Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2022
GLI STATISTI
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
GLI STATISTI
INDICE PRIMA PARTE
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Le aste dei cimeli giudiziari.
Le Brigate Rosse.
Il retroscena di un delitto. La pista dei servizi segreti domestici.
Il retroscena di un delitto. La pista della ‘Ndrangheta.
Il retroscena di un delitto. La pista palestinese.
Il retroscena di un delitto. La pista russa.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ricordando Andreotti.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ingiustizia. Il caso Mani Pulite spiegato bene.
Gli Amici di Craxi.
I Nemici di Craxi.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Berlusconi e lo Sport.
Berlusconi e gli amici.
Berlusconi e la politica.
Berlusconi e la Giustizia.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Nazi-fascismo e Comunismo: Economia pianificata.
Stato, Fascismo e lotte di classe: eran e son comunisti.
Al tempo del Nazismo.
L’Olocausto.
Dio, Patria, Famiglia.
Le Leggi Razziali.
Al tempo del Fascismo.
Margherita Sarfatti: la donna che creò Benito Mussolini.
I Figli di Mussolini.
Le Marocchinate.
INDICE QUARTA PARTE
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli Eredi di Mussolini.
GLI STATISTI
SECONDA PARTE
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Berlusconi e la Famiglia.
Da ilfattoquotidiano.it il 29 settembre 2022.
Una mongolfiera da cui cadono cuori rossi. E poi una scritta aerea: “Buon compleanno amore, ti amo”. È la sorpresa “da film” fatta dalla deputata azzurra Marta Fascina a Silvio Berlusconi per il suo 86esimo compleanno. Il video è stato pubblicato dallo stesso leader di Forza Italia sui social ed è stato girato a Villa San Martino ad Arcore. “Vedete di arrivare anche a voi a questa età in forma come sono io…”, ironizza Berlusconi alla fine del video.
Da corriere.it il 30 settembre 2022.
«Ieri sera mi sono commosso al caldo abbraccio delle persone che amo. Grazie a loro e a tutti per gli auguri». Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che posta sui social un video della festa di giovedì sera nella residenza di Arcore per i suoi 86 anni.
Il Cavaliere siede al centro della lunga tavolata imbandita, con fiori bianchi e azzurri e candele accese lungo l’asse centrale, con alla destra la figlia Marina e alla sinistra la compagna Marta Fascina. E il figlio Piersilvio che lo abbraccia e lo bacia. «Lo sapete qual è il mio motto — ha detto l’ex premier —: “Chi ci crede combatte. Chi ci crede supera tutti gli ostacoli. Chi ci crede vince. E noi insieme vinceremo anche stavolta”».
Presenti, tra gli altri, i migliori amici di Berlusconi: Gianni Letta, Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. Poi i fedelissimi forzisti Licia Ronzulli, Alberto Barachini, poi il fratello Paolo Berlusconi e gli altri figli e i nipoti. Berlusconi spegne a un certo punto le candeline della torta a quattro piani, il più basso con i colori del Milan e del Monza, il secondo con la bandiera di Forza Italia e il terzo azzurro con i loghi di Mediaset e Mondadori, sormontato poi da un mappamondo accanto ad una statuetta con le sembianze del leader azzurro in giacca e cravatta. Alcuni palloncini rossi a forma di cuore sono stati fatti cadere sul tavolo dall’alto al momento del taglio della torta.
Lo speciale augurio al leader di Forza Italia. Silvio Berlusconi compie 86 anni, la sorpresa di Marta Fascina: nel video la mongolfiera e i palloncini. Elena Del Mastro su Il Riformista il 29 Settembre 2022
“Vedete di arrivare anche voi a questa età in forma come sono io”. Così Silvio Berlusconi ha ringraziato per gli auguri ricevuti per il suo 86esimo compleanno. Un giorno speciale per il leader di Fratelli d’Italia che ha ricevuto un altrettanto speciale sorpresa da parte della sua compagna Marta Fascina, 32 anni. Lui era seduto con lei su una panchina insieme al loro cane quando dal pratone di Arcore si è levata una mongolfiera gialla da cui sono partiti centinaia si palloncini rossi a forma di cuore.
Poi un piccolo aereo ha fatto volare in cielo la scritta “Buon compleanno amore, ti amo. Marta”. Berlusconi ha poi pubblicato su TikTok il video del regalo speciale ricevuto. “Avete visto che sorpresa”, ha commentato il leader di Forza Italia ai presenti a villa San Martino, ad Arcore.
Una giornata di auguri per Silvio Berlusconi da parte dei suoi. Tra i primi Antonio Tajani che gli ha scritto, a proposito delle elezioni appena vinte: “Anche se il regalo lo ha fatto di nuovo lei agli italiani, buon compleanno caro Presidente Berlusconi. Auguri!”. Non sono mancati i messaggi di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. “Tantissimi auguri a Silvio Berlusconi per il suo compleanno. Un grande abbraccio”, ha scritto su Twitter la presidente di Fratelli d’Italia, mentre Salvini agli auguri ha aggiunto: “caro amico e grande italiano”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Michele Serra per “la Repubblica” il 25 agosto 2022.
Ogni campagna elettorale è (anche) un tuffo nel ridicolo. Quando Rita Dalla Chiesa, candidata per Forza Italia, dice che "per Berlusconi la famiglia è tutto, abbiamo gli stessi valori", si ride di gusto.
Berlusconi ha avuto due mogli ufficiali, ne ha una terza ufficiosa, ha noleggiato interi torpedoni di nipoti di Mubarak, e non ha mai fatto mistero di questa sua forma di collezionismo, assai favorita dalla disponibilità di denaro e da una allegra compagnia di amiconi molto partecipi.
Può darsi che per lui la famiglia sia tutto da un unico punto di vista, quello patrimoniale, alla luce del fatto che la drastica riduzione delle tasse di successione è stata la sua più evidente riforma strutturale del nostro disgraziato Paese.
Ma dal punto di vista ideologico, politico, culturale, etico, perfino logico, come diavolo si fa a indicare, come suo eminente pregio, la devozione alla Famiglia, questo feticcio che la destra italiana sventola nelle piazze per intortare le nonnine, ma a casa sua considera come un impiccio da aggirare?
Gentile signora Dalla Chiesa, le parlo da divorziato a divorziata (lei due volte, io una sola, noi di sinistra siamo sempre più timidi). Lasci perdere la famiglia, che è una componente assai vaga e mutevole del presente. Un work in progress il cui esito non è determinabile né dai bigotti, né dai puttanieri. Parli d'altro.
Faccia come se, di fronte a lei, non avesse la sua audience di nonnine, ma dei cittadini adulti. Sappiamo tutti due che non è vero, ma almeno faccia finta che una campagna elettorale sia una cosa seria, e che anche le nonnine, soprattutto le nonnine, meritino di essere trattate da cittadine adulte.
Berlusconi, scissione da 340 milioni nella holding dei tre figli più giovani. Mario Gerevini su Il Corriere della Sera il 5 luglio 2022.
Con un’operazione da 340 milioni si divide in due la holding dei tre figli più giovani di Silvio Berlusconi, titolare del 21,4% di Fininvest. La scissione di H14 è stata deliberata giovedì scorso 30 giugno dai tre soci paritetici Barbara, 37 anni, Eleonora 36 e Luigi Berlusconi 33, ciascuno con il 31,33% del capitale (il resto sono azioni proprie detenute dalla società).
Obiettivo: nuovi soci
Tecnicamente è una scissione parziale proporzionale con cui H14 trasferisce una parte consistente del suo patrimonio (ma non la quota di Fininvest) in una nuova società che replica l’assetto proprietario. Quale è lo scopo di questa operazione di finanza straordinaria, la più rilevante degli ultimi anni nella galassia familiare al vertice del gruppo Fininvest? Sostanzialmente isolare dal resto del portafoglio la partecipazione in Fininvest e allo stesso tempo avere mano libera per alleanze con altri investitori nella nuova società, senza rischiare «contaminazione» esterna nel governo del Biscione. Tant’è che i tre manager in possesso di sfp (strumenti finanziari partecipativi, un surrogato delle azioni) concambieranno i loro titoli con sfp della nuova società.
La firma di Luigi
«La scissione — è scritto nel progetto firmato da Luigi Berlusconi — nasce in attuazione di un progetto imprenditoriale avente l’obiettivo di separare gli investimenti caratteristici (cioè Fininvest e la partecipazione Lauro) — che rimarranno in capo alla società scissa entro il perimetro del medesimo nucleo familiare — dalle attività di investimento nei portafogli cosiddetti di private equity, hedge funds, digital e permanent capital trasferendole alla società beneficiaria». Questa manovra «potrebbe consentire in prospettiva l’ampliamento della base societaria» della nuova H14 che si porta dentro 340 milioni di patrimonio mentre nella «vecchia» resta un patrimonio netto contabile di 220 milioni. Lauro è una società (5 milioni il valore di bilancio) che ha da poco concluso la ristrutturazione di un complesso immobiliare di proprietà a Milano e sta affittando gli spazi; ad essa la H14 ha prestato una garanzia da 26,5 milioni.
Il bilancio
La holding dei tre figli del Cavaliere e di Veronica Lario ha chiuso il bilancio 2021, firmato il 24 giugno dal presidente Luigi Berlusconi, con 41,5 milioni di utile (44,5 milioni l’anno precedente), tutto distribuibile, quindi potenzialmente 14 milioni a testa di dividendo. Ma negli anni passati hanno mandato a riserva almeno la metà dell’utile. In portafoglio, oltre alla quota Fininvest, ci sono numerose partecipazioni in società del digitale, fintech, start up e quote di fondi di private equity. La Fininvest (Mfe-Mediaset, Mondadori, Banca Mediolanum, Teatro Manzoni, Monza calcio) è controllata da Silvio Berlusconi al 61,3%, i figli Marina e Pier Silvio il 7,6% a testa e la H14 degli altri figli il 21,4%. Ha chiuso il bilancio 2021 con 361 milioni di utile di cui 150 andranno alla famiglia Berlusconi come dividendo.
Franco Bechis per veritaeaffari.it il 5 luglio 2022.
È diventato un piccolo impero immobiliare e commerciale quello di Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi e madre dei suoi tre figli più giovani (Eleonora, Barbara e Luigi). Quattro società capogruppo, interessate da un vorticoso giro di fusioni e acquisizioni, che ne controllano altre nei più svariati settori.
Alla sola che aveva avuto una certa eco sulla stampa, Il Poggio srl, che controllava parte degli immobili derivati da matrimonio (fra cui due palazzi a Milano 2), si affiancano ora la Big Bang srl, holding operativa ora intestata integralmente a Miriam Bartolini, che è il vero nome all’anagrafe di Veronica, la Equitago srl (che si occupa di sport) di cui ha assunto la presidenza e la Cosmo srl, altra immobiliare di cui la ex signora Berlusconi è amministratore unico.
La proprietà di talune prima era schermata dalla fiduciaria di Mediobanca, la Siref, ma ora risulta della finanziaria svizzera Incomar AG. L’azionariato non è rivelato, ma visto che tutti gli organi amministrativi portano a Veronica e i consigli sono allargati ai suoi collaboratori storici, è facile immaginare che sia sua.
Francesca Pascale, la villa, il regalo del matrimonio e il mantenimento milionario
Le ultime fusioni e incorporazioni riguardano però la società dichiaratamente della Lario, questa Big bang che fra l’autunno scorso e la primavera di quest’anno nei vari atti di fusione ha fatto emergere la proprietà immobiliare più interessante, in quel di Lesmo nella provincia di Monza e della Brianza.
Una villa, una villetta del custode e terreni assai vasti che appartengono allo stesso complesso immobiliare, quello denominato Villa Sada, una delle residenze lombarde più preziose e piene di storia. Il solo edificio principale ha una estensione di 1.895 metri quadrati ed è classificato al catasto con 45 vani e mezzo.
Una sorta di reggia la cui nuda proprietà è intestata appunto alla società della Lario, con l’usufrutto vitalizio che secondo l’atto base di cessione spetta a una signora residente in Svizzera, Augusta Bernardo. È la vedova di Claudio Sada, figlio del fondatore della Simmenthal Gino Alfonso, e presidente del Monza negli anni Sessanta. Fu proprio Claudio alla scomparsa del padre a ottenere dal comune di Monza che lo stadio di calcio fosse intitolato a Gino Alfonso, come è anche oggi. E così in qualche modo la storia di Veronica finisce con l’intrecciarsi con quella dell’ex marito.
La villa del patron della Simmenthal
Quella dei Sada è stata una dinastia ricca e numerosa, protagonista anche di altri successi sportivi, prima di tutto quelli nel basket, perché la Simmenthal diede per anni il nome all’Olimpia di Milano, vincendo scudetti e coppe, dovendo poi divorziarne quando i consumatori iniziavano ad associare il nome più alla pallacanestro che alla scatoletta di carne in gelatina.
La villa è restata negli anni di proprietà della famiglia e dei suoi vari discendenti, passando anche attraverso un caso di cronaca nera che finì sulle prime pagine di tutti i giornali: una rapina violenta con tutti i Sada all’interno della villa, bimbi compresi, legati, e imbavagliati con lo scotch da pacchi. Rapina brutale e che fece scatenare le indagini e acciuffare la banda dei colpevoli, tutti della zona. Fra loro, anche un garzone di un negozio di Macherio, dove c’è una delle ville di Berlusconi in cui a lungo ha vissuto proprio Veronica.
La vendita a Veronica Lario dagli eredi di Sada
Gli ultimi eredi sono restati in consiglio dell’immobiliare che controllava l’edificio a lungo, con in testa il nipote del fondatore, Davide. Che poi ha venduto alla Lario avendo poi cambiato vita da anni, trasferito in Toscana dove ha fondato una azienda agricola insieme ai figli per produrre uno dei più apprezzati vini super Tuscany della Regione.
Gli altri investimenti nel mattone
Dunque la Lario continua a investire su quel mattone che negli ultimi anni non le ha dato grandissime soddisfazioni. Il Poggio aveva perduto parecchi milioni fino al 2020, quando all’improvviso proprio nell’anno della pandemia la società aveva svoltato, portando a casa un guadagno di 2,2 milioni di euro. Tutto grazie alla chiusura di un contenzioso annoso con la società.
I palazzi a Milano 2
Excellent srl che doveva occuparsi delle ristrutturazioni dei due palazzi di Milano 2: il Canova e il Borromini. Per fare quel risultato però erano state necessarie le norme contenute nei decreti del governo di Giuseppe Conte che hanno consentito alla Lario di chiedere alla Banca popolare di Sondrio «la sospensione del pagamento delle rate, limitatamente alla sola quota capitale, fino al 31 dicembre 2021 del mutuo esistente pari ad euro 20 milioni». Ricontrattato anche un altro mutuo più piccolo (3 milioni di euro) con la Banca di credito cooperativo di Carate Brianza.
Estratto dell’articolo di Augusto Minzolini per “Il Giornale” il 21 aprile 2022.
[…] In vista dell'assemblea che il 28 aprile è chiamata ad approvare i conti 2021 della Mondadori, Marina Berlusconi, presidente della casa editrice e di Fininvest, parla dei risultati aziendali ma, come tutti, ha sempre davanti a sé l'orrore dei massacri in Ucraina. […]
[…] «Ogni imprenditore deve sempre pensare ai suoi conti, alla comunità in cui opera, alla qualità del prodotto... Un editore, però, ha un supplemento di responsabilità perché produce cultura e valori, che di questi tempi sono gli anticorpi contro le spinte autoritarie e illiberali. Se mi passa il paragone, è un po' come se fossimo il sistema immunitario della democrazia. Per questo, da editore, trovo sia inevitabile una scelta di campo».
Vorrebbe mettere l'elmetto anche alla cultura?
«Certo che no. So perfettamente che in nessuna vicenda umana il bene e il male stanno da una parte sola, ciascuno ha ragioni da addurre e torti da lamentare. Però i distinguo che troppo spesso sento fare mi paiono assurdi o strumentali. Qui non possiamo che stare da una parte precisa: quella di un popolo aggredito e dei valori del mondo democratico cui appartiene, e contro un aggressore che in realtà ha dichiarato guerra a tutto l'Occidente, alla sua identità e alla sua cultura».
Ma proprio la cultura, e quindi anche una casa editrice come la Mondadori, per loro natura non devono tenere conto di tutte le voci?
«E infatti nessuno ha intenzione di censurare […] nemmeno i più insinuanti paladini delle ragioni degli invasori. Che poi, è inutile girarci attorno, in realtà più che apprezzare Putin detestano l'Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti. […]».
«[…] il sistema occidentale basato sulla libertà e sulla democrazia avrà mille limiti e difetti, ma ha sicuramente molti più pregi, a cominciare dal fatto che lo si può criticare anche aspramente senza il rischio di finire in galera. A Mosca e a Pechino succede lo stesso? […]».
C'è voluto un mese, però, prima che suo padre si decidesse a condannare Putin.
«Mio padre ha fatto e ha detto le cose giuste al momento giusto. La sua posizione è sempre stata netta. Vedi il voto di condanna dell'invasione al Parlamento europeo, o il sostegno alla politica filo-atlantica del governo Draghi. O la lungimiranza che per tanti anni ha fatto di lui il più convinto sostenitore della necessità di un esercito e di una politica estera comuni dell'Unione, e il primo a denunciare i pericoli del neoimperialismo cinese e di un abbraccio con la Russia.
Ricordiamoci anche che, da premier, vent' anni fa Silvio Berlusconi era addirittura riuscito a convincere Putin e George W. Bush a firmare l'accordo di Pratica di Mare, premessa per l'ingresso della Russia nella Nato. Se fosse stato possibile continuare a percorrere quella strada, oggi forse non saremmo qui a parlare di guerra. Il fatto è che l'Occidente in questi vent' anni ha perso terreno. E oggi rischia di perdere la sua anima».
L'Occidente è in difficoltà, è evidente. Ma contro l'invasione russa Stati Uniti ed Europa finora sono uniti.
«La guerra però ha mandato in frantumi un'illusione: oltre a non essere esportabili, come qualcuno aveva sperato, la democrazia e le sue conquiste non sono affatto un patrimonio acquisito, un diritto naturale sempre e comunque a nostra disposizione […]».
Non le pare una visione un po' troppo apocalittica, quella di un Occidente debole e minacciato su tutti i fronti?
«Mi scusi, ma davanti alle nostalgie imperiali di Putin, alla bulimia espansionistica della Cina o al terrorismo islamico, che per strade diverse combattono il nostro sistema, che cosa ha fatto il mondo libero? Per troppo tempo si è limitato a balbettare, in preda a incomprensibili complessi d'inferiorità. Anzi, ha fatto di peggio: ha scoperto di essere la causa di tutti i mali, ha iniziato a processare la sua stessa storia, a mettere al bando pezzi della sua cultura e a flagellarsi per espiare chissà quali colpe».
Beh, la nostra storia è fatta anche di inaudite violenze, sangue, sfruttamento.
«E chi lo nega? Ma ogni cultura è figlia della sua storia, di tutta la sua storia. Che non può essere passata al setaccio, tenendo solo le cose che ci piacciono. Così come non si può trasformare la sacrosanta tutela delle minoranze in una dittatura di queste stesse minoranze. Ecco la cancel culture: la dimostrazione - ahimè che il peggior nemico dell'Occidente alla fine è diventato proprio l'Occidente».
Non è la prima volta che lei critica la cancel culture. Quali sono le responsabilità che ha in questa guerra?
«Non vorrei esagerare, ma la cancel culture agisce un po' come una quinta colonna, aggredisce da dentro il nostro patrimonio culturale e la libertà di pensiero e di espressione. Di fronte a questa pericolosa variante del politicamente corretto, da editore, io sento una responsabilità in più. […]». […]
Pier Silvio Berlusconi e la villa a Portofino: 20 milioni per la vista mare da ogni finestra. Giuliana Ferraino su Il Corriere della Sera l'8 aprile 2022.
Sul ristretto mercato di Portofino era l’ultima grande villa, la più affascinante e la più bella, per la sua posizione esclusiva in cima al promontorio e una vista senza pari sul golfo del Tigullio. Perciò per comprare finalmente casa nel luogo che ama di più, Pier Silvio Berlusconi non ha tirato sul prezzo, staccando un assegno di oltre 20 milioni. A tanto ammonterebbe il prezzo che l’amministratore delegato di Mediaset ha pagato per la società San Sebastiano Spa che, oltre alla villa cinquecentesca, controlla altre proprietà a Milano e ha un indebitamento di una trentina di milioni. Ma il boccone più ambito è la villa, una proprietà di 1.300 metri quadrati, 9 camere e 7 bagni, con piscina e parco. E ipotecata, per garantire i debiti della società.
Berlusconi junior e la compagna Silvia Toffanin hanno scelto di crescere i loro due figli Lorenzo Mattia e Sofia Valentina lontano da Milano, dove lavorano, preferendo il parco regionale naturale di Portofino, dove la famiglia vive da anni, affittando villa Bonomi Bolchini, che domina la baia di Paraggi.
A Pier Silvio sarebbe piaciuto diventare proprietario del Castello a picco sul mare, ma non è in vendita. Ecco perché ha deciso di spostare lo sguardo altrove. Poco più in su, dove si trova un altro gioiello immobiliare, villa San Sebastiano, che prende il nome dalla cappella del santo omonimo che si trova a pochi metri, da tempo sul mercato, attraverso le pagine di più di un sito di broker immobiliari internazionali.
In cima alla collina
Il secondogenito di Silvio Berlusconi, 52 anni, per la verità aveva già preso in considerazione di acquistare Villa San Sebastiano in passato, ma non aveva mai ingaggiato una trattativa per comprare quella proprietà che si più raggiungere solo da una strada stretta e angusta, che si inerpica sulla collina, lungo la quale due automobili che procedono in direzione opposta fanno grande fatica a passare. Un sogno per chi come Berlusconi junior è innamorato di Portofino, del suo promontorio e della natura circostante.
Investimento in una società immobiliare
Il negoziato vero è cominciato qualche mese fa e si è concluso nei giorni scorsi, non con un rogito, ma con un contratto per acquisire il 100% delle azioni della San Sebastiano Spa, che come dicevamo controlla anche un immobile articolato a Milano, con attività retail e uffici e ha un indebitamento netto di una trentina di milioni. Insomma, è un investimento in una società immobiliare, nel quale Berlusconi jr. è stato accompagnato dall’avvocato Luca Fossati, socio dello studio Chiomenti. Difficile perciò capire il vero prezzo della villa, che a garanzia di quei debiti ha perciò un’ipoteca.
A vendere la proprietà è Luca Bassani Antivari, erede della famiglia fondatrice nel 1936 a Varese del marchio BTicino, poi ceduto nel 1989 al gruppo francese Legrand. Milanese, classe 1956, grande appassionato di vela come il resto della famiglia, Luca Bassani ha creato nel 1994 a Monaco Wally Yacht, l’azienda nautica che disegna e produce yacht a vela e a motore, oggi controllata dal Gruppo Ferretti.
Una trattativa complessa ed estenuante
Tanto geniale e creativo con le barche, quanto poco attento ai bilanci e alla gestione finanziaria, racconta di Bassani chi lo conosce, ricordandone le spese pazzesche e i debiti, che lo hanno costretto a cedere Wally e poi a ipotecare villa San Sebastiano.
La trattativa per cedere San Sebastiano è stata difficilissima ed estenuante, come può esserlo quando si mescolano questioni tecniche legate a problematiche familiari mai risolte, come nel caso della famiglia Bassani. Il passaggio di proprietà ha perciò aiutato Luca Bassani, che ha tre figli, a sistemare anche le questioni pendenti in famiglia, sanando i rapporti.
Il borgo «francese»
Dopo la vendita a Pier Silvio Berlusconi, non ci sono altre proprietà simili sul mercato immobiliare del piccolo borgo, che sta diventando sempre più francese, dopo che il patron del gruppo del lusso LVMH, Bernard Arnault, ha comprato l’Hotel Splendido, nella celebre piazzetta, e poi l’Hotel Piccolo e gli unici bagni sulla spiaggia di Paraggi, rilevando anche l’edicola, ormai usata come Pop-up store.
Il vicino di casa Tronchetti Provera
La penultima grande villa, ma probabilmente non con lo stesso fascino e la vista spettacolare sul golfo, è stata acquistata da Marco Tronchetti Provera, non lontana da villa San Sebastiano, ma più sotto. L’ex amministratore delegato della Pirelli, pure appassionato velista (possiede un Wally di 44 metri chiamato Kauris IV varato all’inizio del 2020) ha comprato la villa di Giorgio Falck, che l’imprenditore dell’acciaio lasciò in eredità alla seconda moglie, l’attrice Rosanna Schiaffino.
La ristrutturazione di Gae Aulenti
In origine Villa San Sebastiano era una casa colonica, costruita intorno al ‘500 sul terreno reso pianeggiante da un lavoro di bonifica che aveva permesso di recuperare un’ampia area e di usare le pietre di recupero per costruire l’enrome muro cdi contenimento e il lungo colonnato che circonda tutta la proprietà, racconta il sito villegiardini.it. Usato come convento fino alla prima metà del 1800, il casale venne poi acquistato da una famiglia aristocratica milanese, che lo trasforma in prima villa residenziale di Portofino. Bassani compra la proprietà nel 1979 e affida all’architetta Gae Aulenti la ristrutturazione degli interni. Mentre esternamente la proprietà non è stata toccata, poiché si tratta di un bene tutelato, situato nel Parco regionale naturale istituito nel 1925.
Vista mare da ogni finestra
Da ogni finestra della villa si può ammirare un panorama mozzafiato sul mare. Un grande terreno circonda la casa, con lo storico colonnato ricoperto da bouganville, un uliveto, un frutteto e l’orto, che permette una piccola produzione di vino, olio, pomodori, ortaggi e frutta. La piscina è stata ricavata nel luogo dove era stato costruito durante la guerra il bunker tedesco con il grande cannone che presidiava tutto il Golfo del Tigullio. I bordi e il fondo della piscina sono stati realizzati con la pietra del luogo. La casa oggi è in ottimo stato, ma il trasloco di Pier Silvio e famiglia non sembra imminente.
Da liberoquotidiano.it il 22 febbraio 2022.
Ogni maledetta domenica, ecco che Luciana Littizzetto cosparge il suo veleno. Siamo ovviamente al monologo della comica torinese a Che tempo che fa, il programma condotto da Fabio Fazio su Rai 3, la puntata è quella di ieri sera, domenica 20 febbraio.
Trattasi della prima puntata del format dopo l'ultimo San Valentino, la festa degli innamorati che anche Silvio Berlusconi e Marta Fascina hanno deciso di celebrare, a modo loro. Come? Con un post di auguri a tutti gli innamorati e a tutti gli italiani pubblicato su Instagram.
Ecco la coppietta di forzisti, lui 85 anni e lei 31, sorridenti e con calice in mano, intenti a farsi ritrarre dietro a una grossa torta. Immagine che la Littizzetto ha rilanciato nel corso dell'ultima puntata di Che tempo che fa, per poi commentarla con queste parole: "Non si capisce chi è più glassato, se la torta o lui", premette riferendosi a Berlusconi. E ancora, rincara la dose: "Sta brindando con un calice di Biochetasi", maramaledeggia sulle condizioni di salute del Cavaliere che ultimamente hanno subito qualche scossone. Insomma, la solita Littizzetto.
Di Berlusconi e Marta Fascina se ne è parlato anche sabato, per un bacio che i due si sono dati in tribuna al Brianteo, dove stava giocando il Monza contro il Pisa. Un bacio per celebrare il gol del momentaneo vantaggio dei padroni di casa, poi sconfitti dal Pisa. Un bacio che, in pubblico, si è visto ben poche volte.
Da corriere.it il 19 marzo 2022.
Si è celebrata la festa per l’unione simbolica tra Silvio Berlusconi, 85 anni, leader di Forza Italia, e Marta Fascina, 32 anni, deputata azzurra dal 2018.
• Una sessantina gli ospiti invitati a Villa Gernetto, la residenza di Lesmo che ospita l’Università della Libertà, per celebrare un’unione senza vincoli giuridici o civili. Tra loro gli amici storici del Cavaliere come Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta e Adriano Galliani, ma anche Matteo Salvini, Gigi D’Alessio e Vittorio Sgarbi.
• La festa, voluta da Marta Fascina — che da quasi tre anni è la compagna di Berlusconi — compensa un rito reale che sembrava a un passo ma al quale si sono opposti i figli di Berlusconi per ragioni di asse ereditario.
• Tutti presenti i figli di Berlusconi tranne Piersilvio, che preferisce tenersi lontano da eventi troppo affollati per paura del contagio da Covid. Gli amici del Cavaliere gli avevano sconsigliato di organizzare la cerimonia nel momento drammatico della guerra in Ucraina, ma poi si sono riuniti tutti intorno all’ex premier.
Il duetto Berlusconi-Confalonieri al pianoforte
Duetto Berlusconi -Confalonieri al pianoforte: Confalonieri suona, Berlusconi canta. I brani scelti sono classici della canzone francese, con una concessione finale al dialetto milanese con «O mia bella Madunina».
Tra gli ospiti Matteo Salvini e Gigi D’Alessio
(di Stefano Landi) Gli ospiti seduti ad un unico grande tavolo. Gli amici di una vita, i parenti. C’è anche Matteo Salvini. E Gigi D’Alessio: «Mi ha fatto un grande regalo ad esserci — dice Berlusconi —. Insieme abbiamo scritto quasi 130 canzoni». Scherza, l’ex premier, ma non troppo mentre scorrono canzoni napoletane. Al tavolo anche Vittorio Sgarbi: «L’ho chiamato ieri per invitarlo perentoriamente alla inaugurazione di una mostra su Canova che faccio il 5 maggio a Possagno. Mi ha risposto “Devi venire tu che nella cappella dove mi sposo c’erano le opere di Canova”». Destino.
Gli invitati
Alla cerimonia, accompagnata dalla musica di un violinista, erano presenti, tra gli altri, Gianni Letta con la moglie, Marcello Dell’Utri con la moglie, Fedele Confalonieri, Adriano Galliani con la compagna, Niccolò Ghedini con la moglie e figlio Giuseppe, il medico personale del Cavaliere Alberto Zangrillo, Renato Della Valle, oltre ai parlamentari Licia Ronzulli, Anna Maria Bernini, Antonio Tajani, Valentino Valentini, Vittorio Sgarbi, l’amministratore delegato di Fininvest, Danilo Pellegrino con la compagna, l’ad di Publitalia, Stefano Sala, e il presidente del Consiglio di Vigilanza della Rai, Alberto Barachini. Presenti, naturalmente, anche tutti i parenti di Marta Fascina.
Il rito nella cappella
Il matrimonio simbolico è stato celebrato nella piccola cappella di Villa Gernetto. Completo di Armani blu con un mughetto all’occhiello per Berlusconi, mentre Marta Fascina indossa un abito bianco in pizzo francese, con corpetto, mezzo colletto e casta scollatura a V creato dallo stilista Antonio Riva, con un ampio strascico bianco. Di mughetto anche il bouquet della «sposa», in pendant con quello all’occhiello di Berlusconi.
I ringraziamenti di Berlusconi
Appena arrivati tutti gli ospiti, Berlusconi ha fatto il suo discorso dedicato alla compagna Marta, che per ora non ha parlato. Subito dopo sono stati serviti gli aperitivi. Il pranzo è iniziato da poco: gli ospiti sono stati accompagnati nel Salone delle feste da un ensemble di viola e tre violini e lì hanno trovato un grande tavolo degli «sposi». L’ex premier, prima che venissero servite le portate, ha ripreso la parola brevemente per saluti e ringraziamenti: «Sono felice di avere le persone a me care qui con me in questa giornata», ha detto. Ieri mattina tutti gli invitati hanno effettuato un tampone molecolare per precauzione.
La famiglia e il vestito bianco di Marta Fascina
Presenti i figli del Cavaliere Marina, Barbara, Eleonora e Luigi. Il secondogenito Piersilvio è assente perché preferisce tenersi lontano da eventi troppo affollati per paura del contagio da Covid. Marta Fascina indossa un abito bianco in pizzo francese, una creazione di Antonio Riva.
Gli addobbi della Villa
Per l’occasione Villa Gernetto è stata addobbata a festa: 150 statue fatte disporre da Berlusconi nei giardini all’italiana, giochi d’acqua nelle fontane e getto a forma di torta nella fontana principale. L’aperitivo viene servito nella Sala dei passi perduti, il pranzo nel Salone delle feste.
Il menù del tristellato «Da Vittorio»
Preparato del ristorante tristellato «Da Vittorio» il menù per gli ospiti prevede come antipasto mondeghili di vitello al limone con crema di sedano rapa, come primi gnocchetti di ricotta e patate allo zafferano, robiola e pan pepato e paccheri «alla Vittorio», per secondo tagliata di manzo al vino rosso con patata fondente e crema di carote alla cannella. Kermesse di dolci per dessert. Dalla cantina: Aneri Alto Adige Pinot bianco 2020, Aneri Alto Adige Pino Nero 2018, Moscato Passito «Faber» La Cantalupa Monzio Compagnoni.
L’uscita del pullman del Monza
(di Stefano Landi) Passano le biciclette degli amatori che si affacciano a vedere la partenza della Milano-Sanremo. Suonano le campane che per i decibel della piccola Gerno sono come un tuono. Sfila l’auto di Anna Maria Bernini. E mentre tutti entrano, esce il pullman del Monza: era in ritiro pre partita in un’ala di Villa Gernetto, ora diretto allo stadio per la sfida al Crotone. Per una volta senza la dirigenza sugli spalti. Causa di forza maggiore.
Gli arrivi
Tutti arrivati gli amici storici di Berlusconi: Gianni Letta, Adriano Galliani con la compagna, Fedele Confalonieri, Niccolò Ghedini con la moglie e il figlio Giuseppe, Marcello Dell’Utri e Alberto Zangrillo. Tra i politici, Antonio Tajani e Anna Maria Bernini. Paolo Barelli, capogruppo di FI all Camera, è rimasto a Roma dopo essere risultato positivo al test anti Covid.
Le finte nozze di Berlusconi e la falsa visita in Calabria al paese di Marta Fascina. PARIDE LEPORACE su Il Quotidiano del Sud il 18 marzo 2022.
Sabato si celebrano le finte nozze di Silvio Berlusconi. Un matrimonio simbolico del Cavaliere con la compagna, Marta Fascina, deputata di Forza Italia, più giovane di 53 anni rispetto all’ottantacinquenne compagno, il quale in un primo momento aveva parlato di terze nozze ricevendo opposizione dei figli e più stretti collaboratori che hanno messo in guardia Silvio sugli aspetti ereditari di un patrimonio economico molto sostanzioso.
Molto delusa la promessa sposa ma Silvio ha riparato con una festa degna della sua fama.
Tutto pronto a Lesmo a Villa Gernetto da tempo quartier generale berlusconiano per adunate di formazione politica e ritiri del Monza calcio. Pranzo per 50 persone, i familiari della sposa, i figli di Berlusconi, pochi politici di Forza Italia e la mitica Ronzulli organizzatrice del blindato evento mondano, gli amici di sempre Confalonieri, Letta e Galliani.
Marta Fascina è calabrese per nascita come indicano tutte le biografie presenti in Rete.
Nata a Melito Porto Salvo. Il papà e lo zio, grazie a qualche presenza familiare, da Napoli si trasferiscono negli anni Ottanta nel paese della Jonica reggina aprendo un’agenzia di assicurazioni che riscuote successo e affermazione. Marta da giovane con i genitori si fanno ritorno a Napoli trasferendosi poi a Roma dove compie studi e formazione che la porteranno ad una brillante carriera di addetto stampa nel Milan e all’incontro con Silvio non più a braccetto con la fumantina Francesca Pascale. Non mancherà elezione alla Camera dei deputati in blindatissimo collegio campano per l’emergente Mart.
In Calabria Marta Antonia Fascina, questo il nome per esteso, prima della notorietà berlusconiana è spesso tornata per vacanze estive nel paese in cui vivono ancora i due cugini, tra cui Gaetano molto stimato a Melito dove manda ancora avanti l’agenzia di assicurazioni paterne.
Le nozze o simil tali, evento di richiamo del gossip anche se molto oscurato dalle notizie di guerre, ha accesso curiosità a Melito Porto Salvo e qualcuno sui social ha piazzato una fake news berlusconiana.
Una foto taroccata su Facebook mostra Silvio e Marta lo scorso 11 marzo che in incognito si sarebbero fermati al ristorante-albergo “La casina dei Mille” allocata in uno storico casale dove veramente si fermò a soggiornare Giuseppe Garibaldi. La circostanza è stata fermamente smentita dal proprietario del ristorante.
La finta foto e la finta notizia hanno suscitato dibattito da social con diversi commenti che si dividono nel commentare mancanze di servizi cittadini che saranno risolti, aspirazioni di attrazioni turistiche legate alla coppia molto vip e contumelie antiberlusconiane. Si auspicano speranze di visite ufficiali, sollecitazioni all’amministrazione comunale, voglia di notorietà. Per il momento nulla di tutto questo.
Del nuovo lieto evento berlusconiano bisognerà attendere solo le foto ufficiali del magazine di famiglia “Chi” che ha facilmente ricevuto l’esclusiva delle promesse d’amore. Marta Antonia ha fatto preparare un calco delle sue mani che stringono quelle di Silvio a simboleggiare un rapporto indissolubile, Berlusca da vecchio signore risponderà con uno splendido solitario. Melito Porto Salvo per il momento attende, sperando di diventare set della nuova storia sentimentale di un personaggio pubblico che non smette mai di aggiungere nuovi episodi ad una biografia ad alto tasso di curiosità.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
Silvio Berlusconi e Marta Fascina, il «quasi matrimonio»: la festa e l’elogio a Salvini, «unico vero leader in Italia». Paola Di Caro e Stefano Landi su Il Corriere della Sera il 20 Marzo 2022.
L’unione con torta nuziale con la deputata 32enne di Forza Italia: «Tu mi riempi la vita». Malumori nel partito per le parole usate per il leader della Lega.
Del matrimonio è mancato solo il certificato ufficiale. Ma tutto il resto, nella giornata speciale che si sono voluti regalare Silvio Berlusconi e Marta Fascina, c’è stato. Come in vere nozze. Alle quali ha partecipato — creando malumori fra gli azzurri — Matteo Salvini, incoronato dall’ex premier «unico leader vero d’Italia». Quasi un suo successore.
C’è stata la cerimonia nella cappella privata di Villa Gernetto, con lei vestita in abito bianco di pizzo francese con strascico di Antonio Riva, accompagnata fino all’altare dal padre che le ha scoperto il volto dal velo, le ha baciato la fronte e l’ha lasciata con il suo uomo. C’è stato lui, in abito blu Armani, che ha raccontato come è nata la loro storia tre anni fa, chiudendo così: «Il mio per te, Marta, è un amore grande. È qualcosa che non ho mai provato prima, e ora per me tu sei indispensabile, irrinunciabile. Mi sei stata vicina in momenti duri, mi hai aiutato. Tu mi completi, non potrei vivere senza di te, riempi la mia vita». C’è stato lo scambio delle fedi, portate ai quasi sposi da Vittoria, la figlia di Licia Ronzulli, e la formula di rito che è risuonata tra le panche allestite con ortensie e rose bianche e azzurre: «Questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà, ci unirà eternamente».
C’è stato un «viva gli sposi!», lanciato dal fratello del Cavaliere, Paolo, tra gli applausi di tutti i 60 invitati, fra i quali i figli di Berlusconi — tranne Piersilvio, che aveva fatto sapere di voler evitare luoghi a rischio Covid — che pure erano stati contrari a un matrimonio vero e anche questo simbolico (rimasto in bilico a lungo), ma che alla fine sono stati vicini al padre: Marina seduta accanto a lui al grande tavolo da pranzo unico per tutti gli ospiti e Barbara a fianco di Marta, in questo mega evento curato in tutti i particolari da Massimo D’Ascanio e Daniela Russo.
Ci sono stati le bomboniere azzurre, i confetti, i tovaglioli con ricamato il nome di ciascun invitato, la torta bianca a tre piani, i regali arrivati (quadri, statue, vino), tutti gli amici di una vita entrati in auto scure davanti all’ingresso dove era presente un solo fan, il signor Donato: Gianni Letta, Dell’Utri, Confalonieri, Galliani, Ghedini, Zangrillo, e poi Tajani, Bernini, non Barelli impedito dal Covid, Sgarbi che sembra si sia auto-invitato la sera prima chiamando il Cavaliere. E c’era soprattutto, a sorpresa, Matteo Salvini.
Una presenza del tutto inattesa quella del leader della Lega, tenuta segreta per evitare polemiche interne alla coalizione, visto che è stato l’unico alleato invitato, e partito. Arrivato tra gli ultimi e il primo ad andarsene, è stato omaggiato in pubblico dal Cavaliere: «Lui è l’unico leader vero che c’è in Italia: è sincero, è una persona sincera, per questo lo ammiro e gli voglio molto bene», ha detto durante il taglio della torta, in giardino, facendo sobbalzare molti azzurri che non hanno gradito né la scelta delle presenze e le rispettive esclusioni e tantomeno il ruolo riservato all’alleato, in un rapporto così stretto che nessuno immaginava in un momento in cui FI cerca il suo spazio autonomo sulla scena. Nessun ministro era stato invitato, né leader alleati, ma Salvini — non un amico di vecchia data — sì. A testimonianza del fatto che esistono a dir poco due linee in una FI di cui Berlusconi sembra occuparsi sempre più a distanza.
E quindi anche Salvini, tra un «Forza Milan» e un «viva Silvio» ha partecipato, nella villa arredata da 150 statue, con giochi d’acqua e valzer di aperitivi, al pranzo griffato Da Vittorio nel salone delle feste. Mondeghili gourmet, gnocchetti di ricotta, paccheri, manzo al vino rosso e un gelato, il tutto innaffiato da vini Aneri e tra musiche prima istituzionali, un romantico violino, poi più consone a una festa che prende vita dopo i primi momenti più tesi, quando un Berlusconi comunque agitato e una Marta emozionatissima erano arrivati sapendo che la cerimonia era qualcosa di dirompente a suo modo, per la freddezza dei figli, per la contrarietà degli amici visto il momento politico scandito dalla guerra. Ma appunto il ghiaccio si è sciolto presto, e a contribuire sicuramente la benevolenza dei figli che hanno incontrato i familiari di Fascina, e alla fine canticchiato con il padre che ha voluto come ospite musicale d’onore l’amico Gigi D’Alessio: «Mi ha fatto un grande regalo a esserci, insieme abbiamo scritto quasi 130 canzoni». Poi sono stati il Cavaliere e Confalonieri ad esibirsi nei loro pezzi forti: le canzoni francesi e un finale O mia bela Madunina.
Nessun riferimento se non vaghissimo ai «tempi bui che stiamo vivendo», subito superato da un «l’amore vince sempre su tutto». Alla fine, tutti soddisfatti, pare. La mediazione in qualche modo ha funzionato, poi chissà se un giorno non tornerà la tentazione di regolarizzare l’unione, o se finirà così, senza foto ufficiali e carte bollate ma con l’ufficiosa certezza che una signora Berlusconi c’è. Con tutto quello che significherà.
Il racconto delle nozze del Cavaliere. Silvio Berlusconi e il matrimonio ‘simbolico’ con Marta Fascina: lei in bianco, lui in blu ha cantato con Gigi D’Alessio. Elena Del Mastro su Il Riformista il 19 Marzo 2022.
Per Silvio Berlusconi oggi è “il giorno della festa dell’amore”, il giorno delle nozze con Marta Fascina, sua compagna da quasi 3 anni. In realtà si tratta di “nozze simboliche” perché non hanno alcun vincolo giuridico né civile . Ma è stata celebrata nella cappella di Villa Gernetto a Lesmo, in Brianza, senza un officiante ma per il resto c’era tutto: la sposa in bianco, gli invitati vestiti di tutto punto, i posti assegnati ai tavoli, i fiori e i regali.
Completo di Armani blu con un mughetto all’occhiello per il Cavaliere, mentre Marta Fascina ha indossato un abito bianco creato dallo stilista Antonio Riva in pizzo francese, con corpetto, mezzo colletto e scollatura casta a V, oltre ad un ampio strascico bianco lungo almeno quattro metri, come riportato dall’Ansa. Di mughetto anche il bouquet, in pendant con l’occhiello di Berlusconi.
Alla festa all’americana per l’unione simbolica tra il leader di Forza Italia, 85 anni, e la 32enne deputata azzurra Marta Fascina, hanno preso parte alla fine una sessantina di invitati tra familiari, amici e parlamentari. Tutti presenti i figli di Berlusconi, tranne Piersilvio, che ha scelto di tenersi lontano da eventi troppo affollati per paura del contagio da Covid.
Nelle scorse settimane, quando si era diffusa la notizia di imminenti nozze, il Cav aveva diffuso una nota spiegando che “il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c’è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio”. Eppure, “proprio perché si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari”.
Tra questi anche il segretario della Lega Matteo Salvini che, dopo aver aperto in mattinata la 7/ma edizione della scuola politica del partito, ha preso parte al pranzo preparato per l’occasione dal ristorante tristellato ‘Da Vittorio’. Presenti, tra gli altri, anche i parenti della ‘sposa’, Paolo Berlusconi, Gianni Letta, Marcello Dell’Utri, Fedele Confalonieri, Vittorio Sgarbi, Adriano Galliani con la compagna, Niccolò Ghedini, oltre ai parlamentari azzurri Licia Ronzulli, Anna Maria Bernini e Antonio Tajani.
Assente invece il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli. “Sono a Roma, non sono partito perché sono risultato positivo al Covid – ha spiegato a LaPresse -. L’assenza di Giorgia Meloni? Non c’è nulla di politico. Berlusconi con Salvini ha un buon rapporto, si saranno sentiti e gli avrà detto di passare”.
Il menù proposto per l’occasione ha visto per antipasto mondeghili di vitello al limone con crema di sedano rapa, due primi (gnocchetti di ricotta e patate allo zafferano, robiola e pan pepato e paccheri ‘alla Vittorio’), tagliata di manzo al vino rosso con patata fondente e crema di carote alla caramella per secondo. Per finire quindi una kermesse di dolci. Tra i vini serviti pinot bianco e nero dell’etichetta Aneri dell’Alto Adige.
Nel corso dell’evento Berlusconi ha duettato con Confalonieri, con quest’ultimo che ha suonato il pianoforte mentre il leader di Forza Italia ha cantato alcune canzoni francesi e, alla fine, ‘O mia bella Madunina’. Alla festa si è esibito inoltre Gigi D’Alessio che ha cantato alcune delle sue canzoni, alcune anche con Berlusconi. Al termine agli invitati è stata regalata una scatola di confetti azzurra di velluto con iniziali dorate, e per bomboniera un orologio d’oro da taschino.
Alcuni dettagli pensati e scelti per l’occasione come riportato da Repubblica: il leader azzurro ha fatto disporre 150 statue ad hoc nei giardini della villa, ha poi voluto che il getto d’acqua di una fontana rappresentasse scenicamente una grande torta, a seguire l’aperitivo che è stato servito nella Sala dei Passi Perduti mentre per il pranzo gli invitati sono stati fatti accomodare nel Salone delle Feste.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
La super bomboniera di Silvio Berlusconi per il matrimonio con Marta Fascina: il regalo da sballo. Il Tempo il
21 marzo 2022
Un orologio d’oro da taschino di una storica casa svizzera, la Tissot. Questo il cadeaux, dal gusto vintage, che Silvio Berlusconi avrebbe fatto a chi ha partecipato alla festa del suo ‘matrimonio simbolico’ con Marta Fascina a Villa Gernetto, sabato scorso. A rivelarlo è Vittorio Sgarbi, anche lui tra i beneficiari del dono, in veste di invitato alle ‘nozze non nozze’ del Cav. «È stata una festa entusiasmante, Berlusconi non si smentisce mai, è generoso, come sempre», commenta il critico d’arte, ex azzurro, ora deputato del Misto, che spiega: «È un orologio da taschino molto bello. Berlusconi ha regalato anche cravatte firmate da lui agli uomini e foulard alle donne».
Accusato di essersi ‘imbucato’ al party all’americana di Silvio e Marta, Sgarbi assicura di essere stato regolarmente invitato, scherzando sulle polemiche stampa sulle nozze finte del leader azzurro: «Ma quali nozze finte? Berlusconi ha fatto tutto lui, ha recitato due parti in commedia: è stato sia sposo che officiante...». Uno Sgarbi divertito promette che «organizzerà a Berlusconi un altro matrimonio, tra le statue del Canova»: «L’ho invitato il 5 maggio a Possagno e lui ha assicurato che verrà, lì dove esiste il più bel museo canoviano. E siccome la cappella di Villa Gernetto è canoviana, a Possagno ricomporrò tutte le sculture del Canova. Così lì potrò ricostruire la cappella di Lesmo per un secondo matrimonio...». Raccontano che i vertici azzurri, Antonio Tajani e i capigruppo Paolo Barelli e Annamaria Bernini, hanno regalato al loro leader un servizio di piatti.
«La cerimonia è finita alle 16.30, con Berlusconi che diceva: ‘Chiamatelo come volete, non avete visto sacerdoti o sindaci, ma questo era il mio matrimonio’. Poi l’ha baciata tre volte sulle labbra - ha spiegato Sgarbi -, mi sembrava molto convinto, e alla fine ha detto che certe notti dormono mano nella mano, tutti abbracciati, come a voler comunicare un affetto incontenibile».
Giuseppe Alberto Falci per il “Corriere della Sera” il 21 marzo 2022.
«Nessuna persona di buon senso si presenta a un matrimonio senza un invito».
Eppure si racconta, Vittorio Sgarbi, che lei avrebbe chiamato Arcore per poter partecipare alla «festa dell'amore» di Silvio Berlusconi e Marta Fascina.
«Solo tre fra gli invitati eravamo fuori dall'ambito familiare: Matteo Salvini, Gigi D'Alessio e io. Siamo tutti e tre amici potenziati. Nel corso della festa Silvio si è alzato e ha elogiato il cantante napoletano "per la sua bontà". E sapete perché?».
Perché?
«Il Cavaliere ha raccontato davanti a tutti di averlo chiamato all'ultimo momento, praticamente il giorno prima, perché non aveva trovato la disponibilità di Apicella. E D'Alessio si è subito mobilitato».
Ci può dire come è andata con il suo invito?
«Venerdì chiamo Berlusconi del tutto ignaro del matrimonio per invitarlo a Possagno dove c'è il più bel museo canoviano, pregandolo di celebrare il suo matrimonio lì. Silvio mi interrompe: "Vittorio, il matrimonio sarà domani. Vieni, vieni!"».
A quel punto lei cambia programma e si presenta a Villa Gernetto.
«Straordinario il menu e straordinaria la tavolata quirinalizia. Silvio ha alla sua destra la figlia Marina e alla sua sinistra Marta. Accanto alla neo moglie ci sono poi i genitori, i familiari di lui più stretti, il fratello Paolo, insomma una cerimonia ristretta».
Aneddoti?
«Poco prima dell'arrivo del pacchero alla Vittorio, Berlusconi si alza e annuncia che ci verrà consegnato un grembiule bianco per impedire di sporcarci. Silvio girava per i tavoli, poi ha detto: "Questa è la mia sposa, questa è la donna che amo, è una fortuna insperata avere lei al mio fianco"».
DAGONEWS il 21 marzo 2022.
Sabato, oltre al matrimonio burletta, si è celebrato anche il patto Berlusconi-Ronzulli-Salvini: finché sarà in vita il Cavalier Pompetta, il partito manterrà il nome di Forza Italia e padrone sarà il demente senile accalappiato da Marta Fascina. Dopodiché, il Capitone annetterà il progetto politico del fu Re del Bunga Bunga.
Ovviamente, ci sarà una spaccatura: la parte del partito che si identifica con i valori liberali e centristi, dalla Carfagna a Brunetta, non ci pensa proprio di finire dalle parti del Carroccio. Da notare la stizza di Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia: “Quella di Berlusconi a Salvini era una attestazione di amicizia, non c'era una logica di partito”. Una puntualizzazione che vuole soprattutto far capire a Salvini-Ronzulli che si considera lui l’erede del berlusconismo.
Emilio Pucci per “il Messaggero” il 21 marzo 2022.
Matteo Salvini lo ha chiamato la settimana scorsa per congratularsi, Giorgia Meloni no. Il Capitano della Lega lo ha difeso nella partita del Quirinale, la presidente di Fratelli d'Italia no. E, considerato che per Silvio Berlusconi la politica è fatta anche e molto di rapporti umani, nessuno si è meravigliato alla festa di villa Gernetto, il luogo delle simil nozze tra il Cavaliere e Marta Fascina, per quell'attestato di amicizia e il riconoscimento formale di un rapporto che va avanti da tempo.
«Questo è Salvini, l'unico leader vero che c'è in Italia. Gli voglio molto bene e lo ammiro perché è una persona sincera», le parole del presidente azzurro.
Sarà vero che si è trattato di una affettuosità del momento, di una cortesia perché il segretario del partito di via Bellerio ha accettato l'invito al wedding party, ma agli occhi del Cavaliere Salvini resta un politico che si è fatto da solo, a cui deve riconoscenza, non come la Meloni che - sempre la tesi dell'ex premier - non ha dimostrato quella gratitudine a chi l'ha aiutata a emergere nella carriera politica.
Ora però le affermazioni di sabato hanno creato un caso. Per di più il coordinatore azzurro Tajani ieri si è pronunciato così sul rapporto con Fdi: «Siamo alleati e leali ma alcune cose vanno cambiate.
Senza FI non si vince e non si governa». «Il centrodestra esiste in natura ed è sempre più forte tra gli elettori e sul territorio. Noi - replica il capogruppo di Fdi alla Camera Lollobrigida - ci saremo per un progetto alternativo alla sinistra. Fdi rappresenta il centrodestra, le altre forze sono da definire».
Nel partito della Meloni ricordano come sia stata proprio lei a proteggere Matteo bersagliato dalle critiche per il viaggio in Polonia ma, oltre all'endorsment di Salvini per Berlusconi per la leadership dell'alleanza, pesano le fibrillazioni in vista delle amministrative.
E se in Fdi si affrettano a dire che a decidere chi dovrà essere il leader saranno gli elettori, per il nodo Sicilia - per ora FI, Lega e i centristi della coalizione sono restii ad appoggiare Musumeci e non c'è ancora un candidato a Palermo - sarà necessario un summit tra i vertici dei partiti. Solo che per ora interlocuzioni tra il centrodestra di governo e Fdi non ce ne sono. E per di più la nuova saldatura Berlusconi-Salvini ha provocato nuovi mal di pancia nella Lega e in FI.
L'uscita del Cavaliere è manna dal cielo per il Capitano in difficoltà, sia perché nel partito la sua linea un po' timida nei confronti di Putin viene vissuta con preoccupazione dato i vecchi legami con la Russia, sia a causa degli ultimi sondaggi. Che danno la Lega al di sotto delle percentuali delle ultime Politiche.
Da giorni c'è il timore tra molti parlamentari che si possa finire addirittura sotto il 10%. Un'erosione del consenso che lascia inquieta l'ala governista del partito. Che, qualora il trend dovesse essere questo - ovvero di un calo consistente alle amministrative e di una perdita di credibilità di chi rappresenta la Lega -, sarebbe pronta a porre il tema sul tavolo. Quando? Non prima dell'estate. «Ma è un fatto - osserva un big del Carroccio - che Matteo le sta sbagliando tutte». Fuoco sotto la cenere. Ma l'ipotesi di commissariare il Capitano non è più peregrina.
Detto ciò, anche i più critici di Salvini sono scettici su chi possa essere il suo sostituto. Giorgetti spinge per Draghi forever, convinto - spiega chi gli ha parlato - che la guerra in Ucraina condizionerà non poco il quadro politico. Solo l'ex numero uno della Bce - il ragionamento che viene riferito - può avere la credibilità e l'autorevolezza di farsi garante dell'Italia, del suo debito e dell'attuazione del Pnrr. Anche nell'ala moderata di FI il convincimento è che il centrodestra non potrà presentare un'alternativa politica di governo.
Salvini ha piani differenti, pensa a una lista unica con FI nel 2023, martedì dovrebbe partecipare all'iniziativa del centrostudi Machiavelli Un partito repubblicano in Italia? L'ipotesi del partito unico e delle primarie del centro-destra. Iniziativa che è slittata alle 14 per evitare la concomitanza dell'intervento del presidente ucraino Zalensky.
In ogni caso Berlusconi (l'8 aprile tornerà in campo per la convention di FI e dovrebbe nei prossimi mesi cambiare alcuni coordinatori del partito) non ha fretta, il progetto della federazione è congelato. L'ex premier aspetterà i sondaggi, cercherà di capire se la Lega reggerà, difficile che possa aprire a una legge proporzionale ma dovrà mantenere l'equilibrio dei gruppi parlamentari, non tutti sono contenti di consegnare le chiavi del centrodestra a Salvini.
Silvio & Marta, oggi boh. La musica, le storie, la festa del fu capo dell’Italia e di tutti noi. Guia Soncini su Linkiesta il 22 Marzo 2022.
Fascina s’è vestita da meringa, Berlusconi ha convocato Gigi D’Alessio, Sgarbi ha fatto il photo bomber, Marina è andata al banchetto e Piersilvio no. Chi se ne importa se abbiamo assistito a una cerimonia finta: la sposa impallata dalla torta vale qualsiasi recita.
Gira, per gli uffici delle case editrici italiane, una proposta d’autobiografia di Karima El Mahroug, nota alle cronache giudiziarie col nome d’arte di Ruby. Probabilmente nessuno gliene commissionerà la stesura, giacché la signora non ha chiaro quale parte di sé la clientela voglia acquistare: dicono ella desideri parlare della propria famiglia, dei propri guai non speciali (un padre violento, roba che si trova a Rozzano quanto in Egitto); liquidando come marginale quella volta che andò a cena da Silvio Berlusconi.
Ieri, «Ruby» era una parola molto utilizzata nei commenti ai video della bislacca cerimonia tra Silvio Berlusconi e la signora Marta Fascina. «Ruby» sta alla sinistra come «e allora i marò?» sta alla destra: non sappiamo cosa dire, e ci sembra il commento con cui mettere a tacere l’interlocutore (fossimo retori efficaci, non sprecheremmo le nostre giornate a far retorica non retribuita sui social).
Gli italiani di fine Novecento sono stati un popolo molto fortunato. Niente guerre, niente fame, niente preoccupazioni serie, niente cancelletti sui social, niente talk-show in cui scoprire ogni giorno che la classe dirigente è formata da imbecilli almeno quanto l’elettorato, niente democrazia diretta, niente cuoricini. Una serenità così sterminata da potersi permettere il lusso di credere che il problema fosse Silvio Berlusconi. Uno che – credo di averlo già detto, ma la realtà mi costringe a ripetermi – al confronto di questi d’oggi pare Churchill.
(Tra qualche settimana uscirà un nuovo libro di Filippo Ceccarelli, il miglior commentatore politico italiano vivente. Nell’attesa, continuo a credere che tutta la storia d’Italia degli ultimi ottant’anni sia riassunta nel sottotitolo di Invano, il suo ultimo libro: Da De Gasperi a questi qua).
Insomma Silvio Berlusconi, che ha ottantacinque anni e si accoppierà un po’ con chi gli pare, si mette con questa giovane calabrese dal biondo naturalissimo, Marta Fascina, e a un certo punto inizia a girare voce che voglia sposarla, e poi che i figli si siano opposti. I figli di Berlusconi hanno tra i 55 e i 33 anni: tendo a escludere temano che la nuova matrigna distragga il babbo dai doveri paterni, e di non vedersi più rimboccare le coperte.
Pare ci siano già precedenti non sereni a causa di una divisione iniqua dell’eredità tra figli di primo e di secondo letto, nella discendenza di Silvio. E qui bisognerebbe aprire una divagazione di circa cento pagine su uno dei miei temi preferiti. Non ho cento pagine di spazio, quindi la restringerò a sei parole: i figli dei ricchi sono scemi.
Tutti. È scientificamente provato da un’équipe composta da tutte le mie personalità che non esiste ricco di seconda (o terza; alla quarta in genere il patrimonio è già andato a puttane e si ricomincia il giro) generazione al quale la mancanza di bisogni non abbia ristretto il cervello. I neuroni si atrofizzano, a non dover mai pensare a come mantenersi. Se erediti, sei rovinato. Prenderai le tv di famiglia e le trasformerai da azienda fiorente a mezzo disastro (è un esempio di fantasia). A voler fare un favore ai figli, bisognerebbe diseredarli, ma in Italia non si può: c’è la quota legittima, quella parte del tuo patrimonio che devi per forza lasciare alla prole (prima cosa che abolirei se fossi al governo, assieme agli alimenti in caso di divorzio).
Insomma i figli d’un ottantacinquenne si sarebbero messi di mezzo acciocché il povero vecchio non desse un ruolo ufficiale alla signora Fascina, alla quale in caso di matrimonio spetterebbe pure una quota di eredità per legge. (Una delle voci dice che il finto matrimonio celebrato domenica sia stato una festa per assecondare i figli ma che i due in realtà si siano sposati davvero, precedentemente. Non è molto plausibile – in Italia per sposarti devi esporre per due settimane le pubblicazioni, va bene che il giornalismo locale è quello che è ma mi pare difficile nessuno si sia accorto di pubblicazioni col nome d’un tizio d’una certa fama – ma è bello sognare).
Quindi Marta s’è vestita da meringa; Silvio ha convocato Gigi D’Alessio (Apicella aveva il Covid); Marina è andata al banchetto e Piersilvio no (le donne son sempre più assennate); gli invitati hanno fatto i filmini che sono finiti su Instagram e sui giornali, una foto che Berlusconi vuole fare con Confalonieri e Galliani e Letta (zio) in cui Sgarbi fa capoccella (e Silvio gli urla scherzoso «Fuori dalle palle»), Salvini che si avvicina e Berlusconi che lo abbraccia definendolo «l’unico leader vero che c’è in Italia»; e la sposa, nella mia angolazione di filmato preferita, impallata dalla torta.
Mi piace pensare che sia il trucco di quando, in uno sceneggiato, l’attrice protagonista resta incinta, ma il personaggio non lo è, e quindi la produzione s’ingegna a farle portare borse enormi, o a farle avere conversazioni in piedi dietro a un abat-jour. Marta Fascina, lasciatemi sognare in pace, è dietro la torta di non nozze perché essa occulta una gravidanza: un erede cui spetterà comunque, anche se la mamma non fosse maritata, una quota legittima d’eredità.
Ieri ho messo su Instagram uno dei video, quello in cui Berlusconi abbraccia Salvini – dopo che Matteo satollo ha detto «mi sbottono la giacca sennò esplodo» – e lo loda perché «è sincero». Il noiosissimo ceto medio riflessivo ha commentato cose come «ah certo, la sincerità, e Ruby nipote di Mubarak?»; e io mi sono ricordata dell’unico dettaglio interessante che c’è nella proposta di memoir di Karima El Mahroug. Il racconto di come quella sera, tornata dalla cena con Berlusconi, Karima chiamò la mamma e le disse: sono stata a cena dal capo dell’Italia.
Paola Di Caro,Stefano Landi per il "Corriere della Sera" il 20 marzo 2022.
Del matrimonio è mancato solo il certificato ufficiale. Ma tutto il resto, nella giornata speciale che si sono voluti regalare Silvio Berlusconi e Marta Fascina, c'è stato. Come in vere nozze. Alle quali ha partecipato - creando malumori fra gli azzurri - Matteo Salvini, incoronato dall'ex premier «unico leader vero d'Italia». Quasi un suo successore.
Scambio delle fedi C'è stata la cerimonia nella cappella privata di Villa Gernetto, con lei vestita in abito bianco di pizzo francese con strascico di Antonio Riva, accompagnata fino all'altare dal padre che le ha scoperto il volto dal velo, le ha baciato la fronte e l'ha lasciata con il suo uomo. C'è stato lui, in abito blu Armani, che ha raccontato come è nata la loro storia tre anni fa, chiudendo così: «Il mio per te, Marta, è un amore grande. È qualcosa che non ho mai provato prima, e ora per me tu sei indispensabile, irrinunciabile. Mi sei stata vicina in momenti duri, mi hai aiutato. Tu mi completi, non potrei vivere senza di te, riempi la mia vita».
C'è stato lo scambio delle fedi, portate ai quasi sposi da Vittoria, la figlia di Licia Ronzulli, e la formula di rito che è risuonata tra le panche allestite con ortensie e rose bianche e azzurre: «Questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà, ci unirà eternamente».
Il ruolo dei figli C'è stato un «viva gli sposi!», lanciato dal fratello del Cavaliere, Paolo, tra gli applausi di tutti i 60 invitati, fra i quali i figli di Berlusconi - tranne Pier Silvio, che aveva fatto sapere di voler evitare luoghi a rischio Covid - che pure erano stati contrari a un matrimonio vero e anche questo simbolico (rimasto in bilico a lungo), ma che alla fine sono stati vicini al padre: Marina seduta accanto a lui al grande tavolo da pranzo unico per tutti gli ospiti e Barbara a fianco di Marta, in questo mega evento curato in tutti i particolari da Massimo D'Ascanio e Daniela Russo.
Ci sono stati le bomboniere azzurre, i confetti, i tovaglioli con ricamato il nome di ciascun invitato, la torta bianca a tre piani, i regali arrivati (quadri, statue, vino), tutti gli amici di una vita entrati in auto scure davanti all'ingresso dove era presente un solo fan, il signor Donato: Gianni Letta, Dell'Utri, Confalonieri, Galliani, Ghedini, Zangrillo, e poi Tajani, Bernini, non Barelli impedito dal Covid, Sgarbi che sembra si sia auto-invitato la sera prima chiamando il Cavaliere. E c'era soprattutto, a sorpresa, Matteo Salvini.
Il «caso Matteo» Una presenza del tutto inattesa quella del leader della Lega, tenuta segreta per evitare polemiche interne a coalizione, visto che è stato l'unico alleato invitato, e partito. Arrivato tra gli ultimi e il primo ad andarsene, è stato omaggiato in pubblico dal Cavaliere: «Lui è l'unico leader vero che c'è in Italia: è sincero, è una persona sincera, per questo lo ammiro e gli voglio molto bene», ha detto durante il taglio della torta, in giardino, facendo sobbalzare molti azzurri che non hanno gradito né la scelta delle presenze e le rispettive esclusioni e tantomeno il ruolo riservato all'alleato, in un rapporto così stretto che nessuno immaginava in un momento in cui FI cerca il suo spazio autonomo sulla scena.
Nessun ministro era stato invitato, né leader alleati, ma Salvini - non un amico di vecchia data - sì. A testimonianza del fatto che esistono a dir poco due linee in una FI di cui Berlusconi sembra occuparsi sempre più a distanza.
Il pranzo e i canti E quindi anche Salvini, tra un «Forza Milan» e un «viva Silvio» ha partecipato, nella villa arredata da 150 statue, con giochi d'acqua e valzer di aperitivi, al pranzo griffato Da Vittorio nel salone delle feste. Mondeghili gourmet, gnocchetti di ricotta, paccheri, manzo al vino rosso e un gelato, il tutto innaffiato da vini Aneri e tra musiche prima istituzionali, un romantico violino, poi più consone a una festa che prende vita dopo i primi momenti più tesi, quando un Berlusconi comunque agitato e una Marta emozionatissima erano arrivati sapendo che la cerimonia era qualcosa di dirompente a suo modo, per la freddezza dei figli, per la contrarietà degli amici visto il momento politico scandito dalla guerra.
Ma appunto il ghiaccio si è sciolto presto, e a contribuire sicuramente la benevolenza dei figli che hanno incontrato i familiari di Fascina, e alla fine canticchiato con il padre che ha voluto come ospite musicale d'onore l'amico Gigi D'Alessio: «Mi ha fatto un grande regalo a esserci, insieme abbiamo scritto quasi 130 canzoni». Poi sono stati il Cavaliere e Confalonieri ad esibirsi nei loro pezzi forti: le canzoni francesi e un finale O mia bela Madunina.
Il futuro Nessun riferimento se non vaghissimo ai «tempi bui che stiamo vivendo», subito superato da un «l'amore vince sempre su tutto». Alla fine, tutti soddisfatti, pare. La mediazione in qualche modo ha funzionato, poi chissà se un giorno non tornerà la tentazione di regolarizzare l'unione, o se finirà così, senza foto ufficiali e carte bollate ma con l'ufficiosa certezza che una signora Berlusconi c'è. Con tutto quello che significherà.
Natalia Aspesi per la Repubblica il 20 marzo 2022.
Qui bisogna usare la fantasia, immaginarsi un romanzo Harmony che parte da un classico dell'amore: l'anziano più o meno ricco, che incontra una signorina in cerca di sistemazione e che sa come confondergli le idee e farsi sposare, ma a questo punto intervengono gli eredi che fanno un tale minaccioso casino (in questo caso nella massima ombra) da riuscire a sventare l'assurdo evento.
Tutti conosciamo anche nella realtà casi simili, e infatti perché non chiedersi che senso ha organizzare una semplice "Festa dell'amore" che i protagonisti avranno già vissuto tante volte, declassando un matrimonio vero in un evento senza senso quali le nozze simboliche? Dobbiamo essere grati a Silvio Berlusconi che in questo tempo di tragedia ci riporta al sorriso, al lato bello della vita, l'amore, la festa, la musica, lo champagne, i valletti, gli chef stellati, gli immancabili paccheri, la villa sontuosa, la ricchezza, la famiglia, un pomeriggio di fasto e pace, tra fontane e statue, seppure infestato da qualche caro amico non dei più probi e presentabili.
L'uomo della politica, del denaro, delle leggi, dei processi, può averne fatti di tutti i colori ma quello dell'amore no, beniamino, protettore, munifico finanziatore di folle di giovani donne, meglio se giovanissime, anche adesso nella sua vecchiaia che lo costringe a portare sempre il cappello storto e a non muovere un muscolo della sua faccia affranta. E la povera onorevole Fascina? Si può sperare per lei che la improvvisata festa dell'amore a suggello di due anni di vero amore sia stata preceduta da momenti più riflessivi davanti ad avvocati e notai.
E ci mancherebbe che non fosse così. A tutte le altre sì e a questa giovane deputata anche amica di famiglia, che lo rallegra accompagnandolo verso i 90, no? Comunque sulla possibilità che la cerimonia doveva essere altra, più definitiva, si può fantasticare per via della chiesa, dei violini, dell'abito bianco con strascico, del bouquet di mughetti e della torta a tre piani. E Pier Silvio avrà certo paura della pandemia, ma per la nuova vita di papà neanche un minuto a festeggiare? Con i parenti di Silvio e della Marta, i sodali della politica e del resto, il Confalonieri che suona il piano e il neo non sposo a cantare con lui e per la sposa Gigi D'Alessio. C'era pure Salvini senza giubbotto da sponsor porta-male. Nell'epoca di Instagram ci sono molti "pare che".
E infatti "pare che" non ci saranno troppe testimonianze del festoso evento, ma si spera che non sia così: che ce ne frega di questa festa classicamente volgarotta se non possiamo vederne le immagini in gran quantità e quindi riderne? E i regali di non nozze? Possibile che l'amico Putin non abbia inviato un patriarca, una icona, un giubbotto blindato come il suo? E poi c'è un'altra pseudo notizia per romantici che ha cominciato a circolare: e se i due innamorati si fossero davvero sposati, ma in segreto, tanto per evitare l'apocalisse familiare?
Il «quasi matrimonio» di Berlusconi, malumori e timori in Forza Italia per le lodi a Salvini. Paola Di Caro su Il Corriere della Sera il 20 marzo 2022.
Quasi a non voler rovinare la festa del Cavaliere, che ha suggellato sabato le sue nozze simboliche con Marta Fascina, non ci sono in Forza Italia o tra gli alleati lamenti pubblici per l’uscita del Cavaliere, che ripreso dai telefonini ha omaggiato l’ospite Matteo Salvini con un «lui è l’unico leader vero che c’è in Italia». Una dichiarazione forte che, accompagnata all’invito (arrivato solo in settimana, dopo una telefonata tra i due) alla cerimonia, ha lasciato molti azzurri, non solo di ala governista, «esterrefatti» per una posizione che sembra schiacciare di nuovo il partito sulla Lega dopo una fase che è sembrata di ricerca di una autonomia e una libertà di movimento. Ma anche «intristiti» per un’immagine che mostra un Berlusconi preso dal suo privato (le nozze simulate) non comprensibile per gli elettori. E lontano dalla politica del day by day (per ora è prevista una sua uscita solo nella due giorni tematica dell’8 e 9 aprile), tanto da far temere ai suoi un disimpegno, una leadership a un passo dall’essere deposta. E affidata a Salvini.
C’è voluta così molta diplomazia sotterranea e un messaggio pubblico per provare a disinnescare la mina. Da una parte Gianni Letta ha rassicurato i big del partito: quello di Berlusconi è stato sostanzialmente un modo per far sentire a proprio agio l’ospite, ma nulla di più. Poi è dovuto intervenire il coordinatore Antonio Tajani per giurare che «quella di Berlusconi a Salvini era una attestazione di amicizia, non c’era una logica di partito» e «non cambia nulla nella nostra linea: con la Lega siamo alleati, governiamo insieme, ma manteniamo il nostro ruolo di forza centrale. Nel centrodestra, come è sempre stato e come sarà».
Ma è lo stesso Salvini — che continua ad accarezzare l’idea di un partito repubblicano, o una federazione verso la quale in FI c’è parecchia resistenza — ad accreditare la lettura di una sorta di incoronazione da parte di Berlusconi ringraziandolo « per l’amicizia, la stima e la fiducia», perché «in un momento così difficile solo una squadra unita, compatta e preparata può aiutare gli italiani a risollevarsi, puntando sulle libertà economiche e sociali, sul taglio delle tasse e sulla pace fiscale, su una giustizia giusta e su un lavoro sicuro e ben pagato per tanti». Parole quindi inserite in uno scenario politico e non privato, di chi continua a proporsi come leader naturale del centrodestra e tessitore.
Fuori c’è Giorgia Meloni, che in questo momento sembra, almeno nei rapporti,. Il mancato invito al matrimonio non sorprende in verità: non è un mistero che Berlusconi, a pelle e politicamente, si intenda molto più con il leader della Lega che con la Meloni. In ogni caso la leader — che non ha voluto commentare in nessun modo l’accaduto — non ha alcun interesse a mostrare eventuale fastidio per il mancato invito o le parole di Berlusconi. Francesco Lollobrigida però ribadisce seccamente: «A decidere la leadership saranno i voti», e FdI continua ad oggi ad essere il primo partito nei sondaggi. E Ignazio La Russa taglia corto: «Non credo le parole servano a molto».
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Che resti parecchia freddezza tra FdI da una parte e Lega e FI dall’altra è evidente da tanti episodi, non ultimo il voto sul presidenzialismo (proposta di legge della Meloni) della scorsa settimana che ha visto il centrodestra andare sotto per due assenze di FI e Lega. E lo stesso Tajani ammette: «Con FdI noi siamo alleati leali ma penso che vadano cambiate alcune cose. Noi non rinunciamo alla nostra identità, vogliamo confrontarci, parlare».
Pensiero (il)liberale. Il quasi matrimonio di Berlusconi e il rapporto ambiguo con il freddo Putin. Amedeo La Mattina su L'Inkiesta il 19 Marzo 2022.
Il cerchio magico dei fedelissimi ha convinto il Cavaliere a non convogliare a nozze con la sua giovane fidanzata Marta Fascina. Ma la festa si farà comunque a Villa Gernetto, luogo di tanti incontri con il dittatore russo. Il leader di Forza Italia non riconosce più il suo vecchio amico, ma finora ha evitato di condannare pubblicamente l’invasione.
I corsi e ricorsi della storia hanno risvolti comici, imbarazzanti, spesso drammatici e hanno anche dei luoghi simbolici come quello damascato di Villa Gernetto, la residenza settecentesca dove Silvio Berlusconi è convolato a nozze per finta. La famiglia, i figli eredi, hanno convinto il patriarca a non stringere vincoli civili con la giovane fidanzata e onorevole Marta Fascina, che di anni in meno rispetto al finto marito ne ha 53.
Sembrava che la ragazza ce l’avesse fatta, come era successo a Francesca Pascale in altri tempi, ma all’ultimo miglio ha dovuto desistere sotto il fuoco non amico degli amici del Cavaliere, come Fedele Confalonieri e Gianni Letta. L’accerchiamento del povero Berlusconi per proteggere la roba patrimoniale sembra sia stato stretto in ospedale, al San Raffaele, dove era stato ricoverato durante la fallimentare campagna per il Quirinale.
Vabbè, avrebbe detto Marta, però voglio lo smeraldone (e figuriamoci se Zio Silvio non glielo ha regalato) e una grande festa in pompa magna. Dove se non a Lesmo, nella reggia di Villa Germetto. Sì, certo, però… forse è meglio rinviarla, con la guerra in Ucraina, con tutti quei morti per strada, le case sventrate, vecchi e bambini che vivono come topi nelle cantine, insomma con la macelleria per mano di… Già, per mano dell’amico Vladimir Putin, che Berlusconi voleva far salire in cattedra come primo e sublime insegnante della materia libertà presso l’Università del libero pensiero. Dove? A Villa Gernetto.
Alla fine la celebrazione si fa: è li che sabato si celebra il quasi matrimonio, il matrimonio non matrimonio, la promessa laica di amore e fedeltà, alla presenza di pochi amici, pochissimi politici (esclusi i tre ministri troppo filo-draghiani e anti-leghisti), con il forfait di Pier Silvio Berlusconi. È li che il Cavaliere celebrava davanti a tutto il mondo la sua grande amicizia con Putin.
Correva l’anno 2010. Per la precisione il 26 aprile del 2010. Berlusconi era presidente del Consiglio (da lì a un anno avrebbe lasciato Palazzo Chigi inseguito da uno spread a circa 600 punti, una maggioranza a pezzi, il presidente della Camera Gianfranco Fini all’opposizione dentro il Partito delle Libertà – «che fai mi cacci?». E lo cacciò – e l’Italia finita tra i Paesi Piigs, praticamente in default).
Il suo omologo primo ministro di tutte le Russia era Putin, che aveva lasciato momentaneamente e per finta la presidenza della Federazione russa a un certo Dmitri Medvedev. L’ospite freddo come sempre, mentre il padrone di casa, raggiante come sempre, apriva i cancelli di Villa Gernetto, acquistata da poco. Li apriva ai giornalisti proprio in occasione di un incontro bilaterale Italia-Russia ad altissimo livello. Amministratori delegati di Eni, Enel, Gazprom, accordi sul gas, protocolli per la creazione in Russia di un reattore termonucleare sperimentale Ignitor.
Berlusconi immaginava un ritorno dell’Italia al nucleare nonostante un referendum l’avesse bocciato – «faremo cambiare idea agli italiani con una campagna informativa, mobiliteremo le televisioni», le sue e quelle satelliti della Rai. Si parlava di SouthStream, il progetto di mega-gasdotto che avrebbe collegato Russia e Unione Europea e avrebbe evitato di passare sul territorio della perfida, insicura, infedele Ucraina. A proposito di corsi e ricorsi della storia che torna come tragedia.
Insomma, affari e politica in giacca e cravatta. E guarda caso quell’anno, nel dicembre del 2010, sono saltati fuori dei file riservati pubblicati da Wikileaks su un rapporto del 2009 dell’allora ambasciatore americano a Roma Ronald Spogli che riportava voci di percentuali riconosciute a Berlusconi per il gasdotto costruito da Gazprom.
Quel giorno il presidente del Consiglio italiano era ad Astana in visita al padre-padrone del Kazakistan, il dittatore Nursultan Nazarbayev, un altro amico di Putin che sedeva sopra un oceano di gas e che il Cavaliere elogiava come grande leader molto amato («ho letto un sondaggio che gli assegna il 92% di stima e amore del suo popolo»). Da Astana Mr Mediaset replicò che era tutto falso: «Faccio gli interessi dell’Italia». Gli americani avevano il dente avvelenato con Assange, ma con Berlusconi le cose non andavano bene. L’amicizia con Putin, considerato un grande statista e amico, con cui passava i fine settimana e i compleanni nelle dacie dello Zar e da cui riceveva il lettone per il bunga bunga, veniva vista da Washington con sospetto e tanto fastidio.
E così a Villa Gernetto nel 2010 abbracci e grandi risate quando si aprì un siparietto tra Putin e una giornalista italiana. Qual è il segreto del «longevo matrimonio politico» tra lei e il presidente Medvedev? «Matrimonio? Io e Medvedev siamo persone di orientamento tradizionale…», rispose Putin senza scomporsi. Ma per capire come ragionava e ragiona adesso, sempre in quell’occasione, lo Zar aveva gelato Berlusconi. Il Cavaliere si era lanciato nella esaltazione dello splendido rapporto politico ed economico tra Italia e Russia grazie ai rapporti personali. Ma Vladimir spiegò che i rapporti personali certamente aiutano: ma contano i «reciproci interessi statali».
Forse memore di queste parole e conoscendo la forma mentis dell’amico, Berlusconi ha evitato di mettersi in mezzo sull’Ucraina. Sembra una telefonata gliel’abbia fatta: avrebbe poi confidato ai suoi collaboratori di non riconoscere più lo statista di una volta, quel potenziale docente del pensiero libero e liberale. «Non è vero che l’ha chiamato», smentiscono ad Arcore per non far fare brutte figure al capo, che avrebbe cazziato di brutto tutti quelli che hanno spifferato i suoi nuovi sentimenti per l’orso del Cremlino. Meglio non amareggiarlo troppo, proprio nel giorno del suo matrimonio virtuale. A Villa Gernetto. Ma una parola, non le generiche dichiarazioni filo-atlantiste di Forza Italia, una parola su Putin: perché Berlusconi non l’ha ancora detta in pubblico?
P.S.
L’idea dell’Università nella sontuosa villa brianzola sembra ritornata in auge. Si parla di un accordo con l’Università telematica Niccolò Cusano per lo svolgimento di corsi on line. Ovviamente nel corpo docenti non c’è Putin, occupato a bombardare le città e le case ucraine. Avvocati, manager, politici, ex ministri come Mario Baccini e persino una psicosessuologa, Sara Negrosini, che insegnerà «Il linguaggio del corpo nella comunicazione pubblica».
Confalonieri: «Mia moglie Annick, morta per il Covid. A Berlusconi dico: punta su Meloni». Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 18 Luglio 2022.
Il presidente Mediaset: «Sono milanese, filoleghista, bossiano. Ogni mattina suono Beethoven, Schumann, Bach, Debussy: è il momento più bello della giornata»
Fedele Confalonieri è nel suo ufficio di presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo. «La data di fondazione è 1387. Qui, tra le guglie, trovo lo spirito di Milano. La città: le arti e i mestieri, le corporazioni medievali e gli industriali del Novecento, la Chiesa e il lavoro».
Qual è il vero spirito di Milano, secondo lei?
«Chi ha un mestiere venga a Milano, diceva mille anni fa Ariberto d’Intimiano, il primo a tener testa all’imperatore. Oggi potremmo tradurre: chi volta el cùu a Milan, volta el cùu al pan».
Chi volta le spalle a Milano, volta le spalle al pane.
«Fisicamente non è una metropoli; ma della metropoli ha l’anima. Come Parigi, Londra, New York. Generazioni di persone sono arrivate qui dal resto d’Italia e del mondo; e sono diventate milanesi».
A chi pensa?
«Le faccio solo due nomi. Joe Nissim: ebreo di Salonicco, eroe di guerra, finito a Milano nel 1947, morto nel 2019 a cent’anni; l’uomo di Simmenthal, Rio Mare, Manetti&Roberts, un gruppo da 250 milioni di utili; siamo diventati amici da adulti, cosa rara; ha pure adottato una guglia del Duomo. E Indro Montanelli. Grande toscano, divenuto milanese. Gli piaceva tutto della città, anche il clima, propizio alla sua natura un po’ depressa. Apprezzava quel grigino di Milano, che ora non c’è più. Negli anni 70 però avevamo ancora la nebbia…».
Lei è stato amministratore del Giornale, e Montanelli non l’avete trattato bene.
«Noi abbiamo salvato il Giornale, che aveva perso i tre miliardi di pubblicità garantiti da Montedison. Quello è il momento in cui Berlusconi comincia a fare politica, a modo suo, negli anni bui del terrorismo».
Cioè?
«A Montanelli davano del fascista; in realtà sul Giornale scriveva il meglio della cultura liberale europea, Bettiza, Frane Barbieri, Aron, Borges, Ionesco, Fejto. E Silvio lo aiuta, all’inizio lasciando le azioni ai fondatori. Aiuta don Giussani e i giovani ciellini, che all’università prendevano un sacco di botte dagli estremisti di sinistra. Su richiesta di Tognoli, Berlusconi rilancia il teatro Manzoni, comincia con l’Amleto di Lavia nella versione lunga quattro ore, dice ai milanesi: basta coprifuoco, ricominciate a uscire la sera. E poi le tv. E il Milan».
Montanelli però nel 1994 l’avete mandato via.
«È il mio cruccio. Lui e Silvio erano due primattori. Se li avessi riuniti attorno a un tavolo, forse sarei riuscito a trattenere Indro. Anche su Craxi c’era stata una discussione dentro il Giornale: Bettiza voleva appoggiarlo; Montanelli invitò a votare Dc».
Lei come ricorda Craxi?
«Un grande politico. Uno che si era fatto le ossa sulla strada, sulla “calle” come diceva Gianni Brera. Era stato assessore a Sant’Angelo Lodigiano. Si era battuto per salvare Moro, contro la linea di Andreotti e Berlinguer. Aveva fermato gli americani a Sigonella. Magari avessimo oggi un governo in grado di tener testa agli americani…».
Draghi deve andarsene o restare?
«Meglio che resti. Certo, non è bello che un Paese sia commissariato; ma è il destino di chi ha troppi debiti. Però non mi piace la linea di Draghi sulla guerra, sulle armi. Noi siamo un popolo di santi e di navigatori; non di guerrieri».
Putin ha aggredito l’Ucraina.
«E io lo condanno. Chi spara per primo è sempre da condannare. Piango per i bambini uccisi. Ma non mi convince neppure l’attore, Zelensky. La guerra va fermata; anche perché il conto della guerra lo sta pagando l’Europa. E l’Italia per prima. Le sanzioni indeboliscono noi. La crisi del gas rischia di avere conseguenze gravissime: ci sono aziende che in autunno dovranno licenziare».
Penserà mica anche lei che la guerra sia colpa dell’Occidente?
«L’Occidente avrebbe dovuto fare di tutto per evitarla. Un Kissinger l’avrebbe evitata; Biden non è all’altezza. Johnson pareva la caricatura di Churchill. Avremmo bisogno di grandi diplomatici, che non ci sono. Portare la Nato fin quasi alle frontiere russe è stato un errore. Tutto mi sarei atteso dalla vita, tranne che dar ragione a Santoro…».
Torniamo a Craxi. I socialisti rubavano.
«Craxi non prendeva soldi per sé, ma per il partito. Guardi i suoi figli: Bobo non ha una casa di proprietà; Stefania sta bene, ma perché è senatrice e ha sposato un manager di successo».
È vero che lei era contrario alla discesa in campo di Berlusconi?
«È vero. Anche Craxi era perplesso: pensava che avrebbe preso il 7, al massimo l’8%».
Perché era contrario?
«Perché sapevo che ci avrebbero scatenato contro quello che poi è accaduto. Una persecuzione giudiziaria senza precedenti».
Forse perché sapeva che avevate i vostri scheletri nell’armadio.
«A cosa si riferisce?».
Non c’è forse un lato oscuro nel berlusconismo? Previti condannato per corruzione di magistrati, Dell’Utri per mafia.
«Concorso esterno. Ma io sono certo che Dell’Utri sia innocente. Questa storia dei soldi della mafia, poi, è una stupidaggine assoluta. Glielo dico perché c’ero. Luigi Berlusconi, entrato alla banca Rasini da ragazzo e uscito direttore, diede a Silvio la sua liquidazione per investire in un terreno. Il primo appartamento lo comprò mia madre».
Luigia Borghi, sorella di Giovanni, il fondatore della Ignis.
«Mio zio era un genio. Un Berlusconi con la quinta elementare. Suo padre, mio nonno Guido, faceva l’elettricista. Siccome era un po’ fascistino, dopo il 25 luglio andarono a rompergli le vetrine. Così sfollammo a Comerio, dove prima andavamo in vacanza. Il nonno e lo zio cominciarono a investire nei fornelli elettrici, poi nelle stufette, infine nei frigoriferi… Così, dal nulla, crearono la Ignis».
Giovanni Borghi aveva fama di essere un uomo duro.
«No. Aveva fiuto per gli affari. E divenne uno dei protagonisti dell’Italia del miracolo economico. La periferia di Milano era un’immensa fabbrica. In fondo all’Isola c’era la Brown Boveri, poi la Bicocca, con la Falck e la Pirelli…».
Il nonno paterno cosa faceva?
«Fedele Confalonieri era un prestinaio. All’Isola, che adesso è un quartiere trendy, vicino al Bosco Verticale; ma allora era di operai e di piccola borghesia. Il nonno lavorava tutti i giorni che il Signore mandava in terra, tranne il lunedì dell’Angelo e Santo Stefano».
Qual è il suo primo ricordo?
«I bombardamenti. Noi che scappiamo in cantina, e la mamma che corre in casa perché ha dimenticato le finestre aperte».
E l’incontro con Berlusconi?
«All’oratorio. Avrò avuto dieci o undici anni. Chi portava il pallone faceva le squadre. Silvio portò il pallone. Lo ritrovai a scuola dai salesiani, lui era un anno avanti. Andavamo a vedere il Milan di Nordahl, con suo padre: tram fino a Piazzale Lotto; poi una bella scarpinata verso San Siro. Cominciammo a suonare insieme».
È vero che lei lo licenziò dalla vostra orchestrina?
«Eravamo in cinque. Io al pianoforte, lui contrabbasso e voce. Cantava bene, ma era sempre in mezzo al pubblico a far ballare le ragazze. Aveva già il vizietto che l’ha poi reso celebre nel mondo. Mi prende ancora in giro: senza di me, sei dovuto andare in Libano…».
In Libano?
«Suonavo al casinò, sino alle due di notte, ci pagavano bene. Poi andavamo a cena a Beirut o a vedere l’alba tra le rovine di Baalbek. Un periodo da mille e una notte. Ma c’erano già i primi delitti politici, che annunciavano la guerra civile…».
Com’era Berlusconi da giovane?
«Uno che diceva una palla, e poi faceva di tutto per renderla vera. Un giorno una zingara gli predisse che sarebbe diventato presidente della Repubblica. E lui si mise d’ingegno…”.
Confalonieri, com’è davvero il suo rapporto con Gianni Letta?
«Squisito. Letta per dieci anni è stato il vero copresidente del Consiglio. Silvio esercitava la sua passione per la politica estera, in cui è bravissimo, pensi a Pratica di Mare, o a quando ammansì Gheddafi; e Letta governava. Poi certo, Gianni è molto Roma: Quirinale, Vaticano, ambasciate… Io sono un milanese».
Ed è considerato filoleghista.
«Io sono filoleghista. Bossiano. L’unità d’Italia è stata un errore. Pensi alle guerre d’indipendenza: nella prima Carlo Alberto parlava francese; la seconda è una vittoria di Luigi Napoleone; nella terza ci affondarono la flotta a Lissa… Perché la Marsigliese e God save the Queen emozionano più dell’inno di Mameli? Perché dietro ci sono i morti».
Anche Mameli morì per la patria italiana.
«Ma dietro il suo inno ci sono i quattro gatti della Repubblica romana del 1849. Gloriosi finché vuole; ma sempre quattro. I caduti della Grande Guerra non ascoltavano l’inno di Mameli. I martiri della Resistenza neppure».
Salvini non le piace?
«Mi è simpatico. Ha fatto risorgere la Lega. Ma ora dà l’impressione di parlare tanto e girare un po’ a vuoto».
La Meloni le piace?
«Molto. Da ragazza era pure lei un po’ fascistina; però adesso che le puoi dire? Ci proveranno, la attaccheranno. Ma se dovessi dare un consiglio a Silvio, gli direi di puntare sulla Meloni. È lei che può riportare il centrodestra a Palazzo Chigi».
Berlusconi è europeista, la Meloni populista.
«Io nel Silvio delle origini vedevo una punta di populismo: quel rifiuto del teatrino della politica, che un po’ è stato anche dei Cinque Stelle. Oggi Berlusconi dice tutte cose giuste: l’Europa, l’atlantismo, la moderazione. Ma ai poveri chi pensa? Ai ragazzi che non trovano lavoro e vanno all’estero? Agli italiani impoveriti dall’inflazione? La verità è che sarebbe il momento di fondare un grande partito conservatore, che vada da Gianni Letta e dalla Ronzulli, la nostra donna forte, sino a Salvini e alla Meloni».
Lei è stato presidente dell’orchestra Filarmonica della Scala. Come trova La Scala oggi?
«Per vent’anni abbiamo sostenuto la Filarmonica, comprando i diritti e trasmettendo i concerti su Rete4: ci costava due miliardi di lire l’anno. Alla Scala devono lavorare i grandi direttori: Claudio Abbado, Riccardo Muti, che ha fatto un Verdi straordinario. E devono lavorare i grandi registi, che rispettavano la musica: Strehler, Ronconi».
Invece?
«Invece sento dire: il Macbeth di Livermore… Calma: il Macbeth è di Verdi, semmai di Shakespeare. Cosa c’entrano gli ascensori? Un po’ di umiltà servirebbe a tutti. La mia ora di umiltà è quella che passo ogni mattina a suonare Beethoven, Schumann, Bach, Debussy, e mi sento una nullità di fronte a quei giganti. È il momento più bello della giornata».
Come sono i figli di Berlusconi?
«Piersilvio sa fare la tv popolare; e ha trasformato Rete4 da una rete di soap-opera a un canale all news. Marina ha il senso dell’editoria e pure della politica».
Sarà lei l’erede?
«Non le consiglio di fare politica, per gli stessi motivi per cui sconsigliavo suo padre».
E gli altri figli?
«Tutti bravissimi. Luigi è un esperto di finanza. Barbara ed Eleonora tengono alta la curva demografica».
Chi è stato il miglior sindaco di Milano?
«Albertini».
E la Moratti?
«Ottima. Ma che gelida manina…».
Sala?
«Bravo. Ma il Comune non mette una lira nell’Opera del Duomo. Eppure prima del Covid avevamo quasi tre milioni di visitatori, e ora siamo tornati a 9 mila al giorno, per due terzi stranieri. Tutta gente che viene a Milano anche per il Duomo».
Lei ha passato la vita con la stessa donna, Annick. Quando l’ha incontrata?
«Avevo vent’anni, eravamo in vacanza in Grecia, nel golfo di Corinto. Non ci siamo più lasciati. Adesso si mollano al primo litigio… ma che fai, ti metti con una di trent’anni più giovane? Io non sono il tipo».
Berlusconi sì. Di anni in meno, Marta Fascina ne ha 54.
«Vuole una conferma che Silvio è un genio? Se lei e io avessimo fatto un quasi-matrimonio, ne avremmo ricavato una figura del cavolo. Lui è finito su giornali di tutto il mondo».
Sua moglie se n’è andata nel 2020.
