Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
NOTA BENE
NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB
SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA
NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE
NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO
LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:
accredito/bonifico al conto BancoPosta intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA IBAN: IT15A0760115800000092096221 (CIN IT15A - ABI 07601 - CAB 15800 - c/c n. 000092096221)
versamento in bollettino postale sul c.c. n. 92096221. intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA
SCEGLI IL LIBRO
PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI
presidente@controtuttelemafie.it
Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996 0999708396
INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA - TELEWEBITALIA
FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE
(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -
ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
L’ACCOGLIENZA
DODICESIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’ACCOGLIENZA
INDICE PRIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI EUROPEI
I Muri.
Quei razzisti come gli italiani.
Quei razzisti come i tedeschi.
Quei razzisti come gli austriaci.
Quei razzisti come i danesi.
Quei razzisti come i norvegesi.
Quei razzisti come gli svedesi.
Quei razzisti come i finlandesi.
Quei razzisti come i belgi.
Quei razzisti come i francesi.
Quei razzisti come gli spagnoli.
Quei razzisti come gli olandesi.
Quei razzisti come gli inglesi.
Quei razzisti come i cechi.
Quei razzisti come gli ungheresi.
Quei razzisti come i rumeni.
Quei razzisti come i greci.
Quei razzisti come i serbi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AFRO-ASIATICI
Quei razzisti come i marocchini.
Quei razzisti come i libici.
Quei razzisti come i congolesi.
Quei razzisti come gli ugandesi.
Quei razzisti come i nigeriani.
Quei razzisti come i ruandesi.
Quei razzisti come gli egiziani.
Quei razzisti come gli israeliani.
Quei razzisti come i libanesi.
Quei razzisti come i sudafricani.
Quei razzisti come i turchi.
Quei razzisti come gli arabi sauditi.
Quei razzisti come i qatarioti.
Quei razzisti come gli iraniani.
Quei razzisti come gli iracheni.
Quei razzisti come gli afghani.
Quei razzisti come gli indiani.
Quei razzisti come i singalesi.
Quei razzisti come i birmani.
Quei razzisti come i kazaki.
Quei razzisti come i russi.
Quei razzisti come i cinesi.
Quei razzisti come i nord coreani.
Quei razzisti come i sud coreani.
Quei razzisti come i filippini.
Quei razzisti come i giapponesi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AMERICANI
Quei razzisti come gli statunitensi.
Kennedy: Le Morti Democratiche.
Quei razzisti come i canadesi.
Quei razzisti come i messicani.
Quei razzisti come i peruviani.
Quei razzisti come gli haitiani.
Quei razzisti come i cubani.
Quei razzisti come i cileni.
Quei razzisti come i venezuelani.
Quei razzisti come i colombiani.
Quei razzisti come i brasiliani.
Quei razzisti come gli argentini.
Quei razzisti come gli australiani.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Fredda.
La Variante Russo-Cinese-Statunitense.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI.
I LADRI DI NAZIONI.
CRIMINI CONTRO L’UMANITA’.
I SIMBOLI.
LE PROFEZIE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. PRIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SECONDO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. TERZO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUARTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUINTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SESTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SETTIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. OTTAVO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. NONO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. DECIMO MESE.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE MOTIVAZIONI.
NAZISTA…A CHI?
IL DONBASS DELI ALTRI.
L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.
TUTTE LE COLPE DI…
LE TRATTATIVE.
ALTRO CHE FRATELLI. I SOLITI COGLIONI RAZZISTI.
LA RUSSIFICAZIONE.
INDICE SESTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.
IL FREDDO ED IL PANTANO.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE VITTIME.
I PATRIOTI.
LE DONNE.
LE FEMMINISTE.
GLI OMOSESSUALI ED I TRANS.
LE SPIE.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA GUERRA DELLE MATERIE PRIME.
LA GUERRA DELLE ARMI CHIMICHE E BIOLOGICHE.
LA GUERRA ENERGETICA.
LA GUERRA DEL LUSSO.
LA GUERRA FINANZIARIA.
LA GUERRA CIBERNETICA.
LE ARMI.
INDICE NONA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA DETERRENZA NUCLEARE.
DICHIARAZIONI DI STATO.
LE REAZIONI.
MINACCE ALL’ITALIA.
INDICE DECIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
IL COSTO.
L’ECONOMIA DI GUERRA. LA ZAPPA SUI PIEDI.
PSICOSI E SPECULAZIONI.
I CORRIDOI UMANITARI.
I PROFUGHI.
INDICE UNDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
I PACIFISTI.
I GUERRAFONDAI.
RESA O CARNEFICINA?
LO SPORT.
LA MODA.
L’ARTE.
INDICE DODICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
PATRIA BIELORUSSIA.
PATRIA GEORGIA.
PATRIA UCRAINA.
VOLODYMYR ZELENSKY.
INDICE TREDICESIMA PARTE
La Guerra Calda.
L’ODIO.
I FIGLI DI PUTIN.
INDICE QUATTORDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’INFORMAZIONE.
TALK SHOW: LA DISTRAZIONE DI MASSA.
INDICE QUINDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA PROPAGANDA.
LA CENSURA.
LE FAKE NEWS.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CRISTIANI CONTRO CRISTIANI.
LA RUSSOFOBIA.
LA PATRIA RUSSIA.
IL NAZIONALISMO.
GLI OLIGARCHI.
LE GUERRE RUSSE.
INDICE DICIASSETTESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CHI E’ PUTIN.
INDICE DICIOTTESIMA PARTE
SOLITI PROFUGHI E FOIBE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…le Foibe.
Lo sterminio comunista degli Ucraini.
L’Olocausto.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli Affari dei Buonisti.
Quelli che…Porti Aperti.
Quelli che…Porti Chiusi.
Il Caso dei Marò.
Che succede in Africa?
Che succede in Libia?
Che succede in Tunisia?
Cosa succede in Siria?
L’ACCOGLIENZA
DODICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
PATRIA MOLDAVIA.
Nello Scavo per “Avvenire” il 5 agosto 2022.
Il passaparola dei reclutatori scorre sulle chat per soli adepti della causa moscovita. Oppure di mano in mano con volantini stampati alla buona e ben ripiegati nelle tasche di gente fidata. Si cercano volontari a stipendio fisso per rinforzare i 1.500 uomini delle truppe russe in Transnistria: artiglieri, cecchini, incursori, esperti in mimetizzazione e sabotaggi.
Forze fresche da tenere con il binocolo puntato sull'Ucraina e il mirino contro la Moldavia. Mosca sta correndo ai ripari dopo che Kiev ha letteralmente murato i posti di confine con l'enclave dove vigono le regole dell'Unione sovietica, ben lubrificate da ogni sorta di traffico illecito. Non è facile far affluire militari di carriera o soldati di ventura accompagnati da un passaporto acconciato per il transito attraverso l'Ucraina. La chiamata alle armi è rivolta soprattutto ai moldavi.
È segreta e illegale: la Transnistria non è riconosciuta dalla comunità internazionale e l'operazione coinvolge cittadini con passaporto moldavo che si trovano a servire un esercito straniero. Non si sa in quanti stiano rispondendo, ma fonti in Transnistria assicurano che non sono in pochi. E con quasi duemila soldati di Mosca nei paraggi, non è che a Chisinau si dormano sonni tranquilli.
La Moldavia attraversa una crisi pesante, con l'economia messa in affanno dalla guerra e dal sostentamento di mezzo milione di profughi passati a partire dal 24 febbraio. Per i 2,5 milioni di abitanti con il reddito più basso d'Europa (lo stipendio mensile medio non arriva a 430 euro) la generosità nell'accoglienza avrà un prezzo salato. E con l'autunno alle porte non potrà che andare peggio.
La tariffa del gas è salita fino a 1.424 euro per 1.000 metri cubi, dai 628 di gennaio. Il mestiere delle armi, con divisa e "zeta" in bella vista, vorrebbe sedurre specialmente quella parte di popolazione maschile moldava rimasta senza un lavoro remunerativo e che non ha smesso di votare per l'opposizione filorussa.
Viene promessa una paga a partire da 35.000 rubli russi (550 euro), un alloggio in Transnistria dopo cinque anni di servizio militare, tre pasti al giorno e pacchi alimentari aggiuntivi, abbigliamento, assistenza medica gratuita, possibilità di pensionamento dopo 20 anni e avanzamento di carriera.
Vladimir Thorik, cronista investigativo moldavo, è riuscito a fingersi disoccupato e filorusso. «Non importa se sei un civile. Nessuno nasce con un fucile», gli ha detto l'arruolatore.
«Se vuoi imparare, imparerai», ha aggiunto prima di elencargli tutti i benefit della "professione" al servizio del Cremlino. Quando con i colleghi Nicolae Cuschevici e Dumitru Baciu ha provato a ricostruire le identità degli emissari russi, i reporter della testata Rise hanno scoperto che si tratta di due russi da anni impiegati in Crimea e Transnistria al servizio del Cremlino. Nel Paese i motivi di preoccupazione non sono mai mancati.
In molti pensano che il tentativo di mettere in scena un "golpe bianco" - sventato con l'arresto dell'ex presidente, il putiniano Igor Dodon (tuttora agli arresti domiciliari con l'accusa di "tradimento e corruzione" per i quali rischia fino 20 anni di detenzione) e con l'avvio di una caccia ad alcune influenti personalità della politica della finanza vicine all'opposizione filorussa - non sia del tutto esaurito. Il Parlamento ha rinnovato per altri 60 giorni lo stato d'emergenza, conferendo al governo poteri speciali per affrontare le conseguenze dell'invasione in Ucraina.
A differenza di quanto accade in molti Paesi europei, i notiziari moldavi continuano ad aprire le edizioni con le corrispondenze dall'Ucraina. Odessa è a due ore d'auto, e lì sta per approdare la prima nave commerciale da mesi, mentre il cargo con il grano diretto in Libano ha attraversato il Bosforo. I turchi hanno poi annunciato per oggi la partenza di altri tre cargo di cereali. Sono le uniche buone notizie.
Il governatore della regione di Donetsk ha dichiarato che tre civili sono stati uccisi e cinque sono rimasti feriti in attacchi a una fermata del bus. Anche le autorità locali di Mykolaiv, Kharkiv e Dnipropetrovsk hanno riferito che le loro regioni sono state bombardate.
Mentre le forze ucraine hanno riconquistato due villaggi intorno alla città orientale di Sloviansk, ma sono state respinte alla periferia della città di Avdiivka. Secondo lo stato maggiore di Kiev, la Russia potrebbe lanciare una nuova offensiva nella regione meridionale ucraina di Kherson. Ma è proprio qui che si attende da un momento all'altro il contrattacco di Kiev. E per allora i nuovi arruolati dell'esercito russo in Transnistria dovrebbero entrare in servizio.
La guerra ibrida. Report Rai. PUNTATA DEL 27/06/2022 di Walter Molino
Collaborazione di Federico Marconi e Giulia Sabella
La Moldavia è il paese più povero del continente europeo.
Ha chiesto di entrare a far parte dell’Unione Europea ma non ha aderito alle sanzioni contro la Russia per via della dipendenza dal gas e della minaccia militare sul confine ucraino. Pesa anche la situazione irrisolta della Transnistria, una striscia di terra lunga 200 chilometri che ha dichiarato la sua indipendenza dalla Moldavia fin dal 1990. Da allora è uno Stato filorusso non riconosciuto dalla comunità internazionale e da lì passano indisturbati traffici di armi e droga, le più importanti rotte del contrabbando. E la piccola Transnistria è diventata una delle principali produttrici europee di criptomonete, uno strumento prezioso al servizio del Cremlino per aggirare le sanzioni imposte dall’Unione Europea.
LA GUERRA IBRIDA di Walter Molino Collaborazione Federico Marconi Giulia Sabella Immagini Carlos Dias Montaggio e grafica Giorgio Vallati Ricerca immagini Paola Gottardi
WALTER MOLINO FUORI CAMPO La Moldavia è il Paese più povero del continente europeo. Minacciata dalla Russia a est sul confine ucraino, ha chiesto di entrare a far parte dell’Unione europea. Oggi il destino del Paese è strettamente legato allo sblocco del grano nel porto di Odessa. Una volta libero il porto sul Mar Nero, la Russia potrebbe scatenare l’offensiva e da lì risalire poi fino alla Transnistria, una lingua di terra a est del fiume Dnestr autoproclamatasi indipendente nel 1990, uno Stato non riconosciuto e filorusso. Tra la fine di aprile e la metà di maggio una serie di attentati a Tiraspol hanno fatto scattare l’allarme antiterrorismo e i 1500 militari russi presenti sul territorio si sono mobilitati.
MAIA SANDU – PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA MOLDAVA Vi chiedo di aumentare il supporto dell'Unione europea alla Moldavia per il desiderio che abbiamo di preservare la nostra democrazia e la libertà.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Maia Sandu è stata la prima donna premier in Moldavia, poi è stata eletta Presidente della Repubblica. Ha sconfitto un anno e mezzo fa il presidente uscente Igor Dodon, leader del partito socialista, sostenuto e finanziato dal Cremlino.
WALTER MOLINO La Moldavia chiede a gran voce: fateci entrare subito nell’Unione europea. La Russia immediatamente risponde: questa sarebbe una provocazione.
FABIO MINI – CAPO DI STATO MAGGIORE NATO SUD EUROPA 2000 - 2002 Ho l’impressione che anche la Moldavia, come tutti gli altri paesi, vedano il passaggio con l’Unione europea come intermedio per arrivare alla Nato, a che a sua volta è intermedio per arrivare ad agganciare gli Stati Uniti, perché questa è la dinamica che è successa dappertutto in questi ultimi vent’anni.
FEDERICO MARCONI Unione europea significa anche Nato?
NICU POPESCU - MINISTRO DEGLI ESTERI REPUBBLICA MOLDAVA Per noi si tratta di processi diversi. Vogliamo entrare nell'Unione europea.
FEDERICO MARCONI Perché desiderate così tanto entrare nell’Unione europea?
NICU POPESCU - MINISTRO DEGLI ESTERI REPUBBLICA MOLDAVA La Moldavia è un Paese che ha un'identità europea. In Moldavia parliamo rumeno e l'italiano è la lingua più vicina a noi. Solo per darvi un esempio, sapete, questa è una CRAVATA e questa è OCH e questa è ORECH. In rumeno, questa è CAMACIA che, come vedete, è molto simile all'italiano.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il Consiglio europeo ha dato l’OK alle candidature di Ucraina e Moldavia, Paesi Ue. La Moldavia, ex Repubblica sovietica, i suoi due milioni e mezzo di abitanti con meno di 500 euro al mese di stipendio, sono i più poveri d’Europa. Sono impauriti dalla guerra ma anche dal costo della vita che potrebbe aumentare in caso di entrata nell’Ue. Però bisogna prima soddisfare 35 requisiti tra cui quello economico, quello del rispetto dei diritti civili, la separazione dei poteri, il funzionamento della Giustizia. E qui, secondo Transparency International avrebbe un indice di corruzione tra i più alti. Si è consumato il furto più importante della storia, un miliardo di euro sottratti al sistema bancario e individuati i colpevoli ma non puniti, però siamo certi che il popolo moldavo voglia entrare in Europa e quali sono gli ostacoli che potrebbero presentarsi sul cammino? Il nostro Walter Molino.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO La Moldavia guarda all’Europa ma nella capitale Chisinau il modernismo sovietico dell’architettura ricorda un passato non troppo lontano e da molti rimpianto.
WALTER MOLINO Lei si fida di più dell’Europa o della Russia?
VENDITRICE DI ORTAGGI Della Russia. Perché noi abbiamo vissuto meglio con la Russia che con l’Europa.
CLIENTE AL BANCO DEGLI ORTAGGI Tutti i giovani, tutti che sono adesso, sono per l’Europa, ma questi che sono anziani, che sono un po’ più… non lo so, non leggono i libri, sono per la Russia.
WALTER MOLINO – FUORI CAMPO Vitalie Marinute è un ex Ministro della Difesa moldavo ma conserva buoni legami con le forze armate e i servizi di intelligence occidentali.
VITALIE MARINUTE – MINISTRO DELLA DIFESA REPUBBLICA MOLDAVA 2009 - 2014 Da trent’anni ci sono truppe russe nel nostro territorio, la neutralità è già stata violata. I generali russi hanno dichiarato che la Moldavia è nei loro progetti di invasione.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO A Chisinau la vita scorre apparentemente tranquilla. Nel fine settimana i giovani affollano i locali del centro. Ma intorno ai palazzi del potere serpeggia l’inquietudine. Mihail è un ex agente di polizia e riservista dell’esercito moldavo, che conta appena seimila soldati.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina è a conoscenza del fatto che contingenti di militari dei paesi Nato siano arrivati in territorio moldavo?
MIHAIL – RISERVISTA DELL’ESERCITO MOLDAVO Quello che posso dire è che i soldati del contingente moldavo in Kosovo vengono addestrati dai militari della Nato. Da militari italiani.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il 9 maggio scorso, in barba al divieto del governo, centinaia di persone hanno celebrato la Giornata della Vittoria dell’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale. I filorussi, guidati dall’ex presidente socialista Igor Dodon, hanno sfilato in corteo con il nastro di San Giorgio appuntato al petto, il simbolo della potenza bellica russa. Igor Munteanu è stato ambasciatore moldavo negli Stati Uniti. È vicino all’amministrazione americana e dirige un istituto di ricerche a Chisinau.
IGOR MUNTEANU – AMBASCIATORE MOLDAVO NEGLI STATI UNITI 2010 - 2015 C’è da dire che la Russia controlla il 70 per cento dell’informazione on line in Moldavia e questo influenza moltissimo l’opinione pubblica. Qui tanti considerano Putin il politico più prestigioso del mondo.
WALTER MOLINO Lei teme che oggi la guerra possa arrivare in Moldavia?
IGOR MUNTEANU – AMBASCIATORE MOLDAVO NEGLI STATI UNITI 2010 - 2015 Ci sono diversi tipi di guerre: quella convenzionale; poi c’è quella che usa le risorse politiche, puntando alla disgregazione della coesione sociale e a destabilizzare il sistema energetico.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Moldovagaz è l’azienda statale del gas ma è una proprietà pubblica fittizia. La società è stata scalata dalla russa Gazprom, che ne detiene la maggioranza e stabilisce il prezzo delle forniture.
NICU POPESCU - MINISTRO DEGLI ESTERI REPUBBLICA DELLA MOLDAVIA Sì, Moldovagaz, il monopolista del gas in Moldavia, è di proprietà russa. Ora, l'Unione europea ha dichiarato che ci includerà nel Fondo europeo, la Piattaforma europea di acquisizione del gas.
FEDERICO MARCONI Quindi non sarà un problema se la Russia bloccherà le forniture.
NICU POPESCU - MINISTRO DEGLI ESTERI REPUBBLICA DELLA MOLDAVIA Quello che posso dirvi è che abbiamo un piano B.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Victor Mosneag è il caporedattore di Ziarul de Garda, il settimanale d’inchiesta più letto nel Paese che da anni si occupa dell’influenza del Cremlino nell’economia moldava.
VICTOR MOSNEAG – GIORNALISTA ZIARUL DE GARDA Gazprom si è impadronita di Moldovagaz in modo poco chiaro. Oggi può decidere il prezzo del gas e condiziona la vita delle persone. Quest’inverno abbiamo avuto prezzi record e la gente non aveva soldi per pagare le bollette.
FUORI CAMPO MOLINO Una fetta consistente del gas inviato in Moldavia è appannaggio delle industrie nel territorio della Transnistria che però non pagano la bolletta. E il debito della Moldavia è arrivato a otto miliardi di dollari.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il gas che arriva in Transnistria è lo stesso gas che la Russia vende alla Moldavia, soltanto che la Transnistria non lo paga.
VICTOR MOSNEAG – GIORNALISTA ZIARUL DE GARDA Il debito che si accumula è della Transnistria e prima o poi però la Russia presenterà il conto e lo presenterà alla Moldavia.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Cento chilometri a Sud di Chisinau il tempo sembra essersi fermato. La Gagauzia, una regione di origine turca, è parte integrante della Repubblica Moldava ma ha uno statuto speciale che le garantisce una forte autonomia. A Komrat, la capitale con la cattedrale ortodossa dorata, l’Unione Sovietica non è soltanto un ricordo.
SIGNORA AMELIA Io sono pensionata, però sono costretta a lavorare perché i soldi non mi bastano. Al tempo dell’Unione Sovietica avevo 65 rubli e mi bastavano per vivere.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il 21 maggio si festeggia la giornata dello sport. Allo stadio comunale di Komrat centinaia di giovani si esibiscono in tutte le discipline olimpiche al cospetto della governatrice filorussa Irina Vlah.
IRINA VLAH – GOVERNATRICE DELLA GAGAUZIA Voi siete fedeli alla causa dello sport e della patria. Voi siete i nostri eroi. Esempi di aspirazione alla vittoria, al perfezionamento personale, allo sviluppo del talento e delle capacità.
WALTER MOLINO Sei contenta che la Moldavia entri in Europa?
GIOVANE STUDENTESSA No, non sono contenta. In Europa i prezzi sono alti, qua la gente ha stipendi bassi, vivere sarà ancora più difficile. DONNA AL MERCATO Quello che succede in Ucraina non lo sta facendo Putin. Putin non ammazza la gente, stanno facendo tutto gli ucraini!
UOMO AL MERCATO In Ucraina è in corso un’operazione militare speciale per denazificare e demilitarizzare un paese nazista. È un conflitto locale per impedire l’espansione della Nato a Est. Però non far vedere questa intervista in Moldavia perché mi potrebbero arrestare.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il processo di integrazione europea della Moldavia non sarà una passeggiata. All’indomani dell’intervento della Presidente Sandu al Parlamento europeo, gli oppositori si sono ritrovati a centinaia davanti alle diverse sedi del governo.
GRIGORE NOVAC – DEPUTATO PARTITO SOCIALISTA I sondaggi dicono che c’è parità tra chi vuole entrare in Europa e chi no.
SIGNORA ANZIANA 1 Non vogliamo essere venduti alla Nato e agli Stati Uniti. Loro ci vendono così come hanno venduto anche l’Ucraina. L’America vuole la guerra!
SIGNORA ANZIANA 2 Abbasso la Nato! Abbasso la Nato! Nato, giù le mani dalla Moldavia!
GIOVANE MANIFESTANTE Negli ultimi 30 anni i governi moldavi hanno fatto uso dell’integrazione europea per arricchirsi e truffare la popolazione. Oggi Europa significa furti, corruzione, povertà.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma un passaggio dell’intervento di Maia Sandu a Bruxelles fa nascere il sospetto che a preoccupare i socialisti fosse anche altro.
MAIA SANDU – PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA MOLDAVA Bisogna combattere la corruzione, i politici corrotti che hanno lucrato sul Paese nel passato, rubando ingenti somme di denaro pubblico e spostandoli su conti esteri. Spero possiate aiutarci a recuperare ciò che ci è stato rubato e a consegnare questi fuggitivi alla giustizia.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Pochi giorni dopo la manifestazione di protesta dei socialisti, c’è stato un arresto eccellente: Igor Dodon, l’ex Presidente della Repubblica filorusso e leader del Partito Socialista, è stato portato in carcere con le accuse di corruzione e alto tradimento. Nel 2019 Dodon, al tempo Presidente della Repubblica, viene filmato di nascosto mentre discute i termini di un piano eversivo finanziato dal Cremlino con Vlad Plahotniuc, l’oligarca più ricco del Paese e leader del Partito democratico. Chi abbia registrato di nascosto l’ex presidente però è rimasto un mistero. Il sospetto è che in Moldavia si combatta da anni una guerra tra spie russe e intelligence occidentali. Il 10 maggio scorso, la direttrice dell’intelligence americana Avril Haines parla davanti alla Commissione Difesa del Senato.
AVRIL HAINES – DIRETTRICE INTELLIGENCE STATI UNITI Riteniamo che la Russia voglia consolidare il suo ponte di terra tra Donbass e Crimea ed estenderlo fino alla Transnistria.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Transnistria significa “oltre il fiume Dnestr”. È una repubblica filorussa che si considera indipendente, ma che nessun paese del mondo ha mai riconosciuto, neppure la Russia. Nel 1992, cinque mesi di guerra con la Moldavia si conclusero con un cessate il fuoco. A congelare la tregua arrivò un contingente misto di militari moldavi, russi e ucraini. Da allora molte cose sono cambiate. Dopo gli attentati del 25 aprile scorso, il governo ha dichiarato il codice rosso antiterrorismo. Adesso l’ingresso nel Paese è vietato ai giornalisti stranieri. Varchiamo il confine senza telecamere. Ai check point presidiati dai soldati russi ci presentiamo come turisti. Ci concedono dieci ore di permesso in cui riempiremo gli smartphone di finti selfie: all’uscita potrebbero controllarci la galleria di foto. Questa è la vera sede del potere di Tiraspol: l’impenetrabile palazzo della Sheriff, holding creata da Viktor Gusan e Ilja Kazmaly, due ex agenti del KGB in strettissimi rapporti con Vladimir Putin. Anatoly Dirun è un ex deputato della Transnistria. L’anno scorso si è candidato alle elezioni presidenziali. Ma poco prima del voto la sua candidatura è stata esclusa per un vizio di forma e lui ha preferito riparare in Moldavia.
WALTER MOLINO Sheriff è proprietaria della Transnistria.
ANATOLY DIRUN – DIRETTORE SCUOLA STUDI POLITICI DI TIRASPOL Il Parlamento è dominato dal partito Rinnovamento e il partito è espressione di Sheriff. E adesso è il pilastro su cui poggia lo Stato.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Sheriff è dappertutto: dall’energia ai supermercati, dall’edilizia alle pompe di benzina. E poi c’è la squadra di calcio: lo Sheriff domina da anni il campionato di calcio moldavo e quest’anno in Champions League ha compiuto la straordinaria impresa di battere i campioni d’Europa del Real Madrid nel mitico Santiago Bernabeu.
IGOR MUNTEANU – AMBASCIATORE MOLDAVO NEGLI STATI UNITI 2010 - 2015 Hanno fatto grandi traffici illegali con l’Ucraina fino a prima della guerra. È un buco nero attraverso cui passano contrabbando di armi, droga, rifiuti radioattivi. Grazie ai legami con Gazprom hanno creato un impero che serve agli interessi della Federazione Russa attraverso il colosso Sheriff. Così riescono a corrompere le élite dei paesi vicini. Sia i politici di Kiev che quelli di Chisinau sono stati finanziati da Sheriff.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Le infrastrutture strategiche dal Paese sono sotto stretta sorveglianza come l’unica centrale idroelettrica. I sommozzatori perlustrano la diga sul fiume Dnestr.
IGOR MUNTEANU – AMBASCIATORE MOLDAVO NEGLI STATI UNITI 2010 - 2015 La Transnistria ha dei consumi energetici impressionanti. Pochi sanno che è la terza produttrice europea di criptomonete. È la moneta dei servizi segreti russi. E visto che la Russia è sotto sanzioni, la criptomoneta prodotta in Transnistria è particolarmente preziosa.
WALTER MOLINO La Russia potrebbe utilizzare la criptomoneta quindi continuare a fare i suoi commerci internazionali anche con i paesi che le hanno imposto delle sanzioni.
IGOR MUNTEANU – AMBASCIATORE MOLDAVO NEGLI STATI UNITI 2010 - 2015 Ha perfettamente ragione perché la Russia è come un animale in gabbia.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La Moldavia dal punto di vista energetico dipende totalmente dal Cremlino che controlla anche i social attraverso i quali alimenta la narrazione anti-occidentale. Poi c’è anche la Transnistria, la cui indipendenza non è stata mai riconosciuta dalla comunità internazionale perché, insomma, ci sono alcune anomalie, a cominciare dal fatto che lo Stato dipende sostanzialmente da una holding, la Sheriff, che è stata fondata da due membri, ex membri del KGB, è legata a Gazprom, e controlla l’energia, le pompe di benzina, ma anche l’edilizia, i supermercati e persino il calcio. Attraverso la Transnistria passano armi, droga e rifiuti radioattivi. Inoltre è la terza coniatrice di criptovalute, insomma, per coniare le criptovalute c’è bisogno di energia, solo che, cosa importa, la Transnistria la bolletta non la paga, non paga la bolletta del gas, Gazprom il conto lo presenta direttamente alla Moldavia. Parliamo di otto miliardi di dollari. Insomma, a proposito di finanziamenti sta per arrivare il più grande finanziamento della storia del nostro Paese.
Moldavia, l'ex presidente filorusso ai domiciliari per almeno 30 giorni. Salvatore Giuffrida su La Repubblica il 26 maggio 2022.
Nervi tesi in Moldavia dove da oggi l’ex presidente, il filorusso Igor Dodon, è ai domiciliari per almeno trenta giorni. L’arresto, deciso dalla procura nazionale che indaga per corruzione e alto tradimento, arriva dopo giorni convulsi per la Moldavia: le manifestazioni oceaniche del 9 maggio e i timori di un golpe bianco a favore di Putin, la Gran Bretagna che si dichiara pronta ad armare la Moldavia, il viaggio lampo della presidente filoUe Maia Sandu a Bruxelles, l’inizio dell’offensiva in Donbass da parte dell’esercito russo che nel contempo allenta la morsa su Odessa, a 100 km dalla Transnistria regione separatista da Chisinau che aspetta Putin a braccia aperte.
La Moldavia respira e cerca di fare i conti con la sua anima russa. Da mesi l’antica Bessarabia, appena 2 milioni di anime tra Ucraina e Romania, è divisa tra un incerto cammino verso Ue e Nato e lo spettro di un governo fantoccio filorusso guidato dall’ex presidente Igor Dodon.
Arrestato il 24 maggio e messo in stato di fermo per 72 ore con le accuse di alto tradimento e corruzione per una vecchia inchiesta di tangenti e arricchimento personale, Dodon è adesso agli arresti domiciliari e vi rimarrà per trenta giorni: si scrive arresto, si legge stabilizzazione politica. O processo di deoligarchizzazione, come ha sempre scritto la presidente Maia Sandu, 50 anni compiuti proprio il giorno del fermo di Dodon. Che ha due grossi convitati di pietra: da un lato la Nato e dall’altro la Russia, che si è detta preoccupata per Dodon. Il quale si è ripreso dallo shock iniziale e oggi ha risposto attaccando direttamente Maia Sandu usando il politichese in stile russo: “I procuratori sono guidati dall’ambasciata americana con il consenso di Maia Sandu, è un dossier politico. I consiglieri stranieri, rumeni, americani o tedeschi, controllano tutte le istituzioni”.
Accuse ribattute al mittente dalla Procura nazionale che durante le perquisizioni avrebbe trovato un biglietto di partenza per le 9 del 26 maggio: insomma Dodon stava pianificando di lasciare il Paese. Serafico il governo di Maia Sandu: il ministro della giustizia ha spiegato che in Moldavia nessuno può rimanere impunito di fronte alla giustizia. Parole non casuali: il governo è impegnato in un processo di europeizzazione che passa soprattutto da questa inchiesta e dall’eliminazione del cronico problema della Moldavia, ovvero la corruzione.
Adesso la parola passa alla Procura che indaga su un video di un anno fa in cui Dodon avrebbe ricevuto una borsa nera piena di denaro durante i negoziati per formare una coalizione parlamentare. Il leader filorusso nega tutto ma dovrà rispondere anche di arricchimento personale, dei suoi beni di lusso, della sua casa milionaria a Chisinau comprata, secondo lui, con i soldi di un parente che vive in Italia, di documenti, scontrini e registri per 700mila euro pubblici spesi per motivi personali. Non solo. Durante le perquisizioni di questi giorni, ha spiegato il capo dell’Anticorruzione moldava, Elena Cazacov, sono stati trovati “fonti di denaro per oltre 37mila euro e in una busta contenente gli scritti di un partiti politico abbiamo trovato più di 17mila euro e mille dollari. Questa persona ha cercato di distruggerli ingoiandoli”.
Moldavia, la frontiera della paura schiacciata tra Russia e Ue: «Ma a nessuno interessa davvero una guerra qui». Irene Soave su Il Corriere della Sera l'11 Maggio 2022.
È la meta di molti ucraini fuggiti dalle bombe: «Siamo dietro casa». Martedì la visita di Guterres (Onu): «Il Paese resti sovrano». Le mire di Mosca sulla Transnistria. «Un WhatsApp di mia cugina mi ha convinta. Siamo cresciute insieme a Odessa, ci sentivamo ogni giorno ora che lei vive a Mosca. Non ha mai creduto alla guerra. Vi inventate tutto, mi scriveva, siete pazzi. Le ho mandato la foto del palazzo bombardato vicino al mio: allora ha cambiato versione e mi ha detto ve lo meritate, nazisti, ha ragione Putin. Mi ha fatto paura come le bombe». Così Viktoria, avvocata, ha fatto le valige, caricato in macchina il figlio tredicenne e si è messa in fuga. «Non abbiamo quasi niente. Giusto un pc per le lezioni a distanza». Dal 3 marzo vive e lavora a Chisinau, capitale della Moldavia, offrendo assistenza legale in una struttura di accoglienza allestita dall’Unhcr: la stessa visitata ieri dal segretario generale dell’Onu António Guterres, che ha ringraziato la Moldavia per la «generosità» dell’accoglienza ai profughi.
Dei 5,6 milioni di rifugiati dall’Ucraina, 457 mila sono arrivati in Moldavia, poco meno di 3 milioni di abitanti; come se arrivassero in provincia di Milano, ma in più la Moldavia ha il Pil pro capite più basso d’Europa, 5-6 mila euro l’anno. Uno su quattro, circa, è restato: «Non voglio rifarmi una vita», sospira Viktoria, «e qui siamo dietro casa, e si parla russo». La lingua del nemico semplifica la vita a tutti.
A MoldExpo, la struttura gestita dall’Unhcr che ne alloggia 360, i profughi ricevono carte prepagate con 120 euro a testa: servono a evitare che per sopravvivere finiscano vittime di abusi. «Il 90% di questa migrazione è composto da donne e bambini», ci spiega Colleen Roberts, funzionaria Unhcr esperta di violenza di genere. Molti moldavi ospitano rifugiati (dietro magro compenso, 180 euro una tantum). «Spesso l’offerta di un tetto diventa un ricatto». Ma l’accoglienza funziona: l’80% dei profughi non vive più in strutture d’emergenza. «Una risposta che mostra quanto il Paese condivida i valori europei», commenta il direttore generale per la migrazione della Farnesina Luigi Maria Vignali, in missione in Moldavia insieme all’Unhcr e a Fondazione Amplifon. Il ministero degli Esteri ha donato a Unhcr 10 milioni di euro per l’emergenza.
Le donne ucraine qui cercano quasi tutte lavoro. Alle pareti di MoldExpo è appeso qualche annuncio, in russo. «Cerchiamo cameriera, 500 euro al mese più alloggio e un pasto al giorno». Certo c’è poi il problema di come guardare i bambini, se si è sole: agli uomini in età militare è stato vietato l’espatrio.
Al campo Unhcr di Palanca, al confine, 50 km da Odessa, passa un uomo sulla quarantina, raro come una pecora nera, scappato «coi documenti giusti, non mi chiedere di più per favore», con il figlio per mano. «La gente non ci tratta bene, quando mi vede qui. Hanno i mariti al fronte, io sono qui sano e salvo. Ma cosa devo dire? Non me la sono sentita». Sparisce poi in un pullman per la Romania tra nonne e infanti, borse di pannolini, tablet, stecche di sigarette, trasportini con gatti terrorizzati (al campo di Palanca c’è un veterinario).
Ma quella del segretario generale delle Nazioni Unite, lunedì e ieri, non era solo una visita di ringraziamento, e si è conclusa con l’offerta di «pieno supporto all’indipendenza e all’integrità territoriale della Moldavia». Guterres è arrivato a Chisinau il 9 maggio, giorno della Vittoria in tutta l’ex Urss ora requisito dalla retorica bellica di Mosca: è passato senza incidenti, ma in molti, nelle ambasciate e nei ministeri in stretto silenzio stampa, ammettono off the record di aver trattenuto il fiato. Si temevano incidenti come quelli di fine aprile in Transnistria, la regione separatista filorussa della Moldavia, dove continuano a verificarsi esplosioni misteriose (l’ultima all’alba dell’8 maggio, da un drone) ed è appena stato prorogato lo stato d’allerta.
Giorni fa il generale russo Rustam Minnekaev ha indicato proprio la Transnistria come prossimo fronte dell’avanzata. E nella regione restano dalla guerra del 1992, duemila soldati di Mosca. Prima di Guterres, mercoledì, a Chisinau è arrivato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ha promesso più aiuti militari al Paese.
«Qui, anche nel governo, c’è preoccupazione per le dichiarazioni russe. E anche per qualche discorso da Kiev sull’opportunità di un attacco preventivo in Transnistria. Ma nessuno ha interesse a una guerra in Moldavia». Così Claus Neukirch, capo della missione Osce che dal 1993 ha lo scopo di «facilitare una risoluzione del conflitto in Transnistria».
Il 9 maggio, poi, non è successo niente. Nemmeno — finora — il «golpe bianco» paventato da alcuni osservatori: rivolte di piazza, deposizione della presidente europeista Maia Sandu, suo rimpiazzo con un filorusso. Già nel 2009 fu la piazza a cacciare i comunisti dal governo. «Ma le forze in campo si sono comportate responsabilmente», sorride Neukirch. «Ciò fa ben sperare». Anche a Chisinau, dove quasi tutti hanno il passaporto rumeno, quindi europeo, ma altrettanti parlano (e pensano) russo; e dove tutti giurano che quando il vento soffia da Est si sentano, forti, le bombe a Odessa.
INFO L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) è attivo in Moldavia per l’accoglienza dei profughi ucraini e il sostegno al loro inserimento, anche grazie a un contributo di 10 milioni di euro del ministero degli Esteri e a diverse donazioni di aziende italiane.
Ecco chi era il "Dracula" moldavo. Andrea Muratore il 12 Maggio 2022 su Il Giornale.
Stefano III è l'eroe nazionale della Moldavia. Voivoda dal 1457 al 1504, respinse più volte i Turchi che volevano conquistare la sua terra ma fermò anche le campagne di ungheresi e polacchi.
(Chisinau) Stefano III il Grande (cel Mare) è il protagonista della capitale moldava. L'elegante boulevard su cui si affacciano i palazzi delle istituzioni e che interseca le piazze principali della città prende il suo nome e inizia proprio con il grande monumento del voivoda di Moldavia che dal 1457 al 1504 governò una terra al confine tra l'Europa centro-orientale e la sfera d'influenza dell'Impero Ottomano in rapida ascesa.
Stefano mostra una croce verso il cielo in quello che è ritenuto il più importante monumento nazionale di un popolo tornato all'indipendenza nel 1991 e che nell'antico voivodato, nei suoi simboli (San Giorgio e l'uro) cerca un secondo fattore di legittimazione e unità assieme alla religione civile ereditata dall'epoca sovietica e fondata sulla celebrazione del Nove Maggio, giorno della vittoria dell'Urss sulla Germania nazista. In occasione della quale i moldavi non mancano mai di deporre fiori alla corona di Stefano. Portatore di una croce in quanto verus christianae fidei athleta ("vero campione della fede cristiana"), come fu nominato da Papa Sisto IV dopo che la Moldavia ebbe sconfitto l'Impero ottomano nel 1475 nella battaglia di Vaslui, una delle più severe disfatte subite da Mehmet II, conquistatore di Costantinopoli.
Come e forse più del suo celebre contemporaneo, il cugino Vlad III Tepes di Valacchia (Dracula) Stefano III è stato eroe indipendentista e argine all'avanzata di nemici più potenti. La sua lezione alla Moldavia odierna che ha governato per quasi mezzo secolo è quella di un'unione umana, sociale, politica capace di far fronte a nemici potenti.
Nemico, per ragioni di dispute di confine, del cugino Dracula, dopo che questi fu imprigionato da Mattia Corvino re d'Ungheria Stefano difese la Valacchia dall'espansionismo magiaro, respingendone l'offensiva nel 1467. Divenutone in seguito alleato in chiave antiturca, Stefano capì che per fermare l'espansionismo ottomano la strategia di Vlad non era errata e bisognasse, a più riprese, anticipare le mosse della Sublime Porta. Appoggiato dagli ungheresi, Ștefan aprì le ostilità con la Sublime Porta stroncando nel 1470 una scorreria dei tartari di Crimea alleati di Istanbul e nel 1471 intervenendo nel principato di Valacchia contro il voivoda Radu III, fratello minore di Vlad III, posto sul trono e vassallo di Mehmet II. Quattro anni dopo Stefano, conoscendo a menadito il terreno, con la sua armata portò l'esercito ottomano con i suoi archibugi e giannizzeri a impantanarsi nella piana di Vaslui, travolgendolo con la cavalleria. La battaglia segnò il non plus ultra per diversi decenni all'avanzata ottomana, garantì l'indipendenza della Moldavia e ne consentì la resistenza all'avanzata di Istanbul. Anche il parente e ex rivale Dracula beneficiò dei suoi successi, venendo liberato nel 1475 per guidare fino alla morte (1477) il suo principato temporaneamente de-turchizzato.
Flagello dei turchi, nel decennio successivo Stefano non lasciò loro tregua in Valacchia deponendo regolarmente ogni successore di Vlad III fedele al sultano. "Difensore della Fede" ormai conclamato, con le sue imprese si conquistò un merito militare paragonabile solo a quello di combattenti come Vlad o Scanderbeg, eroe della resistenza albanese, nel puntellare e incalzare alle sue estremità la penetrazione ottomana in Europa. Nel 1484 i turchi tornarono in Moldavia, conquistando la fortezza di Chilia e Cetatea Albǎ. Stefano III sconfisse gli invasori nella Battaglia di Cătlăbuga (16 novembre 1485) e nuovamente nella Battaglia di Șcheia nel marzo del 1486, ponendo fine alla minaccia di Istanbul.
Dopo aver a inizio regno rintuzzato l'avanzata ungherese e aver sostenuto la lotta contro i Turchi Stefano III ebbe ragione anche di una nuova, pericolosa minaccia: i polacchi. Nel regno di Giovanni I Alberto Jagellone (1492-1501) la corte di Cracovia, in via di avvicinamento al Regno di Lituania, coltivava ambizioni di egemonia in Europa orientale e mise nel mirino la Moldavia dopo aver rotto nel 1496 il proposito di una crociata comune volta a respingere verso Istanbul i turchi. 80mila polacchi si riversarono invece verso la Moldavia ma Stefano respinse nel 1497 l'assedio di Suceava e negli anni successivi impose uno scacco tattico ai polacchi, arrivando addirittura a concludere nel 1502 una tregua con Bayezid II, sultano di Istanbul, e a riscattare, per mantenerlo in vita, il Santuario del Monte Athos.
Alla sua morte nel 1504 Stefano III entrò nella storia a pieno diritto. Oggi la Moldavia si identifica nella sua vittoriosa carriera per rivendicare un posto nella storia e un passato capace di far riflettere il suo popolo che della lunga sequela di conquistatori e invasori che si sono succeduti sulle sue terre è un agglomerato: romeni, turchi, russi e via dicendo. Tutti possono trovare un fattore di identificazione, in fin dei conti, in Stefano III. Sovrano capace di far infrangere le onde della storia ai confini della Moldavia. Oggi, con la sua statua, centro vero per la capitale e la sua identità. Intento a brandire la sua croce verso il cielo, venerato come Santo dalla Chiesa ortodossa che in lui vede un simbolo di uno dei popoli che ad essa aderiscono. Per dettare la via alla Moldavia di oggi, Paese che della difesa della sua indipendenza contro ogni minaccia nell'era del grande caos ai confini orientali d'Europa fa la sua stella polare strategica.
PATRIA BIELORUSSIA.
Putin si prende la Bielorussia. Il piano del Cremlino, annessione per referendum: c'è già la data. Il Tempo il 26 maggio 2022.
Mentre sul campo di battaglia in Ucraina continua l'avanzata russa nel Donbass il Cremlino pianifica un'altra annessione, quella della Bielorussa. Neei piani di Vladimir Putin ci sarebbe infatti una "fusione" del Paese guidato dal fedele alleato Lukashenko nella Federazione russa attraverso un referendum da istituire l'11 settembre, la data scelta per il possibile voto nel Donbass e Kherson, ma anche nell'Ossezia del Sud, regione georgiana filorussa. Una sorta di giornata dell'espansione russa.
"Per la prima volta". Putin in ospedale con Shoigu: le immagini da Mosca ribaltano il quadro sul presidente russo
Del piano parla un articolo del sito indipendente russo Meduza che riporta fonti "di alto livello" del Cremlino. Il portavoce dell'opposizione bielorussa Franak Viacorka, scrive il Corriere della sera, fa notare rilanciando l'articolo che "è già in corso un'occupazione russa de facto" a Minsk e questo voto certificherebbe solo quanto già in essere.
Il modus operandi sarebbe quello visto in Crimea nel 2014 con un annessione unilaterale decisa attraverso un referendum. Ma un conto sono le regioni filorusse e separatiste come Ossezia del Sud e Donbass, un altro è il cambio di status di un intero Paese come la Bielorussia con Minsk che perderebbe la totale sovranità. Se lo scenario si dovesse concretizzare, la Federazione russa acquisterebbe un confine con un Paese della Nato, ossia la Polonia.
Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera” il 4 aprile 2022.
«Per me è come un terzo figlio, che mi ha reso orgoglioso per la strada che ha fatto. Siamo sempre rimasti in contatto, ci siamo scritti fino a poco prima che cominciasse la guerra. Ora ha troppe cose da fare, non gli mando messaggi, ma il mio pensiero è sempre lì. A lui e al suo Paese».
Domenico Ventre è un maresciallo dei carabinieri in congedo di 79 anni. Irpino di Atripalda. È di lui e della sua famiglia che il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba parla nell'intervista all'inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi, pubblicata ieri, ricordandone «l'amore» con cui lo accolsero quando era bambino.
Erano gli anni immediatamente successivi al disastro di Chernobyl, e l'Italia offriva ospitalità ai più piccoli provenienti da quei territori avvelenati, affidandoli soprattutto a famiglie che vivevano in zone particolarmente verdi. Come l'Irpinia, appunto. E come la famiglia Ventre. «Lui diventò subito uno di noi. Aveva poco più di dieci anni, e restammo incantati. Parlava perfettamente in inglese, e in pochissimo tempo imparò l'italiano semplicemente guardando la tv, oltre che dialogando con noi, ovviamente. Un bambino intelligentissimo».
Domenico Ventre da qualche anno non vive più ad Atripalda, si è trasferito in Piemonte, a Calenzago Novarese per stare vicino ai figli. E Kuleba, che lui chiama Dima, è andato a trovarlo anche lì. «È venuto con la moglie, e noi siamo stati suoi ospiti a Kiev, dove abbiamo conosciuto anche i genitori».
Ripensando al bambino che arrivò ad Atripalda, il maresciallo quasi si commuove.
«Ricordo che quando stava a casa nostra era felicissimo.
Anche perché cercavamo di fargli fare sempre cose nuove.
Solitamente questi gruppi di bambini venivano in estate, e in periodo di ferie c'era più tempo per dedicarsi a loro.
Andammo in vacanza al mare, a Rimini e Riccione, e gli piacque moltissimo. Ma per lui tutto quello che vedeva in Italia era come un mondo nuovo, quindi lo viveva con entusiasmo. Anche i miei figli, che sono un poco più grandi, si affezionarono subito a lui, lo trattavano come il fratello più piccolo e gli dedicavano mille attenzioni. È stato davvero un bel periodo. E che sia stato anche importante lo dimostra l'affetto che ci lega tutti ancora oggi».
Un affetto che alla famiglia Ventre fa vivere la tragedia dell'Ucraina in modo diverso rispetto alla gran parte degli italiani, qualcosa che va al di là del coinvolgimento emotivo che pure riguarda tutti. E il dolore impedisce a Domenico di approfittare dell'occasione per lasciarsi andare a un messaggio personale al suo caro Dima. «Che questa assurdità passi presto, figlio mio. Non riesco a dire altro».
Estratto dell’articolo di Micol Flammini per “il Foglio” l'8 marzo 2022.
(…) L’obiettivo dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina rimane incomprensibile a chi è chiamato a portarlo avanti. Se non lo capiscono i soldati russi, per i soldati bielorussi è ancora più inafferrabile. Quindi si rifiutano di combattere una guerra che è vista come qualcosa di personale: per Putin per imporre la sua potenza, per Lukashenka la propria sopravvivenza.
Anatoli – nome di fantasia (…) – è un attivista bielorusso che è andato via dal suo paese prima del 2020, prima delle elezioni, prima delle proteste soffocate dal dittatore di Minsk. In questi due anni ha aiutato politici, attivisti, studenti a lasciare la Bielorussia e adesso dice di essere molto preoccupato per i soldati di Minsk.
(…) I soldati si rifiutano di combattere, alcuni hanno attraversato il confine, ma non sono mai arrivati ai posti di combattimento: “Non vogliono scontri”. I motivi sono due. Iniziamo da quello meno idealista: sanno che l’esercito ucraino è più forte, si è allenato in questi ultimi otto anni di guerra nel Donbas, è preparato e anche ben armato. Poi c’è l’altro, quello per cui i bielorussi protestano: “Non c’è nessun motivo per combattere contro gli ucraini”.
Piccole unità dell’esercito di Minsk che erano arrivate in Ucraina sono state rimpatriate, ma tra i soldati c’è chi ha deciso di fuggire e anche gli ufficiali sono divisi. Alcuni sono fedeli al dittatore, altri invece credono che un intervento bielorusso potrebbe essere troppo rischioso.
Sui social nei giorni scorsi girava il video di un tenente colonnello che diceva che i soldati di Minsk non sarebbero mai tornati a casa vivi: “Questa non è la nostra guerra … a volte dire ‘no’ richiede più coraggio”.
Anatoli dice che non ha potuto verificare se il video sia vero, è stato pubblicato da uno dei collaboratori di Svjatlana Tikhanovskaya, la leader dell’opposizione che vive in esilio in Lituania, ma conferma che “nessuno in Bielorussia crede sia la nostra guerra”.
(…) Dice Anatoli che uno dei controsensi che trova in questa guerra è che viene venduta come un’operazione per aiutare i fratelli ucraini: “E’ vero siamo fratelli e infatti questo è un fratricidio”.
Se i bielorussi non vogliono combattere la guerra di Lukashenka e Putin, c’è chi invece vuole unirsi agli ucraini, per stare dall’altra parte del fronte: con Kyiv. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha detto che hanno fatto richiesta per entrare nella legione internazionale dell’Ucraina già più di ventimila persone da cinquantadue paesi. I bielorussi ci sono e sono già più di cento.
«La Bielorussia non è Lukashenko: il popolo non vuole la guerra fratricida». Giulia Ferri su L'Espresso il 4 Marzo 2022.
Oltre 800 persone sono state arrestate per aver protestato contro la guerra. Svetlana Tikhanovskaya chiama alla mobilitazione antimilitarista e chiede all'esercito bielorusso di non combattere. Intanto le associazioni in Europa inviano aiuti umanitari e offrono rifugio ai profughi.
Una Kiev assediata e bombardata, sempre più città ucraine squarciate dai missili. Questo il clima in cui è iniziato il secondo round di negoziati tra Russia e Ucraina, che dovrebbero tenersi Brest, al confine tra Polonia e Bielorussia. La Bielorussia di Alexander Lukashenko, il padre padrone che stringe accordi con Mosca e ne ospita l’esercito, più per interesse personale che per tutelare il proprio Paese.
Dagotraduzione dal Sun l'1 marzo 2022.
L'Ucraina ha dichiarato oggi che la Bielorussia si è unita all'invasione russa mentre le truppe hanno preso d'assalto il confine a nord. Il parlamento del paese ha affermato che le truppe bielorusse sono entrate nella regione di Chernihiv poche ore dopo che il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha affermato di non avere intenzione di unirsi alla guerra di Putin.
In una dichiarazione su Twitter, il parlamento ha dichiarato: «Le truppe bielorusse sono entrate nella regione di Chernihiv. L'informazione è stata confermata al pubblico da Vitaliy Kyrylov, portavoce delle Forze di Difesa Territoriali del Nord».
Intanto Kiev è stata scossa da forti esplosioni dopo che gli attacchi aerei russi hanno colpito la capitale ucraina. Un video drammatico mostrava il cielo notturno illuminato, mentre un'enorme colonna di 60 chilometri di carri armati russi era stata vista avanzare verso la città.
Nelle prime ore di martedì mattina, le sirene dei raid aerei hanno risuonato in tutta la città mentre gli agenti di polizia portavano le persone ai rifugi.
Si ritiene che le truppe di Vladimir Putin stiano cercando di circondare Kiev dopo che i precedenti attacchi delle forze avanzate sono stati respinti in feroci battaglie.
Kiev si stava preparando per un ulteriore assalto dopo che i russi hanno scatenato l'inferno sulla seconda città ucraina, Kharkiv, usando micidiali bombe a grappolo.
Il fornitore di immagini satellitari Maxar Technologies ha affermato che il convoglio all'estremità orientale dell'aeroporto Antonov di Kiev conteneva centinaia di veicoli corazzati, carri armati, artiglieria trainata e veicoli di supporto logistico.
Altre immagini mostravano anche le forze di terra russe vicine a Zdvyzhivka, a nord-est di Kiev.
Lunedì notte, è stato anche riferito che più di 70 soldati ucraini erano stati uccisi dopo che l'artiglieria russa aveva colpito una base militare a Okhtyrka, secondo Dmytro Zhyvytskyy, il capo della regione.
Lukashenko, il «Babbo» della Bielorussia, rimasto in sella solo grazie al Cremlino. Fabrizio Dragosei su Il Corriere della Sera il 27 Febbraio 2022.
L’hockey, le donne, l’amicizia con Vladimir, L’ultimo dittatore è un servitore di Mosca.e il Paese ora è ridotto a provincia. Cederà i poteri al figlio Viktor?
Ha fatto probabilmente bene il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a non accettare di andare in Bielorussia per trattare con Putin: il Paese guidato da Aleksandr Lukashenko che per tanti anni si è barcamenato tra Europa e Russia non ha più la minima indipendenza. È diventato praticamente una provincia nella quale il signore del Cremlino detta legge, come se fosse una semplice appendice della Russia. La rivolta di piazza seguita all’ultima rielezione plebiscitaria (e fasulla) del leader che è in sella da 28 anni stava per disarcionare il «babbo», come ama farsi chiamare dai suoi concittadini/sudditi. Lukashenko è stato salvato solo dall’aiuto «fraterno» del potente vicino. E si sa che da queste parti del mondo gli aiuti non sono mai gratuiti.
Nella tana del lupo
Così quando aveva già deciso di invadere l’Ucraina mesi fa (ora lo sappiamo) Putin telefonò al caro Aleksandr per comunicargli che i suoi militari avrebbero condotto ampie manovre sul territorio della Bielorussia proprio a ridosso del confine con l’Ucraina. Poi gli ha fatto sapere che il numero dei mezzi coinvolti sarebbe aumentato e che altri uomini erano in arrivo. Infine gli ha detto che molto probabilmente le truppe di Mosca sarebbero rimaste a lungo, se non per sempre, sul territorio bielorusso. Lui, il babbo, sa benissimo come si muove il caro Volodya; racconta di avergli detto non molto tempo fa con aria ammiccante: «Ora non sono più io l’ultimo dittatore d’Europa». Putin lo avrebbe guardato gelido: «Non pensi certo che sia io», gli avrebbe risposto.
Oltre a quella per l’hockey, Lukashenko sembra condividere con Putin anche la passione per le belle donne. Non ha mai divorziato dalla moglie Galina, ma ai media del Paese è proibito parlarne. Ha una compagna, di cui pure nessuno scrive nulla, che gli ha dato un figlio, Nikolaj che lui chiama Nikolenka. Di lei si sa che è endocrinologa; in realtà si tratta quasi certamente di Irina Abelskaya che era il medico personale del presidente. Secondo alcune malelingue, anche la dottoressa sarebbe caduta in disgrazia negli ultimi tempi a causa di nuove fiamme, naturalmente assai più giovani del sessantasettenne capo dello Stato.
Nikolenka è da sempre la luce degli occhi del presidente che lo vestiva fin da piccolo con una copia della divisa militare da lui indossata, tanto che veniva soprannominato «mini-Aleksandr».
Nato come dirigente di azienda agricola ai tempi dell’Urss, Lukashenko è entrato in politica con l’indipendenza della Bielorussia, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Nel 1994 era già presidente e da quella poltrona non lo ha spostato più nessuno. È stato rieletto cinque volte sempre con percentuali bulgare; l’ultima volta, due anni fa, l’80%. In un’intervista ha detto confidenzialmente al giornalista: «Creda a me che sono un presidente esperto. Presidenti non si diventa, si nasce».
L’elogio di Hitler
Le uscite estemporanee del babbo sono diventate famose in questi anni. Da quando lodò Hitler per ciò che aveva fatto per la Germania alla definizione che diede di sé stesso: «Sono ateo, ma un ateo ortodosso». Al suo popolo preconizzò: «Vivrete male, ma non a lungo». L’arrivo del Covid lo ha fatto scatenare. Prima ha negato che la pandemia esistesse in Bielorussia, poi si è lanciato in analisi scientifiche, sostenendo che nel Paese erano diminuiti i casi di cancro. «Dio voglia che il Covid sia un rimedio contro le malattie oncologiche». Infine ha prescritto la cura contro la pandemia: sauna, vodka e lavoro nei campi con il trattore.
Dipendenza da Mosca
A capo di un Paese senza sbocco al mare e con poche materie prime, Lukashenko ha sempre dovuto contare sull’aiuto della Russia. La Bielorussia fondamentalmente vive trasformando le materie prime che arrivano da Est e rivendendole all’Europa o alla stessa Russia. Perché il meccanismo funzioni, visto che non si tratta di imprese ad alto contenuto tecnologico, il petrolio con il quale fa benzina e gasolio deve essere poco caro. Idem per il gas che fa funzionare le aziende di fertilizzanti. E allora bisogna compiacere l’amico Volodya.
Quando negli anni la Russia si faceva troppo pressante, il babbo si rivolgeva all’Europa e minacciava di cambiare fronte. Se Bruxelles insisteva troppo con le richieste di democrazia, Lukashenko si volgeva nuovamente verso Mosca. Ma adesso il gioco è finito. A lui, comunque, importa soprattutto rimanere in sella. E magari passare il potere a uno dei suoi figli, tanto per stare tranquillo. Si dice che stia «formando» il primogenito Viktor che ha 46 anni. Gli ha fatto fare le prime esperienze come assistente per la sicurezza nazionale. L’anno scorso lo ha nominato presidente del comitato olimpico.
L'Ossezia guarda a Mosca e la Georgia teme una nuova Crimea. Stefano Graziosi su Panorama il 18 Maggio 2022. La repubblica filo-russa annuncia un referendum per tornare da Mosca ma la Georgia si oppone, con tutte le conseguenze e le preoccupazioni del caso.
L’Ossezia del Sud si prepara a un referendum per aderire alla Russia. A renderlo noto sono state venerdì le autorità della regione separatista, guidata dal presidente uscente, Anatoly Bibilov. “Anatoly Bibilov ha firmato un decreto sullo svolgimento di un referendum nella Repubblica dell'Ossezia del Sud” , si legge in un comunicato ufficiale, che parla anche di una “aspirazione storica” ad entrare nella Federazione russa. Il referendum si terrà il prossimo 17 luglio. “Stiamo tornando a casa” , ha dichiarato Bibilov. “È giunto il momento di unirsi una volta per tutte. L'Ossezia del Sud e la Russia saranno insieme. Questo è l'inizio di una nuova grande storia”, ha proseguito.
L’idea è in sostanza quella di replicare quanto accaduto nel 2014, quando la Crimea tenne un referendum per entrare nella Federazione russa: un referendum il cui esito fu tuttavia fortemente contestato, anche perché si tenne mentre l’area era di fatto sotto il controllo delle forze di Mosca. Nel frattempo, le tensioni tra Georgia e Russia rischiano di tornare seriamente a salire. In passato Tbilisi ha definito “inaccettabili” le intenzioni dell’Ossezia del Sud di tenere una consultazione referendaria per aderire alla Russia. “Nessun referendum avrà valore legale durante l'occupazione, soprattutto sullo sfondo di centinaia di migliaia di nostri cittadini espulsi dalle loro case a causa della pulizia etnica e del divieto di tornare”, aveva dichiarato a fine marzo il ministro degli Esteri della Georgia, David Zalkaliani. In quelle stesse ore, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, si era al contrario mostrato tutt’altro che freddo nei confronti di un eventuale referendum. “Non abbiamo intrapreso alcuna azione legale o di altro tipo al riguardo. Ma allo stesso tempo, in questo caso, stiamo parlando del popolo dell'Ossezia del Sud che esprime la sua opinione: trattiamo questa cosa con rispetto”, aveva dichiarato. Ricordiamo che, esattamente come l’Abcasia, la Repubblica dell’Ossezia del Sud è riconosciuta formalmente soltanto da Russia, Siria, Nicaragua, Venezuela e Nauru.
Va sottolineato che, come in Crimea, Mosca ha in passato rilasciato numerosi passaporti russi nell’Ossezia del Sud attraverso delle procedure semplificate. Questo fattore è stato alla base dell’intervento militare russo in Georgia nel 2008: in quel caso, il Cremlino – richiamandosi alla cosiddetta “dottrina Karaganov” – ha agito militarmente, sostenendo di voler tutelare i cittadini russi presenti nell’area. Non solo: questa politica dei passaporti facili è stata adottata da Mosca negli ultimi anni anche per quanto riguarda il Donbass. Ricordiamo inoltre che il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha recentemente ribadito la disponibilità verso un eventuale ingresso di Tbilisi nell’Alleanza atlantica.
Insomma, il contesto generale presente alcune significative analogie con il caso ucraino. In tal senso, il referendum previsto per luglio rischia di incrementare ulteriormente la tensione e di creare un nuovo fronte bellico. Mosca punta ovviamente ad estendere quella che considera la propria sfera d’influenza e ad indebolire Tbilisi in vista di un suo possibile ingresso nella Nato. Una Nato che, dal canto suo, non accetterà mai un referendum adesione alla Russia né un ulteriore intervento militare in Georgia. Più in generale, questa crisi incipiente rientra nel più complesso contesto di una lotta per l’ordine internazionale: una lotta che, lo stiamo vedendo, vede contrapposti la Nato e l’asse sino-russo, che è orientato in senso marcatamente revisionista.
Si registrano infine dei potenziali problemi interni alla stessa Ossezia del Sud. Bibilov è stato recentemente sconfitto alle elezioni dal rivale Alan Gagloyev che, pur non essendosi detto contrario al referendum, ha espresso alcuni giorni fa dei dubbi sull’opportunità di tenerlo in una fase storica e politica come quella attuale.
«Putin in Ucraina ha già perso molto, ora la Georgia entri nella Ue». Monica Ricci Sargentini su Il Corriere della Sera l'8 giugno 2022.
La presidente del Paese Salomé Zourabichvili: «Dobbiamo smettere di pensare a come reagirà la Russia, dall’Italia è arrivato un grande sostegno».
Salomé Zourabichvili ha visto per la prima volta la Georgia nel 1986, quando aveva 34 anni e lavorava già come diplomatica all’ambasciata di Francia a Washington. Eppure lei, nata a Parigi da due rifugiati politici georgiani, era cresciuta con il mito del suo Paese d’origine: «Quando sei in una famiglia che è stata costretta ad emigrare — dice alCorriere — c’è questa specie di dipendenza dal posto che non puoi visitare». Zourabichvili oggi è la presidente della Georgia, la prima donna a ricoprire questo ruolo, ed è venuta a Roma in visita di Stato, cosa che non accadeva da 25 anni. «Tutti i miei interlocutori, dal premier Draghi al presidente Mattarella, hanno sottolineato che l’Italia è con la Georgia che, in un momento di guerra come questo, è un messaggio prezioso che porto in patria. C’è stato anche un chiaro sostegno all’integrazione europea» ha spiegato senza nascondere la sua soddisfazione, un lampo di luce negli occhi blu.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina, in diretta
Lei ha descritto l’Ucraina «come un altro sé che è sotto attacco» aggiungendo «noi abbiamo già avuto questa esperienza». Come vede la situazione oggi?
«È tragica perché c’è stata tanta distruzione e tante vite perse ma allo stesso tempo io guardo alla lotta degli ucraini con grande ammirazione perché nessuno, in particolare la Russia, si aspettava una resistenza del genere. Quando si vedevano chilometri di carri armati marciare su Kiev bisognava essere molto forti per resistere. Questa in sé è già una vittoria, non sappiamo come finirà la guerra ma i russi hanno già ridotto i loro obiettivi iniziali. Se ci aggiunge la reazione compatta della Ue, il coinvolgimento americano, la resurrezione della Nato e l’apertura all’allargamento dell’Unione Europea mi sembra che Putin abbia perso molto».
Perché all’inizio il premier Garibashvili non ha approvato le sanzioni? Tra voi c’è stata una divergenza di opinione?
«Il nostro popolo ha avuto una reazione spontanea di vicinanza agli ucraini ma è vero che il governo è stato più cauto. Bisogna, però, considerare che abbiamo le truppe russe sul nostro territorio e si temeva una loro reazione. Cosa che non può ancora essere esclusa. Io, tuttavia, sarà perché sono più anziana, penso che sia arrivato il momento di difendere in modo più chiaro i nostri principi. E infatti abbiamo approvato tutte le sanzioni. Stiamo controllando i nostri confini, perché siamo il corridoio tra l’Armenia e la Russia. Ma l’importante è che siamo tutti d’accordo sulla questione dell’integrazione europea. Noi abbiamo i valori europei o meglio l’Europa ha i valori georgiani visto che siamo un Paese di antiche origini cristiane. Se la Russia prova a farci cambiare idea commette un altro errore».
Lei ha detto che l’ingresso nella Nato ormai non è più questione di anni ma avverrà in tempi brevi. Non avete paura della reazione delle truppe russe dislocate in Ossezia del Sud e Abkhazia?
«Dobbiamo smettere di pensare a come reagirà la Russia su questo o su quello. Noi siamo un Paese indipendente e prendiamo le nostre decisioni senza pensare se Mosca si potrà sentire ferita o umiliata. Nessun Paese pensa in questo modo. Noi abbiamo anche nella nostra Costituzione l’obiettivo dell’integrazione europea che ora è più vicino perché abbiamo visto un cambiamento nei Paesi della Ue sull’allargamento. Diversa la questione della Nato come vediamo con la Svezia e la Finlandia. Domani al prossimo summit si aprirà un nuovo pacchetto sulla Georgia. Quindi ci sono novità anche su quel fronte».
La reazione morbida dell’Occidente all’invasione della Georgia e poi della Crimea può avere incoraggiato Mosca ad agire in Ucraina?
«Credo che l’Occidente abbia voluto credere di poter continuare a fare affari come sempre con la Russia, l’invasione della Georgia e della Crimea sono state considerate più degli incidenti che delle vere e proprie violazioni della legge internazionale. Ora, però, la guerra in Ucraina ha reso evidenti quali sono gli obiettivi della Russia. Non sappiamo nemmeno se, con un cambio di leadership, Mosca potrebbe scegliere una nuova strategia, ormai sono secoli che il Paese si è votato all’espansione, invece di cercare buone relazioni con i vicini».
Se dovesse dare una valutazione della sua visita in Italia cosa direbbe?
«Non è una coincidenza che io sia venuta a Roma, penso che le autorità italiane volessero sottolineare il loro appoggio alla Georgia in questo momento specifico. Sia il presidente che il primo ministro hanno rinnovato il loro supporto all’integrità territoriale della Georgia e alla sua sovranità. L’Italia non è stata sempre molto incline all’allargamento ma ora è uno dei Paesi che più lo appoggia. E questo è stato detto chiaramente dal primo ministro Draghi, dal presidente Mattarella e da tutti i miei interlocutori. È un messaggio prezioso che porto con me in Georgia, prima di rientrare farò una tappa a Bruxelles dove avrò un ultimo incontro in vista delle raccomandazioni della Commissione Ue e le decisioni dei capi di Stato».
Pensa che l’Unione Europea vi abbia tenuto per troppo tempo in stand by?
«È tanto che aspettiamo di entrare nella Ue, direi che sono secoli che aspettiamo, negli ultimi 30 anni abbiamo perseguito questo obiettivo con determinazione e nonostante le pressioni che abbiamo subito non abbiamo cambiato idea. La guerra della Russia in Ucraina ha reso chiaro ai leader europei che è stato uno sbaglio far attendere troppo questi Paesi. Moldavia, Ucraina, Georgia e i Balcani occidentali hanno bisogno di un messaggio chiaro dalla Ue perché aspettare troppo a lungo apre la strada alla propaganda russa e al suo soft power».
La regione separatista della Georgia non vuole più annettersi alla Russia. Eleonora Mureddu l'1 giugno 2022 su Europatoday.
Due settimane fa le autorità dell’Ossezia del sud avevano annunciato un referendum per entrare a far parte del Paese governato da Vladimir Putin
La regione separatista delle Georgia, l’Ossezia del sud, ha rinunciato al referendum sulla sua integrazione alla Russia. In un decreto emesso lunedì, il neopresidente dell'enclave controllata da Mosca, Alan Gagloev, ha invocato "l'incertezza delle conseguenze legali della questione sottoposta a referendum".
Il decreto ha anche sottolineato "l'inammissibilità di una decisione unilaterale di un referendum su questioni che riguardano i diritti e gli interessi legittimi della Federazione Russa". Gagloev ha ordinato "di tenere, senza indugio, consultazioni con la parte russa sull'intera gamma di questioni relative all'ulteriore integrazione dell'Ossezia del Sud e della Federazione Russa".
Il 13 maggio, il predecessore di Gagloev, Anatoly Bibilov, che ha perso le elezioni a inizio maggio, aveva firmato un decreto per l'indizione del referendum, citando la "storica aspirazione" della regione a unirsi alla Russia. “Torniamo a casa”, aveva commentato Bibilov su Telegram. “È giunto il momento di unirsi una volta per tutte, l’Ossezia del Sud e la Russia saranno unite. È l’inizio di una grande, nuova storia”. I suoi piani erano stati denunciati come “inaccettabili” dal governo di Tbilisi.
L’Ossezia del Sud è stata al centro della guerra russo-georgiana del 2008. In seguito al conflitto, il Cremlino ha dichiarato l’indipendenza della regione (così come quella dell’Abkhazie, un’altra provincia separatista) e ci ha installato delle sue basi militari. Ufficialmente, l’Ossezia del Sud fa parte della Georgia, ed è stata riconosciuta come Stato indipendente, oltre che da Mosca, da Venezuela, Nicaragua e Nauru.
Nel 2008 la guerra cominciò con una serie di incidenti nell'Ossezia del Sud, regione che agli inizi degli anni Novanta, insieme alla vicina Abcasia, si era autoproclamata indipendente da Tsibilisi con il sostegno di Mosca. Dopo gli accordi firmati a Soci, le due repubbliche rimasero nel territorio georgiano, ma di fatto la Russia ha poco a poco rafforzato i separatisti, concedendo loro sostegni economici ed estendendo la cittadinanza russa alla popolazione di quei territori. Un po' quello che Mosca ha fatto in Ucraina dal 2014 con le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk.
A far scattare la guerra in Ossezia del Sud furono una serie di scontri tra separatisti e forze georgiane: Tsibilisi e la comunità internazionale hanno sempre accusato i separatisti di aver cercato di accendere il fuoco attaccando per primi i militari georgiani. Accuse che Mosca ha rispedito al mittente puntando il dito contro il presunto tentativo del governo di Tsibilisi di voler mettere a rischio la minoranza filorussa del Paese. A sostegno della sua tesi, la Russia utilizzò una intensa campagna mediatica che aprì di fatto la strada all'intervento delle sue forze armate in Georgia, giustificandolo come un'operazione di peacekeeping.
PATRIA UCRAINA.
IL MESSAGGIO SOLIDALE. L'impresa a nuoto del barone Colucci per il popolo dell'Ucraina. Sulla costa di Monopoli l'imprenditore 84enne sfida il mare aperto per 4 km: «Sulla guerra un silenzio inconcepibile, si pensa solo all'economia e non alla tragedia umanitaria». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Agosto 2022.
«Dedico la mia maratona alla pace tra Russia e Ucraina». Sono queste le prime parole pronunciate dal Grand’Ufficiale Barone Vitantonio Colucci, fondatore e presidente sin dal 1967 del Gruppo industriale Plastic-Puglia, protagonista questa mattina, a quasi 84 anni di età, di una maratona natatoria di 4 km in mare aperto. L’evento, organizzato sulla costa di Monopoli, è stato organizzato per sensibilizzare le coscienze sulla tragedia umanitaria scatenata dal conflitto in atto nell’Est europeo. «Sono vicino alle popolazioni che stanno vivendo l’immane dramma della guerra. Parlo a ragion veduta, so che vuol dire. Ero appena un bambino e ricordo il suono dell’allarme antiaereo quando annunciava le bombe che sarebbero cadute sulle nostre città. Perché una maratona di nuoto? Sulla guerra è calato un inconcepibile silenzio: si parla più degli effetti economici causati dal conflitto piuttosto che della grave catastrofe umanitaria che le popolazioni coinvolte stanno vivendo».
L’imprenditore monopolitano ha nuotato partendo dall’ Hotel Lido Torre Egnazia (in località Capitolo a Monopoli), per giungere in mare aperto e quindi tornare al punto di partenza in circa 60 minuti, assistito da motovedette della Capitaneria di Porto di Monopoli e imbarcazioni di appoggio e di controllo. Al suo arrivo erano presenti, tra gli altri, il sindaco di Monopoli Angelo Annese e l'Assessore allo sport e al Turismo, Cristian Iaia, che hanno ringraziato il Barone a nome della città di Monopoli. Domani, nella sala consiliare, il sindaco Annese consegnerà a Colucci una pergamena di merito a nome del Comune di Monopoli. All’imprenditore, patron di una impresa leader mondiale nel settore dell’irrigazione a goccia e che dà lavoro ad oltre 200 dipendenti, è stata consegnata anche una targa di merito da parte del Presidente del Comitato Regionale Puglia del C.S.E.N. (Ente nazionale di promozione sportiva riconosciuto dal CONI), dott. Domenico Marzullo. «Con gratitudine – si legge nel messaggio - per l’ennesima straordinaria impresa che esalta e promuove i nobili valori della pace e dello sport».
L'evento, patrocinato dal Comune di Monopoli e dal C.S.E.N, è stato organizzato in collaborazione con l'A.S.D. Madagascar, Fabio Ruta, società affiliata alla Federazione Italiana Nuoto, della quale il Barone è tesserato nella categoria Master. «Ringrazio – ha concluso il Barone Colucci - Comune di Monopoli e C.S.E.N, oltre che il Comandante della Capitaneria di Porto di Monopoli, la Tenente di Vascello Elisa Giangrasso per la collaborazione e il supporto ricevuto. Ringrazio altresì Francesco Morga e il titolare dell’Hotel Lido Torre Egnazia, Paolo Alba, per l’organizzazione e per l’ospitalità ricevuta».
Independence Day. Storia breve della nazione ucraina e della secolare guerra russa. Guido De Franceschi su L'Inkiesta il 24 Agosto 2022.
Trentuno anni fa, il paese sotto attacco del Cremlino è diventato una nazione indipendente. Dalla fondazione di Kyjiv all’invasione del Donbass fino all’aggressione di questi mesi, il racconto cronologico di un popolo che non ha mai smesso di lottare
882
Intorno al fiume Dnipro si sviluppa la Rus’ di Kyjiv, l’entità statale degli slavi orientali che, nel periodo della sua massima estensione, controllava un territorio che andava dal Mar Nero al Mar Baltico.
988
Il principe della Rus’ di Kyjiv Volodymyr sposa Anna, la sorella dell’imperatore bizantino Basilio e completa la cristianizzazione di Kyjiv.
1240
I mongoli invadono e distruggono Kyjiv. È il definitivo tramonto della Rus’. Nei secoli successivi la storia delle regioni occidentali della Rus’ (che, dopo varie vicissitudini, finiranno nell’orbita del Granducato di Lituania e poi della Confederazione polacco-lituana) si divarica da quella delle regioni orientali (in cui si svilupperà lo Stato russo).
1654
Nel corso del XVII secolo i cosacchi, che erano organizzati in comunità militari guidate da etmani, sono protagonisti di una serie di rivolte. Nel 1654 Bohdan Chmel’nyc’kyi, etmano dei cosacchi zaporoghi, firmò con lo zar russo Alessio I il Trattato di Perejaslav in funzione anti-polacca. Da allora la storia ucraina e quella russa si intrecciano nuovamente e Mosca inizia a esercitare la sua influenza sulla regione.
1708-1709
L’etmano cosacco Ivan Mazepa si allea con la Svezia contro la Russia nella Grande guerra del nord (1700-1721). Il suo obiettivo è emancipare dal controllo russo l’Ucraina, che sotto la sua guida ha conosciuto un’epoca di grande fioritura. Con la morte di Mazepa (1709) il tentativo di autonomia fallisce. Ma la sua vicenda ispira molti scrittori e artisti in Ucraina e all’estero.
1731
Voltaire scrive nella sua Histoire de Charles XII, roi de Suède: «L’Ucraina ha sempre aspirato a essere libera».
1798
L’Enejida di Ivan Kotljarevs’kyj è la prima opera letteraria scritta in ucraino moderno. La prima opera in prosa sarà Marusia, romanzo del 1834 di Gryc’ko Osnov’janenko (pseudonimo di Grigorij Fedorovič Kvitka). Nel 1840, con il titolo Kobzar, viene pubblicata la prima raccolta di testi poetici di Taras Ševčenko, che è una pietra angolare della letteratura e della lingua ucraine.
XIX secolo
Nel corso dell’Ottocento accanto a una rinascita dell’interesse politico per lo spirito nazionale ucraino si intensifica l’interesse letterario per la lingua ucraina che per secoli era rimasta perlopiù confinata nelle zone rurali e limitata alle comunicazioni informali.
1804
La riforma scolastica dello zar Alessandro I permette che nelle scuole statali dell’Impero si insegni anche in altre lingue oltre al russo, ma non in ucraino, che è derubricato a “dialetto”. La regola rimane tale fino al 1917.
1876
Lo zar Alessandro II emana un decreto che mette fuorilegge libri e periodici in lingua ucraina e vieta l’uso dell’ucraino nei teatri.
1917
In seguito alle restrizioni e ai tentativi di togliere prestigio alla lingua locale, nell’anno della Rivoluzione d’Ottobre solo un quinto degli abitanti di Kyjiv parla ucraino.
1917-1918
Con il crollo dell’Impero russo e di quello austro-ungarico, i nazionalisti ucraini sperano nell’ottenimento dell’indipendenza per il loro Paese. Ma, dopo alcuni scontri, le regioni orientali dell’Ucraina, compresa la Galizia e la città di Leopoli, vengono integrate nella Polonia. A est, la situazione è più complessa.
1917-1919
In tre anni in Ucraina vengono pubblicati 59 libri sulla lingua ucraina (in tutto l’Ottocento ne erano usciti 11): fra questi, 3 dizionari ucraino-russo e 15 russo-ucraino.
17 marzo 1917
In Ucraina viene istituita la Rada, e cioè un Consiglio centrale ucraino di cui è eletto primo presidente lo storico Mychajlo Hruševs’kyi.
22 novembre 1917
Nel contesto convulso della Guerra civile russa, la Rada annuncia la creazione di un’entità politica ucraina autonoma, la Repubblica ucraina, con un’iniziale intenzione di mantenere i suoi legami con la Russia.
25 gennaio 1918
La Rada proclama l’indipendenza dalla Russia sovietica e la nascita di uno Stato ucraino sovrano: la Repubblica popolare ucraina.
9 febbraio 1918
I rappresentanti ucraini firmano la pace separata di Brest-Litovsk con gli Imperi centrali, con un anticipo di qualche settimana rispetto al trattato con lo stesso nome che sarà firmato dal governo russo. Nello stesso giorno l’Armata rossa occupa Kyjiv, su ordine di Lenin. Ne verrà scacciata dall’arrivo di truppe tedesche e austriache.
1918
Sul territorio ucraino si misurano: • Pavlo Skoropads’kyi, che compie un colpo di Stato conservatore appoggiato dai tedeschi contro la Repubblica popolare ucraina e si proclama etmano (Skoropads’kyi che è favorevole allo sviluppo della cultura ucraina, fonda in poche settimane l’Accademia delle scienze e la Biblioteca nazionale ucraine);
• Symon Petljura, un socialdemocratico che si pone alla guida del cosiddetto Direttorio, formato da varie forze a favore dell’indipendenza ucraina;
• I bolscevichi (russi e ucraini) appoggiati dall’Armata rossa russa. Prevarrà il Direttorio.
Gennaio 1919
L’Armata rossa invade nuovamente una parte del territorio ucraino: tra le prime misure, i russi proibiscono l’uso dell’ucraino a scuola e chiudono i teatri in lingua ucraina.
1919-1921
In un convulso gioco di alleanze e scontri (con il contorno dei consueti, sanguinari e pretestuosi pogrom contro gli ebrei, che sono una costante della storia di quella regione e di cui si macchiano quasi tutte le forze in campo) si contendono il controllo dell’Ucraina:
• Il Direttorio di Petljura;
• I bolscevichi guidati da Mosca;
• Le bande anarcoidi guidate dal leader contadino Nestor Machno;
• I soldati fedeli al leader carismatico cosacco Matvi Hryhor’iev, che cambia mille volte bandiera in pochi mesi;
• L’Armata bianca dei controrivoluzionari russi, che è guidata in Ucraina dal generale Anton Denikin.
1921
L’Armata rossa (composta allora per l’85 per cento da russi e solo per il 9 per cento da ucraini) ottiene la vittoria sulle altre forze. Nello stesso anno la Russia e anche l’Ucraina sovietizzata patiscono una grave carestia. Lenin accetta aiuti alimentari dall’estero e addirittura dagli Stati Uniti.
30 dicembre 1922
Nasce l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, di cui fa parte la Repubblica socialista sovietica ucraina.
1923
Le autorità sovietiche, per limitare le fiammate nazionaliste da parte dei non russi, lanciano la politica dell’autoctonismo (korenizacija), con la promozione delle altre lingue, della loro cultura e del loro insegnamento. In Ucraina si assiste così alla cosiddetta “ucrainizzazione”.
1923-1929
In questi anni raddoppia il numero dei libri pubblicati in ucraino. La percentuale di scuole in cui si studia in ucraino passa dal 50 per cento scarso del 1923 all’88 per cento del 1933. La letteratura ucraina ottiene uno slancio significativo: nascono i generi di massa e appaiono le prime traduzioni dalle lingue straniere all’ucraino.
1924
In Russia muore Lenin. Attratto dal nuovo clima di “ucrainizzazione” torna in patria lo storico Mychajlo Hruševs’kyi, già presidente della Rada del 1917 (verrà poi arrestato ed esiliato in Russia e morirà in circostanze sospette nel 1934).
1925
Il Consiglio ucraino dei commissari del popolo crea una commissione ortografica incaricata di formalizzare e uniformare la lingua ucraina.
1928
Stalin smantella la Nuova politica economica varata da Lenin nel 1921 e lancia il primo “piano quinquennale”. Ma l’economia continua a non funzionare e in Ucraina continua a serpeggiare il malcontento.
1929
A partire da quest’anno, nell’ambito della progressiva collettivizzazione dell’agricoltura, Stalin scatena una violentissima campagna contro i kurkuli (in russo “kulaki”), i contadini, anche per nulla ricchi, che possiedono la loro terra. I campi vengono espropriati e i kurkuli sono costretti a lavorare nella fattorie collettive e sono indicati come nemici del popolo. La repressione contro chi non si piega è spietata. Molti kurkuli sono arrestati o uccisi e a centinaia di migliaia vengono deportati. La dekurkulizzazione (o “dekulakizzazione”) colpisce con particolare ferocia l’Ucraina, che ha tradizionalmente un fitto tessuto di agricoltori legatissimi alla loro terra.
1930
In Ucraina ci sono numerosi disordini che mostrano come larghe fasce della popolazione non si siano rassegnate alla dominazione bolscevica guidata da Mosca. In questi anni vengono colpiti con arresti, condanne, deportazioni e pene capitali molti intellettuali ucraini con le accuse più varie e fantasiose di attività antisovietica. L’ucrainizzazione è ormai un ricordo.
1932-1933
La fallimentare politica agricola perseguita da Stalin, che prevede che l’Ucraina produca quantitativi inimmaginabili di grano in fattorie collettive malfunzionanti in cui si ricorre di fatto al lavoro coatto di contadini poveri e di ex kurkuli, conduce a una terrificante carestia tutta l’Unione Sovietica. Il governo di Mosca aggrava scientemente la situazione di penuria alimentare in Ucraina spingendo quella Repubblica, troppo spesso dissidente e turbolenta, verso la catastrofe umanitaria: nei due anni di carestia “pilotata” da Mosca, una tragedia nota in lingua ucraina come Holodomor, morirono, secondo le stime più credibili, quasi 4 milioni di persone e ci furono persino diffusi episodi di cannibalismo. Negli stessi anni vengono arrestate in Ucraina 200mila persone: in sostanza viene cancellata un’intera generazione di ucraini colti e patriottici, promotori della propria lingua.
1933
Il console italiano Sergio Gradenigo, a Kharkiv dal 1931 al 1934, scrive in quegli anni: «L’attuale disastro porterà alla colonizzazione dell’Ucraina da parte dei russi. Muterà il carattere dell’Ucraina. Nel prossimo futuro non ci sarà più ragione di parlare di Ucraina o popolo ucraino, semplicemente perché, quando l’Ucraina diventerà parte indistinguibile della Russia, non ci sarà più nessun problema ucraino».
1937-1938
Anche le purghe del Grande Terrore staliniano si abbattono con particolare accanimento sull’Ucraina. Tra le molte vittime ci sono intellettuali e dirigenti di istituzioni culturali ucraine.
1939
A seguito della firma del patto Molotov-Ribbentrop le truppe russe occupano la Galizia e la Volinia nell’Ovest dell’Ucraina, mentre le truppe tedesche occupano la Polonia.
22 giugno 1941
Le truppe di Adolf Hitler entrano in Unione Sovietica. A fine anno quasi tutta l’Ucraina è sotto il controllo tedesco. Durante l’occupazione due ebrei ucraini su tre (circa un milione di persone) vengono uccisi e due milioni di ucraini vengono spediti a lavorare in Germania. Nei campi di prigionia in cui vengono rinchiusi molti ucraini si registrano condizioni spaventose. Ma l’iniziale, miopissima accoglienza dei tedeschi come liberatori dell’Ucraina (la stessa cosa avvenne nei Paesi baltici) fornisce ancora al giorno d’oggi combustibile alle accuse di nazismo rivolte agli ucraini.
1941-1945
Mentre in Unione Sovietica ogni riferimento pubblico alla carestia del 1932-1933 è ferocemente represso, la pubblicistica in ucraino degli spietati (e a loro volta affamatori) occupatori nazisti dà grande rilievo alle responsabilità di Stalin in quel biennio spaventoso. Anche questa circostanza fornirà il pretesto per accusare di nazismo chi in seguito si occuperà di raccontare l’Holodomor.
18 maggio 1944
Per ordine di Stalin e con l’accusa di collaborazionismo con i nazisti viene deportato in Asia centrale l’intero popolo dei tatari di Crimea, autoctono dell’omonima penisola che si affaccia nelle acque del Mar Nero.
1945
All’Ucraina vengono aggiunte delle porzioni di territorio in precedenza appartenenti alla Polonia e alla Romania, tra cui la Galizia e la città di Leopoli.
1946-1991
Dopo la Seconda guerra mondiale chi in Ucraina critica il regime sovietico non viene più chiamato “kulako” (variante russa di “kurkul”) o “controrivoluzionario” o “nemico del popolo”, ma semplicemente: “nazista”.
1954
Per commemorare il 300esimo anniversario del Trattato di Perejaslav tra i cosacchi e la Russia, il leader sovietico Nikita Chruščev assegna la Crimea alla Repubblica socialista sovietica ucraina.
1959-1970
Nel corso del decennio, nell’ambito di vari spostamenti interni all’Unione Sovietica, emigra in Ucraina circa un milione di russi.
1961
Negli anni della destalinizzazione si assiste a un ulteriore risveglio culturale ucraino. Ma nel 1961, nel 1966 e poi ancora in seguito numerosi intellettuali ucraini vengono processati o destituiti dalle loro cariche con accuse pretestuose.
26 aprile 1986
Un grave incidente presso la centrale nucleare di Černobyl’, nel nord dell’Ucraina, viene inizialmente tenuto nascosto dalle autorità sovietiche. Questa scelta rende ancora più pesanti le conseguenze per la popolazione.
1988
Il Partito comunista ucraino apre gli archivi agli studiosi per controbattere all’accusa secondo cui la carestia del 1932-1933 è stata volutamente aggravata dal regime sovietico. Ma l’analisi dei documenti delude gli intenti delle autorità, dal momento che le carte confermano la tesi del dolo.
1 dicembre 1991
Nel referendum che si tiene nei mesi in cui l’Unione Sovietica si sta sfaldando, il 92,3 per cento dei cittadini ucraini vota a favore dell’indipendenza. Nasce la Repubblica ucraina. I tatari di Crimea cominciano a rientrare nella loro terra.
5 dicembre 1994
Con il Memorandum di Budapest l’Ucraina rinuncia alle armi nucleari ereditate dall’Unione sovietica. In cambio, ottiene assicurazioni da Mosca sul rispetto della sua indipendenza e della sua integrità territoriale.
21 novembre 2004
All’indomani delle elezioni presidenziali, la vittoria di Viktor Janukovyč, pupillo del capo di Stato uscente Leonid Kuchma, viene contestata da un ampio movimento che contesta la regolarità dello spoglio. La protesta prende il nome di Rivoluzione arancione. Le elezioni vengono ripetute il 26 dicembre e vengono vinte dal filoeuropeo Viktor Juščenko.
2010
Il filorusso Viktor Janukovyč vince le elezioni presidenziali
Novembre 2013
In seguito alla decisione del governo di sospendere le trattative per la conclusione di un accordo di associazione con l’Unione europea si sviluppa un’enorme mobilitazione popolare che diverrà nota come Euromaidan. La repressione delle proteste causerà più di cento vittime.
21 febbraio 2014
Janukovyč viene rovesciato e posto sotto accusa. Si rifugia in Russia.
27 febbraio 2014
La Russia invia in Crimea truppe senza segni di riconoscimento, si assicura il controllo del governo locale e dichiara l’indipendenza della penisola dall’Ucraina, nonostante molti cittadini (ad esempio i tatari) manifestino la loro contrarietà.
16 marzo 2014
In Crimea si svolge un referendum di autodeterminazione, non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale. Il 95,32 per cento dei votanti sceglie la secessione dall’Ucraina.
Marzo e aprile 2014
Inizia la guerra per il Donbas. Nelle regioni orientali a maggioranza russofona dell’Ucraina, intorno alle città di Donec’k e Luhans’k, si formano delle milizie locali pro-russe che, con l’aiuto non dichiarato di Mosca, prendono il controllo armato di parte del territorio. Nascono le autoproclamate Repubbliche popolari di Donec’k e Luhans’k, riconosciute solo dalla Russia.
25 maggio 2014
Il pro-europeo Petro Poroshenko vince le elezioni presidenziali ucraine e firma immediatamente l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea.
11 febbraio 2015
Viene firmato in Bielorussia un accordo (noto come Minsk II) per il cessate il fuoco in Donbas. Non sarà mai davvero rispettato.
24 febbraio 2022
Dopo anni di rapporti tesi, durante i quali si assiste al periodico riattizzarsi degli scontri in Donbas, e dopo mesi di escalation nelle minacce rivolte da Mosca a Kyjiv, le truppe russe invadono l’Ucraina. È per difendere la popolazione di lingua russa – dicono dal Cremlino – e per denazificare il governo guidato dal presidente Volodymyr Zelensky, un ex comico di origini ebraiche che ha il russo come lingua madre.
Gran parte delle notizie di questa timeline sono tratte dal libro La grande carestia. La guerra di Stalin all’Ucraina di Anne Applebaum (Mondadori, 2019).
Una storia europea. L’identità e la resistenza millenaria dell’Ucraina. Matteo Castellucci su L'Inkiesta il 25 Agosto 2022
Gli ucraini hanno affrontato momenti critici e unendo le forze hanno saputo reagire nei confronti di chiunque volesse sottometterli. Non solo in circostanze di emergenza, esiste una fila di paesi europei pronti a sostenere questo paese
Quella dell’Ucraina è una storia europea. La festa nazionale ricorre ogni 24 agosto, ma in queste ore ha una valenza ancora più forte rispetto alle trenta volte che l’hanno preceduta a partire dall’indipendenza del 1991. Il muro di Berlino era caduto due anni prima, si sgretolava il socialismo reale. Anche oggi il Paese è un simbolo della resistenza all’imperialismo e di riscatto contro l’oppressione delle dittature. Da allora, ha guardato a Occidente, la colpa che il Cremlino cerca di fargli pagare coi carri armati. Ci sono voluti più di trent’anni per percorrere i duemila chilometri che separano Kyjiv da Bruxelles. Non è solo geografia dire che il centro del nostro continente si trova lì.
Solo secondo il delirio di Vladimir Putin non è una nazione, ma una falsificazione come quella che il nuovo zar ha rinfacciato a Lenin in un allucinato discorso alla nazione. Propaganda.
La verità storica è che in Ucraina la Russia ci è nata, nell’Anno Domini 882. Forse per questo i fallimenti di questi sei mesi di guerra gli bruciano così tanto. L’eroismo degli ucraini ha smentito le previsioni dei famigerati servizi segreti di Mosca. In questi mesi, abbiamo sentito spesso un’interpretazione dell’etimologia di Ucraina, come «terra di confine». Senza essere filologi, la frontiera in questione è quella tra la democrazia e il fascismo cleptocrate degli oligarchi.
“Rus’” è il nome del clan vichingo che regnava a Kyjiv, sul fiume Dnepr. Quello snodo era strategico per i commerci dell’epoca, tra il Baltico e il Mar Nero. Nel 998 il sovrano Vladimir I si converte al cristianesimo ortodosso sposando la sorella dell’imperatore bizantino Basilio II. Quattro secoli più tardi sciama l’orda dei Mongoli, poi le dominazioni di Lituania e Polonia, fino alla spartizione con la Russia imperiale. Nell’Ottocento quelle distese sono terreno di coltura di un forte sentimento anti-zarista. È un avanti veloce inevitabile per avvicinarci al presente.
Nel 1917 i dieci giorni della rivoluzione bolscevica sconvolgono il mondo. L’Ucraina di quello scorcio di Novecento reclama per la prima volta la repubblica e ospita anche un esperimento anarchico: lo Stato senza lo Stato della Makhnovshchina, prima alleata dei rossi poi in rotta con loro. Sotto la bandiera nera di Nestor Makhno, da Huliaipole quell’utopia radicale si allarga al Donbas e a Kharkiv. Dopo Brest-Litovsk, la guerriglia taglieggia tedeschi e austriaci; gli imperi centrali si ritirano all’armistizio del 1918. Gli scontri tra fazioni si protraggono fino al 1921, quando il Paese viene inglobato nell’Unione Sovietica.
Mosca, però, è lontana. Il controllo del Partito comunista, con la disastrosa politica economica di collettivizzazione forzata delle terre e l’epurazione dei kulaki, si tradurrà nello svuotamento delle campagne e nell’Holodomor, una carestia che non è un flagello biblico, ma causata dagli uomini. Sette milioni di morti per fame. Anche per questo, parte della popolazione accoglie con sollievo gli invasori nazisti nel 1941. Il Terzo Reich governa a mano armata, il dissenso è represso nel sangue. Fino al 1950 c’è un conflitto strisciante tra i nazionalisti e i russi.
Nel 1954 Nikita Krusciov regala a Kyjiv la Crimea, l’ambito sbocco sul mare dai tempi della zarina Caterina II. Poi l’opinione pubblica occidentale si scorda dell’Ucraina fino al 26 aprile 1986, il giorno in cui scoppia il quarto reattore di Černobyl’. Attorno alla centrale sigillata si è tornati a combattere nel 2022, in un tornante della storia.
A dicembre 1991, il 92.3% degli ucraini vota per l’indipendenza al referendum. La repubblica è una delle più prospere tra quelle uscite dall’orbita sovietica: il settore agricolo è molto sviluppato, ci sono alcuni stabilimenti – come l’Azovstal’ – di punta dell’industria siderurgica e bellica. Le armi diventano un problema. Al collasso dell’Urss, in Ucraina si trovano più di 1200 delle 3mila testate atomiche dell’ex Patto di Varsavia. Nel 1994, con il memorandum di Budapest, il Paese aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare. Le bombe vengono trasferite in Russia, ma in cambio Mosca, con garanti la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, si impegna a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale.
Aleggia ancora lo spettro di Černobyl’, con una reputazione internazionale da ricostruire. Le merci prodotte oltre la vecchia «cortina di ferro» sono poco competitive sui mercati internazionali e fino alla Costituzione del 1996 non c’è nemmeno una valuta nazionale, la grivnia. È un periodo di crisi economica e inflazione marciante, ma la nuova Ucraina sogna già un futuro più vicino all’Europa. Nel 1994, a soli tre anni dall’indipendenza, viene firmato il primo trattato di cooperazione tra Kyjiv e Bruxelles.
Il dialogo continua, costante. Nell’archivio video della Commissione europea, ci sono foto e filmati che ormai sembrano d’epoca, con le strette di mano e quella bandiera – sotto l’oro dei campi, sopra il blu del cielo – oggi così familiare accanto a quella europea. Segna una battuta d’arresto l’elezione di Viktor Janukovyč. È l’autunno caldo del 2004, le proteste contro un premier troppo vicino al Cremlino scatenano la Rivoluzione Arancione. Sventata la frode elettorale, sale al potere il riformista Viktor Juščenko. La leadership femminile di Julija Tymošenko, il volto delle manifestazioni di piazza, le vale il posto di prima ministra.
La crisi finanziaria del 2008 si fa sentire anche qui. I negoziati con l’Ue non sopravvivono al governo di Juščenko. Nel 2010 torna in sella Janukovyč, che nel novembre 2013 rifiuta di firmare l’integrazione economica con l’Ue, preferendo l’adesione all’Unione doganale Euroasiatica offerta da Putin. Il Paese insorge nuovamente e rivendica un avvenire diverso. Piazza Maidan – o, meglio, Euromaidan – non sarà più la stessa. Centinaia di migliaia di ucraini sfidano una repressione violenta, e vincono. Il presidente filorusso fugge. Come ritorsione, nel 2014 Putin annette la Crimea e fomenta il separatismo a Luhansk e Donetsk.
Falliscono le due edizioni del protocollo di Minsk, patrocinato dal cosiddetto «formato Normandia», cioè con la mediazione della Germania di Angela Merkel e della Francia di François Hollande. Grandi assenti gli Stati Uniti. Le condizioni prevedono la fine dei combattimenti, autonomia ed elezioni locali, autodeterminazione linguistica per il russo, il ritiro delle truppe straniere e delle armi pesanti, l’amnistia ai separatisti. Non saranno rispettate. Il conflitto nel Donbass, tra il 2014 e il 24 febbraio 2022, su un fronte lungo 420 chilometri farà più di 14mila vittime, tra cui oltre 3mila civili, e causerà più di un milione di sfollati interni.
Nel 2017, con Petro Porošenko Kyjiv sottoscrive finalmente la prima intesa con Bruxelles. Due anni dopo il terremoto politico in cui trionfa Volodymir Zelensky. Attorno all’ex comico diventato leader si stringe il Paese in guerra. Lui sa inchiodare alle sue responsabilità un’Europa che inizialmente temporeggia. Prima le sanzioni, a più riprese, poi le visite dei capi di Stato e dei vertici delle istituzioni comunitarie. Dal questionario di adesione all’Ue al parere positivo passano settimane contro gli anni richiesti in passato. Serviranno riforme, certo. Per il momento, all’Ucraina servono soprattutto armi. L’apertura dei Ventisette è solo l’inizio, ma oggi significa soprattutto un segnale di speranza: che il futuro europeo sognato negli ultimi trent’anni è ancora possibile.
Il nastro gialloblu. La mia indipendenza e quella dell’Ucraina, un giorno di 31 anni fa. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 24 Agosto 2022.
Il 24 agosto 1991, il Parlamento ucraino approvò formalmente la nascita di un nuovo Stato. Pochi giorni dopo una timida bambina iniziò la scuola in un paese appena nato: niente più uniformi e quella sensazione di libertà che le diede la forza di premere con gioia la campanella del nuovo anno
La fine di agosto sa sempre di una fine e di un inizio, di quel frangente di tempo in cui muore l’estate e nascono i piani per il futuro autunno. L’estate in Ucraina finisce insieme con agosto. Calano le temperature, cadono le piogge, gli alunni stringono tra le mani i mazzi di fiori tagliati freschi dalle aiuole delle mamme, vestiti eleganti per il primo giorno di scuola, che inizia il primo di settembre.
La fine di agosto sa di quel profumo di fieno che essicca sui campi, sa di prezzemolo tritato saltato in padella con i primi funghi raccolti la mattina, i porcini e le russule, sa di libri vecchi, presi nella biblioteca della scuola, che appartenevano a generazioni passate con quella lista di chi li ha presi in prestito che rimane sulla seconda di copertina, come se fosse una lista di delinquenti abituali, perché gli utilizzatori venivano giudicati per come avevano tenuto i libri. Nelle scuole sovietiche e ucraine degli anni Novanta i libri scolastici erano forniti dallo Stato.
La fine di agosto sa anche di una fine agonizzante dello stato totalitario che si sgretolava come un calcestruzzo mal gettato e sa anche di un inizio, di una nascita di una nazione indipendente che da decenni bramava l’idea della propria statualità, poi convalidata dall’ingresso nell’aula della Rada di quella bandiera gialloblù, orgogliosamente portata dai dissidenti ucraini dopo il voto parlamentare che ha proclamato la nascita dello stato dell’Ucraina. Era il 24 agosto 1991.
Un’indipendenza confermata col referendum del primo dicembre 1991 al quale il 90,3 per cento dei partecipanti ha votato per uscire dall’URSS. Come primo presidente è stato eletto Leonid Kravchuk. È stato un inizio che ha richiesto tanto impegno: scrivere una nuova Costituzione, formare le proprie forze armate e i propri servizi segreti, avviare l’economia così tanto dipendente da quella sovietica, stampare una propria moneta, scrivere e adottare le leggi sulla cittadinanza, sul testo dell’inno, sulla bandiera e sullo stemma, entrati in vigore a febbraio del 1992.
La fine di agosto sa di quella timida bambina che sta per iniziare la scuola in un paese appena nato. Anche lei, come quel paese, stava per iniziare una nuova vita. La vita dove avrebbe imparato a leggere e a scrivere, a fare i conti, a risolvere i problemi matematici per poi non scegliere affatto la matematica come mestiere. Persa tra la folla degli alunni con il suo mazzetto di fiori a ripassare la poesia imparata qualche giorno prima per recitarla davanti a tutta la scuola: «Siamo piccoli, ma siamo tutti amici, siamo una famiglia unità e la nostra madre è l’Ucraina».
Quel primo settembre 1992 non si sapeva ancora bene come organizzarsi. L’uniforme scolastica non era più obbligatoria, eppure c’era qualcuno che l’aveva indossata, forse ereditandola dai fratelli maggiori. I miei genitori avevano optato per una gonna nera e una camicetta bianca. La festa del primo giorno di scuola era comunque organizzata a modo di tutte le feste che si facevano negli ultimi decenni in Unione sovietica: tutte le classi erano in piedi raggruppate come i reggimenti militari, una dopo l’altra dalla prima all’undicesima. Prima dell’inizio della festa suonò, forse per la prima volta nel cortile di quella scuola, l’inno dell’Ucraina. La classe dei maturandi e la classe delle matricole, le classi che sempre meritano più attenzione, entravano nel cortile con la musica della marcia cosacca, messa da mio padre, per coincidenza insegnante di lingua e letteratura ucraina e organizzatore di tutti gli eventi scolastici.
Il direttore di scuola, per coincidenza mio zio e insegnante di storia, aveva fatto il discorso con i piani per il futuro anno scolastico. E di piani ce ne erano tanti: cambiare libri, parlare finalmente delle pagine storiche delle quali non si poteva parlare prima: Holodomor, il Rinascimento fucilato, i dissidenti. Dare più spazio alla letteratura ucraina, pensare che cosa fare con le lezioni di russo. C’era aria di festa, di crisantemi amari, i fiori dell’autunno, di colletti eleganti di camicie bianche, di libri vecchi e di quella poesia imparata a memoria.
La tradizione, ancora quella sovietica, voleva che alla fine della festa lo studente della classe dei maturandi prendesse sulla spalla una matricola per suonare la campanella che annunciava l’inizio dell’anno scolastico.
A quella campanella pesante, con una vite attaccata alla catena, per la prima volta è stata messa una striscia gialloblù ed è stata tolta la striscia color rosso comunista. La tenevo con una mano sola, non volevo sembrare una bambina debole mentre tutti intorno gridavano: più forte, più decisa! Volevano iniziare quell’anno scolastico più forti e più decisi che mai.
Trent’anni dopo, il 25 febbraio 2022, al posto della campanella in quel cortile risuonarono le bombe, uccidendo cinque civili, tra quelli presenti alla festa del settembre 1992. L’indipendenza dell’Ucraina, raggiunta così a fatica, era di nuovo minacciata. Da quel giorno sono passati sei mesi e l’Ucraina è ancora indipendente. Oggi festeggia la sua festa con ferite, perdite e dolore, ma con la più ferma, come non mai, consapevolezza del valore dell’indipendenza, proclamata il 24 agosto 1991.
Presidenti dell'Ucraina. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il presidente dell'Ucraina (in ucraino: Президент України, traslitterato: Prezydent Ukraïny) è il capo di Stato dell'Ucraina e agisce in suo nome. Il presidente è garante della sovranità dello Stato e dell'indivisibilità territoriale, dell'osservanza della Costituzione, dei diritti umani e della libertà dei cittadini. Il presidente è eletto per voto popolare e la carica dura cinque anni.
La residenza ufficiale del presidente per scopi cerimoniali è il Palazzo Mariinskij.
Dal 20 maggio 2019 il presidente dell'Ucraina è Volodymyr Zelens'kyj, che ha assunto la carica dopo aver vinto le elezioni presidenziali.
Storia.
Il 5 luglio 1991 la Verchovna Rada della RSS Ucraina approvò una legge che istituiva la carica di Presidente della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Il titolo fu cambiato in "Presidente dell'Ucraina" a seguito della proclamazione dell'indipendenza (24 agosto 1991). Le prime elezioni presidenziali si tennero il 1º dicembre 1991.
Lista
I presidenti dell'Ucraina dal 1991 (data dell'indipendenza dell'Ucraina dall'Unione Sovietica) ad oggi sono i seguenti.
Leonid Kravčuk Indipendente 5 dicembre 1991 19 luglio 1994
Leonid Kučma Indipendente 19 luglio 1994 23 gennaio 2005
Viktor Juščenko Ucraina Nostra 23 gennaio 2005 25 febbraio 2010
Viktor Janukovyč Partito delle Regioni 25 febbraio 2010 22 febbraio 2014
Oleksandr Turčynov (ad interim) Unione Pan-Ucraina "Patria" 22 febbraio 2014
Petro Oleksijovyč Porošenko Blocco Petro Poroshenko "Solidarietà" 7 giugno 2014 20 maggio 2019
Volodymyr Zelens'kyj Servitore del Popolo 20 maggio 2019 in carica
Leonid Kravčuk. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Leonid Makarovyč Kravčuk (in ucraino: Леонід Макарович Кравчук; Velykyj Žytyn, 10 gennaio 1934 – Kyiv, 10 maggio 2022) è stato un politico ucraino. È stato il primo presidente dell'Ucraina indipendente, dal 1991 al 1994.
È morto il 10 maggio del 2022 a causa di un'insufficienza cardiaca.
Carriera politica
Dal 1989 al 1991 era a capo della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.
L'8 dicembre 1991, a nome dell'Ucraina, ha firmato con il Presidente della Federazione Russa (RSFSR) Boris Eltsin e il Presidente del Consiglio Supremo della Repubblica di Bielorussia Stanislaŭ Šuškevič l'Accordo di Belaveža per la dissoluzione dell'URSS.
Alle elezioni del 1991, è stato eletto primo Presidente dell'Ucraina indipendente.
Posizioni politiche
Si auto-definisce come un socialista e nazionalista ucraino di sinistra.
Onorificenze
Onorificenze sovietiche
Ordine della Rivoluzione d'Ottobre
Ordine della Bandiera rossa del Lavoro
Onorificenze ucraine
Ordine di Jaroslav il Saggio di V Classe — 1996
Ordine di Jaroslav il Saggio di IV Classe — 1999
Eroe dell'Ucraina. «Per il suo eccezionale contributo personale alla creazione e allo sviluppo dell'Ucraina indipendente e per la lunga attività politica e sociale» — 21 agosto 2001
Ordine di Jaroslav il Saggio di III Classe — 2004
Ordine di Jaroslav il Saggio di II Classe — 2007
Ucraina, si è spento l’ex presidente Leonid Kravchuk: aveva 88 anni. Valentina Mericio il 10/05/2022 su Notizie.it.
Viene ricordato per essere stato il primo presidente dell'Ucraina indipendente: è morto a 88 anni Leonid Kravchuk.
La sua morte è avvenuta in un periodo particolarmente doloroso per l’Ucraina ormai profondamente dilaniata dal conflitto. Leonid Kravchuk è morto all’età di 88 anni: fu il primo presidente dell’Ucraina indipendente dal 1991 al 1994. Ne ha dato notizia l’agenzia di stampa Ukrinform che ha citato una fonte della famiglia.
Con il crollo dell’Unione Sovietica il ruolo di Leonid Kravchuk fu fondamentale. La sua morte ha sconvolto un intero Paese tanto che sono stati moltissimi i messaggi di cordoglio da parte di personalità politiche e non solo come quello del deputato Rustem Umerov che su Twitter ha scritto: “Una perdita enorme.
È morto il primo presidente dell’Ucraina indipendente Leonid Kravchuk […] Le nostre preghiere sono con la famiglia”. L’ex addetta stampa dell’attuale presidente Zelensky sempre attraverso un tweet ha affermato: “Ha affrontato con orgoglio la sfida di avviare una nuova Ucraina indipendente dopo il crollo dell’URSS e ha fatto di tutto per rendere il fragile stato il paese più democratico nello spazio post-sovietico”.
Il messaggio di addio forse più doloroso è quello che è stato trasmesso dal consigliere presidenziale ucraino Anton Gerashchenko che nel suo cordoglio ha messo in evidenza l’importanza di Kravchuk nell’indipendenza ucraina: “Leonid Kravchuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, è morto oggi all’età di 88 anni. Era una figura storica e ha svolto un ruolo enorme nell’indipendenza dell’Ucraina pacificamente. Lo conoscevo personalmente. Profonde condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari”.
Stando a quanto si apprende l’ex capo di Stato ucraino sarebbe morto a seguito di una lunga malattia.
Leonid Kučma. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Leonid Danylovyč Kučma (in ucraino Леонід Данилович Кучма; Čajkyne, 9 agosto 1938) è un politico ucraino, primo ministro dal 13 ottobre 1992 al 22 settembre 1993 e presidente della Repubblica dal 1994 al 2005. La sua presidenza è stata circondata da numerosi scandali per corruzione e dalla diminuzione delle libertà dei media.
Biografia.
Leonid Kuchma è nato nel villaggio di Chaikine nell'oblast' rurale di Čhernihiv. Suo padre, Danylo Prokopovych Kuchma (1901-1942), fu ferito nella seconda guerra mondiale e alla fine morì per le ferite riportate nell'ospedale da campo n. 756 (vicino al villaggio di Novoselytsia) quando Leonid aveva quattro anni. Sua madre, Paraska Trokhymivna Kuchma, lavorava in un kolchoz. Kuchma ha frequentato la scuola di educazione generale Kostobobrove nella vicina Semenivka Raion. Successivamente si iscrisse all'Università Nazionale di Dnipropetrovsk e si laureò nel 1960 in ingegneria meccanica (specializzandosi in ingegneria aerospaziale). Lo stesso anno si unì al Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
Dopo la laurea, Kuchma ha lavorato nel campo dell'ingegneria aerospaziale per lo Yuzhnoye Design Bureau di Dnipropetrovsk. A 28 anni divenne direttore dei test per il Bureau schierato al cosmodromo di Baikonur. Alcuni osservatori politici hanno sostenuto che la carriera iniziale di Kuchma fu significativamente influenzata dal suo matrimonio con Lyudmila Talalayeva, una figlia adottiva di Gennadiy Tumanov, il capo ingegnere di Yuzhmash e in seguito ministro sovietico della costruzione di macchine medie.
A 38 anni Kuchma divenne capo del partito comunista presso la Yuzhny Machine-building Plant e membro del Comitato Centrale del Partito Comunista d'Ucraina. Fu delegato del 27º e 28º Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Alla fine degli anni 1980, Kuchma criticò apertamente il Partito Comunista.
Nel 1982 Kuchma è stato nominato primo vice ingegnere progettista generale presso Yuzhmash e dal 1986 al 1992 ha ricoperto la posizione di direttore generale dell'azienda.
Primo ministro dell'Ucraina
Dal 1990 al 1992, Kuchma è stato membro della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino). Nel 1992 è stato nominato primo ministro dell'Ucraina. Si dimise un anno dopo, lamentando "il lento ritmo delle riforme". Fu rieletto in parlamento nel 1994.
Presidente dell'Ucraina (1994–2005)
Kuchma si dimise dalla carica di primo ministro nel settembre 1993 per candidarsi alla presidenza nel 1994 su una piattaforma per rilanciare l'economia ripristinando le relazioni economiche con la Russia e riforme più rapide a favore del mercato. Kuchma ottenne una chiara vittoria contro il presidente in carica Leonid Kravchuk, ricevendo un forte sostegno dalle aree industriali dell'est e del sud. I suoi peggiori risultati sono stati nell'ovest del paese.
Kuchma è stato rieletto nel 1999 per il suo secondo mandato. Questa volta le aree che in precedenza gli avevano dato il sostegno più forte votarono per i suoi avversari, mentre le aree che avevano votato contro di lui, questa volta, lo sostennero.
Durante la sua presidenza, Kuchma chiuse i giornali dell'opposizione e diversi giornalisti morirono in circostanze misteriose. Secondo lo storico Serhy Yekelchyk, l'amministrazione del presidente Kuchma "ha impiegato liberamente frodi elettorali" durante il referendum costituzionale del 2000 e le elezioni presidenziali del 1999.
Il 15 dicembre 2000 spinse personalmente il pulsante per lo spegnimento dell'ultimo reattore funzionante della centrale nucleare di Černobyl', facendo cessare ogni attività dell'impianto.
Nel maggio 2002 Kuchma ha avanzato formale richiesta di adesione alla NATO, con la quale l'Ucraina collaborava dal 1997, ma al tempo stesso ha preso le distanze dagli USA sulla questione della guerra al terrorismo e della guerra all'Iraq.
Vita privata
Nel 1967, Kuchma sposò Lyudmyla Talalayeva.
Onorificenze
Onorificenze sovietiche
Ordine della Bandiera rossa del Lavoro — 1976
Onorificenze straniere
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al merito della Repubblica italiana (Italia) — 3 maggio 1995
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 1996
Collare dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 4 ottobre 1996
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 maggio 1997
Grande Stella dell'Ordine al Merito della Repubblica Austriaca (Austria) — 1998
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Granduca Gediminas (Lituania) — 1998
Ordine del Servizio Distinto (Uzbekistan) — 1998
Ordine dell'Aquila d'Oro (Kazakistan) — 7 settembre 1999
Medaglia "Astana" (Kazakistan)
Gran Collare dell'Ordine dell'Infante Dom Henrique (Portogallo) — 3 febbraio 1999
Medaglia "Betlemme 2000" (Autorità Nazionale Palestinese) — 2000
Collare dell'Ordine della Stella di Romania (Romania) — 2000
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 2003
Ordine al merito per la Patria di I Classe (Russia). «Per il suo grande contributo personale al rafforzamento dell'amicizia e della cooperazione tra i popoli della Russia e dell'Ucraina» — 20 aprile 2004
Petro Oleksijovyč Porošenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Petro Oleksijovyč Porošenko (in ucraino: Петро Олексійович Порошенко; Bolhrad, 26 settembre 1965) è un imprenditore e politico ucraino, è stato il quinto presidente dell'Ucraina dal 2014 al 2019, Ministro degli Affari Esteri dal 2009 al 2010 e Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico nel 2012. Dal 2007 al 2012 ha diretto il Consiglio della Banca Nazionale dell'Ucraina. È stato eletto presidente il 25 maggio 2014, ricevendo il 54,7% dei voti espressi al primo turno, vincendo così a titolo definitivo ed evitando il ballottaggio. Durante la sua presidenza, Poroshenko ha guidato il paese attraverso la prima fase della crisi russo-ucraina, spingendo le forze ribelli più in profondità nella regione del Donbass. Ha iniziato il processo di integrazione con l'Unione europea firmando l'accordo di associazione Unione europea-Ucraina..
La politica interna di Poroshenko ha promosso la lingua ucraina, il nazionalismo, il capitalismo inclusivo, la decomunizzazione e il decentramento amministrativo. Nel 2018, Poroshenko ha contribuito a creare la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, separando le chiese ucraine dal Patriarcato di Mosca. La sua presidenza è stata distillata in uno slogan di tre parole, impiegato sia dai sostenitori che dagli oppositori: "armiia, mova, vira" (ovvero: militare, lingua, fede).
Come candidato per un secondo mandato nel 2019, Poroshenko ha ottenuto il 24,5% al secondo turno, venendo sconfitto da Volodymyr Zelens'kyj. Non c'era un vero consenso nella comunità di esperti sul perché Poroshenko avesse perso, con opinioni che andavano dall'opposizione all'intensificarsi del nazionalismo, all'incapacità di arginare la corruzione, all'insoddisfazione delle regioni di lingua russa trascurate con la sua presidenza, all'insoddisfazione per gli intensi conflitti di Poroshenko con altri politici filo-occidentali, come Andriy Sadovyi e l'ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili (con quest'ultimo costretto a lasciare l'Ucraina) e l'ascesa del filo-russo Viktor Medvedčuk; Radio Free Europe/ Radio Liberty e l'attivista anti-corruzione Denys Bihus hanno accusato Poroshenko e Medvedchuk di "lavorare segretamente insieme".
Poroshenko è un deputato popolare della Verkhovna Rada e leader del partito Solidarietà Europea. Al di fuori del governo, Poroshenko è stato un importante oligarca ucraino con una carriera redditizia nell'acquisizione e nella costruzione di beni. I suoi marchi più riconosciuti sono Roshen, l'azienda dolciaria su larga scala che gli è valsa il soprannome di "Chocolate King", e, fino alla sua vendita nel novembre 2021, il canale di notizie televisive 5 kanal. È considerato un oligarca a causa della scala delle sue partecipazioni imprenditoriali nei settori manifatturiero, agricolo e finanziario, della sua influenza politica che includeva diversi periodi nel governo prima della sua presidenza e della proprietà di un influente mass-media.
Biografia
Laureato in economia nel 1989 presso l'Università di Kiev, Petro Porošenko crea una società di commercio di semi di cacao. Nel 1990 prende il controllo di diverse società dolciarie e si unisce al gruppo Roshen, diventando il più grande produttore di dolciumi in Ucraina. Il suo successo nel settore del cioccolato gli vale il soprannome di "re del cioccolato" .
Porošenko in seguito ha diversificato le sue attività: possiede diversi stabilimenti produttivi (automobili e autobus), il cantiere Lenins'ka Kuznja, il canale televisivo Kanal 5 e la rivista Korrespondent. Secondo la rivista Forbes sarebbe uno degli uomini più ricchi d'Ucraina: il suo patrimonio è stimato in 1,3 miliardi di dollari statunitensi.
Politica
Eletto per la prima volta nel 1998 nella Verchovna Rada, il parlamento ucraino, si iscrisse al Partito Socialdemocratico ucraino (SPDU), fedele al presidente dell'Ucraina Leonid Kučma al tempo. Lascerà il partito per fondare un movimento di centro-sinistra chiamato Solidarietà, rivestendo anche un ruolo fondamentale nella nascita del Partito delle Regioni, fedele sempre a Kučma e alle posizioni filo-russe, ma senza portare Solidarietà a fondersi con esso.
Rotto con Kučma, dopo gli scandali di corruzione del suo governo e una politica troppo spostata verso est, decide di appoggiare la campagna di Viktor Juščenko e della sua coalizione Ucraina Nostra, gruppo di opposizione. Rieletto nel 2002 in Parlamento con Nostra Ucraina con enorme consenso, fu presidente della Commissione Bilancio, dove venne accusato anche di evasione per una somma pari a circa 9 milioni di dollari, che indebolirono molto la sua immagine e quella del suo partito. Ciononostante nel 2005, dopo un voto caratterizzato da incertezza e proteste, Viktor Juščenko fu eletto presidente dell'Ucraina.
Porošenko è stato uno dei più stretti collaboratori durante l'avvelenata campagna elettorale del presidente Juščenko, il quale è il padrino delle sue figlie. Fu il primo finanziatore della sua campagna e della rivoluzione arancione, che lo portarono alla presidenza. Pertanto appena proclamato presidente, Juščenko lo nomina segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina.
In questi anni tuttavia entrò spesso in conflitto con l'allora primo ministro dell'Ucraina Julija Tymošenko, anche lei vicinissima al presidente sulla privatizzazione delle imprese stradali. Porošenko fu accusato di aver favorito l'amico magnate ucraino Viktor Pinčuk nell'acquisto di una fabbrica di ferro per soli 70 milioni di dollari invece che 1.000 milioni. A causa degli scandali il presidente Juščenko ha dimissionato l'intero governo, compreso Tymošenko e Porošenko. Tuttavia la procura ha respinto un abuso di potere investigativo contro l'ex segretario del Consiglio di difesa, Juščenko ha rimosso ingiustificatamente Svjatoslav Piskun come procuratore generale dell'Ucraina, che ha accusato pressioni dall'alto per indagare la Tymošenko e chiudere l'indagine su Porošenko.
Nuovamente rieletto al Parlamento nel 2006, sempre con il Blocco Ucraina Nostra, diventa presidente della Commissione Finanze e Banche. Porošenko che aspirava alla carica di presidente del Parlamento ucraino fu scartato quando il Partito Socialista ucraino entrò nell'Alleanza Nazione Unità, il blocco filosovietico, con la promessa che il loro leader Oleksandr Moroz, già presidente della Rada, sarebbe stato rieletto. Tale svolta determinò anche una nuova maggioranza parlamentare che esautorò dal governo Ucraina Nostra di Porošenko e Blocco Tymošenko.
Decise quindi di non correre alle elezioni parlamentari anticipate del 2007. In compenso divenne presidente del Consiglio della Banca dell'Ucraina, di cui sarà consigliere dal 2007 al 2012.
Ministro degli Esteri
Il 7 ottobre 2009 il presidente Juščenko lo nomina ministro degli Esteri nel secondo governo Tymošenko venendo rinominato anche membro del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina (dove, dopo quattro anni, fu rimosso a seguito degli scandali che porteranno alla fine del primo governo Tymošenko). È stato uno dei più fervidi sostenitori di una entrata dell'Ucraina nella NATO. Con la vittoria di Viktor Janukovyč alla presidenza dell'Ucraina nel 2010 rassegna le sue dimissioni da ministro degli Esteri. Lo stesso presidente non ha escluso di continuare la collaborazione con lui ribadendogli la sua stima.
Il ministro degli esteri Petro Poroshenko al Senato polacco con l'ex primo ministro greco George Papandreou, dicembre 2009
Tra marzo e dicembre 2012 entra nel governo Azarov del presidente filo-russo Yanukovich. Egli stesso ha dichiarato di aver accettato la nomina per contribuire a portare più vicina l'Ucraina all'Europa e ottenere il rilascio dell'ex premier Julija Tymošenko dalla sua prigionia. Lasciato l'incarico viene rieletto con oltre il 70% nel Parlamento ucraino nel 12 distretto di oblast' di Vinnycja come indipendente, decidendo di non iscriversi ad alcun gruppo parlamentare, ma rappresentare soltanto le sue idee. Si iscrive alla Commissione per l'integrazione europea.
Nel 2013 annuncia di voler candidarsi come sindaco di Kiev nelle amministrative dello stesso anno.
