegne) e poi in Siria ad Aleppo, non essendo affatto convinta della bontà e della fattibilità dell’intervento in Ucraina, impose a Putin di annunciare pubblicamente i confini di quella operazione: niente guerra distruttiva industriale, no a scontri militari su vasta scala con l’esercito ucraino e un tempo limitato per valutare i risultati e decidere se e come continuare.
Poiché Putin ha usato quell’espressione e ha evitato di far compiere al suo corpo di spedizione operazioni industrialmente distruttive e strategicamente significative come accade quando esiste uno stato di guerra, fatti i dovuti bilanci e di fronte al costante progresso delle capacità del nemico rifornito dagli occidentali, stanno imponendo a Putin di sciogliere la riserva fin qui mantenuta e dichiarare guerra. Lo stato formale di guerra consentirebbe per prima cosa di attaccare con giustificazione formale e valida secondo le leggi internazionali, le linee di rifornimento di quello che a questo punto sarebbe diventato “il nemico” e dunque gli occidentali in Ucraina e le loro linee di rifornimento. Questo passo non implicherebbe alcun rischio ulteriore con la Nato che ha sempre dichiarato di considerare casus belli soltanto il superamento del “filo rosso” che segue la linea dei confini dei Paesi che partecipano all’Alleanza. Ma non potrebbe obiettare in alcun modo a una risposta russa su suolo ucraino contro trasporti di armi e rifornimenti. I russi acquisterebbero anche il diritto giuridico di passare per le armi tutti gli stranieri che combattono a fianco degli ucraini.
Se queste novità trovassero conferma, assisteremmo ad una formalizzazione della guerra che imporrebbe ai russi uno stato di legge marziale di fatto, con restrizioni ulteriori dei filiformi margini di libertà e la legalizzazione della censura. E poi dovrebbero vincere una guerra molto costosa e tecnologica per la quale i russi non sembrano affatto attrezzati, salvo l’esibizione di armi di distruzione di massa di apocalittica potenza, il cui uso richiederebbe decisioni non più individuali ma a collettive.
La previsione secondo cui Putin userebbe la parata della vittoria del 9 maggio per pronunciare un discorso contenente anche la dichiarazione ufficiale di guerra viene dal topo dell’intelligence militare britannica e cioè dallo stesso ministro della Difesa del Regno Unito Ben Wallace. Questo quadro dovrebbe far presumere un incremento della militarizzazione russa in Ucraina, che però non si vede. Tutte le operazioni in corso sono definite in occidente come “estremamente prudenti e tiepide”.
C’è dunque qualcosa che non torna e non è affatto chiara nelle alte sfere del Cremlino. Putin ha persino affermato negli ultimi due giorni di essere disposto ad aprire delle trattative “Se gli occidentali smetteranno di rifornire di armi l’Ucraina”. Dichiarazione che potrebbe preludere a una trattativa che permetta alla Russia di uscire dall’ingranaggio in cui si è cacciata attraverso l’uso di tutte le vie diplomatiche che finora non avevano alcun margine di probabilità a causa del carattere totalmente illegale e sospetto di crimini gravissimi, un collo di bottiglia da cui sarebbe possibile uscire salvando il salvabile senza insistere sulle minacce nucleari e senza far perdere la faccia all’Armata Rossa i cui vertici sono costantemente descritti al limite di una crisi di nervi. I ricorrenti pettegolezzi sulla salute di Putin potrebbero preludere ad una soluzione “sanitaria” con un ricovero per gravi motivi di salute, di un presidente che seguita ad accumulare disfatte diplomatiche militari ed economiche, compresa la sciagurata intervista di Lavrov che ha provocato con i suoi inaccettabili giudizi sugli ebrei il ritiro di Israele da una posizione intermedia fra le parti e che adesso minaccia di mettersi a disposizione dell’Ucraina.
Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 maggio 2022.
Gli ucraini sono riusciti a riconquistare la città di Saryi Saltiv, a circa 50 km da Kharkiv, alleviando un po’ la pressione sulla seconda città più grande dell’Ucraina, che i russi hanno pesantemente bombardato ma che non sono riusciti a conquistare.
I giornalisti che si sono avventurati fuori da Kharkiv seguendo l’avanzata delle truppe hanno descritto la campagna come un «cimitero a cielo aperto»: strade e campi erano disseminati di corpi abbandonati, e i morti erano anche dentro agli appartamenti o nei veicoli.
Uno degli spettacoli più raccapriccianti è stata la scoperta di quelli che sembravano essere cadaveri russi disposti a formare una “Z”.
Intanto più a Sud, a ovest di Izyum, l’artiglieria ucraina ha distrutto una colonna di veicoli corazzati russi. Nel Donbass proseguono pesanti combattimenti per il controllo del territorio.
Russia: incendio in fabbrica polvere da sparo, 2 morti. (ANSA il 3 maggio 2022) - Due operai sono morti in seguito a un incendio nella fabbrica di polvere da sparo di Perm, in Russia: lo riferiscono il Moscow Times e l'agenzia di stampa statale russa Ria Novosti citando le autorità locali. Ria Novosti sostiene che secondo l'ispettorato del lavoro, la sera del primo maggio si è verificato un incendio in un sito di produzione. Secondo il Moscow Times, nello stabilimento di Perm si produce anche polvere da sparo per alcuni armamenti, compresi i sistemi lanciamissili Grad e Smerch.
Andrea Marinelli,Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 3 maggio 2022.
Le ultime due «strane» esplosioni sono avvenute all'alba di lunedì a Belgorod, città russa a 39 chilometri dal confine con l'Ucraina, con il sindaco che si è affrettato a rassicurare i cittadini. Il giorno precedente, il Primo maggio, era stata colpita un'installazione militare nella stessa città di frontiera ed era stato danneggiato un ponte nei pressi di Kursk, a 170 chilometri dal confine, un incidente attribuito dal sindaco a un gesto doloso.
Dall'inizio dell'invasione sono stati oltre 20 gli episodi avvenuti in Russia, per lo più nella regione di Belgorod, dove uomini e mezzi militari pattugliano le strade in cui - racconta il sito indipendente russo Meduza - sono spuntati ospedali da campo e scavate delle trincee.
Quasi ogni giorno il governatore Vyacheslav Gladkov aggiorna sugli attacchi: il 1° aprile è stato colpito un deposito petrolifero della Rosneft, il 12 è stata danneggiata la linea ferroviaria a Shebekino, due giorni dopo un uomo di Zhuravlevka è stato ferito dalle schegge di un'esplosione.
Le ombre
Nella regione è stato dichiarato uno stato d'allerta giallo, che indica un'alta minaccia terroristica, ma questi episodi sono parte di una guerra di ombre: non sempre è chiaro il colpevole, a volte è sfuggente come una fantasma, altre reale come lo può essere un raid militare.
Come quello - mai rivendicato dagli ucraini - del 25 aprile a Bryansk, a 100 chilometri dal confine, quando due incendi sono divampati nei depositi di carburante della Rosneft, da cui parte il greggio che arriva in Europa.
In successione sono stati presi di mira basi, villaggi, depositi di munizioni, infrastrutture. A colpire sono droni di fabbricazione turca, elicotteri, missili e probabilmente - questa è la parte più coperta - forze speciali infiltratesi dietro le linee. I russi sono riusciti ad abbattere un paio di velivoli, con le foto dei rottami pubblicate in rete da semplici cittadini.
Mosca ha reagito in modo diverso a seconda delle situazioni: ha incassato il colpo, ha negato, ha accusato il nemico, ha ipotizzato la casualità. Un esperto britannico, con molto pragmatismo, ha riconosciuto due aspetti: l'incuria e la corruzione possono certamente essere all'origine di incidenti, tuttavia quando si assiste a una serie ripetuta è difficile pensare che sia solo il destino avverso.
Kiev si è «accomodata» - per scelta e interesse - a specchio. Ha accusato, inizialmente, il nemico di provocazioni. Poi progressivamente ha lasciato intendere di essere coinvolta, ha ironizzato citando il «karma negativo» mentre il capo dello staff di Zelensky ha parlato di «ambiguità strategica», ossia non confermano né smentiscono.
Una linea incoraggiata dal sostegno aperto della Gran Bretagna e persino della Germania, per le quali la resistenza ha il diritto di assestare fendenti ovunque. Le debolezze I giganteschi «funghi» di fumo che si alzano sulle località della Russia finiscono per essere interpretate come le prove di difficoltà profonde.
Non importa il motivo scatenante: per gli analisti tutto questo dimostra che Mosca non riesce sigillare la madre patria, ha buchi negli apparati di sicurezza, lamenta guai nel personale e negli impianti.
Anche perché alcuni roghi hanno riguardato centri lontani dall'area della crisi: ad esempio la grande esplosione avvenuta ieri a Perm, a 2 mila chilometri dall'Ucraina, che ha coinvolto un impianto per la produzione di polvere da sparo, oppure quella del 21 aprile a Tver, a nord di Mosca, in un laboratorio che sviluppa missili.
Gli ucraini, poi, possono «disturbare» l'invasore mentre rilancia l'offensiva a est e sud: incursioni simboliche e ad effetto, con possibili ripercussioni sulla rete logistica.
Il fronte interno risponde anche ai suggerimenti esterni che prevedevano il ricorso a piccoli nuclei di commandos. Istruttori americani, canadesi, britannici, polacchi e lituani hanno addestrato le Special Forces di Zelensky e le hanno anche dotate di equipaggiamenti adeguati al compito: militari e piloti di elicotteri sono in grado di agire con le tenebre grazie ai visori notturni, sono dotati di sistemi di comunicazione protetti, di apparati per poter ricevere dati di intelligence.
Una componente umana che non esclude la presenza di consiglieri stranieri. I russi hanno usato la stessa lama. O hanno provato. Kiev ha arrestato numerosi alti ufficiali accusati di tradimento: uno lavorava allo Stato Maggiore, un gruppo invece doveva abbattere - secondo l'accusa - un aereo passeggeri in Bielorussia o Russia e far ricadere la responsabilità sull'Ucraina. Una situazione che riporta alla distruzione del jet malese nel luglio 2014, a Donetsk, attribuita ai filorussi.
Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera” il 3 maggio 2022.
Generale Pietro Serino, lei è capo di Stato Maggiore dell'Esercito, comanda oltre 90 mila uomini e donne, è un grande esperto di pianificazione militare, conosce la guerra per mestiere e per averla studiata a lungo nel corso della sua formazione: cosa pensa dello scontro cui stiamo assistendo da due mesi nel cuore dell'Europa?
Delle analisi che sono state fatte in queste settimane cosa si sente di condividere?
«Io nasco come ufficiale deputato alle telecomunicazioni, e periodicamente nella mia vita ho dovuto aggiornare le mie conoscenze sulle nuove tecnologie. Ogni guerra, sin da quelle che facevano gli antichi romani, si basa sull'efficacia delle comunicazioni e della tecnologia. Quella della Russia contro l'Ucraina non fa differenza, e i russi potrebbero non averlo compreso sino in fondo».
Che intende dire?
«Ho un'immagine: oggi i cacciabombardieri di una volta sono stati sostituiti dai droni, la radio è stata sostituita dal satellite, scopriamo quali sono i nuovi compagni di viaggio di un esercito moderno. Credo che si sia sottovalutato il fatto che le formazioni corazzate hanno bisogno di strumenti di tecnologia diversa dal passato, e anche per questo oggi ci si può trovare in grandissima difficoltà».
Al Cremlino avevano programmato una guerra lampo e non è stato così.
«Ritengo che una delle considerazioni più rilevanti riguardi proprio i nuovi ambiti cyber e spaziale, che forse non sono risolutivi, ma certamente hanno un ruolo determinante: se non sono capaci di sfruttare gli accessi alla tecnologia cyber e al dominio dello spazio, gli eserciti moderni possono entrare in grande difficoltà».
Alla lunga questo gap dei russi può fare la differenza?
«Mi sembra di osservare che in questo momento l'utilizzo dei sistemi satellitari e l'impiego dei droni non sia equilibrato da parte dei due contendenti, si proteggono le forze corazzate con aerei ed elicotteri che oggi non sono in grado di sopravvivere al moderno campo di battaglia, dominato anche da missili spalleggiabili, sia controaerei che controcarri. La copertura aerea oggi è troppo rischiosa e dunque non è efficace, e si assiste ancora ad un uso di formazioni d'attacco in modalità classica, quella che conoscevamo negli anni '90, per intenderci mi riferisco alla guerra del Golfo: oggi quel modello non paga più».
Questo significa che tutte le analisi sulla consistenza numerica dell'esercito russo hanno un valore relativo?
«Si è discusso per settimane circa la consistenza delle forze, delle decine di migliaia di soldati schierati, ma si sa poco dell'entità numerica e della natura degli avversari sul campo. Certo, il terreno va presidiato, le risorse umane restano fondamentali sia per difendere un terreno, sia per conquistarlo e mantenerlo, ma le truppe senza la padronanza dei mezzi tecnologici alla fine soccombono, è una regola classica, sin dai tempi delle guerre dei romani».
L'esercito italiano compie domani 161 anni. Lei sta dirigendo una transizione molto vasta dei mezzi armati a vostra disposizione. Il nostro esercito è moderno abbastanza?
«Negli ultimi venti anni è stato anche un fiore all'occhiello del nostro Paese, sia dentro che fuori i confini nazionali, guadagnandosi anche la fiducia di tutti i nostri alleati e delle popolazioni con cui siamo venuti in contatto. Adesso che ci troviamo a fronteggiare missioni diverse, dobbiamo rinnovare il parco delle forze corazzate. Ci stiamo lavorando, investendo non solo su nuovi carri ed elicotteri, ma soprattutto sul munizionamento, un sistema di artiglieria con grande precisione sino a 70 chilometri.
Nel campo elicotteristico ci stiamo lasciando alle spalle un parco che risaliva agli anni '80. Le risorse ci sono e mi auguro che il Parlamento, questo come il prossimo, continui a condividere le indicazioni del ministro Guerini che crede nella necessità, per gli interessi strategici nazionali, di un ammodernamento necessario quanto efficace della forza armata, che a me piace definire Esercito 4.0».
Cosa pensa del progetto di un esercito europeo, che dalla guerra in Ucraina ha avuto un'accelerazione?
«Credo che i concetti chiave siano integrazione, interoperabilità e rapporto sinergico fra forze militari e industrie europee. La nostra prima missione è la difesa della Nazione e dei suoi interessi, la seconda è quella della difesa degli interessi euro-atlantici. Un caposaldo fondamentale è che le due dimensioni, Nato ed europea, continuino a coesistere, ma con una capacità militare che si basa sulla non duplicazione degli apparati militari, con un unico set di forze che può operare sotto entrambe le organizzazioni: questo è un concetto irrinunciabile».
Torniamo alla guerra in corso.
«La dimensione cibernetica è oggi così pervasiva che affidare le operazioni alle singole forze armate diventa controproducente, anche con il classico coordinamento. Occorre un approccio interforze, con un accentramento molto forte verso un comando unico di tutte le operazioni, e credo che nel mondo occidentale si abbia molta più coscienza di questo».
Antonello Guerrera per “la Repubblica” il 3 maggio 2022.
Che la guerra in Ucraina non stia andando bene per Vladimir Putin lo si capisce anche dagli ultimi avvenimenti. Innanzitutto, ieri mattina l'intelligence militare britannica ha comunicato come «il 25% delle forze militari russe sia fuori uso. Ovvero un quarto dei 120 battaglioni tattici, che a loro volta costituiscono il 65% del potenziale totale di terra russo». Inoltre, «alcune unità di élite dell'esercito russo, vedi le aerotrasportate "Vdv", hanno subito il più alto livello di logoramento.
A Mosca serviranno anni per ricostituirle ». Poi c'è quanto accade nel sud della Russia, al confine con l'Ucraina. A circa 40 chilometri della frontiera, ieri ci sono state altre esplosioni nella regione di Belgorod, dove nelle settimane scorse elicotteri ucraini avrebbero bombardato depositi di proiettili e petrolio del colosso Gazprom. In questa regione siamo oramai a venti simili episodi: segno che la resistenza ucraina si sta espandendo anche oltre confine per sabotare le linee di rifornimento dell'esercito russo.
Non a caso, nelle ultime ore, un altro ponte è stato fatto esplodere nella regione russa del Kursk, proprio al confine, presso Konopelka. Mosca parla di "terrorismo" e di "sabotaggio". Come il lunghissimo ponte di Crimea, anche questa è un'infrastruttura importante per rifornire, in questo caso, le truppe russe nel Donbass, dove si sta combattendo una battaglia campale. Il presidente Putin esige dai suoi risultati militari concreti per la festa nazionale del 9 maggio, quando si teme che lo zar possa scatenare "una guerra totale".
Ma fonti di intelligence occidentale raccontano di «progressi molto limitati in Donbass, con almeno 15mila soldati morti russi in totale ». E le parole di domenica del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, nell'intervista shock a Mediaset, sembrano confermarlo: «Non cerchiamo di ottenere risultati militari necessariamente entro il 9 maggio ».
Un'ammissione di debolezza, cui si aggiungono le voci di ferimento del generale Valery Gerasimov, capo di Stato maggiore delle forze russe. L'Ucraina sostiene che quest' ultimo sia stato colpito a Izyum, nella regione di Kharkiv, prima di essere evacuato con un Tupolev verso Mosca. Ma secondo il New York Times , Gerasimov è invece illeso in quanto già in viaggio verso la Russia al momento dell'attacco. In ogni caso, sempre secondo Kiev, tra le vittime ci sarebbe anche anche il decimo generale russo ucciso nella guerra in Ucraina, Andrei Simonov.
Eppure, nonostante gli insuccessi, l'offensiva di Mosca non si ferma. Secondo l'Onu, sono 3mila i civili ucraini uccisi sinora. Ieri ci sono stati altri raid che hanno provocato almeno 8 morti e decine di feriti, a Lyman, nella regione di Donetsk (Donbass), e a Odessa, prossimo obiettivo costiero di Putin per arrivare in Transnistria. Piano per ora "decisamente irrealistico", secondo l'esperto militare britannico Mark Galeotti. Mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha accusato Vladimir Putin di aver «deportato almeno 500mila ucraini contro la propria volontà».
Ieri intanto, seppur a singhiozzo, sono stati evacuati i primi cento civili dall'acciaieria di Mariupol, sotto assedio di Mosca. Mentre la Uefa ha escluso nazionale e club russi di calcio dagli europei femminili di luglio a Londra, dalla Coppa del Mondo femminile 2023 e dalla prossima Champions League maschile. Oggi Boris Johnson terrà un discorso da remoto al Parlamento di Kiev in cui annuncerà altri 350 milioni di euro in aiuti militari e, parafrasando l'amato Churchill, prometterà che questa è "l'ora più luminosa dell'Ucraina".
(ANSA il 2 maggio 2022) - Più di un quarto delle unità russe dedicate all'invasione dell'Ucraina probabilmente adesso "non sono idonee al combattimento": lo riporta oggi l'intelligence britannica nel suo aggiornamento sulla situazione in Ucraina pubblicato dal ministero della Difesa di Londra.
All'inizio del conflitto la Russia ha schierato oltre 120 gruppi tattici di battaglione (BTG), pari a circa il 65% della sua intera forza di combattimento di terra, spiega l'intelligence aggiungendo: È probabile che più di un quarto di queste unità sia adesso incapace di combattere. Alcune tra le unità più d'elite del Paese, incluse le forze aviotrasportate VDV, risentono maggiormente di questa situazione e probabilmente ci vorranno anni prima che la Russia ripristini queste forze, prevede Londra.
Gianluca Cordella per ilmessaggero.it il 2 maggio 2022.
Doveva essere una guerra lampo, o almeno così l'aveva configurata il presidente Vladimir Putin. Ma la feroce resistenza ucraina – supportata dagli aiuti internazionali – ha dipinto uno scenario radicalmente differente. E così, dopo oltre due mesi di bombardamenti e scontri, l'esercito russo si trova in delle sabbie mobili dalle quali è difficilissimo tirarsi fuori. E con un nemico, terribile, in più: la propria testa. Dove l'ansia, la paura, la stanchezza si moltiplicano giorno dopo giorno.
Il crollo psicologico dei soldati russi
Mandando in crisi le certezze e infiammando i dubbi di quei ragazzi – e non sono pochi - che non credevano in questo conflitto o che non erano ancora militarmente e psicologicamente preparati per affrontarlo. La conferma è arrivata dall'intercettazione di una comunicazione tra un ufficiale dell'esercito russo e sua moglie, riportata dai media inglesi.
Il soldato
Il soldato si confida e parla di una situazione che volge alla crisi, con militari in preda al panico che sperano solo di ricevere il prima possibile la notizia della fine della guerra. Ragazzi che hanno prima dovuto fare i conti con l'aspettativa di uno scontro rapido che non ha trovato conferma nella realtà e, poi, con le indicazioni schizofreniche arrivate dal Cremlino, non ultima la nuova offensiva nei territori orientali, quando ormai le truppe hanno già perso molti uomini e mezzi.
«I miei soldati non vogliono combattere – racconta l'ufficiale russo – Ho dovuto persino sparare dei colpi per scuoterli, ma è inutile. Sono dei codardi, in questo momento sono loro il nostro problema reale».
E non è bastato nemmeno l'invio di altri uomini deciso da Putin. «Sono tutti nel panico, vogliono solo che tutto finisca. E' quello che ormai succede ogni giorno da un mese e mezzo – racconta ancora il militare alla moglie - Tutti sono stufi di tutto questo. Vogliono andare a casa, abbracciare le mogli e i figli».
Gli aiuti internazionali
E sicuramente un peso ce l'avranno i bollettini diffusi dai media. Si parla di oltre 20 mila militari russi deceduti dall'inizio dell'aggressione e questo ovviamente dà ai soldati stessi la dimensione della portata della reazione ucraina. A tutto questo va sommata la mobilitazione internazionale che fornendo armi e mezzi al governo di Kiev sta rendendo ancora più complicati i tentativi di avanzata delle forze armate di Mosca.
E, d'altra parte, il tracollo psicologico dei soldati del Cremlino è un tema caldo già da settimane. I media indipendenti russi, che si stanno sforzando di raccontare il reale andamento della campagna voluta da Putin, hanno raccontato già nei giorni scorsi di ammutinamenti, di truppe che si rifiutano di combattere o di raccogliere le nuove indicazioni strategiche e addirittura di militari ribelli che si rivolgono ad avvocati specializzati nei diritti umani per farsi proteggere.
Le tensioni con i ceceni
Né ha aiutato, anzi, l'idea di “eleggere” gli spietati soldati ceceni a “garanti” dell'operatività delle truppe russe. Secondo i report indipendenti, infatti, Putin avrebbe chiesto al fedele leader ceceno Ramzan Kadyrov di mischiare i suoi uomini a quelli delle forze di Mosca proprio con lo scopo di controllare e, nel caso, bloccare, l'insorgere di tentativi di ammutinamento.