«Per il Covid. Che ho portato a casa io. L’ho preso al San Raffaele, dove ero stato ricoverato in uno stanzone, per farmi mettere tre stent. Lei si è ammalata, fu ricoverata il primo novembre, il cinque ci ha lasciati. Ho ricordi confusi di quei giorni, come avvolti in una nebbia. Non ho potuto dirle addio, non sono potuto andare al funerale. Mi manca moltissimo».
Lei ha fede?
«Sì. Sono stato educato dai preti, e mi arrabbio quando vogliono farli passare tutti per pedofili: io ho conosciuto sacerdoti meravigliosi, uomini come don Eugenio Bussa che aveva salvato i bambini ebrei dai nazisti, a rischio della sua stessa vita. Ho speranza, e anche qualche dubbio. Sono arrivato all’età in cui fai un bilancio della vita…».
Qual è il suo?
«Contano i dieci comandamenti. Su alcuni son debole. Il sesto, il nono… Il quinto invece è facile: non uccidere. Ho sempre detestato la violenza, per me è contro natura».
Come immagina l’Aldilà?
«Shakespeare ammoniva che siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i nostri sogni. Intendeva dire che non siamo nulla. Però sarebbe bellissimo ritrovare le persone care. Lo spero tanto».
DAGONEWS il 17 marzo 2022.
Come mai Piersilvio non metterà piede sabato a Villa Gernetto, a Lesmo, per il “matrimonio simbolico”, tra il padre e Marta Fascina? Di più: è assai probabile che anche l’altro erede maschio, Luigi, figlio di Veronica, non potrà assaggiare il sontuoso menù preparato da Vittorio Cerea, ristorante tristellato di Brusaporto. E solo il profondissimo affetto di Marina per il suo “papi” l’ha convinta ad assistere alla zuppa di nozze scodellata dal duplex Ronzulli-Fascina, con tanto di ritorno alla chitarra e voce di Michele Apicella.
Per scoprire il “giallo di Arcore” occorre fare un passo indietro, tornare ai giorni della corsa al Quirinale quando l’85enne Berlusconi fu ricoverato d’urgenza al San Raffaele e per quattro giorni la sua vita fu davvero appesa a un filo, al punto che, dai figli a Confalonieri, tutti si scapicollarono al capezzale, preoccupatissimi, pronti a dargli l’ultimo saluto. Poi l’anestetista-factotum Zangrillo fece il solito miracolo e Silvio resuscitò.
Fu durante quelle ore di tregenda, a un passo dalla tragedia, che la 32enne Marta Fascina sarebbe giunta a un pelo dal diventare, oltre la sposa non simbolica del Cavaliere, una dei primi azionisti dell’impero berlusconiano, grazie – dicono fonti familiari – a una cospicua donazione di azioni.
Solo l’ira furibonda dei cinque figli, sia quelli di primo che di secondo letto per una volta coalizzati, avrebbe fato saltare l’operazione Fascina con tanto di intervento di avvocati di tutti i tipi. Alla fine la Fascina sarebbe scesa a più miti consigli accettando un bonus in denaro ancora non quantificato e la sceneggiata del “matrimonio simbolico”. Ma finché Berlusconi si reggerà in piedi – vedrete - la guerra tra la Fascina e gli eredi si arricchirà di nuove e sapide scene da un patrimonio…
Dagoreport il 22 febbraio 2022.
Non prendete impegni per il prossimo 21 marzo, giorno di inizio della primavera: siete tutti invitati al matrimonio di Silvio Berlusconi e della sua giovane "badante" Marta Fascina. Ad Arcore il profumo delle margherite s'intreccerà con quello dei fiori d'arancio!
Berlusconi non ha mai mostrato una particolare propensione per la monogamia figuriamoci per quella "obbligata" da un matrimonio. Ma il Cav è invecchiato, stanco, ridotto a un cencio rispetto al ghepardo sventrapapere che abbiamo conosciuto. La comprensibile e umana paura di morire in solitudine lo spinge a salire all'altare un'ultima volta. A 85 anni i problemi di salute si sono moltiplicati, gli acciacchi sono diventati frequenti e, nei giorni del voto per il Quirinale, è stato ricoverato in gravi condizioni al San Raffaele.
Il Cav è stato in coma per quattro giorni (due in stato vegetativo, due in coma farmacologico). E' in quei giorni, mentre Berlusconi sembrava vicino al trapasso, che Marta Fascina ha avanzato la richiesta di convolare a nozze. Anche perché "matrimonio" fa sempre rima con "patrimonio". E se da fidanzata basta una telefonata per essere congedata (pur sempre con consistente buonuscita, come nel caso della Pascale), da moglie l'uscita di scena diventa più complessa (e onerosa).
Ma come è arrivata Marta Fascina nella vita di Silvio? La 32enne conobbe il suo idolo allo stadio, durante una partita del Milan, di cui è tifosissima. Si presentò come una sfegatata sostenitrice rossonera, pazza di Forza Italia e incantata dalla figura del "Presidente": il solito catalogo di argomenti, da sussurrare alle grandi orecchie del Cav, che ha spianato la strada a tante signorine prima di lei.
Dopo quel fortuito incontro a San Siro ne seguirono altri, dicono i bene informati. Uno di questi, avvenuto nella residenza di Arcore, fu "intercettato" dall'allora badante-in-chief, Francesca Pascale. Un incrocio pericoloso che mandò su tutte le furie la gelosissima "Calippa" che cacciò di casa Marta Fascina senza troppi complimenti.
Il destino, però, era segnato. La bionda Fascina, nata in Calabria ma cresciuta a Portici, inizia la sua scalata: lavora all'ufficio stampa del Milan, collabora con "il Giornale" e, nel 2018, viene eletta alla Camera per Forza Italia scippando un seggio sicuro a Nunzia De Girolamo.
Berlusconi decise di fare di Villa Maria il suo nido d'amore con Francesca Pascale, per fare di Arcore la villa di rappresentanza politica. O almeno questo è ciò che il Cav disse alla "Calippa". Ma con un abile colpo da filibustiere della gnocca, Berlusconi spostò la Pascale a Villa Maria per incontrare segretamente Marta Fascina ad Arcore.
La loro relazione crebbe fino a quando, il 3 marzo 2020, "Diva & Donna" pubblicò un servizio fotografico che ritraeva Silvio Berlusconi e Marta Fascina in un resort di lusso in Svizzera, dove il Cainano andò a sottoporsi a un check-up definitivo, dall'alluce al parrucchino. Dopo quelle foto, l'astro già appannato di Francesca Pascale si offuscò definitivamente. La napoletana si imbizzarrì, capì di essere stata silurata e pretese un comunicato ufficiale da Forza Italia, che fu consegnato alle agenzie il 4 marzo, per annunciare la fine della relazione.
Da allora, la rampante Marta Fascina ha preso possesso del cuore di Berlusconi e di tutti i suoi organi. Molto vicina a Licia Ronzulli, la biondina è entrata nelle grazie anche di Marina Berlusconi (che è il vero gendarme a guardia del Cav).
Lorenzo De Cicco per repubblica.it il 22 febbraio 2022.
Il rumor rimbalza da Arcore. L'ha riportato oggi Libero. E fonti di Forza Italia confermano: c'è aria di matrimonio tra Silvio Berlusconi, 85 anni, e la deputata azzurra Marta Fascina, 32. L'ipotesi, racconta chi ha parlato con il Cav in questi giorni, non è priva di fondamento. La relazione con Fascina dura da un paio d'anni e "il presidente vorrebbe in qualche modo formalizzarla".
Mancano solo le partecipazioni? In realtà ci sono altri aspetti oggetto di trattative sottotraccia. C'è la questione, non secondaria, dell'eredità. E vanno tenute in conto le reazioni dei figli di Berlusconi. Secondo fonti di FI non sarebbero contrari, previo accordo pre-matrimoniale. Insomma, le nozze sono più di un gossip.
Francesca Pascale, grande ex di Berlusconi - la love story è durata dal 2009 al 2019 - assicura che non porta rancore, anzi: "Auguri! - risponde - Come al solito il 'pres' ci dimostra che l'amore non ha età. Ha quasi novant'anni, ma crede ancora nell'amore". Lei che nel 2014 dichiarava "a Berlusconi chiedo tutti i giorni di sposarmi", confida di non avere mai puntato veramente alle nozze.
"Era una chiacchiera, per i media. Poi certo, quando si è innamorati è normale pensare a qualcosa che unisca di più il rapporto. Ma poi si cresce e si cambia. Si cambiano anche sogni e obiettivi. Viva Dio!".
Quindi, "nessun rancore, sono felice che il presidente abbia una condizione sentimentale che lo porta alla tranquillità. Io gli voglio ancora bene, è stata la persona più importante in una fase difficile della mia vita, quando uno ha vent'anni e non è più nell'adolescenza e nemmeno nella maturità. Se mi dovessero invitare, ci andrò alle nozze. E fumerò un joint, per disobbedienza civile". Ride
Berlusconi e il matrimonio con Marta Fascina, la smentita: «Legame profondo, nessun bisogno di nozze». Paola Di Caro su Il Corriere della Sera il 22 febbraio 2022.
Il gossip rilanciato da «Libero». Dopo il bacio allo stadio tra il leader e l’onorevole di Fi, voci di un possibile matrimonio smentite poi in serata.
«Il rapporto con Marta Fascina è profondo e solido. Non c’è alcun bisogno di matrimonio». Arriva poco dopo le 20 direttamente da Silvio Berlusconi la smentita delle voci circolate per tutto il giorno del suo terzo matrimonio. Quanto comparso «oggi sugli organi di stampa non risponde dunque a verità - prosegue il presidente di FI - ma proprio perchè si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari». Le indiscrezioni di un matrimonio imminente erano arrivate come una bomba. «Sì, è vero, hanno intenzione di sposarsi. E presto: la cerimonia dovrebbe tenersi a fine marzo», aveva detto uno dei pochissimi che conosce bene Silvio Berlusconi sotto giuramento di anonimato.
L’ipotesi nozze
Silvio Berlusconi e Marta Fascina, 85 anni lui, 32 lei festeggiati a gennaio con tanto di foto accanto al compagno e l’immancabile Instagram ad immortalare il tutto, da mesi ormai hanno deciso di rendere visibile, oltre che ufficiale, il loro rapporto, nato oltre due anni fa. Ed essendo anche un po’ sospetta la scansione delle ultime foto, con una frequenza quasi maggiore di quella con cui il Cavaliere parla di politica, sorprende fino a un certo punto che Libero, giornale vicino all’ex premier diretto dall’amico Alessandro Sallusti, abbia sparato in prima pagina l’ipotesi del matrimonio imminente e poi smentito.
Il commento della ex Francesca Pascale
Per Berlusconi sarebbe stato il terzo matrimonio, dopo il primo con Carla Dall’Oglio, madre di Marina e Piersilvio, e il secondo con Veronica Lario, unione dalla quale sono nati Barbara, Eleonora e Luigi, con un albero genealogico che nel tempo si è arricchito di 15 nipoti. Ultima storia quasi decennale, dopo il tormentato divorzio dalla Lario, con Francesca Pascale, che si è lasciata senza drammi e con economicamente congruo regalo d’addio col Cavaliere, e che quando si è diffusa la voce del matrimonio con Marta Fascina ha commentato: «Nessun rancore, sono felice che il presidente abbia una condizione sentimentale che lo porta alla tranquillità. Io gli voglio ancora bene, è stata la persona più importante in una fase difficile della mia vita, quando uno ha vent’anni e non è più nell’adolescenza e nemmeno nella maturità. Se mi dovessero invitare, ci andrò alle nozze. E fumerò un joint, per disobbedienza civile”», ha detto a Repubblica.
«Piace un po’ a tutti nel partito»
Marta Fascina, fidanzata dell’ex premier, è una deputata azzurra di prima nomina, conosciuta quando lavorava al Milan anche grazie al comune amico Adriano Galliani, che nell’ultima foto tra i due, li guarda mentre si baciano appassionatamente sulle tribune dello stadio di Monza, ma squadra oggi del suo cuore che il leader azzurro segue da due giornate da vicino e allo stadio. «Marta piace un po’ a tutti nel partito - raccontano -. Non fa sentire il suo peso politico, che pure potrebbe avere, è vicina al presidente senza mai essere invadente, siede alle cene e agli incontri politici ma evita di imporsi, non fa promozioni o bocciature. È la sua compagna, lo fa star bene, con lei è felice», è la linea prevalente.
La famiglia
Insomma, la giovane compagna del Cavaliere sembra non avere controindicazioni, perché - pare - è molto ben vista anche in famiglia. Ne viene apprezzata la discrezione, la presenza costante, il ruolo tranquillizzante verso l’anziano leader. Era lei che gli ha fatto compagnia nell’ultimo ricovero al San Raffaele, lei che gli passava le telefonate durante la trattativa sul Quirinale, lei che lo ascoltava, che riferiva, che riportava, lei che ha vissuto blindata tra Arcore, Provenza e Sardegna tutti i lunghi mesi di lockdown, a volte perfino fotografandolo mentre dormiva, per poi cancellare in tutta fretta. L’unico dubbio potrebbe essere quello legato alle questioni ereditarie e patrimoniali, sempre importanti quando si parla di uno degli uomini più ricchi del mondo.
DAGONOTA il 22 febbraio 2022.
È la giornata delle smentite che non smentiscono. Non solo Francesco Totti, ci si mette anche Silvio Berlusconi.
E come il “Pupone”, anche l’ex sire di Hard-Core poteva risparmiarsi la fatica. Il Cav, infatti, non nega che ci sarà un grande evento il 21 marzo, come rivelato da Dagospia, dice solo che non sarà una cerimonia di nozze.
Ergo, sarà un “matrimonio non matrimonio”. Nozze alternative? Magari un rito celtico? Potrebbe essere l’ennesima furbata del Cav per accontentare la sua badante Marta Fascina.
“Il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c’è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio. Le indiscrezioni comparse oggi sugli organi di stampa non rispondono dunque a verità.
Ma proprio perché si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari”.
Paola Di Caro per il “Corriere della Sera” il 23 febbraio 2022.
La notizia arriva al mattino come una bomba, sfuggita al ferreo controllo dei guardiani di Arcore, forse per forzare su un evento che si voleva celebrare. Quel che è certo è che l'indiscrezione pubblicata ieri sulla prima pagina di Libero, con l'ipotesi di un imminente matrimonio tra Silvio Berlusconi e la sua compagna, Marta Fascina, ha prima trovato conferme in Forza Italia - nonostante le bocche ufficialmente cucite -, poi nell'entourage dell'ex premier.
Ma a sera è stata smentita, dopo ore molto concitate. «Il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c'è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio - scrive il Cavaliere -. Le indiscrezioni comparse oggi sugli organi di stampa non rispondono dunque a verità».
Ma «proprio perché si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a lei sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici». Non ci sarà nessun matrimonio tradizionale insomma, ma il cosiddetto «matrimonio simbolico», rito diffuso in America, che rappresenta la volontà di suggellare un'unione, con un rituale che non ha valore civile, né giuridico. Una sorta di fidanzamento ma senza necessario sbocco nel matrimonio.
Per il 19 marzo è previsto un «party all'americana», per il quale sono già stati contattati i fornitori, dove è ancora da stabilire. Ma cosa è successo tra la pubblicazione dell'indiscrezione su Libero e la smentita serale? «Affari di famiglia», dicono i bene informati. Già, la grande, complessa, onnipresente, ramificata famiglia del Cavaliere, che ha avuto sempre un ruolo importante nelle sue scelte - perfino le più politiche - e figurarsi in questo passaggio della vita del fondatore di uno dei più grandi imperi economici europei.
L'ipotesi di un matrimonio vero e proprio è stato solo un fraintendimento? Difficile dirlo, considerando l'escalation di segnali negli ultimi mesi, dai servizi sui giornali di famiglia dalla Sardegna o la Svizzera, ai post su Instagram per festività, compleanni, San Valentino e perfino un bacio sotto gli occhi di Adriano Galliani nella tribuna dello stadio dell'amato Monza. Però, il matrimonio di un uomo come Silvio Berlusconi prevede complesse conseguenze sul piano patrimoniale, non di facile soluzione.
A quanto risulta la giovane Fascina, nonostante i 53 anni che la separano dal compagno, viene apprezzata per il ruolo che ha saputo ritagliarsi e i limiti che ha scelto di porsi, in pubblico ma anche in privato. Piace soprattutto, dicono, a Marina e Piersilvio, che la vedono come la donna giusta per dare tranquillità e serenità al padre. Ma un problema c'è. I tre figli di Veronica Lario - Barbara, Eleonora e Luigi - sono eredi dell'impero paterno così come lo sono i due figli del primo matrimonio, Marina e Piersilvio.
Se si celebrassero vere nozze, con i diritti che acquisirebbe la Fascina, la suddivisione cambierebbe, con la quota legittima che spetterebbe alla nuova moglie. Un passaggio delicatissimo. Quindi, ogni voce e accelerazione è stata bloccata. Berlusconi resta impegnato sul fronte politico e intanto omaggia la sua compagna. Perché la vita per lui è quella che arriverà e non quella che già c'è stata.
Da treccani.it il 23 febbraio 2022.
Forma di matrimonio sviluppatasi già in età feudale, per la quale il marito concedeva una donazione (detta morganatica) alla moglie di secondo letto, subordinata al patto esplicito che a essa (e agli eventuali figli) non sarebbe spettato alcun diritto sui beni del marito in concorrenza con gli altri figli. Il matrimonio morganatico era utilizzato anche nell’unione di un nobile con una donna di rango inferiore, e garantiva che né lei né gli eventuali figli acquisissero la posizione giuridica del marito. Per la legge salica, i figli nati da matrimonio morganatico erano esclusi dai diritti di successione.
Antonio Bravetti per “La Stampa” il 23 febbraio 2022.
«Mi chiamano in tanti, ma non sono io a sposarmi. È lui che si sposa? Allora dovreste intervistare lui...». La voce di Francesca Pascale arriva allegra, divertita. Ha passato oltre dieci anni accanto a «lui», a Silvio Berlusconi.
Lei, la ex storica, non è finita all'altare come Carla Elvira Lucia Dall'Oglio e Veronica Lario. «Per fortuna, o grazie a Dio...», sorride al telefono. Trentasette anni a luglio, ne ha quattro e mezzo più di Marta Fascina, l'ultima fiamma del Cavaliere.
Lei sì che sta per sposarsi con Silvio, giuravano in tanti ieri. C'era anche la data: il 21 marzo, primo giorno di primavera. In serata, però, Silvio Berlusconi gela il cuore dei romantici: «Il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c'è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio».
Al posto delle nozze, un party: «Proprio perché si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari». Un altro matrimonio che non s' ha da fare.
Dopo la rottura con Berlusconi, Pascale ha abbracciato la causa lgbt e non solo: #loveislove e #freecannabis scrive sul profilo Instagram. Ha portato lei Dudù nella vita del leader di Forza Italia. Il barboncino bianco con cui Putin e Berlusconi giocano a palazzo Grazioli nell'inverno del 2013, immortalati in una foto, felici come due bambini mentre tirano una palla arancione al cagnolino.
Era giovanissima Francesca quando incontrò Silvio. Lei, militante di Forza Italia, lo avvicina a un comizio. «Gli ho subito domandato se potevo lasciargli il numero di telefono. Gli ho anche chiesto il suo. Lui mi ha detto: "Ma sei spietata". Era il 5 ottobre 2006». Sono anni rocamboleschi per il Cavaliere. La sua vita sentimentale è un ottovolante: Noemi Letizia, Ruby, le olgettine, il divorzio da Veronica Lario. La storia d'amore con Francesca Pascale ufficializzata in tv.
«Sì, sono fidanzato - rivela lui ospite di Barbara D'Urso il 16 dicembre 2012 - lei mi vuole molto bene e finalmente mi sento meno solo». Da lì in poi è un album dei ricordi: viaggi, baci, barboncini. «Mi ha sempre trattato come una regina», dirà lei dopo la rottura nel 2020, affidata a un comunicato di Forza Italia: «Fra il presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale non vi è alcuna relazione sentimentale o di coppia». Sullo sfondo c'era già Marta Fascina.
Si sposeranno? «Non ne so nulla - dice Pascale- ma sono felice, perché dimostra che di fatto la famiglia tradizionale non esiste. Esiste l'amore universale, lui ne è la prova vivente, dovrebbe esserne la bandiera, ma con i due alleati che ha... Viva l'amore, indipendentemente da ogni forma e colore. Io faccio sempre il tifo per l'amore».
Da leggo.it il 30 luglio 2022.
La cantautrice Paola Turci e Francesca Pascale, ex compagna di Silvio Berlusconi stanno insieme da tempo ormai e non hanno mai nascosto la loro storia d’amore, ma nemmeno sbandierato. E adesso è arrivato il grande giorno.
Sono passati due anni da quando la coppia è stata fotografata in barca durante una vacanza nel Cilento. Le immagini pubblicate sul settimanale Oggi gettarono il seme della curiosità sul loro legame, che fu successivamente confermato dalle dirette interessate e che si è rafforzato negli anni.
Una storia d’amore che, secondo quanto è venuto a sapere Leggo, coronerà il sogno sabato 2 luglio. Montalcino è il luogo scelto per la cerimonia, ma il matrimonio al momento è stato tenuto segretissimo, proprio per evitare i riflettori.
Paola Turci e Francesca Pascale, il matrimonio a due anni dal bacio sullo yacht: storia (segreta) di un amore. Candida Morvillo su Il Corriere della Sera l'1 luglio 2022.
La cerimonia civile tra la cantante e l’ex di Silvio Berlusconi a Montalcino, poi la festa al Castello di Velona. Il sindaco: «Sarà una cerimonia sobria, con pochi invitati».
La conferma non arriva da loro, ma il matrimonio ci sarà. Domani, a Montalcino, Francesca Pascale e Paola Turci si sposano. Unione civile, ovviamente, seguita da festa al Castello di Velona, con vista sulla Val D’Orcia, terrazze fra antichi merli, piscine, Spa, Brunello della casa. Pochi intimi, pochi politici. Erano stati insieme nove anni Silvio Berlusconi e Francesca: a marzo 2020, un comunicato annunciava la separazione, quattro mesi dopo, Pascale e Turci si baciavano su uno yacht al largo del Cilento . Lo scoop era del settimanale Oggi , il coming out non è mai arrivato. Pare che non usi più.
Libere di amare chi si vuole
Paola Turci, la «cantante con la chitarra», successi come «Bambini», «Ringrazio Dio» e un brano dedicato a Berlusconi nel 2011 dal titolo «Devi andartene», ha avuto un marito, ha divorziato e, dopo, ha avuto un fidanzato. Poi ha incontrato Francesca e si è limitata a dire al settimanale F di sentirsi libera di amare chi vuole: «Non ho intenzione di farmi influenzare dai giudizi altrui e rinunciare ad avere le relazioni che voglio con le persone che scelgo». E intervistata da Oggi, ha aggiunto: «Avrei potuto mangiarci su quel pettegolezzo, invece ho rifiutato copertine, soldi». Come adesso. Francesca e Paola avrebbero voluto tenere riservata la notizia delle «nozze», come spiega il sindaco dem di Montalcino, Silvio Franceschelli: «Sarà una cerimonia sobria, come ha chiesto la coppia. Non volevano che si sapesse, ma l’afflusso di prenotazioni nelle strutture alberghiere per il 2 luglio ha rotto il segreto». Alla riservatezza la coppia ha sempre tenuto. Spiegava infatti, ancora, Paola Turci nell’intervista a Oggi: «Il mio silenzio ha comunicato che non è necessario dire quello che sei». Il senno di poi rivela che non era un pettegolezzo, ma anche che, sì, «non è più necessario dire quello che sei». Pascale e Turci sono le prime italiane da cronaca rosa da ascrivere ufficialmente a questi tempi di «amori fluidi» che rifiutano di stare in una casella. Cinquantasette anni Paola, trentasette Francesca, testimoniano che non è più neanche questione di «generazione neutra», ma di tempi che marciano su slogan che sembrano uno spot di X Factor, tipo «nessuna etichetta, nessuna paura, nessuna barriera, nessuna categoria: liberi di essere chi siamo».
Le scelte politiche di Francesca ad Arcore
Quando uscì la foto del bacio, tuttavia, gli haters si scatenarono: dicevano che Francesca si era finta etero per stare con Berlusconi, mettere le mani su potere e soldi. A storia finita Francesca si era trasferita in Toscana e ha continuato a portare avanti la battaglia arcobaleno su cui era impegnata da tempo. Era il 2014, epoca non sospetta, lei ancorata ad Arcore, assai impegnata a presidiare il territorio e il corpo del capo, a gestire «cerchi magici», a tagliare conti di fagiolini a 80 euro al chilo e a testimoniare con la sua sola esistenza che mai ci furono «cene eleganti». Apparì politica la scelta di prendere la tessera di Arcigay e GayLib con un bagno di folla a Napoli, sembrò una discesa in campo da aspirante first lady decisa a intestarsi una battaglia e a prendere visibilità, un po’ come quando Michelle Obama piantava l’orto alla Casa Bianca. Destò non tanto interpretazioni maliziose, quanto malumori interni a Forza Italia, fra chi temeva che spostasse il partito a sinistra. Era un’era geologica fa. A nessuno venne in mente che fosse una questione anche personale, la necessità intima, magari allora ancora vaga, di trovare risposte o tracciare una strada verso possibilità nuove. Poco prima di separarsi da Berlusconi, dirà all’Huffington Post: «Non amo le definizioni né le categorie. Ora amo Silvio, ma se domani mi innamorassi di una donna, che male ci sarebbe?». Vabbè, Dragomira Bonev, in arte Michelle Bonev, attrice e produttrice, era andata in televisione da Michele Santoro per dire «Francesca è lesbica». Sembravano, erano, invidie antiche, regolamenti di conti. Che importa. Il tempo dà tutte le risposte, così l’amore. Chi sa se Berlusconi direbbe: «L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio»?
Matrimonio Francesca Pascale e Paola Turci: i loro ex celebri, da Berlusconi al tennista Cané, e il primo incontro. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera l'1 luglio 2022.
Domani le due si uniranno in matrimonio, ma la loro vita sentimentale è stata molto articolata.
Le nozze
Fiori d’arancio per Paola Turci e Francesca Pascale. A due anni da quello scatto pubblicato da “Oggi” che le ritraeva su uno yacht, la cantautrice romana e l’ex compagna di Silvio Berlusconi hanno annunciato il loro matrimonio, sabato 2 luglio, in Toscana. Il rito civile sarà nel Comune di Montalcino, mentre i festeggiamenti blindatissimi dovrebbero tenersi al castello di Velona. Le due sono da sempre impegnate sui temi dei diritti e le battaglie sociali, primo fra tutti quello a favore del mondo omosessuale e della comunità Lgbt.
La prima foto insieme
Nell’agosto 2020 Francesca Pascale e Paola Turci erano state paparazzate insieme in vacanza in Cilento. Le immagini mostravano l’ex fidanzata di Silvio Berlusconi Francesca Pascale e Paola Turci in barca insieme, mentre si scambiavano gesti d’affetto. Erano a bordo di uno yacht da 25 metri (da 60 mila euro alla settimana)
Paola Turci e Andrea Amato
L’ex marito di Paola Turci si chiama Andrea Amato. Milanese, classe 1974 e lavora nel settore della comunicazione: il matrimonio tra la futura moglie di Francesca Pascale e Amato è stato celebrato nel 2010 ad Haiti. Due anni dopo, il divorzio.
Paola Turci e Paolo Canè
Negli anni '90 Paola Turci ebbe una lunga relazione con l'ex tennista Paolo Canè, oggi anche commentatore televisivo. “Il tennis mi piaceva già prima di conoscere Paolo. Il mio campione preferito e sempre stato Boris Becker , una persona interessante anche se non gli ho mai parlato. Poi McEnroe , che ha abbracciato anche la musica, e Yannick Noah , col quale ho cantato una sera a Milano” ha detto in un’intervista di allora la cantante.
Francesca Pascale e Silvio Berlusconi
Dieci anni di convivenza tra Francesca Pascale e Silvio Berlusconi, la cui storia -secondo i ben informati- è terminata con una “buonuscita” di venti milioni, un assegno annuale e l’utilizzo della villa in Brianza dove l’ex consigliera di Forza Italia nella Provincia di Napoli vive da anni.
Paola Turci rompe il silenzio sul matrimonio con Pascale e denuncia insulti omofobi. Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera l'1 luglio 2022.
Dopo che la notizia dell’unione civile di Paola Turci e Francesca Pascale, domani a Montalcino, è diventata pubblica, la cantautrice romana ha denunciato insulti omofobi.
Dopo che la notizia dell’unione civile di Paola Turci e Francesca Pascale, domani a Montalcino, è diventata di dominio pubblico, la cantautrice romana ha ricevuto e denunciato insulti omofobi. Stanotte, nella sue storie di Instagram, l’artista ha pubblicato un messaggio ricevuto da un profilo di una guest house piemontese: «Lesbicona che schifo!!», recita lo squallido post, che la cantante ha mostrato, commentando: «Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase». Il profilo della guest house da cui risulta partito commento è stato rapidamente sommerso da messaggi di condanna.
Per fortuna, sul web si moltiplicano invece i messaggi di felicitazioni per la coppia, che avrebbe voluto tenere riservata la notizia dell’unione civile, mantenendo sull’evento la stessa privacy con cui finora ha protetto la relazione, rivelata nell’estate del 2020 dal settimanale «Oggi» che pubblicò lo scatto di un bacio tra le due donne durante una vacanza in barca.
Nella notte Paola ha anche pubblicato un messaggio romantico, scrivendo alle 4 del mattino accanto ad una foto con il cielo stellato: «Quella felicità che non ti fa dormire». Poi, la cantante ha ripostato i messaggi di auguri degli amici, come quello del critico musicale e conduttore radiofonico Luca De Gennaro che le ha scritto: «Che meraviglia che ti sposi, amica mia».
A Celebrare il rito un sindaco del Pd, insulti omofobi dopo l’annuncio. Paola Turci e Francesca Pascale si sposano, la storia di un amore: da Berlusconi al matrimonio in Toscana. Elena Del Mastro su Il Riformista l'1 Luglio 2022
Hanno provato per anni a mantenere segreta la loro relazione tra scatti rubati e mezze dichiarazioni nelle interviste. Come pure avevano provato a tenere segreta la notizia del matrimonio. Paola Turci e Francesca Pascale sabato 2 luglio convolano a nozze, da quanto trapela da diversi giornali, il matrimonio si terrà a Montalcino, poi la festa nel Castello di Velona. A sposarle sarà il sindaco Pd appena rieletto di Montalcino, Silvio Franceschelli. “Posso dire che sarà una cerimonia sobria – spiega il sindaco intervistato dal Corriere – come ha chiesto la coppia. La notizia era stata tenuta riservata, ma l’afflusso di prenotazioni nelle strutture alberghiere per sabato 2 luglio, il giorno delle nozze, ha evidentemente rotto il segreto”.
Come si sono conosciute? Si chiedono in tanti sulla rete. Le due in effetti hanno per anni cercato di mantenere il riserbo per cui si sa molto poco. Francesca Pascale, 36 anni, napoletana ha avuto una lunga relazione con Silvio Berlusconi. I due si incontrarono nel 2006 quando Francesca fresca di studi faceva il suo approdo nella politica. Poi la relazione inizia ufficialmente nel 2012 e finisce a marzo 2020 con una nota ufficiale di Forza Italia.
Non è chiaro quando precisamente sia avvenuto l’incontro con Paola Turci, 57 anni, romana. Per la stampa rosa è uno scatto del settimanale Oggi a cristallizzare il momento: le due in Cilento a bordo di uno yacht si scambiano effusioni e tenerezze. Poi di quella storia non si è saputo più nulla fino alla notizia dell’annuncio delle nozze in Toscana.
La notizia è rimbalzata su tutti i social. Qualche ora dopo la cantante ha denunciato su Instagram di aver ricevuto insulti omofobi. Stanotte, nelle sue storie di Instagram, l’artista romana ha pubblicato un messaggio ricevuto da un profilo di una guest house piemontese: “Lesbicona che schifo!!”, recita lo squallido post, che la cantante ha mostrato, commentando: “Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase”.
Ma sul web si moltiplicano anche i messaggi di auguri non solo da parte di personaggi famosi, ma anche da semplici follower che applaudono con gioia all’unione. Paola Turci non nasconde nemmeno la felicità per il lieto evento, scrivendo alle 4 del mattino accanto ad una foto con il cielo stellato: “Quella felicità che non ti fa dormire”. Poi, la cantante ha ripostato i messaggi di auguri degli amici, come quello del critico musicale e conduttore radiofonico Luca De Gennaro che le ha scritto: “Che meraviglia che ti sposi, amica mia”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” l'1 luglio 2022.
Che la ex compagna di un maschio all'antica si sposasse con una donna era inimmaginabile fino a qualche tempo fa. E non solo perché non esisteva ancora una legge che consentisse a Paola Turci e Francesca Pascale di dirsi quel che si diranno domani davanti al sindaco di Montalcino. È proprio cambiato il nostro modo di accostarci a questo genere di notizie, che per chi ha meno di trent' anni non sono neanche più notizie, ma quieta normalità.
Se noi «boomer» ancora ci emozioniamo a parlarne, è perché ci ricordano che quello dei diritti civili, pur tra contraddizioni e ritardi, è uno dei pochi mondi a essere cambiato in meglio nel corso della nostra vita, avendo allargato il ventaglio delle opportunità (esattamente l'opposto di quanto è accaduto per i diritti sociali). Uno come Berlusconi potrebbe anche trarne materia per barzellette autocelebrative o autoironiche, del tipo: «Dopo avere provato me, una donna non vuole più saperne di altri uomini».
Ma la storia d'amore tra Paola e Francesca è più forte dei pregiudizi e persino della popolarità delle protagoniste. È la storia di rinascita che tutti sogniamo. Quando il destino, dopo averti toccato duramente (penso a Paola Turci, sopravvissuta a un terribile incidente stradale), ti concede una seconda possibilità, quella di reinventarti una vita e un'identità. È così bello essere liberi senza arrecare danno agli altri. Perché a qualcuno fa ancora tanta paura?
Matrimonio Pascale Turci, tutto quello che c’è da sapere. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera l'1 Luglio 2022.
Dagli invitati (pochissimi) alla location (incantevole), l’unione civile a raggi x
Le nozze il 2 luglio
Paola Turci e Francesca Pascalesi sposeranno sabato 2 luglio a Montalcino, patria del famoso Brunello, in provincia di Siena, sabato 2 luglio, in una sala dell’ex municipio cittadino, il «Palazzo Storico». A Montalcino non si parla d’altro, ma pochissimo filtra all’esterno, per rispettare la privacy chiesta fino ad ora sull’unione civile: pochissimi gli invitati per una cerimonia sobria.
A contribuire al segreto sulla cerimonia - rimasto assoluto, fino a ieri - è stata anche l’assenza di pubblicazioni, come per tutte le unioni civili.
La prova del pasto social
Il 3 giugno Paola Turci ha postato su Instagram una foto che la ritrae davanti a tanti bicchieri di vino. Nello scatto, sullo sfondo, si vede un camino che sembrerebbe essere proprio quello del salone principale del Castello di Velona, location dove si svolgerà la festa post nozze. Che sia stato immortalato sui social la prova del pasto, classico di tutti i matrimoni?
La location della festa
Il Castello di Velona (resort a 5 stelle) si trova sopra un promontorio e gode di una vista a 360 gradi sui propri antichi uliveti e vigneti, il Castello di Velona fu edificato come fortilizio medievale nell’XI secolo. Dal 2003, la ristrutturazione per il ritrovamento delle acque termali all'interno della proprietà e il relativo ampliamento hanno consegnato il Castello di Velona Resort, Thermal SPA & Winery al pubblico mondiale. Tutte le camere hanno una vista panoramica mozzafiato che affaccia sulla Val d'Orcia e sui vigneti di Brunello di Montalcino.
Ristorante
All’interno del grande resort si trovano ben tre ristoranti in house, tra cui il Brunello, ossia l’offerta gourmet del castello stesso: è qui che probabilmente avrà luogo il banchetto nuziale di Paola Turci e Francesca Pascale. Ci sarà anche con molta probabilità un momento esterno per gli ospiti.
Gli invitati
Circa una trentina gli invitati, secondo i ben informati. Non ci dovrebbero essere gli ex di Pascale e Turci e nemmeno volti noti. Si vocifera solo un possibile intervento di Vladimir Luxuria, che ha conosciuto Francesca Pascale quando si tesserò all'Arcigay di Napoli.
Paola Turci rompe il silenzio sul matrimonio con Pascale e denuncia insulti omofobi. Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera l'1 Luglio 2022.
Dopo che la notizia dell’unione civile di Paola Turci e Francesca Pascale, domani a Montalcino, è diventata pubblica, la cantautrice romana ha denunciato insulti omofobi.
Dopo che la notizia dell’unione civile di Paola Turci e Francesca Pascale, domani a Montalcino, è diventata di dominio pubblico, la cantautrice romana ha ricevuto e denunciato insulti omofobi. Stanotte, nella sue storie di Instagram, l’artista ha pubblicato un messaggio ricevuto da un profilo di una guest house piemontese: «Lesbicona che schifo!!», recita lo squallido post, che la cantante ha mostrato, commentando: «Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase». Il profilo della guest house da cui risulta partito commento è stato rapidamente sommerso da messaggi di condanna.
Per fortuna, sul web si moltiplicano invece i messaggi di felicitazioni per la coppia, che avrebbe voluto tenere riservata la notizia dell’unione civile, mantenendo sull’evento la stessa privacy con cui finora ha protetto la relazione, rivelata nell’estate del 2020 dal settimanale «Oggi» che pubblicò lo scatto di un bacio tra le due donne durante una vacanza in barca.
Nella notte Paola ha anche pubblicato un messaggio romantico, scrivendo alle 4 del mattino accanto ad una foto con il cielo stellato: «Quella felicità che non ti fa dormire». Poi, la cantante ha ripostato i messaggi di auguri degli amici, come quello del critico musicale e conduttore radiofonico Luca De Gennaro che le ha scritto: «Che meraviglia che ti sposi, amica mia».
Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” l'1 luglio 2022.
La conferma non arriva da loro, ma il matrimonio ci sarà. Domani, a Montalcino, Francesca Pascale e Paola Turci si sposano. Unione civile, ovviamente, seguita da festa al Castello di Velona, con vista sulla Val D'Orcia, terrazze fra antichi merli, piscine, Spa, Brunello della casa. Pochi intimi, pochi politici.
Erano stati insieme nove anni Silvio Berlusconi e Francesca: a marzo 2020, un comunicato annunciava la separazione, quattro mesi dopo, Pascale e Turci si baciavano su uno yacht al largo del Cilento. Lo scoop era del settimanale Oggi , il coming out non è mai arrivato. Pare che non usi più.
Paola Turci, la «cantante con la chitarra», successi come «Bambini», «Ringrazio Dio» e un brano dedicato a Berlusconi nel 2011 dal titolo «Devi andartene», ha avuto un marito, ha divorziato e, dopo, ha avuto un fidanzato. Poi ha incontrato Francesca e si è limitata a dire al settimanale F di sentirsi libera di amare chi vuole: «Non ho intenzione di farmi influenzare dai giudizi altrui e rinunciare ad avere le relazioni che voglio con le persone che scelgo».
E intervistata da Oggi , ha aggiunto: «Avrei potuto mangiarci su quel pettegolezzo, invece ho rifiutato copertine, soldi». Come adesso. Francesca e Paola avrebbero voluto tenere riservata la notizia delle «nozze», come spiega il sindaco dem di Montalcino, Silvio Franceschelli: «Sarà una cerimonia sobria, come ha chiesto la coppia. Non volevano che si sapesse, ma l'afflusso di prenotazioni nelle strutture alberghiere per il 2 luglio ha rotto il segreto».
Alla riservatezza la coppia ha sempre tenuto. Spiegava infatti, ancora, Paola Turci nell'intervista a Oggi : «Il mio silenzio ha comunicato che non è necessario dire quello che sei».
Il senno di poi rivela che non era un pettegolezzo, ma anche che, sì, «non è più necessario dire quello che sei».
Pascale e Turci sono le prime italiane da cronaca rosa da ascrivere ufficialmente a questi tempi di «amori fluidi» che rifiutano di stare in una casella. Cinquantasette anni Paola, trentasette Francesca, testimoniano che non è più neanche questione di «generazione neutra», ma di tempi che marciano su slogan che sembrano uno spot di X Factor , tipo «nessuna etichetta, nessuna paura, nessuna barriera, nessuna categoria: liberi di essere chi siamo».
Quando uscì la foto del bacio, tuttavia, gli haters si scatenarono: dicevano che Francesca si era finta etero per stare con Berlusconi, mettere le mani su potere e soldi. A storia finita Francesca si era trasferita in Toscana e ha continuato a portare avanti la battaglia arcobaleno su cui era impegnata da tempo.
Era il 2014, epoca non sospetta, lei ancorata ad Arcore, assai impegnata a presidiare il territorio e il corpo del capo, a gestire «cerchi magici», a tagliare conti di fagiolini a 80 euro al chilo e a testimoniare con la sua sola esistenza che mai ci furono «cene eleganti». Apparì politica la scelta di prendere la tessera di Arcigay e GayLib con un bagno di folla a Napoli, sembrò una discesa in campo da aspirante first lady decisa a intestarsi una battaglia e a prendere visibilità, un po' come quando Michelle Obama piantava l'orto alla Casa Bianca. Destò non tanto interpretazioni maliziose, quanto malumori interni a Forza Italia, fra chi temeva che spostasse il partito a sinistra. Era un'era geologica fa.
A nessuno venne in mente che fosse una questione anche personale, la necessità intima, magari allora ancora vaga, di trovare risposte o tracciare una strada verso possibilità nuove. Poco prima di separarsi da Berlusconi, dirà all'Huffington Post : «Non amo le definizioni né le categorie.
Ora amo Silvio, ma se domani mi innamorassi di una donna, che male ci sarebbe?». Vabbè, Dragomira Bonev, in arte Michelle Bonev, attrice e produttrice, era andata in televisione da Michele Santoro per dire «Francesca è lesbica». Sembravano, erano, invidie antiche, regolamenti di conti. Che importa. Il tempo dà tutte le risposte, così l'amore. Chi sa se Berlusconi direbbe: «L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio»?
Enrico Chillè per leggo.it l'1 luglio 2022.
La notizia dell'imminente matrimonio tra Paola Turci e Francesca Pascale anticipata ieri da Leggo non ha suscitato solo reazioni positive. Tra i tanti messaggi di felicità e congratulazioni per la cantante, non mancano i commenti omofobi, come denunciato sui social dalla diretta interessata.
Paola Turci vittima di omofobia: «Lesbicona che schifo!»
Paola Turci e Francesca Pascale si sposeranno domani a Montalcino (Siena), ma non tutti hanno preso benissimo l'unione tra la cantante e l'ex compagna di Silvio Berlusconi. Stanotte, nella sue storie di Instagram, l'artista ha pubblicato un messaggio ricevuto da un profilo di una guest house piemontese: «Lesbicona che schifo!!», recita lo squallido post, che la cantante ha mostrato, commentando: «Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase». Il profilo della guest house da cui risulta partito commento è stato rapidamente sommerso da messaggi di condanna.
Paola Turci e Francesca Pascale, raffica di congratulazioni sul web
Per fortuna, sul web si moltiplicano invece i messaggi di felicitazioni per la coppia, che avrebbe voluto tenere riservata la notizia dell'unione civile, mantenendo sull'evento la stessa privacy con cui finora ha protetto la relazione, rivelata nell'estate del 2020 dal settimanale Oggi che pubblicò lo scatto di un bacio tra le due donne durante una vacanza in barca.
Nella notte Paola ha anche pubblicato un messaggio romantico, scrivendo alle 4 del mattino accanto ad una foto con il cielo stellato: «Quella felicità che non ti fa dormire». Poi, la cantante ha ripostato i messaggi di auguri degli amici, come quello del critico musicale e conduttore radiofonico Luca De Gennaro che le ha scritto: «Che meraviglia che ti sposi, amica mia».
Francesca Pascale e Paola Turci, "da etero a gay": com'è scattato il colpo di fulmine. Libero Quotidiano il 02 luglio 2022
Innanzitutto una considerazione estetica: sono bellissime. Paola Turci, cantante dalla voce grintosa, 57 anni, e Francesca Pascale, ex fidanzata di Berlusconi e, già allora, attivista gay- fece notizia quando nel 2014, nella sua città, Napoli, prese le tessere di Arcigay e GayLib, e successivamente quando invitò Vladimir Luxuria per una cena a Villa San Martino, la tenuta berlusconiana di Arcore -, 36 anni. Ora arriva la notizia che le due bellissime, ciascuna a suo modo protagonista di una vita irregolare e corsara, domani si sposano, con una cerimonia descritta come «intima» e «riservata a pochi invitati» nel comune di Montalcino (Siena), cui seguiranno festeggiamenti nel Castello di Velona, un resort in Val d'Orcia.
UNIONE CIVILE - I giornali pigramente parlano di "nozze", ma naturalmente si tratta di unione civile, insomma la cosiddetta legge Cirinnà, non esistendo nel nostro ordinamento il matrimonio egualitario tra coppie dello stesso sesso. Dunque, Paola e Francesca non saranno legalmente moglie e moglie (o come vorranno chiamarsi) ma, in spirito, sì. Di stare qui a commentare la loro unione civile, ed eventualmente il loro desiderio di arrivare a regolari nozze, ci interessa meno di zero, per citare uno scrittore americano. Ci piace di più mettere in luce le loro personalità, sicuramente fuori dal comune.
Paola Turci la conosciamo da tempo, da quando, nel 1986 si presentò al Festival di Sanremo, rivelando subito le qualità che resteranno sempre inconfondibilmente sue: voce e chitarra, approccio molto frontale, quasi aggressivo, anche nel look, ma temperato da una vocalità molto educata e aggraziata, capace di ruvidità rock ma anche di espansioni melodiche. Aveva ventidue anni, era bella e diversa dalle solite cantanti prefabbricate dalle case discografiche secondo mode molto effimere. Negli Anni 90 divenne anche una star del gossip, per via della sua relazione tempestosa con un altro personaggio dal carattere non proprio docile, il tennista Paolo Canè.
Una relazione "Sturm und Drang" non priva di grandi scenate nei locali pubblici della Costa Smeralda (di cui un'amica ci fornì una minuziosa descrizione e sembrò avesse assistito ai litigi di due attori hollywoodiani dell'epoca d'oro), insomma proprio ciò che il pubblico si attendeva da una coppia formata da talenti belli, ricchi e strafottenti. Nel '93 il terribile incidente autostradale, mentre andava in concerto nel Golfo di Policastro, in Calabria, che le lascerà segni indelebili sul volto. Fu quell'evento a porre fine, nelle sue parole, a un periodo in cui si sentiva «incredibilmente onnipotente». Non nascondiamo che quando la rivedemmo sulle scene, con la cicatrice, rimanemmo abbastanza impressionati.
Il volto già spigoloso ma immacolato della ragazzina grintosa ora era quello profondamente segnato di una sopravvissuta. Una bellezza diversa emerse da quelle cicatrici, più austera. Finita la storia con Canè, un matrimonio con un giornalista radiofonico, da cui è separata nel 2012, attribuzione di una relazione conGianna Nannini, e la dichiarazione: «Sono lesbica e anche etero. Bisessuale? Chi lo sa. Nelle etichette non c'è evoluzione. Sono quella che sono, se mi piace una donna, sto con una donna». E, come ai tempi delle paparazzate con Canè, è proprio con Francesca Pascale che Paola Turci torna a conquistare le copertine dei giornali, còlte insieme in un tenero bacio in barca.
ROMANZO DI BALZAC - Francesca non è una rocker, come Paola, non è una che parte a testa bassa e vuole tutto, è una che se la studia bene. Fin da quando, nel 2009, approccia Berlusconi e gli passa un bigliettino col suo numero: «Aspetto una tua telefonata». Roba da romanzo di Balzac o, se stona l'anacronismo del telefono, da film di Paul Verhoeven: se il modello di Paola potrebbe essere Janis Joplin, quello di Francesca è proprio Catherine Tramell, il personaggio interpretato da Sharon Stone in Basic Instinct. Bionda, intelligente, astuta, oggetto del desiderio di uomini e donne e, senza essere colpevole di alcunché di grave, comunque pericolosa. Una di quelle donne di cui nessuno può dire mai quale sarà la prossima mossa. Ora sembra essersi sistemata, ma staremo a vedere.
Lettera di Manuela Lazzerotti, pubblicata da “la Repubblica” l'1 luglio 2022.
Qualche settimana fa il vostro giornale ha presentato quello di Alberto Matano col suo compagno come un "matrimonio", aggiungendovi a corollario dei pittoreschi ricordi di Imma Battaglia e del suo "matrimonio'" con Eva Grimaldi. Come non bastasse, sulla Repubblica di ieri leggo che anche Francesca Pascale e Paola Turci "si sposano" ...
Fermo restando che auguro loro tutta la felicità del mondo, mi spaventa questa amnesia collettiva; suggestive location, look patinati e personaggi del jet set non possono nascondere la triste realtà dei fatti: in Italia il matrimonio gay non esiste, e dobbiamo accontentarci delle briciole munificamente gettateci dal Parlamento, in buona sostanza una unione civile ben diversa per diritti e tutele dal matrimonio.
Faccio parte, con la mia compagna, della sparuta pattuglia di persone che ha deciso di sposarsi all'estero per sottolineare il vuoto legislativo italiano: siamo sì sposate in Portogallo, ma il nostro matrimonio è valido solo lì, qui è carta straccia. Per cui, quando leggo rutilanti titoloni su matrimoni gay tra Vip , mi sembra di vedere i vestiti nuovi dell'imperatore di andersiana memoria: vestiti meravigliosi e luccicanti ma...inesistenti, che coprono imbarazzanti nudità.
Estratto da esquire.com l'1 luglio 2022.
Cosa dice la Legge Cirinnà: il contenuto
Arriviamo a giugno 2014 quando, con la XVII legislatura, viene depositata una prima proposta di legge sulle unioni civili da parte dell'onorevole Monica Cirinnà (Pd), nominata relatrice. Il Governo Renzi, a questo punto, interviene con forza nel dibattito e decide di accelerare i tempi cercando l'accordo politico all'interno della maggioranza. Pertanto il 23 febbraio 2016 viene presentato un maxi emendamento che raccoglie, quasi integralmente, il disegno di legge Cirinnà per l'istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Il nuovo testo prevede, dunque, diritti e doveri sostanzialmente identici a quelli previsti per il matrimonio, ad eccezione della cosiddetta stepchild adoption: sulla possibilità di adottare il figlio naturale del partner, infatti, viene posto un veto da parte dell'ala cattolica e conservatrice della maggioranza, cruciale dopo il voltafaccia del Movimento 5 Stelle. Il testo modificato viene quindi approvato in prima lettura dal Senato nella seduta del 25 febbraio 2016 e il disegno di legge passa all'esame della Camera il 9 maggio dello stesso anno. Infine, la legge sulle unioni civili viene approvata in via definitiva l'11 maggio 2016.
Diritti e doveri reciproci
La Legge Cirinnà stabilisce che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni, scegliendo se vogliono di assumere un cognome comune per la durata stessa dell'unione. L'atto di costituzione di quest'ultima viene registrato nell'archivio dello stato civile del Comune e porta con sé diritti e doveri specifici, come l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, e alla coabitazione.
Inoltre entrambe le parti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, sono tenute a contribuire ai bisogni comuni e a concordare l'indirizzo della vita familiare. Infine, se le parti non optano per la separazione dei beni, il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è quello della comunione dei beni.
I decreti attuativi della legge 76/2016 sono stati approvati dal Governo Renzi nel novembre 2016 e, dopo aver ottenuto il parere favorevole da parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio di Camera e Senato, sono stati confermati in via definitiva da parte del Governo Gentiloni.
Nei tempi successivi all'approvazione della legge sono stati raccolti numeri significativi, che parlano da sé: come testimoniato dalla stessa Monica Cirinnà, infatti, a soli due anni dall'entrata in vigore della 76/2016 sono state celebrate ben 1.514 unioni civili in Lombardia, di cui 799 solo a Milano. Al secondo posto troviamo il Lazio, con 915 unioni, di cui 845 a Roma.
Da comune.pula.ca.it l'1 luglio 2022.
1) differenze terminologiche
L'articolo 29 della Costituzione definisce il matrimonio come un ''ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare''.
L'Unione civile non è un matrimonio, ma una «specifica formazione sociale» composta da persone dello stesso sesso,
La convivenza di fatto viene posta in essere da una coppia formata da ''due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile''.
2) il sesso
Il matrimonio può essere contratto solo da persone di sesso diverso,
l'unione civile è un istituto valido per le coppie dello stesso sesso,
la convivenza può essere istituita sia per i rapporti eterosessuali che per i rapporti omosessuali.
3) il rito
A differenza di quanto previsto per il matrimonio, per l'unione civile non sono contemplate le pubblicazioni, quindi non possono neanche esserci le opposizioni previste per il matrimonio. L'unione si costituisce nel momento in cui i due coniugi presentano una dichiarazione all'ufficiale di Stato Civile alla presenza di due testimoni. Se per il matrimonio devono essere ''recitate'' delle formule particolari, i coniugi uniti civilmente non ne avranno bisogno.
L'ufficiale di Stato Civile si occuperà di compilare un certificato all'interno del quale verranno inseriti dati anagrafici (della coppia e dei testimoni), residenza e regime patrimoniale. Da sottolineare che mentre per il matrimonio i cittadini minorenni hanno la possibilità di richiedere a un giudice il ''permesso'' di sposarsi, questa opzione non è contemplata per l'unione civile, valida solo per i maggiorenni.
Le coppie che invece vogliono regolamentare davanti alla legge la convivenza devono presentare apposita richiesta di iscrizione all'anagrafe. Uno dei due partner deve inoltre trasmettere il modello di dichiarazione di residenza (sottoscritto anche dall'altro/a), specificando che si tratta di una convivenza per vincoli.
4) il patrimonio
Dal punto di vista economico, matrimonio e unioni civili sono equiparati, il che significa che le coppie unite civilmente saranno soggette automaticamente al regime di comunione dei beni, a meno che non indichino una scelta differente. Per entrambi si prevede l'obbligo di contribuire ai bisogni comuni e il diritto di successione.
I conviventi invece, per regolamentare i loro rapporti patrimoniali, devono firmare un contratto di convivenza predisposto da un avvocato o da un notaio all'interno del quale indicare le proprie decisioni sulla materia. Il professionista avrà dieci giorni di tempo dalla stipula del documento per procedere all'iscrizione dello stesso all'anagrafe di residenza dei conviventi. In questo caso non è previsto il diritto di successione.
5) fisco e previdenza
Coppie sposate e unite civilmente potranno godere dello stesso trattamento fiscale e previdenziale. A livello esemplificativo: detrazioni fiscali per familiari a carico e prima casa, assegno di mantenimento in seguito a divorzio, pensione di reversibilità e TFR in caso di morte di uno dei due coniugi.
Rispetto al matrimonio però, per le unioni civili c'è una differenza importante: dato che per queste ultime non è prevista la possibilità di adozione, i coniugi non potranno accedere alle prestazioni di maternità/paternità né agli assegni familiari.
Per quanto riguarda i conviventi, non è previsto alcun legame previdenziale. La legge prevede però che un convivente che presti la propria opera (non lavoro subordinato né legame di società) all'interno dell'impresa del partner abbia diritto di partecipazione agli utili. In caso di rottura della convivenza è previsto il diritto all'assegno di mantenimento per un numero determinato di anni che sarà detraibile dal partner che lo eroga.
Coppie sposate, unite civilmente e conviventi godono dello stesso trattamento per le graduatorie relative all'assegnazione di alloggi di edilizia popolare.
6) il cognome
Nelle coppie unite in matrimonio, la moglie mantiene il proprio cognome da nubile, anche se è possibile aggiungere nei documenti ufficiali la dicitura ''coniugata con''. Per quanto riguarda le unioni civili invece, i partner dovranno presentare una dichiarazione attraverso la quale comunicano la decisione di assumere un cognome comune. Si potrà scegliere liberamente quale utilizzare tra i due. I conviventi mantengono ognuno il proprio cognome.
7) i figli
La tra matrimonio e unione civile risiede nella mancata possibilità per chi è legato tramite il secondo istituto di adottare un bambino o di ricorrere alla procreazione assistita. A differenza di quanto accade per il matrimonio in cui i bambini nati vengono considerati dalla legge figli di entrambi i genitori, i bambini nati durante l'unione civile saranno figli del solo genitore biologico.
Per quanto riguarda la convivenza, la legge non prevede per una coppia convivente la possibilità dell'adozione, a meno che la convivenza duri da tre anni e vi sia l'impegno al matrimonio. I conviventi hanno però diritto alla stepchild adoption.
8) obbligo di fedeltà
Per le Unioni Civili non è contemplato l'obbligo di fedeltà previsto per il matrimonio.
9) divorzio e separazione
I coniugi uniti civilmente, a differenza delle coppie sposate, non dovranno rispettare il periodo di separazione, ma potranno aver accesso direttamente al divorzio. In questo frangente, anche nel caso in cui la volontà dei due coniugi sia disgiunta (vale a dire che solo uno dei due voglia divorziare), basterà ricorrere all'ufficiale di Stato Civile e non al Giudice, firmando una comunicazione ufficiale nella quale si dichiarerà la volontà di sciogliere l'unione. Trascorsi tre mesi dalla presentazione sarà possibile iniziare la procedura di divorzio che potrà essere richiesto tramite via giudiziale, attraverso la negoziazione assistita o mediante un accordo sottoscritto dalle parti davanti all'ufficiale di Stato Civile. Il partner più debole avrà diritto agli alimenti e all'assegnazione della casa.
In caso di divorzio esiste un'ulteriore differenza: i coniugi uniti da unione civile non potranno chiedere lo scioglimento per la mancata consumazione del rapporto.
Per quanto riguarda la convivenza, in caso di rottura la ex coppia non dovrà affrontare alcuna procedura. Chi però ha sottoscritto il contratto di convivenza per disciplinare la propria situazione patrimoniale dovrà presentare un atto scritto per richiederne il recesso, sia esso unilaterale o di comune accordo.
Micol Sarfatti per corriere.it il 2 luglio 2022.
Ore 18.45 - Gli invitati
Una trentina di invitati hanno assistito alla cerimonia al municipio di Montalcino. Nessun volto noto, ma amici intimi e parenti delle due spose. Il Dress code, non rispettato da tutti, prevedeva abito bianco anche per gli invitati.
I primi ad arrivare sono stati il produttore discografico Diego Calvetti e la giovane cantautrice Isotta, entrambe senesi e amici di Paola Turci. La testimone Di francesca Pascale e la sorella Marianna, per Paola Turci un amico.
La cerimonia è durata trenta minuti circa ed è iniziata con la canzone Is This Love di Bob Marley. Le due spose hanno detto «Ci siamo scelte». Molta commozione, all’uscita, anche tra gli invitati. «È stato bellissimo e commovente», il commento di molti. Per il sindaco celebrante Silvio Franceschelli (Pd) è stata «l’ Unione più emozionante celebrata in 10 anni e si è visto il sentimento vero tra due persone che si vogliono veramente bene».
Ore 18 - «Una giornata meravigliosa»
«Una giornata meravigliosa», questo il primo commento di Turci e Pascale uscendo dal municipio.
Ore 17.56 - L’arrivo a Montalcino
Pascale e Turci sono arrivate entrambe a Montalcino vestite di bianco. Le due, dopo essere scese da un Suv chiaro e aver ricevuto gli applausi degli amici presenti, hanno salito mano nella mano le scale del Municipio, addobbate con due file di fiori.
Ore 17.47 - Pascale-Turci: a Montalcino il sì all’unione civile
Francesca Pascale, ex di Silvio Berlusconi, e la cantautrice Paola Turci hanno detto sì all’unione civile in un resort a Montalcino. A presiedere la cerimonia il riconfermato sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli.
Ore 17.30 - La prima foto del matrimonio
La prima foto del matrimonio di Paola Turci e Francesca Pascale: entrambe si sono presentate in bianco e pantaloni, come tutti gli invitati. Il dress code del total white è stato rispettato. Le due, che stanno insieme da circa due anni — quando uno scoop del settimanale Oggi le aveva riprese a baciarsi a bordo di uno yacht al largo del Cilento — si sono sposate sabato 2 luglio a Montalcino.
Da corriere.it il 2 luglio 2022.
La prima foto del matrimonio di Paola Turci e Francesca Pascale: le due spose si sono presentate entrambe vestite di bianco in pantaloni, come tutti gli invitati che hanno rispettato il dress code del total white. Le due, che stanno insieme da circa due anni — quando uno scoop del settimanale Oggi le aveva riprese a baciarsi a bordo di uno yacht al largo del Cilento — si sono sposate sabato 2 luglio a Montalcino.
A sposarle il sindaco Silvio Franceschelli , rieletto alla guida di Montalcino al primo turno, il 13 giugno scorso. Il sindaco — amico personale del segretario Pd Enrico Letta — aveva ricevuto Francesca Pascale nelle scorse settimane in municipio. «Si tratterà di una cerimonia sobria — aveva detto Franceschelli dopo che la notizia era diventata di dominio pubblico —. Era stata tenuta riservata, ma l’afflusso di prenotazioni nelle strutture alberghiere per sabato 2 luglio, il giorno delle nozze, ha evidentemente rotto il segreto».
Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa” il 3 luglio 2022.
«Attenti alle ortensie!». Mezzogiorno di fuoco nella saletta duecentesca del Palazzo dei Priori di Montalcino. Mancano cinque ore al matrimonio (tecnicamente unione civile, ma insomma) tra Francesca Pascale e Paola Turci. E Michele Giannetti, pirotecnico fiorista cittadino, freme per la tenuta delle sue composizioni. Per fare aria si spalancano le finestre su piazza del popolo.
«Due giorni fa - racconta - mi arriva una telefonata: "Buongiorno, sono Francesca". E a me è venuta la tremarella». Richieste delle spose: «Prevalenza di base bianca e uso dei colori pastello. Il resto l'ho fatto io, spaziando dal verde acido al rosa, con gradazioni soft compatibili con gli arredi della sala, color terra di Siena».
Effetto Monet
Per organizzare tutto in 18 ore, Michele ha chiamato a raccolta mezzo paese. Dalla gelataia e consigliera comunale di Italia Viva Stefania Platini, il cui babbo è biscugino del fuoriclasse juventino, al proprietario del concorrente "Fiori per te" di San Quirico D'Orcia. Tutti a dare una mano fino alle tre di notte.
Per la Eden Flower una pubblicità memorabile. Apparato floreale imponente, considerati gli angusti spazi: una stretta e buia scala con 35 gradini, un'anticamera, l'ufficio del sindaco riattato per la cerimonia, non più di 30 metri quadri.
«Curcuma bicolore, lisianthus, rose, limonium, ruscus, pitosforo, gypsophila, waxflower e l'altro non lo ricordo, madonna fino a stasera mi si fa un Tso», sacramenta Michele al terzo sorso di coca cola. Al caffè enoteca Il Leccio si sta come al derby in tribuna d'onore. In città ingresso vietato ai non residenti, vigili urbani (quattro) mobilitati.
Celebra il sindaco Silvio Franceschelli. Amico fraterno di Enrico Letta, uno zio prete, rieletto con oltre l'80%. Non avendo avversari, se l'è trovato da solo chiedendo la cortesia a un amico.
Contattato dalle spose un mese fa, avrebbe preferito astenersi per la concomitanza con il Palio di Siena. Ma non ha potuto, perché in fondo questo matrimonio è diventato un fatto politico, dopo gli insulti omofobi piovuti sui social. «Lo sai che siamo la notizia più cliccata sul web?», diceva a Letta l'altro giorno.
Le spose hanno voluto una cerimonia sobria. Niente agenzie milanesi, wedding planner, sovrastrutture, effetti speciali. Arrivano insieme con un quarto d'ora di ritardo a bordo di un suv jaguar bianco da commercialista. Mano nella mano. Gli applausi della piccola folla sui balconi sovrastano "Is this love" di Bob Marley. Musica arrivata sul cellulare del fiorista direttamente dal contatto Francesca&Paola e amplificata dall'altoparlante prestato dal barista.
Richiesto un total look white. Splendide e in bianco esse stesse: Francesca in una reinterpretazione femminile dello smoking con blazer e panciotto Fendi di crêpe satin di seta, pantalone fluido e sandalo flat gioiello; Paola in tuta di lino smanicata Alberta Ferretti con collo all'americana e décolleté ai piedi. Per Francesca taglio di capelli cortissimo alla garçonne, orecchino e bracciale catena, smoky eyes; make up leggero senza gioielli per Paola. Nessun bouquet, solo boutonnière rosa all'occhiello per entrambe.
Paola timida, un passo indietro.
Francesca che sfida la folla, sorride, ti guarda negli occhi, pienamente nel ruolo politico: «Una giornata importante», scandisce prima di percorrere la scalinata del municipio, calpestando vistosamente pregiudizi e petali di rose bianche.
Nella lista dei 64 invitati una decina di parenti. Nessun vip o presunto tale. A tutti in omaggio un ventaglio arcobaleno come il collare di Cielo, il meticcio che accompagna Marianna, sorella e testimone di Francesca. Testimone di Paola un amico.
Cerimonia di mezz' ora, interrotta da tre applausi. Il più fragoroso per i discorsi delle spose che si scambiano «parole di vero amore». Parla più a lungo Paola: «Ci siamo scelte, è un giorno meraviglioso». Il resto lo dicono le lacrime. Pare commosso persino il sindaco (e non perché del Pd): «Celebro sessanta matrimoni l'anno e in un decennio è stato il più emozionante, tra persone felici che si vogliono davvero bene». Il suo regalo una magnum di Brunello 2014.
«Cerimonia bellissima», «Amore estremo», singhiozzano gli invitati all'uscita. Anche le ortensie hanno retto caldo ed emozioni. «We said yes», il post con selfie delle spose scattato in auto, alla volta del Castello di Velona che ospita il ricevimento. Mura medievali, tre ristoranti stellati, piscine termali con acqua dalle viscere del monte Amiata, suite nuziale da 6mila euro a notte, 15 ettari di parco con uliveti e vigneti, tramonto con vista indimenticabile a 360 gradi sulla val d'Orcia. Berlusconi se ne invaghì vent' anni fa, ma rinunciò all'acquisto dopo un sopralluogo finito a parolacce con gli abitanti del paese, che non ne gradivano la presenza.
«Tre individui in vena di volgarità», minimizzò. Francesca Pascale, dopo la fine della relazione con il Cavaliere, si è stabilita qui vicino, a Trequanda. In cucina lo chef Riccardo Bacciottini, arrivato dal NOMA di Copenhagen, pluripremiato ristorante migliore del mondo.
Menu confacente all'ortodossia vegana delle spose: cera d'api, uva spina erbette spontanee perle di tapioca; kelp cotto in aronia, finocchietto, sambuco e yuzu. Tra le poche eccezioni creative lo scampo scottato. Tavolata unica, tovaglia seppiata, un tulipano bianco come segnaposto. Centrotavola con spighe e girasoli, ispirati all'estate. Luci sospese, neon colorati. Cambio di abiti. Quartetto d'archi, prima che Paola intoni a cappella "Tu sì 'na cosa grande". Brunello nei bicchieri. E confetti delle spose, in una notte finalmente meno buia.
Micol Sarfatti per il “Corriere della Sera” il 3 luglio 2022.
Turci, 57 anni, e Pascale, 37 anni il prossimo 15 luglio, si sono dette «sì» a Montalcino, in provincia di Siena. Fino a pochi giorni fa la notizia della loro unione civile non era mai trapelata. Le due spose sono riuscite a mantenere il massimo riserbo (quasi) fino all'ultimo. Anche i montalcinesi sono stati colti di sorpresa.
Nessuna misura di sicurezza speciale. In paese il pensiero è più al Palio di Siena che all'unione civile dell'anno. La seconda, dopo Eva Grimaldi e Imma Battaglia, tra due donne note. Un evento significativo per i diritti civili, sigillato proprio nel giorno della parata del Pride. La mattinata, calda e assolatissima, nella località del Brunello scorre tranquilla.
«Da queste parti di matrimoni ne abbiamo visti tanti», commenta un ristoratore, «stranieri, personaggi noti, uno in più non cambia niente. Ci si viene a sposare qui perché ci sono castelli bellissimi». Qualcuno si dice perplesso per la scelta della location del ricevimento voluta dalla cantautrice e dall'ex compagna di Silvio Berlusconi: il castello di Velona. «Meraviglioso, ma forse un po' piccolo».
È un boutique hotel - una trentina di camere extra lusso, dai 700 euro ai 6.000 euro a notte, fonte termale e produzione di vino interne - arroccato su una collina punteggiata di cipressi. Improvvisamente però somiglia a una fortezza inespugnabile. «Oggi la struttura è riservata, non facciamo entrare nessuno», spiegano i responsabili.
Qualche curioso inizia ad assieparsi davanti a palazzo dei Priori, sede del vecchio municipio, intorno alle 16, mentre il fiorista Michele Giannetti decora l'ingresso e la sala. Spirali di rose bianche, ortensie e fiori di curcuma. Nessun bouquet tradizionale, ma bottoniere floreali appuntate agli abiti delle spose. «Paola e Francesca hanno suggerito dei colori, poi mi hanno lasciato campo libero. Sono contente del risultato», dice Giannetti.
A dirigere il traffico della piazza del municipio tre vigili urbani, nessuna transenna e una ventina di curiosi, locali, ma anche stranieri. «Si sposa l'ex compagna di uno dei presidenti del Consiglio italiani», spiega una signora a una turista spagnola. Alla cerimonia sono invitate circa 30 persone, niente volti noti, solo parenti, amici intimi delle spose e Andrea Francini, sindaco di Trequanda: la località, tra Val d'Orcia e Crete Senesi, dove Francesca Pascale si è trasferita, poco dopo la rottura con Berlusconi, con il sogno di aprire un'azienda agricola per la coltivazione di cannabis legale in cui impiegare donne uscite dal carcere.
Puntuale, poco prima delle 17, arriva l'officiante: il sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli. «È uno dei tanti eventi che celebriamo qui, è bello poter fare felici le persone nel rispetto della norma», dice.
«Ho incontrato Francesca un mese e mezzo fa e sono stato lieto di rendermi disponibile. Dovremmo dare alle unioni civili tra persone dello stesso sesso un contorno di normalità più che di eccezionalità. Solo così si abbattono le barriere». Da una Jaguar, scendono finalmente le spose: sorridenti, molto emozionate, tutte e due in bianco. Pascale in tailleur pantalone di Fendi, Turci in tuta scollata di Alberta Ferretti. Si tengono forte la mano.
La cerimonia dura mezz' ora, inizia con le note di «Is this love» di Bob Marley, vengono letti gli articoli 11 e 12 della legge 76/2016. Per tre volte, dalla sala comunale, arrivano applausi. Paola e Francesca, che hanno come testimoni la prima un amico e la seconda la sorella Marianna, si promettono amore con un: «Ci siamo scelte». All'uscita sono raggianti e commosse, prima di risalire in macchina dicono solo: «È una giornata meravigliosa».
Per il sindaco Franceschelli «è stata l'unione più emozionante degli ultimi 10 anni, si è visto un sentimento vero». I curiosi, nel frattempo, si sono moltiplicati, applaudono Paola e Francesca e gridano: «Brave, siete bellissime». I messaggi di odio in rete della vigilia sembrano un ricordo lontano.
Un signore di 75 anni, con gli occhi lucidi, dice: «È bello vedere come le cose cambino». Gli ospiti, molti in bianco, nel rispetto del dress code chiesto dalle spose, si fanno aria con ventagli arcobaleno, mentre si muovono verso il castello di Velona. Qui degusteranno una cena vegana seduti ad una lunga e unica tavolata. Poi, ovviamente, tanta musica.
Francesca Pascale e Paola Turci, "il vero motivo del loro matrimonio". Luca Beatrice su Libero Quotidiano il 03 luglio 2022
"Che confusione, sarà perché ti amo" cantavano i Ricchi e Poveri che non erano proprio un gruppo ma una doppia coppia, due uomini e due donne. E in effetti sul matrimonio dell'estate 2022 un po' di confusione c'è, almeno per chi stenta a scivolare tra le categorie senza mai soffermarsi sul significato più profondo delle cose. La premessa però è d'obbligo: nessun moralismo da parte nostra, arciconvinti che la libertà sia un valore estremo da difendere sempre e comunque (per anni il nostro partito di riferimento si è chiamato PdL, Polo delle Libertà, una parola dal significato enorme, bella solo a pronunciarla), i distinguo semmai giungono da altre parti e non ci appartengono.
Molto più interessante, invece, la costruzione mediatica che regge l'intera operazione. Un escamotage usare il termine "privato" quando questa unione nasce ed è confezionata, simbolicamente, per la comunicazione di massa. In un tempo di sovraesposizione va bene sia chi si confida sui social sia chi centellina le apparizioni osi nasconde dietro il dito dell'assoluto riserbo, strategia che affama ancora di più i cercatori di notizie.
Le protagoniste, le due spose cui auguriamo una vita felice, appartengono a tipologie diverse ma comunque ben radicate. Paola Turci, anni 57, di professione rockstar, dunque libera, eccessiva, oltre le regole e le definizioni. Un fidanzamento in gioventù con un tennista di talento, un matrimonio alle spalle, tante storie bisex proprio come David Bowie, Lou Reed e Gianna Nannini (che fu sua amante). Francesca Pascale, anni 36, di professione showgirl che vuol dire tutto e niente, a lungo fidanzata con Silvio Berlusconi, a lungo attiva in Forza Italia di cui ha rappresentato l'ala liberale, attenta ai diritti e lontana dalla destra. Anche in questo caso sceglie al proprio fianco una persona parecchio più grande di lei, di un'altra generazione e di provata esperienza. Come a molte ragazze di oggi le/i coetanei non le interessano, poco stimolanti e poco propensi a prendersi responsabilità serie quali un matrimonio.
In effetti è vero, ci sono in giro tanti quarantenni maschi parecchio noiosi, che non sanno scegliere e alla prima richiesta di impegno scappano. Le loro coetanee, molto più avanti di loro, determinate, decise a metter su famiglia e magari fare un figlio visto che di tempo ce n'è sempre meno, appaiono disarmate di fronte all'astenia di questi sedicenti maschi di mezza età, rivalutando noi anzianotti che dopo i sessanta non abbiamo più paura di niente e qualche volta ce la giochiamo ancora.
Niente di strano a praticare la bisessualità e neppure a scegliere la propria vera identità quando si è maturi, anche se la confusione è più tipica dell'adolescenza. Il fenomeno coming out "over 40" è sempre più ricorrente, ma qui c'è qualcosa che mi colpisce di più rispetto al caso Alberto Matano. Ho come l'impressione che le donne si uniscano e si sposino tra loro a causa della conclamata crisi identitaria del maschio italiano. Basta vederli questi tipi nuovi quando accompagnano i figli all'asilo, verbosi, logorroici, in atteggiamento da mammi partecipano alle chat di classe con messaggi illeggibili. Sensibili, indecisi, piagnucolanti, francamente insopportabili, le loro donne sono costrette a supplirne la mancanza di nerbo con decisionismo innaturale. Non è bastato già ripiegare sull'ascaro invasore, le donne di oggi non riescono più a rintracciare compagni spiritosi, cazzaroni, generosi, spacconi ma comunque affidabili, insomma come eravamo un tempo. Mi pare evidente che dopo il campione assoluto di una tendenza comunque precisa, pregi e difetti compresi, Francesca Pascale si sia innamorata di un'altra rockstar non giovanissima. Le piacciono quei tipi/tipe lì, è una femmina tradizionale in fondo e proprio non si può darle torto.
Francesca Pascale, "perché si è sposata in Toscana". L'impensabile business, come campa. Libero Quotidiano il 03 luglio 2022
Ha lasciato Villa Maria un anno fa, Francesca Pascale. Per l'esattezza, nell'agosto 2021. Era la casa che Silvio Berlusconi aveva comprato per lei a Casatenovo in Brianza nel 2015, spendendo quasi 30 milioni di euro per ristrutturarla e ammodernarla. Nel marzo 2020 il Cav e Francesca si sono lasciati, una rottura non indolore, certo, ma tutt'altro che traumatica. E a conferma di ciò la decisione dell'ex premier di lasciare alla ragazza la villa in comodato d'uso.
Ci è rimasta un anno, il tempo di conoscere Paola Turci (nell'estate del 2020) e innamorarsi di lei. Ieri si sono sposate a Montalcino, in quella stessa zona della Toscana in cui la Pascale si è trasferita, cambiando per sempre la propria vita e i propri orizzonti. Alle nozze, una cerimonia sobria e riservata con pochi invitati e nessuna "celebrità", rivela il Corriere della Sera, c'era anche Andrea Francini, sindaco di Trequanda.
"La località, tra Val d'Orcia e Crete Senesi, dove la Pascale si è trasferita, poco dopo la rottura con Berlusconi, con il sogno di aprire un'azienda agricola per la coltivazione di cannabis legale in cui impiegare donne uscite dal carcere". Un altro lato della sua personalità sicuramente "fuori dagli schemi", considerato anche il suo impegno a favore dei diritti della comunità LGBTQ quando ancora era compagna di Berlusconi. Una lotta che destò non pochi imbarazzi e scetticismo dentro Forza Italia.
Elena Tebano per corriere.it il 2 luglio 2022.
Vladimir Luxuria, lei è stata la prima e unica transgender eletta in parlamento, nel 2006. Quando Francesca Pascale era la compagna di Berlusconi li incontrò per parlare della legge sulle unioni civili...
«Sì, lei era a favore della stepchild adoption, il riconoscimento dei figli delle famiglie arcobaleno. Mi disse che anche Berlusconi lo era, ma alcuni in Forza Italia le osteggiava-no, confondendo le acque. Mi chiese di discuterne con lui a cena. Servì: lasciò libertà di coscienza al partito sulle unioni gay».
Si aspettava la notizia della sua unione civile con Paola Turci?
«Avevo visto l’amarezza di Francesca dopo la fine della storia con Berlusconi. Poi l’ho incontrata al Pride di Napoli, l’anno scorso. Paola Turci sul palco fece un bellissimo discorso e Francesca la guardava da lontano tutta rapita. Le era tornata la luce negli occhi. Le chiesi se erano venute insieme: mi rispose con un sorriso. Avevo sospettato...».
E dalle reazioni omofobe che hanno avuto sui social è stata sorpresa?
«No, conosco questa fauna che usa Internet come rete fognaria per evacuare le proprie frustrazioni. Lo hanno fatto anche contro di me: a volte ero così tempestata di messaggi di odio online che uscivo di casa circospetta, pensando di essere circondata. Invece trovavo gente sorridente che mi chiedeva selfie».
Francesca Pascale paladina della sinistra? "Le è bastato dichiararsi omosessuale..." Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 03 luglio 2022
C'è una donna che oggi viene lodata, osannata, che raccoglie consensi ed approvazione da tutta la stampa progressista e dal popolo web festante. È la stessa che qualche anno fa veniva dileggiata senza pietà. Prima non piaceva, oggi sì. Quale cambio di rotta è avvenuto per essere traghettati dal girone dei peggiori all'Olimpo delle divinità? È bastato dichiarare di essere lesbica e suggellare il tutto con un bel matrimonio a Montalcino, celebrato dal sindaco dem Silvio Franceschelli. Lei è Francesca Pascale, conosciuta per essere stata al fianco del Cavaliere Silvio Berlusconi per ben nove anni. Una storia d'amore che si è conclusa nel marzo del 2020, quando a reti unificate è stato diramato da Forza Italia questo comunicato ufficiale: «Appare opportuno riconfermare che continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente Berlusconi e la signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia».
SILVIO GENEROSO
La storia è finita. Le chiacchiere no. L'attenzione non è più sulla coppia, ma su ciò che ingolosisce le penne fameliche e alimenta le lingue taglienti da bar: è la questione vitalizio. La Pascale passerà all'incasso. A quanto ammonterà la sua buonuscita da badante, tuoneggiano le malelingue? Venti milioni di euro, più un assegno da quasi centomila euro al mese e l'uso della residenza di Villa Maria in Brianza, con tanto di personale a servizio. Mica male come benservito. Del resto, che Berlusconi sia un generoso per definizione non è mai stato in discussione. Sembra però non esserci pace, perla Pascale. Per anni definita come donna arrivista e senza scrupoli. Sbeffeggiata da tutti e assolta da nessuno. Quando però sembrava che niente avrebbe risollevato le sorti della sua immagine ormai tragicamente compromessa, ecco arrivare l'assoluzione salvifica.
Correva l'estate 2020 e il settimanale Oggi svelò un clamoroso scoop. Immortalò un bacio appassionato su uno yacht lungo venti metri, al largo del Cilento, tra lei, Francesca Pascale, e la nota cantante Paola Turci. Fine dei giochi, fine della gogna. Pascale una di noi. Sei lesbica? Ora sei accettata. Ti sei purificata dai tutti i tuoi mali e hai espiato la tua colpa. Da badante opportunista a paladina delle libertà in un attimo. L'opinione pubblica inizia così a riabilitare un'immagine che sembrava irreversibilmente compromessa. Ma ormai lo sappiamo, fare coming out oggi, in un'epoca dove il politicamente corretto è il verbo indiscusso, rappresenta non solo la salvezza, mala consacrazione. Del resto la stessa Pascale lo aveva detto: «Adesso non potrò certo tornarmene a casa, alla mia vecchia vita, ho dedicato al presidente i miei migliori anni, da quando ero una ragazzina». Qualcosa in lei era cambiato per sempre. Anche le preferenze sessuali.
FLUIDI
Ma oggi siamo abituati a vivere in una società di cambiamenti repentini. Siamo tutti fluidi, ci dicono. Ancora a pensare che esistano l'uomo e la donna? Cosa sono oggi pene e vagina? Due dettagli che hanno la stessa valenza di un accessorio. Oggi ci sono e domani no. Posso amare un uomo maturo, etero, essere pronta a giurargli amore eterno e poi improvvisamente mi scopro attratta da una donna e sono pronta a giurarlo a lei, quell'amore. E così è stato. Questo è piaciuto talmente tanto alla stampa progressista da spellarsi oggi le mani per il matrimonio Pascale-Turci. La stessa stampa che non aveva risparmiato neppure il cagnolino Dudù, con buona pace degli animalisti. Oggi abbiamo capito che basta passare da etero a omo per essere immediatamente riabilitati. Ti purifichi da tutti i tuoi peccati. La ragazzina opportunista che si accompagnava al presidente ricco e attempato, facendo infuriare tutte le Olgettine, oggi è l'indiscussa eroina Lgbt. Il simbolo del progresso, della modernità. La paladina dei diritti. E poi dicono che la lobby gay non è potente. Ha la capacità di ribaltare pure la morale. Vi pare poco?
La Pascale sposa Lgbt diventa subito un’eroina, ma dieci anni fa la Lucarelli la scherniva così…Vittoria Belmonte sabato 2 Luglio 2022 su Il Secolo D'Italia.
Social in fermento nel giorno dell’unione civile tra Francesca Pascale, ex compagna di Silvio Berlusconi, e la cantante Paola Turci. In tanti si lamentano degli insulti omofobi che la coppia vip ha attirato, come sempre avviene per personaggi famosi che fanno notizia.
Completamente finiti nell’oblio i lazzi e lo scherno che accoglievano, sempre sui social, le vicende della Pascale e di Silvio Berlusconi una decina di anni fa. All’epoca erano molto gettonati i rapporti tra Francesca Pascale e il cagnolino Dudù. L’accusa? Utilizzare il cane come arma di distrazione di massa che non avrebbe certo ingannato i veri animalisti…
Nel settembre del 2013 fu addirittura Selvaggia Lucarelli a proporre una sorta di gogna social per la Pascale. Così la raccontava il Corriere: «Nel bene e nel male, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, prometto di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Una dichiarazione d’amore in piena regola che ricorda tanto la formula di rito dei matrimoni, corredata di cuoricini. Il messaggio sarebbe di Francesca Pascale e il destinatario di tanta passione dovrebbe essere proprio lui, il Cavaliere. Una dichiarazione d’amore attribuita alla fidanzata dell’ex premier da Selvaggia Lucarelli che l’ha «postata» sul suo profilo facebook. «Mi cade l’occhio sul profilo whatsapp della Pascale e scopro che ha fatto la promessa di matrimonio a Silvio» scrive la Lucarelli. E poi chiosa con un pizzico di cattiveria tutta femminile: «Deve essere proprio amore vero per essere disposta a correre quel rischio così concreto di amarlo anche in povertà»”. La Pascale dunque, all’epoca, per il mainstream progressista, era poco di più di un’arrivista, falsa e arrampicatrice sociale. I social seguirono l’onda e certificarono questa “intuizione” della Lucarelli.
Sempre la Lucarelli, poi, si rivolgeva alla Pascale con una lettera su Libero (sì, all’epoca non si era ancora fatta arruolare tra gli opinion maker de sinistra…) e la invitava a tornare al calippo e a Telecafone perché la vita con Berlusconi doveva essere proprio noiosa. Atteggiamento opposto nove anni dopo, quando la Pascale si abbraccia in barca con Paola Turci. Selvaggia diventa tutta zucchero e miele e invita i bigotti a non prendersela con la coppia già candidata da essere “la più bella del mondo”.
Ma riavvolgiamo ancora il nastro e torniamo a dieci anni fa. Ci si accaniva, all’epoca, anche sul barboncino della Pascale, Dudù. Beppe Grillo, nel 2014, dal palco di Pavia, concionò contro il cagnolino dicendo che andava affidato alla vivisezione. Nell’immaginario collettivo Dudù non era altro che un’arma usata dalla “maliarda” Pascale per rincoglionire il vecchio fidanzato.
Il Fatto la intervistò nel 2014 calcando la mano sulla sua gelosia per Silvio. Lei disse che si incavolava ogni volta che dicevano che il suo fidanzato era vecchio. E’ determinata, convinta, innamorata. Talmente innamorata che è disposta a rinunciare a tutto pur di sposare il suo Cavaliere. Per poi esprimere tutto il suo amore: “Io a Silvio lo chiedo tutti i giorni. E pur di sposarlo sono disposta a rinunciare a tutto, non voglio niente del suo patrimonio”. E ancora: “A lui l’ho già detto: ‘Da te voglio solo una cosa: il calore delle tue braccia”. Per la cronaca la love story si è conclusa con un vitalizio per la Pascale che ammonterebbe a 100mila euro mensili…
Ma oggi la Pascale non è più una donna sulla quale ironizzare. Il clima attorno a lei è cambiato. Illuminata dal verbo Lgbtq, Francesca è diventata una donna innamorata, sincera, consapevole, coraggiosa e anticonformista. Un modello insomma. Una “sposa esemplare” visto che si unisce a un’altra donna. E, per di più, nel giorno del Pride milanese. Una data scelta “non a caso”. In pratica, manca solo l’aureola…
Silvio Berlusconi, la bomba nel giorno delle nozze: "La villa regalata alla Pascale..." Salvatore Dama su Libero Quotidiano il 02 luglio 2022
Silvio vende Villa Giambelli. Sì, è proprio quella che il Cavaliere aveva dato in comodato d'uso gratuito alla ex fidanzata Francesca Pascale. Ed è un caso che l'addio alla proprietà immobiliare di Casatenovo, nel cuore della Brianza, avvenga proprio nei giorni in cui la fu first lady di Arcore si unisce con rito civile alla cantante Paola Turci. In realtà da circa un anno Francesca ha cambiato indirizzo. E Regione. Dall'agosto 2021 la trentaseienne napoletana ha lasciato il villone - nel frattempo ribattezzato "Villa Maria" - per spostarsi in Toscana, nel senese, dove ha comprato una tenuta. Ed è proprio lì vicino, a Montalcino, che oggi Pascale e Turci si sposeranno.
Villa Maria, dicevamo. Si tratta di 1.140 metri di interni più diversi ettari di giardino. La magione, che sorge in località Rogoredo, al confine tra le province di Lecco e Monza e Brianza, è stata pagata dal Cav circa 2,5 milioni di euro. Ma la valutazione al rogito dice poco, in realtà. Tra ristrutturazione, domotica e arredi, alla fine l'ex premier pare abbia sborsato ben 28 milioni. Nove camere da letto, nove bagni. Per una persona sola. Silvio ci è andato a dormire giusto qualche mese prima di ristabilirsi a Villa San Martino. Da dove, comunque, non aveva mai traslocato. «Ho acquistato una villa che dista otto minuti da Arcore - dichiarava nell'ottobre 2015, - andrò a vivere lì con Francesca perché Arcore è diventato un quartier generale, un porto di mare, in cui non c'è intimità. Lavorerò ad Arcore e poi andrò nell'altra villa da Francesca».
Il pendolarismo sentimentale dell'ex premier è durato poco. La convivenza non è mai decollata. Così Berlusconi ha lasciato Villa Maria alla Pascale (e ai cani) facendosi vivo sempre più di rado. Il lockdown, poi, ha fatto il resto.
DIMORA PRINCIPESCA - Che posto, però: all'interior design della villa hanno lavorato svariati professionisti e artigiani brianzoli. Tra questi l'ingegnere Giorgio De Cani che, non troppo tempo fa, pubblicò alcune immagini dell'immobile e in particolare la veranda fatta tutta in vetro. Dentro, nelle stanze, il meglio della manifattura italiana. Mobili con finiture in Swarovski. E la cucina? Solo lei, riferisce il Giornale di Merate, è costata 250mila euro. Tutta high-tech, con una intelligenza artificiale collegata alla cantina capace di suggerire il vino giusto in relazione al tipo di portata cucinata dallo chef. E ancora: una sala cinematografica da sette posti, con impianto audio home theatre. Due saloni: uno dedicato esclusivamente al relax dei Dudini. Che hanno potuto disporre anche di una bagno tutto loro per fare i bisognini indoor.
Tutto finito. O meglio: tutto ricomincia altrove. Non è chiaro se all'acquisto della tenuta toscana abbia contribuito il Cavaliere. Così come non ha mai trovato conferma la storia dei 21 milioni di euro di buonuscita. Che Silvio avrebbe versato a Pascale come una sorta di liquidazione per la fine della loro love story. Quel che è certo, invece, è che nel frattempo Francesca non solo ha cambiato partner, ma anche gusti.
La relazione con la cantante romana è diventata pubblica nell'agosto del 2020, quando il settimanale Oggi impagina le foto di un bacio a bordo yacht nel mare del Cilento. Pochi mesi prima, con un comunicato, era stata resa nota la fine del fidanzamento con Berlusconi. Che intanto già faceva coppia fissa con Marta Fascina. Da allora sono circolati tanti pettegolezzi sulla coppia lesbo. Nonostante Paola Turci abbia provato a difendere la sua privacy: «Avrei potuto mangiarci su quel pettegolezzo, invece ho rifiutato copertine, soldi. Il mio silenzio ha comunicato che non è necessario dire quello che sei», ha dichiarato qualche settimana fa, sempre al settimanale Oggi, la cantante di "Fatti bella per te".
UNITE PER LA CAUSA- Un anno fa, intervistata dal settimanale F, la Turci sottolineava di sentirsi libera di amare chi voleva: «Non ho nessuna intenzione di farmi influenzare dai giudizi degli altri e rinunciare ad avere le relazioni che voglio con le persone che scelgo». Pascale è stata più esplicita della sua compagna. E, nelle ultime interviste, aveva fatto chiaramente intendere il suo coming out. In questi anni si è tante volte esposta per la causa Lgbtq+ fino ad annunciare di volersi sbattezzare, come protesta contro «l'omofobia della Chiesa». Battaglie intraprese già negli anni della relazione con Berlusconi, quando nel 2014 fondò l'associazione "I colori della libertà" contro la violenza sulle donne e pro Lgbtq+. Ad officiare l'unione Turci-Pascale sarà il sindaco dem di Montalcino Silvio Franceschelli. A seguire festone nel castello di Velona, in Val d'Orcia.
Michele Serra per “la Repubblica” il 4 luglio 2022.
L'unione Turci-Pascale, forse all'insaputa delle congiunte, sta accumulando clic quanto, ai tempi, quelle dello Scià di Persia e Farah Diba, o Tyrone Power e Linda Christian. I clic all'epoca non c'erano, ma nelle edicole le pile di Gente , Novella 2000 , Bolero , Confidenze eccetera erano alte come palazzi. La merce era identica, però bene ordinata nel suo sontuoso comparto, e ben distinta dal resto.
A me, che ho una certa età, incute un certo spavento il mishmash attuale, è un po' come se Bolero e Le Monde si fossero fusi, e tutti gli editori fossero lo stesso editore, e tutti i lettori lo stesso lettore. Preferivo come era prima, c'era una chiarezza merceologica che garantiva il cliente, se comperavi Le Monde ti sentivi al riparo dal gossip, se comperavi Bolero avevi la certezza di non doverti sorbire gli editoriali, pallosissimi, degli intellò.
Oggi è più divertente ma anche più faticoso, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo, stai cercando notizie sulla politica cinese e ti ritrovi sulle soglie del "prestigioso resort" dove festeggiano Paola e Francesca, chiedi che cosa pensa Erdogan di Putin e ti dicono cosa pensa Malgioglio del rap, è come ordinare alla cieca in un ristorante in cui sei entrato senza volerlo.
C'è stato un "rompete le righe", inevitabile il disorientamento per chi non ci è nato dentro, vorrebbe meno cose ma scegliendole lui, non ha tempo né voglia di selezionare, la quantità lo affatica, il numero lo terrorizza. Ognuno è solo di fronte al caos. Il caos sfianca, non dura mai molto, nascerà dunque un nuovo ordine, il problema è che non si capisce se sarà il nuovo ordine di Le Monde o di Bolero .
Da “Posta e risposta – la Repubblica” il 5 luglio 2022.
Caro Merlo, perché un giornale non di gossip dedica una pagina intera al matrimonio fra Turci e Pascale? È di pubblico interesse o importanza?
Ci sono tante coppie gay o etero che si sposano senza pubblicità. A me non ha mai interessato l'orientamento sessuale delle persone e men che meno delle varie donne passate dalla camera di Berlusconi.
Cecilia Roing - Perugia
Risposta di Francesco Merlo:
La legge del 2016, che porta il nome di Monica Cirinnà, consente ai gay un'unione civile che purtroppo non è ancora un matrimonio, ma di sicuro ci somiglia e speriamo che, a furia di somigliargli, ci diventi. I matrimoni, tutti i matrimoni, si fanno così: esponendosi, non importa se sulla Jaguar bianca di Turci-Pascale o "sul carro di buoi tirato dagli amici e spinto dai parenti" di De André. Persino Gesù, per dare più forza e pubblicità alle nozze di Cana, fu costretto al suo primo miracolo trasformando in "vino buono" (Gaja, Sassicaia?) l'acqua di ben sei giare, contenente ciascuna due barili.
Nell'Italia che sfascia più matrimoni di quanti ne fa, quasi sempre gli omosessuali, con questa voglia di sposarsi "alla grande", rilanciano la famiglia, ne accettano il codice alto che non può essere ridotto da nessuno, neppure dal Papa, al modo in cui in camera da letto si uniscono due corpi. Insomma, qui la pubblicità è la forza che cerca di risarcire il diritto negato, altro che gossip. Cosa la infastidisce? Che Pascale sia stata fidanzata di Berlusconi? Provi a vederla come una bella redenzione.