È stato uno dei principali sostenitori, soprattutto economici, della protesta Euromaidan, mentre la parte armata è stata garantita dal movimento nazionalista radicale Pravyj Sektor, che ha portato alla caduta del presidente filo-russo Yanukovich e ad un avvicinamento dell'Ucraina verso l'Unione Europea dal 25 maggio 2014. Rifiuta di entrare nel governo del nuovo primo ministro ad interim, nato dopo la cacciata del presidente, presieduto da uno dei leader delle proteste Arsenij Jacenjuk (vi entrerà il collega di partito Volodymyr Hrojsman, sindaco di Vinnycja, nominato vicepremier e ministro per gli Affari regionali), evitando inoltre colloqui tra il presidente Janukovyč e i rappresentanti dei manifestanti per contrattare la soluzione. È stato uno dei pochi politici ucraini ad andare in Crimea per sollecitare un compromesso che evitasse il referendum di annessione alla Russia parlando direttamente nel parlamento di Crimea venendo interrotto dalle proteste.
Presidente dell'Ucraina
Annuncia la sua candidatura come indipendente alle presidenziali per scegliere il nuovo presidente dopo la deposizione di Janukovyč. Il pugile Vitalij Klyčko, uno dei leader di Euromaidan, rinuncia alla corsa presidenziale per appoggiare Porošenko ricevendo l'appoggio di quest'ultimo alla corsa come sindaco di Kiev. Dato in netto vantaggio da tutti i sondaggi con oltre il 40% il 25 maggio è eletto presidente dell'Ucraina al primo turno con ben il 54,7%, pari a 9.857.308 voti (la principale avversaria l'ex primo ministro e rivale di Porošenko Julija Tymošenko, appena tornata libera dopo anni di prigionia grazie alla protesta, appoggiata da Bat'kivščyna, ha ottenuto solo il 12,81% pari a 2.310.085, riconoscendo la vittoria piena e legittima all'avversario). Il neopresidente ha ottenuto percentuali tra il 52% e il 67% delle regioni occidentali (filo-europee), mentre soltanto il 30-35% nelle regioni orientali (filo-russe), venendo invece le elezioni boicottate in Crimea e nelle autoproclamate repubbliche di Luhans'k e Donec'k. La sua posizione espressa in campagna elettorale è volta ad una politica di dialogo con la Russia nel rispetto della sovranità e integrità dello Stato dell'Ucraina.
Il 27 giugno 2014 il presidente dell'Ucraina Porošenko ha firmato l'accordo di associazione tra UE ed Ucraina (causa dello scoppio di Euromaidan) definendolo "un giorno storico" insieme ai presidenti di Georgia e Moldavia, ribadendo inoltre l'intenzione di Kiev di entrare nella NATO. Il 16 settembre, il Parlamento europeo ha ratificato a stragrande maggioranza con 535 sì, 127 no e 35 astenuti la sottoscrizione che è entrata in vigore dal 1º gennaio 2016.
Il 5 maggio 2015 ha promulgato diverse Leggi sui monumenti commemorativi tra cui la rimozione di tutti i monumenti comunisti entro sei mesi, nonché l'obbligo di rinominare qualsiasi strada o spazio pubblico con un riferimento al comunismo, e punire la promozione delle idee comuniste.
Le leggi non fanno distinzione tra il regime nazista e quello sovietico e includono una condanna dei loro simboli e della loro propaganda. Esse prevedono anche il riconoscimento da parte del paese di chiunque abbia combattuto per l'indipendenza dell'Ucraina durante il XX secolo, compresa l'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e l'Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha preso parte allo sterminio degli ebrei in Ucraina e ha massacrato decine di migliaia di polacchi durante la seconda guerra mondiale. Entrambe le organizzazioni sono ora onorate con un tributo nazionale il 14 ottobre.
Nel 2015, con quasi tutte le posizioni di responsabilità detenute dai suoi sostenitori, le sue azioni sono state ampiamente contestate e il suo indice di popolarità è sceso sotto il 20%. Negli ultimi due anni del suo mandato, l'Istituto Gallup riferisce che l'Ucraina ha la più bassa fiducia nel suo governo al mondo. La sua fortuna è aumentata di 400 milioni di dollari tra il 2012 e il 2020, mentre il paese sprofondava nella crisi economica.
Vita privata.
Maryna Poroshenko (in blu) con alcuni suoi figli nel 27º anniversario del Giorno dell'indipendenza dell'Ucraina, 24 agosto 2018
Porošenko è sposato dal 1984 con la dottoressa e attivista europeista Maryna Porošenko (nata Perevedenceva). La coppia ha quattro figli: Oleksii (nato nel 1985), le gemelle Yevheniia e Oleksandra (nate nel 2000) e Mykhailo (nato nel 2001). Olesksij è stato eletto nel 2014 deputato dell'Ucraina.
Maryna Poroshenko è una cardiologa che non prende parte alla vita pubblica, con l'eccezione della sua partecipazione alle attività della "Petro Poroshenko Charity Foundation". Poroshenko è diventato nonno il giorno della sua inaugurazione presidenziale il 7 giugno 2014.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Presidente dell'Ucraina è stato dal 7 giugno 2014 al 20 maggio 2019 Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 7 giugno 2014
Personalmente è stato insignito dei seguenti titoli di:
Ordine al Merito di III Classe — 9 dicembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 24 settembre 1999
Onorificenze straniere
Collare dell'Ordine del Re Abd al-Aziz (Arabia Saudita) — 1º novembre 2017
Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 7 dicembre 2018
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 20 novembre 2014
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 dicembre 2014
Ordine per meriti eccezionali (Slovenia) — 8 novembre 2016
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 29 gennaio 2010
(askanews il 29 maggio 2022) – L’ex presidente ucraino Petro Poroshenko ha tentato per la seconda volta di lasciare il Paese attraverso lo stesso valico di frontiera, secondo quanto riferito dai media ucraini. Attraverso Telegram è stato riferito che l’ex presidente stava cercando di lasciare l’Ucraina ed entrare in Polonia attraverso il checkpoint Rava-Rus’ka, nella regione di Leopoli.
Secondo il sito di notizie ucraino Strana.ua, Poroshenko è stato fermato dagli agenti di pattuglia allo stesso posto di blocco. Iryna Herashchenko, parlamentare ucraina del partito ‘Solidarietà Europea’ di Poroshenko, ha affermato che l’ex presidente dovrebbe partecipare a diversi eventi internazionali come membro di un parlamento e ha cercato di lasciare l’Ucraina ma è stato fermato dalle guardie di frontiera ucraine.
Viktor Juščenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Viktor Andrijovyč Juščenko (in ucraino: Віктор Андрійович Ющенко, in traslitterazione anglosassone Viktor Yushchenko; Choruživka, 23 febbraio 1954) è un politico ucraino, presidente dell'Ucraina dal 2005 al 2010.
In qualità di uno dei leader informali della coalizione di opposizione ucraina, fu uno dei due principali candidati alle elezioni presidenziali del 2004. Juščenko vinse le elezioni dopo che furono ripetute, battendo Viktor Janukovyč, il candidato sostenuto dal governo. La Corte Suprema Ucraina stabilì la ripetizione delle elezioni a causa dei ripetuti brogli in favore di Janukovyč al secondo turno. Juščenko, in occasione del nuovo svolgimento delle elezioni, vinse con il 52% dei voto contro il 44% del suo avversario; le proteste pubbliche svoltesi a causa dei brogli giocarono un importante ruolo nella sua elezione presidenziale e portarono alla rivoluzione arancione.
Gioventù.
Viktor Juščenko nacque il 23 febbraio 1954 a Choruživka, nell'Oblast' di Sumy in Ucraina, da una famiglia di insegnanti. Il padre, Andrij Andrijovyč Juščenko (1919–1992), combatté durante la seconda guerra mondiale, dove le forze tedesche lo catturarono e lo rinchiusero in diversi campi di concentramento in Polonia e Germania, tra cui ad Auschwitz, come prigioniero di guerra. Sopravvisse allo sterminio e, dopo essere tornato a casa, insegnò inglese nelle scuole locali. La madre di Viktor, Varvara Tymofiyovna Juščenko (1918–2005), insegnò fisica e matematica nella stessa scuola.
La Banca Centrale.
Juščenko iniziò la carriera nel sistema bancario nel 1976; nel 1983 divenne Vice Direttore per il Credito Agrario presso l'Ufficio della Repubblica Ucraina della Banca di Stato dell'URSS. Dal 1990 al 1993 funse da primo vice presidente della Banca dell'Agricoltura JSC Ukraina. Nel 1993 Juščenko fu nominato Presidente della Banca Nazionale dell'Ucraina (la banca centrale ucraina). Nel 1997, il Parlamento dell'Ucraina lo rinominò capo della banca.
Nel suo ruolo da banchiere, Juščenko giocò un importante ruolo nella creazione della valuta nazionale dell'Ucraina, la grivnia, e nell'istituzione di un sistema moderno di regolazione del sistema bancario commerciale. Riuscì anche a superare l'ondata debilitante dell'iperinflazione che colpì la nazione – egli fu in grado di abbassarla dal 10 000% a meno del 10% – e riuscì a difendere il valore della valuta a seguito della crisi finanziaria russa del 1998.
Nel 1998, scrisse una tesi intitolata "Lo sviluppo dell'offerta e della domanda di denaro in Ucraina" e la discusse presso l'Accademia Economica Ucraina. Ciò gli valse il dottorato in economia.
Primo ministro.
Nel dicembre 1999, il Presidente Leonid Kučma nominò a sorpresa Juščenko alla carica di Primo ministro, dopo che il Parlamento non riuscì a ratificare, per un voto, il precedente candidato Valerij Pustovojtenko.
Durante il premierato di Juščenko l'economia ucraina migliorò; il suo governo, e in particolare il vice Primo Ministro Julija Tymošenko, si trovarono subito in conflitto con gli influenti capi delle industrie del carbone e del gas naturale. Il conflitto causò un voto di sfiducia nel 2001 da parte della Verchovna Rada, orchestrato dal Partito Comunista d'Ucraina, che si era opposto alle politiche economiche di Juščenko, ma anche dai gruppi centristi associati con i potenti oligarchi nazionali. Il voto passò con 263 contro 69 e Juščenko dovette pertanto lasciare la carica di Primo Ministro.
Molti ucraini videro la caduta di Juščenko con disappunto, e raccolsero quattro milioni di firme per una petizione in suo sostegno e contro il voto parlamentare. I sostenitori organizzarono anche una grande manifestazione a Kiev, la capitale dell'Ucraina. Juščenko tenne un commovente discorso davanti alla folla, promettendo che sarebbe ritornato.
Leader di Ucraina Nostra
Nel 2002 Juščenko divenne capo della coalizione politica Ucraina Nostra (Naša Ukrajina), che ricevette un gran numero di seggi alle elezioni della Verchovna Rada. Tuttavia, il numero di seggi non era sufficiente a formare una maggioranza, e gli sforzi di formare un governo con gli altri partiti di opposizione fallì. Da allora, Juščenko è il leader e il volto della fazione parlamentare "Ucraina Nostra".
Juščenko è stato considerato come leader moderato dell'opposizione anti-Kučma, in quanto gli altri partiti di opposizione erano troppo poco influenti e avevano pochi seggi in Parlamento.
Dalla fine del suo mandato da Primo Ministro, Juščenko è divenuto una figura politica carismatica tra gli ucraini delle regioni occidentali e centrali della nazione. Dal 2001 al 2004, il suo tasso di popolarità è stato maggiore di quello del Presidente dell'epoca, Leonid Kučma.
Come politico, Viktor Juščenko è visto come coacervo di sentimenti filo-occidentali e nazionalismo moderato. Cerca di portare l'Ucraina in direzione dell'Europa e della NATO, promuovendo le riforme di libero mercato, riformando la sanità, l'istruzione e il sistema sociale, preservando la cultura ucraina, ricostruendo importanti monumenti storici e ricordando la storia ucraina, tra cui il presunto genocidio di Holodomor del 1932-33. I suoi oppositori (e alleati) talvolta lo criticano per l'indecisione e la segretezza; è anche accusato di non essere in grado di formare una squadra di governo senza scontri al suo interno.
Da quando è divenuto Presidente dell'Ucraina, Viktor Juščenko è leader onorario di "Ucraina Nostra". Alle elezioni parlamentari del 2006 il partito, condotto dall'allora Primo Ministro Jurij Jechanurov, ricevette meno del 14% dei voti e si piazzò al terzo posto dopo il Partito delle Regioni e il Blocco Julija Tymošenko. Nel 2008, la popolarità di Juščenko è crollata a meno del 10%, anche a causa delle ripetute crisi politiche (del 2007 e del 2008).
Elezioni presidenziali del 2004.
Nel 2004, al termine del mandato del Presidente Leonid Kučma, Juščenko annunciò che sarebbe stato candidato alla presidenza come indipendente; il suo principale rivale era l'allora Primo ministro Viktor Janukovyč. Sin dal proprio mandato da premier, Juščenko aveva leggermente modernizzato la propria base politica, aggiungendo slogan sociali e liberali ad altre idee di integrazione europea, tra cui l'adesione dell'Ucraina alla NATO e la lotta alla corruzione politica. I sostenitori di Juščenko si organizzarono nella coalizione elettorale "Syla Narodu" ("Potere al Popolo"), guidata dal candidato presidente, con Ucraina Nostra come principale forza costituente.
Juščenko fondò la propria campagna elettorale nella comunicazione con il votante, dato che il governo impediva ai principali canali televisivi di garantire uguali opportunità ai candidati. Nel frattempo, il principale rivale, Janukovyč, appariva frequentemente in televisione e accusava Juščenko, il cui padre era stato un soldato dell'Armata Rossa imprigionato al campo di concentramento di Auschwitz, di essere nazista.
Avvelenamento alla diossina.
Nel corso del 2004, Juščenko cominciò a soffrire di una misteriosa patologia, il suo volto divenne gonfio e segnato da una pesante eruzione cutanea con eritema ed eczema molto evidenti, che gli lasciò cicatrici permanenti. Il tossicologo britannico John Henry dell'St Mary's Hospital di Londra dichiarò che i cambiamenti nel volto di Juščenko erano stati causati da cloracne, risultato di avvelenamento per diossina. Il tossicologo olandese Bram Brouwer trovò tracce di diossina nel sangue di Juščenko in quantità 6.000 volte superiori alla normalità e stabilì anche lui che i cambiamenti nel suo aspetto erano stati causati da cloracne. In particolare questo fenomeno cutaneo è causato solitamente dall'esposizione prolungata, sia a contatto che per inalazione o ingestione, ad alcuni composti alogenati ed in particolare diossine come la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD).
Secondo la testimonianza diretta di Juščenko l'avvelenamento si sarebbe verificato per ingestione, durante una cena con i servizi di sicurezza ucraini, in relazione all'ultima portata, servita quella sera - a differenza delle altre - in monoporzioni. Dopo l'identificazione del particolare tipo di diossina impiegato, lo staff di Juščenko inviò una richiesta rispettivamente ai quattro laboratori al mondo in grado di produrlo, sull'effettiva provenienza della diossina utilizzata per il suo avvelenamento; dei riscontri pervennero da tutti i laboratori, tranne che da quello moscovita. Dopo pochi giorni dall'avvelenamento qualcuno dei componenti dei servizi di sicurezza presenti quella sera con il presidente Juščenko avrebbe lasciato l'Ucraina, per recarsi a vivere stabilmente in Russia.
Dal 2005, Juščenko si sottopone a cure effettuate da un team di dottori diretti dal Professore Jean Saurat all'Università dell'Ospedale di Ginevra. Saurat ha recentemente pubblicato dei rapporti accademici riguardanti il metabolismo della diossina nel corpo umano.
Nel giugno 2008, David Zvania, ex alleato politico di Juščenko ed ex ministro del governo di Julija Tymošenko, sostenne in un'intervista concessa alla BBC che Juščenko non era stato avvelenato nel 2004, ma che soffriva di pancreatite acuta in seguito a un semplice avvelenamento accidentale da cibo, e che quindi i test di laboratorio erano stati falsificati, senza però presentare alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni.
I tre turni di voto senza precedenti.
Il voto iniziale, tenutosi il 31 ottobre 2004, vide Juščenko ottenere il 39,87% dei voti contro il 39,32% di Viktor Janukovyč. Dato che nessun candidato raggiunse la soglia del 50% prevista per la nomina immediata, si tenne il secondo turno elettorale il 21 novembre 2004, a cui accedettero i candidati che avevano raggiunto le prime due posizioni al primo turno: Juščenko e Janukovyč. L'affluenza a questo secondo turno raggiunse il 75% dei votanti, ma furono riportati casi di irregolarità e abusi, come voti multipli e voti extra assegnati a Janukovyč dopo la chiusura delle urne. Gli exit poll misero Juščenko in vantaggio nelle regioni occidentali e centrali della nazione.
La supposta frode elettorale, combinata col fatto che gli exit poll davano un margine di vittoria consistente per Juščenko (in alcuni casi l'11%), numero che si rivelò molto diverso dal risultato definitivo (una vittoria del 3% per Janukovyč), spinsero Juščenko e i suoi sostenitori a non accettare i risultati ufficiali.
Dopo tredici giorni di proteste popolari a Kiev e in altre città ucraine, che divennero conosciute con il nome di rivoluzione arancione, i risultati delle elezioni furono annullati dalla Corte Suprema, e il 26 dicembre si tenne la ripetizione del secondo turno elettorale. Juščenko proclamò la vittoria dell'opposizione e dichiarò la sua certezza che sarebbe stato eletto con almeno il 60% dei voti. Egli effettivamente vinse il "terzo turno", ma con il 52% dei voti.
Presidenza.
Investitura.
Il 23 gennaio 2005, alle 12, si svolse la cerimonia di investitura di Viktor Juščenko come Presidente dell'Ucraina. All'evento parteciparono diversi importanti politici stranieri, tra cui:
Arnold Rüütel, Presidente dell'Estonia
Adrienne Clarkson, Governatore generale del Canada
Vaira Vīķe-Freiberga, Presidente della Lettonia
Vladimir Voronin, Presidente della Moldavia
Aleksander Kwaśniewski, Presidente della Polonia
Traian Băsescu, Presidente della Romania
Ivan Gašparovič, Presidente della Slovacchia
Ferenc Mádl, Presidente dell'Ungheria
Artur Rasizade, Primo Ministro dell'Azerbaijan
Jan Peter Balkenende, Primo Ministro dei Paesi Bassi
Jaap de Hoop Scheffer, Segretario Generale della NATO
Nino Burjanadze, Presidente del Parlamento della Georgia
Artūras Paulauskas, Presidente del Seimas (Parlamento della Lituania)
Colin Powell, Segretario di Stato degli Stati Uniti
Ospite speciale Václav Havel, ex Presidente della Repubblica Ceca
Presidenza.
I primi cento giorni del mandato di Juščenko, dal 23 gennaio al 1º maggio 2005, furono segnati da diversi licenziamenti e nomine a tutti i livelli dell'esecutivo. Julija Tymošenko divenne Primo ministro a seguito dell'approvazione della Verchovna Rada; Oleksandr Zinčenko fu nominato capo del segretariato presidenziale con il titolo nominale di Segretario di Stato. Petro Porošenko, rivale della Tymošenko per la carica di capo del governo, fu nominato Segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa.
Nell'agosto 2005 Juščenko si unì al Presidente della Georgia Mikheil Saakašvili nella firma della Dichiarazione Borjomi, che prevedeva la creazione di un'istituzione di cooperazione internazionale, la Comunità di Scelta Democratica, per unire le democrazie (anche quelle incipienti) della regione intorno al Mar Baltico, Mar Nero e Mar Caspio. Il primo incontro dei presidenti e dei capi per discutere la CSD si tenne il 1º-2 dicembre 2005 a Kiev.
Crisi del 2008.
La coalizione del Blocco Julija Tymošenko e di Blocco Ucraina Nostra - Autodifesa Popolare di Viktor Juščenko è stata minata a causa delle diverse opinioni riguardo alla guerra in Ossezia del Sud scoppiata nell'agosto 2008 tra Georgia e Russia. Julija Tymošenko non ha concordato con la condanna di Juščenko verso la Russia ed ha preferito restare neutrale sull'argomento. Juščenko l'ha pertanto accusata di assumere una posizione più morbida per ottenere il sostegno della Russia alle future elezioni presidenziali del 2010; Andrij Kyslynskij, vicepresidente, è arrivato quasi a definirla "traditrice".
Il premier Julija Tymošenko insieme all'allora Presidente della Russia Dmitrij Medvedev e al Primo ministro Vladimir Putin, durante un colloquio riguardo alla disputa russa-ucraina sul gas, 17 gennaio 2009.
Secondo il Blocco Julija Tymošenko, il Capo Staff del Segretariato Presidenziale Viktor Baloha aveva sempre criticato il premier, accusandola di qualsiasi fatto, dal non essere sufficientemente religiosa al danneggiamento dell'economia fino alle accuse secondo le quali la Tymošenko stava progettando un assassinio ai suoi danni; l'accusa di tradimento verso la Georgia era quindi solo l'ultima delle ultime rivolte al premier.
Dopo che il Blocco Julija Tymošenko ha votato insieme al Partito Comunista d'Ucraina e il Partito delle Regioni per approvare una legislazione atta a facilitare la procedura di messa in stato di accusa del Presidente e per limitare i poteri del Presidente, aumentando quelli del Primo Ministro, il blocco di Viktor Juščenko si è posto fuori dalla coalizione e Juščenko stesso ha promesso di porre il veto sulla legge ed ha minacciato un'elezione in caso di mancata formazione di un'altra nuova coalizione. Ciò ha portato alla crisi politica del 2008 culminata con lo scioglimento del Parlamento avvenuto l'8 ottobre 2008.
Mentre era in visita in Italia, Juščenko annunciò le terze elezioni in meno di tre anni in un discorso pre-registrato per la televisione ucraina. La crisi si è conclusa quando la coalizione arancione è stata riportata in vigore il 9 dicembre 2008, con l'inclusione del Blocco di Lytvyn; questo è avvenuto dopo che Volodymyr Lytvyn è stato eletto Presidente del Parlamento. Lo svolgimento delle elezioni è quindi stato definito, dal Presidente stesso, una soluzione irragionevole.
Elezioni presidenziali 2010.
Il 17 gennaio, al primo turno delle elezioni presidenziali del 2010, Viktor Juščenko è stato sconfitto ricevendo solo 5,45% dei voti. È arrivato quinto dopo Viktor Janukovyč e Julija Tymošenko, che sono andati al ballottaggio il 7 febbraio 2010, con 1.341.539 preferenze secondo la Commissione elettorale ucraina. “L'Ucraina è una democrazia europea”, ha dichiarato il presidente in una sorta di testamento politico all'uscita dal seggio. “È una nazione libera ed un popolo libero”. Questo, secondo il leader ucraino, è uno dei principali risultati ottenuti dalla rivoluzione arancione. Nei giorni dopo il voto il presidente uscente ha osservato che “l'Ucraina non ha una scelta decente” per il suo successore. “Ambedue i candidati sono lontani dai valori nazionali, europei e democratici. Non vedo differenze tra loro”.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
Insegna Presidenziale Onorifica — 1996
Onorificenze straniere.
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 11 aprile 2005
Commendatore di Gran Croce dell'Ordine della Rosa Bianca (Finlandia) — 2006
Commendatore di Gran Croce con Collare dell'Ordine delle Tre Stelle (Lettonia) — 2006
Gran Collare dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 14 novembre 2006
Premio Quadriga — 2006
Cavaliere di Gran Croce del Grand'Ordine del Re Tomislavo (Croazia). «Per l'eccezionale contributo alla promozione dell'amicizia e della cooperazione allo sviluppo tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Ucraina.» — Zagabria, 6 giugno 2007
Cavaliere dell'Ordine dei Serafini (Svezia) — ottobre 2008
Ordine di Ismail Samani di I Classe (Tagikistan) — 2008
Gran Croce con Collare dell'Ordine al Merito della Repubblica ungherese (Ungheria) — 2008
Ordine di Heydər Əliyev (Azerbaigian) — 21 maggio 2008
Compagno d'Onore Onorario con Collare dell'Ordine Nazionale al Merito (Malta) — 9 luglio 2008
Gran Croce dell'Ordine della Polonia Restituta (Polonia) — 2009
Ordine di San Giorgio della Vittoria (Georgia) — 19 novembre 2009
Ordine del Vello d'Oro (Georgia) — 2009
Viktor Janukovyč. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Viktor Fedorovyč Janukovyč, in ucraino: Віктор Федорович Янукович; in russo: Виктор Фёдорович Янукович - Viktor Fёdorovič Janukovič (Jenakijeve, 9 luglio 1950), è un politico ucraino naturalizzato russo, presidente dell'Ucraina dal 2010 al 2014.
Ha ricoperto la carica di Primo ministro per tre volte: dal 2002 al 2004, dal 2004 al 2005 e dal 2006 al 2007. È stato anche il leader del Partito delle Regioni, che era uno dei principali partiti del paese.
Fu governatore della sua regione natale, l'oblast' di Donec'k, dal 1997 al 2002, e uno dei candidati alle elezioni presidenziali del 2004; sconfitto da Viktor Juščenko, è in seguito tornato a occupare la carica di Primo ministro (dal 10 agosto 2006 al 18 settembre 2007). Nel 2010 ha vinto le elezioni presidenziali contro la sfidante Julija Tymošenko, fino al suo esautoramento nel 2014.
Biografia.
Gioventù e ideali.
Viktor Janukovyč nacque nel villaggio di Žukovka, presso Jenakijeve, nell'oblast' di Donec'k, nella RSS Ucraina, in un quartiere operaio; il padre era un macchinista di etnia bielorussa, che proveniva da Januki, nel Voblasc' di Vicebsk. La madre era una bambinaia russa, e morì quando Janukovyč aveva appena due anni. Quando egli giunse all'adolescenza, perse anche il padre, e fu quindi allevato dalla nonna. Janukovyč si considera ucraino.
Per due volte, nel 1968 e nel 1970, Janukovyč fu imprigionato per furto e per ingiurie. Durante le elezioni presidenziali del 2004, annunciò la sua assoluzione del 1978.
Georgij Beregovoj, un cosmonauta sovietico di origine ucraina, è stato a lungo protettore di Janukovyč. Si diceva che Beregovoj, in quanto membro del soviet del Donbass, stesse proteggendo un giovane incarcerato ingiustamente e promuovendo la sua carriera futura.
Istruzione e inizi in politica.
Nel 1972 Janukovyč divenne elettricista in una compagnia di bus locali, e in seguito completò gli studi all'istituto tecnico. Nel 1980 si laureò per corrispondenza all'istituto Politecnico di Donec'k in ingegneria meccanica. Subito dopo la laurea, Janukovyč fu nominato manager capo di una società di trasporti di Jenakijeve, ed entrò nel Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
Questa nomina segnò l'inizio di una carriera di posizioni manageriali nell'ambito dei trasporti regionali. La carriera politica di Janukovyč iniziò quando fu nominato vice-capo dell'amministrazione dell'oblast' di Donec'k nell'agosto 1996. Il 14 maggio 1997 fu nominato capo dell'amministrazione (cioè governatore). Tra il maggio 1999 e il maggio 2001 fu anche capo del Consiglio dell'oblast' di Donec'k.
Nel 2001 Janukovyč si laureò all'Accademia Ucraina di Commercio con un master in diritto internazionale. In seguito, gli fu assegnato il titolo di dottore in scienza e di professore.
Primo ministro dal 2002 al 2004.
Il presidente Leonid Kučma nominò Viktor Janukovyč primo ministro a seguito delle dimissioni di Anatolij Kinakh. Janukovyč iniziò il suo mandato il 21 novembre 2002 con una fiducia da parte della Verchovna Rada (il Parlamento nazionale) di 234 voti. Con Janukovyč, il governo iniziò a prestare più attenzione alla riforma dell'industria del carbone.
In politica estera, il governo di Janukovyč fu considerato politicamente vicino alla Russia, anche se dichiarò il sostegno per l'accesso dell'Ucraina nell'Unione europea. Nonostante la coalizione parlamentare di Janukovyč non volesse l'ingresso dell'Ucraina nella NATO, il governo acconsentì all'invio di truppe ucraine nella guerra d'Iraq a sostegno della guerra al terrorismo intrapresa dagli Stati Uniti.
Campagna presidenziale del 2004.
Nel 2004, da Primo Ministro, Janukovyč partecipò alle controverse elezioni presidenziali, come candidato del Partito delle Regioni. La sua principale fonte di sostegno proveniva dalle parti meridionali e orientali dell'Ucraina, che tradizionalmente sono a favore di stretti legami con la vicina Russia. Al primo turno di votazioni, il 31 ottobre, Janukovyč ottenne il secondo posto con il 39,3% dei voti, rispetto al candidato di Ucraina Nostra Viktor Juščenko, che ebbe il 39,8% del sostegno popolare. Dato che nessun candidato raggiunse la soglia del 50% dei voti, fu necessario il secondo turno.
Al secondo turno (21 novembre 2004), Janukovyč fu inizialmente dichiarato vincitore. Tuttavia, la legittimità delle elezioni fu posta in discussione da molti ucraini, da organizzazioni internazionali e dai governi stranieri che avanzarono ipotesi di frode elettorale. Il secondo turno fu quindi annullato dalla Corte suprema dell'Ucraina e nella sua ripetizione (26 dicembre 2004), Janukovyč perse contro Juščenko con il 44,2% contro il 51,9%.
Dopo le elezioni, il parlamento ucraino approvò una mozione di sfiducia al governo, obbligando quindi il Presidente uscente Leonid Kučma a sciogliere il governo di Janukovyč e a nominarne un altro. Cinque giorni dopo la sconfitta elettorale, Janukovyč si dimise dalla carica di Primo Ministro.
In occasione delle elezioni, Janukovyč aveva consegnato alla Commissione Elettorale Ucraina una scheda biografica in cui il proprio grado accademico era riportato con un refuso (Proffessore): a seguito di ciò, iniziò ad essere chiamato con questo nomignolo dai principali media a lui opposti.
Carriera politica dopo il 2004 e Presidenza della Repubblica.
Dopo la sua sconfitta elettorale, Janukovyč continuò a guidare il principale partito di opposizione il Partito delle Regioni mentre il suo rivale Juščenko venne nominato presidente il 23 gennaio 2005: il giorno successivo Julija Tymošenko divenne Primo ministro, ma le spaccature all'interno della maggioranza portarono a diverse sostituzioni tra i ministri: la stessa Tymošenko venne sostituita come primo ministro da Jurij Jechanurov nel novembre 2005.
Janukovyč ebbe così una buona occasione per tornare al potere con le elezioni parlamentari del 2006 (26 marzo) sia per le divisioni dei suoi avversari, sia perché con il nuovo assetto costituzionale entrato in vigore il 1º gennaio 2006, il Primo Ministro e il suo governo sarebbero stati nominati dal Parlamento.
Nel frattempo, nel gennaio 2006, il Ministro degli Interni diede inizio ad un'investigazione ufficiale riguardo alla presunta assoluzione per i reati commessi da Janukovyč in gioventù. Jurij Lucenko, capo del ministero, annunciò che i testi forensi provavano la mancanza di assoluzione, e sostenne inizialmente che questo fatto impediva formalmente a Janukovyč di candidarsi per le elezioni parlamentari. Tuttavia, quest'ultima affermazione fu poi corretta qualche giorno dopo da Lucenko stesso, che affermò che il risultato dell'investigazione non impediva l'eleggibilità di Janukovyč, dato che la privazione dei diritti civili a causa delle passate condanne era già comunque scaduta a causa della prescrizione.
L'esito delle elezioni parlamentari vide il Partito delle Regioni assicurarsi la maggioranza relativa, ma con un numero di parlamentari (186 su 450) insufficiente a formare il governo da solo. Janukovyč condusse le trattative per la formazione del governo dopo l'elezione, con i partiti capeggiati da Viktor Juščenko (terzo con 81 parlamentari) o dall'ex Primo Ministro Julija Tymošenko (seconda con 129). Nonostante l'astio tra Janukovyč e il Presidente, i due furono obbligati a giungere a un compromesso. In cambio dell'assicurazione da parte di Janukovyč che non avrebbe interferito con le ambizioni filo-occidentali del Presidente, Juščenko diede a Janukovyč la possibilità di costituire un governo in cooperazione con il suo partito, Ucraina Nostra, il 3 agosto 2006. I cosiddetti ministeri "umanitari", come anche l'esercito e la polizia, rimasero capeggiati dagli alleati di Juščenko, mentre i ministeri riguardanti l'economia e le finanze, oltre a tutte le cariche di vice-Primo Ministro, andarono sotto il controllo di Janukovyč.
L'ex alleata di Juščenko ed ex Primo Ministro Julija Tymošenko annunciò la propria intenzione di portare il suo partito all'opposizione subito dopo tale accordo.
Il 25 maggio 2007 fu assegnata a Viktor Janukovyč la carica di Presidente del Consiglio dei Capi di Governo della Comunità degli Stati Indipendenti.
Alle elezioni parlamentari del 2007, svoltesi il 30 settembre, il Partito delle Regioni ottenne 175 su 450 seggi (il 34,37% dei voti) alla Verchovna Rada. Nonostante l'incremento nella percentuale dei voti rispetto alle elezioni del 2006 (quando aveva ottenuto il 32,14%), il partito perse 130.000 voti e 11 seggi parlamentari. Dopo che Ucraina Nostra e il Blocco Julija Tymošenko ebbero formato una coalizione di governo il 18 dicembre 2007, il Partito delle Regioni passò all'opposizione.
Nel 2009, Janukovyč annunciò la sua intenzione di concorrere alle elezioni presidenziali del 2010. Si affidò a specialisti stranieri, che lo aiutarono a cambiare completamente la sua immagine pubblica. Vinse il primo turno, svoltosi il 17 gennaio 2010, con una decina di punti di vantaggio sulla Tymošenko. Il ballottaggio, tenutosi il 7 febbraio, confermò la sua vittoria col 51,84% dei voti, tre punti e mezzo percentuali in più della sua rivale.
Euromaidan.
A novembre 2013 si verificarono una serie di proteste popolari contro il Presidente Janukovyč sfociate nella occupazione di Piazza Indipendenza a Kiev (già teatro della Rivoluzione Arancione del 2004) da parte di giovani pro-Europa dopo che il Presidente, data la critica situazione delle finanze pubbliche, aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal Presidente Putin, che legava ancora di più il Paese alla Russia. Ulteriore motivo di protesta per la popolazione fu il rapido accrescimento di ricchezze che vide i figli e i parenti prossimi di Janukovyč diventare miliardari, mentre l'economia del Paese s'indeboliva. Inoltre, alcuni comparti industriali ucraini erano stati delocalizzati in Russia e vasti territori agricoli venduti alla Cina, Paese che inviava in Ucraina la propria manodopera, a discapito di quella locale, creando ampie sacche di disoccupazione e malcontento in aree rurali dell'Ucraina. A gennaio 2014 gli scontri diventarono sempre più duri e violenti tra manifestanti e forze speciali. Si verificarono violenti attacchi della polizia alle barricate erette dai manifestanti in Piazza Indipendenza e l'occupazione del Municipio di Kiev e del Ministero dell'Agricoltura, mentre il Parlamento votava dure leggi antiprotesta. Intanto le proteste dilagavano violente in tutto il Paese come a Leopoli, città di confine con la Polonia, dove il Governatore della Provincia Oblast di Leopoli Olev Salo si dimise pubblicamente in piazza, minacciato dai manifestanti scesi in piazza che lo circondavano. Intanto Janukovyč rimosse il segretario aggiunto del Consiglio di sicurezza nazionale e di difesa dell'Ucraina, Vladimir Sivkovič, e il Sindaco di Kiev, Alexandre Popov, ritenuti responsabili delle violenze. Il Presidente offrì la guida del Governo all'opposizione, dicendosi disponibile a nominare i capi della rivolta Arsenij Jacenjuk l'ex ministro degli Esteri del Governo Tymošenko e l'ex pugile Vitalij Klyčko Premier e Vicepremier, ma l'accordo fu bocciato in quanto i manifestanti chiedevano, oltre a elezioni anticipate, le dimissioni immediate di Janukovyč. Il 25 gennaio violente proteste scoppiarono nuovamente con l'occupazione del Ministero dell'Energia e di Casa Ucraina, che venne messa a ferro e fuoco. Il Presidente chiese al Parlamento di votare un'amnistia per tutti i manifestanti e l'abrogazione delle leggi antiprotesta, in cambio della fine alle violenze di piazza. Dopo il voto il Primo Ministro Mykola Azarov, fedelissimo di Janukovyč, si dimise per facilitare la transizione.
A febbraio le rivolte diventarono sempre più sanguinose senza riuscire a trovare una mediazione tra il Presidente ed opposizioni. Forti cominciarono a essere le minacce da parte di ONU, Unione europea e Stati Uniti d'America di dure sanzioni contro il Presidente, ritenuto responsabile delle violenze di piazza e della feroce repressione che continuava a godere ormai soltanto dell'appoggio dell'alleata Russia, che parlava di indebite pressioni straniere e tentativi di golpe. Il 18 febbraio le violenze dilagarono sanguinose con 28 morti, tra cui 7 poliziotti, e 335 feriti.
Il 20 febbraio fu il giorno più sanguinoso della protesta: venne posto in essere un vero e proprio assalto ai palazzi del potere e i manifestanti marciarono verso il Palazzo del Governo e del Parlamento. Si verificarono scontri armati tra dimostranti e polizia, molti agenti vennero bersagliati dal fuoco di cecchini rimasti ignoti. A terra rimasero decine di persone uccise e centinaia di feriti. Simbolo del massacro resta il gesto di una giovane infermiera ucraina Olesja Žukovskaja che ferita gravemente da un proiettile, twittò nello stesso momento «Я вмираю» ["Muoio"]. La giovane infermiera, militante di un partito di estrema destra molto attivo negli scontri armati, è poi sopravvissuta. Dopo questo bagno di sangue, Janukovyč e i capi dell'opposizione arrivarono a un accordo che prevedeva elezioni anticipate e Governo di Unità Nazionale, nonché ritorno alla Costituzione del 2004, con sensibile limitazione dei poteri presidenziali. La condanna delle violenze da parte del Parlamento fu unanime.
Il 22 febbraio si ebbe l'epilogo della protesta Euromaidan: i manifestanti chiesero le dimissioni di Janukovyč che, ormai circondato, fuggì dalla capitale Kiev facendo perdere le sue tracce, forse per rifugiarsi al confine ucraino orientale in una città russofona o forse all'estero proprio nella stessa Russia, mentre il Palazzo presidenziale fu assaltato dai manifestanti. Con lui scapparono anche il Presidente del Parlamento ucraino Vladimir Rybak e il Ministro dell'Interno Vitalij Zacharčenko, che lasciarono i loro incarichi. In sostituzione, il Parlamento nominò Oleksandr Turčynov, ex capo dei servizi segreti e braccio destro dell'ex premier Tymošenko, come Presidente del Parlamento e Premier "ad interim". Intanto, dopo le voci di possibili dimissioni di Janukovyč, egli apparve in TV dichiarando che nel Paese era in atto un colpo di Stato con metodi nazisti, affermando di restare al suo posto. Diversi reparti della polizia si schierarono con i manifestanti. Intanto il Parlamento votò la richiesta di impeachment presentata dalle opposizioni al Presidente Janukovyč; essa venne approvata con 328 sì, 0 no e 6 astenuti su 334 presenti sul plenum di 445 (il Partito delle Regioni del Presidente Janukovyč, ormai esautorato, non partecipò al voto con i suoi 135 deputati rimanendo partito di maggioranza, poiché 70 esponenti su 204 sono passati all'opposizione ed altri fuggiti dal Paese) e dichiarò l'immediata decadenza di Janukovyč dalla carica presidenziale, che a sua volta denunciò la propria destituzione come un colpo di Stato.
Il 24 febbraio, il ministro dell'Interno Arsen Avakov annunciò che Janukovyč era ricercato, assieme ad altre persone ritenute responsabili della strage, e che era stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti con l'accusa di uccisione di massa. Nelle zone a maggioranza filo russa la situazione si complicò, poiché in Crimea il parlamento regionale venne preso d'assalto con le armi e occupato, mentre dei miliziani tatari prendevano il controllo di due aeroporti: quello di Belbek e quello della capitale Simferopoli, a 20 chilometri da Sebastopoli. La Russia iniziò a effettuare delle importanti esercitazioni militari terrestri sul confine e mosse la flotta nel Mar Nero.
In Russia.
Il 27 febbraio Janukovyč ricomparve a Rostov sul Don dove, in una conferenza stampa, dichiarò di essere stato illegittimamente deposto da forze neofasciste e di non volere la separazione della Crimea. Il nuovo governo nel frattempo chiese ufficialmente alla Russia la sua estradizione.
In seguito ad Euromaidan Janukovyč si stabilì in Russia. Il 22 marzo 2015 perse uno dei figli, Viktor Janukovič Jr., morto annegato nel lago Bajkal, in Russia.
Condanna per alto tradimento.
Il 24 gennaio 2019 è stato condannato dal Tribunale di Kiev a 13 anni di carcere per alto tradimento. Il processo è iniziato nel 2017 e si è svolto in 89 udienze, con la contumacia dell'ex Presidente filorusso, dato che, prima di perdere il potere, nel 2014 era scappato in Russia. Il Tribunale ha riconosciuto la sua "complicità nello scatenare una guerra di aggressione contro l'Ucraina" da parte della Russia. La sentenza ha inoltre stabilito che "con i suoi atti illegittimi e premeditati ha commesso un crimine che mina le fondamenta della sicurezza nazionale ucraina". Nelle motivazioni i giudici hanno ritenuto che il 1º marzo 2014 Janukovyč si sia reso responsabile d'aver sollecitato per iscritto, tramite una lettera indirizzata al presidente russo Vladimir Putin, l'intervento armato dell'esercito russo e delle forze di polizia sul suolo ucraino per ristabilire l'ordine e impedire le manifestazioni della popolazione.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine. Ordine al Merito di III Classe — 13 novembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 3 luglio 2000
Ordine al Merito di I Classe — 3 luglio 2002
Onorificenze straniere.
Ordine di San Vladimiro di III Classe (Patriarcato di Russia) — 1998
Ordine di San Vladimiro di II Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Ordine del santo principe Daniele di Mosca di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Ordine di San Sergio di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) — 2010
Ordine di San Vladimiro di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2010
Ordine della Bacchetta Preziosa (Mongolia) — giugno 2011
Ordine di San Mashtots (Armenia) — 30 giugno 2011
Ordine di José Martí (Cuba) — 22 ottobre 2011
Ordine di Ismail Samani di I Classe (Tagikistan) — 15 dicembre 2011
Fascia dell'Ordine della Repubblica di Serbia (Serbia) «Per i meriti nello sviluppo e nel rafforzamento della cooperazione pacifica e delle relazioni amichevoli tra la Serbia e l'Ucraina.» — 2013
Ordine di Heydər Əliyev (Azerbaigian) — 18 novembre 2013
Oleksandr Turčynov. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Presidente dell'Ucraina (ad interim). Durata mandato 22 febbraio 2014 – 7 giugno 2014
Oleksandr Valentynovič Turčynov
Oleksandr Valentynovič Turčynov (in ucraino: Олександр Валентинович Турчинов; Dnipro, 31 marzo 1964) è un politico ucraino.
Ha ricoperto la carica di Primo ministro ad interim dell'Ucraina per un breve periodo, dal 3 all'11 marzo 2010, a seguito della caduta del governo di Julija Tymošenko, e fino alla formazione del nuovo governo di Mykola Azarov. Durante le proteste contro Janukovyč è nominato Presidente del Parlamento dell'Ucraina ad interim e Primo ministro ad interim. Ha ricoperto la carica ad interim di Presidente dell'Ucraina a seguito della destituzione di Viktor Janukovyč.
Biografia.
Oleksandr Turčynov si diplomò all'Istituto Metallurgico di Dnipro nel 1986, dopo aver lavorato a Krivorižstal. È un vecchio alleato di Julija Tymošenko, con la quale svolse diverse attività di commercio a Dnipro. Nel 1993 fu nominato consigliere in materia economica dall'allora Primo Ministro Leonid Kučma. Nel dicembre 1993 co-fondò e divenne vicepresidente dell'Unione degli Industriali e degli Imprenditori Ucraini; nel 1994 creò il partito politico Hromada, insieme a Pavlo Lazarenko. Fu inoltre direttore dell'Istituto di Riforme Economiche dal gennaio 1994 al marzo 1998, e capo dei laboratori di ricerca economica dell'Accademia Nazionale Ucraina delle Scienze.
Carriera politica.
Alle elezioni parlamentari del 1998 fu eletto alla Verchovna Rada, come membro del partito Gromada; dopo lo scandalo di Lazarenko, lasciò il partito (maggio 1999) insieme al partito "Patria" di Julija Tymošenko. Fu rieletto al Parlamento in occasione delle elezioni parlamentari del 2002 e ancora nelle elezioni parlamentari del 2006, come membro del Blocco Julija Tymošenko (BJuT).
Il 4 febbraio 2005 Turčynov fu nominato come capo dei Servizi Segreti dell'Ucraina, il primo civile ad aver mai ricoperto tale carica. Nella primavera del 2008 fu il candidato del BJuT e di Ucraina Nostra alla carica di sindaco di Kiev, in cui arrivò secondo con 218.600 voti (il 19,13% del totale).
Nel dicembre 2009, durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2010, Turčynov accusò il Presidente dell'Ucraina Viktor Juščenko ed il leader dell'opposizione Viktor Janukovyč di aver coordinato le proprie azioni per tentare di rovesciare il secondo governo di Julija Tymošenko.
Il 3 marzo 2010, dopo la caduta del governo, il Primo Ministro Julija Tymošenko si dimise e Turčynov assunse gli incarichi di Primo Ministro fino alla formazione di un nuovo governo, fatto avvenuto l'11 marzo.
Il 21 febbraio 2014 è stato eletto nuovo Presidente della Verchovna Rada, il Parlamento dell'Ucraina con 288 voti su 326 presenti (sostenuto da tutte le opposizioni con la non partecipazione del Partito delle Regioni del presidente filorusso Janukovyč), carica che ha ricoperto fino al 27 novembre 2014, ed anche Presidente e Primo ministro "ad interim" dell'Ucraina in seguito alle vicende dell'Euromaidan.
Petro Oleksijovyč Porošenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Petro Oleksijovyč Porošenko (in ucraino: Петро Олексійович Порошенко; Bolhrad, 26 settembre 1965) è un imprenditore e politico ucraino, è stato il quinto presidente dell'Ucraina dal 2014 al 2019, Ministro degli Affari Esteri dal 2009 al 2010 e Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico nel 2012. Dal 2007 al 2012 ha diretto il Consiglio della Banca Nazionale dell'Ucraina. È stato eletto presidente il 25 maggio 2014, ricevendo il 54,7% dei voti espressi al primo turno, vincendo così a titolo definitivo ed evitando il ballottaggio. Durante la sua presidenza, Poroshenko ha guidato il paese attraverso la prima fase della crisi russo-ucraina, spingendo le forze ribelli più in profondità nella regione del Donbass. Ha iniziato il processo di integrazione con l'Unione europea firmando l'accordo di associazione Unione europea-Ucraina..
La politica interna di Poroshenko ha promosso la lingua ucraina, il nazionalismo, il capitalismo inclusivo, la decomunizzazione e il decentramento amministrativo. Nel 2018, Poroshenko ha contribuito a creare la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, separando le chiese ucraine dal Patriarcato di Mosca. La sua presidenza è stata distillata in uno slogan di tre parole, impiegato sia dai sostenitori che dagli oppositori: "armiia, mova, vira" (ovvero: militare, lingua, fede).
Come candidato per un secondo mandato nel 2019, Poroshenko ha ottenuto il 24,5% al secondo turno, venendo sconfitto da Volodymyr Zelens'kyj. Non c'era un vero consenso nella comunità di esperti sul perché Poroshenko avesse perso, con opinioni che andavano dall'opposizione all'intensificarsi del nazionalismo, all'incapacità di arginare la corruzione, all'insoddisfazione delle regioni di lingua russa trascurate con la sua presidenza, all'insoddisfazione per gli intensi conflitti di Poroshenko con altri politici filo-occidentali, come Andriy Sadovyi e l'ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili (con quest'ultimo costretto a lasciare l'Ucraina) e l'ascesa del filo-russo Viktor Medvedčuk; Radio Free Europe/ Radio Liberty e l'attivista anti-corruzione Denys Bihus hanno accusato Poroshenko e Medvedchuk di "lavorare segretamente insieme".
Poroshenko è un deputato popolare della Verkhovna Rada e leader del partito Solidarietà Europea. Al di fuori del governo, Poroshenko è stato un importante oligarca ucraino con una carriera redditizia nell'acquisizione e nella costruzione di beni. I suoi marchi più riconosciuti sono Roshen, l'azienda dolciaria su larga scala che gli è valsa il soprannome di "Chocolate King", e, fino alla sua vendita nel novembre 2021, il canale di notizie televisive 5 kanal. È considerato un oligarca a causa della scala delle sue partecipazioni imprenditoriali nei settori manifatturiero, agricolo e finanziario, della sua influenza politica che includeva diversi periodi nel governo prima della sua presidenza e della proprietà di un influente mass-media.
Biografia.
Laureato in economia nel 1989 presso l'Università di Kiev, Petro Porošenko crea una società di commercio di semi di cacao. Nel 1990 prende il controllo di diverse società dolciarie e si unisce al gruppo Roshen, diventando il più grande produttore di dolciumi in Ucraina. Il suo successo nel settore del cioccolato gli vale il soprannome di "re del cioccolato" .
Porošenko in seguito ha diversificato le sue attività: possiede diversi stabilimenti produttivi (automobili e autobus), il cantiere Lenins'ka Kuznja, il canale televisivo Kanal 5 e la rivista Korrespondent. Secondo la rivista Forbes sarebbe uno degli uomini più ricchi d'Ucraina: il suo patrimonio è stimato in 1,3 miliardi di dollari statunitensi.
Politica.
Eletto per la prima volta nel 1998 nella Verchovna Rada, il parlamento ucraino, si iscrisse al Partito Socialdemocratico ucraino (SPDU), fedele al presidente dell'Ucraina Leonid Kučma al tempo. Lascerà il partito per fondare un movimento di centro-sinistra chiamato Solidarietà, rivestendo anche un ruolo fondamentale nella nascita del Partito delle Regioni, fedele sempre a Kučma e alle posizioni filo-russe, ma senza portare Solidarietà a fondersi con esso.
Rotto con Kučma, dopo gli scandali di corruzione del suo governo e una politica troppo spostata verso est, decide di appoggiare la campagna di Viktor Juščenko e della sua coalizione Ucraina Nostra, gruppo di opposizione. Rieletto nel 2002 in Parlamento con Nostra Ucraina con enorme consenso, fu presidente della Commissione Bilancio, dove venne accusato anche di evasione per una somma pari a circa 9 milioni di dollari, che indebolirono molto la sua immagine e quella del suo partito. Ciononostante nel 2005, dopo un voto caratterizzato da incertezza e proteste, Viktor Juščenko fu eletto presidente dell'Ucraina.
Porošenko è stato uno dei più stretti collaboratori durante l'avvelenata campagna elettorale del presidente Juščenko, il quale è il padrino delle sue figlie. Fu il primo finanziatore della sua campagna e della rivoluzione arancione, che lo portarono alla presidenza. Pertanto appena proclamato presidente, Juščenko lo nomina segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina.
In questi anni tuttavia entrò spesso in conflitto con l'allora primo ministro dell'Ucraina Julija Tymošenko, anche lei vicinissima al presidente sulla privatizzazione delle imprese stradali. Porošenko fu accusato di aver favorito l'amico magnate ucraino Viktor Pinčuk nell'acquisto di una fabbrica di ferro per soli 70 milioni di dollari invece che 1.000 milioni. A causa degli scandali il presidente Juščenko ha dimissionato l'intero governo, compreso Tymošenko e Porošenko. Tuttavia la procura ha respinto un abuso di potere investigativo contro l'ex segretario del Consiglio di difesa, Juščenko ha rimosso ingiustificatamente Svjatoslav Piskun come procuratore generale dell'Ucraina, che ha accusato pressioni dall'alto per indagare la Tymošenko e chiudere l'indagine su Porošenko.
Nuovamente rieletto al Parlamento nel 2006, sempre con il Blocco Ucraina Nostra, diventa presidente della Commissione Finanze e Banche. Porošenko che aspirava alla carica di presidente del Parlamento ucraino fu scartato quando il Partito Socialista ucraino entrò nell'Alleanza Nazione Unità, il blocco filosovietico, con la promessa che il loro leader Oleksandr Moroz, già presidente della Rada, sarebbe stato rieletto. Tale svolta determinò anche una nuova maggioranza parlamentare che esautorò dal governo Ucraina Nostra di Porošenko e Blocco Tymošenko.
Decise quindi di non correre alle elezioni parlamentari anticipate del 2007. In compenso divenne presidente del Consiglio della Banca dell'Ucraina, di cui sarà consigliere dal 2007 al 2012.
Ministro degli Esteri.
Il 7 ottobre 2009 il presidente Juščenko lo nomina ministro degli Esteri nel secondo governo Tymošenko venendo rinominato anche membro del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina (dove, dopo quattro anni, fu rimosso a seguito degli scandali che porteranno alla fine del primo governo Tymošenko). È stato uno dei più fervidi sostenitori di una entrata dell'Ucraina nella NATO. Con la vittoria di Viktor Janukovyč alla presidenza dell'Ucraina nel 2010 rassegna le sue dimissioni da ministro degli Esteri. Lo stesso presidente non ha escluso di continuare la collaborazione con lui ribadendogli la sua stima.
Tra marzo e dicembre 2012 entra nel governo Azarov del presidente filo-russo Yanukovich. Egli stesso ha dichiarato di aver accettato la nomina per contribuire a portare più vicina l'Ucraina all'Europa e ottenere il rilascio dell'ex premier Julija Tymošenko dalla sua prigionia. Lasciato l'incarico viene rieletto con oltre il 70% nel Parlamento ucraino nel 12 distretto di oblast' di Vinnycja come indipendente, decidendo di non iscriversi ad alcun gruppo parlamentare, ma rappresentare soltanto le sue idee. Si iscrive alla Commissione per l'integrazione europea.
Nel 2013 annuncia di voler candidarsi come sindaco di Kiev nelle amministrative dello stesso anno.
È stato uno dei principali sostenitori, soprattutto economici, della protesta Euromaidan, mentre la parte armata è stata garantita dal movimento nazionalista radicale Pravyj Sektor, che ha portato alla caduta del presidente filo-russo Yanukovich e ad un avvicinamento dell'Ucraina verso l'Unione Europea dal 25 maggio 2014. Rifiuta di entrare nel governo del nuovo primo ministro ad interim, nato dopo la cacciata del presidente, presieduto da uno dei leader delle proteste Arsenij Jacenjuk (vi entrerà il collega di partito Volodymyr Hrojsman, sindaco di Vinnycja, nominato vicepremier e ministro per gli Affari regionali), evitando inoltre colloqui tra il presidente Janukovyč e i rappresentanti dei manifestanti per contrattare la soluzione. È stato uno dei pochi politici ucraini ad andare in Crimea per sollecitare un compromesso che evitasse il referendum di annessione alla Russia parlando direttamente nel parlamento di Crimea venendo interrotto dalle proteste.
Presidente dell'Ucraina.
Annuncia la sua candidatura come indipendente alle presidenziali per scegliere il nuovo presidente dopo la deposizione di Janukovyč. Il pugile Vitalij Klyčko, uno dei leader di Euromaidan, rinuncia alla corsa presidenziale per appoggiare Porošenko ricevendo l'appoggio di quest'ultimo alla corsa come sindaco di Kiev. Dato in netto vantaggio da tutti i sondaggi con oltre il 40% il 25 maggio è eletto presidente dell'Ucraina al primo turno con ben il 54,7%, pari a 9.857.308 voti (la principale avversaria l'ex primo ministro e rivale di Porošenko Julija Tymošenko, appena tornata libera dopo anni di prigionia grazie alla protesta, appoggiata da Bat'kivščyna, ha ottenuto solo il 12,81% pari a 2.310.085, riconoscendo la vittoria piena e legittima all'avversario). Il neopresidente ha ottenuto percentuali tra il 52% e il 67% delle regioni occidentali (filo-europee), mentre soltanto il 30-35% nelle regioni orientali (filo-russe), venendo invece le elezioni boicottate in Crimea e nelle autoproclamate repubbliche di Luhans'k e Donec'k. La sua posizione espressa in campagna elettorale è volta ad una politica di dialogo con la Russia nel rispetto della sovranità e integrità dello Stato dell'Ucraina.
Il 27 giugno 2014 il presidente dell'Ucraina Porošenko ha firmato l'accordo di associazione tra UE ed Ucraina (causa dello scoppio di Euromaidan) definendolo "un giorno storico" insieme ai presidenti di Georgia e Moldavia, ribadendo inoltre l'intenzione di Kiev di entrare nella NATO. Il 16 settembre, il Parlamento europeo ha ratificato a stragrande maggioranza con 535 sì, 127 no e 35 astenuti la sottoscrizione che è entrata in vigore dal 1º gennaio 2016.
Il 5 maggio 2015 ha promulgato diverse Leggi sui monumenti commemorativi tra cui la rimozione di tutti i monumenti comunisti entro sei mesi, nonché l'obbligo di rinominare qualsiasi strada o spazio pubblico con un riferimento al comunismo, e punire la promozione delle idee comuniste.
Le leggi non fanno distinzione tra il regime nazista e quello sovietico e includono una condanna dei loro simboli e della loro propaganda. Esse prevedono anche il riconoscimento da parte del paese di chiunque abbia combattuto per l'indipendenza dell'Ucraina durante il XX secolo, compresa l'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e l'Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha preso parte allo sterminio degli ebrei in Ucraina e ha massacrato decine di migliaia di polacchi durante la seconda guerra mondiale. Entrambe le organizzazioni sono ora onorate con un tributo nazionale il 14 ottobre.
Nel 2015, con quasi tutte le posizioni di responsabilità detenute dai suoi sostenitori, le sue azioni sono state ampiamente contestate e il suo indice di popolarità è sceso sotto il 20%. Negli ultimi due anni del suo mandato, l'Istituto Gallup riferisce che l'Ucraina ha la più bassa fiducia nel suo governo al mondo. La sua fortuna è aumentata di 400 milioni di dollari tra il 2012 e il 2020, mentre il paese sprofondava nella crisi economica.
Vita privata.
Porošenko è sposato dal 1984 con la dottoressa e attivista europeista Maryna Porošenko (nata Perevedenceva). La coppia ha quattro figli: Oleksii (nato nel 1985), le gemelle Yevheniia e Oleksandra (nate nel 2000) e Mykhailo (nato nel 2001). Olesksij è stato eletto nel 2014 deputato dell'Ucraina.
Maryna Poroshenko è una cardiologa che non prende parte alla vita pubblica, con l'eccezione della sua partecipazione alle attività della "Petro Poroshenko Charity Foundation". Poroshenko è diventato nonno il giorno della sua inaugurazione presidenziale il 7 giugno 2014.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Presidente dell'Ucraina è stato dal 7 giugno 2014 al 20 maggio 2019. Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 7 giugno 2014
Personalmente è stato insignito dei seguenti titoli di:
Ordine al Merito di III Classe — 9 dicembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 24 settembre 1999
Onorificenze straniere.
Collare dell'Ordine del Re Abd al-Aziz (Arabia Saudita) — 1º novembre 2017
Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 7 dicembre 2018
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 20 novembre 2014
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 dicembre 2014
Ordine per meriti eccezionali (Slovenia) — 8 novembre 2016
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 29 gennaio 2010
Volodymyr Zelens'kyj. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj (in ucraino: Володимир Олександрович Зеленський; Kryvyj Rih, 25 gennaio 1978) è un politico, attore, sceneggiatore, regista e comico ucraino, dal 20 maggio 2019 presidente dell'Ucraina.
Nato e cresciuto a Kryvyj Rih in una famiglia di origine ebraica e di madrelingua russa, Zelens'kyj si è laureato in giurisprudenza all'Università Economica Nazionale di Kiev, per poi cimentarsi nella carriera di attore. Ha fondato la casa di produzione Kvartal 95, che ha prodotto diversi film, cartoni animati e serie tv, tra cui Servitore del Popolo, in cui lo stesso Zelens'kyj ha interpretato un professore del liceo che viene inaspettatamente eletto presidente dell'Ucraina. Nel marzo 2018 alcuni dipendenti di Kvartal 95 hanno fondato un partito politico con lo stesso nome dello show, cavalcando la popolarità che quest'ultimo aveva riscosso.
Il 31 dicembre 2018 Zelens'kyj ha annunciato la sua candidatura per le elezioni presidenziali del marzo successivo. Nonostante non avesse alcuna esperienza politica, la sua popolarità come comico e le sue posizioni anti-corruzione lo hanno fatto balzare fin da subito in testa nei sondaggi. Dopo essere risultato il candidato più votato al primo turno, il 21 aprile 2019 ha sconfitto al ballottaggio il presidente uscente Petro Porošenko con il 73% dei consensi. Identificatosi come populista, si è attestato su posizioni europeiste e anti-establishment.
Subito dopo l'elezione, come previsto dalla legge ucraina, ha sciolto il parlamento e indetto nuove elezioni per il luglio successivo, ampiamente vinte dal suo partito, che ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi. Da presidente, Zelens'kyj ha puntato sulla digitalizzazione dell'amministrazione e sulla conciliazione tra le aree russofone e quelle a maggioranza ucraina del Paese. La sua strategia comunicativa prevede un massiccio uso dei social network, in particolare Instagram. Durante la sua amministrazione ha affrontato la pandemia di COVID-19 e la conseguente crisi economica. I critici di Zelens'kyj, seppur riconoscendogli progressi nella lotta alla corruzione, hanno espresso il timore che il suo contrasto agli oligarchi e all'establishment politico abbia portato ad una centralizzazione del potere nelle sue mani durante i primi due anni del mandato presidenziale e a crescenti pressioni sui partiti di opposizione.
Durante la campagna elettorale presidenziale, Zelens'kyj aveva promesso di trovare una soluzione alla crisi russo-ucraina, cominciata nel 2014. Dopo l'elezione, ha inizialmente provato a stabilire relazioni diplomatiche con il presidente russo Vladimir Putin; tuttavia, le tensioni tra i due Paesi si sono acuite nel 2021, in seguito alla proposta di Zelens'kyj di far entrare l'Ucraina nella NATO e nell'Unione europea, e sono culminate l'anno successivo con un'invasione su larga scala dell'esercito russo nel territorio ucraino. Durante il conflitto, Zelens'kyj ha guadagnato ampi consensi, sia in patria che all'estero, emergendo come figura simbolo della resistenza ucraina.
Biografia.
Famiglia e studi.
Zelens'kyj è nato il 25 gennaio 1978 a Kryvyi Rih, una città nella regione di Dnipropetrovsk. I suoi genitori sono ebrei e tre suoi parenti furono vittime della Shoah, mentre suo nonno, durante la seconda guerra mondiale, combatté in una divisione di fanteria dell'Armata Rossa contro l'esercito tedesco. Zelens'kyj ha rivelato che i suoi bisnonni erano stati uccisi dopo che le truppe tedesche avevano raso al suolo la loro casa.
Entrambi i genitori hanno una formazione scientifica: il padre Oleksandr è un professore che dirige un dipartimento accademico di cibernetica e hardware informatico presso il Kryvyi Rih Institute of Economics; la madre, Rymma Zelens'ka, lavorava come ingegnere. La famiglia ha vissuto per quattro anni in Mongolia nella città di Erdenet, dove lavorava il padre. Volodymyr Zelens'kyj si è laureato nel 2000 in giurisprudenza presso il dipartimento della Università Economica Nazionale di Kiev, ma non ha mai esercitato la professione legale.
Carriera artistica.
Fin dal 1997 lavora come attore e sceneggiatore nello studio cinematografico Kvartal 95 Club, diventandone poi nel 2003 direttore artistico. Nel 2011 è produttore generale del canale Inter TV, dal 2013 al 2019 è direttore artistico in Kvartal 95 Studio LLC.
Fondatore del centro giovanile League of Laughter della ONG, Zelens'kyj interpreta nel 2015 il ruolo di presidente ucraino nella serie televisiva Servitore del Popolo in cui mette in scena un capo di Stato onesto, capace di superare in astuzia antagonisti e detrattori. La serie Tv vincerà il "WorldFest Remi Award" (USA, 2016), arriverà tra i primi quattro finalisti nella categoria dei film comici al "Seoul International Drama Awards" (Corea del Sud) e sarà insignita del premio "Intermedia Globe SILVER" nella categoria "Serie TV di intrattenimento" al "World Media Film Festival" di Amburgo.
Inizio della carriera politica.
Zelens'kyj con il presidente uscente Poroshenko, suo sfidante alle elezioni presidenziali, durante un dibattito nel 2019.
Sulla scia del successo di Sluha Narodu, nel marzo 2018 nasce un partito politico omonimo creato dallo staff di Kvartal 95, produttrice della serie. A sei mesi dalle elezioni presidenziali del 2019 Zelens'kyj annuncia la sua candidatura per tale partito, ricevendo i favori del pubblico in base ai sondaggi di gradimento.
In un'intervista del marzo 2019 con Der Spiegel, Zelens'kyj ha dichiarato di essere entrato in politica per ripristinare la fiducia nei politici e che voleva "portare al potere persone professionali e dignitose" e "vorrebbe davvero cambiare l'umore e il timbro dell'establishment politico, il più possibile". La sua elezione è stata sostenuta dall'oligarca Ihor Kolomojs'kyj nonché ex governatore dell'oblast' di Dnipropetrovs'k.
A partire dal 31 dicembre 2018, Zelens'kyj ha condotto una campagna presidenziale di successo, quasi interamente virtuale per succedere al presidente in carica dell'Ucraina, Petro Poroshenko, con meno di quattro mesi di tempo. Zelens'kyj ha vinto chiaramente sia il primo turno elettorale del 31 marzo sia il ballottaggio del 21 aprile 2019.
Zelens'kyj è stato eletto presidente dell'Ucraina il 21 aprile 2019, battendo il presidente in carica Poroshenko con il 73,22% dei voti contro il 25% di Poroshenko. Il presidente polacco Andrzej Duda è stato uno dei primi leader europei a congratularsi con Zelens'kyj. Il 22 aprile, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è congratulato al telefono con Zelens'kyj per la sua vittoria. Anche il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk hanno emesso una lettera di congratulazioni congiunta, affermando che l'Unione europea lavorerà per accelerare l'attuazione del resto dell'accordo di associazione UE-Ucraina, compreso l'accordo Area di libero scambio globale (DCFTA).
Presidente dell'Ucraina.
Il 20 maggio 2019 presta giuramento come presidente dell'Ucraina. Filo-europeista, durante il suo messaggio di insediamento annuncia lo scioglimento anticipato della Verchovna Rada (Parlamento Ucraino), motivandolo a causa della crisi politica creata all'interno della coalizione di forze politiche che appoggiava il governo di Volodymyr Hrojsman, sostenuto anche dall'ex presidente Petro Porošenko, maturata successivamente alle elezioni presidenziali.
Poiché nell'ordinamento ucraino il Presidente non può promulgare leggi senza l'approvazione del Parlamento, e nel Parlamento insediato non v'era una maggioranza direttamente collegata al nuovo Presidente, Zelens'kyj decide di sciogliere il parlamento ed indire nuove elezioni. Il 20 giugno la Corte Costituzionale Ucraina ha proclamato legittimo lo scioglimento anticipato del Parlamento operato da Zelens'kyj il 20 maggio.
Le elezioni anticipate (che non costituiscono in ogni caso una variazione temporale rispetto al normale rinnovo del Parlamento fissato nell'ottobre 2019) si svolgono il 21 luglio 2019 con il partito di Zelens'kyj che ottiene il 44% dei voti, il più alto dal 1991, l'anno in cui l'Ucraina ha ottenuto l'indipendenza dall'Urss. Il partito filo-russo di Viktor Medvedchouk, "Blocco di opposizione", si ferma all'11,5%, il partito "Solidarietà Europea" di Petro Poroshenko ha il 9%, il movimento politico dell'ex primo ministro Julija Tymošenko il 7%, il partito "Golos" (Voce), guidato dalla rockstar Svjatoslav Vakarčuk, il 6,3%.
Il 29 agosto nomina ufficialmente alla carica di primo ministro Oleksij Hončaruk, che ottiene la fiducia dal parlamento. Hončaruk diviene il primo ministro più giovane della storia dell'Ucraina. Il Governo Hončaruk termina il 4 marzo 2020, a seguito delle dimissioni del capo del governo. Lo stesso giorno conferisce l'incarico di primo ministro a Denys Šmihal', che ottiene la fiducia dalla Verchovna Rada.
Il volo Ukraine International Airlines 752 è stato un collegamento aereo di linea tra Teheran (OIIE) in Iran e Kiev (UKBB) in Ucraina. L'8 gennaio 2020, il Boeing 737-800 con marche UR-PSR che effettuava il servizio, veniva abbattuto pochi minuti dopo il suo decollo dall'aeroporto internazionale di Teheran-Imam Khomeini, uccidendo i 176 passeggeri a bordo, fra cui 11 ucraini e 9 componenti l'equipaggio. E' dei più gravi incidenti avvenuti in territorio iraniano dopo quello del volo Iran Air 655 del 3 luglio 1988, e del volo del guardie della rivoluzione islamica del 19 febbraio 2003.
Il presidente ucraino Zelens'kyj si trovava nel vicino Oman per una visita ufficiale, e a causa dell'incidente l'8 gennaio 2020, l'ufficio presidenziale ha annunciato che avrebbe interrotto il suo viaggio Da subito il sito di notizie Internet Obozrevatel.com ha rilasciato informazioni che il 7 gennaio 2020, anche il politico ucraino di opposizione Viktor Medvedčuk è arrivato in Oman.
Il 9 gennaio 2020, i giornalisti investigativi di Skhemy (Schemes: la corruzione nei dettagli) hanno riferito che l'arrivo del presidente è stato ritardato di quasi un giorno intero pubblicando le foto del suo arrivo. Presto iniziarono a circolare voci secondo cui Zelens'kyj avrebbe dovuto avere altri incontri oltre a quelli ufficiali già in agenda, ma il 14 gennaio 2020, Andriy Yermak ha respinto le voci come speculazioni e teorie del complotto infondate, mentre Medvedchuk ha affermato che l'aereo distrutto venne utilizzato dalla famiglia della figlia maggiore per volare dall'Oman a Mosca. Successivamente, Yermak ha contattato il quotidiano online Ukrainian Truth e ha fornito maggiori dettagli sulla visita in Oman del presidente e sull'incidente aereo in Iran.
Zelens'kyj ha chiesto agli ucraini di astenersi dal visitare l'Iran e l'Iraq per il momento. L'11 gennaio il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniana ha dichiarato di aver abbattuto l'aereo dopo averlo erroneamente identificato come bersaglio ostile.
Zelens'kyj quello stesso giorno ha dichiarato: "L'Ucraina insiste su una piena ammissione di colpa. Ci aspettiamo che l'Iran porti i responsabili alla giustizia, restituisca le salme delle vittime, paghi un risarcimento ed emetta scuse ufficiali. Le indagini devono essere complete, aperte e continuare senza ritardi o ostacoli".
Crisi russo-ucraina del 2021-2022.
Nell'aprile 2021, in seguito al trasferimento di numerose truppe russe ai confini con l'Ucraina, Zelens'kyj ha avuto dei colloqui telefonici con il presidente statunitense Joe Biden, spingendo per l'ingresso nella NATO del proprio Paese.
Il 26 novembre 2021, Zelens'kyj ha duramente attaccato Vladimir Putin e l'oligarca ucraino Rinat Achmetov, accusandoli di aver pianificato un colpo di stato ai suoi danni. Sia il governo russo che il magnate hanno respinto le accuse.
Nel gennaio 2022, dei rapporti dell'intelligence americana hanno evidenziato come fosse imminente un'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Nonostante l'ingente quantità di truppe russe ai confini, Zelens'kyj ha rassicurato la popolazione sull'improbabilità di un evento di tale portata, invitando i media a non ingigantire il rischio di un'invasione e a non provocare un'"isteria di massa".
Il 21 febbraio, in un discorso alla nazione, Putin ha inaspettatamente riconosciuto l'indipendenza dei territori separatisti di Doneck e Lugansk, annunciando di aver autorizzato una missione di peacekeeping nei territori indipendentisti, ufficialmente per garantire la sicurezza delle popolazioni russofone. Il giorno dopo, le truppe russe hanno occupato le regioni del Donbass controllate dai separatisti. Il 24 febbraio, Zelens'kyj ha tenuto in diretta tv un discorso, sia in ucraino che in russo, in cui ha invitato i cittadini russi ad esprimere dissenso contro la guerra nei confronti del loro governo. Nel discorso, ha fermamente respinto le accuse, mossegli dall'omologo russo Vladimir Putin, di legami con il neonazismo, evidenziando come egli sia di origine ebraica, e ha negato di aver pianificato di attaccare le regioni russofone del Donbass.
Il conflitto.
Nonostante numerosi incontri e tentativi di negoziati tra esponenti del governo russo e i principali leader europei, il 25 febbraio l'esercito russo ha dato inizio all'invasione dell'Ucraina, preceduta da massicci bombardamenti sulle principali città. Zelens'kyj ha proclamato l'entrata in vigore della legge marziale e ha dato il via alla mobilitazione di massa, con l'arruolamento volontario nell'esercito dei cittadini maggiorenni in grado di combattere. Con numerosi messaggi pubblicati sui social, Zelens'kyj ha affermato di non volersi allontanare da Kiev, assediata dalle truppe russe, e di aver rifiutato un salvacondotto, messogli a disposizione dagli Stati Uniti, che gli avrebbe permesso di rifugiarsi a Leopoli. Il 28 febbraio, a conflitto ancora in corso, ha firmato la richiesta di adesione dell'Ucraina all'Unione europea, inizialmente prevista per il 2024.
Nelle prime fasi del conflitto, Zelens'kyj ha guadagnato ampi consensi, sia in patria che nei Paesi occidentali, per la sua leadership e per le sue strategie comunicative, in grado di compattare il fronte occidentale contro Russia e Bielorussia.Diverse testate giornalistiche occidentali lo hanno definito "eroe nazionale" ed "eroe globale". il Guardian e BBC News hanno evidenziato come, per la sua ferrea risposta all'invasione, anche i suoi oppositori politici gli abbiano rivolto elogi. Ha inoltre riportato in auge il saluto Slava Ukraini (Gloria all'Ucraina, diffuso durante la guerra fredda tra gli oppositori del regime sovietico in Ucraina, come simbolo di resistenza e patriottismo. Al febbraio 2022, secondo i sondaggi sociologici, l'indice di fiducia a Zelens'kyj nel suo Paese era al 93%, quando nei mesi immediatamente precedenti alla guerra oscillava tra il 30 e il 40%. Numerosi Paesi d'Europa (Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Lituania e Polonia) e gli Stati Uniti d'America hanno conferito a Zelens'kyj le più alte onoreficienze; tra cui il Premio Ronald Reagan per la Libertà ed il Premio John F. Kennedy per il Coraggio. Dall'altro canto, in Russia la sua immagine è stata ampiamente screditata: Vladimir Putin, in un discorso del 25 febbraio, ha definito il governo di Zelens'kyj come una "banda di nazisti e tossicodipendenti", accusandolo inoltre di essere una marionetta nelle mani dell'Occidente.
Posizioni politiche.
Politica estera.
Nell'ottobre 2020 ha parlato a sostegno dell'Azerbaigian per quanto riguarda la guerra del Nagorno-Karabakh tra l'Azerbaigian e gli azeri di etnia armena sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh. Zelens'kyj ha affermato: "Sosteniamo l'integrità territoriale e la sovranità dell'Azerbaigian proprio come l'Azerbaigian sostiene sempre la nostra integrità e sovranità territoriale".
Zelens'kyj ha cercato di posizionare l'Ucraina come uno Stato neutrale nelle tensioni politiche e commerciali tra Stati Uniti e Cina. Nel gennaio 2021, Zelens'kyj ha dichiarato in un'intervista ad Axios di non percepire la Cina come una minaccia geopolitica e di non essere d'accordo con le affermazioni degli Stati Uniti secondo cui ne rappresenta una.
Ingresso nella NATO e nell'Unione Europea.
Nel 2013-14 Zelens'kyj si avvicinò al movimento filo-europeista Euromaidan. Durante la guerra del Donbass ha aiutato l'esercito ucraino contribuendo a fondare un battaglione di volontari combattenti. In un'intervista del 2014 sulla Komsomolskaya Pravda ucraina, Zelens'kyj ha detto che gli sarebbe piaciuto fare una visita in Crimea, ma che lo eviterebbe perché "ci sono persone armate". Nell'agosto 2014, Zelens'kyj si è esibito per le truppe ucraine a Mariupol e in seguito il suo studio ha donato un'importante somma all'esercito ucraino.
Durante la sua campagna presidenziale, Zelens'kyj ha affermato di sostenere l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea e alla NATO, ma ha affermato che gli elettori ucraini dovrebbero decidere in merito all'adesione del paese a queste due organizzazioni nei referendum. Allo stesso tempo, credeva che il popolo ucraino avesse già scelto l'"eurointegrazione". Lo stretto consigliere di Zelens'kyj, Ivan Bakanov, ha anche affermato che la politica di Zelens'kyj è favorevole all'adesione sia all'UE che alla NATO e propone di tenere referendum sull'adesione.
Il programma elettorale di Zelens'kyj affermava che l'adesione dell'Ucraina alla NATO è "la scelta del Maidan e il corso sancito dalla Costituzione, inoltre, è uno strumento per rafforzare la nostra capacità di difesa". Il programma afferma che l'Ucraina dovrebbe fissare l'obiettivo di presentare domanda per un piano d'azione per l'adesione alla NATO nel 2024. Il programma afferma inoltre che Zelens'kyj "farà di tutto per garantire" che l'Ucraina possa presentare domanda di adesione all'Unione europea nel 2024.
Politica interna.
Due giorni prima del secondo turno, Zelens'kyj ha dichiarato di voler costruire "un'Ucraina forte, potente e libera, che non è la sorella minore della Russia, che non è un partner corrotto dell'Europa, ma la nostra Ucraina indipendente".
Zelens'kyj ha promesso che il suo primo disegno di legge, "On People's Power", fornirà un meccanismo per i referendum.
Questa promessa non è stata mantenuta, poiché il suo primo disegno di legge presentato era una legge sugli appalti pubblici delle elezioni. Ha anche promesso progetti di legge per combattere la corruzione, inclusa la rimozione dell'immunità al presidente del paese, ai membri della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino) e ai giudici, una legge sull'impeachment, la riforma delle leggi elettorali e un processo efficiente con giuria. Ha promesso di portare lo stipendio del personale militare "al livello degli standard Nato".
Zelens'kyj ha dichiarato che come presidente avrebbe sviluppato l'economia e attratto investimenti in Ucraina attraverso "un riavvio del sistema giudiziario" e ripristinando la fiducia nello Stato. Propone inoltre un condono fiscale e una flat tax del 5 per cento per le grandi imprese che potrebbero essere aumentate «in dialogo con loro e se tutti sono d'accordo». Secondo Zelens'kyj, se le persone si accorgessero che il suo nuovo governo "funziona onestamente dal primo giorno", inizierebbero a pagare le tasse.
Nel 2020, ha proposto l'ergastolo per corruzione.
Riguardo all'annessione russa della Crimea nel 2014, Zelens'kyj ha affermato che, parlando realisticamente, sarebbe possibile riportare la Crimea sotto il controllo ucraino solo dopo un cambio di regime in Russia.
Zelens'kyj sostiene la distribuzione gratuita di cannabis medica, l'aborto gratuito in Ucraina e la legalizzazione della prostituzione e del gioco d'azzardo. Si oppone alla legalizzazione delle armi.
Zelens'kyj si è espresso contro il prendere di mira la lingua russa in Ucraina e il divieto di artisti per le loro opinioni politiche (come quelle considerate dal governo ucraino come anti-ucraine). Nell'aprile 2019 ha dichiarato di non essere contrario a una quota di lingua ucraina (alla radio e alla TV) e che agli artisti russi "che si sono trasformati in politici (anti-ucraini)" ai quali dovrebbe essere vietato l'ingresso in Ucraina. Contemporaneamente ha lanciato lo slogan sulle quote in lingua ucraina: "puoi cambiarli un po'".
Zelens'kyj ha dichiarato nell'aprile 2019 che "ovviamente" sostiene la decomunizzazione dell'Ucraina, ma non è soddisfatto della sua forma attuale. In un'intervista con RBC-Ucraina nell'aprile 2019, Zelens'kyj ha affermato che il leader dell'OUN-B Stepan Bandera, una figura controversa nella storia ucraina, era "un eroe per una certa parte degli ucraini, e questa è una cosa normale e interessante. Era uno di quelli che hanno difeso la libertà dell'Ucraina. Ma penso che quando chiamiamo così tante strade, ponti con lo stesso nome, questo non è del tutto giusto." Nella stessa intervista, Zelens'kyj ha continuato a criticare l'abuso di tributi a Taras Hryhorovyč Ševčenko, un famoso poeta e pittore ucraino: "Dobbiamo ricordare gli eroi di oggi, eroi delle arti, eroi della letteratura, semplicemente eroi dell'Ucraina. Perché non usiamo i loro nomi, i nomi degli eroi che oggi uniscono l'Ucraina?"
In risposta a suggerimenti contrari, nell'aprile 2019 ha dichiarato di considerare il presidente russo Vladimir Putin "come un nemico". Il 2 maggio 2019 Zelens'kyj ha scritto su Facebook che "il confine è l'unica cosa che Russia e Ucraina hanno in comune".
Nel giugno 2021, Zelens'kyj ha presentato alla Verkhovna Rada un disegno di legge "Sulla prevenzione delle minacce alla sicurezza nazionale legate all'eccessiva influenza di persone di significativa importanza economica o politica nella vita pubblica (oligarchi)". Lo scopo della legge, secondo il presidente, è combattere contro le persone che hanno una ricchezza significativa e un'influenza significativa nella società e nella politica (gli oligarchi). Una persona è identificata come oligarca se soddisfa 3 dei 4 criteri, e quindi deve essere iscritta in un apposito registro.
Vita privata.
Nel settembre del 2003 si è sposato con Olena Kijaško, architetta e autrice dei suoi sketch, che ha conosciuto al liceo. La coppia ha due figli: una femmina, Oleksandra (2004), e un maschio, Kyrylo (2013).
La prima lingua di Zelens'kyj è il russo: egli parla correntemente anche l'ucraino e l'inglese. I suoi beni valevano circa 37 milioni di grivne (circa $ 1,5 milioni di dollari) nel 2018.
Controversie.
I "Pandora Papers" dell'ICIJ hanno rivelato che Zelens'kyj, Serhij Shefir e Ivan Bakanov (rispettivamente suo Capo di gabinetto e Direttore del Servizio di sicurezza dell'Ucraina) gestivano una rete di società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize. Gli procurano accuse di ipocrisia in relazione agli impegni presi in campagna elettorale.
In un'intervista dell'aprile 2019 all'emittente RBC Ucraina, circa il fatto che una parte degli ucraini reputi Stepan Bandera un eroe, afferma che: "È normale, è grande! È una di quelle persone che han difeso la libertà dell'Ucraina!". Sebbene sia stata in seguito rimossa, ne sono ancora recuperabili parti per iscritto attraverso alcuni articoli, grazie ad archivi web come la Wayback Machine. Inoltre sono presenti video in cui ribadisce la propria posizione anche su YouTube.
Alcune sue dichiarazioni sulla Soluzione finale e sull'Olocausto sono state aspramente criticate dalla comunità ebraica e reputate "oltraggiose" dal Ministro delle Comunicazioni israeliano Yoaz Hendel. L'ex ministro Yuval Steinitz le ha classificate come "al confine con il Negazionismo dell'Olocausto".
È spesso fortemente criticato anche l'appoggio di Zelens'kyj a formazioni di stampo (più o meno velatamente) nazionalista, come il Battaglione Azov.
Gli sono tavolta contestati atteggiamenti poco democratici e trasparenti, in particolare per quanto attiene ai rapporti con oligarchi, media e opposizioni filo-russe.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Sua Eccellenza il Presidente dell'Ucraina è dal 20 maggio 2019:
Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 20 maggio 2019
Onorificenze straniere.
Gran Collare dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 11 marzo 2022
Andrea Marinelli,Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” l'8 giugno 2022.
La guerra e le parole. Il paese dove sono nata, quello in cui mi hanno registrata e l’esigenza terapeutica di tornare in Ucraina. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 23 luglio 2022.
Molti ucraini nasceranno lontani da casa, come me. La mia famiglia sfollata a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Chornobyl’ si rifugiò nella casa della bisnonna che aveva una cantina sotto il pavimento del corridoio: era già un rifugio anti aereo?
Non scrivo da un mese, eppure era terapeutico. Su ogni testo staccavo un pezzo di carne che bruciava e sanguinava. Non parlo delle traduzioni, perché quello è assumere la voce di altri e ho dovuto filtrare una ventina di voci tra fine giugno e inizio luglio. Ognuna ha lasciato in me qualche granello, come in quel film “Cold souls”, dove ci sono trafficanti di anime e dove l’attore Paul Giamatti si libera temporaneamente della sua per ingoiare l’anima di un altro, solo perché voleva riuscire a fare un buon lavoro sul palco interpretando nel dramma di Chekhov “Zio Vanja”.
Non scrivo più, eppure consideravo il silenzio una risposta e stare fermi un’azione. Però non scrivere ora mi sembrerebbe come mettere il soliloquio in pausa.
Le notizie dal fronte ucraino arrivano ogni ora, lì non c’è stata una pausa, anzi l’ambasciata americana ha chiesto ai cittadini americani di lasciare di nuovo l’Ucraina come lo aveva chiesto prima del 24 febbario. Parlano di una rotazione, di cambio della strategia, segnano anche il tempo di due settimane. Abbiamo imparato a non fidarci degli strateghi militari, che si sono resi inutili mettendo il marchio di «secondo più potente esercito nel mondo» a quello russo, ma abbiamo anche imparato a fidarci degli americani, che alla fine avevano ragione con tutti i loro avvertimenti prima del febbraio 2022.
Ci sono stati attacchi feroci sui civili a Serhijivka, regione di Odessa, sul centro commerciale di Kremenchuk e nella zona centrale della città di Vinnytsia, il capoluogo della regione dove sono nata. Però che io sia nata lì non c’è scritto da nessuna parte, perché la mia famiglia era sfollata lì a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Chornobyl’, sfollata un po’ tardi, il solito ritardo sovietico, quindi tutte le radiazioni che potevano prendere mia madre e la sua pancia al settimo mese di gravidanza sono state prese.
Eravamo sfollati, ma a casa della bisnonna. La casa con la vigna e le botti di vino in una fresca cantina sotto il pavimento del corridoio, era già un rifugio anti aereo?
Sfollati, come adesso lo sono milioni di ucraini. Anche loro nasceranno lontani da casa. Dove verranno registrati? Io sono stata registrata nella terra di mio nonno, nell’area della capitale e non dove sono effettivamente nata, nella terra di mia nonna. Forse era burocraticamente più comodo registrarmi lì, dove vivevano i miei, dove alla fine sono tornati a vivere o forse perché era la regione della capitale più affascinante.
Ricordo bene il monumento dell’aereo in piazza a Vinnytsia, dove il missile ha deciso che la piccola Lisa non dovesse vivere più. Un’intera giornata a seguire le notizie e a sentire le persone del posto ma nessuna riga, nessun sentimento si è trasformato in parole. Solo qualche tweet.
I tweet sulla guerra oggi vanno poco, neanche i troll russi che vengono ogni tanto a sputacchiare nei commenti riescono a scuotere l’algoritmo. C’è stata la crisi di governo e non bisogna saper leggere le carte o il futuro in una palla di vetro per capire causa e conseguenza e i legami politici e geopolitici al giorno d’oggi in Europa. E al giorno di oggi, in Europa c’è una guerra.
Allora perché non scrivo? La siccità ha colpito non solo i rubinetti, ma anche me? Forse sono rimasta vittima dell’estate, del mare e delle creme solari che a maggio avevo desiderato non arrivassero? Ma non sono al mare, anzi le rituali domande «dove vai quest’estate?» mi danno un tantino fastidio. Non esco quasi di casa, soffro il caldo, che arduamente condivido con il mio ventilatore Ardes, provo a leggere, a gestire qualche cosa di lavoro, sto sempre attaccata al sito delle notizie, ma non scrivo. O magari il sentimento è cambiato? Quale è la classifica dei sentimenti? Quanto dura l’adrenalina? Quando si inizia ad abituarsi? Sono in modalità “ricalibrare” per ripartire con forze nuove a settembre? Quale è la differenza tra me, ucraina, e gli altri che vivono l’estate?
O forse perché i biglietti sono stati presi e non faccio nient’altro che pensare al viaggio in Ucraina e a percorrere nella testa tutte le tappe: Bergamo-Cracovia-Lviv-Kyjiv-Zaprudka. Zaprudka è il paesino dove sono stata registrata all’anagrafe, non dove sono nata, ma è comunque quello che c’è scritto nei miei documenti di nascita e di origine. Me lo tengo, non lo cambio, e magari arrivandoci butterò giù finalmente qualche riga.
Gli ucraini sanno. Omaggio all’Ucraina, il paese che sognavo da bambino. Christian Rocca su L'Inkiesta il 20 luglio 2022.
In edicola il nuovo numero di Linkiesta Magazine, un numero straordinario ideato, scritto, disegnato, fotografato da intellettuali, scrittori, designer e fotografi ucraini e ispirato a George Orwell. Questo è l’editoriale di Christian Rocca.
L’Ucraina è il Paese che sognavo da bambino. Gli ucraini sono un popolo fiero, glorioso e antifascista che lotta con coraggio per la sua indipendenza, che freme per la libertà, che respira l’Europa, che guarda l’Occidente, che si sente parte del mondo libero. Un popolo che vuole vivere come noi, libero, non sotto il giogo di un regime autoritario e di un’ideologia illiberale.
Dopo decenni di tentativi più o meno riusciti o più o meno falliti di esportare la democrazia, ecco finalmente un popolo che chiede a gran voce di importare la democrazia occidentale e, assieme ai diritti e alle libertà, di importare anche le armi per difenderla dalle aggressioni autoritarie, con uno spettacolare e tragico cambio di paradigma rispetto all’idea post Iraq secondo cui le armi non servono a costruire una nazione democratica.
Le armi servono, le idee sono necessarie, lo spirito di un popolo è fondamentale.
Gli ucraini conoscono i russi, sanno di chi stanno parlando. Sanno che i russi hanno cominciato a dominarli e a sterminarli ai tempi dell’impero e poi durante la rivoluzione bolscevica fino alla pianificazione staliniana della carestia e all’esecuzione durante le purghe dei leader politici, civili e culturali nazionali considerati nemici del popolo.
Leggere La grande carestia di Anne Applebaum è un’esperienza dolorosa ma anche illuminante perché il metodo russo è sempre lo stesso da oltre un secolo, così come le tecniche e la propaganda. I russi creano sempre una realtà parallela per giustificare i crimini, una volta per dekulakizzare l’Ucraina (cioè per sterminare i contadini) e un’altra volta per denazificarla (cioè per radere al suolo il Paese). Ma si tratta sempre della stessa isteria imperialista e della stessa strategia di pulizia etnica con la medesima finta richiesta di aiuto a Mosca da parte della popolazione russofona dell’Ucraina, che è russofona perché gli è stato imposto di esserlo o per effetto della colonizzazione, ma che in ogni caso è usata come pretesto per invadere e sottomettere gli ucraini. Per dire: oggi il leader dell’autoproclamata Repubblica indipendente di Donec’k, Denis Pushlin, uno che nelle interviste ai giornali italiani dice di non avere nessun rapporto con il Cremlino in realtà è un deputato del partito unico di Putin alla Duma di Mosca, altro che leader indipendentista.
Gli ucraini sanno che l’unica alternativa alla plurisecolare pulizia etnica, linguistica e culturale che subiscono da Mosca è la sconfitta piena e totale dei russi. Sanno che l’alternativa alla loro cancellazione è esattamente opposta alle chiacchiere che si sentono nei talk show o si leggono su alcuni giornali italiani secondo cui basterebbe fare concessioni al Cremlino, rinunciare a qualcosina, abbandonare i propri connazionali in modo da dare una via d’uscita a Putin, perché Vladimir Vladimirovič, poverino, ha proprio bisogno di non uscire umiliato dalla guerra imperialista che ha scatenato.
Per capirci, i sapientoni italiani propongono agli ucraini che da secoli sono soggiogati e uccisi e cancellati dai russi di concedere ai loro aguzzini buona parte del loro territorio. Come è già successo a Bucha.
Cioè la proposta oscena agli ucraini è di accettare una buchizzazione dell’Ucraina. E poi si stupiscono che gli ucraini liquidino come spazzatura putiniana i loro balzani suggerimenti o che alcuni italiani segnalino come propaganda russa le loro pseudoanalisi.
Gli ucraini oggi sono la storia che si è rimessa in moto. Se devono morire, come sono sempre morti, preferiscono farlo lottando contro l’invasore anziché dirgli prego si accomodi pure a stuprare le nostre figlie e la nostra cultura. Gli ucraini lo hanno già dimostrato quando nel 1991 hanno dichiarato l’indipendenza per la seconda volta in un secolo, quando nel 2004 hanno promosso la rivoluzione arancione e poi la piazza europea nel 2013 e nel 2014, e a maggior ragione adesso che vedono finalmente svegliarsi e pronti ad aiutarli coloro che considerano fratelli occidentali, ovvero noi.
Gli ucraini sanno.
Sanno che l’alternativa alla sottomissione violenta è l’umiliazione della Russia, il default militare ed economico, oltre a quello morale, di Mosca e della cosca putiniana.
Gli ucraini sono un popolo reale, vero, d’acciaio, nonostante le fregnacce diffuse dalla propaganda russa e bieloitaliana. Un popolo capace di insegnare molto all’Europa e all’Occidente: intanto a non dare per assodata la libertà di cui godiamo e ad apprezzare i diritti che il mondo libero ha conquistato e altri ancora no.
Gli ucraini li vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Gli ucraini sanno.
Questo numero di Linkiesta Magazine non è semplicemente dedicato a un popolo ammirevole e alla sua battaglia per la libertà, ma è stato ideato, progettato, scritto, disegnato e fotografato da intellettuali, scrittori, registi, designer e fotografi ucraini, sotto la guida della scrittrice Yaryna Grusha Possamai, docente di Letteratura ucraina alla Statale di Milano, collaboratrice de Linkiesta dall’inizio della guerra e protagonista della favolosa serata “Per l’Ucraina, per l’Europa” organizzata da Linkiesta e da Repubblica al Teatro Franco Parenti di Milano il 13 marzo 2022.
Yaryna Grusha ha coinvolto i designer Romana Romanyshyn e Andrij Lesiv per la cover di questo numero, il principale intellettuale contemporaneo ucraino Volodymyr Yermolenko, la scrittrice del Donbas Olena Stiazhkina, il regista tataro di Crimea Nariman Aliev, il direttore dell’Ukranian Institute Volodymyr Sheiko e la saggista di Kyjiv Kateryna Zarembo, oltre a scrivere lei stessa un testo sullo sgomento di vivere la guerra in remoto dall’Italia ma con la famiglia e gli amici sotto la minaccia costante dell’aggressione russa. Le fotografie sono di Stanislav Senyk e raccontano le feste per la maturità degli studenti delle scuole distrutte di Chernihiv.
Siamo partiti dall’entusiasmo rivoluzionario e antifascista della Barcellona degli anni Trenta che George Orwell ha reso immortale in Omaggio alla Catalogna, perché non c’è niente di più simile a quella febbricitante aspirazione antifascista quanto l’universale mobilitazione popolare ucraina contro l’invasore russo. Omaggio all’Ucraina, dunque.
Questo numero ospita anche gli articoli del progetto Big Ideas del New York Times. La “grande idea” su cui si sono esercitati opinionisti, commentatori e personalità internazionali e italiane, a cominciare da Giorgio Armani, Takashi Murakami e Ferran Adrià, gira intorno al tema di che cosa sia oggi la realtà. Ecco, la risposta esatta alla domanda posta dal New York Times è questa: nel mondo di oggi non c’è niente di più precisamente reale di un popolo che combatte per la sua e la nostra libertà contro un nemico ideologico dell’umanità.
I valori dei soldati. La meglio gioventù ucraina che muore al fronte per la libertà. Yaryna Grusha Possamai su Il Corriere della Sera il 17 giugno 2022.
Ogni giorno, i familiari dei giovani civili che si sono arruolati volontari a febbraio controllano il telefono sperando che i loro figli, mariti e amici postino una prova della loro esistenza.
Il governo ucraino, nelle prime settimane dell’aggressione russa su larga scala, ha deciso di non far conoscere il numero dei soldati ucraini morti in battaglia. I militari l’hanno considerata una mossa corretta per tanti ragioni. Una di queste è mantenere uno spirito alto di resistenza. Come dargli torto? Adesso però arrivano alcuni numeri dai report degli esperti internazionali militari, dalle dichiarazioni del presidente ucraino e di conseguenza dai titoli dei giornali. Sembra che la morte cammini da qualche parte in periferia e poi all’improvviso salta fuori spietata da dietro l’angolo e annuncia il suo bottino.
Per ovvie ragioni, la morte dei soldati ucraini viene annunciata alcuni giorni dopo. La morte trova il suo tardivo lutto, preceduto dal silenzio di un «il numero che sta chiamando non è al momento irraggiungibile». Si spera nella cattiva connessione, si spera nella situazione difficile, si aspetta un post su Facebook. Ormai viviamo nel continuo «se posta allora è vivo», si spera. E invece insieme con i post assenti muore anche la speranza.
La morte dei soldati ucraini, spietata e ingiusta, ha le facce concrete, le facce che conosciamo, le facce che dovevano vivere e avere una vita normale, una famiglia, dei figli, il lavoro che piaceva, un cane o forse due, un neo sul labbro superiore, il libro e la squadra di calcio preferiti.
Anche Roman Ratushny aveva il suo libro preferito. È stato ucciso il 9 giugno 2022 nella località di Izium, una morte annunciata il 14 giugno. Il 5 luglio avrebbe compiuto 25 anni. Roman Ratushny, arruolato volontario nell’esercito a febbraio subito dopo l’invasione, era un giovane attivista della Rivoluzione 2013-2014, un attivista contro l’edilizia abusiva nella sua città di Kiev, il figlio della scrittrice ucraina Svitlana Povaljajeva, che il giorno dopo aver saputo della morte del figlio ha eseguito il suo testamento. Perché Roman ne aveva già uno. Tutti i suoi risparmi, 100 mila grivne, li ha devoluti al sito che si occupa di ricerca storica “Istorychna Pravda” (La verità storica).
Al fronte ucraino c’è davvero la meglio gioventù: i giornalisti, gli scrittori, gli attivisti, i civili arruolati volontari a febbraio, i militari. Sono la nostra meglio gioventù che abbiamo già perso e continuiamo a perdere per colpa delle manie di un invasore, per colpa dei ritardi nella consegna delle armi, per colpa dell’aver per anni accontentato un dittatore sanguinario, per colpa di non aver mai voluto accorgersi di che cosa stava davvero succedendo perché abbiamo aperto le orecchie alla propaganda russa, abbiamo continuato ad accettare ben volentieri i contanti russi così tanto rimpianti dagli albergatori italiani e dai proprietari delle fashion boutique francesi.
Tutte cose che perdono qualsiasi senso davanti alla tragedia assurda che si svolge alle porte di Europa. Forse ancora adesso possono rappresentare un valore per qualcuno, ma chi si arruola volontario al fronte per difendere la sua terra, il suo presente e il suo futuro, e per questo fa testamento a favore della ricerca storica, evidentemente ha in testa altri valori.
I valori che forse ci siamo persi nella vita quotidiana dietro chissà quale corsa verso chissà quali obiettivi. Tutto diventa minuscolo, insipido e sbilenco davanti alla morte del giovane ventiquattrenne che conosceva tutto il paese e che aveva il solo obiettivo di vivere tranquillo nella sua città.
I funerali di Roman Ratushny si sono svolti a Kiev il 16 giugno, nel giorno della visita di Draghi, Macron e Scholz nella capitale ucraina.
Letizia Tortello per La Stampa il 15 giugno 2022.
«Solo il pazzo, non ha paura di morire. Ma questo fucile mi rassicura. Senza, sarei stato in pericolo». Vasilie ha le mani sudate, se le tocca e trema. Ha la barba lunga, non toglie mai l'elmetto dalla testa, anche al chiuso, come se quell'equipaggiamento mimetico che indossa per la prima volta fosse la sua nuova corazza per proteggersi dal male. Ha 26 anni, faccia da accademico, voce impastata. Si è sposato da poco, a settembre nascerà il primo figlio.
Per lui è pronto a combattere. E dire che fino a tre mesi fa era un insegnante di Fisica e Astronomia, con un Master all'Università di Kiev e un progetto di diffusione della cultura scientifica via radio. Oggi è uno dei soldati volontari per l'Ucraina. Riservista pronto ad andare al fronte a sacrificare se stesso, e la vita, per la libertà del suo Paese.
Non c'è retorica nelle frasi di chi sta per partire per la guerra e sa che potrebbe non tornare mai più. L'esercito di Zelensky perde 100, 200 uomini al giorno, con una resistenza ostinata, nelle ultime ore soprattutto nella regione di Kherson. Servono nuove forze in prima linea, per questo sono stati allertati i civili come Vasilie, che hanno lasciato tutto e si sono candidati per addestrarsi.
Lui, come gli altri 70 compagni che il comandante del Battaglione passa in rassegna in un vecchio complesso fuori da Kiev, si allena da febbraio. Ancora non sa quando sarà il suo turno, né in quale città lo manderanno. Ma ha già ricevuto la benedizione della sua compagna: «Vai, ti capisco. Mi ha detto».
Nella grande stanza dove i riservisti vengono convocati per l'appello, in pochi secondi si formano due file di uomini sull'attenti. Hanno tra i 18 e i 61 anni. La divisa è fornita dall'esercito, così come le armi, a seconda della specializzazione scelta: lanciagranate, fuciliere, tiratore scelto, posizionatore di mine anticarro. Le scarpe, invece, tradiscono la storia dei singoli uomini. C'è chi arriva con le Nike o le New Balance, chi ha calzature usurate, da buttare, come un anziano signore dal volto scavato, che in testa ha un elmetto storto, penzolante a sinistra.
Moltissimi i giovani, pronti a tutto «per la vittoria». Sotto la mimetica, si nascondono ingegneri programmatori come «Tigre», questo il soprannome di battaglia, che ha sempre avuto la passione per le armi. E sistemisti della Apple, laureati al Politecnico della capitale, come «il Cigno», Iuri, capelli rasati e ciuffo, che non ha mai sparato e ammette: «Morire per qualcosa o qualcuno è sempre stupido. Ma morire in Donbass vale la pena, perché dentro di me sento che sto facendo la cosa giusta».
Ecco le facce, le voci, le emozioni del conflitto ucraino in carne ed ossa. Storie sospese tra la vita e chissà. Se sopravviverà, Iuri non vuole continuare a fare il soldato, e crede che il suo Paese alla fine prevarrà: «Finito il mio compito, tornerò civile - dice -. Mi piace la vita normale, amo fare colazione in questo modo qui. Mi piace la libertà». Ci mostra una foto sul cellulare di una tavola imbandita con uova, bacon, avocado e dolci che ha preparato per se stesso in una domenica di relax. È il momento della conta. Ciascuno viene chiamato per nome e risponde «ci sono!».
Abbigliamento e armi vengono controllate nei minimi dettagli. L'immancabile «Slava Ukraini», gloria all'ucraina è preceduto da un momento di silenzio per le vittime della guerra. Poi, inizia il training teorico. Quello che un altro Battaglione ha già superato da settimane, per passare all'addestramento sul campo. Ci spostiamo, dunque, in un terreno attrezzato con materassi che fungono da trincee. Iuri, un altro, 24 anni, designer d'interni prima del 24 febbraio, si allena a sparare secondo la tecnica Nato: uno corre, l'altro copre, l'altro carica l'arma.
«È la prima volta in tutta la mia vita che sento di avere uno scopo, di darle un senso. Prima avevo tanti dubbi sul lavoro e sulle scelte», spiega laconico. Ha un piccolo tatuaggio sulla guancia sinistra, tre note musicali: «Suono la chitarra classica, mi mancherà, ma non la porterò al fronte». Nella guerra che strappa via tutto, anche le certezze si ridefiniscono, diventano minime, fondamentali per arrivare a domani. L'addestramento al campo prevede tattica e medicina.
Capacità di spostamento sul terreno e esperienza nel riconoscere ed usare i missili. «Questi uomini possono partire da un momento all'altro», spiega il comandante, un militare che ha combattuto nel 2014 ed è rimasto ferito alla spalla. La portavoce della 241° divisione della Difesa territoriale, Oksana Ponomariova, ex filologa e anche lei volontaria per l'esercito, rivela in disparte che il figlio dell'uomo è in battaglia e di lui non sa più nulla da molto tempo.
Sul suo volto, si intravede una lacrima, mentre il comandante con lo sguardo basso torna tra i soldati, dopo la breve pausa. «Tra i riservisti ho trovato compagni di scuola che non vedevo da vent' anni», dice Viktor, proprietario di un internet-caffè. Ha fatto tre giorni di coda per arruolarsi. E non vuole fare l'eroe: «Questo è il mio Paese, dove vive la mia famiglia e dove c'è tutto quello che ho costruito. I russi non me lo porteranno via»
Così i civili ucraini distruggono le mine con le mani. Alessandro Ferro l'11 Giugno 2022 su Il Giornale.
Gli abitanti di un piccolo centro ucraino, grazie all'opera di una Ong, hanno imparato a togliere le mine dai campi con le mani.
Per sopravvivere si fa di tutto anche a costo di rimetterci la propria pelle. Alcuni civili ucraini si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato una pratica che non avrebbero mai immaginato di dover fare, nemmeno nei peggiori incubi: togliere le mine con le loro stesse mani. Succede nella città di Ichnia, nella regione di Chernihiv, con alcuni abitanti del luogo che stanno imparando a sbarazzarsi anche degli ordigni inesplosi dal loro territorio ormani non più occupato dall'esercito russo.
Cosa fanno gli sminatori
Come mostra un video pubblicato da Repubblica, tramite particolari strumenti che rilevano se c'è un ordigno o meno, gli sminatori perlustrano le strade con passo lento e altissima attenzione. Qualora ci fosse una mina, lo strumento lo scoprirebbe immediatamente emettendo un segnale acustico. Oltre a un abbigliamento particolare in cui si indossa una specie di giubbotto antiproiettile, donne e uomini hanno anche un casco protetto nel caso in cui alcuni frammenti dovessero colpire il loro volto. La persona che si trova davanti è "dentro" questo strumento rettangolare, chi la segue ha un filo al quale è collegato lo strumento che ne rileva, o meno, la presenza. La compagnia che esegue le operazioni è la Ong chiamata "Danish Refugee Council", che dà a questi volontari la formazione più completa possibile per lavorare in sicurezza.
"Sei consapevole..."
"Ho ricevuto un po' di formazione, partecipiamo regolarmente a sessioni di formazione", ha dichiarato a Repubblica una giovane volontaria, la quale si mostra decisa e senza paura perché si è consapevoli di quello che si sta facendo e per quale motivo. "Non abbiamo paura. Se segui le regole e i protocolli di sicurezza tutto andrà bene". Fino ad ora sono stati recuperati 26 proiettili di artiglieria in mezzo alla campagna. Le mine anti-uomo sono pericolosissime soprattutto per gli agricoltori che arano e camminano sopra i loro campi: il periodo di raccolta è alle porte e, oltre ai "crateriI" lasciati dalle esplosioni, chi ha un terreno deve fare i conti con l'ignoto e l'insidia che può nascondersi appena sotto ad uno strato di terra.
"Tutti gli agricoltori stanno seminando attivamente", ha dichiarato Maxim Sereda, team leader del gruppo degli sminatori. Quando c'è una strada sospetta, viene bloccata e controllata prima che venga riaperta, un po' come funziona con i lavori stradali e i cantieri in mezzo. Non ci sono solo mine ma anche le carcasse di mezzi bellicci distrutti e abbandonati che vanno rimossi. Questa associazione Ong è stata fondata nel lontano 1956 e opera in 40 Paesi: si tratta di una delle prime organizzazioni ad aver voluto aiutare attivamente gli ucraini per eliminare, come detto, tutto il materiale bellico compreso quello più delicato e pericoloso.
Chiara Bruschi per “il Messaggero” il 9 giugno 2022.
Una bicicletta sotto il portico, uno skateboard nel cortile dietro casa. Un'adolescenza come tante fino all'invasione russa, quando la sua passione per i droni ha contribuito a cambiare le sorti della guerra. Andrii Pokrasa ha solo 15 anni è per l'esercito e la popolazione di Kiev è già un eroe.
Il giovane studente, abile pilota di questi dispositivi, è riuscito a identificare le coordinate GPS di un convoglio russo che stava per entrare pericolosamente a Kiev nei primissimi giorni del conflitto. «Era l'unico ad avere esperienza in quella regione ha detto il comandante dell'esercito Yurii Kasjanov è un vero eroe, un eroe dell'Ucraina».
È stato l'esercito, infatti, a rivolgersi a lui: «Mi hanno dato delle informazioni generiche sull'area che i russi stavano attraversando ha raccontato il ragazzo a Global News e io dovevo trovare, con precisione, la posizione per attaccarli». E ci è riuscito una sera tardi, quando mimetizzandosi nel buio della notte, accompagnato dal papà, ha fatto alzare il suo drone e ha avvistato una luce proveniente da uno dei mezzi russi. Ha avuto molta paura perché il convoglio era a soli due chilometri di distanza ma l'ha combattuta, perché non voleva che la sua città venisse conquistata.
Una missione che anche la madre Iryna ha affrontato con grande timore aspettando che rientrassero a casa sani e salvi - e orgoglio. E ne aveva tutte le ragioni: grazie alle foto scattate da suo figlio, le truppe ucraine sono riuscite a neutralizzare il nemico che si stava dirigendo da Zhytomyr alla capitale. Un epilogo che ha lasciato ad Andrii emozioni contrastanti: all'inizio, ha raccontato il giovane, era felice per il risultato raggiunto ma poi ha pensato al fatto che su quella strada erano morte delle persone, «degli invasori, ma pur sempre delle persone».
Andrii ha iniziato a interessarsi di questi apparecchi tecnologici lo scorso anno, quando ha visto su YouTube le riprese di Kiev dall'alto. E ne è rimasto affascinato soprattutto perché ha molta paura dell'altitudine e grazie a un dispositivo telecomandato ha scoperto l'opportunità di guardare il mondo dall'alto, senza l'ansia che ne sarebbe altrimenti derivata.
Così, utilizzando il denaro ricavato col padre dalla compravendita di crypto-valute, la scorsa estate ha comprato il suo primo mini drone e ha iniziato a pilotarlo ogni giorno. Un hobby che si è trasformato in qualcosa di molto più importante a fine febbraio. E che ha continuato anche dopo, visto che Andrii ha messo le sue competenze a disposizione dell'esercito, il quale gli ha fatto pilotare mezzi ancora più potenti per spiare il nemico russo e anticiparne le mosse.
Il giovane Pokrasa non è l'unico pilota ad aver fornito supporto alle truppe ucraine: centinaia di altri esperti hanno messo a disposizione quanto documentato per dimostrare i crimini di guerra attuati da Mosca. Lo ha spiegato Taras Trojak, presidente della Federazione dei proprietari di droni d'Ucraina, che all'indomani dell'invasione ha creato un gruppo su Facebook per spingere i proprietari di questi velivoli a utilizzarli per identificare il nemico, condividendo poi le informazioni raccolte con l'esercito.
Una vera e propria chiamata alle armi alla quale hanno risposto oltre mille piloti, mentre dal resto dell'Europa e dagli Stati Uniti sono arrivati altri dispositivi. Per l'esperto la presenza capillare di questi mezzi è stata decisiva nello sforzo bellico e senza di essa, ha detto a Global News, «Kiev potrebbe essere già stata occupata dalle forze russe». Un altro grande punto di forza della resistenza ucraina che Vladimir Putin non aveva considerato.
Nella crisi in Ucraina c'è sempre qualcosa che torna dal passato. Raccontano che gli ucraini userebbero un vecchio sistema impiegato da un soldato sovietico contro i treni tedeschi nel secondo conflitto mondiale: un arnese in metallo, facile da trasportare e veloce da piazzare sui binari. Il «cuneo» è solo una delle armi dell'attività condotta nelle zone sotto il controllo degli invasori.
Operazioni attribuite ai «partigiani» ucraini, figure sfuggenti rimaste dietro le linee e pronte a eseguire missioni. La maggior parte su loro iniziativa, qualcuna probabilmente ispirata da lontano e magari con l'aiuto di mini-team di forze speciali. Iniziative contemplate da oltre un anno dal piano di resistenza nazionale, attuato dopo l'invasione.
I patrioti provano a interrompere la linea ferrata con mezzi rudimentali, a volte provocano piccoli guasti o li simulano costringendo i convogli ad uno stop. Nelle cittadine diventano ombre, colpiscono collaborazionisti e amministratori filorussi, cercano di impedire al nemico di consolidare il controllo del territorio, in particolare nell'area meridionale di Kherson. Sparano, mettono ordigni sotto le auto oppure nei pressi di edifici particolari, soffiano sul fuoco della protesta, invitano alla disobbedienza chi è ostile al nuovo «padrone». Gli attentati destabilizzano, incutono timore, provocano vittime: nel mirino ci sono i funzionari, ma anche i loro parenti.
Il fronte interno diventa uno strumento di propaganda. Gli uomini di Zelensky esaltano i sabotatori: un sito ne elenca le gesta, fornisce informazioni e suggerimenti su come procurare danni ricorrendo a mezzi disponibili, dal carburante a utensili qualsiasi. L'obiettivo è ritardare il lavoro, innescare incendi, provocare guasti tecnici avendo però sempre in mente alcune misure di protezione. Un alibi da presentare, la riservatezza, la scelta di target compatibili con le proprie possibilità.
Il messaggio rivolto ai «vendicatori invisibili» - così li definisce la loro pagina web - è coinvolgente: «Ognuno di noi può tenere testa al nemico e fare la sua parte per arrivare alla vittoria. Insieme trasformeremo le loro vite in un inferno». La popolarità degli incursori è cresciuta grazie anche all'avversario che spesso è costretto ad ammettere gli «incidenti», i fendenti ricevuti. La lotta clandestina, in alcuni casi, ha sconfinato nei territori russo e bielorusso per incidere sulla rete logistica, sui depositi di carburante e munizioni. Episodi che Kiev non rivendica, ma attribuisce - con ironia - al «karma».
L'intreccio tra attacchi reali e quelli che non lo sono beneficia di un ulteriore attenzione, a livello internazionale. Giornali, centri studi, fonti ufficiali tornano spesso sul ruolo insurrezionale per tre ragioni: un riconoscimento aperto di fatti, l'osservazione di una dimensione diversa rispetto alle operazioni belliche, un modo per sottolineare le difficoltà dell'Armata. Gli eventi vanno annotati, seguiti, ma considerati con prudenza: non sempre è possibile determinare le circostanze.
La guerra degli oligarchi di Volodymyr Zelensky. Andrea Muratore il 27 Luglio 2022 su Inside Over.
Volodymyr Zelensky ha rotto definitivamente con il suo patrono, l’oligarca Igor Kolomoisky, il maggior sostenitore dell’ascesa dell’ex comico divenuto presidente?
Kolomoisky privato della cittadinanza?
Le voci si rincorrono da diverse settimane ma ad oggi il capo dello Stato di Kiev, intento a consolidare il potere sul fronte interno per organizzare in forma coordinata la resistenza all’invasione russa con un cerchio di fedelissimi, non ha confermato. Tuttavia si parla del fatto che Zelensky possa aver inserito Kolomoisky nella lista di dieci figure a cui è stato tolto ogni diritto di cittadinanza per attività potenzialmente illecite. Un documento pubblicato su The New Voice of Ukraine nei giorni scorsi circola sul web.
Kolomoisky appare, a sorpresa, in questa lista di persone che sarebbero state private della cittadinanza, comprendente anche l’ex presidente Petro Poroshenko, ritenuto un potenziale rivale di Zelensky nella rivincita elettorale per le presidenziali del 2024. La lista comprende anche l’amico di lungo corso di Zelensky ed ex direttore dei servizi segreti Ivan Bakanov, la cui Sbu è sotto scrutinio per timore di infiltrazioni russe, e nomi di peso della galassia riferibile a Kolomoisky, tra cui Gennady Korban, capo della Forza di difesa territoriale dell’Oblast di Dnipropetrovsk e un tempo alleato dell’oligarca, e Vadym Rabinovich, leader del partito politico filo-russo Per la Vita.
Sembra che Zelensky stia, in questa fase, facendo tabula rasa delle figure storicamente a lui più vicine e che possono cambiare la percezione della sua figura come quella capace di essere portavoce dell’identità nazionale ucraina nell’era post-invasione.
Così Zelensky è stato creato da Kolomoisky
Kolomoisky, magnate dalla tripla cittadinanza (ucraina, israeliana, cipriota), ha dagli Anni Novanta costruito un impero a partire dalla sua banca PrivatBank, perno del suo crescente e ramificato sistema di business che include imprese in svariati settori: finanza, prodotti petroliferi, mass media, industrie metallurgiche e petrolifere, sport (la squadra di calcio del Dnipro) e, questo il punto chiave, media.
Nel 2019 il canale tv di cui Kolomoisky è proprietario, 1+1, ha dato luce a Servitore del Popolo, la serie tv che ha lanciato Zelensky come politico di opposizione a Poroshenko e dato il nome al suo partito, e nel 2019 promosso attivamente tutta la campagna elettorale dell’ex comico; tra il 2009 e il 2019, Zelensky ha viaggiato almeno quattordici volte per raggiungere Kolomoisky a Ginevra e Tel Aviv, residenze dell’oligarca, per confrontarsi a quattr’occhi. Infine, eletto presidente nel 2019, Zelensky ha nominato Capo dell’Amministrazione Presidenziale, di fatto guida dello staff del capo dello Stato, il suo consulente legale, Andriy Bohdan, che prima di scendere in campo a fianco del capo dello Stato era l’avvocato personale di Kolomoisky.
Una lunga rottura
Dal febbraio 2020, con la rimozione di Bohdan dall’amministrazione presidenziale, è iniziato il distacco tra Zelensky e l’ex patrono, di cui il presidente contestava l’ambiguità su diversi dossier: in primo luogo, Kolomoisky continuava a finanziare il Battaglione Dnipro da lui messo in campo dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e manteneva ambigui rapporti col Battaglione Azov che, nei primi mesi della presidenza Zelensky, manteneva forti le sue critiche verso il capo dello Stato; al contempo, dopo la nazionalizzazione da parte del rivale Poroshenko nel 2016, Kolomoisky ha chiesto con forza a Zelensky di restituirgli le quote di PrivatBank, ricevendo un secco rifiuto; infine, la venatura populista della presidenza ha, fallite le prime mosse per riappacificarsi con la Russia, individuato nella lotta agli oligarchi la via per conquistare consensi. E Zelensky ha pensato di agire trasversalmente, colpendo tutti: da Poroshenko al suo ex patrono.
La guerra ha definitivamente segnato la mutazione genetica del presidente. Dopo le elezioni del 2019, parlando con Formiche, l’analista Nona Mikhelidze dell’Istituto Affari Internazionali ha delineato fattivamente che “il 70% dei cittadini ha votato per un candidato che ha problemi visibili quando parla in ucraino, perché lui nasce in una regione in cui la prima lingua parlata è il russo, e così vale per lui, e quando ha parlato durante occasioni ufficiali ha avuto proprio problemi visibili. Il fatto che gli ucraini non abbiano votato per il candidato che faceva della sua lingua una fede, ossia Poroshenko, che ha puntato molto sui temi nazionalisti nella sua campagna elettorale, dimostra che gli ucraini non puntano sulle questioni identitarie”. Tre anni dopo il mondo è cambiato. Zelensky ora punta forte sul nazionalismo ucraino e non ha più bisogno delle ambiguità di Kolomoisky, che da un lato flirtava coi nazionalisti e dall’altro ne combatteva il campione e rivale in affari, Poroshenko. La venatura autoritaria assunta dal governo ucraino con lo scoppio della guerra è da Zelensky utilizzata come volano per consolidare questo riposizionamento.
Il Washington Examiner ricorda in tal senso che Kolomoisky è sotto investigazione da parte dell’Fbi per riciclaggio di denaro e corruzione. Altri buchi, dal valore di 5,5 miliardi di dollari, sarebbero stati scoperti a partire dalle mosse di Kolomoisky a capo di PrivatBank anche in Olanda, come ha riportato un’interessante inchiesta di 31Mag. Per Bne Intellinews, la testata che nel 2016 scovò lo schema di prestiti piramidali e il grande schema-Ponzi interno a PrivatBank che ne causò la nazionalizzazione, Zelensky vuole togliere la cittadinanza a Kolomoisky per rendere eventualmente più facile una sua estradizione oltre Atlantico e facilitare dunque la manifestazione di una crescente trasparenza di fronte agli alleati occidentali, sbloccando l’iter che porterebbe ai nuovi aiuti militari, da 18 miliardi di dollari, in discussione tra l’amministrazione Biden e il Congresso.
La rottura con Kolomoisky e lo schiaffo a persone come Poroshenko aiutano a capire, infine, i nuovi riferimenti del potere di Zelensky, che sta usando come un’arma la Legge anti-oligarchi promossa nel 2021 e indirizzata oggi contro l’ex protettore. La legge promossa nella Rada ucraina dalla maggioranza presidenziale guidata da Servitore del Popolo e fortemente voluta da Zelensky, mira a definire di fatto quando una figura pubblica possa essere identificata come oligarca in base a criteri pseudo-oggettivi. Essi riguardano, sostanzialmente la presenza nella politica, la ricchezza, la partecipazione a monopoli industriali e il controllo di mass media e proprio dal 2022 è possibile per queste figure essere esclusi dalla vita pubblica, compresa la possibilità di detenere media e partecipare da finanziatori alle campagne elettorali.
Torna in gioco Achmetov, Paperone d’Ucraina
Kolomoisky è stato indicato nel maggio 2022 nella “lista nera” degli oligarchi stilata dal governo ucraino. Da cui manca, tuttavia, il nome forse più caldo: quello di Rinat Achmetov, l’uomo più ricco del Paese, lo zar della metallurgia del Donbass e proprietario del club calcistico dello Shaktar Donetsk e che occupa, secondo Forbes, il 687esimo posto tra gli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato di 4,4 miliardi di dollari. Achmetov era, fino a prima della guerra, ritenuto da Zelensky un nemico pubblico. Tanto da essere addirittura associato a possibili trame golpiste: “Abbiamo informazioni da agenti e anche informazioni audio su una discussione, per così dire, tra i rappresentanti ucraini con i rappresentanti russi sulla partecipazione di Rinat Achmetov a un colpo di Stato in Ucraina e un’assegnazione di un miliardo di dollari”, ha detto Zelensky in conferenza stampa il 26 novembre. Da più parti è stato ritenuto che Achmetov, patron della holding System Capital Management (Scm), fosse il vero bersaglio della legge speciale.
Ma il 12 luglio scorso Achmetov ha annunciato che Scm sarebbe uscita dal business dei media proprio per marcare il confine circa la definizione effettiva di oligarca: chi non controlla media, è questa la sua tesi, non può essere definito oligarca proprio perché così la sua influenza sulla vita pubblica diminuisce notevolmente. Achmetov controllava, in tutto il Paese, un portafoglio di testate diversificato: i canali televisivi Ukraine 24, NLO TV, Indigo TV, Football 1/2/3, 34 TV, l’operatore satellitare Xtra TV e l’edizione ucraina di Vogue erano i fiori all’occhiello della presenza di Scm nel settore, oggi trasferita allo Stato.
Zelensky sta mollando chi gli ha finanziato campagne elettorali e ascesa per passare a fianco del suo storico rivale, che dal 24 febbraio in avanti ha messo l’elmetto e si è schierato senza dubbi al suo fianco: il patron dello Shaktar ha, secondo il Financial Times, garantito 100 milioni di dollari in aiuti militari al Paese e altri 70 milioni per le esigenze dello Stato in tempo di guerra. Ha saldato ogni debito col fisco in anticipo (34 milioni di dollari), chiudendo tutti i contenziosi aperti; in un’intervista al Wall Street Journal ha per primo denunciato la violenza russa a Mariupol, in seguito parlando col Corriere della Sera si è intestato la battaglia populista di Zelensky definendo una “responsabilità storica” per l’Ucraina la corsa a porre fine al regime oligarchico che incancrenisce il Paese. Detta dal Paperone d’Ucraina, questa frase può far sorridere. Ma in tempo di guerra ogni logica salta e il trend è chiaro: Zelensky ha sparigliato nel campo degli oligarchi pensando a blindare il futuro: mettere fuori gioco chi può impensierirlo nelle prossime elezioni e, soprattutto, può rinfacciargli scheletri nell’armadio del passato va di pari passo con l’accordo siglato sostanzialmente oltre ogni vecchia ruggine con l’arcinemico di ieri. Si stanno delineando gli assetti di potere di un’Ucraina i cui leader vogliono durare a lungo. E la cui determinazione ricorda, per eterogenesi dei fini, più la genesi del sistema-Putin in Russia che una compiuta democrazia occidentale.