Il che ha portato a notevoli frizioni all'interno delle forze di occupazione. Nei giorni scorsi su Twitter circolava la notizia di uno scontro tra militari russi e ceceni, con i primi che, nella notte, avrebbero aperto il fuoco sui secondi nel villaggio occupato di Kiselivka, facendo “morti e feriti”. Un'altra situazione potenzialmente esplosiva che può rendere ancora più complicata l'attuazione del disegno di Putin.
Gianluca Di Feo per “la Repubblica” il 2 maggio 2022.
Potrebbe essere l'ultimo romanzo della serie "Segretissimo Sas", i popolari libri di spie e complotti scritti da Gérard De Villiers: titolo perfetto anche per il capitolo più misterioso del conflitto in Ucraina. Le ombre del Sas, il reparto britannico delle missioni impossibili, infatti si stagliano negli episodi chiave della guerra: dal salvataggio del presidente Zelensky ai raid contro le navi di Mosca. Leggende sussurrate tra gli analisti dell'intelligence, alle quali difficilmente si troverà riscontro.
Come si narra in dozzine di film, i commando di Sua Maestà agiscono spesso sotto falso nome per non compromettere il governo di Londra. Oggi la copertura perfetta è offerta dalle società di contractor, i moderni mercenari attivissimi al fianco delle truppe di Kiev: ne hanno curato la preparazione e ora partecipano in maniera molto discreta ai combattimenti.
Circolano filmati di ex ufficiali statunitensi che spiegano come usare i missili antitank e ieri è stata annunciata la morte di uno di questi "soldati di ventura": Willy Joseph Cancel, un ex marines che a metà marzo aveva raggiunto la prima linea. Invece i due veterani inglesi, catturati nel Donbass e scomparsi dopo avere rilasciato brevi dichiarazioni alla tv russa, sono stati presentati come "volontari".
Il Sas si muove nel lato oscuro della guerra, come nelle spedizioni sulle jeep nel deserto libico che nel 1941 diedero inizio alla saga dello Special Air Service: un nome nato per depistare, perché la prima preoccupazione era occultare l'esistenza del reparto, come se gli attacchi fossero opera di fantasmi. E la leggenda è rimasta intatta: "Chi osa vince" è il loro motto. Secondo alcuni nella prima notte di battaglia a Kiev sarebbero stati loro a proteggere Zelensky dal doppio blitz di Mosca.
I russi ora si sono convinti che ci sia lo zampino del "Reggimento" - così lo chiamano i suoi membri - dietro altre azioni oltre i limiti. La prima risale al 24 marzo. Nel porto di Berdyansk, non lontano da Mariupol, salta in aria una nave militare lunga più di cento metri piena di munizioni e mezzi blindati. La Saratov è esplosa, danneggiando altre due navi simili che sono salpate di corsa e non hanno più fatto ritorno. Nessuno sa cosa abbia distrutto la Saratov, naufragata assieme ai piani per l'offensiva finale contro Odessa. Nei giorni precedenti gli ucraini avevano tentato invano di centrare i moli con i missili Tochka. Quella mattina però nulla è piovuto dal cielo.
Ed ecco il sospetto che l'assalto sia venuto dalla profondità: un'incursione di subacquei, che hanno piazzato una mina magnetica sulla fiancata della nave e poi sono fuggiti senza lasciare traccia. Un dubbio diffuso pure tra i comandi di Mosca, che hanno schierato la loro arma migliore per proteggere i porti di Crimea dai sabotatori in immersione: delfini addestrati a scoprire gli intrusi dei fondali. Il secondo episodio una settimana dopo.
Nel pieno della notte due elicotteri sorvolano il confine russo e piombano sulla città di Belgorod. Rapidi e invisibili, tirano missili e cannonate contro due grandi depositi di carburante: li incendiano e scompaiono nell'oscurità. È il primo attacco aereo in assoluto sul territorio di Mosca: un successo clamoroso ma gli ucraini negano ogni responsabilità. Le telecamere hanno filmato le sagome di due MI-24 Hind: elicotteri d'epoca sovietica, in dotazione a entrambi i contendenti. Gli ucraini ne hanno pochi e dall'inizio della guerra non hanno mai combattuto di notte.
Allo stesso tempo gli Hind e i suoi derivati spopolano tra i nuovi mercenari: un video li mostra in missione sulla Sierra Leone con un equipaggio composto pure da ex Sas. Per il reparto delle missioni impossibili sarebbe stato facile noleggiarne un paio, beffare le difese russe e scomparire. Come fantasmi, appunto.
Quanto gli spettri stiano infastidendo il Cremlino lo prova un dispaccio dell'agenzia Ria Novosti, che una settimana fa ha annunciato un'indagine del Comitato d'Inchiesta russo sulla presenza di «venti membri delle Sas mandati nella zona di Leopoli». L'istruttoria è stata interpretata come un monito diretto a Londra. Estremamente british la replica del portavoce della Difesa britannica: «No comment ». Forse però non ricorda il titolo dell'ultimo volume della serie Sas, scritto nel 2013 da De Villiers prima di morire: La vendetta del Cremlino.
Il peso della logistica. Perché la Russia bombarda tutte le reti ferroviarie ucraine. Michelangelo Freyrie su L'Inkiesta il 30 Aprile 2022.
I nuovi attacchi lanciati da Mosca colpiscono soprattutto il trasporto su rotaia. Per Kiev l’integrità dei binari è fondamentale per rimediare ai danni economici causati dalla perdita dei porti di Odessa e Mariupol.
Lo scrittore russo in esilio Vladimir Sorokin vede nell’invasione dell’Ucraina il ritorno l’affogamento del mondo russo nel sangue di Kiev, la città madre dell’antico Rus’ in cui tutto ha avuto inizio.
La mattanza famigliare, in effetti, si riflette anche negli aspetti più prosaici del conflitto. Da un punto di vista logistico, la lotta fra i due Paesi assomiglia più un duello fra gemelli che a uno scontro fra forze armate radicalmente opposte, e questo nonostante i programmi di aiuti e modernizzazione intrapresi dalla Nato a supporto degli ucraini.
La nuova campagna di bombardamenti lanciata da Mosca nell’ovest e al centro del Paese invasa mostra come lo stato maggiore russo (GenShtab) abbia pianificato l’offensiva nel Donbass come se dovesse eliminare la copia-carbone del proprio sistema logistico, basato largamente sul trasporto su rotaia.
I raid si stanno concentrando su stazioni e ferrovie coinvolte nel rifornimento e la distribuzione di aiuti militari occidentali, in particolar modo anche attorno a Leopoli, in prossimità del confine polacco.
Questa scelta può sorprendere chi ha presente i sistemi logistici occidentali, che si appoggiano maggiormente sul trasporto su gomma. Ma l’Ucraina, come tutti gli Stati post-sovietici e con un passato nel Patto di Varsavia, ha ereditato da Mosca un impianto logistico-militare calibrato sulle esigenze delle truppe sovietiche: in un Paese immenso come l’Unione sovietica, lo spostamento rapido delle truppe e di rifornimenti non poteva che usufruire delle lunghe linee ferroviarie che collegano la Siberia alle porte d’Europa.
Negli ultimi mesi molto è stato scritto sulle truppe ferroviarie russe e sui danni causati dai partigiani bielorussi, che danneggiando il trasporto su rotaia del proprio paese ha bloccato parte degli approvvigionamenti russi destinati al fronte di Kiev.
Il sistema ferroviario ha però un ruolo non indifferente anche in Ucraina, le cui forze armate hanno avviato una riforma del sistema logistico solo nel 2015. I programmi avviati dai difensori, con il supporto dell’Alleanza Atlantica, prevedevano soprattutto innovazioni dal punto di vista del coordinamento e del rifornimento a livello di brigata.
La prima dimensione riguarda soprattutto la creazione di sistemi digitali per poter quantificare le esigenze della truppa e poter programmare la produzione e la distribuzione di rifornimenti; la seconda dimensione invece si concentra sul tratto finale delle linee di rifornimento, cioè il trasporto via camion delle forniture dai depositi di brigata locali alle unità impegnate nei combattimenti.
L’obiettivo era dimezzare i tempi di rifornimento, che nel 2021 avrebbero dovuto essere ridotte a 2-10 giorni a partire dall’ordine dell’unità sul campo. Anche nei piani originali non si prevedeva quindi un ridimensionamento del sistema ferroviario, che necessita tuttavia di interventi specifici. UZ, il gestore statale delle ferrovie, è rimasta una sacca di inefficiente economia sovietica fino alla vigilia della guerra.
Anche nel contesto di una mobilitazione generale, gli ottimi tecnici di UZ non sono dotati di strumenti per la manutenzione moderni, verosimilmente rallentando le riparazioni su treni e linee danneggiate.
Lo sfruttamento del sistema ferroviario ai fini bellici ha degli ovvi vantaggi: è sensato sfruttare al massimo tutti i mezzi di trasporto a disposizione (droni inclusi), molte strade ucraine erano disseminate di crateri anche prima dello scoppio della guerra, e in uno scenario in cui lo spazio sopra al Paese è ancora conteso i difensori possono permettersi di utilizzare un sistema di trasporto altrimenti molto vulnerabile e che non permette di utilizzare percorsi poco ovvi.
In più, poter concentrare i camion nelle zone immediatamente prossime al fronte permette un uso più razionale dei veicoli. Infine, Kiev può contare su una compatibilità di fondo con Paesi come la Cechia e la Polonia, che a differenza dei Paesi della “vecchia” Nato fanno un utilizzo più vasto delle ferrovie a scopi militari.
I primi hanno consegnato almeno parte dei propri T-72 di produzione sovietica tramite trasporto ferroviario, mentre già dopo il 2014 Varsavia aveva riattivato alcune delle linee transfrontaliere fra Polonia e Ucraina, costruite con uno scarto di rotaia “largo” di standard sovietico, ironicamente installate per facilitare il rifornimento di truppe sovietiche da Est a Ovest.
In più, l’integrità della rete ferroviaria è fondamentale per provare a rimediare ai danni economici causati dal blocco del porto di Odessa e dall’annichilimento di Mariupol, due città da dove partivano gran parte degli export di grano ucraini.
Le esportazioni del mese di marzo ammontano a quattro volte meno rispetto a febbraio, con un evidente danno al budget di Kiev e al mercato globale del grano. Insieme alla mobilitazione di aziende e camion privati per garantire le “importazioni critiche” come medicine, aiuti umanitari e altri materiali civili, rafforzare queste vie logistiche alternative sarà fondamentale per garantire la tenuta del sistema ucraino.
Andrea Marinelli, Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 30 aprile 2022.
I russi avanzano con il loro passo. Lento. Due chilometri al giorno, dicono dal Pentagono, ma sarebbero in ritardo di diversi giorni sulla tabella di marcia. Sullo sfondo restano diverse opzioni «finali», appese a quanto deciderà il campo e alla volontà di Putin.
Una serie di osservatori riportano informazioni mescolate alla nebbia di guerra, loro stessi mettono in guardia sull'accuratezza. Anche perché Kiev nasconde le sue perdite. Sul fronte orientale, le forze russe continuano ad attaccare e martellare per prendere il controllo dell'intero Donbass, ma non sono riuscite ad avanzare in modo significativo: hanno provato a conquistare Rubizhne, senza successo, e bombardano la regione di Severodonetsk senza condurre attacchi via terra. Hanno conquistato Kreminna, spingono verso Sloviansk e Kramatorsk, mentre continua la pressione su Lyman e Yampil.
Sul fronte meridionale, gli uomini di Putin incontrano maggiori ostacoli, faticano, lasciano per strada mezzi e reclute (non sempre all'altezza). I «difensori» sono sempre veloci nell'infilarsi tra le linee, significativi i sabotaggi alle vie di comunicazione: hanno fatto saltare un ponte vicino a Melitopol, indispensabile per il flusso di rifornimenti. Fonti statunitensi ritengono che Mosca stia impiegando un totale di 92 battaglioni, altri 20 sono stati ritirati per essere rimessi in sesto e sono stati recuperati contingenti reduci dall'assedio di Mariupol, dove tuttavia i combattimenti continuano.
Ma quanti sono veramente gli effettivi? Il ricercatore Michael Kofman arriva a dire che sono al 40%, in poche parole non hanno abbastanza «fanti» e anche gli equipaggi dei corazzati sarebbero «ridotti». L'unica soluzione - aggiunge - è la mobilitazione generale, magari il 9 maggio in concomitanza con la festa della vittoria sul nazismo. Putin avrebbe preferito l'operazione lampo proprio perché consapevole della carenza di truppe, sostiene Kofman.
A sud di Izyum l'Armata ha conseguito risultati significativi impadronendosi di decine di località. Gli invasori - segnala l'analista austriaco Tom Cooper - hanno schierato un paio di unità appartenenti alle 76esima divisione aerotrasportata, tra i soldati migliori a loro disposizione. Nel settore di Kharkiv, infine, gli ucraini hanno contrattaccato spingendo verso nord l'avversario e liberando alcuni villaggi: una situazione diventata tendenza.
Le tattiche In questa fase le «colonne» russe procedono - specie a est - su direzioni parallele, in modo da sostenersi a vicenda. Ma soprattutto continuano a sparare a volontà con un vasto arsenale di bocche da fuoco: una tattica consueta e storica per l'Armata. Il generale Hertling, ex comandante delle forze americane in Europa illustra la tattica. Quando ti bombardano incessantemente e con calibri pesanti - spiega - hai due possibilità: cedi terreno o rispondi in modo preciso. Per la seconda scelta devi avere radar di scoperta, cannoni adeguati, munizioni.
Tre elementi che scarseggiano nel dispositivo di Kiev: solo adesso la Nato sta inviando il necessario. Intanto sta addestrando 100 artiglieri in Europa con un corso di 5 giorni per i pezzi da 155 dati dagli Usa: saranno loro poi a passare le istruzioni agli altri in Ucraina. Questo vale per l'infinità di mezzi in arrivo dall'Occidente. Ecco allora che gli ucraini, quando non possono tenere, ripiegano e questo permette all'avversario di inviare reparti in avanti: esplorano, saggiano le difese, si assicurano punti abbandonati.
Gli obiettivi dell'operazione speciale sono cambiati spesso, e muteranno ancora. Soffermiamoci su quelli indicati dagli esperti occidentali, dunque parziali. L'opzione A prevede una grande manovra a tenaglia che arriva fino alla città di Dnipro. In questo caso le Brigate di Zelensky dovrebbero ritirarsi per evitare di essere triturate. L'opzione B, sempre accerchiante, è meno ambiziosa e prevede il dominio sulle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk.
A incastrarsi in questo mosaico c'è la presa di tutta la fascia costiera, come indicato dieci giorni fa dal generale Rustan Minnekaev, vice comandante del settore sud: conquista totale della parte meridionale, creazione di un corridoio tra Crimea e Donbass, proiezione territoriale verso la repubblica autonoma della Transnistria (al confine con la Moldavia).
È la città simbolo, con una rete sotterranea estesa che permette di trincerarsi e protezioni con mine e missili sul versante mare in chiave anti-sbarco. Ma la conquista totale del Donbass, a sentire i commenti che arrivano da Mosca, potrebbe anche non bastare a Putin.
Tre fonti vicine al Cremlino hanno rivelato al sito indipendente russo Meduza , molto affidabile, che il «pieno controllo» del sud sarà raggiunto anche attraverso dei referendum «guidati» da Mosca nelle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, che dovrebbero votare per essere annesse alla federazione russa, e a Kherson, città meridionale parzialmente occupata dai russi, che andrà alle urne per ottenere l'indipendenza dall'Ucraina: in seguito potrebbe essere annessa alla Crimea o alla stessa Russia.
I referendum sono già stati posticipati a causa dei «fallimenti» russi sul campo, ma - se non ci saranno ulteriori rinvii - si dovrebbe votare fra il 14 e il 15 maggio. Target minimi o massimi sono però condizionati dal nemico e dalle capacità dei soldati. I giudizi degli esperti sulla macchina russa restano negativi. Al punto - insinuano da Kiev - che il capo di Stato Maggiore Gerasimov, il padre della strategia russa, sarebbe stato mandato a dirigere di persona, quasi in prima linea, la seconda fase. Dalla teoria alla pratica.
Così un ucraino ha tracciato i movimenti dei soldati russi grazie alle AirPods che gli avevano rubato. Alessandro Vinci su Il Corriere della Sera il 22 Aprile 2022.
Vittima del furto dei suoi auricolari wireless, un cittadino ucraino è riuscito a seguire la ritirata delle truppe di Mosca tramite l'app «Dov'è».
Tra i possibili usi degli AirPods, i popolari auricolari wireless targati Apple, forse nemmeno Tim Cook avrebbe mai immaginato potesse figurare anche il tracciamento degli spostamenti di un esercito nemico. Accade anche questo nell’Ucraina invasa dai russi, dove un cittadino di Hostomel – tale Vitaliy Semenets – nelle ultime settimane ha avuto modo di seguire passo passo la ritirata delle truppe di Mosca dal Paese direttamente dal suo iPhone. In che modo? Nulla di particolarmente sofisticato: gli è bastato accedere all’app «Dov’è» nel tentativo di scoprire che fine avessero fatto le sue cuffiette, razziate dai militari di Putin all’interno della sua abitazione.
Da Gomel a Bolgorod
«Grazie alla tecnologia, ora so dove sono i miei AirPods», ha scritto la scorsa settimana su Instagram il diretto interessato. Nello specifico, al momento della pubblicazione del post si trovavano nella città russa di Bolgorod, a una trentina di chilometri dal confine ucraino: uno dei luoghi in cui lo Stato Maggiore ha concentrato i soldati impegnati nel conflitto prima di lanciare l'assalto finale al Donbass. Ancor prima, invece, gli auricolari erano stati localizzati a Gomel, in Bielorussia. Di fatto, Vitaliy è dunque ora in grado di restare sempre aggiornato sulle tattiche militari adottate dal Cremlino, e non è difficile immaginarlo intento a trasmettere le informazioni più rilevanti alle autorità competenti.
Innumerevoli precedenti
Chiaramente il furto subito dall'uomo è solo una goccia nel mare delle razzie compiute dagli invasori dall'inizio dell'«operazione militare speciale»: un classico di ogni guerra. Tra le storie più emblematiche, quella di un soldato che sarebbe stato ucciso a Irpin dopo aver rinunciato al suo giubbotto antiproiettile per poter trasportare un MacBook e quella di un altro militare a cui un parente, in una conversazione intercettata da Kiev, avrebbe espressamente chiesto di portargli dal fronte un computer portatile, scarpe da ginnastica e altri capi di abbigliamento possibilmente di marca. Addirittura a inizio aprile le telecamere a circuito chiuso di un ufficio postale bielorusso hanno «pizzicato» un gruppo di russi nell'atto di imballare elettrodomestici, auto, scooter, opere d'arte, giocattoli, cosmetici e molto altro ancora per agevolarne il trasporto in Patria. Ma nel caso di Vitaliy, che difficilmente si riapproprierà dei suoi AirPods, perlomeno non tutto il male è venuto per nuocere.
(ANSA il 14 aprile 2022) - A qualche ora dall'annuncio del presidente americano Joe Biden di un altro invio di armi all'Ucraina per un totale di 800 milioni di dollari, il Pentagono ha pubblicato la lista delle nuove forniture. Nell'elenco ci sono 18 obici da 155 mm, 40.000 proiettili di artiglieria, sistemi radar di sorveglianza aerea AN/TPQ-36, AN/MPQ-64 Sentinel e mine anti-uomo Claymore M18A1.
Inoltre, per aiutare le truppe ucraine a spostarsi sul campo gli Stati Uniti invieranno 100 veicoli corazzati Humvee, 200 mezzi corazzati per M113 e 11 elicotteri Mi-17. Questi vanno ad aggiungersi ai cinque già inviati all'inizio di quest'anno. Nel pacchetto, precisa il Pentagono, sono inclusi anche altri Switchblade, i cosiddetti "droni kamikaze", missili Javelin, attrezzature mediche, giubbotti antiproiettile ed elmetti. Nel briefing di ieri il portavoce del Pentagono ha detto, inoltre, che sono stati inviati in Ucraina anche "dispositivi di protezione individuale contro armi chimiche".
(ANSA il 14 aprile 2022) - Sono almeno 19.900 i soldati russi uccisi in Ucraina dall'inizio dell'invasione: lo rende noto oggi l'Esercito di Kiev sul suo account Twitter. Nel suo ultimo aggiornamento sulle perdite subite finora da Mosca, l'Esercito ucraino indica inoltre che dopo 50 giorni di conflitto si registrano anche 160 aerei da caccia abbattuti, oltre a 144 elicotteri e 134 droni.
Inoltre, le forze di Kiev affermano di aver distrutto 753 carri armati russi, 366 pezzi di artiglieria, 1.968 veicoli blindati per il trasporto del personale, quattro sistemi di missili balistici a corto raggio, 122 sistemi di lanciamissili, sette navi, 1.437 veicoli, 76 autocisterne per il rifornimento di carburante, 64 unità di difesa antiaerea e 25 unità di equipaggiamenti speciali.
Articolo di El Pais - dalla rassegna stampa estera di Epr - Comunicazione l'11 aprile 2022.
La fornitura di armi e di intelligence a Kiev è stata decisiva. Gli alleati – scrive Andrea Rizzi su El Pais - ora rimodellano il loro sostegno per la nuova fase della guerra nel Donbas.
"Avete considerato che la Russia non è riuscita a sottomettere l'Ucraina grazie a quello che abbiamo fatto noi? Grazie a quello che hanno fatto i nostri alleati? Ci avete pensato?", ha affermato il segretario alla difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin a un deputato repubblicano che ha criticato la sua amministrazione nel mezzo di un'accesa sessione congressuale il 5.
Non c'è dubbio che il sostegno occidentale è stato finora un elemento essenziale per contrastare i piani di guerra della Russia. L'ammirevole coraggio degli ucraini da solo non sarebbe stato sufficiente. Le armi fornite in queste prime settimane da circa 30 paesi sono state cruciali. Ma anche fattori intangibili e meno chiacchierati come il flusso di informazioni di intelligence a Kiev, l'assistenza alla cyber-difesa e anni di addestramento occidentale che hanno preparato meglio le forze ucraine per questa guerra.
I paesi occidentali stanno riflettendo su come adattare questa assistenza al nuovo scenario di guerra che sta emergendo in Ucraina con la concentrazione delle forze russe nel Donbas. "La guerra sta cambiando il suo livello. Si sta evolvendo verso un modello più classico di truppe contro truppe. Le armi inviate nelle ultime settimane sono state molto utili, ma ora ne servono altre", dice un'alta fonte diplomatica europea.
"Quello che abbiamo consegnato loro finora è stato incredibilmente utile in questa prima fase", concorda William Alberque, direttore del controllo degli armamenti, tecnologia e strategia all'Istituto internazionale di studi strategici (IISS) di Londra, riferendosi ai missili anticarro Javelin o NLAW e ai missili antiaerei Stinger. "Ma ora stiamo entrando in una nuova fase che probabilmente richiederà un mix di azioni di guerriglia con azioni più ampie e coordinate, che richiedono artiglieria e carri armati a più lungo raggio".