Da iltempo.it il 4 luglio 2022.
La privacy è stata rotta dalle indiscrezioni su quello che per molti è il matrimonio dell'estate: l'unione civile tra Paola Turci e Francesca pascal che si celebra oggi, sabato 2 luglio, a Montalcino, in Toscana. Secondo quanto si apprende gli invitati sarebbero circa una trentina circa e dopo il sì in municipio la festa nel castello di Velona, in Val d'Orcia, location super-lusso. A unire civilmente la cantante e l'ex compagna di Silvio Berlusconi sarà il sindaco Silvio Franceschelli del Pd.
Tra i trenta invitati non ci sarà Silvio Berlusconi che avrebbe fatto recapitare a Francesca e Paola un regalo per il grande giorno: due gioielli. A raccontarlo è il Messaggero che riporta anche qualche commento pepato da parte di parlamentari vicini a Marta Fascina, attuale compagna del Cavaliere. "Il regalo Berlusconi lo ha già fatto ed è la liquidazione ricevuta da Francesca quando si sono separati. Una villa e oltre 20 milioni di euro", la stilettata degli anonimi parlamentari azzurri che fanno riferimento all'accordo tra Silvio e Francesca dopo la fine della relazione tra i due durata oltre dieci anni.
Francesca Pascale sposa? Quanto ha guadagnato da Berlusconi: cifre-choc. Libero Quotidiano il 04 luglio 2022
L'accordo tra Silvio Berlusconi e Francesca Pascale prevedeva, in caso di rottura tra i due, due milioni di euro per ogni anno di relazione (ne hanno passati dieci insieme) e a circa 100 mila euro al mese (un milione l’anno) come mantenimento dello stato di vita e di benessere acquisiti durante gli anni della relazione. E adesso che la signora Pascale è la moglie felice di Paola Turci? Non è dato sapere se l'accordo verrà meno, di certo c'è - come svela il Messaggero - che Villa Maria, la lussuosa dimora di 1.140 metri quadrati, immersa in un parco di oltre 30mila metri quadrati a Casatenovo in Brianza, realizzata dalla Pascale secondo i suoi gusti, sarebbe tornata sul mercato. La villa era sempre rimasta di proprietà dell’ex premier, anche se dopo la rottura, avvenuta nel 2020, Pascale aveva continuato a vivere lì per un po'. Qualche mese fa, però, sarebbe stata messa in vendita. D’altra parte lei non abita più da parecchio tempo a Casatenovo.
Ora Francesca Pascale vive a Trequanda, un comune in provincia di Siena, dove si è trasferita per avviare una coltivazione di cannabis a scopo terapeutico. Non a caso, al matrimonio blindato di Montalcino, tra i 63 invitati - come si legge sul Quotidiano Nazionale - c'era anche il sindaco di Trequanda Andrea Francini. Pochi i vip: le uniche personalità celebri o comunque legate al mondo dello spettacolo erano la cantante Isotta Carapelli, il suo compagno produttore Diego Calvetti. Della grande famiglia Berlusconi non c'era nessuno. L'ex cognato Paolo si è limitato a farle gli auguri: "Formulo alla Pascale, una persona che per alcuni anni è stata vicino a mio fratello Silvio, gli auguri per una vita felice".
Rosella Redaelli per il “Corriere della Sera” il 6 luglio 2022.
È stata venduta Villa Maria, la proprietà acquistata da Silvio Berlusconi nel 2015, ai tempi della sua relazione con Francesca Pascale. Lo rende noto, d'intesa con la famiglia Berlusconi, Lionard spa, l'agenzia di immobili di lusso che ha seguito la trattativa. Si mette così la parola fine ai rumors degli ultimi giorni, proprio in concomitanza con le nozze di Francesca Pascale con la cantante Paola Turci.
«Sino a oggi è stato osservato il massimo riserbo sia sulla proprietà che sulla trattativa, nel rispetto della privacy che garantiamo ai nostri clienti - spiega Dimitri Corti, ceo e founder di Lionard - tuttavia, alla luce delle recenti speculazioni, abbiamo scelto di derogare al nostro modus operandi per precisare che la villa non è più disponibile sul mercato». Da quanto riferito dall'agenzia la proprietà che era stata oggetto di importanti opere di restauro e valorizzazione , «ha trovato immediatamente un acquirente».
Per anni l'abitazione del calciatore, imprenditore e presidente del Monza calcio, Valentino Giambelli, la villa era stata acquistata come «nido d'amore» ai tempi della relazione tra Francesca Pascale e il Cavaliere, naufragata nel 2019. Ben 1.140 metri quadri, circondata da un parco di 40 mila, era stata acquistata per 2,5 milioni di euro, ma la ristrutturazione completa e gli arredi avevano comportato un investimento di 29 milioni di euro. Aveva fatto notizia la presenza di una stanza dedicata al barboncino Dudù e perfino di una cantina domotica in grado di interfacciarsi con la cucina per selezionare i migliori vini in base al menù in tavola.
L’addio di Berlusconi a Francesca Pascale: le indiscrezioni, l’amarezza, le confidenze agli amici. Redazione venerdì 6 Marzo 2020 su Il Secolo D'Italia.
Dopo la “nota” di Forza Italia sulla fine della sua relazione con Silvio Berlusconi, Francesca Pascale preferisce restare in silenzio. In queste ore il primo pensiero va all’emergenza coronavirus, ma continua a montare tra gli azzurri il gossip sulle “foto rubate” del Cav con la giovane deputata Marta Fascina in Svizzera. Girano varie voci. In particolare, quella che i rapporti tra i due si fossero raffreddati da tempo. E che, di fatto, la “separazione” risalga a vari mesi fa.
Francesca Pascale e il raffreddamento con il Cav
L’ex premier avrebbe ridotto la spola tra villa San Martino, ad Arcore, suo quartier generale oltre che storica residenza privata, e Villa Maria, dove Francesca vive da almeno due anni. La Pascale, raccontano, non si aspettava, però, che un legame durato quasi 15 anni finisse così. Avrebbe preferito che si trovasse un modo per dirsi addio nel più totale silenzio. Questo, a maggior ragione in un momento così delicato per il Paese, alle prese con gli effetti del Covid-19.
«Contro tutto e contro tutti»
«Siamo insieme da 15 anni, contro tutti e tutto», andrebbe ripetendo in privato agli amici l’ex compagna del leader azzurro. I rumors, come sempre capita in questi casi, sono tanti. C’è chi parla di trattative in corso per un accordo legale, proposto dagli avvocati del Cav, e chi, invece, smentisce un’ipotesi del genere.
L’amarezza e il ricordo di 15 anni fa
Francesca Pascale è amareggiata per come si è arrivati alla fine di una storia d’amore così importante e intensa. Una nota in tarda serata, come se fosse un affare politico, Perciò non vuol dire più nulla. Per adesso. Ma a chi ha avuto modo di sentirla avrebbe confidato, che mai ha amato così un uomo. E che l’unico accordo con il presidente è stato quello fatto circa 15 anni fa, quando decisero di stare insieme e di volersi bene e basta, contro tutto e tutti…
Berlusconi: vorrò sempre bene a Francesca Pascale
Anche Berlusconi tace. E nulla trapela da Palazzo Grazioli. Ma, in privato, raccontano fonti azzurre, a chi ha avuto modo di parlargli in queste ore avrebbe difeso Fascina e riservato parole di affetto per Francesca. “Marta non c’entra nulla, io vorrò sempre bene a Francesca”, le parole che avrebbe detto.
Quel post premonitore
Premonitore di tutto, forse, il post pubblicato dalla Pascale due giorni fa sul suo profilo Instagram (“Amore: fammi un esempio…”) a commento del commovente video dell’incontro a sorpresa dopo 30 anni dalla loro separazione, tra la performer Marina Abramovic e l’artista tedesco Ulay al MoMa di New York nel 2010.
Alberto Dandolo per Dagospia - Articolo del 12 agosto 2020
Il mio rapporto con Francesca Pascale è partito a suon di verbali delle forze dell'ordine e carte bollate. Anni or sono la allora primadonna di Arcore mi querelo' per diffamazione. Querela ritirata pochi giorni dopo a seguito di un nostro indimenticabile, divertentissimo incontro.
Ci vedemmo il giorno del mio compleanno a casa di comuni amici e da quel momento tra me e Francesca è nato un rapporto assai profondo pur nella sua instabilità e intermittenze. E' stato assai naturale intenderci e poi volerci bene. Parliamo la stessa lingua. Siamo entrambi napoletani. E abbiamo anche uno stesso vocabolario emotivo ed affettivo.
Francesca è stato uno dei rapporti di amicizia più complessi, enigmatici, trasparenti e belli che io abbia mai attraversato e in cui mi sia mai tuffato. Un rapporto affamato di parole, incontri, scambi di emozioni ma anche solcato da lunghi, interminabili silenzi e da fughe improvvise e immotivate.
Mi chiese di scrivere un libro insieme. Un libro che la raccontasse. Aveva sete di sé. Di far sentire al mondo e prima ancora ricordare a sé stessa che era anche un passato, una storia, un cervello autonomo. Non voleva essere solo un ornamento del potere. Potere, che mi crediate o no, dal quale non era minimamente attratta se non per bilanciare la sua atavica, compulsiva e assai tenera insicurezza.
Lei ha amato forsennatamente, disperatamente e forse anche incautamente Silvio Berlusconi. Per lei era un padre, un consigliere, un datore di lavoro, un amante e un complice. Ogni suo singolo istante, in ogni singolo giorno il suo Presidente era il suo tutto. Il suo fine era renderlo felice e non deluderlo. Il Pompetta è stato il suo primo e unico uomo. Francesca non ha mai conosciuto nessun altro nell'intimità del talamo. Con lui aveva un legame profondissimo e complesso. E il loro livello di intimità è conoscenza è straordinariamente profondo quanto potenzialmente pericoloso.
Francesca sa tutto, ma proprio tutto della vita, gli affari e i segreti di colui che è e resterà il solo uomo nella sua travagliata e fortunata esistenza. Ma lei non si lascerà pagare il silenzio. Con lei non sarà facile. Non amando veramente il denaro (lei non è vittima) darà la priorità alla sua libertà. Perché lei è una persona libera. Con il sottoscritto e con il resto del mondo Francesca nel privato non ha mai nascosto le sue inclinazioni sessuali. E' stata sin da subito trasparente e chiara. Lei è una donna coraggiosa e incosciente, volubile e generosissima. Ma è anche attraversata da dolori e traumi che spesso la rendono dura e anaffettiva.
Silvio sapeva tutto. Sin dall'inizio e ha amato sinceramente Francesca condividendo con lei l'amore per le donne. E molto altro. Nessuno sa che i due si sono anche sposati. Con una cerimonia simbolica si sono detti si è scambiati promessa di amore eterno. Una cerimonia intensa, intima e sul finale anche molto ludica.
Francesca amava profondamente anche la famiglia del suo compagno. Era in realtà accettata da tutti, fino a qualche tempo fa anche da Marina. Ecco, Marina... la vera spina nel cuore della Pascale. Negli ultimi tempi, forse anche a causa di troppe persone poco chiare che le circondavano, il loro rapporto era naufragato in un assordante silenzio.
Francesca ci piangeva, si disperava. Non riusciva a farsene una ragione della fine del loro legame. Mi chiese, esattamente un anno fa, di correggerle una lettera indirizzata a Marina in occasione del suo compleanno. Una missiva che non spedii mai, forse non per sua volontà. Credo che sia giusto che Marina la legga ora. Perché quelle parole uscivano dal cuore di Francesca.
Eccola: "Cara Marina, le parole hanno un peso e sono "cose", sono macigni che hanno il potere di deviare, a volte, il corso degli eventi e il flusso degli affetti. E' per questa ragione che oggi ho preferito scriverti. In virtù del rispetto che in ogni singola parola ho il dovere di infondere. Ti voglio bene. Questo lo sai già. Marina, il bene vero è la cosa più semplice e insieme complessa che esista.
Volere bene è un impulso del cuore. Ma è di quello stesso cuore anche una scelta.
E la mia stima e il mio sentimento d'affetto per te è istinto e ragione. Non potrei non amarti. Non amare chi con me e come me ama e amerà per sempre lo stesso uomo.
Un uomo che per entrambe è un faro. Un riferimento insostituibile. Un padre. Un compagno. Un consigliere. Una guida. Un amore vero. Mi manchi. Mi manca la verità del nostro affetto sincero. Ti chiedo perdono se ti ho ferito o deluso. Sappi però che sono sempre stata in buona fede.
A volte è complesso assai rispettare ruoli, aspettative, giudizi, rimbrotti. A volte si sbaglia. Per leggerezza, inesperienza o consigli pretestuosi. Ti chiedo dal profondo del mio cuore e della mia pancia di dare al nostro affetto una seconda possibilità. Ti imploro di non ascoltare voci che, forse, per interesse o smania di potere hanno come unico obiettivo quello di separarci e di metterci l'una contro l'altra. AUGURI Marina. Che sia un giorno di gioia. E che per noi sia l'inizio di un percorso senza filtri, senza terzi, senza parole lasciate macerare nel buco nero del "non detto". Con tutta la stima e la voglia di riabbracciarti.
Nuovamente. Con tutta la forza che ho. Con l'amore di sempre.
Buon compleanno. Ti voglio bene. Francesca".
Dalla rottura con Marina è iniziato un periodo di inquietudine per Francesca. Era addolorata per non sentirsi accettata, compresa. Spesso fuggiva da sola in Spagna o in Olanda e si concedeva lunghi momenti di solitudine e anonimato. Forse anche per staccare la spina da una vita che in realtà era, seppur dotata, una prigione piena di loschi figuri di seconda fila che hanno approfittato della buona fede di questa ragazza di Fuorigrotta che in realtà non ha mai veramente vissuto la spensieratezza dei suoi anni migliori.
Francesca era anche spesso attraversata da pensieri cupi. Era terrorizzata all'idea che suo compagno stesse invecchiando. Con me spesso piangeva disperatamente all'idea di sopravvivere al suo Presidente. La sua vita ruotava totalmente intorno a lui tanto da farle non di rado pensare a un gesto estremo una volta che il Pompetta avesse abbandonato la carnale esistenza.
Poi l'arrivo di Marta Fascina nella vita del Banana. In realtà la parlamentare che batte ogni record per assenteismo i due già la conoscevano intimamente bene. Ma "Marta la Muta" (in Forza Italia così la chiamano segretamente) è perfetta per questa fetta di vita del Cavaliere. Non parla, non fiata, non emette suoni. Annuisce e asserisce. Una panacea per la corte dei miracoli e dei miracolati da cui il Berlusca è circondato.
Per Francesca è invece arrivata la Turci. In realtà la loro amicizia risale a un anno fa. Nel giugno scorso lei chiese proprio a me il numero di Paola. Io non lo avevo. Credo si vogliano bene e si stimiamo assai. Ma lasciamo all'esperto d'amore e permanenti Federico Fashon style concedere interviste e spendere parole sul loro legame. Qualche giorno fa Francesca mi ha bloccato sul cellulare. Proprio nelle ore in cui uscivano su “Oggi”, il settimanale su cui scrivo, le ormai note foto del bacio con la cantante, rilanciate poi da questo e ogni altro sito. Forse doveva trovare nel sottoscritto il capro espiatorio da sacrificare. Lei sa che non sono stato certo io a chiamare i paparazzi o scrivere gli articoli sulle due testate.
Ma so anche che non mi ha bloccato dal suo cuore. Lo so di certo. E volevo anche dirle che se la trattativa milionaria malauguratamente non dovesse andare in porto, ho sempre quell'icona russa che Putin regalo' 15 anni fa a Lele Mora e che io prontamente "trafugai" (col suo indispettito assenso) dalla sua vecchia casa di Viale Monza. Proprio ieri me la sono fatta valutare: potremmo ricavarne quasi 4mila euro. Non saranno 30 milioni, ma è pur sempre un inizio! Suerte chica. Alberto
Silvio Berlusconi e Marta Fascina, spunta data e luogo delle nozze. Il Tempo il 12 marzo 2022.
Raccontano che nel totale riserbo Silvio Berlusconi stia organizzando le cose in grande per quelle che sono state definite le “nozze non nozze” con Marta Fascina, deputata di Forza Italia e sua compagna ufficiale da due anni. La data sarebbe quella di sabato 19 marzo, la festa del papà. Sarebbe stata individuata, apprende l’Adnkronos, anche la location: Villa Gernetto a Gerno, frazione di Lesmo, sede della neonata "Universitas Libertatis", vecchio pallino del Cav, coltivato dal 2007 e rilanciato in questi giorni sottoforma di ateneo telematico con tanto di master in formazione politica che ha aperto le iscrizioni il 7 marzo scorso.
Conosciuta coi nomi di Villa Mellerio o Villa Somaglia, la magione settecentesca, ora ribattezzata la “Frattocchie azzurra”, aprirà le sue porte per celebrare l’unione tra l’ex premier (classe 1936) e la parlamentare forzista di Portici (classe 1990) eletta nel 2018 nel seggio blindato della circoscrizione Campania 1, ma originaria di Melito di Porto Salvo in Calabria. Nelle ultime ore, apprende l’Adnkronos, sembra essere favorita "Gernetto" rispetto alla storica residenza di Arcore, data in pole fino a qualche giorno fa. Nessuna festa di matrimonio, sarà un party all’americana "blindato", raccontano, una scelta precisa per non alimentare polemiche e mettere la sordina alle voci di forti resistenze in famiglia (non solo da parte dei tre figli che Berlusconi ha avuto con Veronica Lario) in caso di nozze. Quando si parla di un matrimonio, del resto, c’è sempre in ballo la questione dell’eredità. Da Arcore sarebbe arrivato, quindi, l’input di mantenere la consegna del silenzio sull’evento, anche nel rispetto della tragica vicenda in Ucraina. Secondo gli ultimi boatos, però, "trasmessi" da Radio Montecitorio, per lei sarebbe pronto un anello solitario per non venire meno al classico "un diamante è per sempre".
Bocche cucite su modello e colore dell’abito che Fascina si sia fatto cucire per l’occasione. Blindati gli inviti, che sarebbero stati fatti tutti al telefono o di persona. Tra gli ospiti solo i familiari più stretti, dunque, e gli amici cari, come precisato dallo stesso leader forzista nella nota diramata per smentire la notizia del ’fatidico sì’: «Per festeggiare il nostro rapporto d’amore» si terrà solo «un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari». Off limits i politici o quasi, visto che sono attesi il numero due di Fi Antonio Tajani e i capigruppo Annamaria Bernini e Paolo Barelli. Oltre alla fedelissima di Arcore, la senatrice Licia Ronzulli, non mancherà uno degli amici storici del Cav, ora anche lui parlamentare azzurro, Adriano Galliani, ex ad del Milano diventato amministratore del Monza Calcio, che secondo i bene informati avrebbe agito da Cupido tra il leader forzista e la giovane deputata. Della liason con Fascina si è iniziato a parlare tra febbraio e marzo del 2020. Le prime foto insieme al fondatore di Fi risalgono a un week end in Svizzer. Poi uscirono gli scatti estivi in Sardegna e quelli allo stadio del Monza e poi con la famiglia a Villa San Martino. E ancora la foto sullo yacht di Ennio Doris, nel frattempo scomparso. Due settimane fa è circolato il gossip dei fiori d’arancio.
Marta Fascina e Silvio Berlusconi forse sposi? Vittorio Feltri: perché non invidio il Cav, ma lo applaudo. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 24 febbraio 2022.
Nella mia attività di cronista non mi sono mai occupato di gossip perché sono disinteressato al genere, non lo trovo appassionante. E oggi, di fronte alla notizia bomba, mi tocca affrontare il tema: il possibile matrimonio di Silvio Berlusconi con la sua attuale fidanzata ("compagna" non mi va, evoca il comunismo che mi è sempre stato indigesto) cioè Marta Fascina, una donna che essendo affascinante dà senso compiuto al proprio cognome. Inutile sottolineare che le nozze dell'ex premier fanno scalpore, intanto perché saranno le terze della sua lunga vita, inoltre l'uomo si avvia a compiere 86 anni, un'età in cui di norma si hanno pensieri cupi e non rosei, e si esclude il matrimonio per ragioni fisiologiche. Mi rendo conto che parecchi lettori saranno basiti davanti all'idea che il Cavaliere abbia ancora voglia di infilarsi in un lettone con una giovin signora, per quanto bionda e assai avvenente.
A costoro però mi corre l'obbligo di ricordare che l'amore è eterno finché dura. Non solo. I sentimenti che si provano quando si è adolescenti, e si prende una cotta per la compagna di classe, sono identici e egualmente intensi rispetto a quando si è diventati vecchi. Il cuore, infarti a parte, è un organo che palpita dal giorno in cui apriamo gli occhi, dopo la sosta nel grembo materno, a quello in cui li chiudiamo per sempre. Chi si dovesse scandalizzare perché Silvio pensa di terminare la propria esistenza accanto a una nuova fiamma, si darebbe la patente di stupido. Berlusconi tra l'altro non va neppure irriso perché desidera abbracciare la femmina che adora, è un suo diritto comportarsi nel modo che gli garba.
Egli lavora come un matto da oltre 60 anni, ha creato un impero, non ha sbagliato un colpo: è stato un grande costruttore, ha inaugurato una serie di emittenti televisive che hanno superato la Rai quando nessuno immaginava che ciò potesse succedere, ha aperto e lanciato una banca potente, ha comprato una squadra di calcio, il Milan, facendole vincere l'anima "di chi ti è morto", è sceso in politica e in venti giorni ha vinto le elezioni. Nessuno è autorizzato a insegnargli a stare al mondo. Ed è giusto concedergli di fare quel che vuole, anche di dire "sì" alla terza moglie. Questa sua decisione va catalogata alla voce "ca**i suoi". Scagli il primo sassolino chi non ha desiderato campare vicino a una bella femmina. Bravo Silvio, fai bene a essere te stesso fino al tuo ultimo giorno che mi auguro lontano. Immagino che i tuoi familiari borbottino perché le loro eredità potrebbero assottigliarsi per il fatto che una nuova consorte ha diritto, nel caso il capo se ne vada all'altro mondo, a una parte cospicua del patrimonio. Ti consiglio di non pensare a certe meschinità tipicamente umane. Fai quello che ti pare e piace senza badare all'avidità di figli e nipoti. La vita è tua, i soldi che hai guadagnato sono tuoi e nessuno ha la facoltà di rimproverarti. Io ti ammiro oggi quanto 30 anni fa, quando ti ho conosciuto e mi hai fatto diventare ricco. Non ti invidio, ma ti applaudo.
Giuseppe Candela per Dagospia il 9 marzo 2022.
Il dubbio è tutto nella formula. C'è chi alla parola matrimonio aggiunge le virgolette, chi accenna a nozze senza nozze, altri a un fidanzamento speciale. E' iniziato il conto alla rovescia per le "nozze" di Silvio Berlusconi e Marta Fascina. La data è fissata per sabato 19 marzo, giorno della festa del papà. Il grande evento, inizialmente previsto in Provenza, dovrebbe tenersi ad Arcore con la presenza di tutti e cinque i suoi figli: Marina, Piersilvio, Barbara, Eleonora e Luigi.
DAGONEWS il 9 marzo 2022.
Anche le tragicomiche finte nozze del Cavaliere Pompetta diventano occasione di dispetto.
Non soddisfatta di guidare Forza Italia in modalità Salvini, Licia Ronzulli ha voluto seguire anche l’organizzazione dell’evento del 19 marzo. E la wedding planner autodecretata sta segando nomi a rotta dì collo.
Tra gli invitati della politica, sicure le presenze di Tajani, Bernini e il capogruppo alla Camera, l’ex nuotatore Paolo Barelli (uno che Berlusconi avrà visto tre volte in vita sua).
Tra i ‘tagliati’ invece, i filo-draghiani Brunetta, Gelmini e Carfagna, che peraltro Berlusconi descriveva in pubblico come donna da sposare (ma non da invitare, evidentemente, malgrado sia stata lei a portare in Parlamento la finta sposa, cioè la Marta Fascina, latitante dal parlamento da due anni ma giustificata per le sue assenze, così da avere comunque lo stipendio pieno), o collaboratori storici come Valentini e Giacomoni.
La vispa Ronzulli sta segando anche fidanzati e fidanzate di diversi invitati, procurando parecchia irritazione. Così anche un giorno dì festa diventerà occasione da cortile.
Ulisse Spinnato Vega per tag43.it il 5 ottobre 2022.
La gaffe di fine agosto sul rigassificatore di Piombino («estrae gas nazionale») fu da far tremare i polsi, ma in fondo si sa che Twitter è spesso teatro di sparate scomposte e scivoloni grotteschi. Per Licia Ronzulli sono altre le cose che contano: carattere, pragmatismo e fedeltà alla causa, che poi significa fedeltà assoluta al Cavaliere.
L’etichetta giornalistica di “badante”, ruolo ereditato dal duo Mariarosaria Rossi–Francesca Pascale ed esercitato in tandem affiatato con Marta Fascina, non può esaurire il racconto circa la senatrice forzista.
C’è da dire, però, che lei vive le mansioni da fidatissima factotum di Silvio Berlusconi con grande zelo e attenzione: quando serve, sorregge fisicamente il Cav nelle sue apparizioni pubbliche, gli parla con premura all’orecchio, apparecchia i capannelli di giornalisti durante le interviste doorstep collettive ed è pronta a regolare persino la distanza dei microfoni dalla bocca del presidentissimo. Non le sfugge nulla: ha pure in mano l’agenda del leader e dunque, già solo per questo, detiene un potere enorme.
Gli scontri con la Gelmini e quella battuta sullo Xanax
Ma non basta. La non meglio precisata “dirigente”, come viene qualificata sulla navicella parlamentare della legislatura appena finita, ha avuto e mantiene anche il pallino degli indirizzi strategici del partito, in sintonia con il leader operativo, Antonio Tajani. Non a caso sin dal 2021 è stata designata quale cinghia di trasmissione tra Forza Italia e gli alleati.
I due bastioni del “leghismo azzurro”, Ronzulli e Tajani, tengono saldamente in mano le chiavi di Fi, tanto che le ex ministre berlusconiane Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, ma anche Renato Brunetta, dopo lunghe tensioni interne hanno infine gettato la spugna e mollato il partito. Secondo i maligni, più per colpa del cerchio magico che di Berlusconi in persona.
Epici gli scontri tra Ronzulli e Gelmini, con la prima che una volta apostrofò “MaryStar”: «Vai a piagnucolare da un’altra parte e prenditi uno Xanax». L’ex titolare dell’Istruzione non tollerava che il Cavaliere, nel maggio 2022, avesse nominato la fida Licia commissario di Fi nella “sua” Lombardia e quando effettivamente sbatté la porta per migrare verso i lidi calendiani, Ronzulli la bollò: «Gelmini cerca solo una poltrona più comoda».
E pensare che nel 2009 al contrario ammetteva: «Della Gelmini mi è piaciuto molto il coraggio con cui ha affrontato la questione della riforma scolastica». Un’era geologica fa. Diverso invece è stato l’atteggiamento nei confronti di Carfagna, che in Forza Italia si era sempre mossa in modo più felpato. Ronzulli salutò infatti con fair play il suo addio: «Peccato, stava facendo bene come ministra».
Un posto alla Salute? Troppo rigorista su restrizioni e vaccini
Adesso il Cavaliere, che sa essere riconoscente come pochi, sta facendo di tutto per ricompensare questa 47enne milanese e milanista dallo sguardo penetrante e dal carattere di ferro. Lei lo ripaga con parole spericolate: «Berlusconi è punto di riferimento dell’Occidente». E si appresta a iniziare la sua seconda legislatura consecutiva in Senato (dopo un primo tentativo fallito nel 2008) con ambizioni inedite.
L’ex premier di Arcore ha ingaggiato per lei una battaglia durissima addirittura con il capo del governo in pectore, Giorgia Meloni. Obiettivo: il ministero della Salute o, in subordine, quello dell’Istruzione. Una gatta da pelare non da poco, tra le tante, per la leader di Fdi, dato che in Forza Italia sono convinti che Ronzulli, da ex infermiera, sia il profilo giusto per guidare il dicastero che sovrintende al Sistema sanitario nazionale.
D’altronde, se una cuoca poteva governare l’Unione sovietica (ma poi non accadde), vuoi che una laureata in infermieristica non possa guidare il ministero di Roberto Speranza? Peccato che Ronzulli nei frangenti più duri della pandemia si sia segnalata per un approccio particolarmente rigorista su restrizioni e vaccini anti-Covid (suo un disegno di legge per rendere obbligatoria l’immunizzazione del personale sanitario): una posizione che le ha procurato pesanti minacce da parte dei no vax, che stride non poco con il programma odierno sulla salute di Fratelli d’Italia e, più in generale, con l’approccio del duo Meloni-Salvini su green pass e limitazioni da virus.
Si è occupata di famiglia, diritti della donna e politiche sociali
Tant’è, il Cav sembra pronto a tutto per difenderne l’ingresso nel governo. E Ronzulli pare non volersi accontentare di un ministero minore come quello delle Pari opportunità, che pure sarebbe il settore di cui più si è occupata a livello istituzionale assieme a famiglia e politiche sociali, nonostante sul cv abbia una specializzazione in management ospedaliero.
Nella XVIII legislatura, infatti, oltre al ruolo di vice capogruppo di Fi al Senato, la “badante” ha ottenuto la poltrona di presidente della commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza. E durante la sua legislatura all’Europarlamento, dal 2009 al 2014, ha lavorato in commissione Diritti della donna e uguaglianza di genere e nella sottocommissione per i Diritti dell’Uomo. Ma soprattutto è rimasta celebre la foto in cui lei, nell’aula di Strasburgo, vota stringendo al seno la figlia Vittoria ancora in fasce.
Coinvolta nelle inchieste sul bunga bunga, ma poi archiviata
In verità, è da tanto che Berlusconi si preoccupa delle sorti della fedelissima: quando lei rimase senza seggio, non rieletta alle Europee del 2014, e Roberto Maroni era governatore della Lombardia, l’ex premier non mancò di fare pressioni perché le si trovasse un’adeguata sistemazione in Regione.
Dopotutto, sono quelli gli anni in cui Ronzulli aiutò Silvio persino nella trattativa, poi fallita, per la vendita di quote del Milan all’imprenditore thailandese Bee Taechaubol. Nello stesso periodo, esattamente alla fine del 2015, l’ex parlamentare tirò un sospiro di sollievo per l’archiviazione della sua posizione nell’inchiesta sul cosiddetto Ruby ter, il filone connesso alle false testimonianze delle Olgettine invitate alle «cene eleganti». Ronzulli ha sempre cercato di difendere se stessa e Berlusconi: dalle intercettazioni del Cavaliere con l’imprenditore Giampiero Tarantini emerse il ruolo organizzativo e “logistico” della futura senatrice per le serate a Villa Certosa.
Lo stesso presidente di Fi diceva: «Lei è qui a farmi da segretaria». Ma la voce della stessa Ronzulli risultò registrata mentre, al telefono con Nicole Minetti, si dava da fare per le feste del 2010, quelle del bunga bunga ad Arcore e non più in Sardegna. In ogni caso, dapprima negò di essere mai stata da Berlusconi a Villa Certosa per i festini dell’estate 2008, poi ammise di esserci andata sempre in compagnia del marito e di aver soltanto aiutato il Cavaliere ad accogliere gli invitati importanti. Ai giudici, sotto giuramento, raccontò invece la versione delle mere «cene eleganti», rischiò di essere indagata per falsa testimonianza, ma poi venne appunto archiviata.
È stata dirigente all’Irccs Galeazzi di Milano e nel cda di Fiera Milano
Insomma, Ronzulli è una che sa cosa vuole e sa come ottenerlo. Veloce, intuitiva: ha scalato le gerarchie e ha preso definitivamente il posto della Rossi nel 2016, quando Berlusconi recuperò dopo un delicato intervento chirurgico al cuore.
Tuttavia, si era resa già molto utile sin dal 2009, dopo il famoso incidente della statuina del Duomo scagliata in faccia all’ex premier. Nel suo passato professionale da segnalare un ruolo da dirigente all’Irccs Galeazzi di Milano, una poltrona da vicepresidente e consigliere indipendente nel consiglio di amministrazione di Fiera Milano e l’impegno da volontaria per i bambini del Bangladesh. Girò voce fosse stata anche la fisioterapista di Berlusconi, ma lei smentì seccamente. Ora è pronta a giurare da ministra: dalle cene eleganti al ricevimento al Quirinale è un bel salto, non c’è che dire.
Luca Bottura per “la Stampa” il 12 ottobre 2022. - Berlusconi tratta su Licia Ronzulli e per la Sanità propone un tecnico a lui caro con un passato da dottoressa: Edwige Fenech.
Emanuele Lauria per “la Repubblica” - Estratto il 12 ottobre 2022.
E Berlusconi? Lì la situazione è più complessa. In un partito che ha perso molti esponenti di lungo corso, il bello e il cattivo tempo lo fanno Antonio Tajani e Licia Ronzulli, che peraltro nei giorni scorsi sono entrati in rotta di collisione.
È accaduto quando il coordinatore di Fi è andato a parlare direttamente con Meloni, suscitando l'irritazione dell'altra e una reprimenda di Berlusconi («D'ora in poi le trattative le gestisco io»).
Da quel momento Salvini e Meloni, prima separatamente e poi insieme, sono andati ad Arcore ad ascoltare il patriarca del centrodestra. Ma quando, sabato, si è svolto l'ultimo vertice della coalizione, Ronzulli ha fatto un passo indietro: era a Villa San Martino ma non ha partecipato all'incontro per ragioni di opportunità, si discuteva infatti di una sua nomination per un ministero di peso.
L'episodio, però, è servito a far salire sulla ribalta un altro consigliere di Berlusconi: Aberto Barachini, un fedelissimo di Ronzulli, che si è seduto al tavolo con Salvini e Meloni. Mica uno qualsiasi, Barachini, è il presidente della commissione di vigilanza Rai. L'ultimo ad andare in onda nel palinsesto degli sherpa.
Gianni Barbacetto per il “Fatto quotidiano” - Estratto il 12 ottobre 2022.
Silvio Berlusconi perde voti, perde dirigenti di Forza Italia, perde lucidità, ma due cose non perde né dimentica. La prima è la generosità: premia chi gli è fedele. Non solo le signore che sfilano come testimoni o imputate nei suoi processi. No, ci riferiamo alla politica: sta per premiare con due belle poltrone ministeriali le signore Licia Ronzulli da Milano e Maria Elisabetta Alberti Casellati da Rovigo. Due collaboratrici fedeli ed efficienti, che il premio lo meritano davvero.
Della prima, l'immagine che resta scolpita nella memoria di Silvio, appena un poco appannata dal tempo, è quella di una giovane in tailleur scuro che, all'ingresso di villa Certosa, smista la frotta di ragazze che arrivano in Sardegna dal continente trascinando piccoli trolley coloratissimi.
È il 2009, Licia Ronzulli ha in mano una lunga lista di nomi. Accoglie le ospiti e assegna a ciascuna il suo posto nei bungalow della villa. Instancabile, grande organizzatrice, non perde un colpo. Biglietti aerei, transfer da e per l'aeroporto e, a Milano, prenotazione di ristoranti e biglietti per lo stadio, assegnazione dei posti degli ospiti alle cene placée.
Prima di una festa del Milan (ancora berlusconiano), chiama al telefono l'imprenditore Gianpaolo Tarantini e, orgogliosa, gli dice: "Ti ho preparato un tavolo per dieci persone, proprio vicino a quello del presidente Berlusconi". Gianpi ringrazia.
È il 5 gennaio 2009 quando poi Tarantini chiama Silvio per organizzare un viaggio a villa Certosa: "Siamo io, Linda, Belen, la sorella, l'amica di Belen, Chiara quella ragazza di Modena e una mia amica di Milano Mi metto d'accordo con Marinella?". Cioè con l'eterna assistente di Berlusconi.
No, risponde Berlusconi: "Devi accordarti con la dottoressa Ronzulli. Sì, Licia, è qui a farmi da segretaria". Sei mesi dopo, "la segretaria" è premiata con una candidatura al Parlamento europeo.
Aveva cominciato a lavorare come infermiera. Carriera rapida, diventa responsabile del coordinamento delle infermiere e degli assistenti all'ospedale Galeazzi di Milano. Passata a coordinare, con la stessa inflessibile efficienza manageriale, le ragazze di Silvio, si è poi dedicata completamente alla politica. Suscitando silenziose invidie nelle schiere berlusconiane.
Solo una volta il silenzio è diventato clamorosa protesta pubblica: nel maggio 2014 una collega eurodeputata di Forza Italia, Susy De Martini, medico, candidata nella stessa circoscrizione Nord-Ovest, non gradisce di essere scavalcata dalla rivale: "È una candidata diversamente meritevole", dichiara, "messa in lista soltanto perché, come Nicole Minetti, organizzava feste a villa Certosa".
Segue querela e uscita di De Martini dal partito di Silvio. Licia prosegue imperterrita la sua ascesa. Nell'estate 2016, Berlusconi viene sottoposto a un complesso intervento chirurgico al cuore. Quando torna ad Arcore, trova la scena cambiata. C'è Licia Ronzulli a sostituire Mariarosaria Rossi (la parlamentare di Forza Italia fino allora soprannominata "la badante di Silvio"). Da quel momento Licia diventa la sua ombra. Una delle poche persone che hanno contatto diretto con il capo.
Rossi era stata la tutor di Francesca Pascale, Ronzulli è il link con Marta Fascina. Ora è pronta per il governo. Al ministero della Salute, visto il curriculum e l'esperienza da infermiera?
Licia Ronzulli, da infermiera a fedelissima del Cavaliere: le tappe di una scalata. Adriana Logroscino su Il Corriere della Sera il 12 ottobre 2022.
È stata definita cortigiana, pasdaran, vestale. Di certo Licia Ronzulli, 48 anni, prima della politica, fisioterapista e manager sanitaria, è la di Silvio : sempre presente al suo fianco, da oltre un decennio, ammessa a ogni trattativa e nelle circostanze più private, con un ruolo di primo piano, perfino di organizzatrice, per il matrimonio-non matrimonio del Cavaliere con Marta Fascina alcuni mesi fa. Una fedeltà che travalica le categorie politiche e assume tratti da tifosa. Sue sono le definizioni di Berlusconi «Maradona della politica internazionale» e «Leone» che «ruggisce ancora».
Pur avendo origini remote al Sud, in Puglia - «mia nonna Isabella, poverissima e analfabeta fino alla sua morte, era di Margherita di Savoia», rivendica alcuni anni fa nel bel mezzo di una guerra a mezzo lettere pubbliche con il segretario regionale di Forza Italia — Ronzulli nasce a Milano e cresce a Monza da papà brigadiere dei Carabinieri. Prima di scalare la scena politica, è infermiera e fisioterapista all’Irccs Galeazzi di Milano. Studia e viene promossa a coordinatrice delle professioni sanitarie per la stessa struttura.
L’ambiente professionale è quello in cui incontra il suo compagno, dal quale si è poi separata: Renato Cerioli, imprenditore e manager sanitario, ex presidente di Confindustria Monza e Brianza, che sposa nel 2008 (con Berlusconi a fare da testimone) e dal quale ha una figlia. È nell’ambito della sua attività professionale che il suo destino potrebbe aver incrociato per la prima volta quello di Silvio Berlusconi. La scintilla politica, però, ha raccontato lei stessa, sarebbe scoccata in occasione di una iniziativa di Forza Italia, durante la quale Ronzulli sarebbe riuscita ad avvicinare Berlusconi e a ottenere da lui un impegno finanziario a favore di un’attività di volontariato per i bambini del Bangladesh, di cui si occupava da tempo.
La scalata ai palazzi del potere ha una falsa partenza alle elezioni politiche del 2008: candidata alla Camera, da Berlusconi, non viene eletta. Ci riprova l’anno dopo, alle Europee, e conquista il seggio nell’europarlamento: celebri le immagini con la figlia di pochi anni in braccio nell’aula di Strasburgo.
Eletta al Senato nel 2018 e confermata alle ultime elezioni, da allora è sempre vicinissima al Cavaliere, voce ascoltatissima, spesso in conflitto con altri uomini e soprattutto donne di Forza Italia. Tra loro sicuramente Mariastella Gelmini con la quale , quando è caduto il governo Draghi, a luglio scorso, avrebbe avuto uno scambio velenosissimo nei corridoi del Senato, captato da altri parlamentari: «Contenta di aver fatto cadere il governo?» la provocazione di Gelmini, che in seguito a quella decisione si preparava a lasciare FI per Azione di Calenda, «Vai a piangere da un’altra parte e prenditi uno Xanax», la replica di Ronzulli.
Assistente dell'ex premier, FI non accetta veti. Chi è Licia Ronzulli e perché Berlusconi la vuole per forza ministro: da infermiera al parlamento europeo con la figlia in braccio. Redazione su Il Riformista il 13 Ottobre 2022
Date un ministero a Licia Ronzulli. E’ la richiesta che avanza Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, per la senatrice milanese che, stando a quanto trapela, sarebbe proco gradita agli altri esponenti della coalizione di centrodestro. Berlusconi ha infatti parlato di veti, quelli che l’hanno poi portato a non far votare i suoi 18 senatori per Ignazio La Russa (eletto lo stesso alla presidenza del Senato grazia ai voti dei franchi tiratori presumibilmente del Terzo Polo).
“I veti non si devono fare” sono le parole di Berlusconi rilasciata ai giornalisti prima di lasciare il Senato. “E’ la senatrice Ronzulli?” prova a insistere una giornalista. “E’ questo il problema…” replica Berlusconi prima di entrare in ascensore con la stessa Ronzulli e Maurizio Gasparri. Il nome della Ronzulli è presente anche tra gli appunti dell’ex premier zoomati dalla telecamere di La7. La sua candidatura è su tre fronti: non solo alle Politiche europee ma anche al Turismo e ai Rapporti con il Parlamento.
Nata a Milano il 14 settembre 1975, Ronzulli ha una figlia, Vittoria, che oggi ha 12 anni ed è nata dall’unione con l’ex compagno Renato Cerioli, manager e presidente della Confindustria Monza e Brianza.
La senatrice di Forza Italia inizia a lavorare come infermiera e nel 2003 diventa responsabile del coordinamento delle professioni sanitarie all’IRCCS Galeazzi di Milano. Dal 2005 è volontaria della onlus Progetto Sorriso Nel Mondo, con la quale ogni anno si reca in Bangladesh insieme ad un’équipe chirurgica specializzata nella cura dei bambini malformati.
In politica il suo esordio è nel 2008, quando è stata candidata per la lista de Il Popolo della Libertà nella circoscrizione Marche, dove è risultata essere la prima dei non eletti. Un anno dopo, alle elezioni europee, Ronzulli si candida al Parlamento europeo, nella circoscrizione Italia nord-occidentale tra le liste del Popolo della Libertà che aderisce al Partito Popolare Europeo, e viene eletta con 40.016 preferenze. A Bruxelles diventa membro titolare della commissione per l’Occupazione e gli Affari Sociali e della delegazione per le Relazioni con i Paesi dell’Asia Meridionale, oltre ad essere membro sostituto nella commissione Diritti della Donna e Uguaglianza di Genere e nella sottocommissione per i Diritti dell’Uomo.
Tra gli impegni di Ronzulli c’è la tutela dei diritti delle donne lavoratrici; al riguardo, il 22 settembre 2010 si è presentata a votare in Seduta Plenaria al Parlamento europeo tenendo in braccio la figlia Vittoria di appena 44 giorni, un gesto simbolico volto a rivendicare maggiori diritti per le donne nella conciliazione tra vita professionale e familiare.
Alle elezioni europee del 2014 viene ricandidata da Forza Italia nella circoscrizione Italia nord-occidentale, dove riesce ad ottenere 25.071 preferenze, ma non viene eletta. Da quando Silvio Berlusconi si riprende fisicamente a seguito di un delicato intervento al cuore nell’estate del 2016 lo segue in ogni suo spostamento, sostituendo di fatto Mariarosaria Rossi nel ruolo di assistente del Cavaliere.
In occasione delle elezioni politiche del 2018 viene candidata nel collegio uninominale di Cantù per il centro-destra al Senato della Repubblica, venendo poi eletta con il 56,80% dei consensi. Diventa presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ed è anche membro della Commissione industria, commercio, turismo di palazzo Madama. Diviene vice-capogruppo del partito al Senato dal 9 novembre 2018 e dal 15 febbraio 2021 è la responsabile per i rapporti con gli alleati con il compito di coordinare, su indicazione di Berlusconi, le strategie comuni agli altri partiti della coalizione di centro-destra per le iniziative e per il programma.
Il 14 maggio 2022 viene nominata da Silvio Berlusconi commissario di Forza Italia per la Lombardia per ridare slancio al partito nella regione. Alle elezioni politiche anticipate del 25 settembre 2022 viene candidata per il Senato nel collegio uninominale Lombardia – 02 (Como) per il centro-destra, oltreché come capolista nei plurinominali Lombardia – 01 e Puglia – 01 e in seconda posizione nel Lombardia – 02 e nel Piemonte – 02. Viene eletta all’uninominale con il 55,38%.
Marianna Aprile per “Oggi” il 27 Ottobre 2022.
Durante l’inarrestabile ascesa di Giorgia Meloni verso Palazzo Chigi, ci si è chiesti come avrebbe fatto ad arrivarci avendo per alleati due leader maschi avvezzi al comando e restii (eufemismo) a riconoscerle la leadership della coalizione. E invece lo scoglio principale della sua corsa è stata una donna, Licia Ronzulli, senatrice di Forza Italia, la persona più vicina a Silvio Berlusconi.
E rischia di esserlo ancora. Un ministero “di peso” per lei è stata per giorni la principale richiesta del Cavaliere a una Meloni che si preparava a giurare. Un’impuntatura per ammorbidire la quale la premier ha dovuto ricorrere alla – inedita - mediazione di Marina e Pier Silvio Berlusconi. Alla fine, Ronzulli il ministero non l’ha avuto, è stata eletta Capogruppo di Forza Italia al Senato, e l’esecutivo Meloni è partito. Ma la vicenda lascia sul tavolo due domande: perché Meloni non ha voluto Ronzulli nel suo governo? E cosa invece rendeva così irrinunciabile per Berlusconi quella presenza? La risposta a entrambi i quesiti non può che partire da lei, Licia Ronzulli.
In comune con Meloni, Ronzulli ha molto. Come lei ha iniziato dal basso e lontana da centro storico e salotti. Se la premier è cresciuta in una famiglia poco abbiente nel quartiere (allora) popolare della Garbatella, a Roma, Ronzulli, figlia di maresciallo dei Carabinieri e di impiegata delle Poste, lo ha fatto a Baggio, periferia di Milano. Hanno entrambe iniziato presto a cavarsela da sole.
Ronzulli ha iniziato a lavorare a 17 anni, si è diplomata con scuole serali, è diventata infermiera professionale, ha preso una laurea in psicologia e un master in economia sanitaria che l’ha portata a lavorare nelle risorse umane dell’Ospedale Galeazzi di Milano (Gruppo San Donato). Ha raccontato di aver conosciuto Berlusconi al decennale di Forza Italia, nel 2004, con l’allora fidanzato, Renato Cerioli, amministratore delegato del gruppo ospedaliero San Donato e di Confindustria Monza e Brianza.
Sostiene Ronzulli che con Renato avvicinarono il Cavaliere per “estorcergli” una donazione per una Onlus con cui collaborava. In altre occasioni, però, fa risalire l’incontro al 2003. Alcune cronache lo associano a un periodo di convalescenza di Silvio in cui Ronzulli sarebbe stata impegnata come infermiera. Comunque sia andata, Licia entra presto nelle simpatie del fondatore di Forza Italia (che lei chiama «capo» o «Dottore») e che nel 2008 le fa da testimone di nozze e la candida alle Politiche: sarà la prima dei non eletti nelle Marche.
Finisce quindi in lista per le Europee del 2009, accanto alle “veline eurodeputate” che Veronica Lario, andandosene, definì «ciarpame senza pudore». Ronzulli ha sempre rispedito al mittente le allusioni («Poteva informarsi meglio prima di parlare») e le accuse. Come quella di Barbara Montereale, “Papi girl” coinvolta nel processo a Giampy Tarantini per le feste ad Arcore, che – interrogata – disse che Ronzulli curava la logistica delle trasferte delle giovani ospiti del Cavaliere. «Davo una mano se non c’era la segretaria », replicherà lei. Nel frattempo, sta al Parlamento Europeo, mette al mondo Vittoria, divorzia da Renato. Ma è tra la fine del 2013 e il 2014 che inizia la corsa che la porta a diventare la «plenipotenziaria con diritto d’agenda e telefono» che è oggi ( parole di un suo collega di partito).
Da eurodeputata, Ronzulli tesse relazioni che saranno molto utili quando nel 2014, non rieletta, tornerà in pianta stabile a Milano. E adArcore. Una di quelle relazioni porterà l’imprenditore thailandese Bee a trattare la vendita del Milan con Berlusconi (e Ronzulli). Un’altra relazione, quella con Matteo Salvini, sarà preziosa per avvicinare la Lega a Forza Italia dopo un periodo di grande freddo. Nel primo caso, l’intercessione di Licia toglie al Cavaliere qualche castagna dal fuoco; nel secondo, ne ha aggiunte e rischia di farlo ancora.
Ronzulli si fa spazio ad Arcore con dedizione, pazienza e, all’inizio, con discrezione. Gode della simpatia e del sostegno di Marina e anche di Barbara Berlusconi. Quando il “cerchio magico” formato da Maria Rosaria Rossi (anche lei senatrice) e Francesca Pascale (ex compagna del Cavaliere) entra in crisi, lei è lì, fa asse con il compianto avvocato Niccolò Ghedini e insieme gestiscono agenda e impegni del Dottore.
Poco dopo arriva anche Marta Fascina, anche se la sua apparizione “improvvisa” nelle liste elettorali di Forza Italia avverrà solo nel 2018 e nelle cronache sulla vita privata del Cav solo nel 2020. Tra Ronzulli e Fascina si crea in quegli anni un rapporto solido e complice che oggi è plasticamente rappresentato dalla presenza costante di entrambe accanto a Silvio, Marta in privato, Licia in pubblico. Accudimento a tenaglia. Alla cerimonia per il finto matrimonio tra Berlusconi e Fascina, a marzo scorso, è la figlia di Licia, Vittoria, a portare le fedi che i due non-sposi oggi indossano. Tutti d’amore e d’accordo, ad Arcore. In Forza Italia un po’ meno.
La “LineaRonzulli” non piace. I parlamentari la accusano di filtrare in modo interessato i contatti che Berlusconi ha con loro e di tramare per spostare il partito su posizioni vicine alla Lega del suo amico Salvini. Nel corso della legislatura appena finita, proprio su questo si sono create profonde spaccature in Forza Italia che hanno portato, in coda di Governo Draghi, a uscite pesanti: Elio Vito, Renato Brunetta, Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna.
Da quelle parti c’è chi descrive Ronzulli come un muro tra Silvio e una parte del suo partito, quella più moderata, europeista e meno “salviniana”. Quella del Ministro degli Esteri Antonio Tajani, insomma. Lui sì scelto da Meloni per il governo (suo figlio Filippo sedeva accanto al compagno della premier Andrea Giambruno, al giuramento). Tajani è stato fin qui coordinatore nazionale di Forza Italia, ora – dicono – Berlusconi vorrebbe passare l’incarico a Ronzulli. Che diventerebbe l’altra “donna forte” del Governo.
C’è una sliding door che le coinvolge Ronzulli e Meloni e si colloca in una manciata di mesi a cavallo tra il 2013 e il 2014 dopo che Giorgia Meloni, lasciato il Pdl e rotto con Silvio Berlusconi, aveva fondato Fratelli d’Italia. Nello stesso periodo Licia Ronzulli tesse la sua rete di relazioni che spenderà per scalare posizioni alla “corte” di Arcore e in Forza Italia. La prima lascia un partito al maschile per fondarne uno suo, la seconda ci resta, cercando di avere la meglio non solo sugli uomini ma anche sulle donne che ruotano attorno al potere di Berlusconi.
Le due si ritrovano insieme in maggioranza, ma su sponde opposte e in una tregua armata in cui ciascuna ha fatto qualcosa che l’altra ritiene imperdonabile. La prima deve governare, la seconda guida i senatori su cui può reggersi o cadere la maggioranza. Pop corn.
Silvio Berlusconi Paperone della politica con un reddito di oltre 50 milioni di euro. Il Tempo il 09 febbraio 2022.
E' ancora Silvio Berlusconi il politico più ricco d'Italia con ville, auto e barche di lusso il si conferma re dei "Paperoni" dichiarando un reddito di oltre 50 milioni di euro: cento volte più del premier Mario Draghi.
Secondo la dichiarazione redditi di gennaio 2021 il leader di Forza Italia resta al top in Italia e Bruxelles. Conti alla mano il governo Draghi (insediatosi il 13 febbraio scorso) ha portato fortuna al leader azzurro mentre il Conte bis gli ha 'tolto' circa mezzo milione di euro: con 'l'avvocato del popolo' a palazzo Chigi (dal primo giugno 2018 al febbraio 2021) il presidente di Forza Italia ha infatti guadagnato di meno, registrando una 'perdita' di 518mila 449 euro. Berlusconi è sempre stato al top della classifica dei più facoltosi nelle aule parlamentari.
Nel dettaglio, nel 2018, quando è tornato a comparire nella 'lista' in quanto leader di Fi dopo essere stato assente qualche anno per la decadenza dalla carica di senatore per effetto della legge Severino (nel novembre 2013), ha percepito (in relazione al periodo di imposta 2017) 48 milioni 011 mila 267 euro, sbaragliando la concorrenza, alla Camera, al Senato e alla presidenza del Consiglio (Conte premier, solo per fare un esempio, si fermava a 370mila euro). Nel 2019 lo 'stipendio' del numero uno di Fi è rimasto sostanzialmente invariato, pari a 48 milioni 022mila 126 euro (riferito al 'periodo d'imposta' 2018). Per poi arrivare ai 47milioni 492 mila 818 euro incassati nel 2020 da eurodeputato, con un ammanco di poco più di 500mila euro rispetto all'esercizio precedente, come certificato dalla dichiarazione dei redditi, firmata il 20 gennaio 2021.
Da corriere.it il 10 febbraio 2022.
È ancora lui il politico più ricco d’Italia, il «Paperone» del Palazzo. Con un imponibile di oltre 50 milioni di euro denunciati al fisco Silvio Berlusconi si conferma al primo posto per patrimonio (soldi, azioni, ville e auto), nel Parlamento italiano e a Bruxelles, ma anche tra i leader di partito e di governo.
Spulciando l’ultima dichiarazione dei redditi, quella del 2021, firmata dal Cavaliere il 14 gennaio scorso, contenuta nell’anagrafe patrimoniale dei tesorieri e dirigenti di partito e visionata dall’Adnkronos, si scopre che l’ex premier (eurodeputato di Forza Italia dal 2019), ha dichiarato per l’esattezza 50 milioni 661mila 390 euro, ben oltre 3 milioni di euro in più rispetto a quelli dell’anno precedente.
Conti alla mano, di fatto, il governo Draghi (che si è insediato quasi un anno fa, il 13 febbraio scorso) ha portato fortuna al leader azzurro mentre durante il Conte bis (dal primo giugno 2018 al febbraio 2021) il presidente di Forza Italia ha guadagnato di meno, per la precisione 518mila 449 euro in meno. Berlusconi è sempre stato al top della classifica dei più facoltosi nelle aule parlamentari.
Nel dettaglio, nel 2018, quando è tornato a comparire nella lista in quanto leader di Forza Italia dopo essere stato assente qualche anno per la decadenza dalla carica di senatore per effetto della legge Severino (nel novembre 2013), ha dichiarato (in relazione al periodo di imposta 2017) 48 milioni 011 mila 267 euro, sbaragliando la concorrenza, alla Camera, al Senato e alla presidenza del Consiglio (Conte premier, solo per fare un esempio, si fermava a 370mila euro).
Nel 2019 il reddito del numero uno di Fi è rimasto sostanzialmente invariato, pari a 48 milioni 022mila 126 euro (riferito al periodo d’imposta 2018). Per poi arrivare ai 47milioni 492 mila 818 euro incassati nel 2020 da eurodeputato, come certificato dalla dichiarazione dei redditi, firmata il 20 gennaio 2021.
Nella dichiarazione di reddito non risulta l’ex Villa Zeffirelli, la nuova residenza romana scelta dopo l’addio alla sede storica azzurra di palazzo Grazioli. Eppure, secondo indiscrezioni, la magione, ribattezzata «Villa Grande», dovrebbe essere stata acquistata dal leader di Fi per oltre 3 milioni di euro nel 2001 e poi prestata in comodato d’uso gratuito al regista fiorentino, suo amico ed ex parlamentare forzista, scomparso nel giugno 2019.
Non sono citate neanche Villa San Martino ad Arcore, alcune residenze in Sardegna, a cominciare da Villa La Certosa, e la magione di Macherio che si è ripreso dopo il divorzio con Veronica Lario. Oltre ai 50 milioni di euro, fanno parte del tesoretto di Berlusconi invece una Audi A6 immatricolata nel 2006 e tre imbarcazioni extra lusso: la San Maurizio (comprata nel 1977), il Magnum 70 (del ‘90) e la barca a vela Principessa vai via (del 1965). Quest’ultima, raccontano, sarebbe stata venduta negli anni scorsi al patron di Mediolanum Ennio Doris, ma ora è tornata tra le proprietà del leader azzurro. Invariato resta il «pacchetto titoli» dell’imprenditore brianzolo.
Fino alla dichiarazione del 2020 il patrimonio mobiliare e immobiliare dell’ex premier non è cambiato. Nel modulo consegnato al fisco nel 2021, invece, è intervenuta una variazione, ovvero: «L’acquisto dell’intera proprietà di un immobile nel Comune di Casatenovo in data 12 marzo 2021». Dovrebbe trattarsi di Villa Maria, la super villa di Rogoredo di Casatenovo, in provincia di Milano (situata a pochi chilometri da Arcore), dove per un certo periodo Berlusconi viveva con la ex fidanzata Francesca Pascale. Il condizionale è d’obbligo, perché allo stato nessuno sa dire se questo immobile corrisponde a quello denunciato al fisco nel 2018 e indicato come fabbricato di proprietà a Casatenovo o si tratta di un altro bene.
A parte il piccolo giallo di Villa Maria, nulla è stato toccato. Berlusconi ha, quindi, conservato la proprietà di tre fabbricati a Milano (a cominciare dalla storica residenza di via Rovani, prima del Covid utilizzata per i vertici di centrodestra con Matteo Salvini) e di Villa Campari, sul Lago Maggiore, a Lesa, provincia di Novara. Possiede, inoltre, due magioni ad Antigua e una a Lampedusa (l’ex villa Due Palme, acquistata nel 2011 nell’isola simbolo dell’immigrazione, restaurata e inaugurata nel 2019).
L’ex capo del governo ha una nuova compagna, la deputata azzurra, Marta Fascina. Dopo la separazione dalla seconda moglie Veronica Lario, non si è più sposato ed è rimasto celibe: alla voce stato civile dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata nel gennaio scorso, infatti, Berlusconi ha indicato libero, mentre due moduli fa risultava ancora divorziato.
Dagospia il 19 gennaio 2022. Da “Un Giorno da Pecora – Radio1”.
Berlusconi? “Non so se si candiderà, se lo conosco un po' però lui avrà valutato che l'impegno lo porterebbe a stare lontano da casa e dalle sue cose per molti anni. Il ruolo è un impegno importante e lui lo sa.
Se non concorrerà a queste elezioni sarà per questo, per motivi anche di salute, avendo avuto il Covid e subito un intervento al cuore. Secondo me sta considerando anche questo”.
Lo dice a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, la senatrice Maria Rosaria Rossi. "Non sono convinta che possa candidarsi per le motivazioni che ho detto, non certo per la paura di non essere eletto. Berlusconi qualunque cosa abbia fatto nella vita, poi l'ha vinta. Non è questa la paura di Silvio, ne sono sicura”.
Lei è stata per moltissimi anni una fedelissima del Cavaliere. “In tutti questi anni sono stata assistente personale del Presidente, poi tesoriere di Forza Italia, dirigente e consigliera del partito”. I suoi avversari la chiamavano 'la badante' di Berlusconi.
Le è dispiaciuto avere un appellativo come questo? “No, non ho mai replicato e non mi sono mai sentita colpita, né ne ho mai parlato con Berlusconi. Forse si sono sentite offese le vere badanti, quelle che fanno questo lavoro per professione. Tra l'altro non ho mai capito chi è che per primo abbia coniato questo termine”.
Secondo lei il Presidente è innamorato della sua compagna Marta Fascina? “Non mi risulta nemmeno sia fidanzato”. In che senso? “Sicuramente è una compagnia che gli sta a fianco - ha detto la senatrice a Rai Radio1 - ma non c'è mai stata una sua dichiarazione, ci sono sempre state delle deduzioni giornalistiche. Sicuramente c'è una compagnia, che sia fidanzato non saprei e non voglio entrare nel personale”.
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica" il 24 gennaio 2022.
Se mai dovesse scriversi un grande romanzo su questi anni sfarzosi, doloranti e sgangherati; un romanzo sul vuoto di potere che si spalanca in un Paese sempre speciale, ecco, sarebbe bello poter raccontare tutto ciò attraverso gli occhi di Marta Fascina che sabato ha interrotto il suo abituale silenzio con un tweet che diceva: «Come sempre il nostro presidente dimostra di essere un gigante immerso in un teatro di personalità insignificanti, irrilevanti e passeggere». E sarebbe forse sprecato relegare queste parole nell'irrilevanza apologetica; quando invece colpiscono per l'ambigua impersonalità della formula («il nostro»), così come colgono la dimensione eminentemente teatrale che tiene prigioniera l'odierna politica.
Ma chi è Fascina? Una bella ragazza di cui il profilo Instagram rivela l'aspetto cangiante, ora ricciolona, ora sorvegliatissima lady Gaga. Nata in Sicilia e cresciuta nella provincia di Napoli, i tortuosi percorsi dello scouting di Arcore l'hanno precipitata alla Camera, commissione Difesa.
Ha compiuto da poco 32 anni: «Buon compleanno, Marta» ha postato il Cavaliere, 85, sotto una foto di loro due, opportunamente ritoccati davanti a sgargianti luminarie post-natalizie suscitando oltre 1500 spontanee manifestazioni di affetto e fragorose esplosioni di volgarità. In bilico fra rischi di sessismo, riflessi moralistici, sopite invidie, ma col soccorso dell'ormai superatissimo confine che divideva la sfera pubblica da quella privata, si conferma qui la singolarità del ménage della specialissima coppia.
Certo, non inedita, se si pensa che a cancellare i grandi scandali sessuali Berlusconi ebbe un'altra giovane fidanzata, Francesca Pascale (oggi 36), presentata in prima serata sulle reti Mediaset: ''Mi si è fidanzato?» gli chiese Barbara D'Urso in veste testimoniale, al che Silvione rispose affermativamente. Ma poi chissà.
Per cui a partire dal 2018 prese il via l'avvicendamento con Fascina. Per quanto si possa compatire il giornalismo politico nelle sue impervie ricostruzioni nell'era della personalizzazione e del gossip, la nuova fidanzata è una presenza costante nella vita di villa e di palazzo, nei brutti giorni del Covid e nella convalescenza.
Anche se muta e un passo indietro, è apparsa nei due meeting quirinalizi del centrodestra; così come l'altro ieri la si è immaginata trepida al fianco di Berlusconi nelle ore amare del ritiro, reso obbligato dalla sfiducia degli alleati e dalle preoccupazioni della famiglia, a sua volta guardinga e grata nei confronti di lei.
Si dirà che il tweet era dovuto. Ma senza per questo assecondarne la sostanza, dal punto di vista della storia ultra ventennale, del costume politico e delle sue rappresentazioni, va riconosciuto che la figura di Berlusconi comunque giganteggia su chi legittimamente, fuori e dentro il centrodestra, ha cercato di sbarrargli la strada verso il Quirinale.
Anche se si tende a rimuoverne il ricordo, il berlusconismo non è stato un normale ciclo di potere come quello, poniamo, di Craxi. E questo perché, senza contare la potenza del denaro, il Cavaliere fin dall'inizio si è vissuto e sempre è stato vissuto dai suoi non quale semplice politico, ma come un sovrano, un re, un monarca, con tutto ciò che ne conseguiva quanto a consenso, emozioni, simboli, mitologia.
Più favorita che regina, Fascina è qui per ricordarci le radici e le forme di quel potere. Non dipende certo da lei il caos odierno, né in futuro l'elezione del 13° Capo dello Stato repubblicano. Ma chi meglio di lei potrebbe raccontare quella che è apparsa la patetica impuntatura di un potente al tramonto?
Con quali altri occhi un grande scrittore potrebbe descrivere le smanie, i quadri regalati, il patema per i processi, la corsa degli scoiattoli, la lettera dai domiciliari, l'insonnia, i tradimenti e l'estremo trambusto sanitario? A suo modo Fascina indica quanto avanti sia andata la crisi italiana, ma in fondo anche quanto l'umanità ne faccia parte.
La compagna del Cavaliere nella Commissione Difesa. Chi è Marta Fascina, la deputata di Forza Italia e fidanzata di Silvio Berlusconi. Vito Califano su Il Riformista il 24 Gennaio 2022.
Marta Antonia Fascina è deputata della Repubblica di Forza Italia e compagna di Silvio Berlusconi. Si è presa la scena, negli ultimi giorni, con un messaggio in una chat degli azzurri dopo la rinuncia del suo compagno alla corsa al Quirinale, annunciata lo scorso sabato. Sarà a Montecitorio oggi pomeriggio per esprimere il suo voto sul prossimo Presidente della Repubblica. È nella IV Commissione Difesa.
Fascina è nata nel 1990 a Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria. È cresciuta a Portici, in provincia di Napoli. Si è laureata all’Università La Sapienza di Roma in Lettere e Filosofia. Alle elezioni politiche del 2018 è stata eletta alla Camera dei deputati, con il proporzionale, nella lista di Forza Italia, nella circoscrizione Campania 1.
Dal 2020 è fidanzata con Silvio Berlusconi, ex Presidente del Consiglio, fondatore e leader di Forza Italia. E proprio dopo la rinuncia del compagno alla corsa ha scritto un messaggio che ha fatto molto discutere. “Come sempre, il nostro presidente dimostra di essere un gigante immerso in un teatro di personalità insignificanti, irrilevanti e passeggere!”. Un messaggio interpretato come una stilettata alla coalizione di centrodestra.
Fascina di solito ha un aplomb più riservato. Ha lavorato nell’ufficio stampa del Milan e poi nella Fondazione Milan. Sarebbe stata introdotta, scriveva Vanity Fair, nell’universo berlusconiano da Adriano Galliani. Si sarebbe fatta inoltre tatuare le iniziali S. B. sull’anulare sinistro, come tra l’altro avevano fatto Sabina Began e Francesca Pascale, ex di Berlusconi. La prima volta che fu paparazzata con il Cavaliere fu a inizio 2020 in Svizzera, all’uscita del Grand Resort di Bad Ragaz. La conferma della relazione all’aeroporto di Olbia, qualche mese dopo, all’inizio delle ferie estive a Villa Certosa, in Costa Smeralda.
Silvio Berlusconi intanto resterà all’Ospedale San Raffaele di Milano anche stanotte. L’Ansa fa sapere che il Cavaliere si è sottoposto a una serie di accertamenti, che proseguiranno anche nei prossimi giorni, quando potrebbe essere dimesso per un periodo di riposo a Villa San Martino di Arcore. Berlusconi era stato ricoverato nella giornata di ieri. Durante la giornata ha ricevuto le visite di amici e parenti.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Berlusconi, la super famiglia e i 15 nipoti: chi sono i piccoli eredi dell’impero dei media. Diana Cavalcoli e Daniela Polizzi su Il Corriere della Sera il 23 dicembre 2021. La famiglia Berlusconi non smette di crescere. Persilvio Berlusconi è diventano nonno a 52 anni e l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi è già bisnonno. Merito di Lucrezia Vittoria Berlusconi, che ha dato alla luce la piccola Olivia. Lucrezia, che oggi ha 31 anni, è nata dalla relazione di Piersilvio con la modella Emanuela Mussida nel 1990, quando l’attuale amministratore delegato Mediaset aveva appena 21 anni. Lucrezia Vittoria si era sposata due anni fa nella villa in Provenza della zia, Marina Berlusconi, e alla cerimonia era presente anche il patriarca Silvio. Olivia è nata nell’aprile scorso, ma solo con un servizio fotografico di «Chi», il settimanale della Mondadori, azienda editoriale «di famiglia», si apprende della sua esistenza: è la prima bisnipote di Silvio Berlusconi.
I nipoti di Silvio: una squadra di 14 eredi
A fine novembre Silvio Berlusconi era diventato nonno per la quattordicesima volta (più un bisnipote). La ricca flotta dei piccoli eredi dell’ex premier, leader di Forza Italia e con ambizioni quirinalizie, si è arricchita tra l’estate e l’autunno del 2021, prima con la nascita di Emanuele Silvio, figlio di Federica Fumagalli e Luigi Berlusconi, ultimogenito del leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset. Quindi, con la nascita di un altro nipote, ancora una volta maschio: a fine novembre, Barbara Berlusconi, 37 anni, figlia di Silvio Berlusconi e Veronica Lario, ha dato alla luce in una clinica svizzera il suo quinto figlio. Quinto di fatto e anche di nome, visto che il piccolo si chiama Ettore Quinto, terzo figlio di Barbara con Lorenzo Guerrieri, imprenditore del settore immobiliare. Con il nuovo arrivato siamo a quota quattordici nipoti per Silvio Berlusconi. Barbara Berlusconi, attualmente amministratore delegato della holding 14 che controlla il 21,42% di Fininvest, era già madre di Leone di 4 anni, Francesco Amos di 3 e dei maggiori Alessandro, 13 anni e Edoardo di 11.
Aumentano gli eredi di Silvio Berlusconi
Sono quindi 14 i nipoti che un giorno erediteranno (dopo la seconda generazione) una fetta dell’impero di Berlusconi, impero che si stima valga 4 miliardi tra media ed editoria (valutazione di Forbes di qualche mese fa).
La mappa dei piccoli eredi
Ma chi sono i nipoti di Berlusconi? La più grande è Lucrezia, 31 anni, figlia di Pier Silvio e sorella di Lorenzo Mattia e Sofia Valentina. Poi ci i sono i figli di Marina Berlusconi: Gabriele, nato nel 2002 e Silvio nel 2003. Eleonora Berlusconi ha poi tre eredi: Riccardo, Flora e Artemisia. Mentre il fratello Luigi, il minore dei Berlusconi, come raccontato in apertura è appena diventato padre del piccolo Emanuele Silvio, il cui secondo nome è chiaramente un omaggio al nonno.
I ruoli in famiglia della seconda generazione
Molto del futuro dell’impero costruito da Berlusconi dipenderà dai suoi figli che hanno ruoli diversi nella società di famiglia. Al momento Berlusconi controlla il 61% della holding Fininvest che opera nei settori della televisione, della radio e del cinema con Mediaset e dell’editoria con Mondadori. Il resto delle quote sono così divise tra gli esponenti della seconda generazione: Marina ha l’8% delle quote, è presidente della holding e a capo di Mondadori mentre Pier Silvio detiene l’8% ed è l’uomo alla guida di Mediaset. I tre figli Barbara, Eleonora e Luigi possiedono insieme il 21% della società. Al momento Luigi e Barbara non hanno incarichi operativi nel gruppo, svolgono il ruolo di azionisti di Fininvest e siedono nel consiglio di amministrazione. Anche Eleonora non ha al momento ruoli operativi. In passato Barbara Berlusconi era stata nominata dal board del Milan vicepresidente e amministratore delegato con delega alle funzioni sociali non sportive. Esperienza conclusasi nel 2017, dopo la cessione del club all’imprenditore cinese Yonghong Li e quindi al fondo di investimento Elliott.
Da "il Giornale" il 22 febbraio 2022.
Barbara Berlusconi su Instagram presenta il figlio Ettore Quinto in famiglia. Il piccolo, nato lo scorso 20 novembre, posa in braccio a nonno Silvio, a nonna Veronica Lario, a papà Lorenzo Guerrieri e a tutti i fratellini.
Per nonno Silvio è il quattordicesimo nipotino. «Sono le prime foto in cui si vede bene il piccolo Ettore Quinto, che porta nel secondo nome il suo status di quinto maschietto - scrive il settimanale "Oggi"- Scatti in bianco e nero che raccontano la felicità di tutta la famiglia per l'arrivo di un nuovo bimbo.
Lo bacia con amore nonno Silvio, anzi bisnonno, visto che suo figlio Pier Silvio è diventato nonno (ad appena 52 anni) nell'aprile scorso, quando la figlia di Lucrezia Vittoria Berlusconi, nata dalla relazione del vicepresidente di Mediaset con la modella Emanuela Mussida, ha dato alla luce Olivia. Lo coccola teneramente, mentre i genitori mostrano tutta la loro felicità».
M.PI. per “la Repubblica” il 20 settembre 2022.
Dopo anni di tentativi, Silvio Berlusconi è riuscito a trovare un modo per evitare i processi. Almeno quelli sportivi. Non avrà bisogno di leggi ad personam, né di legittimi impedimenti. Nei tribunali del calcio, al momento, non può portarlo nessuno. Perché l'ex premier è praticamente immune anche a una semplice multa: non è lui il presidente del Monza e non può essere punito.
Molti se lo saranno chiesto: perché Berlusconi non è stato oggetto di un'indagine della procura federale per le sue frasi contro l'arbitro Di Bello? Soltanto qualche settimana fa, dopo l'ennesima sconfitta del suo Monza, e prima che la squadra battesse la Juventus, Silvio se l'era presa col direttore di gara: «L'Udinese ha giocato in dodici, l'arbitro Di Bello dovrebbe chiamarsi Di Brutto».
Per parole altrettanto critiche, il laziale Sarri ha dovuto patteggiare una multa di 4 mila euro. Non Silvio. Ma non pensiate che la Procura federale non abbia provato a punirlo. Il problema è che, quando ha cercato di capire che carica avesse nel Monza l'ex presidente del Milan, ha scoperto un dato sorprendente: nessuna.
Sì, Silvio Berlusconi formalmente non è presidente del club brianzolo. Non ha nemmeno un incarico onorifico. E il Monza non ha alcun presidente operativo. Ha, sì, un presidente onorario ma è il fratello di Silvio, Paolo. L'unico amministratore del club è Adriano Galliani, deus ex machina dell'operazione che ha portato il Monza in mano alla famiglia Berlusconi. Anzi, a Finivest. Sì, perché Silvio Berlusconi non è direttamente neanche azionista della società. Insomma, non poteva in alcun modo essere sanzionato per le sue frasi. Ovviamente, non è certo questo il motivo per cui il club ha optato per questa struttura societaria.
Però, viene da chiedersi, possibile che un uomo che a 85 anni è ancora protagonista della caduta di un governo e di una campagna elettorale nella coalizione favorita dai sondaggi si accontenti di un ruolo marginale nello sport? Macché. Anzi, a giudicare dalla voglia che ha ancora di infilarsi nello spogliatoio per indottrinare la squadra - anche se non è chiaro a quale titolo ci riesca, visto che non è un tesserato della società - magari ha conservato pure il vizio di suggerire la formazione all'allenatore, come faceva con Ancelotti. Di certo, ama ostentarne la scelta, lo ha fatto anche pochissime ore fa: «Palladino è un allenatore che conosco bene. Ho deciso, con Adriano Galliani, di affidargli la squadra perché a nostro parere lo merita». Parola di presidente. Anzi, no.
Antonio Carioti per il Corriere della Sera il 3 marzo 2022.
È come un romanzo d'appendice: capitoli brevi, con frequenti colpi di scena. E poi curiosità, aneddoti, battute, citazioni canore e cinematografiche, interessanti digressioni. C'è molto lavoro di studio appassionato - perché l'autore è nato nel 1985, quindi era molto piccolo quando avvennero i fatti che ricostruisce -, ma anche tanto ritmo narrativo nel libro di Giuseppe Pastore Il Milan col sole in tasca (66thand2nd), che sarà presentato domani a Book Pride.
Un volume che rievoca nei dettagli i primi e più entusiasmanti anni della squadra rossonera sotto la presidenza di Silvio Berlusconi, fino al trionfo nella finale di Coppa dei Campioni ad Atene, vinta sul Barcellona per 4-0 nel 1994. Fu davvero una miscela esplosiva quella che si venne a creare nella seconda metà degli anni Ottanta tra Arcore, Fusignano (patria romagnola di Arrigo Sacchi) e Milanello. Innanzitutto il calcio, lo sport che agita più di ogni altro gli animi, ma muove anche gli interessi e i capitali. Poi la personalità vulcanica di Berlusconi, la sua spinta a primeggiare e imporsi scavalcando di slancio ogni ostacolo.
Infine l'attaccamento granitico di Sacchi alle sue idee innovative e l'applicazione quasi maniacale che, divorato dallo stress, metteva nel tradurle sul campo di gioco. I risultati furono strabilianti ovviamente anche per merito di campioni dalla classe cristallina, che diedero spettacolo in Italia e ancor più in Europa, ricompensando ampiamente il calore mai venuto meno di una tifoseria che aveva sofferto molto nel periodo immediatamente precedente.
Pastore passa in rassegna l'esuberanza di Ruud Gullit, il talento di Marco Van Basten, la determinazione di Franco Baresi, le doti straripanti di Paolo Maldini, lo stoicismo di Carlo Ancelotti. E l'elenco potrebbe continuare a lungo. Innumerevoli anche gli episodi gustosi, più o meno noti, che Pastore rispolvera. Nils Liedholm che snobba i suggerimenti di Berlusconi, osservando che il presidente s' intende molto di calcio in quanto «ha allenato l'Edilnord».
Gullit che rimanda al mittente, con parole salaci, l'invito rivolto ai giocatori dal Cavaliere perché osservino un periodo di castità in un drammatico finale di campionato. Sacchi che alla vigilia della nettissima vittoria a Barcellona con i romeni della Steaua Bucarest in Coppa dei Campioni dichiara: «Sono loro i favoriti, hanno un senso del collettivo superiore al nostro». Le «lacrime di Berlusconi» messe in vendita a Napoli dopo il sorpasso in extremis dei partenopei sui rossoneri nel 1990.
Ad alcune vicende rocambolesche sono dedicati più capitoli, per esempio all'ottavo di finale contro la Stella Rossa Belgrado, nell'autunno del 1988, quando una fitta nebbia calata sullo stadio jugoslavo salvò il Milan da un'eliminazione molto probabile e gli permise di rifarsi in una drammatica ripetizione del match di ritorno, terminata con un successo ai rigori dopo che l'arbitro non aveva visto una palla terminata di circa un metro oltre la linea bianca della porta serba. Molto spazio è riservato anche alle critiche e allo scetticismo che accompagnarono l'avventura vincente dello strano duo Sacchi-Berlusconi.
Tra i meno convinti va citato il grande Gianni Brera, maestro del giornalismo sportivo e cultore inveterato del calcio difensivistico basato su catenaccio e contropiede. Dubbi pesanti furono del resto avanzati nel 1991 anche sul successore di Sacchi, Fabio Capello, che da allenatore rossonero aveva battuto la Sampdoria in uno spareggio per la Coppa Uefa nel 1987, ma non poteva vantare altri titoli.
Invece il Milan sotto la sua guida divenne assai meno effervescente, ma ancora più dominante, tanto da aggiudicarsi tre scudetti consecutivi e da laurearsi poi campione d'Europa nella notte di Atene a cui già si è fatto cenno. Il libro di Pastore non riguarda però soltanto il calcio. Molto spazio è dedicato anche alle attività imprenditoriali di Berlusconi e più in generale alle vicende politiche e sociali, con qualche dettaglio a sorpresa.
Divertente per esempio il racconto della spedizione a Mosca, alla vigilia di un cruciale incontro Napoli-Milan, che vide la Fininvest assicurarsi l'esclusiva della raccolta di pubblicità per le imprese europee sul mercato dell'Urss, nonostante la difficoltà di convincere i dirigenti della tv sovietica, «solidi e stanziali come mammut», e di adattarsi alle usanze locali: «Niente spot martellanti e musichette accattivanti, ma cortometraggi da almeno sei minuti di durata, decisamente soporiferi per i gusti di noi occidentali».
Anticipazione da “Oggi” il 3 marzo 2022.
Il settimanale Oggi in edicola, oltre a un reportage da Kiev di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi e le interviste a famiglie ucraine e italiane coinvolte nella guerra, contiene una biografia di Putin di 40 pagine, scritta da Giorgio Dell’Arti. Si tratta, come spiega il direttore Carlo Verdelli di «un mosaico costruito attraverso i profili di famigliari, mogli, amanti, amici di ventura, sodali e avversari internazionali. Tanti tasselli, che messi insieme, compongono il ritratto inedito di un leader senza scrupoli». Sul sito oggi.it gli aggiornamenti sulla guerra in Ucraina, con approfondimenti e storie.
Estratti della biografia di Vladimir Putin, raccolti da Giorgio dell’Arti per “Oggi” il 3 marzo 2022.
Silvio Berlusconi (1936). Imprenditore nell'edilizia, poi nella televisione (Canale 5. Italia 1, Retequattro), poi nello sport (Milan, poi Monza), infine protagonista della vita politica dal 2004 a oggi, come presidente del Consiglio (1994-1995; 2001-2006; 2008-2011) e capo di un partito di centro-destra detto Forza Italia e di una coalizione di conservatori chiamata Polo della o delle Libertà. Grandissimo amico di Putin
Che fosse amico di Putin si sapeva, ma qualche gusto gustoso dettaglio venne fuori dalla massa di documenti diffusa nel novembre 2010 da Julian Assange, i cosiddetti "wikileaks". cioè i rapporti sui leader di tutto il mondo dei servizi segreti americani. Dopo aver descritto Berlusconi come un uomo «vanitoso, inutile e incapace», «debole fisicamente e politicamente», troppo dedito alle «feste selvagge» (wild parties) che gli impediscono di riposare come dovrebbe, si definisce "'inquietante" l'amicizia troppo stretta con Putin: regali generosi, contratti lucrosi nel settore energetico e un mediatore-ombra russian-speaking, cioè che parla russo.
Questa potrebbe essere la rivelazione più preoccupante, perché certo non c'è bisogno di un mediatore (go-between) per far incontrare Berlusconi e Putin, e dunque questo signore - se esiste - dovrebbe esser quello che si occupa del lato sporco di parecchie faccende, comprese eventuali tangenti (che, nel settore energetico specialmente, esistono da sempre).
Berlusconi in effetti - secondo la Onlus Wikileaks - avrebbe una forte propensione a fare il ministro degli Esteri e a siglare accordi direttamente con Putin, saltando tutte le strutture e frustrando parecchio i diplomatici dell'ambasciata italiana a Mosca. Infine: «Berlusconi appare sempre di più come il portavoce (mouthpiece) di Putin in Europa». Invece Putin, capace di dominare tutti gli uomini politici del Paese, viene fatto "fesso" (undermined) dalla sua burocrazia, un apparato che il funzionario statunitense giudica ingovernabile
Putin ha detto molte volte in televisione che all'80% delle sue disposizioni non si dà alcun seguito.
Da repubblica.it il 16 novembre 2022.
Arcore, 1981. Silvio Berlusconi, 45enne, ha lanciato da pochi mesi Canale 5. I suoi intendimenti sono ormai chiari: rompere il monopolio della Rai e proporre il suo nuovo modo di fare televisione, simile al modello americano, fondato sulla pubblicità. Non tutti sono d'accordo, soprattutto a Roma.
E in un video rilanciato oggi dalla trasmissione della tv della Svizzera italiana "Cliché" (di Lorenzo Buccella), e rimasto per anni sepolto negli archivi (nel 1981 andò in onda all'interno del documentario "Milano su misura"), è lo stesso Berlusconi a far capire come l'unico ostacolo alla crescita delle sue televisioni risieda nella politica romana.
Le decisioni politiche pesano in modo condizionante sulle sue scelte?, gli chiede chi lo intervista. E lui, dopo aver elogiato Milano centro propulsivo del Paese, risponde: "Beh, ahimè, sì. Io sono un qualunquista da questo punto di vista". E racconta di amici newyorkesi che lo chiamano preoccupati ogni volta che cade un governo. Ma lui dice loro: "Guardate che sto brindando a champagne, mi auguro che non ci sia per molto tempo".
Berlusconi e l'incessante controcanto di Forza Italia a ogni scelta di Meloni. Tommaso Labate su Il Corriere della Sera il 14 Novembre 2022.
Dal tetto al contante ai migranti, il partito guidato da Silvio Berlusconi si smarca sempre dal nuovo asse tra Fratelli d'Italia e Lega: è la coda delle tensioni sui nomi dell'esecutivo o l'inizio di una sorta di Vietnam?
Hanno cominciato da subito. E, finora, non hanno mai smesso.
L’innalzamento del tetto al contante? «Non è una priorità».
Il decreto anti-rave? «Va cambiato».
Le modifiche al Superbonus per l’edilizia? «Presentiamo un emendamento».
E persino sull’immigrazione, e cioè sullo spinoso dossier in cui le posizioni sembravano destinate a un allineamento quasi perfetto, è venuto fuori l’approccio morbido di Silvio Berlusconi, che in una cena privata — come ha rivelato Francesco Verderami sul Corriere — ha spiegato ai commensali che «quelle povere persone» imbarcate dalle navi delle Ong andavano «salvate tutte», con buona pace degli sbarchi selettivi decisi dal Viminale prima che esplodesse il caos diplomatico con la Francia.
Il governo guidato da Giorgia Meloni non ha neanche compiuto un mese. Ma nelle tre settimane di presenza sulla scena, con un ritmo scandito dall’asse Fratelli d’Italia-Lega, non c’è stato praticamente giorno in cui Forza Italia si sia astenuta dal controcanto.
A ogni mossa del tandem Meloni-Salvini, una contromossa di Berlusconi.
Sempre, sistematicamente, come una goccia cinese, su tutti i provvedimenti messi in campo; quelli approvati in Consiglio dei ministri, quelli allo studio, quelli visti, rivisti, soltanto annunciati o semplicemente ventilati. Una situazione che ha completamente ridisegnato gli equilibri «geopolitici» interni al centrodestra, arrivato al voto con un solito asse Berlusconi-Salvini in chiave anti-Meloni e uscito dalle urne con un assetto completamente stravolto: Fratelli d’Italia e Lega di qua, Forza Italia sempre e comunque dall’altra parte.
Che sia la coda velenosissima della tormentata composizione della squadra di governo oppure l’anticipo di una sorta di Vietnam parlamentare, questo lo si capirà presto. FI rimane un partito diviso al proprio interno, con il fronte «governista» che ha posizioni diverse rispetto a chi è rimasto a presidiare il Parlamento, certo. Ma, sfumature e voci di scissione a parte, al momento i numeri sono quelli che sono. Tra i banchi di Palazzo Madama, le «Colonne d’Ercole» che storicamente separano la necessità di approvare la Finanziaria entro l’anno dall’incubo dell’esercizio provvisorio, la maggioranza assoluta è fissata a 204; e i senatori del gruppo azzurro, al momento 18, bastano e avanzano per far saltare il banco. E non è un caso, come nota un big azzurro con una perfidia nascosta dietro la garanzia dell’anonimato, che «alla buvette i senatori di Meloni e Salvini si trovano sempre a ridere e scherzare più con i colleghi di Azione-Italia viva che non con noi di FI».
Agli atti, l’ultima dichiarazione di un forzista di primo piano e non ministro millimetricamente allineata con Giorgia Meloni è stata quella pronunciata da Berlusconi il giorno della fiducia in Senato. Prima e dopo, sempre e solo voci fuori dal coro. È stato così da subito, da quando l’eterogeneo pacchetto rave-contanti ha iniziato a riempire l’agenda di governo. «Trovo offensivo che l’attenzione sia su questo, quando la priorità è mettere mille euro nelle tasche dei pensionati e aiutare famiglie e imprese», aveva aperto le danze il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè. Sembrava una nota stonata, è diventato uno spartito quotidiano. Proseguito sul Superbonus e culminato, nelle ultime ore, con le sfumature sull’immigrazione. E quando non sono dichiarazioni in dissenso, dei berlusconiani diventa rumorosissimo il silenzio, come sulle modifiche al reddito di cittadinanza.
Raccontano che negli ultimi giorni, confrontandosi in presenza della premier sui continui smarcamenti di FI, due esponenti del governo si siano divisi su quello che ha in mente Berlusconi.
L’ottimista dei due ha fatto notare che «Silvio, che di pugnalate amiche ne ha subite, non darebbe mai una spallata a un governo di centrodestra».
L’altro, il pessimista, s’è limitato a ricordare un dettaglio: «Vero. Ma da quando è in campo non c’è mai stato un governo di centrodestra non guidato da lui».
Meloni avrebbe ascoltato senza proferire parola.
Da repubblica.it il 12 novembre 2022.
Forza Italia è sempre di più un "affare di famiglia". Quando a salvare i conti del partito non ci pensa il fondatore Silvio Berlusconi - dal 2014 ha sborsato di tasca propria quasi 100 milioni di euro - intervengono le sue aziende, gli amici più cari, i familiari. Barbara, Eleonora, Luigi, Marina e Pier Silvio, i figli del Cavaliere, hanno donato alle casse azzurre ben 500mila euro nel 2002, 100mila euro a testa.
Spulciando l'elenco dei contributi percepiti dal partito quest'anno e resi pubblici per obbligo di legge, spiccano poi i 50mila euro versati il 2 agosto dalla 'Finanziaria d'investimento Fininvest spa' con sede a Roma, in Largo del Nazareno. Appena due mesi prima, il 14 giugno, il Biscione aveva donato la stessa cifra, confermandosi il principale 'finanziatore forzista'. Sempre Fininvest, un anno fa, l'11 febbraio, aveva staccato un assegno di 100 mila euro, stessa cifra nel 2020, il 3 febbraio, e nel 2019, il 15 luglio. Per un totale, ad oggi, di 400 mila euro.
Le donazioni dei Berlusconi
Quest'anno, come detto, in soccorso delle finanze di FI sono arrivati pure, per la prima volta tutti insieme, i cinque figli di Berlusconi con 100mila euro a testa: la primogenita Marina, Pier Silvio, Eleonora e Luigi hanno fatto il loro versamento il 16 agosto scorso, mentre Barbara ha fatto la sua donazione il 22.
Stavolta è mancato all'appello Paolo, il fratello dell'ex premier, che però non ha fatto mancare il suo apporto in passato: 100 mila euro l'8 maggio del 2019 più la concessione di un pegno in titoli di 4 milioni di euro, come certificato dal bilancio chiuso al 31 dicembre dello stesso anno. Andando indietro nel tempo, inoltre, si scopre che Luigi, il più piccolo della 'nidiata', già il 21 settembre dell'anno scorso aveva contribuito alla causa con 100 mila euro.
Carte alla mano, solo nel 2022 la famiglia Berlusconi è arrivata a sborsare complessivamente 500 mila euro. Un vero e proprio tesoretto, in tempi di magra post abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ma soprattutto plastica rappresentazione di quanta parte ormai i figli del Cavaliere (rimasto, di fatto, l'unico proprietario della sua creatura politica) abbiano all'interno del partito, a cominciare dalla gestione delle casse. Lanciato nel '94, FI per circa vent'anni ha viaggiato a doppia cifra nelle urne per poi subire il sorpasso prima della Lega, nel 2018, poi di Fratelli d'Italia, 4 anni dopo, per fermarsi all'attuale 8 per cento delle ultime politiche grazie all'ennesima 'discesa in campo' del fondatore.
I conti di Forza Italia
Secondo l'ultimo bilancio, chiuso al 31 dicembre 2021, FI presenta conti in lieve miglioramento ma sempre in rosso, con un disavanzo di 340.490 euro ed è debitrice verso 'altri finanziatori', ovvero l'unico creditore-padrone che l'ha creata 28 anni fa, l'ex premier, per oltre 92milioni di euro. Tutti garantiti attraverso fideiussioni personali.
A pesare notevolmente sulle finanze, raccontano, anche l'irrisolto problema dei morosi, ovvero di tutti quei deputati, senatori e consiglieri regionali, che non pagano regolarmente le quote dovute (900 euro al mese), una vera e propria gatta da pelare che ha comportato un buco di cassa di almeno 2 milioni di euro, visto che un parlamentare su tre non pagherebbe gli arretrati.
In particolare, si legge ancora nel rendiconto, tra i contributi pervenuti de persone giuridiche risulta ancora una volta la Finanziaria d'investimento Fininvest spa con 100 mila euro, e "nei conti d'ordine" figura "nella voce garanzie (pegni, ipoteche) a/da terzi un ammontare di 7 milioni di euro relativo al pegno in titoli di 3 milioni rilasciato dal presidente Berlusconi in precedenti esercizi" e "ad ulteriori pegni in titoli per 4milioni di euro rilasciati" dal fratello Paolo "a fronte degli affidamenti concessi da un istituto bancario al movimento".
Forza Italia, il partito monarchico-anarchico regno ballerino di Berlusconi. Debolezze e fibrillazioni del movimento che da sempre si identifica nel suo leader. Ecco cosa dice il suo amico Caligiuri. Paola Sacchi su Il Dubbio il 27 ottobre 2022.
«Berlusconi è un grande e si è mai visto nella storia un grande lasciare un erede? Tensioni interne? Certo che ci sono, lui ha 86 anni, ma convincetevi che anche ora Forza Italia è lui, era e resta lui. Quell’insperato 8,4 per cento ottenuto, seppur tallonato da Fratelli d’Italia, prima dalla Lega (il sorpasso del 2018 è stato pareggiato, ndr), poi da Renzi e Calenda, è tutto suo, con una campagna elettorale pazzesca TV e social». Ma Giovanbattista Caligiuri, detto Gegè, già presidente della Calabria, senatore, sottosegretario, soprattutto uno dei 27 uomini azzurri di Publitalia, che con Marcello Dell’Utri amministratore delegato, Massimo Palmizio, Gianfranco Miccichè, Enzo Ghigo, per citarne i più noti, furono l’embrione di Forza Italia, ovvero la base dell’iniziale e vituperato partito- azienda, non è un acritico fan adorante.
Amico personale del “dottore”, imprenditore-politico, non nasconde che abbia commesso pure errori. «Lui dice sempre quello che pensa, a volte anche troppo, ma qualsiasi cosa dica e faccia è sempre show. È unico», spiega Caligiuri, osservatore prezioso anche perché da tempo fuori dalla politica attiva. E sempre al di sopra delle diatribe interne che, come dicono altri esegeti delle cose di Arcore, ci sono sempre state, ma ora si sono accentuate nel «partito monarchico- anarchico».