La piramide del potere: chi comanda davvero a Kiev. Federico Giuliani su Il Giornale il 21 luglio 2022.
Allontanare i profili sospettati di collusione con il nemico o inefficienti e, al tempo stesso, blindare i fedelissimi nelle posizioni chiave. Volodymyr Zelensky sta lentamente facendo cambiare pelle all’Ucraina. La sua prima doppia mossa è coincisa con il licenziamento del capo dell’intelligence, Ivan Bakanov – per altro suo amico d’infanzia – e della procuratrice generale, Iryna Venediktova. Il repulisti interno si è reso necessario per assicurare che i ruoli chiave dello Stato – leggi: potere amministrativo, militare e giudiziario - siano coperti da personaggi fidati. Tutto, ora, è concentrato in tre uomini che si conoscono da tanto e che condividono addirittura il loro posto di lavoro, al civico 11 di via Bankova, sede dell’Ufficio del presidente ucraino, nel cuore di Kiev. Una pessima notizia, ripete l’opposizione politica di Zelensky, unita e stretta attorno al governo nei momenti più bui della guerra, ma preoccupata adesso che l’Ucraina, ai loro occhi, sembra aver imboccato una strada ambigua e pericolosa. C’è addirittura chi ha paragonato i recenti movimenti politici ucraini alle dinamiche presenti nella famigerata serie televisiva House of Cards.
La piramide del potere ucraino
Da questo punto di vista, possiamo sintetizzare la nuova mappa del potere ucraino nell’immagine di una piramide. Nel gradino più alto c’è ovviamente Zelensky, il presidente che guida Kiev nella guerra contro la Russia, che dialoga incessantemente con il popolo attraverso l’utilizzo di media e social network e che incontra politici stranieri nel tentativo di chiedere ulteriore supporto economico e militare. Sotto di lui troviamo Andriy Yermak, il capo dell’Ufficio del presidente, una sorta di ombra grigia di Zelensky, mentre nel gradino più basso del podio troviamo il vice di Yermak, l’avvocato Oleh Tatarov. Premettendo che l’Ufficio del presidente costituisce una struttura che supporta Zelensky nelle sue decisioni, Taratov è il responsabile per le forze dell’ordine e per la giustizia. Come ha sottolineato Repubblica, la sua nomina del 2019 è stata accompagnata da numerose polemiche. Il motivo è semplice: il fidato uomo di Zelensky è al centro di una delicatissima indagine dell’Anticorruzione ucraina a causa di una mazzetta da quasi 3 milioni di dollari collegata ad un progetto immobiliare della Guardia Nazionale. Lo scoppio della guerra ha sostanzialmente offuscato l’indagine che, per altro, su ordine scritto di un giudice della procura generale è stata trasferita all’agenzia che si occupa di servizi segreti, e che ha anche funzione di polizia giudiziaria.
I fedelissimi di Zelensky
Taratov è un fedelissimo di Zelensky. Così come uomini fidati sono i successori di Bakanov e Venediktova, rispettivamente sostituiti con Vasyl Malyuk all’SBU e Oleksiy Simonenko alla procura generale. Il primo è considerato un protetto del citato Taratov, il secondo è il giudice che ha firmato il trasferimento alla SBU dell’indagine relativa proprio a Taratov. Piccola parentesi sul posto, ancora vacante, per guidare la Procura speciale anticorruzione. Si tratta di uno dei requisiti chiesti dall’Ue per accettare la domanda di ingresso dell’Ucraina in Europa. Ebbene, in teoria c’è un nome papabile, si tratta di Oleksandr Klimenko, votato a maggioranza ma mai insediatosi. Il motivo è semplice: Klimenko è il detective Anticorruzione che ha condotto l’indagine su Tararov e altri funzionari di Stato. In Ucraina, dunque, si è creata la seguente situazione: Yermak e Taratov, fedelissimo di Zelensky, controllano procura generale e servizi segreti, Ufficio di investigazione dello Stato, Ufficio per la sicurezza economica e dipartimento della Polizia. Stiamo parlando, in sintesi, dell’intero organigramma che potrebbe accendere i riflettori su oscure dinamiche interne o indagare su funzionari corrotti.
Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 21 luglio 2022.
La stagione delle epurazioni eccellenti è appena cominciata, ma già si intuisce dove Zelensky vuol andare a parare. Con l'allontanamento del capo dell'intelligence Ivan Bakanov e della procuratrice generale Iryna Venediktova, il potere dello Stato - amministrativo, militare, persino giudiziario - si ritrova ora concentrato nelle mani di tre uomini, amici di vecchia data, che condividono il posto di lavoro: il civico 11 di via Bankova, a Kiev, dove ha sede l'Ufficio del presidente dell'Ucraina. Per l'opposizione politica, Petro Poroshenko in testa, si tratta di una pessima notizia.
La chiamano la "verticale del potere". Così l'hanno ribattezzata gli analisti più smaliziati, con un'immagine evocativa che rende bene il grado di forza acquisito dal trio ma anche la dose di manovre ciniche alla House of Cards che ci sono volute per raggiungerlo. Perché se Zelensky, della "verticale", è ovviamente sommità e primo beneficiario, meno scontata è l'autorità straripante assegnata al capo dell'Ufficio del presidente, Andriy Yermak soprannominato "il cardinale grigio", e al suo vice, il discusso avvocato Oleh Tatarov.
Tatarov, dunque, partiamo da lui. Nell'Ufficio del presidente (la struttura che supporta e assiste Zelensky nelle scelte) ha il ruolo di responsabile per la giustizia e le forze dell'ordine. La sua nomina, nel 2019, è accompagnata da polemiche ruvide perché Tatarov è al centro di una grossa e delicata indagine dell'Anticorruzione ucraina (Nabu) per una mazzetta da 2,8 milioni di dollari legata a un progetto immobiliare della Guardia Nazionale.
L'inchiesta può segnare la sua fine politica, ma di fatto è insabbiata perché, su ordine scritto di un giudice della procura generale, è trasferita allo Sbu, l'imponente apparato dei servizi segreti (27 mila dipendenti, nessuno in Europa ne conta tanti) che ha funzioni anche di polizia giudiziaria.
Lì si è persa, senza però mai chiudersi formalmente, motivo, questo, che ha suscitato le ire di Tatarov. «Perché il caso non è ancora archiviato? », lo sentono più volte sbraitare al telefono con Bakanov.
Ora torniamo a tre giorni fa e seguiamo il filo dei licenziamenti. Chi è stato messo al posto di Bakanov, allontanato ufficialmente per non aver ripulito lo Sbu dai sospetti sabotatori filorussi? Vasyl Malyuk, un protetto di Tatarov.
Al posto di Venediktova alla procura generale, che indaga sui crimini di guerra russi, adesso c'è Oleksiy Simonenko: il giudice che ha firmato il trasferimento allo Sbu dell'indagine su Tatarov, rendendola innocua. E che nel settembre scorso si è fatto pure beccare dai fotografi nel gruppo degli invitati alla festa di compleanno dell'assistente di Zelensky. Ma c'è di più e dell'altro.
La poltrona di direttore della Procura speciale anticorruzione è vacante dall'agosto 2020, pur essendo uno dei requisiti richiesti dall'Ue per accettare la domanda di ingresso dell'Ucraina. Un nome sul tavolo c'è, Oleksandr Klimenko, otto mesi fa votato a maggioranza dall'organo elettivo ma mai insediatosi. Perché?
È il detective dell'Anticorruzione che ha portato avanti l'indagine su Tatarov (e altre, altrettanto delicate, su alti funzionari di Stato), per cui qualcuno preferisce lo stallo piuttosto che vederlo a capo della Procura speciale.
In sintesi, dopo le ultime rimozioni decise da Zelensky, i suoi advisor Yermak e Taratov controllano la procura generale e i servizi segreti, nonché l'Ufficio di investigazione dello Stato, l'Ufficio per la sicurezza economica, il dipartimento della Polizia: l'intera filiera che potrebbe ficcare il naso in certe dinamiche poco chiare. È il ritorno della politica, nell'accezione meno nobile e più pragmatica, che sposta equilibri e riassetta poteri.
Se ne aveva avuto un assaggio a maggio quando, col Donbass martoriato dai russi, lo Sbu di Bakanov ha pubblicato sul sito il video della testimonianza dell'oligarca filoputiniano Medvedchuck, arrestato mentre cercava di scappare all'estero e principale accusatore dell'ex presidente ucraino Poroshenko: è coinvolto in un'inchiesta esplosiva in cui si ipotizza il tradimento per una faccenda di vendita di tonnellate di carbone alle Repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk.
La guerra fredda tra Zelensky e Poroshenko si era interrotta a febbraio, quando era cominciata la guerra vera. Era solo una sospensione temporanea, in attesa della verticale del potere. Che conduce a via Bankova.
Ucraina, sventato il colpo di Stato. Cosa c'è dietro le purghe di Zelensky: "Oppositori tagliati fuori". Il Tempo il 19 luglio 2022.
Un colpo di Stato in piena regola quello che era in atto in Ucraina, dove il presidente Volodymyr Zelensky negli ultimi giorni ha messo in atto una "purga" senza precedenti rimuovendo giudici e membri dei servizi segreti, con il capo dell'Sbu - i servizi di sicurezza di Kiev - che è stato licenziato e un altro importante esponente arrestato. Il repulisti del capo del governo era partito subito dopo l'invasione del Paese da parte della Russia e si era intensificato nelle ultime settimane. Di fatto, il potere ora è sempre "più saldo nelle mani del presidente Zelensky, sempre meno accessibile ai suoi oppositori politici", riporta Repubblica che parla di un golpe "incompiuto".
Le ultime due "vittime" sono Ivan Bakanov e Iryna Venediktova, rispettivamente capo dei servizi segreti e procuratrice generale che indaga sui crimini di guerra russi. Sono già 651 i casi aperti contro pubblici ufficiali ritenuti collaborazionisti della Russia. Secondo le accuse, Bakanov, che arriva dallo spettacolo come Zelensky visto che era nella società di produzione Kvartal 95 dell'attuale leader, non era al corrente che una parte dello Stato si è accordata segretamente con l'intelligence russa. Oleg Kulinich, già responsabile Sbu per la Crimea, è stato arrestato per non aver contrastato l'azione delle forze armate russe.
"C'era un accordo segreto, il governo di Kiev ne è ormai certo e la sfilza di epurazioni ne è la prova", si legge nell'articolo che parla di una "vendetta" di Zelensky nei confronti dei funzionari nominati dal vecchio premier filorusso Yanukovich. L'elenco dei defenestrati è lunghissimo e comprende generali, funzionari dell'esercito, capi della sicurezza interna dello Sbu.
Dalle spie agli informatori: la “quinta colonna” filorussa che minaccia Kiev. Federico Giuliani su Inside Over il 19 luglio 2022.
Che si tratti di inefficienza operativa o di presunta collusione con il nemico, decine di funzionari ucraini sono stati rimossi dalle loro cariche. Tra i nomi più importanti silurati da Volodymyr Zelensky troviamo Ivan Bakanov, capo del Servizio di sicurezza dell’Ucraina, e Irina Venediktova, procuratore generale.
Il presidente ucraino ha presentato al parlamento di Kiev una doppia mozione per valutare la loro destituzione, che sarà decisa durante la prossima sessione plenaria. Sia Bakanov che Venediktova sono stati “sospesi temporaneamente – come ha spiegato il consigliere dell’Ufficio del presidente, Andriy Smirnov – per indagini sulle loro eventuali responsabilità nei crimini contro la sicurezza nazionale e nel loro collegamento con o servizi speciali della Federazione Russa”.
Dopo poche ore, Zelensky ha effettuato un nuovo annuncio, allontanando altri 28 funzionari del servizio di sicurezza, questa volta per “risultati di lavoro insoddisfacenti”. Dal punto di vista giuridico, i licenziamenti di massa sono avvenuti sulla base dell’articolo 47 della Carta disciplinare delle forze armate ucraine. L’articolo è chiaro: un ufficiale o un funzionario può essere rimosso per “mancato esercizio delle funzioni, che ha provocato vittime umane o altre gravi conseguenze” o che ha creato situazioni tali da poter portare a queste conseguenze.
L’ombra del collaborazionismo
Secondo quanto riportato dal New York Times, Zelensky ha preso di mira il “nemico nascosto” di Kiev, ovvero gli ucraini che aiutano la Russia. L’accusa del quotidiano statunitense è sferzante ed emblematica del clima che si sta respirando in Ucraina. Dove le armi occidentali stanno parzialmente arginando l’avanzata di Mosca, ma dove, nel Donbass, le forze del Cremlino continuano nella loro progressiva conquista territoriale.
In ogni caso, nel licenziare Bakanov, il capo dell’intelligence, il presidente ucraino ha fatto emergere un approccio più aggressivo – lo stesso che potrebbe essere impiegato da qui ai prossimi giorni – diretto verso la quinta colonna che starebbe minando lo sforzo bellico dell’Ucraina. Per quinta colonna, va da sé, si intende l’insieme di spie e collaboratori dell’esercito russo radicati nel governo, nelle istituzioni e nella società civile. Tutte queste persone starebbero fornendo un contributo fondamentale alle truppe nemiche.
In particolare, i simpatizzanti russi starebbero segnalando a Mosca le posizioni degli obiettivi ucraini, come guarnigioni o depositi di munizioni. C’è, poi, chi ha dato rifugio agli ufficiali russi e chi ha rimosso gli esplosivi da ponti e infrastrutture strategiche, consentendo alle forze del Cremlino di avanzare. La scorsa domenica, tra voci e indiscrezioni più o meno realistiche, la misura era colma. Zelensky ha effettuato il suo primo rimpasto licenziando Bakanov e Venediktova, spiegando che i due non erano stati abbastanza aggressivi nell’eliminare i traditori.
Caccia alle spie
Zelensky ha fatto quindi sapere che sono state aperte centinaia di indagini per tradimento. Nel mirino di Kiev, ci sono le spie arroccate nelle istituzioni, nelle chiese e nelle agenzie di intelligence, senza dimenticare i cittadini tendenzialmente filorussi presenti nel quadrante orientale del Paese.
Il presidente ucraino ha citato espressamente il servizio di sicurezza nazionale: stiamo parlando di una forza ingombrante, la più grande d’Europa, formata da 27mila dipendenti. Ebbene, i partner occidentali dell’Ucraina ritengono che il servizio abbia troppe aree operative e che sia esposto alla corruzione. Non è finita qui, perché molti dei capi dell’intelligence ucraina si sono diplomati e formati nelle scuole del KGB, e questo lascia aperta per Kiev l’ennesima porta di incertezze sul rischio collaborazionismo in un momento delicatissimo del conflitto.
Zelensky ha affermato che oltre 60 tra pubblici ministri e agenti di intelligence sono rimasti nei territori conquistati dalla Russia e che lì stavano collaborando con Mosca. Ci sono, poi, più di 800 persone sospettate di essere coinvolte in varie azioni di sabotaggio e ricognizione per conto dei russi. La risposta degli ucraini sta nella gestione di 123 gruppi di contro-sabotaggio, per un totale di almeno 1.500 membri incaricati di scovare spie e informatori alleati con il nemico.
Anche perché nelle città e nei villaggi situati nel Donbass, la regione più filorussa dell’Ucraina, le forze di Kiev sono preoccupate per la minaccia rappresentata dai simpatizzanti russi e dalla possibilità che questi possano riferire alle truppe nemiche informazioni militari strategiche. Molti di questi collaborazionisti credono a ciò che fanno e abbracciano la causa russa. Altri, invece, agiscono sulla base di varie promesse di ricoprire, un giorno, posizioni rilevanti nelle future amministrazioni instaurate dalla Russia.
I motivi delle purghe di Kiev: un capo con gli "occhi chiusi" e 60 complici russi tra gli 007. Gian Micalessin il 19 Luglio 2022 su Il Giornale.
Prima era un uomo solo al comando, ora è un uomo solo e basta
Prima era un uomo solo al comando, ora è un uomo solo e basta. Più la guerra si prolunga e più Volodymyr Zelensky fa i conti con le divisioni di un'Ucraina che ha rinnegato Mosca, ma resta prigioniera della reciproca rete di connessioni, legami e infiltrazioni su cui si snoda sia il lavoro delle spie, sia la guerra per il controllo degli apparati di sicurezza interni. Da questo punto di vista la cacciata del capo dei Servizi di sicurezza interna (Sbu) Ivan Bakanov, incapace di prevenire le infiltrazioni russe, e del procuratore generale Iryna Venediktova, inadeguata a finalizzare le accuse di alto tradimento all'ex presidente Petro Poroshenko, rappresentano l'epilogo di una guerra intestina che ha eroso la credibilità di Zelensky. Anche perché Bakanov e la Venediktova rappresentavano il cerchio magico dell'attore-presidente.
Bakanov, amico d'infanzia e socio nelle produzioni televisive è stato, secondo i Pandora Papers, anche l'ideatore della rete di conti bancari con sede nei paradisi fiscali utilizzata da Zelensky per mettere al sicuro i finanziamenti degli oligarchi. Lo scontro in corso dietro le quinte di inchieste giudiziarie e azioni d'intelligence viene allo scoperto il 5 marzo quando un’unità del Dipartimento di Controspionaggio dell'Sbu elimina il «banchiere» ucraino Denys Kireev. Dietro l'assassinio si celano le attività di un Kireev che oltre a lavorare per il Gur, l'intelligence militare di Kiev, mantiene ambigui rapporti con i russi e partecipa ai negoziati con Mosca del 28 febbraio in Bielorussia. Alle ambiguità di Kireev, considerato troppo vicino a Mosca, si aggiungono i retroscena dell'Operazione Speciale. Che, come suggerisce il nome, punta a prendere Kiev sfruttando non la forza militare ma le complicità di centinaia di agenti dell'Sbu. Un intreccio sventato non dall'inesperto Bakanov, ma dagli agenti dell'MI6 inglese. Le «sviste» di Bakanov rappresentano il primo duro colpo alla credibilità del presidente. Non a caso Londra dopo aver scoperto i piani russi, taglia fuori Bakanov e inizia a coordinarsi con Oleksandr Poklad, capo del Controspionaggio dell'Sbu. Ed è proprio Poklad, detto lo «strangolatore» per i metodi poco ortodossi impiegati per reprimere i movimenti filo russi a Dniepro, a ordinare l'eliminazione di Kireev passando sopra la testa di Bakanov. Da quel momento l'autorità dell'ex socio di Zelensky diventa puramente formale. Anche perché all'eliminazione del banchiere-spia sospettato di lavorare per Mosca fanno seguito le indagini e le purghe interne all'Sbu che mostrano altre gravi sviste. Evidenziate dallo stesso Zelensky costretto domenica ad ammettere l'avvio di 651 inchieste sulle complicità con Mosca e l'individuazione di almeno 60 complici russi tra le fila dell'Sbu. Tra questi il Capo della Sicurezza Interna Anriy Maumov, fuggito all'estero prima dell'invasione e Serhiy Kryvoruchko, il generale a Capo del Direttorato Sbu di Kherson che il 24 febbraio ordina ai propri ufficiali di smobilitare la città. Mentre ieri il presidente ha annunciato il licenziamento di 28 funzionari del servizio di sicurezza.
Il tutto mentre il suo sottoposto Igohr Sadokhin segnala al nemico i campi minati e altri ufficiali dell'Sbu impediscono la distruzione del ponte Antonovskiv facilitando l'entrata delle truppe di Mosca e la conquista della città. Ma dietro la decisione di sacrificare Bakanov e Venediktova divampa uno scontro ancor più imbarazzante con i vertici delle forze armate, scoppiato ai primi di luglio quando il capo di Stato Maggiore generale Valery Zaluzhny ha puntato il dito contro il presidente colpevole di aver preteso la difesa ad oltranza di Severodonetsk e Lysychansk. Costata l'inutile sacrificio di migliaia di soldati.
Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 19 luglio 2022.
Il lungo rosario di licenziamenti, sospensioni e arresti che, dal 24 febbraio, ha sforbiciato i vertici degli apparati statali ucraini disegna la trama di un golpe incompiuto e, insieme, l'ordito di un radicale riassetto del potere. Sempre più saldo nelle mani del presidente Zelensky, sempre meno accessibile ai suoi oppositori politici.
A precipitare nello sconcerto l'opinione pubblica, ieri, è stato l'allontanamento improvviso di Ivan Bakanov e di Iryna Venediktova. Non due nomi qualsiasi: capo dei servizi segreti (Sbu), il primo; procuratrice generale che indaga sui crimini di guerra russi, in sostanza il magistrato più importante dell'Ucraina, la seconda.
«Li abbiamo solo sospesi, per fare accertamenti sul loro operato», è la spiegazione del governo. In effetti, sessanta dipendenti della procura generale e dello Sbu sono rimasti nelle zone occupate dai russi e i loro fascicoli sono nella pila dei 651 casi aperti contro pubblici ufficiali ritenuti collaborazionisti. Bakanov, che faceva parte di Kvartal 95, la società di produzione di Zelensky, paga per non aver visto arrivare il complotto: alla vigilia dell'invasione, una parte dello Stato si è accordata segretamente con l'intelligence russa, e Bakanov non ne sapeva niente.
Nelle stesse ore in cui veniva sospeso (l'incarico, pro tempore, è stato dato al vice, Vasyl Malyuk), è finito in carcere un suo amico, Oleg Kulinich, fino al marzo 2022 responsabile Sbu per la Crimea, la penisola da cui è partita indisturbata la colonna di carri armati che si è presa Kherson in poche ore, senza neanche il fastidio di dover sparare un colpo.
La mancata difesa di Kherson, unica città conquistata a ovest del fiume Dnepr e punto strategico per la Crimea (da lì arrivano le riserve idriche), è un tema sensibile. Perché non sono stati fatti brillare i ponti per tagliare l'avanzata nemica? Come hanno fatto i soldati di Mosca a evitare i campi minati? Qualche interrogativo lo solleva anche la storia di Kharkiv, la seconda città del Paese, dove nelle prime ore del conflitto una gran fetta dell'esercito si è rifiutata di combattere, lasciando alle forze di difesa territoriale l'onere improbo di arginare l'ondata russa.
C'era un accordo segreto, il governo di Kiev ne è ormai certo e la sfilza di epurazioni ne è la prova. Il Cremlino aveva avuto rassicurazioni da una parte degli apparati ucraini - ancora pieni di funzionari nominati dal vecchio premier filorusso Yanukovich - che non ci sarebbe stata vera resistenza e che i blindati avrebbero sfilato a piazza Maidan al massimo in tre giorni.
A patto che Zelensky fuggisse dalla capitale. Il presidente, però, non è salito sull'elicottero degli americani, è rimasto al suo posto, e si è vendicato su chi, a suo parere, aveva tradito. Nell'ordine: il generale Serhii Kryvoruchka (capo Sbu a Kherson, gli sono stati tolti i gradi), il suo assistente Igor Sadokin (arrestato a marzo), Gennadii Lahutia (capo dell'amministrazione militare di Kherson, rimosso il 28 giugno), Andriy Naumov (capo della sicurezza interna dello Sbu, arrestato in Serbia), Roman Dudin (capo Sbu di Kharkiv, arrestato il 29 maggio).
Al repulisti, Zelensky ha affiancato però un'operazione di rafforzamento politico. Così va letto lo stop della procuratrice Venediktova, da lei considerato illegale. «Al di là del motivo ufficiale», ragiona con Repubblica Gennady Maksak, analista del think tank Prizm di Kiev, «avevano dubbi sulla sua fedeltà all'ufficio presidenziale e alla lotta di questo contro l'ex presidente Poroshenko».
Venediktova in passato non ha voluto firmare delle carte sull'inchiesta per tradimento a carico di Poroshenko, lasciando l'incombenza al suo vice, Oleksiy Symonenko. Symonenko, in seguito, ha anche fatto trasferire allo Sbu, di fatto insabbiandola, un'indagine per corruzione su Oleg Tatarov, uno degli uomini più vicini a Zelensky nonché vice dell'Ufficio presidenziale. Proprio quel Symonenko che, oggi, è stato messo al posto di Venediktova.
Collaborazionisti, spie e traditori: Kiev mette nel mirino i delatori ucraini. Federico Giuliani su Inside Over l'8 giugno 2022.
Non solo i colpi di artiglieria, le bombe e i missili. A preoccupare le forze di Kiev sono anche i cittadini ucraini che, per le più svariate ragioni, scelgono di collaborare con il nemico, e cioè con l’esercito russo.
La maggior parte di loro sono spie di professione. Ma, soprattutto nel Donbass, ci sono anche persone comuni, filorussi convinti, e non mancano neppure persone ancora più comuni, spesso costrette, loro malgrado, a cooperare con il nemico per le delicate situazioni in cui si sono ritrovate. Quando le truppe nemiche entrano nella tua regione, ne prendono il controllo e instaurano il loro governo, se non sei riuscito a scappare prima della debacle sei necessariamente costretto ad adattarti.
E adattarsi vuol dire accettare la visione delle nuove auotorità politiche e militari e collaborare con loro. Non soltanto per ricostruire strade, palazzi, aiuole e scuole, ma anche per comunicare i segreti del territorio e delle aree circostanti, a maggior ragione se quelle aree sono ancora controllate dall’esercito ucraino. È così che, nel bel mezzo della guerra in Ucraina, prende forma una figura che, da qui alle prossime settimane, sarà destinata ad essere strategica per le sorti del conflitto, ma finirà pure al centro di mille polemiche: quella degli ucraini definiti “collaborazionisti” dal loro stesso governo.
Spie e traditori
Gli ucraini sopra descritti si trovano a metà tra due fuochi. Da una parte rappresentano una fonte di preziose informazioni per i russi, desiderosi di conoscere gli obiettivi sensibili da colpire e controllare nelle zone limitrofe a quelle già occupate, oppure addirittura all’interno delle stesse; dall’altra sono tuttavia considerati, né più né meno, degli autentici traditori, nonché nemici da neutralizzare.
Mosca ha capito che le aree fin qui ottenute non sempre hanno l’intenzione di volersi adattare. Nel quadrante meridionale è stata segnalata una forte attività partigiana ucraina, unita a contrattacchi chirurgici volti a recuperare i territori perduti. Ecco perché il Cremlino ha bisogno di sapere quali strade pattugliare e dove si trovano le abitazioni di politici, militari e poliziotti locali, e cioè di elementi capaci di organizzare rivolte o resistenze interne. Molti ucraini, dunque, si sono ritrovati a cooperare con il nemico, mentre altri lo hanno fatto senza farsi troppe domande perché convinti filorussi. Certo è che Kiev non può far finta di niente.
La risposta di Kiev
Come ha raccontato Il Corriere della Sera, per Kiev gli ucraini che hanno scelto, più o meno volontariamente, di cooperare con l’esercito russo sono delle spie, dei collaborazionisti da eliminare prima che possano causare gravi danni. L’esercito ucraino deve categoricamente abbattere quelle che sono state soprannominate quinte colonne interne.
La polizia di Kramatorsk, ad esempio, ha diffuso sui social network le immagini dei suoi agenti intenti a catturare un collaborazionista. L’episodio è avvenuto nella non distante città di Sloviansk. Il prigioniero, un pensionato, pare fosse una spia che passava ai russi le posizioni dell’artiglieria ucraina.
Le spie possono essere ovunque, in primis all’interno delle numerose famiglie di filorussi presenti nel Donbass, tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane. La procuratrice generale dello Stato ucraino, Irina Venediktova, ha parlato di oltre 700 casi di alto tradimento aperti. Un numero, questo, che diventa ancora più grande, vicino al raddoppio, se consideriamo i casi di collaborazionismo. In Ucraina, dunque, ci sono almeno 1.500 persone che rischiano lunghissime pene detentive per aver cooperato con l’esercito russo. E questa cifra potrebbe aumentare ancora.
In Ucraina è anche guerra civile: collaborazionisti e partigiani. Medvedev? Gli oligarchi apprezzano l’Occidente. Tony Capuozzo su Il Riformista il 8 Giugno 2022.
Tra tutte le accuse e gli insulti che ha rivolto a noi Occidentali Medvedev, l’ex presidente, premier della federazione russa, quella che sarebbe stata più appropriata forse, è che noi Occidentali saremmo confusi.
Lo dimostra nel suo piccolo, la questione dei traditori dei collaborazionisti ucraini, sui cui va un servizio di Sky News 24 che ritorna a Bucha e racconta, attraverso un’intervista ad un soldato, della presenza di ucraini che avrebbero fornito ai russi indicazioni sui luoghi da colpire. Il militare sostiene che costoro andrebbero arrestati, individuati e processati, ma è inevitabile andare con la memoria alle scene del massacro di Bucha, quei corpi riversi sulle strade, alcuni dei quali con un fazzoletto bianco al braccio, e tornare a quel rastrellamento del corpo speciale della polizia, quel reparto chiamato Safari, andando alla caccia di sabotatori e di una giustizia più sbrigativa.
La questione dei traditori torna anche in una pagina intera del Corriere della Sera, nella quale sono chiamati collaborazionisti quegli ucraini che forniscono informazioni ai russi, e partigiani coloro che, nei territori occupati dalle truppe russe, boicottano, fanno attentati, ostacolano l’occupazione. I collaborazionisti, sostiene in un’intervista un militare, in passato in certe aree del Donbass occupato erano il 60%, e dunque erano una maggioranza; addirittura una quinta colonna sarebbero stati gli ucraini fedeli a Kiev e ostili alla Russia. E qui si sfiora un qualcosa che è difficile ricordare e che viene spesso dimenticata: che quello in Ucraina, oltre ad essere uno scontro tra due grandi potenze, da una parte la Russia dall’altra gli Stati Uniti con la Nato, è anche una guerra civile che vede contrapposta una parte di ucraini fedeli a Kiev, che vogliono sostenere la loro indipendenza e una minoranza, robusta, di ucraini, che non si sentono più tali ma guardano alla Russia come alla madrepatria.
Non è soltanto una lotta per le democrazia e per la libertà come ci piacerebbe credere. Libertà e democrazia, i due valori occidentali che probabilmente a Medvedev non piacciono. E dell’Occidente, in fondo, almeno agli oligarchi, piacevano valori più prosaici, valori immobiliari, conti bancari, squadre di calcio, ville faraoniche, yacht, lusso e questo forse, dell’Occidente a Medvedev non piace, ma gli oligarchi sembrano apprezzare parecchio. Tony Capuozzo
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera” l'8 giugno 2022.
Per i russi gli ucraini disposti a cooperare sono preziosi alleati, specie dopo avere scoperto a loro spese che anche nelle zone occupate gran parte della popolazione resta ostile. Sono loro a indicare gli obbiettivi sensibili da colpire con l'artiglieria e accompagnano i soldati alle case di politici, poliziotti e militari da arrestare per fermare sul nascere qualsiasi resistenza interna.
Ma per gli ucraini restano spie, delatori, insomma collaborazionisti pericolosi da mettere fuori gioco il prima possibile: la logica è quella del «colpirne uno per educarne cento», le punizioni esemplari servono da deterrente, specie in questi giorni incerti in cui il protrarsi dei combattimenti alimenta paure e fragilità collettive.
Il presidente Zelensky continua ad insistere sulla necessità degli aiuti occidentali per garantire «la netta vittoria militare sul campo». Anche dove al momento non si combatte, le denunce di orrori non si fermano. «In base alle nostre informazioni - ha detto la rappresentante permanente della presidenza ucraina in Crimea, Tamila Tacheva - circa 600 persone vengono trattenute in cantine nella regione di Kherson», dove sono tenute «in condizioni disumane e sono vittime di torture». E in queste ore arriva il primo allarme sanitario: a Mariupol si teme una epidemia di colera per l'acqua contaminata e i cadaveri non seppelliti.
L'esercito ucraino ha bisogno di eliminare le quinte colonne interne. Non a caso, ieri mattina la polizia di Kramatorsk era ben contenta di diffondere sui social le immagini dei suoi agenti che avevano appena catturato un collaborazionista nella vicinissima Sloviansk, sulla strada utilizzata dalle truppe impegnate nella battaglia cruciale per Severodonetsk. «Pare fosse una spia, un pensionato che passava ai russi le posizioni della nostra artiglieria», dicono i soldati che fanno la spesa nel supermercato sulla piazza principale di Kramatorsk.
Il rombo continuo della battaglia, qui a pochi chilometri dalla periferia orientale, accresce l'urgenza. «Senza dubbio le spie nemiche si annidano tra le famiglie di filorussi, che nel Donbass sono più numerose che altrove. È una situazione nota sin dalla guerra del 2014, quando sapevamo bene che c'erano alcune aree sia rurali che urbane dove i favorevoli a Mosca potevano superare il 60 per cento degli abitanti», spiega Alexey Iakovlenko, medico 47enne e portavoce dell'ospedale militare locale. Il quale tiene però subito a chiarire: «Da allora le cose sono rapidamente mutate, stimiamo che i pro-Putin siano precipitati ormai sotto il 10 per cento anche nelle aree più marginali, senza dubbio la brutalità della guerra scatenata il 24 febbraio ha contribuito alla svolta».
Il tema è delicato e allo stesso tempo imbarazzante per il governo di Kiev. A detta della procuratrice generale dello Stato, Irina Venediktova, sono oltre 700 i casi aperti dalle autorità giudiziarie per «alto tradimento», cui si aggiungono numeri simili per «collaborazionismo». In tutto circa 1.500 persone che rischiano lunghe pene detentive. Uno dei primi casi fu quello Oleksandr Kharchenko, il 39enne sindaco della municipalità di Dymer, a nord di Kiev, che nei giorni iniziali dell'invasione invitò la popolazione a collaborare con le truppe russe e a non ascoltare le versioni «ostili» dei media nazionali.
Seguì quello di Gennady Matsegora, sindaco di Kupyansk, nella regione meridionale di Kherson, il quale si offrì non solo di cooperare con gli occupanti, ma consegnò loro anche cibo e carburante facilitando l'avanzata verso Odessa, bloccata poi dalla resistenza ucraina presso Mykolaiv. Ma il fenomeno del collaborazionismo è più infido e lacerante.
Ne avemmo la percezione netta ascoltando ai primi di maggio al centro sfollati di Zaporizhzhia il racconto di una trentenne residente in un villaggio preso dai russi a nord di Mariupol, che rischiò di essere fucilata sul posto quando una spia locale rivelò all'intelligence che lei è moglie di un alto ufficiale ucraino (dal quale peraltro divorziò due anni fa) ferito durante la battaglia per Kharkiv. «Gli informatori sono criminali senza scrupoli, la feccia della Terra. Molti lo fanno per soldi, per impadronirsi dei beni delle loro vittime, o per ottenere privilegi da Mosca. Vanno eliminati senza pietà».
(ANSA il 31 maggio 2022) - "Ho appena saputo che, su istruzione dell'Ufficio del presidente dell'Ucraina, è iniziata la raccolta delle firme dei deputati per esprimere un voto di sfiducia e le mie dimissioni dall'incarico nella seduta della Verkhovna Rada domani 31 maggio".
Lo ha detto la commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino, Lyudmila Denisova, in una conferenza stampa a Kiev, ripresa dal suo canale Telegram. "Rimuovermi dal mio incarico di commissaria sarà una violazione della Costituzione ucraina, della Legge marziale e delle norme di diritto internazionale", ha dichiarato Denisova che dall'inizio della guerra è stata molto attiva nel denunciare le violazioni dei diritti umani, in particolare nelle zone del Paese occupate dalle forze russe.
Dagonews il 31 maggio 2022.
Lyudmila Denisova, la commissaria ucraina per i diritti umani, è stata rimossa dal Parlamento ucraino. Oggi alla riunione del Partito “Servant of the People” (Servitore del Popolo), il movimento politico del presidente Volodymyr Zelensky, era stato deciso all’unanimità di sfiduciarla, e il parlamento ha poi ratificato la decisione.
Di che cosa è accusata Denisova? Di inerzia, prima di tutto. Scrive il deputato Pavlov sulla sua bacheca Facebook, raccontando l'esito della riunione: «la signora Denisova non ha esercitato i suoi poteri organizzando corridoi umani, proteggendo e scambiando prigionieri, contrastando la deportazione di persone e bambini dai territori occupati, ecc».
Non solo. Denisova è accusata anche di aver parlato dei «crimini sessuali commessi in modo innaturale» e dello «stupro di bambini» nei territori occupati, senza però fornire prove, e di fatto danneggiando così l’Ucraina distogliendo l’attenzione dei media mondiali dai reali bisogni del paese.
In ultimo, racconta Pavlov, «dal 24 febbraio il commissario ad interim per i diritti umani ha trascorso molto tempo all’estero. Ma non in Russia o in Bielorussia, dove il suo status e la sua autorità avrebbero potuto aiutare i prigionieri, i deportati e le vittime dell’occupazione, bensì a Davos, a Vienna, a Varsavia e in altre calme città dell’occidente».
Per questo, chiude Pavlov, oggi «la signora Denisova potrebbe essere rimossa dal suo incarico».
Alla riunione del partito erano presenti il capogruppo in Parlamento Davyd Arakhamia, il presidente della Verchovna Rada (il parlamento ucraino), Ruslan Stefancuk, e il vice primo ministro Iryna Verešcuk.
Occidente prigioniero della propria ignoranza. E la Russia si fa avanti. Marino Freschi il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.
Lo scrittore ceco riflette sui legami culturali delle "piccole patrie" dell'Europa centrale.
«Nel settembre del 1956, il direttore dell'agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall'artiglieria russa, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull'offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: «Moriremo per l'Ungheria e per l'Europa». Il direttore intendeva dire che in Ungheria era l'Europa a essere presa di mira. «Perché l'Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa, era pronto a morire». E morì (peccato che Orban lo abbia dimenticato).
Così inizia un articolo per Le Débat del novembre del 1983 di Milan Kundera riproposto, assai tempestivamente, da Adelphi nel volumetto Un Occidente prigioniero (tradotto da Giorgio Pinotti) insieme al suo discorso alla Conferenza degli scrittori cechi del 1967. Se si sostituisce Ungheria con Ucraina, scopriamo l'attualità della tragedia in cui sono costrette a vivere le piccole nazioni come quella ceca, slovacca, polacca, rumena, ucraina- da quasi un secolo sotto la minaccia prima del Terzo Reich e poi dal 1945 dell'Urss e ora della Russia. I due testi sono per noi occidentali impressionanti per la rievocazione attualissima- dell'amore coraggioso per la cultura e la civiltà occidentale da parte delle piccole nazioni dell'Europa centro-orientale.
Lo scrittore si riferiva alla tragedia del popolo ceco del '68, ma la storia si ripresenta analogamente con la nazione ucraina. Il problema, allora come oggi, era ed è che l'Europa riconosca i valori spirituali per cui le piccole nazioni combattono per sopravvivere all'imperialismo russo, la cui vittoria qui Kundera cita Palacky, il principale storico ceco dell'Ottocento- «sarebbe una sventura immensa e indicibile, una sciagura smisurata e senza limiti».
Il pensiero di Kundera ruota con insistenza sul primato della cultura dell'Occidente. E l'opzione occidentale della cultura ceca da Haek a Hrabal e allo stesso Kundera- conferma la sua straordinaria forza per la rinascita della nazione ceca, che ancora nel 1848 veniva contestata perfino da Friedrich Engels, il cofondatore del marxismo. Allora i cechi erano un popolo senza cultura, che doveva appoggiarsi alla lingua culturale tedesca per qualsiasi comunicazione che non fosse di mera quotidianità. Fu un'epopea straordinaria quella che fece risorgere l'identità culturale ceca come dimostra l'opera del primo presidente della repubblica cecoslovacca, Tomá Marasyk che inventò il lessico filosofico ceco. Fenomeni analoghi avvennero nella cultura ungherese, rumena, polacca. Anche per l'Ucraina la letteratura costituì il momento cruciale della riconsacrazione dell'identità nazionale. Ci fu un diffuso riconoscimento popolare per l'azione degli intellettuali tanto che l'importante città di Stanislaw venne rinominata Iwano-Frankiwsk in onore dello scrittore Iwan Franko (1856-1916), assertore dell'identità linguistico e culturale ucraina.
Per le nazioni centro-orientali il pericolo russo coincide(va) con la stessa sopravvivenza. Kundera descrive la strategia dell'imperialismo russo riflettendo sul soffocamento della Primavera di Praga del 68 con i soliti carrarmati (che oggi hanno aggiunto la ferale Z): «Anzitutto venne distrutto il centro dell'opposizione; poi venne minata l'identità della nazione in modo che potesse essere più facilmente fagocitata dalla civiltà russa; infine venne bruscamente interrotta l'epoca dei Tempi moderni, cioè l'epoca in cui la cultura rappresentava ancora la realizzazione dei valori supremi». Quella stagione del socialismo dal volto umano era iniziata nel 1963 con la conferenza su Kafka nel Castello di Liblice con un memorabile intervento di Eduard Goldstücker, che divenne uno dei protagonisti della Primavera accanto a Dubek. Ma fu subito autunno con l'invasione sovietica e dei paesi fratelli. L'Europa Occidentale protestò assai civilmente, sicché si comprende l'amarezza di Kundera. Per lui l'Europa aveva perso se stessa, aveva perso l'audacia spirituale di quei suoi Tempi moderni fondati sull'individuo «che pensa e dubita». E la Russia rimane immutata o quasi.
Insomma oggi oltre i carrarmati ci sono i ceri del Patriarca. Il nucleo profondo della riflessione di Kundera è sull'incapacità dell'Occidente di ritrovare l'identità autentica, quella delle sue radici greco-romane e cristiane, quando l'Europa non era «un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente», mentre si assiste alla «perdita irrimediabile» della sua cultura. Quella cultura, che è stata per secoli l'orgoglio dell'Europa, è ora sostituita e non solo da noi- da mediocri talk show televisivi. Una decadenza che Kundera condannava già nel 1983 a Parigi, dove era emigrato, presagendo il progressivo deterioramento intellettuale: «Negli ambienti colti, a cena si discute di trasmissioni televisive e non di riviste. La cultura, infatti ha già ceduto il suo posto. Quella scomparsa, che a Praga vivemmo come una catastrofe, uno choc, una tragedia, viene vissuta a Parigi come qualcosa di banale e insignificante, a stento visibile, come un non-evento».
Oggi potremmo aggiungere che tale scomparsa si conferma in tante nostre città e cene. Non si può permettere, -ecco il senso della riflessione di Kundera-, che morire per l'Ucraina e per l'Europa sia solo una frase, che semmai ha senso solo a Varsavia e nei Paesi baltici. La nostra cultura non lo merita. L'Ucraina non lo merita.
La battaglia del Donbass. Putin è un barbaro fascista in guerra con l’Europa, dice Julija Tymoshenko. L'Inkiesta il 19 Aprile 2022.
«Siete tutti in pericolo», spiega l’ex premier ucraina protagonista della rivoluzione arancione contro la vittoria alle presidenziali di Janukovich nel 2004. I missili su Leopoli sono «diretti contro il mondo intero, è il messaggio che Putin vi sta mandando, ed è una campana che sta suonando molto forte»
Julija Tymoshenko, ex premier dell’Ucraina, protagonista della Rivoluzione arancione contro la vittoria alle presidenziali di Yanukovich nel 2004, oggi ha 61 anni e sta all’opposizione con il suo partito Patria. Ma ora appoggia il presidente Zelensky, perché con la guerra «siamo un solo popolo, con un solo cuore», dice a Repubblica.
Mentre è partita l’offensiva nel Donbass e i missili colpiscono Leopoli, Tymoshenko spiega: «È la strategia di Putin, colpire la città più a ovest. Con la guerra molte ambasciate si sono spostate lì, e lui intende colpire anche gli stranieri. Questi sono missili diretti contro il mondo intero, è il messaggio che Putin vi sta mandando, ed è una campana che sta suonando molto forte. Sta oltrepassando molte red lines, perciò l’Europa è in pericolo. Anzi, il mondo è in pericolo».
Secondo la ex premier, imprenditrice del settore energetico, con alle spalle anche il carcere per malversazione (una condanna definita “politica” dai suoi e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo “illegale”), Putin è «un barbaro». E spiega: «L’aver lanciato una guerra contro un Paese pacifico, democratico ed europeo come l’Ucraina, è una conferma della sua natura barbarica. Ha incoraggiato l’eliminazione di anziani, donne, bambini. Questo non può essere descritto in altro modo che con quella parola: barbaro. E fascista. Qualcuno pensa che lui sia pazzo, io non credo. Ha una mente fredda, razionale, cinica. E dietro i suoi comportamenti c’è come un nucleo oscuro, qualcosa che arriva dal Medioevo più nero».
E cosa vuole fare Putin? «La sua missione è conquistare tutto il nostro territorio», risponde. «Perciò questo è il momento della verità: lasciarlo fare o fermarlo. Ma la vittoria non dipende solo dall’Ucraina. I leader dei Paesi democratici devono essere uniti contro di lui. L’attacco è stato inaspettato, il resto del mondo non era preparato. Le racconto una cosa: quando ero premier, nel 2008, Putin attaccò la Georgia. Molti analisti politici mi avvisarono: preparatevi, perché lui vuole l’Ucraina. Io pensai che era uno scenario impossibile, perché non c’erano territori contesi, non c’erano problemi. Ero sicura che l’Ucraina fosse intoccabile. Adesso non lo è più».
È una guerra di espansione, dunque. «È la sua missione storica», spiega. «Putin vuole tornare ai vecchi confini, non quelli dell’Unione Sovietica, ma quelli dell’impero russo. Vuole aumentare il territorio, l’Ucraina è solo il primo passo. Vuole il possesso e controllo di una parte significativa di quello che noi definiamo Stati Uniti d’Europa. In futuro potrebbe diventare una prigione, per queste nazioni. So che altri Paesi non pensano che la stessa cosa può succedere a loro. Ma c’è una lezione che arriva dal passato: noi non ci siamo accorti di quello che stava succedendo alla Georgia. Perciò voi dovete impararla subito. E ricordo a tutti che prima della guerra Putin disse che i confini della Nato dovevano tornare quelli del 1997, soprattutto per l’area baltica, cioè Lettonia, Estonia e Lituania. Un vero ricatto».
Julija Tymoshenko insiste: «I Paesi europei a est, quelli centrali e i baltici, sono in pericolo. Gli altri Paesi della Nato saranno costretti a una guerra globale. Perciò dico che questa guerra riguarda tutto l’Occidente. Putin ha altri obiettivi, la guerra si allargherà».
Intanto, dal primo giorno di guerra, la ex premier con il suo partito Patria sta distribuendo aiuti umanitari, cibo e vestiti, anche nei posti più pericolosi. «E abbiamo aiutato a evacuare bambini e donne dal fronte. Supportiamo Zelensky. Lui, il governo, l’esercito», dice. «È un presidente eletto democraticamente. Deve essere forte, E va aiutato. Non parlo solo degli ucraini, ma di tutto il mondo. Questo è molto importante per vincere. Prima della guerra io come leader dell’opposizione e il mio gruppo abbiamo avuto differenti visioni sulle politiche economiche e sociali. Lo abbiamo criticato molto, anche per non aver fatto abbastanza per le forze armate. Ma quando è caduto il primo missile, abbiamo cominciato subito a supportarlo. Ora non c’è opposizione, siamo una cosa sola. Un solo gruppo, e anche un solo cuore».
Marcello Di Dio per ilgiornale.it il 21 aprile 2022.
Fuggito dalla guerra come un profugo, sul treno partito da Leopoli. Con la paura di «non rivedere più mia madre ora 85enne che sento solo per telefono», visto che è bloccata a Donetsk dopo un'operazione con il fratello maggiore.
Il nome di Sergej Bubka è inciso nella storia dello sport, oggi prova a scrivere una storia diversa, sostenendo la sua Ucraina (è nativo di Luhansk ma ora vive a Kiev dove tornerà presto, ndr) da presidente del Comitato olimpico. In lacrime e con il «cuore spezzato» per una guerra che «mai pensavo potesse capitare, è stato uno choc». Ma anche con una speranza, anzi una certezza per il futuro: «Ci vorrà tempo ma ricostruiremo tutto, anche lo sport, unico strumento che può riportare la pace».
Sta spendendo ogni energia per aiutare i suoi connazionali: «Mi occupo del coordinamento delle attività, di indirizzare le risorse che ci arrivano, di prendermi cura dei nostri atleti, è un lavoro incessante». Il ritorno a Roma trentotto anni dopo la gara spettacolo con il francese Vigneron nell'asta al Golden Gala dello stadio Olimpico è per fare visita - al Centro Onesti all'Acquacetosa - ad alcuni degli oltre 500 atleti del suo paese di venti federazioni ospitati in Italia.
Oltre che per ringraziare il collega Giovanni Malagò e il sottosegretario allo sport Vezzali per quanto il nostro paese sta facendo. «Interpretiamo la solidarietà olimpica, considerate questa la vostra seconda casa, troverete qui tutto quello che vi serve», così il numero uno del Coni agli atleti ucraini. Un milione e mezzo di euro sarà invece stanziato dal Dipartimento dello sport per quest'emergenza umanitaria.
A quasi due mesi dall'invasione russa, il futuro è ancora quanto mai incerto per l'Ucraina. «Sentiamo il supporto da molti Paesi e da molti Comitati olimpici nel mondo, a cominciare dall'Italia, e questo significa molto per noi. Se restiamo uniti vinceremo», ha sottolineato Bubka.
Intanto continuano le esclusioni degli atleti dalle manifestazioni sportive. «Oggi dico che farei il possibile per evitare qualsiasi forma di boicottaggio, perché significherebbe impedire a molti atleti di coronare il loro sogno», ha sottolineato l'ex primatista mondiale dell'asta, campione olimpico a Seul 1988 e per sei volte consecutive campione mondiale (dal 1983 al 1997) prima per l'Unione Sovietica, poi per l'Ucraina - Dovete capire la situazione internazionale: dal 2017 il Comitato olimpico internazionale non ha più rapporti con il governo della Russia. Dopo Sochi 2014 e lo scandalo doping, il comitato olimpico russo è stato multato e non può rappresentare il paese con inno e bandiera. Il Cio non è l'Onu, ma ha preso misure forti mai adottate prima e noi seguiamo le sue linee guida. Il Comitato russo dovrebbe schierarsi apertamente contro questa guerra».
Nei prossimi giorni Bubka, insieme al ministro della gioventù e dello sport Guttasait che lo sta accompagnando in questo giro europeo, sarà a Losanna dal presidente del Cio Bach per poi tornare in patria. Dove lo aspettano i familiari e tanti atleti che sperano in una pace ancora lontana.
Da it.notizie.yahoo.it il 20 aprile 2022.
“Mia mamma ha 85 anni, non è in grado di muoversi e vive a Donetsk: ho paura di non vederla più”. Lo ha detto con tanta commozione Sergej Bubka, presidente del Comitato olimpico ucraino intervenendo al Centro di Preparazione olimpica del Coni ‘Giulio Onesti' di Roma parlando della paura di non rivedere più la mamma Valentina che vive a Donetsk.
Sergej, nato il 4 dicembre del 1963 a Lugansk, è stato il primo uomo della storia a valicare i 6,00 metri nel salto con l'asta ‘scalando' il cielo fino a 6,15 metri. “Quando la guerra è scoppiata mi sono detto che non era possibile, è stato uno shock. La Nazione dove sei nato è la tua Nazione: io sono nato in Unione Sovietica ma sono ucraino”, ha aggiunto Bubka.
Nel suo intervento l'attuale numero uno dello sport ucraino ha ricordato l'edizione del Golden Gala di Roma del 1984. “Ieri ho visitato gli impianti sportivi simbolo del movimento olimpico italiano e, quindi, anche lo stadio dove nel 1984 nella prima gara dopo i Giochi olimpici di Los Angeles si sono incontrati il capitalismo e il socialismo”, ha detto Bubka.
Il riferimento è alla sfida del 31 agosto del 1984 all'Olimpico tra il francese Thierry Vigneron e Bubka. Qulla sera il transalpino portò il record mondiale a 5,91 metri e poco dopo l'allora sovietico Bubka valicò i 5,94.
“Siamo qui perché nel nostro Paese c'è la guerra, siamo qui oggi per dire grazie all'Italia, a tutto il popolo italiano, il mio cuore è rotto”. Bubka, una delle figure più influenti nello sport mondiale, oggi ha incontrato una rappresentanza di atleti ucraini che da quando le truppe russe hanno invaso l'Ucraina hanno trovato supporto in Italia.
“Noi siamo una Nazione forte, un popolo forte, amiamo la vita”, ha aggiunto Bubka. Alla conferenza stampa che sancisce ufficialmente l'amicizia e il supporto tra Italia ed Ucraina, prendono parte il Sottosegretario con delega allo Sport, Valentina Vezzali, il presidente del Coni e collega di Bubka nel Cio, Giovanni Malagò, il ministro della Gioventù e dello Sport dell'Ucraina, Vadym Guttasait, ed il segretario generale del Coni, Carlo Mornati.
Viviana Mazza per il “Corriere della Sera” il 20 aprile 2022.
«Sono nato e cresciuto in Ucraina, dove la sovietizzazione era un atto di aggressione. Consisteva nello sbiancare ciò che l'Ucraina è veramente. Non significa che ci siano riusciti. Tutti abbiamo parenti nei villaggi e venivamo esposti al magico miscuglio di diversità del Paese.
Vai in Carpazia, nell'Ovest, e si parla ungherese, rumeno e romani, la lingua rom; e poi la lingua tartara, il tartaro della Crimea, i dialetti bucovino, lemko... Il motivo principale per cui ho scelto Gogol come simbolo è che, quando me lo chiedono, posso dire: non è affatto russo. Nella Russia zarista la cultura ucraina era praticamente proibita. Nikolai Gogol scrive in russo, ma i contenuti sono archetipi e miti ucraini».
Eugene Hütz, il cantante della band punk rock newyorkese Gogol Bordello (e attore in «Ogni cosa è illuminata» basato sul romanzo di Jonathan Safran Foer), è nato a Boyarka, poco a sud-ovest di Kiev. Dall'inizio della guerra, ha raccolto fondi per il Paese.
Nel primo concerto lo ha affiancato Patti Smith, ora inizia il tour di beneficienza in America e a luglio sarà in Italia, dove ha vissuto 7 anni.
Su Instagram ha messo la foto di un suo zio 73enne che ha imbracciato le armi.
«Siamo cresciuti con nonni che avevano ferite d'arma da fuoco alle spalle, alle anche, perché erano stati in guerra. Per noi è una cosa tangibile. La psicotica invasione russa non è uno choc, è successo in passato. A 10 anni mia nonna mi raccontò come sopravvisse alla carestia imposta da Stalin negli anni 30, che uccise milioni di ucraini; poi i russi furono mandati a ripopolare quelle zone. Storicamente e culturalmente siamo stati oppressi e ci siamo ribellati per così tanti secoli che lamentarsi non fa parte del nostro Dna. Neppure alla mia figlioccia di 12 anni trema la voce quando le parlo su Facetime. Credono tutti fermamente che la vittoria sarà nostra».
Suo padre faceva il macellaio e suonava in una delle prime rock band ucraine. Ma è vero che a lei piaceva il rock russo?
«Falsissimo. La stampa russa cerca di far finta che siamo loro amici. Dieci anni fa, già prima di Maidan (la rivoluzione del 2014, ndr ), ho smesso di suonare in Russia, perché era chiaro in quale direzione stava andando l'intero Paese. Macché rock russo. Sono cresciuto con Nick Cave, i Dead Kennedys,i Clash, le band ucraine e polacche che erano molto più avanti. Secondo la mia pagina su Wikipedia vivo a São Paulo e ho un fratello russo! Idiozie intelleggibili».
I luoghi della guerra hanno un significato particolare per lei. Per esempio, Obolon, il Bronx di Kiev, dove arrivarono i primi sabotatori russi, è dove sarebbe nato il rap se fosse nato a Kiev.
«Esatto, i russi sono stati malmenati dai gangster di Obolon! Li hanno arrestati e consegnati alle forze armate. Le parole non bastano: alcuni dei miei ricordi più cari dell'infanzia sono di Bucha, Boyarka, Irpin. Ci andavamo in campeggio. I russi pagheranno per le loro atrocità».
Perché dopo Chernobyl, la sua famiglia lasciò il Paese?
«Avevo 16 anni, i miei erano perseguitati da vent' anni dalle autorità sovietiche, creavano seri ostacoli alla nostra vita. Compilammo i moduli e ricevemmo lo status di rifugiati».
Perché vi perseguitavano?
«Per l'atteggiamento anti-sovietico. Già in prima media il mio futuro era segnato, probabilmente non avrei avuto accesso all'università».
Una parte della sua famiglia ha origini Servitka rom?
«Sì, l'ho scoperto a 13 anni, ma non potevamo celebrarle apertamente, avevamo già abbastanza problemi. Dopo l'esplosione di Chernobyl fummo evacuati a Est, dove viveva quella parte della famiglia. Non erano ordinari e sbiaditi cittadini sovietici, avevano una cultura e una reputazione di strada. Non fui più lo stesso, dopo».
La mancanza di colori della sua infanzia spiega lo spettacolo carnevalesco del suo «gypsy punk»?
«Assolutamente. Se cresci tra blocchi di cemento senza alberi, li colorerai con l'immaginazione, la musica, ed è ciò che facemmo col punk rock. Non ascoltavamo la musica dei nostri padri, il cosiddetto rock' n'roll proibito, ma i Sex Pistols, i Dead Kennedys, poi la musica elettronica e techno. Tagliavamo a nostro modo le divise di scuola e ci mettevamo nei guai coi sovietici».
Passando da Polonia, Ungheria e Croazia, lei arrivò a Santa Marinella (Roma) che dà il titolo a una sua canzone piena di bestemmie.
«È un pezzo comico, si prende gioco della nostra esperienza di migranti in un Paese europeo di cui non sai nulla e tenti di sopravvivere».
Una volta fu arrestato. Imparò in carcere le parolacce?
«Passai una notte alla stazione dei Carabinieri. Suonavo per strada, mi fermarono. Il programma rifugiati mi fece uscire. Ma quelle parole le imparai all'incrocio lavando i vetri con altri rifugiati. Alcuni automobilisti erano contenti, ci davano anche 5.000 lire, altri niente oppure ci mandavano via bestemmiando».
Estratto dell'articolo di Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 18 aprile 2022.
Se i Pink Floyd si sono riuniti per un'ultima volta è solo perché una mattina fredda di fine febbraio Andriij Khlyvnyuk ha indossato la divisa del poliziotto volontario, ha preso il fucile, è andato nel centro di Kiev e sotto la cupola dorate della cattedrale di Santa Sofia si è messo a cantare. «Non una canzone banale, però. Si chiama "Oy u luzi chervona kalyna" e, per intenderci, è come la vostra "Bella Ciao". Una canzone di resistenza di popolo», racconta a Repubblica.
In un attimo, la versione che ne ha fatto Khlyvnyuk è stata eletta a colonna sonora di una nazione in guerra. La si sente ovunque. Alla radio, alla televisione, nei telefonini, ai check-point, in trincea. David Gilmour se n'è accorto. Ha visto il video su Youtube e, dopo 28 anni, ha richiamato in studio Nick Mason per incidere "Hey Hey Rise Up", sulle note di "oy u luzi chervona kalyna" ("Viburno rosso in un prato", in ucraino). Andriij Khlyvnyuk, 42 anni, nato a Cherkasy, frontman dei BoomBox, è la rock star più popolare dell'Ucraina. Lo ascoltavano anche in Russia, prima del 24 febbraio.
[…] «Quando Putin ci ha invaso, avevo in programma un tour negli Stati Uniti. Due giorni prima avevo riempito il teatro di Mariupol con un concerto. Non ci ho pensato un attimo, sono tornato e mi sono unito alla polizia di Kiev. Pattugliamo la città per 24 ore, le successive 24 ore riposiamo. Abbiamo a disposizione veicoli blindati, team di fucilieri, granatieri e cecchini. Il giorno in cui Zelensky ha annunciato la mobilitazione totale, ho giurato a me stesso che non avrei lasciato il mio Paese. Sono una fottuta rock star, avrei potuto andarmene ovunque.
[…] Il brano che ha ispirato Gilmour era l'inno dei fucilieri Sich Halych- Bukovyna Kurin, unità popolari che lottavano per l'indipendenza dell'Ucraina durante la Prima Guerra Mondiale e fino al 1921. «Dopo che l'ho cantato in piazza, un deejay sudafricano ha fatto un remix chiedendo il permesso ai miei avvocati e in pochi giorni in royalties ha guadagnato 20mila euro. Ogni volta che qualcuno l'ascolta, arrivano soldi al nostro esercito.». […]
Anche il resto dei BoomBox ha posato gli strumenti musicali per prenderne altri. «La bassista cucina in un rifugio per gli sfollati, il chitarrista è volontario in una stazione ferroviaria dell'Ovest, il batterista è nelle forze di Difesa territoriale, il mio producer è al fronte e il manager dei tour internazionali era a 25 chilometri a nord di Kiev per la controffensiva. […]
«Cosa penso della guerra? È come essere nella bella e pulita Toscana, sei lì che cammini col tuo paio migliore di sneakers e gli occhiali da sole, e poi all'improvviso ti ritrovi in mezzo alla merda».
[…] Qualcuno in Ucraina, come lo scrittore Ivan Semesyuk, vorrebbe che la cultura russa fosse cancellata, impedirne l'insegnamento e la diffusione. «Non ha senso, è parte dell'eredità mondiale. Non dobbiamo alzare muri culturali perché non funzionano. Al massimo possiamo bandire chi, tra gli artisti di oggi, supporta il regime del Cremlino. Ma lasciamo stare i classici. Non siamo in guerra contro Dostoevskij o Puskin, siamo in guerra contro Putin». (Ha collaborato Stanislav Yablonskyy)
Domenico Quirico per “la Stampa” l'11 aprile 2022.
Nei miti si esprime qualcosa di immutabile, una esperienza che il tempo non può cancellare. Sono composti di immagini, violente, nitide, esplosive che non servono a spiegare una situazione concreta, ma semmai a indicare la loro importanza straordinaria. Sono fatti di realtà ma anche di deformazione della stessa. La superstizione moderna. Per questo la politica li usa, danno talvolta legittimità anche a quello che non ha legalità, diventano falsità misteriose ed esaltative. I miti muoiono e devono essere sostituiti o affiancati a quelli nuovi per aggiornarli alle brutali trasformazioni della realtà collettiva.
Per questo in periodi di crisi e di tragedia, quando le abitudini normali sono sconvolte, quando a coloro che li vivono gli avvenimenti paiono come desolati campi di sofferenza senza segni di confine, il vuoto deve essere colmato. Il terreno perché sboccino nuovi miti è pronto.
La guerra in Ucraina è questa tragedia creatrice di nuovi miti. Nei due campi. Il primo esaltante mito fondatore che sta nascendo è quello ucraino. L'Ucraina, prima dell'aggressione russa, era un paese povero, con politici corrotti, oligarchi di serie B ma in perfetta sintonia ideologica con gli imbroglioni dell'altra parte della frontiera, una democrazia imperfetta, fragile. I suoi miti fondatori erano deboli.
Era uno dei paesi sudditi dell'impero sovietico che hanno scoperto di essere liberi un giorno guardando il telegiornale. La Russia in briciole si raggrinziva al di là di nuove frontiere. Gli ucraini per fortuna erano stati segnati "al di qua". Ma non c'era eroismo in tutto questo. Certo vibrava una storia antichissima e dolente di lotte contro invasori di tutte le fogge.
Ma un indipendentista recente, reazionario e antisemita come Stepan Bandera che lottò contro "la liberazione" da parte dell'armata rossa, è rifiutato come riferimento anche da molti ucraini. C'è la Grande Fame, la carestia omicida voluta da Stalin. Ma una tragedia subita non sempre è sufficiente. Poi i più grandi scrittori ucraini hanno usato il russo Ci vuole un fatto che segni un prima e un dopo, che spacchi il tempo storico, irrimediabilmente. I serbi lo hanno trovato in una sconfitta. Gli ucraini in una resistenza e in una vittoria.
Ecco. Quaranta giorni fa un annuncio in televisione di Putin: e tutto ciò che era non è più e comincia ciò che non era. È la guerra, barbarica e crudele. Ma anche una nuova condizione umana si forma, un mito esaltante e comune: abbiamo sconfitto la Russia, non ci siamo piegati. Circondati da un nemico implacabile, marciando sotto il fuoco, resistendo sopra e sotto la terra, la nazione è vissuta senza che nessuno sia sceso in campo accanto a noi.
La memoria mitica ingloberà tutto, diventerà racconto di una unica battaglia iniziata nel 2014: dentro ci sarà Maidan, evento finora divisivo e ora santificato e universale, e la guerra lenta, preparatoria nel Donbass.
La guerra degli otto anni sarà la sublimazione mitica della nazione. Che dà ordine al passato, al presente e tratteggia una visione eroica e tranquillizzante del futuro. Il mito giustifica la militarizzazione del Paese, della politica, del linguaggio, e fissa per sempre l'immagine del nemico, il russo invasore, premessa per una lettura totale di ogni realtà. Putin ha regalato agli ucraini un mito fondatore.
Questa guerra è fatta di passioni torbide, feroci, esasperate. Ma anche rovescia tutte le idee, per ora è distruzione ma anche nuovo inizio. Non saremo più quelli di prima ma, in fondo, prima cosa eravamo? niente. Ascolto, con preoccupazione, amici ucraini che un mese fa erano schiacciati dall'angoscia e dai dubbi di esser di fronte al leviatano russo, che ora parlano di vittoria certa, di scavalcare i confini, di andare a prendere Putin nella sua tana.
La potenza omologante della guerra ha cambiato anche le persone. Zelensky un mese fa era, in Ucraina, un leader discusso, criticato, si scavava con efficacia in un passato pieno di vuoti, di metodi di governo ambigui. La potenza omologante del mito guerresco ne ha fatto il Churcill del ventunesimo secolo, un capo che zittisce governi, fa lezione ai parlamenti, mette in liquidazione l'Onu, ordina all'Occidente di seguirlo.
E la Russia? Prima di quaranta giorni fa un paese affollato da troppi miti fondatori. Li aveva nel corso della sua storia recente cancellati o aggiornati. C'è chi ne ha contati almeno quattro prima di quella del ventennio putiniano. Ad esempio la Russia di Pietro il grande e degli zar, arroccata intorno alla vittoria contro il genio militare di Napoleone.
Dal 1917 al 1989 il mito era la rivoluzione di ottobre, la cittadella assediata e invincibile del "proletari di tutto il mondo unitevi". Rafforzata di fronte al passare del tempo con il mito della vittoria contro il nazismo, che si estende su mezzo mondo, Ucraina compresa, un immenso arsenale di metafore. Ma il riferimento più che al "radioso avvenire" poi si volge al "glorioso passato''. Il moto era già liso, stanco.
La quarta Russia di Putin è per metà sovietica e per metà mistica, si proclama riscatto della umiliazione dell'89 e alternativa alla capitolazione spirituale di fronte all'occidente. Mito fragile, intricato come dimostra la precarietà dei simboli. Sfilano nelle parate militari le vecchie bandiere zariste con le aquile bicipiti a guardare est e ovest come domini rivendicati ma anche i rossi labari bolscevichi con la falce e il martello. Il sette novembre ormai dal 2004 è giorno feriale, non è più riferimento rivoluzionario.
È il giorno in cui nel 1941, con i tedeschi a un passo da Mosca, ormai sulla collina degli inchini, Stalin volle che la sfilata militare sulla piazza rossa si svolgesse normalmente, sfida e grido patriottico, non più rivoluzionario. Il nove maggio ora è la data fondatrice, la resa della Germania.
La memoria collettiva si cerca di incatenarla nei ceppi della Vittoria, dove tutto diventa trasfigurato e legittimo, anche Stalin e lo zarismo imperiale. Putin, vincitore mancato, aggressore criminale e isolato, ha bisogno di un nuovo mito. Sarà l'assedio dell'occidente, noi russi soli contro tutto il mondo, la pugnalata alla schiena dei traditori, dei nemici del popolo. Il mito assorbe gli errori, che diventano indispensabili manovre preventive, la crudeltà e i delitti invenzione dei nemici, l'ordine ferreo necessità gloriosa per sopravvivere.
Storia dell’Ucraina: il riassunto, dall’Urss agli accordi di Minsk. Antonio Carioti su Il Corriere della Sera il 23 Marzo 2022.
Ucraina significa «terra di confine». Da Repubblica socialista sotto l’Unione Sovietica ha raggiunto l’indipendenza nel 1991. Poi la rivoluzione arancione e la guerra in Crimea.
«È in periodi così drammatici, quando sono in gioco le nostre vite e la nostra libertà, che il valore dell’informazione diventa fondamentale». Le parole del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana sono alla base di questo speciale che ha l’obiettivo di raccontare la guerra in Ucraina senza dare nulla per scontato. Un racconto per i ragazzi, le scuole e le famiglie. Abbiamo provato a fornirvi approfondimenti e strumenti di informazione – dai video ai podcast agli “spiegoni” di Instagram – dedicati a voi giovani, ai vostri insegnanti e ai vostri genitori.
Se volete, potete scriverci i vostri commenti nei Direct di Instagram di @Corriere
L’Ucraina è un Paese molto vasto, grande il doppio dell’Italia, che si trova a sud ovest della Russia e confina con gli Stati più orientali dell’Unione Europea: Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Il suo nome vuol dire «terra di confine» proprio perché è alla frontiera tra Est e Ovest. La capitale è Kiev.
Per molto tempo l’Ucraina è stata parte della Russia, governata allora da un imperatore chiamato zar: all’epoca la lingua e la cultura ucraina erano fuori legge e i movimenti per l’indipendenza del Paese venivano repressi dal governo.
Nel 1917 in Russia scoppiò la rivoluzione e prese il potere il partito bolscevico, detto anche comunista, che eliminò lo zar e la sua famiglia. Dopo una dura guerra civile tra i Rossi bolscevichi e i Bianchi contrari alla rivoluzione, che furono sconfitti, l’impero divenne una Unione di repubbliche socialiste (Unione Sovietica, in sigla Urss), tra le quali venne compresa anche l’Ucraina.
Gli ucraini ebbero così il diritto di usare la loro lingua e anche quello di staccarsi dall’Urss, ma solo in teoria, perché in quel Paese tutto il potere politico ed economico era in mano al Partito comunista, guidato prima da Vladimir Lenin e poi da Iosif Stalin. Anzi, dato che in Ucraina i contadini non volevano consegnare le terre allo Stato, Stalin li costrinse con la forza, provocando tra il 1932 e il 1933 una carestia per cui morirono di fame milioni di persone.
Nel 1941 la Germania nazista attaccò l’Unione Sovietica e alcuni ucraini, in odio a Stalin, combatterono dalla parte dei tedeschi, che però alla fine furono sconfitti. Con la vittoria dell’Urss nel 1945, il territorio dell’Ucraina sovietica si allargò anche a regioni che in precedenza non avevano fatto parte dell’impero russo.
Negli anni Ottanta del secolo scorso il sistema sovietico, basato su un’economia gestita tutta dallo Stato, entrò in crisi e nelle varie repubbliche dell’Urss presero forza i movimenti che volevano staccarsi dal governo centrale di Mosca. Il capo del Partito comunista, Mikhail Gorbaciov, cercò di cambiare le cose, ma senza riuscirci. Così nel dicembre 1991 l’Ucraina tenne un referendum sull’indipendenza e il 90 per cento dei votanti rispose «Sì». Poco dopo l’Urss venne sciolta e tutte le sue repubbliche diventarono Stati indipendenti.
Negli anni successivi gli ucraini si divisero tra quelli che guardavano a ovest, sperando di potere entrare nell’Unione Europea, e quelli che volevano mantenere un legame stretto con la Russia. Va tenuto conto che, poiché il russo in Urss era la lingua dominante, in alcune regioni dell’Ucraina è parlato ancora oggi più della lingua nazionale.
Nel 2004 con le manifestazioni di piazza della «rivoluzione arancione» (dal colore scelto come simbolo dai dimostranti) gli ucraini filo-europei ottennero la ripetizione delle elezioni, che il filo-russo Viktor Janukovyc aveva vinto in modo irregolare. Così divenne presidente Viktor Juscenko. Ma gli «arancioni» presto si divisero e al successivo voto del 2010 vinse di nuovo, senza contestazioni, Janukovyc.
Tuttavia quando il presidente rifiutò di firmare un accordo di associazione con l’Ue, nel dicembre 2013, i filo-europei suscitarono il movimento Euromajdan (majdan in ucraino vuol dire piazza) e alla fine, dopo un notevole spargimento di sangue, nel febbraio 2014 Janukovyc fu costretto a lasciare il potere. A quel punto però reagì la Russia, il cui presidente Vladimir Putin non ha mai accettato un reale distacco dell’Ucraina da Mosca.
Nel 2014 le truppe di Putin occuparono la Crimea, poi annessa alla Russia mediante referendum, e intervennero anche nella regione orientale del Donbass, dove furono create le due piccole repubbliche di Donetsk e Lugansk, formalmente indipendenti, ma legate a Mosca. I combattimenti durarono diverso tempo e gli accordi di Minsk del 2014-15 non fecero che congelare la situazione.
Nel frattempo in Ucraina è stato eletto Volodymyr Zelensky, un ex attore comico che interpretava un immaginario presidente in una serie televisiva e poi è diventato davvero leader del suo Paese. Contro di lui e contro l’Ucraina, con l’obiettivo di sottometterla del tutto alla Russia, Putin ha scatenato la guerra che abbiamo di fronte ai nostri occhi.
31 anni, prima della guerra imprenditrice ucraina. Testo di Eugenia Emerald per “Holod”, pubblicato da “La Stampa” il 6 aprile 2022.
Il mio defunto padre ha vissuto tutta la sua vita con il presentimento che la guerra sarebbe arrivata. La prima volta che ho preso un fucile in mano avevo nove anni, per andare a caccia con papà, che mi voleva insegnare. Ho preso da lui, sto sempre all'erta. Ho cominciato a fare scorte prima dell'inizio della guerra: ho speso tutti i miei soldi in generi alimentari e benzina, sei mesi di autonomia assicurata.
Avevo affittato una casa di 500 mq per eventi aziendali, adesso è un rifugio per trenta persone; avevo messo su una rete di 500 imprenditori, ora si è trasformata in un gruppo di volontari: risolviamo problemi logistici, trasportiamo persone, consegniamo aiuti umanitari, cibo e vestiti. Cinquecento imprenditori sono una risorsa enorme.
Ho studiato in un istituto militare e dieci anni fa sono diventata sottotenente, ufficiale di riserva. Poi sono andata al fronte come volontaria. Nel 2014, volevo anche andare in guerra, ma l'ufficio di reclutamento militare non mi ha accettato perché avevo una bimba piccola. Ora mia figlia ha dieci anni, è al sicuro, all'estero.
Nei primi giorni della guerra, otto donne di Kharkov sono venute alla casa rifugio.
Non c'era nessun altro oltre me che potesse proteggerle, ero la sola a saper sparare, eravamo nel mirino di ladri e saccheggiatori. Poi un comandante che conoscevo mi ha chiesto di unirmi alla sua compagnia delle Forze Speciali dell'esercito ucraino.
Mezz' ora dopo stavo già andando dal quartier generale di Kiev verso una zona di combattimento.
Non nasconderò il fatto che all'inizio è stato molto difficile per me. Una donna in guerra non è mai troppo popolare. E i militari all'inizio non mi hanno trattato bene. «Il tuo posto è in cucina, baba, vai a preparare il borsch», mi dicevano, ovvio.
Ma non ci è voluto molto per entrare nella squadra, adesso siamo come fratelli. Sono l'unica donna sia nella compagnia che nel battaglione.
Di recente il comandante del reggimento mi ha detto: «Lo sai che vogliamo mettere una donna in ogni squadra, perché una donna in guerra dà grande motivazione al gruppo?». È una cosa da uomini: se una donna va in battaglia e un uomo no, allora non è un uomo.
Non uccidiamo, proteggiamo. È così che mi sento.
I nostri figli vengono uccisi, le donne vengono violentate, le nostre case e i nostri monumenti storici e culturali vengono fatti saltare in aria. Per me, queste non sono azioni umane, quindi non mi pongo la domanda se faccio qualcosa di male uccidendo una persona. L'unica cosa è che ricordo chiaramente il momento in cui ho preso le armi per la prima volta in questa guerra e ho capito che avrei sparato e avrei potuto uccidere. È un'emozione difficile da trasmettere. Le mie mani e tutto il mio corpo hanno iniziato a tremare, per 30 secondi. Poi è passato, ma la prima volta è così.
Chi dice di non aver paura sta mentendo. La paura, ovviamente, è presente, ma è necessario rimanere calmi e freddi. La mia paura principale è quella di perdere i miei ragazzi. Grazie a Dio, non abbiamo ancora subìto perdite, ma so che arriverà quel momento. Come diceva Dostoevskij, l'uomo è una creatura che si abitua a tutto. E puoi abituarti, ma la paura è sempre grande.
Abbiamo vissuto insieme per un mese, sono più di una famiglia per me. Viviamo in caserma. Il comandante mi ha offerto una stanza separata perché sono l'unica donna, ma ho volutamente rifiutato, perché qui sono un soldato.
Sono cresciuta a Troyeshchina in una famiglia normale. Ci sono stati momenti della mia vita in cui non c'erano soldi: il frigorifero era vuoto, non c'era niente da mangiare. In altri invece c'erano così tanti soldi che non sapevo come spenderli. Quindi mi adatto a qualsiasi condizione. Posso dormire sul pavimento, su una panchina, in una caserma, in un campo e nel bosco. Certo, se ho l'opportunità di lavarmi o pettinarmi i capelli, la prendo.
Quando ero a Leopoli, sono andata in un centro di bellezza, le ragazze mi hanno tagliato le unghie, messo lo smalto trasparente. È una sciocchezza quella che le donne in guerra devono essere sciatte e trascurate. Io mi trucco anche in guerra. La guerra poi è una selezione. Tutta la mia cerchia sociale era fatta da imprenditori, per lo più uomini. A oggi, il 90% di loro è scappato.
Credo che uomini forti e con opportunità avrebbero dovuto essere qui, e aiutare.
Non sto dicendo che sia necessario andare in prima linea, ma ci sono tanti modi per rendersi utili. Un paio di giorni fa ho chiesto a un mio amico, che ora è in Turchia: «Senti un po', ma non proverai vergogna quando avrai figli e non avrai nulla da dire sulla guerra? Non ti dispiace non sapere com' è e trasmettere questi sentimenti?».
Nella nostra compagnia, al contrario, ci sono ragazzi che sono tornati in Ucraina da Londra, dalla Francia. Un mio amico, Onur, di nazionalità turca, è rimasto nel suo ristorante nel centro della città e ogni giorno dà da mangiare alla gente a sue spese. Sono orgogliosa di queste persone, che siano miei amici. Quando la guerra sarà finita, ci sarà molto lavoro. Ho deciso che non tornerò agli affari, voglio dedicarmi allo sviluppo dell'Ucraina. Ma non so come la guerra influenzerà la mia psiche.
So di essere diventata molto fredda, dura, senza tanti complimenti. Chiudo con le persone molto rapidamente, non do loro una seconda possibilità se vedo che stanno facendo la cosa sbagliata. Sono cambiata e non sarò più la stessa. Dormo tranquillamente per ora, a volte anche sogno, probabilmente perché so di essere al mio posto più che mai. Quando ero piccola e mi chiedevano chi volevo essere, rispondevo sempre: un cecchino.
Massimo Oriani per gazzetta.it il 9 aprile 2022.
"Gloria all’Ucraina! Gloria agli eroi!". E' il motto ufficiale della Nazionale gialloblù, contestato dai russi quando ancora la guerra era "un'affare privato" tra le due nazioni, un conflitto limitato ai confini della Crimea che il mondo ignorava.
In questi giorni abbiamo visto più di uno sportivo o ex atleta professionista imbracciare il fucile e combattere l'invasore. Tra questi, anche un vincitore del Pallone d'Oro, Igor Belanov. Lo conquistò nel 1986, succedendo a Michel Platini e precedendo Ruud Gullit.
Arrivò davanti a Gary Lineker ed Emilio Butragueno, rappresentando la nazione che oggi cerca di sterminare il suo popolo, quell'Unione Sovietica che ancora si aggrappava a un muro che pure dava ampi segni di sgretolamento. All'epoca il premio di France Football era riservato a giocatori europei, quindi Diego Maradona, fresco campione del Mondo con l'Argentina, non poteva vincerlo. Ma la concorrenza era comunque agguerrita: da Marco Van Basten, allora ancora all'Ajax, agli stessi Platini e Gullit.
E poi quell'Helmuth Duckadam che parò 4 rigori in finale di Coppa Campioni regalando il trionfo alla Steaua Bucarest sul Barcellona di Bernd Schuster. Ma ad alzare il più prestigioso riconoscimento individuale fu proprio l'attaccante nato a Odessa nel 1960, che mosse i primi passi nel Chornomorets prima di passare, nel 1985, alla Dinamo Kiev del Colonnello Lobanovski, lo "scopritore" di Andriy Shevchenko.
TITOLO SOVIETICO— Con la Dinamo Belanov vinse il campionato sovietico piazzandosi al secondo posto nella classifica marcatori con 10 reti, guidando invece con 5 quella di Coppa delle Coppe, vinta in finale 3-0 sull'Atletico Madrid (a segno anche il poi juventino Zavarov e un'altra leggenda del calcio dell'Urss, Oleg Blokhin, pure lui ucraino).
Al Mondiale 1986 Belanov giocò solo saltuariamente e la sua Nazionale, che pure poteva contare su Aleinikov (pure lui sbarcato poi in Serie A con Juve e Lecce), Protasov e Blokhin, dopo aver vinto il girone, uscì negli ottavi col Belgio di Pfaff, Scifo e Ceulemans, battuta 4-3 ai supplementari. La tripletta di Belanov lasciò però il segno nei votanti per il Pallone d'Oro. Quando lo vinse, l'attaccante ucraino ammise onestamente: "So che questo premio è dovuto ai risultati della Dinamo Kiev più che quanto fatto da me a livello individuale. Penso che l'avrebbe meritato di più Zavarov". Invece lo vinse lui, terzo sovietico a riuscirci dopo Lev Yashin (1963) e Blokhin (1975).
LA SERIE A SFUMATA— La sua carriera dopo la vittoria parigina assunse una parabola discendente. Giocò l'Europeo 1988, era in campo in quell'Olanda-Urss passata alla storia per uno dei gol più belli della storia del calcio, la conclusione al volo di Van Basten. Pochi ricordano però che Belanov, sull'1-0 per l'Olanda (gol di Gullit) si fece parare il rigore del possibile pareggio da Van Breukelen. Igor avrebbe poi dovuto arrivare in Italia: aveva già raggiunto un accordo col Genoa, che lo avrebbe dato in prestito all'Atalanta di Mondonico.
Ma si di mezzo il Cremlino, con una regola che impediva ai giocatori sotto i 29 anni di giocare all'estero. Appuntamento rimandato quindi al compimento del 29° compleanno, quando firmò col Borussia Monchengladbach. Avventura che finì però malissimo: venne denunciato perché trovato in possesso di vestiti rubati e licenziato dai tedeschi. Chiuse quindi la carriera con l'Eintracht Braunschweig e in patria, ora l'indipendente Ucraina, con il suo primo club, il Chornomorets e infine con l'Azovetz Mariupol.
IN BATTAGLIA— Negli ultimi tempi Belanov viveva a Odessa, dove aveva aperto una scuola calcio. Ora, come tanti suoi connazionali, lotta non per battere difensori e portiere avversari, ma per fermare l'eccidio russo ai danni del suo popolo. A 61 anni si è fatto fotografare col fucile in spalla, più fiero di quell'arma che suo malgrado deve imbracciare di quanto non lo sia mai stato per il Pallone d'Oro. "Ho giocato con orgoglio per l’Unione Sovietica e sono sconvolto da questa guerra" ha detto Belanov.
"Pace all’Ucraina e gloria a tutti quelli che si oppongono agli invasori, venuti a distruggere la nostra terra e il nostro popolo libero ed eroico. Tutto questo e molto di più caratterizza i nostri soldati delle forze armate dell’Ucraina - ha proseguito Igor -. Noi siamo con voi! Pace all’Ucraina, e Gloria a tutti coloro che affrontano gli occupanti che coraggiosamente sono venuti a distruggere la nostra terra e il nostro libero, eroico popolo! Credendo nella nostra rapida vittoria! Gloria all’Ucraina".
Vitaly Kim, il governatore che resiste a Mykolaiv: ora è un eroe e lo chiamano «Zelensky 2». Marta Serafini su Il Corriere della Sera il 30 Marzo 2022.
Scampato alla strage del palazzo della regione promette: «La mia città non sarà una nuova Mariupol. Sono uno che scende in campo se sicuro di vincere».
«I russi ci hanno attaccato per coprire le loro manovre. Ma Mykolaiv non sarà la nuova Mariupol (qui il video della città distrutta vista dal drone) , ve lo garantisco». Il day after del governatore Vitaly Kim, quello che tutti ormai chiamano Zelensky 2, inizia con la conta dei morti dopo che un missile russo ha squarciato in due il palazzo della regione alle 8.45 di lunedì, poco prima che lui arrivasse in ufficio. Conteggio finale, mentre le ruspe ancora scavano, 15 vittime, tutti rimasti sepolti sotto le macerie dopo l’impatto. Eccetto una persona morta all’arrivo in ospedale più decine di feriti, 4 i militari «coinvolti». «Mi scuso per la battuta infelice di ieri mattina ma non avevo ancora idea di che tragedia avessimo davanti», scrive Kim su Facebook all’inizio della giornata. «I russi mi hanno distrutto la mia scorta di Iqos (le ricariche delle sigarette elettroniche, ndr). Ma non vinceranno la guerra per questo», aveva detto il governatore nei primi momenti dopo l’impatto.
Con la scorta
Alla conferenza stampa di ieri — il cui luogo è stato tenuto segreto fino all’ultimo per ragioni di sicurezza — arriva scortato. Impossibile avvicinarlo. In sala, tanti i giornalisti stranieri. Ma lui, l’uomo del momento del fronte Sud, non si scompone. Kim, che ha respinto l’assalto russo delle prime settimane di guerra quando i carri armati russi si sono avvicinati ai ponti sul fiume Bug, il leader che ha permesso, fin qui, a Odessa di dormire sonni relativamente tranquilli, l’ucraino che i russi odiano quanto Zelensky.
I dati
Quando gli viene chiesto conto delle trattative, quello che fino a quattro settimane fa era un governatore regionale come tanti risponde da leader: «La situazione al tavolo corrisponde a quella sul campo, in Turchia non c’è stata nessuna de-escalation, come dimostra quanto successo qui». Poi snocciola i dati sui danni arrecati dai russi alla sua regione. «Dall’inizio della guerra nell’area di Mikolaiv 134 persone, di cui 6 bambini, sono morte. 415 persone sono rimaste ferite, 30 delle quali bambini, 1622 edifici e 1209 case danneggiate o distrutte. Stessa sorte per 12 ospedali, 69 scuole e 24 istituzioni culturali».
Le battute
Origini coreane, Vitaly fin qui è stato un Vincenzo De Luca in salsa ucraina. Ogni suo motto diventa virale in rete. Cose del tipo: «C’è un lato positivo nella legge marziale: abbiamo sconfitto il Covid». O «congratulazioni per l’8 marzo a tutti gli uomini fuggiti dall’Ucraina», che evidentemente la parità di genere non è il suo forte. Figlio di un giocatore di basket di origini coreane, Kim è nato e cresciuto in una famiglia numerosa. Si è laureato in economia aziendale, parla inglese, francese e un po’ di coreano.
Neofita
La sua nomina a capo dell’amministrazione statale regionale di Mykolaiv nel novembre 2020 è stata una sorpresa per molti. Una parabola che rispecchia quella del suo capo e «idolo», Volodymyr Zelensky perché, come il presidente dell’Ucraina, Kim è un neofita della politica. Prima imprenditore, solo nel 2019, alla vigilia del voto amministrativo, Vitaly è entrato a far parte dei «servi del popolo», come direttore della campagna elettorale. Poi, una volta salito al potere, ha scandito: «Il mio scopo è essere felice. Voglio che tutti lo siano a Mykolaiv».
Emozioni bandite
Ora che essere felici è difficile dalle sue parti, le emozioni sono messe al bando. Anche quando racconta dei rifugiati in fuga da Kherson che arrivano in città, con le facce stravolte dalla paura. O quando vede il suo ufficio squarciato in due da un missile. «Grazie allo sport ho imparato a stare calmo. La regola principale: devi scendere in campo solo sei sicuro di vincere, altrimenti non uscire nemmeno di casa». E lo aiutano — dice — anche gli insegnamenti paterni, del tipo: «denaro e potere non rovinano le persone. Soldi e potere mostrano chi sei veramente».
La raccomandazione
Non solo De Luca ma anche un po’ Trump. Alla fine della conferenza stampa, dopo aver spiegato che la situazione economica della regione non è preoccupante e che il cibo non manca, si lascia andare a qualche sorriso e a qualche battuta coi reporter ucraini, mentre ai giornalisti stranieri i suoi uomini dicono: «Non andate in frontline o morirete tutti». Poi, prima di lasciare la sala, Kim riacquista il controllo: «Oggi il nostro pensiero va a tutti quegli eroi che sono morti in un edificio civile e che i russi hanno massacrato. Ma anche a chi si è salvato». Tra loro c’è Artiom, soldato di guardia all’ultimo piano dell’edificio al momento dell’impatto. Uscito dalle macerie, illeso per miracolo e tornato in servizio dopo due ore. «Perché — dice al telefono — qui non abbiamo altra scelta».
Fermata con 28 milioni di dollari alla frontiera la moglie di un ex parlamentare ucraino. Redazione Esteri su Il Corriere della Sera il 23 marzo 2022.
Si è presentata al check-point di Vilok al confine con l’Ungheria tra la folla di profughi ucraini. Accompagnata dalla madre e da alcune guardie del corpo aveva con sé sei valigie con le quali ha cercato di attraversare il valico di frontiera. Inevitabili i sospetti del personale della dogana. E da un controllo sono spuntati 28 milioni di dollari in contanti , oltre a 1,3 milioni in euro. Anastasia Kotvitska, modella di professione, è stata così sottoposta a fermo. E quella che a prima vista appariva come una profuga in fuga dalla guerra altro non era che la moglie dell’ex parlamentare Igor Kotvitsky, 52 anni, esponente del Fronte popolare e indicato come uno dei deputati più ricchi dell’Ucraina. Il denaro è stato sequestrato e nei confronti della donna - che ha giustificato la somma con la necessità di dover essere assistita per il parto - è stato aperto un procedimento penale.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
La notizia del fermo di Anastasia Kotvitska è stata riportata dal quotidiano ucraino Obozrevatel. Il marito, che è stato alla guida per anni del sistema nucleare e avrebbe quote nelle aziende di uranio del Paese, ha smentito la notizia della fuga della moglie ed ha confermato che stava attraversando il confine perché incinta e doveva partorire: «Tutti i miei soldi sono nelle banche ucraine, non ho prelevato nulla», avrebbe dichiarato l’ex parlamentare. Ma la segnalazione del fermo di Anastasia Kotvitska è subito rimbalzata sui media internazionali ed ha suscitato scalpore, anche alla luce delle continue denunce di esponenti dell’élite ucraina che cercano di portare all’estero i propri capitali eludendo i controlli di frontiera.
Anastasia Kotvitska fermata con 28 milioni di dollari alla frontiera: è la moglie di un ex parlamentare ucraino. Marta Serafini su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.
La donna si era confusa con i profughi in fuga dalla guerra. I soldi nascosti in sei valigie. Il marito è l’ex deputato Igor Kotvitsky, il cui nome è legato ad aziende e depositi di uranio. Niente da dichiarare. O forse sì. Si è presentata al confine come una rifugiata qualunque. Intorno a lei centinaia di sfollati in fuga dalla guerra. Ma lei, a differenza degli altri, in valigia aveva 28,8 milioni di dollari e 1,3 milioni di euro. Accompagnata dalla madre e da alcune guardie del corpo ungheresi, la modella ucraina Anastasia Kotvitska è arriva quattro giorni fa alla frontiera di Vilok, nella Transcarpazia, a bordo di una Opel Vivaro. Nessun sospetto da parte delle guardie ucraine che l’hanno lasciata passare. Poi, una volta sul lato ungherese qualcuno si è insospettito, e le ha chiesto di aprire il voluminoso bagaglio composto dai sei valigie. E, a quel punto, è diventato chiaro. La rifugiata aveva con sé una somma di denaro decisamente superiore a quella consentita.
Risultato, ora le autorità ucraine hanno dovuto aprire un procedimento penale, secondo quanto confermato dalla stessa Pravda ucraina. A sollevare il caso, un altro giornale, il quotidiano Obozrevatel, che ha sottolineato come Kotvitska sia la moglie dell’ex parlamentare Igor Kotvitsky. Esponente del Fronte popolare e indicato come uno dei deputati più ricchi dell’Ucraina, Kotvitsky è stato alla guida per anni del sistema nucleare e avrebbe quote nelle aziende di uranio del Paese.
La notizia della segnalazione del fermo di Anastasia Kotvitska è subito rimbalzata sui media internazionali ed ha suscitato scalpore, anche alla luce delle continue denunce su esponenti dell’élite ucraina, pizzicati nel tentativo di portare all’estero i propri capitali eludendo i controlli di frontiera. A far aumentare la polemica, l’amicizia e le relazioni di affari di Kotvitsky con il ministro dell’Interno Arsen Avakov, a sua volta accusato nel 2012 di trasferimento illegale di terreni e inserito nella lista dei ricercati internazionali dell’Interpol.
«I soldi mi servono per partorire all’estero», avrebbe provato a giustificarsi Kotvitska, senza convincere però le autorità di frontiera ungheresi che hanno sequestrato la somma.
Secondo Seyar Kurshutov, altro uomo d’affari ucraino, inserito dal presidente Volodomyr Zelensky nella black list degli oligarchi ucraini che trafficano con Mosca, da tempo le guardie ucraine girano la testa dall’altra parte di fronte al riciclaggio internazionale di denaro.
Non solo. Secondo un rapporto del Dipartimento di Stato Usa rilasciato nel 2020, le autorità di Kiev avrebbero fatto pochi progressi nella lotta alla corruzione, principale fonte di riciclaggio di denaro. A contribuire, la mancanza di una legge proprio sull’antiriciclaggio. E nella relazione si legge: «Istituzioni statali inefficaci e un sistema di giustizia penale inefficace continuano a consentire che i proventi criminali non vengano scoperti. Sebbene le autorità siano consapevoli della gravità del problema e stiano attuando misure per affrontarlo, le forze dell’ordine raramente prendono di mira il riciclaggio di denaro legato alla corruzione su larga scala».
La moglie dell'ex parlamentare. Chi è Anastasia Kotvitska, la modella ucraina fermata con 28 milioni alla frontiera: “Devo partorire”. Vito Califano su Il Riformista il 25 Marzo 2022.
Anastasia Kotvitska è arrivata al confine in mezzo ai rifugiati ma con una piccola differenza: in valigia aveva 28,8 milioni di dollari e 1,3 milioni di euro. E perciò nei suoi confronti è stato aperto un procedimento penale, come ha confermato la Pravda ucraina. La vicenda è stata raccontata dal quotidiano Obozrebatel che ha precisato come la donna sia la moglie dell’ex parlamentare Igor Kotvitsky, esponente del Fronte Popolare, tra i deputati più ricchi del Paese e per anni alla guida del sistema nucleare.
La modella ucraina si trovava quattro giorni fa alla frontiera di Vilok a bordo di una Opel. Le guardie ucraine l’hanno lasciata passare senza alcun sospetto. In Ungheria invece è andata diversamente. Quando le è stato chiesto di aprire i bagagli è venuto fuori il tesoro, è il caso di dirlo. Le valigie erano piene zeppe di banconote, pesavano circa 200 chili. Le foto dei bagagli sono state diffuse anche online. La notizia ha fatto il giro del mondo. “I soldi mi servono per partorire all’estero”, ha provato a spiegare la donna. La somma le è stata alla fine sequestrata.
Kotvitsky, secondo indiscrezioni di stampa, avrebbe quote nelle aziende di uranio ucraine. È considerato in buoni rapporti con l’ex ministro dell’Interno Arsen Avakov, accusato nel 2012 di trasferimento illegale di terreni e inserito nella lista dei ricercati internazionali dell’Interpol. La notizia è entrata nel filone delle denunce a esponenti dell’élite ucraina trovati nel tentativo di portare all’estero i propri capitali eludendo i controlli alla frontiera.
Un rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti del 2020 ha riportato, come ricostruisce Il Corriere della Sera, come pochi progressi siano stati fatti dalle autorità di Kiev nella lotta alla corruzione. Non esiste una legge anti-riciclaggio. “Istituzioni statali inefficaci e un sistema di giustizia penale inefficace – si leggeva nel documento – continuano a consentire che i proventi criminali non vengano scoperti. Sebbene le autorità siano consapevoli della gravità del problema e stiano attuando misure per affrontarlo, le forze dell’ordine raramente prendono di mira il riciclaggio di denaro legato alla corruzione su larga scala”.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 24 marzo 2022.
I doganieri ungheresi in questi giorni vedono arrivare migliaia di profughi dall'Ucraina carichi di bagagli e fagotti, ma al check-point di Vilok una così non l'avevano ancora vista: bellissima, molto elegante, accompagnata dalla madre come una ragazza timorosa di viaggiare sola. Al controllo passaporti per l'ingresso nel Paese, che fa parte della Ue, è andato tutto bene. Alla dogana, invece, qualcuno si è insospettito: che ci facevano lì quei due muscolosi ungheresi carichi di valigie, ben sei, che l'accompagnavano?
Inevitabile la richiesta di ulteriori informazioni, e quasi scontata la successiva apertura dei pesanti bagagli. Le sei valigie sono state fotografate, aperte, sul pavimento di una stanzetta attigua al corridoio dal quale passano i profughi, tra uno scatolone di merendine e una pattumiera. Contenevano 28 milioni di dollari, quasi tutti in banconote da 100, e 1,3 milioni di euro.
LE SCUSE La donna ha spiegato che aveva dovuto fuggire dall'Ucraina per partorire, ma anche se le cliniche e le bambinaie costano, la somma che portava con se è apparsa ai doganieri un po' fuori misura. La foto di Anastasia Kotvitska, moglie di un ex parlamentare ucraino, è finita sulla home page del quotidiano Obozrevatel, molto discusso a Kiev per avere violato spesso in passato gli standard di etica giornalistica. La procuratrice generale Irina Veneditkova, ancora in servizio nonostante le bombe russe, ritiene però che la storia sia vera e ha aperto un'indagine penale per avere conferma di tutto. Il marito di Anastasia, Igor Kotvitsky, è molto famoso per avere guidato per anni il sistema di energia nucleare e per essere il responsabile dei depositi di uranio.
L'Ucraina è il primo produttore europeo di questo metallo indispensabile per alimentare le centrali nucleari: molta energia atomica e un sacco di soldi. Kotvitsky ha confermato che la moglie si è rifugiata in Ungheria per partorire, ma ha aggiunto che il suo denaro «è tutto ancora in banca» e che Anastasia non portava valigie piene di soldi con sé.
Poi però ha chiuso i social. Anche la figlia Violetta, che ha studiato in Svizzera, ha fatto sapere che si tratta solo di «voci e falsità». Non la pensa così l'uomo d'affari Seyar Khushutov, il primo a denunciare quanto accaduto alla frontiera. Alcuni doganieri ucraini «i cui nomi sostiene - sono ben conosciuti», accettano volentieri tangenti fra il 3 e il 7,5% per lasciar passare i cittadini più ricchi, che mettono al sicuro all'estero se stessi e le loro ricchezze in valuta pregiata.
Già 20 deputati della Verchovna Rada, il parlamento di Kiev, avrebbero passato la frontiera ed è stato stilato un elenco di «traditori» che comprende altre 200 persone. La storia di Anastasia ha creato forte risentimento tra chi da giorni non trova né cibo né acqua e resiste con coraggio all'avanzata delle truppe di Mosca. Invece di usare i loro soldi per contribuire alla lotta contro il nemico, molti privilegiati decidono di metterli al sicuro nel timore che vengano sequestrati o che finiscano nelle mani degli invasori. Succede da sempre in tutte le guerre.
Kotvitsky è stato il più ricco parlamentare dell'Ucraina e ha militato nel Fronte popolare, un partito antirusso battuto nel 2018 dalla coalizione di Zelensky. È molto amico di Arsen Avakov, ex ministro dell'Interno, arrestato nel 2012 in Italia per un'accusa di abuso d'ufficio e poi rilasciato dalla Corte d'Appello di Roma che respinse la richiesta di estradizione, avanzata dopo la sua elezione in Parlamento. È stato il più longevo ministro dell'Ucraina, occupando la delicata poltrona degli Interni in vari governi, dal 2014 al 2021. I suoi oppositori dicono che grazie alle sue conoscenze potrebbe avere aiutato Anastasia a fuggire con i soldi: se è così, poteva fare di meglio.
Quarto Grado, Putin ossessionato dall'uomo dei treni: i sicari russi gli danno la caccia. Il Tempo il 26 marzo 2022.
Oleksandr Kamyshin, 37 anni, non si ferma mai per sfuggire ai sicari russi. E' il capo delle ferrovie ucraine ed è l'uomo che - insieme al presidente ucraino Zelensky - le truppe russe vorrebbero eliminare. "E' il bersaglio numero due di Vladimir Putin in questa guerra dopo il presidente" racconta Alessandra Viero a "Quarto Grado" venerdì 25 marzo. Lui comanda la rete ferroviaria del Paese e i treni in questa guerra sono preziosi. "Perché - sottolinea la giornalista - salvano milioni di persone, portano gli aiuti umanitari, possono trasportare armi e munizioni dove servono".
Kamyshin lo sa e riprogramma ogni giorno - fino all'ultimo studiando la mappa del Paese - la rete ferroviaria perché in questo momento è sotto attacco dei russi. Sono 33 i macchinisti morti riparando binari e stazioni. "Anche Kamyshin rischia la sua vita - sottolinea la Viero - per questo si sposta velocemente ma fino all'ultimo farà il suo dovere". Il dirigente ucraino lo ha ribadito anche in un reportage alla BBC: "Continuerò a far marciare i treni nonostante tutto per salvare più persone possibili".
Oleksandr Kamyshin, perché l'uomo dei treni è l'incubo di Vladimir Putin: "Irrintracciabile e sempre protetto". Libero Quotidiano il 17 marzo 2022.
Il vero incubo dei russi? La rete ferroviaria dell'Ucraina. Per questo il nemico numero due di Vladimir Putin, dopo Volodymyr Zelensky, è Oleksandr Kamyshin. L'uomo, 37enne, è il capo delle ferrovie ucraine. Le stesse che si stanno mostrando vitali per il popolo, da 22 giorni impegnato a frenare l'invasione russa. Il motivo? I treni fanno scappare rapidamente i profughi, portano tonnellate di aiuti alle zone sotto assedio e concedono il trasporto delle armi che l’Occidente fa arrivare. Tra queste i missili anticarro e i droni che hanno preso in contropiede i russi. Non solo, perché i convogli sono necessari anche per trasportare le truppe nelle città del fronte e riescono a "esportare tutto ciò che l’Ucraina può produrre in queste condizioni di guerra".
Per questo, vista l'importanza del suo ruolo, Kamyshin deve essere protetto in tutti i modi. Oltre a girare con le guardie del corpo, il 37enne si sposta di continuo al fine di non essere rintracciabile. Da giorni non vede né moglie né figli. Incontrarlo nel suo ufficio - come spiegato da un giornalista della Bbc - significa vederlo in continuazione alle prese con una mappa del Paese. D'altronde Kamyshin vanta un passato eccellente: oltre a essere responsabile della rete ferroviaria, l'uomo è stato contabile e imprenditore. Fino a un mese fa si occupava della riforma del settore ferroviario, ora è una delle personalità che dirige le operazioni di guerra.
Il 37enne ha infatti predisposto un piano, una sorta di "programma per trasferire la produzione da est a ovest". Solo così, ha ammesso, "possiamo spostare persone, idee, piani, forse macchinari per lanciare una nuova produzione a ovest". Così come il presidente ucraino anche Kamyshin è convinto che l'Occidente debba fare di più: magari inviando più o armi o decretare la no-fly zone. Appello che difficilmente andrà a segno e per questo al capo delle ferrovie non resta che fare il proprio lavoro.
I treni e la rete ferroviaria stanno salvando l’Ucraina. Ponti e binari distrutti dai bombardamenti russi sono stati ricostruiti in tempo record. Oggi la via ferrata che collega Kiev e le altre città è la spina dorsale del paese. Ecco come viene difesa e rinforzata. Federica Bianchi su L'Espresso il 12 Maggio 2022.
Alexander Pretzosky, 36 anni, non ha dormito che un paio d’ore la scorsa notte. Così da settimane. Ma gli occhi stanchi si allungano in un sorriso quando guarda fuori dal finestrino del primo treno che dopo 74 giorni di guerra lascia Kiev per raggiungere un’ora dopo Borodyanka, la città simbolo dei bombardamenti russi. Quella in cui il presidente Zelensky il 9 maggio, giorno dedicato all’Unione europea, ha detto: «Quest’anno pronunciamo “mai più” in un altro modo. Non con un punto esclamativo ma con un punto interrogativo».
Sono le sei e mezza del mattino. Un sole timido illumina un carro armato bruciato che si intravede velocemente tra gli alberi. Le immagini scorrono veloci. Mucchi di lamiera e ferro. E poi edifici dai vetri frantumati. Vecchie fabbriche di epoca sovietica distrutte. Case sventrate. Ma le strade sono tornate pulite. Squadre in tute arancioni riempiono le buche create dai mezzi militari, sistemano la rete elettrica, mettono in sicurezza gli edifici pubblici. Quando il treno si arresta sul ponte che congiunge Kiev a Irpin, la città dove è stata fermata l’invasione russa della capitale, Pretzosky si gira verso il suo capo, Oleksandr Kamyshin, 37 anni, amministratore delegato delle Ferrovie ucraine, con un cenno di intesa.
Il ponte ferroviario, uno dei 300 distrutti in tutto il Paese, è stato ricostruito a tempo di record. Il sangue non sarà dimenticato ma la ferita è fisicamente rimarginata. Adesso due treni al giorno riprenderanno a connettere la capitale alla periferia. Tra qualche settimana, quando anche il troncone in senso inverso sarà terminato, saranno molti di più. «Stiamo dimostrando che l’Ucraina non si arrende», dice Pretzosky, responsabile della pianificazione delle linee passeggeri. È lui l’uomo che ha organizzato l’evacuazione via treno dell’Ucraina, che ha fatto giungere a destinazione 140mila tonnellate di cibo e un milione di chili di posta, dopo un recente accordo con le Poste ucraine che da vent’anni non usavano più i treni. Lui che assicura il trasporto e la sicurezza dei diplomatici in visita al presidente. Lui che ha portato Bono a cantare nella metropolitana di Kiev. «Ricostruire in fretta vuol dire tenere alto il morale, dimostrare all’Europa che siamo all’altezza e fare vedere ai russi che i nostri standard di vita sono più elevati dei loro», sottolinea Kamyshin: «Che siamo un Paese europeo».
Le Ferrovie ucraine, 230mila dipendenti in tempo di pace, si sono dimostrate la spina dorsale dell’Ucraina in tempo di guerra. «Oggi due sono le istituzioni chiave del Paese», dice Kamyshin, infilato in una tuta di tela blu scuro, un codino legato sulla testa rasata: «Prima l’esercito, poi le ferrovie». Non mancano i problemi, tra cui il dato che non tutti i passeggeri pagano il biglietto e salgono allungando una mancia alle hostess. Però i treni non hanno mai smesso di funzionare. Con il passare dei giorni di guerra le Ferrovie hanno invece moltiplicato le funzioni, diventando la vera war-room logistica del Paese, arrivando dove le altre istituzioni non potevano o non volevano.
I 22mila chilometri di binari hanno consentito alla gente di scappare dalle aree sotto assedio fin dal primo giorno. «Facevamo entrare anche tremila persone su treni che normalmente ne contengono 800», ricorda Pretzosky: «Nelle toilette stavano in piedi quattro persone per lunghissime ore. Piangeva il cuore ogni volta che una madre restava indietro sulla banchina con i figli». Adesso la situazione si è normalizzata. Chi voleva partire l’ha fatto. «Negli ultimi giorni stiamo portando via le persone più povere, i vecchi e i malati», continua mostrando la fotografia di una stazione coperta di carrozzine vuote per disabili. Gli ultimi a partire sono poche centinaia ma a loro la sua squadra trova un domicilio. «Tra Pokrovsk, l’ultima stazione aperta del Donbass e quelle a Occidente ci sono circa 20 ore di viaggio», dice: «In questo arco di tempo facciamo in modo di individuare un alloggio per tutti e un bus pronto a portarli a destinazione quando arrivano».
Volodomyr Zelensky, un anno fa, ha rivoluzionato l’azienda di stato, mettendoci a capo una squadra di giovani manager del settore privato, esperti di logistica, marketing e finanza, come Kamyshin e Pretzosky, per traghettare nella modernità un carrozzone di altri tempi. Lavorano insieme ai consiglieri del presidente, ai ministri e all’esercito: il coordinamento è continuo per rispondere immediatamente ad ogni emergenza. Li chiamano i “Zelensky boys”.
Non fermare i treni sotto le bombe ha voluto dire cambiare metodo di lavoro, riprendendo lo schema top-down dei tempi russi e riadattandolo all’oggi. La squadra di comando è composta da sei persone, ciascuna messa a capo di una regione dell’Ucraina e di un settore, dal cargo ai passeggeri alle infrastrutture. Ognuna di loro coordina altri sei manager, che a loro volta guidano venti persone ciascuno. La squadra di comando è in costante movimento sui treni, migliaia di chilometri in pochi giorni, per non essere facilmente individuata e per dimostrare a tutti i dipendenti rimasti nel Paese che lavorare sotto le bombe è possibile. «Se io non mi faccio vedere a Kramatorsk o non arrivo a Kharkiv, come posso pretendere poi che i miei dipendenti salgano su quei treni?», dice Kamyshin, che si trovava a Kramatorsk il giorno prima del bombardamento della stazione.
Fino ad oggi 122 dipendenti sono morti e 155 feriti. L’unico membro del personale viaggiante morto su un treno è stata una donna colpita dai vetri dei finestrini saltati in aria nell’esplosione di un ponte stradale che correva accanto a quello ferroviario. Da allora tutti i finestrini sono ricoperti di tela, oltre che oscurati di notte. Per fare fronte a ogni evenienza è stata creata anche un’altra squadra di top manager ombra, dovesse succedere qualcosa a quella attualmente ai comandi. Ogni treno è sorvegliato: a bordo un controllore decide quale rotta scegliere a seconda delle circostanze - bombardamenti, interruzioni - comunicate dagli uomini disseminati lungo i binari, sotto la protezione dei militari. Nella sede centrale l’avanzamento del percorso di ciascun treno è riportato oggi su un cartellone elettronico, durante i primi giorni di guerra su un enorme foglio appeso alla parete, come vent’anni fa. I treni che non appaiono sono quelli che trasportano armi, mai insieme ai passeggeri, soldati o personalità importanti. In quel caso le informazioni sono riservatissime e la comunicazione ristretta ai vertici. «Utilizziamo la linea fissa perché le conversazioni non siano intercettabili», dice: «I russi provano a distruggere i fili del telefono ma sono tra le cose più facili da riparare, e noi ripariamo tutto in poche ore». I ritardi sono frequenti ma limitati, mai più di un paio d’ore nelle situazioni peggiori. «In Inghilterra cade un albero e i treni ritardano mezza giornata, qui cade una bomba è il ritardo è di un’ora», ride orgoglioso Kamyshin.
Ad essere colpiti non sono tanto i treni quanto le centraline elettriche che riforniscono le ferrovie, il modo più rapido per fare arrivare le armi al fronte orientale. Ma le armi non sono l’unico obiettivo di Mosca: «Vogliono distruggere le infrastrutture critiche tanto quanto quelle militari per indebolire l’economia del Paese e diffondere il panico tra la popolazione», dice il ministro delle Infrastrutture Oleksandr Kubrakov, anche lui sul primo treno ad attraversare il ponte di Irpin: «Non glielo permetteremo. Abbiamo già elaborato un piano per la ricostruzione in cui coinvolgeremo tutti i Paesi europei».
L’idea è quella di gemellare una regione o una città europea con una ucraina così da costruire una nuova Ucraina che sia un sincretismo di soldi, idee e architetture europee, cancellando le tracce ancora pesanti della dominazione sovietica. Con il passare delle settimane il lavoro delle Ferrovie si è moltiplicato: «Per volontà del presidente non ci occupiamo più solo di trasportare gli aiuti umanitari ma anche di stipularne gli accordi. E siamo stati noi a convincere a ripartire la fabbrica di acciaio di ArcelorMitall a Kryvyi Rih, dimostrando di potere assicurare il trasporto di lavoratori e prodotti». I treni sono ora attrezzati anche con vagoni per assistere i feriti in cui operano “Medici senza frontiere”.
Sempre più alle ferrovie spetta anche il compito di salvare il futuro commerciale del Paese. L’Ucraina è il quarto esportatore mondiale di cereali, con oltre 50 milioni di tonnellate annue, che si stanno accumulando nei silos, e principale fornitore del Nord Africa. Ma con la conquista di Mariupol, di Kherson, la battaglia a Mykolaiv e il bombardamento continuo di Odessa, tutti i porti ucraini sono chiusi, ad eccezione dei due piccoli sul Danubio, da cui può passare solo il dieci per cento delle esportazioni complessive. «La nostra priorità è trovare il modo di trasportare via treno i cargo di cereali per farli giungere a tre porti polacchi e a un porto rumeno», dice Kamyshin.
«Stiamo adattando i nostri vagoni ai binari delle ferrovie europee, che li hanno più stretti». Ma anche gli europei dovranno ammodernare e ingrandire porti e stazioni di arrivo. Ci vorranno almeno un paio d’anni, calcola il ministero delle Infrastrutture, che potrebbero cambiare per sempre le rotte dei rapporti commerciali dell’Ucraina. «Si tratta di una grande opportunità di business per l’Europa, che potrà acquistare i cereali per sé o rivenderli, magari parzialmente lavorati», dice Kamyshin. Anche perché la situazione non cambierà. «Abbiamo un vicino pazzo. Che anche in futuro potrebbe attaccare in qualsiasi momento».
Ucraina, sindaco di Melitopol rapito: “Ha rifiutato di collaborare con i russi, accusato di terrorismo”. Ilaria Minucci l'11/03/2022 su Notizie.it.
In Ucraina, il sindaco di Melitopol Ivan Fedorov è stato sequestrato dai russi dopo aver rifiutato di collaborare con il nemico che ha assediato la città
Il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, è stato rapito da un gruppo di militari russi: l’uomo è stato accusato di terrorismo dopo aver rifiutato di collaborare con il nemico che attualmente ha preso il controllo della città ucraina.
Ucraina, sindaco di Melitopol sequestrato da un gruppo di 10 militari russi
Nel pomeriggio di venerdì 11 marzo, il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, è stato rapito da un gruppo di dieci uomini russi. La notizia del rapimento, avvenuto nella città situata nella parte meridionale dell’Ucraina, è stata riferita dal consigliere del Ministero degli Affari Interni, Anton Gerashchenko. Sulla vicenda, stanno indagando le autorità ucraine.
In merito al sequestro del sindaco Fedorov, il consigliere Gerashchenko ha postato un messaggio su Telegram, denunciando quanto segue: “Durante il rapimento, gli hanno messo un sacchetto di plastica sulla testa.
Lo hanno prelevato nel centro di crisi della città, presso il quale si stava occupando di sostenere i cittadini”.
CNN verifica autenticità del video che ritrae il rapimento del sindaco di Melitopol
La città ucraina di Melitopol si trova al momento sotto il controllo delle truppe russe. In considerazione delle informazioni sinora diffuse dall’agenzia ucraina Unian, pare che il sindaco Fedorov si fosse rifiutato di collaborare con le forze di occupazione.
Il rifiuto era stato ribadito con la scelta di non ammainare la bandiera ucraina dal municipio cittadino.
Per quanto riguarda il rapimento di Fedorov, l’accaduto è stato confermato dalla CNN che ha verificato l’autenticità del video condiviso sul web che mostra il sindaco di Melitopl mentre viene scortato via da un edificio governativo da un gruppo di uomini armati.
Mosca: “Ha rifiutato di collaborare con i russi, accusato di terrorismo”
Le autorità russe hanno sequestrato il politico ucraino e lo hanno accusato di terrorismo e di finanziare e assistere attività terroristiche. Inoltre, è stato accusato di essere un membro di una comunità criminale.
Sinora, la detenzione del sindaco di Melitopol Igor Fedorov rappresenta il primo caso noto di un esponente politico ucraino che sia stato posto in detenzione e indagato dalle autorità russe dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Il fantoccio. Chi è Viktor Janukovyč, l’ex presidente ucraino nelle mani di Putin. Fabio Turco su L'Inkiesta il 7 Marzo 2022.
Dopo otto anni di oblio, il politico cacciato dal suo popolo nel 2014, ora si trova a Minsk. Secondo l’intelligence di Kiev, il dittatore russo vuole rimetterlo al potere al posto di Zelensky. In patria ha alternato picchi di popolarità a cadute rovinose.
Finora l’ultima immagine della sua carriera politica è stata quella dell’elicottero che si allontana dalla base navale di Sebastopoli.
Sembrava uscito di scena definitivamente Viktor Janukovyč, protagonista in negativo di quella che è stata l’ultima grande rivoluzione europea, l’Euromaidan. Erano gli infuocati giorni di febbraio 2014. Dopo otto anni di oblio, ora Janukovyč, sembra essere sul punto di tornare. Lo rivelano fonti dell’intelligence di Kiev, riportate dal sito ucraino Pravda. Janukovyč si troverebbe a Minsk, e Putin starebbe lavorando al suo reinsediamento. Una mossa un po’ a sorpresa. Quasi uno sfregio che il dittatore russo vorrebbe infliggere al popolo ucraino, una volta che sarà piegata la sua resistenza. Se sarà piegata.
Inizio e ascesa
Personaggio controverso Janukovyč, che in patria ha alternato picchi di popolarità a cadute rovinose, fino all’ultima cacciata. Nato nel 1950 in una famiglia proletaria dell’oblast di Donetsk, da madre russa e padre bielorusso, gli anni della gioventù non sono semplici, e finisce incarcerato due volte per furto e ingiurie. Due episodi apparentemente irrilevanti che però più avanti ne metteranno a rischio la carriera politica. Formatosi come elettricista, la prima parte della sua vita si svolge all’interno dell’azienda dei trasporti locale, dove assume l’incarico di manager.
L’ingresso in politica è datato 1980, quando entra nel PCUS, ma la scalata inizia molti anni più tardi, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Nel 1996 viene nominato vice governatore dell’oblast di Donetsk, l’anno successivo diventa governatore ed entra nelle fila del neonato Partito delle Regioni, formazione politica regionalista di posizioni filo russe. Entrato nelle grazie del Presidente Leonid Kučma, l’ascesa è verticale. Nel novembre 2002 viene nominato primo ministro. La sua agenda di governo bilancia una posizione molto vicina a Mosca e qualche apertura a occidente. Se da una parte si dichiara fermamente contrario all’ingresso nella NATO, sostiene invece il processo di adesione all’Unione europea, e partecipa alla guerra in Iraq con l’invio di alcune truppe.
La prima svolta
La svolta politica del “Proffessore” – epiteto nato proprio in quegli anni a causa di un curioso errore sulle schede elettorali – avviene a cavallo tra il 2003 e il 2004, quando assume la carica di leader del suo partito e si candida alle elezioni presidenziali. Le sue posizioni diventano marcatamente più populiste e spregiudicate. Nella tornata elettorale il suo avversario è il filo occidentale Viktor Juščenko, grande protagonista della politica di quegli anni, già Presidente della Banca centrale ucraina e primo ministro tra il 1999 e il 2001. Il primo turno si svolge sul filo dell’equilibrio e vede avanti Juščenko di una manciata di voti (39,8% delle preferenze contro il 39,3% di Janukovyč).
Il ballottaggio vede imporsi Janukovyč, ma il risultato viene subito contestato. Gli osservatori dell’OSCE e gli Stati Uniti denunciano gravi irregolarità: false schede elettorali, corruzioni nei seggi e intimidazioni. Lo scontento popolare porta a scendere in piazza centinaia di migliaia di persone. È l’inizio della Rivoluzione arancione. Le proteste portano la Corte Suprema a prendere in riesame l’esito del voto e ad annullarlo. Viene quindi indetta una ripetizione del ballottaggio, che questa volta vede uscire vincitore Juščenko con il 51,9% dei voti.
L’araba fenice
La vicenda ha ovviamente forti ripercussioni sul suo governo, e Janukovyč è costretto a dimettersi. Per chiunque quegli avvenimenti avrebbero segnato la fine della carriera politica, ma non nell’Ucraina di quegli anni, non per una personalità perseverante e testarda come la sua. Alla guida del governo gli succede Julia Tymošenko, già vice primo ministro di Juščenko e volto noto della rivoluzione. Il suo mandato è segnato da continue frizioni e spaccature all’interno della maggioranza, che la portano alle dimissioni dopo soli otto mesi. Non ha più fortuna il governo del suo successore, Jurii Jechanurov.
Si arriva così alle elezioni parlamentari del 2006, dove il più votato risulta essere di nuovo il Partito delle Regioni. Al termine di travagliate consultazioni viene formata una maggioranza guidata dal partito di Janukovyč, in coalizione con il partito di Jušcenko, Anche questa esperienza di governo dura però solo un anno. Già nel 2007 si torna a votare e questa volta Janukovyč ne esce sconfitto. Sono questi gli anni in cui il suo partito firma un accordo formale con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, siglando un intreccio che da qui in poi diventerà indissolubile.
Atto finale
Janukovyč si gioca la carta del grande ritorno alle presidenziali del 2010 e nel doppio turno sconfigge Tymošenko. Sono questi gli anni in cui rafforza i legami con La Famiglia, un ristretto gruppo di oligarchi legato a interessi nei settori energetico e immobiliare. Tra i più potenti, il giovane Serhiy Kurchenko, definito il re del gas ucraino, che attraverso un sistema di scatole cinesi collegato a compagnie off shore riesce a costruire in poco tempo un impero da 400milioni di dollari. La maggior parte di questi soldi arriva da transazioni finanziarie che vanno a detrimento delle compagnie statali del petrolio e del gas.
Sul fronte politico interno Janukovyč assume un comportamento sempre più autoritario facendo incarcerare Yulia Timošenko per malversazione dei fondi pubblici, ironia della sorte, proprio legata al commercio del metano.
Il suo destino politico si gioca però sul tentativo di equilibrismo in politica estera. Nel novembre 2013 è sul punto di ratificare un accordo commerciale con l’Unione europea, ma il Cremlino reagisce molto male, bloccando le forniture di energia e l’import dall’Ucraina. Janukovyč si trova spalle al muro, con il Paese a un passo dal default, quindi è costretto a fare un passo indietro rinunciando alla firma dei tratti con Bruxelles, e accettando un sostanzioso pacchetto di aiuti finanziari da parte di Mosca.
È la miccia che dà il via all’Euromaidan, portata in piazza da una popolazione stanca da anni di corruzione endemica, e di dissesto economico, mentre una cricca di pochi potenti accumulava ricchezze smisurate. Tra questi lo stesso Janukovyč, la cui residenza di Mezhyhirya, è diventata un simbolo di lussuria e potere.
Janukovyć, ormai distaccato dalla realtà risponde alle proteste con leggi draconiane, volte a limitare la libertà di espressione e di assembramento, ma ormai è troppo tardi. La piazza è fuori controllo. La polizia risponde alle proteste sparando sulla folla. Alla fine le vittime saranno oltre un centinaio tra i manifestanti, 17 tra le forze dell’ordine. Per il suo comportamento verrà condannato in contumacia per alto tradimento. Il 22 febbraio, ormai sotto assedio, si dà alla fuga, denunciando un colpo di stato ordito da forze neonaziste.
Nel suo esilio a Rostov sul Don, si perdono le sue tracce fino ai giorni nostri, quando quel filo spezzato otto anni fa potrebbe essere imprevedibilmente riannodato.
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera” il 6 marzo 2022.
Vale adesso la pena di raccontare meglio questa determinata volontà di resistenza ucraina contro l'invasione militare russa. Perché è indubbio che non solo i giovani più nazionalisti, ma soprattutto la gente comune di ogni età e classe sociale lotta, combatte, si mobilita in massa come può per sostenere chi si oppone da soldato all'esercito russo.
Fuggono donne e bambini, però altri restano e coloro che se la sentono partono volontari col fucile in mano, tanti altri ancora li sostengono cuocendo loro pasti nelle cantine dei ristoranti o delle proprie abitazioni, organizzando pacchi di coperte e sacchi a pelo per chi dorme nelle trincee, raccogliendo vestiti caldi, preparando bottiglie molotov appena dietro le retrovie, o anche semplicemente offrendo rifugio alle famiglie di chi è andato in battaglia, garantendo protezione e riparo ai più deboli.