In effetti, questo cambiamento si sta già materializzando. Negli ultimi giorni, ci sono stati importanti sviluppi che indicano un salto di qualità. La Slovacchia avrebbe donato a Kiev una batteria di S-300, un sistema di difesa aerea a lungo raggio, e in cambio gli Stati Uniti schiereranno un sistema di difesa missilistica Patriot sul suo territorio. Fonti della difesa ceca hanno confermato a Reuters la consegna di carri armati T-72 all'Ucraina. Queste sono le armi più potenti di quelle fornite finora - di solito missili anticarro e antiaerei trasportabili dall'uomo -. In entrambi i casi, sono di origine sovietica e le forze ucraine sanno come utilizzarli.
"La consegna ceca è solo la punta dell'iceberg", dice Alberque, che in passato ha lavorato per la NATO. "Penso che ci sia un processo rapido in corso per valutare cos'altro può essere consegnato loro, soprattutto il tipo di armamento più compatibile. La firma della Polonia questa settimana di un contratto da 4,75 miliardi di dollari (4,378 miliardi di euro) per la fornitura di 250 carri armati Abrams statunitensi, i primi dei quali dovrebbero arrivare già quest'anno, cementa l'idea che Varsavia, che ha anche dei T-72, sarà la prossima a fornire questi carri armati all'Ucraina. Secondo l'IISS Military Balance 2022, ha 318 unità di questo modello in diverse varianti.
Ma il movimento è molto più ampio di questo. Gli Stati Uniti hanno riferito che circa 100 droni armati Switchblades sono già in viaggio verso l'Ucraina, e gli Stati Uniti stanno addestrando il personale militare ucraino ad usarli. Gli Stati Uniti hanno anche annunciato la consegna di sistemi di guida di missili a guida laser - nessun modello specificato - come parte dell'ennesimo aumento degli aiuti militari all'Ucraina. L'amministrazione Biden fornisce sostegno militare a Kiev per 1,7 miliardi di dollari (1,573 miliardi di euro) dall'inizio della guerra, più di 5 miliardi dal 2014. La cifra sta aumentando rapidamente.
Il Regno Unito ha iniziato a fornire missili anticarro Starstreak, che hanno una portata maggiore dei missili Stinger che l'Ucraina già riceve da vari donatori (circa 7 km rispetto agli attuali 5,5 km), e ha annunciato nuovi aiuti per 100 milioni di sterline (120 milioni di euro). L'UE sta anche aumentando il suo sostegno a Kiev, portando il suo fondo per armare l'Ucraina a 1,5 miliardi di euro. La Germania ha approvato la consegna di 56 veicoli da combattimento di fanteria PbV-501 dagli armamenti dell'ex Repubblica Democratica, attualmente nelle mani della Repubblica Ceca.
"La riorganizzazione delle forze russe ha implicazioni significative. Riduce la dispersione e significa anche che possono operare in un ambiente, come il Donbas, dove hanno una posizione militare più consolidata. Questo altera l'equilibrio precedente e richiede materiale diverso", dice Luis Simón, direttore dell'ufficio di Bruxelles dell'Istituto Reale Elcano ed esperto di difesa. "Se devi riconquistare terreno, se devi cacciare i nemici, hai bisogno di aerei e carri armati. E il problema è che queste sono piattaforme complesse da gestire. Le armi di tipo sovietico sono utili come assistenza immediata. Ma ce ne sono quantità limitate in Occidente. Quindi, se la guerra va avanti per molto tempo, sarà probabilmente necessario guadagnare tempo con tali consegne e nel frattempo addestrare gli ucraini a utilizzare i sistemi occidentali", nota Simon.
Le consegne stanno diventando più significative e la riunione ministeriale della NATO di questa settimana ha segnalato esplicitamente l'intenzione di migliorare le forniture. Tuttavia, i principali esperti credono che in qualche modo le minacce nucleari di Putin abbiano condizionato una certa inibizione occidentale sulla consegna di armi potenti all'Ucraina. Un esempio è il tentativo fallito di fornire jet da combattimento MiG, di cui si è discusso qualche settimana fa, ma che non si è concretizzato. Alcuni sostengono che l'unico limite dovrebbe essere quello di non attaccare direttamente la Russia, ma che qualsiasi consegna di armi all'Ucraina è perfettamente legittima nel contesto del sostegno alla legittima autodifesa.
Ciò che scorre, tuttavia, e senza dubbio a grande vantaggio dell'Ucraina, sono le informazioni di intelligence. Le comunicazioni ufficiali non sono abbondanti in questo settore, ma ci sono abbastanza elementi per dedurre l'importanza della questione.
"Abbiamo condiviso l'intelligence che include informazioni che gli ucraini possono usare per sviluppare la loro risposta militare all'invasione russa. Lo abbiamo condiviso in tempo reale", ha detto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki il 3 marzo. "Guardiamo molto attentamente. Abbiamo capacità di sorveglianza che ci forniscono molte informazioni. Questo è importante ed è qualcosa che usiamo in modo buono. Perché l'informazione, una migliore consapevolezza della situazione, è ovviamente qualcosa che è molto rilevante in una situazione come questa", ha detto il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg questa settimana.
Sia la NATO che alcuni dei suoi alleati individualmente o altri paesi come la Svezia sono attivi in missioni di volo di ricognizione e sorveglianza nelle vicinanze dello spazio aereo ucraino. "Non sappiamo esattamente cosa stanno trasmettendo loro, ma sappiamo che c'è un'intensa attività di volo, perché lo stanno facendo? Logicamente, per trasmettere informazioni agli ucraini. Questo è stato tremendamente importante per facilitare la difesa, per attaccare aspetti chiave della logistica russa, per uccidere i generali", dice Alberque.
Simon è d'accordo: "Anche se non ci sono informazioni pubbliche su questo, tutto indica che all'Ucraina viene offerta anche assistenza in termini di intelligence, sorveglianza, ricognizione, attraverso aerei e satelliti, e anche l'intelligence classica di spionaggio, in modo che possa avere un quadro operativo più chiaro".
L'Ucraina conta anche sul supporto occidentale nella difesa informatica, anche da parte di aziende private come Microsoft, che lo hanno annunciato pubblicamente. La società di Gates ha segnalato diverse azioni, tra cui una questa settimana per neutralizzare un attacco contro le istituzioni ucraine da parte di Strontium, un gruppo legato ai servizi segreti stranieri dell'esercito russo.
In questo campo, come in altre aree militari, l'assistenza occidentale ha gradualmente preso forma sotto forma di formazione, istruzione e sostegno finanziario dopo l'aggressione russa iniziata nel 2014 con l'annessione della penisola ucraina di Crimea. Ora è in una fase di metamorfosi in linea con l'evoluzione del conflitto. Resta da vedere dove andrà. Per ora, è stato decisivo.
Anna Zafesova per "La Stampa" il 10 aprile 2022.
«Questa guerra sarà vinta sul campo di battaglia», promette Josep Borrell da Kyiv, e tutti, ucraini, russi e occidentali si preparano alla madre di tutte le battaglie che dovrebbe iniziare nel Donbass, ormai ufficialmente riconosciuto come il nuovo obiettivo fortemente ridimensionato di quella che un mese e mezzo fa era stata lanciata da Mosca come una guerra per riprendersi l'Ucraina. L'esito del negoziato, e la disponibilità stessa del Cremlino a trattare, dipenderà dalla capacità delle sue truppe di strappare all'Ucraina almeno un lembo di territorio che si possa presentare ai russi come una vittoria, entro il 9 maggio, la fatidica data dell'anniversario della vittoria su Hitler che per Vladimir Putin è diventata negli anni una sorta di culto. Ma non sarà un compito facile.
Perfino il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha ammesso «cospicue perdite» tra i soldati russi, ammettendo una «tragedia enorme», e attirandosi le ire dei falchi russi. In Rete girano filmati di lunghe file di tombe di paracadutisti e marines russi, e secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, in alcune unità russe il numero dei militari che si rifiutano di partire per il fronte sfiora l'80 per cento.
Un alto funzionario europeo ha rivelato alla Cnn che in poco più di 40 giorni di guerra la resistenza ucraina ha reso non operative un quarto delle truppe russe. Gli ucraini dichiarano di aver ucciso più di 19 mila soldati, i russi. Almeno 40 BTG - gruppi di battaglioni tattici, da circa mille componenti ciascuno - si sono ritirati dal Nord dell'Ucraina verso la Belarus, rinunciando all'offensiva sulla capitale, e un numero di militari che equivale a 29 Btg sono stati uccisi o feriti.
Secondo la fonte europea, i russi oggi «stanno cercando di mettere insieme quel che resta di due o tre gruppi per creare un'unità combattente». Mentre mancano ancora i numeri sulla campagna di chiamata alle armi primaverile - ma diverse voci parlano di famiglie pronte a pagare qualunque somma per salvare i figli dalla leva - è in corso anche una convocazione di 60 mila riservisti.
Le voci sul richiamo dei riservisti erano state smentite più volte dal comando russo, ma vengono confermate alla Reuters da una fonte militare americana, insieme alle difficoltà di radunare i numeri necessari a rilanciare un'offensiva seppure circoscritta.
A Mosca intanto continuano a girare voci di una feroce resa dei conti all'interno del gruppo dirigente russo. Mentre i falchi - tra cui spiccano il leader ceceno Ramzan Kadyrov e i propagandisti televisivi come Vladimir Solovyov, che ieri ha inneggiato ai guerrieri ortodossi russi che combattono «i demoni di uno Stato nazista e satanico» - continuano a scagliarsi contro chiunque mostri un minimo di rammarico per la guerra, continua la caccia al capro espiatore.
Gennady Gudkov, ex deputato ed ex ufficiale del Kgb diventato oppositore di Putin, rivela che un generale dell'Fsb è stato mandato in carcere: secondo le sue fonti, si tratta del responsabile dell'intelligence che doveva preparare la guerra. Mentre Kyrylo Budanov, capo dello spionaggio militare ucraino, dice che le truppe russe stanno ricompattando i ranghi nei dintorni di Izyum, la città chiave che apre la direttrice verso il Donbass, sembra che Mosca abbia deciso di affidare le redini dell'operazione nel Sud-Est al generale Aleksandr Dvornikov, un comandante che ha alle spalle l'esperienza della guerra in Siria.
Resta da capire se il cambio di comandante riuscirà ad ovviare ai numerosi disastri di una armata rotta che ha colpito gli osservatori militari di mezzo mondo per le sue scarse capacità. Il generale David Petraeus ha sostenuto qualche giorno fa in un'intervista al Times che Mosca ha «ampiamente sopravvalutato le proprie capacità, sottostimato molto quelle dell'Ucraina, oltre a sbagliare il piano strategico e il coordinamento tra le diverse truppe».
Aggiungendo una scarsità di ufficiali preparati e a una «logistica inadeguata», lo stratega americano delle guerre in Iraq e in Afghanistan ha sostanzialmente bocciato l'ex Armata Rossa in tutte le materie, ma soprattutto nella catena di comando, rigida e verticale, per cui gli ufficiali sul terreno devono aspettare gli ordini dei superiori dal centro. Il contrario dell'esercito ucraino, che il suo comandante Valery Zaluzhnyy ha voluto riformare sul modello occidentale, scommettendo su piccoli gruppi autonomi e una gestione orizzontale e flessibile: «Basta con i piani di guerra del 1943», era stato il suo motto.
Russia, i soldati possono disertare per legge. Putin si è rovinato con le sue mani: conferme dalla prima linea. Libero Quotidiano il 10 aprile 2022.
I soldati russi si stanno rifiutando di combattere in Ucraina. Molti di essi sono stati licenziati, altri rischiano un'accusa per diserzione. Per loro è stato avviato un procedimento disciplinare che ha costretto i militari a rivolgersi a un avvocato. Sono stanchi e demoralizzati, sostengono fonti di intelligence occidentali. Gli ultimi nell'ordine sono 60 paracadutisti di una unità nella provincia di Pskov, riporta il Messaggero.
I primi invece sono stati dodici membri della Guardia nazionale russa di Rosgvardia nella regione di Khakassia, considerata in Russia come l'esercito personale di Putin. Con in testa il capitano Farid Chikhov, si sono rifiutati di invadere l'Ucraina il 25 febbraio scorso. Il primo marzo sono stati licenziati. Il loro avvocato Mikhail Benjash in un'intervista a Meduza -rivista dissidente online - ha spiegato la linea difensiva: "Se ci fosse un conflitto in corso, o una situazione di emergenza, o la legge marziale, allora i termini contrattuali potrebbero essere cambiati senza il consenso degli interessati, e per 6 mesi. Ma qui non c'è un conflitto, c'è solo una operazione militare speciale. E la legge non prevede niente in merito. Quindi, tu ufficiale della Rosgvardia puoi andare in Ucraina, ma solo se sei d'accordo".
Insomma, proprio l'espressione "operazione militare speciale" voluta da Vladimir Putin che ha vietato la parola "guerra", potrebbe ritorcersi contro. Del resto c'è un vero e proprio "rifiuto di massa, dalla Siberia al Caucaso del Nord. Pavel Chikov, anche lui avvocato, ha parlato su Telegram di "storie analoghe in Crimea, a Novgorod, Omsk, Stavropol. Stanno tutti cercando assistenza legale" per non dover ubbidire all'ordine di partenza per il fronte ucraino.
Mattia Feltri per "La Stampa" il 9 aprile 2022.
Ho letto una cronaca molto bella. Si racconta di un soldato russo, intercettato mentre è al telefono forse con la fidanzata. È addetto al carico 200 (i morti) e al carico 300 (i feriti). Eravamo ottanta e siamo rimasti in tredici, dice.
Da giorni non faccio altro che caricare cadaveri. Da due settimane vivo sottoterra. Ho paura di ogni rumore.
Quando torno, se torno, dovrei chiedere di andare a lavorare al camposanto, ormai sono abituato e almeno lì c'è silenzio. A Capodanno non voglio sentire neanche i fuochi d'artificio, mi chiuderò in cantina.
Ogni tanto bisogna mettersi dall'altra parte. Anche più spesso di ogni tanto.
Bisogna pensare a Emilio Lussu che sull'Altopiano di Asiago, in un'alba della Prima guerra mondiale, striscia verso le trincee nemiche. Da un punto riesce a vedere gli austriaci. Si fanno la barba guardandosi in uno specchietto. Bevono il caffè. Una vita sconosciuta si mostrava ai nostri occhi, scrive. La barba, il caffè, la normalità quotidiana, non il mostruoso nemico. Lussu sente disagio. Un ufficiale austriaco è in piedi, esposto. Lussu prende la mira, sente la pressione del polpastrello sul grilletto, è un colpo facile, lo colpirei cento volte su cento, scrive.
L'ufficiale si accende una sigaretta. Anche a Lussu viene voglia di una sigaretta. La pressione sul grilletto si allenta. Avevo di fronte un uomo, scrive. Un uomo che come lui alla mattina si fa la barba, beve il caffè e fuma una sigaretta. Lussu non spara, torna indietro. E un uomo che vive sottoterra, ha paura di ogni rumore e sogna il silenzio di una cantina o di un camposanto, è un uomo che spero possa tornare a casa.
DAGONEWS il 7 aprile 2022.
Un video girato nel sud della Russia mostra centinaia di tombe di paracadutisti russi morti durante la guerra in Ucraina. Girato nella città di Mikhailovsk, vicino a Stavropol, nel filmato si vede una fila di tombe adornate con fiori e croci mentre le bandiere con i simboli delle forze aviotrasportate russe (VDV) sventolano sopra.
L'uomo, che ha filmato la clip fuori dal finestrino della sua auto mentre guidava, ha commentato: «Il cimitero di Mikhailovsk... sono tutti ragazzi della VDV». Altre bandiere mostrano un simbolo simile a un pipistrello e suggeriscono che alcune vittime appartenessero al GRU, il servizio di intelligence militare russo.
Le immagini dimostrano che diversi soldati uccisi nel conflitto sono stati trasporti in patria, ma il numero di perdite subite dalle truppe russe è ben lontano dai numeri ufficiali.
Le autorità russe alla fine di marzo hanno detto di aver perso un totale di 1351 soldati durante la guerra, ma si ritiene che il bilancio delle vittime sia molto più alto.
(ANSA il 7 aprile 2022) - Le forze russe hanno subito "perdite significative" in Ucraina. Lo ha ammesso a Sky News Uk il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, parlandone come di "una tragedia" ma senza indicare numeri. Peskov ha tuttavia insistito a negare che "l'operazione speciale" di Mosca non stia andando secondo i piani, liquidando il ripiegamento dalla regione di Kiev come "un gesto di buona volontà" fatto per favorire i negoziati. Ha poi ribadito su tutta la linea le accuse ai "nazionalisti ucraini" su crimini di guerra e uso di "civili come scudi umani"; mentre ha escluso che Vladimir Putin possa essere mai processato da una corte internazionale.
DAI COMANDANTI ALL’INTELLIGENCE: L’ESERCITO RUSSO È IN PIENO CAOS. CARLO JEAN su Il Quotidiano del Sud il 7 aprile 2022.
La Cina è l’unica potenza che potrebbe esercitare una pressione su Mosca per indurla a cessare il fuoco, a ritirare le sue truppe nei territori in cui si trovavano prima dell’inizio dell’aggressione e a iniziare serie trattative di pace con l’Ucraina. Perché? Perché a Putin non è rimasto altro amico importante se non la Cina. L’India è troppo infida e ricattabile dagli Usa e dall’Europa.
Su quali basi potrebbero iniziare serie trattative di pace? A parer mio, le proposte presentate da Zelensky possono costituirne una base: cessazione delle ostilità e ritiro delle forze russe sulle posizioni del 23 febbraio contro neutralità garantita da potenze esterne, rinuncia alle armi nucleari e alla Nato, rispetto della lingua russa, decisione entro 15 anni dello status della Crimea e delle repubbliche secessioniste di Donetsk e Luhansk. In caso di successo ucraino nella seconda fase, gli Usa saranno sempre in grado di imporre a Zelensky di non aumentare le sue richieste di base.
LE MILLE MAGAGNE RUSSE
Perché non sono stati allora già avviati negoziati concreti? Attualmente non esistono i presupposti né per il loro inizio né per il successo di pressioni della Cina sulla Russia. Si determineranno solo se le forze russe saranno sconfitte nella seconda fase dell’aggressione: quella iniziata dopo il ripiegamento da Kiev e il riposizionamento delle forze per attaccare il Donbas a Est e forse Odessa a Sud.
Una vittoria russa non farebbe invece cessare il conflitto. Di certo, consentirebbe l’occupazione russa dell’Ucraina orientale, a Est del Dniepr. Ma gli ucraini continuerebbero a combattere una guerra di guerriglia, sostenuta dall’Occidente. Potrebbe durare anni, fino alla completa “rieducazione”, come dicono i russi, del popolo ucraino, che potrebbe richiedere 25 anni.
A parer mio, non è detto che i russi, pur avendo raschiato il fondo del barile delle forze disponibili, ce la facciano a eliminare il grosso dell’esercito ucraino concentrato fra Kharkiv, Luhansk e Dniepro, a meno che non ricorrano a una massiccia mobilitazione di riservisti.
Resta un grande problema, già apparso in tutta la sua gravità nella prima fase dell’Aggressione russa. Forse per non dividere con altri il merito di una vittoria ritenuta sicura, non è stato nominato un comandante in capo delle operazioni in Ucraina. Le grandi unità sono comandate dal Cremlino, forse direttamente da Putin, cioè da 6-700 km di distanza dal fronte. È così mancata la possibilità di manovrare le forze fra le varie direttrici d’attacco e anche di concentrarle all’interno di ciascuna.
L’integrazione interforze è stata carente. Esercito, Marina e Aeronautica non hanno una pianificazione congiunta. Non si scambiano neppure le informazioni, come nel caso della nave anfibia Orsk, andata ad ancorarsi in un porto che le unità terrestri avevano detto di aver conquistato, mentre era ancora pieno di artiglieria ucraina. Mi sembra che, per motivi che ignoro, non si sia provveduto a porre rimedio a questo caos. È probabile, quindi, che esso pesi negativamente sui risultati conseguibili nel prossimo attacco russo.
CINA IN AGGUATO A FARI SPENTI
Perché la Cina dovrebbe impegnarsi per la pace in Ucraina? Un conflitto prolungato rischia di coinvolgerla. A parer mio, Xi Jinping dovrebbe avvertire Putin che la loro «eterna amicizia senza limiti» decadrebbe qualora ricorresse all’uso di armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche e soprattutto nucleari), che potrebbero provocare un’escalation del conflitto con gli Usa.
La Cina non vuol farsi coinvolgere in una guerra mondiale. Esperti strategici cinesi hanno fatto ripetutamente cenno alla Germania guglielmina, trascinata nella I Guerra mondiale dall’avventurismo austriaco. Xi Jinping, profondo conoscitore di Sun Zu, il “Clausewitz cinese”, è di certo d’accordo.
Una vittoria ucraina sarebbe considerata una vittoria degli Usa. Evidentemente Xi non lo vuole. Solo un accordo con gli Usa di sponsorizzazione congiunta dei negoziati fra Russia e Ucraina potrebbe evitarlo. Ciò consentirebbe a Pechino di partecipare al prestigio del “responsabile costruttore di pace”.
Finora Xi Jinping ha seguito una cauta strategia di “attesa strategica”, pur rimanendo fedele all’«eterna amicizia» con Putin. Ha sostenuto la Russia, “mandando al diavolo” Biden quando gli aveva telefonicamente chiesto di non fornirle armi e di non aiutarla ad aggirare le sanzioni occidentali.
Ha sostenuto che l’aggressione all’Ucraina era giustificata dalle preoccupazioni di sicurezza russe e dalle provocazioni degli Usa e della Nato. Ha però ribadito la fedeltà cinese ai principi di sovranità e d’integrità territoriale ucraina e si è astenuta all’Onu nella mozione che condannava Mosca per la sua aggressione. Non ha nemmeno condannato- seppure con un certo imbarazzo – le violenze e le stragi di civili compiute dalle forze russe.
Sta approfittando della debolezza di Mosca per comprare taluni suoi gioielli industriali a prezzo di svendita. Sinopec, la grande società petrolifera cinese, ha dilazionato alcuni investimenti in Russia. L’amicizia non diventerà alleanza, Anzi, è prevedibile che con il tempo i rapporti fra Pechino e Mosca si raffreddino, come avvenuto negli anni ’60 dello scorso secolo.