Il movimento-partito «di quelli che fanno come c… gli pare», disse una volta l’avvocato senatore Niccolò Ghedini con ironia su un disguido in una votazione, per stigmatizzare l’errore ma al tempo stesso anche, con ironico affetto, quello specifico tratto liberale, persino troppo, anche nella stessa vita interna di FI. Così diversa dalla struttura più rigida di FdI o dallo schema organizzativo interno “leninista” della Lega. Forza e debolezza al tempo stesso di FI. Partito che il “dottore” ha plasmato con «il sole in tasca» (imperativo per i suoi top manager) delle idee liberali, anti- pressione fiscale, garantiste, europeiste e atlantiche. Proprio su questo giornale abbiamo ricordato la “rottura” che il Cav fece nel ’ 94 al suo primo mandato da premier recandosi al Cimitero militare Usa di Nettuno, rottura rispetto a una narrazione di sinistra tutta incentrata soprattutto sulla Resistenza, mettendo in ombra il decisivo sacrificio angloamericano.
Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, già sottosegretario alla Difesa, un significativo curriculum da direttore di testate Mediaset e Gruppo Mondadori, di casa a Arcore, molto vicino al Cav e alla top manager Marina Berlusconi, ha ribadito il valore aggiunto euro- atlantico di FI. Dopo l’uscita delle frasi rubate dagli audio «decontestualizzate e strumentalizzate» pro- Putin di Berlusconi che ha condannato l’aggressione all’Ucraina e schierato sempre FI con tutto il centrodestra a favore dei provvedimenti di sostegno all’Ucraina, ma rivendicando il grande risultato di Pratica di Mare nel tentativo di portare Putin in Occidente, nella Nato.
Mulè ha anche pungolato il vicepresidente e coordinatore azzurro Antonio Tajani, mai però chiedendone dimissioni, auspicando che non si sobbarchi come altri, dopo essere diventato ministro degli Esteri, «della fatica» di accumulare troppi incarichi. Questo, ha precisato, non per ostilità ma «per il rilancio di FI». Mulè nella geografia azzurra viene classificato tra i “falchi”, l’area che insieme con il nuovo capogruppo alla Camera, il quarantenne Alessandro Cattaneo, fa riferimento all’altra quarantenne, personaggio di punta nel nuovo firmamento azzurro Licia Ronzulli, capogruppo al Senato, stretta emanazione del Cav. Ronzulli “capa” dello staff di Arcore, è stata demonizzata, dopo il veto di FdI su di lei al governo, anche dai malpancisti non ricandidati da FI, pure con accuse dai tratti di misoginia che nei confronti delle donne di potere in particolare non mancano mai.
Ma i “falchi” non sono solo nomi, rappresentano soprattutto una linea nettamente antitetica alla sinistra, ovvero l’anima profonda liberale e marcatamente anti- comunista del Cav. Ma questa la impersonifica anche Tajani, che è cofondatore di FI con Antonio Martino, Dell’Utri, Giuliano Urbani. Tajani però è anche l’uomo della diplomazia Ue e dal curriculum tutto europeo. Ex presidente del Pe, ex commissario Ue, è tuttora vicepresidente del Ppe. Descritto sempre come un vero soldato leale di Silvio, più diplomatico che front- man, è entrato nel mirino delle critiche interne con l’accusa di essere a capo dell’ala dei cosiddetti governisti, sospettati di aver bypassato il Cav con Meloni, e per le nomine di personaggi a lui vicinissimi, come l’ex capogruppo Paolo Barelli. Accuse che il ministro degli Esteri e vicepremier ha seccamente respinto.
La partita dei sottosegretari è ora importante per allentare le tensioni azzurre che potrebbero anche provocare fuoriuscite verso il nuovo gruppo cuscinetto dei Moderati di Maurizio Lupi con cui FdI potrebbe tutelare il governo al Senato, in particolare. Resta comunque il punto di fondo del futuro azzurro. Ma c’è chi sostiene che Berlusconi ormai ha plasmato un’area liberale anti-sinistra che resterà sempre fino a lasciare la sua decisiva impronta sullo stesso FdI. Questo significano le sue parole di apprezzamento a Meloni che «ha detto cose definitive su tasse e libertà».
Un modo per il leader azzurro di sottolineare il suo decisivo contributo per portare la destra più verso il centro. Solo che «da signore di vecchio stampo, da Meloni si sarebbe aspettato altrettanta generosità», chiosa l’amico Caligiuri. Anche ieri al Senato in aula e sui banchi del governo tra le file di FdI spiccavano ex personalità azzurre di rango, dal professore liberale, massimo studioso di Karl Popper, Marcello Pera, già seconda carica dello Stato, al ministro agli Affari Europei e Pnrr, Raffaele Fitto. Cav dappertutto.
(ANSA il 18 ottobre 2022) - "I ministri russi hanno detto che siamo già in guerra con loro perché forniamo armi e finanziamenti all'Ucraina. Però sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po' i rapporti con il presidente Putin, un po' tanto, nel senso che per il mio compleanno mi ha mandato venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima.
Gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e una lettera altrettanto dolce. Sono stato dichiarato da lui il primo dei suoi cinque veri amici". Lo ha detto il leader di FI, Silvio BERLUSCONI, nell'incontro con i deputati azzurri, come si può ascoltare in un audio pubblicato sul sito di LaPresse.
(9Colonne il 18 ottobre 2022) - Il presidente di Forza Italia Silvio BERLUSCONI smentisce la notizia su una presunta ripresa dei rapporti con Vladimir Putin. Il presidente Berlusconi, spiega una nota, ha raccontato ai parlamentari una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa.
(LaPresse) - "Putin per il mio compleanno mi ha mandato 20 bottiglie di Vodka e una lettera dolcissima. Io gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Io l'ho conosciuto come una persona di pace e sensata...". Così Silvio Berlusconi secondo quanto apprende LaPresse durante il suo intervento alla riunione dell'assemblea di Forza Italia alla Camera per l'elezione del capogruppo.
(LaPresse il 18 ottobre 2022) - "I ministri russi hanno già detto in diverse occasioni che siamo noi in guerra con loro, perché forniamo armi e finanziamenti all'Ucraina. Io non posso personalmente fornire il mio parere perché se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato i rapporti con il presidente Putin, un po' tanto". Così Silvio Berlusconi secondo quanto apprende LaPresse durante il suo intervento alla riunione dell'assemblea di Forza Italia alla Camera per l'elezione del capogruppo.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "In 28 anni di vita politica la scelta atlantica, l'europeismo, il riferimento costante all'Occidente come sistema di valori e di alleanze fra Paesi liberi e democratici sono stati alla base del mio impegno di leader politico e di uomo di governo. Come ho spiegato al Congresso degli Stati Uniti, l'amicizia e la gratitudine verso quel Paese fanno parte dei valori ai quali fin da ragazzo sono stato educato da mio padre. Nessuno, sottolineo nessuno, può permettersi di mettere in discussione questo". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - Per il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi la propria fedeltà ai valori europei e atlantisti non può essere messa in discussione e - chiarisce in una nota - "non può certamente permettersi di farlo la sinistra, che tante volte è stata dalla parte sbagliata della storia. Tantomeno la sinistra del Partito democratico, che anche alle ultime elezioni, meno di un mese fa, era alleata con i nemici della Nato e dell'Occidente".
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "La mia posizione personale e quella di Forza Italia non si discostano da quella del governo italiano, dell'Unione europea, dell'Alleanza atlantica né sulla crisi ucraina, né sugli altri grandi temi della politica internazionale. Lo abbiamo dimostrato in decine di dichiarazioni ufficiali, di atti parlamentari, di voti alle Camere". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi in una nota in cui, aggiunge, ha dovuto "ribadire l'ovvio" dopo le dichiarazioni audio diffuse.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "La colpa non è degli organi di informazione, ovviamente costretti a diffondere queste notizie, è di chi usa questi metodi di dossieraggio indegni di un Paese civile". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi riferendosi alla diffusione delle sue dichiarazioni audio.
Berlusconi ha aggiunto: "Tutto questo però non esisterebbe, se non vi fosse in Italia la pessima abitudine di trasformare la discussione politica in pettegolezzo, utilizzando frasi rubate registrate di nascosto, e appunti fotografati con il teleobbiettivo, con un metodo non solo sleale ma intimidatorio. Un metodo soprattutto che porta a stravolgere e addirittura a rovesciare il mio pensiero, usando a piacimento brandelli di conversazioni, attribuendomi opinioni che stavo semplicemente riferendo, dando a frasi discorsive un significato del tutto diverso da quello reale"
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "Interrogarsi sulle cause del comportamento russo, come stavo facendo, e auspicare una soluzione diplomatica il più rapida possibile, con l'intervento forte e congiunto degli Stati Uniti e della Repubblica cinese, non sono atti in contraddizione con la solidarietà occidentale e il sostegno al popolo ucraino. Del resto alla pace non si potrà giungere se i diritti dell'Ucraina non saranno adeguatamente tutelati". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in una nota dopo le sue dichiarazioni audio sul conflitto in Ucraina.
Cav chiama Mentana, "parole su Ucraina frutto preoccupazione". (ANSA il 19 ottobre 2022) - "Era Silvio Berlusconi come avete intuito e ci pregava di riassumere quello che dirò, cercando di essere il più fedele possibile. Le parole registrate vanno inquadrate in un discorso più generale di cui si è preso solo questo aspetto, che era il racconto di una preoccupazione generale, sto citando Berlusconi, riguardo al clima che si è creato nel rapporto tra Russia, Europa ed Occidente, con il governo degli Stati Uniti che ha disatteso le premesse multilaterali date da Donald Trump e con una situazione che è diventata sempre meno favorevole, anche perché dopo 23 anni si è creata una situazione con un solo beneficiario, la Cina". Così il direttore Enrico Mentana, in diretta tv, sintetizza il contenuto di una telefonata appena ricevuta dal Presidente Berlusconi, pochi minuti dopo che lo stesso Tg aveva diffuso il suo secondo audio shock, stavolta contro il Presidente ucraino. "La preoccupazione generale di Berlusconi - prosegue Mentana - era che ci fosse la rottura tra Europa e Russia, che in qualche modo interrompeva una spirale già rallentata dopo gli accordi di Pratica di Mare, con il fatto che la Cina potesse approfittare di tutto questo. Questa è - conclude - la contestualizzazione dell'interessato e che era alla base delle sue parole". "Una posizione che - chiosa Mentana - è diversa da quella del governo italiano e dalla leader del futuro governo di centrodestra".
UCRAINA, BERLUSCONI: “ZELENSKY? NON DICO QUELLO CHE PENSO”. Da lapresse.it il 19 ottobre 2022.
Silvio Berlusconi parla a ruota libera della guerra ucraina durante il suo intervento alla riunione dell’assemblea di Forza Italia alla Camera, ripreso in un audio ottenuto in esclusiva da LaPresse.”Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me… lasciamo perdere, non posso dirlo…”.
“Zelensky ha triplicato attacchi a repubbliche Donbass”. Questa la versione del leader di Forza Italia sullo scoppio della guerra in Ucraina: “Sapete com’è avvenuta la cosa della Russia? Anche su questo vi prego, però, il massimo riserbo. Promettete? (…) La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche.
I morti diventano (…). Disperate, le due repubbliche (…) mandano una delegazione a Mosca (…) e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’. Lui – aggiunge – è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia.
E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina”.
“Non ci sono più leader, né in Europa né negli Usa”
Berlusconi, inoltre, ha aggiunto: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io…”.
“Strage di soldati e cittadini, serve intervento forte”
“La guerra condotta in Ucraina è la strage dei soldati e dei cittadini ucraini. Se lui diceva ‘Non attacco più’, finiva tutto (…). Quindi se non c’è un intervento forte, questa guerra non finisce”.
Da lastampa.it il 19 ottobre 2022.
«Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile». Così in una nota, Giorgia Meloni. Per la presidente di Fratelli d’Italia «l'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Chi non fosse d'accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo».
Da open.online il 19 ottobre 2022.
«È una testa di cazzo, in un giorno ha rovinato tutto». «Un povero rimbambito». In questi due commenti attribuiti a dirigenti di Fratelli d’Italia e fedelissimi di Giorgia Meloni dal Fatto Quotidiano c’è tutto lo sconcerto interno al centrodestra per l’ennesimo show di Silvio Berlusconi.
E se la frase del Cavaliere su Andrea Giambruno (il compagno della premier in pectore) che lavora a Mediaset denota, secondo la maggioranza, «una concezione padronale della coalizione», Meloni è arrabbiatissima per il riferimento: «Cos’è, un ricatto? Pensa di minacciarci così? Andrea lavorava a Mediaset prima di conoscerci». Il primo modo per farla pagare al Cavaliere è lasciare Elisabetta Casellati fuori da via Arenula: al ministero della Giustizia andrà Carlo Nordio. Il secondo mette in gioco il ruolo di Antonio Tajani. Che vede in bilico sia il ruolo di vicepremier che la nomina alla Farnesina.
Il ruolo di Tajani
Il nuovo governo è ancora in bilico. Domani, giovedì 20 ottobre, il centrodestra unito è atteso al Quirinale per le consultazioni. L’incarico alla nuova premier potrebbe arrivare già il 21, mentre il week end successivo potrebbe essere dedicato a mettere a punto i dettagli prima del varo ufficiale dell’esecutivo. «L’Italia è e resterà nel solco dell’Unione europea e dell’alleanza atlantica. Berlusconi, come tutti, ha avuto rapporti con Putin per provare ad avvicinarlo alle democrazie liberali. Ma quella fase storica è finita quando Putin ha deciso di invadere l’Ucraina con i carri armati. Ora il solco è incolmabile», è la posizione di Fratelli d’Italia ribadita ieri da Fabio Rampelli.
Per questo La Stampa oggi racconta che adesso Tajani è di nuovo in bilico. «Berlusconi potrebbe averlo ammazzato», sussurrano dentro Fdi. Il ragionamento è semplice. Come può il numero due di Forza Italia essere il rappresentante dell’Italia all’estero quando il numero uno ha rapporti «riallacciati» con Putin? Per ora la linea di Meloni prevede il silenzio. Mentre qualcuno sussurra all’orecchio della presidente di Fdi di evitare una presentazione a tre al Quirinale. Perché l’imprevedibilità di Berlusconi potrebbe riservare altre brutte sorprese davanti alle telecamere.
Silvio, la rana e lo scorpione
Di più. Meloni evoca anche il fantasma di Gianfranco Fini: con l’ex leader di Alleanza Nazionale Giorgia aveva avuto contatti nei giorni precedenti. Ora, è il ragionamento, il trattamento che subì l’ex alleato potrebbe essere riservato anche a lei. Anche se per ora i giornali di destra sembrano piuttosto schierati contro il Cav. E quello di famiglia (“Il Giornale“) getta acqua sul fuoco con evidente imbarazzo.
Il retroscena del Corriere della Sera aggiunge che Meloni scherzando già nei giorni scorsi aveva detto che «Berlusconi è come lo scorpione con la rana: punge anche se sa che morirà anche lui, come lo scorpione è “fatto così”, è più forte di lui». Ma «quando ha parlato con me sembrava molto più ragionevole. Poi torna dai suoi fedelissimi ed ecco qui…». La favola sull’immutabilità degli istinti spinge la nuova premier a rimettere in gioco la lista dei ministri. Oltre a Tajani, che alla fine comunque dovrebbe farcela, è in bilico il ministero dello Sviluppo assegnato a Guido Crosetto. Così come la Salute, per la quale si cerca un tecnico.
Da iltempo.it il 18 ottobre 2022.
"Qui ci sono solo due possibilità - commenta il filosofo ed ex sindaco di Venezia ad affaritaliani.it - o Berlusconi vuole liquidare il governo Meloni ancora prima che nasca o si tratta di problemi senili di chi non riesce a controllare le proprie dichiarazioni". Su Ronzulli capogruppo di Forza Italia al Senato, Cacciari aggiunge che "quelli sono cavoli di un partito.
Però se il leader di una forza politica che fa parte di una coalizione che si appresta a far nascere un esecutivo fa questo tipo di dichiarazioni o è in una situazione precaria di equilibrio psicologico o ha come obiettivo quello di far saltare il governo e Meloni".
Qualora saltasse clamorosamente tutto, secondo il filosofo "verrebbe meno la sceneggiata, come era probabile fin da prima delle elezioni, di un governo di Centrodestra. Attraverso vari passaggi si tornerebbe a Mattarella che darebbe vita a un altro esecutivo di unità nazionale con chi ci sta".
Infine una battuta sull'eventualità di un ritorno di Mario Draghi a Palazzo Chigi. "No, è impossibile - chiude Cacciari - non accetterebbe mai. Avremmo un avatar di Draghi come presidente del Consiglio".
Dagonews il 19 ottobre 2022.
Chi ha passato a LaPresse, l’agenzia di Marco Durante, l’audio in cui Berlusconi sproloquia della "corrispondenza di amorosi sensi" con Putin? E’ stato un deputato di Forza Italia, di tendenza Tajani.
La registrazione nascosta, effettuata nel chiuso dell'assemblea con i deputati forzisti, è stata una ritorsione per l’atto di forza del Cav che, presentandosi a Montecitorio, ha di fatto obbligato i suoi onorevoli a eleggere come capogruppo il ronzulliano Alessandro Cattaneo (con conseguente furia del tajaneo Paolo Barelli).
Prima di uscire dalla Camera dei deputati, Berlusconi si è ritrovato circondato dal solito drappello di adoranti subalterni tra cui c’era anche il deputato "infedele" che ha registrato il vaniloquio del fu Sire di Arcore girandolo subito dopo alla direttrice dell’agenzia LaPresse, Alessia Lautone.
L'azione da guastatore del parlamentare infingardo si è interrotta poco prima di registrare la spacconata più grossa rifilata da Berlusconi: “Tra i primi cinque amici di Putin, io sono il primo”. Una pralina di follia somministrata in piena guerra tra Ucraina e Russia, proprio mentre tutto l’Occidente guarda al futuro governo italiano con apprensione per eventuali sbandante filo-Cremlino.
Alla diffusione dell’audio, Giorgia Meloni s’è infuriata come neanche le Erinni, ha telefonato a Tajani e con quel misto Oxford-Garbatella gli ha urlato: “Col cazzo che vai alla Farnesina!”. D’altronde piazzare il ciambellano del Cav putinizzato al ministero degli Esteri sarebbe vissuto sia Washington che a Bruxelles come un cazzotto nello stomaco.
Se abbiamo fatto uscire tutti gli audio su Berlusconi? “Ci sarà qualcosa più tardi. Di cosa si parla? Vedremo più tardi, posso solo dire che non si parla di donne, non ci sono donne”. A parlare, a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Alessia Lautone, direttrice dell'agenzia La Presse, che ieri ha diffuso gli audio del leader di Forza Italia che hanno provocato un terremoto nel c.destra.
Ronzulli: criminale fare uscire audio Berlusconi. Da repubblica.it il 19 ottobre 2022.
"Trovo vergognoso che all'interno di 45 persone ci sia qualcuno che abbia sfregiato il presidente Berlusconi divulgando l'audio alla stampa. Non si sa in cambio di cosa...". Lo ha detto la capogruppo al Senato di FI, Licia Ronzulli. Secondo Ronzulli far uscire l'audio sarebbe "criminale".
Estratto dell'articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” il 19 ottobre 2022.
Ma Berlusconi è diventato matto? Nel tempo delle semplificazioni la circostanza che ieri si sia prodotto in una serie di esternazioni a capocchia non sembra sufficiente a declinare la giornata politica sotto il segno della psichiatria o, come frequentemente si sente mormorare nel Palazzo, della demenza senile. […]
Ma il caso di Berlusconi è troppo particolare, e non solo perché con il tema della pazzia ha giocato fin dagli esordi in politica. Basti pensare al suo primissimo discorso, alla Fiera di Roma, 6 febbraio 1994. A quei tempi non aveva in volto il sorriso-rictus del joker, ma cominciò con le seguenti parole: "Mentre venivo qui, pensavo, lo penso ancora, che c'era un matto che stava andando a incontrarsi con altrettanti matti!". Applausi.
Camminava su e giù per il palco, il microfono nella mano destra: "Ebbene, pensando a questa follia che sembra aver contagiato tutti noi e tanti altri dietro a noi, io pensavo che si era verificata ancora una volta quell'affermazione che è contenuta in un bellissimo libro, l'abbiamo editato ancora da poco, l'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, dove io in una prefazione dicevo: è vera la tesi che viene fuori da queste pagine. Le decisioni più importanti, le decisioni più giuste, la vera saggezza - e qui nuoveva l'altra mano per rafforzare il discorso - non è quella che scaturisce dal ragionamento, dal cervello, ma quella che scaturisce da una lungimirante visionaria follia!".
Hai capito che paravento? Vaglielo a spiegare adesso a Meloni, Salvini, Giorgetti e Lollobrigida quante volte il Cavaliere ha dispensato alle folle e nei momenti più difficili questa storia della visionaria follia, che in lui soltanto è destinata a convertirsi in lungimiranza.
Ecco dunque che, poche ore dopo aver fatto il bravo, ti fa acclamare Ronzulli presidente dei senatori, annuncia la lista dei "suoi" ministri in barba al Capo dello Stato e alla premier in pectore, di nuovo insiste con le sue preoccupazioni per la guerra, racconta di aver fatto pace con Putin rivelando uno scambio di doni alcolici e alla fine, previa mezza smentita del tutto implausibile, come estremo dono di sé invoca "Silenzio!" e dopo nemmeno un mese ripropina la solitissima barzelletta sui potenti nell'aereo in panne.
Domanda: ma non è il Berlusconi di sempre? Quindi l'uomo che ha fatto di sé un personaggio, un po' a somiglianza propria, un altro po' sforzandosi di assomigliare a ciò che gli italiani vogliono che egli sia: l'attore, appunto, del suo personaggio. Forse voleva pareggiare il conto mediatico della Canossa a via della Scrofa, forse adesso prova a tenere la piccoletta sulla graticola, forse intende farle intorno terra bruciata.
Beato chi è convinto che ieri abbia dato i numeri. E se invece, come mille altre volte accaduto per mezzo di gaffe, numeracci clowneschi, fissazioni dissennate e frequentazioni pericolose avesse messo in scena il consueto e lucido azzardo replicando quel suo potere ipnotico, furbastro, piratesco, eppure a suo modo glorioso?
E certo che c'è di mezzo la realtà. Eppure sono ormai trent'anni che Silvione - in questo interprete sublime e assoluto del carattere nazionale - viene a patti con essa, quindi ora l'aggiusta, ora l'abbellisce, ora l'ignora, ora la distorce, ora l'addomestica, ora la nega; e lo fa con tale maestria e selvaggia naturalezza che a volte sembra matto anche solo nel credere che gli si possa credere; ma nel frattempo questa benedetta realtà finisce per confondersi con la sua rappresentazione. Così nessuno è mai in grado di capire "come andrà a finire", eterno e vano interrogativo dell'epoca berlusconiana, col risultato di restare l'imprevedibile Signore della Meraviglia. […]
E se siamo fuoriusciti dalla logica, beh, è pur vero che la politica non è fatta solo di razionalità, ma anche di sogni, simboli, inconscio, suggestioni, effervescenze, allucinazioni, paranoia, nichilismi. La "parte maledetta" è sempre lì, sul bordo, e spesso proprio chi riesce a farsela tornare utile purtroppo vince e rivince, fino a quando qualcuno o qualcuna, col permesso di Erasmo, non gli toglie il fiato e allora addio, addio.
“Colpevoli trovati, ecco chi sono”. Chi ha tradito Berlusconi, arrivano i nomi. Carlantonio Solimene su Il Tempo il 20 ottobre 2022
No, il peggio non era alle spalle. Chi pensava che il pirotecnico martedì romano di Silvio Berlusconi avesse costituito il momento più difficile del centrodestra in questo faticoso avvicinamento alle consultazioni, non aveva fatto i conti col nuovo audio diffuso ieri da LaPresse, se possibile ancora più deflagrante di quelli del giorno prima. La scena è sempre la stessa, il colloquio coi deputati azzurri in occasione dell'elezione del capogruppo. E medesimo è pure l'argomento, la politica estera. Ma se martedì ci si era limitati solo al presunto riavvicinamento personale a Putin - forse più millantato che reale - ieri Berlusconi ha fatto un passo ulteriore: ha esposto la sua idea sull'origine del conflitto ucraino. Una tesi, la sua, del tutto opposta non solo a quella dell'attuale governo. Ma anche a quella della premier in pectore Giorgia Meloni. Questa la trascrizione delle frasi del Cav, partite, ironia della sorte, con la richiesta di «massimo riserbo» puntualmente disattesa: «La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l'Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l'altro. L'Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, misi dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche».
E ancora: «Disperate, le due repubbliche (...) riescono a parlare con Putin. Dicono: "Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu". Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo incarica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un'altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall'Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina». Poi, come se non bastasse, il giudizio tranchant sui partner «atlantici»: «Oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d'America». Infine, un «non mi fate dire quello che penso di Zelensky» accolto, peraltro, da un fragoroso applauso dai deputati azzurri.
La situazione deflagra a livello internazionale. In Russia le dichiarazioni del Cav vengono rilanciate con toni trionfalistici. A Strasburgo i Socialisti attaccano il Ppe. E se i vertici Popolari si trincerano dietro un no comment, il deputato polacco Halicka chiede a Berlusconi di «rimandare la vodka a Putin che è un criminale di guerra e non un amico». In Italia, invece, nel mirino finisce Antonio Tajani. Da Conte a Letta fino a Calenda, tutta l'opposizione chiede che la Farnesina non sia affidata a un uomo di un partito «ambiguo». A poco servono le retromarce forziste. Berlusconi telefona a Mentana in diretta tv per chiedere che le sue dichiarazioni siano «contestualizzate», e in serata pubblica una lunga nota per denunciare l'utilizzo di «frasi rubate» e di un «dossieraggio intimidatorio» che ha «capovolto il suo reale pensiero». Mentre Licia Ronzulli apre il fronte interno al partito: «È spregiudicato, per non dire criminale, che qualcuno tra i 45 eletti alla Camera riferisca parole del presidente, che andavano contestualizzate». Ma che i gruppi siano spaccati è evidente. Al «falco» Giorgio Mulè, eletto vicepresidente della Camera con 217 voti, e a Maurizio Gasparri, scelto al Senato con 90, mancano almeno una ventina di preferenze dal centrodestra. E c'è chi giura che i franchi tiratori vadano cercati proprio trai forzisti. Magari tra quelli vicini a Tajani e Barelli, marginalizzati negli incarichi di partito. Una situazione balcanizzata, sulla quale a gettare ulteriore benzina, in serata, arriverà la durissima nota di Giorgia Meloni.
Audio di Silvio Berlusconi, individuati i responsabili. Forza Italia: “Ecco i colpevoli”. Il Tempo il 19 ottobre 2022
Dopo la diffusione del primo audio di Silvio Berlusconi e le sue parole su Vladimir Putin è subito partita dentro a Forza Italia la caccia ai responsabili che hanno fornito la registrazione a Lapresse. Ieri è stato pubblicato un altro spezzone riguardante i rapporti con Giorgia Meloni, mentre in giornata sono giunte le dichiarazioni sulla guerra tra Russia e Ucraina e su Volodymyr Zelensky, parole che hanno costretto la stessa premier in pectore a fare una precisazione sull’indirizzo di politica estera del nuovo governo.
Ma intanto dentro il partito azzurro sono stati individuati i nomi di coloro che hanno passato il file ai giornalisti. Fonti di Forza Italia all’agenzia Nova fanno sapere che “gli audio sono stati registrati da due parlamentari non ricandidati alle elezioni dello scorso 25 settembre. Il tutto sarebbe stato registrato durante l’assemblea dei deputati e - aggiunge la comunicazione arrivata dai fedelissimi di Berlusconi - ci sarebbe un terzo spezzone ancora non uscito, sempre riguardante l’Ucraina. Il tutto sarebbe stato fatto per ripicca, con Berlusconi furibondo, che sta pure valutando un intervento televisivo a Porta a Porta”.
Ugo Magri per “la Stampa” il 19 ottobre 2022.
L'ultima tecnica del Cavaliere consiste nel farsi credere un po' scordarello e giustificare così certe enormità che gli scappano dalla bocca. Per esempio: non ci sarebbe niente di vero nel racconto ai suoi deputati e senatori circa lo scambio di doni con Vladimir Putin («Per il compleanno mi ha regalato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima»).
Altrettanto falso che Silvio abbia ricambiato il pensiero con del lambrusco e un bigliettino mieloso. Lo scambio di alcolici effettivamente ci fu, certo, però risale al 2008: altri tempi altre bevute. Fonti di Arcore lo declassano a un vuoto di memoria che può capitare ai giovani, figurarsi ai nonni come lui.
Quanto ai contatti con Putin («abbiamo riallacciato i rapporti, anche un po' tanto») pure quelle pare sia tutta farina del sacco berlusconiano. Una sparata tanto per sbalordire l'audience, per catturare un po' d'attenzione. A giudicare dal clamore, il Cav c'è riuscito alla grande, sebbene allo staff non risulti alcun filo diretto, nessun contatto recente col Cremlino, al massimo di rimbalzo; comunque nulla di cui le potenze occidentali si debbano preoccupare specie ora che la destra ha sbancato il governo e Forza Italia rivendica la sua quota di bottino.
Viene fatto notare: Berlusconi non comanda dentro il partito, che è ridotto a un Circo Barnum; figurarsi se può imporre una svolta filo-Putin a Giorgia Meloni, leader volitiva dalla quale viene trattato a pesci in faccia. Nemmeno un fedelissimo come Antonio Tajani lo seguirebbe per quella strada, a Mosca lo sanno.
Come sanno che nei passaggi chiave dell'ultimo quarto di secolo l'uomo s' è sempre schierato con gli Usa. Quando lo Zio Sam ha reclamato prove di fedeltà, ha risposto «signorsì»: sull'Afghanistan, sull'Iraq, perfino sulla Libia tradendo il colonnello Gheddafi. Lo Zar non farebbe eccezione.
Però Putin gli manca. Gli manca eccome. In molti si sono meravigliati del legame tra due personaggi talmente agli antipodi, chiedendosi come possa essere sbocciato del tenero tra un tycoon della Brianza e un gelido agente del Kgb. La risposta è racchiusa nella domanda. Silvio rimase affascinato da certi tratti straordinari, da caratteristiche non banali di Vlad tra le quali, insieme all'intelligenza, spiccava la crudeltà.
Mitico il racconto che fece, davanti a testimoni, di una battuta di caccia in cui Putin gli mise in mano un fucile («Non sapevo nemmeno come tenerlo, me la facevo sotto») e lo portò nel bosco, loro due da soli. Quando passò un cervo, Vladimir «fece pumm e lo ammazzò al primo colpo; poi a balzi corse dall'animale morente, con un coltello gli strappò il cuore e me lo diede perché lo portassi a cucinare; io, senza farmi vedere, lo buttai in un cespuglio».
Però poi gli regalò una carabina di precisione Beretta; e per compiacerlo Berlusconi fece l'inqualificabile gesto del mitra a una giornalista russa che, in conferenza stampa, aveva osato chiedere a Putin se stesse per divorziare (giustamente preoccupata la cronista scoppiò in lacrime). Il business, certo, anche quello. Nei loro incontri si scambiavano dossier su energia, petrolio, automotive, progetti aerospaziali. Fiumi di gas e di miliardi. Gli Stati Uniti a lungo hanno sospettato che ben altro si nascondesse dietro quegli affari.
Ma chi ha conoscenza dei fatti li giudica più fumo che arrosto, fantasticherie con poca sostanza (si pensi al gasdotto South Stream mai realizzato); il Cav portò a casa poco al confronto di altri nostri premier che alla Russia, zitti zitti, hanno spalancato vere autostrade. Non è mai stato nei soldi il segreto del loro feeling.
Sta semmai nella sensazione, per Berlusconi impagabile, di avere trovato in Vladimir un partner, un socio, un complice con cui architettare piani grandiosi, mirabolanti, inconcepibili per le menti normali. Nelle interminabili giornate trascorse insieme a Soci sul Mar Nero, o sulle rive del lago Valdai, oppure in Sardegna a Villa La Certosa, qualche volta con figli e consorti, più spesso e volentieri senza, il Cavaliere si sentiva nell'ombelico del mondo. Per questo adesso soffre che l'amico non gli risponda al telefono, trascuri i suoi consigli, faccia a meno di lui proprio mentre vuole conquistare il pianeta. In attesa di una chiamata lo giustifica e gli copre le spalle, come ai vecchi tempi.
Ilario Lombardo per “La Stampa”’ il 19 ottobre 2022.
Tutto è saltato in aria di nuovo, tutto potrebbe tornare in gioco, nomi, ministeri, quote tra partiti. Lo si intuisce dallo sguardo di Antonio Tajani, mentre attraversa lento e preoccupato il Transatlantico semideserto. Il coordinatore di Forza Italia sa che ora, dopo le parole di Silvio Berlusconi, gli audio rubati e le dichiarazioni in chiaro dell'ex premier, c'è in ballo anche il suo di destino. Da ministro degli Esteri e da vicepremier.
«Io sono un chierichetto, so che se uno entra papa, poi esce cardinale». Prova a scherzarci su, Tajani, sui due ruoli di vertice che sembrano a un passo, ma che potrebbero evaporare se le ferite tra Berlusconi e Giorgia Meloni dovessero incancrenirsi di nuovo. Ci scherza su, consapevole però che la cosa è serissima. Se c'è un equilibrio che non va toccato, è quello atlantico. Se c'è un argomento tabù, è la Russia.
È Vladimir Putin, i suoi legami italiani, le simpatie reciproche che fanno inorridire i partner occidentali. Le bottiglie di Vodka rivendicate con orgoglio da Berlusconi non sono un semplice aneddoto godurioso, ma un brindisi che può affogare in culla il governo Meloni.
E infatti. Puntuale arrivano prima lo sgomento, poi la rabbia della premier in pectore. «Berlusconi potrebbe aver ammazzato Tajani», dicono gli uomini della leader di Fratelli d'Italia. La tesi è: come può il numero due del padre-padrone di FI vestire i panni del ministro degli Esteri, o, se dovessero cambiare i piani, di ministro della Difesa, dopo che il suo capo ha rivelato gli amabili contatti riallacciati con Putin, un paria per America, Regno Unito ed Europa, che tale resterà almeno finché non ritirerà le truppe dall'Ucraina?
La linea di Meloni, consegnata in una riunione ristretta, è di non replicare. Silenzio assoluto, evitare di dare altre sponde alle intemperanze di Berlusconi. Il problema però resta. Il leader azzurro è uno dei tre soci della maggioranza e la futura presidente del Consiglio dovrà portarlo con sé alle consultazioni al Colle assieme a Matteo Salvini, per dare l'idea di una compattezza della coalizione che si sta sgretolando. Per questo, qualcuno dei dirigenti avrebbe suggerito a Meloni di valutare l'ipotesi di andare divisi al Quirinale. Sostenendo che l'imprevedibilità di Berlusconi potrebbe riservare altre brutte sorprese davanti alle telecamere.
Meloni non vorrebbe, ma è furiosa. Anche per quel riferimento dell'ex premier al compagno, Andrea Giambruno, padre di sua figlia, dipendente Mediaset, azienda che fa capo al figlio di Berlusconi, Pier Silvio. Meloni ritiene tutto questo molto volgare. Non vuole credere a un ricatto implicito, ma più di uno dentro FdI ha già evocato il trattamento che subì l'ex alleato di An Gianfranco Fini sulla casa di Montecarlo, attraverso le testate giornalistiche della family di Arcore.
La convivenza di Berlusconi si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia - visti i processi a suo carico - e sulle tv di famiglia, sono già una scocciatura non da poco. Ma il tema dei rapporti con Mosca è pura dinamite, tanto più che l'altro partner di governo è Salvini, il leader a cui si deve la scelta di nominare presidente della Camera Lorenzo Fontana, che alla prima intervista ha messo in dubbio le sanzioni contro Putin.
Chi le ha parlato la descrive pronta a tutto. Persino a minacciare di tornare al voto, sicuramente pronta a rimescolare la cabala dei ministeri. C'è chi suggerisce di sostituire Tajani agli Esteri con Guido Crosetto, per rassicurare gli alleati americani. Ma è una reazione a caldo, frutto dell'indignazione collettiva verso Berlusconi.
È probabile, invece, che in squadra entrerà Luca Ciriani, capogruppo in Senato di FdI, mentre sulla Giustizia Meloni è decisa a difendere la scelta dell'ex magistrato Carlo Nordio. La smentita, fatta filtrare dal partito, di aver siglato un accordo con Berlusconi per cedere il dicastero di Via Arenula alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, potrebbe non bastare. Il presidente azzurro lo ha ribadito ieri ai suoi parlamentari: «La Giustizia tocca a noi».
Una pretesa che nelle prossime ore potrebbe fare da inciampo alla voglia di Meloni di chiudere il più in fretta possibile le trattative e giurare davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella già questo week-end. Ma serve almeno una giornata senza scossoni, però. Bisogna placare Berlusconi, evitare che i suoi show compromettano la nascita dell'esecutivo di destra.
Berlusconi senza freni cerca il palcoscenico. Meloni furiosa sospende le trattative ed anche la nomina Tajani torna in discussione. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 19 Ottobre 2022.
La presenza di Berlusconi nell'alleanza di centrodestra si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia (visti i processi in cui il Cavaliere è imputato) e sulle tv di famiglia, costituiscono già una mina vagante pronta ad esplodere.
Tutto è di nuovo in discussione e potrebbe tornare in gioco, nomine, ministeri, quote tra partiti dopo le esternazioni da “prima donna” mancata (o stagionata) di Silvio Berlusconi. Lo si intuisce dalla faccia di Antonio Tajani, intercettato mentre attraversa lento e preoccupato il Transatlantico della Camera dei Deputati semideserto. Il coordinatore di Forza Italia intuisce che adesso, dopo le esternazioni irresponsabili di Berlusconi, gli audio rubati e le dichiarazioni pubbliche dell’ex premier, adesso anche il suo destino politico è in ballo.
Da quasi certo ministro degli Esteri e vicepremier, adesso di certo non c’è più nulla.”Io sono un chierichetto, so che se uno entra papa, poi esce cardinale”. dice Tajani provando a scherzarci su, riferendosi ai due ruoli di vertice che sembravano conquistati, ma che adesso potrebbero svanire se i veleni di Berlusconi con Giorgia Meloni dovessero continuare di nuovo. Antonio Tajani ci scherza su, ma è ben consapevole che a questo punto la vicenda si fa serissima.
Se c’è un punto che non va toccato, è quello dell’alleanza atlantica. E se c’è un argomento da non sfiorare minimamente, è la Russia, Vladimir Putin, i suoi legami italiani, le simpatie reciproche che fanno inorridire i partner occidentali. Le bottiglie di Vodka rivendicate con orgoglio da Berlusconi non sono un semplice aneddoto goliardico, ma un brindisi che può affogare le aspettative dei forzisti.
“Il ministero della Giustizia alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. L’accordo è stato trovato assolutamente”. Silvio Berlusconi, lasciando la Camera, si è espresso così ‘assegnando’ senza alcun titolo ed accordo la poltrona di ministro della Giustizia all’ex presidente del Senato. Giorgia Meloni ha dunque detto sì sul nome di Casellati ? “Sì, sì”, ha replicato sicuro il Cavaliere aggiungendo: “Nordio lo incontro per conoscerlo e vedere qual è l’apporto che può dare alla riforma della giustizia“. Solo che la Meloni non ha mai detto di si sulla Casellati alla Giustizia, e Nordio non ha mai nè incontrato, nè ricevuto alcuna indicazione o invito ad incontrare Berlusconi.
Puntualmente emergono prima lo sgomento, quindi la rabbia della premier in pectore vincitrice indiscussa delle elezioni politiche. “Berlusconi potrebbe aver ammazzato Tajani”, dicono gli uomini più vicini alla leader di Fratelli d’Italia. Il punto è questo: come può il numero due del padre-padrone di Forza Italia assumere il ruolo di ministro degli Esteri, o, se dovessero cambiare i piani, di ministro della Difesa, dopo che il suo leader ha rivelato gli amabili contatti riallacciati con Putin, il nemico numero uno per America, Regno Unito ed Europa, e che tale resterà sino a quando non ritirerà le truppe dall’Ucraina?
L’indicazione di Giorgia Meloni affidata ai suoi in una riunione ristretta, è quella di non replicare. Silenzio assoluto, evitare di dare altre sponde alle intemperanze di Berlusconi. Ma il problema resta ed è pesante. Il leader azzurro è uno dei tre soci della maggioranza e la futura presidente del Consiglio dovrà portarlo con sé alle consultazioni al Colle assieme a Matteo Salvini, per dare un’immagine di una compattezza della coalizione che in realtà si sta sgretolando per le gelosie di Berlusconi con la Lega e l’invidia con Fratelli d’ Italia. Per questo motivo qualcuno dei dirigenti avrebbe suggerito alla Meloni di valutare l’ipotesi di salire divisi al Quirinale, preoccupati che l’imprevedibilità ormai ingestibile di Berlusconi, a cui inizia a mancare saggezza ed equilibrio politico, davanti alle telecamere potrebbe riservare altre brutte sorprese.
Giorgia Meloni non vorrebbe salire al Colle divisa dagli alleati, ma in realtà è giustamente furiosa. Anche per quel riferimento dell’ex premier al compagno, Andrea Giambruno, padre di sua figlia, “dipendente Mediaset”, azienda che fa capo alla famiglia Berlusconi. La Meloni ritiene tutto questo molto volgare. E secondo noi e non solo, ha più che ragione. Non vuole credere a un ricatto sotterraneo, ma più di uno dentro FdI ha già ricordato il trattamento che l’ex alleato di An Gianfranco Fini subì sulla casa di Montecarlo, attraverso le testate giornalistiche della famiglia di Arcore, ed i Servizi utilizzati a proprio uso e consumo.
Silvio Berlusconi all’uscita del Tribunale di Bari dove è imputato
La presenza di Berlusconi nell’alleanza di centrodestra si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia (visti i processi in cui il Cavaliere è imputato) e sulle tv di famiglia, costituiscono già una mina vagante pronta ad esplodere. La questione dei suoi rapporti con Mosca è puro “tritolo”, tanto più che l’altro partner di governo è Matteo Salvini, il leader a cui si deve la scelta di nominare presidente della Camera Lorenzo Fontana, che alla prima intervista ha messo in dubbio le sanzioni contro Putin .
Chi ha parlato in privato con la Meloni la descrive pronta a tutto. Persino a minacciare di tornare al voto, sicuramente pronta a rimescolare la lista dei ministeri. C’è chi suggerisce di sostituire Tajani agli Esteri con Guido Crosetto, per rassicurare l’ alleanza atlantica. Ma è una reazione a caldo, frutto dell’indignazione generale verso Berlusconi. È probabile che in squadra entrerà Luca Ciriani, capogruppo in Senato di FdI, mentre sulla Giustizia Meloni è decisa e rigida a difendere la scelta dell’ex magistrato Carlo Nordio.
La smentita circolata ufficiosamente di aver siglato un accordo con Berlusconi per cedere il dicastero di Via Arenula alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, potrebbe non bastare. Il presidente azzurro lo ha ribadito ieri ai suoi parlamentari: “La Giustizia tocca a noi”. E non si discute.
La pretesa di Berlusconi data in pasto ai cronisti, come accordo raggiunto con la Meloni (contrariamente al vero) che nelle prossime ore potrebbe fare da ostacolo alla voglia di Meloni di chiudere il più in fretta possibile le trattative e giurare davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella già durante questo week-end. Serve però almeno una giornata di chiarezza, senza scossoni. Bisogna frenare le esternazioni di Berlusconi, evitare che i suoi show da avanspettacolo, compromettano ancora una volta la nascita dell’esecutivo di destra.
Redazione CdG 1947
I problemi a livello internazionale dai nuovi audio «pro Putin» di Berlusconi. Luciano Tirinnanzi il 19 Ottobre 2022 su Panorama.
Sono stati diffusi nuovi stralci dei discorsi del leader di Forza Italia in cui di fatto si schiera accanto a Putin e contro Zelensky. E scoppiano le polemiche in Italia ed all'estero. Meloni: «O un governo pro Nato o niente governo». Berlusconi in serata: «Io atlantista».
Saranno pure opinioni personali estorte da un incontro riservatissimo. Ma le frasi pronunciate da Silvio Berlusconi – che vengono fatte uscire a singhiozzo in queste ore convulse dall’Agenzia Lapresse – creeranno inevitabilmente un incidente politico nazionale ed internazionale, giusto a poche ore dall’incarico che il presidente della Repubblica dovrebbe conferire a Giorgia Meloni per la formazione di un governo di centrodestra. Anche perché gli audio di quei commenti sono arrivati alla stampa grazie a un parlamentare luciferino, che - vuoi per ragioni personali o perché è in realtà un guastatore doppiogiochista – ha prima registrato e poi girato quel nastro scottante alla stampa, dove il leader di Forza Italia discetta di politica estera e offre la sua visione agli accoliti forzisti, tendendo a giustificare Vladimir Putin praticamente in ogni passaggio della storia recente e attaccando il presidente ucraino («Zelensky? Lasciamo perdere...» seguito dagli applausi e dalle risatine dei presenti)
Il punto più scivoloso, su cui si crogiolano i cronisti politici, attiene all’infelice commento relativo al fatto che l’Ucraina abbia «buttato al diavolo» il trattato di Minsk per porre fine alla guerra nell’Ucraina orientale, e che un anno dopo abbia cominciato «ad attaccare le frontiere delle due repubbliche del Donbass», triplicando le operazioni belliche. Come se non bastasse, Berlusconi rincara la dose, affibbiando al presidente russo addirittura un apostolato salvifico: «Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu» avrebbero pigolato i presidenti delle Repubbliche del Donbass di fronte al titolare del Cremlino, secondo Berlusconi. Al che, Putin avrebbe risposto a quell’appello accorato, e si sarebbe deciso a «inventare l’operazione speciale», che poi altro non è se non l’invasione dell’Ucraina. Ecco perché, secondo il capo forzista, Putin in fondo «è una persona per bene», com’ebbe a dire già qualche tempo fa davanti a un compunto Bruno Vespa nel salotto di Porta a Porta. Mentre sul leader ucraino l’opinione di Berlusconi non è delle migliori: «Zelensky secondo me... lasciamo perdere, non posso dirlo...». Almeno su un fatto, però, l’ex premier ha completamente ragione: «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c'è nessun modo possibile». Ora, di là dalla disamina geopolitica, dalle strumentalizzazioni e dalle facili ironie sul senatore Berlusconi, il fatto che il fondatore del centrodestra assuma una posizione non in sintonia (per usare un eufemismo) con quella che sappiamo essere quella ufficiale – in ordine: di Washington, dell’Unione Europea, del Partito Popolare Europeo, della presidenza della Repubblica, del governo italiano, del partito di maggioranza Fratelli d’Italia, eccetera – è piuttosto grave, soprattutto per le conseguenze internazionali. Giorgia Meloni si sente giustamente sotto ricatto e per questo ha diramato una nota in cui lascia spazio zero ai dubbi, arrivando persino a ipotizzare di far saltare tutto: «"Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Chi non fosse d'accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo". L'Italia con noi al governo non sarà mai l'anello debole dell'occidente, la nazione inaffidabile tanto cara a molti nostri detrattori. Rilancerà la sua credibilità e difenderà così i suoi interessi. Su questo chiederò chiarezza a tutti i ministri di un eventuale governo. La prima regola di un governo politico che ha un forte mandato dagli italiani è rispettare il programma che i cittadini hanno votato». Insomma, tutto rimesso in gioco per la terza volta in tre giorni, anche se la sensazione è che alla fine l'accordo si farà, non fosse altro per mancanza di alternative. Dunque, non saranno certo le parole di Berlusconi a minare la nascita del governo o ad allontanare Roma dalla fedeltà all’Alleanza Atlantica e dal sostegno all’Ucraina. Semmai saranno i singoli parlamentari un minuto dopo che il governo sarà nato a dar vita a quelle bagarre, ribaltoni, fughe verso i gruppi misti, che hanno caratterizzato da sempre la vita parlamentare in quel di Montecitorio (e c’è, da giurarci, ancor prima accadeva a Palazzo Carignano a Torino e a Palazzo Vecchio a Firenze). In tutto questo, immediate, sono arrivate sull'Italia le reazioni estere, poco piacevoli. Non è un caso che domani Antonio Tajani (che forse si sta giocando quella che sembrava una certa nomina al Ministero degli Esteri e non a caso con un tweet si è subito schierato a fianco di Zelensky) andrà a Bruxelles per spiegare ai colleghi del Partito Popolare Europeo che la posizione anche di Forza Italia è filo-atlantista e pro Ucraina, come dimostrato dai voti di Forza Italia a fianco e sempre favorevoli alle decisioni del Governo di Mario Draghi. Diversi paesi e cancellerie comunque hanno già colto la palla al balzo per gettare scredito e dubbi sul Governo Meloni, non ancora nato. Difficoltà internazionali e difficoltà interne. Il tutto con sempre meno tempo a disposizione, per Giorgia Meloni e non solo per lei. Ps. Poco fa Silvio Berlusconi ha condiviso una nota: In 28 anni di vita politica la scelta atlantica, l’europeismo, il riferimento costante all’Occidente come sistema di valori e di alleanze fra Paesi liberi e democratici sono stati alla base del mio impegno di leader politico e di uomo di governo. Come ho spiegato al Congresso degli Stati Uniti, l’amicizia e la gratitudine verso quel Paese fanno parte dei valori ai quali fin da ragazzo sono stato educato da mio padre. Nessuno, sottolineo nessuno, può permettersi di mettere in discussione questo. Non può certamente permettersi di farlo la sinistra, che tante volte è stata dalla parte sbagliata della storia. Tantomeno la sinistra del Partito Democratico, che anche alle ultime elezioni, meno di un mese fa, era alleata con i nemici della NATO e dell’Occidente. Tutto questo però non esisterebbe, se non vi fosse in Italia la pessima abitudine di trasformare la discussione politica in pettegolezzo, utilizzando frasi rubate registrate di nascosto, e appunti fotografati con il teleobbiettivo, con un metodo non solo sleale ma intimidatorio. Un metodo soprattutto che porta a stravolgere e addirittura a rovesciare il mio pensiero, usando a piacimento brandelli di conversazioni, attribuendomi opinioni che stavo semplicemente riferendo, dando a frasi discorsive un significato del tutto diverso da quello reale. La colpa non è degli organi di informazione, ovviamente costretti a diffondere queste notizie, è di chi usa questi metodi di dossieraggio indegni di un Paese civile. Senza questo, non sarebbe necessario ribadire l’ovvio. La mia posizione personale e quella di Forza Italia non si discostano da quella del Governo Italiano, dell’Unione Europea, dell’Alleanza Atlantica né sulla crisi Ucraina, né sugli altri grandi temi della politica internazionale. Lo abbiamo dimostrato in decine di dichiarazioni ufficiali, di atti parlamentari, di voti alle Camere. Interrogarsi sulle cause del comportamento russo, come stavo facendo, ed auspicare una soluzione diplomatica il più rapida possibile, con l’intervento forte e congiunto degli Stati Uniti e della Repubblica cinese, non sono atti in contraddizione con la solidarietà occidentale e il sostegno al popolo ucraino. Del resto alla pace non si potrà giungere se i diritti dell’Ucraina non saranno adeguatamente tutelati.
Zar per una notte. Berlusconi precisa e rettifica, ma non si smentisce mai (e noi italiani nemmeno). Francesco Cundari su L'Inkiesta il 19 Ottobre 2022.
Il Cavaliere parla a ruota libera di Meloni e del governo, ma soprattutto di Putin e della guerra. E come al solito dice quello che molti pensano ma non hanno, giustamente, il coraggio di dichiarare. Tranne Fontana, che purtroppo ce l’ha.
Silvio Berlusconi, come al solito, passa un’enorme quantità di tempo a precisare, puntualizzare e rettificare, ma non si smentisce mai. Non ha mai detto che Giorgia Meloni avesse tenuto un comportamento «supponente, prepotente, arrogante, offensivo», come scritto, a caratteri ben leggibili, nel famoso foglietto fotografato in Senato (quelle erano le opinioni degli altri parlamentari di Forza Italia che lui si era diligentemente appuntato; il suo personale giudizio era «su un altro foglio», ed era, ovviamente, «assolutamente positivo»). Non ha mai avuto l’intenzione di non far eleggere Ignazio La Russa presidente del Senato, e la scelta di non partecipare alla prima votazione – compiuta del resto dai senatori di Forza Italia, com’è noto, indipendentemente dalla sua volontà – sarebbe comunque rientrata alla seconda, perché l’unica cosa che intendevano fare era dare un segnale. E mentre questo articolo va in stampa (si fa per dire) scopriremo certamente che non avrà detto nulla neanche sulla lista dei ministri, su Elisabetta Casellati alla Giustizia al posto di Carlo Nordio, sui suoi battibecchi con Meloni e su tutti gli altri argomenti con cui ieri ha riempito agenzie, telegiornali e talk show.
Soprattutto, stando almeno a quanto prontamente spiegato da una nota di Forza Italia, Berlusconi non ha mai detto di avere riallacciato i rapporti con Vladimir Putin, come rivelato dall’agenzia La Presse, essendosi limitato piuttosto a raccontare «una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa».
Questa la trascrizione dell’audio pubblicato, subito dopo la smentita, da La Presse: «I ministri russi in diverse occasioni hanno detto che noi siamo già in guerra con loro, perché? Perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina. Io personalmente non posso esprimere il mio parere perché se poi viene raccontato alla stampa o altro, eccetera, viene fuori un disastro, però sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po’ i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto, nel senso che per il mio compleanno mi ha mandato venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima, io gli ho risposto con delle bottiglie di Lambrusco e una lettera altrettanto dolce. Io ero stato dichiarato da lui il primo dei suoi cinque veri amici».
Queste le parole che ciascuno può ascoltare dalla viva voce di Silvio Berlusconi, quattro volte presidente del Consiglio, leader di un importante partito della maggioranza impegnato nelle trattative sulla formazione del nuovo governo.
Del resto, non è un caso che quest’uomo abbia dominato come nessun altro la politica italiana per quasi trent’anni: non perché qualcuno abbia mai creduto alle sue smentite, ma per l’esatto contrario. Nessuno dei suoi elettori si è mai bevuto la storia della nipote di Mubarak, il che non vuol dire affatto che non l’abbiano apprezzata, probabilmente perché convinti che fossero sempre altri, gli odiati avversari, a doverla mandar giù.
Berlusconi è Berlusconi anche grazie alle sue storie e alla sua impudenza, ai suoi qui lo dico e qui lo nego, e proprio per questo è stato ed è ancora oggi capace di rappresentare milioni di italiani, persino più di quelli che poi effettivamente lo votano.
Con il suo stile, ancora una volta, dice quello che molti pensano ma non hanno, giustamente, il coraggio di dichiarare. Tranne Lorenzo Fontana, che quel coraggio purtroppo ce l’ha, e da neoeletto presidente della Camera giusto oggi dice che le sanzioni alla Russia «potrebbero essere un boomerang».
Eppure, nonostante tutto, molto più di Matteo Salvini o di Nicola Fratoianni, è Berlusconi a rappresentare il sentimento profondo di tanti italiani che vorrebbero abbandonare l’Ucraina al suo destino, non per ragioni ideologiche e tanto meno geopolitiche, forse nemmeno per timore della bomba atomica, ma perché intendono il pacifismo semplicemente come il diritto di essere lasciati in pace, e lo considerano l’unico diritto davvero inalienabile.
Berlusconi li rappresenta non nonostante, ma grazie alle sue reiterate smentite, così simili a quelle di tanti altri sostenitori della medesima causa, sempre pronti a scattare gonfi d’indignazione al primo che si permetta di definirli putiniani, solo perché ripetono tutte le balle della propaganda putiniana, così come fino a ieri facevano tanti intellettuali, di destra e di sinistra, con i loro dubbi e i loro distinguo sui vaccini o sul green pass, quando qualcuno si azzardava a dar loro di no vax.
Silvio Berlusconi, in realtà, li rappresenta tutti, da sempre, più e meglio di quanto essi stessi siano capaci di rappresentarsi e di riconoscersi per quello che sono. Ed è per questo, forse solo per questo, che è ancora là.
Putiniani per procura. L’insopportabile ipocrisia di chi dice da mesi le stesse cose di Berlusconi, ma s’indigna se le dice lui. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 20 Ottobre 2022
Conte, che appena un mese fa invitava a non dire che il leader russo non volesse la pace, si scandalizza perché il Cavaliere lo definisce, per l’appunto, un «uomo di pace». Ma che differenza c’è tra queste parole e i tanti discorsi sulla «guerra per procura» e l’«oltranzismo atlantico»?
Mentre continuano a uscire spezzoni sempre più inquietanti del discorso pronunciato da Silvio Berlusconi davanti ai parlamentari di Forza Italia, la prima domanda che vien fatto di porsi è come qualificarlo: lo si potrà definire putiniano?
Sinceramente, sarei tentato di rispondere di no. Non perché non pensi che attribuire la responsabilità della guerra a Volodymyr Zelensky, che si sta difendendo, anziché a Vladimir Putin, che attacca, non sia più che sufficiente a meritare il titolo. Ma perché non lo abbiamo ritenuto sufficiente finora, accettando che discorsi dal significato assolutamente identico, appena dissimulato in formulazioni soltanto un filo più furbe, cioè più ipocrite, venissero spacciati per qualcosa di diverso da quello che erano. Pura e semplice propaganda putiniana.
Giuseppe Conte, il leader del Movimento 5 stelle che appena un mese fa dichiarava testualmente: «La pace va costruita, nessuno ci dica che Putin non la vuole» (per la precisione il 6 settembre, dagli studi di Telelombardia), s’indigna oggi perché Berlusconi definisce Putin un «uomo di pace». Facendo cioè esattamente quello che aveva chiesto Conte.
Da giorni la Russia utilizza droni iraniani per uccidere quanti più civili possibile a Kiev e in altre città ucraine lontanissime dal fronte. Attacchi privi della benché minima utilità militare, che hanno l’unico scopo di seminare panico e morte tra uomini, donne e bambini. Putin fa sparare su ospedali e ambulanze, ma soprattutto prende di mira le centrali elettriche, con il trasparente obiettivo di far morire di freddo la popolazione.
Ma tutto questo non viene nemmeno notato, come se non avesse alcuna importanza, tanto meno da parte dei tanti che oggi s’indignano per le vergognose parole di Berlusconi.
Di certo, tutto questo non sembra interferire affatto con le loro disquisizioni sulla necessità di fermare subito le armi e portare le due parti al tavolo del negoziato, perché la pace si fa in due, e non possiamo mica rischiare una guerra nucleare, no? Tanto meno scalfisce i loro ragionamenti quello che nel frattempo accade nelle zone occupate, dove ora Putin ha dichiarato la legge marziale.
Che differenza c’è, se guardiamo alla sostanza, alle premesse logiche e alle conseguenze pratiche, tra quanto dichiarato da Berlusconi e quanto dichiarato da chi continua a parlare di «guerra per procura», a parlare di Zelensky come di una marionetta degli americani, a dire o lasciar intendere in mille modi che il vero motivo per cui alla pace non si arriva è «l’oltranzismo atlantico», l’atteggiamento «bellicista» dell’Europa, l’aggressività della Nato o dello stesso Zelensky (che nei giorni pari è la marionetta degli americani e nei giorni dispari è il vero responsabile dell’escalation, contro il volere degli stessi Stati Uniti).
Che differenza c’è, in concreto, tra quanto dichiarato da Berlusconi e quanto dichiarato mille volte da Conte, dai firmatari del recente appello per un «negoziato credibile» pubblicato su Avvenire (tra cui fior di intellettuali di sinistra), da tutta l’eletta schiera degli opinionisti fissi di La 7 e Fatto quotidiano, da tutti quelli che continuano a denunciare la presunta «subalternità» dell’Italia agli Stati Uniti, all’Europa, alla Nato o ai paesi maggiormente impegnati nel sostegno all’Ucraina, squalificandoli come «bellicisti»? Qual è il succo di tutti questi discorsi, se non che il problema non è fermare Putin, ma fermare Zelensky? E quindi, cos’hanno tanto da indignarsi con Berlusconi, se stanno dicendo, in forme neanche tanto diverse, la stessa cosa?
L’unica differenza, molto labile, è che loro non dimenticano mai di premettere che condannano l’aggressione di Putin, che riconoscono il fatto che c’è un aggredito e un aggressore, e che insomma, come suol dirsi, hanno tanti amici ucraini.
Cosa ha detto Berlusconi su Putin e ministri e cosa vuol dire che ha picconato l’accordo con Meloni. Tommaso Labate su Il Corriere della Sera il 19 Ottobre 2022.
Due dichiarazioni che fanno traballare l’accordo da poco trovato per il nuovo governo. Berlusconi prima dice «ho riallacciato i rapporti con Putin» e poi che Casellati sarà la ministra della Giustizia. Due uscite non gradite a Giorgia Meloni.
Inizia e finisce con due cose dolci, l’una in senso lato, l’altra in senso stretto. La prima, entrando alle 13.41 a Palazzo Madama, è il dichiararsi «assolutamente a disposizione» rispetto all’idea di diventare il consigliere di Giorgia Meloni; la seconda sono le crêpes a cui non resiste mentre la compagna Marta Fascina prende un gelato, il tutto suggellato da una foto sui social network pubblicata alle 18.38.
Nelle 4 ore e 57 minuti che separano i consigli dalle crepes, Silvio Berlusconi trasforma in un incrocio tra «drammatico», «giallo» e per certi aspetti «grottesco» il film della costruzione del governo Meloni. Perché candidamente rivela di «a ver riallacciato i rapporti con l’amico Putin». E perché poi rivendica - come acquisita - l’assegnazione del ministero della Giustizia alla forzista Maria Elisabetta Casellati. Una dopo l’altra, in onda o con la sola voce registrata, l’ex presidente del Consiglio infila una serie di dichiarazioni che riportano l’orologio dello scontro con Meloni al drammatico faccia a faccia di giovedì scorso a Montecitorio quasi cancellando l’accordo di pace siglato a via della Scrofa. Torna altissima la tensione nel centrodestra e l’opposizione va all’attacco.
La cifra stilistica con cui il Cavaliere spazia da un campo all’altro, dal censimento sulla distribuzione dei ministeri alle «lettere affettuose» con Vladimir Putin, ricordano le «picconate» del suo vecchio e compianto amico Francesco Cossiga. Ne basterebbe una sola, quella dell’annuncio (smentito) da Fratelli d’Italia sull’«accordo con Meloni sull’ex seconda carica Casellati al ministero della Giustizia», per far tremare tutti i tavoli della trattativa. Ne arriveranno parecchie altre.
«Se il ministro della Giustizia sarà Nordio? No», risponde Berlusconi a un gruppo di cronisti che lo avvicina al Senato. Quindi non c’è l’accordo? «L’accordo c’è. Meloni mi ha chiesto di incontrare Nordio, “che è bravissimo, magari ti convince”. E io lo incontrerò. Ma sono già convinto sulla Casellati». Sono da poco passate le 15. Il primo dello staff della Meloni che vede il lancio di agenzia sbianca, chiede lumi alla leader e ritorna davanti a un computer con la consegna di smentire. In realtà sarà impossibile correggere in tempo reale tutte le fughe in avanti di un Cavaliere loquace come non mai. Prima di lasciare Palazzo Madama, il leader di Forza Italia - rompendo la consegna del silenzio pubblico sui nomi dei ministri - elenca la sua personalissima lista della delegazione azzurra: Tajani vicepremier e ministro degli Esteri; Saccani all’Università, Bernini alla Pubblica amministrazione, Pichetto Fratin alla transizione ecologica e, per l’appunto, Casellati alla Giustizia. In serata, quest’ ultima riceverà una telefonata di Meloni: «Nulla contro di te ma per la Giustizia ho già deciso».
«Vedo che sopravvivete alle vostre balle. Tutto quello che è stato scritto in questi giorni, compreso l’intervento dei miei familiari, non è vero», argomenta il Cavaliere una volta fuori dal Palazzo. In un pezzo dell’intervista già rilasciata dentro, che però ancora non è stata diffusa, ha dichiarato che «la signora Meloni è amica di mio figlio (Pier Silvio, ndr)», frase che suonerà come una conferma indiretta al lavorio dei familiari per far rientrare le crisi. E ancora: «Anche il suo uomo (Andrea Giambruno, ndr) lavora a Mediaset». Quella formula - «signora Meloni» - ritorna parecchie volte. Tolta, forse, la ricostruzione parziale della vicenda del foglietto con gli aggettivi, «riportavo frasi ascoltate dai miei senatori», versione che il Cavaliere aveva già anticipato a Meloni nel faccia a faccia di lunedì.
Dall’assemblea dei gruppi del Senato arrivano in differita, pubblicati da LaPresse, altri fendenti che Berlusconi indirizza alla «signora Meloni». «Mi ha riso in faccia», spiega il Cavaliere raccontando della trattativa di giovedì scorso, quando chiedeva una compensazione in termini di caselle di governo («Tre ministeri in più») rispetto alle presidenze delle Camere finite a FdI e Lega. Poi il giallo si fa intrigo internazionale: l’amicizia ritrovata con Putin, «mi ha scritto per il compleanno una lettera affettuosa, ho risposto con una lettera altrettanto affettuosa», venti bottiglie di vodka che hanno viaggiato da Mosca ad Arcore, venti bottiglie di Lambrusco che hanno percorso la tratta in senso contrario.
I l prequel del film si gira lunedì sera a cena, a Villa Grande. Presenti, oltre a Berlusconi e Marta Fascina, Licia Ronzulli, Alessandro Cattaneo e Antonio Tajani. Per tutta la sera, il titolare il pectore della Farnesina respingerà attacchi che arrivano da tutti i lati. «Dobbiamo lavorare per arrivare presto al governo», dice lui. «Eccolo, parla già come la Meloni, dice le stesse cose che dice la Meloni», risponderanno a turno gli altri commensali. Sarebbe stata proprio la fidanzata di Berlusconi a suggerire il declassamento della «colomba» Anna Maria Bernini a ministero di fascia B (Pubblica amministrazione) e l’ascesa di Gloria Saccani Jotti, «che sarebbe un ottimo ministro dell’Università». Al momento dei saluti il fronte dei governisti subisce l’annuncio di Ronzulli come prossima capogruppo al Senato. Rimane aperta la possibilità che Paolo Barelli possa fare il capogruppo alla Camera. «Domani vediamo, dai», dice Berlusconi. Ieri mattina l’annuncio che il prescelto è Alessandro Cattaneo. E poi, a seguire, le picconate. Fino alle crepes.
"Se Ucraina entra nella Nato sarebbe la guerra mondiale". L’audio di Berlusconi: “Da Putin lettera dolcissima per il mio compleanno. Meloni? Mi ha riso in faccia, impari a parlare”. Redazione su Il Riformista il 18 Ottobre 2022.
Non c’è pace per Giorgia Meloni e per il centrodestra. Dopo il vertice con Silvio Berlusconi e l’annuncio di salire insieme al Quirinale dal presidente della Repubblica per presentare la nuova, possibile, squadra di governo, è la pubblicazione di un audio esclusivo di LaPresse a creare nuovamente scompiglio nella coalizione che alle scorse elezioni politiche ha ottenuto il 44% dei consensi.
Un audio smentito da Forza Italia che chiarisce le dichiarazioni di Berlusconi su una ripresa dei rapporti con il presidente russo Vladimir Putin. Secondo la versione diffusa dal partito azzurro, l’ex premier “ha raccontato ai parlamentari una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa”.
LaPresse, tuttavia, ha pubblicato l’audio, relativo all’intervento del Cavaliere alla riunione dell’assemblea di Forza Italia alla Camera per l’elezione dei capogruppo, dove Berlusconi parla al presente, facendo riferimento alla guerra in corso in Ucraina: “I ministri russi hanno già detto in diverse occasioni che siamo noi in guerra con loro, perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina. Io non posso personalmente fornire il mio parere perché – spiega – se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto”.
Poi racconta il regalo ricevuto per il suo compleanno. Berlusconi è nato il 29 settembre. Non è chiaro se il riferimento è alle 86 primavere festeggiate poche settimane fa o se a un episodio avvenuto in passato. “Putin per il mio compleanno – racconta -mi ha mandato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima. Io gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Io l’ho conosciuto come una persona di pace e sensata…”, ha raccontato ancora Berlusconi che parlando del conflitto in Ucraina ha poi aggiunto: “Troppo spesso sentiamo parlare di interventi con bombe nucleari. Dio ci salvi e scampi da questo pericolo. L’Ucraina ha chiesto addirittura di entrare nella Nato. Se entrasse nella Nato la guerra sarebbe guerra mondiale”.
Un passaggio anche sull’incontro di ieri, lunedì 17 ottobre con Giorgia Meloni: “Ieri con la signora abbiamo parlato anche di ministri, che erano quattro e sono saliti a cinque. Ma io ho insistito perché la Lega ha già avuto qualcosa più di noi perché la signora Meloni si è tenuta la presidenza del Senato, e io le ho detto che deve imparare da capo di un governo almeno ad usare il condizionale. Quando parli dei tuoi alleati dovresti dire ‘il Senato mi piacerebbe tenerlo per Fdi’ e non ‘il Senato è mio‘, perché così non si fa”.
Poi aggiunge: “Io ho fatto quattro volte il presidente del Consiglio, e il presidente del Consiglio deve essere aperto e generoso nei confronti degli alleati se vuol tenere unita la coalizione. La presidenza della Camera l’ha data alla Lega e, da che mondo è mondo, in Italia la presidenza del Senato vale due ministeri per chi non ce l’ha, vale un ministero la presidenza della Camera. Quindi noi gli abbiamo chiesto tre ministeri, mi ha riso in faccia, ne ho chiesti due, ha riso ancora, ne ho chiesto uno, ha detto ok. Questa è la situazione che ho trovato“.
Sui rapporti amichevoli con Putin, che da settimane chiede al governo di Zelensky di negoziare la fine della guerra, Berlusconi si era già espresso nel recente passato. Pochi giorni prima del voto dello scorso 25 settembre, il leader di Forza Italia ha dovuto chiarire un suo intervento nella trasmissione “Porta a Porta” su Rai 1 condotta da Bruno Vespa. Le sue parole iniziale sono state: “Putin doveva solo sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky”. Poi la precisazione: “Riferivo parole di altri, io contrario ad aggressione Kiev”.
Lo stesso Berlusconi, a poche settimane dall’inizio della guerra, condannò l’invasione di Putin: “Non posso e non voglio nascondere di essere profondamente deluso ed addolorato dal comportamento di Vladimir Putin, che si è assunto una gravissima responsabilità di fronte al mondo intero”. Posizione, almeno inizialmente, contro il governo Draghi anche per quanto riguarda l’invio delle armi: “Siamo in guerra anche noi perché mandiamo le armi” a Zelensky. Poi il dietrofront: “Kiev va aiutata a difendersi”. In altre occasioni Berlusconi, così come Salvini e altri leader politici ed esponenti della classe imprenditoriale, avevano criticato le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia a causa delle forti ripercussioni sull’economia italiana.
Berlusconi resta ancora quell’anomalia politica con cui fare i conti. Il Cav vuole esercitare ancora una funzione proprietaria sulla coalizione, reclamando il ruolo di chi decide in ultima istanza. Paolo Delgado su Il Dubbio il 20 ottobre 2022
Non è normale che un papabile ministro della Giustizia venga ricevuto nella villa di un capo partito che con la giustizia ha un conto sempre aperto, presumibilmente per esporgli il suo programma, presumibilmente per ottenere l’approvazione e forse la correzione del medesimo programma e il semaforo verde sulla sua nomina. Non è neppure normale che un leader di partito metta in piazza i propri «dolcissimi» rapporti con un capo di Stato, col quale incidentalmente l’Italia è in quasi guerra, non per invocare un cambio nella politica del suo schieramento ma solo per far valere una minaccia volta a strappare un’importante postazione nel governo. Neppure è normale che, per risolvere una crisi politica, ci si rivolga ai figli del capo riottoso tra cui la pargola che guida le aziende di papà.
Tutto ciò non è normale, più precisamente è in clamoroso contrasto con qualsiasi regola di correttezza politico istituzionale e con ogni chimera di limpidezza politica, e allo stesso tempo è normalissimo, consueto. È la normalità nella quale la politica italiana naviga da tre decenni e dunque quasi non fa più sensazione. È significativo che, nel commentare il braccio di ferro tra Berlusconi e Meloni, nessuno di quelli che avevano strillato a pieni polmoni per decenni denunciando il conflitto di interessi e i criteri di selezione delle cariche in Forza Italia abbia segnalato che proprio quella anomala normalità Giorgia Meloni prova oggi a revocare in dubbio.
Raccontarsi il conflitto Meloni-Berlusconi solo come il braccio di ferro fra un leader in declino che non vuole passare la mano e una giovane in ascesa che fatica a trovare la via diplomatica per far ingoiare all’ex sovrano l’amara pillola non è in sé sbagliato ma non è neppure esaustivo. In ballo c’è molto di più. C’è l’anomalia che, in tandem con l’eterno rifiuto del PdS- Ds- Pd di dotarsi di un’identità politica precisa, ha precipitato il sistema politico italiano nella confusione totale in cui sta annegando. La guerriglia berlusconiana di questi giorni è solo l’ultima incarnazione della anomalia costituita dalla presenza in campo, con ruoli diversi a seconda delle circostanze storiche però sempre determinanti, di un leader sceso in politica per difendere i propri interessi aziendali, costruendosi un partito di cui è sempre stato non solo il leader, per quanto carismatico, ma a tutti gli effetti il proprietario.
Berlusconi non pretende oggi solo il rispetto dovuto al fondatore della moderna destra italiana, rispetto che in ultima analisi gli sarebbe dovuto. Chiede però di esercitare ancora una funzione proprietaria, subordinando la politica ai propri interessi e reclamando il ruolo di chi decide in ultima istanza. La rigidità della leader tricolore si spiega proprio con la consapevolezza di essere impegnata in un braccio di ferro che ha per posta in gioco non questo o quel ministero ma la natura stessa della coalizione che sosterrà il suo governo e dunque i margini di autonomia e la libertà d’azione stessa di quel governo.
In una partita del genere sono possibili tregue, come quella che con ogni probabilità permetterà comunque di formare il governo in tempi brevi. Non è però contemplata una vera pace perché Berlusconi non può permettere che la destra si emancipi dal berlusconismo e perché Giorgia Meloni non può adottare il berlusconismo senza trasformarsi automaticamente in una pedina la cui stella sarebbe destinata a tramontare con la stessa rapidità con cui è sorta.
È dunque facilmente prevedibile che la tensione continuerà a crescere, a tratti in piena vista, in altri momenti sotto pelle, ma a un certo punto, e non in tempi biblici, si dovrà arrivare a una risoluzione, che può passare per un ventaglio limitato di esiti concreti. Il primo è la resa del Cavaliere, che potrebbe rivelarsi inevitabile se l’asse in realtà fragile tra FdI e Lega resistesse ma diventerebbe molto meno probabile ove quell’intesa si spaccasse.
Il secondo è una scissione di Forza Italia che metterebbe fine alla lunga parabola del partito azzurro, anche se in quel caso non è affatto detto che Meloni disporrebbe ancora di una maggioranza. Il terzo esito è un ritorno in tempi piuttosto brevi alle urne e a quel punto tutto tornerebbe in ballo anche se difficilmente Berlusconi potrebbe ripetere il miracolo che lo salvato il 25 settembre. L’ultima ipotesi è un’ennesima formula ambigua, basata su una qualche maggioranza improbabile. È un’eventualità remota nella situazione data. Ma nella politica italiana l’impossibile non esiste.
Berlusconi emulo di Cossiga, fa impazzire i giornali: ma picconare è rischioso. Il leader di Forza Italia dovrebbe sapere che il Quirinale, e quindi Sergio Mattarella, non accetterà un governo dalle basi precarie. Francesco Damato su Il Dubbio il 20 ottobre 2022
Le notizie “da”, ma anche “su” Silvio Berlusconi arrivano ai e sui giornali come le picconate del compianto Francesco Cossiga nell’ultimo anno, all’incirca, del suo settennato al Quirinale: sempre in tempo per sfasciare le prime pagine, far deperire come frutta marcia un bel po’ di articoli, aggiornarli più volte, farne cestinare irreparabilmente alcuni e improvvisarne altri in una rincorsa affannosa fra le redazioni e, spesso, il presidente della Repubblica in persona. Che si compiaceva ogni tanto a telefonare ai quotidiani per verificare gli effetti delle sue sortite, fasi anticipare i titoli e quant’altro.
Alla fine eravamo davvero sfiniti lui e noi, rassegnati a replicare la sera o la notte successiva. Ogni tanto torno a sognarmele quelle notti come in un incubo. E temo che accada anche all’ambasciatore Ludovico Ortona, ottant’anni belli che compiuti, che dalla sua postazione quirinalizia di portavoce doveva paradossalmente assecondare ma al tempo stesso contenere quel fiume in piena che era diventato il Capo dello Stato.
Per sua e nostra fortuna Berlusconi è stato appena rieletto soltanto senatore della Repubblica, ma sta facendo una bella concorrenza, a suo modo, al compianto Cossiga in questo avventuroso avvio della nuova legislatura, montando e smontando tregue più o meno armate, spiazzando persino gli amici, sino a farsi invitare da alcuni di provata fede come Alessandro Sallusti a smetterla per carità, perché – ha stampato Libero in rosso sulla prima pagina- “avanti così finisce male”. Anche per Berlusconi, temo, e non solo per gli altri, a cominciare naturalmente dalla “signora Meloni”, come lui ha ripreso a chiamare con una certa distanza la sua ex ministra della Gioventù in attesa dell’incarico di presidente del Consiglio.
L’attenuante che gli amici del Cavaliere sufficientemente in confidenza come Alessandro Sallusti per invocarlo pubblicamente a fermarsi gli riconoscono in questa piena di sorprese e di rivelazioni, dalla lista dei ministri alle lettere e ai doni di Putin, è che Forza Italia ha ancora bisogno del suo fondatore per non dissolversi. E che il centrodestra, a sua volta, avrebbe ancora bisogno di Forza Italia per non essere tutto e solo destra, costretto dalle circostanze a governare nel passaggio più difficile del Paese, fra emergenze di ogni tipo rispetto alle quali forse impallidiscono anche quelle gestite da Mario Draghi, purtroppo rimosso di fatto anzitempo.
In questa situazione “assicurare entro questa settimana un governo al Paese non è un’opzione, ma un obbligo, un dovere”, ha scritto sul Giornale di famiglia di Berlusconi il direttore Augusto Minzolini ripetendo un po’, se non ricordo male, le parole proprio di Draghi al suo esordio da presidente del Consiglio davanti alle Camere nel 2021.
Ma il problema di Giorgia Meloni in questo avvio – ripeto- di legislatura è di formare appunto un governo, di solida e ben definita maggioranza, dopo un passaggio elettorale col quale si è voluto chiudere la stagione degli esecutivi di una certa anomalia. Il problema non è di formare un governo comunque e di lanciarlo come un oggetto misterioso su un Parlamento dove peraltro una delle due Camere non si è neppure attrezzata alle nuove, ridotte dimensioni con un regolamento aggiornato.
Un simile governo – temo per chi lo volesse mettere nel conto derubricando magari a folclore quello che sta accadendo nel centrodestra non sarebbe permesso da Mattarella, cui spetta di nominarlo, per quanto sollevato – come scrivevo ieri- dalla decisione dello stesso centrodestra di partecipare unito alle consultazioni di rito al Quirinale.
Sul Presidente ucraino: "Lasciamo perdere". Il nuovo audio di Berlusconi sulla guerra in Ucraina: “Putin contrario, ha subito pressioni in Russia: Zelensky aveva triplicato attacchi in Donbass”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 19 Ottobre 2022
“Promettete?”, chiede Silvio Berlusconi ai parlamentari di Forza Italia nel nuovo audio diffuso in esclusiva da Lapresse: chiedeva massimo riserbo ai suoi, riserbo che evidentemente non è stato osservato. La verità di Berlusconi sulla guerra in Ucraina, sulle ragioni dell’amico Vladimir Putin che lo scorso febbraio ha lanciato la sua “operazione speciale” su Kiev. Non una versione inedita tuttavia considerate le parole che l’ex Presidente del Consiglio aveva detto a Porta a Porta in piena campagna elettorale e che già allora avevano scatenato polemiche, e non soltanto in Italia.
“La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche. Disperate, le due repubbliche mandano una delegazione a Mosca e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’”.
Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni (sic). Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina”.
Destinato a far discutere anche il no comment sul Presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me … lasciamo perdere, non posso dirlo …”. Il nuovo audio viene pubblicato all’indomani di altre dichiarazioni di Berlusconi sul presumibile prossimo governo di centrodestra e sulla relazione con Putin, amico di vecchia data del Cavaliere, che già avevano fatto discutere.
Berlusconi aveva detto di aver ricevuto bottiglie di vodka e un biglietto “dolcissimo” in occasione del suo compleanno, cui lui aveva risposto a sua volta con bottiglie di Lambrusco e un suo biglietto “altrettanto dolce” – il caso è stato oggetto di discussione questa mattina in Commissione Europea viste le sanzioni per quanto riguarda import ed export con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Parole che rischiano di aumentare le tensioni all’interno della maggioranza: la premier in pectore Giorgia Meloni continua a confermare la sua posizione atlantista.
Il leader di Forza Italia ha descritto nel nuovo audio una mancanza di leadership nel mondo occidentale: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io …”.
Berlusconi, dopo la diffusione dell’audio nel corso della trasmissione Diario Politico su La7 ha telefonato in studio chiedendo di precisare “il contesto”, “le parole registrate vanno inquadrate in un contesto più largo di preoccupazione generale, con gli Stati Uniti che hanno disatteso le premesse multilaterali di Trump”. E poi quelle parole erano state pronunciate a una riunione di partito e non un’occasione ufficiale. “Io non posso personalmente esprimere il mio parere perché se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po’ i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto”, le dichiarazioni che erano emerse negli audio diffusi ieri.
Berlusconi ha avuto un lungo rapporto di amicizia con Putin. L’ex premier lo andò a trovare nella sua prima visita ufficiale all’estero poco dopo essersi insediato nel 2001. I due si incontrarono poi più volte negli anni successivi e non soltanto per ragioni istituzionali. Numerosi scatti e momenti di quel rapporto sono diventati molto noti, in alcuni casi virali e ricordati ancora oggi. Nel caso delle dichiarazioni rilasciate a Porta a Porta Berlusconi aveva poi precisato di esser stato frainteso per quelle parole. Il nuovo audio si inserisce nelle complicate e turbolente trattative per la formazione di un governo di centrodestra.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Antonio Bravetti per “la Stampa” il 21 ottobre 2022.
Altro che audio «manipolato»: è tutto vero, «un gran pezzo giornalistico». Alessia Lautone, direttrice di LaPresse, difende orgogliosa lo scoop di Donatella Di Nitto, la giornalista che ha pubblicato la registrazione di Silvio Berlusconi. Non fornisce indizi su «finestre aperte» o ex parlamentari rancorosi, ma ragiona: «La leggerezza di Berlusconi è sospetta».
C'è un terzo audio bomba?
«No. Abbiamo il discorso integrale di Berlusconi, venti minuti. Potremmo pubblicarlo solo per dimostrare che non è stato manipolato, come dice qualcuno. Siamo alla follia».
Come lo avete avuto?
«Non lo dirò mai».
Registrato da una finestra, come suggerisce Mulè?
«Non lo dico, ma se davvero ci fossero state delle finestre aperte e tanta gente nella stanza sarebbe stato ancora più surreale per Berlusconi fare quei discorsi».
È la vendetta di qualcuno dentro FI?
«Non lo so. Trovo strano che non si parli del contenuto ma ci si impegni di più per capire da dove viene».
Cosa ha pensato ascoltando l'audio la prima volta?
«Quando ho sentito i passaggi su Putin e quelli sulla vodka e il lambrusco ho capito di avere in mano un grande pezzo giornalistico».
E le risate dei deputati?
«Gli applausi mi hanno lasciato stupita, Berlusconi non lo contraddice mai nessuno. Il grande problema di Forza Italia è che tutti sono scolaretti di Berlusconi, dicono sempre sì».
Perché darlo in due parti?
«Era molto lungo, l'audio era sporco e volevo essere certa che si sentisse bene. Nessuna dietrologia né complotti».
Berlusconi l'ha fatto uscire apposta?
«Quel giorno aveva rilasciato molte dichiarazioni, senza considerare il famoso biglietto su Meloni. Aveva voglia di parlare. Una leggerezza sospetta c'è».
Un disegno per mettere in difficoltà Meloni?
«Lui fa fatica a non dare le carte, gli brucia tanto. Ancora di più con Meloni. La loro è un'incompatibilità caratteriale».
Quante telefonate furiose ha ricevuto da Forza Italia?
«Non ho ricevuto nessunissima pressione».
Qualche politico contento?
«Nemmeno. Hanno paura di finire tra i sospettati».
Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 21 ottobre 2022.
Gazprom, la tv russa, Yukos, i servizi russi. Per capire la connessione tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin bisogna esplorare questo quadrato e i suoi grandi filoni, alcuni ancora da chiarire nei dettagli, ma certo ogni volta che i due si sono avvicinati, una serie impressionante di alert si è accesa nelle diplomazie e nei servizi internazionali.
Uno, su Gazprom e la rivendita del gas russo in Europa (dall'Austria all'Ucraina, passando per l'Italia) attraverso strati di società complesse che appaltavano una parte dei profitti ad amici personali di Putin. Due, sul ruolo di uomini di Berlusconi nella costruzione della tv di stato del Cremlino e l'infrastruttura di rete delle tv russa. Tre, sull'esproprio putiniano di Yukos, il gigante petrolifero di Mikhail Khodorkovsky, e aziende italiane che ne acquisirono pezzi.
Ma innanzitutto bisogna capire una cosa: i rapporti del Cavaliere con la Russia iniziano da molto prima di questi sciagurati audio contro Zelensky, partono quando l'Urss è ancora in piedi, nella seconda metà degli anni ottanta, e Berlusconi entra a far parte di un network di influenza sovietico, prima che russo.
Secondo Catherine Belton, che ha scritto il libro fondamentale sulla materia, nel 2005 (quando scoppia il caso Centrex, la presunta rivendita di favore di gas russo ad amici del Cavaliere), «gli uomini di Putin stavano ricostruendo relazioni sulla base delle connessioni forgiate tanto tempo prima, nell'era sovietica, quando Berlusconi era stato uno degli intermediari che lavoravano in contatto ravvicinato con il Politburo sovietico».
Belton non è mai stata smentita dal Cavaliere. L'iniziale intento di queste operazioni «era creare una piattaforma dalla quale la Russia poteva cercare di influenzare la politica europea», come ha rivelato a Belton Michel Seppe, un ex capo dell'intelligence austriaca, che un tempo aveva lavorato strettamente con un uomo del Kgb. Di nome Andrey Akimov.
Cosa accade nel 2005? Due uomini di Putin, Andrey Akimov, appunto, e Alexander Medvedev, due finanzieri legati al Kgb (il secondo solo omonimo di Dmitry, il presidente delle esternazioni ultra guerrafondaie di questi mesi), insediati a capo di Gazprombank e del braccio per le esportazioni, Gazpromexport, cominciano a creare una serie di società estere da usare nella rivendita di gas con creazione di fondi offshore e corruzione all'estero. A Berlino Gazprom Germania viene riempita di ex uomini della Stasi. Stessa cosa in Rosukrenergo (piena di ex di Kgb e Stasi), l'azienda a cui viene concessa la rivendita di gas russo in eccesso dall'Ucraina all'Europa.
A Vienna l'uomo chiave del network Akimov-Medvedev è Martin Schlaff, ex agente della Stasi, che aveva lavorato a Dresda (come Putin). In Italia Akimov e i suoi settano una società, Centrex Central Energy Italian Gas Holding, che aveva questa struttura societaria di base: al 41,6 per cento aveva come azionista Centrex e Gas AG (la casa madre a Vienna), al 25 per cento Zmb (la sussidiaria tedesca di Gazprom Export, in pratica il Cremlino), e al 33 per cento due società milanesi, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, che avevano il medesimo indirizzo societario a Milano, intestate a Bruno Mentasti Granelli, l'ex patron di San Pellegrino, grande amico di Silvio.
Una commissione parlamentare se ne accorse. L'accordo Centrex, accettato prima dell'estate 2005 dall'Eni (Vittorio Mincato, che non voleva, era stato sostituito con Paolo Scaroni, oggi in pista per il ministero dell'Energia del governo Meloni), a ottobre fu messo in stand by indefinito per i rilievi del Cda e dell'Antitrust. Ma lo schema era chiaro. L'anno successivo Scaroni rinnova fino al 2035 l'appalto di gas da Gazprom, a prezzi non proprio convenienti, se si considera che in quegli anni emergono le potenzialità dello shale gas, e i prezzi si abbassano ovunque.
Parlamentari italiani, anche del partito di Berlusconi se ne lamentarono con l'ambasciata Usa. Tre anni dopo, in un cablo svelato da Wikileaks, l'allora ambasciatore americano a Roma Ronald Spogli scrisse che la vera natura dei rapporti tra Berlusconi e Putin era «difficile da determinare»: «L'ambasciatore georgiano a Roma ci ha detto che il governo della Georgia ritiene che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti da eventuali condotte sviluppate da Gazprom in coordinamento con Eni».
Il Cavaliere ha sempre smentito tutto, ma la cosa arrivò anche al Parlamento europeo, attraverso il report di Roman Kupchinsky. Gli americani lamentavano che le affermazioni putiniane di Berlusconi indebolivano l'alleanza atlantica, e i dialoghi per uno scudo missilistico comune Ue.
Antonio Fallico, il capo di Banca Intesa russa, insignito da Putin della cittadinanza onoraria russa, e uno degli uomini cruciali in varie vicende di influenza del Cremlino in Italia - a partire dal prestito da Banca Intesa a Rosneft per il finanziamento di una tranche della finta "privatizzazione" dell'azienda di Igor Sechin - ha raccontato che Fininvest già a fine anni '80 vinse il lucrosissimo appalto per trasmettere film in prime time sulla tv di stato sovietica. Com' era possibile, senza far parte di un network sovietico?
C'è un uomo poco noto, Angelo Codignoni, che è stato un vero boss di Berlusconi presso Putin, stavolta attorno alla tv e a Yuri Kovalchuk. Un anno fa, da leaks dei Pandora Papers, è emerso che circa due milioni di euro sono finiti dalla Russia su società a Montecarlo di Codignoni. Ma le misteriose consulenze, su cui consorzi di reporter internazionali stanno indagando, sarebbero molte, davvero molte di più.
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 21 ottobre 2022.
Il giallo della non gelida manina che ha diffuso gli audio delle putinate di Berlusconi è già risolto. Sono stato io. Anzi, un po' tutti. Ma davvero, nell'era degli smartphone, esiste ancora qualcuno che, entrando in contatto con qualcosa di interessante, non schiaccia subito il tasto «inoltra» per inviarlo a un amico? Naturalmente a uno solo, e con la promessa che non lo giri a nessun altro: le stesse regole d'ingaggio con cui l'amico lo girerà a qualcun altro.
Fa sorridere questa ricerca spasmodica del colpevole, utilissima a spostare l'attenzione dalle cose che Berlusconi ha detto (e che peraltro aveva già anticipato da Vespa poche settimane prima). «Perché mai un parlamentare di Forza Italia avrebbe dovuto mandare in circolo le esternazioni filorusse del Capo?» si domandano i complottisti. Ma per la stessa umanissima ragione per cui il Capo le aveva pronunciate: illudersi di essere al centro del mondo.
Berlusconi non ha esaltato Putin per far cacciare la Meloni dalla Nato, ma per far sapere a tutti che lui è il miglior amico del leader più temuto del momento. Anche «la manina» ha ragionato allo stesso modo: voleva che tutti sapessero che era lei la depositaria dei segreti di Berlusconi. Dovremmo dunque concludere che, più ancora dei soldi, degli interessi e delle passioni, è il narcisismo a muovere il mondo? Sì. Ormai l'unico modo per non dire una cosa è non pensarla, perché appena la pensi ti viene voglia di dirla. E, appena la ascolti, di condividerla con qualcuno.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Berlusconi riallaccia con Putin e imbarazza la coalizione": questo il titolo di un articolo che il quotidiano francese Le Monde consacra alla situazione politica dell'Italia, con particolare riferimento alle registrazioni audio dell'ex premier che "perturbano la formazione del governo".
Secondo Le Monde, "questa sequenza potrebbe minare seriamente la credibilità dell'Italia sulla scena europea, in un contesto in cui Giorgia Meloni ha fatto del suo sostegno all'Ucraina e alla Nato una linea forte del suo programma politico".
E ancora: "Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e coordinatore del partito, potrà ottenere il portafoglio degli Affari esteri come era stato previsto? Molti osservatori vedono allontanarsi quest'ipotesi". "Qualunque siano i nomi dei ministri che comporranno il governo di Giorgia Meloni - conclude Le Monde - l'Italia è appena riuscita nell'impresa di un governo non ancora nato ma già in piena crisi".
Annalisa Girardi per fanpage.it il 20 ottobre 2022.
Le ultime affermazioni di Silvio Berlusconi su Vladimir Putin, che stanno causando fibrillazioni all'interno della maggioranza, nono sono passate inosservate all'estero. Diversi giornali stranieri hanno infatti ripreso la notizia. "Berlusconi dice di essersi scambiato una ‘dolce lettera' con Putin", "Berlusconi dice che Putin gli ha mandato della vodka e una dolce lettera", "Berlusconi si è riavvicinato a Putin, gli ha mandato del vino e una dolce lettera": sono solo alcuni dei titoli apparsi nelle principali testate internazionali.
Il Financial Times, ad esempio, ha commentato la notizia scrivendo che queste ultime dichiarazioni del Cavaliere "che suggeriscono il riaccendersi de suo ‘bromance' con Putin, non faranno che riaccendere le ribollenti preoccupazioni sulla direzione della futura politica estera italiana e sull'approccio del Paese alla guerra in Ucraina dopo che il governo di Meloni prenderà il sopravvento".
E ancora, il quotidiano britannico sottolinea come nonostante la leader di Fratelli d'Italia abbia criticato ferocemente l'invasione russa dell'Ucraina, "i due alleati da cui dipende la sua coalizione, Berlusconi e Matteo Salvini della Lega, sono entrambi ammiratori di lunga data di Putin, che hanno messo in chiaro il loro disagio verso la dura posizione dell'Ue nei confronti di Mosca".
Anche Reuters ha riportato la notizia, scrivendo che "Berlusconi spesso si è spesso vantato della sua amicizia con Putin fino all'invasione dell'Ucraina, e ha creato una tempesta il mese scorso quando ha detto che Putin è stato spinto alla guerra per mettere ‘gente decente' al governo a Kiev".
E ancora: "Le relazioni tra la coalizione di destra in Italia e la Russia sono sotto osservazione. Matteo Salvini, leader del partito anti-migranti della Lega, ha spesso elogiato Putin e ha anche indossato una maglietta con stampata la faccia del leader russo". Reuters ha anche citato altre affermazioni di Lorenzo Fontana, neo eletto presidente della Camera, che ha avvertito delle conseguenze che potrebbero avere le sanzioni contro la Russia.
Il quotidiano spagnolo El Pais ha cominciato l'articolo scrivendo che il ritorno di Silvio Berlusconi in Senato dopo nove anni di assenza ha sollevato le polemiche: "Nell'ultima delle sue controversie il protagonista è il presidente russo", si legge. Non solo, il giornale sottolinea come Berlusconi abbia definito il presidente russo come "un uomo di pace".