Dai tattoo alle molotov «È il momento della solidarietà militante. Non eravamo più abituati. La paura ossessiva del Covid e i privilegi egoistici della ricchezza nell'opulenza della società dei consumi ci avevano fatto dimenticare i gesti semplici dell'aiuto reciproco», sostiene Alona Prominez, 53 anni, che sino a pochi giorni fa era impiegata in una grande cartiera e ora si occupa di organizzare i pacchi di cibo. Non lontano da lei, Daria Chuba, trentenne esperta in tatuaggi, da tre giorni sta accovacciata per ore e ore nella penombra di un capannone per confezionare bottiglie molotov.
I responsabili vietano qualsiasi video o fotografia, ma lei è ben contenta di mostrare la sua arte nel dosare nelle bottiglie il terzo di olio minerale assieme alla benzina e le lunghe micce, che sono la parte più complicata. «Si tratta di fare sciogliere sacchi di palline di polistirolo nell'acetone, la pasta appiccicosa che ne deriva viene modellata a forma di lungo stoppino che esce dalla bottiglia. I russi resteranno ustionati a morte delle nostre armi artigianali», spiega allegra.
Tra i volontari permane l'entusiasmo attivo che aiuta a superare le paure e forgia l'unità del gruppo. «Lasciati soli diventiamo preda dei nostri incubi peggiori, ma indaffarati assieme per un obiettivo comune diventiamo una forza imbattibile. Putin la pagherà cara, non gli basteranno gli anni che gli restano da vivere per pentirsi dei suoi errori», dice Valery, 33enne proprietario del bar Mates, dove cuochi e camerieri servono la cena gratis a chi presidia i posti di blocco.
«Gli abitanti del vicinato ci mandano continuamente cibo da regalare ai nostri soldati. Ci sono momenti che non sappiamo neppure più dove metterlo», spiega. Sono racconti che ricordano quelli delle popolazioni europee sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Vennero scritti infiniti volumi sulla solidarietà tra londinesi sotto le bombe di Hitler; fenomeni molto simili avvenivano anche a Stalingrado accerchiata dalla Wehrmacht e durante i primi mesi del 1945, nella Berlino ormai braccata dalle divisioni di Stalin.
Tanta determinazione è sostenuta dalla diffusa convinzione per cui le forze Ucraine sono in grado di bloccare l'invasione russa. «Mosca può ripetere tutte le falsità che vuole, ma praticamente tutte le nostre grandi città restano invitte. La nostra guerra partigiana è destinata a prevalere», sostiene con lo sguardo diritto il cinquantenne imprenditore Yuri Navrotsky, che per lunghi anni è stato alto ufficiale della contraerea.
I suoi vecchi compagni gli mandano di continuo sul cellulare le foto e i video della battaglia dell'aeroporto di Hostomel, il 24 febbraio alle porte della capitale, quando i missili terra-aria ucraini abbatterono in pochi minuti almeno tre Ilyushin Il-76, gli aerei trasporto truppa russi, uccidendo subito 500 uomini tra le migliori unità commando. «Da allora Putin ha dovuto ripiegare sulla strategia dell'avanzata lenta. Ma il suo gigantesco convoglio di carri e soldati entrato dalla Bielorussia, passando per il reattore nucleare di Chernobyl, adesso è bloccato a 30 chilometri da Kiev e li stiamo massacrando dall'aria grazie ai droni turchi Bayraktar ultimo modello», aggiunge.
Sui social sono diffusi video che inneggiano in ucraino alla «grandezza gloriosa» dei droni di Erdogan. E rimbalzano i vecchi aneddoti sull'Ucraina «patria di confine», la cui proverbiale «ubertosa terra nera granaio dell'Europa» sarebbe stata concimata nei secoli dalle infinite schiere di nemici uccisi e seppelliti mentre tentavano di occuparla.
«Non bisogna credere ai numeri dei soldati uccisi forniti da Mosca. Noi sappiamo che non sono 500, bensì probabilmente già più di 10.000. Putin ha già utilizzato tutti gli oltre 100.000 combattenti che aveva mobilitato per l'invasione. Adesso dovrebbe trovarne almeno altrettanti per proseguire, ma non ci sono», afferma. La paura delle bombe A questo punto però cresce una paura: e se Putin dovesse ricorrere ai bombardamenti pesanti da distanza per distruggere la Kiev che non riesce a prendere con le fanterie?
«È un'eventualità. La Nato dovrebbe intervenire per fermare Putin, sarebbe un crimine orribile, potrebbe persino ricorre ad atomiche tattiche», risponde Yuri preoccupato. Lo stesso timore serpeggia negli ospedali della capitale. Le autorità di Kiev non rivelano i numeri delle vittime. Ma all'ospedale numero 18 in centro città il medico anestesista Sergei Alexandrovich ci fa capire che i bilanci potrebbero essere già gravi. «Abbiamo oltre cento ricoverati, sono tutti residenti di Kiev con ferite di guerra - dice -. E siamo pronti al peggio».
Da “La Stampa” il 2 marzo 2022.
Nel corso di una conferenza stampa al premier britannico Boris Johnson è stata posta una lunga domanda da una giornalista e attivista ucraina, Daria Kaleniuk, che è anche scoppiata in lacrime chiedendo al primo ministro di introdurre una no-fly zone sull'Ucraina e accusando la Nato di non offrire adeguato sostegno alla popolazione sotto attacco.
«La Nato non è disposta a difendere l'Ucraina perché ha paura della terza guerra mondiale - ha detto -, ma è già iniziata e sono i bambini ucraini a subirne le conseguenze. Qual è l'alternativa?».
Johnson, dopo averla ringraziata per la domanda, ha risposto così: «Come governo non possiamo fare abbastanza. Sulla no fly zone non possiamo entrare in un conflitto diretto con la Russia. Quello che possiamo fare è provvedere supporto agli ucraini e dare sanzioni al regime di Putin. E penso che questo possa funzionare».
Lo scrittore ucraino Yuri Andrukhovych: “Basta parlare russo, la lingua è un’arma”. Wlodek Goldkorn su La Repubblica l'1 marzo 2022.
Scrittore, poeta, musicista, intellettuale molto ascoltato in Ucraina, si schiera contro il bilinguismo del suo paese. E dice: "Rinunciare a parlare come l'invasore è un mezzo di lotta. E presto in Russia scoppierà un'onda di protesta".
Yuri Andrukhovych ha sessant’anni, è scrittore, poeta, musicista, intellettuale molto ascoltato in Ucraina. I suoi libri sono stati tradotti in inglese, tedesco, polacco. In italiano è stato pubblicato un solo suo romanzo, Moscoviade, con l’editore Besa. È nato e vive a Ivano Frankivsk – una città che fino alla Prima guerra mondiale apparteneva all’Impero asburgico, dal 1918 e fino al 1939 alla Polonia, poi all’Unione sovietica e oggi fa parte dell’Ucraina.
DAGONEWS il 2 marzo 2022.
Diverse modelle ucraine, arrivate a Milano per la settimana della moda, si sono ritrovate nella drammatica situazione di dover lavorare e sfilare mentre le famiglie erano sotto le bombe nel loro paese. Alcune di loro hanno denunciato il mondo del lusso per non aver compreso la gravità della situazione nel loro Paese, altre hanno parlato dei familiari in fuga, altre ancora stanno cercando di ritornare a casa. E c’è chi ha aperto un account su OnlyFans per raccogliere denaro.
La modella ucraina Kristy Ponomar, 21 anni, ha sfilato per Prada davanti a Taika Waititi, Rita Ora e Kim Kardashian: «E’ stata la sfilata più difficile della mia vita. Ho sfilato per l’Ucraina. Fanculo la guerra, fanculo Putin! Voglio tornare a casa e stare al sicuro!». La ragazza ha poi pubblicato alcuni scatti dai rifugi antiaerei.
Anche la modella Kateryna Zub è bloccata in Europa e non riesce a raggiungere i genitori a Kharkiv, in Ucraina: «È orribile, è un incubo. Non posso credere che stia succedendo nel mio paese. Sento i miei genitori, sanno cercando di dirmi che va tutto bene, ma sento il suono delle esplosioni e delle sirene. Non riesco a raggiungerli. È troppo tardi. Non possono andare da nessuna parte. I russi sono ovunque. I carri armati sono ovunque. Oh mio Dio, è un incubo. È peggio di qualsiasi cosa abbia visto nei film».
La stilista ucraina Anna Mazzhyk ha detto di essere stata svegliata dai genitori alle 7 del mattino prima di una sfilata: «Mi hanno detto che la Russia aveva invaso l’Ucraina. Ho iniziato a piangere. Indossiamo tutte occhiali da sole per coprire gli occhi gonfi». La 22enne ha aperto una pagina su OnlyFans per raccogliere soldi per l'Ucraina
Da corrieredellosport.it il 2 marzo 2022.
Mykolenko contro Dzyuba. Il difensore dell’Everton e della nazionale ucraina, protagonista dell’abbraccio con il connazionale Zinchenko prima della sfida contro il City, ha attaccato duramente e senza mezzi termini l’attaccante dello Zenit e della nazionale russa. “Mentre tu, bastardo Dzyuba, taci assieme ai tuoi fottuti compagni di squadra, i civili vengono uccisi in Ucraina - ha scritto Mykolenko nelle stories di Instagram taggando il diretto interessato - Rimarrai nascosto in un buco per il resto della tua vita e, cosa più importante, per il resto della vita dei tuoi figli. E sono davvero felice che nessuno ve lo perdonerà mai, bastardi”. Da parte di Dzyuba ancora nessuna replica. Quel che è certo è che l’attaccante non giocherà i prossimi Mondiali dopo la sospensione della Russia decisa dalla FIFA.
Da liberoquotidiano.it il 2 marzo 2022.
Vladislav Maistrouk, giornalista ucraino che vive a Kiev e ha fatto partire l'ex moglie e il figlio per l’Italia, è ospite a L’Aria che Tira il programma di Myrta Merlino, racconta la propria esperienza dopo l’attacco della Russia: “Mio figlio e sua madre sono già a Grosseto dai nonni, sani e salvi, un pensiero in meno per me. La notte è passata abbastanza tranquillamente però in questo momento c'è già arrivata la segnalazione dell'allarme aereo quindi ci saranno possibili bombardamenti, da droni, aerei, sistemi balistici, com’è avvenuto ieri con il tentativo di abbattere la torre televisiva.
Uno dei vostri ospiti ha detto che bisogna tentare di capire la logica di Putin, è come cercare di capire la logica di un violentatore, l'unica cosa per cui lui è agisce è perché ha un'erezione, non ci sono altri motivi e così è per Putin. Oggi ho sentito di una notizia di una ragazza uccisa dall’ex ragazzo, nessuno ha fatto nulla e tutti sapevano. Qui siamo nella stessa situazione, con proporzioni nazionali. La Russia per otto anni ha cercato di violentare e uccidere l’Ucraina, mentre l'Europa faceva finta di non vedere, adesso menomale che ha aperto gli occhi e sta agendo”, ha raccontato.
“La situazione nella città non è nei migliori, nel giardino della casa di alcuni miei colleghi è arrivato un razzo, loro ora cercando un posto dove rifugiarsi. Questa è la nuova realtà in cui siamo costretti a vivere grazie ai fratelli della Russia e della Bielorussia. Sui negoziati so che i russi cercano di raccontare baggianate sugli Usa che avrebbero ordinato a Zelensky di rimandare qualsiasi incontro, ma non è così. Per quanto ne so io è la parte russa che non è ancora convinta su quando si può fare l’incontro", ha aggiunto.
"La situazione è abbastanza controllabile, molti sono già andati via, sono a Leopoli, che si è trasformata in una roccaforte per una possibile difesa. Voglio ringraziare gli italiani per come hanno accolto la mia famiglia dopo che hanno passato la frontiera dalla Slovenia. Sono stati tutti molto gentili e hanno cercato di aiutarli in tutto e per tutto. L'Ungheria non si sta comportando molto bene, c'è un imbuto da parte dei doganieri, con controlli di mezz'ora per ogni macchina, valige aperte e controlli a tappeto su donne e bambini. Se l'Unione Europea ha dei valori deve ricordarli anche agli ungheresi”, conclude Maistrouk.
Da liberoquotidiano.it il 2 marzo 2022.
"In missione per conto dell'Ucraina". Elina Svitolina supera il primo turno all'Abierto GNP Seguros 2022, torneo WTA 250 dotato di un montepremi di 239.477 dollari in corso sui campi in cemento del Sonoma Club di Monterrey, in Messico, e manda un messaggio al mondo.
La tennista ucraina, testa di serie numero 1, vestita con i colori del suo paese, ha dominato per 6-2 6-1, in un'ora e 4 minuti di gioco, la russa Anastasia Potapova. "Penso che la mia missione sia unire la comunità tennistica per aiutare l'Ucraina - ha detto Svitolina dopo la partita -. Sono qui per questo. Vado in campo per la mia nazione e faccio il massimo usando le mie risorse per invitare le persone ad aiutare la mia nazione".
Svitolina, che ha promesso di donare i montepremi dei prossimi tornei per aiutare la resistenza contro l'invasione russa e fornire aiuti alla popolazione civile provata da una settimana di guerra, non gioca solo per se stessa.
"Gioco per la mia nazione, per aiutare l'esercito ucraino, le persone bisognose di aiuto - ha spiegato -. Ogni mia vittoria sarà molto speciale". La numero 15 del mondo e miglior tennista ucraina nel ranking Wta aveva annunciato l'intenzione di non affrontare tenniste russe e bielorusse finché la Wta non avesse preso posizione dopo l'invasione della sua nazione.
Una presa di posizione che poi c'è stata, con la decisione di Atp e Wta che gli atleti rappresentanti di Russia e Bielorussia non potranno essere associati al nome o alla bandiera della propria nazione fino a nuovo ordine.
Posizione presa dopo la decisione dell'ITF di sospendere le due nazioni, escluse dunque da tutte le competizioni a squadre, su tutte Coppa Davis e Billie Jean King Cup che la Russia ha vinto nel 2021. La scelta di campo di Atp e Wta, che hanno anche cancellato il torneo combined di Mosca previsto in calendario per il prossimo ottobre, ha dunque convinto Svitolina.
"La mia avversaria non giocherà sotto la bandiera russa, andrò in campo e indosserò una divisa con i colori dell'Ucraina. È come se avessi la mia nazione sulle spalle - ha detto ad ITV -. Nella comunità tennistica avremmo dovuto fare di più.
Ormai siamo al sesto giorno di guerra, cose orribili stanno accadendo in Ucraina. Per quello avevo fatto questa mossa, perché non sentivo abbastanza sostegno. Noi ucraini non potevamo più restare in silenzio. Di sicuro, non sarà un match WTA come gli altri".
Da leggo.it il 2 marzo 2022.
Il tenore Vittorio Grigolo in collegamento con “Storie italiane” di Eleonora Daniele su RaiUno racconta la paura che sta vivendo per via della fidanzata, Stefania Seimur, mamma di sua figlia Bianca Maria, in fuga da Kiev dopo lo scoppio della guerra per l’invasione delle truppe russe.
Vittorio Grigolo, a Storie Italiane, è in ansia per la fidanzata Stefania Seimur in fuga da Kiev dopo lo scoppio della guerra. Il tenore ha raccontato, in collegamento da Vienna, il viaggio della compagna per fuggire dal conflitto: «E’ partita con la mamma – ha spiegato - Con amici si sono raggruppati in un appartamento a Kiev. Nel momento in cui suonava la sirena scendeva in metropolitana. Si è portata dietro una signora con un bambino con il quale ha un legame.
Sono in viaggio insieme in 4. Il primo treno diretto per Varsavia non è riuscito a prenderlo, ma è salita sul secondo diretto a Leopoli, un’ora e quaranta circa dal confine polacco. Poi hanno dovuto prendere un pullman, è un viaggio che non augura a nessuno. In Polonia c’è molta accoglienza, ho visto le foto degli aiuti umanitari e dedizione da parte di tutti per aiutare queste persone che stanno vivendo da giorni una situazione indescrivibile e inattesa. Stefania ha passato il confine e siamo sollevati perché sappiamo che lei è salva, ora però dobbiamo ritrovare tutti armonia e pace».
La situazione sul campo di guerra è comunque drammatica: «Non ci rendiamo conto di cos'è la guerra fino a che non ci tocca, fino a che non ci bussa alla porta, fino a che non vediamo un ferito, fino a che non vediamo il morto davanti a noi. Se lo vediamo in televisione sembra tutto finzione. Poi, quando ci passano davanti ci svegliamo. E questo incubo diventa realtà».
Stefano Semeraro per “la Stampa” il 2 marzo 2022.
Sergiy Stakhovsky non ha mai avuto paura. Da tennista è stato numero 31, ha vinto quattro tornei e battuto Federer a Wimbledon. Da sindacalista della categoria, non l'ha mai mandata a dire a nessuno. Ora è a Kiev, pronto a combattere non su un campo da tennis, ma su un campo da battaglia.
Lo abbiamo sentito via whatsapp. Sergiy, come sta?
«Sono vivo»
Come è la situazione?
«Pericolosa. Sono arrivati dei razzi, e il grosso problema è che non controlliamo il nostro spazio aereo».
La sua famiglia è in salvo?
«Mia moglie e i miei figli sono a Budapest, mia madre è in Repubblica Ceca con mia cognata e i bambini, io sono qui con mio padre e mio fratello».
Quando ha deciso di arruolarsi?
«Ho mandato tutta la documentazione necessaria già due settimane fa. C'erano tante carte da riempire, ma ora che è scoppiata la guerra non servono più».
Che esperienza ha da soldato?
«Nessuna, in Ucraina il servizio militare non è obbligatorio».
È pronto a sparare?
«Sono pronto a fare qualsiasi cosa sia necessaria a proteggere il mio paese e a impedire alla Russia di vincere. Se questo vuol dire che dovrò usare un'arma per difendermi sparando a qualcuno, lo farò»
Nel 2013 batteva Federer a Wimbledon, oggi invece di una racchetta impugna un fucile «Folle, no? Due sabati fa ero partito da Kiev per portare in vacanza i miei figli. Non mi aspettavo ci invadessero quattro giorni dopo».
Che cosa si aspetta dai prossimi giorni?
«Prima di venire qui ero più pessimista. Da fuori è difficile giudicare. Ora capisco quanto è alto il morale dei miei connazionali, mi ispira la loro voglia di resistere, anche se i russi hanno circondato la città. Credo che dopo aver visto quello che i russi hanno fatto nel Donbass, tutti saremmo pronti a combattere a mani nude».
Come giudica la reazione dell'Europa e del mondo?
«Be', la verità è che non avete fatto nulla per sette anni. Se aveste fatto quello che state facendo ora otto anni fa, quando la Crimea fu annessa, non saremmo in questo guaio». Un pericolo sottovalutato?
«Otto anni fa tutti erano preoccupati, ma nessuno credeva che sarebbe scoppiata la guerra. Invece ci siamo arrivati. E ora sono tutti più preoccupati. Prepariamoci a tempi lunghi. Putin è uno che odia perdere, non penso si ritirerà. Colpirà in maniera ancora più brutale, provocando molti morti anche fra i civili».
Vincerà?
«Non vedo come possa farlo combattendo sul campo. Ogni singola persona è contro di lui. Può spezzare il nostro spirito radendo a terra tutte le città, ma allora sarebbe un genocidio. Il problema è: che cosa farebbero l'Europa e il mondo? Ve ne starete lì a guardare, o interverrete?».
Le sanzioni non sono sufficienti?
«L'approccio è giusto. Musicisti, scrittori, artisti, sportivi, tutti hanno capito che non è tollerabile nel 21° secolo che un paese ne invada un altro. Il problema è che a Putin non interessa. Ha lanciato un razzo nella piazza di Kharkiv, dove non ci sono militari. Alle 8 del mattino».
C'è chi dice che sport e politica devono restare separati. «Impossibile». Ha un messaggio per il Presidente dell'Atp Andrea Gaudenzi e per il Presidente della federazione internazionale, David Haggerty?
«Devono prendere al più presto una posizione. So che la Wta lo farà. L'Atp non si è mai schierata a favore dei giocatori, ha sempre preferito restare in silenzio. Sono troppo soft, non vogliono mai condannare nulla. Al massimo se la prendono con i tennisti».
I tennisti russi dovrebbero essere sospesi dai tornei?
«È una situazione bizzarra. Ci sono due tornei Atp in Russia, il n.1 del mondo è russo e può avere molta influenza. Ma io non posso entrare in un campo dove il mio avversario ha la stessa bandiera di chi sta uccidendo i miei connazionali».
Il numero 1 Daniil Medvedev e Andrey Rublev si sono dichiarati contro la guerra
«Sono bravi ragazzi, capiscono l'atrocità di questa guerra. Se non altro provano a fare qualcosa, altri non lo fanno».
È in contatto con i suoi colleghi?
«Ho già ricevuto centinaia di messaggi dai tennisti di tutto il mondo, scioccati da quello che sta succedendo. È un aiuto. Vuol dire che capiscono che quanto dice Putin sugli ucraini nazisti è falso».
Ha parlato con Federer, Nadal o Djokovic?
«Djokovic mi ha mandato un messaggio di sostegno, abbiamo anche chattato un po'. Ho provato a contattare Roger e Rafa, mi dispiace che abbiano preferito il silenzio. Li capisco, non è la loro guerra. Abbiamo il sostegno di grandi personalità, l'importante è che duri. Altrimenti dopo che avrà finito con l'Ucraina, Putin inizierà a bombardare l'Europa».
Teme una guerra nucleare?
«Certo, perché Putin ha la valigetta rossa e la vuole usare. E allora non ci sarà un posto sicuro su tutta la Terra».
La guerra ha riacceso la luce sui disastri ecologici dimenticati del Donbass. FERDINANDO COTUGNO su Il Domani il 27 febbraio 2022
Questo è un nuovo numero di Areale, la newsletter di Domani sul clima e l’ambiente.
Questa settimana parliamo della polveriera ecologica in Ucraina orientale, dell’«accordo di Parigi» sulla plastica, della crisi globale incendi e del ghiaccio marino in Antartide.
Per iscriverti gratuitamente alla newsletter in arrivo ogni sabato mattina clicca qui e segui tutti i contenuti di Areale.
Buongiorno lettrici e lettori di Domani, questo è un nuovo numero di Areale, che arriva in una settimana dolorosa e difficile, piena di cose che non avremmo pensato di leggere, vedere, scoprire. Cominciamo proprio da lì, dove tutti stiamo guardando.
LE MINIERE DI CARBONE DEL DONBASS
Il Donbass è la «miccia che ha scatenato l’incendio», come l’ha definita Dario Quintavalle su Domani, la regione orientale dell’Ucraina dove la Russia ha riconosciuto le repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk.
L’etimologia del nome Donbass è: bacino del carbone del Donetsk. L’area è stata uno degli epicentri minerari del mondo, con centinaia di estrazioni attive e inattive, una catastrofe ecologica in slow motion, in grado di contaminare acqua e suolo, sulla quale la guerra ha riacceso i riflettori e che rischia di avvelenare ancora di più.
Secondo un report della Banca mondiale, in Donbass ci sono 900 siti industriali, 40 fabbriche metallurgiche, 177 siti chimici ad alto rischio, 113 siti che usano materiali radioattivi, 248 miniere, 1.230 chilometri di tubature che trasportano gas, petrolio e ammoniaca, 10 miliardi di tonnellate di rifiuti industriali. Una polveriera che gli otto anni di conflitto, e questa invasione russa, rischiano di far detonare.
Il sito di giornalismo investigativo Bellingcat aveva sviluppato già nel 2017 una serie di mappe e risorse digitali che danno la misura del pericolo in corso ancora oggi.
In duecento anni di storia, nel Donbass sono state estratte 15 miliardi di tonnellate di fonti fossili di energia, principalmente carbone. Già prima della guerra il ministero ucraino dell’Ecologia e delle risorse naturali aveva contato un totale di 4.240 punti di pericolo ambientale, un catalogo che comprende perdite di metano, rischi di radiazioni, stabilità idrodinamica del suolo, dispersioni chimiche.
La preoccupazione principale è per le vecchie miniere di carbone: quando un’estrazione viene chiusa non può essere semplicemente abbandonata, è necessario pompare continuamente fuori l’acqua per evitare che i bacini idrici vengano contaminati da metalli pesanti come piombo, mercurio, arsenico. La guerra limita o impedisce queste operazioni, ed è una cosa che avevamo visto accadere già prima dell’invasione in 35 siti diversi, perché ai separatisti filo-russi mancano volontà e risorse per farlo.
Le miniere sono state lasciate al loro destino, si sono allagate e stanno inquinando l’acqua usata per bere e irrigare. L’Istituto nazionale di studi strategici dell’Ucraina ha definito la contaminazione chimica una «minaccia imminente» per almeno 300mila persone, un civile su quattro lungo la linea di combattimento non ha più accesso a una fonte affidabile di acqua potabile. L’incidenza di infezioni gastrointestinali nei bambini è decine di volte più alta che nel resto del paese.
Nel 2018 l’allora ministro dell’Ecologia Ostap Semerak aveva addirittura parlato di una «seconda Chernobyl» nella miniera abbandonata di YunKom, che ha una storia particolare e molto pericolosa.
Era stata aperta da una società belga negli anni Dieci del Novecento ed era una delle più produttive nella storia dell’Urss. Alla fine degli anni Settanta qui erano stati condotti test nucleari sotterranei, che avevano lo scopo di ridurre le esplosioni causate da perdite di metano, diventate più frequenti man mano che l’estrazione scendeva di profondità. Le cariche da 0,3 kiloton avevano creato una sorta di camera sotterranea piena di radiazioni a 900 metri di profondità, una capsula radioattiva che per quarant’anni è stata pompata e tenuta asciutta, anche dopo che la miniera è stata chiusa. Poi è arrivata la guerra, nel 2018 i separatisti hanno abbandonato YunKom a se stessa e anche qui è arrivata l’acqua, la contaminazione ha il potenziale di rendere radioattiva quella che viene usata da milioni di persone e che arriva fino al mare di Azov. YunKom si trova a quaranta chilometri dalla città di Donetsk.
E poi ci sono le centrali nucleari a fare paura. L’Ucraina è un paese dell’atomo, scrive il Bulletin of the Atomic Scientist. Metà dell’energia elettrica usata dagli ucraini arriva da quindici reattori nucleari.
Il paradosso del nucleare è che il suo uso pacifico ne fa anche uno strumento militare per le forze occupanti, è la tesi del libro Nuclear Power Plants as Weapons for the Enemy, scritto dall’ex membro dell’Ufficio di affari politico-militari del Dipartimento di stato americano Bennett Ramberg, ed è uno dei timori più spaventosi su questa invasione, che un’esplosione possa verificarsi, intenzionalmente o meno, in uno di questi reattori. Sono un’infrastruttura decisiva per il paese e il pericolo di un “incidente” in tempo di guerra è elevatissimo.
Infine c’è ovviamente Chernobyl, dove si è combattuto e dove le radiazioni hanno superato il livello di guardia, ma non c’è stato nessun danno alle strutture nucleari. Per ora.
NON NE USCIREMO RICICLANDO
Lunedì 28 febbraio inizia a Nairobi, in Kenya, un negoziato importantissimo, di cui abbiamo parlato già qui ad Areale: quello per avere un trattato internazionale sulla plastica. Sarebbe il più importante patto internazionale multilaterale sull’ambiente dai tempi dell’accordo di Parigi del 2015, e si spera che, per ambizione, possa anche superarne i limiti che hanno rallentato l’azione sul clima in questi anni. A organizzare il tavolo è l’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.
«Dovrà essere un momento da consegnare ai libri di storia», ha detto Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’agenzia Onu. Il problema è che la storia è ancora lontana, a Nairobi si getteranno, nel miglior scenario possibile, le basi per un negoziato che potrebbe durare anche due anni prima di sfociare in un trattato pienamente esecutivo. La cornice è quella della quinta sessione della United Nations Environmental Assembly, tecnicamente Unea-5.2.
La politica va lenta e le crisi corrono veloci. Ci sono però delle basi per sperare: più di 50 paesi (anche alcuni che inizialmente erano riottosi a un accordo vincolante, come Usa e Cina) ora sostengono l’idea di un trattato sulla plastica. Addirittura grandi brand utilizzatori di plastica (come Coca Cola) si sono rassegnati ad avere qualche tipo di limitazione o vincolo imposto dalla comunità internazionale. Di recente hanno iniziato ad appoggiare la prospettiva anche i produttori di plastica, spesso costole dell’industria delle fonti fossili.
Insomma, a questo punto è chiaro che un accordo di qualche tipo ci sarà, il punto è che tipo di accordo e in che tempi. Una frase molto chiara sulle intenzioni Onu l’ha detta Andersen, intervistata da AFP: «Non possiamo uscirne riciclando». È un punto fondamentale, se proviamo ad allargare lo sguardo dal nostro immediato contesto e vediamo cos’è diventata la plastica per l’umanità. La produzione ha superato in modo irreversibile la nostra capacità di gestirla.
Ogni anno vengono prodotte 400 milioni di tonnellate di plastica. Nel 2040, senza un accordo, rischiano di essere 800 milioni. Nei dieci minuti che avrete impiegato a leggere Areale, altrettanti camion pieni di plastica non riciclata sono stati riversati nell’ambiente. Solo meno del 10 per cento di quella usata nel mondo viene riciclata, non c’è strutturalmente modo per aumentare questo dato: due miliardi di persone usano la plastica in paesi dove non ci sono infrastrutture per riciclarla. Il 90 per cento di quella usata nel mondo viene bruciata o buttata in discarica, da lì finisce nei fiumi e negli oceani.
Quindi il punto è: quale accordo uscirà dal negoziato? La versione al ribasso, di produttori e consumatori di plastica, punta forte su design e riciclo. La versione al rialzo, invece, è basata su un’idea più radicale, prova a guardare a tutto il suo ciclo di vita. Plastica monouso al bando (come in Unione europea) e riduzione della produzione. Oltre all’accordo di Parigi, il modello è la storia di successo del Protocollo di Montreal contro l’uso delle sostanze che minacciavano lo strato di ozono nell’atmosfera.
Qui potete leggere le due bozze di accordo in competizione. Quella più estensiva, firmata da Ruanda e Perù, copre tutto il ciclo di vita della plastica. Quella più conservatrice, firmata dal Giappone, si concentra su fine uso e oceani.
La settimana prossima sapremo.
STORIE DI GHIACCIO E FUOCO
Le rilevazioni satellitari del ghiaccio marino (la parte di oceano coperta per più del 15 per cento di ghiaccio galleggiante) ai due poli sono iniziate nel 1979. Da allora abbiamo visto che Artico e Antartide si comportano in maniera differente, con il primo a destare più preoccupazione, vista la costante e drammatica riduzione del ghiaccio marino anno dopo anno.
In Antartide la situazione è un po’ diversa, la copertura era addirittura aumentata, ma le cose sono cambiate velocemente negli ultimi anni. Un record negativo era stato stabilito nel 2014, in Antartide, poi di nuovo nel 2017, infine un nuovo punto basso, il peggiore quindi da quando esistono questi dati satellitari, è stato raggiunto nel 2021, secondo i dati del US national snow and ice data center.
L’attribuzione di questo fenomeno alla crisi climatica e al riscaldamento globale è complessa, visto il numero delle variabili in gioco. Ogni anno il ciclo di fusione e formazione del ghiaccio marino in Antartide riguarda una superficie grande il doppio dell’Australia (e l’Australia è grande) e questo processo è influenzato da temperature, correnti, venti, ed è quindi difficile individuare cause singole. Sicuramente sono numeri mai visti, che probabilmente dipendono da una combinazione di fattori.
Second Walt Meier, ricercatore del centro, intervistato dal Guardian, un’ipotesi solida è che venti molto forti sul Mare di Ross abbiano spinto il ghiaccio verso nord, dove è stato fuso da acque più calde o spezzato da onde più forti. Non possiamo dire che sia climate change, né possiamo escluderlo. «Ora gli scienziati devono solo aspettare e vedere», ha detto Meier.
È uscito il primo rapporto dell’Unep sulla crisi globale degli incendi. Ci sono dei numeri preoccupanti, il rischio globale di roghi devastanti rischia di aumentare del 57 per cento entro fine secolo, e stiamo assistendo a un loro potenziamento anche in zone dove prima non erano così comuni: Russia, Tibet, India settentrionale. Ma l’interesse più forte, e quello che riguarda più da vicino l’Italia, è sul bisogno di prevenzione, di una risposta diversa, che non insegua il fuoco ma lo anticipi, adattando gli ecosistemi alle nuove condizioni.
«Il riscaldamento del pianeta sta trasformando i paesaggi in polveriere. Più eventi estremi portano venti più forti, più caldi, più asciutti ad alimentare le fiamme. Troppo spesso la nostra risposta è tardiva, costosa. Troppi paesi soffrono di una mancanza cronica di investimenti e prevenzione. Il vero costo degli incendi – finanziario, sociale e ambientale – si estende per giorni, settimane, talvolta anni dopo che le fiamme si sono spente».
In Italia è stata pubblicata da poche settimane la prima Strategia forestale nazionale, e uno degli obiettivi cardine parla proprio di questo: raddoppiare nel giro di cinque anni la superficie pianificata, anche per coordinare meglio l’adattamento degli ecosistemi forestali alla crisi incendi, perché quello che abbiamo visto l’estate scorsa in Sardegna, Calabria, Sicilia, Abruzzo, rischia di non essere l’eccezione di una brutta annata. Il rapporto Onu si legge qui.
Su Spotify invece c’è una nuova puntata del podcast Ecotoni che faccio con Luigi Torreggiani e Giorgio Vacchiano. In questa puntata parliamo di cosa significa avere una strategia forestale, cosa cambia, perché è una notizia importante.
Per questa settimana è tutto, coraggio, sono giorni complicati e difficili, pieni di ansia, in cui il mondo si presenta in tutta la sua irredimibile complessità.
A presto, Ferdinando Cotugno
Il principe e il Drago, il destino della sacra Kiev. Ezio Mauro su La Repubblica il 25 febbraio 2022.
Città di guerre, conquiste e battaglie, ma anche di grande spiritualità da quando Vladimir il Santo convertì il popolo al Dio Unico dei cristiani scegliendo il rito ortodosso: la capitale dell'Ucraina tra storia e mito.
Nella città santa tutto era già scritto, fin dall’anno leggendario 6476 (il 968 dopo Cristo) quando i nomadi Peceneghi, di lingua turca, dal basso Volga si avventurarono nella Rus’ assediando con le loro schiere Kiev, «cingendola tutt’intorno con una moltitudine innumerevole - racconta il testo medievale della Cronaca di Nestore - tanto che non si poteva uscire né inviare messaggi e gli abitanti presto furono stremati dalla fame e dalla sete».
Kiev nata prima di Mosca: la prima puntata di «L'Ucraina in 100 secondi». Paolo Mieli / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 26 febbraio 2022.
A Kiev un gioco visuale delle quattro chiese e dei quattro boschi: le quattro chiese sono quelle fondate fra la fine del decimo secolo e l’inizio dell’undicesimo; i quattro boschi sono quello che era Mosca nello stesso periodo perché Mosca sarà fondata solo nel dodicesimo secolo. A quell’epoca, Kiev aveva già otto secoli di storia alle spalle. In questo paragone c’è il senso dell’orgoglio dell’Ucraina: loro dicono «la Russia siamo noi, siamo nati prima». Per secoli è stato così e solo dopo le molteplici vicende della storia, le cose sarebbero cambiate
Paolo Mieli / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022.
Una delle cose che hanno lasciato un segno nella storia dei rapporti tra Ucraina e Russia è come gli ucraini accolsero Hitler e il suo esercito: come dei liberatori. Sarà stato il risentimento per le purghe staliniane o per l’holodomor ma molti ucraini si allearono con i nazisti facendo anche gravi torti agli ebrei. A fine guerra le punizioni furono esemplari.
Paolo Mieli / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 2 marzo 2022.
Stalin fu spietato nei confronti degli ucraini: non è un caso che i suoi due successori furono di nazionalità ucraina. Forse anche per questo che Krusciov volle restituire nel 1954 la Crimea: un gesto di grande importanza, preso come un risarcimento dagli ucraini. Che però continuarono a essere trattati in maniera molto grave. Ma questa forma di tolleranza fece sanare le ferite dei tempi dell’invasione nazista.
Paolo Mieli / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 3 Marzo 2022.
Negli ultimi 50 anni gli ucraini hanno riscoperto una cosa di cui andare molto orgogliosi: quello che hanno dato come arte e letteratura al patrimonio nazionale. Alcuni tra i più grandi scrittori, da Gogol a Bulgakov sono di nazionalità ucraina e i loro romanzi sentono quell’«anima ucraina» di cui era già stata insegnante anche la mamma di Gogol. Poi sono di nazionalista ucraina anche Isaak Babel, Grossman e moltissimi altri scrittori che passano per stranieri: Roth e Conrad ad esempio sono nati in Ucraina.
Quesiti linguistici. Ucràina o Ucraìna? Risponde l’Accademia della Crusca. Accademia della Crusca su L'Inkiesta il 7 Marzo 2022.
La lingua italiana oscilla tra le due pronunce. Ma dato che nell’uso moderno le lingue slave accreditano ormai come unica pronuncia corretta quella accentata sulla i, sarebbe meglio dire Ucraìna
Tratto dall’Accademia della Crusca
Sono molti coloro che ci chiedono se si debba dire Ucràina o Ucraìna, ucràino o ucraìno. In particolare qualcuno ci fa notare che nella scheda sull’accentazione dei nomi geografici consigliavamo Ucràina, ma che, in occasione dei recenti avvenimenti, si sente molto spesso anche la pronuncia Ucraìna.
Risposta
Molti si pongono questa domanda, specie dopo la grave crisi nei rapporti di questo Stato con la Russia. Del resto, non è che uno dei tanti problemi di accentazione dei polisillabi che affliggono o caratterizzano l’italiano di oggi (guaìna sarebbe più corretto di guàina e diàtriba di diatrìba, ma chi usa la forma corretta può facilmente passare per uno che sbaglia!) e che non di rado riguardano proprio i toponimi (Benàco pronunciato Bènaco, Belìce pronunciato Bèlice). Gli spostamenti dell’accento di parola sono in genere un tipico fattore dell’evoluzione delle lingue (noi diciamo cadére ma i latini dicevano càdere, diciamo rìdere e loro dicevano ridére).
Per quanto riguarda i nostri due nomi (e aggettivi) va detto subito che oggi sono accettabili entrambe le pronunce, anche se la più corretta, a rigore, sarebbe quella in passato spesso ritenuta sbagliata, cioè quella con l’accento sulla i. Vari dizionari italiani hanno pensato che le due pronunce derivassero dalla diversa accentazione del nome a seconda che fosse pronunciato (con accento sulla i) in ucraino o (con accento sulla a) in russo, le due lingue più diffuse in quella regione. In realtà oggi si dice Ucraìna, ucraìno (Ukraìna, ukraìnskij) tanto in russo quanto in ucraino. Tuttavia anche in alcuni forum russi attuali si leggono interventi di lettori che chiedono chiarimenti sulla pronuncia, dato che qualche volta succede persino nei loro telegiornali di sentire l’accento sulla a. Il Dizionario degli accenti russi (Slovar’ udarenii russkogo jazyka), che ammette come pronuncia corretta dell’aggettivo solo ukraìnskij, aggiunge questa precisazione: «l’accentazione ukràjnskij (dall’antiquato Ukràina), che si incontra non solo in poesia, ma anche nella conversazione comune, corrisponde alla prassi antica».
Dunque un’oscillazione non del tutto arbitraria in italiano.
La pronuncia Ukràina, ukràinskij, considerata sbagliata da tutti i dizionari russi a partire dagli anni Cinquanta del Novecento ma ritenuta corretta o unica da quelli più antichi, ha in effetti illustri precedenti letterari, in particolare in poesia: primo fra tutti quello di Puškin, che nel poema Poltava usa ripetutamente la grafia Украйна (Ukràjna), in cui l’uso della i breve (й) esclude di per sé l’accento sulla i e lo sposta sulla a. Il compositore Rodion Ščedrin, musicando all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento alcuni versi proprio della Poltava (“Ticha ukràjnskaja noč”), seguì naturalmente l’accentazione voluta da Puškin, che quindi continua a essere presente nell’orecchio dei russi.Oltre a Puškin, (1936) anche Mandelštam, sempre in poesia, pone l’accento sulla a. Curioso il caso di Taràs Grigòrevič Šcevčenko, poeta del primo Ottocento, nato in Ucraina, ma vissuto poi in Russia, a San Pietroburgo (1814-1861), che usa, scrivendo in russo, la lezione con l’accento sulla a.
L'autorevolezza di queste occorrenze e il fatto che si tratti di poeti che continuano a essere letti e studiati determina ancora oggi oscillazioni di accento in russo, documentate per altro nelle cronache storiche fin dal Seicento e causate anche da un'etimologia molto discussa: la parola ucraina (in cui è controversa persino l'origine della u iniziale, in alcune fonti data infatti come o) contiene secondo alcuni il ceppo krài, limite, bordo, confine, secondo altri il ceppo granìčnij, di confine. C'è chi sostiene che il primo a chiamare Ucràina l'Ucraìna sia stato il re polacco Stefano Batorij, ma oggi anche in polacco l'accento cade sulla i. Bisogna osservare che, prima del Seicento, il termine 'ucraina' non si riferiva specificamente alla regione che noi oggi chiamiamo così, ma a qualsiasi territorio di confine. Sul vocabolario di Vladimir Dal' (Tolkovkij slovar' zhibogo velikorusskogo jasyka, 1882) si ammette per il toponimo solo l'accento sulla a, ma l'unico aggettivo che riporta non è ukraìnskij, ma ukràjnyj, sempre col significato di dal'nyj (lontano), pogranìčnij (sul confine). Invece il recente Fasmer (Max Fasmer, Etimologičeskij slovar' russkogo jazyka, Moskva 2004, vol. 4, lemma Ukraìna) accetta solo l'accento sulla i, ma riporta anche alcune espressioni antiche in cui si usava l'accento sulla a e divide l'etimo di ukràjnyj, che deriverebbe da y kràje, presso il confine, sul bordo, dai posteriori ukraìnez (abitante dell'Ucraina) e ukraìnskij (relativo all'Ucraina), «inizialmente riferito ai soli abitanti dell'Ucraina orientale, poi diffuso su tutto il territorio (dell'attuale Ucraina)».
Insomma, ce n’è quanto basta per comprendere e tollerare le ragioni dell'oscillazione d’accento nella pronuncia italiana della parola in questione, oscillazione che si riscontra oltretutto anche in qualche altra lingua europea. Ma, a rigore, dato che nell'uso moderno le lingue slave, russo incluso, accreditano ormai come unica pronuncia corretta quella accentata sulla i sarebbe meglio dire Ucraìna/ucraìno, come del resto consiglia l'autorevole DOP.
Vittorio Coletti, grazie alla collaborazione della musicologa Elisabetta Fava, studiosa di opera russa.
Perché bisogna scrivere Kyiv e non Kiev: così gli ucraini chiamano la propria Capitale. Asia Angaroni il 25/02/2022 su Notizie.it. Kyiv è la traslitterazione ucraina della toponomastica, non la più diffusa in Italia, ma fondamentale per gli ucraini. L’Ucraina è vittima di una guerra scoppiata per ragioni ancora in larga parte non dichiarate, forse misteriose, sicuramente inutili. L’intero Occidente si schiera al fianco del presidente Zelensky, che non esclude le preoccupazioni persino sulla sua vita. Le Capitali delle principali città italiane si tigono di giallo e blu, i colori della bandiera ucraina, in segno di vicinanza e solidarietà al Paese nel cuore dell’Europa orientale. La guerra comincia a vietere mittime, a creare panico e spezzare intere famiglie. I feriti aumentano, i cittadini si mettono a riparo in scantinati e metropolitani. I più fortunati sono riusciti ad abbandonare la propria patria, non a cuor leggero e non con poche difficoltà. I fidanzati si dicono addio, i padri salutano mogli e figli per vestire la divisa militare e andare al fronte. L’amor di patria dilaga tra gli ucraini, ma la paura aleggia in ogni angolo di città orami semi deserte, dopo le lunghe code per fuggire. Il dolore è straziente, il terrore impossibile da scalfire e il futuro appare terribilmente incerto. Lacrime e urla interrompono il silenzio imperante nelle città, alternato dai bombardamenti. Per mostrare la dovuta solidarietà all’Ucraina, il nome della sua Capitale deve essere scritto diversamente: per i suoi cittadini è fondamentale.
Kyiv e non Kiev: il motivo
In quel nome racchiudono la propria identità nazionale, la stessa che Putin vuole assorbire, annullare, negare una volta per tutte. La Russia vive nella convinzione che l’Ucraina debba rientrare nel proprio territorio, geograficamente e culturalmente. Ma gli ucraini rivendicano la propria autonomia, la storia che hanno alle spalle e la cultura che li anima. Così anche il nome di una città può nascondere significati geopolitici e storici talvolta poco noti, ma non per questo meno importanti. Così, se a noi la differenza tra Kiev e Kyiv (e la rispettiva pronuncia) può sembrare indifferente, per il popolo ucraino è davvero importante. Kyiv è come gli ucraini chiamano la propria Capitale: si tratta della traslitterazione ucraina della toponomastica. La versione russa, Kiev, è più comune e maggiormente diffusa anche in Italia, ma non è quella che identifica il popolo ucraino. Lo stesso vale per altre città: Donbas e non Donbass, Luhansk e non Lugansk.
Storia di Odessa, città aperta e sotto assedio, sorta grazie a un napoletano amante di Caterina la Grande (e dove nacque «O sole mio»). Alessandro Trocino su Il Corriere della Sera il 26 Febbraio 2022.
Fondata da un napoletano, con un’architettura «milanese», è diventato un crogiuolo di nazionalità e cultura. Il massacro degli ebrei, il rogo di 50 filo russi nel 2014. E i missili che piovono sul porto.
A Odessa il rabbino Avraham Wolff si prepara alla guerra, ha comprato pasta e zucchero e assunto venti agenti di sicurezza israeliani. Gli anziani della comunità ebraica hanno ancora memoria delle atrocità subite durante la seconda guerra mondiale, quando furono uccisi 80 mila ebrei e temono, con l’arrivo dei russi, il ritorno dell’antisemitismo.
Non è un posto qualunque, Odessa, città interamente ricostruita dopo la guerra, diventata una comunità cosmopolita con uno stile di vita europeo, crogiolo di nazionalità, con infrastrutture moderne opera di architetti italiani. Ugo Poletti, direttore dell’Odessa Journal, si è svegliato sotto le bombe, come racconta alla Rassegna: «Alle cinque del mattino ho sentito delle forti esplosioni. Erano i missili diretti alle motovedette ucraine di uno dei sette porti: sono morte 19 persone».
Poletti è a Odessa da 5 anni e da due ha fondato l’unico giornale online in inglese, che è diventato il punto di riferimento della comunità internazionale. Che qui è particolarmente ricca: l’ultimo censimento ha contato un centinaio di nazionalità.
La storia di Odessa comincia con un italiano, don Giuseppe de Ribas, di famiglia spagnola ma nato e vissuto a lungo a Napoli. È lui, alla fine del ‘700, a intuire le potenzialità di quella città che affaccia sul mar Nero, che all’epoca si chiamava Khadjibey ed era un fortino turco, con quattro case. Don Josè (o in russo Osip Michajlovic) è il comandante della flotta russa del mar Nero ed è anche l’amante di Caterina La Grande: «De Ribas la convince a creare un grande porto e così nasce Odessa, tra le lenzuola - dice Poletti - Un po’ come l’Italia è nata, nel letto che ospitava Napoleone III e la duchessa di Castiglione».
La nuova città, con sette porti, nel 1794 diventa l’asset strategico per commercializzare i prodotti della regione: grano, cereali, mais, soia. E olio di girasole, di cui Odessa è ancora oggi uno dei maggiori esportatori al mondo.
Odessa, spiega Poletti, « è una città iconica nella storia della cultura europea e russa». Qui è nato Isaac Babel, che ha raccontato la Moldavanka, il quartiere ebraico, in una danza klezmer che mescola le storie dei suoi abitanti, una folla di gente operosa, un crogiolo di etnie, un impasto dionisiaco e fascinoso di commercianti, contrabbandieri, lestofanti e criminali.
E qui ha vissuto Aleksandr Sergeevi Puškin, che ha scritto nelle sue strade uno dei suoi capolavori, Evgenij Onegin». Non è un dato solo storico, ma rende bene l’intreccio culturale e linguistico tra Russia e Ucraina: «Puskin è un po’ il Dante russo, è il padre della lingua moderna russa e però scrive dall’Ucraina. Dove ancora oggi parlano quasi tutti in russo, a differenza di altre città, come Leopoli».
De Ribas, quando decide di costruire il porto, fa venire architetti e uomini dal Regno delle due Sicilie. Tanto è vero che i primi anni la classe dirigente è italiana, ci sono armatori, commercianti, architetti. Francesco Boffo, a metà Ottocento, progetta la mitica scalinata Potemkin. Il milanese Franz (Francesco) Morandi (da noi misconosciuto) progetta un’Accademia e una Pinacoteca e molte altre opere, tanto che si dice che abbia esportato il modello Brera a Odessa. Arriva anche l’immancabile giramondo Giuseppe Garibaldi , comandante della flotta che faceva la tratta tra Marsiglia, Costantinopoli e Odessa. Allora nasce quella che ora Poletti chiama una «Hong Kong italiana sul Mar Nero». Le scritte delle strade sono bilingui, russo e italiano, il teatro dell’Opera mette in scena rappresentazioni in italiano, a differenza del Bolscioi di Mosca. Caterina La Grande è tedesca e così, per popolare la città, chiama austriaci, tedeschi e svizzeri, concedendo un’esenzione fiscale. I primi due sindaci, dopo De Ribas, sono francesi e poi un russo ma che aveva vissuto a Londra e aveva una cultura illuminista. La città nasce grazie agli architetti italiani, ma con progettisti d’Oltralpe, che la progettano con vie ortogonali, che ricordano Torino.
Odessa nell’800 è una città aperta, moderna, tollerante, fucina di idee e di commerci. E anche per questo attira un numero crescente di ebrei, che fuggono dalle violenze del regime zarista. La città diventa un centro per il sionismo internazionale.
L’università di Gerusalemme viene costruita con i soldi che arrivano da Odessa.
E anche il primo sindaco di Tel Aviv, il leggendario Meir Dizengoff , arriva da qui.
Il sionismo nasce in città, con Leon Pinsker, prima di Theodor Herzl.
Nel carcere di Odessa Lev Trockij legge Antonio Labriola e teorizza l’internazionalismo proletario e la rivoluzione permanente.
Poi arrivano i primi pogrom. Il primo, racconta Poletti, lo organizzano i greci, per debellare la concorrenza nel commercio. Poi ci sono quelli di epoca zarista e infine, nel 1941, con lo sterminio di 90 mila ebrei solo a Odessa, un olocausto nascosto, visto che si ricorda più spesso (e solo da dopo la fine dell’Urss) quello di Babij Jar, alle porte di Kiev. Sono i rumeni, insieme alle truppe naziste, a organizzare il massacro, impiccando le persone per strada e mandandoli nei campi. In città, dopo la guerra, restarono 800 ebrei. Delle 40 sinagoghe, ne rimase solo una.
E oggi? Poletti racconta di una città sotto choc . Settant’anni di Urss hanno finito per assimilare le nazionalità, ma molte comunità resistono: «C’è un centro culturale greco, ci sono molti polacchi. Gli italiani non sono moltissimi ma avrebbero bisogno di un punto di riferimento. Non c’è una comunità né un console onorario, come hanno invece norvegesi e austriaci». E i russi? «Dipende da come li si calcola. Quelli con il passaporto russo saranno il 10 per cento . Molti sono manager e hanno convissuto pacificamente fino a ora. Fino al 2014 si poteva pensare che la maggioranza fosse anche russofila, ma la guerra ha cambiato molto le sensibilità. I russi sono stati percepiti come oppressori e invasori. I partiti filo russi, tutti putiniani, non superano il 20 per cento». E il sindaco? «Gennadiy Trukhanov, un ucraino con passaporto russo, sotto inchiesta per legami con la criminalità organizzata. Lui è filo governativo, per ora, ma è un trasformista».
Nel 2014, un episodio tragico.
Il 2 maggio un gruppo di manifestanti filo-russi nella grande piazza di Kulikovo è costretto a riparare nel palazzo dei sindacati per evitare la furia di gruppi nazionalisti di estrema destra. Gli aggressori circondano il palazzo e appiccano un incendio: i soccorsi vengono ostacolati, 48 persone muoiono nel rogo.
Spiega Poletti: «È una macchia nera nella storia della città. Nel 2014 il governo a Kiev aveva il terrore che la città cadesse in mano ai simpatizzanti filorussi. Il 2 maggio, mandanti politici mobilitarono tifoserie nazionaliste organizzate per attaccare i dimostranti e “dare un esempio”».
Poletti è arrivato 5 anni fa come consulente del gruppo Copernico, per un hotel di lusso. Poi ha pensato di fondare un giornale: «Ho visto che non c'era nulla di simile e per spirito imprenditoriale e passione ho deciso di coprire questo spazio». E ora che succederà? «Bella domanda - sospira -. Qui russi e ucraini hanno sempre vissuto in pace, ci sono parentele e legami fitti. È difficile tracciare un confine. Ed è difficile capire cosa possa accadere domani, quando sorgerà il sole».
Quel sole che, anche se nessuno lo sa e pensa a Napoli, ha ispirato O Sole mio. La più famosa canzone napoletana e italiana di sempre , scritta da Giuseppe Di Capua a Odessa, guardando un’alba sul Mar Nero.
Andrea Cionci per “Libero quotidiano” il 9 aprile 2022.
Napoli e Odessa, entrambe centri portuali e terze città più grandi della loro nazione, ma cos'altro le collega? Pochi sanno che proprio a Odessa, Eduardo Di Capua, nel 1898, scrisse le note di O' sole mio mentre si trovava lì con suo padre, violinista in un'orchestra. La musica sembra sia stata ispirata da una splendida alba sul mar Nero, alla fin fine, quindi, sarebbe "O sole loro", degli odessiti.
Stupisce ancor più apprendere che il fondatore della città ucraina fu proprio un napoletano, ricordato ancor oggi da un'elegante statua bronzea in viale Deribasivskaya. Si tratta del nobile don Giuseppe de Ribas, (Napoli, 1749 - San Pietroburgo, 1800), più noto come José, valoroso ufficiale dell'Esercito Napoletano poi entrato a servizio della Corte Russa.
Diverse informazioni sono contenute nel volume Odessa, di Charles King, (Einaudi, 2013) dedicato a questa metropoli cosmopolita dotata della straordinaria capacità di risorgere dalle catastrofi alle quali fu sempre tragicamente esposta. De Ribas era figlio del console spagnolo e di un'aristocratica irlandese. A metà Settecento, Napoli viveva un'epoca di grande prosperità: i Borboni promuovevano le arti riportando le vestigia del passato al loro antico splendore, ma, per un giovane ufficiale ambizioso, il miraggio era, all'epoca, la Russia imperiale di Caterina la Grande che, in quel periodo, era impegnata a liberare e ricostituire le proprie frontiere meridionali contro l'Impero ottomano.
Il ragazzo, educato da precettori privati, a soli sedici anni, era già sottotenente della Guardia Napoletana e padroneggiava sei lingue: spagnolo, italiano, latino, inglese, francese e tedesco, a cui si aggiunse, in seguito, il russo. L'occasione della vita passò, per lui, a Livorno quando fu presentato al conte Aleksej Grigor' evic Orlov - fratello del favorito dell'imperatrice- che lo prese al suo servizio come assistente e interprete. De Ribas prese così ampiamente parte alla Guerra russo-turca (1768-1774) che portò definitivamente l'Ucraina meridionale, il Caucaso settentrionale e la Crimea sotto il dominio dell'Impero russo.
Il giovane ufficiale seppe farsi valere, tanto che ricoprì il difficile compito di ufficiale di collegamento tra il nuovo comandante in capo, il principe Potëmkin, e l'ammiraglio statunitense John Paul Jones, al servizio della zarina. Partecipò alla terribile battaglia di Liman, uno scontro sull'estuario del Dnepr dove le navi ottomane furono massacrate dall'artiglieria russa.
«L'umanità indietreggia con orrore e indignazione quando vede tanti poveri disgraziati morire tra le fiamme», scrisse Jones a De Ribas durante i combattimenti: i cadaveri turchi erano talmente numerosi che i russi si limitavano a impilarli gli uni sugli altri in enormi piramidi insanguinate sull'estuario gelato.
La guerra fu molto dura, condotta senza risparmio di mezzi per i due anni successivi, ma le postazioni ottomane lungo la costa del Mar Nero caddero l'una dopo l'altra a seguito di assedi logoranti. La più importante vittoria di de Ribas fu la conquista della fortezza di Izmail, giudicata inespugnabile, mentre, per paradosso, il successo militare che avrebbe avuto maggiori sviluppi nei secoli fu da lui ottenuto, Il porto di Odessa a inizio '900. (Getty) A lato, il ritratto di Giuseppe de Ribas, (Napoli,1749 - San Pietroburgo,1800) realizzato da Lampi e conservato all'Hermitage no prima, quasi senza quasi combattere, quando coi suoi granatieri espugnò il villaggio di Khadjibey, dove in seguito sorgerà la città di Odessa.
«Oltre al suo straordinario coraggio», scrisse il principe Potemkin «de Ribas è animato da un indicibile fervore». Per quanto composto da una piccola fortezza e da poche case, Khadjibey era considerato dai Turchi un promettente avamposto. Lo scontro durò non più di mezz' ora, gli Ottomani, già macinati da anni dai russi, si arresero praticamente subito. Alla fine della guerra, il villaggio diventò formalmente una parte dell'Impero russo, abbandonato dai Turchi nel trattato di pace del 1792.
Il luogo era stato trascurato per secoli, ma ora acquisiva grande importanza perché situato alle foci di fiumi importanti: il Danubio, il Dnestr, il Dnepr e il Bug. Un solo distaccamento di fanteria era in grado di controllare le foci dei fiumi piú vasti e meglio navigabili dell'Europa orientale. La zarina assecondò l'idea di de Ribas circa la costruzione di un porto e di una città. Secondo alcune fonti l'ammiraglio napoletano, che ne fu il primo sindaco, volle un nome di eredità classica. Dato che Ulisse pare avesse navigato a lungo nel Mar Nero, battezzò la città in suo onore: Odisseo. Il nome piacque a Caterina la Grande, che però lo volle ingentilire, prima in Odissea e, infine, in Odessa.
Il legame tra Napoli e Ucraina: la canzone ‘O sole mio è nata ad Odessa. Viviana Lanza su Il Riformista il 26 Febbraio 2022.
Napoli e Ucraina, così lontane eppure così vicine. E non parliamo solo di mobilitazioni e solidarietà nei confronti del popolo che sta vivendo l’atrocità di un conflitto che si sta manifestando in tutta la sua violenza. C’è un filo che unisce i due territori, o meglio i due golfi: quello di Napoli e quello di Odessa. Il Mediterraneo da una parte, il Mar Nero dall’altra. In mezzo, una distanza di 2.700 chilometri. Troppo? Non per l’arte. La più celebre canzone napoletana, ‘O sole mio, fu composta alla fine del XIX secolo da Edoardo Di Capua e Giovanni Capurro mentre si trovavano proprio a Odessa, in pieno regno zarista. Quelle note e quelle parole suonano malinconiche come un ricordo evocativo, come un inno che ha fatto e fa battere il cuore all’oceano di emigranti che quel sole lo hanno lasciato alle spalle, in un passato lontano, ma sempre luminoso.
Basterebbe questo a creare un legame indissolubile, ma c’è di più. Sì, perché Odessa fu fondata proprio da un napoletano, José de Ribas, nel 1794. Nacque all’ombra del Vesuvio de Ribas, ma era figlio di un diplomatico spagnolo al servizio dei Borbone. Questioni di cuore lo portarono ventenne a spostarsi verso i territori in cui regnavano i Romanov e lì rimase in pianta stabile, non disdegnando di prestare servizio in battaglia. Addirittura, al fianco del principe Potemkin nella conquista della Crimea. Più avanti, in uno scontro con i turchi, espugnò una sorta di avamposto. Poche baracche, ma sistemate come la gemma in un diadema in un golfo naturale. Ebbe una visione, o meglio, un déjà vu. Vide la Napoli che aveva lasciato e decise che avrebbe convinto gli zar a fare di quel golfo una città. La Napoli del Mar Nero. Oggi su quella Napoli dell’Est piovono bombe e la guerra fa paura e orrore a tutti. Il capoluogo campano ospita una numerosa comunità ucraina. In tutta la Campania si contano più di 40mila persone.
Oggi sono quarantamila storie di speranza e preoccupazione, di parenti in fuga, di preghiere e di attese. Il console generale dell’Ucraina a Napoli, Maksym Kovalenko. ha fatto sapere che, secondo un primo provvisorio bilancio, sarebbero almeno 300 finora le vittime dell’attacco russo. «Ci sono state esplosioni a Kiev anche contro obiettivi civili», ha spiegato. «Gruppi terroristici russi provano a entrare nella capitale, per ora vengono bloccati», ha aggiunto. Ma la situazione è difficile. «Questa è non una guerra tra Russia e Ucraina, ma della Russia contro l’Europa democratica», ha detto il console confermando che molti suoi concittadini residenti in Italia sono pronti a tornare in patria «come soldati, medici, volontari». Sotto la sede del consolato, a Napoli, napoletani e ucraini hanno preso parte ieri a un presidio pacifista per dire no alla guerra. Fino a domenica, i bus della flotta dell’azienda regionale di trasporto su gomma Air Campania viaggeranno proiettando sui display messaggi di pace. Sono alcune delle tante iniziative messe in campo.
In molti Comuni campani si stanno organizzando fiaccolate e veglie. I monumenti di Napoli, dalla Camera di Commercio al Maschio Angioino, si sono tinti di giallo e di blu in segno di solidarietà al popolo ucraino. Da vari Comuni è arrivata la disponibilità a offrire aiuti e ospitalità ai profughi. «La realtà ci ricorda che anche la democrazia è una costruzione storica, un modo di governare ma non un modo scontato per sempre. Anzi – ha affermato il presidente della Campania Vincenzo De Luca nella sua diretta Facebook del venerdì – , è una forma di governo minoritaria nel mondo contemporaneo. Non abbiamo conquistato per sempre la pace, neanche in Europa. La civiltà moderna è un guscio precario, e le immagini che arrivano dall’Ucraina ci ricordano quanto siano fragili la civiltà e quei valori considerati acquisiti per sempre, democrazia e pace».
Viviana Lanza. Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).
Gli Eroi. «Non abbiamo scelta»: viaggio tra i civili che prendono le armi in Ucraina. Gli uomini accompagnano donne e bambini al confine e poi corrono ad arruolarsi, mentre Zelensky fa appello ai volontari da tutto il mondo. Ormai la “vita di prima” non esiste più. Ma cresce il rischio di milizie fuori controllo. Francesca Mannocchi, da Dnipro (Ucraina), su L'Espresso il 4 Marzo 2022.
Ci sono tante ragioni per fare la guerra. Taras dice che è qui, a iscriversi come volontario per combattere, per proteggere i giochi di sua figlia. Perché da una settimana, da quando i russi hanno invaso l’Ucraina sua figlia ha più dimestichezza con la cantina che usano come rifugio antiaereo che con il giardino e l’altalena. Taras non lo sopporta.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 marzo 2022.
Ucraini furiosi sono stati filmati mentre urlavano "invasori, assassini" e bloccavano un convoglio dell'esercito - mentre un soldato russo sparava colpi di avvertimento in aria. Un secondo video mostrava un altro gruppo di ucraini senza paura che saltava su un veicolo militare russo mentre sventolava bandiere blu e gialle.
I filmati sono emersi mentre le forze di Mosca continuano la loro invasione del paese, e soldati e cittadini ucraini resistono ferocemente contro l'esercito di Vladimir Putin.
Il primo video mostra 30 ucraini che affrontano un convoglio militare russo composto da almeno sei veicoli a Melitupol, nel sud del Paese, fermando l'avanzata della colonna. I coraggiosi uomini e donne affrontano imperterriti la mitragliatrice armata da un russo che esce dal 4x4 dirigendosi verso il convoglio e li minaccia con l'arma prima di sparare in aria.
I manifestanti fermano il convoglio militare russo a mani nude e lanciano imprecazioni contro i soldati invasori. Nel video si sentono ucraini furiosi che marchiano i russi come "invasori" e "assassini" prima che una truppa armata spari in aria per avvertire i manifestanti di lasciare la strada.
Ma gli ucraini si rifiutano di fare marcia indietro e il soldato russo torna di nuovo nel suo veicolo blindato 4x4, che lampeggia con luci blu. Un camion blindato si avvicina quindi ai manifestanti ucraini in quello che sembra essere un tentativo di costringerli a fare marcia indietro, ma i cittadini senza paura tengono duro.
Nel filmato si vedono diverse persone cercare di spingere fisicamente indietro il camion mentre avanza suonando il clacson nel tentativo di liberare la strada ai sei veicoli contrassegnati con Z che aspettano dietro.
I manifestanti vengono infine respinti dal veicolo russo, che riesce a costringerli a lasciare la strada, anche se gli ucraini continuano a lanciare insulti agli uomini di Putin mentre avanzano.
Un secondo filmato da Kupiansk, vicino alla seconda città più grande dell'Ucraina, Kharkiv, sembra mostrare almeno 30 ucraini che corrono e saltano su un veicolo blindato russo, con un uomo che tenta di sfondare il parabrezza. Il 4x4 sembra farsi largo tra la folla, allontanandosi dai manifestanti furiosi, molti dei quali sventolano bandiere ucraine, e spingendone diversi a terra.
Due coraggiosi ucraini sono stati filmati la scorsa settimana mentre cercavano di bloccare da soli l'avanzata di un convoglio militare russo, in scene che ricordano il "tank man" di piazza Tienanmen che bloccava le forze cinesi nel 1989.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 marzo 2022.
Un soldato russo con in mano due granate si è fatto largo tra un gruppo di ucraini chiedendo loro di arrendersi. Il filmato, girato a Konotop, mostra il militare con gli ordigni tenuti sopra la testa mentre cammina attraverso una folla di cittadini che gli gridano contro: «Vergogna!», «non andare in giro mostrando la granata» mentre alcuni gli vanno incontro.
Il soldato era in città, sulla costa meridionale dell’Ucraina, per negoziare una resa della popolazione con i residenti. Dopo aver parlato con il sindaco, ha dato alla città un ultimatum: arrendersi o combattere. Ma i cittadini, riuniti dal sindaco al centro della città, hanno scelto «Lotta».
Da tpi.it il 3 marzo 2022.
La “leggenda” del porno Mia Khalifa ha scioccato i suoi 4 milioni di fan su Twitter condividendo in un post quantomeno controverso le istruzioni per costruire una bomba molotov dopo l’invasione russa in Ucraina.
La decisione probabilmente è stata presa dopo che il ministero della Difesa ucraino ha invitato tutti i residenti ad armarsi di bombe incendiarie artigianali per difendere il loro Paese. In un tweet il ministero ha dichiarato: “Costruite bombe Molotov, neutralizzate gli occupanti! Cittadini pacifici – fate attenzione! Non abbandonate le vostre abitazioni!
Alcuni fan hanno reagito positivamente al tweet di Mia Khalifa e alcuni follower ucraini l’hanno ringraziata per aver dimostrato la sua solidarietà.
“In Ucraina chiamiamo “Ikoha” (icona) le donne coraggiose come te!” ha scritto un follower. Un altro fan ha scritto: “Grazie per il tuo contributo alla nostra guerriglia: sei sempre nei nostri sogni… ti amiamo!”.
Altri invece hanno attaccato l’ex pornostar definendo il tweet inappropriato, temendo che le istruzioni potessero finire nelle mani sbagliate.
“È utile per gli ucraini, ma per favore cancella l’immagine. Alcuni account su Twitter non dovrebbero sapere come si costruisce una bomba,” ha scritto un follower. E un altro: “Capisco le ragioni dietro a questo post ma per favore cancellalo, non tutti devono sapere come fare una molotov.”
Monica Perosino per “la Stampa” il 2 marzo 2022.
Che indossino una divisa militare o un giro di scotch giallo attorno alla manica della giacca, in questa guerra che scoppia di testosterone la messa a terra sono loro, le donne sul campo, quelle che combattono in battaglia, nella resistenza o nella lotta clandestina. I dati ufficiali dell'Esercito parlano del 15% di donne soldato, 36.000 impegnate attualmente nella guerra contro la Russia. Nell'ambito del cosiddetto programma di "modernizzazione militare" dell'Ucraina, le donne sono state autorizzate a ricoprire posizioni di combattimento dal giugno 2016. Impossibile stabilire esattamente quante siano quelle impegnate nella resistenza delle città e nelle reti di supporto a esercito e sfollati: «Sbagli, fare i conti è facile, sono tutte quante».
Tatiana ha 42 anni e «da oggi niente cognomi e fotografie», perché la tensione, qui a Dnipro, si alza, e «non voglio che i russi mettano le mani sulla mia faccia, è pericoloso». «Le foto solo da morte", dice Hanna ridendo. Fucile in spalla e mimetica, due figli a testa, si stanno occupando delle trincee sui ponti di Dnipro.
Sacchi di detriti e terra, ancora sacchi di detriti e terra, poi colpi di pala per compattare tutto. La barriera è alta già due metri. Hanna e Tatiana si sono arruolate nelle forze di difesa territoriali: «Stiamo fortificando i ponti, perché è da qui che arriveranno, ed è qui che li staremo ad aspettare». Paura sì, determinazione sì, voglia di sparare no.
«Non siamo qui per dimostrare nulla, per questo le sorelle sono essenziali in ogni guerra. Riportiamo le cose nel posto in cui dovrebbero stare, non ci tiriamo indietro mai, siamo coraggiose, ma non perdiamo mai di vista l'obiettivo», dice Hanna, 38 anni, che se la vita fosse normale oggi sarebbe nel suo laboratorio di ceramica. Suo marito sarebbe a riparare frigoriferi, e i due figli a scuola. Invece sono tutti fuori, nel freddo arrivato dalla Russia, pure il freddo, chi a raccogliere viveri per rifornire i bunker, chi a portare tè caldo e caffè alle prime linee fuori il centro abitato.
Tatiana non avrebbe mai immaginato di dover imbracciare un fucile: «Sono vegana, non uccido neanche gli animali, figurati una persona. Ma che ti devo dire, ho avuto paura per tanto tempo. Quando hai paura puoi fare solo due cose, arrenderti o combattere». Nelle città svuotate la rete di supporto logistico è retta dalle donne, sono loro che organizzano la resistenza, riforniscono i bunker, preparano molotov e aprono case, alberghi, uffici per ospitare gli sfollati. Ulyana, cameriera in un grande hotel del centro, è rimasta sola. La proprietaria, il custode, i cuochi, tutto il personale è fuggito, le 30 camere sono vuote.
Lei, «autorizzata dalla principale» tiene a sottolineare, ha iniziato col raccogliere viveri, medicinali, indumenti caldi nella cantina-bunker. Ora qui, prima del coprifuoco, si preparano armi e molotov per la resistenza, che poi verranno trasportati nei punti fortificati. «Non faccio niente di speciale», dice, mentre dirige le operazioni con il suo gilet marrone fatto a maglia e la divisa blu. Al fronte le donne sono ancora poche, e quelle in divisa ancora oggi storcono il naso ricordando l'idea del ministero della Difesa che, lo scorso luglio, addestrò le soldatesse a marciare in parata con in tacchi per il 30° anniversario dell'indipendenza dall'Unione Sovietica.
«È proprio questo il punto - dice Andriana, veterana del Donbass -. Già che ci siamo combattiamo anche contro il patriarcato». Ride, meglio dire sorride, poi spiega: «Questa guerra è il momento in cui, per forza di cose, non si fa più differenza tra sorelle e fratelli, e tutti vedranno che quando si combatte per gli stessi ideali le differenze tra uomini e donne non esistono. Anzi esistono: noi siamo più responsabili e abbiamo una mira migliore». Adesso Andriana ride di gusto.
Ma vuole aggiungere una cosa, torna sui suoi passi: «Le donne sono state il catalizzatore che ha portato il regime di 26 anni del dittatore bielorusso Lukashenko sull'orlo del collasso nell'estate del 2020. Ora in Ucraina, le donne si stanno preparando per affrontare un altro autocrate patriarcale arruolandosi nell'esercito ucraino». Doppia vittoria. Tre giorni fa, Iryna Tsvila, veterana del battaglione Sich, è stata uccisa mentre difendeva Kiev assieme al suo compagno Dmytro. Nome di battaglia "Marho", scriveva, poesie soprattutto, ma anche storie di guerra, lei che aveva visto il Donbass nel 2014: «È iniziato tutto con il Maidan, poi è scoppiata la guerra.
Quando ho iniziato a seppellire i miei amici ho capito che dovevo fare qualcosa, l'ho sentito nel cuore, dovevo essere lì anche se avessi dovuto fare il cuoco. Il mio primo compito è stato portare la mitragliatrice e ricaricarla, avevo le unghie che sanguinavano, ma non ho mai pensato di tornare a casa». Così scriveva nella raccolta di racconti "Ragazze che si tagliano i riccioli". Come esistono le associazioni di veterani, ci sono anche le associazioni di veterane. Pryimak Kateryna, 29 anni, nel 2014 era un paramedico della brigata di evacuazione, in questi giorni è a Kiev.
«Noi che abbiamo combattuto - dice - normalmente aiutiamo le sorelle a tornare alla vita normale, oggi aiutiamo quelle che combattono a resistere». La vita al fronte è dura per tutti, «per noi donne l'unico problema - dice Yulia Mykytenko, 26 anni - è che ci sono ancora molti comandati alla vecchia maniera, ma anche loro si stanno rendendo contro che le donne sono soldati migliori degli uomini».
Dagotraduzione da Mediaite l'1 marzo 2022.
L'ambasciatore dell'Ucraina alle Nazioni Unite ha invitato il presidente russo Vladimir Putin a uccidersi come fece Adolf Hitler "in un bunker".
Lunedì, durante una sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'invasione russa dell'Ucraina, Sergiy Kyslytsya ha osservato: «Siamo stati invitati a convocare una sessione speciale di emergenza poiché il livello di [angoscia] è stato equiparato a quello della seconda guerra mondiale».
«O anche più in alto, seguendo l'ordine di Putin di mettere in allerta le forze nucleari russe, che follia», ha continuato. «Se vuole uccidersi, non ha bisogno di usare l'arsenale nucleare. Deve fare quello che ha fatto il tizio di Berlino in un bunker nel maggio 1945».
Le parole di Kyslytsya arrivano mentre l'Ucraina ha resistito ai tentativi della Russia di conquistare il paese, sebbene la Russia sia stata in grado di conquistare alcuni territori come Chernobyl, il luogo del disastro nucleare del 1986. Esplosioni, attacchi informatici e altri attacchi militari si sono verificati in tutta l'Ucraina. Gli Stati Uniti e l'Occidente hanno risposto con condanne, sanzioni e assistenza, compresi gli aiuti militari.
Da leggo.it il 28 febbraio 2022.
La guerra si sposta anche al di fuori dei confini dell'Ucraina. Un marinaio ucraino è stato infatti arrestato a Maiorca, in Spagna, dopo essere riuscito ad affondare, anche se solo parzialmente, il lussuoso yacht di un oligarca russo. Arrestato, l'uomo ha spiegato: «Volevo colpirlo perché è un venditore di armi».
Il lussuoso yacht, chiamato Lady Anastasia e dal valore di 7 milioni di euro, si trovava ormeggiato a Port Adriano a Calvià. Il marinaio ucraino ha tentato di affondarlo completamente e, una volta arrestato, al giudice ha spiegato: «Il proprietario dello yacht è colui che ha fornito i missili per distruggere edifici civili a Kiev, non potevo restare a guardare».
Il proprietario della Lady Anastasia è infatti Alexander Mikheev, che ha fatto la sua fortuna con la Russian Helicopter Corportaion, azienda che produce aerei da guerra. Dal 2016, invece, l'oligarca russo gestisce la vendita di armi in tutto il mondo, anche se il principale cliente resta la Russia.
Il marinaio ucraino si è preso tutta la responsabilità e ha spiegato al giudice: «Il proprietario della nave è un criminale che è diventato ricco vendendo armi che ora uccidono gli ucraini. Sono salito sullo yacht, ho aperto una grande valvola in sala macchine e un'altra dove vive l'equipaggio. Ho chiuso le valvole del carburante e spento l'elettricità, in modo da evitare incendi. Poi ho contattato i membri dell'equipaggio, invitandoli ad abbandonare la nave».
La nave è affondata solo in parte grazie all'intervento del personale del porto di Maiorca. I danni restano comunque ingenti. Il giudice non ha convalidato l'arresto ed il marinaio ucraino è ora denunciato a piede libero, in attesa del processo.
Enzo Boldi per giornalettismo.it il 28 febbraio 2022.
Sono bastate un paio di foto condivise sul suo profilo Instagram per alimentare una leggenda: l’ex Miss Ucraina (eletta nel 2005) Anastasiia Lenna si unisce ai combattenti per difendere il suo Paese dall’invasione russe.
Una storia, una delle tante che si alimentano in rete (con la ripresa anche di alcuni siti di informazione) e sui social, senza la minima verifica di quel che sta realmente accadendo. Proviamo, dunque, a spiegare perché questa narrazione sia figlia di una fake news (o di notizie non confermate).
Come detto, è bastata la pubblicazione di un paio di fotografie per dare vita al tam tam mediatico di Miss Ucraina 2015 che imbraccia le armi per difendere il suo Paese. In particolare, l’attenzione mediatica internazionale si è rivolta su Anastasiia Lenna per questi scatti condivisi sul suo profilo Instagram martedì scorso.
Miss Ucraina in guerra per difendere il Paese, la bufala
In molti hanno pensato che tutto ciò fosse l’annuncio di una sua discesa sul terreno del conflitto. Ma è veramente così? Sul suo canale Instagram, seguito da oltre 208mila follower, ha espresso e continua a farlo quotidianamente il suo disprezzo nei confronti della guerra e dell’invasione portata da Putin nel suo Paese.
Ma è scesa veramente in campo imbracciando un fucile? Se è quello della foto, possiamo dire di no ed etichettare questa notizia come bufala. Quella che compare nelle immagini, infatti, è un’arma da softair, “disciplina” che Anastasiia Lenna ha sempre detto e dimostrato di amare. Non a caso, tra i suoi post social del passato quel “fucile” appare più volte.
Una passione mai nascosta, sempre imbracciando quell’arma da softair. La stessa che appare nelle immagini più recenti e attribuite alla sua scelta di scendere sul terreno del conflitto per difendere il suo Paese.
Cosa che sta facendo, ma attraverso i social. Attraverso una campagna di sensibilizzazione di chi chiede la fine della guerra e dell’invasione da parte dei russi. Perché lei sta raccontando, attraverso le parole di altri testimoni oculari, le sofferenze e le storie che arrivano dal suo Paese.
Ma dire che è pronta a combatter – anzi, che sta già combattendo – estrapolando dal contesto reale una foto non può che essere etichettato come “bufala”.
Ucraina, "sesso con ogni soldato russo che tradisce Putin": la proposta indecente di Lilly Summers. Libero Quotidiano il 28 febbraio 2022.
Lilly Summers è una modella che deve il suo successo soprattutto a OnlyFans, la piattaforma a pagamento in cui i suoi “clienti” possono ammirarla in foto e video molto spinti. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, con l’invasione russa che è stata ordinata da Vladimir Putin e che va avanti da giovedì 24 febbraio, la modella ha deciso di lanciare un’iniziativa a dir poco particolare.
Per mostrare il suo totale supporto all’Ucraina, la ragazza ha rilasciato una dichiarazione a dir poco audace: “Farò sesso personalmente con ogni soldato russo che deporrà le armi a dispetto di Vladimir Putin e cesserà l’aggressione contro l’Ucraina”. Chissà che qualcuno non possa essere davvero tentato da questa proposta, sempre per la massima “fate l’amore e non la guerra”. Il suo “impegno” con i soldati russi pronti a venir meno agli ordini di Putin non è passato inosservato.
E così la modella ha addirittura deciso di rilanciare, pubblicando una sorta di “listino prezzi” per i suoi clienti che su OnlyFans pagano sostanzialmente per vederla nuda: “Nuovi prezzi - ha scritto su Twitter - 1 russo morto=1 nudo; 1 carro armato distrutto=1 video; 1 jet abbattuto=dormirò con te. Nuova guida ai prezzi per la guerra. Lunga vita all’Ucraina”.
Mosca, l’imprenditore vicentino: qui proteste contro Putin. Le immagini, secondo quanto riportano diversi utenti su Twitter, sarebbero state girate a Bakhmach, nel nord est dell’Ucraina. CorriereTv su Il Corriere della Sera il 27 Febbraio 2022.
Un gruppo di cittadini ucraini cerca di fermare alcuni carri armati russi a mani nude. Le immagini, che circolano su Twitter, sarebbero state girate a Bakhmach, nel nord est dell’Ucraina. nel video si vede un uomo che prima prova a fermare il blindato spingendolo e poi si inginocchia davanti al mezzo. Alla fine l’uomo viene convito ad allontanarsi e i carri armati di Mosca ripartono. (qui gli aggiornamenti sulla guerra in Ucraina)
Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera” il 26 febbraio 2022.
Il video dura 22 secondi. Si vede un ucraino in mezzo ad una strada che, disarmato, tenta di bloccare un convoglio di blindati che recano le insegne Z, quelle che i russi usano per il riconoscimento delle truppe e per evitare il fuoco amico. L'uomo si para davanti ai veicoli senza paura.
I carri armati esitano, tentano di evitarlo, lui li insegue per fermarli, agita la mano, forse impreca qualcosa. In sottofondo si sente una voce di donna che dice «non filmarlo».
Il video, ripreso da un telefono in un luogo imprecisato, probabilmente una strada che porta a Kiev, e pubblicato su Twitter, è diventato subito virale in tutto il mondo. Il coraggioso ucraino è stato ribattezzato «tank man» perché ricorda il cittadino cinese che, in maniche di camicia, il 5 giugno del 1989 si mise di fronte alla colonna di blindati che si dirigeva su piazza Tienanmen.
L'immagine fu scattata da Jeff Widener, un fotografo dell'Associated Press, da un balcone del Beijing Hotel. «Incredibilmente coraggioso l'ucraino che tenta di fermare il convoglio militare russo con il suo corpo proprio come successe a piazza Tienanmen» ha cinguettato il giornalista freelance Henry Langston.
«Il Tank man ucraino wow» è stato il commento del politico australiano Drew Pavlou che ha accostato l'immagine a quella più famosa di 32 anni fa a Pechino «Tutto il mio rispetto per il Tank man 2.0 - ha twittato un altro internauta -. Questo manifestante è un pazzo ma è magnifico». In questi giorni sono stati molti gli ucraini senza paura. In un altro video una donna mette nella tasca di un soldato russo dei semi di girasole: «Cresceranno quando morirai nella nostra terra» gli dice.
La loro storia sta facendo il giro del mondo. Matrimonio durante l’invasione russa, gli sposini ucraini: “Volevamo stare insieme perché potremmo morire”. Mariangela Celiberti su Il Riformista il 25 Febbraio 2022.
Avrebbero dovuto celebrare le loro nozze il 6 maggio. Ma la guerra ha completamente stravolto i loro progetti.
Yaryna Arieva e il fidanzato Sviatoslav Fursin, ragazzi ucraini di 21 e 24 anni, si sono sposati presso il Monastero di San Michele a Kiev giovedì 24 febbraio, nel primo giorno di conflitto, con il suono delle sirene in sottofondo. A raccontare la loro storia, che ha fatto il giro del mondo, è la Cnn.
“Combatteremo per il nostro paese”
I due giovani fidanzati avevano pianificato di festeggiare il matrimonio in un ristorante con una ‘bellissima terrazza’ affacciata sul fiume Dnieper. Ma tutto è cambiato quando il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato l’operazione militare in Ucraina, con l’assalto iniziato alcune ore prima dell’alba con una serie di attacchi missilistici. Arieva e Fursin, che si sono conosciuti in occasione di una protesta nel centro di Kiev a ottobre del 2019, hanno deciso di sposarsi perché non sono sicuri di cosa potrebbe accadere in futuro. “La situazione è davvero difficile” ha dichiarato la neo sposa. “Combatteremo per il nostro Paese. Ma potremmo morire, e volevamo solo stare insieme prima di questo.”
Dopo la cerimonia i due ragazzi si sono recati al Centro Territoriale di difesa per arruolarsi e offrire il proprio contributo alla nazione. “Dobbiamo proteggere il nostro Paese, le persone che amiamo e la terra in cui viviamo”, ha spiegato la 21enne, che non sa quali compiti verranno loro assegnati.
“Speriamo di riavere il nostro Paese senza i russi”
Arieva, che ha descritto il marito come il ‘più caro amico che ha sulla terra’ ha espresso il desiderio di riuscire a organizzare una festa per il loro matrimonio, un giorno. “Forse andranno via dal nostro Paese e avremo l’opportunità di festeggiare normalmente. Spero solo che tutto vada bene e che il nostro Paese possa essere sicuro e felice senza russi”.
Dopo le immagini della cerimonia, accompagnate da una romantica dedica al marito (‘Non so cosa succederà domani, ma voglio essere al tuo fianco. Sempre’) la ragazza ha pubblicato oggi sul suo profilo Facebook una foto che ritrae lei e il marito mentre impugnano le armi. “Prima foto di famiglia dopo il matrimonio. Il secondo giorno di guerra. La verità prevarrà!” ha scritto.
Ucraina, il soldato Vitaly si fa esplodere per distruggere un ponte e fermare i russi: l'eroe che sconvolge il mondo. Libero Quotidiano il 26 febbraio 2022.
Disposto a tutto per salvare il suo paese, anche a morire. E così è stato. Vitaly Skakun Volodymyrovych, soldato ucraino di stanza nella regione di Kherson, ha minato un ponte e lo ha fatto esplodere per fermare l'avanzata russa. Il ragazzo si era offerto nella difficile operazione di posizionare velocemente le cariche esplosive sul ponte di Henichesk, non riuscendo però a correre via in tempo.
Il ponte minato collega la Crimea, già parte della Russia, all'Ucraina. Per questo si tratta di un punto strategico. "Secondo i compagni d'armi, Vitaly si è messo in contatto con loro e ha detto che avrebbe fatto saltare immediatamente il ponte. Subito dopo, è avvenuta l'esplosione". Se avesse atteso prima di farlo esplodere, l'esercito russo sarebbe passato.
Secondo l'esercito ucraino, il sacrificio di Skakun è riuscito a "rallentare in modo significativo l'avanzata del nemico", dando inoltre il tempo alle forze di Kiev di riorganizzarsi per aumentare le difese in quell'area. Ora il comando militare intende assegnare a Vitaly Skakun Volodymyrovych "un riconoscimento postumo per il suo atto eroico". E in tutta l'Ucraina il ragazzo è già considerato un eroe che ha accettato di perdere la vita per salvare i suoi concittadini.
Da sport.virgilio.it l'1 marzo 2022.
In questi giorni di guerra, mentre la colonna di mezzi russi è in marcia per sfondare la resistenza e prendere Kiev, le storie umane e strazianti di quanti colpiti da questo conflitto si sovrappongono, si confondono eppure rimangono nitide, limpide. Così è anche per chi ha deciso di abbracciare i fucili, indossare una mimetica e assumere un ruolo attivo per difendere l’Ucraina. Come i fratelli Klitschko, eroi diversi della boxe e della lotta all’esercito russo, e come l’allenatore dello Sheriff Tiraspol, rivelazione della fase a gironi capace di battere il Real Madrid, l’ucraino Jurij Vernydub.
Vernydub si è unito alla resistenza, per difendere la città di Zaporozhye: una scelta decisa, netta che non ammette interpretazioni e che assume un senso in più considerato che il cinquantaseienne di Zytomir, 150 chilometri a ovest rispetto alla capitale Kiev, guida lo Sheriff, club della Transnistria, un territorio separatista in Moldavia al confine con l’Ucraina che vanta rapporti molto stretti con la Russia.
Una relazione stretta e che si traduce, in un avamposto al servizio degli interessi del Cremlino poiché proprio in quell’area di confine, nevralgica, pare siano collocati depositi per le munizioni del contingente di Mosca. Ciò a ribadire come quest’area, nevralgica e contesa, abbia destato con prepotenza la propria drammatica condizione adesso, dopo anni di continui e strazianti avvenimenti di un fragile equilibrio geopolitico.
Vernydub non è il solo ad aver intrapreso questa via rischiosa che lo ha proiettato, in un intervallo brevissimo, da uomo di calcio a soldato – ricordiamo che lo Sheriff ha affrontato nella fase a gironi della Champions anche l’Inter -.
Hanno deciso di arruolarsi nell’esercito ucraino anche gli ex campioni del mondo dei pesi massimi di pugliato Vitalij e Wladimir Klitschko, gli ex pugili Oleksandr Usyk e Vasiliy Lomachenko e i biathleti Dmytro Pidruchnyi e Yuliia Dzhima, medaglia d’oro proprio nella russa Sochi nelle Olimpiadi del 2014.
Klitschko, fratelli da ring sempre in prima linea. PIERO MEI su Il Quotidiano del Sud il 28 Marzo 2022.
“DR IRONFIST”, il “Dottor Pugno di Ferro”, e “Dr Steelhammer”, il “Dottor Martello d’Acciaio”, sono fratelli. Il primo, il maggiore, all’anagrafe di Belovdskoe, in Kirghizistan, dove è nato nel 1971, si chiama Vitaly; il secondo, che è nato nel 1976 a Semej, in Kazakhistan, si chiama Wladimir. Sono entrambi laureati, erano entrambi pugili, sono entrambi giganteschi (Vitaly è alto 201 centimetri, che è l’altezza dell’asticella con cui Sara Simeoni divenne primatista del mondo, e pesa 114 chili, Wladimir è alto 198 centimetri e pesa 112 chili), erano entrambi campioni del mondo nella categoria dei massimi: Vitaly lo è stato WBO dal 1999 al 2000 e WBC dal 2004 al 2005 e dal 2008 al 2013; Wladimir WBO dal 2000 al 2003, IBF, IBO e WBO dal 2008 al 2015 e WBA dal 2011 al 2015. Le sigle indicano le varie organizzazioni pugilistiche che assegnano le troppe corone nel mondo.
Portano entrambi il cognome e la cittadinanza ucraina del loro papà, il maggior generale dell’Aeronautica sovietica Volodymr Rodjonovyc Klycko, che in una traslitterazione risulta Klitschko, e che comandò tutte le operazioni di pulizia a Chernobyl, dopo il disastro nucleare del 1986, e in seguito gli venne diagnosticato un tumore ai linfonodi, tanto per smentire la cantilena che “la situazione è sotto controllo”. Ne morì a 64 anni.
I due ragazzi in America li chiamavano “i Klitchkos”, come “i Sopranos” della fiction. Vitaly nella sua carriera da pugile professionista (in quella da dilettante ha combattuto 210 volte, 195 vittorie, 80 per kappaò) ha disputato 47 incontri, non ha mai toccato il tappeto se non con le suole delle scarpe, ne ha vinti 45, e di questi 41 per knockout; le due sconfitte le ha subite dall’arbitro: la prima volta per un infortunio a una spalla, la seconda per ferita al viso, quando, contro Lennox Lewis, era avanti su tutti i cartellini dei giudici, di 4 round a 2. Il medico Paul Wallace, dalla prima fila, consigliò l’arbitro Lou Moret di interrompere il match. Lewis piuttosto che accettare la rivincita annunciò il ritiro. La percentuale di vittorie per kappaò di Vitaly è dell’87,23 per cento, la seconda più alta di sempre nella categoria dei massimi dopo quella di Rocky Marciano, che è dell’87,76. Quei tre anni in cui non fu campione dal 2005 al 2008 li passò a curarsi dalla rottura dei legamenti del ginocchio. Tornò sul ring, si riprese il titolo e lo difese nove molte. Fino a 42 anni, quando passò al ring della politica in Ucraina: sempre fra i pesi massimi e fra i campioni. È, febbraio 2022, il sindaco di Kiev.
Mamma Nadezdha Uljanovna li guardava crescere portandoseli dietro in tutte le guarnigioni in cui la carriera portava il marito; i ragazzi giocavano fra fucili e granate, tute mimetiche ed elmetti. A pugni non si sono mai affrontati: li avrebbero ricoperti d’oro gli organizzatori, specie quelli americani che non vedevano l’ora di lanciare sul mercato dello sport e dello spot il ring di Caino e Abele, specie perché non si poteva prevedere chi sarebbe stato chi, a maggior incasso dei bookmakers. Però Mamma Nadezdha era inflessibile: fra di voi niente pugni, mai, aveva sentenziato da subito. E i bravi figliuoli le ubbidirono.
Potevano affrontarsi (e lo facevano) solo mettendo fra di loro una scacchiera, il che facevano spesso essendo appassionati di questa disciplina. La signora ricordava sovente di quella volta che bussò alla sua porta una mamma tenendo per mano un bambino che sanguinava dal naso: dov’è Vitaly? Dov’è quel delinquente? Urlava la donna, Guardi come l’ha ridotto, diceva. Vitaly sbucò giù per le scale non per scappare ma per spiegare: “Ho dovuto farlo” disse semplicemente. E aggiunse: “Mi aveva buttato il cappello in una pozzanghera, gli ho detto di non farlo più, lui lo ha fatto di nuovo ed ho dovuto dargli una lezione”.
Quante lezioni avrebbe dato poi sul ring il sindaco Vitaly, anche sul ring della vita! Il “piccolo” Wladimir era stato un campione globale fin da dilettante: nel 1996, ai Giochi di Atlanta, aveva vinto l’oro nella categoria dei supermassimi sconfiggendo in finale un gigante dell’isola di Tonga, Paea Wolfgramm, un tipo decisamente sovrappeso, altezza 194 centimetri, peso 140 chili. Al tongano rimase la soddisfazione di essere il primo (e fino a Tokyo 2020 l’unico) medagliato della sua nazionalità. Passato professionista, Wladimir regnò fra i massimi per 9 anni, 7 mesi e 7 giorni, che è il secondo regno più lungo di sempre nella categoria, ed è secondo anche nel numero degli incontri combattuti con il titolo in palio (23 difese contro le 25 di Joe Louis; Alì lo fece 19, ma scontò gli anni di licenza sospesa per renitenza alla leva al tempo del Vietnam). A porre fine al regno di Klitschko il giovane pensò la furia di Tyson Fury il 28 novembre del 2015. Wladimir tentò poi la riconquista incrociando i guantoni 17 mesi dopo, a 41 anni, con l’inglese più giovane di 13 anni, Anthony Joshua, il 29 aprile 2017, novantamila spettatori a Wembley. Wadimir mise al tappeto Anthony alla sesta ripresa, e fu la prima volta per il britannico, che però si rialzò ed all’undicesimo round vinse per knockout tecnico.
“Il nostro segreto – disse una volta Vitaly _ è che sul ring il nostro avversario vede sempre un solo pugile, ma siamo sempre in due”. Lo sono stati anche nell’inverno del 2022, ma stavolta l’avversario li vedeva combattere tutti e due: l’avversario era un russo di San Pietroburgo. Vladimir Putin.
Mario Piccirillo per ilnapolista.it il 4 marzo 2022.
Vitali e Wladimir Klitschko hanno preso a pugni il mondo per 16 anni con una certa insistenza. Hanno dominato i pesi massimi della boxe dal 1999 al 2015, lasciando agli altri – ai non-Klitschko – solo 18 mesi di tranquillità, sparpagliati sul ring come briciole. E gli ha sempre fatto schifo tutta la retorica bellica di cui la narrazione dello sport abusa per tic: la “sopravvivenza” in difesa, i tiri “bomba”, gli avversari “assediati”, squadre che trionfano sul “territorio nemico”, le proteste nel “calore della battaglia”.
Lo sport semina terminologia e tropi della guerra. E’ una sottotraccia innocua finché non arriva la guerra vera. Ecco, i fratelli Klitschko quell’enfasi vuota l’hanno sempre schivata. Perché – dicevano – “noi lo sappiamo com’è fatta la guerra”. E lo sanno pure adesso che sono partiti per il fronte ucraino, per combattere la sproporzionata avanzata russa. “Siamo pronti a morire”, hanno detto. Al loro fianco un esercito di fortuna, fatto di medici, attori di teatro, giovani e anziani. Gente normale.
Ironia della sorte, pochi pugili hanno fatto sembrare la boxe meno simile a una guerra di Vitali e Wladimir Klitschko. Come aderenti al principio, hanno dominato uno sport cruento e viscerale trattandolo come un esercizio intellettuale, un affare di angoli e geometrie, leve e pulegge, economia ed efficienza. I loro record – 40 vittorie in combattimenti per il titolo mondiale in due, più di un decennio a testa da campione del mondo – sono freddi. Gli appassionati li hanno ammirati, mai davvero amati, per lo stile tecnicamente magistrale, scaltro, ma raramente entusiasmante.
Persino i loro soprannomi – Wladimir era “Dr Steelhammer”, Vitali “Dr Ironfist” – si rifanno ai loro dottorati in scienza dello sport. Ma restano scostanti, dissonanti rispetto alla pacchianeria di certi riferimenti animali che usavano per altri che poi puntualmente le prendevano. Spiccavano nella spacconeria e corruzione del sistema boxe, e ancora oggi hanno un’immagine immacolata.
Vitali, che adesso ha 50 anni, è il sindaco di Kiev, la capitale che a giorni finirà per essere il centro di fuoco dell’attacco russo. Wladimir, il fratello minore, si è arruolato nell’esercito. Sono i due volti più riconoscibili dell’Ucraina resistente.
Persino la loro biografia è marziale. Sono cresciuti in una famiglia di militari. Il padre Vladimir era colonnello dell’aviazione sovietica, costantemente costretto a trasferirsi per lavoro. Loro sono cresciuti in scuole di guarnigione, hanno vissuto in caserma, circondati da attrezzature militari, giocando a nascondino tra pile di fucili e munizioni, granate e mine. Quella che per noi è metafora è stata la loro vita.
Hanno picchiato bulli per tutta l’infanzia. C’è una scena del documentario del 2011 “Klitschko”, in cui mamma Nadezhda racconta il giorno in cui una madre e un bambino bussarono alla loro porta, il ragazzino con il naso rotto. Vitali ammise, freddissimo: “Ha buttato il mio cappello in una pozzanghera dopo che lo avevo avvertito di non farlo. Quando l’ha fatto di nuovo, l’ho preso a pugni”. Amen.
Nel 1986 il padre era di stanza vicino alla centrale nucleare di Chernobyl, e nei giorni successivi al disastro volò in missione per far lanciare blocchi di piombo sul reattore fumante. “Ci dissero che andava tutto bene”, racconta Vladimir nel documentario, girato pochi mesi prima che suo padre morisse di cancro ai linfonodi.
Tutta questa vita li trasformati da campioni in statisti e soldati. Che è un modo tangibile di riconoscere che la guerra rimette lo sport in prospettiva, soprattutto se la prospettiva è la loro. L’anima commerciale dello sport moderno si basa sull’idea che ciò che vediamo è reale: vero conflitto, vere poste in gioco. Quando vediamo due pugili barcollare pesti e sanguinanti sospendiamo un po’ la nostra incredulità, ci commuoviamo per trasporto. Ecco, i fratelli Klitschko questa parte l’hanno saltata, non ci hanno mai creduto del tutto.
Per volere della madre hanno rifiutato offerte incredibilmente redditizie per combattere l’uno contro l’altro. Il sogno bagnato di Don King: lo scontro fratricida tra due campioni del mondo dei pesi massimi. “I nostri avversari non conoscono la nostra arma segreta”, disse una volta Vitali. “Anche se c’è una sola persona sul ring, stanno combattendo contro due persone”. Che ora vanno a fare la guerra quella vera. All’angolo si sono portati la gente qualunque.
Dalla boxe alla trincea: chi è il sindaco di Kiev. Samuele Finetti il 27 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Vitali Klitschko, fenomeno della boxe, è il primo cittadino della capitale ucraina da otto anni. Ora guida la resistenza all'invasore russo.
A combattere ha imparato quand'era poco più che un ragazzo e salì per la prima volta sul ring. Non stupisce perciò che Vitali Klitschko, leggendario boxeur già campione del mondo dei pesi massimi e oggi sindaco di Kiev, sia rimasto in città per contribuire agli sforzi dell'esercito ucraino che difende la capitale.
Il coraggio non sarà ereditario, ma la storia di Klitschko è l'eccezione che conferma una regola: suo padre Wladimir, colonnello dell'Armata Rossa, fu il comandante dell'eroico gruppo di soldati che pulirono l'area della centrale di Chernobyl dai detriti radioattivi rimasti sul suolo dopo l'esplosione del reattore. Un tumore lo portò via nel 2011, quando aveva 64 anni e suo figlio deteneva ancora la cintura conquistata sul quadrato. Tre anni dopo, appesi i guantoni, il figlio Vitali si butta in politica e conquista, anche grazie alla sua fama, la carica di primo cittadino di Kiev. Città che non ha mai abbandonato, neppure ora che la capitale vive le sue ore più buie.
Ai suoi concittadini si rivolge attraverso il proprio canale Telegram: "La scorsa notte è stata difficile ma non ci sono militari russi nella città. Il nemico sta cercando di avanzare ma è stato respinto", ha scritto ieri. Poi ha spiegato la situazione, senza tanti fronzoli, i morti, i feriti e i sacrifici come il coprifuoco, precisando che "chi sarà in strada dopo le 17.00 sarà considerato nemico". Un solo credo, almeno in questo momento: "Sarà pesante, ma dobbiamo perseverare. Non abbiamo altra scelta che prendere le armi e combattere". Tra i primi ad arruolarsi il fratello Wladimir, anche lui campione formidabile sul ring, che ha spiegato la sua scelta alla tedesca Bild: "Ci difenderemo fino all'ultima goccia di sangue. Non sappiamo come vivremo domani, ma la motivazione è fortissima".
Gianluca Cordella per “Il Messaggero” il 27 Febbraio 2022.
Il coraggio che aveva sul ring lo ha portato nella politica. Ma è stato un passaggio fisiologico perché Vitali Klitschko, sindaco di Kiev, il cromosoma della paura non ce l'ha mai avuto. Merito del corredo genetico ereditato da papà Wladimir Rodionovich Klitschko, colonnello dell'Armata Rossa deceduto nel 2011 a causa di un tumore.
Aveva 64 anni e probabilmente avrebbe potuto avere una vita molto più lunga se nell'aprile del 1986 non fosse stato tra i valorosi che lavorarono per evitare che il disastro di Chernobyl potesse avere contorni ancor più devastanti di quelli consegnati alla storia.
L'esposizione prolungata alle radiazioni, alla lunga, risultò fatale. Ma per Klitschko senior difendere la sua Ucraina, salvare quante più vite possibile, era la priorità. Quando Wladimir si ammala, Vitali è ancora campione del mondo di pugilato, uno dei pesi massimi più forti che la storia del ring ricordi.
Ma già strizza l'occhio alla politica: prova, senza fortuna, a diventare sindaco di Kiev. Poi diventa leader del neonato movimento Udar, partito di ispirazione liberale con il cui stemma entra in Parlamento.
Nel 2014, dopo aver appeso i guantoni al chiodo da campione del mondo Wbc lascia la boxe con 45 vittorie in 47 incontri e mai nessuno che lo abbia mandato ko vuole concorrere per le presidenziali, ma gli manca un requisito, l'aver vissuto in Ucraina nei dieci anni precedenti.
E lui, che da pugile ha vissuto a lungo anche in Germania, è costretto a farsi da parte. Ma la sua credibilità politica è già sufficientemente solida da garantirgli la poltrona di primo cittadino della capitale.
Comincia lì, la storia che lega Klitschko a Kiev da otto anni a questa parte. Un legame che nemmeno la guerra ha spezzato. Con la città sotto assedio l'ex pugile è sempre lì, al suo posto. Anzi, è al posto della gente.
«La scorsa notte è stata difficile ma non ci sono militari russi nella città. Il nemico sta cercando di avanzare ma è stato respinto», ha annunciato ieri su Telegram, parlando ai suoi cittadini.
E come sempre sta facendo dall'inizio dei bombardamenti ha parlato alla sua gente dei morti e dei feriti, dei sacrifici da fare in questi giorni, compreso quello di rispettare il coprifuoco perché «chi sarà in strada dopo le 17 sarà considerato nemico».
«Sarà pesante, ma dobbiamo perseverare», il monito del sindaco che ha sempre manifestato grande vicinanza all'esercito ucraino. Al punto da essersi arruolato immediatamente tra i riservisti: «Non abbiamo altra scelta che prendere le armi e combattere».
Al suo fianco, come sempre, il fratello Wladimir. Che a sua volta è stato tra i pesi massimi più rilevanti della storia (oro olimpico ad Atlanta 1996 e poi campione del mondo Wbo, Ibf, Ibo e Wba con 64 incontri vinti su 69) e che in queste ora sta seguendo il fratello come un’ombra.
Nemmeno a dirsi: anche lui si è arruolato e ha imbracciato le armi. «Ci difenderemo fino all'ultima goccia di sangue. Non sappiamo come vivremo domani, ma la motivazione è fortissima», ha detto parlando alla Bild.
È il filo doppio che lega i due fratelli, due fuoriclasse del ring che si sono spartiti il regno per 15 anni buoni. E che hanno sempre rinunciato alla pioggia di dollari che sarebbe piovuta sulle loro teste accettando di sfidarsi per la riunificazione delle cinture.
Mamma Nadezhda non li voleva pugili, ma, quando fu costretta ad accettare la cosa di fronte ai loro risultati, strappò almeno la promessa che non si sarebbero mai sfidati. E loro così fecero. Mai avversari, sempre insieme.
Anche da ambasciatori dell'Unesco in tutti i progetti per sostenere l'infanzia in difficoltà. Loro che sanno bene di cosa si parli: Vitali è nato in Kirghizistan nel 1971, Wladimir in Kazakistan cinque anni dopo.
Non avevano fissa dimora, la casa era nell'area delle operazioni in cui il padre prestava opera. Poi l'Ucraina, in quel 1986 benedetto e maledetto insieme. E finalmente l'idea di una patria, e una sola. Paradosso di questa storia: due fieri combattenti per l'Ucraina che in Ucraina non sono nemmeno nati. Ma che a quell'abbraccio del 1986 devono tanto. Secondo loro, anche la vita.
Miss Ucraina sveste i panni da modella e imbraccia il mitra per combattere i russi. Il Tempo il 27 febbraio 2022.
Anastasiia Lenna, ex Miss Ucraina, impugna un mitra da assalto ed è pronta a combattere per il suo Paese sotto attacco della Russia. Non è l'unica donna, sono molte quelle che hanno scelto di schierarsi in prima linea a combattere a fianco degli uomini. La Missa ha pubblicato la foto sul suo profilo Instagram invitando tutti a stare al fianco e a sostenere l'Ucraina.
Abbiamo già visto come le leggende metropolitane "Ghost of Kyiv" e "Ukrainian Reaper" stanno conquistando Internet offrendo speranza al mondo intero. Tuttavia, dimentichiamo che molte donne stanno difendendo anche il loro paese dall'invasione russa. Quelli che non combattono offrono anche aiuto attraverso gli aiuti umanitari.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 25 febbraio 2022.
Una coraggiosa donna ucraina ha espresso l'indignazione della sua nazione oggi mentre affrontava soldati russi pesantemente armati e chiedeva di sapere cosa stavano facendo nel suo paese.
La donna grida a due degli invasori: «Che cazzo ci fai nella nostra terra?» mentre uno dei soldati imbarazzati di Henichesk, una città portuale sul mare di Azov, cerca di calmarla. La donna si è allontanata, poi è tornata: «Dovresti mettere i semi di girasole nelle tasche in modo che crescano su suolo ucraino dopo la tua morte».
Su Twitter, è stata acclamata per il suo coraggio. Un ammiratore che ha commentato: «Il coraggio è incredibile! Grazie! Siamo con te!».
L'incidente è avvenuto quando i manifestanti a Mosca hanno espresso il loro sostegno all'Ucraina mentre cantavano «non c'è guerra» fuori dalla stazione della metropolitana Pushkinskaya nella capitale russa.
Proteste raramente viste contro il presidente russo Vladimir Putin sono scoppiate a Mosca e San Pietroburgo, mentre la protesta globale contro l'uomo forte russo è cresciuta più forte.
Pubblicando un video della manifestazione su Facebook, il consigliere del governo ucraino Anton Herashchenko ha aggiunto: «Ucraini! Chiama, scrivi ai tuoi amici e conoscenti in Russia – chiedi loro di dire a tutti che i soldati russi stanno morendo in Ucraina – figli, fratelli, padri!».
La polizia russa ha arrestato quasi 1.400 persone durante le proteste contro la guerra in tutta la Russia dopo che il presidente Vladimir Putin ha inviato truppe per invadere l'Ucraina, ha detto giovedì un monitor indipendente.
Putin chiede all'esercito ucraino di prendere il potere
(ANSA-AFP) - Putin chiede all'esercito ucraino di "prendere il potere" a Kiev e di rimuovere Zelensky.
Putin, autorità ucraine banda drogati e neonazisti
(ANSA-afp il 25 febbraio 2022) - Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che sta combattendo una "banda di drogati e neonazisti".
Zelensky a leader Ue, forse ultima volta mi vedete vivo
(ANSA il 25 febbraio 2022) - "Durante la videoconferenza della scorsa notte il presidente ucraino Zelensky ha detto ai leader dell'Ue: 'Questa potrebbe essere l'ultima volta che mi vedete vivo', mi hanno detto due fonti informate sulla chiamata". Lo scrive su twitter Barak Ravid corrispondente diplomatico di Walla News e Axios.
Nei villaggi e al fronte cresce la resistenza: "Fermeremo i blindati". Fausto Biloslavo il 26 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Nel villaggio di Gorskoia, vicino al fronte, cerchiamo il sindaco, ma il municipio è occupato dai soldati che hanno piazzato i sacchetti di sabbia alle finestre.
Zolotoje (Ucraina). La sbarra con il disco Stop è mezza aperta, ma non c'è anima viva. Un bunker al centro del posto di blocco sembra abbandonato e nei container o nelle postazioni dietro i sacchetti di sabbia non si vede un soldato. Il colpo d'occhio è spettrale e rende l'idea del clima di ultima spiaggia della prima linea ucraina di fronte all'avanzata delle forze russe assieme ai separatisti del Donbass. Dopo dieci minuti cominciamo a intravedere gli elmetti dei soldati ucraini, che spuntano ben mimetizzati e nascosti in una striscia di terra a fianco del posto di blocco. Due soldati armati fino ai denti ci vengono incontro a passo di corsa. «Siete pazzi? Questo è il fronte. I russi bombardano ogni giorno. Tornate indietro», ordina il militare più sospettoso con il dito sul grilletto, mentre l'altro si piazza in copertura come se fossimo infiltrati dei russi. «Il nemico è davanti a noi e può sparare in qualsiasi momento», ribadisce il teso soldato ucraino. In realtà alcune macchine passano a tutta velocità dirigendosi verso la zona controllata dai separatisti, che adesso contano sul possente appoggio dell'orso russo.
Un chilometro più indietro c'è un villaggio fantasma, che sembra semiabbandonato, ma resiste un distributore di benzina con una sola dipendente sprangata dentro come in una casamatta. Non facciamo in tempo a capire dove siamo, che piovono granate troppo vicine. L'unica possibilità è chiuderci con la benzinaia che ha una stanza senza finestre come rifugio. Olga ha lo sguardo dimesso di chi sa che potrebbe venire spaccata in due da un colpo di mortaio ogni giorno: «Bombardano sempre e colpiscono i villaggi qui attorno. Ho paura che arrivino i russi. Vicino alla casa di mio padre, proprio ieri, è piombato un razzo. Posso solo pregare Dio di salvarci». Le strade sono deserte e avvolte da una nebbia che rende ancora di più l'idea della zona di guerra in costante pericolo. Ogni tanto si incrociano colonne di blindati e camion carichi di soldati e munizioni. E pure un paio di carri armati sotto gli alberi in una strada secondaria per non farsi individuare da droni e caccia russi.
Nel villaggio di Gorskoia, vicino al fronte, cerchiamo il sindaco, ma il municipio è occupato dai soldati che hanno piazzato i sacchetti di sabbia alle finestre. Negozi chiusi e poca gente per strada Alexander, un ucraino che vive a ridosso della prima linea ci ferma: «Siete giornalisti? Venite a vedere il risultato dei bombardamenti russi sul mio villaggio». Per arrivarci bisogna percorrere una strada dritta in campo aperto obiettivo preferito dell'artiglieria separatista. «Vado avanti io - consiglia l'ucraino -. E voi dietro, ma a tutta velocità senza fermarsi mai per nessun motivo». La corsa pazza in mezzo ai campi ci fa arrivare a un villaggio ancora più povero e disgraziato degli altri e attaccato alla prima linea. Svetlana Nikolajeva apre una porticina in legno e ci fa scendere nelle viscere sotto la sua casa. Dopo i gradini al buio si aprono due pertugi scavati nella terra con tanto di letto improvvisato e stufetta a legna. Su un tavolinetto non mancano tazze di tè e candele. «Siamo stanchi di correre nel rifugio e passarci giorno e notte con i bambini - spiega la donna di mezza età, che non resiste alle lacrime -. Vi prego ditelo voi ai russi, che non ci bombardino più». I razzi Grad hanno sfasciato il tetto di una casa vicina e quella a fianco è stata trasformata in un groviera dalle schegge. Olga, una giovane con lo sguardo triste, si chiede: «Cosa pretende Putin da noi? Ho dei figli e voglio vederli crescere non morire per una bomba». I russi puntano a un edificio messo in piedi con l'aiuto dell'Onu che è diventato la base dei militari ucraini dispiegati su questa porzione di fronte. Il palazzotto in spessa muratura si trova in mezzo alle case. Donne e uomini in mimetica non possono parlare, ma ci vuole poco a capire che nel Donbass hanno schierato le armi migliori compresi i nuovi missili anti aerei Stinger. Uno lo porta in spalla un militare come se fosse un ombrellone. Timur è l'ufficiale in comando con barbetta e senza baffi: «La scorsa notte abbiamo fermato l'attacco di 15 carri armati russi. È un inferno, ma anche se Kiev cadesse noi continueremo a resistere contro Putin».
Il ‘fantasma’ di Kiev è stato abbattuto. Secondo i russi era un pilota formidabile. Da leccenews24.it il 2 Marzo 2022.
Alexandro Oksanchenko, sarebbe lui l’eroico top fin che ha tenuto sotto scacco l’aviazione russa. Abbattuto dai sistemi antiaereo di ultima generazione. Nessuno era riuscito ad avere la meglio su di lui nel corpo a corpo tra aerei.
Il colonnello Oksanchenko non era più in servizio ma ha voluto chiudere la sua esistenza con quello che sapeva fare meglio, volare. Era un pilota acrobatico, uno dei migliori, un fenomeno.
Per difendere il suo Paese è salito su un Mig-29 e ha fatto la storia dell’aviazione ucraina in poche ore.
Era talmente bravo che come un fantasma riusciva ad arrivare alle spalle degli aerei nemici senza che se ne accorgessero, se non quando era troppo tardi.
Secondo le notizie trapelate Oksanchenko ne avrebbe abbattuti 6 di avversari, c’e chi dice addirittura 10, troppi insomma per non diventare un obiettivo della contraerea russa
famigerato pilota solitario che a bordo del suo MiG-29 si sarebbe distinto nel primo giorno di conflitto abbattendo 6 jet avversari nei cieli dell’Ucraina; secondo quanto riportato ieri da Il Giornale di Milano il “Lupo Grigio” Oksanchenko era impegnato in missione nei cieli di Kiev quando è stato raggiunto dal letale sistema antiaereo russo S-400, nome in codice Nato “Triumph”, e non ha avuto il tempo di lanciarsi prima dell’impatto.
Considerato un formidabile pilota da caccia nonché virtuoso del volo acrobatico, il colonnello Oksanchenko – scrive il Giornale – si era guadagnato una certa fama a livello internazionale dopo aver partecipato a numerosi air show in Europa, sbalordendo spettatori e giuria con le sue evoluzioni tra le nuvole. Ritiratosi dal servizio attivo nel 2018, era diventato istruttore prima di offrirsi volontario per riprendere il suo posto di pilota da combattimento sui caccia che portano il simbolo dello scudo con “tridente giallo”.
Oggi il nome di Oksanchenko è il nome di un eroe della patria. Altro che fantasma.
Il “fantasma di Kyiv”: un asso da caccia ucraino solo contro tutti. Davide Bartoccini su Inside Over il 25 febbraio 2022.
Nei cieli dell’Ucraina, un solitario pilota di MiG ripreso in decine di video che lo vedono intento a combattere contro le soverchianti forze aerospaziali russe, sta stimolando la fantasia del mondo indignato e preoccupato per il precipitare degli eventi. Secondo alcune fonti, solo nel primo giorno di conflitto, gli andrebbero accreditate sei vittorie. Sei abbattimenti, uno dopo l’altro, che lo renderebbero a tutti gli effetti un “asso”. Lo chiamano il “fantasma di Kyiv”, e tra i civili, come nel mondo del mondo dell’aviazione tutta, è già diventando una favola da raccontare. Del resto, fin dagli albori della storia, la guerra ha occupato un posto rilevante nell’epica: e il popolo ha sempre avuto bisogno dei suoi eroi, poco importa si rivelino soltanto una “leggenda“.
A bordo del suo caccia intercettore MiG-29 Fulcrum, “the Ghost of Kyiv” sembra riporta alla memoria le imprese più celebri degli assi da caccia britannici nella Battaglia d’Inghilterra, ammirati dalla terra mentre nei cieli delle città sconvolte dai bombardamenti si combatteva in numero decisamente inferiore (fino ad uno contro cinque, ndr) per frenare l’inesorabile sopravvento del nemico. Così si teneva alto il morale dei civili terrorizzati nell’ora più buia. Quando tutto sembrava perduto, e le notti scandite dal suono delle sirene antiaeree venivano trascorse nelle profondità della metro per sentirsi al sicuro. Come sta accadendo nella città ucraina di Kharkiv.
Nessuno conosce il vero nome del pilota – e tuttora si cerca di verificare i fatti che sembrano più una romantica invenzione della propaganda -, ma secondo gli ucraini le vittorie sono reali. Il solitario pilota avrebbe abbattuto nel primo giorno dell’invasione due caccia Su-35, un caccia Su-27, un MiG-29 (come quello su cui vola, che è di fabbricazione russa), e due aerei da attacco al suolo Su-25. Questo gli varrebbe, secondo le convenzioni dell’aviazione in auge dal primo conflitto mondiale, l’appellativo di asso: ossia un pilota al quale vengono riconosciute 5 vittorie su velivoli avversari. Come il Barone Rosso Von Richtofen per intenderci, ma a bordo di un caccia a reazione armato di missili aria-aria che può superare di due volte la velocità del suono.
A mostrare le gesta del fantasma, che dovrebbe aver effettuato numerose sortite per aver ottenuto queste vittorie – missili e carburante non sono infiniti come nei video games -, ci sono numerosi filmati su Twitter e Reddit che ritraggono un MiG con le insegne ucraine mentre sfreccia tra i grattacieli di cemento che si stagliano su di un cielo plumbeo nel quale fanno eco esplosioni distanti. Va a caccia di russi.
Asso fantasma, tra leggenda e realtà
Al momento non ci sono conferme sulla reale esistenza del Fantasma di Kiev, nome al quanto evocativo, ma è vero che nel primo giorno di ostilità la Difesa ucraina ha dichiarato di aver abbattuto sette aerei appartenenti alle Forze Aerospaziali russe. Sebbene sia altamente improbabile che la quasi totalità di questi velivoli sia stata abbattuta da un singolo pilota – dato che gli scontri aerei hanno avuto luogo diversi settori – non è da escludere che un pilota da caccia dell’esigua Forza Aerea Ucraina (che contava in tutto 35 caccia prima dell’inizio delle ostilità, ndr), abbia conseguito più di una vittoria. Le più credibili riguarderebbero i due lenti e antiquati aerei da attacco al suolo Su-25 “Frogfoot”. Non sono assenti nella storia casi in cui la tenacia e il coraggio di pochi piloti abbia fatto la differenza anche di fronte a forze nemiche soverchianti. Citiamo ad esempio i caccia della Raf durante le prime fasi dell’assedio di Malta, o durante i raid sferrati dai giapponesi a Singapore; gli assi da caccia di potenze minori, come la Finlandia nella strenua difesa nella “Guerra d’inverno” contro gli aerei russi, che portavano allora come oggi l’insegna della stella rossa sulle ali; non ultimi i piloti italiani nel nord Italia tra il ’44 e il ’45.
Un MiG-29 Fulcrum nei suoi aggiornamenti più avanzati ha sei piloni sub-alari ai quali possono essere agganciate diverse tipologie di missili aria-aria e serbatoi di carburante aggiuntivi per garantire una maggiore autonomia in volo. È inoltre dotato di un cannoncino da 30mm con un centinaio di colpi. Questo gli consentirebbe, almeno sulla carta, di abbattere sei avversari se tutti i suoi missili aria-aria andassero a segno, o se assestasse qualche colpo di cannoncino ben mirato sugli avversari più lenti e con minore manovrabilità. Sebbene il MiG-29 sia un velivolo assai temuto per le sue alte prestazioni e per la sua estrema manovrabilità, è molto difficile, se non del tutto impossibile, che ciò accada in una singola sortita e anche in una singola giornata. Il fantasma avrebbe dovuto conseguire le sue vittorie in altrettante sortite riportando sempre a casa la pelle. Dovremmo quindi concludere che questo pilota solitario, il Fantasma di Kyiv, esiste veramente. E considerarlo come una figura della nuova epica ucraina. Non più reale del “Maiale cremisi” uscito dai manga di Hikōtei jidai. Tuttavia, assistere all’ammirazione che questo fantomatico fantasma dal volo supersonico sta riscuotendo in tutto il mondo, e la speranza che infonde a chi guarda inerme i combattimenti dalla sua finestra, scalda il cuore. Chi siamo noi per privare un popolo in guerra di una bella favola triste?
Dacci ancora un minuto del tuo tempo!
Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.
Il Fantasma di Kiev non esiste, la vera storia del pilota eroe dei cieli. Enrico Franceschini su La Repubblica l'1 Maggio 2022.
Un'immagine dal profilo social dell'aviazione ucraina
Capace da solo di abbattere 40 aerei russi. La voce della morte si era diffusa sui social tanto da costringere il comando dell'aviazione militare a dire come stanno veramente le cose.
La voce è nata sui social, come è ormai la regola, per diffondersi un po' dappertutto: un eroico pilota di caccia ucraino, soprannominato "il Fantasma di Kiev", avrebbe abbattuto da solo 40 aerei russi, contribuendo a impedire a Mosca di vincere la battaglia nei cieli, nonostante la sua netta superiorità di mezzi e numeri.
Confermata la morte del "Fantasma di Kiev", il pilota che ha abbattuto 49 caccia nemici. Redazione l'1 Maggio 2022 su Il Giornale.
Il maggiore Tarabalka ucciso il 13 marzo. Era una leggenda grazie ai social.
È morto lo scorso 13 marzo, ma solo ieri la notizia è diventata ufficiale, dopo un lungo tira e molla. Secondo quanto riferisce «The Times» il maggiore dell'aeronautica ucraina Stepan Tarabalka, 29 anni, è stato ucciso in combattimento quando il suo caccia MiG-29 è stato abbattuto dalla contraerea russa. La sua guerra è durata poco più di due settimane, abbastanza per diventare una leggenda presso l'opinione pubblica ucraina, che lo aveva ribattezzato il «Fantasma di Kiev».
Nelle prime fasi della guerra Tarabalka, che allora non aveva ancora un nome e un cognome, aveva conquistato grande fama come «oscuro vendicatore dell'aria». Nei cieli ucraini il maggiore infatti dal 27 febbraio fino alla sua morte aveva abbattuto almeno 49 caccia dell'esercito russo. Una figura, la sua, che per molto tempo è stata sospesa tra la realtà, seppure un po' romanzesca, e la leggenda metropolitana, anche se quello che contava, nei primi giorni di guerra, era la capacità di simili racconti, di una preziosa riserva di galvanizzare gli ucraini all'inizio della loro stoica resistenza contro l'invasore russo. Insomma, del «Fantasma di Kiev» non era tanto importante che esistesse davvero, ma l'esempio che doveva trasmettere al suo popolo.