XI JINPING DELUSO
Pur non rinnegando gli accordi di «perenne amicizia» presi con Putin il 4 febbraio, la Cina sta certamente considerando che il suo commercio con gli Usa e con la Ue ha un valore di oltre dieci volte maggiore di quello con la Russia, che un atteggiamento troppo favorevole a Putin sarebbe considerato una “pugnalata” da parte dell’Ucraina (che aveva aiutato la Cina per la sua prima portaerei e per il reverse engineering del Su-27) e che manderebbe a monte l’accordo “17+1” con gli Stati dell’Europa Orientale, fondamentale per la Bri e il suo raggiungimento dei ricchi mercati dell’Europa occidentale, nonché per i rapporti economici fra la Cina e la Ue.
La Cina deve essere rimasta inorridita per il fallimento del piano di Putin di aggressione dell’Ucraina. Xi Jingping ne era a conoscenza. Aveva creduto alle affermazioni di Putin che la questione si sarebbe risolta in poco tempo e aveva chiesto solo che l’attacco iniziasse dopo la chiusura dei Giochi Olimpici Invernali. Sperava certamente in una rapida vittoria russa, che avrebbe umiliato nuovamente gli Usa e l’Europa, che Xi considera in inarrestabile declino. Nel contempo, essa avrebbe allontanato l’incubo di una Russia alleata dell’Occidente contro la Cina, come era stato proposto da Trump e da Macron.
PUTIN SI DIA UNA REGOLATA
Certamente alla proposta di Biden di collaborare al processo di pace in Ucraina, Xi gli aveva risposto: «Come fai a pensare che io ti aiuti a vincere un tuo nemico, dato che una volta che ti sarai liberato di esso, potrai concentrare le tue forze contro di me?». Ma con un fallimento della seconda fase dell’aggressione russa Xi Jinping perderebbe ogni fiducia in Putin. Sa benissimo di non potere sfidare la forza del dollaro e le inevitabili “sanzioni extraterritoriali” americane, che la escluderebbero di fatto dai più ricchi mercati mondiali. L’economia cinese non può permetterselo, soprattutto nel periodo di crisi che sta attraversando.
I fatti che più stanno influendo sul mutamento della posizione cinese sono la dimostrazione dell’incredibile debolezza della Russia e la caduta della sua reputazione nel mondo. A nessuno conviene avere alleati deboli. Inoltre, Pechino domina già economicamente la Russia e teme di doverla mantenere, Che cosa può guadagnarci dal sostenerla, rischiando anche le “sanzioni extraterritoriali” americane, in un periodo di crisi economica come quello che sta attraversando? Ben poco. Putin dovrebbe ormai rendersene conto e “darsi una regolata”.
Fabrizio Dragosei per il “Corriere della Sera” il 2 aprile 2022.
Il più giovane di quelli identificati finora aveva compiuto diciott' anni. David Arutyunyan è morto nella regione del Donbass, colpito da una scheggia. Uno dei tanti ragazzi russi della cosiddetta generazione Putin mandati al macello in Ucraina. Alcuni erano addirittura di leva, 12 mesi di naja nella quale si impara a malapena a salvarsi dalle angherie dei «nonni». Tanti altri che combattono attorno a Kiev, davanti a Mariupol, a Kharkiv, sono tecnicamente «professionist», ma questo vuol dire solo che alla fine della leva sono stati convinti a firmare per rimanere nell'Armata russa.
Però non hanno avuto alcun addestramento particolare e sono finiti nei battaglioni impegnati nelle «manovre» che, secondo la versione che il Cremlino ha ripetuto per mesi, non sarebbero mai sfociate in un'invasione. E invece da un giorno all'altro si sono trovati oltrefrontiera a tener testa a reparti ben addestrati e molto meglio armati. Il lungo elenco David stava cercando di soccorrere un compagno dopo che il loro mezzo blindato era stato colpito.
Veniva da Kyakhta, a sud del lago Bajkal, non lontano dal confine con la Mongolia. Anche Ilya Kubik aveva 18 anni e veniva dalla città di Bratsk, in Siberia. Poi il siberiano Vitalij Golub; Aleksej Kuzmin e Aleksandr Bondarev, entrambi di Magnitogorsk, ai piedi degli Urali. Mikhail Bakanov, ventenne della regione di Saratov sul Volga e Aleksandr Krutij di Krasnodar, sul Mar Nero; il siberiano Khusinbaj Masharipov. Decine e decine di nomi che emergono man mano che i corpi tornano a casa e i genitori organizzano i funerali.
Sono nati quando già stava tramontando l'idea di una Russia democratica e liberale, sorta sulle ceneri dell'Urss. Le speranze suscitate dalla rivolta popolare contro i golpisti del 1991 si erano spente con la grande povertà e lo sfacelo degli anni seguenti. Putin era salito alla ribalta nel '99 quando da primo ministro riaccese l'orgoglio russo con la campagna contro i terroristi ceceni.
«Li inseguiremo fino dentro al cesso», promise. E poi piegò la Cecenia radendo al suolo Grozny.
La Russia di questi ragazzi è un Paese dalla libertà limitata, con una democrazia che per definizione è «guidata dall'alto», come teorizzò uno dei consiglieri del presidente nei primi anni Duemila.
Una Nazione orgogliosa e potente sulla carta ma piena di marciume. Chi può evita come la peste il servizio militare perché sa che nelle caserme succede di tutto; che i ragazzi in tempo di pace vengono spediti in posti assurdi a sopravvivere con misere razioni alimentari. Il poderoso ammodernamento delle forze armate per il quale sono stati spesi miliardi è avvenuto solo formalmente. Ha spiegato l'ex ministro degli Esteri Andrej Kozyrev: «I soldi sono stati in buona parte rubati e investiti in yacht ormeggiati a Cipro».
Nell'esercito finiscono soprattutto i ragazzi poveri, che vengono dai posti più sperduti e non hanno alternative. Come Yegor Pochkaenko di Belogorsk nella Siberia orientale, morto il giorno prima di compiere 19 anni. Ai comandi mancano uomini e si ricorre a qualunque mezzo per far salire i numeri anche se i generali sanno che giovani così inesperti servono a poco. Ufficialmente i militari di leva non dovrebbero andare a combattere nella guerra che è Operazione militare speciale. Però anche il Cremlino ha ammesso «degli errori».
Adesso stanno arrivando i nuovi coscritti, 134.500 che prenderanno il posto di chi sta per congedarsi. È tra questi che i comandi pescano per rimpiazzare le perdite. Poi si tenta di arruolare immigrati dall'Asia centrale che non hanno lavoro nelle grandi città. Trecento volontari dell'Ossezia del Sud hanno disertato e sono tornati a casa. Il comitato delle madri dei soldati che esiste dai tempi della guerra in Afghanistan tenta di assistere le famiglie. Spesso riesce ad avere notizie dei caduti dagli ucraini perché i russi tendono a lasciare sul campo i corpi.
Quelli recuperati, in parte finiscono in obitori bielorussi per non creare troppo allarme in patria. Ma per ora non sembra che il ritorno delle bare stia incrinando la fede della maggioranza dei russi nel loro capo. Il consenso di Putin è salito fino all'83% secondo un sondaggio indipendente. E molti genitori si dicono orgogliosi dei loro ragazzi che combattono per la sacra patria: «È morto per noi. Dobbiamo continuare fino alla vittoria», ha detto alla tv Deutsche Welle Natalya, madre del sergente Evgenij ucciso nella battaglia per l'aeroporto di Hostomel, vicino Kiev.
Estratto dell'articolo di Brunella Giovara per “la Repubblica” l'1 aprile 2022.
Qualcosa si incrina, sul fronte interno russo, visto che molti militari stanno rifiutando di combattere, e se anche sono arrivati in Ucraina hanno poi deciso di tornarsene a casa.
Dalla Russia trapelano notizie di renitenti, disertori, e altri decisi a combattere una battaglia legale anziché sul campo, come è il caso di 12 ufficiali della Guardia Nazionale di Krasnodar.
Impegnati in esercitazioni in Crimea, il 25 febbraio hanno ricevuto l'ordine di partenza per l'Ucraina, ma hanno risposto che intendevano restare in Crimea. Il 1° marzo sono stati licenziati, e hanno deciso di rivolgersi a un avvocato.
Mikhail Benjash ha accettato il mandato e in un'intervista a Meduza - la rivista dissidente online che sta informando milioni di russi sul reale andamento della guerra - ha spiegato la linea difensiva: «Se ci fosse un conflitto in corso, o una situazione di emergenza, o la legge marziale, allora i termini contrattuali potrebbero essere cambiati senza il consenso degli interessati, e per 6 mesi.
Ma qui non c'è un conflitto, c'è solo una "operazione militare speciale". E la legge non prevede niente in merito. Quindi, tu ufficiale della Rosgvardia puoi andare in Ucraina, ma solo se sei d'accordo».
Non sono d'accordo. E sembra persino una causa - oltre che beffarda - da vincere facile. L'espressione "operazione militare speciale" è proprio quella usata da Putin, e se è vero che «c'è un rifiuto di massa, dalla Siberia al Caucaso del Nord», e che solo l'avvocato Benjash ha ricevuto altre 200 richieste di assistenza, vuol dire che in futuro ci sarà molto lavoro per molti altri avvocati.
Un altro avvocato russo, Pavel Chikov, ha dato notizia su Telegram di «storie analoghe in Crimea, a Novgorod, Omsk, Stavropol. Altre persone stanno cercando assistenza legale» per non dover ubbidire all'ordine di partenza per il fronte ucraino.
Perché un conto è essere impiegati contro il terrorismo e la criminalità organizzata, un altro è la guerra. La Guardia Nazionale era stata istituita nel 2016 con questi compiti, che poi si erano allargati alla repressione dei movimenti di piazza antigovernativi. Ma evidentemente la guerra è troppo persino per la rude Rosgvardia.
I giovani soldati russi mandati a morire in Ucraina: David, Aleksej e gli altri ragazzi della generazione Putin. Fabrizio Dragosei su Il Corriere della Sera l'1 Aprile 2022.
Giovanissimi, alcuni di leva e in prima linea senza addestramento, per lo più provenienti dai posti più sperduti del Paese. I soldi stanziati per l’ammodernamento delle forze armate russe «rubati e investiti in yatcht», dice l’ex ministro degli Esteri Kozyrev.
Il più giovane di quelli identificati fino ad ora aveva compiuto diciott’anni. David Arutyunyan è morto nella regione del Donbass, colpito da una scheggia. Uno dei tanti ragazzi russi della cosiddetta generazione Putin mandati al macello in Ucraina secondo testimonianze sempre più frequenti raccolte nelle città d’origine di questi militari inesperti.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
Alcuni erano addirittura di leva , 12 mesi di naja nella quale si impara a malapena a salvarsi dalle angherie dei «nonni». Tanti altri che combattono attorno a Kiev, davanti a Mariupol, a Kharkiv sono tecnicamente «professionisti», ma questo vuol dire solo che durante il loro anno di servizio o alla fine della leva sono stati convinti a firmare per rimanere nell’Armata russa. Però non hanno avuto alcun addestramento particolare e sono subito finiti nei battaglioni impegnati nelle «manovre» che, secondo la versione che il Cremlino ha ripetuto per mesi, non sarebbero mai sfociate in un’invasione. E invece da un giorno all’altro si sono trovati oltrefrontiera a tener testa a reparti ben addestrati e sicuramente molto meglio armati.
David stava cercando di soccorrere un compagno dopo che il loro mezzo blindato era stato colpito. Veniva da Kyakhta, a sud del lago Bajkal, non lontano dal confine con la Mongolia. Anche Ilya Kubik aveva 18 anni e veniva dalla città di Bratsk, in Siberia.
Poi il diciannovenne Anatolij Torsunov, dalla regione di Perm; e il coetaneo Aleksej Kuzmin, di Magnitogorsk, ai piedi degli Urali. Aleksej Martynov che pure era originario della Buriatiya, come David. Decine e decine di nomi che emergono man mano che i corpi tornano a casa e i genitori organizzano i funerali.
Sono nati quando già stava tramontando l’idea di una Russia democratica e liberale, sorta sulle ceneri dell’Unione Sovietica. Le speranze suscitate dalla rivolta popolare contro i golpisti del 1991 si erano spente con la grande povertà e lo sfacelo degli anni seguenti. Putin era salito alla ribalta nel 1999 quando da primo ministro riaccese l’orgoglio russo con la sua campagna contro i terroristi ceceni. «Li inseguiremo fino dentro al cesso», promise. E poi piegò la Cecenia radendo al suolo Grozny.
La Russia di questi ragazzi è un Paese dalla libertà limitata, con una democrazia che per definizione è «guidata dall’alto», come teorizzò uno dei consiglieri del presidente nei primi anni Duemila. Una nazione orgogliosa e potente sulla carta ma piena di marciume. Chi può evita come la peste il servizio militare perché sa che nelle caserme succede di tutto; che i ragazzi in tempo di pace vengono spediti in posti assurdi a sopravvivere con misere razioni alimentari. Il poderoso ammodernamento delle forze armate per il quale sono stati spesi miliardi di euro è in buona parte avvenuto solo formalmente. Ha spiegato l’ex ministro degli esteri Andrej Kozyrev: «I quattrini sono stati in buona parte rubati e sono finiti investiti in yacht ormeggiati a Cipro».
Nell’esercito finiscono soprattutto i ragazzi poveri, quelli che vengono dai posti più sperduti del Paese e che non hanno alternative. Come Yegor Pochkaenko di Belogorsk nella Siberia orientale che è morto il giorno prima di compiere 19 anni.
Ai comandi mancano uomini e così si ricorre a qualunque mezzo per far salire i numeri anche se i generali sanno benissimo che giovani così inesperti servono a poco. Ufficialmente i militari di leva non dovrebbero andare a combattere nella guerra che non è guerra ma Operazione militare speciale . Ma anche il Cremlino ha ammesso che «ci sono stati degli errori».
Adesso stanno arrivando i nuovi coscritti, 134.500 che prenderanno il posto di quelli che stanno per congedarsi. E’ tra questi che i comandi pescano per rimpiazzare le perdite. In fin dei conti, si dice, sono militari che hanno fatto un anno di naja. Poi si tenta di arruolare immigrati dall’Asia centrale che non hanno lavoro nelle grandi città. Varie organizzazioni promettono la cittadinanza russa in cambio di tre mesi sotto le armi.
Trecento giovani dell’Ossezia del sud che erano già finiti in Ucraina hanno disertato e sono tornati a casa. Il comitato delle madri dei soldati che esiste dai tempi della guerra in Afghanistan degli anni Ottanta tenta di assistere le famiglie. Spesso riesce ad avere notizie dei caduti dagli ucraini perché i russi tendono a lasciare sul campo i corpi. Quelli recuperati, in parte finiscono in obitori bielorussi per non creare troppo allarme in patria.
Ma per ora non sembra che il ritorno delle bare stia incrinando la fede della maggioranza dei russi nel loro capo. Il consenso di Putin è salito ulteriormente, fino all’83%, secondo sondaggi indipendenti. E molti genitori si dicono orgogliosi dei loro ragazzi che combattono per la sacra patria: «E’ morto per noi. Dobbiamo continuare fino alla vittoria», ha detto alla radio Deutsche Welle Natalya, la madre del sergente Evgenij ucciso nella battaglia per l’aeroporto di Hostomel, vicino Kiev.
La testimonianza. Soldati di leva mandati a morire a tradimento o mitragliati dal fuoco ‘amico’: Putin ha ucciso l’anima russa. Raffaella Chiodo Karpinsky su Il Riformista l'1 Aprile 2022.
Essere russi per essere figli di madre russa, sono io, discendenti di una famiglia che ci ha trasmesso tutto l’amore e l’attaccamento alla cultura russa, alla sua lingua e le sue tradizioni, è una dimensione che porta con sé un insieme di legami e affetti così profondamente intimi da andare oltre ogni senso di appartenenza identitaria di nazioni o popoli, se non quella della pura essenza della cultura russa, della sua bellezza, della sua romanticità e delicatezza. Non quella del cliché o dello stereotipo, ma quella che si è insinuata dentro di noi con tutta la passione e l’amore di mio nonno, mia madre e mia zia. Tutto questo portato è stato brutalmente colpito a sangue dalla guerra scatenata da Putin.
Ogni immagine che arriva dell’aggressione russa all’Ucraina, dei civili uccisi, di case, di ospedali, teatri distrutti è un colpo inferto anche a tutta la nostra vita e al nostro immaginario russo. Penso al massacro del popolo ucraino fatto dall’esercito russo. Qualcosa che né io né le mie amiche russe, avremmo mai creduto davvero possibile. Amiche che oggi sono soffocate e mi pregano di capirle nel loro stordimento, nel loro dolore e nel terrore. Vivono nella paura che si aggiunge a quella con cui avevano imparato a fare i conti negli ultimi anni. Avevano resistito e lavorato, nonostante la repressione si facesse sempre più stringente da parte del regime e pure per l’isolamento dall’estero. Penso anche a quei ragazzi di leva mandati a morire a tradimento dal loro stesso mandante. A quelli che si sono rifiutati di sparare ai cittadini ucraini che si sono trovati di fronte a mani nude. Ragazzi che nella migliore delle ipotesi hanno potuto abbandonare i carri, arrendersi e sono stati fatti prigionieri. Nella peggiore tornando sui loro passi sono stati mitragliati dal fuoco “amico”. Un fratricidio comandato da chi resta a Mosca e da lontano ordina di non avere pietà. Chi sta procurando tutto questo orrore non può essere giustificato in alcun modo. Dalla Piazza Rossa si sta uccidendo anche la mia stessa anima.
Non potevo mancare alle manifestazioni contro la guerra: per chiedere il cessate il fuoco, la fine di un’aggressione disumana e orribile scatenata dalla Russia. Sono impegnata da decenni nel movimento pacifista, quello che non è stato solo nelle piazze ma nelle tante iniziative di solidarietà e cooperazione per costruire ponti fra i popoli in conflitto e sostenere le popolazioni, le società civili, sostenendo le donne per il loro empowerment, facendo resistere e vivere spazi di cultura, di dialogo, di sport. Di questa nostra nobile storia, di concreta azione nonviolenta, noi pacifisti possiamo andare fieri; così come del lavoro avviato fin dai primi giorni della guerra in Ucraina per portare aiuti e promuovere e organizzare l’accoglienza dei profughi in Italia. Ma sento drammaticamente che oggi non basta.
Si devono dire parole più chiare, che non lascino spazio ad alcuna ambiguità che invece vedo tuttora presenti, sulla condanna di questa guerra e sul fatto che si tratta di un’aggressione inaudita e inaccettabile perpetrata dalla Russia di Putin a uno stato sovrano, a un governo democraticamente eletto dal suo popolo. I precedenti, le aggressioni perpetrate nei confronti di russofoni nel paese, la presenza di gruppi filonazisti, non sono e non possono essere in alcun modo una giustificazione per bombardare un paese, uccidere la sua popolazione inerme, distruggere le sue infrastrutture, perfino ospedali e colpire i canali di le persone in fuga. Si deve dire con chiarezza e senza esitazioni: con questa guerra Putin ha trascinato la Russia dalla parte del torto senza se e senza ma. È responsabile della morte di migliaia di persone innocenti e dell’odio che travolge legami tra persone, tra fratelli e sorelle e lascerà il segno nei decenni a venire.
E proprio per questo, abbiamo bisogno di dimostrare inequivocabilmente il sostegno a chi in Russia si sta ancora opponendo alla guerra, contro queste bombe fratricide, sfidando una legge che prevede fino a 15 anni di carcere per chi osa fare una contronarrazione attraverso testimonianze dirette dal fronte di guerra. Una nuova fase di buio profondo sta travolgendo la Russia e chi in quel paese si oppone, e non da oggi, al regime di Putin. Giornalisti, femministe, pacifisti, attivisti di associazioni antirazziste e per i diritti umani e civili hanno un bisogno disperato del sostegno della nostra parte di società civile. Un sostegno che non può essere espresso con equilibrismi e assurde equidistanze: sulle macerie di questa guerra non è consentito sbagliare.
E infine, l’altro fronte della lucidità e dell’onestà intellettuale su cui sarà determinante investire da parte di chi afferma di credere in un mondo più giusto sarà il dilagare della russofobia. Confondere Putin, il suo regime, il popolo russo e ciò che la cultura russa ha regalato al mondo è fatale e terribile. Una discriminazione che può solo seminare altro odio. La società civile, le realtà impegnate nella difesa dei diritti umani e civili non possono accettare questa deriva: la terra, la cultura del padre della nonviolenza Tolstoj e del grande musicista Tchaikovsky non può essere cancellata. Non avrei mai creduto di sentire sulla pelle l’ostilità provata da bambina perché per metà russa. Mi ero liberata di quel senso di ostilità e sospetto in Italia. Anche questa è una responsabilità che non perdonerò mai a Putin e di cui pagheranno le conseguenze generazioni di russi. Salvare la cultura dal buio di questa guerra e delle sue macerie è un impegno che non può essere tralasciato. Pena il buio dell’umanità intera. Raffaella Chiodo Karpinsky
Domenico Quirico per “la Stampa” l'1 aprile 2022.
Ogni generazione risponde alla guerra con innocenza. Ogni generazione poi vive la sua disillusione sempre dopo aver pagato un prezzo tremendo. Il mito della guerra, le bugie di quelli che la provocano, la droga del combattere hanno sempre bisogno di esser provati. I miti dell'eroismo incombono su di noi per distrarci, per ingannarci. Quelli che potrebbero raccontare la verità devono tacere o preferiscono dimenticare. Gli Stati, soprattutto quelli autoritari, hanno bisogno che i miti e le bugie sopravvivano.
Questo ho pensato guardando le fotografie del funerale di un soldato, un ufficiale dei Marine russi ucciso in Ucraina. Il funerale dunque di uno degli invasori, un soldato dell'esercito che ha aggredito l'Ucraina. Se fossi in Russia andrei subito in una delle cittadine o dei villaggi da cui arrivi la notizia del funerale di un caduto.
Perché è in quell'ultimo contatto tra i vivi e chi è stato ucciso, soprattutto in circostanze così disperate e terribili, che ogni civiltà, cultura, ogni esser uomini tra gli uomini si svela completamente, senza mediazioni. E anche quando qualcuno cerca di travestirla e di usarla a suo modo la morte, quella morte, basta sentire la voce, lo strazio dei vivi, guardarli, restare in mezzo a loro in silenzio perché la verità emerga e ti sommerga.
Andrei al funerale perché vorrei capire. Capire perché i ragazzi russi combattono in Ucraina, perché obbediscono agli ordini, perché uccidono e uccidere è sempre un affare sordido. Con cui è difficile convivere. Per gli ucraini si può intuire. Sentono che la loro causa è giusta, tutto è semplice: ci hanno aggredito combattiamo e uccidiamo e moriamo perché questo è il nostro dovere e gli altri non ci hanno lasciato altra scelta.