Infine, il tedesco Die Welt, ha scritto che "l'ex presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, con delle dichiarazioni sull'amico Vladimir Putin ha alimentato ancora una volta i dubbi sulla determinazione del futuro governo ad agire contro Mosca". E ancora: "Alcuni italiani e ucraini sono preoccupati per il sostegno del Paese mediterraneo a Kiev nella guerra contro la Russia, una volta che si sarà insediato il nuovo governo guidato dalla vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, partito di estrema destra. Solo poche settimane fa, Berlusconi aveva affermato che Putin fosse stato spinto ad attaccare".
Da adnkronos.com il 20 ottobre 2022.
"Berlusconi sembra il protagonista di Viva l’Italia. In quel film Michele Placido interpreta un importante politico italiano il quale, dopo una seratina con l’amante, perde qualsiasi freno inibitorio. Così inizia a raccontare verità che mai aveva osato render pubbliche. Tangenti, favori, raccomandazioni, balle raccontate a favore di telecamera". Lo scrive su Facebook Alessandro Di Battista.
"Così Berlusconi, dopo aver mentito per una vita intera, oggi, non solo dice quel che pensa ma osa raccontare alcune verità su quel che è accaduto in Ucraina prima dell’invasione russa che molti altri politici dentro Forza Italia e, più in generale in tutto il centrodestra, pensano ma per la salvaguardia della loro carriera, non hanno il fegato di dire" aggiunge Di Battista.
"Mi piacerebbe adesso ascoltare Tajani (il futuro pessimo ministro degli Esteri) che ultimamente sembra il social media manager di Biden più che un parlamentare della Repubblica italiana. Anche perché l’incontinenza senile di Berlusconi è, paradossalmente, più dignitosa della pavidità di un mucchio di politici che dovrebbero fare gli interessi italiani ma che pensano solo ad ossequiare la NATO", conclude l'ex parlamentare M5S.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Qualsiasi crisi apre la strada ai leader veri. Mentre il signor Berlusconi è sotto l'effetto della vodka russa in compagnia di 'cinque amici di Putin' in Europa, Giorgia Meloni dimostra quali sono i veri principi e la comprensione delle sfide globali. Ognuno sceglie la propria strada". Lo ha twittato in italiano Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Luca Bottura per “La Stampa” il 20 ottobre 2022.
I prossimi audio di Berlusconi, da oggi nei principali cabaret.
"Zelensky in realtà si chiama Zielinsky e gioca nel Napoli".
"A Putin gliel'avevo detto: butta una bella atomica su Kiev e sono tutti contenti".
"Mio fratello Paolo in realtà non è il vero editore de Il Giornale".
"Non dico la verità dal 1963".
"In confronto a Tajani, Licia Ronzulli è un premio Nobel".
"Non è vero che ho abolito l'Imu".
"I giornalisti cui pago lo stipendio tendono a non essere esattamente aggressivi quando parlano di me".
"Le cene eleganti non è che fossero davvero cene eleganti".
"Il lettone di Putin è arrivato già frequentato".
"Sì, sono io che da 40 anni rincoglionisco gli italiani con le mie televisioni".
"Milano 2 è un posto così noioso che i cigni del laghetto dei cigni si sono tutti suicidati".
"Dell'Utri è quello che pensate voi".
"I miei capelli non sono completamente naturali".
"Salvini in realtà è Davide Mengacci travestito".
"Certe volte il Grande Fratello Vip mette i brividi persino a me".
Dagospia il 20 ottobre 2022. Dall’account facebook di Enrico Mentana
La verità sulle frasi di Berlusconi carpite dagli audio filtrati in questi giorni - per quanto possa sembrare disarmante - è che si tratta semplicemente di quel che il leader di Forza Italia pensa.
Smentite, contestualizzazioni, messe a punto, correzioni sono solo dettate dalle pressanti richieste di collaboratori e alleati, in vista della formazione del governo.
Ma quel che Berlusconi ha raccontato ai deputati di Forza Italia, vincolandoli al più assoluto riserbo, su Putin e Zelensky è parola per parola quello che aveva detto in tv, senza ovviamente vincoli di sorta, da Vespa tre giorni prima delle elezioni.
Nella sostanza - che è ciò che conta - si tratta della narrazione sulla guerra di Ucraina più vicina alla versione russa che si possa ascoltare da un politico europeo, in totale contraddizione con le posizioni del governo ancora in carica e delle deliberazioni parlamentari a cui anche Forza Italia ha dato il suo sostegno.
Poi Berlusconi può rivendicare, atti alla mano, la sua 28ennale adesione ai principi euroatlantici e tutto il resto. Ma nessun altro leader occidentale si vanta di ricevere regali e dolcissimi lettere da Vladimir Putin, e di ricambiare. E nessun altro leader si permette allusioni negative sul presidente di un paese aggredito, dopo averlo accusato di aver provocato la guerra "triplicando gli attacchi alle regioni del Donbass".
Coi riflessi condizionati della politica italiana si prova a ipotizzare quali siano i motivi tattici di queste uscite: contro Meloni, o per andare a un governo a maggioranza diversa, eccetera.
Dovrebbe invece interessare di più il fatto in sé: parlando per la prima volta agli eletti del suo partito, Berlusconi ha fatto un discorso, "impreziosito" dal vincolo di riservatezza, che non avrebbe stonato in quella ormai nota trasmissione del primo canale della tv russa.
Non solo: ha ripetuto tesi che aveva già espresso tre settimane prima, confermando che quella è la sua opinione radicata, altro che sbandamenti o travisamenti.
E fino a prova del contrario quella è la linea di Forza Italia, ascoltati gli applausi e verificata l'assenza di dissensi.
Anche perché quelle tesi, simpatizzanti per Putin, severe con Zelensky, preoccupate per un aiuto agli ucraini che ci porta grandi spese e in cambio un salasso energetico e economico, sono in sintonia con una corrente minoritaria ma ben presente nell'opinione pubblica italiana. In sprezzo a leggi e trattati, in omaggio alla legge del più forte, fedeli a un solo principio, quello del "cosa mi conviene", e magari simulando già il battito di denti per un inverno freddissimo senza gas, nel bel mezzo dell'ottobre più caldo di tutti i tempi.
Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano” il 20 ottobre 2022.
[…] È dal 2001 che B. è il compare preferito di Putin. E da allora non ha fatto altro che lodarlo come uomo di pace, farci bisbocce nelle sue ville e nelle di lui dacie e asservirci vieppiù al gas russo: prima, durante e dopo l'assassinio Politkovskaja, l'invasione della Crimea, le mattanze in Cecenia, in Siria e in Ucraina.
Il tutto fra gli applausi della stampa di destra e nell'indifferenza di quella "indipendente" (per non parlare di Rep che pubblicava le veline a pagamento del Cremlino nell'inserto Russia Today). Anche il Pd, che ora cade dal pero e si straccia le vesti (anche per le cose vere dette dal fuori di testa nel fuorionda sui rischi mortali che ci fa correre la Nato e sugli otto anni di massacri ucraini in Donbass), era molto distratto: infatti con B. governò tre volte (Monti 2011, Letta 2014, Draghi 2021). Ad agosto, mentre cacciava Conte dal campo largo per lesa draghità e filoputinismo, Letta disse che invece "con Forza Italia abbiamo lavorato bene". […]
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Noi supporteremo qualsiasi governo che abbia un chiaro approccio a favore dell'Ue, a favore dell'Ucraina e a favore dello Stato di diritto. Sono felice che Antonio Tajani sia qui, lui è la garanzia dell'atlantismo di Fi". Lo ha detto il capogruppo e presidente del Ppe Manfred Weber entrando al summit dei Popolari a Bruxelles.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Incontrerò Tajani, ho parlato con tutti i leader politici italiani e il mio messaggio all'Italia è restare nel cuore dell'Europa, non ho dubbi che lo faccia e sul suo atlantismo" nonché "sul suo supporto all'Ucraina". Lo ha detto la presidente del Pe Roberta Metsola prima di entrare al vertice del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Le parole di Berlusconi non contribuiscono certamente all'unità del Ppe, ho capito che l'audio è stato una fuga di notizie, sarà importante capirne di più". Lo ha detto il premier croato Andrej Plenkovic, arrivando al summit dei Popolari a Bruxelles. Sul punto si è soffermato anche l'ex premier irlandese, Leo Varadkar: "Questo fatto è un problema, ne discuteremo, ho piena fiducia in Tajani", ha detto.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Conosco Tajani da molti anni, è un convinto europeista e convinto atlantista. E sono convinta che lavorerà per tenere l'Italia al centro dell'Europa". Lo ha detto al presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola prima di entrare al summit del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - L'audio di Berlusconi? "Posso dire che il supporto del Ppe all'Ucraina resta ferreo". Lo ha detto il primo ministro lettone Krisjanis Karins arrivando al summit del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Da quello che sembra, sono convinto che la nuova premier italiana sarà più ragionevole di altri membri della maggioranza...". Lo ha detto il premier lussemburghese Xavier Bettel al suo arrivo al prevertice dei liberali di Renew Europa rispondendo ad una domanda circa le parole di Silvio Berlusooni sull'Ucraina e su Putin. "L'unità" europea nella risposta all'aggressione russa "è stata la nostra forza", ha evidenziato Bettel.
Anais Ginori per repubblica.it il 20 ottobre 2022.
"Non ci stancheremo mai di dire che Putin è un criminale di guerra". Le parole di Manfred Weber sconfessano Silvio Berlusconi e il suo "riavvicinamento" con il leader russo, con tanto di scambio di vodka e lambrusco.
"La Russia ha attaccato nuovamente Kiev con quasi trenta droni, uccidendo innocenti, tra cui una donna incinta", sottolinea il capogruppo del Ppe, di cui fa parte Forza Italia.
"Non passa giorno senza che Putin e il suo regime diano notizie terribili e menzogne" prosegue Weber, intervenendo nella plenaria di Strasburgo, dove il dibattito ha anche toccato le dichiarazioni del Cavaliere. "Putin deve perdere e l'Europa non smetterà mai di sostenere l'Ucraina. Mai. Questo messaggio ci unisce" aggiunge Weber, sancendo di fatto l'esclusione di Berlusconi dalla linea della destra europea di cui fa parte Forza Italia.
Le reazioni nel Ppe
La famiglia del Ppe deve correre ai ripari davanti alle nuove, imbarazzanti dichiarazioni che arrivano da Roma, aggravate dal nuovo attacco a Zelensky diffuso ieri attraverso un nuovo audio. "Penso che le parole di Berlusconi siano tristi per tutti gli europei che soffrono per la tirannia di Putin", commenta il vicepresidente dell'eurogruppo, il portoghese Paulo Rangel, che però le ridimensiona a "opinioni personali" e si appella al "ruolo di garanzia" svolto da Antonio Tajani.
D'altro avviso è un altro deputato del gruppo, l'estone Riho Terras, secondo il quale "è ora che il veterano della politica Berlusconi si ritiri". Il parlamentare polacco Andrzej Halicki è ancora più netto e lancia un invito al Cavaliere: "Rimandi la vodka a Putin che è un criminale di guerra e non un amico".
Il dono di una ventina di bottiglie arrivate da Mosca potrebbero anche, secondo la Commissione, comportare una violazione delle sanzioni che si applicano all'import di beni russi. "Nel quinto pacchetto di sanzioni abbiamo deciso di estendere il bando all'importazione di alcool, che include la vodka" ha spiegato la portavoce Arianna Podestà. "Chiaramente l'implementazione delle sanzioni è responsabilità degli Stati membri e la Commissione lavora con loro in tale implementazione".
La linea della Commissione Ue
Nello scrutare la tormentata formazione del nuovo governo italiano, con il filo putinismo degli alleati di Giorgia Meloni sempre più scoperto, da Bruxelles viene ribadita la linea della Commisione: piena condanna dell'aggressione illegale dell'Ucraina. "Gli Stati membri sono liberi di condurre contatti bilaterali come ritengono opportuno, rispettando però sempre la posizione politica dell'Ue e tra queste c'è il rispetto del diritto internazionale" conclude la portavoce.
Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ricorda: "La posizione dell'Ue è chiara: sosteniamo l'Ucraina, condanniamo la Russia e non accettiamo una guerra ingiustificata". Mentre la capogruppo dei socialisti e democratici europei, Iratxe Garcia Perez, esorta il Ppe a tagliare i legami "con gli amici di Putin, che violano i diritti umani e promuovono movimenti anti-sistema in Europa", la tensione è palpabile nella destra europea.
Berlusconi-Putin, amicizia imbarazzante
L'amicizia rivendicata del Cavaliere per il leader russo diventa sempre più imbarazzante per i vertici del Ppe. E non è un caso che nel giorno in cui si scopre un attacco di Berlusconi a Zelensky, il premio Sakharov sia stato attribuito dal parlamento dell'Ue al popolo ucraino e al leader di Kiev che dal 24 febbraio fronteggia l'aggressione russa. Una decisione annunciata dalla presidente del parlamento Roberta Metsola, dopo la conferenza dei presidenti dei gruppi in cui ha pesato il voto della destra europea decisa a respingere qualsiasi ambiguità nei confronti di Mosca.
Estratto dell'articolo di Micol Flammini per “il Foglio” il 20 ottobre 2022.
[…] Se fino a quel momento i compagni del Ppe erano quasi pronti a chiudere un occhio, le nuove dichiarazioni li hanno costretti a sbarrarli gli occhi, chi incredulo, chi preoccupato, chi furioso. Andreas Schwab, europarlamentare della Cdu, fa parte degli increduli.
L’eurodeputato racconta al Foglio che l’atmosfera in Ue nei confronti dell’esecutivo che deve ancora nascere è di sfiducia, ma lui non è d’accordo: “Devono avere la possibilità di lavorare, per questo mi astengo dal giudicare. Ma con Berlusconi è un’altra questione”.
Schwab dice di aver apprezzato il commento di un collega che “sosteneva che il presidente di FI avesse mandato lambrusco perché non voleva inviare a Putin il miglior vino italiano. Ecco, vorrei poter dire che abbia fatto la scelta del lambrusco perché in qualche modo nutriva dei dubbi sull’opportunità del gesto”.
E forse ci si sarebbe potuti anche fermare a questa battuta se non fossero arrivate le altre dichiarazioni. “Berlusconi non ha parlato per il Ppe in Italia, il partito a Roma ha un altro interlocutore: Antonio Tajani”, dice Schwab per rimarcare che tra i popolari c’è la convinzione che linea di Forza Italia sia diversa da quella di Berlusconi. “Il Ppe è dalla parte della libertà del popolo ucraino, come FI”. […] “Mi piacerebbe poter dire che quelle frasi siano state dette dopo aver bevuto una bottiglia di lambrusco. Ma non va bene, nessuno nel Ppe può condividere certe posizioni”, conclude Schwab.
Silvio Berlusconi, l'imbuto della democrazia italiana. Della "pacifica rivoluzione liberale" annunciata nei suoi governi non si hanno notizie. Né è stata realizzata alcuna riforma delle istituzioni. Assomiglia alla Wanna Marchi della politica italiana: un venditore di nulla a milioni di creduloni. VITTORIO FERLA su Il Quotidiano del Sud il 20 ottobre 2022
QUELLO in corso tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni può sembrare, banalmente, il più classico esempio di conflitto generazionale. Un leader anziano ma ancora influente grazie a un manipolo di seggi gioca le sue ultime carte per ostacolare l’ascesa della giovane concorrente che si candida a estrometterlo definitivamente dal suo piedistallo. Ma c’è qualcosa di più.
Silvio Berlusconi è da trent’anni il padre padrone della destra italiana. In virtù di questa primazia, è diventato anche il principale ostacolo allo sviluppo economico e culturale del paese.
Nel 1994 il fondatore di Forza Italia fa il salto in politica con la promessa della ‘rivoluzione liberale’. Nelle sue parole risuona l’eco della rivoluzione condotta dieci anni prima da Margaret Thatcher nel Regno Unito. Durante gli anni 80, il governo conservatore britannico aveva privatizzato la maggior parte delle imprese pubbliche, aveva ridotto drasticamente tasse e spesa pubblica e aveva realizzato un massiccio programma di deregolamentazione del mercato del lavoro e dei servizi finanziari. Thatcher riuscì a resistere per un anno intero allo sciopero dei minatori che si opponevano alla privatizzazione e alla chiusura delle miniere di stato.
E in Italia? Della “pacifica rivoluzione liberale” annunciata da Berlusconi non si hanno notizie. L’obiettivo del capo di Forza Italia è banale: impedire allo Stato di entrare “nella vita privata dei cittadini”. In pratica, dice Berlusconi, lo stato “non ci può chiedere di togliere dai bilanci personali più di un terzo del totale. È un furto se lo stato chiede più della metà. Diventa un’estorsione se chiede più del 60%”. Questa rivoluzione “si può fare solo modificando la struttura dello stato”. La verità è che non se ne fa nulla. Il Cavaliere salva il suo patrimonio personale, ma la pressione fiscale italiana rimane tra le più alte d’Europa.
Né è stata realizzata alcuna riforma delle istituzioni. Nel 1997, la terza Commissione bicamerale per le riforme, frutto del patto tra D’Alema e Berlusconi, prefigura un sistema semipresidenziale ispirato a quello francese con la revisione delle competenze legislative delle due Camere. Dopo aver trovato pure l’accordo sulla riforma elettorale a casa di Gianni Letta (il famigerato ‘patto della crostata’), tutto precipita per il voltafaccia di Silvio Berlusconi. Insomma, dopo decenni di false promesse di liberalismo e di riforme, più che alla lady di ferro Margaret Thatcher, Berlusconi assomiglia, in tutta la sua negativa grandezza, come la Wanna Marchi della politica italiana: un venditore di nulla a milioni di creduloni.
Ma non finisce qui. Le conseguenze delle mancate riforme, sia economiche che istituzionali, appaiono in tutta la loro gravità appena l’Italia deve affrontare le crisi economiche internazionali. Il 4 agosto 2011 lo spread tra BTP-Bund decennali tocca i 389 punti, nell’ambito della crisi finanziaria globale del 2007 e della successiva crisi strutturale italiana del 2011. Così, l’immobilismo conservatore dell’ultimo governo Berlusconi diventa un prezzo troppo alto da pagare per il nostro paese.
Il 5 agosto 2011, al culmine di una drammatica crisi delle borse europee e di un forte ampliamento del differenziale tra i tassi sui titoli italiani e quelli tedeschi, il governatore uscente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, e quello in pectore, Mario Draghi, scrivono una lettera riservata al governo italiano, indicando una serie di misure da attuarsi al più presto. All’ottemperanza di tali misure viene implicitamente condizionato il sostegno della Bce, attuato attraverso l’acquisto massiccio di titoli di Stato italiani. Sappiamo com’è finita. Il terremoto finanziario globale colpisce l’economia italiana. L’inazione del governo Berlusconi e la perdita di credibilità fa sprofondare l’Italia in un abisso (differenziale dello spread BTp-Bund oltre i 550 punti e titoli pubblici biennali al tasso del 7,25%). Il risparmio degli italiani rischia di andare in malora. Berlusconi diventa un tappo che bisogna far saltare per consentire l’intervento di un governo di emergenza nazionale.
Nonostante il totale fallimento politico e i numerosi guai giudiziari, Silvio Berlusconi si inabissa, ma resiste per dieci anni. E quest’anno ritorna in quell’aula parlamentare dalla quale era stato interdetto. Nel frattempo, molte cose sono cambiate. Tra queste, per esempio, i rapporti di forza tra i diversi partner della coalizione di centrodestra e il rapporto della Russia con l’Europa. Vladimir Putin si rivela per quello che è sempre stato: un despota, refrattario al diritto internazionale e nemico dei valori di libertà dell’Occidente. Così, l’ammirazione e l’amicizia di Berlusconi nei confronti del capo del Cremlino – nate quando il Cav era presidente del consiglio e sospette già da allora – devono essere rilette sotto una nuova luce.
L’atteggiamento del Cavaliere verso lo ‘Zar’ non è – non è mai stato – quello appropriato di un leader liberale e popolare. Popolare, nel senso di membro della famiglia del Partito popolare europeo, erede della tradizione degasperiana. Piuttosto, quella di Berlusconi si rivela oggi sempre meglio come l’attrazione (e, quasi, l’invidia) di un leader populista italiano per un suo omologo più fortunato di lui, in quanto sciolto dai lacci e lacciuoli della democrazia liberale. Le “dolcissime” parole che i due compari si scambiano in questi giorni – con il capo di Forza Italia che denigra la resistenza di Volodymyr Zelensky e ripropone la resa dell’Ucraina alla volontà di potenza del despota di Mosca come unica soluzione alla guerra – ricacciano di nuovo l’Italia indietro di anni. In un colpo solo, Berlusconi spegne i lumi del governo di Mario Draghi, capace di ridare uno standing autorevole al nostro paese. Mentre l’Italia ripiomba nelle tenebre del discredito e del sospetto internazionali.
Dall’altra parte, nonostante la zavorra di una serie di limiti politici e culturali, Giorgia Meloni sta tentando di ricostruire la sua immagine affinché diventi accettabile dai governi dei paesi europei e degli alleati atlantici. La sua posizione sulla guerra in Ucraina è netta: condanna dell’aggressione russa, sostegno al governo di Kiev, solidarietà con le democrazie occidentali, riconferma degli impegni atlantici. Lo sforzo di costruire un esecutivo ispirato alle logiche del buon governo, della competenza e del buon senso vanno apprezzate. L’insieme di questi elementi segnala un tentativo di uscire dal ghetto del populismo di destra più bieco e di intraprendere la strada di un conservatorismo compatibile con il quadro delle alleanze con gli Stati Uniti e con i paesi membri della Unione europea.
Silvio Berlusconi avrebbe l’ennesima occasione per favorire l’evoluzione politico-culturale della destra italiana, accompagnando il processo in corso dentro Fratelli d’Italia, e per non disperdere il patrimonio di credibilità accumulato dal nostro paese durante la breve parentesi del governo uscente. E invece che fa? Sceglie, ancora una volta, di fare il tappo della democrazia italiana, impedendone una positiva evoluzione. Forse, oggi, i “pupazzi prezzolati” svergognati da Mario Draghi hanno finalmente un nome.
Berlusconi-Putin: la dacia, il cuore di cervo. Silvio e il caro «Volodya», quell’attrazione fatale. Goffredo Buccini su Il Corriere della Sera il 21 Ottobre 2022
Il legame ventennale che unisce il Cavaliere Silvio Berlusconi con il leader russo Vladimir Putin
Come nelle favole, si narra a un certo punto addirittura di un cuore di cervo in dono. Tra Silvio e «Volodya», quei due. E insomma è una specie di attrazione fatale: mai spiegata appieno né dalla politica politicante né dagli affari segreti e presunti che pure insospettirono molto il Dipartimento di Stato americano al tempo di Hillary Clinton.
Del resto, per Berlusconi la via più breve tra due punti non è la retta ma il salto mortale: sicché era ineludibile la fascinazione per un maestro della specialità come Vladimir Putin, balzato via Kgb da una sgarrupata kommunalka di Leningrado ai fasti da satrapo del Cremlino. E per l’ex criminale di strada (parole di una delle sue vittime, l’oligarca Mikhail Khodorkovsky) doveva essere irresistibile la malia di un signore italico dalla «coreografia medicea» quale è il Cavaliere, non potendo coglierne il tratto da nouveau riche che tanto fa arricciare il naso ai democratici nostrani e ai loro intellettuali di complemento.
Il resto è razionalità o elogio della follia, dipende dai punti di vista. Nel nuovo eppure eterno putinismo di Berlusconi, fatto di scambi vodka-lambrusco e dolcissime parole, ci sono ragioni forse interne, regolamenti di conti in ciò che resta di Forza Italia: ad usum Ronzulli, per dire, perché Tajani intenda e magari inciampi sulla via della Farnesina. Ma ci sono conseguenze esterne, assai gravi per il governo di Giorgia Meloni che verrà: Tass e Ria Novosti fanno già festa rilanciando le frasi al miele del nostro antico premier sul dittatore moscovita, «amante della pace», con tanti saluti a Zelensky, all’America e alla nostra postura internazionale dell’era di Mario Draghi. Imputare le esternazioni all’età è, oltre che un po’ canagliesco, pure improvvido, perché sempre Berlusconi ha straparlato, a sessanta come a ottantasei anni, sempre mirando però in ogni fuor d’opera a un bersaglio preciso, studiato.
Qui due sfere s’intersecano, come sempre è stato nelle sue relazioni, fatti suoi e fatti nostri, fino a diventare la stessa cosa. Galeotta fu Pratica di Mare, il trattato del 2002 che Silvio rivendica come una Yalta del nuovo millennio, avendo messo attorno a un tavolo un Bush Junior annichilito dall’11 settembre e un Putin ancora stordito dalla vertiginosa caduta della madre Russia a rango di mendicante: ciascuno vedeva nell’altro una scialuppa di salvataggio e il premier italiano si preoccupò di apparecchiarne il desco. Erano i tempi, oggi fantascientifici, in cui il Cavaliere immaginava una Russia nell’Unione europea, «la sua posizione naturale accanto alle democrazie occidentali» (sic): certo non potendo scrutare il buio nell’anima dell’amico Volodya che dall’infanzia portava con sé il ricordo di quel ratto di Leningrado il quale, sentendosi messo all’angolo, gli saltò al collo come una tigre. Putin si è sempre sentito quel ratto, in fondo. E tuttavia l’incontro con Berlusconi ne ha a lungo ammansito la ferocia, è innegabile. Per amore o per soldi.
I due si sono scambiati per vent’anni così tanti ammiccamenti e regalini zuccherosi che, non fossero due maschi affetti da machismo conclamato, farebbero sollevare il sopracciglio al nostro nuovo presidente della Camera. E invece. Eccoli nella dacia di Valdaj assieme a uno che non passava per caso, l’ex cancelliere tedesco Schroeder, presidente pagato a peso d’oro del Consorzio North Stream: ad allietarli, le ragazze dell’Armia Putina, l’Armata di Putin, camicia bianca e slip, torta cioccolato e panna, roba che le Olgettine sarebbero apparse Orsoline. Eccoli a tracannare vino che a noi servirebbe un mutuo per annusarlo. Silvio che dona a Volodya un piumone con la foto di loro due. Putin che ricambia con il lettone reso poi celebre da Patrizia D’Addario. Silvio che spiega urbi et orbi come Volodya sia «un dono del Signore alla Russia». E l’amico che lo difende quando in Italia montano gli scandali: «Fosse gay non lo toccherebbero, è sotto processo per invidia, perché vive con le donne…». Insomma, l’intesa è tale da far superare al nostro «Unto dal Signore» qualsiasi gelosia verso l’amato autocrate che annovera addirittura nella regione di Nizhny Novgorod una setta da cui è venerato quale reincarnazione di San Paolo.
Il dubbio che sotto tanta melassa ci sia ben altro balena nella testa della segretaria di Stato americana Hillary Clinton nel 2009, quando chiede ai suoi ambasciatori «quali investimenti hanno fatto i due che possano in qualche modo guidare le loro scelte politiche ed economiche». Agli atti c’è già lo strabiliante caso di un amico di Berlusconi esperto in acque minerali ma arrivato a un passo dall’intermediare affari miliardari col colosso energetico russo Gazprom nel 2005, il sospetto (mai provato) di affari comuni in Kazakistan, la sponda italiana nella spoliazione degli asset della Yukos, la compagnia di Khodorkovsky rivale di Gazprom. Di certo quelli sono gli anni in cui la nostra dipendenza energetica da Mosca s’impenna. Conosciamo tramite Wikileaks i devastanti cable spediti nel 2010 a Washington dall’ambasciatore a Roma, Reginald Spogli: «La voglia del primo ministro Berlusconi di essere percepito come un importante giocatore europeo in politica estera» sta portando l’Italia a «sostenere gli sforzi russi di danneggiare la Nato (…). Il suo preponderante desiderio è rimanere nelle grazie di Putin e ha frequentemente dato voce a opinioni e dichiarazioni che gli sono state passate direttamente da Putin».
Parole gravi. Che prescindono tuttavia dall’italico genius loci, incomprensibile al candore degli americani: la machiavellica doppiezza, nostra unica speranza in questo pantano. Putin regalò il famoso cuore di cervo ancora grondante di sangue a Silvio, dopo averlo strappato dal petto della povera bestia uccisa in una partita di caccia a due, solo loro, senza scorta: «Per te, amico mio». Pare che il nostro eroe inorridito, al sentiero dopo, lo gettò non visto nel primo cespuglio. Alla fine, non si sa per conto di chi o di cosa, lui li frega sempre, o così si spera. Citofonare Gheddafi.
La manina. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 20 ottobre 2022.
Il giallo della non gelida manina che ha diffuso gli audio delle putinate di Berlusconi è già risolto. Sono stato io. Anzi, un po’ tutti. Ma davvero, nell’era degli smartphone, esiste ancora qualcuno che, entrando in contatto con qualcosa di interessante, non schiaccia subito il tasto «inoltra» per inviarlo a un amico? Naturalmente a uno solo, e con la promessa che non lo giri a nessun altro: le stesse regole d’ingaggio con cui l’amico lo girerà a qualcun altro. Fa sorridere questa ricerca spasmodica del colpevole, utilissima a spostare l’attenzione dalle cose che Berlusconi ha detto (e che peraltro aveva già anticipato da Vespa poche settimane prima). «Perché mai un parlamentare di Forza Italia avrebbe dovuto mandare in circolo le esternazioni filorusse del Capo?» si domandano i complottisti. Ma per la stessa umanissima ragione per cui il Capo le aveva pronunciate: illudersi di essere al centro del mondo. Berlusconi non ha esaltato Putin per far cacciare la Meloni dalla Nato, ma per far sapere a tutti che lui è il miglior amico del leader più temuto del momento. Anche «la manina» ha ragionato allo stesso modo: voleva che tutti sapessero che era lei la depositaria dei segreti di Berlusconi. Dovremmo dunque concludere che, più ancora dei soldi, degli interessi e delle passioni, è il narcisismo a muovere il mondo?
Sì. Ormai l’unico modo per non dire una cosa è non pensarla, perché appena la pensi ti viene voglia di dirla. E, appena la ascolti, di condividerla con qualcuno.
Cameriere, lambrusco! I social ci hanno privato della capacità, che già era deficitaria, di considerare i contesti (e Berlusconi). Guia Soncini su L'Inkiesta il 21 ottobre 2022
È mai possibile che ci voglia Tajani per ricordarci che se Silvio la spara grossa, anche sul vino regalato a Putin, non va preso alla lettera?
Se vivi abbastanza a lungo, ti ritrovi a dar ragione a Tajani. Se te l’avessero detto quando avevi poco più di vent’anni – e Antonio Tajani era il portavoce di Berlusconi, che a vent’anni ti sembrava il principale problema di questa derelitta nazione – avresti riso fortissimo.
Ho già scritto di avere opinioni che non condivido: in me convivono una tossica delle intercettazioni che legge con bramosia un po’ tutto ciò che non era stato detto per venire ascoltato dal pubblico – da Carlo e Camilla a Falchi e Ricucci – e una moralista che sa che se ti mancano il tono e il contesto e i rapporti tra gli interlocutori non potrai che equivocare ciò che ascolti e leggi e che non era stato detto perché tu lo ascoltassi e lo leggessi.
Quindi in questi giorni sono scissa tra me stessa e Tajani. Me stessa è quella che ascolta con voluttà Berlusconi che racconta d’aver mandato a Putin del lambrusco (quello in offerta al Carrefour a cinque euro e 99, spero), nei monologhi registrati a una riunione di Forza Italia e pubblicati da un’agenzia di stampa. Tajani è quello che fa un tweet che tutti giudicano imbarazzato, e io valuto sia un trattato sul mondo che abitiamo: un mondo in cui tutto l’inedito diventa prima o poi edito, in cui tutti hanno in tasca telecamere e registratori e tutto ciò che dovrebbe essere privato diventa presto o tardi pubblico.
Il tweet di Tajani era questo: «Domani sarò al Summit del @epp per confermare la posizione europeista, filoatlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di @forza_italia. In tutte le sedi istituzionali non è mai mancato il nostro voto a favore della libertà e contro l’invasione russa». Vi consiglio di annotarvelo, «in tutte le sedi istituzionali», perché un giorno o l’altro a tutti noi toccherà usarlo come linea di difesa.
Al telefono col tuo amante devi essere impeccabile quanto in diretta sulla Bbc? Conta quel che diciamo a cena o quel che diciamo in parlamento? (Ora mi diranno che era una riunione di partito, mica una cena o una telefonata con l’amante: è faticosissimo scrivere per lettori determinatissimi a non capire mai niente).
Una sera della settimana scorsa ho discusso per lunghi quarti d’ora con un elettore di sinistra davvero convinto che esista il pericolo fascista (è circa la sessantesima volta che ne è convinto negli ultimi trent’anni). Era parecchio su di giri, e continuava ad accusare me e altri di non capire la deriva autoritaria e il fatto che la democrazia sia a rischio. Tuttavia persino lui – molto meno scettico di noialtri convinti di vivere in un posto troppo cialtrone per riuscire ad accroccare una dittatura – a un certo punto è sbottato, ha smesso il tono che avrebbe tenuto in diretta televisiva o in sede istituzionale, e ha detto quel che si dice nelle cene private: «Questi sono talmente stronzi che neanche ci faranno la flat tax».
Anche questo l’ho già scritto (prendetevela con la cronaca, che mi costringe a ripetermi): non c’è convinto elettore di sinistra – tra quelli che frequento io: benestanti – che non si sia preparato alla vittoria della destra rallegrandosi perché almeno ci avrebbe guadagnato la flat tax. Lo direbbero in un’intervista? Certo che no. Potrei io pubblicare gli audio delle cene e sputtanarli? Certo che sì. Verrei, in questo caso, considerata una cafona che non sa valutare i contesti e i toni? Probabilmente no: è sempre più scivoloso il confine tra maleducazione e schienadrittismo, in un posto che quanto a giornalismo è sempre stato così scarso da, quando è arrivato il Gabibbo, scambiarlo agevolmente per Carl Bernstein.
I social questa incapacità di considerare i contesti l’hanno peggiorata. Me ne sono ricordata di recente, a causa di una polemica su Roman Polanski. Sua moglie, Emmanuelle Seigner, ha dato un’intervista in cui ha detto che suo marito non aveva nessun bisogno di stuprare: c’era la fila di donne disposte a dargliela. «La fila» mi ha ricordato il tweet che fece di me lo scandale du jour per tre quarti d’ora nell’autunno 2017.
Il tweet faceva così: «Sogno un pezzo su Weinstein d’una sola riga: quello sarà un vecchio porco, ma voi gliela tiravate con la fionda, finché pensavate servisse». Essendo un tweet, non approfondiva tutto quel che si sarebbe potuto approfondire: che, come sa chiunque andasse ai festival cinematografici negli anni Novanta, le stanze d’albergo di Weinstein erano più assediate di quelle degli attori bellocci; e che quindi, a voler fare un’indagine sociale, non si possa che partire da lì: perché uno con la fila di ragazze disponibili si riduca a violentare le indisponibili, e quanto il condizionamento sociale del MeToo abbia poi indotto anche le già disponibili a urlare tardivamente allo stupratore.
Negli anni successivi qualche articolo che indagava la scivolosità del consenso nel caso Weinstein è uscito, ma in quelle settimane si poteva scrivere solo che quello era un porco schifoso e le donne ontologicamente tutte vittime sempre.
Qualche settimana dopo quel tweet, pubblicai sul New York Times un editoriale sui limiti del femminismo italiano. Fu allora che Asia Argento (vi ricordate il quarto d’ora in cui Asia Argento fu guida morale della nazione? Che tempi meravigliosi abbiamo attraversato) e i suoi accoliti, indignati per il mio tweet, chiesero al NYT di ritirare il mio articolo. Ma non è della meravigliosa ipotesi che un giornale americano facesse ritirare le copie dalle edicole e dicesse «Scusateci, la persona di cui abbiamo pubblicato un’opinione non ha diritto ad avere un’opinione», che voglio parlare ora.
È dell’indignazione con cui un assortimento di Vongola75 mi scriveva «ora non vorrai cavartela dicendo che era una battuta». E cosa ti sembrava, di grazia? Un discorso alla nazione? Una lettera d’amore? Una proposta di legge? Quand’è stato che abbiamo smesso di riconoscere i registri lessicali e i contesti? È su Twitter: certo che è una battuta.
Com’è successo che ci voglia Tajani per ricordarci che uno divenuto famoso per l’arte dello spararla grossa, se racconta ai suoi accoliti di aver mandato a Putin il lambrusco (all’apposita casella postale in cui Putin riceve gli omaggi, immagino), non va preso proprio proprio alla lettera? Quand’è che ha cominciato a contare la tua privata eccitazione per la flat tax, e non il fatto che tu al seggio elettorale, e nei posizionamenti pubblici, e negli editoriali che scrivi, stia dalla parte opposta? È successo prima o dopo che cominciassimo a rinfacciare alla Meloni di non essere sposata come si vorrebbe da una devota cristiana? Siamo proprio sicuri che questo faccia di noi gente seria e coerente, e non la polizia morale?
Da liberoquotidiano.it il 20 Ottobre 2022
Silvio Berlusconi ha un piano in testa. Ne è convinto Vittorio Feltri, che in collegamento con Myrta Merlino a L'aria che tira, a La7, dà la sua lettura su quanto accaduto nelle ultime ore. Gli audio rubati al leader di Forza Italia nel corso dell'incontro con i deputati azzurri a Montecitorio, con le parole pesanti su Putin, Russia, Ucraina e Zelensky, risponderebbero a un disegno ben preciso.
In studio dalla Merlino Goffredo Buccini del Corriere della Sera anticipa il tema: "Berlusconi mira sempre a qualcosa, dietro all'ammuina tiene sempre grande sostanza, non poteva non sapere che su 45 persone e assistenti uno che accenda il cellulare è molto difficile non trovarlo", insinua il cronista politico. E Feltri va dritto al punto: "Berlusconi non è cretino, si è accorto che sui ministri non tocca palla e ha deciso di puntare a qualcosa di più grande".
Cosa? Diventare l'uomo della pace, "una impresa che lo trasformerebbe non in eroe dell'Italia ma eroe del mondo", chiosa Feltri. "Mi sono giunte notizie in questo senso", spiega Feltri: Berlusconi avrebbe intenzione di volare a Mosca e diventare il mediatore con Vladimir Putin, per convincerlo a siglare perlomeno una tregua con Volodymyr Zelensky. Da qui, il sospetto delle sue uscite particolarmente spericolate sulla guerra in Ucraina e i giudizi morbidi sul capo del Cremlino.
Una posizione che non sarebbe dettata solo dalla vecchia amicizia personale. "Sì ma a nome di chi lo farebbe?", chiede Buccini. "A nome di se stesso, è chiaro", conclude il ragionamento Feltri. E le parole del Cav ricordate da Vittorio Sgarbi, "sarei il miglior ministro degli Esteri possibile", suonano oggi tutt'altro che una boutade.
STORIA DELLA «STRANA COPPIA». Berlusconi e Putin, un audio d’amore durato vent’anni. DAVIDE MARIA DE LUCA su Il Domani il 20 ottobre 2022
Non ci sono solo le registrazioni uscite in questi giorni: per tutta la campagna elettorale Berlusconi ha difeso il suo amico Putin e accusato gli ucraini di aver provocato la Russia.
Non è una sorpresa per chi conosce la relazione tra i due: dopo essersi conosciuti al G8 di Genova tra loro è nata un’amicizia personale che ha avuto spesso conseguenze politiche.
È una relazione che nessuna invasione o crimine di guerra sembra poter intaccare: Berlusconi associa a Putin quello che considera il più alto momento della sua carriera politica e questo ha creato tra loro un legame indissolubile.
La pubblicazione degli audio in cui Berlusconi parla in toni amichevoli di Vladimir Putin e accusa il presidente Volodymyr Zelensky di aver provocato l’invasione del suo paese ha suscitato commenti di indignato stupore. È difficile distinguere quanto siano sentimenti genuini e quanto siano dettati dal tentativo di parte di Giorgia Meloni di costringere il suo riottoso partner di coalizione a una serie di umilianti passi indietro.
Ad esempio, sembra che in molti dalle parti di Fratelli d’Italia abbiano dimenticato che il 22 settembre, tre giorni prima del voto, Berlusconi diceva a Porta a porta più o meno le stesse cose riportate negli audio carpiti: Putin avrebbe lanciato l’attacco dopo essere stato informato da una delegazione del Donbass degli attacchi ordinati da Zelensky che avevano causato «16mila morti». La verità è fino ad che Berlusconi non ha mai nascosto la sua ventennale “relazione speciale” con il presidente russo Putin – e fino ad oggi gran parte dei suoi alleati non ha avuto nulla da eccepire.
DALLA PARTE DELL’AGGRESSORE
Berlusconi ha sempre avuto difficoltà a criticare Putin, non importa quanto criminali fossero le sue azioni. Dopo l’invasione dell’Ucraina, ad esempio, ha trascorso 38 giorni giorni in silenzio prima di condannare «la criminale aggressione russa» senza mai nominare suo vecchio amico. C’è voluta la scoperta delle fosse comuni di Bucha per fargli dire di essere «profondamente deluso» dal comportamento di Putin.
In poche settimane, però, è tornato sui suoi passi. A metà maggio, già parlava dei rischi economici delle sanzioni, accusava Stati Uniti ed Europa di intransigenza e l’Italia di essere di fatto entrata in guerra fornendo armi all’Ucraina. Per il resto dell’estate Berlusconi ha continuato a chiedere la pace, in termini altrettanto espliciti di qualsiasi “putinista” inserito nelle famigerate liste pubblicate dai giornali. A maggio, ad esempio, diceva che bisognava «far accogliere agli ucraini le domande di Putin».
È lo stesso canovaccio che Berlusconi ripeteva nel 2014, durante la prima invasione dell’Ucraina. In quell’occasione, Berlusconi è volato nella regione recentemente annessa della Crimea e ha festeggiato il colpo di mano bevendo insieme a Putin una bottiglia di vino vecchia di 260 anni considerata dagli ucraini patrimonio nazionale.
Ancora prima, nel 2008, era stata la Georgia aggredita dalla Russia a ricevere questo trattamento. In quell’occasione, il ministro degli Esteri del suo governo, Franco Frattini, aveva pronunciato la memorabile frase: «Noi diciamo cessate il fuoco subito, integrità territoriale della Georgia, ma diciamo anche rifiuto delle armi per difendere l'integrità territoriale».
«LA STRANA COPPIA»
Berlusconi si schiera da sempre con la Russia per via del suo fiuto per la politica interna, ci sono molti più italiani scettici sulla posizione ufficiale sulla guerra di partiti che li rappresentano, per ragioni di realpolitik internazionale, che vanno dalle forniture energetiche agli effetti delle sanzioni sulle imprese italiane, ma almeno ci sono almeno altrettante ragioni umanissime e personali.
Nel 2015, dopo aver intervistato Putin, Berlusconi e una serie di loro importanti collaboratori, il giornalista Alan Friedman li ha battezzati «la strana coppia»: l’imprenditore playboy e l’austero ex agente del Kgb (nel frattempo, la scoperta dei giganteschi palazzi che Putin si è fatto costruire hanno rivelato che forse i due hanno in comune anche il gusto per gli eccessi kitsch).
Nella sua biografia di Berlusconi, Friedman scrive che i due si sono incontrati per la prima volta al G8 di Genova nel 2001. Già nel 1994 Berlusconi si era dimostrato uno dei leader europei più filo-russi, un orientamento che non dispiaceva affatto alla diplomazia italiana. Il nostro paese ha una lunga tradizione italiana di collaborazione con l’Unione sovietica (nella città russa di Togliatti c’è ancora l’impianto costruito dalla Fiat negli anni Settanta) che dopo la caduta del muro di Berlino si è trasformata nell’asse italo-tedesco per una maggiore integrazione internazionale della Russia in cambio di forniture di energia a buon prezzo. Ma a Genova nel 2001 gli interessi nazionali si sono mischiati con l’amicizia personale. In 19 mesi tra 2001 e 2003, Friedman ha contato otto incontro tra i due, a cui si aggiungono le vacanze delle figlie di Putin a Villa Certosa e la tradizione dello scambio di regali in occasione dei reciproci compleanni (distanti solo un paio di settimane) che, come confermano i famigerati audio, è proseguita anche quest’anno.
Il culmine dell’amicizia tra i due è l’ormai mitologico incontro nella base militare romane di Pratica di Mare, dove Berlusconi ha fatto incontrare Putin con George W. Bush in occasione del primo storico accordo di collaborazione tra Nato e Russia. Come Berlusconi ha ripetuto un numero ormai incalcolabile di volte, quell’incontro simboleggerebbe la fine di cinquant’anni di Guerra fredda. Più modestamente, gli storici lo ritengono il punto più alto raggiunto nelle relazioni tra Russia e Nato, quando sembrava se non probabile, almeno possibile l’ingresso della Russia nella Nato. La storia poi, come sappiamo, ha preso un altro corso.
Ma per Berlusconi, quel momento non è mai finito. «Di tutte le cose che ho fatto nella mia vita, questa è probabilmente quella di cui sono più orgoglioso», ha raccontato Berlusconi a Friedman. E questa è probabilmente la chiave di tutta la storia. Le fondamenta della strana coppia non affondano nella geopolitica o nella realpolitik, nemmeno nei loschi affari o nei party selvaggi insinuati dai messaggi dei diplomatici americani rivelati da Wikileaks. Non è chiaro nemmeno quanto davvero il rapporto sia reciproco se è vero quanto raccontato da Berlusconi, ossia che da febbraio Putin non gli ha mai risposto al telefono nonostante molteplici tentativi. Probabilmente, alla base del rapporto c’è la più grande ossessione di Berlusconi: sé stesso. E di fronte a questo, non ci sono Meloni, governi, Nato o ucraina che tengano.
DAVIDE MARIA DE LUCA. Giornalista politico ed economico, ha lavorato per otto anni al Post, con la Rai e con il sito di factchecking Pagella Politica.
Concetto Vecchio per repubblica.it il 21 Ottobre 2022
Paolo Guzzanti, ha capito quale è il disegno di Berlusconi?
"Azzoppare Giorgia Meloni direi".
Ma non devono fare il governo insieme?
"Non è detto".
Come non è detto?
"Meloni, con l'elezione di La Russa, ha dimostrato che può fare a meno dei voti di Forza Italia".
Pensa a un'altra maggioranza?
"Più in là potrebbe accadere. C'è una riserva indiana pronta a correre in soccorso".
E Berlusconi?
"Non è disposto ad inghiottire un simile rospo. Perdipiù lei gli ride in faccia".
Quanto possono durare?
"Non avranno vita lunga. Il governo nasce morto o gravemente malato. È già pieno di rancori".
Oggi sono tutti al Quirinale
"I ministri decisivi alla fine li suggerirà Mattarella".
Lei Berlusconi lo conosce bene.
"Non sono mai stato uno del suo cerchio magico, ma mi considero un suo amico. Ho fatto il parlamentare del Pdl e scritto un libro intervista Guzzanti vs Berlusconi.
L'anno prima dell'uscita di quel libro avevo però lasciato Forza Italia".
Perché?
"Nel 2008 Putin invase la Georgia. Il Cavaliere ci riunì nella sala del Mappamondo e disse che "Putin avrebbe attaccato per le palle il presidente georgiano"".
E lei?
"Gli spiegai che ero sconvolto. Da presidente della Mitrokhin ero stato attaccato dai russi. "Guarda che Vladimir è un uomo dolcissimo", mi disse lui". (Guzzanti imita la voce di Berlusconi)
Nell'audio dice che Putin gli ha scritto una lettera dolcissima.
"Ha usato lo stesso aggettivo di allora. Non dubito della sua sincerità emotiva".
Politicamente non è devastante?
"Mette una zeppa sul cammino della Meloni, per renderle difficile la vita".
Ma perché?
"Penso che lui si sia sentito offeso che lei non abbia accettato i suoi ministri".
Non è stupito dell'audio?
"Ma no, è un canone della sua comunicazione: lui sa bene che poi esce fuori. Escludo che sia stato un incidente".
Cosa glielo fa dire?
"La psicologia di Berlusconi mira all'approvazione anche da un punto di vista emotivo, così ottiene un grande ascolto e ruba la scen a tutti".
Bisogna fare ancora i conti con lui?
"Quante volte è stato scritto che il berlusconismo è morto? Ed eccolo ancora in prima pagina".
Però Forza Italia può stare al governo?
"Lui si fa forte del fatto che ha sempre votato i provvedimenti pro Ucraina".
Berlusconi soffre il decisionismo di Meloni?
"Si capisce. La volle nel suo governo quando lei era una ragazza. C'è anche l'elemento dell'ingratitudine".
Sono compatibili?
"Meloni discende dalla destra sociale, è una statalista, non ha nulla di liberale".
Berlusconi lo è?
"Si vanta di averli tolti dalla polvere. È geloso di un patrimonio ideologico ed elettorale svanito. Gli brucia ancora l'esclusione dal Parlamento nove anni fa".
È una ferita aperta?
"Sì, lo vedo dalle espressioni del viso".
Sull'Ucraina ha taciuto per mesi.
"Poi ha rotto il silenzio affermando che nel 2008 sconsigliò Putin di aggredire l'Ossezia. Era un modo per dire: se mi avessero coinvolto lo avrei dissuaso anche stavolta".
Berlusconi è in affari con Putin?
"Quando ruppi divenni molto popolare coi georgiani, loro erano convinti che fosse in affari con Putin sul gas. Provarono ad indagare ma non trovarono niente".
È ricattabile, insinua Meloni.
"I tempi del lettone e di Silvio col colbacco mi sembrano finiti".
Perché l'ha detto?
"Andrebbe chiesto a lei, che però si guarda bene dal dirlo. Perché non spiega a cosa allude?".
Il caso degli audio del Cav. Cosa accadde con la commissione Mitrokhin: quando ruppi con Berlusconi per l’amicizia con Putin. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 20 Ottobre 2022
Di questo passo in Italia non si farà alcun governo e in mancanza di altre maggioranze andremo a votare a gennaio. Intanto, le dichiarazioni di Berlusconi che hanno fatto trasalire molti e con grande risonanza in Europa e nel mondo, disegnano un quadro politico e non delle esuberanze inopportune. Berlusconi irrompe sulla scena mediatica parlando dell’amico recuperato Putin e poi subito dopo dichiarandosi pubblico nemico del presidente ucraino Zelensky in un momento particolare e drammatico della guerra in Ucraina, e cioè quando si accredita la voce specialmente presso i servizi di intelligence inglese, che Putin starebbe seriamente pensando ad una esplosione atomica dimostrativa nelle acque del Mare nero usando un ordigno a bassa intensità fatto brillare allo scopo di mettere il fronte occidentale di fronte all’alternativa di una guerra totale.
Ieri, Berlusconi ha messo in onda il secondo tempo delle sue opinioni spiegando la sua assoluta disistima per il presidente ucraino Zelensky, del tutto colpevole di aver provocato le giuste reazioni di Putin, in difesa dei russofoni del Donbass che si dicevano perseguitati. Naturalmente queste parole oltre ad aver fatto un grandissimo clamore sull’opinione pubblica sia italiana che europea, determinano un evento politico che è sotto gli occhi di tutti: uno dei tre componenti dell’alleanza è schierato in politica estera dalla parte opposta a quella maggioritaria di una Meloni atlantica, e non in un momento di stasi della guerra, ma quando si profila la possibilità di una escalation militare.
Io ho un’esperienza personale e unica, da quando nel 2002 proprio mentre il Parlamento approvava la legge che istituiva la Commissione Mitrokhin di cui sarei stato eletto presidente, il capo del governo Silvio Berlusconi inaugurò l’eccezionale rapporto con il presidente Vladimir Putin, ex tenente colonnello del KGB di stanza a Dresda nell’allora Repubblica democratica tedesca. Fu l’anno del celebrato incontro di Pratica di Mare con Berlusconi, come il Dio romano Giano, a stringere le mani del presidente americano George Bush e di quello russo Putin dichiarando chiusa la guerra fredda. Ciò che forse Berlusconi ignorava, o forse lo seppe quando ormai non c’era nulla da fare, è che Putin odiava la commissione Mitrokhin perché non tollerava che qualcuno all’estero, per non dire in patria, investigasse su ciò che la polizia segreta sovietica aveva combinato sia all’estero che in Russia.
Da allora cominciò una sofferenza pesantissima nella commissione perché arrivavano continui messaggi sotto forma di articoli dei giornali russi riciclati su insospettabili giornali italiani in cui una commissione del Parlamento della Repubblica veniva dileggiata, additata al disprezzo insieme al suo presidente e ai più attivi dei quaranta commissari che rappresentavano tutti i partiti in Parlamento. Putin era furioso e mandava messaggi rabbiosi in tutti i modi possibili perseguitando alcuni amici russi fuggiti a Londra che si preoccupavano delle sorti della nostra commissione. Il più importante di tutti fu Alexander Litvinenko anche lui ex tenente colonnello del KGB e per un breve periodo di tempo collega d’ufficio del suo parigrado Putin. Litvinenko che fu assassinato orrendamente con un veleno radioattivo, a quei tempi, non rintracciabile.
“Vladimir è un uomo dolcissimo, caro Paolo”, mi disse Berlusconi con un sorriso luminoso quando io gli chiesi aiuto per capire che cosa si muovesse dietro quelle quinte e quelle matrioske. E aggiunse: “Guarda, se qualcuno mi venisse a dire che tu, Paolo, hai assassinato o potresti assassinare qualcuno io proverei la stessa incredulità se fosse detto a proposito di Putin.” Ciò accadeva nel 2006 quando la commissione parlamentare da me presieduta concluse i suoi lavori nei tempi prefissati dalla legge. Qualche anno dopo il governo inglese ordinò a un procuratore speciale della regina, Sir Robert Owen, di condurre un’istruttoria sulla morte di Litvinenko che terminò con una sentenza di responsabilità diretta di Vladimir Putin.
Fu dopo l’invasione della Georgia nel 2008 che io completamente sopraffatto dall’indignazione per la generale acquiescenza di fronte alla prima invasione di un paese europeo da parte di un altro paese europeo capii troppo tardi di aver sbagliato strada. Anche perché Berlusconi, che più tardi rivelerà di aver fermato l’amico un po’ troppo disinvolto nel lanciare carri armati e fanteria, durante una riunione plenaria dei gruppi di maggioranza, rivelò di aver ricevuto una telefonata in cui Putin si riprometteva di “inchiodare per le palle su un albero il presidente georgiano Shakasvilij”. E fu così che io interruppi i miei rapporti con il presidente del consiglio tirandomi dietro qualche anno di insulti. Nel frattempo, ero diventato vicesegretario del partito liberale italiano e ricevetti in quel partito la visita del presidente georgiano che era venuto a Roma per ringraziarmi.
Poi passò molta acqua sotto i ponti e anche la mia amicizia personale con Silvio Berlusconi sì rigenerò con molto affetto anche perché io non cessai di combattere la stessa battaglia liberale in cui era compresa la mia solidarietà per una persecuzione giudiziaria mai conosciuta in una democrazia occidentale e che si concluse con la cacciata di Berlusconi dal Parlamento. Un Parlamento che anziché difendere un suo membro come nel codice delle democrazie parlamentari, consegnò il senatore Berlusconi agli esecutori di giustizia. Di Putin con Berlusconi non ho mai più parlato, ma certo che in questi ultimi due giorni sono avvenuti dei fatti nuovi di cui sfugge spesso la sostanza, sommersa dagli aspetti scenici tra cui l’uso generoso dell’aggettivo “dolce” e del suo superlativo “dolcissimo”, riemersi con il riemergere dichiarato dell’affetto di Silvio.
Ma ieri mattina una delle prime notizie che ho letto è stata quella dell’improvvisa e non preannunciata visita del ministro della Difesa del Regno unito Ben Wallace a Washington per discutere urgentemente con gli americani la notizia, che si era diffusa nella notte precedente, secondo cui Vladimir Putin starebbe valutando di far esplodere un ordigno nucleare nelle acque del Mar Nero, un ordigno “a basso rendimento”. Inoltre, il ministro della Difesa di Mosca avrebbe annunciato di lì a poco l’istituzione della legge marziale nelle quattro province ucraine dichiarate annesse alla Federazione russa, giustificando tale decisione come una dolorosa necessità, amara e indispensabile.
L’Occidente, intendendo per esso Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti, hanno da tempo notificato anche per via diplomatica a Mosca che qualsiasi uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina avrebbe messo in moto una reazione militare di fortissimo impatto dissuasivo ovvero, detto in parole semplici, una guerra. Qui siamo e non è ancora chiaro se qui saremo ancora domani a quest’ora, benché è ciò che speriamo tutti per quanto le nostre vite possano essere deludenti o tormentate. Come spiegava un plebeo romanesco in un sonetto del Gioachino Belli “stamo tutti attaccati a st’ammazzata vita”, dove curiosamente quella “ammazzata” sta per amatissima.
Sono otto mesi che viviamo sull’orlo dell’abisso e da ieri quell’abisso si è fatto più vicino, almeno come minaccia che provoca una catena di conseguenze sia politiche che militari capaci di mettere il governo della Repubblica di nuovo di fronte alla scelta: o di qua o di là. Il Cavaliere ha giocato di sorpresa ed ha reso pubblico il fatto di essere in contatto con Putin e questa ripresa si è tradotta immediatamente, immaginiamo, in dichiarazioni, certamente non sfuggite di labbra, dall’immediato effetto politico e militare.
Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
(ANSA il 30 ottobre 2022) - Si può arrivare a una trattativa di pace nel conflitto ucraino? "Forse: solo se a un certo punto l'Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l'Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa". Lo ha detto intervistato da Vespa per il suo ultimo libro, il leader di Fi, Silvio Berlusconi.
"In questa situazione - spiega Berlusconi a Vespa nel libro "La grande tempesta" - noi non possiamo che essere con l'Occidente nella difesa dei diritti di un Paese libero e democratico come l'Ucraina". Sullo stop alle armi, preferendo l'invio di massicci aiuti economici per la ricostruzione, Vespa obietta che Putin dovrebbe almeno lasciare le due regioni (Kherson e Zaporizhzhia) occupate e annesse dopo le altre due del Donbass (Donetsk e Luhansk).
Berlusconi sembra d'accordo, pensa però che non si dovrebbe discutere l'appartenenza alla Federazione Russa della Crimea e fare un nuovo referendum nel Donbass con il controllo dell'Occidente. E' convinto che Putin sia 'un uomo di pace', confessa a Vespa che ha provato a chiamarlo due volte senza esito all'inizio della guerra e dopo non ha più insistito.
Sulle venti bottiglie di vodka e di lambrusco, ricorda che dopo aver raccontato ai suoi deputati delle lettere di auguri, uno di loro gli chiese: "E vi siete fatti anche dei regali?" E lui sorridendo rispose divertito: "Si certo, venti bottiglie di vodka e venti di lambrusco". Ma tutti , dice, avevano capito che scherzava"
Alla domanda, infine, di Vespa se si senta più vicino all'America o alla Russia, Berlusconi ricorda che una delle cinque standing ovation riservategli dal Congresso degli Stati Uniti il 19 giugno 2011 fu quando raccontò del giuramento di fedeltà agli USA chiestogli dal padre quando dopo la maturità classica lo portò a visitare il cimitero militare americano di Anzio.
(ANSA il 30 ottobre 2022) - "Nessun disagio" nel vedere per la prima volta dopo 28 anni un leader del centrodestra diverso da lui. "Era logico e naturale che andasse a Palazzo Chigi il leader del partito che ha ottenuto più voti di quelli di Forza Italia e della Lega messi insieme. D'altra parte avevo già detto più volte che Giorgia Meloni aveva tutti i requisiti per guidare il governo".
Lo dice Silvio Berlusconi nel libro di Bruno Vespa "La grande tempesta". Perché Giorgia Meloni ha avuto questo successo? "Perché rappresenta il nuovo ed è stata molto brava nelle sue apparizioni televisive". Berlusconi parla del ministro della giustizia Carlo Nordio, definendolo "uno straordinario professionista. Condivido le sue posizioni sulla riforma della giustizia. La priorità assoluta è la riduzione della durata dei processi" anche se "il no al Ministro della Giustizia ci ha deluso…. Ci è stato chiesto quali sarebbero stati i nostri ministri e noi abbiamo risposto: Tajani agli Esteri, Casellati alla Giustizia e Bernini all'Università. Poi si è parlato dei ministri senza portafoglio E io ero certo che ci fosse l'accordo". Infine, parlando del governo, "il mio intervento per la fiducia al Senato ha garantito una partecipazione appassionata e leale a sostegno del Governo per i prossimi 5 anni di lavoro". (ANSA).
Berlusconi e la ricetta per far trattare Kiev: miliardi per ricostruire invece che dare armi. Adriana Logroscino su Il Corriere della Sera il 30 Ottobre 2022.
Le dichiarazioni sulla guerra rilasciate da Berlusconi a Bruno Vespa suscitano l’immediata e aspra reazione delle opposizioni, che contestano al leader di Forza Italia una visione putiniana del conflitto
Basta armi, meglio fornire aiuti economici all’Ucraina. Crimea alla Russia e sorti del Donbass da decidere con un referendum. Qualche settimana dopo le polemiche per gli audio rubati sul conflitto, emerge una nuova strategia di Silvio Berlusconi per risolverlo. Questa volta si tratta di dichiarazioni ufficialmente rilasciate a Bruno Vespa per il libro che il giornalista darà alle stampe a breve «La grande tempesta». Immediata e aspra la reazione delle opposizioni che contestano a Berlusconi una visione putiniana del conflitto, e a Meloni di non avere una maggioranza sull’Ucraina.
Al presidente di Forza Italia, Vespa chiede se si possa avviare una trattativa di pace: «Solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa». Vespa obietta che Putin dovrebbe almeno lasciare le due regioni (Kherson e Zaporizhzhia) occupate e annesse insieme alle altre due del Donbass. Berlusconi concorda ma ribatte che fuori discussione dovrebbe essere l’appartenenza alla Russia della Crimea e che per il Donbass si potrebbe decidere con un referendum sotto il controllo dell’Occidente.
Quindi il Cavaliere ribadisce la definizione di Putin «uomo di pace» anche se, confessa a Vespa, ha provato a chiamarlo senza esito all’inizio della guerra. Riguardo al recente scambio di doni — venti bottiglie di vodka da parte del capo del Cremlino alle quali l’ex premier avrebbe ricambiato con il lambrusco — trapelato attraverso l’audio rubato durante un confronto con i neodeputati di Forza Italia, chiarisce che «tutti avevano capito che scherzavo».
Per Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, la misura è colma: «Meloni e Tajani non possono più fare finta di nulla, sull’Ucraina la maggioranza non c’è». Per una volta sulla stessa linea Italia viva-Azione, attraverso il capogruppo alla Camera, Matteo Richetti: «La presidente del Consiglio ha un problema non più tollerabile per le nostre istituzioni. Si chiama Berlusconi». Il leader di Azione, Carlo Calenda, chiosa: «Non esiste maggioranza di governo senza una linea di politica estera comune. Berlusconi fa propaganda per Putin incurante delle conseguenze».
E parole non molto diverse usa il Pd. «Per Berlusconi — osserva Lia Quartapelle — la pace in Ucraina passa dalla resa, togliendo gli aiuti militari a Zelensky e riconoscendo Donbass e Crimea come Russia. Un bel problema per Meloni». L’eurodeputata Pina Picierno sollecita Meloni, attesa a Bruxelles a breve, a prendere «immediate distanze» dalle «parole vergognose» dell’alleato.
Nel libro di Vespa Berlusconi parla anche del rapporto con chi ne ha ereditato il ruolo, assicurando di non provare «alcun disagio» per l’avvicendamento. «Era logico e naturale che andasse a palazzo Chigi il leader del partito che ha ottenuto più voti di FI e Lega messi insieme. Giorgia Meloni ha tutti i requisiti per guidare il governo. Ha avuto successo perché rappresenta il nuovo ed è stata molto brava in tv». Nonostante la «delusione» per la scelta di un ministro della Giustizia diverso da Casellati, che Berlusconi avrebbe voluto in quel ruolo, il Cavaliere assicura «partecipazione appassionata e leale a sostegno del governo per i prossimi cinque anni».
Da “Un giorno da Pecora – Radio1” il 31 ottobre 2022.
“Ho votato Terzo Polo perché mi stanno sulle palle sia il Pd che Salvini e Berlusconi, l'ultima versione di Berlusconi specialmente, quella con la deriva filo putinista”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è l'ex parlamentare di Forza Italia Fabrizio Cicchitto, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. ”
Berlusconi e Putin si amano e si ammirano sul piano psicologico”, la lettera 'dolcissima' che l'uno avrebbe scritto all'altro “è una cosa di omosessualità psicologica, in cui non c'entra il sesso ma una sorta di invidia: Putin fa quel che vuole in Russia e il Cavaliere avrebbe voluto fare quello che gli pare in Italia”. Insomma, oggi ha definitivamente 'rotto' col leader di FI. “A me Berluscono continua a rimanere simpatico, dal '94 al 2000 ha evitato che l'Italia fosse dominata dal Pd, da un gruppo di giornali e di magistrati. Questo è il suo merito storico. Poi però - ha concluso a Un Giorno da Pecora Cicchitto - ha combinato una serie di puttanate”.
Il Cavaliere Arcobaleno. Berlusconi, Conte e l’irritante doppiezza del putinismo italiano. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 31 Ottobre 2022
Il leader di Forza Italia sostiene che per fermare la guerra bisognerebbe togliere le armi all’Ucraina, che è esattamente quanto chiede Conte. Non si capisce perché il 5 novembre non dovrebbero marciare uniti
L’ennesima sfilza di dichiarazioni filo-putiniane pronunciate da Silvio Berlusconi, questa volta dalle pagine del nuovo libro di Bruno Vespa, confermano quello che tutti avevano capito sin dall’inizio. E cioè che il leader di Forza Italia ha sempre inteso dire esattamente quello che ha detto, prima nell’intervista a Porta a Porta del 22 settembre e poi nella riunione con i suoi parlamentari del 18 ottobre, da cui erano filtrati i famigerati audio.
Anche stavolta Berlusconi ripete che Vladimir Putin è «un uomo di pace», sostiene che quella dello scambio di Vodka e Lambrusco fosse una risposta ironica alla domanda di un parlamentare (dimenticandosi probabilmente che l’audio è tutt’ora disponibile on line), ma soprattutto spiega qual è secondo lui l’unico modo di fermare il conflitto: «Forse, solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa».
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla provenienza di una simile paccottiglia, dovrebbe concentrarsi sul passaggio più grottesco, ma proprio per questo più rivelatore. E cioè la proposta di togliere agli ucraini le armi con cui si difendono dai bombardamenti che stanno radendo al suolo le loro città in cambio dei soldi per ricostruirle, presumibilmente dopo che siano state occupate dai russi. Un miscuglio di spudoratezza e illogicità che possiamo considerare il vero marchio di fabbrica della propaganda putiniana. Non per niente, l’offerta di un simile piano di ricostruzione era anche l’unica concessione all’Ucraina, se di concessione si può parlare, contenuta nell’assurdo appello degli intellettuali rosso-bruni pubblicato su Avvenire qualche settimana fa.
La posizione di Berlusconi rappresenta con ogni evidenza un problema gigantesco per la maggioranza, tanto più grave perché si tratta di una posizione tutt’altro che isolata, come ci hanno recentemente ricordato le primissime dichiarazioni da presidente della Camera pronunciate dal leghista Lorenzo Fontana, a proposito delle sanzioni alla Russia e il rischio che si rivelino un «boomerang». Certo è che il problema non riguarda soltanto il centrodestra.
Può apparire un episodio minore, ma è forse degno di qualche attenzione il fatto che il 27 ottobre sulla pagina facebook di Unione popolare, il partito di Luigi de Magistris, sia apparso un post sulla manifestazione per la pace del 5 novembre in cui si diceva: «Condanniamo l’aggressione di Putin, rispettiamo la resistenza ucraina, siamo a fianco delle vittime, ma più armi, più distruzione, più morti non sono la soluzione». E che poco dopo dallo stesso post siano scomparse sia la condanna dell’aggressione sia il rispetto per la resistenza ucraina e la solidarietà con le vittime. Adesso infatti il paragrafo comincia direttamente con le parole «Più armi». Evidentemente la condanna dell’aggressore e il rispetto per la resistenza – espressioni riprese dalla piattaforma della manifestazione del 5 novembre – non sono condivise da tutti i partecipanti.
Questo infatti il passaggio che si trova nell’appello pubblicato dagli organizzatori: «Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime». Ma a leggerne il resto, onestamente, viene quasi voglia di dar ragione al curatore delle pagine social di Unione popolare, o a chi per lui abbia deciso di espungere quelle espressioni, perché evidentemente fuori contesto. Tanto almeno quanto le reiterate professioni di atlantismo e solidarietà con l’Ucraina che anche oggi, inevitabilmente, pioveranno da tutti i dirigenti di Forza Italia e del centrodestra.
La verità è che la linea esposta da Berlusconi non differisce in nulla da quella di Giuseppe Conte, un altro che certamente rispetta moltissimo la resistenza ucraina ed è stato tra i primi a promuovere la manifestazione del 5 novembre. Non per niente, Conte ha fatto esattamente quel che dice il leader di Forza Italia, chiedendo al governo di smettere di inviare agli ucraini le armi con cui resistono, e senza le quali non ci sarebbe nessuna resistenza. Non si capisce dunque per quale motivo in piazza dovrebbe esserci Conte e non Berlusconi.
Resta invece da stabilire se sia peggiore il sospetto che una larga parte della politica e dell’informazione italiana sia direttamente influenzata da Putin o l’impressione che molti politici, intellettuali e giornalisti aderiscano sinceramente e spontaneamente alle tesi del Cremlino.
Berlusconi contro Meloni, Sallusti: "Questo è troppo, non la riconosco più". Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 19 ottobre 2022.
Caro presidente Berlusconi, ieri ci ha informato, tra l'altro, di uno scambio di "dolcissime lettere" tra lei e Vladimir Putin in occasione del suo compleanno. Dal basso dell'affetto e della riconoscenza che nutro nei suoi confronti mi permetto, nel mio piccolissimo, anche io di inviarle una letterina, spero altrettanto dolce. Per dirle una cosa molto semplice: non la capisco più, e non essendo l'unico penso che il problema non sia mio.
Lei, presidente, poche settimane fa ha compiuto l'ennesimo miracolo della sua vita tenendo - i voti raccolti sono tutti suoi personali - Forza Italia in vita e al centro dell'arena politica. Chapeau, e se la pattuglia parlamentare non è risultata all'altezza del consenso raccolto lo si deve immagino esclusivamente a errori da voi fatti al tavolo dovevi eravate spartiti i seggi con gli alleati.
Lei ora dice, uso parole mie: Giorgia Meloni non ci rispetta. Non entro nel merito, ma certo svelare a due giorni dalla nascita di un governo già nel mirino di suo l'affettuoso carteggio tra lei e Putin non agevola certo il compito che aspetta la futura premier, e quindi l'Italia, nei consessi internazionali occidentali, né il lavoro del suo Antonio Tajani nel caso, come probabile, andasse a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri.
So bene poi che quando lei dice che "l'uomo della Meloni" è un suo dipendente a Mediaset non intende offendere nessuno, né si può leggere come una malignità di cui so non esserne capace. Ma sta di fatto che, al netto che quell'uomo era suo dipendente ben prima di conoscere Giorgia, più d'uno userà quelle parole per costruire castelli di sabbia che rischiano solo di mettere in imbarazzo la famiglia Meloni.
Ovvio infine che lei è Silvio Berlusconi, che lei può fare e dire ciò che crede come del resto ha sempre fatto. Ma chi non la conosce come ho avuto io l'onore e il privilegio di conoscerla potrebbe equivocare ogni sua parola e pensare che davvero lei in questo momento voglia affossare il sogno non di Giorgia Meloni ma di una buona parte di italiani. Ecco, caro Presidente, questo sarebbe troppo anche per Silvio Berlusconi. Se a lei fosse concesso di incontrare la sua gente, i suoi imprenditori che ancora la seguono, lo verificherebbe di persona. Tanto le dovevo, con affetto.
Ugo Magri per “la Stampa” il 13 ottobre 2022.
Tutti in piedi per un caldo, interminabile applauso. Così i senatori di Forza Italia e dell'intero centrodestra si preparano ad acclamare Silvio Berlusconi quando stamane farà il suo ingresso nell'emiciclo di Palazzo Madama.
Dopodiché l'ex premier andrà a sedersi nel posto che gli verrà assegnato e, spentasi l'esternazione d'affetto, soffocato il clap-clap rivolto all'anziano patriarca, del grande rientro in Parlamento dopo nove anni di esilio lui per primo non vorrà più occuparsi.
Capitolo chiuso per due ottime ragioni. Anzitutto perché c'è dell'altro, in questo momento, che gli preme di più, che lo inquieta e l'offende guastandogli la festa del ritorno in pompa magna; cioè il modo in cui Meloni lo sta trattando, ovvero lui ritiene di venire trattato nella giostra delle poltrone.
Berlusconi pensava di aver vinto le elezioni grazie a un risultato tale da renderlo imprescindibile perlomeno quanto Salvini, dunque di poter decidere chi premiare tra i tanti aspiranti di Forza Italia, quali tra loro spedire al governo senza farselo dire da Giorgia, senza che quella gli chiedesse delle rose di nomi per poi cogliere fior da fiore.
Il Cav si sarebbe atteso che Licia Ronzulli, da lui designata per qualche prestigioso incarico, non fosse scartata con sfoggio di arroganza; insomma, Silvio immaginava un inizio completamente diverso di questa XIX legislatura, in cui gli fosse riconosciuto non già il diritto a sedere in Parlamento, figurarsi, bensì a giocare un ruolo all'altezza della considerazione (particolarmente elevata) che il personaggio nutre nei confronti di se stesso. Qui sono concentrati, oggi, i suoi sentimenti. Di tutto il contorno gl'importa meno.
A ben guardare, c'è un altro motivo che impedisce a Berlusconi di vivere questo 13 ottobre 2022 come un giorno speciale e di cerchiarlo sul calendario provandone qualche forma di orgoglio: è l'epilogo di una vicenda che, quando ci pensa, ancora lo fa soffrire e in fondo mortifica il suo ego. Sì, certo: rimettere piede in quella stessa aula da dove gli avversari l'avevano cacciato il 27 novembre 2013 in seguito alla condanna per frode fiscale, applicando con severità implacabile la legge Severino, farà provare al Cavaliere il gusto della rivalsa.
Almeno per qualche attimo stamane gli occhi saranno tutti per lui; e nel vederlo di nuovo in aula qualcuno, perfino tra i nemici, si chiederà ammirato quale possa essere il segreto del Cavaliere, la misteriosa formula della sua incredibile resilienza, e cosa ne renda possibile l'eterno ritorno in questo caso a 86 anni suonati.
Ma Berlusconi, assicura chi ne conosce la psicologia, se potesse farebbe volentieri a meno di queste celebrazioni, in quanto appunto gli rammentano il punto più infimo della carriera, gli fanno indirettamente rivivere l'umiliante condizione di indagato, di reo costretto a scontare la pena nei servizi sociali, di pregiudicato indegno di rappresentare il popolo.
Sebbene si fosse proclamato innocente e avesse vissuto quell'espulsione quale somma ingiustizia, decisa a suo dire da un «plotone d'esecuzione», indugiarvi nel ricordo non gli suscita alcuna gioia. Anzi. È una pagina - assicurano dalle sue parti - che vorrebbe girare, una brutta parentesi da chiudere in fretta. Tra l'altro, dei suoi "giustizieri" d'allora, cioè di quanti vollero buttarlo fuori dal Senato, praticamente non ne è rimasto in pista nessuno. E l'ultimo che ancora resisteva, l'allora presidente del Consiglio Enrico Letta, da queste elezioni è uscito groggy.
Per cui, se lo animasse uno spirito di vendetta, Berlusconi nemmeno saprebbe oggi su chi infierire, a chi indirizzare i suoi sorrisetti. È tutto un mondo diverso da allora. Il 16 novembre 2013, cioè l'ultima volta che s' era recato a Palazzo Madama, era stato accolto da un coro di «buffone buffone», cosicché aveva quasi rincorso i contestatori sbraitando «vergognatevi, siete dei poveri stupidi ignoranti». Ieri mattina invece scendendo dalla macchina, prima di essere accolto con un abbraccio filiale da Anna Maria Bernini, ad attenderlo solo una folla di turisti stranieri curiosi. Non portava la cravatta che, al Senato, è un obbligo per tutti; ma all'ingresso nessuno dei commessi gliel'ha fatto notare. Fosse soltanto per l'età veneranda, ormai gli si perdona tutto.
La vittoria del Cav sull'odio di sinistra. Dopo nove anni il rientro in Senato. Nel 2013 l'antiberlusconismo più feroce lo cacciò da Palazzo Madama e lui giurò: "Continuerò a difendere la libertà". Paolo Guzzanti il 13 Ottobre 2022 su Il Giornale.
«Io non ho intenzione di andarmene ma continuerò a difendere la libertà». Così disse nove anni fa Silvio Berlusconi ai suoi deputati e sostenitori davanti a Palazzo Grazioli, la sua dimora romana di allora. E così è stato. Non solo non se ne è andato, ma ieri è tornato al Senato, da cui era stato cacciato con un estremo vulnus alla democrazia parlamentare.
Non si era mai vista prima l'esecuzione politica di un leader che aveva servito il suo Paese come capo del governo per il tempo più lungo nella storia italiana. Messo alla porta dal Parlamento che avrebbe dovuto difenderlo ieri Silvio Berlusconi è tornato al Senato poco dopo mezzogiorno, per le operazioni burocratiche che attendono ogni eletto. Era lo stesso uomo che nove anni fa era stato messo alla gogna. Per trovare un precedente bisogna tornare a Cicerone, anche lui cacciato dal Senato, costretto all'esilio e alla perdita dei suoi beni, ma che tornato vittorioso al suo scranno dette prova di un decoro senza enfasi: «Heri dicebamus», furono le sue prime parole in aula dopo anni di assenza: «Ieri stavamo dicendo...» come se il tempo fra il prima e il dopo fosse stato cancellato. Ma il caso della persecuzione contro il senatore Berlusconi è ideologico: fu travolto da una campagna di odio senza limiti né decenza. Ieri non è tornato al Senato soltanto un ex senatore, ma l'ultimo presidente del Consiglio che abbia governato col pieno sostegno dei voti. Fra pochi giorni un altro presidente eletto assumerà quello stesso incarico e sarà Giorgia Meloni che di Berlusconi fu la più giovane ministra. Dal 2011, quando fu forzato alle dimissioni da una campagna molto simile a una congiura ad oggi, si sono succeduti alla guida del governo uomini variamente illustri come Mario Draghi, Mario Monti, giovani politici come Matteo Renzi che non era ancora membro del Parlamento ma solo un ex sindaco di successo e segretario di un partito che poi ha abbandonato con disgusto, per arrivare ai governi macchietta dell'avvocato Conte buono per tutte le stagioni e totalmente sconosciuto alla politica.
Berlusconi ha vinto. È stato forte come una quercia e non si sa chi glielo abbia fatto fare se non il suo senso e spirito di servizio visto che avrebbe potuto mandare al diavolo tutti e ritirarsi a vita privata tra gli affetti e il comfort. Invece, ha resistito sia alle malattie che alle ingiurie, persino alla violenza di un esaltato che gli fratturò il naso lanciandogli un oggetto di ferro per non dire dei sessanta processi finiti nel nulla salvo uno assolutamente privo di logica per evasione fiscale. Le intercettazioni e le confessioni di alcuni giudici hanno poi messo in mostra l'architettura politica dei processi contro l'uomo che con un colpo di reni raccolse le bandiere cadute della Prima Repubblica per fermare il colpo di mano che aveva fatto fuori tutti i partiti, salvo quello comunista candidato alla successione.
Fu il invece il suo successo, con quell'operazione temeraria, guascona, spavalda e vincente che gli valse un tributo di odio e rancore infiniti che oggi si estinguono soltanto perché la generazione di coloro che lo avrebbero voluto politicamente morto, si è estinta. Una nuova generazione è diventata adulta senza sapere che cosa sia stata la guerra incivile dell'antiberlusconismo rabbioso di quasi tutte le sinistre.
Quasi, perché il più straordinario risultato dell'operazione con cui Berlusconi creò Forza Italia e la sua vittoria fu il terremoto nelle sinistre orbitanti intorno al vecchio Pci con una fuga di intellettuali e di militanti socialisti e comunisti perché il berlusconismo ebbe l'effetto di liberare energie che attendevano una prospettiva liberale per uscire allo scoperto. Tutto questo è storia e ieri l'uomo del sogno dell'«Italia che vorrei» ha varcato di nuovo la soglia del Senato dopo quella del Parlamento europeo. Aspettiamo di vedere se anche lui come Cicerone nel suo primo discorso dirà con noncuranza qualcosa che riconnetta il passato col presente, qualcosa come «Ieri stavamo dunque dicendo...».
Gufi e tartufi anti-cav. Fatto e Repubblica contro Berlusconi: sarai cacciato di nuovo. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 14 Ottobre 2022
È appena rientrato in Senato dopo nove anni di ingiusta forzata lontananza, e già cercano di cacciarlo, con la minaccia di una nuova condanna definitiva e conseguente applicazione della famigerata “legge Severino”. I soggetti di tanta carezzevole attenzione sono, per quel che abbiamo visto, ma potrebbero aggiungersene altri, due quotidiani, Il Fatto e La Repubblica. Proprio non lo sopportano, quel signore che nel 1994 ha debellato la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra, i paladini della morale di Stato, i più puri che nutrono l’evidente certezza di non subire mai una futura epurazione. Ma la ruota gira, come disse qualcuno, e non si può mai sapere. I giornali aprono e chiudono, cambiano proprietà e linea politica. Staremo a vedere.
Il fatto che Silvio Berlusconi sia stato cacciato dalla sinistra di governo nel 2013 con una forzata interpretazione retroattiva della legge è stato ricordato sul Riformista di ieri anche dal direttore Piero Sansonetti. E lo stesso ex Presidente del Consiglio, pur rimarcando l’ingiustizia subita, ha già spazzato via dal suo presente e futuro l’idea di un desiderio di rivalsa che non è neanche nel suo carattere, oltre che nelle intenzioni. Ma il comportamento da aguzzini non fa parte solo della storia dei torturatori o dei carcerieri. Ci sono tanti modi per randellare sulla carne viva, e certi giornalisti li conoscono bene. Nella previsione certa che il primo giorno di scuola in Senato per Berlusconi dopo tutti questi anni sarebbe stato il 13 ottobre, ecco che i soliti tartufoni del Fatto sono partiti il giorno prima, con il dito alzato e il randello della “legge Severino” già pronti.
Hanno spiegato perché Silvio Berlusconi avrebbe chiesto per un esponente di Forza Italia il ministero di giustizia. Non per stimolare quelle riforme che sono nel programma liberale del partito fin dal 1994. Ma per cambiare la legge che porta il nome dell’ex ministro del governo Monti. Il quotidiano lo rivela come fosse uno scoop, dimenticando la campagna fatta dal partito dell’ex premier in favore dei referendum sulla giustizia presentati dalla Lega e dai radicali. Uno di quelli era proprio sull’abolizione di quella legge, che non piace anche a una parte della sinistra, soprattutto nella parte in cui fissa la sospensione dell’incarico per i pubblici amministratori persino dopo una condanna nel processo di primo grado.
Si ricorda anche che su quello specifico quesito il partito di Giorgia Meloni aveva espresso dissenso. Di qui la necessità di blindare il ministero di via Arenula con uomini e donne di sicura fede garantistica, come Francesco Paolo Sisto ed Elisabetta Alberti Casellati. Ma come metterla con l’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, eletto con Fratelli d’Italia, che ha dichiarato a chiare lettere la necessità di “abolire la Severino”? Possibile che la titolarità del ruolo di guardasigilli debba essere ridotto a un singolo specifico punto, per quanto rilevante, almeno per Silvio Berlusconi?
Ed ecco che s’avanzano, il giorno dopo, cioè proprio ieri, gli strani guerrieri della testuggine di Repubblica, pronti a mettere il sale sulle piaghe. E a ricordare come sia in corso, e quasi in dirittura d’arrivo, con sentenza prevista a gennaio, il famoso processo “Ruby ter”. Quello in cui Berlusconi è accusato di aver “comprato” la testimonianza della signora Karima El Mahorung e di altre signore chiamate con sprezzo dai campioni della morale “olgettine”. Questa inchiesta nasce da una sorta di vendetta in seguito all’assoluzione definitiva di Berlusconi dai reati di concussione e prostituzione minorile. In quel processo tutti i testimoni a favore dell’imputato, compresa la stessa Karima che avrebbe dovuto essere parte lesa, furono marchiati a sangue come mendaci e corrotti. E poi rinviati a giudizio.
Così nascono i “Ruby bis” e “Ruby ter”. Il paradosso, di cui paiono non rendersi conto neppure gli zelanti giornalisti custodi della pubblica morale, è che non si capisce neppure in che cosa questi testi avrebbero mentito. Sul fatto che Berlusconi avrebbe conosciuto l’età (diciassette anni e mezzo) di Karima e avrebbe fatto sesso a pagamento con lei? Non può essere questo il punto, perché c’è una sentenza definitiva della cassazione a dire che colui che la pm Tiziana Siciliano ha definito come “sultano” è innocente.
Innocente, chiaro? Il reato di prostituzione minorile non è mai esistito. E allora? E allora, scrive virtuosamente Repubblica, questi testimoni hanno mentito su quel che nelle serate di Arcore “è davvero successo”. Ma che cosa è successo? Sono stati commessi reati? Perché solo questo potrebbe essere penalmente rilevante. Perché se, in ipotesi, qualcuno avesse detto “burlesque” invece di spogliarello o cose simili, quale sarebbe la rilevanza penale? Il fatto poi che Berlusconi, la cui generosità nei confronti di donne e uomini è arcinota, di fronte a ragazze disoccupate anche in seguito alla pubblicità negativa loro derivata dal “processo Ruby”, abbia concesso loro alcune liberalità, non è un fatto clandestino ma esibito alla luce del sole. E allora?
E allora che senso hanno queste minacce politico-giornalistiche? Persino la riforma Cartabia che impone la celebrazione veloce dei processi diventa randello per colpire Berlusconi. Ahah, è lo sberleffo di Repubblica, se in tre anni il “Ruby ter” arriverà alla cassazione, caro Silvio tu sarai cacciato di nuovo dal Senato. Dando per scontata la condanna. Ma, per come sta andando il processo e per la nota serietà di questo tribunale, e nonostante la richiesta di condanna a sei anni di carcere richiesti dall’accusa per l’ex Presidente del Consiglio, probabilmente quella condanna non arriverà mai. Fatevene una ragione. Berlusconi resterà in Senato. Senza bisogno di cancellare la “legge Severino”.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Il supponente. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2022.
Per Berlusconi, capotavola è sempre stato dove si sedeva lui. Non ha mai sopportato che un altro uomo ambisse a quel posto. Ma che vi ambisse una donna, anzi, che ci si sedesse proprio, era e rimane qualcosa che addirittura lo offende: un sovvertimento di quelle che considera leggi di natura. Nel galateo di Berlusconi la donna si corteggia e magari si venera, ma un vero maschio non può prendere ordini da lei, tantomeno accettare di sentirsi dire dei no. Possiamo dunque immaginarci che cosa abbia provato nel vedersi negare da Giorgia Meloni un ministero di prima classe per la sua protetta Licia Ronzulli. Che se poi preferiamo non immaginarcelo, si è premurato di scriverlo direttamente lui, su un foglietto di appunti immortalato in una foto che ormai è storia. Quattro aggettivi (più uno cancellato), numerati per meglio imprimersi nella mente che il comportamento della Meloni era stato: «1 supponente, 2 prepotente, 3 arrogante, 4 offensivo». (Il 5 era «ridicolo», ma deve essere sembrato troppo maschilista persino a lui, tanto che ci ha scarabocchiato sopra). Avrebbe usato gli stessi aggettivi per Salvini? (Forse uno solo, il quinto, ma è una mia supposizione). Di un uomo non disposto a obbedirgli avrebbe detto che era ingrato, frustrato, fallito: quello che disse di Fini, in fondo. Ma se una donna osa contraddirlo, significa che è supponente e arrogante. In realtà Meloni è la sua Nemesi: la dea greca del contrappasso, arrivata apposta per lui dall’Olimpo della Garbatella.
Estratti dalla autobiografia di Giorgia Meloni “Io sono Giorgia” il 16 ottobre 2022.
Il rapporto tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni non è mai stato idilliaco. A febbraio, dopo lo scontro sulla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, Meloni era andata in tv, su Retequattro, e aveva spiegato: "Io a Berlusconi nella mia vita non debbo niente". Parole che avevano fatto infuriare Berlusconi che aveva bandito per qualche giorno gli esponenti di FdI dalle sue televisioni e aveva replicato: "È un'ingrata".
Diffidenze e scontri che emergono anche da aneddoti raccontati da Meloni nella sua autobiografia Io sono Giorgia, pubblicata da Rizzoli nel 2021 e di cui riportiamo qui di seguito alcuni stralci.
Irriconoscente. "Molte volte, in questi anni, quando da presidente di un partito alleato ma distinto da quello di Berlusconi ci sono stati momenti di frizione, mi sono sentita dire che ero 'irriconoscente' con il Cavaliere che mi aveva fatto ministro. A parte che sono convinta che un buon politico debba essere leale con gli uomini ma ciecamente fedele solo alle proprie idee, le cose non stanno comunque così (…). Ho sempre avuto con il Cavaliere un rapporto franco e leale e ho di lui una grande considerazione, ma la mia storia appartiene a un mondo che lui non ha mai capito davvero…
B. e le donne. "Poche ore prima erano uscite delle intercettazioni di telefonate tra aspiranti soubrette e Berlusconi, da cui si intuiva che queste ragazze erano in cerca di raccomandazioni. (...) In quella telefonata con Roncone dissi quello che pensavo e penso, e cioè che le raccomandazioni sono frutto di una società che non premia il merito, che le protagoniste della storia mi facevano tristezza e che il comportamento di Berlusconi, in quel frangente, da donna di destra, proprio non mi era piaciuto. (…)
La mattina dopo, all'alba, mi chiamò Ignazio La Russa, capo delegazione di Alleanza Nazionale al governo. Io stavo ancora dormendo, risposi assonnata e sentii lui dire, con la voce ferma: 'Ma come ti viene in mente? C'è Berlusconi fuori dalla grazia di Dio'. (…) Aprii la porta di casa per prendere il Corriere della Sera e a pagina 5 trovai la mia intervista, con richiamo in prima. Titolo: 'Questo Silvio non mi piace'. All'alba, Berlusconi aveva chiamato La Russa arrabbiatissimo: 'La ragazza mi ha già rotto le palle'.
"Cosa vuoi in cambio? "A un certo punto di questo percorso decisi di comunicare personalmente a Berlusconi la nostra decisione (di uscire dal Pdl per fondare Fratelli d'Italia, ndr). Quando glielo dissi, a Palazzo Grazioli, mi rispose con quel suo fare pragmatico da uomo d'affari che ha imparato come tutto, e quasi tutti, abbiano un prezzo. 'Va bene, ho capito... Allora, dimmi: che cosa vuoi, che cosa vuoi fare?'. 'Voglio essere fiera di quello che faccio. Lo dico con rispetto, ma davvero non mi sento più a casa”.
No ai ricatti. "Non sono ricattabile, perché non faccio cose delle quali dovrei vergognarmi e non accetto aiuto da chi potrebbe chiedermi qualcosa in cambio".
Mario Tafuri per blitzquotidiano.it il 16 ottobre 2022.
Giorgia Meloni e Licia Ronzulli? Perché la futura premier storce il naso? Forse pesa quella telefonata di 12 anni fa con Nicole Minetti?
Su tutti i giornali e siti abbiamo letto del fastidio di Giorgia Meloni davanti alla insistenza di Berlusconi su un ministero di peso da assegnare a Licia Ronzulli, oggi potentissima figura di Forza Italia e dell’inner circle del Cavaliere.
“Per me è una questione d’onore. Piuttosto questo governo non nasce” era arrivata a dire la Meloni. Sottolineando con questo la sua totale avversione alla Ronzulli ministro. La vicenda si è poi conclusa, pare, con una ritirata strategica di Berlusconi dopo una scenata furiosa con Ignazio La Russa. e lo sgarro di non farlo votare presidente del Senato dal suo partito. Quel che interessa oggi capire è il perché di tanta ostilità.
Una bega tra donne? Non si direbbe. Forse la spiegazione ha radici nella cronaca di oltre 10 anni fa, quando primo ministro era Berlusconi e dalla Procura della Repubblica di Milano uscivano le intercettazioni delle indagini sul caso Ruby nipote di Mubarak e sulle cene eleganti nella villa di Arcore.
Ne pubblicammo parecchie pagine su Blitz. La numero 52 aveva questo titolo: “Nicole Minetti e Licia Ronzulli: ragazze per il dopo-partita cercansi”.
Sotto si leggeva: Sono da poco passate le 18:30 del 22 agosto 2010. Nicole Minetti parla al telefono con Licia Ronzulli. L’argomento è: quali ragazze ci saranno in serata ad Arcore?
Nicole: io sono ancora in alto mare perchè ho superato da poco Bologna e c’è un traffico disumano.
Nicole: per cui io sicuramente non riesco ad essere lì per quell’ora, ho sentito le ragazze all’inizio… all’Annina mi aveva detto che voleva venire, poi però è a piedi, una cosa e un’altra né lei né la Maristelle vengono lì allo stadio, perchè sono a piedi entrambe, quindi aspettano che arrivo io, vado a prenderle io e poi dopo andiamo dove dobbiamo andare insomma
Licia: okey, ascolta, la cena non è da Giannino, è a casa del capo ad Arcore, quindi stai tranquilla.
Nicole: no, l’unica cosa ho provato a chiamarlo per dirgli che comunque anche loro non venivano perchè mi dispiaceva, solo che non risponde, quindi magari se riesci ad avvisarlo tu, gli dici
Licia: glielo dico io, sì.
Il testo poi prosegue con lo scambio di una serie di informazioni sulle ragazze la cui presenza era prevista quella sera.
La sua rilettura, oggi, 12 anni dopo, può essere illuminante.
Roberto Gressi per corriere.it il 16 ottobre 2022.
«Può la donna permettersi di stare alla pari con l’uomo? No! È aperto il dibattito». Nella casa del popolo del film d’esordio di Roberto Benigni si consumava l’eterno confronto, che ora, anche in politica, vede sul ring il campione non più in carica e la sfidante. Eccoli: Silvio Berlusconi, 86 anni, da Milano, Bilancia, 165 centimetri per 84 chili, pantaloncini azzurri. E Giorgia Meloni, 45 anni, da Roma, Capricorno, 163 centimetri per 54 chili, pantaloncini tricolore con Fiamma.
Non solo pugni, sul quadrato, ma anche guerra psicologica. Mohamed Alì fustigava con il dispregiativo di «zio Tom» i suoi avversari neri. E i duellanti di oggi non sono da meno. «Supponente, prepotente, arrogante, offensiva», ferisce Berlusconi, «con lei non si può fare nessun accordo». «Non mi piaci, non ti devo nulla, io non sono ricattabile», sferza Meloni.