Inizialmente la leggenda del «Fantasma di Kiev» era stata alimentata da una serie di video comparsi sui social media, subito diventati virali, di aerei ucraini in volo con la testimonianza su un pilota di MiG-29 capace di abbattere sei aerei russi da solo nel primo giorno di guerra e per questo da considerare il primo asso dell'aviazione del XXI secolo, essendo questo riconoscimento attribuito a chi abbatte almeno cinque aerei nemici. Poi ci si era messo anche l'ex presidente ucraino Petro Poroshenko, che in un tweet aveva pubblicato la foto del fantomatico pilota, alla guida del suo aereo, non dentificabile per via del casco, della visiera e della maschera indossati.
Ora, a molte settimane dalla sua morte, il «Fantasma di Kiev» ha un nome e un cognome, oltre a un volto. Un personaggio la cui esistenza viene confermata quando non c'è più. Il quotidiano londinese cita i familiari: «Tutto ciò che sappiamo è che nostro figlio stava conducendo una missione di volo. Ha compiuto la missione, ha fatto il suo dovere. Ma non è più tornato a casa». Dopo la sua morte il pilota è stato insignito della massima onorificenza ucraina, l'Ordine della Stella d'Oro, per il suo coraggio in combattimento, e gli è stato conferito postumo il titolo di Eroe dell'Ucraina. Il casco e il visore di Tarabalka, soprannominato «angelo custode» dai propri connazionali, dovrebbero essere presto venduti all'asta a Londra.
I 13 eroi dell'Isola dei Serpenti e la vera spina nel fianco di Putin. Andrea Indini il 28 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Battaglia sull'Isola dei Serpenti. 13 militari si oppongono alle bombe della flotta russa: "Fottetevi!". È l'emblema di una resistenza che Putin non aveva calcolato e che sta mettendo in difficoltà i suoi soldati.
24 febbraio 2022. La guerra che Vladimir Putin ha lanciato contro Kiev si combatte anche nelle acque calme del Mar Nero. Davanti alle coste di Zmiiny, anche conosciuta come l'Isola dei Serpenti, una nave russa è pronta a scagliare l'attacco finale. "Siamo una nave da guerra russa", intimano i marinai dello Zar prima di attaccare. Sono convinti di una resa immediata: "Vi chiediamo di deporre le armi e di arrendervi per evitare spargimento di sangue e morti non necessarie". Dall'altra parte, però, nessuno ha la benché minima intenzione di alzare bandiera bianca. "Nave da guerra russa... fottetevi", rispondono. Segue un silenzio assordante. Poi la pioggia di bombe cala sull'isola rocciosa: i sibili dei missili fendono, fragorosi, l'aria prima della detonazione. È questione di poco. Dopo il boato torna il silenzio.
Grazie alla registrazione diffusa dal sito del giornale ucraino Ukrayinska Pravda, tutto il mondo ha potuto ammirare l'eroismo dei tredici militari ucraini che fino all'ultimo secondo hanno resistito all'avanzata della marina russa. Credendoli morti sul campo di battaglia il presidente Volodymyr Zelensky ha subito conferito alle tredici guardie l'alto riconoscimento di "eroi dell'Ucraina" trasformandoli così in uno dei tanti simboli che celebrano la resistenza del popolo ucraino all'invasore russo. Nella battaglia delle narrazioni, che si combatte con la stessa spietatezza di quella armata, la drammatica storia dei tredici eroi dell'Isola dei Serpenti è subito diventata epica, un racconto a metà tra la realtà e il mito. Nei giorni scorsi i media internazionali hanno, infatti, riportato la caduta dell'Isola dei Serpenti usando toni leggendari: da una parte un manipolo di soldati senza armi, disposti a sacrificare la propria vita pur di difendere l'avamposto e l'onore del proprio Paese; dall'altra la nave da guerra inviata dal Cremlino per conquistare l'arcipelago strategico perché al centro del corridoio commerciale tra le città di Odessa, Mykolaiv e Kherson. Una battaglia ad armi impari, insomma. Ma quanto è realtà e quanto mito?
Che i tredici soldati di stanza sull'isola siano morti sotto le bombe russe non è vero. "Abbiamo la forte convinzione che tutti i difensori ucraini dell'isola di Zmiinyi possano essere vivi", ha detto ieri alla Cnn il Servizio della Guardia di frontiera statale dell'Ucraina. Voce confermata oggi dalla Marina che ha detto essere tutti prigionieri dei russi a Sebastopol, in Crimea. Anche il numero dei militari catturati è stato messo in discussione, almeno dalla Difesa russa: non sarebbero tredici ma ottantadue. Difficile da verificare. Soltanto a guerra finita sapremo la verità sui fatti di Zmiiny. L'evento, per quanto romanzato da ambo le parti, resta comunque l'emblema di una resistenza tenace che non sta permettendo a Putin di radere al suolo il governo Zelensky e far propria l'Ucraina. L'esercito russo non solo non è ancora riuscito ad entrare a Kiev ma, Donbass a parte, non è nemmeno riuscito a far capitolare una sola città simbolo. È un pantano che, molto probabilmente, né lo Zar né i suoi generali avevano messo in conto. In un'intervista al Corriere della Sera il politologo Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, principale centro statunitense di ricerche sui rischi internazionali, spiega che ieri il numero uno del Cremlino è arrivato a ventilare l'uso delle testate nucleari per due motivi che riflettono due errori di valutazione: da un lato "la sottovalutazione della compattezza dell'Occidente e dell'efficacia delle sanzioni economiche", dall'altro "la resistenza degli ucraini".
Cosa puoi fare contro civili che provano a fermare i carri armati a mani nude? Cosa puoi fare contro un anziano che, davanti a soldati che imbracciano mitragliatrici, si oppone dicendo "Cosa ci fate qui? Voi avete il vostro Paese, non vi serve occuparne un altro"? Rispetto a Zelensky, il cui ministero della Difesa ha diramato un opuscolo che spiega come lanciare le molotov sui blindati nemici, Putin ha a disposizione una forza militare incomparabile. Esattamente come i marinai russi davanti ai tredici soldati sull'Isola dei Serpenti. Volendo potrebbe tranquillamente chiudere la partita da un momento all'altro, ma per riuscirci dovrebbe massacrare il popolo ucraino. Quello che lo Zar non aveva infatti messo in conto è che non solo l'esercito ucraino si sarebbe difeso fino all'ultimo respiro, ma che moltissimi semplici cittadini avrebbero volentieri imbracciato un'arma per difendere la propria casa. Il ché frantuma la propaganda del Cremlino sull'Ucraina terra russa.
Ucraina, il sacrificio dei soldati eroi sull’Isola dei Serpenti. I russi li deridono sui social. Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 25 febbraio 2022.
Il caso dei tredici doganieri ucraini che hanno preferito morire piuttosto che arrendersi finisce al centro della guerra dell’informazione.
Giovedì, il presidente ucraino Zelensky si è rivolto direttamente ai cittadini russi. «Siamo diversi, ma non nemici». L’ha fatto in russo contando sul fatto che prima di darsi alla politica era stato un attore più popolare in Russia che in Ucraina. Il problema per il capitano Igor sul fronte di Donetsk (il nome è falso) è che anche Mosca comunica direttamente con gli ucraini, soldati compresi, e lo fa con i social network.
«Abbiamo l’esperienza di questi otto anni di guerra con i ribelli filorussi e difese ben posizionate. Abbiamo resistito alla prima ondata di colpi, respinto un’incursione e distrutto un blindato. Eravamo euforici. Ma proprio oggi che ci hanno martellato meno, l’umore dei ragazzi è precipitato. Come mai? Colpa dei social. Senza combattimenti, i soldati più giovani si sono attaccati ai telefonini e si sono ubriacati di foto di Kiev bombardata su Instagram e scenette di TikTok, tutto materiale made in Russia. Circola una gag girata come un film: il marito torna dalla moglie tenendo una lepre per le orecchie. “Stasera la friggiamo?”. “Non posso, l’olio è caro”. “Ma come? Siamo il Paese dei girasoli”. “Adesso l’olio è per l’export”. “Allora la facciamo bollita”. “Non si può, adesso il gas russo dobbiamo pagarlo”. Il marito furioso libera la lepre e questa salta via gridando “Viva l’indipendenza ucraina”. Capito? Mosca ci riempie di queste stupidaggini. Ci dice che senza il suo gas non mangeremo, che non possiamo resistere alle loro armi, che i nostri politici sono ladri. Tutte bombe nel cervello dei ragazzi».
Giorno 2 di guerra anche sul Mar Nero. Il ritmo del cannoneggiamento sull’area di Mariupol diminuisce con la luce, ma non vuol dire sia una buona notizia. Da Kiev allertano di infiltrati russi per sabotare, uccidere i dirigenti chiave. Forse nella breve pausa dei bombardamenti hanno anche approfittato per contattare i comandanti delle varie postazioni. Arrenditi. Vuoi morire per un Paese che non riesce a cucinare un coniglio? In fondo è quel che ha detto esplicitamente Putin chiedendo agli ufficiali ucraini di fare un golpe contro Zelensky. Forse invece ha ragione l’ufficiale della difesa territoriale di Mariupol che risponde a muso duro ai giornalisti. «La guerra non è una partita di calcio a cui fare la radiocronaca. Non succede tutto in 90 minuti. Il primo giorno i russi ci hanno fatto capire di che potenza dispongono. Oggi, magari, aspettano il carburante, si riposano, si lavano, mangiano un pasto caldo. E noi facciamo altrettanto. Così quando attaccheranno li fermeremo e toccherà a noi fargli capire di aver sbagliato bersaglio. La guerra non si combatte in 24 ore».
Oltre Odessa, dall’Isola dei Serpenti alla foce del Danubio nel Mar Nero, arriva un file audio che non risolve il dilemma. Sembra la registrazione di una comunicazione radio tra una nave militare russa e la guarnigione ucraina posta a difesa dell’isola. «Vi proponiamo di deporre le armi immediatamente per evitare uno spargimento di sangue e morti ingiustificate. Ripeto arrendetevi o sarete colpiti». Una voce di donna sussurra qualcosa, poi dalla guarnigione ucraina la risposta: «Nave da guerra russa vai aff…».
Il presidente Zelensky ha nominato seduta stante eroi della patria i 13 doganieri che sarebbero morti nel bombardamento seguito alla parolaccia. Mosca, invece, dice che dopo quell’intemperanza gli 85 soldati dell’isola si sono arresi. Chiunque abbia ragione, l’episodio conferma il metodo russo: cercare la resa delle unità nemiche. Se davvero Putin vuole installare un governo fantoccio a Kiev, il minimo che possa fare per facilitargli il compito è non alimentare rancore nei futuri abitanti dell’Ucraina filorussa.
Pazienza bellica, ansia civile. Se il fronte est verso le repubbliche separatiste l’Ucraina ha ceduto solo pochi chilometri, ad ovest c’è chi ha avvistato un primo tank russo a Berdyansk, 87 chilometri da qui, 150 dalla Crimea da cui dovrebbe essere partito. I civili della città-porto di Mariupol si stanno organizzando nel caso di invasione. Chi è riuscito a scappare ormai l’ha già fatto. Gli altri o non hanno benzina nel serbatoio o non hanno dove andare. Sistemano le cantine come rifugi, fanno scorte, tengono uno zaino pronto in caso di bombardamento, ripassano la ricetta per il cocktail Molotov. In serata arriva una salva di missili Grad. La città trema tutta. Sembra che i missili siano caduti su una scuola alla periferia est. Forse qualcuno ha rifiutato di arrendersi.
Gli "eroi" uccisi sull'isola dei Serpenti. Le ultime parole dei 13 soldati ucraini prima del bombardamento: “Nave russa vai a farti f…” Redazione su Il Riformista il 25 Febbraio 2022.
“Nave da guerra russa…. andate a farvi fottere“. Queste le ultime parole dei 13 soldati ucraini prima di essere uccisi giovedì 24 febbraio sull’isolotto di Zmiiny, meglio conosciuta come Isola dei Serpenti, nel Mar Nero. Parole, diventate virali in un audio, pronunciate prima del bombardamento della nave da guerra russa che ha poi conquistato una zona strategica in mezzo al mare e a 300 chilometri dalla Crimea e nel corridoio commerciale tra le città di Odessa, Mykolaiv e Kherson.
A diffondere l’audio il giornale ucraino Ukrayinska Pravda. All’avviso lanciato dalla nave russa (“Siamo una nave da guerra russa, vi chiediamo di deporre le armi e di arrendervi per evitare spargimento di sangue e morti non necessarie, altrimenti bombarderemo”), la risposta dei militari ucraini è stata tutt’altro che distensiva. Successivamente è scattato l’attacco russo e i 13 soldati sono morti poco dopo come confermato dallo stesso presidente Volodymyr Zelensky che ha conferito loro il riconoscimento di “eroi dell’Ucraina”.
Lo stesso ministero della Difesa ucraino ha rilanciato su Twitter un messaggio in cui si fa riferimento ai “13 eroi” che ieri hanno opposto resistenza all’invasione russa. Versione diversa invece quella fornita dal ministero della Difesa di Mosca, invece, il portavoce ha detto che 82 militari ucraini si sono arresi volontariamente ieri durante l’attacco all’isola.
Isola che lo stesso presidente ucraino aveva scelto in passato per un’intervista dopo l’annessione russa della Crimea. “Questa isola come il resto del nostro territorio, è terra ucraina e noi la difenderemo con tutte le nostre forze”, aveva spiegato Zelensky.
La nave russa li bombarda, cosa urlano i militari ucraini prima di morire. Il Tempo il 25 febbraio 2022.
«Nave da guerra russa...fottetevi». Sono queste le ultime parole dei 13 soldati ucraini che formavano l’avamposto sull’isolotto di Zmiiny, o isola dei Serpenti, nel Mar Nero, finita sotto il bombardamento di una nave da guerra russa che poi l’ha conquistata. È diventata virale la registrazione, diffusa dal sito del giornale ucraino Ukrayinska Pravda, dell’avviso della nave degli aggressori russi: «Siamo una nave da guerra russa, vi chiediamo di deporre le armi e di arrendervi per evitare spargimento di sangue e morti non necessarie, altrimenti bombarderemo».
Da qui la risposta dei militari ucraini che sono tutti rimasti uccisi nel bombardamento russo come ha confermato lo stesso presidente Volodymyr Zelensky che ha conferito loro il riconoscimento di «eroi dell’Ucraina». Il piccolo isolotto al margine delle acque territoriali ucraine nel Mar Nero ha un importante valore strategico trovandosi nel corridoio commerciale tra le città di Odessa, Mykolaiv e Kherson.
Liberati gli eroi ucraini di Snake Island che risposero con un "vaffa" all'attacco delle navi russe. Il Tempo il 25 marzo 2022.
Erano diventati simbolo di resistenza nei primissimi giorni della guerra in Ucraina. Avevano respinto i nemici invasori urlando: «Nave russa vai a farti f**** ». Scena diventata virale in tutto il mondo. Sono i 19 soldati che difendevano l'isola Snake, a poche miglia di distanza dalla Romania, un avamposto strategico per la difesa della città di Odessa.
Dopo l'attacco gli "eroi" di Snake Island erano stati catturati dai russi: ora, un mese dopo un mese sono stati liberati in uno scambio di prigionieri.
Durante il primo giorno di invasione russa, il 24 febbraio una nave russa ha attaccato l'isola del "Serpente", ordinando ai soldati di «deporre immediatamente le armi per evitare spargimenti di sangue e morti ingiustificate» aggiungendo «altrimenti verrete bombardati». La risposta ferma, immortalata dal video poi circolato su Twitter, li aveva resi famosi in tutto il mondo. E adesso c'è finalmente il lieto fine per i 19 soldati ucraini.
Poco dopo l'attacco russo i contatti con l'isola si erano interrotti e si è pensato che gli uomini fossero morti in battaglia. Zelensky promise persino di decorare postume «le eroiche guardie di frontiera decedute». Giorni dopo invece la Marina ucraina ha confermato che i soldati dell'isola erano caduti prigionieri dopo aver respinto due attacchi delle forze russe ed essersi arresi «per mancanza di munizioni».
Dagotraduzione dal Sun il 28 maggio 2022.
Ci sono storie che mettono i brividi, e quella di Andrei Chikatilo è tra le più agghiaccianti. Soprannominato “The Red Ripper”, Chikatilo fu uno dei serial killer cannibali più sanguinari al mondo. La sua follia omicida è durata 12 anni, durante i quali ha ucciso almeno 53 tra donne e bambini.
Nato nel 1936 nel villaggio di Yablunchne in Ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica, da genitori poverissimi, la sua famiglia si trovò ad affrontare una devastante carestia che li costrinse a nutrirsi di erba e foglie per sopravvivere. Al piccolo Andrei fu anche raccontato che il fratello maggiore era stato rapito e “mangiato” da vicini affamati prima che lui nascesse. Anche se non è possibile stabilire la veridicità di questa storia, quella fu la prima volta che Chikatilo entrò in contatto con il cannibalismo.
La fame durò a lungo, e alla carestia si aggiunsero le conseguenze della guerra: la Germania nazista aveva invaso l’Ucraina e i suoi soldati razziavano villaggi e violentavano le donne, una sorte che toccò anche a sua madre, forse alla sua presenza. Il padre fu bollato come traditore perché catturato dalle truppe naziste mentre combatteva per l’esercito russo. All’epoca chi era stato prigioniero di guerra veniva emarginato perché ritenuto responsabile della sua cattura.
Chikatilo diventò un ardente comunista, ma nella prima adolescenza scoprì di essere impotente. Alle sue difficoltà con le ragazze si aggiunse il tentativo, fallito, di entrare all’Università statale di Mosca. Mentre prendeva parte al servizio nazionale nel 1960, cercò di imporsi su una giovane che lo respingeva, e si accorse così che l’atto violento lo eccitava.
Sposò Feodosia Odnacheva, una giovane ragazza che le era stata presentata dalla sorella. Nel 1993, intervistato da un giornalista, raccontò: «Alle mie spalle, le ragazze ridevano della mia impotenza. Mi vergognavo così tanto. Ho cercato di impiccarmi. Mia madre e alcuni giovani vicini mi hanno salvato mentre avevo già il cappio al collo. Pensavo che nessuno avrebbe voluto un uomo così svergognato. Quindi sono dovuto scappare da lì, lontano dalla mia terra natale».
Nonostante i suoi problemi, con la moglie Feodosia riuscì a costruire una famiglia: nacque una bambina e quattro anni dopo un figlio maschio, che avrebbe seguito le orme del padre vivendo una vita criminale.
Diventato insegnante, fu deriso e ridicolizzato dagli alunni perché non riusciva a mantenere il controllo della sua classe turbolenta e fu costretto a dimettersi. Tutto questo lo indusse a commettere il suo primo crimine. Avvicinò una studentessa di 9 anni, Lena Zakontnova, l’attirò in una vecchia casa che aveva appena acquistato e tentò di violentarla. Siccome la bimba sfuggiva e lottava, la soffocò e la pugnolò tre volte allo stomaco eiaculando sopra di lei, e poi scaricò il corpo in un fiume vicino. Arrestato, fu subito rilasciato grazie alla moglie, che gli fornì un alibi, e per il crimine venne condannato a morte un innocente.
Nel 1981 Chikatilo uccise la sua seconda vittima, Larisa Tkachenko, a cui mutilò il corpo e i capezzoli a morsi dopo averla picchiata a morte, e l’anno dopo massacrò la tredicenne Lyuba Biryuk, pugnalandola 22 volte prima di cavarle gli occhi. Seguì l’omicidio di Olga Stalmatsjenok, 10 anni, sventrata. Le uccisioni di Chikatilo diventarono sempre più frequenti e violente. Nel 1983, aveva ucciso almeno 20 persone riuscendo sempre a sfuggire alla giustizia.
Intanto la polizia cercava senza sosta di incastrare il serial killer che stava facendo razzia di donne e bambini, spesso vulnerabili, rastrellando autobus e stazioni ferroviarie. I migliori investigatori di Mosca si erano riuniti per trovarlo e finalmente, nel settembre del 1984, fu fermato da due agenti in borghese mentre parlava con una giovane donna alla fermata dell’autobus della sua città natale di Rostov. Quando lo perquisirono, la polizia trovò nella sua valigetta un coltello, una corda e un barattolo di vaselina. Ma non riuscirono a collegarlo a nessun delitto, e così potè continuare indisturbato ad uccidere.
I corpi venivano trovati spesso con gli organi sessuali rimossi, e si crede che Chikatilo li mangiasse non appena mutilati. Alla fine è stato catturato nel 1990 quando alcuni agenti sotto copertura lo trovarono ad avvicinare ragazzine per strada sempre con la sua valigetta da serial killer.
Confessò in tutto 36 omicidi, ammettendo di aver stuprato ogni volta i cadaveri per raggiungere l’orgasmo. È stato processato nell'aprile 1992 ed è stato accusato di 53 capi di imputazione per omicidio, cinque accuse di aggressione sessuale contro minori. Nel 1994 è stato giustiziato da un plotone di esecuzione che gli ha sparato un solo proiettile dietro l'orecchio destro.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 25 febbraio 2022.
Tutte le guardie di frontiera ucraine che proteggevano Snake Island, piccola isola nel Mar Nero, dagli invasori russi sono stati uccisi ieri dopo aver rifiutato di arrendersi alle forze di Vladimir Putin e aver detto con aria di sfida a una nave da guerra del Cremlino: "Vaffanculo!".
Il piccolo contingente di soldati, secondo quanto riferito erano in 13, è stato inviato a Snake Island nella regione di Odessa vicino alla Romania, alleata della NATO, e stava difendendo il territorio dopo che Mosca ha lanciato la sua invasione su vasta scala dell'Ucraina giovedì mattina.
In un messaggio radio, un marinaio a bordo della nave ha detto ai soldati: «Questa è una nave da guerra militare russa. Ti suggerisco di deporre le armi e di arrenderti per evitare spargimenti di sangue e perdite inutili. Altrimenti verrai bombardato». Ma le truppe ucraine si sono rifiutate con aria di sfida di rinunciare al territorio, e invece hanno risposto: «Vaffanculo!».
I soldati russi alla radio si sono sentiti mormorare la maledizione contro gli ucraini, prima che tutte le guardie di frontiera venissero uccise in un bombardamento aereo. La loro morte è stata successivamente riconosciuta dal presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky.
Un video che circola su Twitter è apparso anche per mostrare il momento in cui l'isola è stata bombardata. Mostrava un soldato ucraino che fissava una telecamera prima che un proiettile atterrasse nelle vicinanze.
Giovedì pomeriggio, il ministero dell'Interno ucraino aveva detto che Snake Island, chiamata anche Zmiinyi, era stata attaccata dalle forze russe.
L'isola è governata dall'Ucraina ma si trova a poche miglia dalla costa della Romania. Snake Island è strategicamente importante perché consentirà alla Russia di rivendicare acque territoriali che si estendono per 12 miglia nautiche al largo. Coprono importanti canali di spedizione verso le città portuali di Odessa, Mykolaiv e Kherson.
Dopo aver preso l'isola, la Russia è stata in grado di tagliare i canali marittimi, isolando l'Ucraina dai mercati internazionali e privando la sua economia di entrate commerciali vitali mentre cerca di difendersi.
Da ansa.it il 26 febbraio 2022.
"Stiamo fermando l'orda nel miglior modo possibile, la situazione a Kiev è sotto il controllo delle forze armate ucraine e dei nostri cittadini": lo ha affermato il segretario del Consiglio di sicurezza ucraino Oleksiy Danilov, secondo quanto riporta il Kyiv independent.
Le forze armate ucraine hanno dichiarato di aver respinto un "attacco" notturno dei soldati russi contro una delle loro postazioni su Victory Avenue, una delle principali arterie di Kiev.
"L'attacco è stato respinto", ha detto l'esercito ucraino, in un messaggio sul proprio account Facebook, senza fornire ulteriori dettagli sul luogo esatto di questo scontro.
Oltre 50 esplosioni e pesanti colpi di mitragliatrice sono stati segnalati nelle aree di Shulyavka e vicino allo zoo di Kiev. Sono stati anche segnalati forti spari vicino alla stazione della metropolitana Beresteiska, non lontana da una struttura militare ucraina. Lo riporta il Kyiv Independent. Scontri violenti si starebbero verificando nel sud della capitale ucraina.
Gli Stati Uniti sono pronti ad aiutare il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky a lasciare Kiev per evitare di essere catturato o ucciso dalle forze russe. "La battaglia è qui. Mi servono munizioni, non un passaggio".
Con queste parole il presidente ucraino ha rifiutato l'offerta americana. Lo riporta l'Associated Press citando fonti dell'intelligence americana. Zelensky si trova nella capitale e sta guidando personalmente la resistenza di Kiev all'invasione russa. Lo ha fatto ssapere l'emittente televisiva di Stato Dom.
Intanto i media ucraini hanno diffuso la notizia di una ennesima vittoria sulle forze russe nella capitale. La 101/a brigata ucraina ha distrutto una colonna russa formata da due auto, due camion con carri armati e un altro carro armato, neutralizzati vicino alla stazione di Beresteiska.
(…) Le perdite ucraine sarebbero circa 300, tra cui, secondo la Difesa di Londra, almeno 57 civili. Per la stessa fonte, sono circa 450 i combattenti russi uccisi, mentre Kiev evoca bilanci ben più pesanti (oltre un migliaio), in una guerra di propaganda senza fine. Il Pentagono parla di oltre 200 missili piovuti in tutto il Paese, e l'Ucraina si affida a quello che può, invitando i cittadini a respingere "gli invasori con le molotov", con tanto di istruzioni per realizzare il cocktail incendiario.
Le truppe di Mosca e le milizie paramilitari filo-russe avanzano però da tutti i fronti, con manovre a tenaglia: in Donbass, dove continua l'attacco alla città portuale di Mariupol anche con un assalto anfibio e il sindaco evoca una battaglia "non solo per l'Ucraina, ma per tutta l'Europa"; dalla Crimea verso l'oblast di Cherson, via privilegiata per la presa di Odessa e lo sbarramento degli accessi al mare; e a nord, tutt'intorno a Kiev, nel quartiere di Oblonsky e all'aeroporto militare di Gostomel, a 30 km dalla capitale, dove a conclusione di feroci combattimenti sono sbarcati i parà di Mosca.
E nella notte Kiev è ancor più stretta d'assedio, con esplosioni a intervalli di pochi minuti nei pressi della centrale elettrica CHP-6, a 14 km dal centro. In queste ore drammatiche, mentre l'Onu parla di oltre 50 mila rifugiati e teme una situazione ingestibile, l'Occidente continua a battere la strada delle sanzioni. Usa, Ue e Regno Unito colpiscono direttamente Putin e il suo ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, congelandone gli asset, e Bruxelles studia un terzo pacchetto "urgente", cercando di comporre le posizioni dei 27 intorno al nodo dell'esclusione di Mosca dal sistema Swift per i pagamenti bancari.
La Russia viene intanto estromessa dal Consiglio d'Europa e dall'Eurovision di Torino. Mentre la Nato ha invitato al suo vertice Finlandia e Svezia, scatenando la reazione del Cremlino. Tutte misure per isolare Putin e trasformarlo, come ha minacciato Biden, in un "paria sulla scena internazionale".
Estratto dell’articolo di Micol Flammini per “il Foglio” il 26 febbraio 2022.
L'esercito russo è militarmente superiore a quello ucraino, ma se Mosca voleva una guerra lampo non l'ha avuta. I russi sono entrati con i carri armati nella periferia di Kyiv, la notte è arrivata con il suono di forti esplosioni, uno degli obiettivi è una centrale termoelettrica a est di Kyiv: vogliono lasciare la città senza elettricità.
(…) Per impedire l'ingresso degli occupanti, i militari ucraini hanno fatto saltare in aria i ponti a nord di Kyiv. L'obiettivo di Mosca, che sta muovendo i suoi uomini lungo due direttrici attorno alla capitale, è circondarla. Nonostante sia riuscito a prendere la città di Kherson a sud e a incrementare le sue posizioni nella regione di Kharkiv a est, l'esercito russo avanza più lentamente del previsto.
(…) I soldati ucraini non si rivolteranno contro Zelensky, lo apprezzano per come attira l'attenzione dei partner occidentali e per essere rimasto in Ucraina. Ieri il presidente ha girato un video da una strada centrale della capitale per mostrare che la sua amministrazione non ha abbandonato i cittadini e come loro è pronta a combattere.
(…) La sensazione che non si tratti più di un conflitto limitato all'Ucraina sta crescendo nel resto del mondo. "Putin è l'aggressore", ha detto il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, annunciando l'invio di nuove armi a Kyiv e l'attivazione della Nato reponse force lungo il territorio orientale dell'Alleanza.
L'Ue e Londra invece hanno fatto una cosa simbolica ma senza precedenti: hanno deciso di congelare i beni di Putin e del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Una foto del reporter di Reuters Gleb Garanich ritrae i soldati ucraini stesi per terra ad aspettare l'arrivo dei russi.
Kyiv non può essere cancellata, e a proteggerla c'è la 112esima brigata di difesa territoriale che ieri ha ricevuto i lanciamissili anticarro Nlwa. In cielo invece vola quello che è stato chiamato il fantasma di Kyiv. Un MiG-29 che avrebbe abbattuto sei caccia russi. Un record, e protegge i cieli della capitale.
Cronache da Kryvy Rih. La città ucraina dimenticata che ha formato Volodymyr Zelensky. Alessandro Balbo su L'Inkiesta l'8 Ottobre 2022.
La metropoli, storicamente nota per la sua produzione di acciaio è comparsa nei titoli dei giornali per via dei recenti bombardamenti russi. Un lungo reportage del New Statesman ne racconta l’evoluzione dall’inizio della guerra
Distante 25 chilometri dai territori occupati di Donetsk e Luhansk, la città ucraina di Kryvyi Rih è recentemente comparsa nei titoli dei giornali per i massicci bombardamenti da parte delle forze di Mosca. Meno di un mese fa, il Cremlino aveva colpito una diga causando l’innalzamento del fiume Inhulets di due metri e mezzo, con il conseguente allagamento di diverse parti della città. Il giorno dopo, durante le riparazioni, l’impianto era stato nuovamente preso di mira. Pochi giorni fa, intorno alla mezzanotte di domenica 2 ottobre, un drone russo di costruzione iraniana ha bombardato il centro, distruggendo edifici civili.
Com’è noto, però, Kryvyi Rih diede i natali, il 25 gennaio 1978, al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La reporter ucraina Nataliya Gumenyuk, in un lungo reportage scritto per la testata The New Statesman, ha raccontato l’evoluzione della città dopo l’inizio della guerra, delineando lo stretto rapporto che la lega al presidente Zelensky e alla sua formazione.
Gumenyuk descrive come la città sia tappezzata di manifesti e tabelloni ritraenti il volto di Zelensky, a volte accompagnati dalle parole «Temete Dio e i ragazzi di Kryvyi Rih». Una frase non molto amata da uno dei personaggi di spicco della città, Andrii Shaikan, rettore dell’università di Economia e Tecnologia, in cui l’attuale presidente conseguì il suo percorso accademico. Per Shaikan, intervistato dalla giornalista, i manifesti celebrano il passato criminale della città. Un contesto che Zelensky, figlio di professori, non ha mai conosciuto: «Nessuno qui a Kryvyi Rih aveva il minimo dubbio che si sarebbe comportato così» dice a proposito della decisione del presidente di rimanere nel Paese dopo l’inizio dell’invasione. «Lasciare l’Ucraina? Mai!» dice. «Non è il modo in cui le persone fanno le cose qui». E aggiunge: «Suppongo che molti trovino non ortodosso il modo in cui governa, ma, da ciò che so su di lui e sulla sua famiglia, è uno stratega».
Shaikan andava all’università nello stesso periodo di Zelensky. Nel 2019 lo votò: «Conoscevamo le sue radici ambientali e familiari» ha raccontato al Guardian. Come molti, Zelensky crebbe parlando la lingua russa. I genitori speravano, dato l’interesse per la legge ispirato dal nonno (investigatore criminale nell’Unione Sovietica) che il figlio potesse intraprendere la carriera accademica. Ma il futuro presidente era di diverso avviso. Aveva un gusto per lo show business, e prese parte a sketch e gare di stand-up comedy. Spesso mancava alle lezioni perché era occupato sul palco, cosa di cui lui stesso si è scusato in seguito.
Il rettore, nella cui università il padre di Zelensky insegna ancora (a distanza), ricorda con Gumenyuk il presidente e la sua compagnia agli inizi della loro carriera nello spettacolo: «Se aveva fame di celebrità nelle prime fasi della sua carriera, diventare una superstar così giovane ha significato sconfiggerla decenni fa». L’autrice di The New Statesman spiega come la casa di produzione Kvartal 95 Studios, fondata da Zelensky e chiamata così in onore della piazza centrale della città, sia oggi una delle compagnie di maggior successo nell’area post-sovietica. Alcuni dei suoi dipendenti, scrive, «sono dietro ai video e alle clip che Zelensky realizza per tenere il mondo concentrato sul calvario in Ucraina».
La città di Kryvyi Rih ha 600mila abitanti, ed è conosciuta storicamente per la sua produzione di acciaio. Qui si trova l’impianto di ArcelorMittal, compagnia che produce il 20% dell’acciaio ucraino. Gumenyuk spiega che erano in molti, tra cui il consulente politico Paul Manafort (che lavorò nella campagna elettorale di Donald Trump nel 2016), a sostenere che l’est e il sud del Paese fossero nostalgici del passato sovietico. Ma dopo mesi di guerra, scrive, «a Kryvyi Rih non è proprio così».
Certo, spiegano alcuni, forse le precedenti generazioni possono essere stati, una volta, simpatizzanti, ma dopo l’invasione ciò che rimaneva di quella simpatia è svanito. I dipendenti dell’acciaieria, che prima della guerra esportava l’85% della sua produzione e ha i rifugi antibomba più resistenti della città, provano a continuare a lavorare «in modo che la città riceva un po’ di tasse, ovvero che lo Stato riceva qualcosa. Se l’Ucraina è più forte, il mondo è più al sicuro».
Come racconta il vicesindaco Serhii Milyutin a Gumenyuk, circa 20mila dei 60mila rifugiati interni presenti a Kryvyi Rih vengono dal Donbass, zona industriale, e possono quindi provare a trovare lavoro: «Gli altri 40mila arrivano dai villaggi occupati della regione di Kherson, hanno camminato a piedi, sono fuggiti attraverso i fiumi, con le bici o con altri mezzi di trasporto, e sono venuti senza niente».
Chi però comanda veramente in città è Oleksandr Vilkul, ex politico nominato da Zelensky capo dell’amministrazione militare della città, che il mattino del 24 febbraio bloccò l’enorme aeroporto con mezzi pesanti: «Gli aerei russi erano vicini, ma impossibilitati ad atterrare» spiega Vilkul. Vice primo ministro nel governo Yanukovich (poi rovesciato nel febbraio del 2014), Vilkul era contro l’ingresso del Paese nell’Unione Europea e nella Nato, ma oggi rinnega tali posizioni: «Mi sbagliavo, ma credevo veramente che la neutralità fosse garanzia di sicurezza. Ma la Russia è un aggressivo impero militare, e dobbiamo essere difesi».
VOLODYMYR ZELENSKY.
Presidenti dell'Ucraina. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il presidente dell'Ucraina (in ucraino: Президент України, traslitterato: Prezydent Ukraïny) è il capo di Stato dell'Ucraina e agisce in suo nome. Il presidente è garante della sovranità dello Stato e dell'indivisibilità territoriale, dell'osservanza della Costituzione, dei diritti umani e della libertà dei cittadini. Il presidente è eletto per voto popolare e la carica dura cinque anni.
La residenza ufficiale del presidente per scopi cerimoniali è il Palazzo Mariinskij.
Dal 20 maggio 2019 il presidente dell'Ucraina è Volodymyr Zelens'kyj, che ha assunto la carica dopo aver vinto le elezioni presidenziali.
Storia.
Il 5 luglio 1991 la Verchovna Rada della RSS Ucraina approvò una legge che istituiva la carica di Presidente della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Il titolo fu cambiato in "Presidente dell'Ucraina" a seguito della proclamazione dell'indipendenza (24 agosto 1991). Le prime elezioni presidenziali si tennero il 1º dicembre 1991.
Lista
I presidenti dell'Ucraina dal 1991 (data dell'indipendenza dell'Ucraina dall'Unione Sovietica) ad oggi sono i seguenti.
Leonid Kravčuk Indipendente 5 dicembre 1991 19 luglio 1994
Leonid Kučma Indipendente 19 luglio 1994 23 gennaio 2005
Viktor Juščenko Ucraina Nostra 23 gennaio 2005 25 febbraio 2010
Viktor Janukovyč Partito delle Regioni 25 febbraio 2010 22 febbraio 2014
Oleksandr Turčynov (ad interim) Unione Pan-Ucraina "Patria" 22 febbraio 2014
Petro Oleksijovyč Porošenko Blocco Petro Poroshenko "Solidarietà" 7 giugno 2014 20 maggio 2019
Volodymyr Zelens'kyj Servitore del Popolo 20 maggio 2019 in carica
Leonid Kravčuk. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Leonid Makarovyč Kravčuk (in ucraino: Леонід Макарович Кравчук; Velykyj Žytyn, 10 gennaio 1934 – Kyiv, 10 maggio 2022) è stato un politico ucraino. È stato il primo presidente dell'Ucraina indipendente, dal 1991 al 1994.
È morto il 10 maggio del 2022 a causa di un'insufficienza cardiaca.
Carriera politica
Dal 1989 al 1991 era a capo della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.
L'8 dicembre 1991, a nome dell'Ucraina, ha firmato con il Presidente della Federazione Russa (RSFSR) Boris Eltsin e il Presidente del Consiglio Supremo della Repubblica di Bielorussia Stanislaŭ Šuškevič l'Accordo di Belaveža per la dissoluzione dell'URSS.
Alle elezioni del 1991, è stato eletto primo Presidente dell'Ucraina indipendente.
Posizioni politiche
Si auto-definisce come un socialista e nazionalista ucraino di sinistra.
Onorificenze
Onorificenze sovietiche
Ordine della Rivoluzione d'Ottobre
Ordine della Bandiera rossa del Lavoro
Onorificenze ucraine
Ordine di Jaroslav il Saggio di V Classe — 1996
Ordine di Jaroslav il Saggio di IV Classe — 1999
Eroe dell'Ucraina. «Per il suo eccezionale contributo personale alla creazione e allo sviluppo dell'Ucraina indipendente e per la lunga attività politica e sociale» — 21 agosto 2001
Ordine di Jaroslav il Saggio di III Classe — 2004
Ordine di Jaroslav il Saggio di II Classe — 2007
Ucraina, si è spento l’ex presidente Leonid Kravchuk: aveva 88 anni. Valentina Mericio il 10/05/2022 su Notizie.it.
Viene ricordato per essere stato il primo presidente dell'Ucraina indipendente: è morto a 88 anni Leonid Kravchuk.
La sua morte è avvenuta in un periodo particolarmente doloroso per l’Ucraina ormai profondamente dilaniata dal conflitto. Leonid Kravchuk è morto all’età di 88 anni: fu il primo presidente dell’Ucraina indipendente dal 1991 al 1994. Ne ha dato notizia l’agenzia di stampa Ukrinform che ha citato una fonte della famiglia.
Con il crollo dell’Unione Sovietica il ruolo di Leonid Kravchuk fu fondamentale. La sua morte ha sconvolto un intero Paese tanto che sono stati moltissimi i messaggi di cordoglio da parte di personalità politiche e non solo come quello del deputato Rustem Umerov che su Twitter ha scritto: “Una perdita enorme.
È morto il primo presidente dell’Ucraina indipendente Leonid Kravchuk […] Le nostre preghiere sono con la famiglia”. L’ex addetta stampa dell’attuale presidente Zelensky sempre attraverso un tweet ha affermato: “Ha affrontato con orgoglio la sfida di avviare una nuova Ucraina indipendente dopo il crollo dell’URSS e ha fatto di tutto per rendere il fragile stato il paese più democratico nello spazio post-sovietico”.
Il messaggio di addio forse più doloroso è quello che è stato trasmesso dal consigliere presidenziale ucraino Anton Gerashchenko che nel suo cordoglio ha messo in evidenza l’importanza di Kravchuk nell’indipendenza ucraina: “Leonid Kravchuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, è morto oggi all’età di 88 anni. Era una figura storica e ha svolto un ruolo enorme nell’indipendenza dell’Ucraina pacificamente. Lo conoscevo personalmente. Profonde condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari”.
Stando a quanto si apprende l’ex capo di Stato ucraino sarebbe morto a seguito di una lunga malattia.
Leonid Kučma. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Leonid Danylovyč Kučma (in ucraino Леонід Данилович Кучма; Čajkyne, 9 agosto 1938) è un politico ucraino, primo ministro dal 13 ottobre 1992 al 22 settembre 1993 e presidente della Repubblica dal 1994 al 2005. La sua presidenza è stata circondata da numerosi scandali per corruzione e dalla diminuzione delle libertà dei media.
Biografia.
Leonid Kuchma è nato nel villaggio di Chaikine nell'oblast' rurale di Čhernihiv. Suo padre, Danylo Prokopovych Kuchma (1901-1942), fu ferito nella seconda guerra mondiale e alla fine morì per le ferite riportate nell'ospedale da campo n. 756 (vicino al villaggio di Novoselytsia) quando Leonid aveva quattro anni. Sua madre, Paraska Trokhymivna Kuchma, lavorava in un kolchoz. Kuchma ha frequentato la scuola di educazione generale Kostobobrove nella vicina Semenivka Raion. Successivamente si iscrisse all'Università Nazionale di Dnipropetrovsk e si laureò nel 1960 in ingegneria meccanica (specializzandosi in ingegneria aerospaziale). Lo stesso anno si unì al Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
Dopo la laurea, Kuchma ha lavorato nel campo dell'ingegneria aerospaziale per lo Yuzhnoye Design Bureau di Dnipropetrovsk. A 28 anni divenne direttore dei test per il Bureau schierato al cosmodromo di Baikonur. Alcuni osservatori politici hanno sostenuto che la carriera iniziale di Kuchma fu significativamente influenzata dal suo matrimonio con Lyudmila Talalayeva, una figlia adottiva di Gennadiy Tumanov, il capo ingegnere di Yuzhmash e in seguito ministro sovietico della costruzione di macchine medie.
A 38 anni Kuchma divenne capo del partito comunista presso la Yuzhny Machine-building Plant e membro del Comitato Centrale del Partito Comunista d'Ucraina. Fu delegato del 27º e 28º Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Alla fine degli anni 1980, Kuchma criticò apertamente il Partito Comunista.
Nel 1982 Kuchma è stato nominato primo vice ingegnere progettista generale presso Yuzhmash e dal 1986 al 1992 ha ricoperto la posizione di direttore generale dell'azienda.
Primo ministro dell'Ucraina
Dal 1990 al 1992, Kuchma è stato membro della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino). Nel 1992 è stato nominato primo ministro dell'Ucraina. Si dimise un anno dopo, lamentando "il lento ritmo delle riforme". Fu rieletto in parlamento nel 1994.
Presidente dell'Ucraina (1994–2005)
Kuchma si dimise dalla carica di primo ministro nel settembre 1993 per candidarsi alla presidenza nel 1994 su una piattaforma per rilanciare l'economia ripristinando le relazioni economiche con la Russia e riforme più rapide a favore del mercato. Kuchma ottenne una chiara vittoria contro il presidente in carica Leonid Kravchuk, ricevendo un forte sostegno dalle aree industriali dell'est e del sud. I suoi peggiori risultati sono stati nell'ovest del paese.
Kuchma è stato rieletto nel 1999 per il suo secondo mandato. Questa volta le aree che in precedenza gli avevano dato il sostegno più forte votarono per i suoi avversari, mentre le aree che avevano votato contro di lui, questa volta, lo sostennero.
Durante la sua presidenza, Kuchma chiuse i giornali dell'opposizione e diversi giornalisti morirono in circostanze misteriose. Secondo lo storico Serhy Yekelchyk, l'amministrazione del presidente Kuchma "ha impiegato liberamente frodi elettorali" durante il referendum costituzionale del 2000 e le elezioni presidenziali del 1999.
Il 15 dicembre 2000 spinse personalmente il pulsante per lo spegnimento dell'ultimo reattore funzionante della centrale nucleare di Černobyl', facendo cessare ogni attività dell'impianto.
Nel maggio 2002 Kuchma ha avanzato formale richiesta di adesione alla NATO, con la quale l'Ucraina collaborava dal 1997, ma al tempo stesso ha preso le distanze dagli USA sulla questione della guerra al terrorismo e della guerra all'Iraq.
Vita privata
Nel 1967, Kuchma sposò Lyudmyla Talalayeva.
Onorificenze
Onorificenze sovietiche
Ordine della Bandiera rossa del Lavoro — 1976
Onorificenze straniere
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al merito della Repubblica italiana (Italia) — 3 maggio 1995
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 1996
Collare dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 4 ottobre 1996
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 maggio 1997
Grande Stella dell'Ordine al Merito della Repubblica Austriaca (Austria) — 1998
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Granduca Gediminas (Lituania) — 1998
Ordine del Servizio Distinto (Uzbekistan) — 1998
Ordine dell'Aquila d'Oro (Kazakistan) — 7 settembre 1999
Medaglia "Astana" (Kazakistan)
Gran Collare dell'Ordine dell'Infante Dom Henrique (Portogallo) — 3 febbraio 1999
Medaglia "Betlemme 2000" (Autorità Nazionale Palestinese) — 2000
Collare dell'Ordine della Stella di Romania (Romania) — 2000
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 2003
Ordine al merito per la Patria di I Classe (Russia). «Per il suo grande contributo personale al rafforzamento dell'amicizia e della cooperazione tra i popoli della Russia e dell'Ucraina» — 20 aprile 2004
Petro Oleksijovyč Porošenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Petro Oleksijovyč Porošenko (in ucraino: Петро Олексійович Порошенко; Bolhrad, 26 settembre 1965) è un imprenditore e politico ucraino, è stato il quinto presidente dell'Ucraina dal 2014 al 2019, Ministro degli Affari Esteri dal 2009 al 2010 e Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico nel 2012. Dal 2007 al 2012 ha diretto il Consiglio della Banca Nazionale dell'Ucraina. È stato eletto presidente il 25 maggio 2014, ricevendo il 54,7% dei voti espressi al primo turno, vincendo così a titolo definitivo ed evitando il ballottaggio. Durante la sua presidenza, Poroshenko ha guidato il paese attraverso la prima fase della crisi russo-ucraina, spingendo le forze ribelli più in profondità nella regione del Donbass. Ha iniziato il processo di integrazione con l'Unione europea firmando l'accordo di associazione Unione europea-Ucraina..
La politica interna di Poroshenko ha promosso la lingua ucraina, il nazionalismo, il capitalismo inclusivo, la decomunizzazione e il decentramento amministrativo. Nel 2018, Poroshenko ha contribuito a creare la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, separando le chiese ucraine dal Patriarcato di Mosca. La sua presidenza è stata distillata in uno slogan di tre parole, impiegato sia dai sostenitori che dagli oppositori: "armiia, mova, vira" (ovvero: militare, lingua, fede).
Come candidato per un secondo mandato nel 2019, Poroshenko ha ottenuto il 24,5% al secondo turno, venendo sconfitto da Volodymyr Zelens'kyj. Non c'era un vero consenso nella comunità di esperti sul perché Poroshenko avesse perso, con opinioni che andavano dall'opposizione all'intensificarsi del nazionalismo, all'incapacità di arginare la corruzione, all'insoddisfazione delle regioni di lingua russa trascurate con la sua presidenza, all'insoddisfazione per gli intensi conflitti di Poroshenko con altri politici filo-occidentali, come Andriy Sadovyi e l'ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili (con quest'ultimo costretto a lasciare l'Ucraina) e l'ascesa del filo-russo Viktor Medvedčuk; Radio Free Europe/ Radio Liberty e l'attivista anti-corruzione Denys Bihus hanno accusato Poroshenko e Medvedchuk di "lavorare segretamente insieme".
Poroshenko è un deputato popolare della Verkhovna Rada e leader del partito Solidarietà Europea. Al di fuori del governo, Poroshenko è stato un importante oligarca ucraino con una carriera redditizia nell'acquisizione e nella costruzione di beni. I suoi marchi più riconosciuti sono Roshen, l'azienda dolciaria su larga scala che gli è valsa il soprannome di "Chocolate King", e, fino alla sua vendita nel novembre 2021, il canale di notizie televisive 5 kanal. È considerato un oligarca a causa della scala delle sue partecipazioni imprenditoriali nei settori manifatturiero, agricolo e finanziario, della sua influenza politica che includeva diversi periodi nel governo prima della sua presidenza e della proprietà di un influente mass-media.
Biografia
Laureato in economia nel 1989 presso l'Università di Kiev, Petro Porošenko crea una società di commercio di semi di cacao. Nel 1990 prende il controllo di diverse società dolciarie e si unisce al gruppo Roshen, diventando il più grande produttore di dolciumi in Ucraina. Il suo successo nel settore del cioccolato gli vale il soprannome di "re del cioccolato" .
Porošenko in seguito ha diversificato le sue attività: possiede diversi stabilimenti produttivi (automobili e autobus), il cantiere Lenins'ka Kuznja, il canale televisivo Kanal 5 e la rivista Korrespondent. Secondo la rivista Forbes sarebbe uno degli uomini più ricchi d'Ucraina: il suo patrimonio è stimato in 1,3 miliardi di dollari statunitensi.
Politica
Eletto per la prima volta nel 1998 nella Verchovna Rada, il parlamento ucraino, si iscrisse al Partito Socialdemocratico ucraino (SPDU), fedele al presidente dell'Ucraina Leonid Kučma al tempo. Lascerà il partito per fondare un movimento di centro-sinistra chiamato Solidarietà, rivestendo anche un ruolo fondamentale nella nascita del Partito delle Regioni, fedele sempre a Kučma e alle posizioni filo-russe, ma senza portare Solidarietà a fondersi con esso.
Rotto con Kučma, dopo gli scandali di corruzione del suo governo e una politica troppo spostata verso est, decide di appoggiare la campagna di Viktor Juščenko e della sua coalizione Ucraina Nostra, gruppo di opposizione. Rieletto nel 2002 in Parlamento con Nostra Ucraina con enorme consenso, fu presidente della Commissione Bilancio, dove venne accusato anche di evasione per una somma pari a circa 9 milioni di dollari, che indebolirono molto la sua immagine e quella del suo partito. Ciononostante nel 2005, dopo un voto caratterizzato da incertezza e proteste, Viktor Juščenko fu eletto presidente dell'Ucraina.
Porošenko è stato uno dei più stretti collaboratori durante l'avvelenata campagna elettorale del presidente Juščenko, il quale è il padrino delle sue figlie. Fu il primo finanziatore della sua campagna e della rivoluzione arancione, che lo portarono alla presidenza. Pertanto appena proclamato presidente, Juščenko lo nomina segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina.
In questi anni tuttavia entrò spesso in conflitto con l'allora primo ministro dell'Ucraina Julija Tymošenko, anche lei vicinissima al presidente sulla privatizzazione delle imprese stradali. Porošenko fu accusato di aver favorito l'amico magnate ucraino Viktor Pinčuk nell'acquisto di una fabbrica di ferro per soli 70 milioni di dollari invece che 1.000 milioni. A causa degli scandali il presidente Juščenko ha dimissionato l'intero governo, compreso Tymošenko e Porošenko. Tuttavia la procura ha respinto un abuso di potere investigativo contro l'ex segretario del Consiglio di difesa, Juščenko ha rimosso ingiustificatamente Svjatoslav Piskun come procuratore generale dell'Ucraina, che ha accusato pressioni dall'alto per indagare la Tymošenko e chiudere l'indagine su Porošenko.
Nuovamente rieletto al Parlamento nel 2006, sempre con il Blocco Ucraina Nostra, diventa presidente della Commissione Finanze e Banche. Porošenko che aspirava alla carica di presidente del Parlamento ucraino fu scartato quando il Partito Socialista ucraino entrò nell'Alleanza Nazione Unità, il blocco filosovietico, con la promessa che il loro leader Oleksandr Moroz, già presidente della Rada, sarebbe stato rieletto. Tale svolta determinò anche una nuova maggioranza parlamentare che esautorò dal governo Ucraina Nostra di Porošenko e Blocco Tymošenko.
Decise quindi di non correre alle elezioni parlamentari anticipate del 2007. In compenso divenne presidente del Consiglio della Banca dell'Ucraina, di cui sarà consigliere dal 2007 al 2012.
Ministro degli Esteri
Il 7 ottobre 2009 il presidente Juščenko lo nomina ministro degli Esteri nel secondo governo Tymošenko venendo rinominato anche membro del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina (dove, dopo quattro anni, fu rimosso a seguito degli scandali che porteranno alla fine del primo governo Tymošenko). È stato uno dei più fervidi sostenitori di una entrata dell'Ucraina nella NATO. Con la vittoria di Viktor Janukovyč alla presidenza dell'Ucraina nel 2010 rassegna le sue dimissioni da ministro degli Esteri. Lo stesso presidente non ha escluso di continuare la collaborazione con lui ribadendogli la sua stima.
Il ministro degli esteri Petro Poroshenko al Senato polacco con l'ex primo ministro greco George Papandreou, dicembre 2009
Tra marzo e dicembre 2012 entra nel governo Azarov del presidente filo-russo Yanukovich. Egli stesso ha dichiarato di aver accettato la nomina per contribuire a portare più vicina l'Ucraina all'Europa e ottenere il rilascio dell'ex premier Julija Tymošenko dalla sua prigionia. Lasciato l'incarico viene rieletto con oltre il 70% nel Parlamento ucraino nel 12 distretto di oblast' di Vinnycja come indipendente, decidendo di non iscriversi ad alcun gruppo parlamentare, ma rappresentare soltanto le sue idee. Si iscrive alla Commissione per l'integrazione europea.
Nel 2013 annuncia di voler candidarsi come sindaco di Kiev nelle amministrative dello stesso anno.
È stato uno dei principali sostenitori, soprattutto economici, della protesta Euromaidan, mentre la parte armata è stata garantita dal movimento nazionalista radicale Pravyj Sektor, che ha portato alla caduta del presidente filo-russo Yanukovich e ad un avvicinamento dell'Ucraina verso l'Unione Europea dal 25 maggio 2014. Rifiuta di entrare nel governo del nuovo primo ministro ad interim, nato dopo la cacciata del presidente, presieduto da uno dei leader delle proteste Arsenij Jacenjuk (vi entrerà il collega di partito Volodymyr Hrojsman, sindaco di Vinnycja, nominato vicepremier e ministro per gli Affari regionali), evitando inoltre colloqui tra il presidente Janukovyč e i rappresentanti dei manifestanti per contrattare la soluzione. È stato uno dei pochi politici ucraini ad andare in Crimea per sollecitare un compromesso che evitasse il referendum di annessione alla Russia parlando direttamente nel parlamento di Crimea venendo interrotto dalle proteste.
Presidente dell'Ucraina
Annuncia la sua candidatura come indipendente alle presidenziali per scegliere il nuovo presidente dopo la deposizione di Janukovyč. Il pugile Vitalij Klyčko, uno dei leader di Euromaidan, rinuncia alla corsa presidenziale per appoggiare Porošenko ricevendo l'appoggio di quest'ultimo alla corsa come sindaco di Kiev. Dato in netto vantaggio da tutti i sondaggi con oltre il 40% il 25 maggio è eletto presidente dell'Ucraina al primo turno con ben il 54,7%, pari a 9.857.308 voti (la principale avversaria l'ex primo ministro e rivale di Porošenko Julija Tymošenko, appena tornata libera dopo anni di prigionia grazie alla protesta, appoggiata da Bat'kivščyna, ha ottenuto solo il 12,81% pari a 2.310.085, riconoscendo la vittoria piena e legittima all'avversario). Il neopresidente ha ottenuto percentuali tra il 52% e il 67% delle regioni occidentali (filo-europee), mentre soltanto il 30-35% nelle regioni orientali (filo-russe), venendo invece le elezioni boicottate in Crimea e nelle autoproclamate repubbliche di Luhans'k e Donec'k. La sua posizione espressa in campagna elettorale è volta ad una politica di dialogo con la Russia nel rispetto della sovranità e integrità dello Stato dell'Ucraina.
Il 27 giugno 2014 il presidente dell'Ucraina Porošenko ha firmato l'accordo di associazione tra UE ed Ucraina (causa dello scoppio di Euromaidan) definendolo "un giorno storico" insieme ai presidenti di Georgia e Moldavia, ribadendo inoltre l'intenzione di Kiev di entrare nella NATO. Il 16 settembre, il Parlamento europeo ha ratificato a stragrande maggioranza con 535 sì, 127 no e 35 astenuti la sottoscrizione che è entrata in vigore dal 1º gennaio 2016.
Il 5 maggio 2015 ha promulgato diverse Leggi sui monumenti commemorativi tra cui la rimozione di tutti i monumenti comunisti entro sei mesi, nonché l'obbligo di rinominare qualsiasi strada o spazio pubblico con un riferimento al comunismo, e punire la promozione delle idee comuniste.
Le leggi non fanno distinzione tra il regime nazista e quello sovietico e includono una condanna dei loro simboli e della loro propaganda. Esse prevedono anche il riconoscimento da parte del paese di chiunque abbia combattuto per l'indipendenza dell'Ucraina durante il XX secolo, compresa l'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e l'Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha preso parte allo sterminio degli ebrei in Ucraina e ha massacrato decine di migliaia di polacchi durante la seconda guerra mondiale. Entrambe le organizzazioni sono ora onorate con un tributo nazionale il 14 ottobre.
Nel 2015, con quasi tutte le posizioni di responsabilità detenute dai suoi sostenitori, le sue azioni sono state ampiamente contestate e il suo indice di popolarità è sceso sotto il 20%. Negli ultimi due anni del suo mandato, l'Istituto Gallup riferisce che l'Ucraina ha la più bassa fiducia nel suo governo al mondo. La sua fortuna è aumentata di 400 milioni di dollari tra il 2012 e il 2020, mentre il paese sprofondava nella crisi economica.
Vita privata.
Maryna Poroshenko (in blu) con alcuni suoi figli nel 27º anniversario del Giorno dell'indipendenza dell'Ucraina, 24 agosto 2018
Porošenko è sposato dal 1984 con la dottoressa e attivista europeista Maryna Porošenko (nata Perevedenceva). La coppia ha quattro figli: Oleksii (nato nel 1985), le gemelle Yevheniia e Oleksandra (nate nel 2000) e Mykhailo (nato nel 2001). Olesksij è stato eletto nel 2014 deputato dell'Ucraina.
Maryna Poroshenko è una cardiologa che non prende parte alla vita pubblica, con l'eccezione della sua partecipazione alle attività della "Petro Poroshenko Charity Foundation". Poroshenko è diventato nonno il giorno della sua inaugurazione presidenziale il 7 giugno 2014.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Presidente dell'Ucraina è stato dal 7 giugno 2014 al 20 maggio 2019 Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 7 giugno 2014
Personalmente è stato insignito dei seguenti titoli di:
Ordine al Merito di III Classe — 9 dicembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 24 settembre 1999
Onorificenze straniere
Collare dell'Ordine del Re Abd al-Aziz (Arabia Saudita) — 1º novembre 2017
Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 7 dicembre 2018
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 20 novembre 2014
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 dicembre 2014
Ordine per meriti eccezionali (Slovenia) — 8 novembre 2016
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 29 gennaio 2010
Viktor Juščenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Viktor Andrijovyč Juščenko (in ucraino: Віктор Андрійович Ющенко, in traslitterazione anglosassone Viktor Yushchenko; Choruživka, 23 febbraio 1954) è un politico ucraino, presidente dell'Ucraina dal 2005 al 2010.
In qualità di uno dei leader informali della coalizione di opposizione ucraina, fu uno dei due principali candidati alle elezioni presidenziali del 2004. Juščenko vinse le elezioni dopo che furono ripetute, battendo Viktor Janukovyč, il candidato sostenuto dal governo. La Corte Suprema Ucraina stabilì la ripetizione delle elezioni a causa dei ripetuti brogli in favore di Janukovyč al secondo turno. Juščenko, in occasione del nuovo svolgimento delle elezioni, vinse con il 52% dei voto contro il 44% del suo avversario; le proteste pubbliche svoltesi a causa dei brogli giocarono un importante ruolo nella sua elezione presidenziale e portarono alla rivoluzione arancione.
Gioventù.
Viktor Juščenko nacque il 23 febbraio 1954 a Choruživka, nell'Oblast' di Sumy in Ucraina, da una famiglia di insegnanti. Il padre, Andrij Andrijovyč Juščenko (1919–1992), combatté durante la seconda guerra mondiale, dove le forze tedesche lo catturarono e lo rinchiusero in diversi campi di concentramento in Polonia e Germania, tra cui ad Auschwitz, come prigioniero di guerra. Sopravvisse allo sterminio e, dopo essere tornato a casa, insegnò inglese nelle scuole locali. La madre di Viktor, Varvara Tymofiyovna Juščenko (1918–2005), insegnò fisica e matematica nella stessa scuola.
La Banca Centrale.
Juščenko iniziò la carriera nel sistema bancario nel 1976; nel 1983 divenne Vice Direttore per il Credito Agrario presso l'Ufficio della Repubblica Ucraina della Banca di Stato dell'URSS. Dal 1990 al 1993 funse da primo vice presidente della Banca dell'Agricoltura JSC Ukraina. Nel 1993 Juščenko fu nominato Presidente della Banca Nazionale dell'Ucraina (la banca centrale ucraina). Nel 1997, il Parlamento dell'Ucraina lo rinominò capo della banca.
Nel suo ruolo da banchiere, Juščenko giocò un importante ruolo nella creazione della valuta nazionale dell'Ucraina, la grivnia, e nell'istituzione di un sistema moderno di regolazione del sistema bancario commerciale. Riuscì anche a superare l'ondata debilitante dell'iperinflazione che colpì la nazione – egli fu in grado di abbassarla dal 10 000% a meno del 10% – e riuscì a difendere il valore della valuta a seguito della crisi finanziaria russa del 1998.
Nel 1998, scrisse una tesi intitolata "Lo sviluppo dell'offerta e della domanda di denaro in Ucraina" e la discusse presso l'Accademia Economica Ucraina. Ciò gli valse il dottorato in economia.
Primo ministro.
Nel dicembre 1999, il Presidente Leonid Kučma nominò a sorpresa Juščenko alla carica di Primo ministro, dopo che il Parlamento non riuscì a ratificare, per un voto, il precedente candidato Valerij Pustovojtenko.
Durante il premierato di Juščenko l'economia ucraina migliorò; il suo governo, e in particolare il vice Primo Ministro Julija Tymošenko, si trovarono subito in conflitto con gli influenti capi delle industrie del carbone e del gas naturale. Il conflitto causò un voto di sfiducia nel 2001 da parte della Verchovna Rada, orchestrato dal Partito Comunista d'Ucraina, che si era opposto alle politiche economiche di Juščenko, ma anche dai gruppi centristi associati con i potenti oligarchi nazionali. Il voto passò con 263 contro 69 e Juščenko dovette pertanto lasciare la carica di Primo Ministro.
Molti ucraini videro la caduta di Juščenko con disappunto, e raccolsero quattro milioni di firme per una petizione in suo sostegno e contro il voto parlamentare. I sostenitori organizzarono anche una grande manifestazione a Kiev, la capitale dell'Ucraina. Juščenko tenne un commovente discorso davanti alla folla, promettendo che sarebbe ritornato.
Leader di Ucraina Nostra
Nel 2002 Juščenko divenne capo della coalizione politica Ucraina Nostra (Naša Ukrajina), che ricevette un gran numero di seggi alle elezioni della Verchovna Rada. Tuttavia, il numero di seggi non era sufficiente a formare una maggioranza, e gli sforzi di formare un governo con gli altri partiti di opposizione fallì. Da allora, Juščenko è il leader e il volto della fazione parlamentare "Ucraina Nostra".
Juščenko è stato considerato come leader moderato dell'opposizione anti-Kučma, in quanto gli altri partiti di opposizione erano troppo poco influenti e avevano pochi seggi in Parlamento.
Dalla fine del suo mandato da Primo Ministro, Juščenko è divenuto una figura politica carismatica tra gli ucraini delle regioni occidentali e centrali della nazione. Dal 2001 al 2004, il suo tasso di popolarità è stato maggiore di quello del Presidente dell'epoca, Leonid Kučma.
Come politico, Viktor Juščenko è visto come coacervo di sentimenti filo-occidentali e nazionalismo moderato. Cerca di portare l'Ucraina in direzione dell'Europa e della NATO, promuovendo le riforme di libero mercato, riformando la sanità, l'istruzione e il sistema sociale, preservando la cultura ucraina, ricostruendo importanti monumenti storici e ricordando la storia ucraina, tra cui il presunto genocidio di Holodomor del 1932-33. I suoi oppositori (e alleati) talvolta lo criticano per l'indecisione e la segretezza; è anche accusato di non essere in grado di formare una squadra di governo senza scontri al suo interno.
Da quando è divenuto Presidente dell'Ucraina, Viktor Juščenko è leader onorario di "Ucraina Nostra". Alle elezioni parlamentari del 2006 il partito, condotto dall'allora Primo Ministro Jurij Jechanurov, ricevette meno del 14% dei voti e si piazzò al terzo posto dopo il Partito delle Regioni e il Blocco Julija Tymošenko. Nel 2008, la popolarità di Juščenko è crollata a meno del 10%, anche a causa delle ripetute crisi politiche (del 2007 e del 2008).
Elezioni presidenziali del 2004.
Nel 2004, al termine del mandato del Presidente Leonid Kučma, Juščenko annunciò che sarebbe stato candidato alla presidenza come indipendente; il suo principale rivale era l'allora Primo ministro Viktor Janukovyč. Sin dal proprio mandato da premier, Juščenko aveva leggermente modernizzato la propria base politica, aggiungendo slogan sociali e liberali ad altre idee di integrazione europea, tra cui l'adesione dell'Ucraina alla NATO e la lotta alla corruzione politica. I sostenitori di Juščenko si organizzarono nella coalizione elettorale "Syla Narodu" ("Potere al Popolo"), guidata dal candidato presidente, con Ucraina Nostra come principale forza costituente.
Juščenko fondò la propria campagna elettorale nella comunicazione con il votante, dato che il governo impediva ai principali canali televisivi di garantire uguali opportunità ai candidati. Nel frattempo, il principale rivale, Janukovyč, appariva frequentemente in televisione e accusava Juščenko, il cui padre era stato un soldato dell'Armata Rossa imprigionato al campo di concentramento di Auschwitz, di essere nazista.
Avvelenamento alla diossina.
Nel corso del 2004, Juščenko cominciò a soffrire di una misteriosa patologia, il suo volto divenne gonfio e segnato da una pesante eruzione cutanea con eritema ed eczema molto evidenti, che gli lasciò cicatrici permanenti. Il tossicologo britannico John Henry dell'St Mary's Hospital di Londra dichiarò che i cambiamenti nel volto di Juščenko erano stati causati da cloracne, risultato di avvelenamento per diossina. Il tossicologo olandese Bram Brouwer trovò tracce di diossina nel sangue di Juščenko in quantità 6.000 volte superiori alla normalità e stabilì anche lui che i cambiamenti nel suo aspetto erano stati causati da cloracne. In particolare questo fenomeno cutaneo è causato solitamente dall'esposizione prolungata, sia a contatto che per inalazione o ingestione, ad alcuni composti alogenati ed in particolare diossine come la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD).
Secondo la testimonianza diretta di Juščenko l'avvelenamento si sarebbe verificato per ingestione, durante una cena con i servizi di sicurezza ucraini, in relazione all'ultima portata, servita quella sera - a differenza delle altre - in monoporzioni. Dopo l'identificazione del particolare tipo di diossina impiegato, lo staff di Juščenko inviò una richiesta rispettivamente ai quattro laboratori al mondo in grado di produrlo, sull'effettiva provenienza della diossina utilizzata per il suo avvelenamento; dei riscontri pervennero da tutti i laboratori, tranne che da quello moscovita. Dopo pochi giorni dall'avvelenamento qualcuno dei componenti dei servizi di sicurezza presenti quella sera con il presidente Juščenko avrebbe lasciato l'Ucraina, per recarsi a vivere stabilmente in Russia.
Dal 2005, Juščenko si sottopone a cure effettuate da un team di dottori diretti dal Professore Jean Saurat all'Università dell'Ospedale di Ginevra. Saurat ha recentemente pubblicato dei rapporti accademici riguardanti il metabolismo della diossina nel corpo umano.
Nel giugno 2008, David Zvania, ex alleato politico di Juščenko ed ex ministro del governo di Julija Tymošenko, sostenne in un'intervista concessa alla BBC che Juščenko non era stato avvelenato nel 2004, ma che soffriva di pancreatite acuta in seguito a un semplice avvelenamento accidentale da cibo, e che quindi i test di laboratorio erano stati falsificati, senza però presentare alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni.
I tre turni di voto senza precedenti.
Il voto iniziale, tenutosi il 31 ottobre 2004, vide Juščenko ottenere il 39,87% dei voti contro il 39,32% di Viktor Janukovyč. Dato che nessun candidato raggiunse la soglia del 50% prevista per la nomina immediata, si tenne il secondo turno elettorale il 21 novembre 2004, a cui accedettero i candidati che avevano raggiunto le prime due posizioni al primo turno: Juščenko e Janukovyč. L'affluenza a questo secondo turno raggiunse il 75% dei votanti, ma furono riportati casi di irregolarità e abusi, come voti multipli e voti extra assegnati a Janukovyč dopo la chiusura delle urne. Gli exit poll misero Juščenko in vantaggio nelle regioni occidentali e centrali della nazione.
La supposta frode elettorale, combinata col fatto che gli exit poll davano un margine di vittoria consistente per Juščenko (in alcuni casi l'11%), numero che si rivelò molto diverso dal risultato definitivo (una vittoria del 3% per Janukovyč), spinsero Juščenko e i suoi sostenitori a non accettare i risultati ufficiali.
Dopo tredici giorni di proteste popolari a Kiev e in altre città ucraine, che divennero conosciute con il nome di rivoluzione arancione, i risultati delle elezioni furono annullati dalla Corte Suprema, e il 26 dicembre si tenne la ripetizione del secondo turno elettorale. Juščenko proclamò la vittoria dell'opposizione e dichiarò la sua certezza che sarebbe stato eletto con almeno il 60% dei voti. Egli effettivamente vinse il "terzo turno", ma con il 52% dei voti.
Presidenza.
Investitura.
Il 23 gennaio 2005, alle 12, si svolse la cerimonia di investitura di Viktor Juščenko come Presidente dell'Ucraina. All'evento parteciparono diversi importanti politici stranieri, tra cui:
Arnold Rüütel, Presidente dell'Estonia
Adrienne Clarkson, Governatore generale del Canada
Vaira Vīķe-Freiberga, Presidente della Lettonia
Vladimir Voronin, Presidente della Moldavia
Aleksander Kwaśniewski, Presidente della Polonia
Traian Băsescu, Presidente della Romania
Ivan Gašparovič, Presidente della Slovacchia
Ferenc Mádl, Presidente dell'Ungheria
Artur Rasizade, Primo Ministro dell'Azerbaijan
Jan Peter Balkenende, Primo Ministro dei Paesi Bassi
Jaap de Hoop Scheffer, Segretario Generale della NATO
Nino Burjanadze, Presidente del Parlamento della Georgia
Artūras Paulauskas, Presidente del Seimas (Parlamento della Lituania)
Colin Powell, Segretario di Stato degli Stati Uniti
Ospite speciale Václav Havel, ex Presidente della Repubblica Ceca
Presidenza.
I primi cento giorni del mandato di Juščenko, dal 23 gennaio al 1º maggio 2005, furono segnati da diversi licenziamenti e nomine a tutti i livelli dell'esecutivo. Julija Tymošenko divenne Primo ministro a seguito dell'approvazione della Verchovna Rada; Oleksandr Zinčenko fu nominato capo del segretariato presidenziale con il titolo nominale di Segretario di Stato. Petro Porošenko, rivale della Tymošenko per la carica di capo del governo, fu nominato Segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa.
Nell'agosto 2005 Juščenko si unì al Presidente della Georgia Mikheil Saakašvili nella firma della Dichiarazione Borjomi, che prevedeva la creazione di un'istituzione di cooperazione internazionale, la Comunità di Scelta Democratica, per unire le democrazie (anche quelle incipienti) della regione intorno al Mar Baltico, Mar Nero e Mar Caspio. Il primo incontro dei presidenti e dei capi per discutere la CSD si tenne il 1º-2 dicembre 2005 a Kiev.
Crisi del 2008.
La coalizione del Blocco Julija Tymošenko e di Blocco Ucraina Nostra - Autodifesa Popolare di Viktor Juščenko è stata minata a causa delle diverse opinioni riguardo alla guerra in Ossezia del Sud scoppiata nell'agosto 2008 tra Georgia e Russia. Julija Tymošenko non ha concordato con la condanna di Juščenko verso la Russia ed ha preferito restare neutrale sull'argomento. Juščenko l'ha pertanto accusata di assumere una posizione più morbida per ottenere il sostegno della Russia alle future elezioni presidenziali del 2010; Andrij Kyslynskij, vicepresidente, è arrivato quasi a definirla "traditrice".
Il premier Julija Tymošenko insieme all'allora Presidente della Russia Dmitrij Medvedev e al Primo ministro Vladimir Putin, durante un colloquio riguardo alla disputa russa-ucraina sul gas, 17 gennaio 2009.
Secondo il Blocco Julija Tymošenko, il Capo Staff del Segretariato Presidenziale Viktor Baloha aveva sempre criticato il premier, accusandola di qualsiasi fatto, dal non essere sufficientemente religiosa al danneggiamento dell'economia fino alle accuse secondo le quali la Tymošenko stava progettando un assassinio ai suoi danni; l'accusa di tradimento verso la Georgia era quindi solo l'ultima delle ultime rivolte al premier.
Dopo che il Blocco Julija Tymošenko ha votato insieme al Partito Comunista d'Ucraina e il Partito delle Regioni per approvare una legislazione atta a facilitare la procedura di messa in stato di accusa del Presidente e per limitare i poteri del Presidente, aumentando quelli del Primo Ministro, il blocco di Viktor Juščenko si è posto fuori dalla coalizione e Juščenko stesso ha promesso di porre il veto sulla legge ed ha minacciato un'elezione in caso di mancata formazione di un'altra nuova coalizione. Ciò ha portato alla crisi politica del 2008 culminata con lo scioglimento del Parlamento avvenuto l'8 ottobre 2008.
Mentre era in visita in Italia, Juščenko annunciò le terze elezioni in meno di tre anni in un discorso pre-registrato per la televisione ucraina. La crisi si è conclusa quando la coalizione arancione è stata riportata in vigore il 9 dicembre 2008, con l'inclusione del Blocco di Lytvyn; questo è avvenuto dopo che Volodymyr Lytvyn è stato eletto Presidente del Parlamento. Lo svolgimento delle elezioni è quindi stato definito, dal Presidente stesso, una soluzione irragionevole.
Elezioni presidenziali 2010.
Il 17 gennaio, al primo turno delle elezioni presidenziali del 2010, Viktor Juščenko è stato sconfitto ricevendo solo 5,45% dei voti. È arrivato quinto dopo Viktor Janukovyč e Julija Tymošenko, che sono andati al ballottaggio il 7 febbraio 2010, con 1.341.539 preferenze secondo la Commissione elettorale ucraina. “L'Ucraina è una democrazia europea”, ha dichiarato il presidente in una sorta di testamento politico all'uscita dal seggio. “È una nazione libera ed un popolo libero”. Questo, secondo il leader ucraino, è uno dei principali risultati ottenuti dalla rivoluzione arancione. Nei giorni dopo il voto il presidente uscente ha osservato che “l'Ucraina non ha una scelta decente” per il suo successore. “Ambedue i candidati sono lontani dai valori nazionali, europei e democratici. Non vedo differenze tra loro”.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
Insegna Presidenziale Onorifica — 1996
Onorificenze straniere.
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 11 aprile 2005
Commendatore di Gran Croce dell'Ordine della Rosa Bianca (Finlandia) — 2006
Commendatore di Gran Croce con Collare dell'Ordine delle Tre Stelle (Lettonia) — 2006
Gran Collare dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 14 novembre 2006
Premio Quadriga — 2006
Cavaliere di Gran Croce del Grand'Ordine del Re Tomislavo (Croazia). «Per l'eccezionale contributo alla promozione dell'amicizia e della cooperazione allo sviluppo tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Ucraina.» — Zagabria, 6 giugno 2007
Cavaliere dell'Ordine dei Serafini (Svezia) — ottobre 2008
Ordine di Ismail Samani di I Classe (Tagikistan) — 2008
Gran Croce con Collare dell'Ordine al Merito della Repubblica ungherese (Ungheria) — 2008
Ordine di Heydər Əliyev (Azerbaigian) — 21 maggio 2008
Compagno d'Onore Onorario con Collare dell'Ordine Nazionale al Merito (Malta) — 9 luglio 2008
Gran Croce dell'Ordine della Polonia Restituta (Polonia) — 2009
Ordine di San Giorgio della Vittoria (Georgia) — 19 novembre 2009
Ordine del Vello d'Oro (Georgia) — 2009
Viktor Janukovyč. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Viktor Fedorovyč Janukovyč, in ucraino: Віктор Федорович Янукович; in russo: Виктор Фёдорович Янукович - Viktor Fёdorovič Janukovič (Jenakijeve, 9 luglio 1950), è un politico ucraino naturalizzato russo, presidente dell'Ucraina dal 2010 al 2014.
Ha ricoperto la carica di Primo ministro per tre volte: dal 2002 al 2004, dal 2004 al 2005 e dal 2006 al 2007. È stato anche il leader del Partito delle Regioni, che era uno dei principali partiti del paese.
Fu governatore della sua regione natale, l'oblast' di Donec'k, dal 1997 al 2002, e uno dei candidati alle elezioni presidenziali del 2004; sconfitto da Viktor Juščenko, è in seguito tornato a occupare la carica di Primo ministro (dal 10 agosto 2006 al 18 settembre 2007). Nel 2010 ha vinto le elezioni presidenziali contro la sfidante Julija Tymošenko, fino al suo esautoramento nel 2014.
Biografia.
Gioventù e ideali.
Viktor Janukovyč nacque nel villaggio di Žukovka, presso Jenakijeve, nell'oblast' di Donec'k, nella RSS Ucraina, in un quartiere operaio; il padre era un macchinista di etnia bielorussa, che proveniva da Januki, nel Voblasc' di Vicebsk. La madre era una bambinaia russa, e morì quando Janukovyč aveva appena due anni. Quando egli giunse all'adolescenza, perse anche il padre, e fu quindi allevato dalla nonna. Janukovyč si considera ucraino.
Per due volte, nel 1968 e nel 1970, Janukovyč fu imprigionato per furto e per ingiurie. Durante le elezioni presidenziali del 2004, annunciò la sua assoluzione del 1978.
Georgij Beregovoj, un cosmonauta sovietico di origine ucraina, è stato a lungo protettore di Janukovyč. Si diceva che Beregovoj, in quanto membro del soviet del Donbass, stesse proteggendo un giovane incarcerato ingiustamente e promuovendo la sua carriera futura.
Istruzione e inizi in politica.
Nel 1972 Janukovyč divenne elettricista in una compagnia di bus locali, e in seguito completò gli studi all'istituto tecnico. Nel 1980 si laureò per corrispondenza all'istituto Politecnico di Donec'k in ingegneria meccanica. Subito dopo la laurea, Janukovyč fu nominato manager capo di una società di trasporti di Jenakijeve, ed entrò nel Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
Questa nomina segnò l'inizio di una carriera di posizioni manageriali nell'ambito dei trasporti regionali. La carriera politica di Janukovyč iniziò quando fu nominato vice-capo dell'amministrazione dell'oblast' di Donec'k nell'agosto 1996. Il 14 maggio 1997 fu nominato capo dell'amministrazione (cioè governatore). Tra il maggio 1999 e il maggio 2001 fu anche capo del Consiglio dell'oblast' di Donec'k.
Nel 2001 Janukovyč si laureò all'Accademia Ucraina di Commercio con un master in diritto internazionale. In seguito, gli fu assegnato il titolo di dottore in scienza e di professore.
Primo ministro dal 2002 al 2004.
Il presidente Leonid Kučma nominò Viktor Janukovyč primo ministro a seguito delle dimissioni di Anatolij Kinakh. Janukovyč iniziò il suo mandato il 21 novembre 2002 con una fiducia da parte della Verchovna Rada (il Parlamento nazionale) di 234 voti. Con Janukovyč, il governo iniziò a prestare più attenzione alla riforma dell'industria del carbone.
In politica estera, il governo di Janukovyč fu considerato politicamente vicino alla Russia, anche se dichiarò il sostegno per l'accesso dell'Ucraina nell'Unione europea. Nonostante la coalizione parlamentare di Janukovyč non volesse l'ingresso dell'Ucraina nella NATO, il governo acconsentì all'invio di truppe ucraine nella guerra d'Iraq a sostegno della guerra al terrorismo intrapresa dagli Stati Uniti.
Campagna presidenziale del 2004.
Nel 2004, da Primo Ministro, Janukovyč partecipò alle controverse elezioni presidenziali, come candidato del Partito delle Regioni. La sua principale fonte di sostegno proveniva dalle parti meridionali e orientali dell'Ucraina, che tradizionalmente sono a favore di stretti legami con la vicina Russia. Al primo turno di votazioni, il 31 ottobre, Janukovyč ottenne il secondo posto con il 39,3% dei voti, rispetto al candidato di Ucraina Nostra Viktor Juščenko, che ebbe il 39,8% del sostegno popolare. Dato che nessun candidato raggiunse la soglia del 50% dei voti, fu necessario il secondo turno.
Al secondo turno (21 novembre 2004), Janukovyč fu inizialmente dichiarato vincitore. Tuttavia, la legittimità delle elezioni fu posta in discussione da molti ucraini, da organizzazioni internazionali e dai governi stranieri che avanzarono ipotesi di frode elettorale. Il secondo turno fu quindi annullato dalla Corte suprema dell'Ucraina e nella sua ripetizione (26 dicembre 2004), Janukovyč perse contro Juščenko con il 44,2% contro il 51,9%.
Dopo le elezioni, il parlamento ucraino approvò una mozione di sfiducia al governo, obbligando quindi il Presidente uscente Leonid Kučma a sciogliere il governo di Janukovyč e a nominarne un altro. Cinque giorni dopo la sconfitta elettorale, Janukovyč si dimise dalla carica di Primo Ministro.
In occasione delle elezioni, Janukovyč aveva consegnato alla Commissione Elettorale Ucraina una scheda biografica in cui il proprio grado accademico era riportato con un refuso (Proffessore): a seguito di ciò, iniziò ad essere chiamato con questo nomignolo dai principali media a lui opposti.
Carriera politica dopo il 2004 e Presidenza della Repubblica.
Dopo la sua sconfitta elettorale, Janukovyč continuò a guidare il principale partito di opposizione il Partito delle Regioni mentre il suo rivale Juščenko venne nominato presidente il 23 gennaio 2005: il giorno successivo Julija Tymošenko divenne Primo ministro, ma le spaccature all'interno della maggioranza portarono a diverse sostituzioni tra i ministri: la stessa Tymošenko venne sostituita come primo ministro da Jurij Jechanurov nel novembre 2005.
Janukovyč ebbe così una buona occasione per tornare al potere con le elezioni parlamentari del 2006 (26 marzo) sia per le divisioni dei suoi avversari, sia perché con il nuovo assetto costituzionale entrato in vigore il 1º gennaio 2006, il Primo Ministro e il suo governo sarebbero stati nominati dal Parlamento.
Nel frattempo, nel gennaio 2006, il Ministro degli Interni diede inizio ad un'investigazione ufficiale riguardo alla presunta assoluzione per i reati commessi da Janukovyč in gioventù. Jurij Lucenko, capo del ministero, annunciò che i testi forensi provavano la mancanza di assoluzione, e sostenne inizialmente che questo fatto impediva formalmente a Janukovyč di candidarsi per le elezioni parlamentari. Tuttavia, quest'ultima affermazione fu poi corretta qualche giorno dopo da Lucenko stesso, che affermò che il risultato dell'investigazione non impediva l'eleggibilità di Janukovyč, dato che la privazione dei diritti civili a causa delle passate condanne era già comunque scaduta a causa della prescrizione.
L'esito delle elezioni parlamentari vide il Partito delle Regioni assicurarsi la maggioranza relativa, ma con un numero di parlamentari (186 su 450) insufficiente a formare il governo da solo. Janukovyč condusse le trattative per la formazione del governo dopo l'elezione, con i partiti capeggiati da Viktor Juščenko (terzo con 81 parlamentari) o dall'ex Primo Ministro Julija Tymošenko (seconda con 129). Nonostante l'astio tra Janukovyč e il Presidente, i due furono obbligati a giungere a un compromesso. In cambio dell'assicurazione da parte di Janukovyč che non avrebbe interferito con le ambizioni filo-occidentali del Presidente, Juščenko diede a Janukovyč la possibilità di costituire un governo in cooperazione con il suo partito, Ucraina Nostra, il 3 agosto 2006. I cosiddetti ministeri "umanitari", come anche l'esercito e la polizia, rimasero capeggiati dagli alleati di Juščenko, mentre i ministeri riguardanti l'economia e le finanze, oltre a tutte le cariche di vice-Primo Ministro, andarono sotto il controllo di Janukovyč.
L'ex alleata di Juščenko ed ex Primo Ministro Julija Tymošenko annunciò la propria intenzione di portare il suo partito all'opposizione subito dopo tale accordo.
Il 25 maggio 2007 fu assegnata a Viktor Janukovyč la carica di Presidente del Consiglio dei Capi di Governo della Comunità degli Stati Indipendenti.
Alle elezioni parlamentari del 2007, svoltesi il 30 settembre, il Partito delle Regioni ottenne 175 su 450 seggi (il 34,37% dei voti) alla Verchovna Rada. Nonostante l'incremento nella percentuale dei voti rispetto alle elezioni del 2006 (quando aveva ottenuto il 32,14%), il partito perse 130.000 voti e 11 seggi parlamentari. Dopo che Ucraina Nostra e il Blocco Julija Tymošenko ebbero formato una coalizione di governo il 18 dicembre 2007, il Partito delle Regioni passò all'opposizione.
Nel 2009, Janukovyč annunciò la sua intenzione di concorrere alle elezioni presidenziali del 2010. Si affidò a specialisti stranieri, che lo aiutarono a cambiare completamente la sua immagine pubblica. Vinse il primo turno, svoltosi il 17 gennaio 2010, con una decina di punti di vantaggio sulla Tymošenko. Il ballottaggio, tenutosi il 7 febbraio, confermò la sua vittoria col 51,84% dei voti, tre punti e mezzo percentuali in più della sua rivale.
Euromaidan.
A novembre 2013 si verificarono una serie di proteste popolari contro il Presidente Janukovyč sfociate nella occupazione di Piazza Indipendenza a Kiev (già teatro della Rivoluzione Arancione del 2004) da parte di giovani pro-Europa dopo che il Presidente, data la critica situazione delle finanze pubbliche, aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal Presidente Putin, che legava ancora di più il Paese alla Russia. Ulteriore motivo di protesta per la popolazione fu il rapido accrescimento di ricchezze che vide i figli e i parenti prossimi di Janukovyč diventare miliardari, mentre l'economia del Paese s'indeboliva. Inoltre, alcuni comparti industriali ucraini erano stati delocalizzati in Russia e vasti territori agricoli venduti alla Cina, Paese che inviava in Ucraina la propria manodopera, a discapito di quella locale, creando ampie sacche di disoccupazione e malcontento in aree rurali dell'Ucraina. A gennaio 2014 gli scontri diventarono sempre più duri e violenti tra manifestanti e forze speciali. Si verificarono violenti attacchi della polizia alle barricate erette dai manifestanti in Piazza Indipendenza e l'occupazione del Municipio di Kiev e del Ministero dell'Agricoltura, mentre il Parlamento votava dure leggi antiprotesta. Intanto le proteste dilagavano violente in tutto il Paese come a Leopoli, città di confine con la Polonia, dove il Governatore della Provincia Oblast di Leopoli Olev Salo si dimise pubblicamente in piazza, minacciato dai manifestanti scesi in piazza che lo circondavano. Intanto Janukovyč rimosse il segretario aggiunto del Consiglio di sicurezza nazionale e di difesa dell'Ucraina, Vladimir Sivkovič, e il Sindaco di Kiev, Alexandre Popov, ritenuti responsabili delle violenze. Il Presidente offrì la guida del Governo all'opposizione, dicendosi disponibile a nominare i capi della rivolta Arsenij Jacenjuk l'ex ministro degli Esteri del Governo Tymošenko e l'ex pugile Vitalij Klyčko Premier e Vicepremier, ma l'accordo fu bocciato in quanto i manifestanti chiedevano, oltre a elezioni anticipate, le dimissioni immediate di Janukovyč. Il 25 gennaio violente proteste scoppiarono nuovamente con l'occupazione del Ministero dell'Energia e di Casa Ucraina, che venne messa a ferro e fuoco. Il Presidente chiese al Parlamento di votare un'amnistia per tutti i manifestanti e l'abrogazione delle leggi antiprotesta, in cambio della fine alle violenze di piazza. Dopo il voto il Primo Ministro Mykola Azarov, fedelissimo di Janukovyč, si dimise per facilitare la transizione.
A febbraio le rivolte diventarono sempre più sanguinose senza riuscire a trovare una mediazione tra il Presidente ed opposizioni. Forti cominciarono a essere le minacce da parte di ONU, Unione europea e Stati Uniti d'America di dure sanzioni contro il Presidente, ritenuto responsabile delle violenze di piazza e della feroce repressione che continuava a godere ormai soltanto dell'appoggio dell'alleata Russia, che parlava di indebite pressioni straniere e tentativi di golpe. Il 18 febbraio le violenze dilagarono sanguinose con 28 morti, tra cui 7 poliziotti, e 335 feriti.
Il 20 febbraio fu il giorno più sanguinoso della protesta: venne posto in essere un vero e proprio assalto ai palazzi del potere e i manifestanti marciarono verso il Palazzo del Governo e del Parlamento. Si verificarono scontri armati tra dimostranti e polizia, molti agenti vennero bersagliati dal fuoco di cecchini rimasti ignoti. A terra rimasero decine di persone uccise e centinaia di feriti. Simbolo del massacro resta il gesto di una giovane infermiera ucraina Olesja Žukovskaja che ferita gravemente da un proiettile, twittò nello stesso momento «Я вмираю» ["Muoio"]. La giovane infermiera, militante di un partito di estrema destra molto attivo negli scontri armati, è poi sopravvissuta. Dopo questo bagno di sangue, Janukovyč e i capi dell'opposizione arrivarono a un accordo che prevedeva elezioni anticipate e Governo di Unità Nazionale, nonché ritorno alla Costituzione del 2004, con sensibile limitazione dei poteri presidenziali. La condanna delle violenze da parte del Parlamento fu unanime.
Il 22 febbraio si ebbe l'epilogo della protesta Euromaidan: i manifestanti chiesero le dimissioni di Janukovyč che, ormai circondato, fuggì dalla capitale Kiev facendo perdere le sue tracce, forse per rifugiarsi al confine ucraino orientale in una città russofona o forse all'estero proprio nella stessa Russia, mentre il Palazzo presidenziale fu assaltato dai manifestanti. Con lui scapparono anche il Presidente del Parlamento ucraino Vladimir Rybak e il Ministro dell'Interno Vitalij Zacharčenko, che lasciarono i loro incarichi. In sostituzione, il Parlamento nominò Oleksandr Turčynov, ex capo dei servizi segreti e braccio destro dell'ex premier Tymošenko, come Presidente del Parlamento e Premier "ad interim". Intanto, dopo le voci di possibili dimissioni di Janukovyč, egli apparve in TV dichiarando che nel Paese era in atto un colpo di Stato con metodi nazisti, affermando di restare al suo posto. Diversi reparti della polizia si schierarono con i manifestanti. Intanto il Parlamento votò la richiesta di impeachment presentata dalle opposizioni al Presidente Janukovyč; essa venne approvata con 328 sì, 0 no e 6 astenuti su 334 presenti sul plenum di 445 (il Partito delle Regioni del Presidente Janukovyč, ormai esautorato, non partecipò al voto con i suoi 135 deputati rimanendo partito di maggioranza, poiché 70 esponenti su 204 sono passati all'opposizione ed altri fuggiti dal Paese) e dichiarò l'immediata decadenza di Janukovyč dalla carica presidenziale, che a sua volta denunciò la propria destituzione come un colpo di Stato.
Il 24 febbraio, il ministro dell'Interno Arsen Avakov annunciò che Janukovyč era ricercato, assieme ad altre persone ritenute responsabili della strage, e che era stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti con l'accusa di uccisione di massa. Nelle zone a maggioranza filo russa la situazione si complicò, poiché in Crimea il parlamento regionale venne preso d'assalto con le armi e occupato, mentre dei miliziani tatari prendevano il controllo di due aeroporti: quello di Belbek e quello della capitale Simferopoli, a 20 chilometri da Sebastopoli. La Russia iniziò a effettuare delle importanti esercitazioni militari terrestri sul confine e mosse la flotta nel Mar Nero.
In Russia.
Il 27 febbraio Janukovyč ricomparve a Rostov sul Don dove, in una conferenza stampa, dichiarò di essere stato illegittimamente deposto da forze neofasciste e di non volere la separazione della Crimea. Il nuovo governo nel frattempo chiese ufficialmente alla Russia la sua estradizione.
In seguito ad Euromaidan Janukovyč si stabilì in Russia. Il 22 marzo 2015 perse uno dei figli, Viktor Janukovič Jr., morto annegato nel lago Bajkal, in Russia.
Condanna per alto tradimento.
Il 24 gennaio 2019 è stato condannato dal Tribunale di Kiev a 13 anni di carcere per alto tradimento. Il processo è iniziato nel 2017 e si è svolto in 89 udienze, con la contumacia dell'ex Presidente filorusso, dato che, prima di perdere il potere, nel 2014 era scappato in Russia. Il Tribunale ha riconosciuto la sua "complicità nello scatenare una guerra di aggressione contro l'Ucraina" da parte della Russia. La sentenza ha inoltre stabilito che "con i suoi atti illegittimi e premeditati ha commesso un crimine che mina le fondamenta della sicurezza nazionale ucraina". Nelle motivazioni i giudici hanno ritenuto che il 1º marzo 2014 Janukovyč si sia reso responsabile d'aver sollecitato per iscritto, tramite una lettera indirizzata al presidente russo Vladimir Putin, l'intervento armato dell'esercito russo e delle forze di polizia sul suolo ucraino per ristabilire l'ordine e impedire le manifestazioni della popolazione.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine. Ordine al Merito di III Classe — 13 novembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 3 luglio 2000
Ordine al Merito di I Classe — 3 luglio 2002
Onorificenze straniere.
Ordine di San Vladimiro di III Classe (Patriarcato di Russia) — 1998
Ordine di San Vladimiro di II Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Ordine del santo principe Daniele di Mosca di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Ordine di San Sergio di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2004
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) — 2010
Ordine di San Vladimiro di I Classe (Patriarcato di Russia) — 2010
Ordine della Bacchetta Preziosa (Mongolia) — giugno 2011
Ordine di San Mashtots (Armenia) — 30 giugno 2011
Ordine di José Martí (Cuba) — 22 ottobre 2011
Ordine di Ismail Samani di I Classe (Tagikistan) — 15 dicembre 2011
Fascia dell'Ordine della Repubblica di Serbia (Serbia) «Per i meriti nello sviluppo e nel rafforzamento della cooperazione pacifica e delle relazioni amichevoli tra la Serbia e l'Ucraina.» — 2013
Ordine di Heydər Əliyev (Azerbaigian) — 18 novembre 2013
Oleksandr Turčynov. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Presidente dell'Ucraina (ad interim). Durata mandato 22 febbraio 2014 – 7 giugno 2014
Oleksandr Valentynovič Turčynov
Oleksandr Valentynovič Turčynov (in ucraino: Олександр Валентинович Турчинов; Dnipro, 31 marzo 1964) è un politico ucraino.
Ha ricoperto la carica di Primo ministro ad interim dell'Ucraina per un breve periodo, dal 3 all'11 marzo 2010, a seguito della caduta del governo di Julija Tymošenko, e fino alla formazione del nuovo governo di Mykola Azarov. Durante le proteste contro Janukovyč è nominato Presidente del Parlamento dell'Ucraina ad interim e Primo ministro ad interim. Ha ricoperto la carica ad interim di Presidente dell'Ucraina a seguito della destituzione di Viktor Janukovyč.
Biografia.
Oleksandr Turčynov si diplomò all'Istituto Metallurgico di Dnipro nel 1986, dopo aver lavorato a Krivorižstal. È un vecchio alleato di Julija Tymošenko, con la quale svolse diverse attività di commercio a Dnipro. Nel 1993 fu nominato consigliere in materia economica dall'allora Primo Ministro Leonid Kučma. Nel dicembre 1993 co-fondò e divenne vicepresidente dell'Unione degli Industriali e degli Imprenditori Ucraini; nel 1994 creò il partito politico Hromada, insieme a Pavlo Lazarenko. Fu inoltre direttore dell'Istituto di Riforme Economiche dal gennaio 1994 al marzo 1998, e capo dei laboratori di ricerca economica dell'Accademia Nazionale Ucraina delle Scienze.
Carriera politica.
Alle elezioni parlamentari del 1998 fu eletto alla Verchovna Rada, come membro del partito Gromada; dopo lo scandalo di Lazarenko, lasciò il partito (maggio 1999) insieme al partito "Patria" di Julija Tymošenko. Fu rieletto al Parlamento in occasione delle elezioni parlamentari del 2002 e ancora nelle elezioni parlamentari del 2006, come membro del Blocco Julija Tymošenko (BJuT).
Il 4 febbraio 2005 Turčynov fu nominato come capo dei Servizi Segreti dell'Ucraina, il primo civile ad aver mai ricoperto tale carica. Nella primavera del 2008 fu il candidato del BJuT e di Ucraina Nostra alla carica di sindaco di Kiev, in cui arrivò secondo con 218.600 voti (il 19,13% del totale).
Nel dicembre 2009, durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2010, Turčynov accusò il Presidente dell'Ucraina Viktor Juščenko ed il leader dell'opposizione Viktor Janukovyč di aver coordinato le proprie azioni per tentare di rovesciare il secondo governo di Julija Tymošenko.
Il 3 marzo 2010, dopo la caduta del governo, il Primo Ministro Julija Tymošenko si dimise e Turčynov assunse gli incarichi di Primo Ministro fino alla formazione di un nuovo governo, fatto avvenuto l'11 marzo.
Il 21 febbraio 2014 è stato eletto nuovo Presidente della Verchovna Rada, il Parlamento dell'Ucraina con 288 voti su 326 presenti (sostenuto da tutte le opposizioni con la non partecipazione del Partito delle Regioni del presidente filorusso Janukovyč), carica che ha ricoperto fino al 27 novembre 2014, ed anche Presidente e Primo ministro "ad interim" dell'Ucraina in seguito alle vicende dell'Euromaidan.
Petro Oleksijovyč Porošenko. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Petro Oleksijovyč Porošenko (in ucraino: Петро Олексійович Порошенко; Bolhrad, 26 settembre 1965) è un imprenditore e politico ucraino, è stato il quinto presidente dell'Ucraina dal 2014 al 2019, Ministro degli Affari Esteri dal 2009 al 2010 e Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico nel 2012. Dal 2007 al 2012 ha diretto il Consiglio della Banca Nazionale dell'Ucraina. È stato eletto presidente il 25 maggio 2014, ricevendo il 54,7% dei voti espressi al primo turno, vincendo così a titolo definitivo ed evitando il ballottaggio. Durante la sua presidenza, Poroshenko ha guidato il paese attraverso la prima fase della crisi russo-ucraina, spingendo le forze ribelli più in profondità nella regione del Donbass. Ha iniziato il processo di integrazione con l'Unione europea firmando l'accordo di associazione Unione europea-Ucraina..
La politica interna di Poroshenko ha promosso la lingua ucraina, il nazionalismo, il capitalismo inclusivo, la decomunizzazione e il decentramento amministrativo. Nel 2018, Poroshenko ha contribuito a creare la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, separando le chiese ucraine dal Patriarcato di Mosca. La sua presidenza è stata distillata in uno slogan di tre parole, impiegato sia dai sostenitori che dagli oppositori: "armiia, mova, vira" (ovvero: militare, lingua, fede).
Come candidato per un secondo mandato nel 2019, Poroshenko ha ottenuto il 24,5% al secondo turno, venendo sconfitto da Volodymyr Zelens'kyj. Non c'era un vero consenso nella comunità di esperti sul perché Poroshenko avesse perso, con opinioni che andavano dall'opposizione all'intensificarsi del nazionalismo, all'incapacità di arginare la corruzione, all'insoddisfazione delle regioni di lingua russa trascurate con la sua presidenza, all'insoddisfazione per gli intensi conflitti di Poroshenko con altri politici filo-occidentali, come Andriy Sadovyi e l'ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili (con quest'ultimo costretto a lasciare l'Ucraina) e l'ascesa del filo-russo Viktor Medvedčuk; Radio Free Europe/ Radio Liberty e l'attivista anti-corruzione Denys Bihus hanno accusato Poroshenko e Medvedchuk di "lavorare segretamente insieme".
Poroshenko è un deputato popolare della Verkhovna Rada e leader del partito Solidarietà Europea. Al di fuori del governo, Poroshenko è stato un importante oligarca ucraino con una carriera redditizia nell'acquisizione e nella costruzione di beni. I suoi marchi più riconosciuti sono Roshen, l'azienda dolciaria su larga scala che gli è valsa il soprannome di "Chocolate King", e, fino alla sua vendita nel novembre 2021, il canale di notizie televisive 5 kanal. È considerato un oligarca a causa della scala delle sue partecipazioni imprenditoriali nei settori manifatturiero, agricolo e finanziario, della sua influenza politica che includeva diversi periodi nel governo prima della sua presidenza e della proprietà di un influente mass-media.
Biografia.
Laureato in economia nel 1989 presso l'Università di Kiev, Petro Porošenko crea una società di commercio di semi di cacao. Nel 1990 prende il controllo di diverse società dolciarie e si unisce al gruppo Roshen, diventando il più grande produttore di dolciumi in Ucraina. Il suo successo nel settore del cioccolato gli vale il soprannome di "re del cioccolato" .
Porošenko in seguito ha diversificato le sue attività: possiede diversi stabilimenti produttivi (automobili e autobus), il cantiere Lenins'ka Kuznja, il canale televisivo Kanal 5 e la rivista Korrespondent. Secondo la rivista Forbes sarebbe uno degli uomini più ricchi d'Ucraina: il suo patrimonio è stimato in 1,3 miliardi di dollari statunitensi.
Politica.
Eletto per la prima volta nel 1998 nella Verchovna Rada, il parlamento ucraino, si iscrisse al Partito Socialdemocratico ucraino (SPDU), fedele al presidente dell'Ucraina Leonid Kučma al tempo. Lascerà il partito per fondare un movimento di centro-sinistra chiamato Solidarietà, rivestendo anche un ruolo fondamentale nella nascita del Partito delle Regioni, fedele sempre a Kučma e alle posizioni filo-russe, ma senza portare Solidarietà a fondersi con esso.
Rotto con Kučma, dopo gli scandali di corruzione del suo governo e una politica troppo spostata verso est, decide di appoggiare la campagna di Viktor Juščenko e della sua coalizione Ucraina Nostra, gruppo di opposizione. Rieletto nel 2002 in Parlamento con Nostra Ucraina con enorme consenso, fu presidente della Commissione Bilancio, dove venne accusato anche di evasione per una somma pari a circa 9 milioni di dollari, che indebolirono molto la sua immagine e quella del suo partito. Ciononostante nel 2005, dopo un voto caratterizzato da incertezza e proteste, Viktor Juščenko fu eletto presidente dell'Ucraina.
Porošenko è stato uno dei più stretti collaboratori durante l'avvelenata campagna elettorale del presidente Juščenko, il quale è il padrino delle sue figlie. Fu il primo finanziatore della sua campagna e della rivoluzione arancione, che lo portarono alla presidenza. Pertanto appena proclamato presidente, Juščenko lo nomina segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina.
In questi anni tuttavia entrò spesso in conflitto con l'allora primo ministro dell'Ucraina Julija Tymošenko, anche lei vicinissima al presidente sulla privatizzazione delle imprese stradali. Porošenko fu accusato di aver favorito l'amico magnate ucraino Viktor Pinčuk nell'acquisto di una fabbrica di ferro per soli 70 milioni di dollari invece che 1.000 milioni. A causa degli scandali il presidente Juščenko ha dimissionato l'intero governo, compreso Tymošenko e Porošenko. Tuttavia la procura ha respinto un abuso di potere investigativo contro l'ex segretario del Consiglio di difesa, Juščenko ha rimosso ingiustificatamente Svjatoslav Piskun come procuratore generale dell'Ucraina, che ha accusato pressioni dall'alto per indagare la Tymošenko e chiudere l'indagine su Porošenko.
Nuovamente rieletto al Parlamento nel 2006, sempre con il Blocco Ucraina Nostra, diventa presidente della Commissione Finanze e Banche. Porošenko che aspirava alla carica di presidente del Parlamento ucraino fu scartato quando il Partito Socialista ucraino entrò nell'Alleanza Nazione Unità, il blocco filosovietico, con la promessa che il loro leader Oleksandr Moroz, già presidente della Rada, sarebbe stato rieletto. Tale svolta determinò anche una nuova maggioranza parlamentare che esautorò dal governo Ucraina Nostra di Porošenko e Blocco Tymošenko.
Decise quindi di non correre alle elezioni parlamentari anticipate del 2007. In compenso divenne presidente del Consiglio della Banca dell'Ucraina, di cui sarà consigliere dal 2007 al 2012.
Ministro degli Esteri.
Il 7 ottobre 2009 il presidente Juščenko lo nomina ministro degli Esteri nel secondo governo Tymošenko venendo rinominato anche membro del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina (dove, dopo quattro anni, fu rimosso a seguito degli scandali che porteranno alla fine del primo governo Tymošenko). È stato uno dei più fervidi sostenitori di una entrata dell'Ucraina nella NATO. Con la vittoria di Viktor Janukovyč alla presidenza dell'Ucraina nel 2010 rassegna le sue dimissioni da ministro degli Esteri. Lo stesso presidente non ha escluso di continuare la collaborazione con lui ribadendogli la sua stima.
Tra marzo e dicembre 2012 entra nel governo Azarov del presidente filo-russo Yanukovich. Egli stesso ha dichiarato di aver accettato la nomina per contribuire a portare più vicina l'Ucraina all'Europa e ottenere il rilascio dell'ex premier Julija Tymošenko dalla sua prigionia. Lasciato l'incarico viene rieletto con oltre il 70% nel Parlamento ucraino nel 12 distretto di oblast' di Vinnycja come indipendente, decidendo di non iscriversi ad alcun gruppo parlamentare, ma rappresentare soltanto le sue idee. Si iscrive alla Commissione per l'integrazione europea.
Nel 2013 annuncia di voler candidarsi come sindaco di Kiev nelle amministrative dello stesso anno.
È stato uno dei principali sostenitori, soprattutto economici, della protesta Euromaidan, mentre la parte armata è stata garantita dal movimento nazionalista radicale Pravyj Sektor, che ha portato alla caduta del presidente filo-russo Yanukovich e ad un avvicinamento dell'Ucraina verso l'Unione Europea dal 25 maggio 2014. Rifiuta di entrare nel governo del nuovo primo ministro ad interim, nato dopo la cacciata del presidente, presieduto da uno dei leader delle proteste Arsenij Jacenjuk (vi entrerà il collega di partito Volodymyr Hrojsman, sindaco di Vinnycja, nominato vicepremier e ministro per gli Affari regionali), evitando inoltre colloqui tra il presidente Janukovyč e i rappresentanti dei manifestanti per contrattare la soluzione. È stato uno dei pochi politici ucraini ad andare in Crimea per sollecitare un compromesso che evitasse il referendum di annessione alla Russia parlando direttamente nel parlamento di Crimea venendo interrotto dalle proteste.
Presidente dell'Ucraina.
Annuncia la sua candidatura come indipendente alle presidenziali per scegliere il nuovo presidente dopo la deposizione di Janukovyč. Il pugile Vitalij Klyčko, uno dei leader di Euromaidan, rinuncia alla corsa presidenziale per appoggiare Porošenko ricevendo l'appoggio di quest'ultimo alla corsa come sindaco di Kiev. Dato in netto vantaggio da tutti i sondaggi con oltre il 40% il 25 maggio è eletto presidente dell'Ucraina al primo turno con ben il 54,7%, pari a 9.857.308 voti (la principale avversaria l'ex primo ministro e rivale di Porošenko Julija Tymošenko, appena tornata libera dopo anni di prigionia grazie alla protesta, appoggiata da Bat'kivščyna, ha ottenuto solo il 12,81% pari a 2.310.085, riconoscendo la vittoria piena e legittima all'avversario). Il neopresidente ha ottenuto percentuali tra il 52% e il 67% delle regioni occidentali (filo-europee), mentre soltanto il 30-35% nelle regioni orientali (filo-russe), venendo invece le elezioni boicottate in Crimea e nelle autoproclamate repubbliche di Luhans'k e Donec'k. La sua posizione espressa in campagna elettorale è volta ad una politica di dialogo con la Russia nel rispetto della sovranità e integrità dello Stato dell'Ucraina.
Il 27 giugno 2014 il presidente dell'Ucraina Porošenko ha firmato l'accordo di associazione tra UE ed Ucraina (causa dello scoppio di Euromaidan) definendolo "un giorno storico" insieme ai presidenti di Georgia e Moldavia, ribadendo inoltre l'intenzione di Kiev di entrare nella NATO. Il 16 settembre, il Parlamento europeo ha ratificato a stragrande maggioranza con 535 sì, 127 no e 35 astenuti la sottoscrizione che è entrata in vigore dal 1º gennaio 2016.
Il 5 maggio 2015 ha promulgato diverse Leggi sui monumenti commemorativi tra cui la rimozione di tutti i monumenti comunisti entro sei mesi, nonché l'obbligo di rinominare qualsiasi strada o spazio pubblico con un riferimento al comunismo, e punire la promozione delle idee comuniste.
Le leggi non fanno distinzione tra il regime nazista e quello sovietico e includono una condanna dei loro simboli e della loro propaganda. Esse prevedono anche il riconoscimento da parte del paese di chiunque abbia combattuto per l'indipendenza dell'Ucraina durante il XX secolo, compresa l'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e l'Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha preso parte allo sterminio degli ebrei in Ucraina e ha massacrato decine di migliaia di polacchi durante la seconda guerra mondiale. Entrambe le organizzazioni sono ora onorate con un tributo nazionale il 14 ottobre.
Nel 2015, con quasi tutte le posizioni di responsabilità detenute dai suoi sostenitori, le sue azioni sono state ampiamente contestate e il suo indice di popolarità è sceso sotto il 20%. Negli ultimi due anni del suo mandato, l'Istituto Gallup riferisce che l'Ucraina ha la più bassa fiducia nel suo governo al mondo. La sua fortuna è aumentata di 400 milioni di dollari tra il 2012 e il 2020, mentre il paese sprofondava nella crisi economica.
Vita privata.
Porošenko è sposato dal 1984 con la dottoressa e attivista europeista Maryna Porošenko (nata Perevedenceva). La coppia ha quattro figli: Oleksii (nato nel 1985), le gemelle Yevheniia e Oleksandra (nate nel 2000) e Mykhailo (nato nel 2001). Olesksij è stato eletto nel 2014 deputato dell'Ucraina.
Maryna Poroshenko è una cardiologa che non prende parte alla vita pubblica, con l'eccezione della sua partecipazione alle attività della "Petro Poroshenko Charity Foundation". Poroshenko è diventato nonno il giorno della sua inaugurazione presidenziale il 7 giugno 2014.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Presidente dell'Ucraina è stato dal 7 giugno 2014 al 20 maggio 2019. Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 7 giugno 2014
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 7 giugno 2014
Personalmente è stato insignito dei seguenti titoli di:
Ordine al Merito di III Classe — 9 dicembre 1998
Ordine al Merito di II Classe — 24 settembre 1999
Onorificenze straniere.
Collare dell'Ordine del Re Abd al-Aziz (Arabia Saudita) — 1º novembre 2017
Gran Croce dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 7 dicembre 2018
Ordine della Repubblica (Moldavia) — 20 novembre 2014
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Bianca (Polonia) — 16 dicembre 2014
Ordine per meriti eccezionali (Slovenia) — 8 novembre 2016
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito Civile (Spagna) — 29 gennaio 2010
Volodymyr Zelens'kyj. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj (in ucraino: Володимир Олександрович Зеленський; Kryvyj Rih, 25 gennaio 1978) è un politico, attore, sceneggiatore, regista e comico ucraino, dal 20 maggio 2019 presidente dell'Ucraina.
Nato e cresciuto a Kryvyj Rih in una famiglia di origine ebraica e di madrelingua russa, Zelens'kyj si è laureato in giurisprudenza all'Università Economica Nazionale di Kiev, per poi cimentarsi nella carriera di attore. Ha fondato la casa di produzione Kvartal 95, che ha prodotto diversi film, cartoni animati e serie tv, tra cui Servitore del Popolo, in cui lo stesso Zelens'kyj ha interpretato un professore del liceo che viene inaspettatamente eletto presidente dell'Ucraina. Nel marzo 2018 alcuni dipendenti di Kvartal 95 hanno fondato un partito politico con lo stesso nome dello show, cavalcando la popolarità che quest'ultimo aveva riscosso.
Il 31 dicembre 2018 Zelens'kyj ha annunciato la sua candidatura per le elezioni presidenziali del marzo successivo. Nonostante non avesse alcuna esperienza politica, la sua popolarità come comico e le sue posizioni anti-corruzione lo hanno fatto balzare fin da subito in testa nei sondaggi. Dopo essere risultato il candidato più votato al primo turno, il 21 aprile 2019 ha sconfitto al ballottaggio il presidente uscente Petro Porošenko con il 73% dei consensi. Identificatosi come populista, si è attestato su posizioni europeiste e anti-establishment.
Subito dopo l'elezione, come previsto dalla legge ucraina, ha sciolto il parlamento e indetto nuove elezioni per il luglio successivo, ampiamente vinte dal suo partito, che ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi. Da presidente, Zelens'kyj ha puntato sulla digitalizzazione dell'amministrazione e sulla conciliazione tra le aree russofone e quelle a maggioranza ucraina del Paese. La sua strategia comunicativa prevede un massiccio uso dei social network, in particolare Instagram. Durante la sua amministrazione ha affrontato la pandemia di COVID-19 e la conseguente crisi economica. I critici di Zelens'kyj, seppur riconoscendogli progressi nella lotta alla corruzione, hanno espresso il timore che il suo contrasto agli oligarchi e all'establishment politico abbia portato ad una centralizzazione del potere nelle sue mani durante i primi due anni del mandato presidenziale e a crescenti pressioni sui partiti di opposizione.
Durante la campagna elettorale presidenziale, Zelens'kyj aveva promesso di trovare una soluzione alla crisi russo-ucraina, cominciata nel 2014. Dopo l'elezione, ha inizialmente provato a stabilire relazioni diplomatiche con il presidente russo Vladimir Putin; tuttavia, le tensioni tra i due Paesi si sono acuite nel 2021, in seguito alla proposta di Zelens'kyj di far entrare l'Ucraina nella NATO e nell'Unione europea, e sono culminate l'anno successivo con un'invasione su larga scala dell'esercito russo nel territorio ucraino. Durante il conflitto, Zelens'kyj ha guadagnato ampi consensi, sia in patria che all'estero, emergendo come figura simbolo della resistenza ucraina.
Biografia.
Famiglia e studi.
Zelens'kyj è nato il 25 gennaio 1978 a Kryvyi Rih, una città nella regione di Dnipropetrovsk. I suoi genitori sono ebrei e tre suoi parenti furono vittime della Shoah, mentre suo nonno, durante la seconda guerra mondiale, combatté in una divisione di fanteria dell'Armata Rossa contro l'esercito tedesco. Zelens'kyj ha rivelato che i suoi bisnonni erano stati uccisi dopo che le truppe tedesche avevano raso al suolo la loro casa.
Entrambi i genitori hanno una formazione scientifica: il padre Oleksandr è un professore che dirige un dipartimento accademico di cibernetica e hardware informatico presso il Kryvyi Rih Institute of Economics; la madre, Rymma Zelens'ka, lavorava come ingegnere. La famiglia ha vissuto per quattro anni in Mongolia nella città di Erdenet, dove lavorava il padre. Volodymyr Zelens'kyj si è laureato nel 2000 in giurisprudenza presso il dipartimento della Università Economica Nazionale di Kiev, ma non ha mai esercitato la professione legale.
Carriera artistica.
Fin dal 1997 lavora come attore e sceneggiatore nello studio cinematografico Kvartal 95 Club, diventandone poi nel 2003 direttore artistico. Nel 2011 è produttore generale del canale Inter TV, dal 2013 al 2019 è direttore artistico in Kvartal 95 Studio LLC.
Fondatore del centro giovanile League of Laughter della ONG, Zelens'kyj interpreta nel 2015 il ruolo di presidente ucraino nella serie televisiva Servitore del Popolo in cui mette in scena un capo di Stato onesto, capace di superare in astuzia antagonisti e detrattori. La serie Tv vincerà il "WorldFest Remi Award" (USA, 2016), arriverà tra i primi quattro finalisti nella categoria dei film comici al "Seoul International Drama Awards" (Corea del Sud) e sarà insignita del premio "Intermedia Globe SILVER" nella categoria "Serie TV di intrattenimento" al "World Media Film Festival" di Amburgo.
Inizio della carriera politica.
Zelens'kyj con il presidente uscente Poroshenko, suo sfidante alle elezioni presidenziali, durante un dibattito nel 2019.
Sulla scia del successo di Sluha Narodu, nel marzo 2018 nasce un partito politico omonimo creato dallo staff di Kvartal 95, produttrice della serie. A sei mesi dalle elezioni presidenziali del 2019 Zelens'kyj annuncia la sua candidatura per tale partito, ricevendo i favori del pubblico in base ai sondaggi di gradimento.
In un'intervista del marzo 2019 con Der Spiegel, Zelens'kyj ha dichiarato di essere entrato in politica per ripristinare la fiducia nei politici e che voleva "portare al potere persone professionali e dignitose" e "vorrebbe davvero cambiare l'umore e il timbro dell'establishment politico, il più possibile". La sua elezione è stata sostenuta dall'oligarca Ihor Kolomojs'kyj nonché ex governatore dell'oblast' di Dnipropetrovs'k.
A partire dal 31 dicembre 2018, Zelens'kyj ha condotto una campagna presidenziale di successo, quasi interamente virtuale per succedere al presidente in carica dell'Ucraina, Petro Poroshenko, con meno di quattro mesi di tempo. Zelens'kyj ha vinto chiaramente sia il primo turno elettorale del 31 marzo sia il ballottaggio del 21 aprile 2019.
Zelens'kyj è stato eletto presidente dell'Ucraina il 21 aprile 2019, battendo il presidente in carica Poroshenko con il 73,22% dei voti contro il 25% di Poroshenko. Il presidente polacco Andrzej Duda è stato uno dei primi leader europei a congratularsi con Zelens'kyj. Il 22 aprile, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è congratulato al telefono con Zelens'kyj per la sua vittoria. Anche il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk hanno emesso una lettera di congratulazioni congiunta, affermando che l'Unione europea lavorerà per accelerare l'attuazione del resto dell'accordo di associazione UE-Ucraina, compreso l'accordo Area di libero scambio globale (DCFTA).
Presidente dell'Ucraina.
Il 20 maggio 2019 presta giuramento come presidente dell'Ucraina. Filo-europeista, durante il suo messaggio di insediamento annuncia lo scioglimento anticipato della Verchovna Rada (Parlamento Ucraino), motivandolo a causa della crisi politica creata all'interno della coalizione di forze politiche che appoggiava il governo di Volodymyr Hrojsman, sostenuto anche dall'ex presidente Petro Porošenko, maturata successivamente alle elezioni presidenziali.
Poiché nell'ordinamento ucraino il Presidente non può promulgare leggi senza l'approvazione del Parlamento, e nel Parlamento insediato non v'era una maggioranza direttamente collegata al nuovo Presidente, Zelens'kyj decide di sciogliere il parlamento ed indire nuove elezioni. Il 20 giugno la Corte Costituzionale Ucraina ha proclamato legittimo lo scioglimento anticipato del Parlamento operato da Zelens'kyj il 20 maggio.
Le elezioni anticipate (che non costituiscono in ogni caso una variazione temporale rispetto al normale rinnovo del Parlamento fissato nell'ottobre 2019) si svolgono il 21 luglio 2019 con il partito di Zelens'kyj che ottiene il 44% dei voti, il più alto dal 1991, l'anno in cui l'Ucraina ha ottenuto l'indipendenza dall'Urss. Il partito filo-russo di Viktor Medvedchouk, "Blocco di opposizione", si ferma all'11,5%, il partito "Solidarietà Europea" di Petro Poroshenko ha il 9%, il movimento politico dell'ex primo ministro Julija Tymošenko il 7%, il partito "Golos" (Voce), guidato dalla rockstar Svjatoslav Vakarčuk, il 6,3%.
Il 29 agosto nomina ufficialmente alla carica di primo ministro Oleksij Hončaruk, che ottiene la fiducia dal parlamento. Hončaruk diviene il primo ministro più giovane della storia dell'Ucraina. Il Governo Hončaruk termina il 4 marzo 2020, a seguito delle dimissioni del capo del governo. Lo stesso giorno conferisce l'incarico di primo ministro a Denys Šmihal', che ottiene la fiducia dalla Verchovna Rada.
Il volo Ukraine International Airlines 752 è stato un collegamento aereo di linea tra Teheran (OIIE) in Iran e Kiev (UKBB) in Ucraina. L'8 gennaio 2020, il Boeing 737-800 con marche UR-PSR che effettuava il servizio, veniva abbattuto pochi minuti dopo il suo decollo dall'aeroporto internazionale di Teheran-Imam Khomeini, uccidendo i 176 passeggeri a bordo, fra cui 11 ucraini e 9 componenti l'equipaggio. E' dei più gravi incidenti avvenuti in territorio iraniano dopo quello del volo Iran Air 655 del 3 luglio 1988, e del volo del guardie della rivoluzione islamica del 19 febbraio 2003.
Il presidente ucraino Zelens'kyj si trovava nel vicino Oman per una visita ufficiale, e a causa dell'incidente l'8 gennaio 2020, l'ufficio presidenziale ha annunciato che avrebbe interrotto il suo viaggio Da subito il sito di notizie Internet Obozrevatel.com ha rilasciato informazioni che il 7 gennaio 2020, anche il politico ucraino di opposizione Viktor Medvedčuk è arrivato in Oman.
Il 9 gennaio 2020, i giornalisti investigativi di Skhemy (Schemes: la corruzione nei dettagli) hanno riferito che l'arrivo del presidente è stato ritardato di quasi un giorno intero pubblicando le foto del suo arrivo. Presto iniziarono a circolare voci secondo cui Zelens'kyj avrebbe dovuto avere altri incontri oltre a quelli ufficiali già in agenda, ma il 14 gennaio 2020, Andriy Yermak ha respinto le voci come speculazioni e teorie del complotto infondate, mentre Medvedchuk ha affermato che l'aereo distrutto venne utilizzato dalla famiglia della figlia maggiore per volare dall'Oman a Mosca. Successivamente, Yermak ha contattato il quotidiano online Ukrainian Truth e ha fornito maggiori dettagli sulla visita in Oman del presidente e sull'incidente aereo in Iran.
Zelens'kyj ha chiesto agli ucraini di astenersi dal visitare l'Iran e l'Iraq per il momento. L'11 gennaio il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniana ha dichiarato di aver abbattuto l'aereo dopo averlo erroneamente identificato come bersaglio ostile.
Zelens'kyj quello stesso giorno ha dichiarato: "L'Ucraina insiste su una piena ammissione di colpa. Ci aspettiamo che l'Iran porti i responsabili alla giustizia, restituisca le salme delle vittime, paghi un risarcimento ed emetta scuse ufficiali. Le indagini devono essere complete, aperte e continuare senza ritardi o ostacoli".
Crisi russo-ucraina del 2021-2022.
Nell'aprile 2021, in seguito al trasferimento di numerose truppe russe ai confini con l'Ucraina, Zelens'kyj ha avuto dei colloqui telefonici con il presidente statunitense Joe Biden, spingendo per l'ingresso nella NATO del proprio Paese.
Il 26 novembre 2021, Zelens'kyj ha duramente attaccato Vladimir Putin e l'oligarca ucraino Rinat Achmetov, accusandoli di aver pianificato un colpo di stato ai suoi danni. Sia il governo russo che il magnate hanno respinto le accuse.
Nel gennaio 2022, dei rapporti dell'intelligence americana hanno evidenziato come fosse imminente un'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Nonostante l'ingente quantità di truppe russe ai confini, Zelens'kyj ha rassicurato la popolazione sull'improbabilità di un evento di tale portata, invitando i media a non ingigantire il rischio di un'invasione e a non provocare un'"isteria di massa".