Ma i russi, i ragazzi russi, soprattutto quelli che le difficoltà forse impreviste di un attacco fin da subito scombinato, complicato, gli arruolati della leva, i non specializzati nell'arte professionale della morte, che si dovrà in schiere sempre più numerose prelevare dal ruolo che gli era stato assegnato di ultima risorsa, quelli perché combattono? Dopo aver visto morire già diecimila, forse quindicimila compagni. Si risponde: la paura della tremenda punizione, una disciplina feroce che può farti pagare il rifiuto con la morte.
Non c'è nessuna punizione che possa tenere in piedi un esercito contro la sua volontà, senza una ragione per combattere. In fondo la rivoluzione russa del 1917 è stato un gigantesco sciopero militare. I contadini insaccati nelle loro lacere uniformi non credevano più nella guerra e nello zar, il Piccolo Padre che l'aveva ordinata. Si sono fermati: basta così.
Nel 1941 i ragazzi russi, e ucraini, che sconfissero l'esercito di Hitler erano la generazione di Stalin, erano nati e cresciuti sotto lo sguardo implacabile del grande georgiano. Gli Ivan di allora, i fantaccini, l'equivalente del Tommy britannico e del Fritz tedesco, combatterono una guerra che sfidava il senso delle proporzioni: nei primi sei mesi l'armata rossa lamentò quattro milioni e mezzo di morti e due milioni e mezzo di prigionieri! I campi di battaglia erano distese di cenere e acciaio brunito dal fuoco.
Era una generazione educata in base ai precetti di una delle dittature più ambiziose della storia, portavano in sé una lente che faceva vedere il mondo nei colori del marxismo, si sentivano l'avanguardia della rivoluzione, il gruppo di assalto di una guerra giusta.
I ragazzi sovietici che hanno combattuto in Afghanistan negli anni ottanta del secolo scorso erano i figli della generazione Breznev, i figli della stagnazione, della burocrazia marxista che scandiva parole d'ordine di cui la guerra svelò la bugia.
Infatti combatterono male, senza voglia, da disgustati, da sconfitti. Allora i morti russi di oggi. I corpi dei morti in battaglia conservano una forza inquietante. Parlano. Ammucchiati come legna, gettati in file ai lati delle strade, contorti: i morti russi che ho visto nelle strade di Grozny, in Cecenia.
Nessuna delle loro morti era stata pulita come si vede nei film. Erano morti atroci, difficili, lunghe, che avrebbero dovuto forse tormentare anche coloro che le avevano inflitte. Ho guardato negli occhi spalancati dei morti sperando che fossero chiusi. Perché pare che ti chiamino dal loro mondo di tenebre. Anche i combattenti più implacabili hanno paura di quegli occhi e li coprono con un telo o si chinano a chiudere le palpebre. Gli occhi dei morti che ci guardano da un mondo di cui abbiamo paura ci dicono che solo loro sanno che cosa è la fine della guerra.
Il funerale del marine dunque: il volto del morto non si vede, la bara è già stata chiusa e viene portata fuori dalla chiesa in cui si è svolto il rito da soldati in alta uniforme.
Ma lo sguardo è attirato dal ragazzo, anch' esso in divisa, poco più che adolescente che tiene davanti a sé con paura e delicatezza come se stringesse una icona, la foto della vittima.
E alle sue spalle altri due figure in divisa con vistosi baschi rossi che gli fanno da scorta, anche loro giovanissimi. È nei loro occhi di vivi che ho provato a scrutare.
Per intuire, per capire. Dentro c'è come una immensa immisurabile angoscia, il senso dell'irreparabile che è avvenuto, la consapevolezza palpabile di un rischio che incombe, di un incomprensibile maleficio di cui si è vittime.
Vorrei che il grandangolo magicamente si aprisse ed entrassero nel campo visivo anche i parenti, i vicini, gli amici, i semplici curiosi venuti ad assistere, a piangere, a guardare. Allora capiremmo quanto tempo può durare la guerra di Putin, quanto nella Russia remota, dimenticata, immersa nel silenzio e nell'abbandono le sue minacce e le sue promesse di potenza abbiano ancora senso, siano ancora ascoltate.
I ragazzi arruolati nella invasione dell'Ucraina sono la generazione Putin, sono cresciuti nel ventennio che dietro una vernice di misero consumismo da poveri è stata nutrita solo di un ideale di potenza, del riscatto della forza. Il putinismo realizzato in fondo è tutto nelle sfilate militari sulla piazza rossa, riedizione in tecnicolor dei riti sovietici.
Non credo basterà per farli combattere a lungo. Ma nella guerra si formano i "gruppi primari" tra soldati, lo spirito di corpo, la identità che stringe chi cerca di sopravvivere. E poi c'è l'odio. L'odio contro quelli che hanno ucciso i compagni e gli amici, quelli che ti vogliono uccidere, quelli che sono colpevoli perché stanno al di là della trincea e non si arrendono e non ti lasciano vincere e tornare a casa. E questo è lo scenario peggiore.
Putin «ingannato dai suoi generali»: incomprensioni, tranelli e false verità, cosa succede al Cremlino. Fabrizio Dragosei su Il Corriere della Sera l'1 aprile 2022.
Un’ armata in enormi difficoltà e il comandante supremo che non viene nemmeno informato accuratamente su quello che i suoi si sono trovati davanti in Ucraina. È questa l’idea che sembra oggi prevalere tra gli analisti degli Stati Maggiori occidentali. «Siamo arrivati alla conclusione che non è stato messo al corrente o che ha ricevuto notizie errate dal suo ministero della Difesa», ha detto il portavoce del Pentagono. E i britannici hanno aggiunto che il capo dello Stato russo ha clamorosamente sbagliato il giudizio sulle capacità delle sue forze armate: «I consiglieri hanno paura di dirgli la verità».
Fiasco informativo
Già nei primi giorni della campagna, il presidente russo se la sarebbe presa con i responsabili del fiasco informativo, Sergej Beseda, capo del quinto servizio dell’Fsb, e Anatolij Bolyukh, il suo vice. I due sarebbero agli arresti domiciliari. D’altra parte, è logico che chi ha fatto male (o malissimo) il proprio lavoro ne subisca le conseguenze. Il risultato di questi errori, e la conseguenza di una avanzata rapida che non c’è stata, sarebbe la decisione di iniziare ad allontanare truppe dalla capitale Kiev e di prepararsi a trattative più concrete con la controparte ucraina. Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Intanto c’è una dichiarazione del portavoce del Cremlino Peskov che smentisce questa catena di eventi, anche se non in maniera esplicita. «Né il Pentagono né il dipartimento di Stato hanno informazioni reali su quanto avviene al Cremlino. Semplicemente non capiscono cosa succede», dice Peskov. Al di là del dubbio sulla veridicità dei rapporti che Putin riceve, bisogna guardare ai fatti che stanno accadendo realmente. Il ritiro delle truppe russe dal Nord appare sempre di più come una semplice «riorganizzazione». I reparti che combattevano attorno alla capitale avevano grossi problemi, erano quasi senza munizioni, carburante, viveri. Riportarli indietro, in Bielorussia o più vicino alla frontiera con la Russia, consente ai comandanti di rimettere in sesto le unità con rinforzi provenienti anche da luoghi lontanissimi, come la Siberia o l’Estremo Oriente. Pronti per una nuova ripartenza.
Colpire da lontano
Nel frattempo Kiev e altri obiettivi anche nella parte occidentale dell’Ucraina possono venire colpiti con proiettili sparati dal Mar Nero o dal territorio russo. Missili da crociera, ad esempio, che non rischierebbero più così di centrare per sbaglio unità russe.
Guerra in Ucraina: le ultime notizie
Abbiamo visto che sia il negoziatore russo Medinsky che il ministro degli Esteri Lavrov si sono detti ottimisti sui colloqui. Ma poi hanno specificato che in realtà Mosca non è disposta a fare alcuna concessione sui punti essenziali. Così cresce sempre di più la sensazione che anche gli incontri in Turchia siano uno stratagemma per prendere tempo. Secondo questa interpretazione, l’idea sarebbe quella di cercare il successo nel sud-est ma senza perdere di vista la meta primaria che rimarrebbe la conquista di Kiev e il rovesciamento dell’attuale governo.
Un aumento delle forze nel Donbass potrebbe portare all’accerchiamento di intere divisioni ucraine costituite in buona parte dalle truppe migliori di cui Kiev dispone. E poi si tornerebbe all’attacco verso gli altri bersagli.
"L'esercito russo si rafforza". Ma spuntano i disobbedienti. Matteo Sacchi su Il Giornale l'1 aprile 2022.
Due pugili che si studiano sul ring. Di cui uno ha iniziato a tenersi lontano dal centro del quadrato, passando per il momento sulla difensiva. Per riprendere fiato e riorganizzarsi. Perché l'incontro non è andato affatto come si aspettava. Questa è l'immagine che può rendere conto di quello che satelliti e rapporti sul campo fanno intravedere del conflitto in Ucraina. Le trattative seguono la loro difficile strada ma la guerra, nel frattempo, segue la sua e non è detto che gli arretramenti dei russi, la loro diversa attitudine offensiva, sia tutta riducibile a fiducia nel negoziato. Anzi. Ci sono fattori materiali, scelte logistiche che potrebbero, essere tutte dettate dalla strategia. Si potrebbe persino pensare che, in certi momenti, la diplomazia sia stata il modo per prendere tempo sul terreno.
Allo stato attuale certezze non le ha nessuno, arriveranno entro le prossime settimane. Ieri però il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, parlando a Bruxelles ha gelato ogni ottimismo: «Le unità russe non si stanno ritirando ma si stanno riposizionando. La Russia sta cercando di riorganizzarsi, rifornirsi e rafforzare la sua offensiva nella regione del Donbass. Allo stesso tempo, la Russia mantiene la pressione su Kiev e altre città». Insomma pochissima fiducia rispetto ai negoziati almeno sino a che si fermano ai tavoli: «La Russia deve ritirare tutte le sue truppe e impegnarsi nei colloqui».
Al momento però l'impegno russo sembra andare in altre direzioni. Vladimir Putin, ha firmato un decreto per la coscrizione nel periodo primaverile, dal 1 aprile al 15 luglio di quest'anno, dei russi di età compresa tra 18 e 27 anni. Si tratta in totale di 134.500 unità, che non dovrebbero andare a combattere in Ucraina perché il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, aveva assicurato che le nuove reclute non saranno inviate nelle zone di conflitto. La Russia ha sempre mantenuto la leva e, quindi, non è stupefacente che vengano richiamati dei coscritti, accade sempre due volte l'anno. E i numeri in questo caso non appaiono diversi dal solito, semmai il governo pare essere deciso ad usare il pugno duro verso eventuali renitenti. Evidente comunque la volontà di garantire il cambio a reparti logorati e consentire avvicendamenti.
Tutto questo sembra rientrare in una tattica in cui il nodo centrale, persa l'opportunità di piegare velocemente l'Ucraina, sembra essere diventato l'occupazione stabile del Donbass. Tutti i movimenti di truppe che vengono registrati, anche prendendo in considerazione la Bielorussia, retrovia fondamentale per Mosca, sembrano essere indirizzati verso il pieno controllo del territorio di Donetsk e Lugansk. Informazioni dello stesso tenore arrivano anche da fonte ucraina. L'intelligence di Kiev registra il ritiro parziale dei gruppi tattici russi dai dintorni della capitale: «Quasi 700 veicoli militari sono partiti verso Ivankov e verso il confine bielorusso durante la notte». Resta chiaro agli ucraini che si tratta più di un cambio del tipo di minaccia che di una fine dell'assedio. Secondo il vice capo di stato maggiore dell'esercito ucraino: «Mosca intende concentranrsi sugli attacchi dalla lunga distanza e limitare gli scontri diretti». Del resto è in questo tipo di scontro che molto dell'armamento occidentale fa la differenza a favore delle truppe di Kiev.
Verrebbero sgomberate anche le zone attorno a Chernobyl: 100 veicoli militari russi, tra cui un lanciatore mobile Grad, sono entrati in Bielorussia dopo aver lasciato l'area della centrale nucleare. Area in cui le truppe di Mosca hanno attraversato ripetutamente il territorio della foresta rossa considerata non sicura dopo l'incidente del 1986 (lo sarà per 24mila anni). Si parla di soldati russi portati al Centro bielorusso di ricerca e pratica per la medicina delle radiazioni. Sarebbe un altro caso di impiego delle forze di Mosca senza preoccuparsi delle conseguenze, nemmeno per il proprio personale.
Eppure il morale fra le truppe russe non è dei migliori. Gli errori russi sul campo di battaglia stanno provocando una crescente insubordinazione fra le truppe. Lo denuncia il capo dell'intelligence britannica, Jeremy Fleming, secondo cui vi sono segnali che i soldati di Mosca «a corto di armi e morale» stanno «rifiutando di eseguire gli ordini, sabotando il proprio equipaggiamento e persino abbattendo accidentalmente i loro aerei».
Ma la guerra va avanti. Chernihiv e Kharkiv sono ancora sotto bombardamenti mentre a est Denis Pushilin, capo della repubblica popolare di Donetsk riconosciuta da Mosca, ha ordinato la creazione di «un'amministrazione locale». Primi passi di annessione, e provocazione, mentre agli ucraini continuano ad arrivare armamenti occidentali sempre più efficaci. Più di 35 Paesi alleati si sono impegnati a inviare veicoli corazzati e munizioni di artiglieria. Lo ha confermato ieri il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, al termine di un vertice virtuale di ministri. Ma se gli ucraini dovessero sbilanciarsi in azioni troppo aggressive verso i russi, potrebbero anche esporsi a contrattacchi. Sin qui a combattere in difesa, che avvantaggia, sono stati sempre loro.
(askanews il 30 marzo 2022) - Gli Stati Uniti ritengono che il presidente russo Vladimir Putin sia "informato male" dai suoi consiglieri su quanto male si stia comportando l'esercito russo in Ucraina e sull'impatto delle sanzioni sull'economia russa, ha detto alla CNN un funzionario statunitense.
Ma ora Putin avrebbe capito la situazione e questo sta portando a una "spaccatura" tra lui e i vertici della difesa russa. "Riteniamo che Putin sia stato disinformato dai suoi consiglieri su quanto male si stia comportando l'esercito russo e su come l'economia russa sia paralizzata dalle sanzioni, perché i suoi consiglieri principali hanno troppa paura di dirgli la verità", ha detto un funzionario statunitense.
Il funzionario ha affermato che la valutazione si basa su risultati declassificati dell'intelligence statunitense.Il funzionario ha aggiunto che gli Stati Uniti hanno informazioni che indicano che Putin è venuto a conoscenza della disinformazione, portando a una spaccatura tra Putin e i suoi alti funzionari della difesa."Abbiamo informazioni che Putin si è sentito fuorviato dall'esercito russo.
Ora c'è una tensione persistente tra Putin e il (Ministero della Difesa), derivante dalla sfiducia di Putin nella leadership del MOD", ha affermato il funzionario statunitense.Il funzionario ha detto che Putin non sapeva che i suoi militari stavano "usando e perdendo coscritti in Ucraina, mostrando una chiara interruzione nel flusso di informazioni accurate al presidente russo".
Dagotraduzione dal Daily Mail il 30 marzo 2022.
Sta facendo il giro di Twitter un video in cui si vedono giovani soldati russi con elmetti enormi che brandiscono AAK-47 degli anni ’40 mentre si lamentano di essere stati «buttati nella merda».
Uno di loro esclama: «Devi sapere la verità! Il ministero della Difesa russo non ha idea di cosa stiamo facendo qui. Siamo stati buttati nella merda!». Un compagno gli fa eco: «I nostri fucili sono degli anni ’40! Non sparano un fottuto colpo! Stanno mandando in guerra fottuti studenti ordinari».
I ragazzi, che secondo quanto riferito sono membri della 15esima brigata di fucilieri motorizzati separati, si sono filmati nel retro di un camion vicino a Sumy, nei pressi del confine con la Russia. Uno di loro dice: «Ho 18 anni». Poi alza la sua mitragliatrice AK-47 rilasciata per la prima volta nel 1947 e si lamenta: «Ci sono stati dati fucili automatici per affrontare artiglieria e proiettili di mortaio. Vi chiediamo di diffondere questo».
Sumy è stata teatro di intensi combattimenti negli ultimi giorni, con filmati agghiaccianti di droni che mostrano la portata della distruzione. Putin aveva promesso di non inviare giovani coscritti non addestrati in prima linea in Ucraina, ma da allora ha infranto la sua promessa.
Il sistema "Era" non funziona: così i russi vengono colpiti. Federico Garau il 29 Marzo 2022 su Il Giornale.
L'esercito russo avrebbe dei problemi con i sistemi di comunicazione. Ecco cosa dicono gli esperti in campo militare.
L'esercito russo avrebbe dei problemi di comunicazioni inerenti al sistema telefonico criptato Era? Secondo il Washington Post la possibilità è molto alta, tanto che ci sarebbero addirittura le prove di alcune falle nella sicurezza delle trasmissioni. Fra gli esempi riportati per avvalorare tale ipotesi quello relativo alla notizia della morte del generale russo Vitaly Gerasimov, avvenuta nei primi giorni del conflitto e subito intercettata dalle forze ucraine. Per alcuni questo episodio sarebbe una conferma del fatto che il sistema telefonico criptato Era, realizzato lo scorso anno, non sta facendo bene il suo lavoro.
Stando a quanto riferito dal Washington Post, l'esercito russo starebbe quindi utilizzando frequentemente dei sistemi di comunicazione non protetta, come smartphone o walkie-talkie, cosa che al momento starebbe rendendo i militari più vulnerabili e localizzabili. Un funzionario di intelligence europeo, di cui il quotidiano statunitense non ha reso nota l'identità, ha dichiarato che i soldati russi stanno utilizzando cellulari per comunicare, tanto che spesso i loro comandanti si sono visti costretti a sequestrare i dispositivi.
Quell'ombra sui soldati russi: le munizioni non esplodono
Ci sono poi le notizie riferite dal New York Times, che afferma di aver saputo da una fonte militare che uno dei 7 generali russi rimasti uccisi nel conflitto avrebbe perso la vita proprio perché localizzato in seguito ad una telefonata non coperta. L'istituto britannico Rusi, inoltre, come riportato da Il Corriere, denuncia che molti civili ucraini avrebbero denunciato il furto dei propri cellulari da parte di alcuni soldati russi. I telefoni sarebbero stati utilizzati per comunicazioni con i compagni dell'esercito, o con i familiari. Ci sono addirittura dei report che patlano di radio ricetrasmittenti cinesi impiegate dalle forze di Mosca che si sono rivelate essere poco sicure ed affidabili.
Tutte queste informazioni saranno vere? Se da un lato ci sono analisti che studiando il campo evidenziano delle carenze dell'esercito russo (l'ultima è quella relativa a certe munizioni che non esplodono), dall'altra c'è il rischio che alcune notizie vengano utilizzate per mero scopo propagandistico contro Mosca. In simili circostanze è sempre bene verificare, quando possibile. Per quanto concerne i problemi di comunicazioni relativi al sistema Era, pare che qualche malfunzionamento si sia verificato, anche perché, come riferisce il Corriere, gli Usa e agli alleati hanno fornito all'esercito ucraino degli strumenti capaci di interrompere le trasmissioni e obbligare le forze russe a ricorrere ad altri sistemi meno sicuri. È bene però non generalizzare: alcuni dispositivi russi possono pure avere avuto dei problemi, ma non tutti.
Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 29 marzo 2022.
Che i russi avessero problemi di comunicazioni si era capito già nei primi giorni della guerra, quando la Difesa di Kiev aveva intercettato la notizia della morte del generale russo Vitaly Gerasimov, riferita a Mosca attraverso linee non criptate, e l'aveva resa pubblica.
Era così emerso che il sistema telefonico criptato Era, realizzato lo scorso anno e che doveva resistere «in ogni condizione», non stava funzionando. Per gli esperti, i problemi erano dovuti ai bombardamenti russi a Kharkiv, che avevano danneggiato le infrastrutture di 3G e 4G, e al fatto che alcuni ripetitori erano stati sostituiti con dispositivi per le intercettazioni: non c'erano abbastanza antenne per far funzionare il sistema russo.
Ora il Washington Post conferma che l'esercito di Putin si è affidato con frequenza «sorprendente» a sistemi di comunicazione non protetti - smartphone e walkie-talkie - che stanno rendendo più vulnerabili le unità sul campo, più facilmente localizzabili, ma che evidenzia anche i problemi di comando e controllo.
I soldati farebbero spesso ricorso a normali cellulari, al punto che - ha rivelato un anonimo funzionario di intelligence europeo - i comandanti sono stati in parecchie occasioni costretti a sequestrare il telefono personale dei loro subordinati per paura che potessero rivelare la posizione della propria unità.
Fonti militari hanno riferito inoltre al New York Times che uno dei 7 generali russi morti in battaglia sarebbe stato localizzato e ucciso proprio a causa di una telefonata non protetta. Severo, in questo senso, anche uno studio dell'istituto britannico Rusi.
Sono segnalati anche casi di civili ucraini che hanno denunciato il furto dei propri telefoni, sostenendo che i soldati russi li abbiano poi usati per parlare fra loro o con la famiglia a casa.
Altri report hanno raccontato di radio ricetrasmittenti d'origine cinese, poco affidabili e non protette: una presenza attribuita a corruzione e carenze. Questa narrazione da un lato tiene conto di quanto visto sul campo, ma dall'altro è usata (e forse gonfiata) dalla propaganda per sottolineare come Mosca avrebbe mandato i suoi «figli» allo sbaraglio.
Insieme al cibo scarso e ai mezzi in avaria, ecco gli apparati per comunicare inadatti. Al tempo stesso è noto che Stati Uniti e alleati stanno fornendo a Kiev strumenti in grado di interrompere le trasmissioni russe, inducendo gli uomini di Putin a ricorrere a comunicazioni meno sicure che possono essere intercettate più facilmente.
Qualcosa di vero, quindi, ci può essere: sono numerose le telefonate intercettate che sono state pubblicate online. Pur confermando alcuni dettagli, lo stesso Pentagono definisce gli episodi «aneddotici», ovvero frutto di informazioni dal campo non confermate.
Molti analisti militari, inoltre, invitano a non generalizzare sui problemi di comunicazione: alcune unità possono averne avuti, altre no. Anche perché fra le prede belliche finite nelle mani ucraine ci sono pezzi sofisticati.
Una conferma empirica del fatto che siamo su un terreno molle, fangoso, simile a quello che ha dato tanti guai ai generali dello Zar. Eppure i russi sono sempre lì, a martellare l'avversario.
Domenico Quirico per “la Stampa” il 28 marzo 2022.
Che succede? In Ucraina i russi marciano per modo di dire. Tirano avanti. In questo massacrante tira e molla sull'orologio di Putin la famosa "ora x'' tarda a scoccare. L'uragano demolitore dopo un mese di battaglie raggrinzisce alla «conquista totale del Donbass». È un minimalismo a cui sembrano rassegnati con prosa fatalistica perfino i bollettini; in cui pare di intravedere la frase impronunciabile: accontentiamoci di una vittorietta mutilata.