Sembrano a prima vista coltellate dell’ultimo minuto, un c’eravamo tanto amati finito a carte bollate, con la «ragazzina che si è montala la testa» (copyright Gianfranco Fini) da una parte e il patriarca che, con un filo di machismo, difende il suo onore e la sua prediletta, Licia Ronzulli.
E invece no. A pelle non si sono mai sopportati. Lui che la fa ministra per i Giovani a nemmeno trent’anni. Lei che chiede agli atleti di non partecipare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino nel nome del Tibet oppresso.
Lui che la smentisce, Franco Frattini, il ministro degli Esteri di allora, pure. Lei che abbozza ma non abiura. Racconta che già al giuramento qualcuno del cerimoniale aveva avuto l’idea di metterla in fila in ordine di altezza, come i ragazzini delle colonie negli anni Cinquanta. «Tra Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini sembro il brutto anatroccolo, qualcuno fa anche uno strepitoso fotomontaggio dove al mio posto c’è Kermit, la rana dei Muppet».
Non è l’unico fake. Diventa virale un video durante il congresso del Pdl. Si sente la voce di Berlusconi, che la chiama in prima fila: «Dov’è la piccola?». Viene deformato in «Dov’è la zocc*?». E incredibilmente in tanti ci credono. Ma comunque, è convinta lei, mi chiamava piccola perché non si ricordava il mio nome.
Fastidiosamente irritante, nella sua insignificanza, pare che la giudichi fino da allora Silvio Berlusconi. Ma il primo incidente vero arriva a firma di un giornalista del Corriere, Fabrizio Roncone. La chiama e le racconta delle intercettazioni di telefonate tra aspiranti soubrette e Berlusconi, le ragazze erano in cerca di raccomandazioni. «Io ero al mare e dissi quello che pensavo e penso, e cioè che le raccomandazioni sono frutto di una società che non premia il merito, che le protagoniste della storia mi facevano tristezza e che il comportamento di Berlusconi, in quel frangente, da donna di destra, proprio non mi era piaciuto».
Poi si rimette al sole. Ma all’alba la sveglia la telefonata di Ignazio La Russa: «Giorgia, ma come ti è venuto in mente? C’è Berlusconi fuori dalla grazia di Dio. Hai visto il titolo? “Questo Silvio non mi piace”. Lo sai che mi ha detto? Questa ragazza mi ha già rotto le palle». Nel suo libro Giorgia riconosce l’imprudenza, ma in realtà si appunta la lite al petto come una medaglia.
Poi c’è il capitolo primarie, chi se le ricorda? Si preparavano le elezioni del 2013 e Berlusconi, magari per gioco, aveva fatto credere a tutti che il leader del centrodestra sarebbe stato scelto con una consultazione popolare. Ci cascarono in tanti: almeno undici, se non di più, erano pronti a candidarsi. L’ultima a non voler credere che fosse tutto uno scherzo fu Giorgia Meloni, testarda fino all’ultimo, tra qualche inquietudine e tanti sberleffi. Racconta allora che salì le scale di Palazzo Grazioli, per dire a Silvio che si metteva in proprio. Lui le rispose, pragmatico: «Va bene, ho capito. Dimmi: che cosa vuoi?». Sono fatti così, nati per non capirsi.
Lei andò a fondare Fratelli d’Italia, lui la guardò allontanarsi, con la pena di chi vede una che va a buttarsi dal ponte dell’Ariccia. Ma anche sulle cose piccole il rapporto è sempre urticante. Ha raccontato La Russa a Tommaso Labate: «Ce ne andiamo a pranzo a Villa Certosa, con Giorgia. Lui ci fa vedere le sue farfalle, vive e imbalsamate. E lei, rivolta a Silvio: tu sì che potevi invitare una ragazza a casa e mostrarle per davvero la collezione di farfalle...».
Quando Salvini scavalca Forza Italia alle elezioni del 2018 si prende il diritto di parlare lui dalla tribunetta del Quirinale. Berlusconi lo tratta da ragazzo di bottega e mentre parla mima con le dita: uno, due, tre... come a controllare che abbia ripetuto bene la lezione. Matteo ne esce irritato, ma è Giorgia che, a favore di labiale, si rivolge a Silvio furiosa. Lui, a sua volta, non è mai tenero con lei. Liquidatorio: «Meloni? È leader a casa sua». Glaciale: «Non sostiene Draghi? Ne prendo atto con rispetto e con rammarico». Augurante: «Si isola e farà la fine della Le Pen».
L’ultima puntata si chiude con Berlusconi che sbatte la penna e digrigna i denti, e con Meloni glaciale, tanto da far rimpiangere di non essere su Netflix, che le serie le dà tutte di fila, e non devi aspettare per sapere come va a finire. Nel frattempo vale, metaforicamente (e pacificamente) parafrasando, il comandamento di Lee Van Cleef, il cattivissimo dei film western: «Se spari a un alleato uccidilo, o prima o poi lui ucciderà te».
Berlusconi e Meloni: la storia del non si sono mai amati. STEFANO IANNACCONE su Il Domani il 16 ottobre 2022
La leader di Fratelli d’Italia non ha mai davvero cercato di costruire un feeling politico con l’ex presidente del Consiglio. Portando a compimento l’obiettivo di Gianfranco Fini: la rottamazione di Berlusconi.
Un dato accertato è che FdI è nato, nel 2012, con una scissione nel Pdl in dissenso con la decisione berlusconiana di annullare le primarie del centrodestra.
Il punto di non ritorno è stato sicuramente raggiunto all’inizio di quest’anno, nei giorni in cui Berlusconi ambiva all’elezione al Quirinale. Ma la leader di FdI non sostenne pienamente la sua candidatura.
Il foglio scritto a mano di Silvio Berlusconi a palazzo Madama e la replica all’insegna del «non sono ricattabile» di Giorgia Meloni sono solo l’ultimo atto di un feeling politico mai sbocciato. E che la leader di Fratelli d’Italia non ha mai davvero cercato di costruire, portando nei fatti a compimento quello che era l’obiettivo di Gianfranco Fini: la rottamazione del Cavaliere.
Le cronache di questi giorni consegnano un ribaltamento della scena: adesso è Berlusconi a pronunciare, metaforicamente, il «che fai mi cacci?», di finiana memoria, dal governo. L’operazione di Meloni prevede dei passaggi ben precisi: mettere ai margini Forza Italia nella squadra dei ministri, che saranno scelti in base al proprio gradimento.
RIPICCHE E INSULTI
Ma al netto di quel che sarà nelle prossime settimane, è la storia a raccontare di una relazione sempre sul filo del rasoio. Con un peccato originale: la mancata fascinazione da parte di Meloni verso il padre nobile del centrodestra, come ama definirsi l’ex presidente del Consiglio.
Le ragioni sono molteplici. Ci sono aspetti personali, per esempio il carattere molto diverso, e generazionali, con una evidente differenza anagrafica, 45 anni lei e 86 anni lui. E infine c’è un dato politico: la numero uno di FdI è consapevole di aver conquistato la guida della coalizione senza aver dovuto chiedere il permesso all’anziano leader forzista. Verso di lui non ha dunque alcuna sudditanza psicologica. Berlusconi non ha mai tollerato questo approccio, considerandolo un affronto.
Anche per questo ha mostrato, spesso in maniera plateale, la propria preferenza nei confronti di Matteo Salvini. Un caso significativo risale a marzo, nel corso della cerimonia che ha suggellato, seppure non ufficialmente, il legame con la deputata Marta Fascina.
In quell’occasione, tra gli invitati, c’è un’assenza pesante: Giorgia Meloni. E Berlusconi non perse l’occasione per definire Salvini «il leader più sincero». Un modo per tracciare il parallelo a distanza con Giorgia Meloni, che era già stata etichettata come «ingrata e irriconoscente». Aggettivi che rappresentavano il preludio, per certi versi soft, al «supponente e arrogante», affibbiato nell’ormai celebre foglietto compilato sui banchi del Senato.
Nella galleria delle ripicche c'è l'affermazione del presidente degli azzurri, che recitava: «Giorgia farà la fine della Le Pen», in riferimento alla capacità di aumentare i consensi senza poi poterli tradurre in possibilità di governare.
Addirittura nei primissimi giorni di campagna elettorale Berlusconi sosteneva una tesi polemica: «Meloni spaventa gli elettori», resistendo all’ipotesi di cederle la guida del centrodestra. Da parte sua, la premier in pectore ha assunto una linea chiara verso Berlusconi: «Non gli devo niente»; lasciando così intendere che il ruolo da ministra delle Gioventù, nel governo formato nel 2008, non fu una gentile concessione, bensì il frutto di un accordo politico.
SPACCATURA QUIRINALE
Il punto di non ritorno è stato sicuramente raggiunto all’inizio di quest’anno, nei giorni in cui Berlusconi ambiva all’elezione al Quirinale. Aveva chiesto una prova di compattezza all’intera coalizione per presentarsi come un profilo credibile, appoggiato titubanze dal centrodestra.
Puntava a realizzare il sogno di una vita: la scalata al Colle. Per questo convocò gli alleati a Villa Grande, proponendo le fotografie con sorrisi a favore di telecamere. Il tentativo era palese: ostentare una granitica compattezza. Il progetto è naufragato in malo modo. In quelle ore il leader di Forza Italia percepì lo scetticismo della presidente di FdI, che del resto non aveva perso tempo a dichiarare: «Se Berlusconi rinuncia, abbiamo altri nomi», scalfendo il muro creato sul nome del leader forzista.
Non che in passato ci sia stato un idillio. Anzi, sempre al Quirinale, proprio all’interno del palazzo, nel 2018 si è verificato un altro momento di tensione acuta.
Erano i giorni delle consultazioni dopo le elezioni politiche. Matteo Salvini, come previsto, parlò con i giornalisti a nome della coalizione, al termine dell’incontro con il presidente Sergio Mattarella. Al suo fianco c’era Berlusconi che fece lo show con l'enumerazione dei punti del discorso del leghista. E chiuse la conferenza stampa con un altro fuori programma: spostò Meloni, prendendosi il microfono e rivolgendosi ai cronisti con l’invito a «fare i bravi». Un gesto con cui si prese definitivamente la scena del momento.
Pochi minuti dopo, un video svelò come, parzialmente coperti da una tenda, Meloni e Berlusconi stessero animatamente discutendo mentre Salvini assumeva un’espressione perplessa e infastidita. Nulla di nuovo, peraltro.
Le cronache del 2016 riportano alla memoria il modo con cui Berlusconi chiuse all’ipotesi di puntare su Meloni per la corsa a sindaco di Roma, adducendo come motivazione la sua imminente maternità. «È una cosa chiara a tutti che una mamma non può dedicarsi a un lavoro che, in questo caso, sarebbe terribile perché Roma è in una situazione disastrosa», disse l’ex premier che sponsorizzava con forza la candidatura di Guido Bertolaso.
TUTTO NASCE CON UNA SCISSIONE
Ma non è certo un caso isolato. Un fatto politico ne è diretta testimonianza: Fratelli d’Italia è nato da una scissione nel Popolo delle libertà, causata dalla fuoriuscita di Meloni e di altri esponenti come Guido Crosetto, nome caldo del totoministri, e il neo presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Fu un’iniziativa di dissenso verso Berlusconi, che nonostante le dimissioni da presidente del Consiglio volle ripresentarsi come leader del centrodestra alle elezioni del 2013, annullando le primarie che erano già state convocate. La spaccatura è in parte finita nel dimenticatoio, ma fin da allora il rapporto si è deteriorato.
Certo, c’è qualche traccia nella storia di Meloni che ha usato parole a favore di Berlusconi. Per esempio all’epoca dell’inchiesta sul caso Ruby. In quell’occasione, l’allora ministra per le Politiche della gioventù soccorse il premier: «Si sta delineando un'operazione giudiziaria che non sembra interessata a perseguire dei reati, ma solo a sfregiare l'immagine del premier eletto dai cittadini italiani».
E agli atti resta qualche dichiarazione di stima berlusconiana nei confronti di Meloni, come nell'intervista del 2017 al settimanale Tempi: «Di Giorgia ho sempre apprezzato determinazione, la competenza, il coraggio intellettuale, la capacità di analisi». Una delle eccezioni, di complimenti generosi, che confermano la regola di tensioni costanti. All’insegna del non c’eravamo mai amati. STEFANO IANNACCONE
Salvatore Merlo per “Il Foglio” il 16 ottobre 2022.
Ci sono sempre una “fidanzata” e una “assistente” particolare, volgarmente detta badante. Le due sono figure stereotipiche, come nella commedia dell’arte. E infatti a prescindere da chi siano e come si chiamino, assistente e fidanzata sono sempre amiche (è però l’assistente che ha portato la fidanzata ad Arcore). Entrambe esercitano molto potere e sono molto temute dunque anche assai odiate, si muovono di concerto come complici, sono autoritarie (specie la badante) e ovviamente secondo tutti i cortigiani del Castello e del partito entrambe portano il Sultano a sbagliare.
Già nel 2010, scherzando, Fedele Confalonieri chiamava il suo amico Silvio Berlusconi “il prigioniero di Arcore”. E già allora accadeva che una di queste signore, era Mariarosaria Rossi, l’assistente di dodici anni fa, in accordo con la fidanzata di allora, che era Francesca Pascale, non passasse al Cavaliere il telefono. Persino quando all’altro capo c’era il gran visir Gianni Letta. Oggi succede con Licia Ronzulli e Marta Fascina.
Dura, durissima, la vita accanto a Berlusconi, uomo che vive al di sopra del rigo, mago e circense capace di tramutare la Fininvest in un partito, lo share in voti, l’acqua in vino, le zucche in parlamentari. Duro il vivere degli ondeggiamenti della volontà capricciosa di un Sultano bugiardo ma sincero, sempre impigliato nelle sue troppe contraffazione della realtà. E stata la badante di oggi, Licia Ronzulli, a farlo sbattere malamente contro Giorgia Meloni? A farlo perdere giovedì in Senato? Sì. Ma anche no.
Il Caimano zoppica, ma è ancora vivo. Tutto ciò che succede oggi, è già successo ieri. E certo Silvio Berlusconi è sempre più anziano, sempre più malfermo, sempre meno forte dal punto di vista elettorale, ma nessuna delle meccaniche di corte che in queste ore stanno alimentando il gossip di Palazzo e anche i retropensieri di Giorgia Meloni, sono una novità. Sembra quasi, anzi, di rivedere di nuovo lo stesso film di sempre. Oggi come ieri vuole la Giustizia e le Telecomunicazioni.
E già circa dodici anni fa si diceva che il Cavaliere fosse nelle mani di un gruppo di Erinni e di un cerchio magico che lo orientavano. Il che era vero, perché lui voleva che fosse così. E infatti lo è stato, vero. Finché lui stesso, il Sultano diverso (e anche un po’ perverso), non si è poi scocciato e da un giorno all’altro ha deciso di cambiare sia la fidanzata sia la badante. Secondo una routine stabilita e immutabile che deriva dalla natura anomala, per non dire asiatica, della sua leadership così lontana dai codici delle istituzioni e della politica classica.
A cominciare dal fatto che la politica, Berlusconi la fa a casa sua da sempre, mica in Parlamento dove lo ha costretto ad andare Meloni giovedì mattina. Bonaiuti, Verdini, Cicchitto, Bondi, andavano tutti a casa del Cavaliere. E Niccolò Ghedini aveva addirittura una stanza tutta sua per restare pure a dormire: colazione alle dodici, il punto sulla giornata tra un boccone di carne e di verdura, la riunione della sera con un Crodino e le pizzette. Perché è così che al Sultano piace di più esercitare la sua funzione di capo. A casa. Con la badante e la fidanzata dunque. Da sempre. E’ lui che vuole così.
Ed è lui che alimenta tutte le leggende sulla sua vera o presunta prigionia. D’altra parte chi di noi non vorrebbe poter dare la colpa a un altro per le telefonate perse, per le chiamate rimaste senza risposta? Quando Mario Draghi ha chiamato Arcore, nei giorni disperati in cui il governo stava per cadere, non è riuscito a parlare con il Cavaliere. Questo lo sanno in molti. Ebbene il Sultano ha dato la colpa a Licia Ronzulli. Ed ecco la leggenda: “La Ronzulli non gliel’ha passato, voleva evitare che Berlusconi cambiasse idea. Voleva proprio far cadere Draghi”.
Figurarsi se qualcuno può fare cambiare idea a Berlusconi, ben altri santi ci hanno provato. Ma la badante, assieme al cerchio magico, serve a questo. Uno scudo. Che dura finché il Sovrano, che non ama perdere, non si scoccia. D’altra parte a chi è andata la colpa del disastro di Forza Italia giovedì in Senato? A chi è stata imputata l’ostinazione di voler affrontare Giorgia Meloni in Aula? Alla Ronzulli, ovviamente. Come se la ex infermiera del Galeazzi di Milano fosse dotata di qualche autonomia o di intelligenza politica.
Come se l’ostinato, orgoglioso (e un po’ capriccioso) non fosse il Sultano di Arcore in persona, la cui forza e il cui carisma, benché senile o acciaccato, si riverberano nell’arroganza e nell’antipatia che Ronzulli suscita praticamente in tutti i suoi interlocutori politici e non. Compresa Giorgia Meloni. Anche quando volle rompere con Denis Verdini, con l’amato Verdini, il Cavaliere utilizzò la Rossi/Ronzulli, insomma la figura stereotipica della badante di Arcore. Gliela scagliò addosso. Perché lui non ama perdere e nemmeno licenziare. Lo fa fare agli altri.
Era il 23 luglio 2015, e le ultime parole di Denis, pronunciate nello studio di Palazzo Grazioli, poco prima che si rompesse il famoso patto del Nazareno e con questo anche il sodalizio tra lui e il Cavaliere, furono queste: “Presidente, io non posso prendere ordini da una ragazzina”. Certo, un tempo l’ostinazione di Berlusconi poteva essere aggirata perché esistevano mediatori come Gianni Letta e altri collaboratori con i quali gli avversari parlavano. Ora tutto il gruppo intorno al Cavaliere è più piccolo, scarno, quasi una ridotta.
Ma le meccaniche sono sempre quelle. “Guardi non esiste niente. Non ci sono Erinni, né badanti. E’ tutto Berlusconi. C’è solo Berlusconi. E se mi devo incazzare con qualcuno, io mi incazzo con lui”, diceva Daniela Santanchè dieci anni fa. E le badanti? “Recitano la parte che Berlusconi le assegna. Siamo tutti tasti di un pianoforte suonato da lui”. E non è certo al pianoforte che si possono attribuire le colpe del pianista.
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” il 17 ottobre 2022.
Il dubbio di Pulcinella: e se in tutto quello che è successo ci fosse anche lo zampino dell'onorevole Marta Fàscina, o Fascìna, la quasi moglie di Berlusconi?
Da una trentina di anni ormai l'osservazione e di conseguenza l'informazione politica hanno dovuto assumere i codici e lo sguardo con cui si cerca di decifrare le dinamiche di corte.
È uno scrutinio al tempo stesso appassionante e ingrato perché, più che la razionalità dei progetti e delle alleanze, è la vita stessa che entra nuda e cruda nella contesa in termini di favoritismi, ambizioni, gelosie, tradimenti e ripicche ai quali, nel caso del Cavaliere, si sommano i circuiti famigliari, per giunta di primo e di secondo letto.
A farla breve, l'ipotesi è che l'altra settimana il vecchio e malconcio sovrano sia stato mandato a sbattere dalla coppia Ronzulli-Fascina, cuore del cuore di quel cerchio magico che in varie accezioni (giglio, raggio, tortello) comunque accompagna il processo di regressione tribale dei partiti in Italia. A differenza di Ronzulli, che dopo tutto voleva accomodarsi su una poltrona ministeriale di serie A, non è del tutto chiaro il movente che avrebbe spinto la muta e ieratica favorita a perseguire il fallimentare disegno di votare scheda bianca contro La Russa e quindi ai danni di Meloni.
Si è letto che sulla faccenda sono intervenuti i figli, Marina e Piersilvio, più che scontenti della gestione politica e della figuraccia paterna: ed ecco che sull'orizzonte post-cortigiano della sconfitta s' intravede, con sintomatica puntualità, l'immagine di una Fascina espiatoria, con possibili intrugli e ripercussioni tali da rendere il momento ancora più aggrovigliato, sorprendente e teatrale - commedia e melodramma, tanto per cambiare.
Ora, non sono cose che si certificano dal notaio, ma pure a costo di allungare il tavolo del famigerato gossip assegnandogli respiro, funzione e perfino dignità, può tornare utile l'analogia, o se si vuole la serialità con cui vanno in scena le crisi nell'ambito del berlusconismo. Per cui tocca ricordare come nel giugno del 2016, allorché dopo la debacle alle amministrative il Cavaliere dovette subire una rischiosa operazione all'aorta, già all'ospedale Marina figlia, insieme ai vecchi amici e consiglieri tagliati fuori, puntò il dito sul precedente cerchio magico, cioè sull'accoppiata Francesca Pascale e Mariarosaria Rossi: «Stava morendo per colpa vostra!».
Sono, come ovvio, questioni delicate e nulla impedisce di pensare che Silvione, cui aldilà di ogni convenienza le due si erano in fondo affezionate, fosse in qualche modo disposto a farsi "spremere come un limone" fino al cedimento fisico. Fatto sta che mentre giaceva al San Raffaele, fu fatta ritornare a villa San Martino la fedele segretaria Marinella, si affidarono i conti a un manager con un cognome degno di Flaiano, il dottor Cefariello, e soprattutto venne dato il benservito a Rossi.
Come molti ex di quel mondo (il maggiordomo Alfredo, il cuoco Michele, Walterino Lavitola e la stessa Ruby) la penultima "badante" si è poi lanciata nella ristorazione aprendo una pizzeria dalle parti di Caserta, "Codice Rossi". Ma fu proprio allora che per sostituirla accanto a Berlusconi, per scelta anche famigliare arrivò Licia Ronzulli che, oltre al vantaggio di essere un'infermiera, aveva dimostrato una certa abilità nella vendita del Milan.
È dall'ufficio stampa della squadra rossonera che, forse non a caso, proviene Fascina, a quei tempi in versione assai meno compassata e capigliatura spensieratamente ricciolona. Nel 2018 le fu garantito un super collegio, venne quindi eletta e di lì a poco scalzò Pascale dal cuore del sovrano inaugurando in un nuovo cerchio magico.
A riprova di come tali entità della post-politica tendano a farsi soggetti autonomi, tanto la pariglia Rossi- Pascale favoriva l'ala moderata di Forza Italia, in primis Carfagna, quanto quella Ronzulli-Fascina virò verso un asse preferenziale con Salvini. E qui ci si ferma - magari in attesa di un terzo cerchio magico e cortigiano.
Quella campagna d'odio contro il Cav che ferì l'autonomia politica dell'Italia. Dal 2011 ai governi istituzionali, ebbe sempre ragione quando scelse da solo. Daniele Capezzone il 13 Settembre 2022 su Il Giornale.
Lascio da parte - in questa sede - ogni giudizio di merito su tutti gli esecutivi ricompresi nell'arco temporale che sto per indicare: ma è un fatto che, da quando fu dimissionato (anzi: fatto dimissionare, all'indimenticabile grido «fate presto») il governo Berlusconi nel 2011 sotto i colpi dello spread per far posto alla giunta tecnica di Mario Monti, tutti i governi (da Monti in poi, appunto) hanno avuto scarsa o nulla parentela con il voto degli italiani. Intendiamoci bene: le procedure costituzionali sono state sempre formalmente rispettate, e gli esecutivi hanno goduto di regolare fiducia accordata dalle Camere secondo Costituzione. Nessun golpe, nessuna violazione di alcuna regola: ma - questo sì - una sistematica sterilizzazione del voto popolare, e un progressivo divario tra l'esercizio del kratos e la sua supposta fonte, cioè il demos.
A onor del vero, sine ira et studio, alcune pagine della nostra storia politica recente andrebbero riesaminate: (...) il 25 aprile del 2009, a Onna, l'Italia vide e ascoltò un Berlusconi triumphans, reduce da un primo anno di legislatura tutto sommato lusinghiero, espressione di un governo al massimo di fiducia e di consenso, capace in quel momento - a torto o a ragione - di unire una robusta maggioranza sociale (...). Nessuno sa davvero - oggi - se proprio allora sia scattato un qualche clic, se sia entrato in azione un network, una rete di forze e soprattutto di portatori di interessi politici, finanziari, editoriali, imprenditoriali, certamente non solo italiani. Sta di fatto che, dalle settimane immediatamente successive, si scatenò una valanga di attacchi, un vero e proprio assalto in crescendo: un grappolo di rivelazioni «private», una cascata di iniziative giudiziarie, e campagne mediatiche martellanti e concentriche. (...) Poi la primavera-estate-autunno del 2011, con il lavorio antiberlusconiano dentro il PPE, l'azione corrosiva delle cancellerie, e il vertice di Cannes (...) con le formidabili pressioni merkeliane per imporre a Italia e Spagna una specie di anomalo salvataggio/commissariamento da parte del Fondo monetario internazionale, dopo una stagione di artificiosa altalena degli spread (...). Nel frattempo, dopo un voto, quello di inizio 2013, e un formidabile mese finale di campagna elettorale in cui Berlusconi si liberò (purtroppo, per poco) di alcuni consiglieri, della sudditanza al montismo, e riassunse toni antitasse, rimontando su Pierluigi Bersani e acciuffando un incredibile pareggio, si transitò verso un'altra legislatura improntata allo stallo politico e alla liquidazione progressiva del centrodestra: fallimento delle larghe intese (governo a guida di Enrico Letta), fuoriuscita di Angelino Alfano dal partito di Berlusconi (...), fino all'avvio dell'esecutivo guidato da Matteo Renzi. E intanto, lo stringersi della morsa giudiziaria: una condanna a dir poco discutibile contro Berlusconi, una manciata di altre inchieste pronte all'uso, l'atteggiamento pilatesco di Giorgio Napolitano, l'espulsione del Cav dal Senato, i servizi sociali. Chi scrive può parlare essendo «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio»: fui molto vicino a Berlusconi, fornendogli qualche consiglio liberale (forse utile e coraggioso) nel momento in cui era in assoluto più solo (la campagna elettorale di febbraio 2013), e ne presi politicamente le distanze più tardi quando scelse (in Italia) il patto del Nazareno con Matteo Renzi (...).
Dissi allora e dico oggi con convinzione ancora maggiore che, per quante contestazioni si possano e si potessero fare a Berlusconi, in quei due, tre anni fu oggetto di un trattamento che, per colpire lui, ferì anche l'autonomia della politica e l'autonomia dell'Italia. E se Berlusconi ha avuto un torto maggiore, è stato quello di aver detto sì ai suoi consiglieri pronti ad allinearlo - in ultima analisi - ai desiderata istituzionali.
Massimiliano Panarari per “La Stampa” il 12 settembre 2022.
Abracadabra, a me gli occhi! Si sta celebrando, per l'ennesima volta, la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, l'«Illusionista Supremo». A schermi unificati, compreso il «dolce stil novissimo» di TikTok(Tak), come lo ha ribattezzato l'ultraottuagenario fondatore del primo partito personale italiano.
Piattaforma nella quale il dominus nazionale della «neotelevisione» postmoderna si è infilato sulla scorta del motto «bene o male, purché se ne parli», puntando al rimbalzo comunicativo sui media mainstream. "Missione compiuta" da questo punto di vista, mentre non si può dire altrettanto dei contenuti programmatici e dello stile comunicativo, che paiono arrivare per direttissima da un'altra era. Praticamente quella del suo trionfale debutto elettorale, quasi che il tempo sia stato congelato.
D'altronde, una delle parole che possiamo oggi più agevolmente associare al berlusconismo è quella di consuetudine, un pezzo del paesaggio e dell'arredamento (della vita pubblica). Se in queste ore di lutto i sudditi di sua maestà britannica realizzano che Elisabetta II è stata la Regina per antonomasia, e per molti decenni del Novecento una figura sempre presente (in senso letterale), noi italiani abbiamo, invece, il Cavaliere, al punto che per certe generazioni risulta impossibile immaginarsi una politica "deberlusconizzata".
E, dunque, sui social il Berlusconi degli anni Venti del Duemila si propone con una propaganda marcatamente vintage, come se fosse appena uscito dalla macchina del tempo. Non essendo comunque il solo, ma ritrovandosi in abbondante compagnia, dal momento che - verosimilmente anche a causa della repentinità con cui siamo stati gettati in pasto al clima della competizione elettorale - molti partiti sembrano avere attinto in maniera massiccia ai propri temi e annunci «sempreverdi».
E hanno così finito per scodellare altrettanti "grandi classici" del loro repertorio, che si rivelano anacronistici e stridenti al cospetto del contesto politico-economico emergenziale in cui ci troviamo immersi.
Peraltro, come documentato su queste pagine, il 96% delle promesse dei leader nella campagna odierna risulta privo delle relative coperture di bilancio. Pura prestidigitazione, in un Paese dove la tentazione di affidarsi con aspettative salvifiche all'uomo (o la donna) forte si rivela inesauribile. E dove il «pensiero magico», che prescinde dai numeri - i quali, poi, da ostinati disturbatori del manovratore arrivano sempre a presentare il conto (specie economico) -, è stato sparso a piene mani dai vari populismi.
Di cui, il berlusconismo, non per nulla, è stato l'incubatore e la start-up. Pertanto, il presidente di Forza Italia estrae dal suo cilindro di prestigiatore della politica quella che spera essere una gallina dalle uova d'oro (elettorali). Ovvero, la ricetta dei mille euro (almeno...) di stipendio mensile per «i giovani» (verosimilmente le stesse generiche fasce anagrafiche a cui su TikTok si rivolge con l'ineffabile tono di voce infantile del baby talk).
E, dunque, riecco l'«uomo col sole in tasca», in abbinata - ci si aspetterebbe - con un (gigantesco) tesoretto. Il quale, però, non c'è. Prima gli "impegni" e le promesse ai pensionati, ora alle generazioni più giovani, e una posizione fattasi più titubante rispetto all'abolizione del "reddito di cittadinanza" grillino.
Siamo, appunto, di fronte all'iperottimistico libro dei sogni degli esordi, ma nel quadro di una finanza pubblica che non può minimamente permettersi di realizzarlo. Si potrebbe sostenere che la vita politica sia "inevitabilmente" fatta anche di corsi e ricorsi storici, ma qui si va parecchio oltre, con la campagna elettorale di Forza Italia che non si ferma a un nostalgico "ritorno alle origini" degli anni Novanta.
Ma compie un ulteriore, e retrotopico, grande balzo all'indietro, direttamente agli anni Ottanta dell'esplosione del debito pubblico, a cui tanto contribuì quel Bettino Craxi che era allora il riferimento politico di Berlusconi. «Se potessi avere mille euro al mese»... Solo che qui - a differenza di quanto evocava la canzone - non c'è nessuna «eredità di uno zio lontano, americano». Bensì un'Unione europea alla quale si deve rendere conto di un debito (sempre più) monstre, che ricade proprio sulle spalle dei più giovani.
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica” l'11 settembre 2022.
Non senza fatica, e all'inizio procedendo un po' a scossoni, la macchina umana berlusconica e partita e nel presente assoluto della campagna elettorale cerca di regalarsi un pezzettino di futuro.
Macchina umana e non politica, perché dopo tanti anni e quasi impossibile capire quale politica abbia fatto il Cavaliere, a meno di identificarla in lui stesso, nella sua persona fisica, nella sua vita, nella sua maschera talvolta degradatasi in macchietta.
Lo si dice con problematico rispetto, tanto più nel paese della commedia e del melodramma, sia l'una che l'altro posti convenientemente al servizio dell'"arte del far credere" e quindi tali da avergli fatto vincere un record di elezioni (1994, 2001, 2008) salvandolo da altrettante sconfitte. Se non altro per questo s'impone un tot di prudente umiltà dinanzi al fatto, all'apparenza irreale, che da un mesetto in molte stazioni ferroviarie sono in funzione degli schermi che ripropongono pari pari il Berlusca di 28 anni fa oltre all'inno primigenio di Forza Italia.
A quel tempo l'attuale coordinatore elettorale Cattaneo aveva 14 anni, ma ancora gira l'antico "kit del candidato" con le medesime raccomandazioni pedagogiche destinate ai venditori Fininvest, essere gentili e presentabili, non distrarsi mentre si parla con gli elettori, niente barbe nè tatuaggi.
Nel frattempo riprende smalto, a suo modo, l'icona del fondatore, a partire dal sorriso e dalla calotta incatramata; peccato solo per la voce, ma il doppiopetto e lo stesso, idem la cravatta a pallini, la scrivania con le foto, il repertorio per catturare l'attenzione e farsi voler bene, tik-tok-tak muovendo la testa a mo' di campana e poi accampando, con il consueto megaloistrionismo, il primato mondiale di visualizzazioni.
S'intende: tutto già visto e stravisto, la parabola edificante "ho fatto tutti i lavori", l'aneddoto dei manifesti per la Dc nel 1948, con il solito brivido per l'attacco comunista e la fuga da record mondiale; poi la barzelletta autoironica sull'aereo e quell'altra piccantella sui bidet a Gheddafi, il numero galante sul numero telefonico da chiedere alla bella ragazza.
Ecco, prendere o lasciare: sapendo pero che ogni volta, come in una fiaba o una leggenda l'intero pacchetto si arricchisce di qualche particolare inedito e fasullo, vedi l'altro giorno un incontro con De Gasperi e il part time come correttore di bozze al Corriere della Sera.
Non si cadrà qui nella retorica del disco rotto, se non altro perchè quando un disco rotto continua a girare così a lungo si e in presenza di un miracolo, altra parola tutta sua che prima o poi ci si aspetta verrà fuori, cosi come un accenno alle zie suore, in numero variabile.
E per davvero non si vorrebbe farla troppo cervellotica, ma l'impressione e che il Berlusconi rimpipirinzito di questa fase si proponga ragionevolmente agli italiani come una loro abitudine; una presenza indispensabile, inconfondibile, insostituibile del paesaggio umano, prima che politico, di un intero popolo mai come oggi in bilico fra il vuoto di qualsiasi prospettiva di lungo periodo e il compiacimento della propria immutabilità.
Già re Silvione I, anziano e decaduto, ma ancor più patriarca, come veniva da pensare vedendolo presentare con ribalda innocenza l'onorevole fidanzata: «Guardate che bella signora!», per poi incoraggiarla, fra Carlo Dapporto e Luigi XVI: «Dai, su, togliti il mascherino!»- il mascherino!
Come programma: il Ponte sullo Stretto, un milione di alberi, il poliziotto di quartiere, il veterinario gratis, la dentiera e il reddito di cittadinanza «per i nostri genitori e nonni». Quanto tutto ciò possa rendere in termini di voti finisce quasi per esulare dal lascito della lunga età berlusconiana.
L'erosione, anche da parte della «signora Meloni», come ha preso a chiamarla dopo che per lui e stata «la Trottola», sembra verosimilmente compiuta. Ma il groviglio storico del berlusconismo resta qualcosa che va ben oltre la vittoria e la sconfitta in un turno elettorale.
Il kit vademecum del candidato. Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera” il 30 Agosto 2022.
All'inizio, nel '94, fu un borsone inzeppato di cravatte regimental, spillette, adesivi, gagliardetti, 15 videocassette di programma. E una valigetta con foto di Silvio Berlusconi e la versione karaoke dell'inno scritto da lui. Nel 2001 un cd-rom con i manifesti e la brochure con 120 foto di Berlusconi.
Nel 2006, lo «spartito» degli slogan coniati dal capo, il discorso da recitare e i consigli marketing per conquistare astenuti senza sprecare soldi. Quindi, nel 2013, l'era della sobrietà: uno scatolone azzurro con una videocassetta, un cd, un frasario in pillole e slogan sulle «balle di Monti e della sinistra».
Quest' anno il kit del «buon candidato» è virtuale, con tanto di video; la gif, mini-immagine, di Silvio Berlusconi festante e un'animazione su come votare.
In più un documento di 30 pagine che insegna «come vincere» firmato da Alessandro Cattaneo. Nato a Rho, 43 anni fa, cresciuto col pallino della politica a Pavia, dove è stato eletto sindaco a 29 anni, da ingegnere (elettronico) con fama di «secchione», declina il motto berlusconiano «chi ci crede combatte, non si ferma, e supera ogni ostacolo e vince» in 11 capitoli.
Spiegando che «l'organizzazione è tutto». E dispensando consigli a 360 gradi, da come conquistare il proprio collegio a quali temi usare. E quali no: «Sulla futura leadership di governo meglio soprassedere e ricordare il ruolo di Berlusconi che ha fatto nascere il centrodestra».
Senza trascurare l'attenzione a «intonazione, postura e sguardo», «contatto visivo» («non lasciarsi distrarre da telefonate e sms») e, naturalmente, look. Lui, volto da «bravo ragazzo che piace alle mamme», cravatta e capelli sempre in ordine, li aveva da prima di entrare in Parlamento con Forza Italia. «Ai tempi del primo kit ero ancora bambino: mi sono candidato nel 2008.
Ma nel mio dna ho i canoni berlusconiani, a parte il tifo per l'Inter: mai avuto barba, né baffi, né tatuaggi», dice.
Non è specificato nel manuale che Berlusconi non li gradisce. Si sa dal '94, quando i candidati vennero ricalcati sul personale Publitalia. E tutti a radersi, molti convertiti al Milan. Anche se qualche eccezione fu tollerata.
«Io, Adornato e Giuliano Ferrara arrivammo con la barba e ce la tenemmo. Adornato un poco la scorciò. La tendenza di Berlusconi è guardare chi ha barba e capelli incolti come un pericoloso sovversivo. Ma nessuno ci disse nulla», sorride l'ex deputato FI, Paolo Guzzanti.
L'attenzione al dress code rimbalza dal '94, quando Achille Occhetto in abito marrone perse il confronto con Berlusconi in tv, e poi le elezioni. Siamo ancora lì? «Il "plasticato" in Forza Italia non esiste più. Anche se per noi la forma è anche sostanza: essere educati e in ordine è rispetto per le istituzioni e per l'elettore», chiarisce il responsabile nazionale dei dipartimenti di FI.
Sui social mette in guardia: «Sono importanti. Ma va privilegiato il contatto. Mi sono candidato sindaco ai tempi in cui Obama faceva campagna elettorale su YouTube. Ci provò il mio avversario. Sembrò innovativo. Ma ebbe solo 240 visualizzazioni, su 70.000 persone. Allora meglio non sottovalutare il porta a porta: contattare associazioni, opinion leader, parroci».
Di persona, specifica la «check list per conquistare tanti voti», che raccomanda di «partecipare a tutte le cerimonie sacramentali o eventi importanti per la persona», «rispondere sempre al telefono» e ricordarsi che «un elettore di sinistra o grillino non è per forza un elettore perso». Il manuale fornisce slogan. Primo fra tutti quello sulla flat tax: «Pagare meno, pagare tutti», inventato direttamente da Berlusconi, assicura Cattaneo.
Suggerisce di usare alcuni concetti: «Scelta di campo», «lo scontro è tra noi e loro», il «centro è rappresentato da Forza Italia». E chiede di non citare i sondaggi: «Si allontanano gli indecisi e si accredita un risultato vincente dei nostri alleati». Su Calenda e Renzi consiglia di descriverne la «scarsa affidabilità».
Il primo ironizza: «Finire sul manuale è un sogno avverato». «Il nostro non è un attacco ma una difesa attiva. Questo pseudo Terzo polo (quarto nei sondaggi) ci tiene nel mirino», dice Cattaneo. E ricorda la sua prima candidatura, a rappresentante di classe il primo anno di liceo: «Venni battuto da un compagno di classe ripetente. A Calenda dico: attento che a volte chi fa troppo il primo della classe viene sconfitto».
I "segreti" dietro la firma: così Berlusconi è sempre centrale. L'analisi della grafia del leader di Forza Italia rivela una personalità dotata di spirito d'iniziativa e dinamismo. Evi Crotti il 20 Agosto 2022 su Il Giornale.
Osservando le forme grafiche attuali (clicca qui), il ritmo vivace e lo spazio tra le parole si può dedurre come Silvio Berlusconi sia ancora dotato di spirito d’iniziativa, essenzialità di pensiero e dinamismo, fino a mantenere un atteggiamento attivo e produttivo, sostenuto come sembra da una buona vitalità e da stabilità di umore (vedi linearità del rigo di base che tende un po’ a salire verso destra).
L’energia, peraltro ben distribuita, lo rende tenace e quindi motivato a perseguire ciò che ha in mente. È difficile farlo recedere dai suoi intenti ed egli è anche capace di sacrificare cose materiali, piuttosto che venir meno ad un ideale nel quale crede fermamente. E quanto più è difficile il cammino, tanto più egli s’intestardisce nel portarlo avanti, quasi che la lotta non solo lo solleciti, ma diventi anche motivo di confronto. Anche il suo sorriso è infatti una sorta di sfida: da un lato vuole esprimere confidenza e benignità, e dall’altro dimostra un’aggressività verbale ma priva di rancore (vedi tagli della lettera “T” che svettano verso l’alto e la grande lettera iniziale del cognome).
Berlusconi è uno stratega, ma soprattutto un grande organizzatore e coordinatore di risorse. Potrebbe essere paragonato a re Mida, in quanto tutto ciò che tocca diventa produttivo; per questo può suscitare invidie negli avversari o in chi vorrebbe emularlo senza possedere le sue doti cognitive e creative.
Anche la firma, nella sua essenzialità, ma con le iniziali così ben evidenziate sia nel nome sia nel cognome, indica che non sempre egli riesce ad accordare il sentimento con la determinazione e quindi potrebbe lasciarsi coinvolgere emotivamente nella scelta delle persone.
Silvio Berlusconi è assolutamente lucido e presente, come conferma la scrittura che denota una notevole vitalità. Certi piccoli tentennamenti grafici (vedi la parola “intestardisce”) non interferiscono né sulla sua stabilità mentale, né sulla sua vita relazionale e sociale: nonostante l’età, che si voglia o no, egli non demorde dai suoi propositi (vedi buona tenuta del rigo, occupazione dello spazio grafico e firma con lettere iniziali grandi) cercando di essere ancora vincente quasi a sfidare la “malasorte” che lo ha da tempo perseguitato.
La pulsionalità, ancora assai presente (vedi lettere con allunghi inferiori allungati) indica un forte bisogno di corresponsione affettiva che però, limitando la lucidità emotiva, non sempre gli permette scelte idonee.
La schiatta lombarda. I primi, veri, colpevoli dello svacco istituzionale di oggi sono Berlusconi e Bossi. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 19 Agosto 2022.
Hanno portato in Parlamento sfaccendati e disadattati, liberalesse della mèche, bifolchi e belle figliole da cene eleganti. Hanno elevato a sistema quella che, nella Prima Repubblica, era una quota fisiologica di impresentabili, preparando il terreno per l’analfabetismo al potere (anche nella parte avversa)
Il degrado plebeo delle assemblee legislative e, in generale, dell’ambito pubblico si deve all’opera di due principali, se non esclusivi, responsabili: Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Gli altri, pressoché tutti e con esperimenti di legittimazione non meno desolanti, hanno preso a seguirli senza perplessità, ma furono quelli, il Cavaliere e il finto medico di Cassano Magnago, a portare in Parlamento stormi di liberalesse della mèche, plotoni di addetti alle televendite e manipoli di sfaccendati vaccamadonna e puttanaeva distolti dall’interlocuzione col bianchino nei meglio bar della Padania irredenta a Roma ladrona.
Quel che è venuto dopo in campo avverso, dal mezzo coglione da centro sociale al coglione intero da sagra sindacal-pacifista, l’uno e l’altro sottratti al tremendo precariato da quarantaquattrenni presso papà e mammà, e sino al vento del vaffanculo impetuoso nelle vele del vascello dei venditori di lupini, dei fuori corso sempiterni, dei cancellieri di tribunale in carriera statica perché inetti anche a far fotocopie, dei giureconsulti con curriculum disco dance, dei disadattati, degli sgherri, dei teppistelli, degli ignoranti abbestia messi a presidente di commissione, a sottosegretario, dio santo, a ministro, tutto questo era preconizzato nelle liste elettorali di Forza Italia e della Lega di Bossi, ripiene secondo la specialità di ciascuna di bei giovanotti e care figliole uniformati in dress code da cena elegante e allegri bifolchi in impavida crociata da Pontida a Montecitorio: tutti, ovviamente, splendidamente refrattari alla pericolosissima esperienza di leggere qualcosa, studiare qualcosa, imparare qualcosa.
Non che la fedina culturale dei predecessori democristiani, comunisti, socialisti e insomma primo-repubblichini fosse sempre illustre, anzi, perché una quota di rappresentanza era pur concessa anche allora, perlopiù in funzione di interfaccia corruttiva o per irresistibile esigenza familista e clientelare, a qualche campione che non sfigurerebbe nell’odierna sentina dell’uno vale uno che ha perfezionato e diffuso la pratica berlusconian-bossiana. Ma si trattava, appunto, tra i ranghi di quei partiti tradizionali, di presenze testimoniali ed episodiche, non della regola, e in ogni caso non si assisteva all’elevazione a modello del villano rifatto, delle “signore”, come le chiama Berlusconi, che “sono bravissime e parlano anche l’inglese”, dei venditori di spazi pubblicitari istruiti a cantare meno male che Silvio c’è e del comunista padano che si preparava a manovrare le ruspe organizzando i cori contro i napoletani puzzolenti.
Il terreno del primo analfabetismo al potere l’han preparato loro, Bossi e Berlusconi. Le prime schiatte della canaglia parlamentare sono generate dai lombi di quella leadership lombarda. E viene da quella primogenitura il successivo e ormai irrimediabile svacco politico e istituzionale del Paese.
Fabio Martini per “la Stampa” il 18 agosto 2022.
La sua vita è questa: un'eterna replica. Oramai Silvio Berlusconi è un replay tenace - quasi compulsivo - delle stesse immagini e degli stessi refrain, da decenni sempre uguali a se stessi. E infatti rieccolo apparire in video il 17 agosto 2022: alle sue spalle riappaiono la stessa libreria, gli stessi libri, le stesse foto-ricordo che facevano da fondale alla video-cassetta di ventotto anni fa, quando il Cavaliere annunciò la sua discesa in campo. Stavolta Berlusconi parla di giustizia, un tema col quale ha una grande confidenza.
Da quando lui è entrato in politica nel 1994, i magistrati hanno setacciato incessantemente ogni sua attività. Non che mancasse mai la "materia", ma a nessun altro imprenditore o politico italiano sono state dedicate le stesse cure. E le contromisure di Berlusconi hanno segnato la sua carriera politica: da capo del governo ha prodotto una serie di legge "ad personam" che lo hanno protetto dai processi, ma ne hanno affievolito il prestigio.
Con un paradosso: Berlusconi denuncia da sempre la magistratura politicizzata ma nel suo quasi decennio a palazzo Chigi non è riuscito a produrre neppure mezza riforma del sistema-Giustizia. Certo, per il suo avvocato Niccolò Ghedini (scomparso ieri sera) le leggine personalizzate servirono «a dare maggiori garanzie ai cittadini, perché a nessun altro succedesse quello che è accaduto a Silvio Berlusconi».
Ma il paradosso resta ed è grande: Berlusconi è stato garantista con sé stesso, ma non con gli italiani.
Nel suo video agostano di queste ore c'è una piccola novità: Berlusconi non parla di sé ma di quelle «migliaia di italiani ogni anno processati e arrestati pur essendo innocenti», vessati davanti alle loro «famiglie, agli amici, sul lavoro». È a quegli elettori che si rivolge: ai milioni di persone lambite o colpite da un processo civile, amministrativo, penale.
Ma non è la prima volta. La sua "carriera" di sedicente vittima, di pluri-processato è una storia infinita e originalissima, anzi si può dire che tutta la carriera politica di Berlusconi sia iniziata e sembrava finita con la questione giustizia.
Quando la Prima Repubblica sprofonda, tra l'estate 1992 e la primavera del 1993, Silvio Berlusconi intuisce che la magistratura potrebbe presto occuparsi di lui. Prima di buttarsi in politica, appoggia con le sue tv le indagini di Mani pulite: in tal senso le telecronache "tifose" di Paolo Brosio per Rete 4 restano memorabili. Nella primavera del 1994, alla guida di Forza Italia, vince le elezioni e appena sei mesi più tardi viene raggiunto da un invito a comparire presso la Procura di Milano: Umberto Bossi ritira la fiducia della Lega e il governo entra in crisi. Passano sette anni prima che Berlusconi rivinca le elezioni.
Riecco le inchieste: tra il 2001 e il 2006 il governo di centrodestra approva una sfilza di norme che aiutano il presidente del Consiglio a proteggersi dai processi. Una striscia mozzafiato. La legge sulle rogatorie internazionali, sul diritto societario, sul legittimo sospetto, sulla protezione dai processi delle alte cariche dello Stato in carica, sulla riduzione della prescrizione, sul legittimo impedimento. Silvio si salva ma perde prestigio e l'eterogenea Unione di Prodi riesce a vincere le elezioni del 2006.
Ma la giustizia non "lascia" Berlusconi. Nel 2013 il Cavaliere viene condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione e all'interdizione ai pubblici uffici per due anni per frode fiscale decadendo quindi da senatore. Dopo ben 20 procedimenti - schivati nei modi più diversi o anche archiviati - quella per frode fiscale è stata la prima condanna in via definitiva. All'origine di tanta, decennale attenzione da parte dei Pm c'è forse il suo ingresso in politica? Mamma Rossella, che conosceva bene il suo Silvio, nel 1997 disse: «La politica? Che cosa terribile. Io non volevo. Ma lui mi rispose che sentiva una forte spinta dentro di sé. Comunque, se non fosse andato in politica sarebbe stato meglio».
Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera il 7 agosto 2022.
I capelli. Bisogna cominciare dai capelli. Il Cavaliere è ancora pieno di capelli. Neri, fitti, perfettamente incollati. Tutti noi, invece, ormai ingrigiti, canuti, spesso costretti a bocce lucide.
Dettagli. Ma poi forse mica tanto.
Perché ventotto anni dopo la sua prima campagna elettorale, Silvio Berlusconi ne comincia un'altra cercando di fare sempre Silvio Berlusconi.
Slogan appena riverniciati, la voce appena meno vellutata, un filo meno magnetica la luce nello sguardo. Il confronto tra le immagini d'epoca e quelle attuali è però piuttosto clamoroso. Uno del suo staff: dottore, non che sia una gran botta di novità, si potrebbe almeno eliminare la cara vecchia cravatta di Marinella a pois? Lui accetta poco convinto. Ma poi pretende che tutto il resto della scenografia resti intatto. Il colpo d'occhio non deve cambiare (spiega Giorgio Mulè, potente esponente di Forza Italia: «Davanti alla campagna demonizzatrice scatenata da Enrico Letta, non vedo quale migliore campagna mediatica di risposta possa esserci, se non quella già risultata vincente nel 1994»).
Eccolo, allora, il Cavaliere, nel primo video di una lunga serie, pillole di programma che fa rimbalzare sul suo canale Instagram, sperando che diventino virali: con una camicia blu sotto la solita giacca blu rinforzata dalle solite spalline anni Novanta, seduto alla solita scrivania, le solite foto rassicuranti dentro le solite cornici d'argento (in una s' intravede il figlio Pier Silvio con un bambino), la solita enciclopedia nella solita libreria bianca, la solita bandiera italiana accanto a quella europea, il solito sorriso rassicurante sotto un velo di cerone.
E che dice, il Cavaliere?
Inizia con un pezzo del suo repertorio più classico: l'attacco alla sinistra (anche se poi, certo: è insieme al Pd che Berlusconi ha sostenuto il governo guidato da Mario Draghi e memorabile resta la sua visita al Nazareno del 18 gennaio 2014, invitato dal segretario dem dell'epoca, Matteo Renzi; simpatia reciproca, e stima, e tanti grandiosi propositi condivisi; scrissero: sta nascendo il Renzusconi. Parlarono a lungo: il Cavaliere seduto sotto una foto di Bob Kennedy, Renzi sotto uno scatto di Alberto Korda, con dentro Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara - quando ci ripetiamo che in questi anni di politica italiana abbiamo visto tutto e il contrario di tutto, purtroppo, è vero).
Comunque Berlusconi torna all'antico. E dice: «Una pillola al giorno del nostro governo... Dovrebbe togliere di torno i signori della sinistra».
La prima pillola: «Quando saremo al governo applicheremo una flat tax al 23% per tutti» - incurante del monito di Giorgia Meloni, che l'altro giorno aveva pregato i suoi alleati: «Per favore: adesso non cominciate a promettere cose che sappiamo di non poter poi mantenere».
Ma Berlusconi è Berlusconi. Anche a 85 anni e dopo le stagioni rocambolesche, pazzesche che sappiamo, tra divorzi e fidanzamenti, processi e condanne, ricoveri e rivincite e infatti è ancora lì nel ruolo del grande capo assoluto del centrodestra, incurante dei sondaggi e abilissimo nel convocare a casa sua i summit con i suoi due alleati (la Meloni, un po' scocciata, alla fine è sbottata: «Forse sarebbe il caso di cominciare a riunirci da un'altra parte, eh?»).
Curiosità per le prossime pillole social. Sebbene poi molti temi il Cavaliere li abbia già annunciati nei giorni scorsi, e spesso - così torniamo alle parole dell'onorevole Mulè - sembrano ricalcare slogan del passato. Tipo: «Nessuna patrimoniale, nessuna imposta di successione, nessuna tassa sulle donazioni». Oppure, più esplicito: «Torneremo ad istituire, come già esisteva nei governi che ho guidato io, il ministero degli Italiani nel mondo» (lo affidò all'ex repubblichino Mirko Tremaglia). Poi, l'argomento soldi: «Penso a una pensione minima di mille euro» (che un po' ricorda l'assegno da un milione di lire promesso alla vigilia delle Politiche 2001). Le dentiere: «Gratis per gli anziani bisognosi» (frase identica a quella del 2014). La svolta green: «Prometto di far piantare un milione di alberi all'anno» (che comunque sembra più fattibile di un altro storico annuncio: «Prometto un milione di posti di lavoro»).
Frase cult, di adesso e di 28 anni fa: «L'Italia è il Paese che amo». Stavolta, però, il piano è diverso: non vuole diventare presidente del Consiglio (la pazienza di Meloni ha un limite). Vuole invece tornare a Palazzo Madama: in quell'emiciclo da dove fu mandato via il 27 novembre del 2013, dopo la condanna per frode fiscale. Sensazione precisa: siamo appena all'inizio. Se Berlusconi ha deciso di fare davvero ancora Berlusconi, e di ispirarsi alle campagne elettorali del passato, possiamo aspettarci pillole quotidiane notevoli. Per capirci: nel 2006, annunciò che chiunque lo avesse votato, «sarebbe campato cent' anni». Lo guardammo increduli. E lui: «Avete capito bene. Ho infatti l'orgoglio di dire che il mio governo ha incrementato l'aspettativa di vita degli italiani da 78 a 80 anni, e per le donne da 81 a 83». Cronaca: alle 20:42, la prima pillola su Instagram ha ottenuto 2.678 cuori (pochini) e 235 commenti (la maggior parte di puro entusiasmo, alcuni graffianti, e irriferibili).
Michele Serra per la Repubblica il 7 agosto 2022.
Che un multimiliardario proponga, sorridendo, un'aliquota fiscale uguale per tutti, dal piccolo commerciante al grande manager, dalla ragazza con la partita Iva al professionista strapagato, è una oscenità non solamente politica, anche morale, che rischia di sfuggirci, e sicuramente sfuggirà - come da anni accade - ai suoi elettori. Perché la progressività delle tasse è un elementare principio di equità, e il ricco che propone al povero di pagare la sua stessa aliquota è, politicamente parlando, un ladro che elogia il suo furto.
Siamo così compresi a parlare della Giorgia e del Salvini che rischiamo di dimenticare chi è, a destra, largamente il peggiore, primo artefice del deterioramento della politica italiana. Colui senza il quale nulla è spiegabile, non la deriva populista della destra italiana (fu il primo dei populisti), non la sua solida componente neofascista (fu il primo degli sdoganatori), non il complessivo deterioramento culturale dell'intero quadro politico, sinistra compresa (fu il primo dei semplificatori, dei demagoghi, dei soppressori del linguaggio critico a vantaggio della ciancia pubblicitaria). La sua immagine recente, vuoi del vecchietto accattivante, vuoi dell'anziano e saggio moderato, è tipicamente consolatoria. Serve a dimenticare che Berlusconi è stato il nostro Trump, ha svuotato la destra conservatrice e borghese per farne una fabbrica di demagogia (fa testo il disgusto di Montanelli) e soprattutto ha tenuto bene da conto - come Trump, come tutti gli straricchi - i suoi interessi personali. Il più di destra, a destra, è sempre lui: da trent' anni.
L’ETERNO RITORNO. Berlusconi è tornato e si candida al Senato dopo l’espulsione per la frode fiscale. NELLO TROCCHIA su Il Domani il 22 luglio 2022
Lo avevano definito ‘moderato’, ‘garante’, ‘padre nobile’, attribuendogli una generosa resipiscenza, ma Silvio Berlusconi è tornato quello che è sempre stato: un caimano. E in una notte ha ribaltato il governo di Mario Draghi, approvando la spallata del fido Matteo Salvini e salutando con una battuta funerea i fuoriusciti da Forza Italia, «riposino in pace».
Il primo effetto della fine anticipata dell’esecutivo delle larghe intese è servito: il ritorno del leader di Forza Italia.
Gli ultimi giorni prima delle dimissioni di Mario Draghi sono intensi e Berlusconi si prende la scena. Torna e oscura l’alleata Giorgia Meloni, in crescita nei sondaggi e oppositrice del governo Draghi, ma mal digerita dall’ex primo ministro. Se c’è lui, gli altri sono un corredo. NELLO TROCCHIA
La rivincita sull'ingiustizia. Paolo Guzzanti il 23 Luglio 2022 su Il Giornale.
Lo cacciarono usando una legge con valore retroattivo non riuscendo ad estrometterlo dalla politica con le armi della democrazia e il risultato fu che Silvio Berlusconi fu messo in un angolo.
Lo cacciarono usando una legge con valore retroattivo non riuscendo ad estrometterlo dalla politica con le armi della democrazia e il risultato fu che Silvio Berlusconi fu messo in un angolo. Trattato come il capitano Dreyfus il quale, benché fosse innocente, fu portato nel mezzo del quadrato militare e spogliato delle mostrine, le decorazioni e gli spezzarono anche la sciabola. Dovettero passare anni prima che la scatenata campagna di Emile Zola con il suo famoso libro J'accuse (io accuso) facesse ripetere il processo che riconosceva il capitano, la cui unica colpa era di essere ebreo, totalmente innocente dall'accusa di essere una spia tedesca.
Ma il capitano, nel frattempo, si era stancato di combattere e aveva perso ogni fiducia nella giustizia francese. Non così ha reagito Silvio Berlusconi che ha seguitato, restando fuori dalle Camere italiane, a farsi eleggere al Parlamento Europeo dove ha raccolto una serie importantissima di riconoscimenti da tutte le parti politiche europee. E adesso - questa è la notizia - intende tornare in Parlamento scegliendo il Senato: lo stesso da cui fu estromesso nel 2013 in barba ad ogni cultura sia giuridica che parlamentare, cacciato affinché non raccogliesse più l'antico consenso e dunque abbattuto come un animale da sacrificare. Ai bei tempi in cui Berlusconi raccontava molte barzellette divertenti, rielaborò quella del tizio che era sopravvissuto a una quantità eccezionale di incidenti, E quando qualcuno chiede, nella storiella, che cosa ne fosse poi stato di un tipo del genere, il narratore risponde allargando le braccia: «Alla fine, l'abbiamo dovuto abbattere».
E fu proprio ciò che accadde al fondatore di Forza Italia: sottoposto a una mitragliata di oltre sessanta processi, fu condannato per evasione fiscale per fatti accaduti mentre era Primo ministro e per una somma assolutamente ridicola rispetto alla misura della sua contribuzione fiscale. Sulla base di quella sentenza gli fu applicata la legge Severino che stabiliva, per la prima volta nella storia del Parlamento e di tutti i Parlamenti liberali, che si poteva applicare questa legge anche con valore retroattivo, e il Senato, approvò e l'ex leader di un grande partito che aveva bloccato la corsa al governo degli ex comunisti del PDS dopo l'operazione giudiziaria detta «Mani Pulite» che aveva falciato tutti i partititi democratici tranne i comunisti, pagò il fio della sua colpa originaria. Buttato fuori dal Parlamento dove era stato mandato da milioni di italiani. E già allora si cominciò a parlare ossessivamente del «dopo Berlusconi» come di una nuova.
Come giornalista credo di aver dovuto scrivere una ventina di volta, spiegando la povertà dell'idea, un articolo sul «dopo Berlusconi». Non c'è mai stato un dopo-Berlusconi e la prova è sotto gli occhi di tutti: l'uomo che era stato - unico caso - estromesso dalla Camera alta del nostro Parlamento, torna per prendersi anche la soddisfazione di parlare di nuovo in quella stessa aula da cui fu espulso con un atto antipolitico e anticostituzionale.
Viene in mente il grande oratore romano Cicerone che, costretto all'esilio per una sentenza ingiusta, quando fu finalmente assolto tornò al Senato e con aria distratta cominciò il suo discorso con un sarcastico «Heri dicebamus», come dire: dove eravamo rimasti ieri? Facendo finta che nulla fosse accaduto. Vedremo quali saranno le parole con cui il rientrato senatore Berlusconi parlerà a Palazzo Madama per riprendere il discorso brutalmente interrotto.
(ANSA il 22 luglio 2022) "Nel nostro programma c'è l'aumento delle pensioni, tutte le nostre pensioni, ad almeno 1000 euro al mese per 13 mensilità, c'è la pensione alle nostre mamme che sono le persone che hanno lavorato di più alla sera, al sabato, alla domenica, nei periodi delle ferie e che hanno diritto di avere una vecchiaia serena e dignitosa e poi c'è l'impegno a mettere a dimora, a piantare ogni anno almeno un milione di alberi su tutto il territorio Nazionale". Così il leader di Fi, Silvio Berlusconi, al Tg5.
Berlusconi riparte con le solite millanterie da campagna elettorale. Piccolo campionario degli impegni strombazzati dal Cav, ricordando lo strabiliante "più dentiere per tutti" del 2014. Da huffingtonpost.it il 22 Luglio 2022
I nostri parlamentari andranno a casa dopo due legislature. Dimezzeranno i loro emolumenti. Sarà ridotto della metà anche il loro numero. Non cambieranno partito. Totale trasparenza sui loro redditi e attività. Abolizione finanziamento pubblico ai partiti". Chi lo promise, alle elezioni 2013? Grillo? Anche. Ma in realtà questo era il Patto del parlamentare che Berlusconi fece firmare a ogni suo candidato.
Berlusconi rilancia, la lunga storia delle pensioni a mille euro. Da adnkronos.com il 22 luglio 2022
Nel 2001 alzate a un milione di lire per una platea limitata, la promessa è tornata più volte
Portare le pensioni minime a mille euro. Un'idea che ricorre nella proposta di Forza Italia e del leader Silvio Berlusconi, a ogni elezione utile . E che affonda le sue radici nell'ormai lontano 2001, quando la promessa, parzialmente mantenuta per una platea limitata da alcuni criteri, fu quella di portare l'assegno a un milione di lire. Le parole con cui l'annuncio è stato reiterato nel tempo sono molto simili tra loro.
E' il 22 luglio 2022, è iniziata la campagna elettorale. "Nel nostro programma c'è l'aumento delle pensioni, tutte le nostre pensioni, ad almeno 1.000 euro al mese per 13 mensilità, c'è la pensione alle nostre mamme che sono le persone che hanno lavorato di più la sera, il sabato, la domenica, nei periodi delle ferie e che hanno diritto di avere una vecchiaia serena e dignitosa", dice il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in una intervista al Tg5.
E' il 26 maggio 2019. "Una delle cose che faremo noi col prossimo governo è aumentare a 1000 euro, per tredici mensilità, le pensioni minime", annuncia Silvio Berlusconi ospite in diretta a Corriere tv.
E' il 19 novembre 2017, a Palazzo Chigi c'è Paolo Gentiloni. Ma a parlare è sempre Silvio Berlusconi. "Oggi nessuno anziano può vivere con una pensione minima di 500 euro: oggi è doveroso e indispensabile aumentare almeno a mille euro i minimi pensionistici. Nessun anziano deve essere escluso da questa misura, comprese le nostre mamme che hanno lavorato tutti i giorni a casa e che devono poter avere vecchiaia dignitoso".
E' il 13 maggio 2017. "Tutti hanno diritto di vivere la propria vecchiaia in maniera decorosa, senza preoccupazioni e senza privazioni materiali o morali. Per questo garantiremo a tutti una pensione minima di 1000 euro non tassabili per 13 mensilità, restituendo a tutti gli anziani la dignità del loro passato di protagonisti nella società, per il valore umano e l'esperienza di cui sono portatori": è la promessa elettorale per le amministrative 2017 lanciato dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi e la vecchia storia delle pensioni a 1.000 euro. Il Cav entra in campagna elettorale promettendo un milione di nuovi alberi l’anno (meno impegnativi del milione di posti di lavoro promesso nel 1994) e pensioni a 1.000 euro. Una costante di ogni elezione. Da Redazione tag43.it il 22 Luglio 2022
La campagna elettorale è cominciata. E Silvio Berlusconi non sta nella pelle, dicono i suoi. Intervistato dal Tg5 il Cav non ha perso tempo e ha snocciolato i punti chiave del suo programma: «Meno tasse, meno burocrazia, meno processi, più sicurezza, per i giovani, per gli anziani, per l’ambiente e poi la nostra politica estera». Un programma che si basa sulla «tradizionale lotta alle tre oppressioni: l’oppressione fiscale, l’oppressione burocratica l’oppressione giudiziaria».
Pensioni a 1.000 euro, non proprio una idea nuova
Il Cav è partito in quarta con le prime promesse: portare le pensioni minime a 1.000 euro. Non esattamente una idea nuova che viene riproposta a ogni occasione utile, a partire dal lontano 2001 quando promise di portare l’assegno a un milione di vecchie lire. Questo giro ha aggiunto sul piatto pure un milione di alberi l’anno, sicuramente meno impegnativi del famoso milione di posti di lavoro promesso quando discese in campo nel 1994. Che diventarono un milione e mezzo sette anni dopo nel Contratto con gli italiani siglato da Bruno Vespa.
Pensioni dignitose a tutti, anche alle mamme
Che il Cav abbia da sempre un occhio di riguardo per pensionati e anziani è risaputo. Anche perché ormai tra aumento dell’età media, calo delle nascite e fughe di cervelli e braccia, l’Italia è diventata, parafrasando il film di Ethan Coen, un Paese di e per vecchi. Riavvolgendo il nastro, nel maggio 2019 a Corriere.tv Berlusconi annunciava fiero: «Una delle cose che faremo noi col prossimo governo è aumentare a 1.000 euro, per 13 mensilità, le pensioni minime». Una riedizione della promessa elettorale fatta nella campagna dell’anno precedente: «Porteremo a 1.000 euro le pensioni di tutti i dipendenti e anche di coloro che sono afflitti da disabilità e daremo la pensione a 67 anni a coloro che lavorano di notte, d’estate…». Un anno prima, nel novembre 2017 – a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentiloni – il Cav dichiarava: «Oggi nessuno anziano può vivere con una pensione minima di 500 euro: oggi è doveroso e indispensabile aumentare almeno a 1.000 euro i minimi pensionistici. Nessun anziano deve essere escluso da questa misura, comprese le nostre mamme che hanno lavorato tutti i giorni a casa e che devono poter avere vecchiaia dignitoso». Mentre a maggio, in vista delle Amministrative di quell’anno, dichiarava: «Tutti hanno diritto di vivere la propria vecchiaia in maniera decorosa, senza preoccupazioni e senza privazioni materiali o morali. Per questo garantiremo a tutti una pensione minima di 1.000 euro non tassabili per 13 mensilità, restituendo a tutti gli anziani la dignità del loro passato di protagonisti nella società, per il valore umano e l’esperienza di cui sono portatori».
La parentesi delle dentiere e delle cure veterinarie gratis
Ancora indietro nel tempo, nel 2014, per le Europee del 25 maggio Silvio strizzava gli occhi agli over 70 promettendo dentiere gratis per tutti. In quell’occasione, per onore di cronaca, promise anche cure veterinarie gratis per chi non poteva permettersi le spese. L’effetto Dudù. Tornando ai pensionati, nel 2013 aveva ricavalcato il tema: «Bisognerà pensare ai pensionati facendo come abbiamo fatto e cioè quando portammo più di un milione pensionati a un aumento delle pensioni che consente di sopravvivere». E nel 2008? «La nostra proposta è condivisa dal Partito dei pensionati che ora sta con noi e prevede l’innalzamento delle pensioni minime, l’adeguamento al costo della vita di tutte le pensioni fino al livello di mille euro al mese».
(ANSA il 14 luglio 2022) - La Procura di Monza ha iscritto nel registro degli indagati per peculato il Senatore di "Cambiamo!" Paolo Romani, ex Forza Italia. Secondo le accuse avrebbe sottratto 350 mila euro dai conti del suo precedente partito, in parte facendoli "traghettare" attraverso una collaborazione con l'imprenditore Domenico Pedico, anche lui indagato. Lo rende noto la Procura di Monza.
Già convocato per un interrogatorio, Romani si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma ha reso dichiarazioni spontanee riservandosi di produrre successiva documentazione.
L'indagine svolta dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della guardia di finanza di Milano, coordinata dal Procuratore della Repubblica di Monza Claudio Gittardi, è partita da alcune segnalazioni per operazioni sospette sui conti di Forza Italia. Così le fiamme gialle hanno accertato come il senatore, tra il 2013 e il 2018, all'epoca Capo del Gruppo Parlamentare del Popolo delle Libertà, "avendo la disponibilità di somme di denaro giacenti" sul conto del partito presso una banca di "Palazzo Madama e intestato al gruppo Forza Italia e con delega a suo favore", si legge nei capi di imputazione, "si appropriava dell'importo complessivo di 83 mila euro", tramite tre assegni emessi a sua firma "e a sè intestati", per poi depositarli sul proprio conto corrente, in una filiale di Cinisello Balsamo (Milano).
Le fiamme gialle hanno ricostruito altre due operazioni analoghe. La prima per oltre 180 mila euro spostati sul conto dell'imprenditore Pedico, e su quello della 'CarontGraft D&Ksrl', attualmente in liquidazione, sempre riferibile all'imprenditore. Denaro poi dirottato da Pedico sui suoi conti personali, e poi restituiti a Romani, tramite altri assegni bancari. Il senatore avrebbe inoltre utilizzato 95 mila euro circa per spese personali e per il pagamento di prestazioni o professionisti non conformi al regolamento del Senato della Repubblica.
Sandro De Riccardis per repubblica.it il 30 marzo 2022.
Il senatore Paolo Romani è indagato dalla procura di Bergamo per corruzione. Il nome del politico, per quasi trent'anni in Forza Italia e ora parte del nuovo partito di Giovanni Toti "Cambiamo", emerge da un decreto di perquisizione disposta dal pm Paolo Mandurino, nell'ambito di uno stralcio dell'inchiesta sul crac della società di lavoro interinale Maxwork, dichiarata fallita nel giugno 2015, in cui era rimasto coinvolto anche l'ex marito di Valeria Marini, l'imprenditore Giovanni Cottone.
Con il politico sono infatti indagati per corruzione, e perquisiti stamattina, il fondatore dell'azienda Massimiliano Cavaliere, il commercialista Placido Sapia e l'ex responsabile amministrativa Giuliana Mila Tassari. Ma nell'inchiesta sono indagati anche l'ex europarlamentare di Fratelli d'Italia Stefano Maullu e il fratello Antonio Sandro, entrambi accusati di false comunicazioni al pm.
Secondo l'impianto accusatorio della procura, i tre manager di Maxwork, nel gennaio 2015 avrebbero consegnato dodici mila euro in contanti a Romani, "come corrispettivo di un atto contrario ai doveri del suo ufficio".
La somma sarebbe stata "materialmente consegnata in un plico chiuso, ritirato presso gli uffici della Maxwork da Antonio Sandro Maullu, su incarico di Stefano Maullu".
Una circostanza che sarebbe "pienamente provata da una intercettazione ambientale" riemersa nel procedimento principale. Un audio "da cui risulta il ritiro da parte di Maullu Antonio Sandro, su richiesta di Paolo Romani, del plico destinato al medesimo Romani".
I fratelli Maullu però, alla richiesta di fornire informazioni in procura, il 2 marzo scorso, "hanno escluso espressamente di essersi recati negli uffici della Maxwork per ritirare un plico, contenente la somma indirizzata a Romani Paolo, così rendendo false dichiarazioni". "Siamo stupiti di questa indagine, non si capisce quale sia l'atto contrario ai doveri d'ufficio - commenta il legale di Romani, l'avvocato Daniele Giovanni Benedini -. Cercheremo di capire nei prossimi giorni cosa ci viene contestato".
Francesco Storace per “Libero quotidiano” il 14 luglio 2022.
Da bambino lo giurò: in Parlamento ci voglio stare solo otto legislature e non un giorno di più. Lo hanno preso in parola... e con una votazione che appare clamorosa, Elio Vito non ha fatto in tempo a presentare le dimissioni da deputato che gliele hanno accolte in una ventina di minuti di "dibattito".
C'è sempre una prima volta. Del resto, in quel Palazzo ci stava dal 1992, un'eternità, e si era messo a sparlare pure dei suoi, di Berlusconi e Forza Italia, degli alleati di coalizione. Difficile che potessero regalargli altri mesi di stipendio dorato, anche se lui ci sperava. In fondo Elio Vito ha stabilito un record. Cacciato al primo colpo. Stava sugli zebedei a tutti.
Non appena ha finito di parlare per il suo discorso d'addio alla Nazione, in 225 lo hanno aspettato in Aula e lo hanno piombato, accompagnandolo alla porta. Tutto, appunto, in una ventina di minuti. Una pratica da sbrigare velocemente perché non valeva nemmeno la pena di sprecarci tempo.
Tutta colpa di CasaPound, potremmo dire. «Forza Italia ha deciso di stare con chi i diritti non vuole riconoscerli, di stare con neofascisti e con integralisti», ha detto Vito nell'Aula di Montecitorio. Un concetto che aveva messo nero su bianco contro il suo partito, Forza Italia, proprio nella lettera di dimissioni: la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, «l'apparentamento a Lucca per il ballottaggio con formazioni estremistiche di destra».
In effetti, quell'alleanza - e nemmeno con simboli "estremisti" - ha fatto perdere la sinistra. Lui, Vito, si è arrabbiato per questo?
Alla Camera in molti sostenevano che quella di Vito fosse una finta, "chissà quando si voteranno 'ste dimissioni". Dicono che, esperto da sempre di ostruzionismo, avesse trovato la maniera di farla franca annunciando il passaggio al gruppo misto della Camera.
Ma questa volta il presidente della Camera, Roberto Fico, ha capito la mossa («se uno si dimette da deputato cambia gruppo?», pare abbia detto) e ha calendarizzato al volo le dimissioni.
È davvero raro che alla prima votazione un parlamentare che si dimette venga "accontentato". Poteva sperare, Vito, nel clamoroso precedente del senatore pentastellato Giuseppe Vacciano, che nella scorsa legislatura si vide respingere per ben cinque volte le dimissioni. Per non restare più a Palazzo Madama gli toccò aspettare la fine del mandato parlamentare.
E ora Vito sbatte la porta di Montecitorio. Con livore, con la livorosa "coerenza" con cui si è esibito negli ultimi tempi su Twitter. Ha detto ieri: «Starò con le persone discriminate per l'orientamento sessuale e l'identità di genere, con i consumatori che vengono arrestati se anzichè andare dallo spacciatore coltivano cannabis, starò con chi non ha reddito, con chi non ha cittadinanza, chi non ha diritti»'.
Non sopportava più gli alleati, e la controprova sta nella difesa d'ufficio del Pd, quasi una commemorazione in vita. «La Camera ha approvato le dimissioni di Elio Vito. Con i deputati Pd ho votato contro le dimissioni perché in Parlamento mancherà la sua voce di parlamentare serio, coerente, acuto». Parola della responsabile Esteri del Pd, Lia Quartapelle.
E le ha fatto eco, ovviamente, Alessandro Zan: «Ho votato contro le dimissioni di Elio Vito, amico e collega che ha sempre tenuto la schiena dritta per difendere i diritti». «Questa destra a voto segreto - ha aggiunto - si è voluta sbarazzare di un uomo libero che antepone la dignità delle persone ai diktat del partito. Grazie Elio».
Ha dimenticato, Zan, che esistono anche dignità e valori degli elettori che votavano il partito e lo schieramento dell'onorevole Vito. Che non la pensano come loro due.
Elio Vito via dal Parlamento: «Forza Italia è illiberale. Carfagna e Bernini? Per i diritti solo sui social». Lo storico onorevole azzurro lascia Montecitorio e spiega le sue ragioni all’Espresso. «C’è chi i diritti vuole conquistarli e chi calpestarli. FI ha scelto di stare con chi non vuole conoscerli, di stare con i fascisti». Simone Alliva su L'Espresso il 13 Luglio 2022.
Alla fine, dice, lo hanno lasciato libero. Elio Vito aveva già annunciato di non poter coabitare, lui liberale di destra, con Forza Italia “oggi illiberale e intollerante”. Ora, dopo aver consegnato le sue dimissioni da FI, è stato “liberato” anche dal mandato parlamentare, votato dalla Camera grazie al voto di 225 deputati.
Dentro il Parlamento da 30 anni esatti, Vito entrò nel 1992 con la Lista Pannella e passò a Forza Italia nel 1996. L’inciampo originario che ha portato alle dimissioni dal gruppo di una vita, dice, è stato il ddl Zan, osteggiato e poi affossato anche da Forza Italia. Vito è diventato in pochissimo tempo una sorta di di militante per i diritti, ben voluto nonostante un passato ingombrante da volto duro e puro del berlusconismo. Va da sé che oggi nessun politico posizionato a destra può vantare la sua popolarità tra le file dei Pride e delle manifestazioni di piazza arcobaleno. «Forse perché nessuno nel mio ex partito ci crede veramente», rivela a L’Espresso. «Quello che resta oggi di Forza Italia è un partito con un leader che non è libero e dirigenti intolleranti e dispotici interessati a perpetuare il loro piccolo potere».
Elio Vito come si sente? Il suo intervento è stato molto duro nei confronti del suo ex partito che le ha dato tanto in queste tre decadi. Cito: “C’è chi i diritti vuole conquistarli e chi calpestarli. Forza Italia ha scelto di stare con chi non vuole conoscerli, di stare con i fascisti”.
«Con questo voto mi hanno dato ragione, confermando che ormai Forza Italia è una destra illiberale e intollerante. Per me va bene. Sarebbe stato più complicato restare. Penso di aver fatto una scelta coerente».
Forza Italia è un partito contro i diritti delle persone?
«Hanno votato contro il ddl Zan e hanno applaudito. Hanno votato contro il diritto all’aborto al Parlamento Europeo. Stanno facendo ostruzionismo sulla cannabis. Propongono emendamenti improponibili allo Ius Scholae. Sì, Forza Italia oggi è contro i diritti».
Mi perdoni ma Forza Italia non è mai stato il partito dei diritti, figuriamoci Lgbt.
«Non è vero. C’era un dibattito aperto. Oggi non esiste dibattito. Ma guardi che quello che vediamo è il risultato di un processo che si è consumato negli ultimi anni. Una volta le voci in dissenso erano ammesse. Le cose vanno viste con laicità. se non ti riconosci più in un partito lo lasci. Anche rispetto a questa vicenda si sono comportati in maniera intollerante».
Non l’hanno presa benissimo i suoi ex colleghi
«Hanno avuto un atteggiamento intollerante ma va bene così. Ho trovato uno spazio e una richiesta di diritti a destra che gli altri non vedono o non vogliono vedere. Mi sono dimesso anche per non disperdere questa richiesta che c’è di una politica dei diritti a destra».
Crede sia possibile in questo paese?
«È necessaria una destra anti-fascista e per i diritti in Italia. Però deve superare le ingerenze cattoliche. Ci sono tante le persone di destra che vogliono la liberalizzazione della cannabis, che sono contro le discriminazioni Lgbt. Ma guardiamoci bene intorno: con questi partiti e con questa classe dirigente non si può fare. Per conquistarla è giusto che la destra liberale e anti-fascista faccia delle alleanze programmatiche elettorali».
Ha sentito Silvio Berlusconi?
«No, no quello che devo dire lo dico pubblicamente».
Possiamo dire che i suoi rapporti con il partito dell’ex Cavaliere si sono logorati per via della legge Zan contro l’omotransfobia.
«Lì è iniziata la mia rottura con Forza Italia. Ero vice presidente del gruppo e abbiamo ottenuto che Forza Italia in commissione si astenesse. Ricordo che il testo del ddl Zan è frutto di un insieme di testi tra questi il testo Bartolozzi di Forza Italia. Durante una riunione di gruppo si raggiunse l’accordo: se passava l’emendamento di Costa, che inseriva l’articolo 4 sul pluralismo delle idee, noi come gruppo avremmo votato a favore del ddl Zan. Venne approvato eppure Forza Italia votò contro, io votai a favore in dissenso dal gruppo. Da allora quell’articolo 4, ripeto voluto anche da Forza Italia, è diventato la pietra dello scandalo che minacciava la libertà di espressione».
Ed è diventato anche molto attivo sui social, specialmente su Twitter.
«Da quel momento ho iniziato a utilizzare Twitter perché non c’era spazio nel partito. Non mi mandavano in televisione, non mi passavano i comunicati stampa. Erano anche infastiditi dalle mie dichiarazioni».
Ogni tanto sui social c’è chi le rinfaccia il suo passato. Nel 2011 fu al fianco di Berlusconi anche quando bisognava sostenere che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
«Quello è uno spot che deve finire: rinfacciare cose di 50, 40 o 10 anni fa. Il voto su Ruby non era su Ruby. La votazione doveva decidere se autorizzare la perquisizione, chiesta dalla Procura di Milano, di un ufficio milanese di Silvio Berlusconi. Queste cose fanno viste contestualmente. Rinfacciarle così è antipolitica. Sono argomenti strumentali, ci vuole laicità anche in questo. Guardo con serenità al futuro, non al passato».
Nel suo partito gli occhi della comunità Lgbt guardavano speranzosi a Mara Carfagna o Anna Maria Bernini, spesso considerate persone vicino ai diritti lgbt. Deluso?
«No, perché non avevo illusioni. Mara è sempre stata parte di quella destra, basti pensare alla dichiarazione contro l’identità di genere o alla sua legge contro la gestazione per altri. Posizioni che io rispetto ma non condivido. Ma nessuno di loro si è mai avvicinato davvero alla comunità Lgbt. Neanche Anna Maria Bernini che dà una pennellata di arcobaleno al profilo Instagram e poi fa interventi contro il ddl Zan».
E adesso Elio Vito cosa farà?
«Sarò vicino come sempre alle persone, alle loro istanze, alla comunità reale. La politica deve tornare a fare questo. Non so cosa farò da grande ma sono sereno, libero. Continuerò a battermi per i diritti come sto facendo sulla Cannabis ad esempio. Farlo dentro il Parlamento non era più possibile ed io non volevo essere l’ennesimo trasformista. Ho militato molti anni in Forza Italia, sono stato dirigente, ho ricoperto ruoli di rilievo. Sono invecchiato e su molti aspetti sono cresciuto, ma sono a posto con la mia coscienza e anche con la mia storia. Fuori di qui c’è una comunità che lo riconosce e questa è la cosa più importante di tutte. Quanti colleghi del mio partito possono dire lo stesso? Nessuno».
Il sovvertimento delle elezioni del 2008. L’ammissione di Travaglio: contro Berlusconi e Conte sono stati due golpe. Piero Sansonetti su Il Riformista l'1 Luglio 2022
Ieri Travaglio ha scritto un bell’editoriale sul Fatto Quotidiano, solo con qualche imprecisione. Ma nella sostanza condivisibile e storicamente fondato. Trascrivo qui la frase chiave, attorno alla quale gira tutto il ragionamento. “Il golpe servì a sovvertire l’esito delle elezioni a neutralizzarne i vincitori e a riportare al potere gli sconfitti”. È esattamente quello che è successo nel novembre del 2011. Ve lo ricordate? Berlusconi, alla guida di uno schieramento di centrodestra, aveva vinto nel 2008 le elezioni e aveva ottenuto una solida maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Non solo gli elettori erano stati chiari nella scelta dello schieramento politico, ma anche sul nome del premier. Era proprio lui, il cavaliere, ad essersi formalmente candidato, prima del voto, alla Presidenza del Consiglio. E ad aver battuto il suo antagonista che era Walter Veltroni.
Poi tra il 2010 e il 2011 era successo di tutto. La fronda di Fini e subito dopo l’assalto dall’Europa che minacciava di mandare l’Italia in default. Costrinsero Berlusconi a ritirarsi, incaricarono come premier un uomo voluto dall’Europa, Mario Monti, e infine formarono un governo dove effettivamente il partito più importante, e cioè il Pd, era il partito sconfitto alle urne. Coincidenza assoluta con la descrizione di Travaglio.
Il quale però, a leggere bene l’articolo, in realtà non si riferiva al 2011 ma al 2021. È quello del 2021 che definisce golpe. Anche se in questo caso la descrizione non è precisa. Gli elettori non avevano scelto Conte, che neppure conoscevano e che non aveva partecipato alla battaglia elettorale e neppure sappiamo per che partito avesse votato. E Draghi non portò al governo gli sconfitti delle elezioni del 2013 (anche in quell’occasione lo sconfitto fu il Pd) per la semplice ragione che il Pd, lo sconfitto, era già al governo e ce l’aveva portato Conte.
Comunque son dettagli. È chiaro che se Travaglio parla di golpe per il 2021, certifica anche il golpe del 2011. Ci ha messo un po’, però alla fine si è convinto che Berlusconi, quando sbraita, ha quasi sempre ragione…
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 26 giugno 2022.
Che cosa spinge un uomo che ha messo russi e americani intorno allo stesso tavolo a salire su un palco in una torrida giornata estiva per presentare il sindaco uscente di Monza, estraendo dal cilindro del perfetto venditore l'ennesima barzelletta rompighiaccio: «Hanno chiesto a cento ragazze se farebbero l'amore con Berlusconi: 33 hanno risposto "magari" e 67 "ancora?"»?
Che cosa lo induce a promettere, o minacciare, otto mesi di campagna elettorale ripetitiva e faticosissima, per lui e per quanti di noi lo seguono dal secolo scorso? A tornare in A con il piccolo Monza dopo avere vinto il mondo con il grande Milan? A salutare Chiara Ferragni e Fedez in un ristorante - «Sono l'unico più famoso di voi» - dimostrando che, se Fedez non sa neanche chi è Strehler, lui sa persino chi è Fedez? Ci si è sempre chiesti perché Berlusconi si fosse messo in politica, attività che palesemente lo annoia (non foss' altro che per la compagnia).
E la risposta è sempre stata: per salvare le aziende, evitare i processi, conservare il potere. Risposta giusta, ma bisogna ammettere che non basta più a spiegare questo accanimento. Se un signore di ottantasei anni seduto su una pila di miliardi preferisce raccontare barzellette sopra un palco invece che rimanersene in pace in una delle sue ville, significa una cosa sola: che gli piace. D'altronde fu lui a dire, quando gli chiesero qual era stato il momento più emozionante della sua vita: «La volta in cui un tifoso fuori dallo stadio mi gridò: Silvio, sei una bella f...».
"Berlusconi è ancora Cavaliere?". La vergognosa risposta di "Repubblica" che umilia l'ex premier. Libero Quotidiano il 28 maggio 2022
Silvio Berlusconi è ancora il Cav? A questa domanda ha risposto in modo piuttosto irriverente (e forse sguaiato) Francesco Merlo su Repubblica. Un lettore fa una precisa domanda: "Caro Merlo, perché continuano a chiamare Berlusconi cavaliere? Non gli era stata tolta l'onorificenza?".
Partiamo dalla fine della risposta di Merlo: "Berlusconi non fa più parte della Federazione Cavalieri del Lavoro, dalla quale si dimise un momento prima di essere espulso. Ma il titolo può essergli revocato solo dal presidente della Repubblica, e su richiesta del ministro dello Sviluppo economico. Dunque Berlusconi è cavaliere: "Leggo tante bugie sul fatto che io sia un ex cavaliere. Non è vero, non sono affatto un ex".
Ma dalle parti di Repubblica come sempre si fanno prendere la mano e così scatta l'elenco dei soprannomi che il Cav ha avuto in questi anni. Scrive Merlo: "Ho provato a raccoglierli: Bandanano, Nano malefico, Nanefrottolo, Psiconano, Nano pelato, Nano di gomma, Mafionano, Caimano, Cainano, Truffolo, Mentolo, Silviolo, Al Tappone, Tulinano (i tulipani vengono dai Paesi Bassi) Bellachioma, Bellicapelli, Berlosco, Berlusca, Berluscaz, Miliardario Ridens, Presidente Ridens, Berluscoso, Berluscraxi, Berluskane, Berlussonini, Burlesquoni, Bungaman, Cavalier Banana, Cavaliere del Cials, Cavaliere delle Cosche e delle Cosce, er Bandana, Figlio di Putin, Cavaliere Mascarato, Cavoliere, Papino, il Rifatto di Dorian Gray, Jena Ridens, l'Egoarca, l'Uomo di Arcore, Papino il Breve, Pirlusconi, Psicopapi, Reo Silvio, Sua Brevità, Sua Emittenza, Sua impunità, Testa d'asfalto, Viagrasconi, Berluscao, Berlusckaiser, Berluskamen, l'Unto del Signore, er Catrame, Frottolino Amoroso, Cav, l'Amornostro". Era necessario fare questo elenco per rispondere ad una semplicissima domanda?
Dalla rubrica della posta di “Repubblica” il 28 maggio 2022.
Caro Merlo, perché continuano a chiamare Berlusconi cavaliere? Non gli era stata tolta l'onorificenza?
Mirella Doni
Risposta di Francesco Merlo
Nessuno lo chiama così per onorarlo. Il cavaliere è il solo nome neutrale di Berlusconi, il quale è un'antologia di soprannomi, che in politica proteggono la leadership, la riconoscono irridendola.
Ho provato a raccoglierli: Bandanano, Nano malefico, Nanefrottolo, Psiconano, Nano pelato, Nano di gomma, Mafionano, Caimano, Cainano, Truffolo, Mentolo, Silviolo, Al Tappone, Tulinano (i tulipani vengono dai Paesi Bassi) Bellachioma, Bellicapelli, Berlosco, Berlusca, Berluscaz, Miliardario Ridens, Presidente Ridens, Berluscoso, Berluscraxi, Berluskane, Berlussonini, Burlesquoni, Bungaman, Cavalier Banana, Cavaliere del Cials, Cavaliere delle Cosche e delle Cosce, er Bandana, Figlio di Putin, Cavaliere Mascarato, Cavoliere, Papino, il Rifatto di Dorian Gray, Jena Ridens, l'Egoarca, l'Uomo di Arcore, Papino il Breve, Pirlusconi, Psicopapi, Reo Silvio, Sua Brevità, Sua Emittenza, Sua impunità, Testa d'asfalto, Viagrasconi, Berluscao, Berlusckaiser, Berluskamen, l'Unto del Signore, er Catrame, Frottolino Amoroso, Cav, l'Amornostro.
Ma, torno alla domanda: Berlusconi non fa più parte della Federazione Cavalieri del Lavoro, dalla quale si dimise un momento prima di essere espulso. Ma il titolo può essergli revocato solo dal presidente della Repubblica, e su richiesta del ministro dello Sviluppo economico. Dunque Berlusconi è cavaliere: "Leggo tante bugie sul fatto che io sia un ex cavaliere. Non è vero, non sono affatto un ex".
Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 27 maggio 2022.
«Quali investimenti personali hanno [Berlusconi e Putin], che possono guidare le loro scelte in politica estera?». La domanda fu girata nel novembre del 2010 dal Dipartimento di Stato, allora guidato da Hillary Clinton, all’ambasciata americana a Roma.
Gli americani erano (e rimarranno) convinti che il rapporto tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin non fosse politico ma di affari, che tra Silvio e Vladimir ci sia stato qualcosa di più che gli innocenti regali come il celebre lettone di Putin.
Come che sia, fu una stagione perigliosa e oscura. Il cui interesse si riaccende ora, nel pieno dell’aggressione della Russia all’Ucraina, e con le esternazioni filoputiniane del Cavaliere curiosamente riemerse.
Nel 2008 l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, in un cablo spedito al Dipartimento di Stato e alla Cia, e rivelato dalla Wikileaks di allora, riferiva a Washington che la natura del rapporto tra Berlusconi e Putin era «difficile da determinare»: «Berlusconi ammira lo stile di governo macho, deciso e autoritario di Putin, che il premier italiano crede corrisponda al suo. (…)
L’ambasciatore georgiano a Roma ci ha detto che il governo della Georgia ritiene che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti da eventuali condotte sviluppate da Gazprom in coordinamento con Eni».
Il Cavaliere, l’unica volta che rispose, per iscritto, negò tutto. L’ambasciatore georgiano non smentì mai.
Di sicuro sotto Berlusconi l’Eni diventa – da prima grande azienda pubblica italiana – una specie di cavalleria del re nei settori di gas e petrolio.
C’è soprattutto una storia, che tantissimi osservatori e commissioni parlamentari giudicarono opaca: nel maggio del 2005 Eni firma un accordo che avrebbe consentito a Gazprom Export di rivendere gas russo direttamente ai consumatori italiani.
La storia finisce nel 2008 anche all’attenzione della Commissione europea.
Una commissione parlamentare italiana aveva scoperto diverse gravi opacità, ricostruite così nel 2008 in un saggio di Roman Kupchinsky per «Eurasia Daily Monitor»: una società viennese, Central Energy Italian Gas Holding (Ceigh) – parte di un gruppo più grande, Centrex Group – avrebbe dovuto avere un ruolo importante in quel lucrativo accordo Russia-Italia.
Questa Central Energy Italian Gas Holding era controllata al 41,6 per cento da Centrex e da Gas AG, al 25 per cento da Zmb (la sussidiaria tedesca di Gazprom Export, ossia in pratica da Mosca), e al 33 per cento da due società milanesi, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, registrate allo stesso indirizzo di Milano, e intestate a Bruno Mentasti Granelli, l’ex patron di San Pellegrino.
Circolò allora una battuta, in Eni. «Che c’entra Mentasti col gas?». «Beh, con l’acqua gasata sempre di gas si tratta, in fondo». Il saggio di Kupchinsky trasformò la cosa in uno scandalo internazionale.
L’accordo con Centrex fu cancellato. Ve ne furono altri? Ci furono rumor di un giacimento di gas kazako direttamente controllato dal Cavaliere. «Assolute sciocchezze», replicò lui.