Il 21 febbraio, in un discorso alla nazione, Putin ha inaspettatamente riconosciuto l'indipendenza dei territori separatisti di Doneck e Lugansk, annunciando di aver autorizzato una missione di peacekeeping nei territori indipendentisti, ufficialmente per garantire la sicurezza delle popolazioni russofone. Il giorno dopo, le truppe russe hanno occupato le regioni del Donbass controllate dai separatisti. Il 24 febbraio, Zelens'kyj ha tenuto in diretta tv un discorso, sia in ucraino che in russo, in cui ha invitato i cittadini russi ad esprimere dissenso contro la guerra nei confronti del loro governo. Nel discorso, ha fermamente respinto le accuse, mossegli dall'omologo russo Vladimir Putin, di legami con il neonazismo, evidenziando come egli sia di origine ebraica, e ha negato di aver pianificato di attaccare le regioni russofone del Donbass.
Il conflitto.
Nonostante numerosi incontri e tentativi di negoziati tra esponenti del governo russo e i principali leader europei, il 25 febbraio l'esercito russo ha dato inizio all'invasione dell'Ucraina, preceduta da massicci bombardamenti sulle principali città. Zelens'kyj ha proclamato l'entrata in vigore della legge marziale e ha dato il via alla mobilitazione di massa, con l'arruolamento volontario nell'esercito dei cittadini maggiorenni in grado di combattere. Con numerosi messaggi pubblicati sui social, Zelens'kyj ha affermato di non volersi allontanare da Kiev, assediata dalle truppe russe, e di aver rifiutato un salvacondotto, messogli a disposizione dagli Stati Uniti, che gli avrebbe permesso di rifugiarsi a Leopoli. Il 28 febbraio, a conflitto ancora in corso, ha firmato la richiesta di adesione dell'Ucraina all'Unione europea, inizialmente prevista per il 2024.
Nelle prime fasi del conflitto, Zelens'kyj ha guadagnato ampi consensi, sia in patria che nei Paesi occidentali, per la sua leadership e per le sue strategie comunicative, in grado di compattare il fronte occidentale contro Russia e Bielorussia.Diverse testate giornalistiche occidentali lo hanno definito "eroe nazionale" ed "eroe globale". il Guardian e BBC News hanno evidenziato come, per la sua ferrea risposta all'invasione, anche i suoi oppositori politici gli abbiano rivolto elogi. Ha inoltre riportato in auge il saluto Slava Ukraini (Gloria all'Ucraina, diffuso durante la guerra fredda tra gli oppositori del regime sovietico in Ucraina, come simbolo di resistenza e patriottismo. Al febbraio 2022, secondo i sondaggi sociologici, l'indice di fiducia a Zelens'kyj nel suo Paese era al 93%, quando nei mesi immediatamente precedenti alla guerra oscillava tra il 30 e il 40%. Numerosi Paesi d'Europa (Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Lituania e Polonia) e gli Stati Uniti d'America hanno conferito a Zelens'kyj le più alte onoreficienze; tra cui il Premio Ronald Reagan per la Libertà ed il Premio John F. Kennedy per il Coraggio. Dall'altro canto, in Russia la sua immagine è stata ampiamente screditata: Vladimir Putin, in un discorso del 25 febbraio, ha definito il governo di Zelens'kyj come una "banda di nazisti e tossicodipendenti", accusandolo inoltre di essere una marionetta nelle mani dell'Occidente.
Posizioni politiche.
Politica estera.
Nell'ottobre 2020 ha parlato a sostegno dell'Azerbaigian per quanto riguarda la guerra del Nagorno-Karabakh tra l'Azerbaigian e gli azeri di etnia armena sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh. Zelens'kyj ha affermato: "Sosteniamo l'integrità territoriale e la sovranità dell'Azerbaigian proprio come l'Azerbaigian sostiene sempre la nostra integrità e sovranità territoriale".
Zelens'kyj ha cercato di posizionare l'Ucraina come uno Stato neutrale nelle tensioni politiche e commerciali tra Stati Uniti e Cina. Nel gennaio 2021, Zelens'kyj ha dichiarato in un'intervista ad Axios di non percepire la Cina come una minaccia geopolitica e di non essere d'accordo con le affermazioni degli Stati Uniti secondo cui ne rappresenta una.
Ingresso nella NATO e nell'Unione Europea.
Nel 2013-14 Zelens'kyj si avvicinò al movimento filo-europeista Euromaidan. Durante la guerra del Donbass ha aiutato l'esercito ucraino contribuendo a fondare un battaglione di volontari combattenti. In un'intervista del 2014 sulla Komsomolskaya Pravda ucraina, Zelens'kyj ha detto che gli sarebbe piaciuto fare una visita in Crimea, ma che lo eviterebbe perché "ci sono persone armate". Nell'agosto 2014, Zelens'kyj si è esibito per le truppe ucraine a Mariupol e in seguito il suo studio ha donato un'importante somma all'esercito ucraino.
Durante la sua campagna presidenziale, Zelens'kyj ha affermato di sostenere l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea e alla NATO, ma ha affermato che gli elettori ucraini dovrebbero decidere in merito all'adesione del paese a queste due organizzazioni nei referendum. Allo stesso tempo, credeva che il popolo ucraino avesse già scelto l'"eurointegrazione". Lo stretto consigliere di Zelens'kyj, Ivan Bakanov, ha anche affermato che la politica di Zelens'kyj è favorevole all'adesione sia all'UE che alla NATO e propone di tenere referendum sull'adesione.
Il programma elettorale di Zelens'kyj affermava che l'adesione dell'Ucraina alla NATO è "la scelta del Maidan e il corso sancito dalla Costituzione, inoltre, è uno strumento per rafforzare la nostra capacità di difesa". Il programma afferma che l'Ucraina dovrebbe fissare l'obiettivo di presentare domanda per un piano d'azione per l'adesione alla NATO nel 2024. Il programma afferma inoltre che Zelens'kyj "farà di tutto per garantire" che l'Ucraina possa presentare domanda di adesione all'Unione europea nel 2024.
Politica interna.
Due giorni prima del secondo turno, Zelens'kyj ha dichiarato di voler costruire "un'Ucraina forte, potente e libera, che non è la sorella minore della Russia, che non è un partner corrotto dell'Europa, ma la nostra Ucraina indipendente".
Zelens'kyj ha promesso che il suo primo disegno di legge, "On People's Power", fornirà un meccanismo per i referendum.
Questa promessa non è stata mantenuta, poiché il suo primo disegno di legge presentato era una legge sugli appalti pubblici delle elezioni. Ha anche promesso progetti di legge per combattere la corruzione, inclusa la rimozione dell'immunità al presidente del paese, ai membri della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino) e ai giudici, una legge sull'impeachment, la riforma delle leggi elettorali e un processo efficiente con giuria. Ha promesso di portare lo stipendio del personale militare "al livello degli standard Nato".
Zelens'kyj ha dichiarato che come presidente avrebbe sviluppato l'economia e attratto investimenti in Ucraina attraverso "un riavvio del sistema giudiziario" e ripristinando la fiducia nello Stato. Propone inoltre un condono fiscale e una flat tax del 5 per cento per le grandi imprese che potrebbero essere aumentate «in dialogo con loro e se tutti sono d'accordo». Secondo Zelens'kyj, se le persone si accorgessero che il suo nuovo governo "funziona onestamente dal primo giorno", inizierebbero a pagare le tasse.
Nel 2020, ha proposto l'ergastolo per corruzione.
Riguardo all'annessione russa della Crimea nel 2014, Zelens'kyj ha affermato che, parlando realisticamente, sarebbe possibile riportare la Crimea sotto il controllo ucraino solo dopo un cambio di regime in Russia.
Zelens'kyj sostiene la distribuzione gratuita di cannabis medica, l'aborto gratuito in Ucraina e la legalizzazione della prostituzione e del gioco d'azzardo. Si oppone alla legalizzazione delle armi.
Zelens'kyj si è espresso contro il prendere di mira la lingua russa in Ucraina e il divieto di artisti per le loro opinioni politiche (come quelle considerate dal governo ucraino come anti-ucraine). Nell'aprile 2019 ha dichiarato di non essere contrario a una quota di lingua ucraina (alla radio e alla TV) e che agli artisti russi "che si sono trasformati in politici (anti-ucraini)" ai quali dovrebbe essere vietato l'ingresso in Ucraina. Contemporaneamente ha lanciato lo slogan sulle quote in lingua ucraina: "puoi cambiarli un po'".
Zelens'kyj ha dichiarato nell'aprile 2019 che "ovviamente" sostiene la decomunizzazione dell'Ucraina, ma non è soddisfatto della sua forma attuale. In un'intervista con RBC-Ucraina nell'aprile 2019, Zelens'kyj ha affermato che il leader dell'OUN-B Stepan Bandera, una figura controversa nella storia ucraina, era "un eroe per una certa parte degli ucraini, e questa è una cosa normale e interessante. Era uno di quelli che hanno difeso la libertà dell'Ucraina. Ma penso che quando chiamiamo così tante strade, ponti con lo stesso nome, questo non è del tutto giusto." Nella stessa intervista, Zelens'kyj ha continuato a criticare l'abuso di tributi a Taras Hryhorovyč Ševčenko, un famoso poeta e pittore ucraino: "Dobbiamo ricordare gli eroi di oggi, eroi delle arti, eroi della letteratura, semplicemente eroi dell'Ucraina. Perché non usiamo i loro nomi, i nomi degli eroi che oggi uniscono l'Ucraina?"
In risposta a suggerimenti contrari, nell'aprile 2019 ha dichiarato di considerare il presidente russo Vladimir Putin "come un nemico". Il 2 maggio 2019 Zelens'kyj ha scritto su Facebook che "il confine è l'unica cosa che Russia e Ucraina hanno in comune".
Nel giugno 2021, Zelens'kyj ha presentato alla Verkhovna Rada un disegno di legge "Sulla prevenzione delle minacce alla sicurezza nazionale legate all'eccessiva influenza di persone di significativa importanza economica o politica nella vita pubblica (oligarchi)". Lo scopo della legge, secondo il presidente, è combattere contro le persone che hanno una ricchezza significativa e un'influenza significativa nella società e nella politica (gli oligarchi). Una persona è identificata come oligarca se soddisfa 3 dei 4 criteri, e quindi deve essere iscritta in un apposito registro.
Vita privata.
Nel settembre del 2003 si è sposato con Olena Kijaško, architetta e autrice dei suoi sketch, che ha conosciuto al liceo. La coppia ha due figli: una femmina, Oleksandra (2004), e un maschio, Kyrylo (2013).
La prima lingua di Zelens'kyj è il russo: egli parla correntemente anche l'ucraino e l'inglese. I suoi beni valevano circa 37 milioni di grivne (circa $ 1,5 milioni di dollari) nel 2018.
Controversie.
I "Pandora Papers" dell'ICIJ hanno rivelato che Zelens'kyj, Serhij Shefir e Ivan Bakanov (rispettivamente suo Capo di gabinetto e Direttore del Servizio di sicurezza dell'Ucraina) gestivano una rete di società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize. Gli procurano accuse di ipocrisia in relazione agli impegni presi in campagna elettorale.
In un'intervista dell'aprile 2019 all'emittente RBC Ucraina, circa il fatto che una parte degli ucraini reputi Stepan Bandera un eroe, afferma che: "È normale, è grande! È una di quelle persone che han difeso la libertà dell'Ucraina!". Sebbene sia stata in seguito rimossa, ne sono ancora recuperabili parti per iscritto attraverso alcuni articoli, grazie ad archivi web come la Wayback Machine. Inoltre sono presenti video in cui ribadisce la propria posizione anche su YouTube.
Alcune sue dichiarazioni sulla Soluzione finale e sull'Olocausto sono state aspramente criticate dalla comunità ebraica e reputate "oltraggiose" dal Ministro delle Comunicazioni israeliano Yoaz Hendel. L'ex ministro Yuval Steinitz le ha classificate come "al confine con il Negazionismo dell'Olocausto".
È spesso fortemente criticato anche l'appoggio di Zelens'kyj a formazioni di stampo (più o meno velatamente) nazionalista, come il Battaglione Azov.
Gli sono tavolta contestati atteggiamenti poco democratici e trasparenti, in particolare per quanto attiene ai rapporti con oligarchi, media e opposizioni filo-russe.
Onorificenze.
Onorificenze ucraine.
In veste di Sua Eccellenza il Presidente dell'Ucraina è dal 20 maggio 2019:
Gran Maestro dell'Eroe dell'Ucraina — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine della libertà — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Jaroslav il Saggio — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine al merito — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Bogdan Chmel'nyc'kyj — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine dei Cento Eroi Celesti — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine della Principessa Olga — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine di Danylo Halytsky — 20 maggio 2019
Gran Maestro dell'Ordine per il Coraggio nel Lavoro Minerario — 20 maggio 2019
Onorificenze straniere.
Gran Collare dell'Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) — 11 marzo 2022
Kostya Ryzhenko, da blogger investigativo a informatore di Kiev. Viviana Mazza su Il Corriere della Sera il 6 Settembre 2022.
Il 28enne ricercato dai russi, con una taglia sulla sua testa, da Kherson si è spostato nella capitale: «Con la mia rete, pianifico operazioni e fornisco mappe dell’artiglieria e della difesa anti aerea di Mosca».
KIEV È nella capitale dal 24 agosto, ma continua a guardarsi le spalle: appuntamento al parco, sim card estratte dai cellulari a 20 metri da dove vive. Kostya Ryzhenko, 28 anni, è diventato un volto noto dopo l’occupazione russa di Kherson il 2 marzo. Da blogger investigativo anti-corruzione sul canale Telegram «Jurnko» si è trasformato prima in cronista dell’occupazione («pensavo sarebbe finita presto, giravo video per raccontare ciò che la propaganda russa e ucraina non dicevano») e poi in informatore dell’intelligence di Kiev. Parla in russo, attraverso l’interprete.
Quando hanno iniziato a prenderla di mira?
«All’inizio mi spostavo di casa in casa, giravo col mio passaporto. Poi ho preso in giro le autorità di Mosca: dicevano che ricevevano chiamate di ucraini che volevano il passaporto russo, ho chiamato il capo dell’Amministrazione in Crimea e gli ho detto cosa poteva farci col passaporto. Lavoravo già con l’intelligence ucraina. I russi sono venuti a cercarmi, hanno lasciato una nota: “Se scrivi per soldi parliamone. Se è ideologico abbiamo problemi”. Ho distrutto il cellulare, ho infilato le cose in uno zaino e sono scappato. Ho fatto parkour, conosco Kherson come le mie tasche».
Ha creato una rete di informatori. Come operate?
«Ci sono diversi gruppi di guerriglia. Non posso parlare per tutti. Noi abbiamo alcuni ex militari, ma non avevamo esplosivi e armi. Abbiamo pianificato un’operazione, spiegando che era una priorità eliminare un certo individuo, ma l’intelligence ha detto: “Non abbiamo le risorse”. Abbiamo spiegato che ci serviva solo l’equipaggiamento. Ce l’hanno fatto trovare e l’abbiamo eliminato, anche se non come pianificato (non dà dettagli, dice che comprometterebbe i colleghi, ndr). Abbiamo anche fornito mappe dettagliate dell’artiglieria e della difesa antiaerea russe».
Perché se n’è andato?
«Ero troppo riconoscibile, se catturato avrei tradito il network. C’è una taglia di 200mila rubli (3.200 euro, ndr) sulla mia testa. L’intelligence me l’ha consigliato: più forte è la controffensiva più si farà forte la repressione».
Per lei tutti i collaborazionisti meritano di morire?
«Quelli al potere sì: hanno giurato fedeltà all’Ucraina e l’hanno tradita. Alcuni hanno detto ai russi dov’erano ex soldati, altri li hanno aiutati a impadronirsi delle imprese, altri ancora dicono che è tutto ok e così danzano sui cadaveri della gente uccisa dai russi».
Lei ha detto che «quando Kherson sarà liberata vedremo cose che faranno sembrare Bucha un posto quieto per bambini». Perché?
«La differenza è il tempo. A Bucha la gente è stata torturata per due giorni e poi fucilata. A Kherson si muore dopo mesi di torture».
«Il Battaglione Monaco»: oligarchi e deputati ucraini in Riviera anziché al fronte. Marta Serafini su Il Corriere della Sera il 27 agosto 2022.
Yacht, casinò, ville: sdegno in Ucraina per i i potenti fuggiti a Montecarlo e a Nizza aggirando la legge che proibisce agli uomini sotto i 60 anni di lasciare il Paese in guerra
Igor Abramovich, Kostyantyn Zhivago, Ihor Surkis
Li hanno ribattezzati, in segno di spregio, il battaglione Monaco. Ma sono tutt’altro che soldati disposti a morire per la patria gli 84 deputati e oligarchi ucraini su cui l’Sbu, l’intelligence di Kiev, ha aperto un fascicolo di indagine. Uomini che, mentre il loro Paese finiva sotto i colpi di Mosca, facevano i bagagli e si rifugiavano a Monaco, Monte Carlo e Nizza.
A darne conto con un’inchiesta pubblicata il 17 agosto poco prima del giorno dell’Indipendenza è stata l’Ukrayinska Pravda. Uno scoop che ha indignato l’intero Paese provato dai sei mesi di conflitto sollevando temi importanti già noti al pubblico ucraino, dalla corruzione delle élite politiche e finanziarie fino alle disparità sociali, messi in secondo piano dalla guerra.
Barche e milioni
Yacht, auto di lusso, giornate trascorse nell’ozio tra lo shopping e i bagni in mare, tutto documentato dai filmati e dalle immagini pubblicate dal media ufficiale di Kiev. Tra i nomi celebri che appaiono nell’elenco, il deputato ucraino Ihor Abramovich e Serhiy Vyazmikin, ex direttore ad interim del Dipartimento per la protezione economica della polizia nazionale ucraina, avvistati a passeggiare a Cap Ferrat. Poi uomini d’affari come Kostyantyn Zhivago, quarto uomo più ricco di Ucraina, ex proprietario della banca JSC, sospettato di appropriazione indebita per 113 milioni di dollari. Il suo yacht, lo Z (ironia della sorte come la lettera con simbolo usata in guerra dai russi) è ancorato al largo di Monaco. Ma anche Ihor Surkis, oligarca noto per essere proprietario e presidente della Dynamo Kyiv dal 2002, noto habitué del casinò di Montecarlo con il fratello, l’ex deputato Hryhoriy Surkis ed ex capo della Federcalcio ucraina. Entrambi «residenti» per il momento in un appartamento in affitto il cui canone si aggira intorno ai due milioni l’anno.
Barche e milioni
I giornalisti ucraini hanno poi avvistato una Bentley Flying Spur con targa di Dnipro di proprietà di Vadym Yermolaiev, sviluppatore informatico e 45esima persona più ricca d’Ucraina. E, non lontano dal Casinò di Montecarlo, un’auto con targa di Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, quotidianamente sotto l’attacco dell’artiglieria russa. Niente meno che una Mercedes Maybach, il cui valore si aggira intorno ai 300 mila euro. Rigorosamente intestata a una società.
Varcando il confine, gli 82 membri del «Battaglione Monaco» hanno violato la legge marziale imposta dal governo di Kiev, che vieta agli uomini tra i 18 e i 60 anni abile alla leva di lasciare il Paese. Per i deputati — sottolinea ancora l’inchiesta — c’è poi l’aggravante di aver disertato per quasi sei mesi, in un momento particolarmente delicato, i lavori della Verkhovna Rada, il parlamento ucraino. Ben diverso dunque dal Battaglione Tamigi, nome con cui era chiamato l’esercito di ragazzi italiani che trovavano impiego nelle grandi società finanziarie inglesi evitando così il servizio militare all’epoca ancora obbligatorio.
Barche e milioni
George Woloshyn, editorialista del Kyiv Post, ha commentato: «Queste sono persone che hanno fatto fortuna in uno dei Paesi più poveri d’Europa e stanno aspettando di vedere come finirà la guerra. Se l’Ucraina vincerà, torneranno per arricchirsi ulteriormente. Se invece preverrà Mosca, avranno abbastanza per vivere comodamente per il resto della loro vita». Poi la proposta: se non incarcerati o condannati, gran parte della società ucraina chiede di multare i membri del Battaglione Monaco. Soldi che potrebbero essere usati — suggerisce ancora Woloshyn — per la riabilitazione dei soldati feriti e comprare per chi è ancora sul campo protezioni più efficaci.
Per i deputati disertori invece l’esponente del partito del presidente Volodymyr Zelensky, la parlamentare di Servitore del Popolo Maryana Bezugla, ha già presentato una mozione per sollevare dall’incarico i suoi colleghi che hanno abbandonato il Paese in tempo di guerra.
Diario ucraino. Cracovia, day 1. Come un tuffatore, comincia il mio ritorno in Ucraina. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 30 agosto 2022.
Per arrivare alla destinazione finale servono almeno due giorni, o tre a seconda dei mezzi. La prima tappa è in Polonia, che raggiungo con l’aereo giallo e blu. Ovunque sento la mia lingua, vedo profughi del mio Paese e sento crescere un’emozione indefinita.
Al Gate 14 con la scritta Cracovia si sente parlare ucraino. I passeggeri orgogliosamente mostrano il passaporto blu con il tridente e gli angoli acuti. Rientrano a casa o nei posti di smistamento temporaneo?
Ho pianificato il viaggio in Ucraina circa un mese fa. Per arrivare alla destinazione finale servono almeno due giorni, se non tre – dipende dalla strada e da quali mezzi si sceglie di prendere. Ho scelto l’aereo fino a Cracovia, un aereo con l’ala gialloblu, un Ryan Air, non un Ukrainian International Airlines. L’ho scelto certamente per il colore della livrea, non per l’orario di partenza visto che mi sono alzata alle 4:30 del mattino. All’arrivo a Cracovia aspetterò un giorno intero per prendere poi la sera l’autobus per Leopoli. Voglio attraversare il confine tra la Polonia e Ucraina stando il più possibile vicino alla terra. Non con il treno, sospeso nell’aria, perché ai vagoni devono cambiare le ruote (in Ucraina i binari sono ancora all’antica, più larghi rispetto a quelli europei, e anche questi saranno da cambiare in futuro nel nostro percorso di Paese con lo status di candidato all’Ue). Voglio sentire quel confine fisicamente, l’avrei anche attraversato a piedi. Voglio che quel passaggio rimanga in me, inciso nella memoria, impresso sulla pelle. Spero almeno di non addormentarmi dopo due notti senza sonno, ma penso proprio di no.
Come si fa a organizzare un viaggio in un Paese in guerra? Farlo incastrare, come se fosse un viaggio qualsiasi, tra gli appelli all’università e le varie scadenze di lavoro? Come si fa a essere sicuri che andrà tutto secondo i piani, compreso l’orario di partenza del volo di ritorno? Eppure gli ucraini hanno a che fare con queste cose tutti i giorni. Vivere, organizzare le vicende quotidiane, viaggiare per lavoro, aspettare i mariti che stanno al fronte, seguire le istruzioni quando scatta la sirena antiaerea per poi vedere le immagini delle conseguenze di quelle sirene.
Il volo non me lo ricordo, tra la stanchezza degli ultimi giorni e l’effetto dello Xanax, preso per dormire almeno qualche ora prima della partenza. All’imbarco mi è sembrato di sentire uno «Slava Ukraini», pronunciato sempre nei momenti importanti, ma sarà stato ancora l’effetto dello Xanax.
L’arrivo a Cracovia non mi sembra di averlo sognato. Le bandiere ucraine ci sono ovunque: all’aeroporto, alla stazione centrale, nelle istituzioni statali, nei teatri, nei bar. Il russo ucrainizzato, quello delle regioni dell’est Ucraina, e l’ucraino si sentono ovunque, la Polonia è il paese che ha accolto il maggior numero dei rifugiati ucraini. Sono donne e bambini. Nei ristoranti ordinano la zuppa di barbabietole che assomiglia molto al borscht ucraino e anche i “pierogi”, che assomigliano ai “varenyky”, i ravioli ucraini. Chissà se preparano il borscht nel posto dove stanno, non oso chiamarlo casa, perché la casa è più avanti a Est, oltre il confine. La lingua polacca è molto simile all’ucraino, non devi neanche rincorrere all’inglese per ordinare una birra polacca “pszeniczne” (fatto di grano) e per chiedere il conto.
Sono sollevata di fare questo viaggio in più tappe, così riuscirò a prendere un po’ di fiato, prima a Cracovia, poi a Leopoli, per non essere schiacciata dall’emozione, che mi è ancora del tutto sconosciuta. Ho immaginato migliaia di volte l’incontro con i miei genitori, con i miei amici, con i posti che mi hanno formata, ma qui a Cracovia alla distanza di un braccio teso dal confine, tutte quelle immagini sembrano una pellicola rotta.
Dovrei avere paura, ma stranamente sento qualcosa di diverso, qualcosa di bello. Sarà la birra polacca che fa effetto. L’effetto di essere sospesi nell’aria, come i vagoni ucraini, che aspettano di calzare le ruote giuste. L’effetto di essere in un prima, perché me ne rendo conto, questo è un prima e domani mattina all’alba inizierà un dopo. Chi sarò al confine? In quali statistiche rientrerò? In quelle degli ucraini che rientrano a casa o in quelle degli stranieri che vengono per una visita?
E mentre attendo l’autobus a Cracovia, a Mykolajiv bombardano una fermata dell’autobus con cinque vittime civili. E quel sentimento bello di rientrare a casa cambia di nuovo con qualcosa di opposto, perché la casa non è più quella che ho visto l’ultima volta un anno fa. E mentre attendo questo giorno a Cracovia, trattengo il fiato come un tuffatore, pronto a immergersi in tutte le acque che lo aspettano.
Diario ucraino. Leopoli, Giorno 2. Il ritorno a casa è una lunga maratona sulla via della Gioia. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta l'1 agosto 2022.
Dopo le ore di autobus e l’attraversamento del confine, arriva il sonno. Lo stesso di quando ero a casa, quando casa era un posto sicuro. Non lo è più, ma almeno posso camminare per le strade di una città dove tutti sono ucraini e tutti sono forti.
Il tuffatore trattiene il respiro, chiude stretti gli occhi, con la mano destra chiude il naso e si butta nelle acque fredde come la notte polacco-ucraina di fine luglio, ma anche avvolgenti e famigliari. I capelli sembrano volare sotto l’acqua, con la mano sinistra il tuffatore cerca invano un appiglio. Nuota in avanti con gli occhi chiusi, questa non è una piscina per i tuffi, ma per il nuoto a corsie. Per descrivere i mesi di guerra in Ucraina, si è ricorso alla metafora che non è uno sprint, ma una maratona. Non è un tuffo con le piroette, è una batteria con i nuotatori in una gara di lunga distanza come quelle che si fanno nelle acqua aperte.
L’autostrada Cracovia-Korczowa pullula di camion con le scritte: “Lidl”, “Verdura fresca”, “Frutta fresca”. Viaggiano tranquilli in questa notte polacca anche al confine con l’Ucraina. E gli ucraini, anche dell’autobus sul quale mi trovo io, non meritano questa tranquillità? Quella banale noiosa quotidianità dei camion con la frutta fresca? Quei dilemmi semplici su dove andare a mangiare stasera e che vestito mettere. Perché no?
Alla frontiera polacco-ucraina arriviamo alle due del mattino ora polacca, tra cinquecento metri sono le tre del mattino, in Ucraina il fuso è un’ora in avanti. Ci mettiamo due ore (a sentire l’autista anche poco) per spostarci da un casello all’altro. La doganiera ucraina sale sull’autobus e chiede se i cinquantanove passeggeri sono tutti ucraini e se ci sono stranieri, poi raccoglie cinquantanove passaporti. Tutti blu con il tridente dagli angoli acuti. Donne e figli che ritornano a casa da dove sono stati sfollati, ma padroni di casa propria. Per casa intendo anche un pezzo di suolo ucraino, un binario sulla stazione, dove tutti parlano la stessa lingua: «Io parlo russo, ma la mia testa è ucraina, ho tolto la parola a mia sorella che sta in Russia, non mi capisce, perché la mia testa è ucraina», dice una signora con la figlia di dieci anni che sta rientrando dalla Repubblica Ceca.
Ancora ad aprile non avrei mai potuto immaginare che a fine luglio sarei potuta tornare (tornare, andare, rientrare qual è in verbo giusto nel mio caso?) in Ucraina. Che avrei potuto prendere un autobus e attraversare il confine in direzione Est, prendere un treno a Leopoli per andare nella capitale, a Kyjiv, e non con un treno blindato, magari con dei giornalisti, viaggiando di notte, ma come lo fanno tutti gli ucraini, con un treno di linea, un Uber, chiamato con l’applicazione e poi pagare un caffè al bar con Apple Pay.
Invece tutto questo è possibile e lo è grazie alle Forze Armate d’Ucraina “ZSU” — Zbrojni syly Ukrajiny. «Djakuju ZSU» (Grazie “ZSU”) è diventata la preghiera degli ucraini, che si recita più volte al giorno e in più occasioni.
Dopo aver visto il cartellone “Ukraine” con la bandiera gialloblù, sono crollata in un sonno profondo, di quelli che fai solo a casa, perché ti senti al sicuro. Di quelli che facevo da studentessa, quando tornavo a casa dei genitori un sabato al mese e dopo pranzo, magari anche con il borshch della mamma, mi lasciavo andare sul divano. La casa non è più un posto sicuro, ma la stanchezza del viaggio è tanta. Tra il confine e Leopoli ci sono solo sessanta chilometri, mi sveglio di colpo e con quattro diottrie in meno nei miei occhi e il grigiore dell’alba più bella della mia vita, vedo il posto di blocco davanti all’ingresso di Leopoli. I militari, i sacchi di sabbia, i blocchi di cemento. La casa non è più un posto sicuro.
Sono le 5:30 del mattino, scendiamo dall’autobus.
Ci vuole un attimo.
Il tassista improvvisato, un signore anziano, cerca sulla mappa di carta aiutandosi con la luce del faro della sua macchina Via della Gioia. Non è una metafora, l’indirizzo dove mi devo fermare a Leopoli è Via della Gioia, 10. In macchina suona l’ultima canzone della rock band ucraina “Okean El’zy” sulla guerra: «Mamma, questo non è un sogno», dopo però c’è Adriano Celentano che entra con «la situazione politica non è buona, la situazione economica non è buona» e per un momento dubito di essere mai partita dall’Italia.
L’arrivo. L’abbraccio della migliore amica, quasi sorella, anzi senza quasi. Altre due ore di sonno sul divano, senza neanche togliere i jeans. Il risveglio con le sirene, ci spostiamo verso i muri portanti della casa.
Passiamo una giornata passeggiando in città, consegnando Linkiesta Magazine Omaggio all’Ucraina agli autori ucraini. Parliamo, mangiamo qualcosina, salutiamo i militari in città, facciamo le foto ai monumenti ricoperti con i sacchi di sabbia con le scritte: «Godremo l’originale dopo la nostra vittoria», leggiamo i cartelloni sulle strade «Il coraggio ha due colori» «Djakuju ZSU», «Imparare l’autodifesa». C’è anche un DJ nella piazza centrale che mette le canzoni ucraine della resistenza.
In piazza, in città, nei paesi siamo tutti legati allo stesso filo, allo stesso dolore, alle stesse notizie sulla strage dei prigionieri ucraini a Olenivka. Siamo tutti legati allo stesso trauma. Qui non serve mettere una bandiera gialloblù sul polso per sentirsi più forte e più ucraina, come faccio in Italia, qui sono tutti ucraini e sono tutti forti.
L’indomani mi aspetta il treno per Kyjiv. Ci sarà una pioggia fitta a salutarmi, ci sarà un abbraccio della quasi sorella, perché lei resta qualche giorno ancora a Leopoli, mentre io da sola rientrerò nella sua casa di Kyjiv, in quella città dove ho vissuto per tredici anni, dove non mi serve una mappa di carta per trovare la via della Gioia, che in questo caso è una metafora.
Diario ucraino. Leopoli-Kyjiv, Giorno 3. L’arrivo nella capitale e il cuore che batte come per la persona che si ama. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 2 Agosto 2022.
Dopo otto ore di treno che in alcuni punti procede a passo d’uomo, arrivo alla stazione: sono travolta dalle emozioni ma il coprifuoco e il suono della sirena mi riportano subito alla realtà.
Non so se per un giorno intero si possono calcolare le otto ore passate in treno da Leopoli a Kyjiv. Sul binario più bagagli che passeggeri. Gli ucraini sfollati rientrano nelle loro case dall’estero o dall’Ucraina occidentale con le valigie e i loro animali domestici, altrettanto sfollati, altrettanto traumatizzati. Ma non sono loro i veri protagonisti di questo addio. Sono i militari, che salutano mogli e figli, i militari con le fasce alle gambe sono venuti alla stazione in attesa di un compagno in licenza. Leopoli saluta tutti con la pioggia fitta.
Il treno viaggia lento. Da Leopoli a Kyjiv in tempi normali ci mettevamo circa cinque ore, adesso sono otto ore senza soste, senza entrare nelle città. In alcuni posti il treno viaggia a passo d’uomo. Riesci perfino a distinguere il nero dei semi dei girasole, adornati dal giallo intenso nei campi, tra una città e l’altra, tra un verde e l’altro. Sulle fermate i cartelli: buon viaggio! Slava Ukraini! Bandiere e colori della bandiera ovunque. Le distruzioni non si vedono da queste parti. Controllo sull’app dove mi trovo e sono un piccolo punto blu nel verde della mappa che si avvicina alla capitale.
Nello scompartimento siamo in sei, siamo tutti gentili l’uno verso l’altro e siamo tutti in vibrante attesa dell’arrivo a Kyjiv. Manca un’ora e siamo nei pressi di quelle zone dove i kyjiviani avevano le seconde case, dove scappavano dalla calda capitale estiva per coltivare il loro orto per poi magari rimanerci per sempre. Borodyanka, Klavdievo, Bucha, Irpin’.
Il treno rallenta a Bucha, in lontananza si vedono alcune case malconce, con i detriti raccolti in un angolo del cortile, i proprietari sono tornati a casa o non sono mai andati via o sono sopravvissuti e stanno cercando di mettere in piedi una vita.
Vicino Kyjiv non c’è una traccia di pioggia. Il sole, l’oro colato, accarezza le punte degli alberi che sono verdi nonostante le ferite, nonostante il dolore, nonostante la tragedia.
Pensavo che a far battere il cuore così potesse riuscirci solo la persona che ami, invece lo può fare anche una città. Si chiama Kyjiv.
Scendiamo dal treno, arrivato in orario, una cosa molto rara di questi tempi. Il mio primo appuntamento con Kyjiv è molto timido e breve. Inizia con il controllo passaporti prima di entrare in stazione, poi con il controllo bagagli e solo dopo con un fugace bacio sulla piazza principale davanti alla stazione.
Dovrei affrettarmi, c’è il coprifuoco, ma non riesco a muovermi. Chiamo la mia quasi sorella, piango, rido e poi piango di nuovo. Mi raccolgo per chiamare un taxi, arriva un ragazzo gentile, carica la mia valigia, scherza che non è per niente leggera per una donna. In viaggio capisce che sono una turista che fotografa la città dal finestrino della macchina e allora comincia a raccontarmi delle battaglie per Kyjiv. Potrei essere una turista, ma sono anche una filologa e capisco subito che non è di queste parti. Infatti è della regione di Donec’k, arrivato a Kyjiv nel 2018 con la famiglia. Era fuggito da Kyjiv il 25 febbraio, è rientrato il 7 aprile. Ognuno qui ha la sua storia su dov’era e che cosa faceva il 24 febbraio 2022.
Mi sono chiesta più volte che cosa avrei fatto io il 24 febbraio, se non mi fossi trasferita in Italia nel 2015. Sarei rimasta e Kyjiv? Sarei scappata via? Avrei continuato a lavorare con i giornalisti italiani, come ho fatto nel periodo del Majdan nel 2013 e 2014? Non ho una risposta.
Il tassista mi aiuta a scaricare la valigia, la porta sulle scale fino al portone. Io entro in quell’appartamento attraverso il quale ho vissuto i primi giorni della guerra. Oltre lo schermo vedevo le finestre ricoperte dallo scotch di carta per sopportare l’onda d’urto, ora vedo i fiori sul davanzale che fioriscono come il verde fuori dalla finestra del treno, nonostante tutto.
L’appuntamento con l’appartamento della mia quasi sorella è intenso e non dovrebbe essere così fugace, ma viene interrotto dalla sirena e io mi sposto nell’angolo più sicuro della casa, e ora sono i miei amici ucraini a scrivermi come sto, e per una volta non io a loro, quando scattava la sirena. Mi dicono cosa fare e cosa non fare. Ora ci siamo scambiati i ruoli. La sirena dura un’ora e scatta in tutte le regioni d’Ucraina.
Kyjiv la scampa, posso anche spostarmi dall’altra parte del letto, opposta dell’angolo più sicuro, e mettermi in posizione orizzontale. Domani mi aspetta l’ultima tappa del viaggio. Domani rientro, torno, vado (qual è il verbo giusto nel mio caso?) a casa, o almeno a casa dei miei genitori.
Diario ucraino. Ivankiv, Giorno 4. Ritrovo, tra le macerie, il punto in cui per me è tutto cominciato. E mi scopro orfana di me stessa. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 3 Agosto 2022.
Dopo avere attraversato strade rese irriconoscibili dalla guerra, mi accoglie la mia famiglia. Il pranzo segue il rito solito, sotto il noce e con il borshch fatto con le verdure dell’orto. Si sta insieme, ma si parla solo di bombe e sofferenza. E con dolore ci ritroviamo tutti cambiati
Se Kyjiv è la faccia della persona che ami, il resto dell’Ucraina è il suo corpo. Ferito, crivellato, bruciato, con le cicatrici che lasceranno il segno per sempre. All’uscita dalla capitale ci sono posti di blocco uno dopo l’altro, le montagne di sabbia, i blocchi di cemento, i cavalli di Frisia, chiamati anche ricci cechi. I ponti saltati in aria. La macchina prende un ponte provvisorio per arrivare dall’altra parte. Sul ciglio delle strade i resti delle macchine e i carri armati bruciati, come resti di animali feroci abbattuti. O almeno di quel che resta degli animali. La gente li porta via a pezzi come segno della vittoria. Anche i fiori che crescono in mezzo si alzano vittoriosi sopra quelle macerie. Solo pochi mesi fa su questa strada passavano lunghe colonne russe. Quel lungo verme che succhiava la vita di questi paesi e che all’Est dell’Ucraina continua ancora a succhiare.
Tra me e quella strada c’è solo la distanza di un finestrino della macchina, non c’è più la distanza di chilometri e di uno schermo del telefono. La quarta parete è caduta. Lo schermo è diventato il presente, qui-e-ora. Conosco a memoria ogni curva di quella strada, come il corpo della persona che ami, eppure è diversa con quelle macerie e quei resti di carri armati sui bordi della strada. Mi sto avvicinando al mio punto zero, al punto della partenza di tutte le partenze, quasi tutte, perché sono nata sfollata, e sono molto grata che a portarmi è la coppia di miei amici al volante e al sedile del passeggero e io, docile, sul sedile posteriore. Loro sono i miei due eroi, eroi ne ho tanti, ma loro sono quelli speciali. Quelli che non sono mai andati via, che sono rimasti a casa nei pressi della capitale, per aiutare l’esercito, per cucinargli i pasti, per fare i turni di notte, per togliere i punti dalle case, quelli che aiutavano l’artiglieria russa ad aggiustare il tiro. Sono rimasti a casa per mantenere i gatti del gattile e i cani randagi, per scendere ogni volta nel rifugio, portando con sé la gatta, per dormire vestiti per quasi due mesi o per non dormire proprio, per pensare se usare il gas per cucinare o non farlo perché in caso di bombardamento la casa poteva saltare in aria per distinguere i suoni: questa è antiaerea ucraina, questi invece sono i missili russi. Sono rimasti a casa per scrivermi che dopo mesi che era finita non riuscivano a sopportare tranquilli un temporale. Loro sono il mio esercito personale, i miei ZSU (Forze armate dell’Ucraina).
Qui c’è un passaggio in cui le parole per descriverlo sono spente. La videocamera del cellulare della mia amica è stata accesa per riprendere tutto e quel video lo tengo per me.
Qualche mese fa sarei potuta diventare d’un tratto orfana e lo ero diventata più volte quando non sentivo per giorni i miei genitori, perché i russi che avevano occupato le nostre zone avevano abbattuto tutti i ripetitori. Invece eccoli qua, i miei funghetti, eccoli qua che mi abbracciano. La metafora dei miei genitori come funghetti è apparsa in uno dei miei primi testi per Linkiesta (Le Noci) e l’avevo strappata con tanta sofferenza da me dopo anni che la tenevo dentro.
Poi c’è stato un momento come quello dei film a lieto fine. Una tavola da pranzo apparecchiata sotto la chioma verde dell’albero delle noci, descritto sempre nel testo “Le noci”, il borshch della mamma, preparato con tutta la verdura coltivata nel loro orto e i discorsi tra i miei genitori e i miei amici che vividamente si scambiavano la loro esperienza di vita durante la guerra. Come si nascondevano dai bombardamenti, come sopravvivevano senza la luce, senza acqua corrente, con una sola dispensa a disposizione perché i negozi erano stati derubati dai soldati russi. Com’era quando i russi con i fucili puntati si erano presentati a casa mia e con quegli stivali sozzi hanno calpestato i tappeti di casa mia, costruita mattone su mattone da mio nonno. Capisco, che certe cose le sento per la prima volta, perché i miei genitori avevano preferito tenermele nascoste. Loro parlavano e io ero solo un’ascoltatrice.
In sottofondo c’è la radio accesa, dove ogni trenta minuti passano le notizie dal fronte. E anche noi a tavola non abbiamo parlato di nient’altro che di guerra. Siamo tutti cambiati. Assieme alle nostre facce e corpi e alle facce e corpi delle persone che amiamo. Siamo tutti segnati nel profondo e a queste cicatrici non si vede ancora una fine.
I miei amici ripartono con il bagagliaio pieno di frutta e verdura raccolta al momento dall’orto dei miei genitori. E io rimango qui, al mio punto di partenza, non orfana di genitori, ma ormai orfana di una persona, di quella che ero e che non lo sarò mai più.
Diario ucraino. Ivankiv, Giorno 5-6. La vita in Ucraina riprende lenta, con l’augurio di trovare un nocciolo di ciliegia. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 5 Agosto 2022.
Tutti fanno scorta di frutta e verdura, in caso di nuova invasione russa. Faccio scorta anch’io, di immagini e profumi, perché la guerra non è finita, i russi possono tornare.
Le pagine 5 e 6 del diario ucraino si sono incollate tra di loro per l’umidità, la pioggia che cade nel Nord dell’Ucraina in questi giorni, e il succo di ciliegie che sgocciola dalle mani. Rosso come il sangue. Rimane sulle mani mentre si raccolgono le ciliegie dall’albero, mentre si toglie il nocciolo con una forcina per i capelli, il vecchio metodo della nonna, per poi farcire i panzerotti. Il succo di ciliegie, scaldato dalla temperatura del forno, esce dall’attaccatura dell’impasto. Sembrano ferite, quelle che si vedono ovunque da queste parti.
La vita intorno a queste zone riprende lenta. Là, dove sono state bombardate le facciate delle case, c’è un intonaco fresco. In alcune parti assi di legno coprono le finestre, evidentemente perché le finestre nuove non sono ancora arrivate. La gente in giro non passeggia, non indugia, cammina con una meta precisa: comprare lo zucchero, diventato più caro di sette grivne (la moneta ucraina) rispetto alla settimana scorsa, sbrigare faccende negli uffici pubblici aperti da poco, andare dal medico a curare i mali rimandati nel periodo dell’occupazione.
Mia madre dice che durante il periodo dell’occupazione solo nella città di Ivankiv sono nati 16 bambini negli scantinati dell’unico ospedale, alimentato dal generatore perché i russi hanno abbattuto subito i pali dell’elettricità.
I militari ucraini ci sono ovunque, siamo nella zona del confine con la Belarus’. Vivono in una delle scuole, tanto la scuola qui non ripartirà in presenza a settembre. Tanti sono andati via, portando con sé i figli nei posti più sicuri, alcuni bambini sono andati nelle colonie estive in Irlanda. Secondo la nuova ordinanza del presidente, possono riaprire in presenza solo le scuole che hanno i rifugi. Rimane poco tempo per sistemarli e comunque i genitori hanno paura di lasciare andare i figli da soli per tutto il giorno a scuola. Quattro scuole su venti sono state distrutte dai bombardamenti e non sono riparabili. Quindi la scuola è diventata una caserma. I locali si prendono cura dei soldati ucraini, gli portano la verdura e la frutta fresca dall’orto. Infatti vedo anche nel nostro bagagliaio una cesta di pomodori «per i ragazzi». Tutti gentili, salutano ai posti di blocco: «Slava Ukraini», invece del passaporto ti chiedono un sorriso, forse perché ormai riconoscono mia madre al volante.
Ogni volta a tavola, apparecchiata sempre con i tesori dell’orto, saltano come i pesci dal fiume le storie sulla guerra: «Quando c’era la guerra», sembrava di sentire parlare i nonni, invece i nonni non ci sono più e ho sempre pensato come avrebbero fatto loro a superare un’altra guerra.
Le storie di come e dove hanno nascosto i gioielli, perché avevano paura di essere derubati dai soldati russi più che esserne bombardati. Avevano lasciato una mappa per me, in modo che solo io potevo trovarli. Una caccia al tesoro poco allegra. Le storie di un uomo che ha pelato le patate per un mese ai sedici soldati russi che vivevano a casa sua e che fino adesso non vuole raccontare niente a nessuno, oltre che andava perfino in bagno accompagnato da uno con il fucile. Ha detto: finirà la guerra e poi vi racconto. Le storie dei coraggiosi imprenditori che portavano il pane dal forno, finché il forno andava avanti col generatore e finché c’era la farina. Gli imprenditori che regalavano a tutti il pesce, perché l’azienda di allevamento era ferma per mancanza dell’elettricità. Le storie sui drogati locali, che hanno fatto le spie, raccontando ai soldati russi chi in giro aveva svolto il servizio militare e magari era stato anche nel Donbas.
Tutti intorno vivono sull’attenti, anche i miei genitori. La guerra non è finita e può anche ritornare. Ogni giorno fanno le conserve di verdura e frutta coltivata da loro, perché sono state quelle a salvargli la vita nel marzo del 2022. Hanno fatto le scorte di zucchero, farina e sale, cereali, pasta e prodotti di igiene personale.
Anche io sto facendo la scorta. Avidamente tocco i miei genitori, annuso il profumo della casa e dei fiori nelle aiuole di mia mamma. Il sapore di questa casa sono i floghi viola e bianchi. Erano i fiori preferiti di mio nonno. Guardo le foto negli album di famiglia, era la cosa, parlo delle cose materiali, che avevo paura perdere di più.
Ascolto e assorbo. Il morbido dei tappeti fatti dalla nonna, il buono del borshch preparato dalla mamma, le lezioni di calcio che mio padre dà ai calciatori della Dynamo Kyjiv, che ovviamente non sanno giocare per niente, quel suono sordo delle mele mature, che la notte cadono per terra dagli alberi. Quell’appiccicoso rosso delle ciliegie.
In uno dei panzerotti con le ciliegie c’è un nocciolo. Qualche nocciolo era scappato alla forcina della nonna. Da piccola, quando mia nonna faceva i panzerotti con le ciliegie, lasciava apposta una ciliegia con il nocciolo e chi lo beccava, beccava tutta la fortuna del mondo. Non so se un dente rotto è tutta la fortuna del mondo o la sfida sta nell’avere sia tutti i denti sia il nocciolo. Oggi il nocciolo l’ho beccato io e ora aspetto tutta la fortuna del mondo, ma essendo riuscita ad arrivare fin qua, mi sembra di averla un poco avuta.
Diario ucraino. Bilohorodka, Giorni 6-7. La scheggia di proiettile e la necessità di fare caso a quando siamo felici. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta l'8 Agosto 2022
Dei progetti di pochi mesi fa in Ucraina rimane poco, a volte solo cenere, così come delle case nei dintorni. Ma dopo un anno, nonostante tutto, ritrovo con i miei amici la forza di sorridere
La strada da Ivankiv verso la casa dei miei amici passa per quei toponimi che ormai sono per sempre nella storia – Borodyanka, Bucha, Irpin’. Prima di arrivarci passiamo per le zone boschive, dove ai cigli della strada ci sono gli accampamenti abbandonati dell’esercito russo: nella terra sono scavate le trincee, piene d’acqua per le piogge che quest’estate cadono sul nord dell’Ucraina. Gli alberi attorno sono spaccati a metà dai proiettili, alcuni sono tagliati per costruire quelle bislacche tettoie, costruzioni mostruose, che rimarranno lì, come schegge nella mano, come pugni nell’occhio ogni volta che le vedi. L’autostrada, una volta nuova e liscia, è incavata da quei lunghi segni neri, dovuti alla marcia infame dei carri armati russi verso la capitale.
Da ambedue i lati dell’autostrada ci sono le sagome degli edifici bruciati e abbattuti. Erano le case di qualcuno, erano le vite di qualcuno. Erano quei momenti felici di acquistare quella casa, di mettere il proprio cognome sul citofono, orgogliosamente accendere un mutuo, anche per trent’anni. Ora di quel piano per il futuro, di quella vita programmata a rate, non rimane più niente, tranne che la cenere. I proprietari saranno da qualche parte in Polonia o in Italia a reinventarsi qualche esistenza.
Ci fermiamo davanti a un’area di servizio, davanti a quella che era una volta l’area di servizio con un albergo “Il giardino della nonna” del quale rimane solo un’insegna bruciata a metà. Scopriamo di aver bucato la gomma posteriore e corriamo verso la prima area di servizio aperta. In trenta minuti i bravi ragazzi chiudono il buco, estraendo dalla gomma una scheggia di un proiettile. E non siamo i primi e non saremo gli ultimi a bucare le gomme con le schegge di un proiettile in questi posti, dove la guerra non è più il presente, ma per anni e anni in avanti sarà il futuro a lungo termine.
Nel pomeriggio usciamo a fare un giro nel verde di agosto, che rimane ancora verde per le piogge e la temperatura mite di quest’estate, e i campi minati con le scritte a mano sui pali “Mine”. Tutti i cani in giro fanno festa alla mia amica, perché è stata lei a salvargli la vita, ognuno ha il suo nome, ognuno è vaccinato e sazio.
All’ingresso nel villaggio compriamo la frutta fresca da una signora del posto, anche se ne abbiamo abbastanza perché l’abbiamo portata in bagagliaio dall’orto dei miei, ma la compriamo per sostenere la signora e il nipote che le sta dando una mano. Prendo un mazzo dei fiori, le floghi, quelli preferiti di mio nonno.
Al rientro troviamo in casa un loro amico, è un pediatra e si chiama Josyp, sarebbe Giuseppe in italiano. Josyp tiene la scheggia estratta dalla gomma e ci racconta che nel loro ospedale estraevano queste schegge dai corpi dei bambini che resistevano orgogliosi alla procedura.
Salutiamo Josyp e in silenzio ci mettiamo a preparare la cena. Il giorno sta per finire con un tramonto di un arancione veemente che accarezza i quadri sulla parete, le cartoline portate dal Nicaragua e dagli Stati Uniti, i bossoli raccolti per terra sistemati su una mensola con altre cianfrusaglie, e ora c’è anche la scheggia di proiettile che ha bucato la gomma. Un giorno dell’estate 2022 che muore lentamente, anche se qua intorno nessuno percepisce l’estate come estate. In questo giorno abbiamo parlato di nient’altro che di guerra e delle visite mediche che sta facendo la mia amica per curare la guerra nel suo corpo.
Sono stata in questa casa esattamente un anno fa, nell’agosto 2021. Anche i miei amici erano da poco diventati i proprietari di questa casa, erano contenti e orgogliosi di mostrarmi ogni angolo, pensato e organizzato a modo loro. Anche un anno fa abbiamo passeggiato, abbiamo preparato una cena, poi abbiamo riempito il fiaschetto di whisky e siamo andati a prendere quel digestivo sul lungolago che si vede dalla loro finestra. I russi non sono riusciti ad attraversare il lago e il fiume, che quindi hanno salvato il paesino dall’occupazione, ma non dall’orrore delle esplosioni e degli incendi che hanno visto e sentito per più di un mese, giorno e notte. Siamo stati svegli parecchie notti insieme, loro a Bilohorodka, io in Italia, a scriverci di notte, perché il mio amico era in giro con la pattuglia e la mia amica e la sua gatta da sole impaurite nello scantinato.
Anche adesso usciamo a fare un giro dopo cena e prima del coprifuoco, senza però il fiaschetto. L’aria è fresca e il villaggio è deserto.
Alla fine, senza nemmeno essere riscaldati con il whisky, troviamo qualche ricordo che ci fa ridere, di quando io e la mia amica siamo andati nel 2012 a Berlino per portare dieci bottiglie di spumante ucraino nel bagaglio messo in stiva per una festa importante nel mondo del cinema internazionale. Ne abbiamo rotta una sola, grazie alla nostra bravura nel fare le valigie, ma è bastata a bagnare tutti i vestiti che avevamo. Ci abbiamo messo un po’ per lavare via quella fragranza “brut” dalle maglie e dai pantaloni a metà febbraio. Ridiamo con le lacrime agli occhi, ridiamo e ci abbracciamo, ridiamo e diventiamo più forti.
In quel viaggio a Berlino avevamo 26 anni e ora ne abbiamo tutte e due 36 e non abbiamo più nessun piano per il futuro, nessuna vita a rate. Perché siamo già contente e felici di avere quello che abbiamo in questo momento.
Diario ucraino. Kyjiv, giorni 9-12. Nella mia amata capitale, dove non c’è spazio per la nostalgia e gli abbracci sono più forti. Yaryna Grusha Possamai su L'Inkiesta il 12 Agosto 2022.
L’autunno è alle porte (arriva prima che in Italia) e già piove. Giro senza ombrello per le strade della città maestosa ed eroica, che appare vuota. I passanti parlano di resistenza, di provviste e di medicine. Si preparano a un inverno che io affronterò da lontano
Il primo appuntamento con la Kyjiv amata è stato timido e veloce. Una corsa in un taxi, riconoscere oltre il tempo e la memoria stanca le sagome dei quartieri che come le persone sono tutti cambiati. Il secondo nostro appuntamento è intenso, di quelli che durano delle ore fino alla notte fonda, quando ci si perde nelle chiacchiere e nel tenerci stretti, fino a farci del male per le camminate lunghe sulle colline e per gli abbracci con le persone care, fino a diventare un sapore e odore unico. Sapore dell’asfalto bagnato per la pioggia, odore del verde degli ippocastani e le correnti d’aria della metropolitana. Per salutarci a Kyjiv con gli amici ci abbracciamo forte e non ci siamo mai abbracciati così forte negli anni scorsi. Ci stringiamo in due, in tre per sentirci il cuore, che batte, per sentire quella vita, toccarla con le dita e con le costole.
All’improvviso a Kyjiv arriva l’autunno. L’autunno in Ucraina arriva sempre prima che in Italia. La fine di agosto è sempre bagnata dalle piogge, ma le piogge quest’anno sono arrivate molto prima. Le stagioni non sono più le stagioni di una volta, quest’anno si è sconvolto tutto e gli ucraini continuano a vivere quel lungo 24 di febbraio, cambiando solo i vestiti, ma non la testa e l’anima.
Non ho un ombrello, la mia amica non ha un ombrello, in questi giorni mi sono bagnata almeno otto volte con le gocce che sbattevano sulla testa pesanti, come la grandine e con la pioggerella minuta che faceva incollare le sopracciglia. O a incollare le sopracciglia non era la pioggia? Negli ultimi due giorni non ci sono state le sirene, la città non sobbalzava per quel suono, non correva nei rifugi, non si fermava, perché ora quando ci sono le sirene si ferma tutto il trasporto pubblico, chiudono i centri commerciali e i supermercati dopo l’attacco al centro commerciale di Kremenchuk.
Ho visto donne vestite di verde piantare le piante nelle aiuole del centro, ho visto signori con i baffi spazzare le strade e giovani ragazze fare il caffè, il CapuOrange – una spremuta di arancia con il caffè, si può averla con il ghiaccio o tiepida. Una bevanda deliziosa.
Kyjiv è pulita, è curata, è amata ed è anche vuota. Per essere una città di tre milioni e qualcosa di abitanti è vuota. C’è troppo spazio sulle strade e tra la gente che cammina. Hai perfino il tempo di guardare meglio le facce della gente e cercare di indovinare le loro storie. Sono di Kyjiv o sono sfollati dall’Est dell’Ucraina, hanno perso qualcuno di caro, hanno ancora un lavoro? Ascolti di che cosa parlano e i discorsi sono sempre questi: raccogliere i fondi per un altro drone o per un’altra macchina per spedirla al fronte, acquistare medicinali, i tourniquet per fermare l’emorragia, i corsi di primo soccorso, donare il sangue. Poi entrano nel ristorante che fa cucina tipica dei tatari di Crimea, che è diventato una specie di quartier generale, me lo dice la scrittrice Olena Stiazhkina, autrice di Linkiesta Magazine: Omaggio all’Ucraina. Così almeno con la cucina crimeana continuano a sentire la Crimea vicina.
La città è cambiata, c’è troppo spazio vuoto e allo stesso tempo non c’è spazio per qualche sentimento e nostalgia del passato, mentre guardo l’edificio della mia università e passeggio per tutti i posti della mia vita studentesca o incontro per caso gente che non vedevo come minimo da quindici anni.
C’è solo uno spazio transitorio, lo spazio delle retrovie, la stanchezza, dove non c’è voglia di rimanere a lungo, dove c’è solo la voglia che finisca presto e un po’ di paura per l’autunno e l’inverno in arrivo. Saranno abbastanza riscaldati gli appartamenti in città? Chi andrà a scaldare quegli appartamenti vuoti? Ci saranno abbastanza provviste per tutti? Si domandano i kyjiviani e vanno a comprare le coperte, le stufette economiche e le canotte termiche.
Incontro la gente che di solito abita a Parigi, che abita a New York, che ha già trovato un lavoro a Vienna, e sono qui nella loro città di passaggio, del resto come me. Torneremo tutti nei nostri posti, nelle nostre case fuori dall’Ucraina, lasciando le colline di questa maestosa ed eroica città vuote, lasceremo Kyjiv a riscaldarsi da sola, ad aspettare i passi lenti sul suo ciottolato, a guardarsi in solitudine quei buchi neri dei vetri spezzati dai bombardamenti, a recitare le preghiere nelle chiese sempre aperte e a proteggere i monumenti con i sacchi di sabbia.
Stasera ci vediamo tutti al ristorante che fa cucina ebraica, perché è la mia ultima sera a Kyjiv. Ci stringeremo di nuovo fino a farci male alle costole, ci bagneremo con la pioggia che cade fitta tutto il giorno, nasconderemo all’amata Kyjiv lacrime, lividi e cicatrici. Non vogliamo sembrare deboli e sentimentali davanti a una città che ha resistito e continua a resistere, che nasconde l’album di tutti i nostri ricordi dal 2003 al 2015 ma che torneremo presto a sfogliare in tanti, in troppi, fino a pestarci i piedi, fino a riempire quello spazio vuoto che fa sembrare Kyjiv un’altra, ma pur sempre, e per sempre, amata.
Stile Zelensky. L’anima impaziente e coraggiosa di un condottiero inatteso. Sofia Ventura su L'Inkiesta il 2 Agosto 2022.
In “Come nasce un leader”, Sofia Ventura riflette sulla figura politica del presidente ucraino. Oltre alla bravura nel coinvolgere e mediare con altri Stati, la severità mostrata verso chi tarda a mandare aiuti mette in luce la caparbietà di un chi è deciso a lottare per la libertà
Ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe stato della leadership di Zelensky se la Russia il 24 febbraio non avesse invaso l’Ucraina. La sera del 25 febbraio il giovane leader esce dalla sede della presidenza e scende in strada con alcuni membri del governo. In modalità selfie, con le luci della sera, annuncia attraverso Instagram e le tante piattaforme attraverso le quali quel video verrà trasmesso, che il presidente, il primo ministro e i ministri sono «qui», «tut», non sono fuggiti, come affermano i russi. […]
Secondo la teoria della contingenza della leadership, una leadership può risultare più efficace quando un certo individuo, ovvero un leader con certe caratteristiche, incontra certe situazioni. In particolare, poi, situazioni estreme, molto favorevoli o molto sfavorevoli (le crisi), sarebbero meglio affrontate da leader orientati all’obiettivo (H. Suharyanto e R. D. Lestari, The Fall and Rise of The Contingency Theory of Leadership, IAPA Annual Conference, Proceedings 2019).
Volodymyr Zelensky ha rivelato questo “orientamento” attraverso il coniugarsi, nella sua postura e nella sua azione, dell’obiettivo di dirigere il proprio paese verso Occidente, con il “coraggio” di realizzarlo. Il “coraggio” è una qualità fondamentale per un leader. Dal 24 febbraio Zelensky ha mostrato di essere dotato di coraggio sia fisico sia morale (Volodymyr Zelensky – Dans la tête d’un héros, cit.), sino alla sfrontatezza, se si pensa a come spesso si è rivolto ai governanti occidentali per mostrare la sua impazienza o la sua delusione.
Ma il leader ha incontrato la situazione, o viceversa, anche in altri modi. Come ha sostenuto in un’intervista al New Yorker (11 marzo 2022) lo storico della Russia Stephen Kotkin con un paradosso, «avere una compagnia televisiva alla guida del Paese in tempi normali non è una buona cosa, ma in tempi di guerra, quando l’informazione di guerra è uno dei nostri obiettivi, allora è una cosa fantastica». Ricordiamo, a questo proposito, che collaboratori di Kvartal-95 sono stati portati da Zelensky al governo e alla presidenza.
A sua volta, Stephen Langton, della University of the West of Scotland, ha osservato su The Conversation (16/5/22) come le diverse abilità performative di Zelensky siano oggi cruciali nella propaganda di guerra. Più specificamente Langton ha poi sottolineato come la capacità di trasmettere gravitas, sincerità e autenticità si siano rivelate fondamentali, ad esempio nel coinvolgere i leader del mondo.
Infine, quanto sopra osservato circa la mappa valoriale di Zelensky orientata verso occidente, da un lato, e la sua appartenenza culturale a un mondo russofono però “libero” da Mosca, dall’altro, ci consente di formulare l’ipotesi che tale complessità possa essere stata funzionale a un ampio consenso, almeno rispetto alla credibilità del leader come guida del Paese aggredito, del quale unisce le diverse sensibilità di cui si compone, anche geograficamente radicate.
L’efficacia della leadership di Zelensky, in patria e fuori, non solo dunque appare legata alla finestra di opportunità della guerra, ma sembra risultare da una sintonia tra le caratteristiche e lo stile del leader e la situazione. Cosa sarà di questa leadership dopo la guerra non è dato sapere. Churchill fu graziosamente licenziato dagli elettori britannici dopo aver salvato il suo paese e l’Europa. Ma l’interrogativo è ozioso. Il senso di questa “nuova” leadership sta nella riconquista della libertà e dell’indipendenza del popolo ucraino.
da “Come nasce un leader: Volodymyr Zelensky”, Sofia Ventura, Rubbettino, 0,94 euro (Ebook)
*Il testo di questo eBook è apparso sul numero 2/2022 di Rivista di Politica (Rubbettino)
Zelensky, Vittorio Feltri: come gonfia il suo portafogli durante la guerra. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano l'11 luglio 2022
Personalmente non ho nulla contro il signor Zelensky. Del resto, come potrei? Neppure ho avuto il dispiacere di conoscerlo. Pacifico per di più è che egli è presidente dello Stato aggredito e non già dello Stato aggressore. Su questo elemento oggettivo non si discute. Non mi sarebbe nemmeno consentito osservare sommessamente che il premier ucraino non è che un comico travestito da statista, dato che in Italia i giullari mascherati da politicanti non mancano, basti considerare la genesi del Movimento Cinque Stelle e qui mi fermo. Tuttavia, come è ormai arcinoto, non condivido l'accanimento di Zelensky nel resistere a costo della pelle del suo intero popolo e nel chiedere (anzi pretendere) armi all'Occidente, ancora e ancora. Se il nostro obiettivo è la pace, tutto ciò è controproducente alla sua costruzione. Inoltre ho difficoltà a comprendere la diffusa esaltazione di quest' uomo che fino a ieri era un Signor Nessuno, mentre oggi è un eroe più famoso di Superman. I giornali di tutto il globo gli dedicano copertine, lo fanno persino le riviste più mondane, come fosse una star, se ne lodano lo stile, il portamento, il comportamento, lo charme (che non possiede).
Tutto ciò è indicativo di un bisogno umano di venerazione, di adorazione, rischioso allorché viene indirizzato e rivolto nei confronti di un altro essere umano, il quale, a causa della sua limitatezza e imperfezione, non dovrebbe essere trasformato in oggetto di culto. Eppure è tutto un Zelensky di qua, Zelensky di là. Quanto basta per rendermelo indigesto.
L'ultima notizia è che Zelensky, alle prese con una sanguinosa guerra, stia cercando di affittare la sua villa a Forte dei Marmi, cosa che dovrebbe rendergli per il solo mese di agosto almeno 10 mila euro. Mi stupisce, anzi trovo addirittura ridicolo, che un tizio affaccendato in un conflitto di queste proporzioni si occupi di economia domestica personale. Immagino Volodymyr Zelensky con la sua maglietta verde militare che probabilmente non si sfila neanche sotto la doccia parlare al telefono con chi lo informa che Putin ha sferrato un altro attacco mortale e subito dopo chiamare il suo immobiliarista per sapere se riuscirà a recuperare qualche migliaio di euro dalla locazione della sua dimora estiva in Toscana, precisamente in Versilia.
Quella stessa Versilia dove Zelensky avrebbe voluto che i russi, i quali laggiù hanno comprato in questi anni ville, hotel e stabilimenti, non mettessero mai più piede, non per colpa loro ma per colpa di Putin. Questa fu la sua richiesta all'Italia: non ospitate i russi e sequestrate il loro yacht. E chi sa se l'ucraino accetterebbe di affittare la sua abitazione estiva ad un cittadino russo? Dopotutto, nonostante le ostilità, il sangue, le bombe, l'invasione, la resistenza, i sequestri dei beni e il congelamento dei conti bancari dei russi, nonostante l'invio di armi, le richieste di invio di armi, la minaccia nucleare, le dichiarazioni ardite di tutti i capi di Stato, a quanto pare Forte dei Marmi, pure quest' anno, è piena di affezionati turisti russi che prendono il sole, fanno il bagno, pranzano, cenano e si rilassano accanto ad affezionati turisti ucraini. Risulta che neppure si guardino in cagnesco, come si usa dire, bensì quasi con una sorta di sguardo complice, solidale e rassegnato, come per comunicare: «Beh, a noi è toccato quello lì, ma pure a voi quello là».
E(li's)books. Combatteremo fino alla fine di Volodymyr Zelensky. Elisabetta Favale su L'Inkiesta il 12 Maggio 2022.
I giorni della Resistenza. Da oggi in libreria un libro che raccoglie i discorsi del presidente Zelensky. Il libro:
“Non ho bisogno di un passaggio, ma di munizioni.” Il 26 febbraio, due giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin, il presidente Zelensky rispondeva così a Joe Biden che gli offriva un ponte aereo per fuggire. È lui il bersaglio numero uno. Le squadre agli ordini di Ramzan Kadyrov, leader della Cecenia, fedele a Putin, erano già a Kyiv giorni prima dell’attacco russo per eliminarlo. Doveva essere una guerra lampo, è diventato un conflitto drammatico che sta minacciando l’Europa e il mondo.
Questo libro è il racconto della Resistenza ucraina attraverso i discorsi di Volodymyr Zelensky. Giorno dopo giorno, il presidente sfida Putin senza paura, incalza i paesi occidentali, si rivolge ai parlamenti e alle sedi istituzionali delle nazioni di tutto il mondo raccontando i crimini dell’invasore, chiede alle imprese occidentali di smettere di fare affari in Russia. Solo qualche mese prima della guerra i sondaggi davano il suo consenso in caduta libera. Oggi è il simbolo della volontà di un popolo che mai accetterebbe una resa. Più che il leader alla testa della sua gente ne è in realtà lo specchio. La posta in gioco è la democrazia. “È qui che si decide chi vincerà questa guerra: libertà o tirannia?”
La mia lettura
Non starò qui ad analizzare ciò che sta accadendo in Ucraina, di sicuro non voglio improvvisarmi in discorsi che coinvolgono aspetti geopolitici di grande complessità, voglio invece, nel mio piccolo, dirvi cosa ho carpito io dal punto di vista della comunicazione nei discorsi del Presidente Zelensky raccolti in questo volume.
Leggete insieme a me alcuni brani che ho scelto come esempio:
Io rimango con la mia gente 25 febbraio 2022
Uomini e donne, nostri difensori, state difendendo brillantemente il paese da uno degli stati più potenti
del mondo. […] Secondo i primi dati, purtroppo oggi abbiamo perso centotrentasette nostri eroi, nostri cittadini, tra cui dieci ufficiali. I feriti sono stati trecentosedici. Difendendo fino all’ultimo la nostra isola di Zmiiny
[…]
Durante la giornata di oggi ho tenuto decine di colloqui internazionali, ho gestito in prima persona il paese. E rimarrò nella capitale. Anche la mia famiglia è in Ucraina. Anche i miei figli sono in Ucraina. I membri della mia famiglia non sono traditori, sono cittadini ucraini, ma non mi è concesso dire dove si trovano. Secondo nostre informazioni, il nemico mi ha designato come obiettivo numero uno. La mia famiglia è l’obiettivo numero due.
La prima cosa che salta facilmente all’occhio è la capacità del Presidente Zelensky di creare una empatia fondata sull’analisi positiva di uno scenario che positivo non è, il Presidente ucraino analizza l’accaduto di quella giornata e ringrazia i connazionali che si stanno sacrificando per il Paese rassicurandoli sul fatto che lui e la sua famiglia faranno altrettanto, nonostante i rischi rimarranno in Ucraina perché quello è il loro posto, accanto alla loro gente. Fa il resoconto della sua attività internazionale, non è un comunicato il suo, è una conversazione tra lui e le persone che con lui stanno lottando, fa il punto della situazione e questo riferire gli esiti dei colloqui internazionali è un aspetto molto importante dal momento che è di sicuro oggetto di apprezzamento il fatto che un leader conti qualcosa non solo sul piano nazionale, ma anche e soprattutto in quello internazionale e Zelensky ha indiscutibilmente grandi capacità di front-man.
Il popolo ucraino si è guadagnato il diritto di entrare nell’Ue 26 febbraio 2022
Noi abbiamo il coraggio di difendere la nostra patria, di difendere l’Europa. In ciascuna delle nostre città gli invasori vengono severamente respinti. A tutti gli ucraini voglio ricordare una cosa. Se avete la possibilità di fermare e distruggere gli invasori, fatelo. Se potete tornare in Ucraina, fatelo. Dopodiché avremo ancora molto lavoro da fare insieme per ricostruirla. A tutti coloro che possono difendere l’Ucraina dall’estero, dico di farlo fermamente, uniti, senza sosta. A tutti gli amici dell’Ucraina che vogliono contribuire alla nostra difesa dico: venite, vi daremo le armi. Gloria a tutti coloro che oggi difendono l’Ucraina! Siete degli eroi!
Il pronome inclusivo “noi” è una costante di tutti i discorsi, in questo modo riesce a impostare una “communization”, una responsabilità condivisa.
Voglio citare Evan Cornog un professore di giornalismo americano della Columbia University che ha detto (riferendosi all’uso dello storytelling dei presidenti americani): “L’avvenire della nazione e del mondo dipende dalla capacità dei cittadini di scegliere le buone storie” e credo che il Presidente Zelensky abbia fatto sue quelle modalità comunicative che in altri paesi (gli Stati Uniti in primis ma anche la Gran Bretagna) sono alla base delle campagne elettorali da anni.
Gli ucraini hanno sicuramente scelto la storia che il loro presidente gli ha raccontato e gli sta raccontando ogni giorno dall’inizio della guerra.
Nei discorsi di Zelensky la “grammatica del racconto” si è da subito sostituita ai discorsi dettati da un protocollo istituzionale.
Ognuno di noi è guerriero 28 febbraio 2022
Buongiorno, eroi ucraini! Siamo al quinto giorno della guerra ad ampio raggio della Russia contro il popolo ucraino.
[…]
Quando mi sono candidato alla presidenza ho detto che ognuno di noi è presidente. Perché siamo tutti responsabili del nostro stato, della nostra bella Ucraina. Ora scopriamo che ognuno di noi è guerriero. Guerriero o guerriera nella sua città. E sono convinto che ognuno di noi vincerà. Gloria all’Ucraina!
Siamo diventati una cosa sola 2 marzo 2022
Buona salute a te, paese unito! Non ho detto a caso «unito». È iniziato il settimo giorno di questa terribile guerra che sentiamo tutti allo stesso modo. Durante questo periodo abbiamo avuto più unità di quanta ne abbiamo mai avuta in trent’anni.
Indispensabile in un momento come quello che sta vivendo l’Ucraina è la coerenza del proprio leader, il suo racconto deve coincidere perfettamente con le sue azioni.
Qui l’impatto emotivo è fortissimo, Zelensky e il suo popolo hanno intrapreso una battaglia combattuta su un piano che non è ideologico, si fa appello ad un valore più alto, si fa appello alla morale, si combatte per la libertà.
La guerra, con la forza delle sue immagini di devastazione e morte eclissa ogni cosa, ogni ragionamento diventando essa stessa una storia, perché i discorsi di Zelensky non perdano di efficacia devono sempre contenere argomentazioni etiche, devono proporre obiettivi che chi è sul campo a lottare possa capire.
Interessante è la lettera della First Lady che punta dritta al cuore della stampa internazionale, decide di dare un nome alle vittime, un volto, contestualizza ogni cosa e usa un linguaggio “figurativo”:
Hanno tutti torto tranne io. Olena Zelenska, la copertina di Vogue e la comunicazione che serve solo a sé stessa. Guia Soncini su L'Inkiesta il 30 Luglio 2022.
Quella della first lady ucraina è una grande lezione involontaria, che va oltre le polemiche (ridicole) e che punta sul grande indicibile della contemporaneità, cioè che la fama non vale niente e che apparire su una rivista significa solo apparire su una rivista.
E se l’utilità della comunicazione fosse un gigantesco equivoco? Se lo scopo ultimo della comunicazione fosse la comunicazione stessa? Se ci decidessimo ad ammettere che tutti quelli che prima o poi danno interviste dicendo che hanno fatto tante cose meravigliose ma la gente non lo sa perché le hanno comunicate male, da Biden in giù, dicono una scemenza?
Ci pensavo leggendo le polemiche sulla copertina di Vogue America su cui compare Olga Zelenska (come si affretta a precisare l’intervistatrice Rachel Donadio, timorosa d’essere accusata di mancata schwa, «i cognomi si declinano secondo il genere, nelle lingue slave»; la mia slavista di riferimento mi dice che Zelenska è in realtà un femminile alla russa, e che all’ucraina andrebbe traslitterato Zalenska: mi perdonerete se, per semplicità, in questo articolo utilizzo la grafia di Vogue America, testata sicuramente in combutta con gli oligarchi russi).
Leggevo le polemiche, dicevo, e le trovavo abbastanza ridicole da entrambi i lati della questione. Proverò a riassumerle, ma prima una premessa.
Greta, Anton: vi sono vicina. Per dire: io è una vita che scrivo che il grande rimosso dei social è che la classe sociale esista, e quando Assia Neumann l’ha scritto su questo giornale Twitter l’ha acclamata come svelatrice di scomode verità. Non c’è niente di più fastidioso che sembrare la cugina cessa che frigna «ma io lo dico da prima» in un angolo, mentre la comunicazione (sempre lì si torna) altrui passa, e la tua no.
È per queste ragioni piccinamente autobiografiche che sono solidale con Greta Privitera che aveva intervistato la Zelenska, e Anton Kulakowskiy che l’aveva fotografata, per la copertina di due settimane fa di 7. Kulakowskiy non sarà Annie Leibovitz, ma la sua copertina con la Zelenska in abituccio da lady who lunches con sfondo di sacchi di sabbia alla finestra meritava almeno un’indignazione piccina picciò. E invece niente: come se l’inserto del Corriere non fosse mai uscito, e tutti a polemizzare sulla copertina del Vogue americano e quindi egemone (che poi il servizio fotografico l’hanno scattato per Vogue Ucraina, e giustamente Anna Wintour non l’ha trascurato).
Esaurita la premessa solidale, passerei ai due lati dell’indignazione, entrambi insopportabili.
Da una parte quelli: il paese è in guerra e tu ti metti in posa con gli stilisti nelle didascalie, ma non ti vergogni, sei proprio la moglie d’un attore comico che per beffa del destino si trova a fare il leader di guerra, sei una vanitosa, una frivola, una schifosa. (Essendo i polemisti non troppo sofisticati, non ho visto nessun: ah quindi in un paese che sarebbe sotto le bombe esiste un’edizione locale di Vogue, a noi non la si fa, è tutto falso, è tutt’una messinscena).
Dall’altra quelli che ci spiegano, in ordine sparso: che in tempo di guerra e di crisi la gente per tirarsi su compra rossetti (una volta avrebbero detto «le donne» invece che «la gente», ma oggi vogliono sembrare inclusivi); che su Vogue ci è stata persino la moglie di Assad; che se sei il genere di persona che compra i giornali patinati (sottinteso: una povera scema) e ci trovi in copertina Malala magari è la volta che impari qualcosa.
La questione è: a cosa serve, stare sulla copertina di Vogue? A niente, solo a stare sulla copertina di Vogue. Quindi hanno ragione quelli che accusano la moglie d’un tizio il cui paese viene bombardato d’essere così vanitosa da mettersi in posa come una modella? Certo che no: hanno tutti torto, come spesso accade.
Il fatto è che l’equivoco che la comunicazione ben fatta serva a qualcosa oltre che a sé stessa è tenace. Quando Hillary Clinton era candidata alle primarie democratiche contro Barack Obama, nel 2008, Anna Wintour le offrì la copertina. Hillary la rifiutò, avendo l’accortezza che Olena Zelenska non ha avuto: quella di non voler sembrare frivola.
Da allora, una leggenda dura a morire sostiene che Hillary perse le primarie perché Anna Wintour gliela giurò, e mise Barack Obama sulla copertina di Men’s Vogue. Ma pensare che sia andata così e non al contrario (Wintour lo mise in copertina perché Obama era il candidato più fotogenico di tutti i tempi, e lei fa giornali patinati per cui la fotogenia è tutto) è quantomeno ingenuo.
Nel 2016, Wintour fece il suo finora unico editoriale di esplicito sostegno elettorale, a Hillary Clinton contro Donald Trump: è servito a Hillary a vincere? Certo che no. La comunicazione non basta, anche quando è divina.
Nello spettacolo che sta portando in tour Chris Rock, c’è dio che appare a Hillary Clinton promettendole che vincerà la candidatura contro Obama. È un nero, ma non canta e balla, ti ho spianato la strada, devi fare solo una cosa: andare in campagna elettorale in tutti e cinquanta gli stati. Lei non ci va, e perde. Otto anni dopo, le appare di nuovo. «Sapete quant’è raro che dio appaia due volte alla stessa persona? È successo solo tre volte: con Mosè, con Noè, e con Hillary». Le dice ti ho messo contro uno che non può vincere, un conduttore di gare televisive coi capelli arancioni. Tu devi fare solo una cosa: andare a fare campagna elettorale in tutti e cinquanta gli stati. E niente, sappiamo già come finisce.
Possiamo permetterci di ammettere che la comunicazione non ha conseguenze sul piano pratico? Forse no. Quando i giornali riportano che la società di Chiara Ferragni nel 2021 ha avuto un utile di un milione e novecentomila euro – sei centesimi di euro per ognuna delle persone che la seguono su Instagram, 27 milioni e spicci di persone che la seguono per guardare i video buffi dei figli ma mai si comprerebbero i suoi pigiami d’acrilico – mica riportano questa cifra come prova che i cuoricini su cui tanto ci agitiamo non valgono niente, che la fama non vale niente, che la comunicazione non è una valuta spendibile.
Se cominciassimo a farlo, poi dovremmo dire che, se fai tante cose buone, non serve comunicarle: l’elettorato se ne accorge perché gli migliori la vita, non perché glielo dici; se scrivi un romanzo che funziona, come dimostrano mille casi da Stefania Auci in giù, quello vende pure se i recensori si svegliano dopo un anno; se fai pigiami belli, li compriamo anche se hai pochi follower.
Ma l’indicibile resta tale perché, se lo ammettessimo, il problema non sarebbe né di Biden né di Zelensky né di Chiara Ferragni: il problema sarebbe di noialtri che facciamo giornali, e ci troveremmo con le copertine vuote.
Francesca Sforza per “La Stampa” il 28 luglio 2022.
«Essere sulla copertina di Vogue è un grande onore e il sogno di molte persone di successo, ma non auguro a nessuno di arrivarci a causa di una guerra nel loro Paese». Deve avere avuto un lieve ripensamento, la moglie del presidente ucraino Olena Zelenska quando ha postato queste parole nel suo canale Telegram, a corredo del servizio fotografico uscito sull'edizione americana di Vogue, patinato a tal punto da suscitare una domanda che sarà pure un po' moralista ma davvero viene spontanea: era proprio il caso?
Malgrado le istruzioni per l'uso presenti nel post, infatti - in cui si chiede al lettore di fare lo sforzo di vedere, al suo posto, "ogni donna ucraina" - l'impressione è che sia piuttosto arduo, per «chi combatte, si offre volontario, allestisce un campo profughi, lavora sotto il suono incessante delle sirene, resiste sotto l'occupazione» riconoscersi in quegli sguardi languidi, in quei tessuti che hanno tutta l'aria di essere dei cachemire, delle sete, delle lane rasatissime, o in quelle pose tra lo smarrito e l'ispirato che solo una mano d'artista come quella di Annie Leibovitz (sì, è lei l'autrice del servizio fotografico) poteva ritrarre.
La maestria comunicativa della coppia Zelensky si riconosce tuttavia nei toni usati durante il colloquio - dolenti il giusto, con uno sguardo sempre tenuto fermo sulla consapevolezza del privilegio, pur nella sventura - e in una serie di piccole utili informazioni fatte circolare subito dopo l'uscita della rivista, in cui si precisava che i marchi indossati dalla First Lady erano rigorosamente ucraini - Poustovit, The Coat, Bettter, Hvoya, Six - e che quindi in definitiva si trattava di un'operazione che tra le altre cose rilanciava il Made in Ukraine.
Diversi utenti Telegram, tuttavia, hanno trovato un po' irriverente che la giornalista Rachel Donadio accostasse la tonalità ruggine della maglietta indossata da Olena con quella dei carri armati russi bruciati lungo le strade di Irpin e Bucha. E l'intervento psico-politologico della First Lady non è che abbia proprio rivoluzionato la narrativa corrente: «Le prime settimane dopo lo scoppio della guerra siamo rimasti scioccati - ha detto nel corso dell'intervista -. Dopo Bucha abbiamo capito che era una guerra destinata a sterminare tutti noi, una guerra di sterminio».
La realtà è che l'attenzione delle opinioni pubbliche occidentali sul fronte ucraino - complice l'estate post-pandemica - sta progressivamente diminuendo, e la dirigenza di Kiev è giustamente preoccupata del ripetersi di uno scenario post-Maidan, dove al breve entusiasmo per la rivoluzione arancione seguì un sostanziale disinteresse per ciò che avvenne subito dopo (anche lì scontri, e morti, e vittime civili).
Stavolta sarà più difficile accantonare il dossier, viste le proporzioni del dramma e le ricadute economiche globali, ma il rischio di un infragilirsi del sostegno esiste, e dunque l'operazione Vogue ha comunque il vantaggio di rimettere a fuoco la centralità di Kiev. Olena poi ha retto piuttosto bene all'operazione: «Non avrei mai pensato di dover interpretare il ruolo di First Lady, mi piace restare sullo sfondo, trovarmi sulla ribalta è stato piuttosto difficile per me».
Suo marito, nel frattempo, in concomitanza con i post che segnalavano l'uscita dell'intervista su Vogue, trasmetteva sul suo canale foto di gente attonita davanti a case distrutte, di scantinati devastati dalle bombe, di palazzi mezzi crollati o inceneriti: «Proteggere l'unità ora, lavorare insieme per la vittoria è il compito nazionale più importante che tutti dobbiamo assolvere», si leggeva nella didascalia. Ognuno a suo modo, compresa Vogue America.
Olena Zelenska: «Ai pacifisti dico che la Russia sta violentando il mio Paese». Greta Privitera su Il Corriere della Sera il 15 Luglio 2022. Olena Zelenska, 44 anni, architetta, sceneggiatrice e scrittrice: è la first lady dell’Ucraina in guerra.
Il racconto di mesi di guerra, il marito e presidente visto solo in tv dopo quel 24 febbraio che ha sconvolto l’Ucraina, i tuoni che ora terrorizzano i bambini. Su tutto la volontà di «trasformare il dolore in forza». E un messaggio chiaro agli italiani: «Un invasore, come uno stupratore, non si ferma da solo»
A Kiev sono vietati i fuochi d’artificio e i palloncini dei bambini. In città non deve esistere niente che faccia «boom» perché «ormai anche un temporale ci terrorizza», racconta Olena Zelenska, 44 anni, da un nascondiglio segreto nella capitale. «Non potevo immaginare la paura che può fare un tuono improvviso. Nelle ultime settimane ci sono stati potenti temporali, e anche noi adulti eravamo spaventati». Alle 5 del mattino del 24 febbraio, la First Lady era a letto quando ha sentito il primo «boom» della sua vita. Ma se non sei mai stata in guerra, una gigantesca esplosione che ti sveglia non è per forza un missile dell’esercito russo che sta attaccando il tuo Paese. È più probabile che siano fuochi d’artificio.
Come tutti gli altri 44 milioni di ucraini, ricorda l’istante in cui ha perso la pace. Per lei è coinciso con una corsa dalla camera al salotto e la visione di suo marito, il presidente Volodymyr Zelensky, 44 anni come lei, che, per l’ultima volta in abiti civili, le ha detto: «È iniziata». I mesi seguenti sono stati una sequenza inarrestabile di orrori. Kiev sotto le bombe, Bucha, Mariupol, Azovstal. Più di quattromila civili morti e 12 milioni di rifugiati. Zelenska - architetta, sceneggiatrice, scrittrice - si ritiene fortunata. La sera di quel 24 febbraio, suo marito è tornato a casa e le ha detto: «Tu e i bambini dovete andarvene». Ha fatto una valigia veloce e con i figli Kyrylo, 9 anni, e Oleksandra, 17, ha lasciato Kiev. Non aveva scelta: era l’obiettivo numero due dell’esercito di Putin. Per i due mesi successivi ha visto Zelensky solo in televisione, con la maglietta mimetica, camminare tra le macerie di teatri, case, scuole, in video conferenza con i leader del mondo. Lui da Kiev, loro nascosti in case con sacchi di sabbia alle finestre - come si vede dalla foto di copertina, parte di un servizio in esclusiva per 7 - si sono sentiti poco e non al telefono, per non essere geolocalizzati.
Che cosa le manca di più della sua vita in pace?
«Sarà scontato da dire, ma mi manca mio marito».
Siete sposati da quasi 20 anni, siete cresciuti insieme a Krivoj Rog (a 130 km a sud-ovest di Dnipro). Qual è la più grande qualità di Zelensky? E quale l’aspetto più difficile?
«La sua qualità principale è l’affidabilità, quando c’è lui intorno non devi avere paura di niente. Non so quale sia invece la parte più difficile dello stare insieme: per me vivere con Volodymyr è sempre stato facile».
Che cosa le dicono i suoi figli dopo cinque mesi di guerra?
«Sono stanchi. Sentono decisamente la mancanza del papà. Lo vedono raramente anche se un po’ di più di prima, degli inizi. Per il resto a loro mancano gli amici che se ne sono andati, la scuola. E, come a tutti, manca la pace...»
Ma c’è una qualità che ha scoperto di avere in questo periodo che prima non immaginava di sé?
«Credo di aver scoperto la stessa forza che hanno tutti gli ucraini: siamo capaci di agire nonostante tutto. Nonostante le notizie quotidiane di nuovi missili che colpiscono le case, le morti dei nostri familiari e dei vicini di casa».
In che modo la guerra pesa sulle spalle delle donne? Crede che ci sia differenza tra essere donna ed essere uomo in un conflitto?
«Le ucraine - 2 milioni in più degli uomini - stanno affrontando una prova terribile. E mi rifiuto di definirle vittime passive. Ognuna di noi ha la sua storia di resistenza. La maggior parte dei nostri medici sono donne. Il 50% dei nostri imprenditori sono donne e lavorano per far andare avanti l’economia. Ci sono 37.000 donne nei ranghi delle Forze armate. Più di 1.000 sono già diventate comandanti».
In questi mesi, c’è una donna in particolare che l’ha colpita?
«Per me, oggi l’Ucraina è Yulia Tayra Payevska, che è stata finalmente liberata dopo tre mesi di prigionia. È una volontaria, è paramedico militare, un’atleta di successo e una madre. È una donna molto poliedrica e indomita che combatte. Ha subìto minacce e trattamenti disumani durante la prigionia russa, e ora ne sta parlando. Allo stesso tempo la donna ucraina è una qualsiasi ragazza, una signora con figli o con vecchi genitori, che vedete oggi per le strade italiane. Il 60% di loro ha un’istruzione superiore, una carriera o un’impresa. È molto difficile ricominciare da zero, ma lo fanno per il bene dei propri cari, con la speranza di tornare a casa. C’è una domanda che va di moda: “Qual è il tuo superpotere?”. Ognuna delle nostre donne può rispondere così: “Sono ucraina!”».
Alcuni italiani che si definiscono pacifisti pensano che continuare a dare armi all’esercito del suo Paese sia un male perché significa prolungare la guerra. Per altri dovreste negoziare, magari cedere il Donbass, e ottenere la pace. Che cosa risponde?
«Essere un pacifista quando un assassino con una pistola sta camminando verso di te è l’ultima cosa che ti può venire in mente. Provate a immaginare che i russi stiano invadendo l’Italia. Immaginate un esercito che occupa la vostra magica Milano o Napoli. Guardateli mentre devastano la periferia di Roma, mentre uccidono i suoi abitanti. Provate a pensare ai loro razzi che colpiscono ogni giorno le case di Bologna, da dove escono poi solo bambini morti. Come ti sentiresti se i tuoi parenti vivessero in una Genova occupata e tu non riuscissi neanche a parlare con loro? E ora dimmi come reagiresti se in quel momento qualcuno ti dicesse: “Abbassa le armi, non resistere! Prova a parlare con quelli che hanno appena bombardato i tuoi genitori o minato la scuola dei tuoi figli”. Perdonatemi, ma a me suona come “dai, non resistere durante uno stupro”. “Cerca di parlare con il tuo stupratore”. Dovete capire una cosa importante: un invasore, come uno stupratore, non si fermerà mai se tu cederai. Andrà solo oltre. E, chissà, potrebbe raggiungere anche altri, un giorno. Io non vorrei che succedesse. Resistendo, gli ucraini fermano l’invasore a casa loro, ma lo fanno anche pensando all’Europa».
Probabilmente non avrebbe mai immaginato di essere una First Lady in guerra.
«Mai l’avrei immaginato. Prima della guerra, io e il mio team eravamo impegnati nello sviluppo di alcuni progetti. Abbiamo cambiato il menu delle scuole e l’approccio alla riforma del sistema alimentare scolastico. Discutevamo moltissimo su alcune questioni: c’è troppo zucchero in questo prodotto? E come si può ridurre il consumo di pane? Insieme ai rappresentanti del Ministero dell’Istruzione e della Scienza, del Ministero della Salute, delle organizzazioni pubbliche abbiamo organizzato forum in tutto il Paese. Andavamo in tv per raccontare i vantaggi delle persone con uno stile di vita sano. Poi, in un giorno, le mie priorità sono cambiate».
Ora il problema è trovarlo, il cibo.
«Le sfumature del menu a scuola sono un ricordo lontano. Oggi parliamo di garantire che i nostri figli abbiano qualcosa da mangiare. Moltissimi bambini che hanno trascorso mesi negli scantinati sotto i bombardamenti hanno provato che cos’è la vera fame. Questo per me è davvero spaventoso. Che la nostra civiltà venga deliberatamente distrutta, che le persone del ventunesimo secolo vengano costrette a pensare alla semplice sopravvivenza, come nel Medioevo, è folle. Ma guardo al futuro, mi voglio concentrare sullo sviluppo».
Che cosa vuol dire ricostruire?
«Penso che non significhi solo restaurare gli edifici bombardati, ma anche creare le condizioni affinché le persone possano tornare nelle loro case, lavorare, realizzarsi. Le donne e gli uomini ucraini devono essere aiutati a guarire dalle ferite fisiche e psicologiche. Se le persone si riprenderanno, anche il Paese si riprenderà. Questo è quello che voglio fare dopo la guerra. E, in effetti, abbiamo già cominciato a farlo».
Qual è il progetto più grande a cui sta lavorando adesso?
«La guerra ha distrutto i miei piani. Ora tutti i progetti riguardano l’aiuto, il risparmio, la messa in sicurezza. Io tengo molto al Programma Nazionale di Salute Mentale e Supporto Psicosociale. Secondo studi recenti, almeno il 60% di noi definisce la propria condizione psicologica come grave o molto grave. Tutti ci troviamo a dover affrontare eventi traumatici causati dalla guerra. Sia chi è riuscito ad andarsene, sia chi è rimasto a combattere o aspetta i propri cari. Gli ucraini devono affrontare uno stato di stress altissimo».
Come agirete? Che cosa state già facendo?
«Uniamo i nostri sforzi a quelli delle associazioni pubbliche. Ci facciamo aiutare da specialisti, attivisti che lavorano nel campo della salute mentale. Riceviamo l’aiuto di esperti dall’OMS. Il nostro obiettivo è creare un sistema universale di assistenza mentale e psicologica che offra a tutti un accesso facile e rapido ai servizi. Stiamo raccogliendo le esperienze di altri Paesi. I nostri psicologi hanno già iniziato a seguire lezioni di colleghi israeliani. Israele vive da anni sotto attacco e sono riusciti a trasformare il dolore in forza. Dobbiamo imparare da loro».
Ha incontrato diverse First Lady negli ultimi mesi, tra cui Jill Biden. Ce n’è una a cui si ispira?
«Ogni First Lady ha qualcosa per cui essere ricordata. Spero che il mio nome non sarà associato solo alla guerra. L’anno scorso, in tempi di pace, ho fondato il primo vertice delle first lady e dei gentlemen. Il mio obiettivo è scambiare esperienze, realizzare progetti umanitari congiunti e migliorare il mondo con l’aiuto del nostro “soft power”. I miei colleghi sono stati i primi a sostenere l’Ucraina. Il vertice ha iniziato a funzionare efficacemente in tempi di guerra: siamo già una specie di Commonwealth in prima linea».
Quanto sono importanti i social network per voi?
«Moltissimo. Li usiamo per trasmettere la verità su ciò che la Russia sta facendo. Fin dall’inizio dell’invasione ho pubblicato informazioni importanti, per esempio sui bambini uccisi. I nostri social network sono veramente “sociali”: le persone li usano per raccogliere aiuti per l’esercito o per i civili feriti. Allo stesso tempo, abbiamo regole di comportamento non ufficiali che devono essere rispettate».
Cioè? Che regole vi siete dati?
«Non dobbiamo scrivere gli indirizzi colpiti dai missili per non aiutare il nemico. Non dobbiamo litigare perché questo semina discordia che giova ai russi. A differenza nostra, la Russia usa i social soltanto a scopi propagandistici. C’è una cosa che non capisco: durante la Seconda guerra mondiale, non c’erano così tante informazioni disponibili. Quindi gli abitanti degli Stati fascisti potevano giustificarsi con il fatto che non potevano informarsi sui crimini dei loro Paesi. Ora il desiderio di sapere dipende esclusivamente dalla persona. Quindi, nel ventunesimo secolo la responsabilità di ognuno è aumentata, ma non tutti lo hanno capito».
Ma come si spiega la guerra a chi non l’ha vissuta? Non la vive?
«Spiegare la guerra è impossibile. Prima del 24 febbraio, per me era difficile comprendere il male che fa non avere una casa. Non sapevo quanto triste potesse essere vedere al suo posto solo macerie. Non potevo immaginare il dispiacere di portare i nostri figli non a una festa o a fare una passeggiata, ma in una cantina o in metropolitana. Per esempio, sapete com’è strizzare gli occhi perché la luce del sole è troppo forte dopo che per settimane hai vissuto in rifugio antiaereo? Com’è lo spavento che si prova con i suoni delle sirene, i boati dei fuochi d’artificio o dei tuoni? Niente sarà mai percepito come prima da chi ha visto le bombe russe cadere dall’alto. Serve l’empatia per provare a capire come stiamo, e voi italiani ne avete moltissima».
Nei primi due mesi, abbiamo ospitato quasi 120mila profughi.
«Sono estremamente grata a coloro che ospitano la nostra gente. Ci state salvando davvero la vita, l’alternativa sono le bombe e aspettare la morte. L’ho già detto che non ci sono città completamente sicure in Ucraina e che i missili russi colpiscono ovunque. L’Italia ci sta aiutando, è un Paese che amo».
Ha raccontato delle sue vacanze qui.
«Ora vivo il ricordo delle mie estati italiane come una favola. Non c’è una regione che non amo. In Italia è tutto molto bello e delizioso».
Qual è il suo ultimo ricordo di completa felicità?
«Mi è difficile rispondere a questa domanda. Sembra che tutta la felicità sia rimasta nella vita precedente. Ma so esattamente quando sarò di nuovo completamente felice, e penso che sappiate che cosa intendo».
Andrea Nicastro per il corriere.it il 19 giugno 2022.
Olena Zelenska, ovvero come sopravvivere a quasi quattro mesi di caccia da parte di spie, missili, bombardieri e forze speciali della seconda potenza militare al mondo. L’intervista rilasciata dalla moglie del presidente ucraino a The Guardian è, assieme a quella di aprile del marito al settimanale Time, una ricostruzione dei primi giorni di guerra che servirà a storici e pianificatori militari.
Se è vero che il presidente era l’obbiettivo numero uno dell’attacco russo e la sua famiglia l’obbiettivo numero due, entrambi i target sono stati mancati. Presidente e consorte sono ancora vivi. È in egual misura un fallimento russo e un successo dei servizi di sicurezza ucraini. Com’è stato possibile? La conversazione con Shaun Walker dà alcuni indizi.
Top Secret. Anzitutto Olena non conosceva alcun segreto militare. Zelensky leggeva i rapporti dell’intelligence occidentale, ma non ne parlava con la moglie e, decidendo di dormire in casa, neppure lui ci aveva veramente creduto. Quando, però, nella notte del 24 febbraio Olena si è svegliata per i bombardamenti, ha visto il marito già vestito e pronto ad andare alla riunione del Consiglio di sicurezza. Non si sarebbero più incontrati per settimane. «Aveva giacca e cravatta», ricorda la moglie. Il look «guerriero» è stata un’intuizione successiva, dello staff o del presidente, non della moglie. Per la coppia presidenziale tanta indipendenza non era una novità. «Ho saputo che si sarebbe candidato alla presidenza dalla televisione», ammette lei. Il giornalista la incalza: arrabbiata? affascinata? rassegnata? «Tutto l’arco delle emozioni», replica lei.
Black out. Le comunicazioni sono il punto debole di molti ricercati. Ad Olena e ai figli i servizi segreti hanno imposto di lasciare alle spalle ogni apparato elettronico personale e abbandonare ogni social network. Un suo ingresso su Facebook, ad esempio, avrebbe potuto essere individuato fornendo le coordinate per un missile. Niente più telefonini o vita virtuale dunque. Era il presidente a telefonare, di tanto in tanto, su linee militari criptate.
Distacco. Marito e moglie si sono divisi da subito, come milioni di coppie ucraine. Mentre lui è rimasto a Kiev rigettando l’offerta americana di fuga («ho bisogno di armi, non di un taxi»), lei è stata posta al riparo in una località segreta «ma sempre in Ucraina» con i due figli Kyrilo (7 anni) e Oleksandra (17). «Seguivamo in ogni momento la tv», racconta la signora Zelenska. Angoscia per le immagini di Kiev sotto attacco, per lo stress visibile ad ogni video del marito e per i figli isolati da amici e compagni.
Personalità. Olena è l’altra faccia di Volodymyr. Si conoscono da bambini, hanno fatto lo stesso liceo e la stessa università. Ma tanto lui adora essere al centro dell’attenzione, tanto lei è insicura in pubblico. Condividono però il senso dell’umorismo e così Olena ha scritto spesso gli sketch per le commedie di lui. «Solo che Volodymyr non si stanca mai. Anche quando litighiamo. A lui basta andare in scena e tutto il resto sembra non essere mai esistito».
Olena Zelenska col marito Premier dell'Ucraina. Gino Dato su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Giugno 2022
La first lady dell'Ucraina, obiettivo numero due della Russia: «Quando vedi i loro crimini, forse sono davvero capaci di tutto… ».
«Quando vedi i loro crimini, forse sono davvero capaci di tutto…». Olena Zelenska sa di essere l’obiettivo numero due della Russia, ma non le manda a dire. Salda nel suo ruolo, esprime tutta la sua potenza di donna, e non il potere di first lady ucraina, attraverso le parole: «Ho la sensazione di trovarmi in una realtà parallela». Interpretando quasi la condizione del mondo: come viviamo e palpitiamo i tormentosi e lunghi albori del nuovo secolo.
Uno sforzo enorme, quello compiuto da Olena Zelenska nel suo discorso per il decimo anniversario dell’Aspen Institute Central Europe: «Molte persone in questi quasi quattro mesi di aggressione russa mi hanno detto che per loro è difficile anche solo leggere le notizie sull’Ucraina. Li capisco molto bene. È difficile per qualsiasi persona normale e dotata di empatia scoprire ogni giorno come un missile sia entrato in casa di qualcuno, proprio in una stanza e abbia ucciso una famiglia. È difficile guardare le foto di città danneggiate, buchi al posto delle finestre, persone negli ospedali ferite dalle mine».
Vogliamo dirla in maniera più semplice? Molti di noi, posti di fronte a una sorta di indecifrabilità delle persone e degli eventi, nell’indifferenza per valori e scelte etiche, dopo essersi più volte interrogati per darsi una risposta, hanno definitivamente rinunciato all’idea di capire il mondo, di connetterne i fili e di ordirne un disegno. Quanto continua ad avvenire tra Russia e Ucraina e nel contesto diplomatico mondiale, infatti, ci pone dinanzi a giri di boa epocali. In primo luogo, il ritorno a una condizione bellica quasi belluina, che aveva contrassegnato tutto il Novecento, con diverse intensità, ma che le ultime generazioni non avevano conosciuto, essendone in qualche modo immuni e inconsapevoli.
In secondo luogo, la certezza di quella banalità del male che sapevamo essere tessuto crudo delle nostre coscienze ma pensavamo di aver ripudiato per sempre. In terzo luogo, la frantumazione della civiltà urbana, perché questa era emersa dal crollo dei grandi imperi, dalla fine della narrazione delle ideologie, per animare la nostra vita di tutte quelle bellezze e servizi e piaceri che ci fanno amare il campanile e la nostra città. Le rappresaglie e la strategia bellica dei russi è stata deliberatamente volta a distruggere, oltre che le vite, tutto ciò che oggi possiamo chiamare i beni sociali e relazionali.
Sono i beni che noi collochiamo nella sfera dei bisogni immateriali, per collegarci e stare con gli altri e che quindi non sono meno importanti di altri beni come quelli materiali. Sono i bisogni indispensabili di sopravvivere senza dei quali appunto cade il buio.
In quarto luogo, la demolizione di tutto quanto noi riconduciamo al mirabile equilibrio tra ragione ed emozione, a quel razionalismo che riflette sulla nostra condizione di uomini che palpitano, sentono ma superano lo stadio della pura aggressività per accedere al governo delle buone maniere. Avanza un pensiero che rinuncia a capire il mondo ma nel far questo abbandona soprattutto uno dei capisaldi della società civile occidentale: il rispetto della tolleranza.
Lettera aperta della first lady Olena Zelenska ai media 8 marzo 2022
Recentemente molti media di tutto il mondo mi hanno contattata con richieste di interviste. Questa lettera è la mia risposta a queste richieste e la mia testimonianza dall’Ucraina. Quanto è successo poco più di una settimana fa è stato qualcosa di incredibile. Il nostro paese era pacifico; le nostre città, i paesi e i villaggi erano pieni di vita. Il 24 febbraio ci siamo svegliati tutti con l’annuncio di un’invasione russa.
[…]
Forse l’aspetto più terrificante e devastante di questa invasione sono le vittime tra i bambini. Alisa, di otto anni, è morta per le strade di Okhtyrka mentre suo nonno cercava di proteggerla. Polina, di Kyiv, è morta durante un bombardamento insieme con i suoi genitori. Arseniy, quattordici anni, è stato colpito alla testa da alcune schegge e non ha potuto essere salvato perché l’ambulanza non è riuscita a raggiungerlo in tempo a causa di vasti incendi. Alla Russia che sostiene di «non star facendo la guerra contro i civili», rispondo con i nomi dei bambini assassinati. Le nostre donne e i nostri bambini ora vivono in rifugi e scantinati.
[…]
Questa guerra viene condotta contro la popolazione civile, e non solo attraverso i bombardamenti. Alcune persone hanno bisogno di cure intensive e continue, che ora non possono ricevere. Quanto è facile iniettarsi l’insulina in uno scantinato? O ricevere le medicine per l’asma sotto il fuoco pesante? Per non parlare delle migliaia di malati di cancro il cui accesso fondamentale alla chemioterapia e alla radioterapia è stato rimandato a tempo indefinito.
[…]
A tutte le persone in tutto il mondo che si stanno radunando per sostenere l’Ucraina dico: «Vi vediamo! Vi guardiamo e apprezziamo il vostro sostegno». L’Ucraina vuole la pace, ma difenderà i suoi confini, difenderà la sua identità, non cederà mai.
Olena Zelenska sa di generare percezioni, di mirare all’emotività.
Lavoriamo per la pace 5 marzo 2022
Gente libera di un paese libero! Siamo già al decimo giorno di lotta nazionale, di fede sincera, di lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro. Il decimo giorno è come un giorno infinitamente lungo. Una notte infinitamente lunga che non ci permette di riposarci. Oggi è sabato. Questa parola non significa nulla durante la guerra. È come il lunedì o il giovedì o qualsiasi altro giorno. Sono diventati tutti uguali. Continuiamo a proteggere lo stato. Continuiamo a salvare le persone. Il paese non conosce più i fine settimana. Non importa che ora sia. Non importa che giorno sia. E sarà così fino alla vittoria.
I valori della coesione nazionale e l’intervento contro il male, l’occupazione, la sopraffazione per riportare la libertà in Ucraina e tutelare l’occidente fanno breccia su chi combatte e su chi assiste al teatro della guerra.
Qualche settimana fa il presidente della Regione Campania De Luca si domandava come facesse Zelensky a registrare un messaggio al giorno, ad essere così efficace, a produrre video perfetti, non conosco la risposta ovviamente, non so come sia organizzato il presidente so per certo però che questa per lui e il suo popolo è questione di vita o di morte.
Zelensky deve creare una relazione con ogni singolo cittadino, deve rispondere alle domande, anche a quelle inespresse, deve superare i confini geografici per realizzare un’azione collettiva su larga scala altrimenti rischia la disfatta.
«I have a dream» ha detto al Congresso americano durante il collegamento per chiedere l’imposizione di una “no-fly zone” sull’Ucraina e in molti si sono commossi.
La teatralità di cui è dotato è incentrata sulla performatività dei suoi discorsi politici, d’altro canto è innegabile che è così che si fa colpo, la percezione che la gente ha della realtà politica è che sia una sorta di spettacolo che viene recitato appositamente per loro, o no?
Con la prefazione di Walter Veltroni, Combatteremo fino alla fine di Volodymyr Zelensky è un libro che può aiutarci a riflettere sulle parole di un uomo che sta entrando suo malgrado ogni giorno nelle nostre case facendo sforzi enormi per farci comprendere il punto di vista di un popolo che ci siamo accorti di conoscere poco, quanta gente ho sentito dire: ma gli ucraini non sono russi? Facendo di tutta l’erba un fascio, no, sono ucraini! Ora tutti hanno idea di come sia composto quel territorio, sarebbe stato meglio non scoprirlo così.
“Solo il tempo ci dirà se queste parole, cariche di forza e dolore, sono state in grado di raggiungere il loro obiettivo ultimo. La pace, la convivenza, la salvezza del popolo ucraino.”
Walter Veltroni
Vi lascio con un’ultima citazione:
“Nessuno potrà costringere noi ucraini a rinunciare alla nostra libertà, indipendenza e sovranità.”
Volodymyr Zelensky, 24 febbraio 2022
Combatteremo fino alla fine di Volodymyr Zelensky Curatore Massimiliano Melley Chiarelettere PP 176
Se non fosse vera, la storia di Zelensky sarebbe da Oscar. Francesco Colonnese, Comunicatore & anti-avvocato, su Il Riformista il 7 Maggio 2022.
“Servant of the people”, la serie profetica creata da Zelensky, in onda su La7 tutti i lunedì sera, sta ricevendo un’accoglienza eterogenea: piace ad alcuni e non piace ad altri. Questo tipo di riscontro caratterizza tutte le serie tv del pianeta (con rare eccezioni) ma una cosa è certa: non si tratta di una storia come le altre con un protagonista come gli altri. Bisogna ammettere che il percorso umano e politico di Volodimir Zelensky è un caso di studio appassionante.
Proprio in queste ore è stata diffusa la notizia che Christie’s ha battuto per 90.000 sterline (oltre 105.000 euro) la felpa in pile di Volodimir Zelensky; il ricavato dell’asta verrà interamente devoluto in beneficenza a sostegno del popolo ucraino. Nell’immaginario collettivo, Zelensky riveste il ruolo di un Presidente combattente, un leader che si presenta al mondo in abbigliamento para-militare, con felpe e t-shirt verdi che richiamano le tute mimetiche ma che sono anche verde “speranza”. La scelta dell’outfit militare non è affatto inconsueta in politica ma occorre fare dei distinguo. La storia del ventesimo secolo è piena di capi in divisa: Charles de Gaulle, Benito Mussolini, Iosif Stalin, personaggi che, oltre ad essere uomini politici, erano anche militari e durante le guerre non hanno volutamente scisso i ruoli, fondando una parte importante della loro propaganda sull’appartenenza militare.
Nell’epoca contemporanea, invece, si assiste a rappresentanti di Governi e di Stati che vestono in uniforme, nella maggior parte dei casi, solo per far visita periodicamente alle loro forze armate dislocate nelle varie basi militari. Si tratta di appuntamenti istituzionali per i quali vestire in uniforme viene interpretato come un omaggio al lavoro ed alla dedizione dei militari: Renzi, Bush, Obama, Berlusconi, Fini, La Russa, solo per citarne alcuni. Un significato ben diverso ha, invece, l’abbigliamento militare dei fratelli Castro o di Ugo Chavez, che hanno frequentemente vestito in uniforme per comunicare uno stato di guerra ideologica perenne nei confronti del nemico imperialista, nonché per osannare l’identità rivoluzionaria della loro nazione e soprattutto la loro personale storia militare. Un’ulteriore valenza è quella racchiusa nell’attitudine di Matteo Salvini a vestire uniformi o vessilli militari con l’obiettivo di mandare messaggi ai propri elettori sul tema della sicurezza pubblica (comportamento che Salvini conserva tuttora che non ricopre ruoli di Governo). Zelensky, a differenza dell’ampia casistica appena citata, non solo si trova all’interno di un reale conflitto ma vi sta concretamente prendendo parte in prima persona e, come è noto, è un attore e non un militare.
In questo senso, la sua è una figura diametralmente opposta a tanti personaggi della storia, soprattutto a quella di Vladimir Putin che viene invece percepito come il capo politico che, con il suo completo presidenziale, tira le fila dando ordini ai generali da dietro una scrivania. Un uomo solo al comando che prende le distanze (anche fisicamente) dai suoi omologhi occidentali attraverso tavoli lunghissimi e che, quando si interfaccia con i sottoposti, non manca occasione per incutere timore. Molto eloquenti, da questo punto di vista, sono le sue risposte a seguito dell’intervento del capo dei Servizi Segreti russi prima della decisione di “riconoscere l’indipendenza” di Donetsk e Lugansk. Da qui l’equazione “Putin = capo; Zelensky = leader”.
Non ci è possibile prevedere le tempistiche e gli esiti del conflitto, ma è indubbio che la figura del Presidente Zelensky stia ispirando (consciamente e inconsciamente) il popolo ucraino. La resistenza fortemente empatica da lui condotta, sta indirizzando anche l’uso dei social media. Eloquente, a tal proposito, il ruolo della piattaforma cinese Tik Tok nella narrazione bellica: l’invasione dell’Ucraina è la prima guerra raccontata su questo social, divenuto celebre per i contenuti leggeri e disimpegnati, che ora invece si è tramutato in un canale di informazione di assoluta preminenza nella cronaca del conflitto. Dal 24 febbraio, come divulgato da Rai News, i video con hashtag #Zelensky sono oltre 900 milioni e quelli taggati #Ucraina hanno superato i 31 miliardi. Una crescita che va ad incrementare i trend registrati nel 2021, anno in cui Tik Tok è stata la app più scaricata con 665 milioni di download (superando Instagram) con utenti rimasti connessi per oltre un’ora al giorno (superando Youtube).
La comunicazione e l’utilizzo dei social media non cambierà, di certo, “l’esito” del conflitto sul terreno ma è ragionevole pensare che stia contribuendo a influenzare mercati e sanzioni, mettendo in difficoltà i sistemi economici colpiti. In questi mesi, la pressione mediatica ha spinto quasi la totalità dei player industriali a prendere delle posizioni nette attraverso scelte concrete sul mercato russo. Non bisogna poi dimenticare l’impatto umano della comunicazione: la percezione della vicinanza del leader sul campo di battaglia può rinsaldare lo spirito di servizio dei militari, contribuendo a dilatare i tempi della resistenza. Al netto di qualunque legittima congettura, un dato di fatto è evidente: la Russia, sottovalutando le potenzialità comunicative di Zelensky, ha commesso un errore grossolano.
Oltre a rappresentare una défaillance dei consiglieri di Putin, alla base di questo abbaglio va collocato un sistema istituzionale non abituato a gestire in maniera efficace il dissenso, sia quello interno che quello esterno. Eppure, le peculiarità personali e comunicative di Zelensky erano note a tutti, sarebbe bastato guardare la sua serie tv per accorgersene.
Adriano Scianca per “La Verità” il 2 maggio 2022.
Surtout pas trop de zèle, raccomandava Talleyrand. La cosa più importante è sempre non mettere troppo zelo nelle cose che si fanno, anche quando si hanno buone ragioni.
Ora, di buone ragioni per sostenere il popolo ucraino attaccato dalla Russia ce ne sono parecchie. Ed è pure nell'ordine delle cose che qualcuno sovrapponga il popolo ucraino al suo governo, anche se i due piani sono ben distinti.
D'altronde Volodymyr Zelensky è un abilissimo comunicatore, venendo peraltro dal mondo dello spettacolo. L'eccessivo zelo nel mostrarsi troppo zelenskyani gioca però brutti scherzi.
Accade quindi che, nelle librerie italiane, finiscano contemporaneamente due libri in cui il presidente ucraino appare una via di mezzo tra Socrate, Gandhi e Martin Luther King. Ed è proprio con questi grandi personaggi storici che Zelensky condivide l'onore di essere citato nel libro I grandi discorsi che hanno cambiato la storia di Michele Fina e Gianluca Lioni (Newton Compton).
Si tratta in realtà della riedizione di un libro già in commercio da tempo, che nelle edizioni precedenti aveva in copertina John Fitzgerald Kennedy. Ora l'editore l'ha ristampato, aggiungendo anche un discorso di Zelensky e mettendo il leader di Kiev in copertina.
Va detto che, scorrendo l'indice, ci si accorge di come il volume non raccolga solo i discorsi dei «buoni» o presunti tali. Ci sono Gesù, Socrate, San Francesco, Churchill, Obama, ma anche Gengis Khan, Stalin, Mussolini. Il che nulla toglie, comunque, alla dimensione di spaesamento che si avverte osservando Zelensky in copertina, novello profeta delle genti. È peraltro assai discutibile che qualche discorso di Zelensky abbia davvero «cambiato la storia».
A rigor di logica e a prescindere da qualsiasi valutazione politica, ad aver cambiato la storia è stato semmai il discorso con cui Vladimir Putin, il 21 febbraio, ha esposto le motivazioni storiche e ideologiche per le quali i russi hanno iniziato il conflitto. Del resto la storia la cambia per lo più chi dichiara una guerra, piuttosto che chi si difende. Spesso in negativo, ma la cambia.
Parallelamente con l'iniziativa di Newton e Compton, La nave di Teseo fa uscire - il 19 maggio, in contemporanea mondiale - la prima edizione dei discorsi del presidente ucraino, intitolata Per l'Ucraina, con un testo di Maurizio Molinari.
Si tratta, spiega la casa editrice, della raccolta dei discorsi più significativi del presidente ucraino, pubblicati con l'accordo delle autorità di Kiev sulla base di testi autorizzati. Il volume presenta i discorsi pronunciati di fronte al Parlamento italiano, al Congresso americano e nelle più alte sedi europee, fino ai discorsi rivolti alla popolazione pubblicati sui social network.
Lodevole iniziativa, per carità, anche perché, leggiamo, «tutti i proventi della vendita di questo libro saranno devoluti al popolo ucraino». Ma forse per tale nobile fine si sarebbe potuto trovare un mezzo meno retorico.
Anche perché, parliamoci chiaro, i discorsi di Zelensky ai vari parlamenti del mondo in cui di volta in volta ha paragonato Putin al nemico pubblico nazionale, con un format che si ripeteva in modo analogo ovunque e non privo di qualche scivolone (i riferimenti all'Olocausto non sono piaciuti in Israele), non sono certo delle pietre miliari dell'arte oratoria o della tensione morale.
Non che ci sia da fargliene una colpa: il leader ucraino stava cercando aiuti politici e militari, non gareggiando in un concorso oratorio. Una ragione in più per non farne un profeta e per non inquinare ulteriormente questa fase con altra retorica.
Zelensky racconta le prime 24 ore della guerra in Ucraina: i russi arrivarono a un passo dal catturarlo. Andrea Marinelli e Guido Olimpio su Il Corriere della Sera il 29 Aprile 2022.
Il presidente ucraino ricostruisce il primo giorno dell’invasione. In quelle ore si è decisa la storia del conflitto: il governo ucraino non è fuggito, è rimasto a difendere il proprio territorio anche grazie ai rifornimenti occidentali, mentre i piani russi di una conquista rapida del Paese sono naufragati.
Il 24 febbraio, nelle prime ore dell’invasione, i soldati russi sono arrivati a un passo dall’acciuffare Volodymyr Zelensky e la sua famiglia. È lo stesso presidente ucraino a ripercorrere quei momenti concitati — anche se i ricordi sono «frammentari», avverte, un insieme disgiunto di suoni e immagini — in una lunga intervista concessa alla rivista americana Time, che lo ha seguito per una settimana insieme ai suoi più stretti collaboratori. Appena due giorni prima — come aveva confermato al Corriere il presidente estone Alar Karis, che il 22 febbraio si era recato in visita a Kiev — Zelensky ancora non credeva a un’invasione su larga scala dei russi: nonostante gli avvertimenti arrivati da Washington, pensava che l’esercito di Putin avrebbe al massimo puntato sulle aree contese del Donbass.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina, in diretta
Invece quella mattina, prima dell’alba, il presidente ucraino e la moglie Olena Zelenska si sono precipitati dai figli — di 17 e 9 anni — per avvertirli che la guerra era cominciata e che dovevano fuggire. «Li abbiamo svegliati», ricorda Zelensky. «Si sentivano le esplosioni, rumorose». Nello stesso momento, il presidente fu informato dall’esercito ucraino che le truppe d’élite russe erano state paracadutate a Kiev per catturarlo insieme e alla sua famiglia.
«Prima di quella notte, cose del genere le avevamo viste soltanto nei film», ha raccontato Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale, anche lui — come Zelensky, conosciuto quando entrambi lavoravano per la rete televisiva Inter, e molti suoi collaboratori — proveniente dall’industria dello spettacolo. Mentre le truppe ucraine cercavano di respingere l’assalto russo alla capitale, le guardie presidenziali di Kiev provavano a mettere in sicurezza il complesso governativo di via Bankova, bloccando il cancello sul retro con transenne della polizia, pannelli di compensato e tutto ciò che riuscivano a trovare. Al compound arrivavano intanto tutti gli alleati del presidente, alcuni portandosi anche i familiari: fra loro c’era anche Ruslan Stefanchuk, il presidente del Parlamento che sarebbe dovuto succedere a Zelensky se fosse stato ucciso ma che, in violazione del protocollo di sicurezza, si presentò al palazzo presidenziale e poi partecipò al voto con cui l’assemblea impose la legge marziale in Ucraina.
Nel tardo pomeriggio, dopo che Zelensky aveva firmato il decreto, attorno al quartiere governativo cominciarono gli scontri a fuoco. Le guardie presidenziali spensero tutte le luci all’interno del complesso presidenziale, fornirono giubbetti antiproiettile a tutti i presenti e portarono fucili d’assalto a Zelensky e a una dozzina dei suoi assistenti: gran parte di loro, tuttavia, non sapeva neanche come imbracciarli. «Sembrava un manicomio, c’erano fucili automatici per tutti», ha raccontato a Time il consigliere presidenziale Oleksiy Arestovych, che essendo un veterano del servizio d’intelligence militare era uno dei pochi a saperli usare. Fuori, intanto, la battaglia si faceva sempre più vicina e i russi provarono a irrompere all’interno del palazzo presidenziale, respinti due volte: insieme a Zelensky — come conferma lui stesso a Simon Shuster di Time — c’erano ancora la moglie e i due figli.
Fu in quel momento che Stati Uniti e Gran Bretagna si offrirono di evacuare il presidente, magari per formare un governo in esilio nella Polonia orientale, ma la proposta — arrivata attraverso una linea protetta con Washington — non fu neanche presa in considerazione. «Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio», si racconta che abbia risposto Zelensky, anche se queste parole non sono mai state confermate da nessuno. Che le abbia pronunciate o meno, in quel frangente si è decisa in ogni caso la storia del conflitto: il governo ucraino non è fuggito, è rimasto a difendere il proprio territorio anche grazie ai rifornimenti occidentali, mentre i piani russi di una conquista rapida del Paese sono naufragati. «Abbiamo pensato che fosse stato coraggioso», dice a Time un funzionario americano informato sui fatti, «ma anche molto rischioso».
Lo stesso pensarono le guardie del corpo di Zelensky, racconta la rivista americana, che lo invitarono a lasciare immediatamente il palazzo presidenziale. «Era troppo esposto, non avevamo neanche dei blocchi di cemento per chiudere la strada», ricorda il consigliere Arestovych. Gli edifici del complesso presidenziale si trovano infatti in un quartiere di Kiev densamente popolato, circondato da palazzi civili che potevano essere usati dai cecchini russi, abbastanza vicini da poter centrare le finestre con una granata tirata dall’altro lato della strada. Fuori città, invece, c’era un bunker che lo aspettava e che poteva proteggerlo anche durante un lungo assedio: Zelensky, anche in questo caso, si rifiutò di essere trasferito.
Nelle ore precedenti, all’aeroporto di Hostomel, a 35 chilometri dal complesso presidenziale di via Bankova, erano sbarcate intanto le truppe aviotrasportate che dovevano decapitare il governo ucraino. Ad aspettarle hanno trovato però gli ucraini: come abbiamo raccontato in precedenza, la Cia aveva informato gli ucraini sui piani russi, fornendo elementi precisi sulle direttrici dell’attacco. Grazie a fonti interne e immagini satellitari, infatti, a Washington sapevano che l’Armata avrebbe provato a conquistare lo scalo con l’obiettivo di creare una testa di ponte e favorire l’afflusso di rinforzi con gli aerei. L’apertura di una breccia probabilmente doveva sommarsi alle mosse di una quinta colonna, composta da collaborazionisti, che avrebbe dovuto favorire l’eliminazione del presidente.