Gli strateghi russi menano colpi qua e là senza una logica, mettendo missili e carri armati sulle orme di quella che è l'ultima risorsa quando tutte le tattiche hanno fatto fiasco, sperare cioè nell'occasione, un varco che il caso o una distrazione del nemico offra per riprendere l'avanzata. Addirittura, nel terzo millennio, c'è chi fa lampeggiare il ruolo del Generale Fango, il fango ucraino scuro, denso, attaccaticcio come una colla da falegname che starebbe arenando i carri russi come fece in un tempo lontano con i patetici camioncini dell'Armir.
Gli ucraini, ma qui c'è da prender le cose con cautela visto che in guerra la propaganda è cosa sacrosanta, descrivono già una armata di marcanti visita e di disertori che sarebbe addirittura sull'orlo del collasso. La potenza militare russa, che non è una invenzione di Putin ma purtroppo è terribilmente concreta, sembra aver smarrito la capacità operativa, ovvero conquistare territorio, città, accerchiare e sgominare il nemico in operazioni campali, per ridursi alla capacità distruttiva ovvero sbriciolare le città e i civili con una implacabilità che ha precedenti solo nelle pagine più truci dell'antichità barbarica.
Una guerra che può riservare agli ucraini lutti e sofferenze di cui probabilmente finora hanno avuto minima ma già sanguinosa e intollerabile esperienza. Bisogna allora venire al punto chiave: che sono sempre i generali. Anche perché un buon numero tra loro, comandanti di grandi unità operative, per ammissione degli stessi russi, è caduto sul campo entrando nell'indesiderabile elenco degli eroi da lapide. Realtà che si può leggere in due modi.
Nell'armata russa non c'è la piaga dei pagnottisti, degli strateghi da scrivania e termosifone attaccati come ostriche alla carriera e c'è invece l'abitudine a scendere sul campo di battaglia. Oppure che la situazione è così compromessa che per non rischiare il siluramento di stampo cadorniano o peggio (siamo in un regime dispotico, il collocamento nella riserva spesso scivola nella galera o nel plotone di esecuzione) l'eroismo è l'unica via di uscita.
Qualcuno rischia e grosso: il ministro della difesa per esempio Shoigu, mascella volitiva ma volto grigio come la cenere e coronarie deboli, si mormora colpito da infarto dopo un passaggio degli occhi burrascosi del capo. O Gerasimov, l'uomo che ha modernizzato la scalcinata armata dei tempi eltsiniani, dilettissimo al presidente. Fino a ieri: sembra già relegato nei gironi più periferici degli ammessi al Cremlino.
Il rapporto è sempre complicato tra gli stati maggiori e i dispotismi come quello putiniano. Le dittature sono una benedizione per i generali. Putin ha scommesso tutto sulla ricostruzione della potenza militare per giocare l'azzardosa partita di ridiscutere gli equilibri del mondo. Dopo anni di lesina e di miserie impiegatizie i generali vedono le cifre del bilancio gonfiarsi a dismisura grazie ai soldi del petrolio e del gas. Nulla è più vietato: armi, attrezzature, manovre. È l'ora dei "kontraktiki", i soldati di mestiere, degli "otlichniki" gli eccellenti, i soldati scelti, dal ricco stipendio che fa invidia in un paese che resta popolato di poveracci.
Non si parla che di super carri armati super portaerei bombe di qua bombe di là missili ipersonici termobarici antisatellite antinave antitutto. Una goduria a cui attingere a piene mani. Ma chi sono i beneficiati? Il dittatore che per sopravvivenza è costretto a non fidarsi di nessuno, soprattutto di gente che maneggia ogni giorno fucili e cannoni, è di fronte a una scelta delicata. È meglio puntare sul generale cortigiano, un incapace ma disposto sempre a obbedire, a incensare?
Oppure dare fiducia ai tecnici, quelli che conoscono il mestiere come Gerasimov che ha fama di pianificatore capace? Con loro però si corre il rischio di dover discutere, di sentirsi dire no, orrore! Di accorgersi di non avere sempre ragione. È probabile che per questa operazione molto speciale Putin si sia affidato ai primi, agli incapaci, i lodatori, gli specialisti in stivali lucidi e allineati avanti marsh sulla piazza rossa, che non danno grattacapi. Non si può sfuggire alla tentazione del paragone con un precedente nostrano, la campagna di Grecia durante la seconda guerra mondiale.
Le assonanze sono folgoranti. Spostate lo sfondo dalla riunione decisiva al Cremlino tra Putin e i vertici militari a palazzo Venezia,15 ottobre 1940, anno diciottesimo dell'era ancora per poco fascista. I due capi supremi: entrambi accigliatissimi, toni bruschi, quasi sgarbati risuonano nei saloni deputati alla toponomastica delle decisioni irrevocabili. In mezzo c'è un secolo ma sull'attenti ci sono le stesse pance prelatizie, ingombre di greche e medaglie, intorpidite da digestioni e bevute laboriose.
Si è lì per prendere ordini, lo sanno. Tutta gente che, a Mosca e Roma, da venti anni è dispostissima ad adeguarsi. Putin vuole l'Ucraina. Mussolini vuole la Grecia: alla svelta, subito, in fretta. Una piccola guerra, una bella piccola guerra tutta per loro. Per Vladimir gli ucraini sono dei rammolliti dal consumismo pitocco all'occidentale; per Benito i greci li hanno adulterati secoli di molle dominio ottomano.
A palazzo Venezia il cortigiano gallonato e incapace si chiamava Visconti Prasca. Garantì che se gli affidavano il comando sarebbe salito sull'acropoli in pochi giorni, una passeggiata. Il regime greco sarebbe crollato come cartapesta, parola dell'intelligence. Un giorno sapremo chi ha garantito la "liquidazione" di Kiev a Putin in tre giorni. Di quante divisioni aveva bisogno ? Chiese il Capo che temeva le solite richieste spropositate che servivano a rendere l'impresa impraticabile e restare al calduccio. Sette divisioni scandì l'altro, con tono sicuro.
L'equivalente dei 120 mila uomini con cui i russi si sono gettati nell'operazione speciale. Mossa accorta quella di Visconti Prasca: una armata più grande avrebbe significato che il comando sarebbe stato affidato a un generale di grado superiore. Si marcia! disse Mussolini deliziato da quella così smilza ed economica cavalcata delle walchirie. Anche Putin certamente non voleva sentir altro. Badoglio e compagnia, i tecnici, sapevano benissimo che era una follia. Tacquero, solo Badoglio uscì, si dice, un po' imbronciato. Chissà che faccia aveva Gerasimov.
Amanti e corruzione: così l'esercito di Putin è finito nel pantano. Angelo Allegri il 29 Marzo 2022 su Il Giornale.
"Cibo e caserme peggio della galera". Affari milionari per le amiche dei ministri.
Con le difficoltà sul campo sono arrivate pure le beffe. Qualche giorno fa Oleksandr Novikov, presidente dell'Autorità anti-corruzione di Kiev, ha diffuso una lettera aperta indirizzata a generali e funzionari del Ministero della Difesa di Mosca, esprimendo la sua gratitudine per l'«inestimabile contributo» offerto alla difesa dell'Ucraina. «Il ladrocinio ci ha dato una mano enorme. Le risorse per l'attacco al nostro Paese sono state rubate ancor prima di arrivare ai confini».
Potrebbe sembrare propaganda se non fosse che a pensarla allo stesso modo è Andrey Kozirev, Ministro degli Esteri russo dal 1990 al 1996, da tempo trasferito a Miami. «Negli ultimi 20 anni la Russia ha cercato di modernizzare le sue Forze Armate», ha dichiarato. «Il 40% di quanto speso è finito in mega-yacht a Cipro».
L'esercito russo sta diventando hi-tech, scrivono da anni gli analisti: droni Orion, aerei Suchoi 34 e 35, razzi ipersonici, sistemi crittografati di comunicazione. Se ci sono, non hanno fatto sentire più di tanto la loro presenza. Nelle colonne corazzate in arrivo dalla Bielorussia c'erano le autoblindo Brdm-2 degli anni Sessanta, per trasportare le truppe si usano ancora i Btr-80, quattro decenni di servizio. Un ex analista del Ministero della Difesa Usa, Trent Telenko, ha passato ore ad esaminare i filmati che mostravano i molti veicoli russi abbandonati lungo le strade dell'Ucraina. Risultato della valutazione: materiali scadenti, manutenzione insufficiente, incuria.
Polina Beliakova, ricercatrice dell'americana Tuft University ha scritto che difesa e forze di sicurezza russe sono vittima di un fenomeno di «corruzione sistemica». Non solo loro, a dir la verità: nelle classifiche di Transparency il Paese è al posto numero 134 su 180 per moralità pubblica (non che l'Ucraina se la passi molto meglio: è al gradino 122, noi siamo al 42esimo). Non c'è contratto pubblico senza che qualcuno ci faccia la cresta e tutti si arrangiano come possono. Alcuni bielorussi hanno descritto sui social il comportamento dei soldati di Mosca prima dell'invasione: «Bevevano molto e vendevano sotto banco il carburante degli automezzi». Nonostante l'ingente bilancio della difesa, le razioni dei soldati mostrate in tv erano in qualche caso scadute da sette anni. «La qualità del cibo e degli alloggi per i soldati è considerata peggiore di quella delle prigioni», scrive la già citata Beliakova. Gli appalti per il cibo sono quasi tutti in mano a Serghey Prighozin, il patron dei mercenari di Wagner e degli hacker dell'Internet Research Agency di San Pietroburgo. Un intoccabile. Qualche anno fa vinse una serie di appalti per le mense scolastiche. Tempo qualche mese e tra le mamme scoppiò una rivolta per cui dovette intervenire lo stesso Cremlino.
Come si dice di solito il pesce puzza dalla testa. Serghey Shoigu, l'inossidabile (prima dell'invasione, adesso c'è qualche dubbio) Ministro della Difesa, vive in una lussuosa villa orientaleggiante nei pressi di Mosca (valore stimato: 24 milioni di euro), a cui si aggiungono una serie di proprietà in giro per il Paese. Mica male per un dirigente pubblico. La sua amante, Yelena Shebunova, piacente ex hostess, secondo i giornalisti investigativi del sito The Insider, si è aggiudicata contratti per 100 milioni di dollari con il Ministero. Tutto a prezzi fuori mercato e senza offerte alternative.
Deve essere un'abitudine: il predecessore di Shoigu, Anatoly Serdyukov, fu defenestrato perchè la sua amante (anche lei ex hostess) mise le mani su qualche milione affidato all'amico del cuore. Condannata a cinque anni di colonia penale, pare non abbia fatto un solo giorno di prigione.
Soldati russi si ribellano e uccidono un altro generale e il comandante. La rivolta delle truppe. Il Tempo il 25 marzo 2022.
Funzionari dell'Occidente riferiscono che un generale russo, il settimo dall'inizio del conflitto, un comandante di brigata sono stati uccisi dalle loro stesse truppe "come conseguenza dell'entità delle perdite subite dalla brigata".
Sempre secondo le stesse fonti, Circa 20 bataglioni russi "non sono più efficaci in combattimento" stimano i funzionari - su 115-120 che componevano la forza di invasione originale. Quindi la Russia avrebbe perso "un sesto, forse un quinto" delle sue truppe effettive.
Riguardo al comandante ucciso dai soldati russi, si tratterebbe di Yuri Medvedev, travolto da un tank e morto in ospedale in Bielorussia in seguito alle ferite riportate. Era il comandante della 37esima brigata di fucili a motore.
Il comandante russo ucciso dai suoi uomini: schiacciato da un tank. Il Tempo il 25 marzo 2022.
Schiacciato dal tank dei suoi uomini russi e morto in seguito alle ferite riportate. Un comandante di brigata russo in Ucraina sarebbe stato ucciso accidentalmente dopo le pesanti perdite subite dal reparto.
La notizia non è stata ancora confermata da fonti ufficiali russe. Si tratterebbe del colonnello Yuri Medvedev, che era alla guida della 37esima Brigata fucilieri motorizzata. Il fatto, ha riferito la fonte riportata da diversi media internazionali, "dà un'idea del morale dei russi". Il colonnello sarebbe stato schiacciato da un tank.
Sui social circolano i video e le foto del corpo dell'ufficiale, gravemente ferito alle gambe e trasferito in un ospedale in Bielorussia, dove sarebbe morto.
Cresce il malcontento tra le truppe di Putin. Colonnello russo ucciso da carro armato guidato da un suo soldato: “Morale basso, gravi perdite in Ucraina”. Redazione su Il Riformista il 25 Marzo 2022.
Un alto militare russo sarebbe stato investito dai suoi stessi uomini in Ucraina, in rivolta dopo le ingenti perdite subite dal battaglione. A riferirlo è il giornalista ucraino Roman Tsymbaliuk su Facebook, sottolineando come l’unità di Medvedev avesse già perso la metà dei suoi 1500 uomini, rimasti feriti oppure uccisi.
I media britannici, citando funzionari occidentali, hanno poi diffuso la notizia del decesso. Il colonnello Yuri Medvedev, comandante della 37esima brigata motorizzata di fucilieri, sarebbe quindi morto per le gravi ferite riportate: “Crediamo sia stato ucciso deliberatamente. Questo ci dà indicazioni sul morale delle truppe russe” avrebbe riferito la fonte.
Investito da un carro armato
“Un soldato, scegliendo un momento adatto durante la battaglia, ha lanciato il suo tank contro il comandante della brigata, colonnello Yuri Medvedev, ferendolo a entrambe le gambe. Medvedev è stato ricoverato in un ospedale in Bielorussia ed è stato decorato con l’Ordine del coraggio” si legge sul post di Tsymbaliuk, pubblicato martedì 23 marzo. Il reporter non rivela però cosa sia successo al soldato che guidava il tank.
La notizia, spiega l’AdnKronos, sarebbe parzialmente confermata da un video, condiviso dal leader ceceno Ramzan Kadyrov– fedelissimo di Putin- in cui si vede un uomo in barella, identificato appunto come Medvedev, che viene trasportato da reparti medici verso la Bielorussia. Nel filmato, uno dei guerriglieri ceceni che combatte con i russi gli chiede come sta e lui risponde: “Bene, da dove vieni?” Fonti russe avevano poi elogiato l’ufficiale, prospettando per lui una medaglia al valore e un risarcimento in denaro.
Ma ad alcune ore dall’incidente, l’Intelligence occidentale, stando ai media britannici, ne ha confermato il decesso.
Peggiora il morale dei soldati russi
La notizia dell’uccisione dell’alto militare russo indica come il malcontento delle truppe di Putin, dopo un mese di guerra, stia aumentando: i soldati sono ormai esasperati dalle gravi perdite, nonché dalla resistenza degli ucraini a cui non erano preparati.
Intanto i numeri sulle perdite in battaglia sono sempre più gravi. Il ministero della Difesa di Mosca ha confermato 1.385 soldati uccisi e 3.825 feriti, mentre per Kiev e la Nato i morti sarebbero in realtà dieci volte di più: tra questi anche decine di alti ufficiali. Il primo bilancio del Cremlino, risalente al 2 marzo scorso, riportava la morte di 498 soldati. Però, secondo diverse ricostruzioni di analisti occidentali, i decessi in Ucraina delle truppe russe sarebbero tra le 7mila e le 15mila.
Ieri Kiev ha comunicato la morte di un altro generale di Mosca: Yakov Ryezantsev, rimasto ucciso a Chornobaivka, a nord di di Kherson. I russi avrebbero poi lasciato sulle strade dell’Ucraina anche molti tank e altri mezzi corazzati. Dei 120 Gruppi tattici di battaglione con cui aveva iniziato la guerra, secondo le autorità occidentali almeno una ventina non sarebbero più operativi.
Una situazione di evidente difficoltà, che però gli alti comandi di Mosca non sembrano intenzionati a riconoscere. Intanto ai soldati è stata indicata la data del 9 maggio per la fine del conflitto, come riportato da Sky News: è il giorno in cui la Russia celebra la ‘giornata della vittoria’ in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Da ilmessaggero.it il 25 marzo 2022.
Sotto tiro, senza carburante e senza supporto aereo. A raccontare come le truppe di Mosca stiano vivendo le difficoltà dell'invasione dell'Ucraina sono alcune intercettazioni radio pubblicate dal New York Times: l'esercito russo parla degli obiettivi mentre nei giorni scorsi avanzava verso la città di Makariv.
Negli audio delle reti radio non protette ottenute dal Times si sente un russo che ordina a un membro dell'esercito di «coprire» le aree residenziali «con l'artiglieria». Ma un'altra clip spiega ancora meglio quale sia lo stato d'animo delle milizie: «La mia situazione è molto tesa, i carri armati si stanno avvicinando - si ascolta negli audio -. Non so di chi siano i carri armati, non riesco a identificarli. C'è un drone in aria e l'area è sotto tiro da tutte le direzioni».
All'ufficiale che raccontava di essere sotto tiro e bloccato, non è mai arrivato il supporto aereo che richiedeva. Secondo le traduzioni del Times, un altro membro dell'esercito gli ha risposto dicendo: «Ti sei dimenticato del fott... supporto aereo! Te ne sei dimenticato! È finita!».
Gli investigatori audiovisivi hanno collaborato con operatori radioamatori e gruppi open source per ottenere le trasmissioni radio, spiega il giornale. «Le registrazioni rivelano un esercito alle prese con problemi logistici e fallimenti di comunicazione», ha spiegato il New York Times.
Fabrizio Dragosei per il “Corriere della Sera” il 23 marzo 2022.
Che l'Operazione militare speciale in Ucraina non vada come Vladimir Putin si aspettava lo sanno tutti, ma sulle perdite subite dall'esercito russo non c'è ancora alcuna chiarezza. Una cifra che sembrava essere uscita per errore sul quotidiano Komsomolskaya Pravda , 9.861 morti, è stata smentita ieri decisamente. Poi un redattore del giornale ha affermato che si era trattato «dell'intervento di hacker» che avevano attaccato il server del giornale.
A un articolo sulla conferenza stampa del ministero della Difesa era stata aggiunta una parte fasulla nella quale si precisava il numero delle vittime. Ma allora, quante sono in realtà? Il portavoce di Putin Dmitrij Peskov si è limitato ieri a rinviare diplomaticamente i giornalisti alla Difesa. Ma lì i reporter si sono trovati davanti un muro di gomma. L'ultimo dato ufficiale risale al 2 marzo, 498 morti. Poi più nulla: sono informazioni riservate. Vista l'esperienza delle «operazioni» passate, in Afghanistan e in Cecenia, si vuole impedire che a casa si sappia dei caduti.
Anche i cadaveri e i feriti vengono dirottati allo stesso scopo in parte in Bielorussia. Gli ucraini sostengono che le perdite russe sono altissime, addirittura 15 mila dall'inizio della campagna (lo stesso ha detto in Parlamento il nostro capo di Stato maggiore della Difesa Giuseppe Cavo Dragone). Gli analisti del Pentagono parlano di «almeno settemila». In parte si tratta di ragazzi sotto le armi, mandati al fronte «per errore», almeno secondo la spiegazione data dal Cremlino quando i racconti diretti fatti da prigionieri hanno preso a circolare.
Ma appare confermato che l'Esercito abbia un serio problema, nonostante sulla carta possa disporre di oltre un milione di uomini. Così in questi giorni è venuto fuori che nelle città russe si sta tentando di reclutare immigrati dell'Asia centrale promettendo loro la concessione della cittadinanza dopo un periodo di servizio in Ucraina. Ci sono organizzazioni che sembrano operare in favore delle strutture militari ufficiali, come il sito UzMigrant.
Il direttore della società che lo gestisce, Bakhrom Ismailov, in un video in uzbeko promette: «Il servizio a contratto come effettivo russo consente a chiunque di ottenere la cittadinanza in tre mesi». Tra pochi giorni, poi, iniziano a terminare il servizio di leva 130 mila giovani arruolati l'anno scorso. Non sono certo professionisti ma hanno una buona esperienza e potrebbero essere utilizzati in massa nei combattimenti. Ci sono pressioni perché si raffermino. Se poi fosse necessario, si ricorrerebbe all'aiuto della Bielorussia di Lukashenko che sarebbe pronto a mandare i suoi.
Da iltempo.it il 23 marzo 2022.
Siamo giunti al ventisettesimo giorno di guerra e lo stato maggiore ucraino convinto che le forze russe avrebbero scorte di munizioni e cibo in grado di sostenerne l’offensiva per «non più di tre giorni». Sempre secondo le autorità militari di Kiev la situazione sarebbe la stessa per quanto riguarda le scorte di carburante, parlando di un vero e proprio «fallimento logistico» da parte di Mosca.
A frenare le operazioni belliche, sempre stando alla stessa fonte, sarebbe anche il morale bassissimo delle truppe d’invasione: l’esempio riportato a supporto di tale teoria è quanto avvenuto nel distretto di Okhtyrka, nell’oblast (provincia) di Sumy, dove la «disobbedienza dei militari russi» avrebbe indotto circa 300 soldati a rifiutarsi di eseguire gli ordini.
Gli ufficiali dell’esercito del Cremlino incontrerebbero serie difficoltà anche a rimpiazzare i caduti con delle «leve improvvisate» nella regione di Lugansk dove, sostiene Kiev, la Russia «continua a mobilitare i cittadini» dell’autoproclamata repubblica. Tuttavia «gran parte della popolazione non sostiene la politica degli occupanti, non vuole prendere le armi e si nasconde ai rappresentanti della potenza occupante».
Ulteriore testimonianza del momento di grave impasse dell’esercito russo, anche il fatto che nei reparti sia saltata qualsiasi composizione per specializzazione. Al contrario, la maggior parte del personale mandato in linea non avrebbe un serio addestramento militare «perché non ha mai prestato servizio».
Ad essere arruolati «Sono cittadini che hanno passaporti russi e quelli che hanno solo un passaporto pseudo-repubblicano, ovvero rilasciato a Lugansk o Donetsk, sono registrati come volontari». In un tale contesto, non sorprende che le forze russe stiano subendo perdite pesantissime: sempre secondo lo stato maggiore ucraino, nella sola giornata di ieri sarebbero caduti circa trecento soldati dell’esercito invasore.
Letizia Tortello per “la Stampa” il 23 marzo 2022.
A dirlo in via ufficiale, da parte ucraina, è il Center for Defense Strategies, il think tank guidato dall'ex ministro della Difesa di Kiev Andriy Zagorodnyuk. Ci sarebbero disertori tra i russi. Soldati che hanno voltato le spalle a Putin e sono scappati, alcuni verso la Bielorussia, «lasciando l'area delle operazioni nella zona di Okhtyrka, regione di Sumy, vicino al confine Nordest con la Russia», dichiara il centro di intelligence. «Hanno scelto di abbandonare per evitare la morte».