Forse il vero uomo del Cavaliere a Mosca non è stato tanto Valentino Valentini, che certo andava e veniva da Mosca, quanto il trasversale banchiere Antonio Fallico, e Angelo Codignoni, uomo di Silvio nei media in Russia, praticamente quello che istruisce Yuri Kovalchuk, oligarca putiniano e azionista principale di Bank Rossiya, su come creare l’impero tv del Cremlino: quello dal quale oggi i vari Vladimir Solovyov, Margarita Simonyan, Olga Skabeyeva, fanno ogni sera la loro propaganda bellica più scatenata contro l’Ucraina e l’Occidente.
Fallico ha raccontato a Catherine Belton nel suo strepitoso libro “Putin’s People” che Berlusconi faceva parte già negli anni ottanta del network economico e di influenza sovietico.
Fu grazie a questo che i film Fininvest conquistarono un assai profittevole spazio in prime time sulla tv di stato russa fin da allora.
Il banchiere narrò anche, a La Sicilia, che «negli anni 1986-88 Berlusconi, che aveva una sua casa editrice, Silvio Berlusconi editore, mi ha contattato perché interessato ad allargare le sue attività economiche anche nel mondo sovietico. Così diventai consulente di Fininvest.
Quando nel 2004 aprimmo a Mosca la nostra sussidiaria, Zao Banca Intesa, Berlusconi ci fece la gradita sorpresa di presenziare all’inaugurazione insieme al premier russo di allora, Mikhail Fradkov».
Legami che insomma arrivano da lontano e furono solo riattivati, negli anni delle trattative energetiche con Putin che allarmarono gli americani e la Cia.
È accertato che fu il Cavaliere a sostituire alla guida dell’Eni Vittorio Mincato, che obiettava sulla vicenda Centrex, con Paolo Scaroni. I contratti tra Gazprom e Italia diventano trentennali. Nel novembre 2008 Berlusconi a Mosca aveva incontrato il presidente russo, che allora era Dmitry Medvedev, e sottoscritto anche un accordo che prevedeva la costruzione di reattori nucleari di terza e quarta generazione in Italia (la cosa poi naufragò).
L’energia era tutto, per la relazione Berlusconi-Putin. Ma anche il divertimento, il real estate, le vacanze. Le figlie di Putin, “Katya” e “Masha”, furono in vacanza a Porto Rotondo assieme a Barbara, la figlia più giovane di Berlusconi, nel 2022: lo stesso anno in cui Berlusconi vanta gli accordi, a suo dire epocali, di Pratica di mare. Lanno dopo, nel 2003, arrivò a Villa Certosa Putin stesso, con foto ormai celebri (indimenticabili anche quelle di Berlusconi col colbacco a Sochi).
Sono gli anni in cui la Costa Smeralda diventa un paradiso per oligarchi russi, Alisher Usmanov, che a un certo punto voleva anche comprare il Milan, di certo compra sette ville fantastiche (un paio oggi sequestrate da Mario Draghi), Roman Abramovich, che ancora nell’agosto 2012 vara il suo nuovo megayacht Solaris a Olbia, e andava alle feste da Berlusconi in cui Mariano Apicella stornellava Oci Ciornie, Oleg Deripaska, Vasily Anisimov, al quale vendette Villa Tulipano a Porto Cervo (Veronica Lario vendette invece Villa Minerva al re russo della vodka, Tariko Roustam), fino alle feste a Villa Violina di Usmanov, dove nel 2012 cantò anche Sting, forse per la sorella di Putin.
Con una mano cantava “Russians”, con l’altra suonava per i russians, simbolo di una stagione doppia e ambigua. Quasi tutti, oggi, sono sotto sanzioni, e non possono più mettere piede in Europa.
Cicchitto: «Berlusconi imbarazzante con se stesso a causa degli affari con Putin». Parla l’ex colonnello del Cav. «Se non ci trovassimo in questa situazione, con Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella al Colle, saremmo di fronte a un disastro. Poi certo, il quadro sia nel centrodestra che nel centrosinistra è terrificante». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 25 maggio 2022.
Fabrizio Cicchitto, ex colonnello berlusconiano e ora presidente di Riformismo& Libertà, spiega che sulla guerra «Berlusconi è imbarazzante verso se stesso» e che da questo derivano tutti gli scontri in Forza Italia. «Gelmini è in un vicolo sempre più stretto – spiega ma anche dall’altra parte non sono messi meglio perché sulla guerra Lega e M5S sono inattendibili allo stesso modo».
Presidente Cicchitto, pensa che i dissidi in Forza Italia porteranno a una rottura nel partito?
Non sono il mago Otelma e non so come andrà a finire, ma dico che la situazione è paradossale. Tajani e Ronzulli hanno da sempre una corsia preferenziale verso Salvini, perché pensano che seguendolo riuscirebbe a far eleggere dai venti ai trenta amici loro. Quindi insistono nella vicinanza con la Lega a prescindere dal quadro internazionale, verso il quale peraltro Tajani dovrebbe essere sensibile, visti i ruoli che ha svolto in passato. Se a ciò aggiungiamo che in Lombardia, regione importantissima e peraltro luogo d’origine della Gelmini, la gestione del partito viene affidata a Ronzulli, ecco che Gelmini si ritrova in un vicolo molto stretto. Dopodiché c’è un problema politico di collocazione internazionale.
Cioè?
Forza Italia è nata sul rapporto con il Ppe, con gli Usa e con l’Ue, non su quello con Putin. Se c’è qualcuno che pensa di aggregare una maggioranza contro l’Europa, vedi le ultime battute di Salvini, non ha capito in che mondo viviamo.
Da dove arrivano tutti questi problemi di Forza Italia?
I problemi in Forza Italia derivano da due fattori: gli automatismi psicologici che scattano in Berlusconi quando parla di Putin, dovuti a pregressi rapporti sia di affari che personali; dal rapporto di Tajani e Ronzulli con Salvini, che è l’inattendibilità fatta a persona. Non mi sento di fare previsioni di nessun tipo su un eventuale rottura nel partito, ma aggiungo che sarebbe vitale per l’Italia una legge proporzionale.
A proposito di questo, pensa che si riuscirà a cambiare la legge elettorale?
Non so se questo avverrà, ma viste le differenze esistenti tra i partiti sia nel centrodestra che nel centrosinistra, una legge proporzionale darebbe margini alla mediazione politica. Se invece prevalgono tendenze maggioritarie il rischio è che nel 2023, messo da parte Draghi, tutta Europa vedrebbe in quale realtà disastrosa vive l’Italia. Andremmo allo sbando sia rispetto alle politiche europee che rispetto alla politica estera. Draghi ha dato rispettabilità internazionale all’Italia e una relativa stabilità interna.
«Stabilità interna», con tutte queste polemiche tra i partiti di maggioranza?
Innanzitutto occorre dire che dobbiamo a tre fattori, cioè al Signore, all’entourage di Mattarella e a Renzi, se oggi ci troviamo nella situazione ottimale, cioè con Mattarella presidente della Repubblica e Draghi presidente del Consiglio. Se non ci trovassimo in questa situazione saremmo di fronte a un disastro. Poi certo, il quadro sia nel centrodestra che nel centrosinistra è terrificante.
Ce lo descrive?
Quando sarà tolto di mezzo Draghi, cioè probabilmente al termine della legislatura, entrambe le coalizioni mostreranno il proprio livello di inattendibilità. Solo in Italia con una pandemia ancora in corso e una guerra ai nostri confini si discute dei balneari. Ma il punto decisivo è la politica estera. Nel centrosinistra, sulla linea atlantica c’è una buona parte del Pd più Calenda, Bonino e Renzi. Ma non c’è il M5S. Quando leggo che Zingaretti, che è un buon presidente di Regione, dice che l’alleanza strategica è quella con il M5S, evidentemente reputa poco importante ciò che sta accadendo e prevalenti i minimi fatti di casa.
Eppure il M5S, pur avendo una posizione diversa da quella di Draghi, ha sempre garantito il proprio sostegno in Aula.
La Russia sta alzando il tiro e di fronte a questo il M5S dice che abbiamo già dato abbastanza, quando tra l’altro le cifre sugli aiuti militari forniti ci collocano quasi all’ultimo posto nel mondo. Per fortuna ci sono Usa e Gb. Quando Conte dice di eliminare gli aiuti militari, o è un cretino o è amico di Putin. Ai posteri l’ardua sentenza. A fronte ovviamente di un Enrico Letta che ha assunto una posizione netta.
Nel centrodestra ci sono posizioni ancora più diversificate, che ne pensa?
Nel centrodestra la situazione è raccapricciante. Per fortuna Meloni ha assunto una posizione chiara sul piano atlantico, ma va detto che la stessa Meloni, assieme a Salvini, ha dato il peggio sulla pandemia, contestando il green pass e, nel caso di Salvini, addirittura le mascherine e il distanziamento sociale, fino a cavalcare in parte i no vax. Sulla guerra, la Lega è inattendibile quanto il M5S, perché Salvini è un falso pacifista e un amico di Putin. Poi c’è Berlusconi.
E qui torniamo agli scontri di cui abbiamo parlato all’inizio.
Berlusconi è imbarazzante verso se stesso. Nei giorni pari è atlantista, nei giorni dispari filoputiniano. Sembra quasi che quando parla spontaneamente riemerga non solo la sua amicizia con Putin ma gli errori fatti nel gas. Quando sento parlare del gas da cercare in Algeria, ricordo che alle origini Enrico Mattei finanziò il fronte di liberazione nazionale algerino. Fino a una ventina di anni fa l’Eni importava dall’Algeria il 20 per cento del gas, poi con Scaroni, amico di Berlusconi, la cifra è arrivata al 10 per cento mentre il gas importato dalla Russia è arrivato al 38 per cento del nostro fabbisogno. È da qui che nascono tutti i problemi.
Quel malcelato putinismo di alcuni leader. Aldo Grasso su Il Corriere della Sera il 22 Maggio 2022.
Com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire. Senza giri di parole, venerdì Silvio Berlusconi ha consigliato all’Ucraina di arrendersi: «Io credo che l’Europa unita deve fare una proposta di pace, cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin». Riferita a problemi così drammatici, la parola «domande» assume un suono grottesco.
La presa di posizione di Berlusconi (tardivamente corretta sabato) ha lasciato esterrefatti molti esponenti storici di Forza Italia. Giuliano Urbani, uno dei fondatori del partito, ha criticato duramente il filoputinismo del vecchio leader. «Berlusconi ha pronunciato quelle parole ambigue senz’altro per il rapporto di amicizia che lo lega ancora a Putin». Irritata anche Mariastella Gelmini: «Dannose le ambiguità pro Putin. Ci siamo chiamati in passato “Popolo della libertà”, per la quale gli ucraini stanno combattendo». A pensarla come Berlusconi è rimasta solo Licia Ronzulli. O viceversa.
Lasciamo perdere la vecchia amicizia e i racconti stravaganti sul lettone regalato da Putin, ma l’impressione è che il nuovo zar sia in credito di qualcosa, altrimenti non si spiegherebbe tanto malcelato putinismo da parte di alcuni leader italiani.
Anche nei momenti più tragici, il creditore è così premuroso da non lasciarti mai solo.
«Premesso che». Tutte le scuse dei filo putiniani per non condannare l’aggressione all’Ucraina. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 23 Maggio 2022.
Dalla guerra del Vietnam a Big Pharma, ecco l’elenco non lontano dalla realtà delle giustificazioni patetiche addotte da chi fa il gioco del Cremlino.
Premesso che. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che l’Occidente ha le sue colpe. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che la Nato è la continuazione armata della logica imperial-capitalista. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che gli americani hanno fatto la guerra in Vietnam.
Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che in Iraq non c’erano le armi chimiche. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che Israele occupa i Territori. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che negli Stati Uniti ci sono le cure mediche solo per i ricchi. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che Draghi stava alla Goldman Sachs. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che Zelensky ha la villa al Forte dei Marmi. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che c’è la deriva paleoliberista.
Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che c’è lo sfruttamento dei campesinos. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che c’è la deforestazione dell’Amazzonia. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che Big Pharma è tutta in mano agli ebrei, e anche Hollywood. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che c’era il malgoverno Dc. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che in Via Fani c’era la CIA.
Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che il padronato della finanza apolide vuole abolire lo statuto dei lavoratori. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che nell’acciaieria chissà cosa facevano e poi c’era il pronipote dell’estetista di Boris Johnson. Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che Joe Biden è un gran maleducato.
Premesso che la Russia ha aggredito l’Ucraina, resta che dopotutto non è mica una Repubblica democratica fondata sul lavoro e quindi andiamoci piano prima di dare giudizi.
Ora, premesso che sono stronzi, non farebbero prima a omettere la premessa e a dire che la guerra all’Ucraina è infine sacrosanta? Sarebbe meno complesso, diciamo.
I cavalieri del grande centro tra pacifismi e nemici. Paolo Mieli su Il Corriere della Sera il 22 Maggio 2022.
Vi fanno parte Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. Li accomuna l’esibita devozione (intermittente nel caso di Salvini) nei confronti di Papa Francesco. Oltre a un’autentica passione per lo scostamento di bilancio, al non essere ossessionati dal rispetto delle regole europee (compresi gli impegni assunti con il Pnrr)
Le parole pronunciate da Silvio Berlusconi, tre giorni fa, all’uscita dal ristorante «Cicciotto a Marechiaro» davano un’innegabile sensazione di schiettezza. Maggiore, l’autenticità, di quella rintracciabile nelle declamazioni dello stesso Berlusconi il giorno successivo alla Mostra d’Oltremare. Fuori dal locale napoletano, l’ex presidente del Consiglio aveva detto in modo nitido che — fosse per lui — si dovrebbe smettere di dare armi all’Ucraina; che, qualora si decidesse di continuare a fornire armamenti alla resistenza antirussa, bisognerebbe farlo di nascosto; e che l’Europa dovrebbe impegnarsi a costringere Zelensky a prestare ascolto alle indicazioni che gli vengono da Putin. Una cosa, quest’ultima, che fin qui non aveva proposto neanche Vito Rosario Petrocelli.
L’indomani, alla convention di Forza Italia, Berlusconi è stato meno sorprendente limitandosi a rievocare la propria militanza atlantica risalente al 1948 (stavolta omettendo però ogni menzione di Putin). E a richiamare il rischio che l’Africa venga lasciata in mano ai cinesi. Senza tralasciare l’appello per un coordinamento militare comune della Ue. Evocazione, quella dell’«esercito europeo», alquanto diffusa nel discorso pubblico italiano, ad uso di chi intenda manifestare una qualche presa di distanze dagli Stati Uniti.
Berlusconi ovviamente non si è poi sentito in obbligo di rettificare quel che aveva detto all’uscita dalla trattoria. Parole venute dal cuore, pronunciate nella consapevolezza che avrebbero avuto la dirompenza di un missile piovuto dalla Russia sulla politica italiana. Con conseguenze fin d’ora ben individuabili.
L’allocuzione da «Cicciotto a Marechiaro» ha aperto la via per la nascita — all’insegna del no alle armi all’Ucraina — di un nuovo Grande Centro del quale faranno parte Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. Schieramento al quale Berlusconi porterà in dote l’ancoraggio al Partito popolare europeo. E che costituirà una sorta di approdo naturale per tre partiti anomali che hanno fatto la storia di questi trent’anni (Berlusconi più degli altri, quasi venti). M5S, Lega e Fi hanno all’attivo d’aver ottenuto, in fasi diverse del trentennio, alcuni ragguardevoli record di voti. Favorite (talvolta danneggiate) dalla presenza di leader impegnativi.
Tre formazioni che non hanno un’autentica parentela con la storia della Prima Repubblica. Né — eccezion fatta (forse) per Forza Italia — con i filoni tradizionali della politica europea. Tre partiti che nel corso della loro vita hanno dato prova di non essere refrattari ai cambiamenti di orizzonte, di strategia e di alleanze. Anche repentini. E che, per il motivo di cui si è appena detto, hanno come tallone d’Achille il non potersi fidare l’uno dell’altro. Li accomuna, però, l’esibita devozione (intermittente nel caso di Salvini) nei confronti di Papa Francesco. Oltre a un’autentica passione per lo scostamento di bilancio, al non essere ossessionati dal rispetto delle regole europee (compresi gli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza). In politica estera, sono uniti da un’ostinata ricerca di orizzonti sempre nuovi. Ad est, s’intende.
Questo Grande Centro è già oggi largamente maggioritario in Parlamento. E, se rimarrà intatta la legge elettorale, al momento della composizione delle liste sarà determinante per entrambi gli schieramenti, centrodestra e centrosinistra. Ma, anche se si adottasse un sistema proporzionale, questo insieme di partiti, nelle nuove Camere, avrà quasi certamente i numeri per condizionare ogni possibile maggioranza. A meno che, nel Parlamento rinnovato, non si costituisca un asse tra Fratelli d’Italia, il partito di Enrico Letta e quelli di Centro. Un asse — però — assai improbabile.
Quanto a chi fa affidamento sulle potenziali secessioni dei Di Maio, Gelmini o Fedriga, va osservato che nelle retrovie della sinistra e dello stesso Pd si annidano truppe di dubbiosi pronte a rimpiazzare gli eventuali secessionisti ricongiungendosi al M5S nel nome dell’ostilità agli Stati Uniti e alla Nato. Truppe peraltro già ben visibili.
In attesa delle elezioni del 2023, si può notare che il minimo comun denominatore di questo Grande Centro, oltre alla quasi esibita antipatia per la causa di Kiev, è una ben individuabile avversione nei confronti di Mario Draghi nonché dell’attuale governo. Si intravedono dunque per l’esecutivo draghiano settimane, mesi di inferno: il percorso di qui alla fine della legislatura sarà disseminato di trappole e mine.
Unico particolare trascurato dai nuovi «partigiani della pace» è l’impegno atlantista di cui, negli ultimi tre mesi, ha dato prova il Capo dello Stato. Un impegno manifestato senza dubbi, incertezze, esitazioni. E che, proprio per questo, potrebbe riservare qualche sorpresa.
Giuliano Ferrara per “il Foglio” il 23 maggio 2022.
A Berlusconi Napoli fa male, gli dà letteralmente alla testa, lo rimbecillisce, lo mette in uno stato stuporoso e lo incita immancabilmente a dare di sé un’immagine molto giocosa, molto privata, e un tantino avventurosa.
Un conto però sono i giochi d’amore, le passioncelle, la mondanità cortigiana, i narcisismi maschili, storie rosa più o meno eleganti che appartengono al privato di un uomo pubblico e meriterebbero un trattamento meno scioccamente puritano di quello che continua a essergli riservato da requisitorie moralistiche in giudizio, intollerabili, un altro conto è la guerra, che ha cause e conseguenze diverse. Qui la cosa si fa seria, e persino seriosa, e bisogna fare attenzione, provare a dare il meglio e non il peggio di sé stessi, il che non è sempre facile ma si può almeno tentare.
Il leggendario Cav. si è impiastricciato in una dichiarazione di ambiente napoletano troppo goffa e leggera per essere annoverata tra le sue migliori, e stavolta il suo mentire sapendo di smentire (Vergassola) ha qualcosa di allarmante. So che è solo esuberanza e gusto della follia e della scanzonata libido comunicandi. Una volta mi chiamò Boris Johnson, giornalista anche lui zuzzurellone per lo Spectator, per chiedermi un contatto con il presidente. Perché no?
Gli diedi il numero. Ma subito feci il numero per avvertire il mio amato Berlusconi: guardi che BoJo, insieme con quell’altro tipo bizzarro, la incastrerà in una conversazione o intervista il cui scopo è épater les bourgeois, dare scandalo, faccia attenzione.
Stavolta in Sardegna, non a Napoli eccezionalmente, le cose andarono come dovevano ahimè andare, e ne risultò, dalla conversazione spericolata, un giudizio turistico sul confino dorato sotto il fascismo e sulle solite cose buone fatte da Mussolini, con altre amenità. Se avverti Berlusconi di stare attento, le cose possono andare peggio ancora che senza messe in guardia.
Naturalmente Berlusconi produce sempre un effetto verità, le sue gaffe sono la chiave della sua affidabilità come oracolo politico. Ha detto letteralmente che l’Europa deve convincere l’Ucraina a dare a Putin quello che chiede, ha parlato come un Travaglio qualsiasi, e ora lo sgabello glielo spolverano a lui. Ma ha anche riassunto, in breve, occamisticamente, tagliando i concetti col rasoio, quello che i pensatori cosiddetti “realisti” sostengono nel loro linguaggio sorvegliato e accademico, nel loro sopracciò.
La sproporzione di forza e il bisogno di rassicurazione mondiale sul terreno dell’economia e della stabilità sono tali, dicono i guru del realismo, che bisogna affrettarsi a trovare una via d’uscita per Putin, assecondando al tutto o in parte, meglio in parte, gli scopi di conquista territoriale e simbolica alla base della sua invasione di un paese di oltre quaranta milioni di abitanti, con le conseguenze che si conoscono a Bucha e a Mariupol.
Tolto il timbro geopolitico, andando all’osso come sempre fa il grande comunicatore, si arriva al risultato: dare a Putin quello che chiede, ecco che cosa deve cercare di fare l’occidente o almeno la sua parte venusiana, l’Europa. Il che è evidentemente una bestialità politica, un errore peggiore di ogni crimine.
E’ un peccato, oltre che una delusione. Berlusconi non si dovrebbe mai spingere più a sud di Pratica di Mare, luogo in cui sperimentò con abilità e con i suoi mezzi amicali di businessman abituato alla stretta di mano il tentativo legittimo di aiutare a costruire una situazione di sicurezza in ambito Nato alla quale fosse possibile associare in un modo o nell’altro la Russia.
In un’epoca che è mille epoche fa, prima della Crimea e del Donbas, forse anche in virtù del suo isolamento domestico e del blasone che gli apportava l’amicizia schröderiana con Putin, visto che Berlusconi non è l’unico businessman di stato, con la differenza che lui è businessman di mestiere e non un lobbista acquisito, aveva visto giusto. Poi si è spinto fino a Napoli.
Matteo Salvini difende Silvio Berlusconi e litiga con Mariastella Gelmini: “Dovrebbe contare prima di criticare”. Il Tempo il 22 maggio 2022
Stoccate a vicenda nel centrodestra, con ancora una volta Mariastella Gelmini protagonista. Dopo i problemi interni a Forza Italia è stato Matteo Salvini, leader della Lega, ad attaccare il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, che ha definito ambiguo l’atteggiamento dell’ex presidente del Consiglio sulla guerra in Ucraina: “Prima di criticare Silvio Berlusconi qualcuno dovrebbe contare fino a cinque. Con tutto il rispetto Silvio Berlusconi è Silvio Berlusconi, con tutto quello che ha fatto nella vita. A uno può piacere o meno, ma lascia traccia nella storia del nostro Paese”.
La replica di Gelmini non si è fatta attendere: “Invito il segretario della Lega, Matteo Salvini, a rispettare il dibattito interno ad un partito che, per il momento, non è il suo. Ho posto in Forza Italia un tema di linea politica su una posizione che comprendo bene non sia quella di Salvini, ma che riguarda la collocazione europeista ed atlantista di Forza Italia. Un problema che evidentemente esiste, visto che per due volte il partito è dovuto intervenire a chiarire, a prescindere da me”. Le frizioni nel partito azzurro non sono state evidentemente ancora superate.
Silvio Berlusconi? Ecco perché chi esaltava i sovietici non può criticare il Cavaliere. Libero Quotidiano il 22 maggio 2022
Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito della guerra in Ucraina (una settimana fa, venerdì e ieri) sono improntate al realismo, alla volontà di pace e al desiderio di evitare ricadute economiche devastanti per l'Italia e per il mondo: «Non posso che condividere la preoccupazione di tanti per uno sviluppo incontrollato del conflitto. Il fatto stesso che si parli, con qualche leggerezza di troppo, del possibile uso di armi nucleari significa mettere in discussione quella soglia, ben chiara a tutti persino negli anni della guerra fredda, che escludeva l'uso dell'arma atomica in un conflitto locale. Non possiamo che condividere quindi gli appelli di quanti - primo fra tutti Papa Francesco - invocano di fare ogni sforzo per giungere alla pace al più presto. Per porre fine all'orrore della guerra, e al tempo stesso per garantire al popolo ucraino il suo legittimo diritto all'indipendenza e alla libertà». Ma se neppure il Papa era stato risparmiato dall'accusa di putinismo, per aver strenuamente fatto appello alla trattativa, non poteva certo essere risparmiato il Cavaliere.
Infatti ha cominciato il Corriere della Sera il 17 maggio titolando: «Berlusconi giustifica Putin». Il Cavaliere non aveva affatto giustificato Putin, tutt' altro: aveva condannato la sua invasione dell'Ucraina, ma aveva criticato pure chi - come Biden - faceva dichiarazioni e scelte incendiarie invece di adoperarsi per fermare il conflitto.
Attualmente i più zelanti paladini di un atlantismo acritico, appiattito sulla Casa Bianca, sono proprio coloro che vengono da sinistra. Eppure nel 1949 il Pci e le Sinistre (come pure il Msi) votarono contro l'adesione dell'Italia alla Nato (e anche la sinistra diccì era critica). Oggi gli atlantisti dell'ultima ora - non avendo una storia coerente - cercano di rimpiazzarla con l'eccesso di zelo e pretendono pure di fare gli esami di atlantismo a chi è sempre stato "occidentale".
Questo ha detto, ironizzando, il Cavaliere ieri a Napoli: «A proposito di atlantismo io apprezzo molto lo zelo atlantista di queste settimane del Partito democratico, vorrei solo ricordare che la storia della sinistra italiana non è sempre stata questa. Non parlo solo dell'opposizione feroce del Partito comunista all'ingresso dell'Italia nella Nato, né del sostegno all'invasione dell'Ungheria: voglio ricordare, in tempi molto più recenti, negli anni '80, l'altrettanto feroce opposizione alla decisione del governo Craxi di installare i cosiddetti euromissili per rispondere alla minaccia dei missili sovietici puntati direttamente contro il nostro Paese». Ha concluso: «Siamo i soli a non dover chiedere scusa di nulla nel nostro passato, ad essere sempre stati - come lo siamo oggi dalla parte della libertà, della democrazia, dell'Europa, dell'Occidente».
NON SUDDITI
Certo, chi ha un passato da far dimenticare non può permettersi libertà critica, ma chi è sempre stato atlantista - fa capire Berlusconi - può permettersi di stare nella Nato da protagonista e non in modo servile. Per questo il Cavaliere rivendica di nuovo quello che vanta sempre come il suo capolavoro di politica internazionale, il Trattato di Pratica di Mare: «Voglio ricordarvi di aver dato all'Italia un ruolo da protagonista nella politica estera, in pieno accordo con i nostri alleati dell'Occidente, portando nel 2002 allo stesso tavolo George Bush e Vladimir Putin, gli Stati Uniti e la Federazione russa, per firmare il trattato che pose fine a più di cinquant' anni di guerra fredda».
PRATICA DI MARE
In effetti era la strada giusta. Se si fosse tenuta quella direzione l'imperfetta democrazia russa avrebbe avuto un'evoluzione positiva e si sarebbe integrata nell'occidente con cui Putin, allora, voleva collaborare pacificamente. Berlusconi adesso dichiara di voler far rinascere «lo stesso spirito» per «fare oggi un altro passo che non ha alternative, un passo verso la sicurezza comune per offrire alle nuove generazioni un avvenire di sicurezza, di prosperità e di libertà». Ma è difficile perché quella strada è stata abbandonata (anzitutto dall'Occidente) da più di dieci anni e oggi dilaga lo spirito opposto.
Basta vedere le reazioni alle sue parole. Il quotidiano Domani sabato ha titolato: «Adesso Draghi deve fare i conti con la mina vagante Berlusconi». E nel sottotitolo ha aggiunto che «il leader di Forza Italia straparla» sull'Ucraina.
Eppure il Cavaliere ha esternato le stesse preoccupazioni che, pochi giorni fa, ha manifestato l'editore e fondatore di Domani, Carlo De Benedetti, in una clamorosa intervista al Corriere della Sera. Straparlava anche l'Ingegnere secondo il Domani? O piuttosto i due - divisi su tante cose, ma accomunati da concretezza e realismo - hanno il merito di suonare l'allarme sulle conseguenze devastanti che sta già avendo la guerra, su quelle apocalittiche che si annunciano e sull'assurdità dell'invio delle armi da parte dell'Occidente. Entrambi si sono espressi per una urgente soluzione negoziale e hanno criticato la leadership di Biden. De Benedetti ha tuonato: «Se l'America vuol fare la guerra a Putin la faccia, ma non è l'interesse dell'Europa. Noi non possiamo e non dobbiamo seguire Biden» (poi, a differenza di Berlusconi, ha pure aggiunto che la Nato «ora non ha più senso»).
SENTIMENTO DIFFUSO Anche Repubblica ha messo in prima pagina la foto di Berlusconi e Putin: «L'amico russo». Sarebbe interessante sapere come quel giornale valuta le dichiarazioni di De Benedetti che ha costruito la storia e l'identità del quotidiano scalfariano. O come giudica le considerazioni di un grande intellettuale di sinistra come Jürgen Habermas del tutto simili a quanto ha detto Berlusconi. Repubblica critica «il lascito politico» dei governi Berlusconi che sarebbe «la dipendenza estrema dell'Italia dal gas russo». Ma perché la Germania ha fatto la stessa scelta, ancor più marcatamente? Lì non governava Berlusconi. Inoltre non risulta che il Pd, che domina da dieci anni, abbia cambiato quella scelta. Anzi, visto che l'editoriale di Stefano Cappellini elogia oggi «il Pd di Enrico Letta» perché è «in scia» con Draghi, cioè con Biden, gioverà ricordare questo titolo di Repubblica del 26 novembre 2013, al tempo del governo Letta: «Italia -Russia, firmati 28 accordi. Letta: "Da intese nuovi posti di lavoro"». Letta dichiarava: «Noi abbiamo un drammatico bisogno di crescere, di creare posti di lavoro. C'è una ripresa da agganciare e in questo senso il rapporto con la Russia ci può dare posti di lavoro in settori per noi strategici».
Secondo Letta fu una delle giornate «più intense e produttive» per il governo. La storia avrebbe anche altri capitoli. In ogni caso ora conta il presente. Tutti i sondaggi mostrano che le dichiarazioni di Berlusconi rispecchiano ciò che pensa la maggioranza degli italiani. Ricomporre la frattura fra il Paese e il Palazzo è vitale. Come pure evitare il tracollo economico.
Il politburo di Silvio. Tutto quello che a Napoli i berlusconiani non dicono su un leader allo sbando. Amedeo La Mattina su L'Inkiesta il 21 Maggio 2022.
Vladimir Putin e Giorgia Meloni sono i convitati di pietra della convention di Forza Italia. Il partito azzurro avrebbe tanti dossier da risolvere: le lotte interne, la leadership del centrodestra, il rapporto imbarazzante in passato tra il Cavaliere e il dittatore russo. Ma di tutto questo non si parlerà mai.
Due giorni a Napoli: lo stato maggiore di Forza Italia si riunisce attorno a Silvio Berlusconi, che ritorna in pubblico più putiniano che mai. Nella grande sala della Mostra d’Oltremare ci sono tanti convitati di pietra, tante rimozioni che non devono turbare l’ostensione ai fedeli del corpo del Cavaliere. La vicenda polemica di Maria Stella Gelmini (il coordinatore in Lombardia fatto fuori e sostituito con la filosalviniana Licia Ronzulli) è la questione meno rilevante. Certo la ministra per i Rapporti regionali è la capodelegazione azzurra al governo e quindi la sua critica al capo indiscusso e indiscutibile ha fatto rumore. Addirittura sembrava che lei non volesse mettere piede alla convention partenopea e invece c’è, zittita dal coordinatore nazionale Antonio Tajani: le ha fatto presente che lei ha un incarico di rilievo nell’esecutivo, dunque che cosa vuole di più?
Gelmini vorrebbe, ad esempio, che il partito sia meno eterodiretto da Matteo Salvini e che i moderati draghiani abbiano lo spazio necessario a non morire sovranisti.
Eppure tutto questo è veramente de minimis. I veri problemi (statene certi) non sono discussi, e hanno i nomi di Vladimir Putin e di Giorgia Meloni.
Ci sono le solite affermazioni sull’Ucraina, atti di fede formali all’atlantismo, flebili condanne verso Mosca, difesa del povero popolo ucraino che ha il diritto di difendersi, sì, ma non troppo. Nessuno però va al microfono per dire che le parole di Berlusconi sono sbagliate. Nessuno dice che non si può assecondare il despota del Cremlino con il quale il Cavaliere in passato ha festeggiato nelle dacie nascoste, ha passeggiato sul lungomare di Yalta dove, tra lo stupore di Silvio, tutti andavano a ringraziare Vladimir per aver riportato la Crimea alla Madre Patria. Nessuno osa commentare le affermazioni dell’ex presidente del Consiglio pronunciate al suo arrivo alla Mostra d’Oltremare e che ribadirà oggi: ovvero che bisogna assolutamente arrivare a una pace altrimenti andranno avanti le devastazioni e le stragi, che l’Europa senza leader (Emmanuel Macron? Mario Draghi? Non pervenuti ad Arcore) si deve unire per fare una proposta ai russi e agli ucraini.
Attenzione, che proposta? «Fare accogliere agli ucraini le domande di Putin». Insomma, quel testone di Volodymyr Zelensky si deve mettere prono, Joe Biden deve smettere di mandare armi e di infastidire il «signor Putin», Draghi non deve seguire i falchi guerrafondai. «Io dico che mandare armi significa essere cobelligeranti, essere anche noi in guerra. Se dovessimo inviare armi, sarebbe meglio non fare tanta pubblicità».
Perché allora i parlamentari di Forza Italia abbiano votato il decreto che autorizza il governo italiano a mandare armamenti è il solito mistero buffo del mondo berlusconiano.
Berlusconi e anche Salvini fanno una cosa in Parlamento e poi ne dicono un’altra. E perché gli ucraini dovrebbero accettare le condizioni di Mosca quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto e ripetuto in tutte le salse che un accordo ha senso solo se va bene a Kiev?
Pure per il Cavaliere, quindi, il governo ha bisogno di un nuovo mandato politico sulle prossime mosse, armi comprese, come sostiene Giuseppe Conte? La narrazione di Berlusconi è un continuo dichiarare e correggere il tiro, togliersi la maschera, far sentire il cuore che batte per il signore della guerra e un minuto dopo invocare il Partito popolare europeo, l’Europa…
C’è poi una questione tutta italiana e interna al centrodestra. A Napoli l’altro convitato di pietra è Giorgia Meloni. Il nodo è così sintetizzabile: successione al trono. Più prosaicamente, chi sarà il candidato presidente del Consiglio del centrodestra? Salvini e Berlusconi indicheranno al capo dello Stato la leader di Fratelli d’Italia se il suo partito uscirà come primo dalle urne? Sarà lei a essere incaricata a formare il governo, in caso di vittoria elettorale del centrodestra? Meloni intende proprio questo quando sostiene che i vertici devono servire a scrivere le regole di ingaggio per escludere ogni alleanza con i Cinquestelle e il Partito democratico. È questo il significato del suo insistere sulla conferma della candidatura siciliana del governatore uscente Nello Musumeci: vuole che le sue proposte siano prese in considerazione, chiede il riconoscimento del suo ruolo sulla base del consenso conquistato sul campo.
È inutile che i suoi alleati-coltelli le facciano presente che con Musumeci si perde, che la candidatura a Roma di Michetti voluta fortissimamente da lei si sia rivelata un fallimento totale. Ma soprattutto, pretendere di essere già candidata a Palazzo Chigi da Salvini e a Berlusconi sembra loro assurdo. Nonostante siano stati proprio loro a dire che il primo partito della coalizione esprime la premiership. Ma lo dicevano quando una volta il primo partito era Forza Italia e successivamente la Lega.
Adesso le cose sono cambiate. E in particolare, fanno presente i berluscones, avete presente che cosa accadrebbe in Europa e nel mondo se dovessimo avere il presidente dei Conservatori europei, l’amica dei polacchi e di Viktor Orbán alla presidenza del Consiglio? Dovrebbero pure spiegare però perché Meloni no e invece Salvini (uno dei maggiori leader europei dei sovranisti e del gruppo europarlamentare più anti-europeo) sì.
Ecco, tante cose non verranno dette tra oggi e domani a Napoli. Ad esempio che Meloni potrebbe essere tentata di correre da sola (un pensierino lo sta facendo), fregandosene se l’attuale legge elettorale spinge alle coalizioni per concorrere nei collegi uninominali. Alla convention partenopea non verrà esplicitato l’avviso alla sovranista Meloni, ma il messaggio è partito dalle colonne del Giornale.
La tesi della realcasa d’Arcore è che un governo a guida Meloni spaventerebbe l’Unione europea, mercati e gli investitori. Viene citato Bloomberg, si ricorda che far finta di non preoccuparsi della «finanza globalista è politicamente suicida». E, ancora, «bisogna stringere relazioni con le forze politiche dei principali Paesi della Ue: non bastano i polacchi», scrive Il Giornale, citando il Ppe e Biden. «Meloni tutto questo lo sa. Come sa che, in caso contrario, un suo governo durerebbe come un gatto in tangenziale».
Il cerchio tra politica estera e interna si chiude. Sono stati messi in mezzo pure i polacchi, i più agguerriti al fianco degli ucraini, che però non bastano a legittimare Meloni e danno molto fastidio a Putin. Nel centrodestra scorrono veleni e sospetti: perché Draghi non perde occasione per ringraziare pubblicamente in aula la Meloni per il sostegno sulla vicenda ucraina? La spiegazione, il retropensiero, il timore o l’allucinazione è che nella prossima legislatura ci sarà sempre e comunque bisogno dell’attuale presidente del Consiglio, anche se Fratelli d’Italia sarà il primo partito. A quel punto nulla è escluso, se la guerra in Ucraina dovesse malauguratamente continuare, neanche un altro governo Draghi sostenuto questa volta apertamente dall’atlantista Meloni. Magari con un suo ministro dentro, come l’ex viceministro alla Difesa Guido Crosetto. Queste cose a Napoli non le sentirete di sicuro.
Il leader di Forza Italia a Napoli tra calamaretti, scialatielli, babà e delizia al limone. Berlusconi difende Putin: “L’Ucraina deve ascoltarlo, inviare arme ci rende cobelligeranti”. Claudia Fusani su Il Riformista il 21 Maggio 2022.
Dare le armi all’Ucraina “ci rende automaticamente cobelligeranti”. Le sanzioni? “Hanno fatto male all’economia russa ma stanno facendo molto male anche a noi”. L’Europa? “ Deve fare il prima possibile una proposta di pace a Putin e agli ucraini. E bisogna che gli ucraini ascoltino le domande di Putin”. Johnson e Stoltenberg? “Le loro dichiarazioni non portano certo Putin al tavolo”. Il suo caro vecchio amico Vladimiro. Berlusconi is back.
A modo suo, tra calamaretti, scialatielli alle vongole, babà e delizia al limone con la vista di Marechiaro alle spalle. Il Cavaliere non solo rimette – cerca di – Forza Italia al centro della coalizione che altrimenti “è solo destra-destra e non ha alcuna chance di governare”. Ma vuole tornare ad essere lui il centro del centro. Questo è stato l’antipasto. Oggi, quando chiuderà la convention di Forza Italia, ci sarà il resto del menu. Non era previsto. Ma è accaduto. Come quasi sempre quando Berlusconi capisce che il momento è adesso perché tra un secondo potrebbe essere tardi. Che deve intervenire per rimettere ordine in quella che definisce senza dubbio “la mia creatura”: “Il centrodestra l’ho inventato io, il centrodestra è Forza Italia che, poiché sono stato fatto fuori dal Senato per l’applicazione retroattiva incostituzionale della legge Severino e dalla magistratura di sinistra , ha cominciato a perdere consenso”.
Poi c’è stato il Covid e adesso sono tornato, ho fatto un discorso a Roma e ne farò uno qui domani a Napoli”. La città che ama più di altre e dove lo hanno accolto, con la compagna Marta Fascina, tra romanze cantate, cartelli, hip hip e mazzi di rose. Il suo intervento ieri non era previsto. Ma è stato intercettato dalle telecamere a Marechiaro. Al tavolo con lui Marta Fascina, Licia Ronzulli, Alberto Barachini e lo staff. Si era sparsa la voce che ci fosse anche Manfred Weber, presidente del Ppe e ospite d’onore oggi alla kermesse di Forza Italia. Weber poi è andato in pellegrinaggio al Muro di Maradona accompagnato da Tajani.
Organizzate o meno, le dichiarazioni del Cavaliere hanno scombussolato l’agenda di giornata. In dieci minuti il Cavaliere ha fissato l’agenda del centrodestra. In politica estera posizionando Forza Italia dalla parte della Lega e di Salvini. Aggiungendo che le armi all’Ucraina “se si devono proprio inviare non dobbiamo però dirlo”. Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, “l’unico vero leader rimasto sono io”. E in politica interna. Sul nodo balneari e il la fiducia sul ddl concorrenza, “volevamo più tempo ma abbiamo il tempo per trovare una soluzione perchè è chiaro che dobbiamo trovare il modo di proteggere le trentamila aziende familiari che gestiscono gli stabilimenti balneari e che rischiano di perdere l’attività nel momento in cui partiranno le gare”. Tutto questo comunque non deve preoccupare il governo che “deve andare avanti”. “Nessuna fibrillazioni” ha detto. Anche sulla coalizione il Cavaliere mostra di avere le idee chiare. “C’è solo un problema sulla candidatura alla guida della regione Sicilia che sarà risolto e affrontato dopo le amministrative di giugno”.
Da questo punto di vista “Salvini è stato frainteso dai Fratelli d’Italia ed è venuta fuori una ricostruzione artificiosa”. Fino a metà pomeriggio la giornata era ruotata intorno alla decisione del premier Draghi di mettere la fiducia al ddl concorrenza. Una decisione dettata dal rischio di perdere la terza rata dei fondi del Pnrr (24 miliardi), di far diventare l’Italia inaffidabile rispetto al resto d’Europa e dunque condannarla alla marginalità. Con tutto quello che ne consegue anche dal punto di vista delle ripresa e della crescita. Della svalutazione e dello spread che finirebbe subito sotto attacco. Non ce lo possiamo permettere. Ecco perchè Draghi ha detto che il tempo dei tira e molla in Parlamento – sia delega fiscale che ddl concorrenza sono in Commissione dalla fine dal 2022 – è scaduto. Draghi ieri mattina è stato in vista a Verona e, tra le altre tappe, è stato anche in una scuola media di Sommacampagna. “La responsabilità – ha detto ai ragazzi e alla ragazze della Dante Alighieri – la sento molto. E questo è parte della serietà. Guidare un Paese in un momento difficile è responsabilità. Ma la responsabilità è anche agire, fare le cose”. Parole semplici che sono arrivate ai ragazzi e che sembrano voler dare l’interpretazione autentica del suo ultimatum ai partiti della maggioranza.
Seguendo i canali istituzionali, Draghi ha comunque scritto alla Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati che l’ha poi trasmessa ai capigruppo di Palazzo Madama e al presidente della Commissione Industria, Gianni Girotto. “Il Governo, nel rispetto delle prerogative parlamentari – ha scritto il premier – deve rappresentare che, senza una sollecita definizione dei lavori del Senato con l’iscrizione in Aula del provvedimento ed una sua rapida approvazione entro fine maggio sarebbe insostenibilmente messo a rischio il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr”. I partiti di maggioranza, e soprattutto il centrodestra di governo, sembrano aver accettato l’accelerazione. Anche perchè era stato fatto, appena dieci giorni fa, un patto doppio di delega fiscale e ddl Concorrenza. Matteo Salvini ha usato toni concilianti: “Credo che l’accordo sui balneari sia a portata di mano, così come per il catasto.
Lo troveremo anche senza porre la fiducia”. Stupito per il Consiglio dei ministri “convocato all’improvviso”, il leader della Lega non crede che “il governo sia a rischio, né per le spiagge né per il termovalorizzatore di Roma”. Che è invece il nodo su cui i 5 Stelle hanno promesso fuoco e fiamme. Sta all’attacco, e non potremmo fare diversamente, la presidente di Fdi, Giorgia Meloni: “La decisione di Draghi è molto grave – ha detto – perché se il governo si è impegnato a svendere le nostre aziende balneari in cambio di non so cosa allora dovrebbe spiegarlo agli italiani. A casa mia non voglio accordo sottobanco”. Silvio is back. E per Meloni questo è un problema.
Claudia Fusani. Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.
Gelmini all'attacco ma il Cav rivendica tutto. Armi Ucraina e rapporti con Putin, tutti contro Berlusconi che bacchetta: “Noi da sempre con la Nato, il Pd invece…”. Redazione su Il Riformista il 21 Maggio 2022
Inviare armi all’Ucraina “ci rende automaticamente cobelligeranti” e “l’Europa deve fare il prima possibile una proposta di pace a Putin e agli ucraini. E bisogna che gli ucraini ascoltino le domande di Putin”. Sono bastate queste parole per scatenare un vero e proprio putiferio contro Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, impegnato oggi a Napoli nella convention azzurra alla Mostra d’Oltremare nel tentativo di risollevare un partito che negli anni ha perso consensi (presente anche l’attore Ron Moss, protagonista della serie tv ‘Beautiful, e imprenditore in Puglia).
Parole quelle pronunciate ieri, sempre nel capoluogo partenopeo, da Berlusconi che hanno creato scossoni sia all’interno di Forza Italia che del centrodestra com Salvini e Gelmini che hanno preso le distanze, seppur, soprattutto il leader leghista, in modo diplomatico. Parole che hanno portato lo stesso Berlusconi a chiarire meglio il concetto oggi, rivendicando il ruolo avuto in passato a capo del Governo. “Voglio ricordarvi di aver dato all’Italia un ruolo da protagonista nella politica estera, in pieno accordo con i nostri alleati dell’Occidente, portando nel 2002 allo stesso tavolo George Bush e Vladimir Putin, gli Stati Uniti e la Federazione russa, per firmare il trattato che pose fine a più di cinquant’anni di guerra fredda. Io spero che con lo stesso spirito si possa fare oggi un altro passo che non ha alternative, un passo verso la sicurezza comune per offrire alle nuove generazioni un avvenire di sicurezza, di prosperità e di libertà. Garantisco che andremo avanti con grande determinazione, ci impegneremo a fondo per ottenere questo risultato”.
Il dietrofront arriva sulle armi e sul concetto di cobelligeranza. “L’Ucraina è un paese aggredito e noi dobbiamo aiutarlo a difendersi”. Poi aggiunge: “Non posso che condividere con voi l’orrore e il dolore per le tragiche immagini e le terribili notizie che ci vengono dall’Ucraina, non posso che condividere la preoccupazione di tanti per uno sviluppo incontrollato del conflitto. Il fatto stesso che si parli, con qualche leggerezza di troppo, del possibile uso di armi nucleari significa mettere in discussione quella soglia, ben chiara a tutti persino negli anni della guerra fredda, che escludeva l’uso dell’arma atomica in un conflitto locale”. “Non possiamo che condividere quindi gli appelli di quanti, primo fra tutti papa Francesco, invocano di fare ogni sforzo per giungere alla pace al più presto. Per porre fine all’orrore della guerra, e al tempo stesso per garantire al popolo ucraino il suo legittimo diritto all’indipendenza e alla libertà”.
Poi l’attacco al centrosinistra neo-atlantista: “Forza Italia è e rimarrà sempre dalla parte dell’Europa, dalla parte dell’Alleanza Atlantica, dalla parte dell’Occidente, dalla parte degli Stati Uniti. Apprezzo molto lo zelo atlantista di queste ultime settimane del Partito democratico, vorrei solo ricordare che la storia della sinistra italiana non è sempre stata questa”.
Il presidente azzurro esprime forte preoccupazione sul ruolo della Cina, “uno stato con potenzialità ben superiori a quelle della Russia e purtroppo i fatti dell’Ucraina e le tensioni in Europa inevitabilmente portano la Russia ad un rapporto più stretto con la Cina. In meno di dieci anni, entro il 2031, la Cina diventerà la prima potenza economica del mondo e l’India diventerà la terza potenza”.
“In Africa – ha aggiunto – possenti investimenti cinesi condizionano la politica di molte nazioni economicamente fragili. L’egemonia in Africa della Cina, così come il controllo di molte infrastrutture strategiche in Medio Oriente e in Europa attraverso la “via della Seta” e’ una vera colonizzazione. Nelle alte sfere internazionali non si parla più di Continente africano, si parla di Continente sino-africano. In Africa, su 53 stati 50 ricevono dalla Cina soldi, armi, prodotti. E in Cina si stanno istruendo 3 milioni di cittadini destinati ad essere trasferiti negli Stati africani con compiti direttivi”.
In mattinata era arrivato l’attacco di una sua ‘fedelissima’, Maria Stella Gelmini, ministro per gli affari regionali e le autonomie. “L’Italia non può essere il ventre molle dell’Occidente e soprattutto non può diventarlo per responsabilità di Forza Italia. Le parole di Berlusconi di ieri purtroppo non smentiscono le nostre ambiguità. Oggi più che ascoltare le parole di Putin – ha aggiunto Gelmini – occorre ascoltare il grido di dolore dell’Ucraina, violentata e oppressa dall’invasore”.
Matteo Salvini, leader della Lega, ha provato invece a non esporsi contro Berlusconi: “Non commento le parole di Berlusconi”, secondo cui bisogna “far accogliere agli ucraini le domande di Putin”. E ha spiegato: “Kiev deciderà cosa accettare e cosa non accettare, cosi’ come Mosca. Io sto lavorando per un tavolo a cui si siedano Putin e Zelensky, perché altrimenti non so cosa pensano. Poi decideranno loro”.
Il Cav russo. Berlusconi rilancia il forzaleghismo putinofilo, ora Meloni e Pd ripensino le alleanze. Mario Lavia su L'Inkiesta il 23 Maggio 2022.
Un partito d’opposizione (Fratelli d’Italia) è d’accordo con la linea atlantista del governo, che è invece osteggiata da due partiti della maggioranza. È chiaro che riproporre scenari anni Novanta da Ulivo vs. Casa delle libertà non ha più senso.
Quali conseguenze avrà la posizione filoputiniana di Silvio Berlusconi? Premesso che nessuna forza politica, tantomeno Forza Italia, medita di far cadere il governo Draghi e di precipitarsi alle elezioni, c’è però da riflettere su almeno tre effetti che la scelta del Cavaliere, seppur corretta dallo staff e con affanno da lui stesso (secondo la detestabile tradizione di dire un giorno una cosa e il giorno dopo un’altra), può determinare.
Il primo effetto è, diciamo così, teorico ma comunque impressionante. Come ha calcolato un esperto giornalista parlamentare dell’Ansa, Giovanni Innamorati, dopo le parole napoletane di Silvio i “putiniani” hanno adesso la maggioranza alla Camera dei deputati: M5s 155 + Lega 132 + Fi 82, totale 369. Naturalmente si obietterà che la posizione di Giuseppe Conte non è esattamente coincidente con quella di Berlusconi e che dunque questi voti non sono sommabili; e tuttavia a questi numeri bisognerebbe anche aggiungere quelli dei tanti deputati “sciolti” o quelli di Alternativa (cioè ex grillini) e di Sinistra italiana, tutti su posizioni cosiddette “pacifiste”, quelle che vanno dall’auspicio di una resa di Volodymyr Zelensky (mentori Piero Sansonetti e con maggiore acrimonia Marco Travaglio) a quelli che nel nome della famosa “complessità” evocano la via tanto breve quanto imprecisata della “trattativa”.
Dunque non sta nascendo una nuova maggioranza: e però il dato fa scalpore perché basta osservare che tre mesi fa, quando il Parlamento votò quasi all’unanimità gli aiuti anche con le armi all’Ucraina, le cose non stavano come oggi. Berlusconi fiuta la stanchezza degli italiani per una situazione che non si sblocca ed è foriera di pesanti conseguenze economiche e da vecchio imprenditore (proprio come il nemico storico Carlo De Benedetti) non vede l’ora di chiudere la vicenda nel modo più cinico, con una sostanziale rapida sconfitta di Kiev. Le correzioni successive salvano la faccia ma non cambiano la sostanza del vero pensiero berlusconiano: «Io credo che l’Europa si debba mettere tutta unita a fare una proposta di pace cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin». Inequivocabile, fate come dice il Cremlino.
Un secondo effetto della posizione filorussa di Berlusconi riguarda il centrodestra, che ora è in larga maggioranza (Lega-Forza Italia) ostile a Zelensky e, più sullo sfondo, agli Stati Uniti e quindi alla linea atlantista seguita da Mario Draghi ed Enrico Letta. E in questo centrodestra Giorgia Meloni si trova improvvisamente isolata, lei che pure è la più forte nei sondaggi.
Un paradosso nel paradosso: il partito d’opposizione in questo caso è d’accordo con il governo, i due partiti nella maggioranza sono contro il governo di cui fanno parte. È ormai perciò evidente e forse irreversibile la spaccatura, e non solo sulla guerra: Lega-Forza Italia da una parte, Fratelli d’Italia dall’altra. Come nei primi anni Duemila: il forzaleghismo teorizzato da Giulio Tremonti, sostanzialmente ostile al concetto di società aperta, contro la Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, progressivamente emancipata dalle tradizionali caratteristiche della destra postfascista.
Oggi che non ci sono né i Tremonti né i Fini il livello si è di molto abbassato ma comunque nel centrodestra continua a vivere una contraddizione che presto o tardi andrà risolta. Anzi, più presto che tardi: in questo quadro, non converrebbe a Giorgia Meloni avviare una riflessione sul senso di un’alleanza esclusivamente di potere, senza politica, che può solo tarparle le ali? Non le tornerebbe utile contarsi nelle urne, invece di soggiacere alle mattane di Salvini e Berlusconi, svincolandosi da loro grazie al sistema proporzionale? È chiaro che lei ha paura delle ritorsioni che il Cavaliere e il Capitano potrebbero scatenarle contro ma è anche reale il rischio di trovarsi in seri problemi internazionali se non si autonomizzasse dai due “antiamericani”. Per come si stanno mettendo le cose, le converrebbe trarre le conseguenze del suo atlantismo, e metterlo per così dire a valore nel quadro delle alleanze del nostro Paese.
Infine, un terzo effetto riguarda Forza Italia. La sortita filorussa del Cavaliere con ogni probabilità è minoritaria nel suo partito. Lo sa anche lui, tanto è vero che ha dovuto correggerla. Dopo trent’anni solo l’eterna riverenza e il connesso timore di restare fuori dal giro della politica salva il Cavaliere da una contestazione di un certo peso che per ora trova in Mariastella Gelmini ma anche in Renato Brunetta («Bene fa chi chiede chiarezza») voci esplicite di dissenso – ma tutti sanno che anche Mara Carfagna e i più “giovani” hanno in testa tutt’altre idee che non la riproposizione della Forza Italia di 20 o 30 anni fa. Come al solito prevarranno silenzi e opportunismi ma stavolta il leader è apparso veramente più vecchio e più solo che mai.
La spaccatura del centrodestra è interessante non solo per politologi e commentatori ma anche per i suoi avversari. Un partito come il Pd dovrebbe prendere atto che i vecchi poli sono ormai sfarinati e invece di scommettere sulla riproposizione dello scenario da anni Novanta, Ulivo contro Casa delle libertà, dovrebbe cercare strade inesplorate e immaginare uno schema nuovo che liberi tutti dalla gabbia delle vecchie alleanze, comprendendo che non c’è più casa e non c’è più ulivo ma solo una landa abbastanza desolata su cui provare a ricostruire qualcosa di nuovo.
L'ex ad dell'Eni Vittorio Mincato: “Gli affari sul gas tra Berlusconi e Putin? Qualche dubbio ce l’ho”. Andrea Greco La Repubblica il 22 Maggio 2022.
Da '99 al 2005 è stato l'amministratore delegato dell'azienda: "La mia storia di manager è piena di episodi nei quali ho disturbato una certa politica affaristica".
Vittorio Mincato, lei è stato amministratore delegato all’Eni dal 1999 al 2005. L’appiattimento sulle forniture russe, che ha portato alla dipendenza dell’Italia, cominciò in quegli anni, anche se lei non è mai stato supino alla politica. L’Eni è responsabile? E i governi di allora?
"Prima di ricercare le responsabilità dell’Eni riguardo alla dipendenza dell’Italia dal gas russo, occorre farsi una domanda: quale altro Paese avrebbe potuto fornire all’Italia il gas necessario a sostenere il suo sviluppo economico negli ultimi quarant’anni? Le fonti di approvvigionamento dell’Italia sono sempre state plurime e fino all’anno scorso le più sicure e costanti sono state quelle russe.
Estratto dell'articolo di Andrea Greco per “la Repubblica” il 21 maggio 2022.
[…] La liaison con Mosca è stata l'architrave geopolitica dei quattro governi Berlusconi tra 2001 e 2011, cosparsi di numerose visite dell'imprenditore-politico.
Con ambasciatore o senza, con il consigliere Valentino Valentini (che, si mitizzava, «sapeva il russo ») o no. Sempre tra il Cremlino e la dacia, mischiando pubblico e privato da par suo. […]
Fin dagli anni '90 l'uomo del Biscione, nel guardare a Est, vedeva, più che i "comunisti", mercati promettenti […], in cui mandò in avanscoperta fidi emissari. Prima Marcello Dell'Utri, dirigente e consigliere della prima ora, e compaesano del potente Pietro Fallico, il reuccio dei banchieri italiani a Mosca.
Poi, già al governo, Bruno Mentasti, amico caro della sua famiglia, già socio in Telepiù (dove gli fece il prestanome) che aveva ceduto l'acqua San Pellegrino e cercava nuove imprese.
[…] Quando il 30 ottobre 2003 Vittorio Mincato - ad dell'Eni che non lasciava ai gruppi rivali neanche una goccia della merce russa - dopo una cena d'affari milanese ebbe dall'allora vicepresidente di Gazprom Komarov un biglietto con su scritto "Mentasti", trasecolò. […]
Il già socio di Berlusconi doveva intercettare 3 miliardi di metri cubi di gas di spettanza Eni e venderli in Italia. Era già costituita anche la holding Centrex, a Vienna con insieme a Mentasti vari soci schermati in società cipriote. [... ]
L'affare [...] fu stoppato. Non subito. Il nuovo ad Eni Paolo Scaroni [...], scelto nel 2005 dal Berlusconi III, s' era prestato a firmare l'intesa nonostante diverse critiche nell'ambiente e sulla stampa.
[…] Ma dopo i rilievi del cda Eni, e dell'antitrust, la fornitura fu riformulata (fine 2006), togliendo la senseria di Mentasti.
Scaroni è stato il manager che più ha piegato l'ex monopolista italiano alla politica filorussa di quegli anni. Ci sono varie testimonianze, anche se la più smaccata è forse quella che non si vede: il gasdotto South Stream. [...]
Un tubo da far passare sotto il Mar Nero, al costo di 15,5 miliardi, il doppio del rivale Nabucco azero, più gradito agli Usa. Ma l'Italia e l'Eni, fin dal 2007, avevano scelto: solo nel 2014, a lavori già iniziati, il progetto è naufragato, più per le pressioni Usa sulla Bulgaria dopo l'annessione russa della Crimea e le prime sanzioni a Mosca. Oggi quel tubo sarebbe una catena al collo in più per l'Italia.
Come emerso dai dispacci Wikileaks, parte della diplomazia Usa, ma anche della stampa italiana e degli operatori di settore, arrivò a pensare che l'assiduità di Berlusconi con Mosca celasse tornaconti personali. Si è vociferato di un piccolo giacimento in Kazakistan, intestato al Cavaliere. Lui ha smentito.
Estratto dell’articolo di Andrea Greco per “la Repubblica” il 22 maggio 2022.
Vittorio Mincato, lei è stato amministratore delegato all'Eni dal 1999 al 2005. […] Si è parlato tanto del rapporto tra Berlusconi e Putin. Lei che li ha visti da vicino, crede che la loro amicizia potessero contemplare interessi economici personali?
«Né Berlusconi, né Putin mi hanno mai parlato di loro affari personali e non ho mai avuto l'impressione che ci fossero, almeno per quanto atteneva l'Eni. Anche se l'operazione Mentasti, che rifiutai categoricamente di fare, qualche dubbio poteva suscitare».
Nella famosa cena al Westin Palace del 2003, quando le fu prospettato il contratto per lasciare 3 miliardi di metri cubi l'anno di gas russo a Mentasti, si dice che lei abbia detto 'Col c...gli do il gas a questo'. Perché i russi insistevano su di lui? Fu anche il governo italiano a insistere?
«In realtà, dopo la cena del 2003 e un paio di brevi colloqui con Mentasti nel mio ufficio all'Eur, non mi curai più di tanto di quella richiesta. Solo nei primi mesi del 2005, alla fine di qualche mio colloquio a Palazzo Chigi, in cui si era parlato d'altro, Berlusconi mi disse che Putin a quell'accordo teneva molto, ma non si parlava più di Mentasti, bensì della Gazprom».
Il memorandum tra Eni, Gazprom e Mentasti fu siglato il 10 maggio 2005 dal direttore generale dell'Eni Sgubini. Lei non lo firmò e Paolo Scaroni prese il suo posto all'Eni. Ci fu una correlazione tra la sua uscita e la sua contrarietà a quell'affare?
«Non vorrei ricordare male, ma il memorandum di Vienna non parlava di Mentasti. All'epoca i media misero i due fatti (le mie riserve sull'accordo e la mia sostituzione al vertice dell'Eni) in un rapporto di causa ed effetto.
Chissà, forse fu così o forse fu più in generale la naturale conseguenza della mia conclamata idiosincrasia nei confronti di certa "politica affaristica".
La mia storia all'Eni è piena di episodi in cui ho disturbato questa politica».
In quegli anni i russi cercavano di comprare attività estrattive e distributive di energia in Europa: un obiettivo strategico più per la geopolitica di Mosca che per le major come Eni. Lei ha mai avuto richieste in questo senso? Gliele fecero i russi o, anche, le istituzioni italiane?
«Soltanto verso la fine del mio mandato all'Eni, durante un colloquio con Alexey Miller a Sochi, sul Mar Nero, mi fu proposto di acquisire giacimenti petroliferi della Yukos in Russia, in cambio di giacimenti petroliferi dell'Eni in Occidente, ipotesi che scartai subito. Da nessuna istituzione italiana mi giunsero sollecitazioni in tal senso».
Bossi-Berlusconi, quell’antico patto. «Mai comizi di Silvio in Bergamasca». Fabio Paravisi su Il Corriere della Sera il 18 Maggio 2022.
L’intervento del leader di Forza Italia lunedì a Treviglio è stato il primo da quando è in politica. I ricordi e i racconti degli esponenti di FI e Lega.
Ci sono leggende che scorrono come fiumi carsici mentre in superficie le vicende umane cambiano e si ribaltano fino a quando è proprio la storia a farle tornare alla luce del sole. E ascoltando Silvio Berlusconi che raccontava, con il tono di una lontana eco che non si spegne, di quella volta di trent’anni fa che era sceso in campo per salvare l’Italia dai comunisti, ci si è resi conto che l’identico racconto era stato ripetuto ovunque, ma finora mai in Bergamasca. Ed ecco riapparire quella storia, avvolta nelle nebbie che hanno generato la Seconda Repubblica: il diretto interessato magari non ci avrà nemmeno fatto caso, ma quello dell’altra sera a Treviglio è stato il primo comizio di Berlusconi in provincia di Bergamo. E questo perché fino a pochi anni fa avrebbe retto un patto stretto con Umberto Bossi, un accordo che risaliva a metà degli anni Novanta e che escludeva comizi berlusconiani in una delle terre che portavano con più evidenza il marchio leghista.
In entrambi i partiti gente che bazzica la politica da un trentennio ammette di averne sentito parlare senza però avere conferme dai diretti interessati, anche se un forzista ricorda di averne udito raccontare da Giulio Tremonti, ministro di Forza Italia ma con molti amici nella Lega. Gli altri la raccontano come gli antichi voti vescovili anti bombardamento, con molto sentito dire ma niente conferme sicure. Anche se è poi vero che dal 1994 di Berlusconi risultano alle cronache bergamasche cene nei ristoranti stellati e passeggiate lungolago, ma niente comizi. Fino a lunedì sera.
«Ne avevo sentito spesso parlare ma non so se sia vero — dice il deputato ed ex segretario leghista Daniele Belotti —. Credo che sia plausibile che si sia voluto rispettare una delle storiche roccaforti leghiste. Così come capisco che da allora siano trascorsi molti anni e adesso Forza Italia anche in provincia abbia bisogno di visibilità». Lo conferma invece un militante storico amico personale di Bossi: «Umberto mi ha detto tante volte: Silvio da voi non verrà mai a rompere le scatole. Lo faceva per una questione di rispetto nei nostri confronti». Un altro vecchio iscritto ricorda che era partito tutto da un comizio berlusconiano a Varese che Bossi aveva preso malissimo, tanto da pretendere un impegno di non ingerenza nel Varesotto ma anche a Bergamo e Treviso.
«Io non ne so niente, e sì che sono vicino a queste persone da un bel po’ di tempo», taglia invece corto il senatore Roberto Calderoli. Ma che ci fosse volontà di marcare il territorio lo conferma un antico ritaglio del 2004 che coinvolge proprio Calderoli. È il 15 marzo, quattro giorni prima Bossi ha avuto l’ictus di cui porta ancora le conseguenze e Giuseppe Leoni dei Cattolici Padani organizza una preghiera al monastero di Pontida. Berlusconi si affaccia durante gli ultimi Vespri, si mette in fondo alla navata circondato dalle guardie del corpo e se ne va con discrezione. Ma il giorno dopo Calderoli brontola con il Corriere: «Se ci avesse avvisati sarebbe stato meglio», e qualcuno dei suoi teme «un’invasione di campo».
La voce circolava anche fra i coordinatori di Forza Italia: «Avevo sentito parlare di questa specie di patto di non invasione — conferma Carlo Saffioti, in carica ai tempi del Pdl —. Poi noi avevamo rapporti diretti solo con il coordinamento regionale e non avevamo invitato Berlusconi. Immagino che preferisse andare dove il partito era più debole». Versione confermata dal suo predecessore Marco Pagnoncelli (2002-2010), che la aggiorna alla micragna attuale: «Ne sentivo parlare, ma mi risulta che Berlusconi sarebbe anche venuto se non fosse che così avrebbe rischiato di favorire una delle componenti del partito. Che peraltro aveva comunque il 33% quindi era giusto che lui andasse altrove, dove aveva bisogno di essere rafforzato». Mentre adesso? «Adesso il partito fatica, mentre la Lega è forte».
Aveva sentito parlare di quell’accordo anche un forzista della prima ora come Giorgio Jannone: «Ogni tanto qualcuno anche autorevole me ne parlava ma conferme vere e proprie non ne avevo. Quello era un periodo in cui il centrodestra in Bergamasca era forte, e forse si riteneva giusto lasciare alla Lega i suoi spazi». C’è chi si trova a metà strada come Gianantonio Arnoldi, segretario forzista dal 1997 al 2001: «Non ho mai sentito questa voce, nonostante i frequenti rapporti con Arcore», dice. Ma ha mai invitato Berlusconi in Bergamasca? «Sì, una volta. Non mi hanno nemmeno risposto».
Tra coloro che non hanno mai sentito circolare la voce di quel lontano patto c’è infine anche Ettore Pirovano, che per la Lega è stato senatore e presidente della Provincia: «Sembra uno di quei patti fra amici o accordi tra gentiluomini. Ma poi, cosa vuole, in politica l’amicizia vale quello che vale e anche i gentiluomini chissà che fine fanno»
Fabio Martini per la Stampa il 10 aprile 2022.
È un frammento strepitoso, accadde lontano dai riflettori e racconta Silvio Berlusconi e la sua vocazione all'"eternità" meglio di ogni commento. Il Cavaliere si trovava in quel del Molise e ad un certo punto si mise a parlare con un pastore del luogo: «Sai, non ho avuto il tempo di invecchiare perché ho sempre lavorato.». L'altro: «Eh ma arriva, arriva"» Berlusconi: «Posso toccarmi le palle?» Il pastore, senza cattiveria: «Toccate un po' quello che te pare, ma arriva, arriva».
Chissà a cosa si riferiva il pastore molisano, forse alla vecchiaia o forse ad altro, ma l'ennesimo ritorno in scena di Silvio Berlusconi in doppio petto blu, consegna al Cavaliere un primato destinato a diventare memorabile: nessun leader in Occidente negli ultimi decenni è uscito così bruscamente di scena e rientrato così tranquillamente in campo per così tante volte. Fuori-dentro-fuori e alla fine di nuovo dentro. Una porta girevole che si avvita e non sembra volersi fermare.
E dire che l'hanno dato spacciato tante volte e mica per modo di dire. Malattie gravi. Processi con imputazioni pesanti. Sconfitte politiche. Tante volte i contrattempi lo hanno portato fuori pista e tante volte - sempre - è rientrato in pista, come se nulla fosse. Una volta Indro Montanelli, all'ennesimo ritorno di Amintore Fanfani, scrisse un attacco dei suoi: "Rieccolo".
Ma nel caso di Berlusconi siamo oltre la "rieccologia", la disciplina che studia i rientri seriali dei politici: qui siamo davanti al primo vero leader bionico della storia patria.
Certo, l'uomo è sempre stato aiutato da un innato vitalismo, ma molto ha giocato l'ingegneria plastica e quella sapienza medica che hanno ispirato a Marcello Veneziani una definizione di Berlusconi che parla da sola: «Un cantiere brulicante in cui si spianavano rughe, si aggiustavano capelli, si tiravano pelli e si alzavano centimetri». Un'iperbole?
La sceneggiatura di un cartoon? Può sembrare così solo a chi non ha mai incrociato di persona Berlusconi negli ultimi anni.
E d'altra parte la manutenzione del corpo a uso personale (e televisivo) è sempre stato un chiodo fisso del Cavaliere, un "argomento" spesso più forte degli argomenti politici. Lo ha detto una volta Felice Confalonieri, l'amico di una vita che conosce Silvio come pochi altri: «Uno dei suoi grandi segreti è sempre stata la fisicità, quando deve gasare qualcuno ha un magnetismo che ricorda i condottieri di Senofonte».
Una fisicità che lui ha alimentato e supportato in tutti i modi ma che è stata insidiata da una quantità di attentati che a riconsiderarli tutti, fanno una certa impressione. Certo, fino ad una certa età, il "dottore" se l'è cavata con creme, diete, beauty farm, cliniche della salute, trapianti. Ma poi sono arrivate le defaillances: la caduta di Genova, lo svenimento di Montecatini, la diarrea di Ryad e poi in un crescendo, il pace-maker del 2006, il tumore alla prostata, i problemi al cuore.
Persino il Covid: lui si era tenuto al coperto, in Sardegna e in Costa Azzurra ma non aveva messo nel conto Flavio Briatore che il 12 agosto 2020 si è presentato alla Villa La Certosa e lo ha fatto sapere al mondo: «Visita ad un amico speciale: grande giornata, lo trovo in forma». Qualche giorno Berlusconi si è ritrovato col Covid.
Naturalmente - e per sua fortuna - il Cavaliere è sempre stato curato benissimo dai suoi ottimi medici che peraltro hanno sempre fatto la gara a parlarne come di uomo che ha valicato le leggi della natura: Alberto Zangrillo nel 2011 disse che clinicamente Berlusconi era come se avesse 50 anni. Ne aveva 75 anni e oggi ne ha 85.
Provare ad apparire giovanile non ha tenuto lontane le sconfitte politiche e dal 2011, quando è stato accompagnato all'uscita da un altro "grande vecchio" come Giorgio Napolitano, le batoste si sono susseguite senza sosta, proprio come gli acciacchi fisici. L'ultima stecca quella candidatura al Quirinale, vagheggiata e ritirata prima di misurarsi. Depressione, nuovi acciacchi e l'altro giorno, lui che viaggia solo in aereo o in elicottero, l'approdo a Roma in treno, un'immagine che mancava nell'eterno show berlusconiano.
E finalmente l'epifania, dopo tre anni di messaggi dai suoi lockdown. È un po' affannato, si vede, e a un certo punto deve ammettere: «Questo discorso è troppo lungo, sto saltando». Ma nei passaggi clou, quelli destinati ai Tg, la voce tiene. Anni fa, quando raccontò a una comunità di tossicodipendenti che due anni prima aveva avuto un tumore, Berlusconi citò Giacomo Casanova: «Ogni uomo, se vuole, può diventare Re». A quei tempi il Cavaliere era diventato per davvero Re, sulle note di "Meno male che Silvio c'è". Quelle note risuonavano anche ieri quando i fan di Berlusconi sciamavano verso l'uscita dell'hotel Parco dei Principi, ben sapendo che il ritorno è stato bello, ma quei tempi non torneranno più.
Lorenzo De Cicco per “la Repubblica” il 5 marzo 2022.
Non è argent de poche. «È un bel guaio», ammette Alfredo Messina, senatore e commissario-tesoriere di Forza Italia. Proprio mentre il partito di Berlusconi tenta il rilancio, la cassa piange, perché i parlamentari non pagano le quote. Oltre uno su tre è moroso. C'è anche qualche nome eccellente negli elenchi top-secret conservati nel quartier generale di San Lorenzo in Lucina, Roma centro, ristretto a un piano proprio per mancanza di liquidità (in principio i piani erano due, con portineria, pure quella dismessa).
Nei rendiconti ufficiali, per esempio, mancano i pagamenti della seconda carica dello Stato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e perfino di un ministro, Mara Carfagna. La bega dei rimborsi sembrava appannaggio del bizzoso universo M5S. E invece Anche fra le truppe berlusconiane in molti «sono distratti», per dirla in modo gentile, come fa Messina. Ma il problema, appunto, è serio: il rischio, spiega il tesoriere, è di essere a corto di fondi «per le prossime campagne elettorali».
Dalle comunali di giugno alle politiche del 2023. Anche la convention che i vertici azzurri stanno organizzando per aprile a Roma, stile Calenda, è in forse: chi paga? «Pensare che la nostra quota è molto più bassa rispetto agli altri partiti», si rammarica Messina, ex Fininvest e Mediaset. «Guardate il Pd!». Dove i parlamentari sborsano quasi 2mila euro al mese. Nella Lega il pedaggio è ancora più salato: 3mila euro. «Da noi invece il contributo è di 900 euro mensili, uno dei più leggeri».
Eppure tanti non pagano. Quanti? «Almeno il 30%». Le liste dei morosi, come detto, sono sottochiave. Anche se nelle chat e nei conversari di deputati e senatori, soprattutto quelli puntuali a pagare, circolano velenosamente alcuni nomi. Messina non ne fa, «se ne dico due - spiega - sembra che tutti gli altri siano in regola. Invece è un problema che riguarda in parecchi. Guardate i nostri rendiconti».
Nei documenti ufficiali non è pubblicato l'elenco di chi non paga, ma quello di chi paga sì: quindi, per sottrazione, qualche considerazione si può trarre. Nell'elenco dell'ultimo bilancio, approvato a luglio del 2021 e che riguarda l'esercizio 2020, sono annotati tutti i contributi ricevuti. Nella lista (133 nomi, su 141 tra deputati, senatori ed europarlamentari iscritti a FI), in 29 hanno bonificato meno di 3mila euro l'anno, al posto dei 10.800 chiesti dal partito. Renato Schifani per esempio, da bilancio, nel 2020 ha pagato solo 1.800 euro. Qualche big è proprio introvabile nella lista.
Per esempio la ministra Carfagna, mentre i colleghi Gelmini e Brunetta (che ha versato addirittura mille euro in più) vengono citati. «Non ci risultano quote non pagate, ma stiamo verificando con il commercialista», spiegano dallo staff della ministra del Sud. Resta il dubbio: l'errore è nel rendiconto di FI o del commercialista di Carfagna? Tra i nomi di chi ha pagato, sia nel 2019 che nel 2020, non compare mai Casellati. Un'altra svista del commercialista? «Effettivamente questi pagamenti, sia per Casellati, che per Carfagna nel 2020, non risultano nel rendiconto - ammette Messina - Forse per la presidente del Senato c'è un tema legato alla sua carica, avrà fatto alcuni ragionamenti. Per Carfagna magari ha pesato una sua distanza, in alcune fasi, rispetto al partito». Entreranno in azione gli avvocati? «Abbiamo ragionato su alcune azioni esecutive - risponde il tesoriere Messina - ma io vorrei evitare. I solleciti però li ho mandati».
Da “Chi” l'8 febbraio 2022.
«I rapporti personali con Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono sempre stati molto cordiali, le valutazioni politiche non sempre coincidono. Del resto, se fosse così saremmo un partito unico e non una coalizione.
Però il centrodestra che io ho fondato nel 1994 è un'alleanza scritta non da un notaio, ma nel cuore degli italiani.
Dobbiamo rilanciarla e per farlo c'è un solo modo: consolidare Forza Italia e creare un centro moderato che possa aggregare e allargare i suoi confini. Un centro, saldamente ancorato al centrodestra e alternativo alla sinistra, che sia garante dei valori cristiani, dei principi liberali, della vocazione europeista, del metodo garantista.
Per fare questo bisogna rifondare il centrodestra? Se necessario, sono pronto a farlo, senza escludere nessuno, ovviamente».
Silvio Berlusconi, tornato in pieno all'attività politica dopo il breve ricovero al San Raffaele per una infezione che lo ha colpito durante la complessa settimana dell'elezione del presidente della Repubblica, spiega in una intervista esclusiva al settimanale Chi, in edicola da mercoledì 9 febbraio, il suo progetto politico di rifondazione del centrodestra, uscito diviso e in polemica dalla corsa al Quirinale.
Il leader di Forza Italia si è fatto anche fotografare nel parco della Villa di Arcore con la compagna Marta Fascina e i loro amati cagnolini, immagini che mostrano come abbia pienamente recuperato dai recenti problemi di salute.
«Ora finalmente mi sento bene», dice Silvio Berlusconi a Chi. «Ho avuto un malessere fastidioso, per il quale io non avrei voluto ricoverarmi, ma i medici me lo hanno imposto, per precauzione.
Però questo non mi ha impedito di continuare a lavorare, in stretto contatto con i miei collaboratori che stavano a Roma e che hanno gestito molto bene una situazione difficile. Si trattava di superare una crisi, una situazione di stallo che si era creata intorno all'elezione del Presidente della Repubblica.
Proprio per questo motivo sono stato il primo, di fronte alla difficoltà delle Camere, a chiamare Sergio Mattarella per chiedergli di accettare un nuovo mandato che fosse di garanzia per tutti».
Nell'intervista Silvio Berlusconi affronta anche il tema del passo indietro compiuto quando la corsa al Quirinale stava per partire e il suo nome era stato indicato come candidato del centrodestra.
«Ogni tanto qualcuno mi chiede se sono deluso di non essere stato io il candidato votato dalle Camere.
Non vedo come potrei esserlo: l'idea di candidarmi non era mia, del resto al Quirinale non ci si candida, era un'idea avanzata dai leader del centrodestra. Anche tanti parlamentari di altri partiti, fuori dalla nostra coalizione, mi avevano assicurato il loro appoggio.
E tanti cittadini mi avevano quasi sommerso di messaggi di incoraggiamento, con ogni mezzo. È stata una prova di affetto e di stima che mi ha emozionato e commosso. Voglio ancora ringraziare tutti, specialmente le tante italiane e i tanti italiani che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza anche questa volta».
Ora il lavoro dell'ex premier è tutto concentrato sulla rifondazione del centrodestra in previsione delle future elezioni.
«Bisogna pensare al 2023, quando la maggioranza degli italiani si esprimerà, ne sono certo, per un centrodestra di governo che dovrà completare il lavoro di questi mesi. Nel frattempo, però, bisogna consolidare il buon lavoro del governo Draghi: il Paese ha bisogno di stabilità e di continuità».
“Silvio al Colle”, pagina dei seniores di Fi su Il Giornale. Una locandina-manifesto. 'Buono e generoso, eroe della libertà'. Redazione ANSAROMA il 13 gennaio 2022.
Un'intera pagina sui record e i primati di Silvio Berlusconi per concludere "e quindi, chi come lui?".
È l'iniziativa che campeggia a pagina 5 de Il Giornale con cui 'Forza Seniores', il dipartimento di Fi che raccoglie gli over 65 azzurri, lancia la candidatura dell'ex premier al Quirinale.
"Chi è Silvio Berlusconi": la locandina-manifesto, con in cima una foto del leader azzurro di qualche anno fa, elenca 22 meriti del fondatore di Forza Italia: la prima è "una persona buona e generosa", l'ultima è "l'eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel '94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale".
Ecco perchè, per i seniores, Berlusconi merita di diventare il prossimo presidente della Repubblica: "il padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti", "un amico di tutti, nemico di nessuno", "tra i primi contribuenti italiani", "tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro", "il più giovane imprenditore italiano nominato Cavaliere del Lavoro", "un self-made man, un esempio per tutti gli italiani", "l'inventore e costruttore delle città "sicure" con tre circuiti stradali differenziati", "il primo editore d'Italia e il più liberale", "il fondatore della tv commerciale in Europa", "il fondatore con Ennio Doris della 'Banca del Futuro', "il presidente di Club che ha vinto di più nella storia del calcio mondiale".
Dopo l'uomo e l'imprenditore ci sono i meriti politici: "parlamentare europeo in carica", "il fondatore del centro-destra liberale, cristiano, europeista e garantista", "il più votato parlamentare italiano con più di 200 milioni di voti", "il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica", "l'ultimo presidente del Consiglio eletto democraticamente dagli italiani (2008)", "il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell'Aquila (2009)".
Infine, l'elenco dei successi e degli onori internazionali: "il presidente del Consiglio che mise fine alla guerra fredda realizzando l'accordo di Pratica di Mare tra George Bush e Vladimir Putin (anno 2002)"; "il leader occidentale più apprezzato e più applaudito (8 minuti) nella storia del Congresso Americano", quindi "l'italiano più competente nella politica internazionale, ascoltato e apprezzato, autorevole e umano, capace di intessere e coltivare le amicizie personali più profonde con i più importanti leader mondiali".
«Chi come Berlusconi?». La pagina pubblicitaria a sostegno del Cavaliere al Quirinale. Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 13 gennaio 2022.
È comparsa su «Il Giornale» ed elenca 22 meriti: da «un uomo buono» a «il presidente che ha vinto più di tutti nella storia del calcio». Fino a «l’uomo che ha posto fine alla guerra fredda».
Chi è Silvio Berlusconi? Tante cose - 22 per la precisione - elencate su una pagina pubblicitaria comparsa oggi su «Il Giornale», il quotidiano di cui lo stesso Cavaliere è proprietario, per sostenerne la candidatura al Quirinale. Da «Una persona buona e gentile» a «l’eroe della libertà sceso in campo con grande sprezzo del pericolo nel’94 per evitare un regime autoritario e illiberale», la pagina passa in rassegna i meriti che Berlusconi si è attribuito durante tutta la sua ventennale parabola politica: imprenditoriali, sportivi, politici, personali.
«E quindi, chi come lui?» si chiede retoricamente lo slogan a piede di pagina. Sulla medesima inserzione compare anche l’icona «Forza seniores», vale a dire il club che raduna gli over 65 iscritti a Forza Italia. Formalmente sono dunque questi ultimi ad aver pagato la pubblicità. Su tutto campeggia l’immagine di un Berlusconi giovanile, uno scatto risalente presumibilmente agli anni ‘90.
Ma al dunque, chi è Silvio Berlusconi? Non solo una persona buona ma anche «il padre di cinque figli e il nonno di 15 nipoti», «un amico di tutti e nemico di nessuno». La pagina passa quindi in rassegna i traguardi lavorativi del cavaliere: «tra i primi imprenditori per creazione di posti di lavoro, «tra i primi contribuenti italiani», «un self made man esempio per tutti gli italiani», «il primo editore d’Italia e il più liberale», «il fondatore della Tv commerciale in Europa» e naturalmente «il presidente del club che ha vinto più di tutti nella storia del calcio mondiale».
E poi c’è la politica: «il parlamentare italiano più votato con 200 milioni di voti», «il presidente del consiglio che ha governato più a lungo», «l’ultimo presidente del consiglio eletto democraticamente» (un grande classico della narrazione berlusconiana), ma anche «il presidente che pose fine alla guerra fredda» e «l’italiano più competente in politica internazionale».
La candidatura al Quirinale non è mai espressa esplicitamente dagli autori dell’agiografica inserzione ma l’obiettivo, viste le premesse, non ha grande bisogno di essere dichiarato. E mentre prosegue l’«operazione scoiattolo» (il reclutamento «ad personam» dei grandi elettori indecisi), Salvini ha dichiarato che l’intero centrodestra sostiene «compatto e convinto» la corsa del cavaliere verso la vetta del Colle.
Berlusconi per farsi eleggere al Quirinale schiera giornali e tv. La telefonata alla senatrice: "Sono quello del bunga bunga". Emanuele Lauria su La Repubblica il 14 gennaio 2022.
Dal rifiuto della perizia psichiatrica nel processo Ruby ai colloqui a Bruxelles fino ai regali ai parlamentari: tutte le mosse per costruire la scalata
Dalla senatrice No Vax di Catanzaro al leader tedesco del Partito popolare europeo. La campagna più pazza del mondo, ormai, non fa distinzioni di sesso, provenienza geografica, ispirazione politica, livello istituzionale. Silvio Berlusconi ha una parola buona per tutti, all'apice di una corsa che per lui è una sfida senza subordinate, è l'ultima missione dell'unto dal Signore: "Chi come lui?", è l'interrogativo inquietante in calce alla pagina a pagamento (sic!) comparsa ieri sul Giornale, in cui si elencano 22 meriti del Cavaliere, "l'eroe della libertà sceso in campo con grande sprezzo del pericolo nel '94 per evitare un regime autoritario e illiberale" che ha, tra le altre imprese, "posto fine alla guerra fredda" realizzando l'incontro fra Bush e Putin a Pratica di Mare, nel 2002.
"Amico di tutti e nemico di nessuno", l'ex premier è anche il "più votato parlamentare italiano con 200 milioni di consensi". La domanda è: per uno che detiene questo record, cosa volete che siano 505 Grandi elettori da convincere? Forte di questo tenace concetto, Berlusconi dà corpo in queste ore all'ultimo tratto della sua maxi-operazione di marketing applicata, con metodo originalissimo, al momento istituzionale più solenne della Repubblica. Gli alleati sono perplessi ma travolti da un ciclone che in realtà è frutto di una strategia studiata e portata avanti a tavolino, dal giorno in cui - era inizio settembre - il leader forzista rifiutò sdegnato la perizia psichiatrica chiesta dai pm del Ruby Ter e comunicò che non avrebbe più preso parte alle udienze. Di lì alcune mosse ad effetto, come l'opuscolo autocelebrativo inviato a tutti i parlamentari il giorno del suo compleanno, il 29 settembre, e la ripresa di contatti internazionali: l'uomo che, a 85 anni, non poteva prendere parte al suo processo per motivi di salute ha cominciato a fare la spola fra Villa Grande - residenza romana diventata baricentro del centrodestra - e Bruxelles, dove il 20 ottobre si ferma a colloquio con Angela Merkel, a dispetto di vecchie frizioni e non eleganti epiteti rivoltele in passato: "Mancherà all'Europa una figura come la tua, quando vieni in Italia sentiamoci, hai il mio numero...". Sono i giorni in cui, sul fronte interno, Berlusconi piega le resistenze dei suoi consiglieri (Confalonieri, più che Letta) e in cui rispunta sulla scena Marcello Dell'Utri, che in una riunione ad Arcore gli garantisce il sostegno di Matteo Renzi. Sono i giorni, ancora, in cui sull'altare del sogno quirinalizio il Caimano morettiano lancia segnali d'amore persino ai 5 Stelle: "Gli scappati di casa" (definizione del 2019) diventano esponenti di un movimento che "ha dato voce a un disagio reale che merita rispetto".
La last dance del Cavaliere è in realtà una taranta che vive di una inusitata presenza social. Basti pensare che il patriarca di Arcore nel 2021 ha aumentato del 46,85 per cento il numero dei follower raggiunti su Facebook, Instagram e Twitter: grazie anche al video di Natale con il cane shitzu Gilda e agli auguri per il compleanno della compagna Marta Fascina, 53 anni di meno, fatti attraverso una foto della coppia che si scambia uno sguardo complice. Segno dei tempi: valgono più i messaggi sul web che la comunicazione televisiva, anche se l'impero mediatico di Berlusconi, o i media di area, non sono certo stato ostili alla mission: è stato il Giornale, qualche giorno fa, a ospitare l'intervista al segretario del Ppe Lopez che ha promosso la candidatura al Colle, è stato Libero (di proprietà del deputato forzista Angelucci) a promuovere la petizione per difendere il diritto del Cavaliere di puntare alla carica di capo dello Stato. Mentre Berlusconi, a dicembre, non ha mancato di manifestare il suo disagio per alcune posizioni poco istituzionali sui vaccini di conduttori Mediaset quali Mario Giordano e Paolo Del Debbio. Ma poi, durante le feste, ecco trionfare i mezzi di propaganda più diretti: i dipinti della Quadreria di Villa San Martino inviati in dono a leader politici e figure istituzionali e le telefonate a decine di parlamentari fatte dal cellulare di Vittorio Sgarbi tentando di sfruttare l'effetto sorpresa: "Indovina chi sono?". A Bianca Laura Granato, senatrice no vax del gruppo misto, Berlusconi si è presentato come "il signor Bunga Bunga". Con un deputato che è anche presidente di una squadra di calcio ha esordito: "Ciao, sono un collega". Battute, barzellette, intervallate da impegni altissimi: "Mi spenderò per promuovere un esercito europeo", ha detto a un ex grillino. Quanto ciò abbia a che fare con le competenze di un Capo di Stato, non è dato saperlo. Ma poco conta, nella scalata impossibile dell'aspirante Presidente: "Se ti eleggono, ti trovi addosso un plotone di fuoco dieci volte superiore a quello del 2011", pare gli abbia detto al telefono Guido Crosetto, uno dei fondatori di Fdi. Ma lui nulla, ha chiuso e ha accolto a Villa Grande Manfred Weber, capogruppo del partito popolare europeo, regalandogli due cravatte personalizzate: "Mi piacerebbe mettere il logo del Quirinale ma ancora è presto...".
Berlusconi, sul Giornale il fantasioso appello per candidarlo al Colle: “Eroe”, “Amico dei leader mondiali”, “Fece finire la guerra fredda”. Il Fatto Quotidiano il il 13 gennaio 2022.
L’irrituale endorsement alla corsa del Caimano firmato da "Forza seniores", il dipartimento over 65 di Forza Italia, occupa l'intera pagina 5 del quotidiano diretto da Augusto Minzolini. Le definizioni agiografiche sono ben 22: si parte dal sentimentale ("Una persona buona e generosa"), per chiudere con l'epico ("L'eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel '94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale")
Un elenco di (fantasiosi) meriti e primati di Silvio Berlusconi, squadernati su un foglio di quotidiano per sostenere l’ardita tesi: “Chi come lui” è adatto a ricoprire la più alta carica dello Stato? L’irrituale endorsement alla corsa del Caimano firmato da “Forza seniores“, il dipartimento over 65 di Forza Italia, occupa l’intera pagina 5 del “Giornale” di famiglia diretto da Augusto Minzolini. Si tratta di una locandina-manifesto dal titolo “Chi è Silvio Berlusconi”, accompagnata da una sua foto risalente a parecchi anni fa. Già, chi è? Di certo, come hanno ricordato i fondatori del Fatto nella petizione già sottoscritta da 215mila persone (firma qui), è un condannato definitivo per frode fiscale, un ex affiliato alla loggia massonica P2, corruttore di parlamentari e promotore di leggi ad personam. Ma i suoi supporter più anziani preferiscono altre definizioni che – a parer loro – lo rendono il miglior candidato possibile al Colle. Sono ben 22: si parte dal sentimentale (“Una persona buona e generosa”), per chiudere con l’epico (“L’eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel ’94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale”).
Nel mezzo, ecco l’agiografia riproduttiva (“Il padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti”), quella relazionale (“Un amico di tutti, nemico di nessuno”), quella fiscale (“Tra i primi contribuenti italiani”), quella macroeconomica (“Tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro”). Senza scordare l’evergreen del “più giovane imprenditore italiano nominato Cavaliere del lavoro“, e la retorica del (presunto) “self-made man, esempio per tutti gli italiani”. I seniores elogiano il proprio leader anche in quanto “inventore e costruttore delle città “sicure” con tre circuiti stradali differenziati”, “primo editore d’Italia e il più liberale”, “fondatore della tv commerciale in Europa”, e, “con Ennio Doris, della Banca del Futuro”, “presidente di Club che ha vinto di più nella storia del calcio mondiale”. Poi si passa al curriculum politico. Qui si spazia dalla sobrietà (“Parlamentare europeo in carica”, “Il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica”), alla megalomania (“Il fondatore del centro-destra liberale, cristiano, europeista e garantista”, “Il più votato parlamentare italiano con più di 200 milioni di voti”) al puro superomismo (“L’ultimo presidente del Consiglio eletto democraticamente dagli italiani (2008)”, “Il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell’Aquila (2009)”).
Il climax però si raggiunge con l’elenco dei successi e onori internazionali che – secondo i suoi fan – Silvio è stato capace di raggiungere. Lo sforzo di fantasia qui arriva al surrealismo: “Il leader occidentale più apprezzato e più applaudito (8 minuti) nella storia del Congresso americano”, “l’italiano più competente nella politica internazionale, ascoltato e apprezzato, autorevole e umano, capace di intessere e coltivare le amicizie personali più profonde con i più importanti leader mondiali” e infine – con sprezzo di Gorbačëv e della caduta del Muro – “Il presidente del Consiglio che mise fine alla guerra fredda con l’accordo di Pratica di Mare tra George Bush e Vladimir Putin (anno 2002)”. Bum. Non si citano, chiaramente, nè le corna al summit Ue, nè il “kapò” a Schulz, nè la telefonata dando le spalle alla Merkel, nè l’Obama “abbronzato“. Ma in quel caso l’elenco sarebbe diventato troppo lungo.
«Report», quel teorema su Berlusconi nell’inchiesta di Ranucci. Aldo Grasso su Il Corriere della Sera l'1 Febbraio 2022.
A quasi trent’anni dalla discesa in campo dell’ex Premier, ci si sarebbe aspettato un salto di qualità, un’analisi politica. Qualcosa, insomma, degno della Rai, del servizio pubblico.
Silvio Berlusconi era appena uscito dall’ospedale e su Rai3 andava in onda «Report» con un’inchiesta di Luca Bertazzoni dal titolo «Il Paese che amo». Qui non si discute di tempistica ma di metodo. Sigfrido Ranucci è libero di organizzare inchieste su Berlusconi ma, a quasi 30 anni dalla «discesa in campo», mi sarei aspettato un salto di qualità, un’analisi politica, insomma qualcosa degno della Rai, del servizio pubblico. E invece ecco l’incipit moralistico: «Berlusconi aveva tutti i diritti di diventare presidente della Repubblica, non lo è diventato perché ha inoculato nella società un modello di scorciatoie, uomo solo al comando, interessi personali, editti bulgari e fango sugli avversari». Poi si è parlato di «democrazia dell’audience», di Forza Italia come un «prodotto televisivo» e di Berlusconi professionista dello storytelling.