La resistenza era però preparata, la battaglia è stata cruenta e i russi – caduti nella trappola – hanno subito le prime perdite pesanti nei reparti d’élite. Secondo gli ucraini, raccontava in quei giorni l’inviato del Corriere a Kiev Lorenzo Cremonesi, tre aerei da trasporto Ilyushin II-76 sarebbero stati abbattuti ben prima di avvicinarsi all’area di atterraggio di Hostomel, dove si è combattuta una delle battaglie più decisive della guerra: ogni velivolo aveva a bordo circa 150 uomini e in pochi secondi Putin avrebbe perso quasi 500 dei suoi combattenti migliori. Alcuni osservatori, però, hanno ridimensionato queste perdite e ridotto (forse) solo a uno il cargo distrutto. Nelle stesse ore, una colonna blindata che cercava di raggiungere lo scalo da Chernobyl sarebbe stata annientata: parte di questi dettagli, raccolti sul campo, tornano nei racconti fatti ai giornalisti americani dai funzionari della Cia.
Dopo aver rifiutato la via d’uscita americana e il trasferimento nel bunker fuori città, intanto, Zelensky era già diventato il simbolo della resistenza ucraina: un presidente non particolarmente popolare in tempo di pace, in 24 ore era diventato il comandante da seguire in guerra. La notte successiva, mentre in strada ancora si combatteva, il leader ucraino uscì dal compound per registrare il famoso video nel centro di Kiev, circondato dai suoi collaboratori. «Siamo tutti qua», diceva, facendo l’appello dei suoi funzionari presenti, tutti vestiti con le magliette e le giacche dell’esercito che sarebbe diventata l’uniforme di guerra. «Difendiamo la nostra indipendenza, il nostro Paese».
In quelle prime 48 ore di guerra, il presidente-comico ha trovato la cifra comunicativa con cui è riuscito a dettare la linea per oltre due mesi: la propaganda ucraina è sempre stata un passo avanti a quella russa, con Kiev che ha martellato in modo pesante chiedendo costantemente aiuto all’occidente e impendendo al resto del mondo di «dimenticarsi» del conflitto. «Capisci che ti stanno guardando», ha spiegato lui stesso a Time. «Sei un simbolo, e devi fare ciò che deve fare un capo di Stato».
A quel punto, come ha raccontato Francesco Verderami sul Corriere, attorno a Zelensky è stata costruita una «tripla cintura difensiva». La prima è quella dei suoi uomini, che hanno un’attenzione maniacale al cibo, all’acqua, alle medicine, alla biancheria e alle lenzuola usate dal presidente, per evitare che venga avvelenato. La seconda e la terza sono «una co-produzione anglo-americana», come hanno spiegato fonti di intelligence: una fisica, «posizionata sul terreno a debita distanza», un’altra «da remoto». Il dispositivo di sicurezza fa uso di satelliti e di strumenti elettronici pronti ad «accecare comunicazioni ritenute ostili», mentre al resto contribuiscono le informazioni delle agenzie europee.
La stessa Cia ha definito «rivoluzionaria» la collaborazione con l’intelligence di Kiev, uno scambio di informazioni per alcuni aspetti anche pubblico, di cui si è scritto molto ma che si arricchisce ogni giorno di nuovi dettagli. Un lungo articolo pubblicato nei giorni scorsi da Nbc ha confermato infatti che i servizi segreti americani contribuiscono alla sicurezza di Zelensky, suggeriscono come proteggerne i movimenti, cercano di impedirne la localizzazione, fanno probabilmente ricorso ad apparati elettronici per evitare che le sue conversazioni vengano intercettate e i suoi movimenti tracciati.
Zelensky è considerato dagli alleati «ad alto rischio», scriveva sempre Verderami, sebbene vengano ritenute difficili alcune soluzioni di attentato, come ad esempio il bombardamento del suo bunker: i russi sono lontani da Kiev e un’eventuale missione aerea sarebbe priva di effetto sorpresa. Allo stesso modo il lancio di missili verrebbe intercettato per tempo dai satelliti: tuttavia non si tratta di meccanismi perfetti, non bisogna mai «scommettere» su uno scudo totale. «Se Putin con la guerra voleva meno Nato, ne ha avuta di più», ha commentato il ministro della Difesa italiana Lorenzo Guerini. «Se contava su un’Europa divisa, l’ha compattata. Se pensava di eliminare Zelensky, l’ha trasformato in eroe».
Flavio Pompetti per “il Messaggero” il 30 aprile 2022.
La notte del 24 febbraio, mentre le bombe russe cadevano dal cielo sulla città di Kiev e la capitale ucraina si svegliava alla notizia dell'avvenuto attacco, militari di corpi speciali furono paracadutati nella città con il compito di prendere d'assalto il palazzo presidenziale, rapire o uccidere Volodymyr Zelensky, sua moglie e i due figli.
La storia del mancato blitz, forse la prima delle missioni fallite dall'esercito russo già nel primo giorno di guerra, è raccontata dalla rivista statunitense Time. Il giornalista del settimanale, Simon Shuster, è stato autorizzato a seguire il presidente ucraino per due settimane nei rifugi nei quali coordina l'attività di difesa del suo paese, e dai quali comunica con i politici di tutto il mondo nella disperata rincorsa a rinforzare gli armamenti che gli hanno permesso finora di resistere all'invasione.
Il ritratto che ne viene fuori è quello di un uomo profondamente segnato dall'esperienza che gli è toccato di vivere negli ultimi due mesi. Capace ancora di pescare nel repertorio di attore e teatrante davanti alle telecamere, in occasione dei tanti appelli internazionali che ha scritto di suo pugno e pronunciato, ma spesso sconvolto dalla stanchezza a fine giornata, quando le rughe che sono arrivate a solcare il suo volto sono più evidenti, e quando i dubbi e la paura per quanto sta accadendo intorno a lui si fanno più vivi e reali, con l'arrivo della notte.
Al momento di raccontare le ore cruciali dell'inizio della guerra, Zelensky ha ammonito il giornalista che la sua memoria della prima notte è frammentaria, scomposta dallo shock che lo ha colpito nonostante la lunga vigilia di attesa che aveva alle spalle. Il presidente e alcuni dei collaboratori che gli sono più vicini vengono dal mondo dello spettacolo; non avevano nessuna esperienza militare e nessuna idea di quanto sarebbe accaduto.
Era buio anche il 24 febbraio quando le bombe hanno colpito Kiev per la prima volta. Zelensky ha raccontato a Shuster che la moglie Olena Zelenska, la figlia diciassettenne e il maschio di nove anni erano con lui in quel momento, e gli agenti del servizio segreto non erano ancora riusciti a portarli al sicuro quando è arrivato un dispaccio dell'intelligence dal contenuto allarmante. Soldati dei reparti speciali russi erano arrivati in città calandosi con il paracadute, e stavano per dare l'assalto al palazzo.
La difesa è stata improvvisata alla meglio con barricate che bloccavano le strade d'accesso. Le esplosioni delle armi da fuoco erano udibili con la massima chiarezza, a pochi metri dalle finestre dell'edificio. L'attacco è stato respinto due volte prima che il tentativo fallisse, poi l'incubo immediato per la sopravvivenza si è allontanato, ed è iniziato quello della guerra. Invece di isolarsi in un rifugio sicuro, Zelensky ha continuato a vivere e operare in uffici presidenziali improvvisati, con le finestre oscurate da sacchi di sabbia.
Il suo ipotetico successore, il presidente del parlamento e amico personale Ruslan Stefanchuck, invece di rinchiudersi in un posto separato per evitare una doppia perdita di potere, è immediatamente accorso al fianco del presidente, come hanno fatto altri collaboratori. Il lockdown sotto i bombardamenti è durato una settimana. L'ottavo giorno Zelensky è uscito con due funzionari, senza accompagnamento di telecamere.
Voleva vedere la sua gente, constatare di persona quanto stava accadendo. Le immagini che ha visto quel giorno e nelle escursioni successive sono divenute gli incubi che lo visitano ora la notte, quando continua a fissare lo schermo del cellulare al buio, anche se non gli arrivano più messaggi. «Sono diventato vecchio sotto il peso di una saggezza che non avrei desiderato confessa il presidente . È fatta dal numero degli ucraini torturati dai russi, e da quelli che sono morti per mano loro».
Volodymyr Zelensky, svelato il suo patrimonio: "Non solo yacht e jet privati", come si è arricchito. Libero Quotidiano il 24 aprile 2022.
Volodymyr Zelensky è diventato il simbolo della resistenza ucraina all’invasione russa ordinata da Vladimir Putin. In questa guerra è certamente il “buono”, anche se sul suo passato e soprattutto sul suo patrimonio attuale si allungano diverse ombre. Il nome del presidente ucraino, eletto a furor di popolo dopo lo straordinario successo riscosso con la serie tv “Servitore del popolo” (in cui appunto diventa presidente per caso), è finito nelle liste contenute nei Pandora Papers, la maxi-inchiesta sui beni registrati offshore dai più ricchi e potenti del pianeta.
A quanto parte Zelensky rientra a pieno titolo in questa categoria, anche se il suo patrimonio non è comparabile a quella delle persone più facoltose del pianeta. Secondo Forbes il patrimonio del presidente ucraino è di circa 20 milioni di dollari ed è basato principalmente su una quota del 25% della Kvartal 95, la società che ha prodotto tra l’altro proprio la serie tv “Servitore del popolo”.
Inoltre a Zelensky vengono attribuiti cinque yacht di lusso e tre jet privati, oltre a 60 milioni di dollari in azioni in società come Aramco, Meta e Tesla: Forbes non è però stato in grado di confermare questi beni, anche se da Pandora Papers è emerso che Zelensky avrebbe avuto a disposizione una rete di società con sede tra le Isole Vergini Britanniche, Cipro e Belize.
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera” il 23 aprile 2022.
Zelensky è la zeta che l’Occidente contrappone alla «Z» di Putin. Perciò tutelare la sua vita resta un imperativo per i leader di Europa e Stati Uniti, preoccupati per le sorti del presidente ucraino, costantemente minacciato da Putin.
Salvare il soldato Zelensky è una missione, perché l’uomo della resistenza di Kiev è considerato dai partner del Patto Atlantico «il punto di forza» nella lotta contro l’invasore, «ma anche il punto di debolezza». Senza di lui, verrebbe infatti compromessa gravemente la strategia nel conflitto, sia sul fronte militare sia sul fronte politico, per l’impatto che la notizia avrebbe sull’opinione pubblica internazionale. L’eventualità viene comunque valutata dall’Occidente, se è vero che — come racconta il Messaggero — nel caso in cui l’alleato fosse catturato o ucciso, il potenziale successore sarebbe il presidente del Parlamento ucraino.
Tuttavia Zelensky è ormai più di un simbolo in una guerra che somiglia a quelle del Novecento ma si combatte anche sui social: è l’ambasciatore privo di diplomazia che ottiene la parola nei Parlamenti democratici, che critica pubblicamente la lentezza dell’Europa nell’applicazione delle sanzioni alla Russia, che plaude quando vede che «finalmente iniziano a capire», che chiede insieme l’ingresso nella Ue e più armi per difendersi. È a Zelensky che si consente di respingere la visita del capo dello Stato tedesco per i suoi trascorsi filo-russi. È per Zelensky che Macron — come ha detto il presidente francese al Corriere — chiama Putin «ogni volta che Volodymyr me lo chiede».
Su di lui regge la forza quotidiana degli ucraini. Senza di lui si incrinerebbero le (titubanti) certezze di molti Paesi alleati. Contro di lui Putin aveva inviato reparti scelti la notte dell’invasione, perché era e resta lui il principale obiettivo dell’«operazione speciale militare». Da allora Zelensky sarebbe scampato a vari attentati, braccato dai tagliagole ceceni e dai mercenari della Wagner al soldo del Cremlino. Da allora — rivela un autorevole ministro italiano — «è protetto dalla solidarietà degli alleati».
Secondo fonti dell’intelligence, attorno al presidente dell’Ucraina è stata costruita una «tripla cintura difensiva». La prima è quella dei suoi uomini: nel bunker c’è un’attenzione maniacale al cibo, all’acqua, alle medicine, alla biancheria e pure alle lenzuola, per scongiurare la presenza di veleni. La seconda e la terza cintura sono «una co-produzione anglo-americana»: una fisica, «posizionata sul terreno a debita distanza», un’altra «da remoto». Il dispositivo di sicurezza fa uso di satelliti e di strumenti elettronici pronti ad «accecare comunicazioni ritenute ostili». Al resto contribuiscono le informazioni delle agenzie europee.
Zelensky è considerato dagli alleati «ad alto rischio», sebbene vengano ritenute difficili alcune soluzioni di attentato. Per esempio il bombardamento del suo bunker: i russi sono lontani da Kiev e un’eventuale missione aerea sarebbe priva di effetto sorpresa. Allo stesso modo il lancio di missili verrebbe intercettato per tempo dai satelliti. Così, per dirla con il titolare della Difesa Guerini, «se Putin con la guerra voleva meno Nato, ne ha avuta di più. Se contava su un’Europa divisa, l’ha compattata. Se pensava di eliminare Zelensky, l’ha trasformato in eroe».
Nel governo italiano c’è chi ritiene che il dittatore russo oggi non possa più permettersi un omicidio politico «perché sarebbe bollato a vita come un gangster». Ma c’è un motivo se Draghi — a colloquio con alcuni ministri — ha evocato una «certa tradizione» di Mosca, che ha in Putin l’ultimo discendente.
E non a caso in quell’occasione il premier ha ricordato le figure di Nagy e Dudaev: il primo ministro ungherese venne catturato e poi giustiziato dai sovietici a seguito della rivoluzione del 1956; il presidente della Repubblica cecena fu centrato da un missile russo nel 1996 mentre si trovava nel suo bunker. Insomma, è tagliando la testa dei capi nemici che sono state soffocate le rivolte.
Perciò Zelensky va tutelato, e come ha detto Draghi in Consiglio dei ministri dopo il suo colloquio con Putin, «se non avessimo subito aiutato gli ucraini a difendersi, con il presidente russo non avrei potuto parlare di pace ma di invasione».
Da iltempo.it il 23 aprile 2022.
«Zelensky è un uomo coraggioso malato di irresponsabilità. Chiede due cose: la copertura aerea dalla Nato che significa terza guerra mondiale e il blocco delle forniture energetiche e cioè la messa in ginocchio dei paesi dell’occidente e in particolare di Germania e Italia».
Lo dice il presidente della Campania Vincenzo De Luca in apertura del suo consueto appuntamento social con la diretta Facebook del venerdì pomeriggio. Il governatore dedica un abbondante spezzone per commentare gli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina. «Andiamo a rotta di collo verso un allargamento del conflitto», dice De Luca che poi si interroga chiedendosi «cosa è successo in questo anno per determinare la fine del mondo a cui stiamo assistendo?».
È lui stesso a fornire la risposta: «Una sola cosa è cambiata - spiega -. Da settembre-ottobre l’Ucraina ha avviato il percorso per entrare nella Nato. Questo è l’unico elemento che sulla base dei fatti, non delle ideologie, ha cambiato la scena internazionale. Noi abbiamo risposto che l’Ucraina è un paese libero e poteva entrare come e quando voleva nella Nato», dice l’inquilino di Palazzo Santa Lucia ,che riferendosi all’Ucraina parla di «democrazia calpestata» quattro anni prima dell’elezione di Zelensky quando un «colpo di stato ha rovesciato il governo del presidente Janukovich regolarmente eletto».
E secondo De Luca anche oggi le cose non sono migliorate: «Il capo dell’opposizione ora è arrestato perché non la pensa come il governo» affonda il Presidente della Campania prima di scagliarsi anche contro l’alleanza atlantica: «La Nato non è un’alleanza difensiva, è a corrente alternata.
Sono innumerevoli le iniziative militari prese dalla Nato in totale illegalità internazionale. La guerra contro la Libia, l’uccisione di Gheddafi, la seconda invasione dell’Iraq. La Russia è colpevole ma nessuno è innocente - prosegue quindi De Luca -. La Russia è colpevole per aver dato vita alla guerra preventiva. Come Bush in Iraq, Putin ha fatto la stessa cosa. Ma l’occidente non è innocente - sottolinea -E l’Ucraina ha violato gli accordi di Minsk garantiti da Merkel e Hollande. C’era Putin e i presidenti di Bielorussia e Ucraina, si stabilì una modifica costituzionale per garantire l’autonomia del Donbass. Ma questa modifica non è stata mai fatta: il mondo è estremamente complesso e innocenti non ce ne sono».
«Eravamo partiti con la consegna di armi difensive per l’Ucraina. Ora ci sono droni, carri armati e missili. Questa è un’altra cosa. È la scelta degli Usa per mettere in ginocchio la Russia e il regime russo. Questo può essere un interesse degli Stati Uniti ma sicuro non lo è dell’Europa.
Gli Stati Uniti non hanno problemi di sicurezza, problemi energetici e problemi alimentari. L’Europa li ha, abbiamo interessi diversi e non è un delitto sottolinearlo. Sarebbe meglio quindi che l’Europa desse segni di vita, ma non ho molte speranze. Quando sento parlare un elemento come Michel - dice De Luca riferendosi al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.- questo soggetto politico improbabile che va girando dicendo stupidaggini. Questo è uno che va affidato ai servizi sociali, altro che rappresentare l’Europa non si capisce a che titolo».
«Per quanto riguarda il Covid - conclude il governatore campano - manteniamoci prudenti e manteniamo l’uso della mascherina. Lo dico soprattutto alle ragazze e ai ragazzi: non vi fate condizionare dalla logica di branco, non è che se non portate la mascherina siete più “maschi”, siete più stupidi».
Zelensky, voglio vedere Putin per soluzione diplomatica
(ANSA il 23 aprile 2022. ) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito oggi che la "soluzione migliore" per arrivare a una soluzione diplomatica e fermare la guerra sarebbe un incontro tra lui e il presidente russo Vladimir Putin. "Dobbiamo cercare di raggiungere questo obiettivo - ha affermato Zelensky in una conferenza stampa - ma dalla Russia non vediamo questo. Dicono una cosa e poi fanno l'opposto".
Zelensky, non ho il diritto di aver paura
(ANSA) - "Non ho diritto ad aver paura, perché il nostro popolo ha mostrato di non aver paura di nulla". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una conferenza stampa a Kiev, rispondendo a una domanda sui sospetti piani russi di assassinarlo.
Zelensky, referendum a Kherson ostacolerebbe diplomazia
(ANSA) - Il referendum sullo status di Kherson preannunciato dai russi, che occupano la città ucraina, sarebbe "uno pseudo-referendum e non sarebbe utile a una soluzione diplomatica del conflitto". Anzi, "ostacolerebbe un eventuale cessate il fuoco e la fine del conflitto". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una conferenza stampa a Kiev.
Zelensky, se arrivano armi respingeremo russi dal Donbass
(ANSA) - "Vorremmo che lo scenario di Kiev si ripetesse nel Donbass. Ricordo che i carri armati erano alle porte della capitale. In questo momento i russi hanno temporaneamente occupato il Donbass. Ma se arriveranno armamenti adeguati, il Donbass può tornare nelle nostre mani. Stiamo respingendo l'attacco di un potente esercito". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella conferenza stampa con i media internazionali a Kiev.
Zelensky, stop colloqui se Russia uccide soldati Mariupol
(ANSA-AFP) - Se i militari ucraini ancora a Mariupol verranno uccisi, Kiev abbandonerà i negoziati con la Russia. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una conferenza stampa a Kiev.
Zelensky, Blinken domani a Kiev
(ANSA-AFP) - Il segretario di Stato Usa Antony Blinken sarà domani in visita a Kiev. Lo ha annunciato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Zelensky, 'sblocco militare a Mariupol non è propsettiva'
(ANSA) - "Ai battaglioni nella acciaieria mando messaggi di sostegno. Cerco di ricordare loro che sono dalla parte giusta della storia", ma al momento lo sblocco militare dell'assedio di Mariupol "non è una prospettiva. Al momento possiamo solo difenderci". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rispondendo a domande in conferenza stampa.
Zelensky, 'aspettiamo con ansia altri aiuti militari'
(ANSA) - Nell'ultima settimana l'Ucraina ha ricevuto "forniture soddisfacenti di materiale militari. Lo aspettiamo con ansia ulteriori pacchetto di aiuto. Comunque lanceremo ulteriori appelli". Lo ha detto in conferenza stampa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Zelensky, non mi muovo da Kiev fino a fine guerra
(ANSA) - "Non mi muoverò da Kiev fino a quando non finirà la guerra". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rispondendo a domande in conferenza stampa.
Zelensky, mediazione Vaticano sarebbe bene accetta
(ANSA) - L'Ucraina auspica "una mediazione del Vaticano" per arrivare a una tregua e alla pace. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky in una conferenza stampa a Kiev. "Vogliamo una tregua, e stiamo chiedendo aiuto a tutti, compresa la Santa Sede", ha aggiunto Zelensky.
Zelensky, 'non ci arrenderemo mai, russi come i nazisti'
(ANSA) - "Noi ucraini non ci arrenderemo mai. Noi abbiamo dimostrato con i fatti che questo è l'unico modo per difendere la nostra libertà. I russi si stanno comportando in maniera analoga ai nazisti, torturando la popolazione.
Le loro atrocità sono simili a quelle commesse dai nazisti, ricordo soltanto gli stupri". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rispondendo a una domanda che evocava possibili analogie fra la resistenza ucraina e quella italiana durante la Seconda guerra mondiale.
Da Ansa il 21 aprile 2022.
Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha ricevuto un piano per assassinare il presidente ucraino il 3 febbraio durante un incontro con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha detto il segretario del Consiglio nazionale di Sicurezza e difesa ucraino Oleksiy Danilov, parlando ad una radio ucraina, secondo quanto riporta l'agenzia Ukrinform.
Secondo Danilov, il piano per eliminare il presidente ucraino era stato concordato in quella riunione e Kadyrov si era impegnato perché la propria unità cecena completasse la missione.
L'intelligence di Kiev, ha aggiunto, sta verificando. Danilov ha anche puntualizzato di non sapere dove si trovi al momento Kadyrov. "Posso dire con certezza che non è mai stato qui. Tutte queste foto di scena secondo cui sarebbe stato in zona di guerra sono una totale sciocchezza", ha detto.
Volodymyr Zelensky, Domenico Quirico: "Prima della guerra un leader mediocre e opaco. Cosa lo lega a Putin". Libero Quotidiano il 20 aprile 2022.
Sono due "opposti risentimenti" a muovere l'azione di Vladimir Putin e la reazione di Volodymyr Zelensky, "con logiche implacabili". Perché questa, scrive Domenico Quirico su La Stampa, è "una guerra del risentimento dove non bisogna più aver paura di odiare, dove non bisogna più vergognarsi di essere fanatici: loro meritano tutto il male, ci hanno quasi condotto alla rovina".
Lo zar del resto "ha fatto del risentimento l'arma principale". Tutto è cominciato nel 1989 con "l'umiliazione della Russia denudata della tarlata divisa sovietica. Un mondo ordinato e sicuro è crollato senza nemmeno un trattato di Versailles che sanzionasse quella sconfitta, meschina, senza gloria, autocefala. Ha vissuto tutto questo di persona come una piccola scaglia di quel mondo orfana del mosaico di fondo, ha scoperto questo sentimento che è individuale e collettivo, capace di infettare comunità e nazioni, talora più potente che la lotta di classe e il razzismo".
E proprio perché, prosegue Quirico, il risentimento "resta latente e può collegarsi e nutrirsi della povertà, del razzismo, del nazionalismo", Putin è un maniaco del risentimento, individuale e collettivo, quello di un mediocre privato della armatura che lo faceva sentire potente, invincibile, il Kgb, la ipotetica rivoluzione mondiale, la armata rossa". Ma all'origine del risentimento "c'è sempre una ferita, un affronto, un trauma". Così "macera dentro di sé la vendetta che non può ancora realizzare, se ne imbeve. Fino a quando trabocca". Questo risentimento "ben custodito" "dà origine a una nuova forza, produce rivoluzioni, rivolte, rinascite". E per venti anni "Putin non ha fatto altro che questo, custodire, rafforzare, gettare sale su quella ferita".
Come Putin anche Zelensky che "prima dell'aggressione russa era un leader opaco, probabilmente un mediocre" nutre risentimento, per Putin che glielo ha imposto con l'invasione dell'Ucraina. "Lui ne ha fatto una strategia, un'arma efficace. L'aggressione, la indignazione e la rabbia che alzava tra gli ucraini, davano ordine e senso alla intricata storia comune tra Ucraina e Russia, la breve indipendenza spazzata via dai bolscevichi dopo la Prima guerra mondiale, le depredazioni del comunismo di guerra e la fame staliniana, e ora l'attacco brutale. Il risentimento si completa nel momento in cui diventa reciproco, si nutre l'uno dell'altro", conclude Quirico.
GEORGE SOROS. ECCO IL VERO BURATTINAIO DI VOLODYMYR ZELENSKY. Andrea Cinquegrani il 4 Aprile 2022 su La Voce delle Voci.
20 maggio 2019. Volodymir Zelensky trionfa alle elezioni presidenziali in Ucraina, sbaragliando il rivale Petro Poroshenko con uno stratosferico 73 per cento di voti.
23 maggio 2019. Sono passati appena tre giorni dal trionfo e un fitto gruppo di associazioni, enti e organizzazioni inviano al neo presidente un memorandum. Non si tratta di suggerimenti o consigli, ma divere e proprie ‘direttive’, di ordini tassativi, che nel lungo documento inviato a Zelensky, in tono perentorio, definiscono delle precise “LINEE ROSSE” da non oltrepassare mai.
Guarda caso, si tratta proprio di quanto ha messo e sta mettendo in campo l’obbediente comico-presidente: le vere linee, che cerca di difendere a spada tratta.
Ma di chi era la regia di tutta l’operazione finalizzata a dirigere Zelensky come un perfetto pupazzo? Il regista ha un nome e un cognome ben preciso: si tratta di George Soros, supportato da tutta una serie di sigle che fanno capo alla sua corazzata ‘umanitaria’, la tentacolare ‘OPEN SOCIETY FOUNDATIONS’.
Passiamo ora in rassegna tutti i tasselli del mosaico, per entrare in una story davvero ai confini della realtà.
La tessera da cui partire si chiama ‘International Renaissance Foundation’ (IRF), una ONG fondata da ‘Open’ 32 anni fa esatti. Dettaglia Wikipedia: “l’IRF è una delle più grandi organizzazioni di beneficenza dell’Ucraina. Il suo obiettivo è fornire assistenza finanziaria e operativa allo sviluppo di una società aperta e democratica in Ucraina, sostenendo iniziative civiche chiave in questo settore. Nel periodo dal 1990 al 2010, la IRF ha sostenuto numerose organizzazioni non governative ucraine, gruppi comunitari, istituzioni accademiche e culturali, case editrici etc. Per un importo di oltre 100 milioni di dollari”.
Tutto rose e fiori. Come precisa ancor meglio mamma ‘Open’.
“La IRF, una parte delle ‘Open Society Foundations’, è stata fondata a Kiev nell’aprile 1990. All’epoca, l’Ucraina faceva ancora ancora parte dell’Unione Sovietica in rapido crollo, ponendo la nuova fondazione in prima linea nello sforzo di George Soros, il fondatore e presidente delle ‘Open Society Foundations’, per usare la sua fortuna per assistere gli ex stati comunisti dell’Europa centrale e orientale. Nel 1994 l’IRF era il più grande donatore internazionale del paese, con un budget annuale di circa 12 milioni di dollari”.
E ancora: “All’inizio degli anni 2000, la fondazione si è orientata sull’integrazione europea, mobilitando al tempo stesso risorse per aiutare le persone colpite dal conflitto dopo l’invasione russa e l’annessione illegale della Crimea nel 2014”.
Molto incisivo l’impegno di IRF sul terreno dell’informazione e della comunicazione. La fondazione – come mamma ‘Open’ descrive – “ha finanziato progetti di giornalismo investigativo come ‘Our Money’ e gruppi come ‘Transparency International Ukraine’, ‘State Watch’, ‘Center Eidos’ e l’‘Anti-Corruption Action Center’”. Inoltre, “la fondazione ha sostenuto la creazione di ‘Stop Fake’, un’iniziativa guidata da due professori universitari dedita a smascherare bugie e miti sull’Ucraina’. ‘Stop Fake’ ora produce i propri programmi TV, radio e materiale online in diverse lingue”.
Vuoi vedere che c’è lo zampino di ‘Stop Fake’ nel pletorico materiale video utilizzato da Zelensky per sbandierare il genocidio organizzato dal macellaio Vladimir Putin?
Ma, più probabilmente, c’è lo ‘zampone’ di un’altra sigla, ancor più ‘invasiva’, partorita dal fecondo ventre di IRF (e quindi griffata OPEN by Soros) e, guarda caso, sempre dedita allo strategico settore delle informazioni.
Eccoci dunque al vero cuore di tutta la story, a bordo di UCMC, acronimo di ‘Ukraine Crisis Media Center’, la poderosa Ong che – come vedremo tra poco – ha scritto l’Agenda di Zelensky, tracciando le famose ‘LINEE ROSSE’.
Seguiamo, anche stavolta, il profilo delineato da Wikipedia: “UCMC è un’organizzazione non governativa che fornisce informazioni su eventi in Ucraina, sfide e minacce alla sicurezza nazionale, in particolare nella sfera militare, politica, economica, energetica e umanitaria. L’UCMC assiste i rappresentanti dei media che coprono l’Ucraina nei loro materiali in tutto il mondo”.
Un linguaggio non poco criptico; dal quale, comunque, fa capolino il ruolo di ‘assistenza’ mediatica, con la fornitura di ‘materiali’ informativi ad hoc: come nel caso di Bucha che sta facendo il giro del mondo?
Continua Wikipedia: “Le attività di UCMC sono abilitate con il supporto dei suoi partners: il ‘Dipartimento Affari Pubblici’ dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev; la ‘International Renaissance Foundation’ (che abbiamo visto prima); ‘National Endownment for Democracy (USA); ‘Fondazione mondiale ucraina’(Canada); ‘Fondo europeo per la democrazia’; ‘Programma Matra’ (Ambasciata dei Paesi Bassi in Ucraina); ‘Agenzia Internews’; ‘Mondelez International’ e altri”.
Partners non da poco, soprattutto quelli di marca statunitense, vista la strategica presenza del Dipartimento Affari pubblici dell’Ambasciata Usa a Kiev, che per il bollente biennio 2014-2015 fu il quartier generale di Victoria Nuland, l’attuale numero due (dopo il falco Tony Blinken) al Dipartimento di Stato, in qualità di responsabile degli Affari politici.
Ed infatti, Victoria Nuland è stata un delle guest star nel corso dei briefingpromossi da UCMC, come viene puntualmente segnalato nell’excursus tracciato da Wikipedia: tra gli altri grossi calibri, per fare solo un paio di nomi, il senatore Usa John McCaine e l’ambasciatore UE in Ucraina Jan Tombinski.
Restiamo sempre nel basilare campo mediatico. Tra i ‘gioiellini’ messi in campo da UCMC c’è il ‘Mir v Donbass’ (in inglese, ‘Peace in Donbass’), “un prodotto informativo realizzato con il supporto dell’Ufficio federale degli esteri tedesco, diffuso tra i residenti della zona vicino alla linea di contatto nelle regioni di Donetsk e Luhansk”, le aree del Donbass al centro del conflitto.
Poi spicca la nuova ‘Task force per le comunicazioni’, lanciata da UCMC “nel 2014 con il supporto della ‘International Renaissance Foundation’ come piattaforma di dialogo tra le istituzioni pubbliche, le comunità di esperti e le organizzazioni non governative. Lo scopo di questo progetto è plasmare un atteggiamento comune verso le direzioni e le strategie della riforma”.
Come, in modo spettacolare, ha fatto con la confezione delle ‘LINEE ROSSE’, l’autentico decalogo che Zelensky ha seguito, come un ottimo scolaro, per filo e per segno da quando si è seduto sulla poltrona presidenziale.
E allora, finalmente, esaminiamole più da vicino, queste linee strategiche di demarcazione, e di percorso politico obbligato.
Così si presenta il ‘memorandum’: “Dichiarazione congiunta dei rappresentanti della società civile sui primi passi politici del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky – Centro stampa UCDM – 23.5.2019, ore 12.10”.
Ecco l’incipit: “Negli ultimi cinque anni, i sottoscritti, membri delle organizzazioni della società civile, hanno difeso attivamente la sovranità e gli interessi nazionali dell’Ucraina nello spazio dell’informazione globale e contrastato la guerra dell’informazione russa. Ciascuna delle nostre organizzazioni lavora in un campo specifico per rafforzare la società civile e contribuire a costruire istituzioni statali di alta qualità aperte alla comunicazione e al dialogo costanti con i nostri cittadini, responsabili della riforma del nostro Paese e del suo renderlo più stabile e sicuro di fronte a forti minacce e sfide. I nostri principi e posizioni rimangono invariati. La nostra missione è proteggere i valori per i quali gli ucraini hanno combattuto durante la Rivoluzione: libertà e dignità, indipendenza dell’Ucraina e protezione della statualità ucraina, un sistema di governo democratico, patriottismo, coraggio, responsabilità e onestà come qualità fondamentali per tutti i cittadini ucraini”.
Fin qui liscio come l’olio, e non c’è chi non possa condividere tali ‘valori’ sotto ogni latitudine.
Ma il bello viene adesso. Leggete come prosegue – cambiando totalmente tono – la ‘Dichiarazione’ (dei diritti dell’uomo?).
“Rimaniamo politicamente neutrali, ma siamo fortemente preoccupati per le prime decisioni esecutive prese dal neoeletto Presidente. Sfortunatamente, dimostrano una totale mancanza di comprensione delle minacce e delle sfide che il nostro Paese deve affrontare. Siamo fortemente in disaccordo con l’intenzione del Presidente di nominare membri del regime dell’ex presidente Viktor Yanukovych a posizioni chiave del governo, così come persone senza competenze e individui che condividono interessi economici con il presidente Zelensky. Dato il dolore e le difficoltà che il nostro Paese ha sofferto negli ultimi anni, misure così miopi sono destinate ad avere effetti negativi sulla società. E le conseguenze potrebbero essere devastanti. Come attivisti della società civile, presentiamo un elenco di ‘linee rosse da non oltrepassare’. Se il Presidente oltrepasserà queste linee rosse, tali azioni porteranno inevitabilmente all’instabilità politica nel nostro Paese e al deterioramento delle relazioni internazionali”.
Più chiari di così realmente non si può. E non si poteva, a tre giorni dall’insediamento di Zelensky sulla poltrona numero 1 dell’Ucraina.
La lunga ‘Dichiarazione’ – che potete leggere integralmente cliccando sul link in basso – è suddivisa in apposite sezioni: ‘Problemi di sicurezza’ – ‘Questioni di politica estera’ – ‘Problemi economici’ – ‘Identità nazionale’ – ‘Funzionamento del governo’
E si conclude in modo perentorio, senza lasciare alcuno spazio ad equivoci: “Se il Presidente supera queste linee rosse, indicherà che non cerca un vero cambiamento democratico e non desidera stabilire un governo più onesto e responsabile, anche se durante il periodo elettorale ha promesso di farlo”.
Patti chiari e amicizia lunga. Con il sigillo di George Soros.
In calce alla ‘Dichiarazione’ – come potete facilmente osservare scorrendo le pagine del link – vi sono i nomi di decine e decine di sigle, associazioni, organizzazioni, in prevalenza ruotanti nell’orbita sorosiana, ma anche di una vasta area che più filo-occidentale non si può.
Cosa regolano i ‘comandamenti’ impartiti dall’Ucraine Crisis Media Center? Vediamo.
I 10 COMANDAMENTI
Primo. Non bisogna mai consultare il popolo per decidere come negoziare con la Russia;
Secondo – Non bisogna mai fare negoziati diretti con la Russia, senza la presenza dei partner occidentali;
Terzo – Non bisogna mai cedere, anche su un solo punto, nei negoziati futuri con la Russia: né sull’adesione alla NATO, né sul Donbass, né sulla Crimea, né sulle intese e gli accordi internazionali;
Quarto – Non bisogna cedere neanche un centimetro di territorio alla Russia;
Quinto – Non bisogna cedere di un centimetro neanche sul fronte delle sanzioni che l’Occidente ha stabilito contro la Russia per l’illegale invasione della Crimea;
Sesto – Non bisogna né sabotare e nemmeno ritardare il corso strategico per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e alla NATO;
Settimo – Non bisogna fare nemmeno un passo indietro per quanto riguarda l’identità nazionale: non si possono rivedere le leggi in materia di lingua, istruzione e cultura;
Ottavo – Non bisogna interrompere l’ostracismo a media e social russi, né si può stabilire alcun dialogo con i partiti di opposizione filo-russi;
Nono – Non bisogna venire a patti politici con figure coinvolte nell’ex governo Janukovich (quello eletto democraticamente e fatto cadere con un golpe nel 2014, ndr);
Decimo – Non bisogna lanciare operazioni giudiziarie contro il precedente governo Poroshenko.
Non trovate che (tranne un paio) siano proprio i nodi bollenti del conflitto, considerati da Zelensky come punti sui quali l’Ucraina non può transigere? Uno Zelensky che – fin da quel festoso 23 maggio 2019 – li conosce ormai a memoria…
HUNTER BIDEN, ZELENSKY & IL SUPER OLIGARCA. MOLTO ATTENTI A QUEI TRE. Andrea Cinquegrani il 27 marz 2022 su La Voce delle Voci.
Quando il bue dà del cornuto all’asino. Oppure, se volete, da quale pulpito viene la predica.
E’ appena successo con la comparsata mondiale del presidente Usa Joe Biden, il quale invocando nientemeno che l’aiuto di Dio (si sente chiaramente il ‘My God’ pronunciato dal folle capo della Casa Bianca) ha detto che Vladimir Putin non può più restare al suo posto, che ci vuole un ‘ribaltone’ al Cremlino.
Ovvia la reazione dei russi, che non l’hanno poi neanche preso tanto sul serio. Preoccupatissimi alla White House, dove si sono immediatamente premurati di diramare un comunicato stampa in cui si sostiene che il Presidente non intendeva dire quello che ha detto. Ai confini della realtà.
Una pezza a colori ancor più imbarazzante, perché palesa – ce ne fosse ancora una volta bisogno – l’ormai precario stato mentale di Biden, che oscilla tra il dormiente (‘Sleepy Joe’ il nomignolo affibbiatogli) e il rincoglionito: molto rischioso per il capo della prima potenza al mondo, che sparando una delle sue ormai rituali, stratosferiche cazzate può provocare la terza guerra mondiale.
Ha cercato di gettare acqua sul fuoco il presidente francese Emmanuel Macron, secondo cui non è il caso di giocare pericolosamente con le parole ma di cercare negoziati sul serio.
Cogliendo una volta tanto nel segno, e cogliendo soprattutto la smania di Biden, Zelensky & C. di continuare ad ogni costo con la guerra.
Silente il nostro premier Mario Draghi, ormai sempre più servo sciocco del Capo-Padrone Biden, e in cima alla lista dei più disponibili, tra gli europei, nel fornire armi di tutti i tipi, in tutti i modi e al più presto possibile all’Ucraina del presidente-guitto Volodymyr Zelensky.
Ha una vera, autentica faccia di bronzo, Biden. Tanto più se si pensa a cosa ha combinato in Ucraina il figlio Hunter, sotto la sua attenta regia, a partire dal 2014.
Nell’inchiesta di due giorni fa, abbiamo dato notizia di un ampio reportage del sito americano ‘The National Puse’, nel quale vengono descritti per filo e per segno i ‘dirty business’ di Hunter Biden sul fronte dei biolaboratori militari installati dal Pentagono in Ucraina, ben 13 quelli ormai ufficiali (ma si parla di addirittura una trentina). Biolaboratori ‘tipo-Wuhan’, quindi più che ‘border line’, per via dei pericolosissimi virus trattati e delle relative ‘fughe’ dai laboratori stessi.
Inoltre, del ruolo strategico giocato da due società, ‘Rosemont Seneca Technology Partners’ e ‘METABIOTA’.
Nonché dei rapporti tra la METABIOTA griffata Hunter Biden e un’altra misteriosa sigla, ‘EcoHealth Alliance’, attraverso cui sono arrivati finanziamenti americani agli stessi famigerati laboratori di Wuhan.
Per la serie: il cerchio si chiude intorno ad Hunter Biden, che è implicato fino al collo nei ‘dirty business’ non solo dei biolaboratori ucraini, ma anche di quelli cinesi.
Il massimo. Il top dei top. Come del resto viene ampiamente documentato nel libro-bomba uscito lo scorso novembre, firmato dalla giornalista investigativa di ‘Fox News’ Miranda Devine e titolato “Laptop from Hell – Hunter Biden, Big Tech and The Dirty Secret the President Tried to Hid”.
Roba da impeachment, al cui confronto quelle del ‘Watergate’ made in Richard Nixon erano sul serio – direbbe Totò – bazzecole, pinzellacchere.
Ma passiamo all’altra bomba che rischia di deflagrare nei cieli sopra la Casa Bianca, e di cui si scrive nell’inchiesta di ‘The National Pulse’ firmata da Natalie Winters e Raheem Kassam.
Stiamo parlando di legami d’affari più che border line tra Hunter Biden, Zelensky e uno dei più potenti oligarchi al mondo, Ihor Kolomoisky: una triangolazione che più criminale non si può, quella che da noi definiremmo un’associazione a delinquere di stampo mafioso, visto tra l’altro che al seguito ci sono i plotoni nazisti del famigerato ‘Battaglione d’Azov’, fondato, organizzato e pagato da Ihor l’oligarca.
Esploriamo, a questo punto, lo sporco (‘dirty’) pianeta Kolomoisky.
Esordiamo con le parole dello scrittore statunitense Casey Michel, tra l’altro autore di ‘American Cleptocracy’.
“Nato nell’Ucraina sovietica nel 1963, Kolomoisky ha lottato per guadagnarsi da vivere durante il crollo sovietico dei primi anni ’90. Emerso nella nuova Ucraina indipendente, ha seguito una serie di altri oligarchi nella regione, intascando imprese prima di proprietà statale a prezzi stracciati, come acciaierie e pozzi di gas.
Ma aveva due vantaggi rispetto agli altri oligarchi nascenti. In primo luogo, aveva una formazione in metallurgia; in secondo luogo mostrò una spietatezza che fece impallidire anche altri oligarchi, non estranei al crimine violento. Ad esempio, come riportato da ‘Forbes’, quando su suo ordine ‘centinaia di turbolenti assoldati, armati di mazze da baseball, sbarre di ferro, pistole a gas, proiettili di gomma e motoseghe’ presero con la forza un’acciaieria che Kolomoisky aveva adocchiato”.
Modi e trattative davvero ‘british’…
Prosegue la ricostruzione delle fortune effettuata da Michel: “Come hanno spiegato in dettaglio sia gli investigatori ucraini che le autorità americane, Kolomoisky ha supervisionato uno schema pluriennale e multinazionale di riciclaggio di denaro, inteso a depredare miliardi di ignari depositanti ucraini. Sulla carta, PrivatBank (la prima banca privata ucraina, di cui era diventato un vertice, ndr) ha fatto sembrare che una vasta gamma di prestiti fosse completamente rimborsata. In realtà, però, quei prestiti non sono mai tornati alla banca, ma sono invece finiti in entità supervisionate da Kolomoisky. Utilizzando società di comodo e conti offshore, gran parte di quel denaro è finito negli Stati Uniti. Ma invece di andare in posti come San Francisco o Los Angeles, quei soldi sono andati in posti che pochi sospettavano. I fondi sono finiti negli edifici per uffici a Cleveland e in Texas. E’ finito nelle acciaierie del Kentucky e del West Virginia, negli stabilimenti di produzione del Michigan: i soldi che Kolomoisky ha rubato hanno finito per inzuppare i colletti blu dell’America”.
Più chiari di così.
Ma seguiamo ancora il filo della avvincente trama del racconto firmato da Casey Michel, dove emerge il profilo criminale dell’oligarca, in perfetto stile mafioso: “Kolomoisky non è mai stato interessato (proprio come i mafiosi, tesi soprattutto a riciclare, ndr) a investimenti o profitti effettivi, ma solo a portare i suoi soldi fuori dall’Ucraina. E poiché luoghi come gli Stati Uniti offrono tutti gli strumenti di segretezza finanziaria di cui questi oligarchi hanno bisogno – dalle società di comodo anonime agli acquisti immobiliari anonimi fino alla mancanza di politiche di base contro il riciclaggio di denaro su tutta la linea – Kolomoisky ha trovato fin troppo facile nascondere i suoi soldi per anni. Gli Stati Uniti lo hanno sanzionato direttamente all’inizio del 2021, annunciando il suo ‘coinvolgimento in una corruzione significativa’”.
E il finale scoppiettante: “Volodymyr Zelensky, l’attuale presidente dell’Ucraina, non sarebbe dove è oggi senza Kolomoisky. Come attore e intrattenitore, Zelensky aveva lavorato per la rete mediatica di Kolomoisky, che gli ha poi fornito supporto formale quando si è candidato. Zelensky è stato visto come il candidato di Kolomoisky: ha nominato uno degli avvocati di Kolomoisky (Andriy Bohdan, ndr) come consigliere e ha tenuto incontri con l’oligarca anche mentre faceva una campagna come ‘anti-oligarchi’. All’inizio del 2021, Zelensky ha violato le proprie regole (stabilite dal suo governo, ndr) di blocco del Covid per organizzare una festa di compleanno nell’appartamento di Kolomoisky a Kiev”.
Davvero per tutti i gusti…
Ma l’autentico super gioiello griffato Kolomoisky si chiama ‘BURISMA’, ossia il grande ente di Stato in Ucraina per il gas e l’energia, l’equivalente del nostro ENI.
E Burisma è il ‘teatro’ del maxi-affare di casa Biden: perché nella creatura gestita dal super oligarca trova subito una comoda poltrona come consigliere d’amministrazione nientemeno che Hunter Biden, che non ha mai capito un tubo di gas, né di energia, al massimo sa qualcosa sulla nafta che serve per far navigare i suoi panfili!
Dell’affaire ‘Burisma’ si parla abbondantemente in ‘Laptop from Hell’ ed in un paio di altri bollenti libri usciti negli Usa. Anche la Voce, mesi fa, ha scritto della clamorosa entry del rampollo presidenziale nel board del colosso energetico ucraino. Ed è di sicuro la preoccupazione che possano finire nelle mani dei russi documenti & carte bollenti di fonte Burisma a turbare i sonni della Biden dinasty: proprio come succede per altre ‘hot papers’,
quelle sulle ricerche condotte nei biolaboratori, anche su cavie umane (ossia ignari cittadini ucraini), utilizzando pericolosi, anzi mortali, virus, prassi vietata dalle Convezioni internazionali.
Scrive un sito di contro-informazione a stelle e strisce: “La persona reale che era il capo del figlio del vicepresidente Joe Biden, Hunter Biden, presso la società del gas ‘Burisma Holdings’, non era il CEO di Burisma Holdings, Mykola Zlochevsky, ma era invece Ihor Kolomoisky, che faceva parte del governo ucraino appena insediato, cioè che l’amministrazione Obama aveva appena insediato in Ucraina”.
Il riferimento è a quel fatidico 2014, quando il presidente democraticamente eletto, Viktor Yanukovich, viene defenestrato con un golpe e arrivano gli americani, con l’inviata speciale Victoria Nuland, la ‘zarina’ che resta a Kiev un paio d’anni per ‘mettere ordine’, tenere a battesimo un bel po’ di biolaboratori e poi tornare negli Usa, dove oggi occupa una postazione strategica, come Sottosegretario per gli Affari politici al fianco di Joe Biden!
La ‘rivoluzione arancione’ (sic), infatti, ha avuto anche il ‘merito’ di far assumere un importante ruolo politico all’oligarca-tuttofare: tanto che nel magico 2014 Kolomoisky viene chiamato a ricoprire la carica di governatore della regione di Dnipropetrovk, una delle aree più strategiche (sotto il profilo del gas e non solo) di tutta l’Ucraina. Così come mesi fa, dopo un paio d’anni trascorsi tra Svizzera ed Israele, di ritorno a Kiev è riuscito a far eleggere, col neo-partito dell’amico Zelensky, una trentina di deputati
Fornito di triplo passaporto (oltre che ucraino, anche cipriota e israeliano), Kolomoisky di tutta evidenza non può limitarsi ad un solo paese per portare avanti le sue ampie manovre di riciclaggio internazionale.
Ecco cosa rivela un sito olandese bene informato: “Il presidente ucraino Zelensky, il suo connazionale e oligarca Kolomoisky e l’Olanda hanno diversi interessi in comune; interessi che hanno origine anni prima del sanguinoso conflitto con la Russia e che si intrecciano con l’ascesa politica dell’ex comico-presidente di guerra che tutto il mondo oggi conosce. Non solo un porto sicuro per gli oligarchi russi, insomma: l’Olanda è o è stata un paradiso (fiscale) anche per gli oligarchi ucraini. Uno tra tutti Ihor Kolomoisky, come spiega il portale ‘Follow The Money’ in un articolo del 2020, responsabile di un buco da 5,5 miliardi di dollari nel bilancio della PrivatBank. E che ha difeso la sua posizione anche attraverso le società a suo nome dei Paesi Bassi. Kolomoisky aveva registrato diverse società in Olanda, precisamente su Korsiespoortsteeg ad Amsterdam”.
Ma terminiamo il tour in compagnia del super-oligarca tanto caro sia ai due Biden, Hunter & Joe, che a Zelensky, con qualche risata, tanto per allentare la tensione.
Le performance teatrali messe in scena dalla compagnia di guitti capitanata da Volodymyr Zelensky, infatti, sono state per anni finanziate da un mecenate-oligarca, l’amico di sempre Ihor. Soprattutto attraverso la rete televisiva più grossa nel Paese, ‘1+1 Media Group’, una sorta di Mediaset in salsa ucraina.
Incredibile ma vero, clown Volodymyr ha raggiunto la sua notorietà, in patria, interpretando il ruolo di presidente di una formazione politica, ‘Servant the People’, proprio come da noi nei bollenti anni ’70 esisteva ‘Servire il Popolo’(una formazione di un certo spessore politico e morale, la nostra…). E proprio con quella sigla – super pompato dai milioni dell’oligarca – ha facilmente vinto a mani basse le elezioni del 2019, una vera ‘farsa’ (è proprio il caso di dirlo), contrabbandata come ‘prova di democrazia’ dai ‘dear friends’ a stelle e strisce: Joe & Hunter in pole position, of course!
Dà la lieta novella del prossimo sbarco dell’Eroe di tutti i Mondi, Zelensky, in Europa e anche in Italia, Andrea Fabozzi su ‘il Manifesto’. Ecco cosa annuncia in un articolo del 23 marzo: “I diritti per trasmettere in Italia la serie ‘Servitore del popolo’ sono stati acquistati da La7. La notizia è di ieri. Ma sono alcuni giorni che la popolarità del (vero) presidente ucraino ha spinto le televisioni di tutto il mondo a cercare ‘Eccho Rights’, la società di Stoccolma che distribuisce il programma prodotto dallo studio fondato da Zelensky, ‘Kvartal95’”, finanziato con la pala per anni da Kolomoisky.
Ci ragguaglia ancora Fabozzi: “Mercoledì scorso Netflix Usa, che lo aveva in catalogo anni fa, ha annunciato su twitter: ‘L’avete chiesto e allora torna Servant the people’. Nel Regno Unito Channel 4 ha trasmesso i primi tre episodi il 6 marzo scorso, in Francia e in Germania è disponibile sul canale ‘Arte’ già dallo scorso novembre, in Grecia, Albania e Tunisia da qualche giorno, in Spagna è stata Mediaset ad annunciare tre giorni fa l’acquisto”.
D’ora in poi potremo tutti vivere felici e contenti. Anche tra le bombe a grappolo che né Zelensky né tantomeno Sleepy Joe Biden hanno intenzione di veder presto scomparire…
LA REPORTER USA DI GUERRA LARA LOGAN. ECCO LA VERA UCRAINA. PAOLO SPIGA l'8 Aprile 2022 su La Voce delle Voci.
Il conflitto ucraino raccontato da un’inviata di guerra con un’esperienza ultratrentennale (35 per la precisione) nei media a stelle e strisce: si tratta di Lara Logan, un nome una storia, diventata famosa, negli Usa, per la sua mitica trasmissione d’inchiesta ’60 minutes’. Ha assunto posizioni molto dure sul fronte dell’Afghanistan contro l’establishment Usa, mentre su quello del Covid ha attaccato a testa bassa il supervirologo-guru Anthony Fauci.
Nel corso di un programma – rompendo la solita cortina di omertà & disinformazione – ha sganciato un serie di ‘Truth Bombs’ (‘Bombe di Verità), come le hanno subito battezzate i tanti telespettatori che hanno seguito il programma e hanno fatto esplodere i centralini.
Ecco alcuni passaggi salienti della sua lunga intervista, che potete anche ascoltare cliccando sul link in basso, così come riportata dal battagliero sito di controinformazione ‘Renovatio 21’.
Sullo stallo militare dell’esercito russo: “Non mi bevo questa versione neanche per un secondo. E sarò onesta con te, penso davvero che oggi ci sia così tanta disinformazione in giro: non abbiamo visto mai niente di simile”.
A proposito dei biolaboratori ucraini finanziati dagli Stati Uniti: “La Russia non sta avendo difficoltà. Non sono andati diritti a Kiev, sono andati in tutti quei biolaboratori che sono sparpagliati per il Paese. Alcuni li hanno costruiti loro: così sanno dove sono. Noi siamo entrati dopo la caduta dell’Unione Sovietica e abbiamo trasformato quelle strutture da laboratori di salute pubblica in laboratori di armi biologiche”.
Parla del battaglione nazi ‘Azov’: “Vedi la disonestà quando si tratta del battaglione Azov, che è finanziato dagli Stati Uniti e dalla NATO. Puoi trovare le loro foto online con in mano la bandiera della NATO e la svastica. E allo stesso tempo indossano un emblema che contiene il sole nero dell’occulto, che era un emblema delle SS naziste. E contiene anche simboli come il lampo delle SS. Questo è presente in tutto l’esercito ucraino”.
“Puoi vedere quel sole nero dell’occulto sui loro giubbotti antiproiettile, perfino sulle divise delle soldatesse fatte sfilare davanti al mondo come esempio dell’indipendenza, dello spirito e della nobiltà ucraina. La Casa Bianca vuole che tu creda che questo non ha importanza, che è solo un piccolo numero di soldati. Non è vero. Il battaglione Azov si è fatto strada uccidendo nell’Ucraina orientale. Non vogliamo ammetterlo. Questo è il motivo per cui la Crimea ha votato per l’indipendenza. Questo è il motivo per cui ha voluto stare con la Russia. Perché noi dei media e in Occidente non riconosciamo la realtà di ciò che sta succedendo”.
Sotto il profilo storico, spiega Lara Logan, “L’Ucraina occidentale ha sostenuto i nazisti. Era un quartier generale delle SS. La CIA e Allen Dulles hanno dato l’immunità ai nazisti ucraini ai processi di Norimberga. Quindi c’è una lunga storia degli Stati Uniti e delle nostre agenzie di Intelligence che finanziano e armano i nazisti in Ucraina”.
“Questi non sono come i nuovi gruppi neonazisti che sono spuntati dal nulla. Questi sono i veri nazisti della Seconda Guerra Mondiale”.
Venendo a fatti più recenti, cioè alla ‘rivoluzione’ (sic) arancione e al successivo golpe del 2014: “La CIA ha sponsorizzato la rivoluzione colorata in Ucraina nel 2013 e nel 2014. Hanno selezionato i leader dell’Ucraina. Tieni presente la telefonata trapelata di Victoria Nuland, dove lei e l’ambasciatore USA decidono chi può guidare l’Ucraina. C’è tutta l’interferenza che puoi immaginare”.
Sul nuovo eroe internazionale Volodymyr Zelensky: “E’ un burattino, che puoi trovare su internet in tacchi a spillo neri e pantaloni di pelle a torso nudo mentre fa una parodia di ‘Ballando con le stelle’. E voglio dire che Zelensky è stato selezionato come tanti dei nostri leader. E onestamente, con la grande tecnologia e con le frodi elettorali di questi tempi, non sappiamo quanti leader in tutto il mondo siano stati selezionati per noi e non siano stati effettivamente votati”.
“Quello che sappiamo è che ci sono problemi crescenti con la tecnologia e la digitalizzazione del nostro mondo. Guarda cosa sta succedendo con il Covid. Guarda cosa è successo a livello globale. Stiamo combattendo le stesse battaglie in tutto il mondo. Fingere che questa guerra riguardi Russia e Ucraina è solo una menzogna”.
“Vladimir Putin ha avvertito per 15 anni che non sarebbe stato a guardare mentre i globalisti conquistano il mondo, costruiscono strutture per armi biologiche. L’Ucraina è stata il centro del riciclaggio di denaro per molti leader americani. Miliardi di dollari sono stati riciclati attraverso l’Ucraina. E noi non diciamo nulla al riguardo. Questi dollari sono le nostre tasse”.
Dagospia il 31 marzo 2022. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Roberto, L’articolo di Starmag, che riprende l’ottimo Scaglione su Limes, mette il dito sulla piaga.
Che cosa è successo a Zelensky che era Stato eletto proprio con una programma elettorale mirante a trovare un’intesa con la Russia?
E’ plausibile che ambienti nazionalisti radicali ucraini (neonazisti?) lo abbiamo frenato ci sono state anche interviste di alcuni esponenti nazionalisti ucraini apertamente minacciose in passato verso le aperture di Zelensky ad un negoziato che componesse la vicenda con la Russia evitando l’attuale carneficina.
Di questo se ne occuperanno gli storici. Oggi rileviamo che la posizione di Zelensky appare sempre più oltranzista sulla pelle dei propri cittadini.
Se il punto di caduta di tutta la vicenda sarà la neutralità dell’Ucraina, resta da capire se secondo il modello austriaco o quello finlandese (sono differenti il primo è sostanzialmente disarmato il secondo no) che senso ha prolungare l’agonia quando tutti sanno che la neutralità verso la NATO dovrà essere concessa e Crimea e Donbas sono perduti e probabilmente anche il sud del Paese (Mariupol)?
E’ Zelensky che ha subito una metamorfosi? E’ condizionato (minacciato?) da oltranzisti interni?
Oppure è eterodiretto da Washington e Londra che hanno interesse - adesso che hanno visto le debolezze russe - che Mosca sanguini e si impantani il più possible in Ucraina.
Ho la sensazione che qualcuno voglia combattere la Russia fino all’ultimo ucraino o, addirittura, fino all’ultimo europeo.
Insomma Zelensky sta - forse inconsapevolmente - dirigendosi verso un autodistruttivo punto di non ritorno.
Saluti. Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq
Andrea Mainardi per startmag.it il 31 marzo 2022.
Che passare sotto l’ombrello Nato fosse non solo una pessima idea, ma l’opzione più dannosa per l’Ucraina, non senza ambiguità, Volodymyr Zelensky lo aveva tutto sommato chiaro due anni fa. Una linea che lo contrapponeva al suo predecessore – e sfidante alle urne del 2019 – Petro Poroshenko.
Zelensky domina la scena elettorale annunciando riforme e lotta dura alla corruzione. “Ma non poco peso ha avuto anche la promessa, gestita con astuzia in chiave di interesse nazionale e mai del tutto esplicitata nei tempi e nei modi, di far uscire il paese dal vicolo cieco in cui l’aveva cacciato, anche per necessità, la politica vetero-atlantista di Poroshenko”, è il giudizio di Fulvio Scaglione in un denso articolo del giugno 2020 per Limes (“Qualcosa di nuovo sul fronte ucraino”).
L’ex presidente Poroshenko diceva all’Occidente: aiutateci e l’Ucraina sarà il primo baluardo contro la Russia, nostro comune nemico. “Un patto che portava con sé, compreso nel prezzo, l’ostentato desiderio di aderire alla Nato”.
Probabilmente anche gli ucraini in quel momento non erano troppo certi della totale bontà del progetto. Nonostante l’importante aiuto americano alle spese militari da garantire: armi, attrezzature e 300 milioni l’anno sborsati a favore di Kiev per sostenere l’impegno nel Donbas.
Ad una adesione alla Nato dell’Ucraina guardavano probabilmente con scetticismo gli angeli custodi del paese in Europa, Francia e Germania. Non a caso i più critici verso l’Alleanza Atlantica.
Per la maggioranza dei principali attori in scena il punto da salvaguardare era piuttosto cercare un nuovo equilibrio con la Russia di Vladimir Putin. Presentare al Cremlino un certificato di matrimonio tra Ucraina e Atlantico non poteva che scatenarne l’ira.
A proposito di Nato, osservava Scaglione, si tratta di “una miscela di Dio (si veda la nascita della Chiesa ortodossa autoctona, tanto cara a Poroshenko), patria ed esercito, che poteva piacere all’Alleanza Atlantica ma che aveva come unico orizzonte certo il conflitto permanente con la Russia.
Dopo 14 mila morti, un milione di sfollati, tre milioni e mezzo di persone bisognose di assistenza umanitaria e una parte vasta della popolazione in povertà o quasi (secondo alcune stime, addirittura il 60%), non c’è da stupirsi che gli ucraini abbiano deciso di voltare pagina”.
Infatti Poroshenko esce dal voto travolto dal 73% di Zelensky. L’oligarca e industriale del cioccolato è battuto dall’ex attore che in campagna elettorale ha fatto chiaramente capire di voler trattare con la Russia. “Ripetendo, certo, il mantra sulla Crimea e sul Donbas da liberare, ma mettendo la prospettiva di un accordo, e non di una vittoria militare, alla base del programma”.
Una disponibilità – scriveva Limes nel 2020 – che ha stanato il Cremlino, “costringendolo a reciprocare”. Ci sono stati scambi di prigionieri. Nel dicembre 2019, a Parigi, sotto l’egida di Macron e Merkel, Zelensky incontra Putin. Ne esce una tregua che va avanti diversi mesi. “Piccoli passi avanti, certo – sottolinea Scaglione –.Ancora lontana un’intesa sullo svolgimento delle elezioni nell’Ucraina dell’est, un capitolo fondamentale degli accordi di Minsk 2. Ma non sarebbe giusto sottovalutare il lento riavvicinamento tra le parti”.
Anche Putin compie gesti. A febbraio 2020 nomina suo inviato speciale nei colloqui con Kiev e con le repubbliche separatiste filorusse del Donbas, Dmitrij Zozak. Zozak – fedelissimo di Putin – prende il posto dell’intransigente Vladislav Surkov. “Una delle mosse russe che facevano prefigurare un diverso atteggiamento verso le questioni aperte con l’Occidente”, scrive su Limes l’ex vicedirettore di Famiglia Cristiana.
È un momento che appare favorevole, lontanissimo dalla catastrofe del 24 febbraio 2022.
Zelensky del resto ha tra l’altro ben chiaro quanto sia centrale la questione russa per la stabilità politica e sociale. Per non parlare dell’aspetto economico. Riporta Scaglione: “Ancora nel 2019 gli investimenti diretti russi in Ucraina ammontavano a 220 milioni di dollari, preceduti solo da quelli olandesi (438 milioni) e da quelli provenienti da Cipro (761 milioni) che, come tutti sanno è una delle piazze preferite dagli oligarchi russi”.
Zelensky sapeva anche che deve tenere a bada due anime interne. Che sono, analizzava Limes: “Quella ultranazionalista, antirussa, intransigente e combattiva, che ha accettato la sua irruzione sulla scena politica, ma non è disposta a fare sconti. E quella che ha sostenuto con più convinzione la sua cavalcata alla presidenza, che chiede pane e riforme, lotta alla corruzione e benessere”.
Per farcela, il presidente deve tra l’altro affrontare con decisione la politica internazionale. Al netto di alcune turbolenze con Donald Trump – almeno per la sua esuberanza dialettica decriptata via telefonate di effervescenti giudizi sui paesi europei; giudizi guasconi ai quali il giovane Zelensky non ha saputo replicare con immediatezza – e imbarazzanti rapporti con Hunter Biden, figlio di Joe, osservava Scaglione che “il rapporto con gli Stati Uniti resta essenziale”.
Sullo sfondo, rimangono, ammiccanti, le sirene atlantiche.
È materia da maneggiare con cura. Poroshenko aveva molto spinto sull’adesione dell’Ucraina alla Nato, quale strumento di difesa del Paese dalle mire dei russi. Del resto, stando a un sondaggio dello scorso dicembre, il 54% degli ucraini vorrebbe associarsi.
Ai tempi Poroshenko si è allineato da un pezzo all’analisi di molti policy makers occidentali, convinti che l’obiettivo del Cremlino fosse, dopo la Crimea, l’annessione anche del Donbas. Previsione azzeccata, vista da chi ha assistito alle prime settimane 2022. Ma ai tempi?
Osservava Scaglione nel giugno 2020: “Pochi hanno considerato che le mosse di Putin del 2014 avevano una funzione soprattutto difensiva. Mosca non poteva accettare che, in seguito al regime change realizzato a Kiev, la Nato si insediasse nei porti della Crimea”.
Per il Cremlino, ragione politica del Donbas non è “diventare un’estensione del territorio della Federazione Russa ma esercitare una pressione sul governo di Kiev in funzione anti-Nato. Non a caso Mosca insisteva tanto sugli accordi di Minsk 2.
Essi prevedono uno statuto speciale, all’interno di un’Ucraina federale, per i territori dove i russi etnici sono maggioranza. Il che offrirebbe alla Russia uno strumento privilegiato, e del tutto legale, per influire sul futuro processo decisionale del governo ucraino”. Concludeva Scaglione: “Zelensky sa che se se vuol ottenere qualcosa di positivo sulla Crimea e sul Donbas, tutto deve fare tranne che premere sul pedale dell’adesione ala Nato”.
Macron e Merkel, i più vicini a Kiev, sono nel 2020, i leader in Europa, forse nel mondo, più tiepidi verso la Nato. Riassumeva Limes: “Macron sogna l’esercito europeo e dell’Alleanza atlantica ha addirittura decretato la morte cerebrale. Merkel porta come medaglie gli strali che Trump regolarmente le lancia, accusandola di non voler spendere per l’alleanza e così di sabotarla dall’interno”.
Francia e Germania collaborano economicamente con l’Ucraina. Come elenca Limes. Sono state tra i principali fautori dell’accordo di libero commercio tra Unione Europea e Kiev varato nel 2016. Gli investitori tedeschi hanno riversato in Ucraina quasi due miliardi di euro. Oltre duemila aziende tedesche si erano insediate in Ucraina, dando lavoro a più di 600 mila persone (più di 30 mila nel solo settore automotive).
Il mercato tedesco ha offerto alle esportazioni ucraine un ottimo sbocco, soprattutto nei settori del tessile, dei metalli, della chimica e dei prodotti agricoli. L’export verso la Germania poteva crescere di un altro 35%. Insomma: c’erano interessanti prospettive per il paese che, secondo le stime della banca mondiale, con poco più di 2.500 dollari (dati pre invasione russa), ha il reddito pro capite più basso d’Europa. La Francia sopperisce con un più vistoso attivismo politico, come il promettente incontro all’Eliseo tra Zelensky e Putin a fine 2019 ha fatto capire.
Due anni fa si poteva affermare “che nessuno tra Russia, Germania, Francia e Ucraina ha interesse a fomentare il conflitto. Né direttamente, né per interposta Alleanza Atlantica. La Russia, che ha bisogno dei mercati europei, vorrebbe approfittare del varco che si è aperto tra le due sponde dell’Atlantico”.
Allora che succede? Scaglione ricordava che tra le più recenti e clamorose iniziative della Casa Bianca in polemica con il Cremlino, ci sono il ritiro unilaterale del trattato sul nucleare nel 2019, poi nel 2020 da quello Open Skies. Alla Casa Bianca c’è Donald Trump.
L’Europa torna potenziale terreno di scontro. In quei giorni il vice ministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov, incontra il giornalista di Limes. È durissimo nei confronti degli States, sottolineando la riduzione del continente a base del riarmo nucleare della Nato. “Ma – ricorda Scaglione – ha anche ammesso che in alcune capitali europee si sviluppa una nuova sensibilità alla situazione e quindi una diversa volontà di partecipare a un eventuale processo di distensione”.
In quel varco, però, la Russia potrà inserirsi solo quando smetterà di essere considerata un fattore destabilizzante per la pace europea e, in concreto, accetterà il fatto che l’Ucraina, come dice il World Factbook della Cia, è ormai completamente e definitivamente Europa. “Per tornare a pieno titolo in Europa, insomma, la Russia dovrà passare per l’Ucraina. Come sempre, del resto”. Alla fine ci è passata. Con le armi.
Scriveva Limes che finché la Russia percepirà Kiev come una capitale allineata con il nemico, Mosca non concederà nulla a nessuno. Ma per il Cremlino – notava Scaglione – “il nemico non è l’Europa, almeno non tutta, e nemmeno gli Usa in sé, ma il coacervo di interessi politici e industriali che la Nato incarna”.
È in questo puzzle – ora esploso con l’invasione russa –, che già allora l’Ucraina rischiava, per Limes, di diventare uno dei banchi di prova della tenuta della stessa Unione Europea. E questo mentre infuria(va) lo scontro tra Cina e Usa e l’Europa veniva strattonata da entrambi.
Federico Rampini, bomba su Zelensky: "Chi è davvero, chi c'era dietro la sua campagna elettorale", ombre sul premier. Libero Quotidiano il 29 marzo 2022.
Il protagonista assoluto della guerra in Ucraina è il presidente Volodymyr Zelensky, ormai diventato l'icona della resistenza. Ma chi è davvero Zelensky? Da Nicola Porro a Quarta Repubblica, su Rete 4, nella puntata del 28 marzo, la penna del Corriere della Sera Federico Rampini ricorda che il presidente ucraino "ha avuto consiglieri americani che hanno partecipato alla sua campagna elettorale".
Di sicuro, aggiunge la giornalista Cristina Giuliano, "Zelensky nasce in una provincia degradata ma questo ragazzino ebreo riusciva ad evidenziarsi anche lì come leader". "Non l'ho mai sentito parlare di politica", testimonia Julik, attore ucraino amico del presidente: "Gli riusciva bene prendere in giro i politici". E ora, conclude, "Nella posizione in cui è Zelensky non può recitare ma deve credere in quello che dice perché così gli crediamo noi".
Tant'è. Rampini tira le fila sul conflitto e fa una considerazione. Premettendo che "per molti anni abbiamo speso il tempo a descrivere l’Occidente come l’impero del male", ora non possiamo far altro che augurarci che "questa guerra sia un elettroshock che consenta all’occidente di risvegliarsi". Questo perché a suo parere quello in atto è "un suicidio occidentale che rafforza Cina e Russia. Noi abbiamo perso l'orgoglio della nostra storia", insiste.
Articolo dell'"Economist" - dalla rassegna stampa estera di "Epr Comunicazione" il 28 marzo 2022.
Il 25 marzo 2022 il presidente dell'Ucraina ha parlato di persona a The Economist in quella che lui e il suo staff hanno preso a chiamare "la fortezza". Ecco i punti salienti di ciò che ci ha detto, passando liberamente tra inglese, ucraino e russo.
The Economist: Lei è un attore e presidente. Ora la chiamano un Churchill del XXI secolo. È un cambiamento straordinario. Come è successo?
Volodymyr Zelensky: Penso che questi cambiamenti siano già avvenuti in Ucraina quando mi hanno eletto. È quello che [il popolo] voleva. Hanno visto la mia posizione onesta su tutto.
Come dice tuo padre, se non sai come fare qualcosa in questo o in quel modo, sii onesto e basta. Devi essere onesto, in modo che la gente ti creda. Non hai bisogno di provare. Devi essere te stesso. E forse, dopo aver mostrato chi sei, forse le persone ti ameranno più di prima, perché vedranno che non sei così forte o che sei pigro a volte.
No, ogni volta non mentire e mostra alla gente chi sei esattamente. Ed è importante non mostrare che sei meglio di quello che sei.
TE: Ha sempre avuto dentro di sé il desiderio di essere così coraggioso? Di essere una persona così forte?
VZ: Non si tratta di essere coraggiosi. Devo agire in questo modo. Devo farlo in questo modo. Nessuno di noi era pronto per la guerra prima che iniziasse. Non si può dire: "Se io fossi il presidente dell'Ucraina, allora farei così", perché non si può immaginare cosa significherebbe. E non puoi nemmeno immaginare come lo farai. In questo caso è stato così per me. E con tutte le persone intorno a me.
TE: Ma ha cambiato il suo modo di governare?
VZ: Sì, certo. Ho capito cosa stava succedendo. Ho capito molti mesi fa cosa stava succedendo. Che [questa] è una storia molto grande. Non riguarda solo l'Ucraina. Riguarda il mondo, i politici del mondo e penso che potremo parlarne dopo che avremo vinto.
Sì, e spero che vinceremo. Sono sicuro che vinceremo. Per questo dico che non sono un eroe. Ho capito cosa stava succedendo. Volevo cambiare l'atteggiamento verso l'Ucraina. A un certo livello non si tratta di chi ha più armi o più soldi o gas, petrolio ecc. È per questo che dobbiamo agire. Questa è la prima cosa che ho capito.
TE: Può ricordare il momento in cui ha capito cosa sarebbe stato il conflitto con la Russia?
VZ: Credo sia stato quando sono diventato presidente. Ho potuto capire perché alcune cose stavano andando in un certo modo e ho cercato di essere onesto con molti leader mondiali, compresi quelli della Russia, naturalmente.
Abbiamo avuto degli incontri. Ricordate il nostro primo incontro, il nostro primo e ultimo incontro nel 2019, con Putin ai colloqui dei Quattro in Normandia?
Abbiamo iniziato a prendere la decisione che non possiamo far parte di qualcuno. Volevo cambiare gli atteggiamenti nei confronti dell'Ucraina, perché, tanto per essere chiari, gli ucraini sono persone che sono uguali alle persone [negli] Stati Uniti e in Europa e in Russia. Siamo uguali. Siamo su un unico livello. Non si tratta di chi ha più armi o più soldi o gas o petrolio, ecc.
Ed è per questo che dobbiamo avere un'agenzia. Questo è quello che ho capito, la prima cosa che ho capito, che noi, il popolo, abbiamo [un'agenzia]. Il popolo è leader e i leader politici sono perdenti, alcuni di loro. Abbiamo cominciato a fare le cose in questo modo e a sviluppare questa politica.
TE: Così, ora lei parla al popolo dell'Occidente, piuttosto che ai suoi politici?
VZ: Sì. Sì, certamente. Penso che sia così. A volte penso che i politici vivano in un vuoto informativo. Quello che vediamo è che questa è un'atmosfera chiusa con Putin ora. Quindi, lui non sa. Non posso descrivere tutto quello che sta succedendo con lui.
Non posso descriverlo, perché non so con chi parla ogni giorno o ogni settimana o ogni due settimane. Sono informazioni che non abbiamo. Questo significa che non può capire o non può sapere cosa succede fuori.
Persino io, quando è iniziata la guerra, e io sono molto aperto alle persone... Persino io, se fossi seduto in ufficio e non uscissi per tre o quattro giorni, non avrei informazioni corrette su ciò che succede nel mondo.
TE: Quando è iniziata la guerra è scattato di colpo e ha pensato: "Questo è quello che il popolo vuole che io faccia... e lo faccio". O è stata una sua decisione, pensando: "Questo è quello che sto facendo e voi dovete appoggiarmi"?
VZ: Penso che nessuno, nessuno, ha capito cosa fare quando è iniziato. Ero a Kiev, nella casa, nella residenza. Ero a casa in quel momento. Erano le 04:50 del mattino. Con mia moglie e i miei figli. Mi hanno svegliato. Mi hanno detto che c'erano forti esplosioni.
Dopo un paio di minuti, ho ricevuto il segnale che era in corso un attacco missilistico. Non sapevano cosa stesse succedendo. Sapevamo che si stavano preparando [all'attacco]. Lo sapevamo, naturalmente. La prima cosa che abbiamo fatto è stata chiamare lo stato di emergenza e, un paio di giorni dopo, in una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale e Difesa, abbiamo dichiarato la legge marziale. Avevamo capito che i russi potevano attaccare, ma non avevamo capito la portata.
TE: Parliamo di adesso, di dove siamo in questa fase della guerra. Pensate che ci sia qualche possibilità di vincere?
VZ: Noi crediamo nella vittoria. È impossibile credere in qualcos'altro. Vinceremo sicuramente perché questa è la nostra casa, la nostra terra, la nostra indipendenza. È solo una questione di tempo.
TE: Come si presenta una vittoria ucraina?
VZ: La vittoria è riuscire a salvare più vite possibili. Sì, salvare più vite possibili, perché senza questo nulla avrebbe senso. La nostra terra è importante, sì, ma alla fine è solo territorio.
Non so quanto durerà la guerra, ma combatteremo fino all'ultima città che abbiamo. Fin dall'inizio, quando si sceglie un'opzione su ciò che la gente dovrebbe fare o non fare, la gente non capisce cosa sia una guerra vera e propria. Il mio compito è quello di dare un segnale in modo che la gente sappia come agire.
E quando mostri come l'Ucraina dovrebbe comportarsi, devi anche comportarti di conseguenza [tu stesso]. C'era da decidere se restare o andarsene. Siamo tutti feriti allo stesso modo.
[La mia decisione di rimanere] era il mio segnale alla gente su come avremmo dovuto rispondere all'attacco. Si tratta di come la guerra è iniziata e di come finirà. Finirà con noi ancora qui a difendere.
Questa è la mia risposta alla domanda su come sarà la vittoria dell'Ucraina. La nostra vittoria può essere temporanea, forse senza risolvere tutte le questioni, ma abbiamo scelto la direzione in cui ci muoveremo.
TE: Avete bisogno di altro aiuto per vincere? E se sì di che tipo?
VZ: Abbiamo una lunga lista di elementi di cui abbiamo bisogno. La prima cosa è mettersi al nostro posto e agire preventivamente, non dopo che la situazione si è complicata. Questo riguarda i nostri paesi partner.
Qui stiamo parlando di sanzioni. Sono sicuro che se fossero state applicate prima sanzioni più severe, un attacco russo su larga scala non si sarebbe verificato.
TE: Vuol dire che non sarebbe successo?
VZ: Sarebbe stato su una scala diversa e senza l'assistenza della Bielorussia, dandoci più tempo. Avrebbero mostrato alla Bielorussia cosa potrebbe accadere se fossero state prese sanzioni preventive che coinvolgono le imprese russe, le esportazioni di petrolio e di gas, ecc, e questo tenendo conto che i bielorussi non sostengono [la guerra della Russia contro l'Ucraina].
Le sanzioni preventive avrebbero dato più tempo all'esercito dell'Ucraina per prepararsi all'ulteriore invasione della Russia
Avevo parlato del gasdotto Nord Stream 2 con Biden e Merkel, quando era ancora in carica, e con Scholz. Ho detto che il primo passo sarà quello di lanciarlo, poi bloccheranno le forniture di gas a noi, e poi faranno pressione, anche sulla Moldavia, e poi la Russia bloccherà le forniture per dividere i paesi dell'UE.
Dopo di che, il prossimo passo sarebbe quello di lanciare un'invasione. La Russia stava cercando il riconoscimento ufficiale da parte dell'Ucraina della sovranità russa in Crimea e delle aree occupate dalla Russia nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Hanno anche spinto l'Europa a fare pressioni in tal senso.
Cosa non è stato fatto? [I nostri partner occidentali] non hanno completato le sanzioni per scollegare il sistema bancario da SWIFT, molte altre banche non sono state scollegate. Hanno fatto passi molto importanti per sostenerci, ma la banca centrale della Russia non è stata scollegata. Imporre un embargo sulle esportazioni di petrolio e gas russo.
Tutte queste sanzioni sono incomplete. Sono state minacciate, ma non ancora attuate. Ora si sente dire che la decisione dipende dal fatto che la Russia lanci un attacco chimico contro di noi. Questo non è l'approccio giusto. Non siamo cavie su cui fare esperimenti.
[I nostri partner vedono la Russia ora attraverso una lente strategico-militare e stanno usando l'Ucraina come uno scudo. Siamo noi che sentiamo il dolore. È un bene che siano dalla parte dell'Ucraina, ma devono smettere di essere difensivi nel loro dialogo con la Russia. Insistiamo che possano agire in modo offensivo.
SWIFT sta ancora operando in Russia per i leader della Russia. Non dimenticate che i russi comuni sono ora isolati, privi di informazioni. Non sanno cosa sta succedendo.
La situazione in cui il popolo ucraino, non il presidente ucraino, [viene usato come scudo è sbagliato]. Il popolo ucraino sta morendo. I russi non sanno cosa sta succedendo. Non capiscono. I social media sono stati chiusi e molte persone, credo il 90-95%, guardano la televisione, una percentuale molto più alta che in Ucraina e in Europa.
È un grosso problema perché [il Cremlino] controlla tutti i livelli di potere e tutte queste informazioni. Questo è il motivo per cui ho spinto per le sanzioni e per ricevere le armi.
Nel frattempo, i russi hanno bloccato i nostri rifornimenti a Mariupol, Melitopol, Berdyansk, Kherson, Kharkiv, ma non sono nelle città. Cosa fanno? Per esempio, a Melitopol e Berdyansk stanno passando ai rubli. Stanno rapendo i sindaci delle nostre città. Hanno ucciso alcuni di loro.
Alcuni di loro non riusciamo a trovarli. Alcuni li abbiamo già trovati, e sono morti. E alcuni sono stati sostituiti. Stanno facendo la stessa cosa che hanno fatto nel Donbas nel 2014. Le stesse persone stanno conducendo queste operazioni. È la stessa metodologia.
[L'Occidente] non può dire: "Vi aiuteremo nelle settimane [a venire]". Non ci permette di sbloccare le città occupate dalla Russia, di portare cibo ai residenti lì, di prendere l'iniziativa militare nelle nostre mani.
La gente semplicemente non è in grado di uscire. Lì non c'è cibo, medicine o acqua potabile. E questo è qualcosa che dobbiamo fare. Sono questioni che devono essere affrontate oggi e domani, non tra un paio di settimane.
Alcune piccole città sono state distrutte. Non ci sono persone e non ci sono case. Tutto ciò che è rimasto è il nome. Certo, la colpa è della Russia, ma siamo arrivati in ritardo, a causa delle difficoltà mentre le bombe volavano.
Ecco perché abbiamo chiesto aerei militari, perché abbiamo chiesto di stabilire una no-fly zone, perché i russi hanno lanciato bombe su queste piccole città, che ora esistono solo come punti su una mappa.
TE: Quando chiedevate più armi, il presidente francese Macron ha detto che le armi offensive come i carri armati erano una linea rossa che i partner dell'Ucraina non potevano superare. Perché?
VZ: Perché hanno paura della Russia. E questo è quanto. E quelli che lo dicono per primi sono i primi ad avere paura.
TE: Boris Johnson è stato molto più propenso a mandare armi.
VZ: Sì. Per essere onesti, Johnson è un leader che aiuta di più. I leader dei paesi reagiscono in base a come agiscono i loro elettori. In questo caso, Johnson è un esempio.
TE: E i tedeschi? C'è stato un cambiamento improvviso dopo l'invasione e la politica estera tedesca è sembrata cambiare molto rapidamente. Sono preoccupati di fare di più?
VZ: Stanno cercando di essere equilibrati. Hanno una lunga relazione con la Russia e guardano la situazione attraverso il prisma dell'economia. A volte danno una mano. Penso che stiano cercando di adattarsi alla situazione man mano che si sviluppa.
Stanno anche guardando come la situazione influisce sul loro paese. Possono aiutare, se c'è pressione interna su di loro per farlo, e possono fermarsi quando vedono che quello che hanno fatto è sufficiente.
Penso che la Germania sia più pragmatica di chiunque altro per quanto riguarda la situazione tra i paesi che possono davvero aiutare. Non si tratta sempre di noi, di quello che serve a noi e di quello che serve al mondo.
Penso che i tedeschi stiano facendo un errore oggi. Penso che commettano spesso degli errori. Penso che l'eredità delle relazioni della Germania con la Russia lo dimostri.
Tutti hanno interessi diversi. Ci sono quelli in Occidente a cui non dispiace una lunga guerra perché significherebbe esaurire la Russia, anche se questo significa la fine dell'Ucraina e viene a costo di vite ucraine. Questo è sicuramente nell'interesse di alcuni paesi.
Per altri paesi, sarebbe meglio che la guerra finisse in fretta, perché il mercato della Russia è un grande mercato che le loro economie stanno soffrendo a causa della guerra. Vorrebbero che la Russia mantenesse certi mercati. Altri paesi, veramente ricchi, riconoscono il nazismo in Russia e vogliono assolutamente che l'Ucraina sia vittoriosa.
E ci sono ancora altri paesi, paesi più piccoli, che ci appoggiano completamente, ma sono stati più liberali e preoccupati per le questioni umanitarie. Vogliono che la guerra finisca rapidamente ad ogni costo, perché pensano che le persone vengano prima di tutto.
E poi c'è la categoria dei paesi che vogliono che la guerra finisca rapidamente in ogni modo possibile perché possono essere considerati come "gli uffici della Federazione Russa in Europa".
TE: In quale categoria metterebbe la Gran Bretagna?
VZ: La Gran Bretagna è sicuramente dalla nostra parte. Non sta facendo un gioco di equilibrio. La Gran Bretagna non vede alternative per uscire dalla situazione. La Gran Bretagna vuole che l'Ucraina vinca e che la Russia perda, ma non sono pronto a dire se la Gran Bretagna vuole che la guerra si trascini o no.
TE: Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sono nel primo gruppo?
VZ: Vedremo. Ma aiutano. Molti paesi in Europa, soprattutto nella NATO, hanno, come dicono i nostri soldati, molti strumenti. Per questo gli Stati Uniti hanno spinto molti paesi ad aiutarci, ma un po' più lentamente del necessario.
TE: Come è cambiato il suo rapporto con il presidente americano, Joe Biden? Riconosce che non siete solo un destinatario, ma che siete voi a guidare il processo?
VZ: Non c'è una risposta diretta a questa domanda, perché ci sono diversi centri di potere negli Stati Uniti. Lei lo sa meglio di me. Infatti, sia il Congresso che il Senato sostengono l'Ucraina. Questo è vero.
Ma ci sono stati momenti in cui ci sono state certe battaglie, comprese le elezioni, che hanno influenzato i passi che hanno fatto e la loro determinazione. Alcuni processi si muovono rapidamente, mentre altri sono bloccati a causa di questioni interne.
Biden vede l'Ucraina più come un soggetto [dell'attività politica] che all'inizio. Ci sono stati diversi momenti e diversi processi, e riconosco che questa posizione non giova a tutti negli Stati Uniti.
TE: Cosa vuole di più dall'Occidente?
VZ: Aerei, carri armati e blindati. Non ne abbiamo tanti quanti ce ne servono. Abbiamo preso molto dai russi. Stanno scappando. Hanno paura dei nostri soldati e scappano. Penso che ieri abbiamo preso 12 o 17 carri armati.
TE: Siete preoccupati di esaurire la fornitura di hardware militare essenziale?
VZ: I russi hanno migliaia di veicoli militari, e stanno arrivando e arrivando e arrivando. Se possiamo scherzare in questa situazione, lo farò. Ci sono alcune città, dove ci sono così tanti carri armati, che non possono andare via. Hanno ingorghi di carri armati.
TE: Dove?
VZ: Abbiamo la nostra famosa città Chornobaivka (nella regione di Kherson), dove abbiamo bombardato unità militari russe per la decima volta. I russi non si rendono conto di quello che sta succedendo, si perdono e continuano a tornare nello stesso posto. I russi hanno migliaia di veicoli militari.
Non è che l'Ucraina sia a corto di carri armati, ma noi ne abbiamo sempre meno, perché nessuno ci vende carri armati e veicoli blindati. Questo è un grosso problema per noi. Non abbiamo ricevuto aerei, veicoli corazzati e carri armati.
Abbiamo già dato una lista dell'hardware militare che stiamo cercando. Sappiamo cosa vogliamo, dove si trova e di quanti ne abbiamo bisogno. L'hardware sovietico è disponibile. Questo va bene. Per noi è lo stesso. Tutti i paesi che possiedono questo equipaggiamento hanno ricevuto le nostre lettere.
TE: State facendo progressi nell'ottenere l'equipaggiamento?
VZ: Non lo so. Dipende dalla volontà di questi paesi e dagli Stati Uniti, dalla NATO. Molti di questi paesi, specialmente quelli europei, dicono che hanno bisogno del permesso della NATO, e non ce l'hanno.
TE: Può esserci una pace duratura con Vladimir Putin al Cremlino?
VZ: Non lo so. Non so se Putin conosce la risposta a questa domanda. Penso che molti fattori peseranno sulla sua decisione. La stabilità nelle regioni in cui la Russia è presente giocherà un ruolo e influenzerà le sue decisioni.
La questione di come cambieranno le relazioni tra la Russia e l'Ucraina in seguito a ciò che è successo è una questione importante. Non ho una risposta a questo. Questo è un grande problema, un problema molto grande.
TE: Lei ha detto che vuole incontrare Putin faccia a faccia. Cosa gli direbbe?
VZ: Ci sono molte cose. Dobbiamo parlare. Non si tratta di una domanda o di una risposta. Si tratta di decisioni. Dobbiamo parlare di cose concrete, di mesi concreti, forse di anni, forse di qualcosa da decidere ora, forse di parlare se non riusciamo a trovare una decisione e concordare di non litigare su questo.
Questa è la mia filosofia. Facciamo tutto passo dopo passo. Troviamo una decisione un passo alla volta. Possiamo parlare di tutto. Ma non possiamo scendere a compromessi su tutto. Deve capire che l'Ucraina è la nostra terra. Lui deve capire cosa sta succedendo e noi dobbiamo capirci, se è possibile.
Non si tratta di rispetto, di amore o di altro. Non si tratta di sentimenti. È molto concreto. C'è un problema e dobbiamo capirlo in dettaglio e risolverlo.
TE: Lei pensa che fondamentalmente Putin creda che l'Ucraina non abbia il diritto di esistere?
VZ: Non credo che lui visualizzi nella sua mente la stessa Ucraina che vediamo noi. Vede l'Ucraina come una parte del suo mondo, la sua visione del mondo, ma questo non corrisponde a ciò che è successo negli ultimi 30 anni.
Non credo che Putin sia stato [in] un bunker per due settimane o sei mesi, ma per più di due decenni. Non intendo letteralmente, ma nel senso che è stato in isolamento informativo, nutrendosi di informazioni dal suo entourage.
E l'Ucraina, mentre lui è stato in questo bunker, è cambiata significativamente. Quindi il modo in cui vede l'Ucraina è molto diverso dall'Ucraina che esiste realmente nella vita reale.
TE: Putin ha una visione del XX secolo di un paese del XXI secolo.
VZ: Sì. Questo è il suo problema.
TE: Per lei "vittoria" significa salvare più vite possibili, ma politicamente questo potrebbe essere insostenibile. Come si può vincere, salvare vite e allo stesso tempo salvare il paese? È possibile?
VZ: Salvare tutti, difendere tutti gli interessi e allo stesso tempo proteggere le persone e non rinunciare al territorio è probabilmente un compito impossibile. Lei ha ragione. Si tratta di una scelta difficile, ma a volte esistono decisioni cosiddette "di principio".
Prendiamo, per esempio, le città che, se decidessimo di abbandonarle volontariamente, verrebbero prese da Putin, che continuerebbe ad avanzare, sempre più lontano, perché ha l'appetito di un affamato. Ciò che è importante qui non è che questa scelta sia "buona" o "cattiva", di per sé. Ciò che è importante è che la decisione è presa insieme al popolo.
Basta dare un'occhiata alla gente di Kherson che ha agitato le mani in mezzo alle strade per fermare i carri armati. Hanno deciso di alzarsi e fare questo di loro spontanea volontà. Non avrei potuto ordinare loro di non farlo o di gettarsi sotto i passi dei carri armati. Resterò con queste persone fino alla fine.
Ognuno si trova di fronte alla scelta se rischiare di diventare una vittima. È la più difficile da fare. È possibile che alcuni compromessi, quelli che non rischiano la nostra sopravvivenza fisica, siano fatti per salvare la vita di migliaia di persone. Per quanto riguarda i compromessi che possono rischiare la disintegrazione del paese, quelli che Putin propone, o meglio esige sotto forma di ultimatum, non li faremo mai. Mai.
Vinciamo finché rimaniamo risoluti nel non cedere a queste richieste. Penso che stiamo vincendo. La situazione militare è difficile, ma stiamo respingendo gli attacchi.
Gli invasori non piangono nemmeno le proprie vittime. Questo è qualcosa che non capisco. Circa 15.000 [soldati russi] sono stati uccisi in un mese. Noi in Ucraina parliamo della nostra guerra che dura da otto anni. Otto anni!
In otto anni, anche noi abbiamo perso 15.000 vite. E la Russia perde 15.000 dei suoi soldati in un mese! Sta gettando i soldati russi come tronchi nella fornace di un treno. E non li stanno nemmeno seppellendo. Non li seppelliscono affatto. I loro cadaveri sono lasciati nelle strade. In diverse città, piccole città, i nostri soldati dicono che è impossibile respirare a causa dell'odore. È il fetore della carne in decomposizione. È un incubo totale.
I nostri impavidi soldati stanno difendendo Mariupol ora. Avrebbero potuto andarsene ora, se avessero voluto. Avrebbero potuto andarsene molto tempo fa, ma non lasciano la città. Sapete perché? Perché ci sono ancora altri vivi in città insieme ai loro feriti.
E poi ci sono i morti, i compagni caduti. I difensori dell'Ucraina dicono che devono restare e seppellire i morti in azione e salvare la vita dei feriti in azione. Finché le persone sono ancora vive, dobbiamo continuare a proteggerle. E questa è la differenza fondamentale tra il modo in cui le parti opposte in questa guerra vedono il mondo.
E' un uomo che fa una grande campagna per se stesso per il dopoguerra. “Zelensky come Obama ma il Nobel per la pace non si dà a chi uccide: lui è un oligarca ucraino…”, l’attacco di Paolo Liguori. Redazione su Il Riformista il 28 Marzo 2022.
“Zelensky non ambisce a portare la pace ma ambisce a ricevere il premio Nobel per la pace“. Nella rubrica “Fatela Finita” del Riformista Tv, Paolo Liguori risponde alle domande di Hoara Borselli. Per il direttore editoriale “Zelensky è il capo di un popolo aggredito e quindi può dire quello che vuole però questo suo viaggio nelle capitali del mondo, con dei discorsi preparati e scritti, e adattati alle circostanze” non deve trarre in inganno. “Questa sceneggiatura del presidente ucraino in viaggio virtuale per le capitali del mondo con questi discorsi mi è sembrata una perorazione per essere considerato lui l’uomo della pace” aggiunge Liguori.
Che poi chiarisce: “Certo è aggredito ma è anche l’uomo che ha armato il suo popolo fino all’ultimo uomo, e che dice agli uomini che non possono abbandonare il paese con le proprie famiglie”. Per Liguori il presidente ucraino “non è un uomo di pace, è un uomo che fa una grande campagna per se stesso per il dopoguerra. Come sarà il dopoguerra per il suo popolo? Terribile. Per noi? Abbastanza brutto. Per Zelensky? Magari lui sogna che passerà alla storia come uomo di pace”.
“Faccio solo un esempio – ricorda Liguori – Obama ha preso il nobel per la Pace ed è stato il presidente Usa che ha inventato l’omicidio a distanza con i droni. E ha detto ‘beh non sacrifico più vite americane’ ma sacrificava le vite degli avversari con i droni. Quindi se hanno dato il Nobel per la pace a lui, lo possono dare anche a Zelensky…”
“Tu vedi e ravvedi in Zelensky una forma di protagonismo che ha preso il sopravvento su quello che invece dovrebbe essere un atteggiamento più sensato a come dovrebbe porsi”? E’ la domanda provocatoria di Hoara Borselli. La risposta è dello stesso tenero: “Tu dici sopravvento perché ti riferisci a uno Zelenksy che io non ho mai conosciuto. Come poteva essere l’uomo Zelensky – osserva Liguori – prima di essere un uomo nelle mani dell’Occidente in tutte le sue articolazioni, degli americani e degli altri? Se conoscessi quello Zelensky ti potrei dire ‘si è cambiato’. Ma – incalza – siccome quello Zelensky non lo conosco e l’unica traccia che ho, come precedente, è la sua villa a Forte dei Marmi che sta nel quartiere degli oligarchi russi, e lui magari è l’unico oligarca ucraino, in questo senso questo cambiamento non lo posso giudicare. Io commento quello che vedo, l’uomo che sta facendo una grande campagna per il Nobel per la pace ma per la pace bisogna trattare, lo dico dal primo giorno”.
Cesare Martinetti per “La Stampa” il 24 marzo 2022.
Ci voleva un comico per mantenere le promesse solitamente bugiarde dei politici in campagna elettorale. Un ometto con la faccia qualunque che appena qualche mese fa - a settembre - era stato ricevuto nell'indifferenza quasi generale alla Casa Bianca, allora sotto la botta del disastroso ritiro dall'Afghanistan.
Un attore, anzi un clown come tuttora scrivono i giornali francesi per sottolinearne l'improbabilità ormai capovolta in una rispettosa e universale celebrazione. In pochi giorni, in poche ore, è comparso in video, maglietta verde militare e barba lunga, nelle storiche aule parlamentari dove si è costruita e difesa la democrazia occidentale.
Da Westminster al Congresso degli Stati Uniti, (al cospetto delle ombre di Churchill e Lincoln), dal Reichstag alla nostra Camera dei deputati, all'Assemblée Nationale di Parigi, dove ieri non ha mancato di far risuonare quello che resta il più rivoluzionario dei programmi politici: liberté, égalité, fraternité.
Ecco, a Volodimir Zelensky va riconosciuto innanzitutto il coraggio personale e la capacità di aver unificato e interpretato uno spirito nazionale in cui si riconoscono le tante anime che ribollono nel calderone ucraino. Da Majdan (2014) in poi, con tutte le contraddizioni e le maledizioni della storia di questo popolo, dalle carestie indotte dal potere sovietico, alle complicità con i nazisti, ai ripetuti e sconvolgenti pogrom contro gli ebrei, da Kiev è uscito un sentimento limpido per l'Europa.
Sulle barricate di Majdan, mentre dalle nostre vecchie e capricciose società - italiane o francesi - si sputacchiava sull'idea d'Europa, laggiù sventolava la bandiera blu con le stelle d'oro. Quella che per noi era diventata una noiosa abitudine, per loro era l'orizzonte di futuro da contrapporre al vischioso alito di Mosca.
È da allora che i cingoli dei tank di Vladimir Putin muovono verso l'Ucraina, era solo questione di tempo. Ce n'è voluto qui da noi per accettare la realtà di una strategia geopolitica e culturale che aveva anche un nome, la "Novorossia", la riconquista dello spazio ideale e persino mistico (grazie a una chiesa totalmente asservita) pur espressa a chiare lettera dal capo del Cremlino. È da questo calderone che è spuntato fuori come da una scatola magica un pop-up cangiante di nome Volodimir Zelenski.
Adesso che piovono bombe su Kharkiv, Mariupol e che da ben tre direzioni le colonne russe muovono su Kiev, siamo tutti a modo nostro "ucraini". Ma cosa sarebbe stata questa battaglia se a rappresentare la nazione ci fosse un epigono della nomenklatura arricchitosi nel caos post-sovietico. La Storia per quanto feroce, ha una sua astuzia.
Ed è così che dalle urne presidenziali il 21 aprile 2019 Volodimir Zelensky ha ricevuto il 73 per cento dei voti, battendo, anzi stracciando l'avversario, il presidente in carica Petro Poroshenko, ricchissimo industriale del cioccolato, che pure era stato eletto nella fucina del post-Majdan. Zelensky, chi era costui? Niente affatto sconosciuto, ma non certo per ragioni politiche, semmai anti-politiche. Ebreo non praticante, sposato e padre di due ragazzi, era nato nel 1978 a Kryvy Rig, una cittadina industriale russofona nel centro del Paese. Dal 2015 era la vedette di una serie televisiva in due stagioni di enorme successo, "Servitore del Popolo", in cui si raccontava di un cittadino comune - un professore di storia onesto e ingenuo - diventato per caso capo di Stato.
Un brillante mix di comicità classica e satira politica, acquistato perfino da Netflix. Attore protagonista ha incarnato il sogno dell'uomo comune di fare finalmente piazza pulita dei politici, considerati tutti corrotti in un paese dove gli oligarchi si sono spartiti per anni le ricchezze, come in una scena della serie dove appaiono mentre giocano a una specie di Monopoli che ha la sagoma dell'Ucraina. Inevitabile pensare a Beppe Grillo, ma Volodimir Zelenski è andato fino in fondo, da solo.
Alla vigilia di Natale del 2018 ha annunciato la sua candidatura accanto a un albero di Natale suscitando perplessità e umorismo. Uno scherzo?
La terza serie tv, in sole tre puntate, è stata trasmessa alla vigilia del primo turno delle elezioni di marzo dove l'improbabile candidato ha preso il 30 per cento, il doppio di Poroshenko, il triplo del filo Putin Yuri Boyko.
Solo i due estremi geografici e politici dell'Ucraina non gli hanno dato la maggioranza, la Leopoli nazionalista e i nostalgici dell'Urss nel Donbass.
Due i punti base del programma elettorale: lotta alla corruzione e pace - appunto - nel Donbass.
Per il resto la continuazione in vero del suo scenario tv, populismo spinto, lo sbarco in parlamento e l'arrivo al governo di un universo giovane, decomplessato, variopinto con l'ossessione dell'"onestà" e con l'urgenza esistenziale di entrare in Europa e atterrare sul pianeta Occidente.
Questo rappresenta maggioritariamente Zelensky con il suo 70 per cento di voti, non quel 2 per cento di estrema destra filo nazista pur presente nella "Rada" (il parlamento) di Kiev.
Con ammirevole sangue freddo e il talento del commediante, ha calibrato i suoi discorsi ai parlamenti secondo le sensibilità di ciascun paese: ad americani e inglesi ha chiesto armi per la guerra, a noi italiani litigiosi, riluttanti e sospettosi ha chiesto di lavorare per "la pace", ai francesi affaristi di ritirare le loro aziende dalla Russia. La fiction di Volodimir Zelensky si è prolungata in una drammatica realtà, mutandolo da clown a leader storico in una guerra che non finirà presto.
Zelensky, "quella linea nel suo sguardo che cede". L'esperto, i black-out del premier: cosa rivela il suo volto. Libero Quotidiano il 23 marzo 2022.
I volti dei due leader in guerra, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, dicono cose molto diverse della loro personalità. Lo ha detto Abele Contu, esperto di lettura del volto, sentito dall'Adnkronos. Parlando del presidente ucraino, ha spiegato: "Il volto e la mimica di Zelensky indicano grande controllo, ma anche una fragilità. Sta incarnando bene il ruolo del 'presidente perfetto', ma nel suo sguardo c'è una linea che ogni tanto cede: osservandolo mentre parla si nota, in alcuni momenti, un breve 'black out'".
Su Putin invece: "Lo sguardo è fisso, inscalfibile, come quello di un pitbull, a indicare una chiarezza di intenzioni totale e a lungo termine. E' evidente una consapevolezza d'acciaio". Un vero e proprio identikit psico-emotivo quello tracciato dall'esperto sulla base delle immagini televisive. La differenza tra i due presidenti, comunque, è netta. Analizzando il volto di Zelensky, Contu ha spiegato che ne emerge "potenza vitale, con capacità di azione". Nonostante la sua intenzione di presentarsi come "presidente perfetto", però, nel suo sguardo si intravede "una possibilità di debolezza, ovvero la possibilità di cedere da un momento all'altro". Tutto dipenderebbe dalla sua carica: "Nel momento in cui dovesse venir meno la necessità del suo ruolo, potrebbe crollare".
Zelensky inoltre apparirebbe spesso agitato: "Gesticola molto mentre parla, muove le mani, muove la testa, al contrario del suo avversario". Lo zar infatti, stando all'identikit di Contu, "nei suoi discorsi è tendenzialmente fermo, ancorato. Tiene le mani ferme, saldamente posate sulla scrivania o aggrappate a un microfono. La determinazione si evince da tutte le sue posture. Non c'è nessun gesto che sfugge e non lascia leggere lo sguardo". E infine: "La sua visone è a lungo termine e la paura non lo sfiora".
Il tesoro di Volodymyr Zelensky nascosto nei paradisi fiscali all'estero. Le rivelazioni dei Pandora Papers. Valeria Di Corrado su Il Tempo il 24 marzo 2022.
Non sono solo gli oligarchi russi a utilizzare le società offshore per occultare i loro patrimoni all'estero. Dall'inchiesta giornalistica internazionale Pandora Papers, che ha seguito di 5 anni i famosi Panama Papers, emerge che Volodymyr Zelensky e alcuni dei suoi più fidati collaboratori - tra cui l'amico Serhiy Shefir, primo consigliere pubblico della presidenza ucraina, e Ivan Bakanov, capo del servizio di sicurezza del Paese - avevano a disposizione una rete di società con sede tra le Isole Vergini britanniche, Cipro e Belize, e che alcune di queste sono state utilizzate per acquistare costosi immobili a Londra. Il presidente ucraino, ora diventato un'icona mondiale della resistenza contro l'invasione russa, venne eletto tre anni fa con l'obiettivo di contrastare la corruzione imperante e lottare contro l'evasione fiscale. Nel marzo 2019, un mese prima del voto, Zelensky aveva ceduto a Shefir le sue azioni nella società offshore Maltex Multicapital Corp., registrata nelle Isole Vergini britanniche. Il presidente ucraino, insieme a sua moglie, possedeva infatti un quarto di Maltex attraverso una società registrata in Belize, chiamata Film Heritage. I due soci, però, avrebbero fatto un accordo affinché i dividendi continuassero a essere pagati alla Film Heritage di Olena Zelenska, moglie di Zelensky. Un profilo cliente di Maltex ha rivelato che le 5 maggiori fonti di reddito dell'azienda erano: Ucraina, Bielorussia, Russia, Belize e Cipro.
Le rivelazioni provengono dai file di 14 fornitori di servizi offshore trapelati all'International Consortium of Investigative Journalists e condivisi con partner in tutto il mondo, incluso OCCRP. I documenti - mai smentiti - mostrano che Zelensky e i suoi partner in una società di produzione televisiva, la «Kvartal 95», hanno creato una rete di offshore che risale almeno al 2012, anno in cui la società ha iniziato a realizzare contenuti regolari per le stazioni TV di proprietà di Ihor Kolomoisky, un oligarca ucraino (che ha anche le cittadinanze israeliana e cipriota) accusato di una frode multimiliardaria. L'imprenditore- ed ex governatore della regione di Dnipropetrovs'k - è tra le persone più ricche dell'Ucraina, con un patrimonio netto stimato di 1,8 miliardi di dollari. Zelensky è diventato famoso al pubblico ucraino come protagonista del programma di satira politica «Servant of the People», andato in onda nel 2015 sulla rete di Kolomoisky. La stessa campagna elettorale dell'attuale presidente è stata sostenuta dai media appartenenti all'oligarca ucraino, accusato di aver sottratto 5,5 miliardi di dollari dalla sua banca: Privatbank. Fece scandalo quando un alleato politico dell'allora presidente in carica, Petro Poroshenko, pubblicò un grafico su Facebook in cui affermava che Zelensky e i suoi partner di produzione televisiva erano beneficiari di una rete di società offshore che avrebbero ricevuto 41 milioni di dollari dalla Privatbank di Kolomoisky. Quell'alleato, Volodymyr Ariev, non ha fornito prove, ma i Pandora Papers mostrano che almeno 10 delle società che avrebbero ricevuto il denaro appartenevano davvero a Zelensky e ai suoi partner.
Nonostante ciò, durante il suo mandato, Zelensky si è ripetutamente impegnato a tenere a freno gli oligarchi. Il 22 settembre scorso Shefir, il suo fidato collaboratore, è sfuggito per un pelo a un apparente tentativo di omicidio, quando la sua auto è andata a fuoco poco fuori. Lui è rimasto illeso, ma il suo autista è stato ferito. Il giorno dopo il parlamento ucraino ha approvato un disegno di legge che crea un registro degli oligarchi per impedire loro di finanziare partiti politici o partecipare a privatizzazioni. I documenti di Pandora Papers mostrano che una società della rete di offshore riconducibili a Zalensky è stata utilizzata per acquistare un appartamento a Londra a pochi passi dal museo di Sherlock Holmes a Baker Street. La zona è una delle preferite dagli investitori stranieri che utilizzano società di comodo anonime. Quell'appartamento, un trilocale in Glentworth Street, è stato acquistato per 2,28 milioni di dollari nel 2016 da una società del Belize di proprietà di Shefir, SHSN Limited. Anche un appartamento nelle vicinanze dell'edificio Chalfont Court di Baker Street, che è stato acquistato da Shefir per 3,5 milioni di dollari nel 2014, è stato trasferito a SHSN Limited nel 2018. I documenti mostrano anche che un altro azionista di «Kvartal 95», Andrii Iakovlev, ha ottenuto nel 2015 un appartamento da circa 2,3 milioni di dollari nell'edificio dei Giardini del Palazzo di Westminster. Anche se Zelensky caldeggia la campagna anti-oligarca, alcuni continuano a dubitare della sua sincerità. Tra questi c'è Ruslan Ryaboshapka, ex massimo procuratore del Paese, estromesso nel 2020. Ha riferito all'OCCRP che crede ciò sia dovuto alle pressioni dell'oligarca Kolomoisky. «Un presidente non dovrebbe possedere società offshore. In generale, le offshore sono cattive», ha detto Ryaboshapka, definendo il trasferimento di denaro all'estero «una vecchia tradizione» in Ucraina.
Volodymyr Zelensky insultato in prima pagina da Vauro: la vignetta-choc sul Fatto Quotidiano. Libero Quotidiano il 22 marzo 2022.
Il fatto che a Vauro Senesi, il vignettista comunista, Volodymyr Zelensky e l'Ucraina non piacciano fino in fondo non è certo un mistero. Basti pensare a una comparsata in tv di Vauro nei primi giorni della guerra scatenata dalla Russia e da Vladimir Putin, in cui - a PiazzaPulita, il programma di Corrado Formigli in onda su La7 - insisteva sugli stemmi nazisti tra le forze ucraine.
"Gli errori della Merkel dietro a questa guerra". Fallimento tedesco, il giorno in cui si è piegata a Putin
Per carità, il fatto che il battaglione Azov sia composto da neonazi non è certo un mistero. Poi, però, c'è la guerra, quella vera, di fronte alla quale alcuni distinguo, Senesi ce lo permetta, appaiono un pochino pelosi, fuori luogo, spiazzanti.
"La proposta non solo di un pazzo, ma anche di un cretino": la fucilata di Vittorio Feltri contro Volodymyr Zelensky
Ma tant'è. Ecco che anche oggi, sulla prima pagina del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, Vauro si spende in una vignetta che dà la cifra del suo pensiero su Zelensky. Svolgimento. Il titoletto in alto recita: "Cnn. Zelensky evoca la terza guerra mondiale". Ed è vero, il premier ucraino da giorni continua a parlare di questo rischio, di un terzo conflitto mondiale, per giunta atomico. Circostanza possibile, ma non particolarmente probabile, almeno ad oggi. E, si suppone, Vauro si basa su simili considerazioni per arrivare alle conclusioni del suo disegnino. Sotto al titolo, una bandiera nera con esplosione di una super-bomba, forse atomica, e in calce la scritta "The end". Quindi, il commento di Senesi: "Il comico finale", il quale sarebbe ovviamente Zelensky. Già, il leader della resistenza ucraina paragonato a un comico (con evidente riferimento alle "comiche finali" di finiana memoria...).
Volodymyr Zelensky, "autoritarismo mascherato": chi è davvero il premier ucraino? Il cupo sospetto del prof Ciccozzi. Libero Quotidiano il 22 marzo 2022.
"Il punto è che Volodymyr Zelensky pone un autoritarismo più difficile da svelare di quello di Putin": il professore di Antropologia dell’università dell’Aquila Antonello Ciccozzi, intervistato da Selvaggia Lucarelli, ha parlato del presidente ucraino, impegnato al momento in un conflitto contro la Russia. In particolare ha detto: "Putin è un sovrano autoritario in modo evidente, la sua autocrazia si basa sulla paura. L’autoritarismo di Zelensky è mascherato in una telecrazia dell’esaltazione che si basa su alcuni pattern narrativi”.
Al centro della narrazione del presidente ucraino, secondo il professore, ci sono diversi elementi: "Il primo è quello della lotta del bene contro il male che in questo caso è l’equazione Putin = Hitler". E poi: "Il pattern più importante è quello eucaristico del noi come voi: in collegamento con Londra evoca Churchill, a Berlino dice che ogni bomba è un muro, con gli USA evoca Pearl Harbor, con la Francia c’è il deep fake sulla Torre Eiffel e con Israele ieri ha evocato la Shoah ed è stato finalmente rimproverato perché ha violato un assioma storiografico che è quello del principio dell’unicità della Shoah e questo penso sia un dettaglio importante". Secondo lui, inoltre, Zelensky può diventare pericoloso per la sua spinta sacrificale: "Ci pone a rischio di esposizione, al rischio che il conflitto regionale diventi una guerra mondiale e poi arrivi all’olocausto nucleare".
Ciccozzi, infine, non si detto convinto nemmeno della risposta che Zelensky sta dando sul campo: "La nostra risposta aggressiva aumenta la risposta aggressiva di Putin e dobbiamo tenere presente che Putin, da un punto di vista della pressione militare che ha a disposizione, è solo all’inizio". Parlando della posizione dell'Europa, invece, il professore ha spiegato: "Siamo di fronte a un teatro del sangue che ha come obiettivo quello di tirarla in mezzo a questo disastro, l’Europa dovrebbe avere una posizione neutrale rispetto a questa vicenda”.
Guerra in Ucraina, tutti gli uomini di Zelensky che guidano la resistenza. Milena Gabanelli e Francesco Tortora su Il Corriere della Sera il 23 Marzo 2022.
Non solo militari, diplomatici e politici di lungo corso. Tra gli uomini e le donne che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scelto per guidare la resistenza contro l’aggressore russo ci sono tanti outsider come lui: amici di infanzia, sceneggiatori televisivi, esperti del mondo digitale, giornalisti dissidenti e persino un’ex ammiratrice di Putin.
La prima vita di Zelensky
Prima di diventare presidente dell’Ucraina, Zelensky è stato un comico di successo. Nato a Kryvyi Rih nel 1978 da famiglia della borghesia ebraica (padre professore d’informatica, madre ingegnere), si laurea in legge a Kiev. Nel 2003 fonda la casa di produzione «Kvartal 95» e sposa Olena Kiyashko, da cui ha due figli Oleksandra (2004) e Kyrylo (2013). Recita in dieci film e tre serie tv, acquistando grande fama con la serie «Servitore del popolo» in cui denuncia la corruzione in Ucraina. Stravince le elezioni presidenziali nel 2019 con il 73% dei consensi promettendo di fermare lo strapotere degli oligarchi e di trovare una soluzione nella crisi russo-ucraina.
Gli esperti militari
Vediamo ora chi sono i collaboratori più vicini al presidente partendo da chi dirige le operazioni sul campo di battaglia: Valery Zaluzhnyi, 49 anni, nominato comandante in capo delle forze armate ucraine a luglio 2021. È il primo capo di stato maggiore del Paese a non aver appreso l’arte della guerra in una caserma sovietica. Da ufficiale si è distinto nel 2014 in Donbass e ha velocemente scalato le gerarchie militari, diventando un grande sostenitore dell’entrata nella Nato. Come consigliere per le azioni militari c’è Oleksiy Arestovych, 47 anni, studi all’Accademia militare di Odessa e carriera nell’esercito prima di diventare il volto che ogni sera racconta in tv agli ucraini come sta andando la guerra.
I negoziatori
Tra gli uomini ai quali Zelensky ha affidato il delicato compito di trattare con la Russia c’è il ministro della Difesa Oleksii Reznikov. Classe 1966, fedelissimo del presidente, ha ricoperto precedentemente anche il ruolo di vicepremier e di ministro per la Reintegrazione dei territori temporaneamente occupati. Avvocato di professione con la passione per gli sport estremi (al suo attivo 260 immersioni subacquee, 163 lanci con il paracadute e vari rally nel mondo), parla fluentemente russo, polacco e inglese e dal 1984 al 1986 ha prestato servizio militare nelle forze aeree sovietiche. Ad affiancarlo nei negoziati ci sono David Arakhamia, 43enne leader di «Servitore del popolo» (il partito di Zelensky); il 52enne viceministro degli Esteri Mykola Tochytskyi (anche lui ha fatto il servizio militare dal 1985 al 1987 nelle forze armate russe); Rustem Umerov, 40enne filoeuropeo che si batte per il riconoscimento dei diritti della minoranza tartara di Crimea e infine Mykhailo Podolyak, 50enne di Leopoli: come giornalista ha lavorato a lungo in Bielorussia, prima di essere arrestato dal Kgb di Lukashenko «per attività contro la sicurezza dello Stato» ed espulso in Ucraina. Oggi è uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente ucraino ed è lui che ha svelato al Financial Times la bozza di accordo di 15 punti su cui stanno lavorando i due Paesi nemici. All’appello manca Denis Kireyev, il banchiere 45enne che ha partecipato ai primi due incontri dei negoziati, prima di scomparire nel nulla. Secondo i media ucraini sarebbe stato ucciso il 5 marzo perché sospettato di essere una spia russa. Per il Ministero della Difesa invece è un eroe che si è sacrificato in un’operazione di intelligence.
Gli alleati di governo
Non mancano nel governo figure molto vicine a Zelensky che stanno dando un grande contributo alla causa ucraina. I più attivi sono il premier 46enne Denys Shmyal che non fa parte del partito del presidente ed è stato direttore di Burshtyn TES (la centrale elettrica a carbone di Rinat Akhmetov, l’oligarca più ricco d’Ucraina); il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, 43 anni, protagonista della rivolta di Maidan nel 2013-14 e autore del libro su comunicazione e propaganda «The War for Reality. How to win in the world of Fakes, Truths and Communities»; Mykhailo Fedorov, vicepremier e ministro per la Transizione digitale appena 31enne che non solo ha convinto le big Tech a oscurare i media statali legati al Cremlino, ma è riuscito a garantire la banda larga all’Ucraina sotto assedio grazie a un appassionato appello su Twitter a Elon Musk nel quale chiedeva una fornitura di satelliti Starlink, prontamente ricevuta. Probabilmente il personaggio più famoso del governo è la 42enne Iryna Vereshchuk, vicepremier e ministra per la Reintegrazione dei territori temporaneamente occupati. Fedelissima di Zelensky, dopo la laurea in Legge, ha servito per cinque anni da ufficiale nell’esercito. Come il presidente vive in una località segreta e appare in tv sempre in abiti militari. È la meno incline a una cessione dei territori in cambio della pace, forse per cancellare le ombre del passato. Aveva espresso la sua ammirazione per Putin e la contrarietà all’ingresso nella Nato.
I fedelissimi e le società offshore
I fedelissimi di Zelensky sono gli ex colleghi di «Kvartal 95», la società di produzione che il futuro presidente ha fondato all’inizio del XXI secolo con una serie di collaboratori e diversi amici originari della sua città natale. Una volta arrivato a palazzo Mariinskij, Zelenski ha affidato a una coppia di amici di lunga data, lo sceneggiatore Serhiy Shefir e il produttore Ivan Bakanov, due importanti incarichi. Shefir che ha gestito anche la trionfale campagna presidenziale di Zelensky è stato nominato primo consigliere del presidente con i compiti di gestire l’agenda quotidiana del capo di Stato e fare da collegamento con gli oligarchi ucraini. Il 22 settembre 2021 il 57enne è scampato a un attentato: dieci colpi di kalashnikov hanno colpito la sua auto, ma il consigliere è rimasto illeso. Al 47enne Bakanov, amico d’infanzia di Zelensky, già segretario politico del partito «Servitore del popolo» è stato assegnato dall’agosto del 2019 il cruciale ruolo di capo dei servizi segreti ucraini (SBU) Bakanov è anche un membro del Consiglio di sicurezza e di difesa nazionale. L’anno scorso i Pandora Papers hanno svelato come Zelensky e i suoi due compaesani fossero proprietari di una rete di società offshore, tra cui la Maltex Multicapital Corp, società di produzione e distribuzione di film e programmi tv, registrata nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche e mai rivelata dall’ex comico. Due settimane prima delle elezioni politiche Zelensky ha ceduto a Sherif la sua quota (25%), ma non è chiaro se l’assistente abbia pagato il presidente e se quest’ultimo continui a incassare i profitti. Altri colleghi e amici dai tempi di «Kvartal 95» rimasti a fianco di Zelensky sono lo sceneggiatore 33enne Yuriy Kostyuk che oggi scrive i discorsi del presidente e ha il ruolo di consigliere del presidente e l’ex produttore televisivo 50enne Andriy Yermak, dal 2020 capo dell’Ufficio del presidente (nel 2020 ha trattato con Rudolph Giuliani, l’avvocato di Trump che cercava di incastrare il futuro presidente Biden, l’anno scorso è stato accusato di aver fatto fallire un’importante operazione d’intelligence che avrebbe portato all’arresto di 33 mercenari del Gruppo Wagner per evitare attriti con Mosca). Infine Irina Venediktova, 43enne ex consulente legale di Zelensky, è stata nominata Procuratrice generale dell’Ucraina, prima donna a ricoprire questo ruolo.
L’alleato nel tempo di guerra e l’oligarca sanzionato negli Usa
Fuori dal campo dei fedelissimi restano due importanti personaggi che possono aiutare o oscurare la figura di Zelensky. Il primo è il sindaco di Kiev Vitali Klitschko, 51 anni, ex pluricampione di pugilato, uno dei più grandi pesi massimi della storia e il primo ad avere un dottorato di ricerca (il suo soprannome è «Dottor Ironfist», pugno di ferro). Il 51enne politicamente è un avversario di Zelensky (nel 2019 ha appoggiato l’ex presidente Petro Poroshenko), ma durante l’assedio di Kiev si sta dimostrando il suo più grande alleato condividendone la strategia e le incitazioni alla vittoria. L’altro è l’oligarca 58enne Ihor Kolomoyskyi, miliardario tra le persone più ricche dell’Ucraina. Al suo attivo un buco di 5,5 miliardi che ha portato al quasi fallimento di PrivatBank, la banca più importante del Paese e il finanziamento con almeno 10 milioni di dollari dei gruppi paramilitari nazionalisti Aidar, Azov Dnipro etc. L’oligarca ha in passato finanziato sia l’attività di comico di Zelensky («Servitore del Popolo» era trasmesso da 1+1, il canale televisivo di sua proprietà) sia la campagna elettorale del futuro presidente. Nel 2021 Washington ha vietato l’ingresso negli Usa al magnate e alla sua famiglia, sostenendo che Kolomoyskyi si è arricchito con la corruzione ed è un pericolo per il futuro dell’Ucraina.
Non è chiaro quali siano oggi i suoi rapporti con Zelensky. Relazioni e ambiguità che sul lungo periodo potrebbero scalfire l’immagine da patriota del presidente che oggia rischio della vita continua a trascinare e tenere unita l’Ucraina in guerra.
Angelo Allegri per “il Giornale” l'8 marzo 2022.
«Channel Four», uno dei principali canali britannici, gli ha dedicato una serata intera. Lo «Speciale Zelensky» è andato in onda l'altro ieri, domenica: prima un aggiornamento sulla situazione sul teatro di guerra, poi i primi tre episodi, uno dietro l'altro, della sit com che ha reso celebre il presidente ucraino: «Sluha Narodu», letteralmente «Servitore del popolo».
In Francia la stessa serie tv sta contribuendo ai buoni ascolti di Arte.tv, catena digitale franco-tedesca famosa per approfondimenti e documentari: i primi episodi hanno avuto 1,1 milioni di visualizzazioni, l'80 per cento nell'ultima settimana.
In Grecia Ant1, per anni primo canale tv del Paese, trasmette una puntata ogni sera. La popolarità e il rispetto guadagnati dal presidente Volodymyr Zelensky si sono trasformati in un boom per lo Zelensky attore. Il risultato è che le catene televisive di mezzo mondo vogliono mettere le mani su «Sluha Narodu».
«In questo momento abbiano in corso una ventina « di negoziazioni», spiega Fredrik af Malmborg, managing director di Eccho Rights, la società di Stoccolma che gestisce i diritti del programma. Tra i contratti appena conclusi c'è quello con Mbc, uno dei principali canali satellitari del mondo arabo.
«Per il momento dall'Italia non abbiamo richieste concrete mentre invece stiamo trattando con le maggiori piattaforme digitali. Una, Netflix per 4 anni è stata titolare dei diritti», spiega af Malmborg. «Da tempo abbiamo rapporti con Kvartal95, la società di produzione fondata da Zelensky. Ci diceva sempre, scherzando, che c'era già un esempio importante di attore diventato presidente, Ronald Reagan. Ma tutto quello che è accaduto dopo ci sembra ancora incredibile. Oggi non si tratta di fare affari e non vogliamo guadagnarci ma cerchiamo di sostenere la battaglia di un popolo».