Sarebbero trecento, secondo gli ucraini. Avrebbero lasciato anche ad Havronshchyna, nel distretto di Makariv, dove le truppe di Kiev stanno riguadagnando terreno. La controffensiva li ha colti di sorpresa. Alcuni sarebbero scappati rubando un'auto, guidando verso il confine Nord. Secondo il Pentagono, Mosca ha perso il suo potenziale offensivo» e si vede costretta a chiamare rinforzi dalle sacche più lontane del Paese, mentre si ritira dalle battaglie chiave. A questo scenario si aggiungerebbero i disertori, denunciati dagli ucraini. I generali di Kiev sostengono che i russi hanno cibo, carburante e munizioni sufficienti solo per altri tre giorni di combattimenti e che le offensive sono state bloccate.
Il Cremlino non sarebbe riuscito a rifornire le truppe al fronte. Sempre per il centro strategico ucraino, «le forze russe sono consapevoli della disperazione della loro situazione e scelgono sempre più spesso la diserzione, per evitare la morte». Alcuni soldati si sarebbero tolti la divisa militare per indossare abiti civili rubati, per poi salire in macchina e fuggire. Gli Stati Uniti stimano che la Russia abbia già impegnato più del 60% dei suoi aerei ed elicotteri da guerra in Ucraina, così come il 75% delle sue forze convenzionali.
A fronte di copiose perdite, ora starebbe privilegiando un maggiore uso dei droni. Ma un altro fianco sarebbe scoperto per Mosca, quello delle comunicazioni: le truppe russe starebbero utilizzando sempre più comunicazioni non classificate, che possono essere intercettate più facilmente dagli ucraini, portando a individuare da dove arriva il nemico e ad anticiparne le mosse.
Nel frattempo, anche Anonymous sta aiutando la causa ucraina: «Stiamo attaccando siti web governativi in Russia, stampando con le loro stampanti, colpendo siti web russi, hackerando telecamere russe e inviando messaggi di testo ai cittadini russi sull'Ucraina e anche facendo trapelare molti dati», hanno reso noto gli attivisti dell'organizzazione hacker su Twitter. Poi ci sono le immagini satellitari di Maxar, società statunitense, che mostrano un apparente accumulo di truppe in Bielorussia, con tanto di accampamenti e attrezzature vicino al confine.
L'Ucraina teme l'invasione da Nord, e teme che Mosca intanto spinga sul reclutamento dei mercenari. Quanto ai disertori russi, il 16 marzo scorso il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva dato loro qualche speranza, parlando di una possibile accoglienza in Germania e in Europa. «È una questione che riguarda il diritto di asilo - ha detto Scholz -. Le nostre leggi sono preparate a questo». Come dire, abbandonate il fronte, fermate la guerra, venite qui e sarete al sicuro.
DAGONEWS il 18 marzo 2022.
Gli invasori russi sono caduti in un'imboscata dei soldati ucraini in un'altra dimostrazione di umiliazione per l'esercito di Vladimir Putin.
Il filmato girato all'inizio della guerra, ma pubblicato solo recentemente, mostra i soldati russi rannicchiati dietro carri armati e dietro alcuni alberi ai lati di una strada mentre tentavano di ripararsi da una pioggia di proiettili ucraini.
Il professor Michael Clarke, ex capo della difesa e del think tank della sicurezza del Royal United Services Institute (RUSI), ha affermato che i russi stanno "commettendo quasi tutti gli errori tattici che è possibile fare": «Sembrano forze completamente impreparate che non hanno pensato a come affrontare una guerra. Gli ucraini stanno bloccando l'avanzata russa in tutte le aree e stanno operando anche contrattacchi abbastanza efficaci. I russi stanno perdendo molti equipaggiamenti e truppe».
Marco Ventura per “il Messaggero” il 18 marzo 2022.
I soldati russi colpiti dagli anti-tank portatili Javelin li vedi uscire dai carri armati e disperdersi, semplicemente, nella boscaglia. Questo osservano dai satelliti gli americani del Pentagono e calcolano il numero di perdite tra le forze di occupazione sulla base di quanto succede a un tank centrato da un missile. Settemila sarebbero i morti russi in venti giorni, stando a report citati dal New York Times, i feriti tra gli 11mila e i 14mila. Pari in tutto al 10 per cento delle forze in campo all'inizio dell'invasione.
Concordi i servizi, dai britannici agli americani, sia il Pentagono e i think tank come l'Institute for the study of war, che rilancia la notizia di fonte ucraina dell'uccisione in combattimento, sul fronte sud di Mariupol, del quarto generale russo, il comandante della 150a Divisione motorizzata. Un segnale, questo, della necessità per gli alti ufficiali di Mosca di avvicinarsi alla prima linea per compensare la carente catena di controllo e comando. Per non parlare delle difficoltà logistiche, la lunghezza delle linee di rifornimento e la necessità di portare cibo, vettovaglie e pezzi di ricambio.
Ma il problema forse più grave è emerso fin dai primi giorni dell'invasione: l'impossibilità per Putin di programmare il ricambio dei soldati. Molti fra i prigionieri dagli ucraini, inclusi i nove rilasciati in cambio del sindaco di Melitopol sequestrato dai russi, sono coscritti di leva poco più che diciottenni, inviati al fronte in violazione della legge russa che prescrive di non mandare a combattere chi non abbiano ricevuto almeno quattro mesi di addestramento. Sui social l'Ucraina fa circolare i documenti di prigionieri con meno di vent' anni, ignari di andare al fronte.
Per questo Mosca è costretta a chiedere il soccorso dei miliziani siriani di Assad, che ne ha promessi 40mila, dei guerriglieri di Kadyrov, il leader ceceno che dopo aver sostenuto di trovarsi in Ucraina ha fatto sapere sul suo canale Telegram che altri «1.000 volontari della Repubblica cecena sono in viaggio per partecipare all'operazione speciale di denazificazione e smilitarizzazione dell'Ucraina», sotto il comando di uno dei suoi parenti, Apti Alaoudinov.
E stando all'Institute for the study of war, truppe russe si starebbero dislocando in Ucraina, provenienti da Armenia, Georgia, addirittura Tajikistan, mentre il presidente bielorusso Lukashenko, forse per farsi perdonare di non essere riuscito finora a entrare in guerra col suo esercito, ha messo in guardia Kiev minacciando che «se continuerà la sua escalation contro la Bielorussia, Minsk risponderà».
Un altro drammatico problema per i russi è il basso morale delle truppe, in una situazione che i servizi britannici descrivono «largamente in fase di stallo» e con perdite (7.000 in venti giorni) pari al numero di marines americani caduti per Iwo Jima nella Seconda guerra mondiale e superiori agli americani uccisi in vent' anni in Afghanistan. In un briefing online per giornalisti romeni, il vicesegretario generale della Nato, Mircea Geoana, dice di non prevedere rischi per la sicurezza degli alleati, dato che «il 75 per cento delle forze russe sono bloccate in Ucraina e subiscono enormi perdite».
Unanimi le fonti occidentali. Nessun avanzamento a nordovest di Kiev, dove i pochi tentativi di forzare le linee sono falliti, nessun tentativo invece a nordest, zero progressi a est, a Kharkiv. Piccoli passi avanti si registrano attorno a Mariupol. Ma ovunque i russi non controllano le città e per camuffare gli insuccessi sul terreno scatenano raid aerei e bombardamenti d'artiglieria, pure su bersagli civili. Molte le vittime, anche per il margine più alto di errore dovuto all'uso da parte russa, secondo i servizi britannici, di armi e munizioni «obsolete, militarmente meno efficaci».
Perché la macchina assassina di Putin sta fallendo. Da francolondei.it il 18 Marzo 2022.
Scrive John Sweeney, un giornalista investigativo britannico che ha lavorato per il quotidiano The Observer e che sta lavorando a un documentario per la BBC sulla guerra in Ucraina, che i militari russi hanno il morale bassissimo.
Dopo più di tre settimane dall’inizio della guerra non ci sono carri armati russi nelle vie di Kiev e probabilmente non ci saranno mai.
Nella capitale e in altre località c’è ancora luce, internet, linee telefoniche. L’esercito russo ha mostrato tutti i suoi limiti, la sua impreparazione.
I morti tra i militari russi si contano a migliaia. Secondo fonti ucraine citate sempre da Sweeney sarebbero 13.700 ma è impossibile verificare. Tuttavia le notizie che arrivano dal fronte ci dicono che il numero non è inverosimile.
Per cautela, assumiamo che il numero dei morti russi sia 10.000. C’è una regola pratica che per ogni cadavere, ci sono tre soldati feriti. Ciò indicherebbe 30.000 feriti, quindi è probabile che i russi abbiano perso 40.000 effettivi solo nelle prime tre settimane di guerra.
Il sito ucraino Euromaidan Press è entrato in possesso di lettere di soldati russi che hanno combattuto senza sapere cosa stessero facendo li.
Il sergente Sapar M. Mirapov ha scritto al comandante dell’unità militare 61899: «Considero impossibile il ridispiegamento a causa della scarsa organizzazione dell’unità, della mancanza di comunicazioni e di capacità tecniche. [Durante il mio primo giro], sono arrivato senza capire cosa stavo facendo lì, senza alcuna spiegazione. Non voglio essere carne da cannone».
Per intenderci, l’unità militare 61899 altri non è la famosa 27° Separate Guards Sevastopol Red Banner Motor Rifle Brigade, truppe d’assalto che hanno combattuto nelle guerre cecene e siriane.
Il sergente Alexander A. Pugachev della 9° Guards Motor Rifle Division ha detto al suo comandante che «si rifiuta di partecipare di nuovo alle ostilità militari in Ucraina a causa della mancanza di supporto logistico, assenza di coordinamento delle azioni, assenza di qualsiasi comunicazione all’interno dell’unità e con il comando».
Appartenente alla stessa divisione, il tenente A. Yegorov ha scritto: «fin dall’inizio ci siamo trovati di fronte all’inganno [del comando] e all’occultamento dei veri obiettivi e compiti dello spiegamento militare. Incomprensibili ‘compiti di esercitazione militare’ significavano una cosa drammaticamente diversa. … Dopo aver attraversato il confine con l’Ucraina, siamo diventati un esercito di occupazione. L’abbiamo capito dalla reazione della popolazione civile».
Il morale basso deriva anche dalla seconda grande ragione del fallimento: L’alto comando russo se ne frega del suo popolo. Si preoccupa solo dei soldi. È corrotto.
Le razioni di cibo
Parliamo di cibo per cani. I soldati russi mangiano le migliori razioni nutrienti di qualsiasi esercito, purché si tratti di cibo per cani. Si può avere un assaggio di ciò che sta andando male sul terreno in Ucraina da una storia che Reuters ha pubblicato 11 anni fa.
L’agenzia di stampa riferì che l’ex maggiore Igor Matveyev (poi incarcerato) disse: «È imbarazzante da dire, ma i soldati qui sono stati nutriti con cibo per cani. Veniva dato loro come stufato». Le lattine di cibo per cani erano coperte da etichette con la scritta “manzo di prima qualità”.
Gli ucraini hanno trovato veicoli dell’esercito russo abbandonati con razioni di cibo con date di scadenza di sette anni fa.
Ciò che è ironico è che l’uomo responsabile è uno dei gangster preferiti dal Cremlino, Yevgeny Prigozhin, conosciuto come “lo chef di Putin”.
Con stretti legami con l’intelligence militare russa, il GRU, Prigozhin, un ex detenuto in epoca sovietica, ha gestito fattorie di troll e l’unità di mercenari assassini, il Gruppo Wagner, dal nome del compositore preferito di Hitler. Il suo impero ha assunto il 90% del business della fornitura di cibo all’esercito russo. Gli ucraini hanno pubblicato diversi video di soldati russi affamati che scavano in cerca di cibo. E questo grazie a Prigozhin e al suo capo.
Il giornalista investigativo Christo Grozev ha twittato: «Mentre i soldati russi muoiono di fame e irrompono nelle case degli ucraini implorando il pane, le razioni di cibo militare ‘non in vendita’ di Prigozhin hanno inondato i siti di ebay della Russia a 3 dollari a lattina».
La paranoia di Putin e la corruzione stanno uccidendo la macchina da guerra russa
E poi c’è una cattiva leadership. Putin ha lanciato una guerra senza intelligenza. Non ha guardato dall’altra parte del muro, e non ha chiesto a qualcuno cosa c’era dall’altra parte. O se l’ha fatto, quella persona aveva paura di dirgli la verità: che l’Ucraina stava per combattere.
La cattiva leadership è al centro del classico di Norman F. Dixon, “On the Psychology of Military Incompetence” e il boia di Mosca ne è l’esempio calzante. Putin è incompetente a guidare i suoi militari, alla grande. Ha una debole personalità autoritaria e ha paura della propria morte – da qui il lungo tavolo per il sit-down con il presidente francese Emmanuel Macron. È estremamente paranoico.
La paranoia sta distruggendo l’esercito russo dall’interno. Putin è prigioniero nel suo alto castello, proprio come Stalin. Poco prima di morire, Stalin scrisse: «Non mi fido di nessuno, nemmeno di me stesso». Lo stesso vale per Putin. Il suo terrore di rivelare troppo presto le sue intenzioni e di farle trapelare agli americani era così grande che non ci poteva essere alcuna pianificazione con l’esercito pronto all’invasione
Con solo un giorno di preavviso, lo stato maggiore russo è stato preso in contropiede fin dall’inizio, reagendo e inventando le cose man mano – con risultati disastrosi. I generali sono stati nominati sulla base della loro fedeltà al Cremlino – non del loro coraggio, non della loro competenza. Il servilismo va bene quando un esercito non sta combattendo un avversario difficile. Ma l’esercito ucraino si è dimostrato resistente oltre le aspettative.
Irina Borogan e Andrei Soldatov, entrambi giornalisti investigativi ed esperti dei servizi di sicurezza russi, suggeriscono che la paranoia di Putin sta corrodendo la fiducia all’interno del “santo dei santi”, lo stato segreto russo. Essi riferiscono che il capo del servizio di intelligence estera dell’FSB e il suo vice sono «detenuti dopo le accuse di abuso di fondi operativi destinati ad attività sovversive e per aver fornito scarsa intelligence in vista dell’invasione russa, ora in fase di stallo».
Il morale è scarso perché Putin non si preoccupa del suo popolo o dei suoi soldati; la corruzione è diffusa nel suo esercito perché, come ha detto Alexei Navalny, «lui è lo zar della corruzione» e la paranoia è ciò che affligge le ex spie del KGB. La guerra in Ucraina non sta andando bene e c’è solo una persona da incolpare. Non c’è da stupirsi che i pettegolezzi a Mosca dicano che i capi del FSB stiano vendendo le loro dacie in Crimea.
Ucraina, spiegata la strage di soldati russi: "Ecco il materiale dei loro camion". Libero Quotidiano il 18 marzo 2022.
Oltre 7mila soldati russi sono morti in Ucraina dall'inizio del conflitto secondo fonti dell'Intelligence Usa citate dal New York Times. Si stima che siano circa 150mila i soldati russi entrati nel territorio ucraino dal 24 febbraio, fra essi ci sarebbero anche dai 14mila ai 21mila feriti. Un numero altissimo tanto che questo bilancio è addirittura superiore ai militari americani morti in oltre 20 anni di guerra in Iraq e Afghanistan, scrive il quotidiano. Il Pentagono stima che un tasso di vittime del 10 per cento tra morti e feriti, per una singola unità rende impossibile raggiungere gli obiettivi dell'unità stessa. E questo spiegherebbe anche lo stallo delle truppe russe attorno a Kiev.
Ora il giornalista Jacopo Iacoboni con un post pubblicato sul suo profilo Twitter in cui rilancia anche un video ripreso da Rob Lee scrive che "molti dei camion che gli Spetsnaz della Rosgvardia russa stanno usando in Ucraina non sono neanche corazzati". Questi mezzi militari delle forze armate russe, insomma, sarebbero del tutto inadeguati ad affrontare la forte e determinatissima resistenza ucraina.
"Questo fa capire a quale dramma militare sono condannati", commenta Iacoboni. "Sono, quelli in questi camion, dei morti che camminano".
Andrea Marinelli,Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 18 marzo 2022.
L'intelligence britannica è netta nel giudizio: l'offensiva di Putin è in stallo su quasi tutti i fronti. Analisi condivisa, in parte, dall'esercito di osservatori, che comunque conservano della cautela. L'Armata non se ne è andata, i campi di guerra sono ancora lì, a una ventina di chilometri da Kiev e nel sud del Paese. I russi hanno registrato nelle ultime ore vantaggi minimi. Come spiega l'ex generale Mick Ryan, insistono sul piano C: conservare il terreno conquistato (piuttosto rilevante), bombardare le città da lunga distanza, distruggere infrastrutture e fabbriche, contrastare eventuali aiuti. Insieme a questo, c'è l'avanzata lenta sulla capitale, per circondarla: nei sobborghi di Kiev, però, gli ucraini avrebbero riguadagnato posizioni.
Queste analisi sono state determinate dal fatto che i russi non hanno conseguito gli obiettivi prefissati. Al tempo stesso tempo, gli inglesi affermano che lo Stato Maggiore prova a riorganizzare i ranghi, fa affluire rinforzi e potrebbe dare l'ordine per un secondo assalto, affrontando rischi enormi, forse entro i primi di aprile. Un esperto ha rivelato che i genieri starebbero costruendo un oleodotto per rifornire il contingente senza impiegare le autobotti, poco numerose. Una conferma indiretta delle intenzioni. Sono avvistati convogli di treni, il Giappone ha registrato la partenza di navi anfibie da una base dell'Estremo Oriente.
I contatti diplomatici, in questo scenario, altro non sono che un diversivo: infatti cadono colpi pesanti sulle aree abitate. La minaccia di Mosca, pur debilitata, non è svanita. Debolezze relative Ad imporre un passo lento alla marcia di Putin sono stati diversi fattori. La sottovalutazione del nemico, i problemi logistici, le carenze del sistema bellico russo, il personale di leva non preparato. E, se teniamo conto che nella prima ondata il Cremlino ha mandato a morire il meglio delle truppe aerotrasportate, i conti si fanno pesanti: gli ucraini sostengono di aver ucciso 14 mila russi, una stima conservativa del Pentagono ritiene che potrebbero essere 7 mila, fra cui 4 generali. Comunque tanti.
Le «debolezze» - sempre relative - dei russi sono state amplificate dalle capacità dei loro avversari: gli ucraini si erano preparati, ma non hanno fatto tutto da soli. Il training americano Gli americani - con le Special Forces e i paramilitari della Cia - hanno elaborato un programma di assistenza avviato nel 2015: hanno preparato gli ucraini e ne hanno testato la determinazione, volevano capire se avrebbero combattuto per la patria.
Gli hanno insegnato a comunicare in modo protetto, le tattiche di guerriglia e tiro di precisione, i metodi per colpire e sottrarsi al fuoco avversario, le azioni rapide, l'uso dei Javelin anti-carro, e poi a schivare il tracking digitale effettuato dai russi, per impedire loro di localizzare le truppe e poi colpirle con attacchi d'artiglieria. Un piccolo episodio aiuta a comprendere la tenacia. Siamo sempre nel 2015, esercitazioni Switf Response della Nato in Germania, area addestrativa di Hohenfels: vi partecipano anche dei parà ucraini nel ruolo di «op-for», ossia nemici, e, con un colpo di mano, catturano il comando statunitense. Pare che la sorpresa non sia stata gradita da chi coordinava le manovre.
L'invio di armi All'aspetto training si aggiunge poi l'uso di sistemi efficaci di difesa. I missili anti-carro si sono rivelati formidabili nell'azione di contenimento. Ecco perché è importante l'invio dei Javelin, degli AT4, dei Panzerfaust e di ogni strumento bellico che riesca a infliggere perdite agli uomini di Putin. Ora gli americani daranno i droni-kamikaze, adatti a piccoli team. Non meno importante il ruolo dei missili anti-aerei trasferiti dalla Nato: insieme agli Stinger - per ingaggiare velivoli a bassa quota - dovrebbero gli S300 e altri mezzi mobili che possono colpire caccia o elicotteri a quote più alte.
Il rafforzamento dello scudo ha un impatto profondo, perché avviene in uno scenario in cui l'aviazione di Mosca ha una presenza ridotta e questo ha favorito le mosse degli incursori ucraini a terra. Infine, il morale degli uomini di Zelensky: ne hanno da vendere, normale che sia così, muoiono per la loro terra. È questa l'unica risorsa che Putin non può trovare nel suo arsenale. I prossimi 10 giorni, ha confermato il capo negoziatore di Kiev Myhailo Podoliak, saranno decisivi.
Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” il 15 marzo 2022.
Il fallimento degli obiettivi iniziali dell'invasione russa in Ucraina è stato così profondo, da provocare una spaccatura nella cerchia più ristretta dei collaboratori di Putin. Il ministro della Difesa Serghej Shojgu vuole continuare e inasprire la guerra, da cui nasce anche la disperata richiesta di aiuti militari alla Cina, mentre il capo dei servizi e della sicurezza Nikolaj Patrushev spinge per chiuderla. Lo rivelano autorevoli fonti di intelligence, che però mettono in guardia dal pericolo che queste difficoltà e divisioni spingano il capo del Cremlino a rendere ancora più brutale l'aggressione, minacciando i paesi della Nato.
Nei giorni scorsi il capo della Cia William Burns e la direttrice dell'intelligence nazionale Avril Haines hanno tenuto un briefing al Congresso. «Putin - ha detto Burns - si aspettava di prendere Kiev in un paio di giorni. Invece i suoi militari non sono riusciti a conquistare le principali città e hanno perso diverse migliaia di soldati». Per capire le proporzioni, Mosca ha già subito in Ucraina più caduti di quanti Washington ne avesse sofferti durante l'intero intervento in Iraq.
«Penso che Putin - ha detto il capo della Cia - sia arrabbiato e frustrato. È probabile che raddoppi gli sforzi e cerchi di schiacciare l'esercito ucraino senza riguardo per le vittime civili. Non ha una soluzione politica sostenibile, di fronte a quella che continuerà ad essere una feroce resistenza da parte degli ucraini». Secondo Haines, il capo del Cremlino «percepisce questa come una guerra che non può permettersi di perdere. Ma ciò che potrebbe essere disposto ad accettare come vittoria può cambiare nel tempo, dati i costi significativi che sta subendo».
In questo quadro, l'allerta nucleare e i missili lanciati verso il confine con la Polonia «probabilmente sono intesi a dissuadere l'Occidente dal fornire ulteriore supporto all'Ucraina». Perciò i parlamentari hanno risposto esortando l'amministrazione ad aumentare le consegne militari, sbloccare i caccia offerti dalla Polonia a Kiev, e in alcuni casi anche stabilire una presenza Nato nelle regioni occidentali del paese per favorire la distribuzione dell'assistenza umanitaria.