La società ha appena versato 50mila euro alla Croce rossa ucraina e ha rinunciato ai programmi russi del suo catalogo. La serie «Sluha Narodu» (girata in russo, lingua in cui Zelensky si trova più a suo agio) è andata in onda in Ucraina tra il 2015 e il marzo del 2019, nell'aprile dello stesso anno Zelensky è stato eletto.
La vicenda è nota: un professore di storia viene ripreso col telefonino da un suo allievo mentre si scaglia contro oligarchi e politici corrotti. La «tirata» finisce sulla Rete e diventa virale. L'uomo qualunque Vassilj Petrovic Goloboroko diventa presidente e la sua ingenuità spiazza affaristi e mondo politico. Per le ovvie similitudini la sitcom è stata paragonata a un film di Frank Capra, con James Stewart come attore protagonista: «Mr Smith va a Washington». Le critiche erano state positive anche prima che Zelensky diventasse famoso per altri motivi e nei primi episodi non mancano gag divertenti, come una telefonata che il neopresidente riceve da parte di Angela Merkel.
La cancelliera gli comunica che Bruxelles ha deciso di avviare il programma di adesione del Paese alla Ue; Zelensky-Goloboroko ringrazia incredulo da parte di tutto il popolo ucraino ma a quel punto la Merkel confessa che si era sbagliata, in realtà cercava il premier del Montenegro. In Francia non sono mancate le polemiche per una scena in cui Goloboroko, di fronte alla corruzione e alla malafede di molti deputati sogna per un attimo a occhi aperti di entrare in parlamento con due enormi fucili mitragliatori e di falciare i suoi oppositori.
Un ex esponente del Front National Florian Philipot, si è domandato sulla Rete: «Ma siamo proprio sicuri che sia un eroe?». Poi, travolto dai commenti negativi, ha cancellato il post. Una volta eletto Zelensky ha per certi aspetti continuato a comportarsi come il protagonista della sit com. Nel suo discorso inaugurale si è rivolto ai vertici dell'amministrazione pubblica: «Mi piacerebbe che non aveste il mio ritratto nei vostri uffici. Nessun ritratto. Un presidente non è un'icona o un idolo. Piuttosto metteteci le fotografie dei vostri figli. E prima di prendere una qualsiasi decisione guardateli negli occhi».
Fallisce attentato a Zelensky, la soffiata di Mosca svela lo spettro del golpe. Il Tempo l'01 marzo 2022.
Fallito l'attentato a Zelensky. E a fermare il commando ceceno sarebbero stati proprio i servizi segreti di Mosca che hanno passato la "soffiata" ai servizi ucraini. Lo ha detto il segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina Oleksiy Danilov citato dall’agenzia Unian.
«Siamo ben consapevoli dell’operazione speciale che avrebbe dovuto essere svolta direttamente dai kadyroviti (ceceni filorussi, ndr) per eliminare il nostro presidente. E posso dire che abbiamo ricevuto informazioni dall’Fsb, che non vuole prendere parte a questa sanguinosa guerra. Posso dire che il gruppo d’élite di Kadyrov che è venuto qui per eliminare il nostro presidente è stato neutralizzato». Lo ha detto il segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina Oleksiy Danilov citato dall’agenzia Unian.
Volodymir Zelensky ha già vinto la sua guerra. Il presidente ucraino grazie a un uso strategico dei social, da Twitter a Instagram e YouTube, è riuscito a compattare il suo popolo e a emergere come un leader internazionale. Dettando la sua agenda e mettendo in difficoltà la macchina di propaganda di Vladimir Putin. Rita Rapisardi su L'Espresso l'1 marzo 2022.
L’ultima uscita in ordine di tempo è stata la firma di richiesta per entrare nell’Unione Europea, con tanto di sfoggio del documento ed esultanza con i suoi. Se la guerra si combattesse sui social, Volodymir Zelensky avrebbe già vinto. E se fosse una sfida diretta con Putin, ancor di più.
Il presidente ucraino sta affrontando una guerra anche di immagine. Lo fa a suon di cuoricini, like e condivisioni che lo hanno portato nel giro di pochi giorni a racimolare seguaci in tutto il mondo. Il 20 febbraio il twitter di Zelenski contava 434mila follower, ora sono oltre quattro milioni. Decuplicati. Mentre su Instagram è passato da nove a tredici milioni.
Non è la prima battaglia combattuta nell’era dei social. Ma è la prima combattuta in un certo modo. Si pensi all’Isis o ai talebani che della comunicazione hanno fatto la loro arma di forza, soprattutto per inviare messaggi al nemico, impaurirlo, mostrare la propria forza. Qui è diverso, Zelensky aggrega, unisce il popolo ucraino e quello democratico tutto.
«L’impressione che ho è che Zelensky sia seguito da professionisti, soprattutto per una questione di tempo: ha un ritmo di condivisione alto e lo ha impresso di pari passo con il suo successo social - spiega Pietro Raffa, esperto di comunicazione – Si sta diversificando a livello di comunicazione digitale, su Twitter - luogo della diplomazia 2.0 - lancia messaggi scritti, su Instagram video e immagini, colpendo altre corde».
Con un passato da comico, la vena da intrattenitore sta tornando utile a Zelensky, che in ogni suo messaggio mantiene il pathos non risultando falso o pomposo. Anzi, la battuta pronta non gli manca, vittima anche il presidente del consiglio italiano: “La prossima volta cercherò di spostare l’agenda di guerra per parlare con Draghi”, aveva twittato Zelensky (poi il malinteso è stato risolto).
Zelensky è efficace proprio per questo: resta umano e ogni suo cinguettio diventa virale. Nella storia del presidente verità e finzione si fondano e mischiano. Zelenski ha già recitato il ruolo del presidente - lo ha fatto in una fiction, scritta da lui stesso - interpretando la vita di un professore sfaccendato e scocciato da una politica immobile e corrotta e che inaspettatamente vince la corsa alla presidenza Ucraina. Il titolo della serie, uscita nel 2015, è una sorta di premonizione dello Zelenky di oggi: Sluha Narodu, “il servitore del popolo” (anche il suo partito si chiama così).
«Prima della nostra epoca immaginare che gli attori potessero diventare presidenti o politici era impensabile. Non solo questo è stato legittimato, ma si nota che in queste figure dello spettacolo si compenetra molto l’affetto del pubblico e il sostegno che diventa politico-statale. In prospettiva può mostrare i suoi effetti: siamo sempre più tele o web spettatori e il consenso si gioca anche su quello», dice Davide Grasso, scrittore e insegnate. «Zelensky non è il primo che fa il salto, di compenetrare immagine e realtà, ma qui sta mettendo a rischio la sua vita, non è più spettacolo. Tutto assume una visione simbolica ed emotiva, al netto del giudizio politico su di lui», aggiunge Grasso.
Nella vita vera la campagna elettorale di Zelenski è una scalata proprio attraverso i social, soprattutto Instagram e Youtube, in cui rimane fuori dai confronti televisivi con gli avversari e tira dritto. Ma la sua ascesa - eletto nel 2019 con il 73 per cento dei voti e la maggioranza in Parlamento, come non si vedeva dai tempi dell’Urss - dura poco. Prima del conflitto Zelensky è in calo nei sondaggi, quel passato da comico-attore-finto presidente gli si ritorce contro. Il popolo non ride grazie a lui, ma di lui. Ma c’è un giorno specifico in cui questo cambia del tutto: «La battaglia è qui. Mi servono munizioni, non un passaggio», risponde agli americani che vogliono evacuarlo a due giorni dall’inizio degli scontri. Twitta la frase e i social esplodono. Zelenski si spoglia, toglie le vesti istituzionali, abbandona giacca e cravatta, e sposa un look militare. Maglietta e pantaloni cargo verde militare. La metamorfosi a “servitore del popolo” è completata.
«L’altra cosa in cui è bravo è il coinvolgimento di altre figure pari rispetto a lui. Sta utilizzando un mezzo a fini istituzionali, ma in modo orizzontale», aggiunge Raffa. Video selfie, foto selfie, Zelensky coinvolge il suo entourage, non lo lascia dall’altro capo del tavolo a sette metri di distanza come Putin. Vuole suggerire che è uno come tutti, un ucraino che combatte per la propria terra. Dall’altra parte il presidente russo mantiene la sua solita comunicazione, che si rifà alla propaganda classica dei dittatori del ‘900, ma anche alle figure di potere dei secoli. Dalle statue in marmo dalle fattezze migliorate, ai quadri a cavallo sul campo di battaglia, i regimi si fondano sulla figura dell’uomo forte: «Putin è classico, ma non noioso. Ha la sua identità precisa, pensiamo alle foto con l’orso. Fa vedere che è un uomo fortissimo, che ha in pugno la situazione. Incute timore anche al suo staff, come a dire: sono io quello che comanda», spiega Raffa.
E mentre Putin sta sul trono solo a dar ordini come gli zar a cui dice di ispirarsi nella sua politica imperiale e sembra non fidarsi neanche dei più stretti collaboratori, Zelensky fa rete: i suoi social fungono da hub comunicativo, solidificano alleanze. Tagga i maggiori rappresentanti delle istituzioni europee, crea disintermediazione: sono i media che corrono dietro a quello che dice. Finora di voci contrarie al presidente ucraino non se ne vedono e sembra aver vinto la missione “tutti dalla mia”: «In comunicazione si dice che il 20 percento delle persone produce l’80 percento dei contenuti - dice Raffa - Quindi non è detto che l’opinione che emerge sia quella più condivisa. Ma i putiniani, vediamo in questi giorni, stanno avendo più di una difficoltà».
Come raccontano le cronache dal campo in Ucraina, i consensi verso Zelensky sono unanimi: «Prima non l’avrei mai votato, ora è lui a unire l’Ucraina», dicono i civili. Zelensky si è fatto eroe patriottico contro le aspettative di molti, fino al sacrificio finale, se necessario. E se è vero che durante le difficoltà si fa cerchio intorno al leader, superando le antipatie e i dissensi precedenti, non sta avvenendo lo stesso con Putin, costretto a confrontarsi con le proteste in casa di chi rifiuta questa guerra. Intanto continua ad allungarsi la lista di immagini iconiche con protagonista Zelensky: l’ultima lo vede a pugno chiuso e sorriso fiero a chiusura del suo primo discorso in collegamento con il Parlamento europeo. Alla faccia di chi dava del nazista a un ebreo.
Zelensky dal bunker: «Europei, siamo come voi, non abbandonateci ora». Francesca Basso su Il Corriere della Sera l'1 marzo 2022.
Smagrito, con la barba, il leader ucraino parla all’Europarlamento in t-shirt militare. E in tanti si presentano in aula indossando i colori giallo e blu. Parla dal bunker in cui è nascosto a Kiev, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.T-shirt verde militare di chi è in guerra. Non deve averla mai indossata quando impersonava il presidente nella serie il «Servitore del popolo», perché nessuno sceneggiatore poteva immaginare che si sarebbe arrivati a questo. Alle sue spalle i colori bluette e giallo della bandiera ucraina, che ritornano nell’Aula del Parlamento europeo riunito in plenaria ad ascoltarlo. C’è chi li indossa per solidarietà, come la vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, e molti altri. E ci sono i cittadini ucraini, ammessi alla plenaria, con gli occhi lucidi che lo ascoltano. Parla a braccio Zelensky, perché «non siamo più nella fase dei discorsi scritti, nel mio Paese oggi vengono uccise delle persone, oggi diamo la nostra vita per la libertà: stiamo rinunciando alle persone migliori, alle più forti, alle più coraggiose». Poche ore più tardi si sentirà in dovere di spiegare all Cnn e alla Reuters, in un’intervista, che «è una situazione molto seria, non siamo in un film». «Io non sono una figura iconica, l’Ucraina lo è» insiste Zelensky, «l’Ucraina è il cuore dell’Europa, penso che l’Europa veda l’Ucraina come qualcosa di speciale per questo mondo. Ecco perché il mondo non può perdere questo qualcosa di speciale».Il discorso di Zelensky è un appello politico all’Unione europea . «Senza l’Ue l’Ucraina sarebbe sola: abbiamo dimostrato la nostra forza. Abbiamo dimostrato che siamo come voi. Mostrateci che siete al nostro fianco, che non ci abbandonerete, che siete veramente europei. Solo così, insieme, la vita vincerà contro la morte, la luce contro il buio».
Scandisce le parole, il volto stanco e provato di chi vive braccato e sa che potrebbe morire da un momento all’altro. Ma il cuore del discorso di Zelenky agli eurodeputati è che «stiamo combattendo per i nostri diritti e per la nostra libertà e ora lottiamo per la nostra sopravvivenza, ma vogliamo anche essere membri alla pari dell’Europa e credo che oggi stiamo mostrando a tutti quello che siamo, l’Ue sarà molto più forte con noi». Libertà ed Europa sono le parole che ripete più spesso, non è un discorso di eroi ma il racconto della resistenza di un’intera nazione invasa dalla Russia: «Gli ucraini sono incredibili, vinceremo contro tutti e supereremo tutto . È chiara la scelta europea dell’Ucraina, è questa la nostra direzione». Ma non basta. «Vorrei sentire da parte vostra che la scelta dell’Ucraina verso l’Europa viene incoraggiata», dice.
Ed è questo il filo rosso del suo discorso, il legame dell’Ucraina con l’Europa democratica, il sogno perseguito in questi anni trasformato in guerra. Zelensky incalza i leader e le coscienze. «Sono molto felice che abbiamo unito i Paesi dell’Ue ma non sapevo che questo sarebbe stato il prezzo da pagare: è una tragedia». Descrive il dramma dei bombardamenti, dei giovani «brillanti e intelligenti» che muoiono a Kharkiv nella piazza della Libertà colpita da due missili. Muoiono i più piccoli: «Ieri 16 bambini sono stati uccisi. E ancora Vladimir Putin dice che le sue operazioni puntano alle infrastrutture militari». Dirà più tardi nell’intervista che «è necessario almeno smettere di bombardare la popolazione, solo fermare i bombardamenti e poi sedersi al tavolo negoziale» ed esorta la Nato a imporre una no fly zone per fermare l’aviazione russa. Non sorride mai l’ex comico, solo alla fine, quando alza il pugno in segno di forza per poi aprire subito la mano e salutare. Scoppia un lunghissimo applauso.
Ieri il Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza a favore della concessione all’Ucraina dello status di Paese candidato all’adesione alla Ue. Ma non è una risoluzione vincolante. E nel suo discorso in plenaria la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha detto che «l’Ue e l’Ucraina sono già più vicine che mai. C’è ancora una lunga strada da percorrere. Dobbiamo porre fine a questa guerra. E dovremmo parlare dei prossimi passi».
Volodymyr Zelensky. Il senso di Zelensky per Twitter. Riccardo Luna su La Repubblica il 28 Febbraio 2022.
In questa epica resistenza ucraina colpisce il senso di Vladimir Zelensky per Twitter. La capacità di utilizzarlo per dare rapidamente informazioni essenziali, su tutte il fatto di essere ancora vivo e non in fuga mentre si diceva il contrario; o per galvanizzare i suoi concittadini quando l'avanzata russa ha improvvisamente rallentato; e per tenere relazioni diplomatiche, prima spronando l’Europa e gli Stati Uniti a fare di più, e poi rivelando gli impegni di aiuti concreti che sta ottenendo via via nelle telefonate con i vari leader. Il profilo Twitter di Zelensky, dove si alternano post in inglese e in ucraino, è stato fin qui essenziale per capire quello che stava accadendo. Ma più in generale si sta rivelando fondamentale ancora una volta Twitter.
Quando il gioco si fa duro, quando accadono cose davvero importanti, questo social network è imprescindibile. Da questo punto di vista invece l’invasione russa in Ucraina conferma il sostanziale declino di Facebook, che pure in passato ebbe un ruolo importante in occasione simili, per esempio nella primavera araba; e si evidenzia la scarsa permeabilità ai grandi fatti di cronaca di Instagram, utile solo per condividere delle foto; mentre su TikTok ci sono migliaia di video che raccontano momenti degli scontri armati, è vero, ma fondamentalmente sono video privi di contesto; li guardi, ascolti gli spari e le esplosioni, ma mancano le storie.. Quel contesto che invece su Twitter si ritrova seguendo i racconti minuto per minuto di due giornali di Kiev, ma anche il profilo del presidente della Russia, dove si dà conto asetticamente di incontri e telefonate di Putin. Su tutti svetta Zelensky che è lì che ci guarda negli occhi e ci parla, restituendo una umanità e una vicinanza a quello che sta accadendo. La posta in gioco non è lontana, ci ricorda, la posta in gioco siamo noi.
Ucraina, Zelensky "imbottito di antidolorifici". Il retroscena: trenta sicari russi pronti a ucciderlo. su Libero Quotidiano il 27 febbraio 2022.
Volodymyr Zelensky è il vero obiettivo della Russia di Vladimir Putin. Il presidente dell'Ucraina sarebbe infatti braccato da venti-trenta uomini, un commando addestrato e pronto a ucciderlo nella missione precisa "Killing Volo". A rivelarlo lo stesso diretto interessato sui social. "Secondo le informazioni che abbiamo, il nemico ha individuato me come il target numero 1 e la mia famiglia come il target numero 2 - ha detto su Instagram -. Vogliono distruggere politicamente l'Ucraina, distruggendone il capo dello Stato".
Eppure l'ex comico non ha alcuna intenzione di cedere. E, nonostante diverse voci lo danno giù fuori dal Paese, lui dice di combattere a fianco dei cittadini. Magari, spiega il Corriere della Sera, imbottito d'antidolorifici, per difendersi dall'emicrania che lo affligge quando la tensione è esagerata. Il presidente populista, in queste dure e intense ore, parla anche al suo popolo: "Più di centomila invasori sono sul nostro territorio»; «Il nostro esercito ha sventato un piano russo per insediare un nuovo governo filorusso. Il nostro esercito controlla Kiev e le città-chiave attorno alla capitale. Abbiamo disfatto il loro piano". E ancora: "L'Ucraina trionferà sulle forze russe. I nostri militari, la nostra Guardia nazionale, la nostra polizia nazionale, la nostra difesa territoriale, il servizio speciale, i cittadini ucraini, per favore continuate, vinceremo!". Questi i messaggi che Zelensky, costretto a parlare da un bunker e via cellulare, lancerebbe ogni mezz'ora.
Eppure, come detto prima, da parte russa arrivano le prime smentite: "Zelensky se n'è già andato da Kiev - dice il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin -, lo sanno tutti che è ormai a Leopoli. Venerdì non era più nella capitale ucraina e i video che pubblica sui social sono stati registrati in anticipo". Sarà davvero così?
Da liberoquotidiano.it il 27 Febbraio 2022.
Selvaggia Lucarelli "smaschera" Volodymyr Zelensky. La giornalista pubblica infatti un video del presidente russo che balla. Proprio così. "Quando mi direte 'zitta che fai Ballando con le stelle' - cinguetta - vi ricorderò che nel 2006 il presidente ucraino Zelenskyy non solo ha partecipato, ma ballava meglio di Samuel Peron. E infatti ha vinto. Dancing With the Stars”.
Nel filmato si vede Zelensky, ora alle prese con la guerra, scatenarsi sulla pista da ballo. D'altronde la sua verve artistica non è un mistero.
L'attuale presidente dell'Ucraina ha infatti esordito come attore e sceneggiatore nello studio cinematografico Kvartal 95 Club, diventandone poi nel 2003 direttore artistico. Nel 2011 è produttore generale del canale Inter TV, dal 2013 al 2019 è direttore artistico in Kvartal 95 Studio LLC.
Ciò che più incuriosisce è una sua parte nella serie televisiva Sluha Narodu (letteralmente, Servitore del popolo). Qui Zelensky veste proprio i panni del presidente.
L'esordio in politica arriva subito con il botto, quando il 21 aprile 2019 viene eletto presidente ucraino. Il suo obiettivo? "Portare al potere persone professionali e dignitose" e "cambiare l'umore e il timbro dell'establishment politico, il più possibile”.
Forse però non avrebbe mai pensato di affrontare uno dei momenti più delicati dell'Ucraina: l'invasione russa.
Estratto dell’articolo di Brunella Giovara per “la Repubblica” il 2 aprile 2022.
Olena Zelenska, first lady dell'Ucraina in guerra, target dei russi esattamente come il marito. Vive con i due figli in una località segreta, dove lavora all'organizzazione dei Convoy for life che espatriano i bambini, soprattutto quelli malati.
Lei ha scelto di restare in Ucraina, ma avrebbe potuto comodamente andare all'estero, al sicuro. Perché ha preso questa decisione?
«Perché adesso è questo il mio compito di first lady, e anche la mia vocazione. Mio marito è qui, io sto qui. Poi, tutti hanno il diritto di andarsene. Se non puoi aiutare nella resistenza, allora è meglio se te ne vai. I civili non devono diventare scudi umani, o vittime. E poi, se qui restano molti civili, risulta difficile per i militari proteggere le città.
Quindi è necessario che le famiglie, in particolare i bambini e gli anziani, lascino la zona di guerra. Meglio essere un rifugiato che morire».
[…] Lei è sposata dal 2003, ma da quando conosce suo marito?
«Ci siamo conosciuti a scuola, a Kryvyi Rih, la nostra città di origine. Siamo stati insieme fin dall'infanzia, ma abbiamo iniziato la nostra storia quando avevamo 18 anni». […]
Lei e suo marito siete nati quando c'era ancora l'Unione Sovietica. Cosa ricorda di quegli anni?
«Era il periodo dell'infanzia, quando i tuoi genitori sono ancora giovani e non ci sono problemi, ma solo feste con regali, viaggi d'estate al mare o sul fiume ma tutto questo non è legato all'Urss. Oggi i russi stanno facendo un ritorno al passato, che è una cosa senza senso. Quel Paese non esiste più, e non potrà esistere più. È finito tanto tempo fa. Con questa guerra, i russi hanno solo aumentato il divario tra noi e loro. Questa è la differenza; noi guardiamo al futuro, loro al passato». […]
[…] Cosa fa lei, in concreto?
«Sono concentrata sulla questione umanitaria. Stiamo evacuando bambini disabili e orfani, e i malati di cancro perché possano continuare le cure in Polonia e in Francia. Tutti i nostri ospedali si sono spostati nei rifugi, e come sa nell'oncologia non si può sbagliare, quindi abbiamo concordato che questi bambini devono essere curati all'estero. E lo facciamo perché così possiamo avvicinare l'Ucraina alla vittoria: salvando i nostri figli. È un lavoro che sto portando avanti con le first ladies di tutto il mondo, che voglio ringraziare. Stiamo conducendo una "guerra dell'informazione", spiegando che questa non è una "operazione speciale", ma un massacro, un omicidio collettivo». […]
La moglie di Zelensky, 'non possono uccidere i nostri figli'. ANSA il 22 marzo 2022. "Non lasceremo che il nemico uccida i nostri figli": lo dice Olena Zelenska, la moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, intervistata dal quotidiano francese Le Parisien. Nell'intervista racconta, in particolare, la sua lotta per organizzare l'evacuazione dei bimbi malati in Ucraina. Come si sente? "Come un essere umano che ha una guerra in casa", risponde lei, che da qualche giorno lavora ai cosiddetti 'convogli della vita', operazione di salvataggio senza precedenti realizzata in collaborazione con le Première dame di Francia e di Polonia. "Quando è diventato chiaro che diventava impossibile trattare i bambini malati di cancro nei rifugi anti bombe, abbiamo immediatamente cercato una soluzione" per trasferirli all'estero. "Alcuni - precisa Zelenska - resteranno in Polonia, altri vengono diretti in Francia, in Italia, in Germania, negli Stati Uniti, in Canada". Olga Zelenska spiega che "i bambini non vengono separati dai propri cari. E' un elemento importante del progetto. Altro principio chiave è che "vengono assistiti gratuitamente. Il cancro è una guerra personale per ogni famiglia coinvolta". Ora, osserva, "devono battersi su due fronti: con la malattia e con il contesto militare. E' una prova estremamente complessa, aggiunge citando il caso di Anya, 12 anni, di Kiev, che aveva solo pochi cicli di chemioterapia prima della fine del suo trattamento. La guerra le avrebbe impedito questa vittoria? Mai. Non possiamo permetterlo". Dall'inizio del conflitto abbiamo "inoltre oltre 4.000 bébé nati nei sotterranei, nella metro, nei rifugi anti bombe e a volte - conclude - nelle maternità bombardate come a Mariupol". (ANSA).
Christel Brigaudeau per Il “Corriere della Sera” il 23 marzo 2022.
È rimasta all'ombra del marito, dopo l'elezione di Volodymyr Zelensky, a capo dell'Ucraina, nel 2019. Dal 24 febbraio e dall'inizio della guerra, la first lady Olena Zelenska si è mobilitata per garantire corridoi umanitari alla popolazione e anche per evacuare i bambini malati di cancro verso i Paesi occidentali, tra cui la Francia, con aiuto di Brigitte Macron, la première dame francese. Un gruppo di giovani pazienti ucraini è atterrato lunedì a Orly per essere curato in territorio francese.
Come sta?
«Come un essere umano che ha una guerra in casa. Come ogni cittadino ucraino. Mi precipito sulle informazioni. Dove ha colpito il nemico stavolta? Ci sono vittime? Seguo le notizie da Mariupol, dove centinaia di migliaia di persone, compresi dei miei conoscenti, sono sottoterra senza contatti, senza elettricità, senza medicinali. Ecco il nuovo rituale di tutti i miei concittadini. Ogni giorno bisogna chiamare tutti i parenti. Sono vivi? Controllare i messaggi. Se appaiono come letti, si può ancora sperare che abbiano avuto un minimo accesso alla rete, che siano in vita. Ed è già una fortuna incredibile in guerra».
Da diversi giorni lei lavora con la première dame francese e quella polacca per organizzare l'evacuazione di bambini malati. Come si svolge questa operazione?
«Questi "convogli della vita" non hanno precedenti. È una vera e propria operazione di salvataggio. Quando è diventato chiaro che era impossibile curare i bambini malati di cancro nei rifugi anti-bomba, abbiamo immediatamente cercato una soluzione. Per prima cosa, i bambini di diverse zone del Paese, anche molto calde, vengono trasportati a Leopoli, al Western Ukrainian Specialized Children's Medical Centre.
Lì vengono visitati, le loro condizioni si stabilizzano, le cartelle cliniche sono ricostruite e tradotte in diverse lingue. In seguito, un hub in Polonia consente ai bambini di ricevere una diagnosi e un supporto medico. Dopo di che i giovani pazienti, col sostegno della comunità oncologica internazionale, vengono smistati. Alcuni restano in Polonia, altri vengono mandati in Francia, in Italia, in Germania, negli Stati Uniti, in Canada. Sono felice di aver potuto essere utile al progetto. In particolare, sono contenta che grazie al nostro accordo con la signora Macron abbiamo potuto portare piccoli pazienti in Francia».
Come sono i rapporti tra lei e Brigitte Macron?
«Oserei dire non solo calorosi, ma amichevoli. Una delle prime parole di conforto è arrivata da lei».
Come stanno i bambini? E i loro genitori?
«I bambini non si separano dai loro cari, è un elemento importante del progetto. Un altro principio chiave è che vengono assistiti gratuitamente. Il cancro è una guerra personale per ogni famiglia coinvolta. Devono battersi su due fronti, con la malattia e con il contesto militare. È una prova estremamente complessa. Prendiamo Anya, 12 anni, di Kiev: le mancava solo qualche seduta di chemioterapia per terminare il trattamento. La guerra poteva impedirle questa vittoria? Mai e poi mai. Non possiamo permetterlo!».
Qual è il bilancio dal 24 febbraio ad oggi dei bambini uccisi e feriti?
«Più di 109 bimbi sono stati uccisi e oltre 120 feriti (dati al 18 marzo ma ieri per Volodymyr Zelensky ne sono morti 117, mdr). Per me è difficile citare questi bilanci. È una tragedia personale per ogni ucraino».
Quanti bambini sono nati in Ucraina dall'inizio della guerra?
«Abbiamo avuto più di 4.000 nascite. Sono venuti al mondo nei sotterranei, nelle stazioni della metropolitana, nei rifugi anti-bomba.. talvolta nei reparti maternità bombardati: è successo a Mariupol, avete visto tutti le foto».
Mogli in trincea. Olena Zelenska, la first lady diventata influencer della resistenza ucraina. Marco Fattorini su L'Inkiesta l'8 Marzo 2022.
Anche lei non ha lasciato il Paese, ma combatte lanciando tweet e appelli social. Sempre defilata rispetto al marito, ha condiviso con lui l’avventura televisiva e poi quella politica. Adesso cerca di incoraggiare il suo popolo contro l’invasione russa e a sensibilizzare la comunità internazionale
L’obiettivo numero due del governo russo si chiama Olena Zelenska, ha 44 anni ed è la moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. È nascosta in una località segreta in Ucraina insieme con i suoi due figli Oleksandra e Kyrylo. Anche lei come il marito, su cui pende la condanna a morte di Putin, ha deciso di non lasciare il Paese: «Non cadrò nel panico né scoppierò a piangere, sono orgogliosa di vivere qui». Fino a poche settimane fa andava in tv a parlare di educazione alimentare e menù scolastici. Adesso, davanti a due milioni e mezzo di follower su Instagram, lancia un appello al giorno: «L’Ucraina non si arrende, stiamo combattendo anche per la pace dei vostri Paesi».
La resistenza passa anche dai social network. Lo sa bene Zelensky che dal suo bunker di Kiev ha fatto pressione sui leader occidentali con tweet e video, trascinando il mondo al fianco del suo Paese. Olena non è da meno. Certo non indossa la mimetica, ma i toni sono tutt’altro che felpati. «Gli invasori stanno uccidendo i bambini ucraini», scrive la First lady postando le foto delle giovani vittime. «Quando la Federazione russa dice che non colpisce i civili, mostrate loro queste immagini, fatele vedere anche alle mamme russe».
È lei l’influencer della resistenza, che empatizza e incoraggia. Zelenska chiede alla Nato una no fly zone per il suo Paese mentre invita le colleghe First ladies «ad alzare la voce» raccontando la verità sulla guerra e i crimini dei russi. Le scrivono da tutte le parti del mondo, la signora Erdoğan le ha pure dedicato un video. Olena risponde ringraziandola per i micidiali droni turchi Bayraktar «che ci aiutano a difenderci». Poi pubblica tutorial per i connazionali con informazioni utili in tempo di guerra perché «la consapevolezza salva le vite». Subito dopo loda il contributo delle donne ucraine in questi giorni terribili. Con loro c’è anche lei, a modo suo.
Pochi fronzoli e molti appelli che Olena non avrebbe mai pensato di fare. Almeno non ai tempi dell’università, quando ha conosciuto Volodymyr Zelensky. Ateneo di Kryvyi, 420 chilometri a sud di Kiev. Lui studiava legge, lei architettura. Niente uffici legali, nemmeno uno studio tecnico. Altre carriere, comunque intrecciate. Il presidente è diventato famoso facendo l’attore comico tra teatro e televisione, mentre la futura première dame era la sceneggiatrice di molti dei suoi sketch. Lui un talento sul palco, lei brillante nella scrittura. Hanno condiviso pure una casa di produzione, oltre all’esperienza de “Il servo del popolo”, la serie tv che ha consacrato Zelensky. La storia era quella di un placido professore di storia divenuto presidente per caso.
Alla fine è successo anche a loro. “Servo del popolo” è diventato il nome del partito che nel 2019 ha incoronato Zelensky alla guida del Paese. Olena era contraria alla discesa in campo del marito, almeno all’inizio. E ha vissuto con una certa ritrosia il salto dagli studi televisivi a Palazzo Mariinskij. Durante la campagna elettorale ha cominciato a frequentare i comizi di Zelensky, poi a curarne discorsi e guardaroba. Lei, invece, agli eventi pubblici indossa spesso abiti di designer ucraini per dar loro visibilità.
«Preferisco stare dietro le quinte», diceva nel 2019 a Vogue che le dedicò una copertina. «Mi sento più a mio agio nell’ombra, ma al momento opportuno so quando intervenire, in particolare per attirare l’attenzione del pubblico su questioni sociali importanti».
Discreta ma presente. Da First lady è diventata un’attivista a tempo pieno: dall’uguaglianza di genere alla diffusione della lingua ucraina nel mondo, passando per la lotta alle barriere architettoniche. Ma la battaglia a cui tiene di più è per l’educazione alimentare, soprattutto nelle scuole. Ha realizzato campagne insieme all’Unicef, portando il tema in tv e nei convegni internazionali. Ma anche dentro casa: «Ho insegnato a Volodymyr a mangiare sano e lui mi ha insegnato a fare fitness». Adesso è cambiato tutto, o forse no.
Più pragmatica che retorica, Zelenska combatte Putin e attacca i falsi corridoi umanitari: «Quanti altri bambini devono morire perché le truppe russe smettano di sparare?». La resistenza ucraina passa anche da Olena.
La lettera di Olena Zelenska ai media di tutto il mondo. Copyright 2019 The Associated Press. OLENA ZELENSKA su Il Domani il 09 marzo 2022
In risposta alle numerose richieste di intervista, la first lady dell’Ucraina ha scritto una lettera aperta in cui chiede al mondo di sostenere il suo paese invaso.
La lettera aperta scritta da Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Recentemente, molti media di tutto il mondo mi hanno contattato con richieste di interviste. Questa lettera è la mia risposta a queste richieste ed è la mia testimonianza dall'Ucraina.
Quello che è successo poco più di una settimana fa era impossibile da credere. Il nostro paese era pacifico; le nostre città, i paesi e i villaggi erano pieni di vita.
Il 24 febbraio, ci siamo tutti svegliati all'annuncio di un'invasione russa. I carri armati hanno attraversato il confine ucraino, gli aerei sono entrati nel nostro spazio aereo, i lanciamissili hanno circondato le nostre città.
Nonostante le rassicurazioni della propaganda sostenuta dal Cremlino, che la chiama “operazione speciale”, si tratta in realtà di un omicidio di massa di civili ucraini.
Forse l’aspetto più terrificante e devastante di questa invasione sono le vittime tra i bambini. Alice di otto anni che è morta per le strade di Okhtyrka mentre suo nonno cercava di proteggerla. O Polina di Kiev, che è morta nel bombardamento con i suoi genitori. Arseniy, 14 anni, è stato colpito alla testa dai rottami e non ha potuto essere salvato perché un'ambulanza non è riuscita a raggiungerlo in tempo a causa degli intensi incendi.
Mentre la Russia dice che «non sta facendo la guerra contro i civili», le rispondo con i nomi dei bambini assassinati.
Le nostre donne e i nostri bambini ora vivono in rifugi e scantinati. Molto probabilmente avete visto tutti le immagini delle stazioni della metropolitana di Kiev e Kharkiv, dove le persone dormono sul pavimento con i loro bambini e animali domestici, intrappolati sotto terra. Queste sono solo conseguenze della guerra per alcuni, per gli ucraini ora è una realtà orribile. In alcune città le famiglie non possono uscire dai rifugi per diversi giorni di seguito a causa dei bombardamenti indiscriminati e deliberati sulle infrastrutture civili.
I primi neonati della guerra, hanno visto il soffitto di cemento dello scantinato, il loro primo respiro è stato l'aria acre del sottosuolo, e sono stati accolti da una comunità intrappolata e terrorizzata. A questo punto, ci sono diverse decine di bambini che non hanno mai conosciuto la pace nella loro vita.
Questa guerra viene condotta contro la popolazione civile, e non solo attraverso i bombardamenti.
Alcune persone hanno bisogno di cure intensive e trattamenti continui, che ora non possono ricevere. Quanto è facile iniettarsi l'insulina in cantina? O ricevere le medicine per l'asma sotto il fuoco pesante? Per non parlare delle migliaia di malati di cancro il cui accesso essenziale alla chemioterapia e alla radioterapia è stato ora ritardato indefinitamente.
Le comunità locali sui social media sono piene di disperazione. Molte persone, tra cui gli anziani, i malati gravi e quelli con disabilità, sono stati tagliati fuori in modo debilitante, finendo lontano dalle loro famiglie e senza alcun sostegno. La guerra contro queste persone innocenti è un doppio crimine.
Le nostre strade sono inondate di rifugiati. Guardate negli occhi di queste donne e bambini stanchi che portano con sé il dolore e lo strazio di lasciare i propri cari e la vita che conoscevano. Gli uomini che li portano alle frontiere versando lacrime, ma che tornano coraggiosamente a combattere per la nostra libertà. Dopo tutto, nonostante tutto questo orrore, gli ucraini non si arrendono.
L'aggressore, Putin, pensava di scatenare una guerra lampo sull'Ucraina. Ma ha sottovalutato il nostro paese, il nostro popolo e il loro patriottismo. Gli ucraini, indipendentemente dalle opinioni politiche, dalla lingua madre, dalle credenze e dalle nazionalità, sono uniti in modo impareggiabile.
Mentre i propagandisti del Cremlino si vantavano che gli ucraini li avrebbero accolti con fiori come salvatori, sono stati respinti con le molotov.
Ringrazio i cittadini delle città attaccate, che si sono coordinati per aiutare i bisognosi. Quelli che continuano a lavorare - nelle farmacie, nei negozi, nei trasporti pubblici e nei servizi sociali - dimostrando che in Ucraina la vita vince.
Riconosco coloro che hanno fornito aiuti umanitari ai nostri cittadini e vi ringrazio per il vostro continuo sostegno. E ai nostri vicini che hanno generosamente aperto le loro frontiere per dare rifugio alle nostre donne e ai nostri bambini, grazie per averli tenuti al sicuro, quando l'aggressore ci ha reso incapaci di farlo.
A tutte le persone in tutto il mondo che si stanno radunando per sostenere l'Ucraina. Vi vediamo! Siamo qui a guardare e apprezziamo il vostro sostegno.
L’Ucraina vuole la pace. Ma l’Ucraina difenderà i suoi confini. Difende la sua identità. Non cederà mai.
Nelle città dove i bombardamenti persistono, dove la gente si trova sotto le macerie, incapace di uscire dagli scantinati per giorni, abbiamo bisogno di corridoi sicuri per gli aiuti umanitari e l'evacuazione dei civili in sicurezza. Abbiamo bisogno che chi ha il potere chiuda il nostro cielo!
Chiudete lo spazio aereo sopra l’Ucraina, e noi stessi gestiremo la guerra sul terreno.
Mi appello a voi, cari media: continuate a mostrare quello che sta succedendo qui e continuate a mostrare la verità. Nella guerra d'informazione condotta dalla Federazione russa, ogni prova è cruciale.
E con questa lettera, testimonio e dico al mondo: la guerra in Ucraina non è una guerra «da qualche parte là fuori». Questa è una guerra in Europa, vicino ai confini dell’Ue. L'Ucraina sta fermando la forza che domani potrebbe entrare aggressivamente nelle vostre città con il pretesto di salvare i civili.
La settimana scorsa per me e la mia gente questa sarebbe sembrata un’esagerazione, ma è la realtà in cui viviamo oggi. E non sappiamo quanto durerà. Se non fermiamo Putin, che minaccia di iniziare una guerra nucleare, non ci sarà un posto sicuro nel mondo per nessuno di noi.
Noi vinceremo. Grazie alla nostra unità. Unità verso l'amore per l’Ucraina. Gloria all’Ucraina!
OLENA ZELENSKA. Olena Volodymyrivna Zelenska è un'architetta e scrittrice ucraina, dal maggio 2019 First lady dell'Ucraina essendo la moglie del Presidente Volodymyr Zelensky
Volodymyr Zelensky e la moglie Olena, gli strani intrecci con l'oligarca Kolomoyski (nella lista nera degli Usa). Paola Natali Libero Quotidiano il 07 marzo 2022
Continua la nostra inchiesta iniziata il 2 marzo che parte dalla società San Tommaso Srl, azienda dove oggi compare, come amministratore unico, Svitlana Pishchanska.Il precedente amministratore era Ivan Bakanov. Due nomi che riportano a persone legate alla vita politica del Presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky.
Ivan Bakanov, consigliere del presidente, si occupa di sicurezza in Ucraina e Svitlana Pishchanska, sorella di Olga Pishchanska, nominata durante la presidenza di Zelensky Presidente del Comitato Antimonopolio dell'Ucraina. Bakanov acquisisce l'incarico di amministratore unico della San Tommaso Srl il 29 Luglio 2015, cinque giorni prima che venisse stipulato atto di cessione delle quote con il quale la società Aldorante Limited con sede a Cipro ha acquistato la San Tommaso srl. Tutto ruota quindi attorno ai capitali nella disponibilità della società cipriota Aldorante Limited. Azienda con capitale sociale di soli 2000 euro, suddiviso in 2000 azioni del valore di 1 euro ciascuna, attualmente tutte di proprietà della moglie di Zelensky, Olena Zelenska come dimostrano i documenti.
L'avvocato Francesco Keller, esperto di diritto societario ed internazionale, ci ha fornito i file che attestano la proprietà dell'Adorante Limited e di conseguenza della San Tommaso srl da parte della moglie di Zelenky. Nello specifico l'avvocato Keller, ci conferma che l'Aldorante Limited è stata costituita a Maggio 2012 da Irina Gavrilova Fasouli, cittadina cipriota che, dopo pochi giorni ha ceduto la società al Presidente Zelensky. Quest'ultimo l'11 settembre del 2012 ha condiviso la proprietà con la moglie Olena. Il Presidente Zelensky e la moglie sono rimasti comproprietari al 50% dell'Aldorante Limited fino al 19 aprile del 2019, giorno in cui il Presidente Zelensky ha ceduto il 50% delle azioni dell'Aldorante alla moglie Olena e si è dimesso dalla carica di amministratore.
Nomi ed intrecci in questa vicenda che riportano al Presidente Zelensky come quello dell'oligarca Ihor Kolomoyskyi, proprietario del canale televisivo, dove andava in onda la serie Servo del popolo. La messa in onda avviene a partire da ottobre 2015, dopo che nel marzo del 2015 lo stesso Kolomoyskyi era stato costretto a dimettersi da governatore della regione di Dnipropetrovsk, adiacente al Donbass. La figura di Kolomoyskyi è legata alla PrivatBank che ha fondato nei primi anni del 1990, diventata poi una delle principali banche in Ucraina e successivamente nel 2016 nazionalizzata dal governo dopo, essere stata dichiarata insolvente.
Nel dicembre 2017, l'Alta Corte di Londra stabilisce il congelamento di 2,5 miliardi di dollari dei beni di Kolomoyskyy e Boholyubov. Nel maggio del 2020 il sito BuzzFeed News dichiara che il nome di Kolomoisky è emerso al centro della saga dell'impeachment di Donald Trump e che il gran giurì degli Stati Uniti stava esaminando le finanze del magnate, sostenitore chiave del presidente Volodymyr Zelensky, in un'indagine che ha rintracciato il denaro dalla banca ucraina attraverso una serie di società offshore negli Stati Uniti.
A marzo del 2021 gli Usa, sotto la presidenza di Joe Biden, hanno inserito Kolomoisky nella lista nera con il divieto d'ingresso a lui ed alla sua famiglia negli Stati Uniti. Oggi l'ex avvocato di Ihor Kolomoysky, Andriy Bohdan, dirige l'Ufficio del Presidente Zelensky. I compiti principali svolti da Andriy Bohdan sono quelli di fornire assistenza legale, organizzativa, informativa al Presidente, nonché occuparsi dell'attuazione delle politiche interne ed estere dell'Ucraina. Oltre a questo Andriy Bohdan è il responsabile dell'organizzazione della comunicazione del Presidente Zelensky.
Stefano Piazza per “la Verità” il 3 marzo 2022.
Che fare il presidente dell'Ucraina fosse un mestiere difficile lo si sapeva, ma di certo quel 21 aprile 2019, giorno nel quale sconfisse il presidente in carica, Petro Poroshenko, con quasi il 73% dei suffragi contro il 25%, Volodymyr Zelensky, 44 anni, non si aspettava che le cose fossero così complicate. Attore, sceneggiatore e comico nato e cresciuto a Kryvyj Rih (Ucraina) in una famiglia d'origine ebraica e di madrelingua russa, si è laureato nel 2000 in giurisprudenza all'università economica nazionale di Kiev, ma non ha mai esercitato la professione perché, già nel 1997, lavorava come attore e sceneggiatore nello studio Kvartal 95 Club.
La vita di Zelensky cambia radicalmente nel 2015, quando interpreta il ruolo del presidente ucraino nella serie televisiva Sluha Narodu (Servitore del popolo) dove incarna la parte di Vasyl Holoborodk, insegnante di storia che diventa quasi per caso (un po' come accadrà a lui) un capo di Stato onesto e illuminato.
Il successo è clamoroso, la serie tv vincerà il World fest remi award (Usa, 2016), arriverà tra i primi quattro finalisti nella categoria dei film comici al Seoul international drama awards (Corea del Sud) e riceverà il premio Intermedia globe silver nella categoria serie tv di intrattenimento al World media film festival di Amburgo. A quel punto Zelensky decide di capitalizzare il successo di Sluha Narodu tanto che nel marzo 2018 presenta un suo partito personale chiamato proprio Servitore del popolo.
Poi, a sei mesi dalle elezioni presidenziali del 2019, Zelensky annuncia la sua candidatura, subito confortato dai favori del pubblico e dai sondaggi, nei quali vola. Così, nonostante non abbia alcuna esperienza in politica e non abbia amministrato nulla se non la sua piccola casa di produzione, grazie a una campagna elettorale nella quale il tema di fondo è lotta alla corruzione e al potere degli oligarchi, già al primo turno prende oltre 5,5 milioni di voti, nonostante i suoi avversari parlino di lui come di «un uomo totalmente inesperto» e di un «burattino filorusso».
Altri lo dipingono come un burattino di quegli oligarchi che lui diceva di voler combattere, uno su tutti quel Dimitri Gerasimenko, arrivato in Italia e in particolare a Cantù per ridare lustro alla squadra di basket locale. Ma che c'entrava l'ex attore diventato presidente con il magnate dell'acciaio che a Cantù farà solo disastri, tanto che lascerà la società nei guai nel 2019? A Cantù aveva sede l'immobiliare San Tommaso srl che dal 2015 era detenuta da una società cipriota, la Aldorante Limited, che aveva in dote come capitale sociale una lussuosa villa di 15 vani a Forte dei Marmi.
E chi era l'amministratore unico dell'immobiliare che «aveva in pancia» la villa? Secondo un pool di giornalisti d'inchiesta denominato Slidstvo, altri non era che l'ucraino Ivan Bakanov, amico, socio e coordinatore della campagna elettorale di Zelensky.E di chi era la società cipriota? Di Zelensky stesso, anche se dietro ai nomi e alle schermature societarie ci sono pochi dubbi che ci fosse il miliardario Igor Kolomoisky, già governatore di Dnipropetrovsk Oblast, che in tasca ha oltre a 1,36 miliardi di dollari di patrimonio (secondo Forbes) anche tre passaporti: ucraino, cipriota e israeliano. Il magnate, forte della sua enorme ricchezza, almeno dal 2015 si muoveva a tutto campo sullo scacchiere politico, tantoché ha mantenuto con la Russia di Putin rapporti intensi e a dir poco ambigui.
Sulla solidità del rapporto con il presidente ucraino ci sono pochi dubbi visto che Kolomoisky è anche proprietario della tv che trasmetteva la serie Sluha Narodu con la quale Zelensky è diventato una star prima e presidente poi. Sempre a proposito di ville da sogno, anche il presidente ucraino ne ha una, non a caso a Forte dei Marmi, zona amatissima dai miliardari russi, che ha acquistato nel 2019 e che è composta da 15 stanze, tra le quali sei camere da letto, piscina e giardino e che sarebbe stata pagata 4 milioni di euro, un fatto che ha fatto infuriare i suoi detrattori.
Per tornare al politico il bilancio fino a qualche giorno fa non era brillantissimo e le sue doti di showman sono servite solo a nascondere in parte le molte pecche. All'inizio partì molto bene con l'apertura dei mercati agricoli, l'ampliamento dei servizi digitali nel Paese e la costruzione di nuove strade -una vera fissa di Zelensky, che ha più volte dichiarato di voler essere ricordato «come il presidente che ha finalmente ne ha costruite di buone».
A parte questo, a tre anni dall'elezione si è visto poco di quanto aveva promesso; la sua campagna «deoligarchia» con la quale voleva porre fine allo strapotere dei milionari è rimasta solo su carta e lo stesso vale per la lotta alla corruzione, tanto che, secondo Transparency International, l'Ucraina resta il terzo Paese più corrotto d'Europa, preceduto da Russia e Azerbaigian. Tutte cose che hanno ammaccato la sua figura, tanto che il 62% degli ucraini fino a qualche giorno fa non voleva che si ricandidasse. Poi però sono arrivate le bombe di Vladimir Putin.
(Agenzia Nova) - 4 OTT 2021 - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i suoi soci avrebbero controllato una rete di compagnie offshore con base nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e Belize per gestire le attività nel ramo dello spettacolo e del cinema. E' quanto emerge dall'inchiesta di giornalismo investigativo Pandora Papers, che ha rivelato ricchezze nascoste di leader politici mondiali e imprenditori.
Anche Serhiy Shefir, attuale consigliere di Zelensky e vittima di un attentato nelle scorse settimane, è coinvolto nella vicenda: avrebbe acquistato proprietà immobiliari a Londra tramite le compagnie offshore. Nel 2019, alla vigilia delle elezioni in Ucraina, Zelensky ha ceduto le proprie quote a Shefir, ma i due avrebbero successivamente concluso un accordo che permetterebbe alla famiglia del capo dello Stato di continuare a ricevere fondi dalle società offshore.
L’attuale presidente ucraina ha portato avanti la propria campagna elettorale nel 2019 con il messaggio di “ripulire” il Paese. La rete di compagnie nei paradisi fiscali sarebbe stata messa su da Zelensky e dai suoi soci nella società di produzione televisiva Kvartal 95 già nel 2012.
Estratto da espresso.repubblica.it/ - 3 OTTOBRE 2021
Volodymyr Zelensky è presidente dell’Ucraina dal maggio 2019. Ex attore comico, è entrato in politica sfruttando il successo di un programma televisivo, in cui recitava il ruolo di presidente, e ha fondato un partito con lo stesso nome dello show, «Servitore del popolo». Ha vinto le elezioni dell’aprile 2019 promettendo di stroncare la corruzione che affligge da decenni il paese, dilaniato e impoverito dalla guerra civile che ha portato all’annessione russa della Crimea.
ZELENSKY. VILLE & CONTI OFFSHORE DEL COMICO-PRESIDENTE. ORA ANCHE OLIGARCA. Andrea Cinquegrani su La Voce delle Voci il 4 Marzo 2022.
Si presenta davanti ai microfoni di tutte le tivvù del mondo vestito come un profugo, il nuovo Eroe che finalmente l’Occidente ha trovato sul suo cammino, Volodymyr Zelensky, il Salvatore di tutte le Patrie.
Uno spuntato poco più di tre anni fa dal nulla, comico tivvù catapultato nell’agone politico e di colpo capo di Stato con questo programma: “portare al potere persone professionali e dignitose”, “cambiare davvero l’umore e il ruolo dell’establishment politico”.
Ottimo e abbondante, dall’Uomo Qualunque fino a Beppe Grillo.
IL PROVVEDIMENTO ANTI OLIGARCHI
Uno degli ultimi atti del suo esecutivo era diretto contro gli oligarchi. Così si chiamava infatti il disegno di legge approvato a giugno 2021 davanti alla ‘Verkhovna Rada’, il parlamento ucraino: “Prevenzione delle minacce alla sicurezza nazionale legate all’eccessiva influenza di persone di significativa importanza economica e politica nella vita pubblica”. Per rientrare nella categoria degli oligarchi – secondo il Zelensky pensiero – occorreva rispondere a tre criteri su quattro; ed i nomi dei Paperoni devono essere iscritti in un apposito registro.
Sorge spontanea la domanda: c’è scritto il nome di Zelensky in quel registro?
La forte curiosità nasce dopo la fresca notizia della villa da mille e una notte della famiglia Zelensky comprata a un tiro di schioppo da Forte dei Marmi – frazione di Vittoria Apuana – per quasi 4 milioni di euro, per la precisione 3 milioni 800 mila euro.
Sei camere da letto, quindici stanze, una bella piscina all’interno di un ampio giardino: il tutto acquisito attraverso una complessa operazione finanziaria, degna dell’oligarca più in forma. Primattrice una società cipriota intestata alla moglie, l’architetto Olena Kijasko, che di tutta evidenza avrà potuto mettere in campo tutta la sua tecnica coreografica.
Ma ecco entrare in scena – come nei copioni dei più accorsati finanzieri d’assalto – un’altra misteriosa sigla, ‘San Tommaso srl’. Con ogni probabilità a fini fiscali, come sospettò nel 2019, durante la campagna elettorale, il malizioso sito ‘Slidstvo.info’, che senza mezzi termini accusò il comico di non aver dichiarato l’operazione al fisco. Lui teatralmente si difese, sostenendo che gli attori non sono tenuti a dichiarare i beni posseduti dalle proprie società.
DA FORTE DEI MARMI A MIAMI
Ma a quanto pare la villa in Versilia è solo la punta dell’iceberg.
Sempre nella cornice della ‘Verkhovna Rada’, il deputato Ilya Kiva, che fa parte della Piattaforma di opposizione-Party for Life, ne ha raccontate delle belle.
Stando al suo documentato j’accuse, Zelensky ha messo al sicuro in Costa Rica, presso la ‘Dresdner Bank Lateinamerika’, 1 miliardo e 200 milioni di dollari ‘guadagnati’ durante i due anni e mezzo di presidenza. A quanto pare, si tratta di somme generosamente elargite al comico da tre oligarchi (arieccoci) ucraini: per la precisione Rinat Akhmetov, Viktor Pinchuk e Igor Kolomoisky. Kiva ha anche dettagliato meglio le ‘donazioni’: il rifornimento viene effettuato regolarmente in comode tranche che vanno dai 12 ai 35 milioni per operazione. Operazioni che passano attraverso svariati istituti di credito che vanno per la maggiore come ‘First Union Bank’, ‘Deutsche Bank’,’ Banque National de Paris’. Le autorità finanziarie e politiche tedesche e francesi, quindi, “non possono non sapere”, non possono non essere a conoscenza di tali ingenti movimenti di capitali.
Non è certo finita qui.
Perché la passione per le ville è talmente forte che il comico-presidente non ha potuto fare a meno di concedersi una magione altrettanto da mille e una notte a Miami, in Florida, forse per star più vicino al dear friend Joe Biden. Una bazzecola il prezzo d’acquisto: appena 34 milioni di dollari, un autentico saldo, per gli States.
E come non pensare all’adorata mogliettina? No problem, il presidente tuttofare vede e provvede. Ha infatti acquistato un set di gioielli per il valore di 5 milioni e mezzo di dollari.
AMICI MIEI
Arseniy Yatsenyuk
Ma anche la Corte (dei miracoli) va adeguatamente omaggiata. Secondo Kiva, infatti, “sempre presso la Dresdner Bank, il capo dell’ufficio del presidente, Andriy Yermak, ha conti per 56 milioni di dollari; Svyatlana Tikhanovskaya per 4,5 milioni di dollari, la maggior parte dei quali ha trasferito nel dicembre 2020 alla banca HSBC in Ufficio londinese. Anche Arseniy Yatsenyuk ha un conto nella filiale di Miami della banca Dresdner”.
Yatsenyuk ha ricoperto la carica di primo ministro dell’Ucraina dal 2014 (l’anno del golpe filo-occidentale) al 2016; mentre Tikhanovskaya è tra i leader più accesi dell’opposizione in Bielorussia.
Anche dai ‘Pandora Papers’ arrivano conferme sulla frenetica attività politico-finanziaria del comico-presidente.
Ivan Bakanov
Ad ottobre 2021, infatti, i Pandora Papers hanno rivelato che “Zelensky, il suo principale aiutante Sergey Shefir e il capo del servizio di sicurezza ucraino, Ivan Bakanov, gestivano una rete di società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize. Queste società includevano alcune che possedevano costose proprietà a Londra. Intorno al periodo della sua elezione nel 2019, Zelensky ha ceduto le sue azioni in una società offshore chiave a Shefir, ma i due hanno fatto in modo che la famiglia Zelensky continuasse a ricevere denaro da queste società”.
Può bastare?
Da affaritaliani.it il 15 marzo 2022.
Non solo gli oligarchi russi. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha un tesoro nascoso in Italia. Ne parla il Fatto Quotidiano, che spiega come si tratti di una "villa di lusso a Forte dei Marmi, nel centro balneare preferito dai russi che amano la Versilia.
Sei camere da letto, quindici stanze e una grande piscina nel giardino. L’acquisto portato a termine due anni fa, per 3,8 milioni di euro, da Volodymyr Zelensky non è l’unico bene detenuto all’estero dal presidente ucraino".
Non solo. Continua il Fatto: "Oltreconfine, in posti fiscalmente molto più vantaggiosi dell’Italia, l’uomo che Vladimir Putin ha individuato come nemico pubblico numero uno ha parecchie altre attività. O almeno le aveva, sicuramente fino a poco prima di essere eletto, nel 2019, a capo del Paese. Quattro società offshore, per la precisione, di cui solo tre dichiarate pubblicamente una volta eletto".
Per quanto riguarda il tesoro italiano, Il Fatto Quotidiano spiega che "la villa in Toscana di Zelensky sarebbe in affitto a 12 mila euro al mese, anche se qualcuno dice che la proprietà è stata messa in vendita. Più chiara la situazione delle fortune offshore dell’ex attore comico diventato leader politico dell’Ucraina.
Descritta per la prima volta nei dettagli nell’ottobre del 2021 dal consorzio di giornalismo investigativo Icij, l’architettura societaria messa in piedi da Zelensky è emersa grazie a una mole impressionante (2,9 terabyte) di documenti interni provenienti da 13 società specializzate nella creazione di società offshore".
Pino Nicotri per blitzquotidiano.it il 15 marzo 2022.
Zelensky, Volodymyr Oleksandrovyc Zelens’kyj, è stato eletto presidente in Ucraina nel 2019, sulla base di promesse riguardanti il raggiungimento della pace nel Donbass e la lotta contro la troppo diffusa corruzione.
Secondo un sondaggio realizzato poco prima dell’invasione dal Centro Ucraino per gli Studi Economici e Politici, il 55% degli ucraini riteneva che in questi campi Zelensky non avesse fatto abbastanza. (La cosa rendeva problematico il suo eventuale ricandidarsi alla presidenza della Repubblica).
E che in caso di guerra non sarebbe stato un comandante in capo affidabile.
Nell’ottobre dell’anno scorso, 2021, i cosiddetti Pandora Papers – opera di molti giornalisti compresi quelli ucraini di Slidstvo.info – hanno scoperchiato il classico vaso di Pandora rivelando al mondo i segreti e le acrobazie finanziarie nei paradisi fiscali di migliaia di personaggi importanti e spesso famosi.
Compresi oltre 300 politici di 90 diversi Paesi, tra i quali Zelensky. E’ emerso che l’attuale presidente dell’Ucraina possedeva azioni di una rete di società offshore nelle Isole Vergini Britanniche, Belize e Cipro.
Una di queste aziende era la District 95, la società di produzione e distribuzione di film e programmi tv grazie ai quali Zelensky è diventato famosissimo in Ucraina soprattutto come attore comico.
I suoi spettacoli, con testi scritti dalla moglie architetto, erano trasmessi da un canale televisivo di proprietà di Ihor Kolomoisky, il re del cioccolato ucraino. Nonché oligarca sanzionato negli Stati Uniti e nell’Unione Europea per presunta grande frode fiscale.
I Pandora Papers hanno rivelato che Zelensky …
i partner commerciali di Zelensky includevano due personaggi. Ivan Bakanov, attuale capo della SBU, la principale agenzia di intelligence ucraina impegnata spesso a indagare sui casi di corruzione. E l’amico Serhiy Shefir, amministratore delle società offshore e condivisore dei profitti con la moglie di Zelensky.
Nel marzo 2019, un mese prima del voto col quale è stato eletto presidente, Zelensky ha ceduto le sue azioni a Shefir. E dopo il successo elettorale lo ha nominato primo consigliere della presidenza.
Richiesto di spiegare come mai anche Zelensky avesse società in paradisi fiscali, dove si norma si ricorre per non pagare le tasse nel proprio Paese, Shefir si è difeso così: “Fareste meglio a chiedere ai nostri legislatori chi ha creato questa situazione, quando un business è costantemente minacciato da banditi che arrivano al potere. In quel momento, era molto importante difendere i nostri interessi”.
Il 22 settembre dell’anno scorso Shefir è sfuggito a un misterioso tentativo di omicidio per mano di un commando armato. Il suo autista è rimasto ferito.
“Per gli europei e per gli americani questo sembra super compromettente”, ha detto in quel periodo ad Al Jazeera il politologo e analista ucraino Mikhail Pogrebinsky. Laureato in Fisica e fondatore a Kiev del Centro di Studi Politici e di Conflitto (CPCC). Indipendente da qualunque forza politica, il Centro è apprezzato per le sue consulenze.
Zelensky come Jerry Lewis
Come spiegato bene da Free Press, tutto ciò aveva messo in crisi la popolarità di Zelensky. Che ora con la guerra è diventato di colpo un eroe. Grazie anche al fatto che, molto stranamente, i russi non hanno messo fuori uso la televisione e le telecomunicazioni ucraine.
Come che sia, l’ex attore comico diventato presidente surclassa di moltissimo il grandioso Jerry Lewis del film Re per una notte ). Nel film, realizzato nell’83 dal regista Martin Scorsese, il famosissimo attore comico Jerry Lewis interpreta un inatteso e sorprendente personaggio: che si riscatta drammaticamente mostrando una inaspettata e grande dignità.
Zelensky appena eletto disse che la sua totale inesperienza politica lo avrebbe aiutato a sradicare l’onnipresente corruzione. Sul piano concreto però non ci sono stati risultati: nessun corrotto è finito in galera. E il gruppo di giornalisti di Slidstvo.info per “aprire gli occhi all’Ucraina” ha realizzato il docu-film Offshore 95, titolo volutamente ripreso dal nome della società di Zelensky District 95.
Al presidente ucraino è capitato di guardare il docu-film il 4 ottobre scorso sul computer portatile di suo figlio. E ovviamente ha cominciato a temere per il suo futuro politico. Anche perché l’Ucraina nella lotta al Covid è rimasta ferma al solo 30% di popolazione vaccinata.
Zelensky, i fallimenti
Questi i FATTI. Che possono piacere o no, ma restano FATTI. Se adesso Zelensky riconosce alla Russia ciò che poteva riconoscere già da tempo evitando la tragedia della guerra, con annesso spargimento di sangue e distruzioni immani, gli ucraini potrebbero fargli fare una fine peggiore di quella di Janukovyc.
Sì, non basta essere “un uomo della strada” e un attore comico di successo per essere onestissimo, al di sopra di ogni sospetto e, soprattutto, un politico bravo e capace.
La cosa migliore sarebbe l’uscita di scena sia di Putin, che ha criminalmente dato inizio alla guerra, sia di Zelensky, che avrebbe potuto evitarla senza particolari problemi e rinunce.
E’ però possibile – se le tifoserie resteranno padrone del campo – che Putin resti in sella e mandi avanti la sua macchina da guerra. Fin dove non si sa, ma con conseguenze sempre più terribili per il mondo intero. Ed è possibile che Zelensky resti in sella anche più di lui se la NATO e l’UE, faranno davvero entrare di corsa il suo Paese nei propri consessi.
Andrea Minuz per “il Foglio” il 7 marzo 2022.
Non è certo la prima volta che un comico sfida un dittatore. E non è una novità l’attore che diventa presidente. Ma “Il grande dittatore” di Chaplin, o l’elezione di Reagan o anche l’irruzione di Trump, star dei reality-show, non raggiungono la sfrontatezza, la grandiosità, il surrealismo davvero epico e anche assai tragico della strampalata vicenda di Zelensky. Comico, sceneggiatore, regista, produttore, star della tv, voce dell’orsetto “Paddington”, vincitore della prima edizione di “Ballando con le stelle”, presidente dell’Ucraina prima per finta, poi sul serio, quindi catapultato dalla Storia nel ruolo dell’antagonista di Putin, e ora icona della resistenza, ispirazione per l’Europa e l’Occidente, indomito difensore di una civiltà assediata, come un eroe della Marvel: “Zelensky Infinity War”.
Nella parabola del “presidente venuto dal Cabaret” (copyright Giuliano Ferrara), nelle peripezie del leader che nell’ora più buia si rivolge a TikTok, c’è davvero tutto il nostro tempo.
Oltre il piccolo, scaltro comico che sfida la furia dello Zar, Zelensky è il figlio prediletto di un’epoca in cui la realtà e la cronaca danno lezioni di sceneggiatura ai film e alle serie tv. Nessuno sembra averlo capito meglio di lui. Di colpo, come diceva Michele Masneri, Zelensky “ha fatto invecchiare ‘Don’t Look Up’ come se fosse un film di Frank Capra”. L’invasione in Iraq di Bush padre fu il primo conflitto costruito in funzione delle immagini televisive, coi bombardamenti notturni e i bagliori verdi della contraerea trasmessi in diretta sulla Cnn.
Zelensky inaugura invece la guerra nell’epoca degli influencer e dei selfie. Come quelli che si fa col ministro della Difesa, Reznikov, o con cui s’immortala tra le strade e i monumenti di Kyiv per tenere alto il morale degli ucraini. Icona pop, esempio di coraggio indomito, ma anche esibizionista, come ogni attore che si rispetti, Zelensky è la nostra “new hope”. Un “eroe ebreo”, specificava un articolo uscito sull’Atlantic qualche giorno fa (“How Zelensky Gave the World a Jewish Hero”), un guerriero della Torah, il vendicatore degli ebrei ucraini di Babyn Yar e dell’Europa dell’est.
Mentre è il bersaglio numero uno dell’“armata Wagner”, gli spietati e famigerati mercenari russi al soldo di Putin che gli danno la caccia, Zelensky tiene banco sulle copertine di Time e Vanity Fair e in un numero incalcolabile di meme, mash-up e recut sui social, dove la sua guerra infondo l’ha già vinta.
Per raccontare Zelensky e questo ipnotico détournement della realtà e della finzione bisogna partire dal suo account Instagram, “zelensky_official”, che apre all’inizio del 2017. Zelensky è già famoso. Ha trionfato a “Ballando con le stelle”, ha recitato in varie commedie romantiche di successo, da un paio d’anni è l’idolo di “Servo del popolo”, la serie in cui diventa presidente dell’Ucraina grazie a un video virale in cui se la prende con la casta, e che ora conosciamo tutti anche se non l’abbiamo mai vista (col format “comico-contro-la-casta” abbiamo già dato, non risfideremo la sorte solo perché agli ucraini è andata così bene).
A vedere tutte insieme le sue foto su Instagram, scorrendole dalla prima all’ultima, siamo già dentro una drammaturgia perfetta: all’inizio c’è la celebrity spensierata e sbruffona che si diverte sul set, in vacanza con gli amici, che si allena in palestra e cazzeggia come tutti noi. Poi, all’improvviso, una parata di Zelensky serio e impettito, sempre in completo scuro.
Ora è il presidente dell’Ucraina che inaugura eventi, tiene discorsi, incontra i leader di tutto il mondo (per la gioia del complotto giudaico-massonico c’è anche una foto con Mark Zuckerberg). Poi il terzo atto. Una valanga in tenuta militare. Stanco, provato, con le occhiaie, ma grintoso. Zelensky nelle strade, nei bunker, nel suo studio. Zelensky che sfida a viso aperto il cattivissimo leader del Cremlino, sprona e rimprovera europei e americani, guida la resistenza. Le sue parole diventano subito motti, slogan, hashtag. Finale aperto. Quel che è certo è che il ruolo sembra cucito su misura per lui.
Zelensky conosce la parte. Ogni trama sembra rimandare al “grande disegno”. Persino “Paddington”, l’orsetto animato cui ha prestato la voce, è in tutte le case con bambini il vero competitor di “Masha & Orso”, cartone animato di sfrontata propaganda putiniana, tutto giocato sulla nostalgia per la grande Unione sovietica (lo diceva anche il Times in tempi non sospetti, paragonando la piccola Masha a una guardia di frontiera russa e la sua difesa di un campo di carote alla politica di difesa dei confini russi).
L’orsetto Paddington, creatura inglese e liberale, viene invece fuori dalla penna di Michael Bond, scrittore che prestò servizio nella Royal Air Force e nel 1958 pubblicò il primo volume della saga, “A bear called Paddington”. Bond diceva di essersi ispirato ai “Kindertransport”, l’operazione con cui l’Inghilterra accoglieva i bambini ebrei fuggiti dall’Europa occupata dai nazisti, attraverso un corridoio umanitario.
Ogni bambino aveva il nome cucito sulla giacca e un bagaglio, proprio come Paddington, che arriva a Londra in fuga dal Perù, con una targhetta sul cappotto e una valigetta in mano. La propaganda di “Masha & Orso” è però più capillare, come quella russa, appoggiata dalla grande distribuzione e da tutti i giocattolai pro-Putin (mentre “Paddington” nei negozi non si trova mai, l’ho dovuto ordinare su Amazon Uk).
In una vicenda in cui i rimandi tra trame e sottotrame si perdono in un gioco di specchi sempre più ingovernabile (c’è anche la serie Netflix, “Occupied”, con la Norvegia invasa dai russi e l’Europa che tentenna), stupisce che tra un Gogol’ e un Babel’ e un Puškin e un Bulkakov e un Dostoevskij, nessuno abbia tirato fuori il Lubitsch di “To be or not to be”.
Uscito giusto giusto ottant’anni fa, distribuito in italiano col pessimo titolo di “Vogliamo vivere!”, facendo cadere il pregevole riferimento shakespeariano, “To be or not to be”, appartiene alla cerchia dei grandi capolavori del Lubitsch americano, e alla rara specie di opere cinematografiche capaci di superare il proprio tempo.
Saccheggiato prima da Tarantino per “Inglorious Basterds” e ora dalla cronaca, “To be or not to be” ha molto da insegnarci sul coraggio travolgente di Zelensky, sui comici, il pacifismo, la guerra, l’esorcismo dell’umorismo ebraico, la finzione che diventa più vera del vero. Lubitsch iniziò a lavorare al film quando Hitler sembrava invincibile in Europa.
L’idea gli fu suggerita da Alexander Korda, regista e produttore ungherese trasferito a Hollywood e poi a Londra. Dopo aver visto al cinema, “Il Grande dittatore” di Chaplin, Korda pensò che quella fosse materia perfetta per il “Lubitsch touch”. E Lubitsch, del resto, aveva appena sbeffeggiato il comunismo con “Ninotchka” (“portare le valige degli altri non è un mestiere, è un’ingiustizia sociale!”, dice la Garbo arrivata alla stazione di Parigi da Mosca, “dipende dalla mancia”, risponde il facchino).
“To be or not to be” nasce così come film “interventista” nel quadro della propaganda anti-nazista americana, ma non è l’ennesima spy story drammatica (oggi quasi tutte dimenticate). Ebreo berlinese, di origini russe da parte paterna, Lubitsch è scosso dalla guerra e dalla marcia trionfale di Hitler, ma è pur sempre il maestro della commedia sofisticata. La satira del nazismo, o meglio la “black-comedy” che ha in mente (categoria praticamente inventata da lui) è diametralmente opposta alla beffa del “Grande dittatore”.
“To be or not to be” non è un film sulla pace, l’uguaglianza e la fratellanza tra i popoli che risuonano nello struggente monologo finale di Chaplin, ma una commedia che tra una risata e l’altra invita a schierarsi, a prendere posizione in favore delle democrazie liberali: “Odio e ancora odio è la risposta all’invasione nazista…‘V’ for Victory…abbasso il nazismo…abbasso Hitler!”.
Anche Zelensky oggi non sembra molto interessato alla linea Chaplin-“Imagine” (appelli, arcobaleni, fiaccolate, marce per la pace e flash-mob “contro tutte le guerre”, senza distinzioni, per essere inclusivi), ma chiede armi, supporto, aiuti concreti per difendersi dall’invasore. In “To be or not to be”, una compagnia di attori polacchi deve mettere in scena una commedia antinazista.
All’inizio assistiamo alle prove di questa farsa strampalata, con l’attore conciato da Hitler che entra in scena dicendo “Heil Myself!”, o Carole Lombard che si presenta in abito di lamé assai scollato sulla schiena, per interpretare la prigioniera di un campo di concentramento (“così risalteranno meglio le frustate”). Si decide di rinviare lo spettacolo, Hitler potrebbe offendersi, meglio ripiegare sull’“Amleto”.
La precauzione si rivela però inutile: gli eventi precipitano, la Polonia è invasa, la finzione del teatro sconfina nella realtà delle macerie di Varsavia (“i nazisti hanno messo in piedi uno spettacolo più grosso del nostro”). Gli attori di Lubitsch si trasformeranno così, loro malgrado, in eroi della resistenza polacca, senza per altro mai smettere di essere attori. Combattono e sabotano il nemico sfoderando tutto il loro repertorio di finzioni sceniche: barbe finte, travestimenti, barzellette, grande freddezza, senso e capacità d’improvvisazione. Il film diventa un torrente di gag, doppi sensi, equivoci che si rincorrono a ritmo forsennato, fino all’incontro fatale con il vero Hitler, ovviamente in un teatro.
“To be or not to be” riesce nel prodigio di tenere insieme l’humor ebraico e la propaganda interventista, lo smontaggio del nazismo e l’amore per Shakespeare, ma col suggeritore nella buca del teatro che sussurra “To be or not to be” all’attore che s’appresta al celeberrimo monologo. Lubitsch, che era stato attore per Max Reinhardt a Berlino, si fa beffa del narcisismo dei commedianti, dei loro capricci bambineschi, della boria di chi vive in funzione dell’applauso e dei riflettori, ma li trasforma anche in figure indispensabili, persino in mezzo a una guerra, e anzi straordinariamente adatte a tenere testa ai nazisti proprio in quanto attori.
Dopo la vittoria alle elezioni nel 2019, sul New Yorker uscì un ritratto di Zelensky che sottolineava l’importanza del suo bagaglio artistico. “Ciò che lo spettatore ama in un attore, questo sentimento di umanità, naturalmente lo uso”, diceva Zelensky, “e questo è molto facile da fare, perché io rimango me stesso”. “La politica è come il cattivo cinema: la gente recita troppo, si spinge troppo in là. Quando parlo con i politici, lo vedo nelle loro espressioni facciali, nei loro occhi, nel modo in cui strizzano gli occhi. Guardo le cose come un produttore”. Ecco perché oggi chiede a Putin di sedersi con lui al tavolo, uno di fronte all’altro, “non a trenta metri, come hai fatto con Macron e Scholz”.
C’è il coraggio del leader che sta difendendo il suo paese con le unghie e coi denti. E c’è il talento, il mestiere, l’astuzia, la freddezza dell’attore che prova a portare il gioco dalle sue parti. Proprio come gli eroi di Lubitsch, Zelensky usa il suo repertorio d’attore per tenere testa al nemico, e lo fa anzitutto sui social, il nostro palcoscenico. Nessuno oggi se la sentirebbe di sminuire il suo passato di uomo di spettacolo, ballerino, attore, gagman, e anzi questa scia “pop” e assai leggera che si porta dietro è un punto di merito e di forza.
Alla sua uscita, nel 1942, con le sorti del conflitto assai incerte, “To be or not to be” fu invece accolto con freddezza, ignorato, o stroncato in nome di una “leggerezza scandalosa” e del “cattivo gusto” di scherzare sulla resistenza polacca affidandola a un manipolo di attori. Qualche anno dopo, rivendicando il primato della commedia sul dramma, e l’idea che “non si sputa mai sopra a una risata”, come dice uno dei personaggi di “To be or not to be”, Lubitsch scrisse una lettera in difesa del film.
“‘To be or not to be’ ha suscitato una serie di polemiche, e a mio avviso è stato ingiustamente attaccato. Il film non si prendeva affatto gioco della resistenza polacca: era solo una satira del teatro e del nazismo, dei metodi e della follia del nazismo.
Per quanto ironica, sospetto che questa immagine del nazismo fosse più vera di quella che ci viene mostrata in tanti romanzi, racconti, film, dove i tedeschi appaiono tutti tesi a combattere e resistere finché possono. Io non ci ho mai creduto. E mi pare sia ormai sufficientemente provato che un vero spirito di resistenza fra i tedeschi non ci è mai stato”. Lubitsch inviò la lettera al critico Herman Winberg nel 1947, l’anno in cui morirà, dopo che la rivista inglese “Sight and Sound” gli aveva dedicato uno speciale, definendolo peraltro un regista ormai al tramonto.
Zelensky contro Putin. La metamorfosi di un presidente ex comico ora leader della resistenza ucraina. Matteo Castellucci su L'Inkiesta il 28 Febbraio 2022.
Eletto nel 2019 con una campagna populista in cui si dipingeva come «servitore del popolo», negli ultimi giorni ha mostrato un coraggio e un’autorevolezza su cui non avrebbero scommesso neppure nella sua cerchia di fedelissimi.
«Mi viene chiesto molto spesso cosa sono pronto a fare per fermare la guerra. È una domanda strana. Cosa siete disposti a fare voi, ucraini, per le vite dei vostri cari? Vi assicuro che sono pronto a fare qualsiasi cosa perché i nostri eroi smettano di morire. Non ho certo paura delle decisioni difficili, sono disposto a perdere la mia popolarità e, se servisse, anche questo incarico, senza esitazioni, per la pace. Ma non rinuncerò mai ai nostri territori». Così parlò Zelensky. Non nelle ore dell’invasione russa, ma nel suo discorso di insediamento. Era il 20 maggio 2019. Il conflitto in corso era, ed è, quello nel Donbass.
Il virgolettato non sembra scaduto, ma oggi i fronti aperti sono tre. Kiev è accerchiata. Il governo distribuisce alla popolazione fucili e volantini con le istruzioni per confezionare le molotov. E lui, Volodymyr Zelensky, non è più solo l’ex comico diventato presidente, a metà tra una storia da film, gli scherzi del destino e il populismo che trasloca dagli studi televisivi ai palazzi di governo. È il leader di un Paese in guerra. A 44 anni, quaranta dei quali vissuti come attore, è stato costretto dal fuoco nemico a evolversi. Da istrione dell’antipolitica a statista.
L’opinione pubblica mondiale – e soprattutto americana – ha scoperto l’esistenza di Zelensky nell’estate di quell’anno, quando s’è trovato suo malgrado al centro di un ricatto telefonico di Donald Trump. Il presidente poneva come condizione per l’invio di armi l’apertura di indagini sugli affari in Ucraina del figlio di Joe Biden, all’epoca suo rivale democratico. Lo scandalo, noto come «Ucrainagate», sarebbe costato al tycoon una procedura di impeachment, bocciata dal Senato americano.
Il «servitore del popolo», dal nome del suo partito – ma soprattutto della serie che l’ha consacrato – era stato accostato anche a Trump, per la carica populista e la stessa ascesa, letta con scherno dagli avversari, cominciata come star della televisione.
Alle urne, Zelensky ha fatto meglio del suo personaggio, con un 73,2% plebiscitario. Ha cercato una specie di terza via tra un Occidente percepito come corrotto e l’invadenza di Mosca, convinto che la sorte del suo Paese non fosse quella di «sorella minore della Russia».
In quel primo discorso, quasi a tracciare un parallelismo, citava Ronald Reagan come «un attore americano che è diventato un presidente cool». L’«impero del male» oggi è quello del Cremlino. Con Vladimir Putin, Zelensky ha inizialmente cercato di dialogare. Ci ha provato, invano, anche nelle settimane dell’escalation. È stato eletto sulla promessa di riportare la pace, con voti cospicui dal sud e dall’est della nazione, le aree più esposte all’espansionismo russo, perché confinanti con la Crimea annessa dallo «zar» e con le auto-proclamate repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk.
In una prima fase, ci sono stati scambi di prigionieri. È sembrato che potessero funzionare gli accordi di «Minsk II»: il protocollo mai rispettato nemmeno da Mosca prevedeva più autonomia e l’autodeterminazione linguistica per i secessionisti, ma pure il ritiro delle truppe straniere e delle armi pesanti. Il conflitto nel Donbass non si è mai spento, a partire dall’aprile 2014 ha causato più di 14mila caduti, tra cui 3mila civili, e un milione di sfollati interni. Numeri che ora andranno aggiornati con quelli dell’aggressione del 24 febbraio 2022.
Rispetto agli esordi, Zelensky si è spostato verso l’Unione europea e la Nato, aumentando le frizioni con il Cremlino. Il presidente è seguito, in questo, dalla popolazione: negli ultimi sondaggi, la maggioranza degli ucraini sarebbe a favore dell’ingresso in queste due organizzazioni, rispettivamente con il 58% e il 54%, se si tenesse un referendum ormai impensabile. La «colpa» che stanno pagando a Kiev è quella di voler assomigliare e di volersi avvicinare all’Occidente. Da cui si sentono, non a torto, traditi.
La traiettoria politica di Zelensky non è stata immune da ombre. Il trionfo si è basato su una retorica anti-oligarchi e sull’impegno a smantellare la corruzione endemica. Erano già noti i legami del comico con Ihor Kolomoisky, il magnate dei media che oltre a produrre i suoi show ne ha sostenuto la campagna elettorale. Il suo nome è comparso nei «Pandora Papers», i documenti sui patrimoni nascosti all’estero dei potenti, per una rete di compagnie offshore, ma il presidente ha negato che la sua società di produzione, la Kvartal 95, fosse coinvolta nel presunto riciclaggio di denaro.
Per quanto riguarda la limitazione dello strapotere degli oligarchi, però, Zelensky ha mantenuto le promesse, con una legislazione mirata contro alcuni dei più influenti, tra cui Viktor Medvedchuk, il capo dell’opposizione filorussa messo agli arresti domiciliari. Tra le misure, il divieto di finanziare i partiti politici. Insomma, un processo di riposizionamento, se non di crescita politica, era in corso già prima della crisi geopolitica di inizio 2022.
Zelensky ha commesso anche degli errori. Come invitare alla prudenza quando l’amministrazione americana avvertiva che l’invasione russa era imminente. Ma i suoi ultimi discorsi alla nazione e quello pronunciato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, con il monito a evitare l’«appeasement» con Putin, gli hanno conferito un’autorevolezza su cui non avrebbero scommesso forse neppure nel suo inner circle.
L’Ucraina si è stretta intorno al suo presidente, ai suoi tweet e ai suoi video su Instagram in tenuta militare. Ha dimostrato che c’era già, ed era solido, quell’orgoglio che Zelensky puntava a cementare con l’istituzione di una giornata di unità nazionale il 16 febbraio.
«Siete indomabili, siete ucraini», ha detto il leader sugli schermi dei cellulari nei bunker. È nascosto pure lui nella capitale, anche per sottrarsi a un possibile assassinio su mandato del Cremlino. Ma non ha lasciato il Paese. Finora, si è comportato da leader. «Non è stato lui a scegliere di combattere – ha riconosciuto l’analista Maria Zolkina, intervistata dal New York Times –, ma da quando l’intelligence ha capito che forma avrebbe preso l’attacco si è comportato esattamente come un presidente dovrebbe fare in tempo di guerra».
Non aveva trascorsi di governo, figuriamoci esperienza bellica. Circondato dagli amici dei tempi del successo televisivo, Zelensky si è comunque fidato degli apparati statali della Difesa. È stato al potere troppo poco per rodare le formule della diplomazia, come forse dimostra l’incomprensione con Mario Draghi. Alla Camera il premier ha espresso commozione e solidarietà per una telefonata saltata a causa della situazione a Kiev. L’uomo meno invidiato d’Europa gli ha risposto piccato su Twitter, salvo poi chiarirsi qualche ora dopo.
Zelensky usa lo smartphone con lo stesso stile della sua vita precedente. Dieci milioni di follower su Instagram sono un pacchetto di mischia che si sognano molti capi di Stato, pur nel cortocircuito di una storia con taggato il regista Sean Penn (a Kiev per un documentario) e dentro una nazione in armi che sui social condivide meme contro la Russia, rovesciando la propaganda del Cremlino. Tempi di guerra ibrida. Almeno quella su internet l’ha vinta l’Ucraina.
Genitori ebrei, suo nonno aveva servito nell’Armata rossa durante la Seconda guerra mondiale. Eppure il delirio di Putin gli rinfaccia un «nazismo» inesistente, quando è la sua aggressione a ricordare quella spirale di eventi, con l’Ucraina sacrificata come la Cecoslovacchia.
Zelensky parla in russo quando vuole rivolgersi ai cittadini della superpotenza vicina. Lo ha fatto negli appelli di queste ore e per ringraziare chi ha manifestato, spesso pagando quel dissenso con l’arresto.
Aveva alternato il russo all’ucraino anche nel primo discorso al Paese. «Nella mia vita, ho fatto del mio meglio per farvi ridere – aveva detto – sentivo che non era solo il mio lavoro, era la mia missione. Nei prossimi cinque anni, farò di tutto per non farvi piangere». Aveva indicato un modello inusuale: «Ricordate la nazionale di calcio islandese agli europei del 2016, quando un dentista, un dirigente, un pilota, uno studente e un bidello hanno combattuto per la dignità della loro nazione?».
Ci sono sicuramente anche dentisti, dirigenti, piloti, studenti e bidelli tra i cittadini a cui oggi viene messo in mano un fucile per l’ultima, eroica resistenza di Kiev.
Vladimir Putin, Marcello Sorgi: "Il traditore che gli permetterà di catturare Zelensky", golpe in Ucraina. Libero Quotidiano il 25 febbraio 2022
Marcello Sorgi, ospite di Myrta Merlino a L'aria che tira, su La7, nella puntata di oggi 25 febbraio, avverte che "l'operazione militare russa era programmata fin nei dettagli, perché riuscire ad arrivare in un giorno e mezzo a Kiev vuole dire che stasera la città sarà conquistata". E adesso, avverte l'editorialista de La Stampa, "ci sarà una caccia all'uomo spietata nei confronti di Zelensky".
Il presidente ucraino, prosegue Marcello Sorgi, "nel frattempo è sparito ma non sappiamo quanto riuscirà a restare nascosto. Anche perché in questi casi la caccia all'uomo si fa con soldi, opere di convincimento, eccetera". Dunque, "si cercherà un traditore che porti le truppe russe a catturare Zelensky".
Per quanto riguarda, invece, il commosso e difficilissimo discorso di Mario Draghi sulla guerra Russia-Ucraina: 'Ho trovato molto molto drammatico non solo nella descrizione di quello che è accaduto ieri ma di quello che ci aspetta, come le nostre nonne ci raccontavano dei tempi di guerra. Ci han parlato di un Paese in crisi energetica. Noi non abbiamo mai sentito queste cose. Quello che Draghi ci ha detto stamattina è che tra tre giorni si ripresenta per dirci che cosa hanno deciso di fare".
Ucraina, Volodymyr Zelensky rifiuta l'offerta Usa di fuggire: "Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio". Libero Quotidiano il 26 febbraio 2022.
"Mi servono munizioni, non un passaggio per andare via". Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha risposto ai diplomatici americani che gli offrivano la possibilità di lasciare Kiev e l'Ucraina e mettersi in salvo. Il presidente, ex comico di successo, guida la resistenza contro i carri armati russi che da qualche ora assediano la Capitale. Nella notte tra venerdì e sabato, all'inizio del terzo giorno di combattimenti dall'inizio dell'invasione del Paese, il presidente aveva registrato un nuovo video, sempre in mimetica, annunciando che nelle ore successive si sarebbe deciso il futuro di Kiev e dell'Ucraina.
"La battaglia è qui", ha ripetuto Zelensky, che si sarebbe detto ottimista sulle possibilità di mantenere il controllo della città. In precedenza, il Washington Post ha fatto sapere che gli Stati Uniti sarebbero pronti a evacuare Zelensky dall'Ucraina per evitare che venga catturato o ucciso dalle forze d'invasione russe. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, nel briefing con la stampa di ieri sera ha affermato che l'amministrazione presidenziale è in contatto con Zelensky e "sta lavorando per fornirgli una serie di supporto". "Siamo consapevoli di dove si trova. E siamo in contatto con lui", ha detto Psaki. Alla domanda se le truppe statunitensi sarebbero state impiegate in una missione di salvataggio per trasferire il presidente Zelensky fuori dal paese, Psaki ha risposto nuovamente senza fornire particolare dettagli: "Siamo in contatto con il presidente Zelensky, che è un partner importante. Lo sosteniamo".
All'alba, dopo un messaggio registrato alle 23.30 di venerdì, Zelensky ha pubblicato un nuovo video sul suo profilo Twitter che lo ritrae mentre cammina per le strade di Kiev. "Ci sono molte informazioni false online secondo cui avrei chiesto al nostro esercito di deporre le armi", ha detto Zelensky, girando il video di fronte alla Casa delle Chimere, uno degli edifici caratteristici situati nel centro della capitale ucraina. "Sono qui. Non deporremo le armi. Difenderemo il nostro stato", ha detto Zelensky, smentendo così le indiscrezioni che lo vedrebbero pronto a lasciare il Paese.
Quindi, in un altro tweet, un aggiornamento "bellico" per motivare ulteriormente truppe e cittadini alla resistenza: "Un nuovo giorno in prima linea diplomatica è iniziato con una conversazione con (il presidente francese, ndr) Emmanuel Macron. Armi ed equipaggiamenti da parte dei nostri partner stanno arrivando in Ucraina. La coalizione contro la guerra sta funzionando!".
Da open.online il 25 febbraio 2022.
Il leader della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov, di fronte a circa “10.000” uomini armati radunati nella capitale Groznyj, ha lanciato un “consiglio” al Presidente ucraino Zelensky: «Colgo l’occasione di dare un consiglio all’attuale Presidente ucraino Zelensky, che potrebbe anche diventare ex Presidente, affinché chiami il nostro Presidente, il comandante supremo Vladimir Putin, e chieda scusa». Non è dato sapere la data della realizzazione del video, che circola di fatto dopo la diffusione delle immagini dei soldati ceceni intenti a pregare in una foresta.
Secondo quanto diffuso nella serata del 24 febbraio 2022 da Chechnyatoday.com, in base a «rapporti non confermati», alcuni rappresentanti delle forze armate cecene e i propri soldati si troverebbero attualmente nell’Ucraina o più precisamente nel Donbass.
Da adnkronos.com il 25 febbraio 2022.
"Siamo qui. Siamo a Kiev. Difendiamo l'Ucraina". Lo scrive sui social il presidente ucraino Volodymyr Zelensky pubblicando un video in cui appare circondato da esponenti del governo, a iniziare dal primo ministro Denys Šmihal, tutti in mimetica. Il video è stato girato all'aperto, in una delle strade della capitale, vicino a quello che sembra il palazzo che ospita il governo ucraino.
Da Ansa il 25 febbraio 2022.
"Rafforzamento delle sanzioni, assistenza concreta alla difesa e una coalizione contro la guerra sono stati i temi che ho appena discusso con Joe Biden. Grato agli Stati Uniti per il forte sostegno all'Ucraina". Così su twitter il Presidente ucraino Zelensky.
Zelensky a Putin, anche i bimbi sono nazisti che vi minacciano?
(ANSA il 26 febbraio 2022) - "Che tipo di guerra è quella contro i bambini dell'asilo? Anche loro sono neonazisti o soldati della Nato che minacciano la Russia?". Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso alla nazione di stasera, replicando alle accuse di Vladimir Putin che ha definito il governo di Kiev "una banda di drogati e neonazisti".
Un eroe del nostro tempo. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 26 febbraio 2022.
Nel dramma della guerra, spicca l’incredibile traiettoria di Volodymyr Zelensky, l’uomo che in sette anni è passato da un set a un bunker senza mai smettere di essere il Presidente: prima per finta e poi sul serio, in un crescendo che dal comico è passato al drammatico e adesso sfiora addirittura l’epico.
Per chi ancora non lo sapesse, nel 2015 la televisione ucraina trasmise una serie intitolata «Servitore del popolo», dove l’attore Volodymyr Zelensky interpretava la parte di un Presidente onesto e astuto. Nauseati dai politici professionisti, i telespettatori si immedesimarono a tal punto nel personaggio da volerlo sottrarre alla finzione. Non potendo consegnargli direttamente il potere, lo diedero all’attore che lo incarnava.
Il paragone con Grillo regge fino a un certo punto. Anche il comico ligure ha fondato un partito che sventolava la bandiera dell’onestà, ma è rimasto fuori dalle istituzioni, mentre Zelensky è diventato il ruolo che aveva recitato, in una sovrapposizione senza precedenti nella storia della politica, dello spettacolo e dello spettacolo della politica.
A movimentare la trama è poi intervenuto uno sceneggiatore non ingaggiato dalla produzione, PsychoPutin, che aggredendo la nazione del «Servitore del popolo» ed esortando i militari ucraini ad eliminarlo, lo ha trasformato in una maschera tragica e solitaria nella quale in queste ore è impossibile non specchiarsi. L’attore Zelensky è talmente entrato nella parte che un giorno faranno una serie tv su di lui.
Chi è Zelensky, comico diventato presidente: «Putin ha ordinato di ucciderlo». Francesco Battistini su Il Corriere della Sera il 26 febbraio 2022.
Zelensky, presidente dell’Ucraina, era un comico che recitava nei panni di un finto presidente. Ora ha deciso di rifiutare l’offerta Usa di evacuazione da Kiev: la battaglia contro la Russia, ha detto, è qui. Scompare e ricompare. Scende nel bunker e risale in strada. S’inabissa di giorno e riemerge la notte. La resistenza personale di Volodymyr Zelensky (qui le ultime notizie sulla guerra) non è la tragedia d’un uomo ridicolo, come un po’ tutti lo consideravano. Il presidente ucraino in queste ore di dramma s’affida ai video. Alcuni artigianali girati dal cortile di Palazzo Marinskij, lui che tiene il cellulare a mo’ di selfie e alle spalle il fedele premier Denys Chmygal; altri, dove saluta un soldato e fa il segno della forza; tutti, sempre, per spiegare che no, Zelensky non molla.
Gli americani l’avevano già messo su un elicottero destinazione Leopoli, due giorni prima che cominciasse l’invasione, ma niente da fare. Non è scappato: «Siamo tutti qui», a Kiev, «i nostri militari, i nostri concittadini, la società. Siamo tutti qui per difendere la nostra indipendenza, il nostro Stato». Giovedì sera «ci ha impressionati», racconta uno sherpa Ue che ha sentito una sua telefonata dal nascondiglio segreto preparato per tempo, a prova d’intercettazioni e di spioni: «Eravamo in videoconferenza e a un certo punto Zelensky ha detto: “Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo…”. E si vedeva che non recitava, in tutta l’angoscia del momento».
Vuole lui: che glielo consegnino, lo tradiscano, lo ammazzino, quel che sia, ma che sia lui, subito. A Vladimir basta lo scalpo di Volodymyr: fate un golpe e cacciatelo, promette Mosca ai generali ucraini, se sperate che Kiev sia risparmiata. E però chi può crederci: un aspirante Zar non mobilita mezz’Armata Russa per avere la testa d’un ex guitto. Un gattone feroce che gioca col topolino: «Sì, certo, è ovvio che Zelensky sia il presidente dell’Ucraina!...», arriva perfino a irriderlo pubblicamente un portavoce del Cremlino, nel momento in cui lo Zar ne chiede la testa.
Dov’è? «Nascosto da qualche parte a Kiev», rivela Mario Draghi, anche per questo irritandolo. E la famiglia? «Con lui», giura un suo collaboratore, anche se nei giorni passati s’era parlato d’un trasferimento veloce all’estero. Braccato, prim’attore in una parte decisamente sproporzionata alle sue forze, Zelensky ha cambiato costume in questa crisi. Da attor comico che recitava nei panni d’un finto presidente a presidente un po’ per caso che adesso impersona un presidente vero. Chi lo odia, ora che c’è da combattere e tener duro, non ha più tempo per malignare sui suoi consensi in calo e su questi tempi da trincea e filo spinato che l’avevano fatto risalire nei sondaggi.
Zelensky resiste per davvero, raccontano . S’è tolto la cravatta delle ore diplomatiche e infilato la maglietta mimetica dell’ora più buia. «Ci hanno lasciato soli», accusa la Nato, e il tono è solo l’eco di tempi lontani, quando faceva ridere in tv recitando il copione d’un buffo presidente. Oggi è un Allende prima di morire, rinchiuso alla Moneda e con l’elmetto in testa, che evoca l’assedio nazista del 1941. Non s’è mai sentito un presidente di guerra: lui ce l’aveva con la corruzione, con la casta, aveva inventato nei suoi sketch il Signor Presidente Vasiliy Goloborodko e fondato un partito, Servitore del popolo, che era pure il titolo del suo cabaret.
Ha imparato presto la nuova parte. E capito che non bastava andare al Cremlino o sorridere a Putin, per lasciarlo sulla porta. Zelensky ormai vede che i suoi eroi non sono tanto giovani e per niente forti, e non gli resta che la retorica: i tredici marinai dell’Isola di Zmiinyi s’immolano davanti alla flotta nemica che intima la resa, all’urlo «fòttiti, nave da guerra russa!», e lui con tono solenne concede ai tredici il titolo d’Eroi dell’Ucraina. «Onestamente, tutti hanno paura» di Putin, è la sua amarezza per le promesse non mantenute dagli amici occidentali, che tanto lo spingevano a recitare da antirusso. Non se ne fa molto del Colosseo ucrainizzato coi fari gialloblù o di Boris Johnson che, in solidarietà con l’aggredito, fa sventolare la bandiera ucraina sul pennone d’onore di Downing Street.
Ce l’ha un filo anche con Erdogan: solo un mese fa, la Turchia forse gli aveva garantito che avrebbe bloccato le navi russe nel Mar Nero, e invece no, non se ne fa più nulla, che delusione. Meglio chi protesta in piazza in Russia, e con coraggio, contro l’aggressione di Putin. O quei due giocatori di basket dell’Nba, confida, che si sono schierati per la Patria. E Sean Penn, ricevuto poco prima della tempesta ed elogiato. Zelensky non si fida più molto degli altri governanti, e allora s’appella ai loro governati, rispolverando il cerone del populista: «Se avete qualche esperienza di combattimento e non volete più assistere all’indecisione dei vostri politici — proclama —, potete venire nel nostro Paese per difendere l’Europa!». A difendere anche lui, se non è tardi: «Ne siamo certi — dice il suo consigliere Mykhailo Podolyak —, Vladimir ha dato l’ordine d’uccidere Volodymyr».
Paola Natali per liberoquotidiano.it il 12 marzo 2022.
Da Kiev a Forte dei Marmi, passando per Cipro. Non è il percorso di un tour turistico ma la mappa che guida alla San Tommaso srl, società con sede a Cantù, presso lo studio di un commercialista, controllata da un'altra società veicolo ovvero l'Aldorante Limited con sede a Cipro, dove il socio unico risulta la moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Olena.
L'Avvocato Francesco Keller esperto di diritto societario ed internazionale ci conferma, a seguito di analisi effettuate presso il registro delle imprese di Cipro, che la Aldorante Limited è una azienda con capitale sociale di soli 2000 euro, suddiviso in 2000 azioni del valore di 1 euro ciascuna, tutte di proprietà della moglie di Zelensky. «La società risulta oggi amministrata da Helena Hasienko Kofterou che riveste sia l'incarico di direttore che di segretario dell'azienda. Zelensky è stato amministratore fino al 2019, stesso anno della sua elezione a presidente ucraino, della Aldorante Limited.
Helena Hasienko Kofterou risulta rivestire incarichi di direttore o segretario in almeno altre nove società che hanno sede a Cipro tra le quali Atrazon Limited LTD (Cipro) dove compare Serhiy Shefir come condirettore. Atrazon Limited LTD (Cipro) ed Aldorante Limited (Cipro) entrambe amministrate da Helena Hasienko Kofterou e con sede nello stesso ufficio a Nicosia».
Quanto all'operazione finanziaria della San Tommaso srl con un finanziamento proveniente da Cipro per euro 3.882.105 da parte della Aldorante Limited, l'avvocato Keller, nella sua esperienza in ambito di diritto internazionale, sostiene: «L'operazione così come strutturata non rileva nulla di anomalo, fatta salva la verifica in merito alla provenienza dei fondi che sarà stata sicuramente oggetto di una segnalazione in tema di antiriciclaggio volta ad accertare l'assenza di anomalie relative a flussi finanziari di valore così importante operati da una società estera che, fino al momento dell'acquisizione della San Tommaso srl, era completamente sconosciuta alle autorità italiane».
Analizzando quindi le aziende dove compare il nome di Helena Hasienko Kofterou ritroviamo come condirettore Serhiy Shefir che attualmente occupa un ruolo importante nella vita politica del Presidente Zelensky, infatti è il suo consigliere. Serhiy Shefir è anche co-fondatore, insieme allo stesso Zelensky, nel 2003, dello Studio Kvartal-95 e, secondo l'Ansa, il 21 settembre scorso è scampato a un tentato omicidio ad opera di alcuni sconosciuti che avevano aperto il fuoco contro l'auto su cui viaggiava, vicino a Kiev.
Come riporta il sito Open4Business.com nel 2019, la famiglia del presidente dell'Ucraina Zelensky ha venduto i diritti societari di tutte le dodici imprese ucraine alla famiglia del primo assistente. Nella dichiarazione annuale dei redditi che ha presentato il presidente Volodymyr Zelensky nel 2020, dati pubblicati sul sito web dell'Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione, risulta che Zelensky e la moglie Olena possedevano obbligazioni per un valore di oltre 5 milioni di UAH (150000 euro).
Olena Zelensky è elencata come beneficiaria presso Aldorante Limited (Cipro). Insomma, gli interessi finanziari del presidente ucraino vanno ben al di là dei confini del suo Paese e della villa di Forte dei Marmi e coinvolgono direttamente o indirettamente diverse persone a lui molto vicine.
Zelensky, la villa da 4 milioni di euro a Forte dei Marmi: l’ultima visita più di due anni fa.
Una lussuosa villa che ha sede a Vittoria Apuana, quartiere di pregio di Forte dei Marmi, cittadina – a sua volta – vip per eccellenza del turismo della Versilia.
Come sempre dietro a questo tipo di operazioni immobiliari si cela il massimo riserbo, ma la villa acquistata dal presidente avrebbe un valore di poco inferiore ai 4 milioni di euro
Sei camere da letto, quindici stanze, una bella piscina all’interno di un ampio giardino: è questa per sommi capi la “mappa” della residenza versiliese del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. (Corriere Fiorentino)
Su altri media
E proprio quando era una star mediatica ha iniziato a frequentare Forte dei Marmi decidendo di investire in quell’immobile da sogno adesso dato in affitto. E che stanno colpendo ovunque le proprietà degli oligarchi russi vicini a Valdimir Putin ma anche di ricchi cittadini, sempre russi, che pagano le conseguenze degli embarghi internazionali. (LA NAZIONE)
L’aveva acquistata due anni fa: 15 stanze e una grande piscina (La Repubblica Firenze.it)
Volodymyr Zelensky, la mega-villa a Forte dei Marmi: quello strano intreccio tra il presidente e gli affaristi russi
Quali conseguenze avrà, dunque, l'invasione dell'Ucraina sul ricco turismo di Forte dei Marmi? «Sono preoccupato come tutti - dice il sindaco di Forte dei Marmi - Quando un popolo invade un altro paese non si sa mai quando finisce (ilmessaggero.it)
Il precedente amministratore della San Tommaso srl, Ivan Bakanov oggi è uno dei principali consiglieri del Presidente e si occupa di sicurezza. Chiamo lo studio Mansi&Associati che conferma di essere consulente della San Tommaso Srl società immobiliare del Presidente Zelensky dal 2015. (Liberoquotidiano.it)
Volodymyr Zelensky, la mega-villa a Forte dei Marmi: quello strano intreccio tra il presidente e gli affaristi russi. Paola Natali su Libero Quotidiano il 02 marzo 2022.
Per tutti il Presidente Volodymyr Zelensky oggi è il simbolo della resistenza ucraina. Lui che aveva raccolto consensi durante la campagna elettorale promettendo di porre fine alla guerra con Mosca e di contrastare la corruzione della politica: promesse che gli avevano permesso di vincere con il 73% preferenze nelle elezioni del 2019. Tutti oggi in Italia conoscono il nome di Zelensky ma il presidente ucraino non è nuovo nel nostro Paese. Non tanto per questioni politiche ma per un immobile di lusso in Toscana, a Forte dei Marmi. Chiamo lo studio Mansi&Associati che conferma di essere consulente della San Tommaso Srl società immobiliare del Presidente Zelensky dal 2015. Il socio fondatore Ottavio Francesco Mansi dice: «Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, ma ho incontrato persone del suo staff che seguono interessi della società immobiliare in Italia. Il precedente amministratore della San Tommaso srl, Ivan Bakanov oggi è uno dei principali consiglieri del Presidente e si occupa di sicurezza. Non è una casa usata dal Presidente e dalla famiglia ma viene affittata. La San Tommaso srl ha solo questo immobile e ha rispettato tutte le formalità richieste dalla normativa vigente». Nel 2015 la lussuosa dimora, composta da più di dieci stanze, viene comprata per 3,8 milioni di euro da una società italiana di proprietà di Zelensky ovvero la San Tommaso srl. Nel 2019 il sito Slidstvo.Info riporta che la star del piccolo schermo, ora Presidente, non avrebbe dichiarato questo immobile mentre da altre fonti riportate dal sito primal information risulta che i coniugi Zelensky sarebbero proprietari di Kvartal95 Studio, Zelari fish, Aldorante Limited a Cipro, Film Heritage inc in Belize e la San Tommaso srl in Italia.
Nel nostro Paese sarebbe arrivato anche Dimitri Gerasimenko, multimilionario russo di origini ucraine ex proprietario della società siderurgica Krasny Oktyabr Closed Joint-Stock Company e delle squadre di pallacanestro BC Krasny Oktyabr e Pallacanestro Cantù. Quando Zelensky vince le elezioni presidenziali iniziano a circolare voci sui suoi rapporti con l'oligarca Ihor Kolomoyskyi visto che la serie "Servo del Popolo" era trasmessa sul canale televisivo di proprietà di Kolomoyskyi. Grazie a questa produzione, dove Zelensky interpretava un professore di liceo che diventa Presidente, cresce la sua popolarità fino a portarlo alla vittoria delle elezioni. La messa in onda avviene a partire da ottobre 2015 dopo che nel marzo del 2015 lo stesso Kolomoyskyi era stato costretto a dimettersi da governatore della regione di Dnipropetrovsk, adiacente al Donbass. La figura di Kolomoyskyi è legata alla PrivatBank che ha fondato nei primi anni '90, diventata poi una delle principali banche in Ucraina e successivamente nel 2016 nazionalizzata dal governo dopo essere stata dichiarata insolvente. Procedura necessaria per proteggere i 20 milioni di correntisti, accuse sempre negate da Kolomoisky e Bogolyubov che hanno fortemente rivoluto la Privatbank nelle loro mani visto anche nel 2019 un tribunale ucraino ha stabilito illegale la nazionalizzazione.
La questione PrivatBank è diventata un tavolo di prova per Zelensky nella lotta alla corruzione. Nel dicembre 2017, l'Alta Corte di Londra stabilisce il congelamento di 2,5 miliardi di dollari dei beni di Kolomoyskyy e Boholyubov. Nel maggio del 2020 il sito BuzzFeed News svela che il nome di Kolomoisky è emerso al centro della saga dell'impeachment di Trump e che il gran giurì degli Stati Uniti stava esaminando le finanze del magnate, sostenitore chiave del presidente Volodymyr Zelensky, in un'indagine che ha rintracciato il denaro dalla banca ucraina attraverso una serie di società offshore negli Usa. A marzo del 2021 gli Usa, sotto la presidenza di Biden, hanno inserito Kolomoisky nella lista nera vietando a lui ed alla sua famiglia l'ingresso negli Stati Uniti. Quali siano i legami tra il Presidente ucraino con il magnate Kolomoisky non è chiaro. Ma al di là di ombre e sospetti, questa guerra è destinata a rivoluzionare equilibri politici, intrecci commerciali e perfino legami personali a livello globale.
Volodymyr Zelensky, la villa a Forte dei Marmi e il ruolo della moglie del presidente: lo strano caso (che porta a Cantù). Paola Natali su Libero Quotidiano il 05 marzo 2022.
Da Kiev a Forte dei Marmi, passando per Cipro. Non è il percorso di un tour turistico ma la mappa che guida alla San Tommaso srl, società con sede a Cantù, presso lo studio di un commercialista, controllata da un'altra società veicolo ovvero l'Aldorante Limited con sede a Cipro, dove il socio unico risulta la moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Olena. L'Avvocato Francesco Keller esperto di diritto societario ed internazionale ci conferma, a seguito di analisi effettuate presso il registro delle imprese di Cipro, che la Aldorante Limited è una azienda con capitale sociale di soli 2000 euro, suddiviso in 2000 azioni del valore di 1 euro ciascuna, tutte della proprietà della moglie di Zelensky. «La società risulta oggi amministrata da Helena Hasienko Kofterou che riveste sia l'incarico di direttore che di segretario dell'azienda. Zelensky è stato amministratore fino al 2019, stesso anno della sua elezione a presidente ucraino, della Aldorante Limited.
Helena Hasienko Kofterou risulta rivestire incarichi di direttore o segretario in almeno altre nove società che hanno sede a Cipro tra le quali Atrazon Limited LTD (Cipro) dove compare Serhiy Shefir come condirettore. Atrazon Limited LTD (Cipro) ed Aldorante Limited (Cipro) entrambe amministrate da Helena Hasienko Kofterou e con sede nello stesso ufficio a Nicosia». Quanto all'operazione finanziaria della San Tommaso srl con un finanziamento proveniente da Cipro per euro 3.882.105 da parte della Aldorante Limited, l'avvocato Keller, nella sua esperienza in ambito di diritto internazionale, sostiene: «L'operazione così come strutturata non rileva nulla di anomalo, fatta salva la verifica in merito alla provenienza dei fondi che sarà stata sicuramente oggetto di una segnalazione in tema di antiriciclaggio volta ad accertare l'assenza di anomalie relative a flussi finanziari di valore così importante operati da una società estera che, fino al momento dell'acquisizione della San Tommaso srl, era completamente sconosciuta alle autorità italiane».
Analizzando quindi le aziende dove compare il nome di Helena Hasienko Kofterou ritroviamo come condirettore Serhiy Shefir che attualmente occupa un ruolo importante nella vita politica del Presidente Zelensky, infatti è il suo consigliere. Serhiy Shefir è anche co-fondatore, insieme allo stesso Zelensky, nel 2003, dello Studio Kvartal-95 e, secondo l'Ansa, il 21 settembre scorso è scampato a un tentato omicidio ad opera di alcuni sconosciuti che avevano aperto il fuoco contro l'auto su cui viaggiava, vicino a Kiev. Come riporta il sito Open4Business.com nel 2019, la famiglia del presidente dell'Ucraina Zelensky ha venduto i diritti societari di tutte le dodici imprese ucraine alla famiglia del primo assistente. Nella dichiarazione annuale dei redditi che ha presentato il presidente Volodymyr Zelensky nel 2020, dati pubblicati sul sito web dell'Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione, risulta che Zelensky e la moglie Olena possedevano obbligazioni per un valore di oltre 5 milioni di UAH (150000 euro). Olena Zelensky è elencata come beneficiaria presso Aldorante Limited (Cipro). Insomma, gli interessi finanziari del presidente ucraino vanno ben al di là dei confini del suo Paese e della villa di Forte dei Marmi e coinvolgono direttamente o indirettamente diverse persone a lui molto vicine.
La verità sulla villa di Zelensky a Forte dei Marmi. Bianca Leonardi su Il Giornale il 05 marzo 2022.
Cresce la curiosità sul presunto “giallo” sulla Villa dell’attuale primo ministro ucraino Volodymyr Zelensky. Quello che sappiamo, come riportato anche dal Corriere e di conseguenza da altri giornali, è che la sontuosa villa si trova in Versilia, a Forte dei Marmi, nella frazione di Vittoria Apuano, cornice ormai da anni del lusso estremo dei russi che hanno trovato nella chic e rinomata località balneare toscana il loro paradiso. La “villa dell’ucraino”, come la definiscono gli abitanti della zona, si trova in Via Civitali e sarebbe composta da un totale di 15 stanze, comprese 6 camere da letto e una piscina all’interno del giardino.
L’abitazione risulta essere intestata a una società italiana di proprietà di una società di Cipro, che ne detiene il 100% del capitale sociale: ed è proprio questo fatto che ha innescato poi una serie di dubbi che hanno portato al centro dell’attenzione dei media l’acquisto e la gestione della villa. Nel 2019, quando l’ucraino stava per abbandonare la sua carriera da attore per prendere il comando dell’Ucraina, un sito locale – come riporta Il Mattino - ipotizzò che Zelensky avesse acquistato la villa in Toscana per 3,8 milioni di euro senza dichiararlo. Affermazione subito smentita dal suo staff e mai stata approfondita da chi di dovere. “E’ una prassi usuale quella di comprare immobili mediante società, non c’è niente di cui stupirsi”, afferma un noto professionista in materia della zona. “Che l’abbia comprata come Primo Ministro dell’Ucraina o no non fa differenza, la problematica sarebbe se la villa fosse di proprietà dello stato ucraino che, nel caso, avrebbe leso i cittadini ma non è questa la situazione a quanto pare”. La villa, si apprende, sia stata acquistata infatti con i proventi della carriera attoriale dell’attuale Primo Ministro. “Per quanto riguarda il prezzo d’acquisto” – prosegue il professionista – “sicuramente non è un fatto contestabile dai giornali o da chi non è del mestiere: ci sono ville che vengono stimate, per esempio, a 12 milioni di euro e poi all’asta vengono vendute a 8 milioni. Se è stato un buon acquisto o no è un problema suo”. “L’unica vera problematica sarebbe se avesse dichiarato di averla pagata meno di quanto invece ha pagato – continua riferendosi all’ipotesi suscitata dal presunto sito ucraino anni fa – ma questo è di competenza della Guardia di Finanza che avrebbe dovuto fare, o farà nel caso, i dovuti accertamenti. È in ogni caso un procedimento che riguarda tutti coloro che acquistano beni immobiliari, essendo il “nero” un fenomeno diffuso a tutti i livelli”. “Una serie di notizie senza basi concrete”: così ritiene la vicenda l’esperto toscano che sostiene che “prima di dire le cose bisogna avere cognizione di causa”.
L’altro nodo su cui si discute è la presunta vendita dell’immobile, smentita dall’agenzia immobiliare, e il presunto affitto che Zelensky richiederebbe agli occupanti dell’abitazione. La cifra si aggirerebbe infatti intorno ai 12mila euro, somma contestata perché troppo inferiore ai prezzi di mercato della zona. “Anche sulla cifra del presunto affitto della villa – spiega ancora –, a prescindere da qualunque essa sia, è giusto ricordare che non c’è una legge specifica che impone di rispettare l’andamento di mercato del momento. È una cosa che normalmente si fa per avere il maggior utile possibile, ma ipoteticamente nulla vieta di fissare un prezzo per ragioni personali.
L’unica contestazione reale e possibile su ciò può essere fatta dalla società che ne detiene le quote, chiedendo eventualmente al proprietario a quale titolo è stata affittata a un prezzo basso”. Una questione tutta personale, quindi, quella che mette al centro dell’attenzione l’ucraino Zelensky e che getta su di lui dubbi che al momento sembrerebbero infondati in quanto privi di approfondimenti concreti da parte delle autorità competenti. “A prescindere dal fatto che si tratti di Zelensky, che capisco attiri in questo momento – purtroppo – l’attenzione di tutti, il “giallo” – come è stato definito – sull’acquisizione della villa e le altre ipotesi avanzate sembrano basarsi su un nulla di fatto in quanto ad oggi ciò che è stato detto, se vero, riguarderebbe solo ed esclusivamente i rapporti personali tra l’acquirente e la società, come avviene di consueto”, conclude il professionista.
Chi è davvero il presidente in mimetica: cosa rivela la sua firma. Evi Crotti su Il Giornale il 28 febbraio 2022.
Dalla firma (clicca qui) dell’uomo dalle mille sorprese, nelle quali egli investe, oltre al suo forte egocentrismo, anche un’energia e una forza vitale non comuni (vedi lettere iniziali grandi e tratto deciso) che senza dubbio lo sostengono nella fatica operativa senza farlo andare incontro a stress.
Le iniziali della siglatura di Volodymyr Zelenskyj, con l’asta che svetta in alto e affonda in basso, mettono in evidenza una forte pulsionalità, per cui il mondo delle emozioni viene traslato in una attività multipla e diversificata che gli permette l’investimento personale delle proprie pulsioni che va ad appagare il bisogno di “essere sempre sulla scena”. L’essenzialità del tratto contraddice con il bisogno di essere sempre, in ogni sua azione, protagonista inserendo anche note estetiche che, oltre alla cura della propria immagine, sono utilizzate nel sociale affinché tutto sia accettato, anche da chi gli sta accanto.
Persona multiforme ed eclettica, il Presidente ucraino è capace di ottenere più con l’astuzia che con la forza, cercando di osservare, comprendere e muoversi astutamente per capire come sfruttare i momenti per lui più propizi per rimanere in sella al successo. Egli è un attento osservatore e sa trovare le vie più corrette per agire, sempre con astuzia per non scalfire la propria credibilità e l’immagine. La firma essenziale con le due iniziali grandi, ma tracciate quasi come due note musicali, ci parlano tanto della sua abilità, astuzia e iperattività, doti che il Presidente dell’Ucraina, uomo intelligente, volitivo (vedi sottolineatura della firma) e dinamico, sa sfruttare con destrezza anche nelle situazioni più intrigate, come quella che sta vivendo al giorno d’oggi.
Volodymyr Zelensky: chi è il comico diventato presidente dell’Ucraina. Debora Faravelli il 26/02/2022 su Notizie.it.
Chi è Volodymyr Zelensky, attore e comico diventato Presidente dell'Ucraina nel 2019 alla sua prima discesa in politica.
Il suo nome è giunto alle cronache mondiali dopo che la Russia ha invaso il suo paese e si è trovato a gestire l’avvio di quello che potrebbe trasformarsi un conflitto di portata globale: con un passato da comico ed entrato in politica solo tre anni fa venendo subito eletto, vediamo chi è il presidente dell’Ucraina Volodymyr Oleksandrovyč Zelensky.
Chi è Zelensky
Nato nel 1978 da padre professore e la madre ingegnere, Zelensky si è laureato in giurisprudenza e nel 1997 ha iniziato la carriera di attore. Nel 2018 ha fondato Sluha Narodu (Servitore del Popolo), il suo show più conosciuto in cui ha interpretato un personaggio immaginario di nome Vasily Goloborodko. Insegnante di liceo sulla trentina che si sveglia una mattina e scopre di essere stato eletto presidente del Paese con oltre il 60% dei voti popolari, dietro questa e altre rappresentazioni ha costruito una sorta di manifesto politico che in pochi pensavano che si potesse trasformare in realtà.
Chi è Zelensky: l’ingresso in politica nel 2019
Anche quando, nel 2019, si era candidato come presidente dell’Ucraina, in molti pensavano che si sarebbe trattato di un’operazione mediatica. E invece, a 42 anni, Zelensky è diventato il nuovo leader del Paese deludendo chi aveva preannunciato per lui gaffe e disastri diplomatici. A quasi tre anni di distanza dall’inizio del suo mandato, il suo operato “non è stato cattivo“.
Russ Bellant, un ricercatore ucraino di lunga data, ha spiegato che l’uomo è stato in grado di tenere unificato in governo unificato e mantenere le distanze sia dalle pressioni della Russia che da quelle degli Stati Uniti. “Sa di essere nel mezzo di un gioco più grande tra i superpoteri e sembra sapere cosa sta facendo, si sta gestendo abbastanza bene“, ha aggiunto.
Volodymyr Zelensky, quello che nessuno sa sul presidente ucraino: "Altro che eroe", cosa c'è davvero dietro la guerra. Filippo Facci su Libero Quotidiano il 27 febbraio 2022.
Pare molto più facile schierarsi con l'Ucraina che con il suo presidente Volodymyr Zelensky, e non solo per il principio per cui la pace è sempre meglio della guerra, non solo per il principio egoistico per cui le conseguenze della guerra ricadrebbero (ricadranno) economicamente su di noi, e neppure per la tentazione malata e faziosa di chi seguita a raccontarsi che Putin in fondo volesse solo riprendersi due repubblichine secessioniste (Donetsk e Lugansk) che lo aspettavano a braccia aperte: una balla ormai conclamata, un pretesto per puntare sulla capitale dell'Ucraina e far fuori quel «nazista» e «drogato» che prende il nome appunto di Volodymyr Zelensky: come se prendersi la capitale di uno stato fosse molto diverso dal prendersi lo stato intero. Ed è come se entrambi, Putin e Zelensky, mantenessero nei confronti del resto dell'Occidente - inteso come Unione Europea e Nato - un atteggiamento da supponenti co-protagonisti in qualità rispettivamente di carnefice e di vittima, entrambi impreziositi da un ruolo che li vedrebbe cercati e blanditi a dispetto di un loro comportamento anche sprezzante. Di Putin si sa tutto: ferreo e implacabile come i suoi carrarmati. Di Zelensky si è detto un po' meno. L'esempio più lampante resta quello dell'episodio con Mario Draghi, una delle personalità più rappresentative dell'Unione e tra quelle che più si è impegnata per scongiurare ogni involuzione dei «giorni più bui della storia europea», come ha detto nella sua informativa al Parlamento; Draghi si è addirittura commosso, parlando a braccio, nel raccontare che Zelensky era nascosto con la famiglia da qualche parte, a Kiev, perché l'obiettivo di Putin era palesemente lui, e che la dinamica degli eventi aveva fatto saltare un appuntamento telefonico tra lui e Zelensky nella mattinata di ieri, alle 9.30: «Non è stato poi possibile fare la chiamata», ha detto Draghi, visibilmente affranto, «perché il presidente non era più disponibile».
RISENTITO
Poi magari chissà, i traduttori dall'italiano all'ucraino (che non è russo: è ucraino) hanno lavorato male, perché la risposta di Zelensky (un frettoloso tweet) è apparsa quasi risentita e liquidatoria: «Oggi alle 9.30 ci sono stati pesanti combattimenti. Le persone sono morte. La prossima volta cercherò di spostare l'agenda di guerra per parlare con Mario Draghi. Nel frattempo, l'Ucraina continua a lottare per il suo popolo». Peraltro, nonostante i «pesanti combattimenti», Zelensky aveva già avuto il tempo di scrivere alcuni tweet in quella mattinata: ne aveva già spedito uno a Putin in cui gli chiedeva di «trattare» (su che cosa?) e un altro genericamente all'Europa con l'invito ad agire più in fretta: «Non tutte le possibilità di sanzioni sono state ancora esaurite. La pressione sulla Russia deve aumentare», aveva intimato alla Von der Leyen, che intanto lo stava coprendo di soldi intesi come «assistenza finanziaria». Parlare con Putin e chiedergli di «trattare» è assodato che non serve a nulla. A una chiamata del presidente ucraino, Putin non aveva neppure risposto. Allora pare che Zelensky avesse chiesto e Emmanuel Macron di intercedere, e in effetti Macron con Putin ha parlato: senza render conto a chicchessia come i francesi amano fare. Ma l'esito è stato nullo e con versioni contrastanti: dall'Eliseo hanno fatto sapere che «dopo aver parlato con il presidente ucraino, e in coordinamento con lui, Macron ha chiamato Putin per chiedere l'interruzione immediata delle operazioni militari». Il Cremlino invece ha detto che i due hanno avuto «un serio e franco scambio di opinioni» e che Putin ha fornito una spiegazione «esauriente» delle ragioni per cui aveva attaccato l'Ucraina. Insomma, il nulla. I toni di Zelensky intanto sono rimasti quelli di chi considera l'attacco al suo Paese quasi un problema più europeo che ucraino: «La risposta europea è troppo lenta», «cittadini europei, venite a combattere per Kiev». Mentre col presidente Usa Joe Biden, ieri sera, Zelensky trovava miracolosamente un buco in agenda e ha parlato a lungo: possibile che cerchino un modo per far lasciare Kiev al presidente che intanto però non smetteva di spedire video in cui mostrava la sua prigionia cittadina ostentata come una scelta orgogliosa, una mancata diserzione.
STATISTA PER CASO
L'intero mondo a cui il presidente chiede aiuto, nel contempo, cerca di rimuovere che la statura politica di Zelensky resta quella di un leader eletto perché personaggio di una serie tv: come un Grillo qualsiasi, infatti, resta un attore che però è addirittura diventato capo di Stato quasi per caso. Ha 44 anni, nel 2019 ottenne il 73 per cento delle preferenze e la sua gestione della Pandemia, per esempio, è costata la vita a 100mila persone in un Paese in cui il tasso di vaccinazione è fermo al 33 per cento. L'ultimo sondaggio, del centro ucraino per gli studi economici e politici, spiegava che il 55 per cento dei suoi cittadini pensa che non abbia fatto abbastanza per evitare il conflitto e non lo considera affidabile in condizioni di guerra. Non è che fuori dall'Ucraina l'opinione diffusa sia molto diversa. Il populismo ha presentato il suo conto.