Secondo l'intelligence l'offensiva è in stallo perché gli uomini sono esausti e il morale è stato compromesso anche dalla morte di generali come Andrej Kolesnikov, Vitalij Gerasimov e Andrej Sukhovetskij. Parecchie unità si sono arrese senza combattere. Il fallimento è dipeso dalle informazioni sbagliate fornite a Putin, secondo cui gli ucraini erano pronti ad accoglierlo come liberatore, ma anche da problemi operativi.
Il presidente ha fatto arrestare il capo del "Quinto servizio" dell'Fsb Serghej Beseda e il suo vice Anatolij Bolyukh, perché a loro aveva consegnato i fondi per corrompere i leader di Kiev affinché appoggiassero l'invasione: o non ci sono riusciti oppure hanno intascato i soldi. L'arresto però ha fatto infuriare gli apparati. Lo stesso problema di corruzione e incompetenza ha minato l'ammodernamento delle forze armate, evidente soprattutto nel fiasco dell'aviazione.
Putin potrebbe reagire attivando i veterani della riserva, ma così le famiglie vedrebbero sparire gli uomini, le attività economiche si fermerebbero, il paese capirebbe che è veramente in guerra e sta perdendo. Altri aiuti, tipo i bielorussi, i mercenari di Wagner o i siriani, sono già stati messi in conto ma non sembrano sufficienti. Anche se occupasse Kiev, Vladimir Putin non riuscirebbe a tenerla.
Tutto ciò avrebbe spaccato il cerchio magico, col potente Patrushev schierato contro Shojgu. Il capo della sicurezza non viene visto come un uomo da golpe, ma la sua dissidenza pesa. Sentendosi nell'angolo, Putin potrebbe puntare sulle armi chimiche, o anche atomiche. Il suo ordine però andrebbe confermato da Shojgu e dal capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. Il ministro lo seguirebbe, ma gli americani pensano che il generale si rifiuterebbe, scatenando lo scontro finale per il potere a Mosca.
L'armata russa impantanata. Ira del Cremlino sull'esercito. Gian Micalessin l'11 Marzo 2022 su Il Giornale.
Errori strategici, mezzi obsoleti, personale inadeguato. La macchina da guerra bloccata dalla resistenza.
Mosca. «Chiederemo all'esercito di dare informazioni». Le parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, risuonate dopo il disgraziato bombardamento della maternità di Mariupol non lasciano dubbi. A Mosca tira aria di tempesta. La decantata macchina militare «ibrida» del ministro della difesa Sergej Sojgu e dal Capo di stato maggiore Valery Gerasimov non sembra più girare al meglio. Lo dimostrano le cantonate strategiche, con conseguenti perdite di uomini e mezzi, inanellate nei primi quindici giorni di campagna ucraina. Errori inaccettabili alla luce degli oltre 1.400 miliardi di euro investiti nell'ultimo decennio per ammodernare l'inadeguato esercito ereditato dall'Unione Sovietica. Prendiamo l'aviazione. Dove sono finiti i 440 aerei da combattimento messi in linea tra il 2009 e il 2020 fondamentali per annientare i centri di comando e comunicazione ucraini? Fin qui non si sono praticamente visti. I moderni bombardieri Su 34 sono stati avvistati solo nei cieli di Kharkiv, distante appena 40 chilometri dal confine russo. Il tutto mentre i 700 missili impiegati contro installazioni radar, aeroporti e centri di comunicazione sembrano aver mancato gli obbiettivi. Un insuccesso che ha permesso alle anti-aeree di Kiev, rimaste in gran parte operative, di abbattere, si dice, almeno quattro Su 34. Ai caccia Su 30 e Su 35 e agli elicotteri Mi 28, equivalenti in teoria agli Apache americani, non sta andando meglio. Quando vengono impiegati per difendere le lunghe colonne di mezzi russi dispiegate sul terreno finiscono troppo spesso nel collimatore degli Stinger americani, i missili anti aerei a spalla che già negli anni '80, in Afghanistan, facevano strage di velivoli russi.
Ma il disgraziato bombardamento di Mariupol riserva anche altre domande. La principale riguarda il mancato ricorso alle bombe intelligenti. A differenza di quanto avvenuto in Siria l'aviazione di Mosca sta ricorrendo quasi esclusivamente alle antiquate bombe gravitazionali. Una scelta che, oltre a moltiplicare il rischio di colpire obbiettivi civili, costringe i piloti a sganciare a bassa quota esponendosi ai missili Stinger. Il limitato impiego dell'aviazione e dei droni rende, tra l'altro, ancor più vulnerabili le colonne di carri armati e blindati russi. Affidate a personale di leva scarsamente motivato, poco esperto e incapace di reagire agli assalti, le colonne sono un facile bersaglio per le unità ucraine pronte a martellarle ai fianchi e nelle retrovie grazie ai missili anticarro Javelin forniti da Stati Uniti e Gran Bretagna. E a rendere più lento e vulnerabile questo mastodontico dispositivo militare s'aggiungono inadeguatezze logistiche e usura dei mezzi.
La colonna lunga sessanta chilometri ferma alla periferia di Kiev si ritrova, di fatto, intrappolata in un gigantesco ingorgo causato dai mezzi paralizzati da guasti meccanici o bloccati, più banalmente, da fango e mancanza di carburante. In quel girone infernale sono prigionieri oltre 15mila soldati alla mercé dei Bayraktar TB-2 i micidiali droni venduti a Kiev dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan. E a rendere la situazione più tragica s'aggiungono le temperature scese, da ieri, a meno venti. Uno scenario da incubo per un'armata priva di alloggiamenti e di pasti caldi, ma esposta a continui attacchi.
E a far montare la rabbia del Cremlino s'aggiungono le ingenti perdite. L'uccisione di 12mila russi rivendicata da Kiev è sicuramente una smisurata esagerazione. Tuttavia anche i 498 caduti, ammessi una settimana fa da Mosca, rappresentano soltanto parte di un bilancio stimato ormai intorno alle 2mila unità. Una cifra da incubo se paragonata ai 15mila uomini persi in 10 anni di Afghanistan dall'Armata Rossa. Ma il segnale peggiore è forse l'uccisione del generale a due stelle Andrei Sukhovetsky. Una morte seguita, una settimana dopo, da quella del generale di pari rango Valery Gerasimov. Due caduti di alto rango che segnalano come la confusione del fronte costringa i comandanti a spingersi in prima linea per governare un'offensiva destinata, altrimenti, a naufragare nel caos.
In Ucraina esodi, fango, rovine come nella Seconda guerra mondiale: il confronto. Antonio Carioti su Il Corriere della Sera l'11 marzo 2022.
Tra il 1941 e il 1944 il Paese fu teatro di durissimi combattimenti in cui si affrontarono l’Armata Rossa di Stalin e la Wehrmacht di Hitler. Dai ponti distrutti per fermare il nemico alle famiglie divise: il conflitto somiglia sempre di più alla tragedia di 80 anni fa
Sfollati nella stazione Dorohozhychi della metrò di Kiev pochi giorni fa. A destra i londinesi alla fermata Aldwych nel 1940
L’invasione dell’Ucraina, un’autentica guerra convenzionale, riporta alla memoria alcune caratteristiche del secondo conflitto mondiale più di quanto non sia avvenuto negli anni Novanta in riferimento alla ex Jugoslavia, dove hanno prevalso le caratteristiche della guerriglia. Del resto proprio l’Ucraina fu a suo tempo teatro di durissimi combattimenti in cui si affrontarono, tra il 1941 e il 1944, l’Armata Rossa di Iosif Stalin e la Wehrmacht di Adolf Hitler, che aveva invaso l’Unione Sovietica con l’operazione Barbarossa. Tra le immagini che ci arrivano ora da quella terra martoriata, non poche raffigurano monumenti ai caduti della Seconda guerra mondiale, chiamata dai sovietici Grande guerra patriottica. E tante altre ricordano momenti di quello scontro titanico, costato milioni di morti.
Fondamentale nel conflitto in corso è l’uso che fanno gli aggressori delle forze corazzate, che vediamo incolonnarsi per chilometri. Il territorio piatto favorisce i carri armati di chi deve conquistare un Paese pianeggiante come l’Ucraina. Ed acquistano una grande importanza i fiumi, come ostacoli naturali all’avanzata dei reparti motorizzati. Quindi per i difensori è assolutamente necessario mettere fuori uso i ponti, distruggerli sistematicamente come stanno facendo gli ucraini, in modo da rallentare l’avanzata del nemico. Un altro impaccio per le truppe corazzate può essere il fango, specie ora che si avvicina il disgelo primaverile.
Territorio vasto
Quando si combatte su lunghe distanze (l’Ucraina ha una superficie doppia rispetto all’Italia) non sempre gli approvvigionamenti sono puntuali, quindi spesso i soldati si arrangiano saccheggiando il territorio. La scena dei soldati russi che s’impadroniscono di galline sottratte da un pollaio è da questo punto di vista assai eloquente.
Anche qui tornano alla mente razzie del passato. Poi c’è l’aspetto più tragico, il coinvolgimento delle popolazioni civili soprattutto nelle città. Le immagini degli ucraini stipati nei rifugi ricordano fin troppo da vicino quelle degli abitanti di tante città, anche quelle italiane, flagellate dai bombardamenti durante la guerra. I colpi, allora come oggi, non risparmiavano strutture come le scuole e gli ospedali. I volti insanguinati delle persone ferite che si aggirano tra le macerie degli edifici rimarranno a lungo nella nostra memoria, come quelle delle vittime di ottant’anni fa.
Umanità disperata
Altrettanto drammatiche, e altrettanto familiari, sono le fotografie delle folle che si assiepano nelle stazioni per fuggire lontano dall’area dove cadono bombe, missili e colpi d’artiglieria. È un’umanità disperata che ha perso tutto e si porta dietro lo stretto indispensabile verso una salvezza che coincide con il destino amaro dell’esilio. Si sta verificando, sia pure spontaneamente e non in modo coatto, uno spostamento di popolazione simile a quelli, biblici, che contrassegnarono il conflitto mondiale. Non tutti riescono però ad andarsene e la strategia russa sembra indirizzata a stringere d’assedio le città, con lo scopo di prenderle per fame. Le code per la distribuzione del cibo che abbiamo visto ricordano uno degli episodi più terribili della Grande guerra patriottica: il blocco imposto per novecento giorni dai tedeschi alla città di Leningrado (oggi tornata a chiamarsi San Pietroburgo), che provocò la morte per fame di un numero di abitanti calcolato tra 800 mila e un milione. Non siamo ancora a questo punto, ma impressionano le immagini, con i sacchi di sabbia intorno ai monumenti per proteggerli, che giungono da Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv. Proprio Kharkiv (Kharkov in russo) fu teatro di ben quattro battaglie nella guerra mondiale, a testimonianza della sua importanza strategica. Più a sud, nell’attuale regione secessionista di Donetsk (allora chiamata Stalino) operarono nel 1941 anche le forze italiane del Corpo di spedizione italiano in Russia, poi trasformato in una vera e proprio armata e schierato sul Don.
I preparativi
Sempre a proposito di città, diversi scatti fotografici colgono i preparativi che gli ucraini stanno compiendo nell’eventualità che il nemico decida di avanzare su di esse. Trincee, barricate, confezionamento di bottiglie Molotov (ordigno che prende il nome dal ministro degli Esteri sovietico, fedelissimo di Stalin). Si prospetta in quel caso una battaglia quartiere per quartiere, casa per casa, in cui verrebbe per molti versi ridimensionato il vantaggio che i russi vantano in fatto di carri armati. Una situazione, finora solo potenziale, che riporta alla mente l’epica battaglia di Stalingrado, sul fiume Volga, dove la 6ª armata tedesca del generale Friedrich Paulus s’impantanò e fu accerchiata nel 1942, per essere poi completamente distrutta all’inizio del 1943. Quella città venne ridotta in macerie. Speriamo davvero di non assistere a uno scenario così spaventoso a Kiev o altrove.
Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 marzo 2022.
Sono stati bombardati, assaliti con la forza dai carri armati e dalle armi, infine cacciati dalle loro case. Adesso i rifugiati ucraini devono sopravvivere al freddo: questa settimana le temperature sono scese sotto lo zero. A Kiev e Kharkiv, le due città più grandi dell’Ucraina, teatro negli ultimi giorni di furiosi combattimenti, la Bbc ha previsto per questa settimana temperature notturne minime tra i -10°C e i -20°C accompagnate da un vento gelido. Molti civili non hanno più riscaldamento dopo i bombardamenti delle truppe russe.
Ma lo stesso problema affligge le truppe russe: non hanno riparo dal freddo. Un convoglio lungo 60 km è bloccato alle porte di Kiev perché avrebbe esaurito le scorte. Non solo i soli. Negli ultimi giorni sono state numerose le segnalazioni di russi che lamentano la mancanza di attrezzature, di cibo, e di riparo, condizioni che sembrano destinate a peggiorare ulteriormente.
Intanto a Irpin si registrano scontri brutali tra paracadutisti ucraini e forze speciali russe. «In alcuni luoghi ci sono combattimenti corpo a corpo» ha detto un ufficiale. «C’è una colonna di mezzi enorme: 200 uomini, 50 veicoli corazzati leggeri, diversi carri armati. Stiamo cercando di spingerli fuori, ma non so se saremo pienamente in grado di farlo».
Nella vicina Bucha la scorsa settimana le forze russe hanno sferrato un attacco inviando inizialmente uomini che «non avevano paura di perdere» ma spostando via via truppe sempre meglio armate ed equipaggiate per conquistare e mantenere il terreno. «Fondamentalmente forze speciali» ha raccontato un residente.
Secondo i comandanti ucraini l’invasione di Putin è «rallentata in modo significativo» negli ultimi giorni. L’intelligence americana sostiene che la Russia ha già impegnato tutte le forze che aveva schierato lungo il confine. L’esercito ucraino ha fatto sapere che le operazioni difensive continuano a nord, est e sud dell’Ucraina, e che tutte le città, tranne Kherson, sono in mano ucraina. Le truppe russe, secondo i comandanti di Kiev, sono «demoralizzate e tendono sempre più a saccheggiare e violare il diritto umanitario internazionale».
Secondo i dati diffusi da Kiev, sono stati uccisi 12.000 soldati russi, 300 carri armati e più di 1.000 veicoli blindati sono stati distrutti insieme a 48 aerei, 80 elicotteri e 3 barche. Mosca ha riconosciuto di aver subito perdite ma non ha fornito un aggiornamento recente. Le perdite dell’Ucraina sono sconosciute.
Invasione nel pantano. L’esercito russo è davvero a un passo dal collasso? Michelangelo Freyrie su L'Inkiesta l'8 Marzo 2022.
L’industria militare di Mosca, disfunzionale e arretrata, deve fare i conti con le sanzioni internazionali e la fragilità finanziaria del Paese. L’impatto sul conflitto inizia già a farsi sentire, ma l’arsenale del Cremlino è ancora molto vasto.
Il fallimento dell’operazione-lampo contro Kiev ha cambiato la natura dello scontro fra Nato, Ucraina e Russia. Molte capitali occidentali si stanno ormai abituando all’idea di uno scontro prolungato, e i pacchetti di sanzioni decisi da Unione europea, Stati Uniti e Alleanza atlantica riflette questa prospettiva.
Molte delle sanzioni sono pensate per imporre un costo intollerabile all’aggressore, senza però avere un impatto diretto sulla capacità del Cremlino di continuare la campagna. Esistono però anche misure che colpiscono direttamente l’industria militare della Federazione Russa e che potrebbero, nel medio periodo, azzopparne le capacità belliche.
La guerra dei chip
Il «Complesso Militare-Industriale», o OPK come è ufficialmente disegnato dalle autorità russe, rappresenta uno dei pilastri del potere di Putin. Le 1281 aziende incluse nella definizione impiegano circa 2 milioni di lavoratori e compongono uno dei settori della Difesa più sofisticati del mondo.
Il processo di ricostruzione delle forze armate lanciato dopo l’invasione della Georgia (2008) è stato tutto sommato un successo, e le innovazioni dottrinali testate sul campo in Siria sono state possibili soprattutto grazie a un balzo tecnologico intrapreso in questi anni.
Questo non vuol dire che l’esercito russo sia particolarmente moderno. Buona parte delle forze armate fa ancora affidamento sul materiale ereditato dagli arsenali dell’Unione Sovietica, e molti dei sistemi più sofisticati come droni, sistemi missilistici e strumenti per l’electronic warfare prodotti negli ultimi quindici anni affonda le radici in progetti concepiti negli ultimi giorni dell’Urss.
Nel mondo della Difesa è piuttosto normale che la ricerca e lo sviluppo (R&D) di nuovi sistemi d’arma duri parecchi decenni. Tuttavia, è proprio grazie alla complessità di questi progetti che l’Occidente spera di poter intaccare le capacità di combattimento russe.
La principale vulnerabilità di Mosca risiede nella dipendenza del Paese da semiconduttori stranieri. L’embargo imposto dagli Stati Uniti in questo settore e la minaccia di sanzioni secondarie contro produttori disposti a esportare chip in Russia avrà effetti devastanti sulla produzione di aerei, missili, radar e buona parte dell’hardware delle forze armate.
Un mezzo di combattimento moderno ha per certi versi più cose in comune con uno smartphone che un veicolo della Seconda Guerra Mondiale. Il parco veicoli di un esercito – a cui si aggiungono i sistemi antiaerei, le forze missilistiche e l’aviazione – è dotato di sensori e sistemi di comunicazione necessari per coordinare le formazioni sul campo, e rinunciare a certe componenti è sostanzialmente impossibile.
Un’industria militare disfunzionale
L’embargo di Washington sui semiconduttori, e soprattutto l’adesione di TSMC, l’azienda taiwanese che da sola controlla il 52% della produzione globale, rischia quindi di essere catastrofica per l’industria militare russa. Il settore, che aveva già dovuto fare i conti con l’attuale scarsità globale causata dalla pandemia, aveva in passato dimostrato grandi capacità di adattamento di fronte a crisi di rifornimento come questa.
L’inizio della guerra nel Donbass, nel 2014, aveva interrotto i rapporti dell’industria russa con i propri fornitori ucraini, alzando repentinamente i costi di molti progetti. È però altamente improbabile che i russi siano in grado di costruire praticamente dal nulla un’industria di semiconduttori che possa sostituire l’importazione, sia per mancanza di know-how sia a causa delle oggettive difficoltà che si incontrano nella manifattura di tecnologie così sofisticate.
Il settore della Difesa deve fare i conti con una scarsa produttività, causata da infrastrutture industriali sovietiche e con un urgente bisogno di modernizzazione, oltre che a una forza lavoro sempre più anziana e affetta da una grossa fuga di cervelli. Per evitare il collasso delle catene di produzione è probabile che le aziende russe guarderanno alla Cina, che a oggi può però offrire solo chip più rudimentali la cui integrazione nei sistemi russi richiederà tempo, soldi e parecchio caffè per gli uffici di progettazione.
In termini militari, è verosimile che la qualità dell’armamento russo ne risentirà profondamente.
Malagestione, corruzione e rigidità
A queste criticità si aggiungono problemi finanziari enormi, che l’isolamento della Russia rischia di esacerbare. Nel 2019, i debiti totali del settore della Difesa nei confronti delle banche russe raggiungevano i 2 trilioni di rubli (31 miliardi di dollari), una cifra immensa che neanche diversi round di cancellazione da parte del governo ha potuto contrastare.
L’industria è, economicamente parlando, un buco nero: non riesce a sostenersi sulle proprie gambe e genera debito nonostante un acquisto annuale di 1,5 trilioni di rubli in armi da parte delle forze armate. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro diverse aziende renderà poi difficile tamponare queste perdite con l’export, come è stato fatto negli ultimi anni.
Questa malagestione economica è dovuta a diversi fattori: la presenza di numerosi funzionari dell’amministrazione presidenziale nei board delle grandi aziende; il riciclo assicurato di diversi funzionari dei servizi di sicurezza come manager del settore privato; l’autonomia di diverse fabbriche sparse per il Paese; la lotta da parte dei governi regionali contro la chiusura di fabbriche superflue.
E ovviamente va aggiunta una corruzione endemica. Nel 2011, il procuratore capo della giustizia militare stimava che circa il 20% del budget della Difesa venisse effettivamente rubato a diversi livelli, e la storia recente del settore è piena di enormi truffe a danni dello stato e delle truppe sul campo.
Negli ultimi anni sono state intraprese alcune misure per combattere l’inefficienza diffusa, introducendo un sistema digitale per coordinare le migliaia di industrie sparse per il Paese, ma con scarso successo.
In più, si è proceduto alla creazione di 40 conglomerati verticalmente integrati per forzare i fornitori di diversi componenti d’arma ad adottare rapporti contrattuali stabili. Eliminare qualsiasi dinamica di mercato è una scelta costosa e azzera la flessibilità di un settore già poco innovativo, aumentando però la resilienza della catena di produzione a corto termine.
Le perdite sul campo
È insomma abbastanza evidente che i sabotatori più pericolosi della produzione militare russa siano i russi stessi. Le misure prese dall’Occidente impediranno al Cremlino di poter sostituire facilmente i mezzi più avanzati persi durante la campagna e di sviluppare le armi di cui la Russia avrà bisogno nel 2030-40.
Detto questo, è difficile che le perdite inflitte dagli ucraini diano fondo a quello che rimane uno degli arsenali più grandi del mondo. I numeri, purtroppo, sono dalla parte dell’invasore, anche se la perdita di soldati ben addestrati potrebbe essere problematica nel breve periodo.
Ad oggi, le forze armate russe hanno perso circa 103 veicoli corazzati; solo nel triennio 2013-2015, l’industria russa ha prodotto 723 carri armati di tipo T-72 B3, e 20 di tipo T-14. Quel che è peggio è che l’isolamento economico della Russia non avrà verosimilmente alcun impatto sulla produzione di munizioni e di artiglieria, la spina dorsale della dottrina operativa russa.
Paradossalmente, le perdite relative più ingenti sembrano riguardare i camion di rifornimento: fra i soli 4mila ufficialmente disponibili (400 tir di diverso tonnellaggio per ognuna delle 10 brigate di supporto logistico), fonti open source indicano una perdita netta di 260 nei primi giorni di guerra. Anche questo è dovuto più a errori di pianificazione fatti dal comando russo che dalla valente difesa delle forze ucraine, e il risultato immediato sarà un rallentamento dell’offensiva più che una penuria di mezzi da combattimento e munizioni.
L’impatto politico di questo affanno operativo dipenderà dal contesto domestico e internazionale in cui il Cremlino si troverà ad agire da qui a poche settimane. Anche se il debito dell’industria militare si rivelasse insostenibile, rimane comunque valido l’insegnamento del sociologo francese Roger Callois: l’intensità e la maniera con cui un Paese conduce una guerra è sempre espressione del suo ordine sociale. E se il sistema Putin, per quanto corrotto e inefficiente, riuscirà a mantenere il controllo sulla vita pubblica della Russia, allora né la penuria di chip né il declino qualitativo delle armi impedirà la continuazione della guerra, seppur con metodi più rudimentali e sanguinosi.