Il colpo grosso dell’inchiesta di Bertazzoni è stata una penosa intervista a Noemi Letizia di Casoria dove l’unica domanda che andava fatta alla signora era questa: «Scusi, ma i suoi genitori che parte hanno avuto in questa triste vicenda?». Il metodo Report, gestione Ranucci, lo conosciamo: c’è un teorema da dimostrare per rafforzare il quale si usano spezzoni d’intervista, interlocutori come Lele Mora (almeno sincero), un Emilio Fede malato, un agente delle olgettine, filmati rubati, intercettazioni telefoniche, cose del genere: «la tragicommedia del giornalismo complottista», com’è stato definito questo tipo d’inchieste. Quando Ranucci interveniva da studio, alle sue spalle appariva un ritratto di Mussolini. Perché non ci siano equivoci, non vorrei essere tacciato di berlusconismo: il servizio si è concluso con il ricordo di Biagi, Santoro e Luttazzi, martiri degli «editti bulgari». Nel 1994 anch’io fui fatto fuori da Berlusconi, per mano di Moratti Letizia di Milano. Non mi sono mai sentito un martire.
Il fango fuori tempo massimo di Report contro il Cavaliere. Francesco Maria Del Vigo il 2 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Altro che servizio pubblico, nel programma di Ranucci il solito concentrato di anti-berlusconismo viscerale.
Non chiamatelo servizio pubblico, per favore. Quello che è andato in onda lunedì sera su Raitre non ha nulla a che fare con l'informazione e molto con una vera e propria persecuzione mediatica. Report, il programma fondato da Milena Gabanelli e ora nelle mani di Sigfrido Ranucci, ha dedicato un'intera puntata alle vicende giudiziarie degli ultimi anni del quarto governo Berlusconi. Non esattamente una breaking news. Un bignami dettagliato di tutto il fango e le menzogne che, in quel periodo violento e avvelenato della vita politica italiana, sono state riversate contro il Cavaliere. Ranucci, fuori tempo massimo, ha rispolverato i vecchi cavalli di battaglia dell'antiberlusconismo viscerale. Con un effetto straniante, un viaggio a ritroso nel tempo, in un periodo buio per l'informazione italiana. A uno spettatore distratto poteva sembrare una brutta caricatura di un vecchio programma di Michele Santoro, invece come ha spiegato lo stesso Ranucci era tutto frutto di un recente lavoro giornalistico. Lo scopo? Viene dichiarato palesemente: ricordare perché Silvio Berlusconi non poteva diventare presidente della Repubblica. Insomma, per sicurezza quelli di Report si erano preparati preventivamente ad azionare la macchina del fango con i cannoni posizionati in direzione di Arcore.
Così Report resuscita i fantasmi di quel periodo, intervista Bill Emmott, il direttore dell'Economist che disse che Berlusconi era «unfit to lead Italy», inadatto a governare l'Italia, per fargli ridire esattamente la stessa cosa. Va a ricercare Karima El Mahroug e Noemi Letizia. Fa dire qualche battuta ad Antonio Martino e Fabrizio Cicchitto, nel tentativo di dare una parvenza di respiro a un'operazione che però rimane assolutamente faziosa.
Tira in ballo l'ossessione del conflitto di interessi, le presunte leggi liberticide, la solita trita, ritrita e smentita fake news del Bunga bunga. E ancora decine di minuti di telefonate private dell'allora premier, senza alcun rilievo penale, ma buone per impastare il fango che Report deve propalare, per tenere in piedi l'impalcatura di menzogne. Interviste a personaggi del sottobosco milanese, millantatori professionisti che vengono trattati come fonti privilegiate e affidabili, alla faccia del tanto sbandierato giornalismo a schiena dritta di Report. E poi il colpo più basso, un'intervista a un Emilio Fede provato dall'età e dalla malattia. La telecamera che indugia senza ritegno sul direttore in carrozzina, il giornalista che lo incalza nel tentativo di ottenere informazioni che non ottiene. Semplicemente perché non esistono. Illazioni, frasi lasciate a metà per inoculare sospetti: il solito copione visto e rivisto e che speravamo fosse archiviato negli scatoloni degli orrori della nostra storia recente. Persino il racconto delle pressioni internazionali, dello spread, per costringere Berlusconi alle dimissioni, nella lettura di Report, vengono trasfigurate e ridotte a gossip. Ovviamente, in un racconto al rovescio, Mario Monti ed Elsa Fornero (intervistata per magnificare la sua opera) diventano salvatori della patria. Uno spettacolo indegno del canone e della televisione pubblica. Che però ha raggiunto uno scopo: ricordarci quanto in basso fosse sceso il clima nel nostro Paese, quanto odio è stato costruito ad arte nei confronti di Berlusconi.
E poi, dopo quasi 50 minuti di scempio, Ranucci, nel dubbio che non si fosse capito dove voleva andare a parare la sua trasmissione, fa anche un comizietto finale nel quale condensa trent'anni di balle, pregiudizi, odio sociale, politico e financo umano. Un comizio in cui, con pessimo gusto, durante una pandemia che ha fatto migliaia di morti paragona il Cavaliere a un virus. «Berlusconi non è diventato presidente della Repubblica perché ha inoculato nella società un modello culturale, quello della scorciatoia, per arrivare al successo attraverso i canoni della ricchezza e della impunità. (...) Perché ha inoculato il virus dell'uomo solo al comando, demonizzando l'avversario (...) con dossier spesso falsi preparati da ambienti oscuri con cui manganellava oppositori politici e giornalisti».
E poi, con sprezzo del ridicolo, dopo aver appena terminato di manganellare, finisce citando la celebre frase di Humphrey Bogart: «È la stampa bellezza». Ecco, questo non ha nulla a che fare con il giornalismo ed è anche una gran bruttura. Il problema è che lo paghiamo con i nostri soldi.
Francesco Maria Del Vigo è nato a La Spezia nel 1981, ha studiato a Parma e dal 2006 abita a Milano. E' vicedirettore del Giornale. In passato è stato responsabile del Giornale.it. Un libro su Grillo e uno sulla Lega di Matteo Salvini. Cura il blog Pensieri Spettinati.
“Se Ferri fu complice di Franco, perché il giudice non fu mai punito?”, la puntualizzazione di Panella al Csm. Paolo Comi su Il Riformista il 12 Ottobre 2022
Perché il giudice della Cassazione Amedeo Franco non venne mai sottoposto a procedimento disciplinare da parte del Consiglio superiore della magistratura? Anzi, nel 2015 lo stesso Csm lo aveva anche promosso presidente di sezione a piazza Cavour. È quanto chiede la difesa di Cosimo Ferri, deputato di Italia viva e accusato dalla Procura generale della Cassazione di “grave scorrettezza” nei confronti dei colleghi per aver accompagnato presso la residenza di Silvio Berlusconi il giudice Franco, relatore della sentenza che il primo agosto del 2013 aveva rigettato il ricorso proposto contro la sentenza di condanna a quattro anni di reclusione emessa dalla Corte d’appello di Milano nel processo su diritti Tv-Mediaset.
Sentenza che aveva comportato, per effetto della legge Severino, la decadenza di Berlusconi da parlamentare. I fatti risalgono ad un periodo compreso fra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014. L’incontro fra Berlusconi e Franco era stato successivamente rivelato nell’estate del 2020, dopo la pubblicazione di alcuni audio registrati dallo staff dell’ex premier all’insaputa del giudice e poi depositati nel ricorso alla Cedu avverso tale sentenza. A seguito della pubblicazione degli audio in cui Franco manifestava tutto il suo disappunto, parlando di “un plotone d’esecuzione”, era stato aperto nel 2020 un procedimento da parte della procura di Roma. Il fascicolo era poi stato trasmesso alla procura generale della Cassazione l’anno successivo per valutare la posizione del solo Ferri, essendo Franco nel frattempo deceduto l’anno prima.
Per la difesa di Ferri, rappresentata dall’avvocato romano Luigi Antonio Panella, l’atteggiamento critico di Franco nei confronti della decisione della condanna di Berlusconi era noto da anni. Già nel libro di Bruno Vespa Sole, zucchero e caffè, pubblicato nel 2013, veniva evidenziato che Berlusconi considerava quella sentenza un “assassinio giudiziario”, “un tranquillo colpo di Stato”, nel quale “il relatore, unico componente imparziale del collegio, non condivideva né la sentenza né le motivazioni”. L’anno successivo, durante la trasmissione Porta a Porta, sempre Berlusconi, sottolineava che “la Cedu avrebbe annullato tale sentenza, costruita con precise regie”.
La posizione di Franco, che aveva parlato con diverse persone prima di chiedere a Ferri un appuntamento con Berlusconi, era allora nota ma mai nessuno aveva pensato di aprirgli un procedimento disciplinare. Nel 2016, nel ricorso alla Cedu, i legali di Berlusconi avevano sottolineato i “pregiudizi” del presidente del collegio Antonio Esposito, e di un “forte turbamento personale di Franco in totale disaccordo con la condanna, profondamente amareggiato a livello professionale per essersi lasciato indurre a condividere un palese errore giudiziario”.
«Risulta singolare che ora, a distanza di sei anni dal 2016 e nove dai fatti si ipotizzi una grave scorrettezza a carico di Ferri per aver asseritamente consentito e avallato un comportamento scorretto di Franco che nessuno ha mai contestato a quest’ultimo fino a che è stato in vita», ha puntualizzato questa settimana Panella al Csm. E a proposito degli audio, Panella ha anche prodotto una consulenza tecnica che dimostrerebbe alcune ‘manomissioni’, rendendoli di fatto inutilizzabili. Prossima udienza il 18 ottobre con la testimonianza di Ferri. Paolo Comi
Da "Report" il 31 gennaio 2022.
A raccontare la sua versione sulle serate del "Bunga Bunga" è Silvio Berlusconi che registra di nascosto una conversazione con Amedeo Franco, oggi scomparso, ma all'epoca magistrato di Cassazione tra i firmatari del verdetto di condanna per frode fiscale che ha portato poi alla decadenza dell'ex premier dal Senato: "C'è un terzo processo in cui io sono accusato di aver corrotto 44 testimoni. Ho ritenuto a un certo punto che queste ragazze avessero bisogno di essere aiutate e allora gli ho dato con bonifico 2500 euro al mese. L'accusa sarebbe per me, che ho corrotto le ragazze, per farle mentire nel processo dove avevano detto: "Cene normalissime non abbiamo visto scene deteriori". Le sei ragazze che hanno detto che invece le ragazze estraevano il pisello di Fede, 82 anni, che mi autorizza a dire pubblicamente che per trovare il pisello a lui, specie dopo la mezzanotte, occorre organizzare una regolare caccia al tesoro".
Da milano.corriere.it il 16 marzo 2022.
«Il bunga-bunga era una saletta, dove andavano dopo le cene, una specie di discoteca dove c’era della musica». Lo racconta Giuseppe Brumana, storico maggiordomo di villa San Martino ad Arcore, testimoniando (convocato da una delle difese) nel processo milanese sul caso «Ruby ter» a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, tra cui tante «ex olgettine» accusate di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
«Un bel via vai alle cene
«C’era un bel via vai alle cene - ha spiegato Brumana, dal 2009 maggiordomo e prima, dal ‘97, cameriere ad Arcore - arrivavano e se ne andavano». Rispondendo alle domande del pm Luca Gaglio, dopo quelle del legale Daniele Melegari (difensore di Maria Rosaria Rossi e Simonetta Losi), il teste ha spiegato che «Karima non è rimasta lì ad Arcore due settimane» nel 2010, perché le «ragazze se ne andavano» dopo le cene.
Luca Risso pronto a dichiarazioni spontanee»
Tra gli imputati Luca Risso, ex compagno di Karima El Mahroug: Ruby Rubacuori. È pronto a rendere dichiarazioni spontanee, hanno spiegato i suoi legali nell’udienza di oggi davanti alla settima penale in un’aula bunker alla periferia sud di Milano per le limitazioni anti-Covid. Le dichiarazioni di Risso, che vive in Messico ed è accusato di aver riciclato soldi che l’ex premier avrebbe dato a Ruby come prezzo della presunta corruzione in atti giudiziari, dovrebbero arrivare nell’udienza del 30 marzo.
Un’udienza che oggi è stata aggiunta come ultima della fase dibattimentale, dopo quella del 23 marzo in cui saranno sentiti ancora testi delle difese. Risso, al momento, è l’unico imputato che ha annunciato formalmente dichiarazioni in aula prima della fine del dibattimento. Per il 30 marzo è stato convocato in aula anche un socio di Risso in attività in Messico.
Berlusconi, il Monza e le dichiarazioni spontanee
«La possibilità di rendere dichiarazioni spontanee non è preclusa ad uno specifico momento del dibattimento e quindi se lo riterremo opportuno certamente vi sarà la massima disponibilità del presidente Berlusconi a rendere dichiarazioni che noi riterremo significative e questo non vuol dire che non possa andare a vedere il Monza». Lo ha spiegato ai cronisti il legale Federico Cecconi, che difende l’ex premier, al termine dell’udienza.
A un cronista che gli ha fatto notare che il Cavaliere «sembra più concentrato sul Monza e sulla festa di fidanzamento di sabato», l’avvocato ha risposto: «Meglio, vuol dire che me ne devo occupare soltanto io di questo processo». Sempre fuori dall’aula ai cronisti l’avvocato Paola Boccari, legale di Karima El Mahroug, con riferimento ad una domanda fatta in aula dal pm ad un teste, ha precisato che è «pacifico che Karima sia stata ad Arcore in alcune serate tra febbraio e maggio 2010, ma non ci sono mai state 14 serate di fila con lei ad Arcore».
Report, fango su Berlusconi ed Emilio Fede: "Le ragazze estraevano il pisellino, una caccia al tesoro". Libero Quotidiano il 31 gennaio 2022.
A Report stanno cucinando una puntata ad altissimo livello di "fango" contro Silvio Berlusconi. La trasmissione fondata da Milena Gabanelli e oggi guidata da Sigfrido Ranucci, stando alle indiscrezioni rilanciate da Dagospia, manderà in onda le parole che Silvio Berlusconi avrebbe confidato ad Amedeo Franco, magistrato di Cassazione tra i firmatari del verdetto di condanna per frode fiscale nel processo Mediaset. Il nome del magistrato, oggi scomparso, era già tornato agli onori delle cronache politiche e giudiziarie per le sue accuse al collega giudice Antonio Esposito, che a suo dire avrebbe "pilotato politicamente" la sentenza contro il leader di Forza Italia che portò poi alla sua decadenza dal Senato per effetto della legge Severino, nel 2013.
A Report però si parla di Bunga bunga, olgettine e "cene eleganti". Un canovaccio sempre di grande successo, a sinistra. Berlusconi, che avrebbe registrato quella conversazione privata con Franco, spiegava: "C'è un terzo processo in cui io sono accusato di aver corrotto 44 testimoni. Ho ritenuto a un certo punto che queste ragazze avessero bisogno di essere aiutate e allora gli ho dato con bonifico, 2.500 euro al mese".
Il riferimento è alla inchiesta ora denominata Ruby Ter. "L'accusa sarebbe per me, che ho corrotto le ragazze, per farle mentire nel processo dove avevano detto: 'Cene normalissime non abbiamo visto scene deteriori'. Le sei ragazze che hanno detto che invece le ragazze estraevano il pisello di Fede, 82 anni, che mi autorizza a dire pubblicamente che per trovare il pisello a lui, specie dopo la mezzanotte, occorre organizzare una regolare caccia al tesoro". Inutile specificarlo: Fede è Emilio Fede, l'ex direttore del Tg4 oggi 90 anni. E a Report non hanno trovato di meglio che tirare in ballo anche lui.
Da "Il Foglio" il 3 dicembre 2022.
Dopo la cessione della Versace a Cammi Holdinas. nel settembre del 2018, e il progressivo abbandono delle deleghe e della presidenza dell'azienda fondata col fratello Gianni nel 1978, Santo Versace si è ritrovato imprenditore, ha differenziato gli investimenti, messo a segno da distributore il colpaccio di "Saint Omer' di Alice Diop all'ultima Biennale Cinema (Leone d'argento, Leone miglior opera prima).
Una settimana fa ha presentato la fondazione che porta il suo nome e che ha sviluppato con la moglie, l'avvocata Francesca De Stefano, destinata a chi "vive in condizioni di fragilità e disuguaglianza sociale" (primi due finanziamenti per la Cittadella Cielo di Frosinone, della Comunità Nuovi Orizzonti e la parrocchia San Nicolò di Fabriano di Ancona. E poi c'è la sua versione dell'assassino del fratello Gianni, degli anni difficili che ne seguirono, delle cause per diffamazione intentate in tutto il mondo contro presunti e strampalati scoop sulle motivazioni dell'omicidio di Miami e tutte vinte.
C'è la storia della famiglia e quella di Donatella, la piccola di casa, e di sua figlia Allegra, la "principessa" dello zio Gianni, che ereditò la metà delle azioni, e c'è la storia di un'azienda che forse, non fosse stato per una certa epica discussione fra i due fratelli maggiori a pochi giorni da quei colpi di rivoltella, avrebbe avuto un destino diverso, quello che era peraltro già stato scritto: la fusione con Gucci, la quotazione in Borsa, il decollo del primo polo del lusso italiano. Il libro si intitola "Fratelli.
Una famiglia italiana", lo pubblica Rizzoli e lo sta presentando per l'Italia Paola Jacobbi. In copertina ci sono Gianni e Santo Versace in barca. All'interno. il racconto della moda a Milano negli Anni Settanta e il ruolo di Walter Albini nella definizione della figura del designer come lo conosciamo oggi, oltre a molti retroscena fra cui uno, piuttosto intrigante, degli anni in cui Santo Versace fu parlamentare del Popolo delle Libertà e anche dei più fumantini e meno irreggimentabili (l'8 novembre del 2011 si rifiutò di votare il Rendiconto Generale dello Stato, innescando la crisi che portò alla caduta del governo Berlusconi IV). "Ho scritto questo libro per chiudere un'epoca, soprattutto la tragedia di Miami", dice. Ma in realtà dice molte altre cose. Come si può evincere da questo abstract.
Ero appena stato eletto, chiesi a Berlusconi di poter organizzare una cena per promuovere Altagamma. La serata si svolse a Villa Madama. Ai tavoli il gotha degli industriali italiani, settore moda al gran completo, da Leonardo Ferragamo a Laudomia Pucci, da Carla Fendi a Claudio Luti, a Paolo Zegna. Sono seduto al tavolo principale, quello di Berlusconi. Al mio fianco c'è Paolo Bonaiuti. Vedo il suo nome sul cartellino del placement.
Poi vedo lui. Che era un uomo altissimo, tra l'altro. Impossibile non accorgersi della sua presenza. Nel giro di pochi minuti, prima dell'arrivo degli antipasti, Bonaiuti scompare come polverizzato dalla bacchetta magica di Harry Potter. Al suo posto c'è una ragazzina.
Ci viene detto che è una cara amica delle figlie di Berlusconi, che è una grande appassionata di moda e che ha chiesto la cortesia di partecipare alla cena. Il nome?
Noemi Letizia. La rividi un anno dopo, su tutti i giornali, nella famosa fotografia che la ritraeva al suo diciottesimo compleanno. Santo Versace
Maria Chiara Aulisio per “il Mattino” il 2 aprile 2022.
Cento richieste di risarcimento danni nei confronti di chi, in questi anni, l’ha “insultata e strumentalizzata”. Si parte da cinquemila euro ma si arriva a cifre da capogiro quantificate - dice lei - in base alla gravità dell’ingiuria. Noemi Letizia, l’adolescente del “Casoriagate”, si affida a un noto studio di avvocati napoletani e va giù duro: «Basta così. Aspetto un altro figlio, il quarto, ora lo devo a loro. Chi ha gettato fango su di me, devastando la mia reputazione e la mia psiche, pagherà fino all’ultimo centesimo. Ero una ragazzina, adesso sono una donna: mi avete ferita, assumetevi le vostre responsabilità».
Cento richieste di risarcimento, dunque: “per dimenticare il passato e guardare finalmente al futuro”: «Ho trent’anni, un bel lavoro e una famiglia fantastica. Guai a chi continuerà a chiamarmi “papi girl”».
Avvocati al lavoro da settimane alla ricerca di cognomi e indirizzi da identificare nella gran quantità di materiale, ritenuto offensivo, raccolto da Noemi Letizia. Ma andiamo con ordine e diamo uno sguardo al lungo elenco di nomi che entrano a far parte dei fascicoli depositati in tribunale. Si va dal regista napoletano Paolo Sorrentino al rapper marchigiano Fabri Fibra.
Il primo “colpevole” di averla rappresentata - nel film “Loro 2” sulla vita di Silvio Berlusconi - in maniera “infamante” e secondo lei “assai lontana dalla realtà”; il secondo di averla inserita “impropriamente” nel brano dal titolo “Escort” che nella strofa “incriminata” canta così: “Ho sognato di condurre Striscia la Notizia con Noemi Letizia fatta a pezzi in una borsa di Krizia. Davo il culo per un posto in tv o un pezzo di pizza”.
Nel mezzo, tra il regista e il cantante, citati in giudizio decine di giornalisti e opinionisti (dalla carta stampata alla televisione, locale e nazionale, passando per radio e siti web) insieme con i cosiddetti “leoni da tastiera”. Vale a dire - scrivono gli avvocati - chi, utilizzando i social network, ha provocato “danni personali, alla salute, all’immagine e alla sfera della personalità della nostra assistita”. Non solo: “Metteremo nel conto - aggiungono - quant’altro sarà accertato dai giudici competenti, a carico - per ora - di una prima parte dei soggetti che hanno offeso in maniera invalidante Noemi Letizia”.
Nell’analisi della vicenda messa a punto dagli avvocati - e che ora dovrà essere valutata dalla magistratura - finiscono anche le “cene eleganti” a Villa Certosa in Sardegna e, inevitabilmente, l’anno 2009, quando l’allora premier Silvio Berlusconi arrivò a sorpresa alla sua festa dei 18 anni in un locale sulla circumvallazione esterna, il giorno prima di un vertice straordinario convocato in prefettura per far fronte all’emergenza rifiuti: “Si tratta di danni morali e materiali che risalgono al tempo in cui Noemi Letizia era adolescente.
E che riemergono oggi in maniera più grave. All’epoca - scrivono sempre gli avvocati - la pressione mediatica fu fortissima, la ragazza si trovò a dover gestire in autonomia una situazione di gran lunga superiore alle sue capacità e non venne tutelata da nessuno. Ancora minorenne non trovò la forza di reagire, inconsapevole di quali sarebbero state le conseguenze future”. A cominciare dal ricorso alla psicoterapia - sempre secondo i legali - per cercare di superare il “male” subito, ma anche su questo a fare le necessarie valutazioni saranno i magistrati.
Un “tritacarne mediatico” lo definiscono gli avvocati. La ragazza di Portici secondo loro sarebbe finita in un vortice di “insulti e maldicenze” creato da chi avrebbe avuto interesse a “amplificare queste notizie per fini politici, cinematografici e giornalistici” e adesso sarà chiamato a risponderne: “Lo fa per i suoi figli - si legge tra le motivazioni - hanno il diritto di conoscere la verità. Devono sapere che la madre non è quella descritta da giornali e tv”.
Ma ora attenzione perché c’è pure un avvertimento. Da oggi in poi chiunque decida di parlare, o scrivere, di Noemi Letizia è meglio che lo sappia: “Abbiamo già preparato cento richieste di risarcimento, non esiteremo ad aggiungerne altre. Ogni commento fuori luogo, ogni parola non consona alla dignità della persona, affidata ai social o ai media, verrà denunciata nelle sedi competenti civili e penali. In attesa di far venire fuori la verità - concludono - non sarà permesso a nessuno di continuare a gettare fango”.
Da affaritaliani.it il 30 gennaio 2022.
Lunedì 31 gennaio, per la prima volta parla in esclusiva con Report, Noemi Letizia, nota per la sua festa di 18 anni del 2009 a cui partecipò fra lo stupore di tutti l'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Oggi Il Fatto Quotidiano pubblica delle anticipazioni dall'intervista di Noemi Letizia. "Io sono Noemi Letizia e sono nota per la mia festa di 18 anni un po’ movimentata. Una festa, un’occasione che mi ha lasciato una macchia addosso, una macchia che non mi appartiene e non è la mia, ma con la quale ho dovuto convivere per anni e che ha influenzato anche la mia vita in maniera molto negativa", dice la 31enne.
Racconta in merito alla festa: "In realtà l’accaduto mi era sembrato strano, però siccome io partecipavo a sfilate e a cose così, avevo pensato: “Probabilmente sono entrata in qualche meccanismo, è normale .. .”. (...) Giravano dei book fotografici miei, all’interno di quelle situazioni. Per cui io pensavo che, in realtà, tramite situazioni circolari, ero arrivata lì".
Dice di non provare rancore per Berlusconi: "Ci sono persone che nella vita non guardano in faccia a niente, e probabilmente lui è tra quelle. Io sono stata “bullizzata” mediaticamente, sono diventata anoressica, mi sono chiusa in casa. E un motivo c’è, no? Mi hanno violentata psicologicamente, chiamandomi “prostituta” a ogni angolo di strada, ma di cosa stiamo parlando? (...) Io, tramite un percorso psicologico, sono riuscita a scegliere la strada più lunga, ma avrei potuto anche scegliere l’altra strada, come tanta gente fa, no?"
L'altra strada a cui fa riferimento, come dice Noemi Letizia a Report sarebbe stata quella di togliersi la vita: "Ci ho pensato tante volte". Altre rivelazioni scomode per Berlusconi nell'intervista a Report: "Quando dopo praticamente è scoppiato il boom, le telefonate sono state: “Di’ questo, di’ questo, di’ questo”. E che fai? Parli? (...) Zitta, muta. Ho fatto quello che mi è stato detto di fare". Secondo Noemi Letizia Berlusconi "telefonava anche a mio padre".
Il racconto in un'intervista. Chi è Noemi Letizia, l’incontro con Berlusconi e lo sfogo: “Potevo suicidarmi”. Redazione su Il Riformista il 31 Gennaio 2022.
Noemi Letizia torna a far parlare di sé. La giovane donna napoletana, classe 1991, è finita alla ribalta a soli 18 anni, quando Silvio Berlusconi si è presentato alla sua festa di compleanno. Da quel momento un appellativo, “Papi girl”, l’ha seguita ovunque. Con gravi conseguenze psicologiche. Ma oggi l’ex valletta televisa, che si dedica ai suoi tre figli dopo un fallito matrimonio con un imprenditore napoletano, riappare davante alle telecamere per denunciare la grave condizione psicologica che l’ha travolta dopo lo scandalo che vede protagonista l’allora premier Silvio Berlusconi.
In una intervista a Report, che andrà in onda questa sera su Rai3, la giovane donna, che all’età di 18 anni è finita sotto i riflettori per la partecipazione dell’allora presidente del consiglio Berlusconi alla sua festa di compleanno organizzata a Casoria, racconta il lungo percorso che ha dovuto fare per superare insulti e vessazioni psicologiche. A distanza di anni Noemi Letizia racconta a “Report” alcuni particolari di quella vicenda e come ha influito sulla sua vita.
“Sono diventata anoressica, mi sono chiusa in casa. E un motivo c’è, no? Mi hanno violentata psicologicamente, chiamandomi prostituta a ogni angolo di strada, ma di cosa stiamo parlando?”, dice la napoletana durante l’intervista del programma Rai di cui è stata data un’anticipazione da Repubblica.it.
Dopo quel party che è finito sulle pagine di tutti i giornali, la valletta televisiva racconta di aver pensato anche al suicidio. “Io, tramite un percorso psicologico – spiega -, sono riuscita a scegliere la strada più lunga, ma avrei potuto anche scegliere l’altra strada, come tanta gente fa, no? Togliermi la vita, ci ho pensato tante volte”.
Nell’intervista si ricorda che la giovane raccontò di chiamare Berlusconi “papi”. “Io chiamo “papi” mio padre”, dice ora Noemi Letizia”. “Anche Berlusconi?”, le domanda il giornalista di Report. “Mi è stato detto di dire questa determinata cosa e quindi io l’ho detta”. In realtà non lo chiamava cosi’? “Ma no… Sono state dette tante cose, ci siamo attenuti a quanto ci hanno detto di dire e fare. La verità è tutt’altra roba”.
La donna ha raccontato poi che l’arrivo di Berlusconi alla sua festa di compleanno è stato inaspettato. “Non me lo aspettavo, mi è sembrato strano ma siccome partecipavo a sfilate e giravano dei miei book fotografici… Quindi pensavo che lui mi avesse notato così» racconta Noemi Letizia ai microfoni della trasmissione. In questa anticipazione diffusa a mezzo social, racconta: “Per lui provo tenerezza, non rancore. Ci sono persone che non guardano in faccia a niente e lui probabilmente è tra quelle”.
La partecipazione dell’ex premier al diciottesimo compleanno della giovane napolitana ha suscitato molto scalpore. In difesa del Cavaliere è scesa in campo l’allora moglie Veronica Lario, che dichiarò all’Ansa che Berlusconi non aveva mai partecipato al diciottesimo dei figli. Questo è stato uno dei primi casi che hanno visto coinvolto il leader di Forza Italia con ragazze di minore età.
Il programma di inchiesta, in onda questa sera, si concentrerà sul ruolo che Berlusconi ha avuto nella partita del Quirinale. Ma ripercorre anche gli ultimi anni di vita del quarto governo Berlusconi, la crisi politica che ne ha determinato la caduta con l’avvento dei tecnici a Palazzo Chigi. Il racconto intreccia lo scenario economico di quel periodo e le vicende giudiziarie che hanno influenzato l’attività politica di Silvio Berlusconi: i processi Ruby uno, Ruby Bis e Ruby Ter.
Filippo Ceccarelli per “il Venerdì di Repubblica” il 14 febbraio 2022.
Per quanto tempo ancora la società si tirerà dietro le giovani - ormai non più tanto - amiche di Berlusconi?
L'altro giorno, a Report, è riscappata fuoriNoemi, una donna adulta, un matrimonio alle spalle, tre figli, un paio di apparizioni in tv, un'incursione nel business dei profumi; ha ricordato il disagio di quel tempo, le cicatrici che tuttora le ricordano quello spasmo di popolarità; ci sarà anche chi sta peggio di lei, ma non è una vita da invidiare.
Altre di quel giro riemergono con variopinta sporadicità, non di rado in coincidenza di passaggi politici. Sono tante perché la solitaria megalomania del Cavaliere ne richiedeva in eccedenza e la lentezza dei processi, che le strategie difensive hanno prolungato, fa sì che parecchie ex ragazze continuino ad apparire a vario titolo nei tribunali di tutta Italia, Milano, Bari, Siena.
Ogni tanto qualcuna minaccia qualche rivelazione, poi la ritira; ogni tanto esce qualche filmato, qualche vocale. Intanto Nicole l'igienista prende il sole, Barbara protende le labbra e Marysthell fa i balletti su Instagram.
Nei commenti le desiderano e le insultano. Sono passati una dozzina d'anni e dispiace parlarne come se appartenessero a un'eterna categoria intermittente, umbratile e abbastanza spettrale quando in realtà, oltre a essere in carne e ossa, sono diverse l'una dall'altra, chi spiritosa, chi fatalista, chi capricciosa, chi ha capito qualcosa e ha messo la testa a posto.
Ma lo stigma almeno in parte rimane e a tal punto le accomuna da innescare un'azzardata analogia che al solito risale a un tempo lontanissimo. La Pantasima, o Pantasema, o Fantasima, così come la Pupazza, la Mammoccia e la Signoraccia sono i nomi dati a un'unica antica figura femminile legata ai riti agricoli della cultura pagana nel Centro Italia, in particolare la provincia di Rieti. Nella foto qui sotto se ne vede la raffigurazione: un'enorme struttura di cartapesta animata dall'interno e adornata di fuochi d'artificio.
Al ritmo frenetico dell'organetto, durante le feste patronali la Pantasima seduce e al tempo stesso spaventa la folla, la provoca, ammicca e balla dondolandosi come in un atto sessuale. Fino a quando non si accendono i fuochi e tale creatura ambivalente che segnala un rito di passaggio non viene incenerita dalle fiamme purificatrici.
La temeraria trasposizione, così come il periodico magnetismo delle ex olgettine nell'immaginario italiano, valgono forse a indicare come i grandi scandali berlusconiani abbiano segnato un prima e un poi. In mezzo, oltre a lui, c'erano necessariamente loro, le Pantasime; ma soprattutto, sulla soglia, era rimasta incastrata la verità. «Ma non voglio dirla così» ha detto Noemi «la verità è tutt' altra roba». Mentre l'umanità è più facile da capire.
Il Paese che amo. Report Rai PUNTATA DEL 31/01/2022 di Luca Bertazzoni
Collaborazione di Goffredo De Pascale, Edoardo Garibaldi.
L’inchiesta di Report ripercorre gli ultimi anni di vita del quarto governo Berlusconi.
Dopo aver provato a cercare i voti del Parlamento con la cosiddetta “operazione scoiattolo”, alla fine Silvio Berlusconi ha rinunciato alla candidatura alla Presidenza della Repubblica. L’inchiesta di Report ripercorre gli ultimi anni di vita del quarto governo Berlusconi, la crisi politica che ne ha determinato la caduta con l’avvento dei tecnici a Palazzo Chigi. Il racconto intreccia lo scenario economico di quel periodo e le vicende giudiziarie che hanno influenzato l’attività politica di Silvio Berlusconi: i processi Ruby uno, Ruby Bis e Ruby Ter. Per la prima volta parla in esclusiva con Report, Noemi Letizia, nota per la sua festa di 18 anni del 2009 a cui partecipò fra lo stupore di tutti l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
IL PAESE CHE AMO Di Luca Bertazzoni
Collaborazione di Edoardo Garibaldi e Goffredo De Pascale
Immagini di Ahmed Bahaddou, Cristiano Forti e Paolo Palermo
Montaggio Igor Ceselli, Sebastiano Mancinelli
SILVIO BERLUSCONI - VIDEO MESSAGGIO 1994
L’Italia è il paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato da mio padre e dalla vita il mio mestiere di imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo ad un passato politicamente ed economicamente fallimentare.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
“L’Italia è il Paese che amo” così il 26 gennaio del 1994, 28 anni fa, Berlusconi ha annunciato la sua discesa in campo. Lo fa in un contesto politico che è travolto da Tangentopoli, che è dilaniato dalle stragi della mafia e non solo dalla mafia. Ha perso il suo referente politico, Bettino Craxi, ma capisce prima di altri che il partito, come figura, come organizzazione, è in crisi: non riesce più a svolgere quel luogo di mediatore con la società, non riesce più a soddisfare i bisogni degli elettori. Gli elettori hanno perso il loro punto di riferimento. Così decide di creare un suo movimento che ha la sua centralità nella figura di un solo leader che coincideva con lui stesso. Ma Berlusconi non nasce dal nulla: nel 1991 c’era stato il referendum sulla preferenza unica, nel ‘93 quello sulla legge maggioritaria, poi c’era stata la legge che portava all’elezione diretta dei sindaci: insomma, anche i partiti a cominciano a riorganizzarsi pensando alla figura del leader. È questo l’humus che favorisce l’ascesa dell’uomo solo al comando, che avrebbe guidato il paese con l’archetipo di un nuovo modello di partito, che funziona sostanzialmente come un’azienda. Un esempio unico al mondo che si fonda su due pilastri: uno, quello della logica proprietaria patrimoniale, l'altra è quella movimentista. Infatti, era riuscita a raccogliere sul territorio, dai club che erano nati come funghi in tutta la penisola, a due mesi solo dalla discesa in campo, ben un milione di iscritti. È ovvio che il miracolo riesce a compierlo perché mette a disposizione le risorse e l’organizzazione di un’azienda come la Fininvest. Nella democrazia dell’audience, indubbiamente Berlusconi, dispone di risorse straordinarie: tre reti televisive, giornali e riviste di proprietà o comunque che fanno riferimento alla sua famiglia. E poi ci sono le concessionarie pubblicitarie. Insomma, in quel momento Berlusconi è il leader nella comunicazione e Forza Italia è un prodotto che può vendere come fosse un prodotto televisivo. Insomma, usa le migliori strategie di marketing e di comunicazione: ogni tono, ogni movimento, ogni look, ogni tema, è pensato, nulla è improvvisato. Poi lui è il professionista dello story-telling, la narrazione che propone è quella dell’antipolitico che parla alla pancia del Paese. Antipolitico sì, ma poi identifica nel governo delle sinistre, nel comunismo, il suo nemico. E propone la narrazione di un imprenditore che si è fatto da solo, che riesce a risolvere i problemi agli altri. E in un messaggio paternalistico con dietro le immagini della famiglia numerosa, annuncia la sua discesa in campo. Perché è il Paese in cui crede, il Paese in cui ha investito, è “il Paese che amo” dice. Si scoprirà poi più tardi che forse esagerato un pochino in generosità.
Il nostro Luca Bertazzoni.
NOEMI LETIZIA
Io sono Noemi Letizia e sono nota per la mia festa di 18 anni un po’ movimentata. Una festa, un’occasione che mi ha lasciato una macchia addosso, una macchia che non mi appartiene e non è la mia, ma con la quale ho dovuto convivere per anni e che ha influenzato anche la mia vita in maniera molto negativa.
LUCA BERTAZZONI
Una situazione più grande di te, vista l’età che avevi?
NOEMI LETIZIA
Una situazione molto più grande di me.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Il 27 aprile 2009 Noemi Letizia: compie 18 anni e li festeggia in un locale a Casoria, un piccolo comune vicino Napoli. Fra lo stupore di tutti alla festa si presenta l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
LUCA BERTAZZONI
Era normale da ragazzina neanche maggiorenne pensare che potevi arrivare al Presidente del Consiglio?
NOEMI LETIZIA
In realtà mi è sembrato strano, però siccome io partecipavo a sfilate e a cose così, ho pensato: “probabilmente sono entrata in qualche meccanismo ed è normale”.
LUCA BERTAZZONI
Cioè che lui ti aveva notata, in questo senso?
NOEMI LETIZIA
Giravano dei book fotografici miei all’interno di quelle situazioni, motivo per cui io pensavo che in realtà tramite situazioni circolari, io ero arrivata lì.
LUCA BERTAZZONI
Tu provi del rancore nei confronti di Berlusconi?
NOEMI LETIZIA
Il rancore non fa parte dei miei sentimenti. Provo proprio, probabilmente tenerezza.
LUCA BERTAZZONI
Perché?
NOEMI LETIZIA
Ci sono persone che nella vita non guardano in faccia a niente e probabilmente. Io sono stata “bullizzata” mediaticamente, sono diventata anoressica, mi sono chiusa in casa. Un motivo c’è, no?
LUCA BERTAZZONI
Dici per la violenza mediatica?
NOEMI LETIZIA
Mi hanno violentata psicologicamente chiamandomi “prostituta” ad ogni angolo in cui giravo la strada, ma di cosa stiamo parlando? Su ogni giornale “Noemi è andata a ballare e la fotografia di Noemi che è andata a ballare…è una zoccola”. Io tramite un percorso psicologico sono riuscita a scegliere la strada più lunga, ma io potevo anche scegliere l’altra come tanta gente fa, no?
LUCA BERTAZZONI
L’altra quale sarebbe?
NOEMI LETIZIA
L’altra? Di togliermi la vita.
LUCA BERTAZZONI
Ci hai pensato?
NOEMI LETIZIA
Ci ho pensato tante volte.
LUCA BERTAZZONI
Ti fa effetto pensare che il tuo nome sarà sempre associato a “Papi”, al termine “Papi”?
NOEMI LETIZIA
“Papi”, Io chiamo “Papi” mio padre.
LUCA BERTAZZONI
E anche Berlusconi.
NOEMI LETIZIA
Eh, ma quello mi è stato detto di dire questa determinata cosa ed io l’ho detta.
LUCA BERTAZZONI
Cioè non lo chiamavi così?
NOEMI LETIZIA
Ma no!
LUCA BERTAZZONI
Era nata che tuo papà era l’autista di Craxi, poi…
NOEMI LETIZIA
Sì, va bene. Tante cose che ci hanno detto di dire.
LUCA BERTAZZONI
Ha cambiato dieci volte versione.
NOEMI LETIZIA
Purtroppo ci siamo attenute a quanto ci hanno detto di dire e di fare.
LUCA BERTAZZONI
E quanto è lontano dalla verità?
NOEMI LETIZIA
Ah, completamente. La verità è tutt’altra roba.
LUCA BERTAZZONI
Quale è la tua verità?
NOEMI LETIZIA
Ma io non te la racconto, non mi va di raccontarla così la verità. Renditi conto che mi stai chiedendo delle cose assurde.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
La presenza del premier alla festa dei 18 anni di Noemi Letizia riempie le pagine di tutti i giornali. Pochi giorni dopo Veronica Lario scrive una lettera a Repubblica: “Chiudo il sipario sulla mia vita coniugale, non posso stare con un uomo che frequenta minorenni”. Silvio Berlusconi è costretto a difendersi in tv.
SILVIO BERLUSCONI - PORTA A PORTA - 03/06/2009
Sono fatti che riguardano il privato di una famiglia e se consente anche il mio privato. Quindi non c’è nulla da rispondere e poi questa famiglia ha risposto praticamente a tutte le domande per conto suo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
In realtà le versioni date dalla famiglia Letizia sono diverse e contraddittorie. A tanti anni di distanza Noemi ci racconta un fatto fino a oggi inedito. Avrebbe frequentato da minorenne varie feste organizzate nelle residenze di Berlusconi. Fino a quando nel corso di una festa a villa Certosa…
NOEMI LETIZIA
Io a quella festa mi sono accorta che le cose non andavano bene, capisci? Quindi di conseguenza lui con me non ci è riuscito. Perché? Perché evidentemente lui che ha fatto? Lui piano piano pensava di trascinarmi. Prima le feste erano tutte normali, io sono andata a feste con Barbara D’Urso, feste del Milan, con tanta gente.
LUCA BERTAZZONI
E poi ad un certo punto?
NOEMI LETIZIA
Una festa sola è andata storta, ed era quella là. Ci dovevano essere i suoi figli. Lui a mio padre, che si preoccupava, ha detto: “No, non ti preoccupare, ci sono i miei figli, le fidanzate”.
LUCA BERTAZZONI
Invece arrivi là?
NOEMI LETIZIA
Quando arrivo lì ad un certo punto mi sono chiusa nella stanza dicendo: “ho la diarrea”. Io non sono uscita dalla stanza fino a quando non siamo partiti. E a mio padre non ho raccontato niente perché ho detto “mio padre” non sapevo cosa potesse succedere. Tu capisci che quello è Berlusconi, è una persona potente, conosce il mondo, ma contro chi ti vai a mettere? Cioè io, come persona normale?
LUCA BERTAZZONI
Dici: “dove vado”?
NOEMI LETIZIA
Capiscimi! E mio padre io in che situazione lo andavo a mettere?
LUCA BERTAZZONI
Nei casini.
NOEMI LETIZIA
Ok. Allora io sono stata, un barlume di lucidità ho avuto ed era quello di stare zitta, per arginare il problema, nel senso “ho visto queste cose, cazzi suoi, non mi interessa e mi svincolo”. Quando mio padre poi giustamente vedendo che lui… a Napoli non sai come funziona, ma si ricambia l’invito e quindi lo ha invitato alla festa non sapendo.
LUCA BERTAZZONI
Quello che era successo…
NOEMI LETIZIA
Pensa io come stavo, morta! Quando dopo praticamente, è scoppiato il boom, le telefonate sono state: “dì questo, dì questo, dì questo”. Che fai? Parli?
LUCA BERTAZZONI
Dici: “chi me lo fa fare”?
NOEMI LETIZIA
Zitta, muta.
LUCA BERTAZZONI
Te lo diceva direttamente lui o te lo faceva dire dai suoi avvocati?
NOEMI LETIZIA
Sì, sì, telefonava proprio, no, no, nessun avvocato, proprio telefonate.
LUCA BERTAZZONI
Cioè Berlusconi ti chiamava per dire “dite così”?
NOEMI LETIZIA
Alfonso Signorini in un’intervista diceva: “io quando venni a sapere il fatto di Noemi Letizia…”. Ma quale fatto di Noemi Letizia? Il fatto è del tuo amico Silvio Berlusconi, non di Noemi Letizia. Noemi Letizia è una ragazzina di 18 anni che avete messo nella merda.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Noemi Letizia, parla a distanza di 13 anni e ci dà una versione inedita e diversa da quella fino a oggi vulgata. Non è vero che Berlusconi era l'amico di famiglia, come del resto anche detto all’epoca dalla stessa famiglia Letizia. È falso che Letizia Noemi fosse abituata a chiamare a definire “papi” il premier. Questa sarebbe anzi una versione che sarebbe stata suggerita e ispirata dallo stesso Silvio Berlusconi, l’uomo il professionista dello storytelling. E poi, Noemi racconta anche un episodio: che avrebbe frequentato da minorenne le feste organizzate da Silvio Berlusconi. In una, in Sardegna, si sarebbe addirittura trovata in un contesto imbarazzante al punto da esser costretta a chiudersi in un bagno. Non ha raccontato questa vicenda al padre all’epoca, perché aveva paura delle reazioni e il padre, ignaro, aveva a sua volta invitato, in segno di cortesia, il premier Silvio Berlusconi, alla festa dei 18 di Noemi. Poi, ci ha scritto invece, proprio su questi fatti inediti, Niccolò Ghedini, l’avvocato di Silvio Berlusconi, che dice “nessun accordo preventivo c'è stato sulle dichiarazioni rese all'epoca dalla signora Noemi Letizia. Inoltre, le nuove dichiarazioni sugli eventi a Villa Certosa non corrispondono a quanto è accaduto”. “I fatti narrati da Noemi” scrive Ghedini “si palesano, verosimilmente, come una rielaborazione postuma, frutto di ricordi non precisi”. Comunque, con la pubblicazione della notizia di un Presidente del Consiglio che va alla festa dei diciott’anni di una ragazza, siamo nell'aprile del 2009, si inaugura la stagione dell'attenzione morbosa nei confronti della vita privata di Silvio Berlusconi. E non senza conseguenze, perché intanto comincia a crollare un tassello dello storytelling con il quale Silvio Berlusconi aveva annunciato la discesa in politica nel ’94: la moglie Veronica Lario, chiede la separazione. E poi ci sono anche delle conseguenze sull’azione invece del premier, sulle azioni politiche perché il giornale La Repubblica, porrà dieci domande sui rapporti reali, effettivi tra il premier e la giovane Noemi Letizia. Poi, in base a delle versioni che sono state date e poi rimangiate, insomma, a quelle dieci domande che faranno il giro del mondo, Silvio Berlusconi non ha dato mai una risposta definitiva. Comincia anche a crollare l’immagine di Silvio Berlusconi nel mondo, perché si ha l’immagine di un leader che è ricattabile, più impegnato a parare i contraccolpi che vengono dalla sua vita privata, che a occuparsi degli affari di Stato. L'ambasciatore Thorne, l’ambasciatore americano a Roma, nell’ottobre del 2009 informa Washington anche un pochettino stigmatizzandolo, il fatto che Silvio si è appisolato nel corso di una telefonata. L’ambasciatore è convinto che le vicende giudiziarie e quelle della vita privata, comincino a incidere pesantemente sulla lucidità, la capacità di Silvio Berlusconi di decidere sulle sorti del Paese.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Dopo la vicenda Noemi, i vertici di Forza Italia chiedono a Berlusconi di prestare maggiore attenzione alla sua sfera privata. Primo fra tutti il collega di partito e di loggia massonica Fabrizio Cicchitto, tessera numero 2232 della P2.
FABRIZIO CICCHITTO – PRESIDENTE DEPUTATI POPOLO DELLA LIBERTA’ (2008-2013)
Berlusconi secondo me ha commesso un tragico errore quando non ha capito quando ci fu il caso Noemi che a quel punto l’attenzione era concentrata sulla sua vita privata e quindi lui non doveva far feste, né eleganti, né ineleganti, perché era sotto il mirino. Però, per altro verso, che la vita politica italiana sia stata dominata da questo tipo di attacco mette anche in evidenza che la giustizia italiana ha avuto un decorso assolutamente inenarrabile.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Ma in quel momento Silvio Berlusconi non sembra dar troppo retta ai suoi consiglieri politici, piuttosto si affida ai suoi amici di sempre. Fra questi Lele Mora.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Una volta una mia amica che scriveva per Panorama, una grande giornalista, mi diceva che io sono un vero Richelieu: io credo che non sbagliava.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Negli anni 2000 Lele Mora era il più grande agente dello spettacolo della tv italiana. Nella sentenza di condanna a 6 anni e 1 mese per favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby bis si legge che Mora si occupava di procacciare le ragazze per le serate di Arcore. Oggi è tornato a fare il suo lavoro.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Non hai ancora parlato con lo sceicco?
COLLABORATORE DI LELE MORA
No, mi stanno venendo a prendere.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Va bene, allora quando hai finito chiamami. Un bacio.
COLLABORATORE DI LELE MORA
Non ti preoccupare, io ci provo. Ciao amore mio.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Ciao.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Sempre presente alle feste di Silvio Berlusconi, Lele Mora è stato indicato dalla procura di Milano come il “reclutatore” delle ragazze che frequentavano Arcore.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Da Berlusconi si mangiava sempre la stessa roba, il menù tricolore: antipasto, mozzarella, pomodoro e basilico.
LUCA BERTAZZONI
Il piccante arrivava dopo?
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Il piccante per chi voleva poteva esserci più tardi. Lui diceva finita la serata,: “e adesso andiamo a fare il Bunga Bunga”, ma il Bunga Bunga era un’epoca, era un periodo, era un divertimento.
LUCA BERTAZZONI
Ma cos’era?
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Qualche balletto magari un po’ osé.
LUCA BERTAZZONI
Però quello che alcune ragazze hanno raccontato di molto piccante che secondo loro…
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Io posso dire che c’ero, che addirittura io sono stato stalkizzato da tante ragazze per venire ad Arcore da Berlusconi, perché andare da Berlusconi era aver raggiunto un obiettivo. Un obiettivo che magari poteva essere un regalo, poteva essere una trasmissione.
INTERCETTAZIONE MARYSTELL POLANCO - SILVIO BERLUSCONI
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
Può essere che arrivo a Roma due volte e non riesco a vederti?
SILVIO BERLUSCONI
Eh, sì. Che peccato! Mi spiace molto, perché io a tempo perso faccio il primo ministro e quindi me ne succedono di tutti i colori.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Frequentare Arcore porta bene. Tante ragazze, ad esempio Marystelle Polanco qui in versione cantante, ottengono poi un lavoro a Mediaset, come Barbara Guerra, Alessandra Sorcinelli e Barbara Faggioli. Per altre ci sono collane d’oro, orologi e bonifici bancari.
LUCA BERTAZZONI
Per l’accusa lei era l’arruolatore delle prostitute.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Se queste ragazze avevano solo Berlusconi come amante, non erano prostitute. Erano ammaliate dall’uomo.
LUCA BERTAZZONI
E dai soldi.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Anche un po’ dai soldi, forse dall’aiuto che lui dava.
LUCA BERTAZZONI
Dalle case…hanno preso per anni questi soldi, no?
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
È un modo come un altro di far stare bene una persona.
VIDEO MARYSTELL POLANCO - BERLUSCONI 2011
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
Mi fate lavorare un po’ anche a me? Ho bisogno di avere un contratto, ma un contratto valido almeno un anno, non i 2 mesi come con Colorado.
SILVIO BERLUSCONI
Io ho chiamato assolutamente.
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
Ma tu hai chiamato, non è quello. Comunque tu dici che è una cosa impossibile, però comunque tu sei il Presidente del Consiglio d’Italia, proprietario comunque di Mediaset.
SILVIO BERLUSCONI
Sì, hai visto cosa mi fanno?
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
Lo so cosa ti fanno.
SILVIO BERLUSCONI
Presidente del Consiglio d’Italia, dai.
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
Ma a parte quello tu sei il Presidente di Mediaset, una ragazza straniera ad esempio …
SILVIO BERLUSCONI
Io non sono presidente di niente.
MARYSTELL POLANCO - SHOWGIRL
È successo il problema del Bunga Bunga e se non aiuti tu tutte…ognuna ha la sua esigenza.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Gli interessi li avevano loro, non lui. Poi che lui sia un “tombeur de femmes” si è sempre saputo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Antonio Martino, Ministro degli affari esteri e Ministro della difesa nei rispettivi governi Berlusconi, tessera numero 2 di Forza Italia, è stato fra i fondatori del partito insieme a Berlusconi. Fu sua l’idea del celebre slogan: “meno tasse per tutti”.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Vede il ’94 è stata una stagione assolutamente fantastica.
LUCA BERTAZZONI
Come è cambiata Forza Italia dal 1994 ad oggi?
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
È cambiata drasticamente.
LUCA BERTAZZONI
Lei ha dichiarato che vede nel partito tanti mediocri, “un partito non può diventare una corte”. Questo lei glielo ha fatto presente a Berlusconi?
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
L’ho fatto presente, sono sempre stato ignorato. Se si circonda di mediocri non va da nessuna parte.
LUCA BERTAZZONI
Lei fece una copertina di The Economist molto forte definendo Berlusconi “unfit to lead”, inadatto a guidare l’Italia.
BILL EMMOTT - DIRETTORE THE ECONOMIST(1993-2006)
La storia di Berlusconi è la storia di Trump 20 anni prima di Trump. Interessi personali narcisisti, solo interesse per il potere, ma con proposizioni populiste. Berlusconi è entrato nel campo e anche a palazzo Chigi con un programma ambizioso, ma non ha fatto niente, solo azioni per gli interessi commerciali di Berlusconi ed i suoi amici.
LUCA BERTAZZONI
Cosa ha impedito la rivoluzione liberale che avevate promesso nel 1994?
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Il fallimento è quasi esclusivamente responsabilità dei nostri alleati di governo. Accettavano il nostro programma, dopo di che una volta che avevamo vinto, cominciavano a remare contro. Un altro che ha remato contro è stato Giulio Tremonti: arrogante, prepotente, presuntuoso. Ci ha impedito di affrontare le cose nella direzione da noi indicata al momento delle elezioni.
LUCA BERTAZZONI
Però l’ha messo Berlusconi, Tremonti.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
L’ha messo Berlusconi, altro esempio della sua scarsa capacità di scegliere bene i collaboratori.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Nel 2010 alcuni documenti dell’intelligence americana dell’anno precedente, vengono resi pubblici da Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange. In uno di questi Elizabeth Dibble, incaricata d’affari dell’ambasciata americana a Roma, parla di Berlusconi in questi termini: “Mostra una prepotente fiducia in sé stesso, nata da una forte popolarità politica che lo ha reso sordo alle opinioni dissenzienti. Lo stretto controllo che esercita sul suo governo e sul suo partito, impedisce al suo staff di dargli messaggi sgradevoli”.
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
Berlusconi è una persona a cui piace piacere alle persone e ci riesce anche, perché ha avuto un consenso altissimo. Ma è anche un governante che ha molto aumentato il debito pubblico. È più facile essere un politico che promette, rispetto ad un politico che deve invece stringere un po’ i freni e dire ai cittadini: “guardate che non siamo in grado di continuare con l’andazzo precedente”. Ma ridurre la spesa pubblica vuol dire che alcuni, tanti o pochi, devono rinunciare a qualcosa. Però, io penso che il momento della verità prima o poi arriva e gli edifici costruiti artificiosamente su sabbie mobili non tengono.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Ad ottobre 2009 mentre il governo sta per approvare la finanziaria, l’ambasciatore americano a Roma David Thorne, scrive una nota riservata: "Berlusconi e altri ministri possono optare per un costoso populismo e chiedere maggiori incentivi alla spesa e il Ministro Tremonti deve spesso rifiutare progetti populisti imprudenti”
LUCA BERTAZZONI
Lo slogan famoso, “meno tasse per tutti”, che significato aveva?
BILL EMMOTT - DIRETTORE THE ECONOMIST (1993-2006)
Per un paese con un grande debito pubblico, con tanti problemi finanziari, con una storia di grande evasione fiscale, è stato uno slogan di grande irresponsabilità, ma populistica.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Questo documento riservato è scritto dall’ambasciatore americano a Roma David Thorne: “scandali sessuali, indagini penali, problemi familiari e preoccupazioni finanziarie sembrano pesare pesantemente sulla salute personale e politica di Berlusconi, oltre che sulla sua capacità decisionale”.
PAOLO CIRINO POMICINO - MINISTRO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (1989 - 1992)
In quel periodo il centro destra non ha avuto la convinzione di spiegare che una cosa è essere liberale e una cosa è essere liberista. Erano soltanto un codazzo di “yes man”, senza che ci fosse un minimo di dialettica, un minimo di contrasto all’idea di questa politica tutta personalizzata.
LUCA BERTAZZONI
La Cirami, il giusto processo, il legittimo sospetto, la depenalizzazione del falso in bilancio, insomma le famose leggi ad personam, l’elenco è lunghissimo.
PAOLO CIRINO POMICINO - MINISTRO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (1989 - 1992)
Doveva risolvere il problema personale, fece la norma personale, non ha risolto i suoi problemi personali e naturalmente non ha affrontato i temi della riforma della giustizia. Sa com’è poi? Quando la politica viene messa in mano agli avvocati, come era con Ghedini, perché Ghedini è stato l’ispiratore di politiche di questo livello qui, commette un errore. La verità è che Berlusconi è un caposcuola della trasformazione della politica in slogan. Era proprio la eliminazione della sostanza politica e quindi in realtà questo prevedeva anche un altro fatto: che i deputati e i senatori non dovevano essere eletti, ma nominati, con le liste bloccate ed i collegi uninominali.
LUCA BERTAZZONI
Anche perché grazie al Porcellum, poi in Parlamento poi è entrato un po’ di tutto.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Io non ho niente contro il fascino femminile, vede io continuo a guardare con interesse e gioia le belle donne.
LUCA BERTAZZONI
Lei diceva: “era meglio portarle a cena piuttosto che in Parlamento”.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Assolutamente, assolutamente.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
É una scoria del machismo. Insomma, secondo uno dei leader democristiani della prima Repubblica, Cirino Pomicino, con “Berlusconi abbiamo assistito alla trasformazione della politica in slogan. Abbiamo assistito in sostanza, “allo svuotamento della sostanza della politica”. “Aveva da risolvere qualche problema personale”, Berlusconi, “in parte li ha risolti, ma non ha affrontato i veri nodi del Paese. Ha monopolizzato il Parlamento per lungo tempo con leggi ad personam, circa una quarantina. Qualcuna l’hanno proposta e non è stata poi approvata, invece qualche altra sì, perché dietro la faccia di Berlusconi ci guadagnava anche qualcun altro. Dal 1994 hanno preparato leggi contro l’azione della magistratura, per rallentare i processi, per attuare colpi di spugna, defiscalizzazioni, depenalizzazioni, lodi, leggi che favorivano Mediaset, Fininvest, Mediolanum, Mondadori, leggi per tutelare il suo conflitto di interessi, condoni tombali o scudi fiscali, leggi per colpire i suoi avversari, o per tutelare i suoi alleati di governo. Ora questo Berlusconi l’ha potuto fare anche perché poteva contare sul controllo completo dei suoi parlamentari. Questo grazie anche al Porcellum, la legge elettorale scritta da Calderoli, che consente al capo politico di individuare i candidati e di bloccarli in una lista. Ecco questo è un particolare che è sopravvissuto anche alla riforma del Porcellum, nell’Italicum, voluto tanto da Renzi. E questo ha consentito a Berlusconi anche di promettere seggi parlamentari.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Nel cerchio magico delle serate di Arcore c’era anche Nicole Minetti, ex igienista dentale del San Raffaele, entrata in Regione Lombardia come consigliera di Forza Italia, ma con un grande sogno nel cassetto.
INTERCETTAZIONE NICOLE MINETTI - SILVIO BERLUSCONI
SILVIO BERLUSCONI
Ciao tesoro
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Ehi, pronto?
SILVIO BERLUSCONI
Come sta la mia consigliera bravissima?
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Bene, bene.
SILVIO BERLUSCONI
Mi parlano tutti così bene di te, amore, che mi fa un piacere.
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Davvero?
SILVIO BERLUSCONI
Davvero amore.
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Sì? Chi?
SILVIO BERLUSCONI
Tutti, tutti! Quelli della Lega, i nostri.
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Sono felicissima.
SILVIO BERLUSCONI
Poi quando ci sono le elezioni vieni in Parlamento.
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Ovvio, certo!
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Come tutti i segretari e presidenti di partito, Silvio Berlusconi poteva garantire un seggio in Parlamento grazie all’eliminazione delle preferenze e alle famose liste bloccate istituite dalla legge elettorale nota come il “Porcellum”, approvata dal governo Berlusconi nel 2005.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Quando approvammo questa porcheria, lasciando i banchi del governo dissi: “e che Dio ci perdoni!”. Non so se ci abbia perdonato, ma nella sua infinita bontà forse ce la caviamo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Se secondo la procura Lele Mora era il reclutatore di ragazze, Nicole Minetti era definita la vera organizzatrice delle serate di Arcore.
INTERCETTAZIONE NICOLE MINETTI - MELANIA TUMINI
NICOLE MINETTI - CONSIGLIERA FORZA ITALIA REGIONE LOMBARDIA (2010 - 2012)
Ho sentito adesso “the boss of the boss” e gli ho detto: “guarda che stasera allora porto una mia amica”. Mi fa: “ottimo”. Gli ho detto: “guarda che ha la seconda laurea e ti darà il filo da torcere”. Lui mi fa: “ottimo”, si vede che non poteva parlare. Ma infatti ti volevo un attimo “briffare” sulla cosa, nel senso…giurami che non ti prende male, ne vedi di ogni, cioè nel senso la disperation più totale. Ci sono varie tipologie di persone, c’è la zoccola, c’è la sudamericana che non parla neanche italiano e viene dalla favela, c’è quella un po’ più seria, c’è quella via di mezzo tipo Barbara Faggioli, e poi ci sono io che faccio quel che faccio, capito?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Francesco Chiesa Soprani, all’epoca un importante agente dello spettacolo, assisteva molte delle ragazze che poi sono finite a casa dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
Qui abbiamo Barbara Guerra con me e Fabrizio Corona, qui sono con Marystell Garcia Polanco, con il direttore Emilio Fede, qui sono con Noemi Letizia. Ho gestito Barbara Guerra, Silvia Trevaini, Cinzia Molena, tante tante “olgettine”.
LUCA BERTAZZONI
Molte di queste sono finite ad Arcore.
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
Di questo ne ero a conoscenza perché avevo un rapporto molto stretto con l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede.
LUCA BERTAZZONI
Lei le portava lì per fare dei provini e diventare “meteorine”, poi quale è il passaggio? Come sono finite invece tramite Fede ad Arcore, invece che in tv?
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
Quando si portava una ragazza al direttore Emilio Fede per fare un casting per essere verificata a livello telegenico come “meteorina”, i dati logicamente rimanevano al direttore.
LUCA BERTAZZONI
E poi però?
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
Il direttore quando aveva una cena ad Arcore, le chiamava e le portava alla cena. Quindi il passaggio era questo.
LUCA BERTAZZONI
Lei è stato il loro agente, quindi immagino abbia avuto anche un rapporto di confidenza con queste ragazze. La verità che hanno raccontato a lei quale è?
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
La verità non corrisponde con quella processuale. Rimanevano Berlusconi, Fede, Minetti e altre 4 o 5 ragazze a volta. Dopo le cene c’erano vogliamo chiamarli giochi erotici? Legali perché ognuno a casa sua fa quello che vuole, ma negarli sarebbe dire una bugia e le ragazze mi hanno confermato ciò, da Barbara Guerra a Marystell Garcia Polanco alla Sorcinelli.
INTERCETTAZIONE SILVIO BERLUSCONI - ARIS ESPINOZA
ARIS ESPINOZA - ATTRICE
Ciao cucciolo, scusa, ti ho disturbato?
SILVIO BERLUSCONI
No, avevo in corso degli appuntamenti importanti e adesso li ho finiti.
ARIS ESPINOZA - ATTRICE
Io ero qua con Diana, Marystell e Aida e ti volevamo dire se anche loro possono venire a trovarti oggi.
SILVIO BERLUSCONI
9 e mezza?
ARIS ESPINOZA - ATTRICE
Alle 9 e mezza, sì.
SILVIO BERLUSCONI
L’unica cosa è che c’è da dire ad Aida che non abbiamo niente di speciale stasera, perché siccome stanotte abbiamo fatto le pazzie io sono stremato, capito?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Sempre presente alle serate di Arcore anche l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede, ritenuto dalla procura “il fidelizzatore”.
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Ieri ho messo il Rolex di Berlusconi per i 10 anni del Tg4.
LUCA BERTAZZONI
Un bel ricordo?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Eh, sì. Io non ho mai visto una prostituzione sotto i miei occhi, mai! Mai! Le uniche cose erano i travestimenti che sono stati riportati, una che si è travestita da Boccassini. Io sono stato condannato, e poi fa ridere, no? Sono stato condannato per avere tentato, senza riuscire, a far prostituire due prostitute. Ho detto: “ma scusi, quelle erano lì per prostituirsi. Io che c’entro?”.
LUCA BERTAZZONI
Lei dice che queste ragazze erano già prostitute?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Erano ragazze che tentavano la ricchezza prostituendosi, ma non ad Arcore.
LUCA BERTAZZONI
In assoluto, dice lei.
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Erano persone così.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Quelle che l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede definisce prostitute, sono in realtà ragazze che hanno raccontato ai magistrati di essere rimaste scioccate da quello che hanno visto ad Arcore. Ambra Battilana e Chiara Danese hanno descritto le scene erotiche delle quali sono state testimoni. E poi c’è il racconto di Imane Fadil, la modella marocchina e testimone 'chiave' nei processi sul caso Ruby. Quello che aveva visto ad Arcore l’aveva raccontato alla collega Francesca Fagnani nella trasmissione Servizio Pubblico.
IMANE FADIL - MODELLA
Mi è capitato di vedere situazioni che mi hanno lasciato sconcertata.
FRANCESCA FAGNANI - GIORNALISTA
Cioè?
IMANE FADIL - MODELLA
Cose che non mi sarei mai aspettata di vedere diciamo. Vedere denudamenti, avvinghiamenti.
FRANCESCA FAGNANI - GIORNALISTA
Scene erotiche?
IMANE FADIL - MODELLA
Scene erotiche, simulazioni sessuali.
FRANCESCA FAGNANI - GIORNALISTA
Ha anche preso dei soldi, in tutto 7mila euro.
IMANE FADIL - MODELLA
Infatti, in dieci volte io ho preso i soldi due volte e mi era stato proposto un lavoro in una delle reti di Berlusconi.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Iman Fadil morirà il primo marzo 2019 dopo una lunga agonia, colpita da una patologia al midollo molto rara, per questo qualcuno aveva avuto il sospetto che fosse stata avvelenata. Un’ipotesi smentita dalla Procura.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Quando Berlusconi si sposta a palazzo Grazioli o a villa Certosa in Sardegna, ad occuparsi delle serate è Gianpaolo Tarantini, imprenditore barese appena condannato in via definitiva per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione per le feste nelle residenze di Silvio Berlusconi. Oggi vive fra Roma e Cortina d’Ampezzo.
INTERCETTAZIONE GIANPAOLO TARANTINI - SILVIO BERLUSCONI
SILVIO BERLUSCONI
Ho fatto un Consiglio dei Ministri in cui ho approvato la finanziaria, una cosa epocale.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Fantastico.
SILVIO BERLUSCONI
Noi cominciamo da qui a mettere in sicurezza i conti italiani. E vabbè, stasera?
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Stasera siamo in 6 compreso me, sono io e 5 ragazze.
SILVIO BERLUSCONI
Benissimo.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Pronto?
LUCA BERTAZZONI
Tarantini buongiorno, sono Luca Bertazzoni. Le volevo chiedere un’intervista ora che è finito tutto.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Di che giornale parliamo?
LUCA BERTAZZONI
Rai Tre, Report.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Ah, ah, ah, arrivederci.
LUCA BERTAZZONI
Era solo per capire, visto che è finita la vicenda e ce n’è soltanto una in piedi a Bari ancora per quanto riguarda i soldi che lei ha preso da Berlusconi.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
In un momento di difficoltà, sotto mia richiesta ho chiesto un aiuto al presidente che me lo ha dato, punto.
LUCA BERTAZZONI
L’ha aiutata il presidente. Però nel processo di Bari, l’accusa sostiene che lei questi soldi li avrebbe presi per tacere davanti ai giudici sulle verità.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
C’è un processo e dovrà emergere la verità.
LUCA BERTAZZONI
L’altro, per cui lei è stato condannato a 2 anni e 10 mesi, invece parla proprio di prostituzione, questo sfruttamento e reclutamento.
GIANPAOLO TARANTINI - IMPRENDITORE
Eh purtroppo i giudici hanno deciso così, ne prendo atto.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
I ricci questi qui vengono da Civitavecchia, Santa Marinella. Questi scorfani pure da quella stessa zona. Queste sono di Gaeta, noi cerchiamo di essere comunque nazionalisti. Questi sono i più brutti, sono gamberi argentini decongelati, mi ricordano la latitanza.
LUCA BERTAZZONI
Quanto è stato latitante?
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
6, 7 mesi.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Nel 2011 l’allora direttore del quotidiano L’Avanti Valter Lavitola, indagato per una presunta estorsione di 500mila euro ai danni di Silvio Berlusconi, scappa in Sudamerica. È accusato di aver istigato l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini a mentire alla Procura nell’ambito dell’inchiesta sulle escort portate nelle residenze di Berlusconi.
LUCA BERTAZZONI
Lei apre questo ristorante dopo la latitanza in Sudamerica e dopo un periodo in carcere. Perché si è riciclato così, diciamo?
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Questo “riciclato” è un brutto termine.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Nel 2008 Romano Prodi è al governo grazie ad una maggioranza risicata che inizia a scricchiolare. Parte quindi “l’operazione libertà”: convincere un manipolo di senatori a cambiare casacca e passare al centrodestra. Regista dell’operazione che alla fine porta alla caduta del Governo Prodi è Valter Lavitola, condannato assieme a Berlusconi in primo grado per corruzione del senatore Sergio De Gregorio.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Ma non è vero, anche se c’è una condanna definitiva.
LUCA BERTAZZONI
Prescritta per lei e Berlusconi per corruzione, De Gregorio patteggia 1 anno e 8 mesi. Si parla di 3 milioni di euro.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Assolutamente vero.
LUCA BERTAZZONI
Di cui 2 milioni in contanti dati da lei a De Gregorio personalmente.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Assolutamente vero. Quei 2 milioni che io ho dato a De Gregorio in contanti, è vero.
LUCA BERTAZZONI
In nero dice De Gregorio.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
In nero, è vero. Glieli ho dati per uscire da “L’Avanti”, era il prezzo della sua uscita da “L’Avanti”.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Valter La Vitola si sarebbe mosso nell’ombra le scorse settimane per cercare voti tra i parlamentari e per portare al successo l’ “operazione scoiattolo” e coronare il sogno di Silvio Berlusconi e diventare Presidente delle Repubblica.
LUCA BERTAZZONI
Secondo lei adesso si può assistere ad una cosa simile a quell’operazione libertà?
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Fosse per me io li pagherei tutti quelli che devono votare Berlusconi. Dare ad una persona dei soldi tuoi è molto meno grave che dargli degli incarichi dello Stato.
LUCA BERTAZZONI
Quindi era meglio come avevate fatto a suo tempo?
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Ti devo dire la verità? Sì.
LUCA BERTAZZONI
Pagare.
VALTER LAVITOLA - EX DIRETTORE L’AVANTI
Eh.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Berlusconi è ancora sotto processo a Bari perché, secondo i magistrati, avrebbe pagato l’imprenditore Tarantini, perché mentisse ai Pm che gli chiedevano spiegazioni sulla natura delle serate passate a palazzo Grazioli e in Sardegna, tra il 2008 e il 2009. Ora sono 12 anni che Berlusconi è sotto la lente della magistratura e in questi anni si sono accavallati fatti provenienti dalla sua vita privata con fatti, invece, del Paese e ha dovuto affrontare anche due grandi crisi economiche. Nel 2008, quella conseguente al fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, che aveva riempito di titoli tossici le banche americane, ma anche quelle europee. Qualche rigurgito velenoso ha colpito anche l’economia italiana. Poi nel 2011 si aggira in Europa il fantasma del debito pubblico, il fantasma dei cosiddetti Piigs: un acronimo-beffa, perché significa “maiali” in inglese, ma insomma sta a significare le iniziali dei Paesi Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna che avevano un debito pubblico molto elevato. Preoccupava particolarmente il debito pubblico della Grecia perché si scopre che aveva falsificato i bilanci, ha circa 330 miliardi di euro di debito pubblico, un deficit al 15 % del Pil. I titoli di Stato erano diventati spazzatura, di fatto, i bancomat non erogavano più soldi. E’ dovuta intervenire l’Europa e il fondo monetario con un prestito di circa 360 miliardi di euro distribuito in tre anni. Ora però in cambio chiedeva alla Grecia una cura da cavallo: tagli delle pensioni, tagli dei salari, tagli sulla sanità e poi sono stati messi in cassa integrazione circa 30mila statali. Anche qui in Italia cominciamo a preoccuparci quando in estate cominciamo a renderci conto di che cosa sia lo spread, cioè praticamente la nostra fragilità economica, soprattutto se paragonata ai Bund tedeschi. Che cosa succede? Noi partiamo a gennaio del 2011 con una differenza di 173 punti fra Btp e Bund tedeschi. Poi succede che a dicembre arrivano addirittura a 528 i punti di differenza. Nel luglio del 2011 l’agenzia di rating Standard & Poor's aveva sostanzialmente declassato l’Italia. E poi le lettere dell’Europa nei confronti del governo italiano che chiedevano rigore. Poi c’erano gli editoriali del Financial Times. L’edizione inglese sottolineava quanto fosse "poco indispensabile" il ministro dell'economia dell’epoca, Tremonti e aveva bocciato la finanziaria del governo Berlusconi. Mentre, invece, l’edizione tedesca aveva addirittura ispirato la sostituzione del premier indicando come nome Mario Monti. Tutto questo è stato visto dal centrodestra come la prova di un golpe portato avanti dalle lobby economico-finanziarie dell’Europa. Però, Berlusconi con quale forza, con quale lucidità, con quale credibilità reagiva a tutto questo?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
A raccontare la sua versione sulle serate del Bunga Bunga è Silvio Berlusconi che registra di nascosto una conversazione con Amedeo Franco, oggi scomparso, ma all’epoca magistrato di Cassazione, fra i firmatari del verdetto di condanna per frode fiscale che ha portato poi alla decadenza dell’ex premier dal Senato.
SILVIO BERLUSCONI
Ho giurato su tutto quello che ho di più caro che non ho mai visto un atto che potesse essere inelegante, non di sesso, ma poi ero in casa mia e se ci fossero stati anche atti di sesso, che reato era?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Il problema per Berlusconi è che in quelle serate di Arcore ci finisce una minorenne, Karima El Mahroug, conosciuta come Ruby Rubacuori.
SILVIO BERLUSCONI
La ragazza Ruby dichiarava a tutti di avere 24 anni, si era dichiarata figlia di una famosa cantante egiziana parente di Mubarak. Io faccio un summit con Mubarak a villa Madama e Mubarak conosceva benissimo la cantante, però non sapeva niente della ragazza e dice: “ti farò sapere”. Otto giorni dopo, il 27 di maggio mi dicono che la ragazza è stata presa in questura, che piange. A me passa nella testa: “oddio, faccio un incidente diplomatico con Mubarak”. Perché come faccio a spiegare a Mubarak, che è un dittatore, che un Presidente italiano non ha alcun potere?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Mentre Ruby è in questura a Milano, Silvio Berlusconi è impegnato in una riunione dell’Ocse a Parigi. Ma chiama immediatamente il capo di gabinetto del questore, che si attiva per consegnare la ragazza a Nicole Minetti. Da qui parte l’indagine della procura per concussione e prostituzione minorile. In Parlamento il centro destra si oppone all’autorizzazione a procedere nei confronti di Berlusconi sostenendo che si trattasse di ragioni di Stato.
MAURIZIO PANIZ - DEPUTATO FORZA ITALIA (2001 - 2013) - PARLAMENTO 3 FEBBRAIO 2011
Sì, è vero. Ha telefonato ad un funzionario della questura. Lo ha fatto senza esercitare pressioni di sorta, per chiedere un’informazione nella convinzione, nella convinzione vera o sbagliata che fosse, ma nella convinzione che Karima El Mharoug fosse parente di un Presidente di Stato. E lo sapete meglio di me, lo sapete meglio di me che la tutela dei rapporti internazionali passa anche attraverso telefonate come questa.
LUCA BERTAZZONI
Ruby nipote di Mubarak votato dal Parlamento?
FABRIZIO CICCHITTO – PRESIDENTE DEPUTATI POPOLO DELLA LIBERTA’ (2008-2013)
Sì, ma vede lì entriamo nel folklore della politica.
LUCA BERTAZZONI
Beh, il folklore è che il Parlamento si debba esprimere su una questione così surreale.
FABRIZIO CICCHITTO – PRESIDENTE DEPUTATI POPOLO DELLA LIBERTA’ (2008-2013)
Si trattava di contrapporsi a un bombardamento giudiziario che Berlusconi ha avuto dal 1994 in poi. E quindi “a bandito, bandito e mezzo” come disse Pertini.
LUCA BERTAZZONI
Lei votò che Berlusconi aveva agito così perché convinto che Ruby fosse la nipote di Mubarak, se lo ricorda?
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Ah, ah.
LUCA BERTAZZONI
Lei ride, è successo anche questo.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
Vede, le stranezze di Silvio. La nipote di Mubarak, Ruby? Ma per piacere!
LUCA BERTAZZONI
Però lei lo ha votato.
ANTONIO MARTINO - MINISTRO DELLA DIFESA (2001 -2006)
E che dovevo fare?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Inizia il processo Ruby e Berlusconi diserta più volte l’aula di tribunale. Quando i giudici dispongono una visita fiscale per verificare il legittimo impedimento del Cavaliere, i parlamentari del Pdl dimostrano compatti davanti al Palazzo di Giustizia di Milano.
ANGELINO ALFANO - DEPUTATO FORZA ITALIA (2001-2013) ??? - MANIFESTAZIONE DEL PDL DAVANTI AL TRIBUNALE DI MILANO - 11/03/2013
Noi difenderemo il nostro leader, la nostra storia, il Presidente Berlusconi, Forza Italia, il Popolo della Libertà, tutta la nostra storia.
FABRIZIO CICCHITTO – PRESIDENTE DEPUTATI POPOLO DELLA LIBERTA’ (2008-2013)
C’ero anche io, un errore.
LUCA BERTAZZONI
Perché ci andò allora?
FABRIZIO CICCHITTO – PRESIDENTE DEPUTATI POPOLO DELLA LIBERTA’ (2008-2013)
Ci andai per ragioni di solidarietà.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
La storia del Bunga Bunga fa il giro del mondo. Il Presidente del Consiglio prova a sdrammatizzare al termine di un incontro con il premier israeliano Netanyahu.
CONFERENZA STAMPA SILVIO BERLUSCONI - BENJAMIN NETANYAHU - 13/06/2011
Vi do un’informazione, il quadro è di Andrea Appiani e rappresenta il Parnaso, ovvero il Bunga Bunga del 1811. Quello là sono io e questo si chiama Mariano Apicella.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Ma non sono solo le vicende giudiziarie di Berlusconi a preoccupare l’Europa. In Italia lo spread sale fino a 500 punti e si inizia a parlare con sempre maggiore insistenza di un intervento delle istituzioni internazionali.
PAOLO CIRINO POMICINO - MINISTRO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (1989 - 1992)
In questi 20 anni, 25 anni l’Italia è cresciuta dello 0,8% ogni anno in media. La povertà è raddoppiata, la disoccupazione è aumentata del 50% tanto è vero che mentre all’epoca nostra, noi avevamo una spesa in conto capitale tra il 4% e il 5%, in quegli anni la spesa in conto capitale dello Stato oscillava fra il 2% e il 3%: significa 30 miliardi di spese in meno ogni anno, per 25 anni sono 750 miliardi in meno che l’Italia ha avuto in termini di manutenzione e di investimenti pubblici.
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
La situazione era drammatica, siamo arrivati ad avere uno spread di 5,75 punti percentuali.
LUCA BERTAZZONI
E a cosa era dovuto questo secondo lei?
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
Alla mancanza di fiducia nella capacità del Paese di far fronte alle sue obbligazioni finanziarie.
LUCA BERTAZZONI
L’allora Presidente del Consiglio Berlusconi sosteneva che la crisi non c’era e che era un’invenzione dei giornali.
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
Non puoi continuare a dire che tutto va bene, che i ristoranti sono pieni, che gli italiani vanno in vacanza e che di lavoro ce ne è per tutti, no. Se fosse sincero ammetterebbe anche lui che il suo governo era in una situazione di “impasse”, che il Ministro Tremonti non sapeva più a chi rivolgersi per cercare di parare questa crisi.
CONFERENZA STAMPA - ANGELA MERKEL/NICOLAS SARKOZY - BRUXELLES 23/10/2011
GIORNALISTA
Vorrei sapere cosa avete detto esattamente a Berlusconi, vi ha dato rassicurazioni? Vi sentite rassicurati sugli impegni presi dall’Italia anche per le riforme?
UDO GUMPEL - GIORNALISTA CORRISPONDENTE IN ITALIA RTL TV
Se vogliamo tornare al sorrisetto Merkel - Sarkozy, ha la sua origine in quella figura barbina, che non Silvio Berlusconi, un signore anziano che paga delle altre signore per avere prestazioni sessuali, ma che abbia costretto il Parlamento ad affermare che Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak. Questo sì che ha reso ridicolo Silvio Berlusconi e purtroppo anche le istituzioni italiane agli occhi di molti politici in Europa.
VIDEO MARYSTELL POLANCO - SILVIO BERLUSCONI 2011
SILVIO BERLUSCONI
È come se ci fosse venuta addosso un’automobile, è chiaro? Non è una cosa che abbiamo voluto, nessuna di voi l’ha voluta, né tantomeno l’ho voluta io. Sono distrutto come immagine nel mondo, tutto quello che ho fatto come statista, come politico, è tutto dimenticato. Sono quello del Bunga Bunga.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Da Bruxelles Merkel e Sarkozy lanciano un ultimatum al Presidente del Consiglio: “attui subito le misure per debito e crescita”. L’Italia è diventato un paese a rischio bancarotta e il 12 novembre 2011 Berlusconi va al Quirinale per rassegnare le dimissioni.
LUCA BERTAZZONI
Le sue famose lacrime durante la conferenza stampa mentre stava per pronunciare la parola “sacrifici” sono forse l’immagine simbolo di quel governo Monti.
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
Questa sensazione di trovarsi nell’impossibilità di far fronte alle spese. “Default”, un fallimento dello Stato rispetto alle sue obbligazioni.
LUCA BERTAZZONI
La situazione che voi tecnici avete trovato era drammatica?
ELSA FORNERO - MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (2011 - 2013)
Ma sì, una crisi finanziaria può toccare anche i risparmi medi e i risparmi persino bassi delle famiglie. Mi dicono: “hai ridotto le pensioni, hai tradito le promesse”. Ma noi potevamo avere il rischio di non trovare i soldi per pagare le pensioni.
LUCA BERTAZZONI
Cosa è rimasto a noi italiani di quest’era berlusconiana?
PAOLO CIRINO POMICINO - MINISTRO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (1989 - 1992)
Le macerie.
LUCA BERTAZZONI
E dal punto di vista economico, dal punto di vista morale?
PAOLO CIRINO POMICINO - MINISTRO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA (1989 - 1992)
Da un punto di vista economico e politico, e aggiungo sociale.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Gli slogan elettorali di Berlusconi: “Meno tasse per tutti”, “Un milione di posti di lavoro” e “l’Italia del fare” sono rimasti tali. Ora, l’uomo che si proponeva di risolvere i problemi degli altri nel suo storytelling, faticava a risolvere i suoi di problemi e sull’epilogo triste dei titoli di coda, gli italiani si ritrovano con l’acqua alla gola, nel pieno di una crisi che è stata sempre invece negata. Il ministro dell’economia ai tempi di Silvio Berlusconi, Tremonti, ma lo stesso premier, bollavano come iettatori tutti quei giornalisti, anche quelli di Report compresi, lo so perché sono stato testimone, che accennavano solamente a parlare a venti di crisi in quel momento. Invece la crisi c’era e i governi successivi hanno dovuto puntellare i conti, hanno dovuto rimettere la tassa sulla prima casa, fare la riforma fiscale, fare la riforma della previdenza, la riforma del mercato del lavoro, e anche quella riguardante la procedura degli appalti. Tutta una serie di nodi irrisolti che il governo Berlusconi, non aveva avuto il coraggio di affrontare, perché si trattava anche di scelte impopolari e che sono ricaduti invece sui governi successivi e anche sulle generazioni successive. Anche sul governo attuale. Rischiano anche di bruciare in parte il PNRR, il più grande piano della storia di investimenti europei che potrebbe cambiare il destino del Paese. A proposito di destino, qual è stato quello dei protagonisti dell’epilogo berlusconiano?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Lasciato Palazzo Chigi, Berlusconi si siede nell’aula del palazzo di Giustizia di Milano come imputato nel processo Ruby. Nel 2013 viene condannato a 7 anni per concussione e prostituzione minorile, sentenza poi capovolta in Appello e Cassazione.
FABRIZIO CICCHITTO - EX DEPUTATO FORZA ITLIA
È stato assolto quando un avvocato come Coppi è andato al Tribunale e ha detto: “probabilmente non erano feste eleganti, anzi era un mezzo puttanaio però tra adulti consenzienti”.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Nel verdetto si legge: “ci fu prostituzione, ma nessuna prova che confermasse la conoscenza dell'età della ragazza da parte di Berlusconi”. Si aprono poi altri due processi, cosiddetti Ruby bis e Ruby Ter. In cosa consistesse il terzo processo lo racconta lo stesso Berlusconi nelle registrazioni con il giudice Franco a Palazzo Grazioli.
SILVIO BERLUSCONI
C’è un terzo processo in cui io sono accusato di aver corrotto 44 testimoni. Ho ritenuto ad un certo punto che queste ragazze avessero bisogno di essere aiutate e allora gli ho dato con bonifico 2500 euro al mese. L’accusa sarebbe per me che ho corrotto le ragazze per farle mentire nel processo dove avevano detto: “cene normalissime, non abbiamo visto scene deteriori”. Le 6 ragazze che hanno detto che invece le ragazze estraevano il pisello di Fede, 82 anni, che mi autorizza a dire pubblicamente che per trovare il pisello a lui, specie dopo la mezzanotte, occorre organizzare una regolare caccia al tesoro.
FRANCESCO CHIESA SOPRANI - AGENTE DELLO SPETTACOLO TESTIMONE PROCESSE RUBY TER
È sorto il problema: “cosa facciamo con le ragazze che sanno che non erano solo cene eleganti?”. Semplice, le paghiamo, paghiamo il loro silenzio e queste anche se verranno sentite diranno che erano cene. Queste ragazze non si accontentano dei 2mila euro, dei 100mila euro, dei 150mila euro, della Mini. Ogni 6 mesi torneranno alla carica, finché questa grossa nube non esploderà in un uragano e così infatti è stato.
INTERCETTAZIONE BARBARA GUERRA - SILVIO BERLUSCONI - 20/06/2013
SILVIO BERLUSCONI
Intanto io ho firmato un visto di 160mila euro per gli arredi della casa di Barbara.
BARBARA GUERRA - SHOWGIRL
Silvio io sono stanca di essere presa per il culo, scusami il termine adesso sono veramente stanca.
SILVIO BERLUSCONI
Ho firmato un assegno ieri di 160mila euro.
BARBARA GUERRA - SHOWGIRL
Ascolta non è casa mia quella Silvio, sono in mezzo ad una strada ancora dopo 4 anni di merda. Sono stanca, stanca, stanca.
SILVIO BERLUSCONI
Adesso fai così, chiamami ancora stasera per vedere se facciamo l’accordo o se dovete andare da Spinelli. Va bene?
BARBARA GUERRA - SHOWGIRL
E gli dici il bonifico allora? 50 e 50.
SILVIO BERLUSCONI
Sì, sì, va bene.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Con l’accusa di corruzione giudiziaria la procura di Milano ha rinviato a giudizio Berlusconi nel processo Ruby Ter: secondo i magistrati l’ex Presidente del Consiglio avrebbe pagato per far testimoniare il falso. La difesa di Berlusconi sostiene invece che quei pagamenti erano per aiutare le ragazze in difficoltà dopo l’esplosione dello scandalo. In una costola del Ruby Ter, l’ex premier è stato assolto a Siena. Secondo i giudici ha pagato il pianista Danilo Mariani, per le sue prestazioni professionali e non per mentire sulle serate. Ad affermare che Berlusconi non sapesse che Ruby fosse minorenne sono state le ragazze presenti ad Arcore a cui, secondo i pm, Berlusconi avrebbe elargito 10 milioni di euro. La fetta più grande, 7 milioni di euro, sarebbe andata a Ruby rubacuori.
INTERCETTAZIONE KARIMA EL MAHROUG
Mi ha detto: “cerca di passare per pazza, cerca di passare per quello che puoi, racconta cazzate, ma io ti sarò sempre vicino, di qualsiasi cosa e avrai da me qualsiasi cosa che tu vuoi”. Con il mio avvocato gli abbiamo chiesto 5 milioni di euro in cambio del fatto che io passo per pazza, che ho raccontato solo cazzate. E lui ha accettato.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Karima El Mahroug ha abbondonato il nome d’arte Ruby. Oggi è un’imprenditrice con proprietà a lei riconducibili a Playa del Carmen, famosa località balneare nella penisola dello Yucatan, in Messico.
E da poco è tornata in Italia, a Genova, dove vive ad Albaro, il quartiere più ricco della città. Qui, con il suo nuovo compagno, ha aperto un ristorante.
LUCA BERTAZZONI
Buonasera.
CAMERIERE - RISTORANTE LIFE ALBARO
A voi.
LUCA BERTAZZONI
Grazie.
CAMERIERE - RISTORANTE LIFE ALBARO
È la prima volta che ci venite a trovare?
LUCA BERTAZZONI
Sì.
CAMERIERE - RISTORANTE LIFE ALBARO
Vi spiego un attimino la nostra particolarità. Siamo un po’ diversi rispetto ai ristoranti soliti diciamo, perché abbiamo una cucina salutare.
LUCA BERTAZZONI
Da quanto è che siete aperti?
CAMERIERE - RISTORANTE LIFE ALBARO
Da giugno, siamo freschissimi.
LUCA BERTAZZONI
Karima buongiorno, salve, sono Luca Bertazzoni, un giornalista di Report. Ci stiamo occupando del processo Ruby Ter e ci ha incuriosito questa cosa del ristorante che ha aperto con il suo compagno. Le possiamo rubare soltanto un minuto? Non vogliamo essere scortesi. Siccome la procura sta indagando sul flusso di denaro da parte di Berlusconi, 10 milioni di euro di cui 7 sarebbero per lei.
KARIMA EL MAHROUD
Mi spiace, buon lavoro.
LUCA BERTAZZONI
Grazie
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
L’ex Consigliera Regionale Nicole Minetti, condannata in via definitiva per favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby bis a 2 anni e 10 mesi e dopo un patteggiamento ad 1 anno e 1 mese nel processo “Rimborsopoli” sulle spese pazze in Regione Lombardia, oggi ha lasciato la politica e fa la Dj fra Ibiza e Miami. Lele Mora invece è tornato a fare il suo lavoro di agente dello spettacolo in giro per il mondo.
LUCA BERTAZZONI
Quando lei è stato un po’ in difficoltà economica Berlusconi le ha prestato questi 2 milioni e passa.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Come ha saputo che io avevo bisogno di sistemare alcune cose si è prodigato in un attimo a farmi avere questi soldi. È stata una richiesta di Emilio Fede.
LUCA BERTAZZONI
Che si sarebbe preso anche una parte di quei soldi.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Sì, diciamo la mezza.
LUCA BERTAZZONI
La metà, la metà di 2 milioni e passa.
LELE MORA - AGENTE DELLO SPETTACOLO
Però Berlusconi mi ha detto: “perché lei passa da Fede a chiedermi questa cosa? Con il rapporto che abbiamo noi due lei può venire direttamente”. Ogni sera in cui io uscivo da Arcore mi si avvicinava, mi abbracciava, a volte anche si commuoveva. E mi ringraziava, perché mi diceva che vicino a me stava bene e io una sera gli ho detto: “Presidente, lei è un uomo solo. Per quello vuole Lele Mora vicino”. Perché finito il tutto, questo divertimento, rimaneva solo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Al momento di questa intervista, l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede, condannato in via definitiva a 4 anni e 7 mesi per favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby bis, si trovava agli arresti domiciliari.
LUCA BERTAZZONI
L’hanno licenziata malamente da Mediaset, no?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Sì, che Dio li perdoni.
LUCA BERTAZZONI
Paga tutto questo per Berlusconi, però gli vuole ancora bene?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Sì, sì.
LUCA BERTAZZONI
Nonostante tutto questo?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Sì.
LUCA BERTAZZONI
Nonostante questa vita che ora appunto non può uscire perché è ai domiciliari?
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Sì. Noi stasera possiamo uscire fino a quando? Non più?
COLLABORATORE EMILIO FEDE
No.
LUCA BERTAZZONI
No.
EMILIO FEDE - DIRETTORE TG4 (1992 - 2012)
Eh, ah ah. Sai cos’è il problema? Che adesso sono tutti liberi. Io ho perso tutto, ma quello assolto, va bene, assolto. Hanno trovato il titolo 3, 4, 5 minchia di che? Va bene, assolto, 3 mesi tolti. Sono l’unico che paga, l’unico detenuto, io sono detenuto.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Ora l’ex direttore del Tg4, Emilio Fede è tornato ad essere un uomo libero. Il Tribunale gli ha concesso i benefici di legge per il suo stato precario di salute. Ma rimane il riso amaro. All’epoca il Times aveva titolato “Cade la maschera del clown” riferito proprio a quella sua corte, che non era marginale al messaggio politico di Berlusconi, era la parte, anzi, sostanziale e non ha portato a tutti i cortigiani fortuna, anzi. Chi ha saputo sfruttare le sue fragilità e il narcisismo, è riuscito ad accumulare delle ricchezze che sarebbe stato impossibile accumulare in un altro contesto culturale. Perché è fallita l’operazione scoiattolo? Quella per reperire i voti per diventare Presidente della Repubblica e coronare il suo sogno? Non certo per le sue battaglie contro l’autorità giudiziaria, per le leggi ad personam, ma per il Bunga Bunga. Perché Berlusconi aveva tutti i diritti per diventare Presidente della Repubblica, non lo è diventato perché ha inoculato nella società un modello culturale, quello della scorciatoia, cioè quello di arrivare al successo attraverso i canoni della bellezza, della ricchezza, dell’impunità, mettendo invece da parte, all’angolo, la meritocrazia e il rispetto delle regole, che anzi imbarazzava e addirittura era diventato un handicap. Perché ha inoculato nella società l’idea che non pagare le tesse fosse giusto, cioè non contribuire al welfare di un Paese, all’istruzione, alla sanità. Ha alimentato, cioè, quelle odiose disuguaglianze. E poi, ha inoculato quel virus dell’uomo solo al comando. Che è stato un virus che è stato subito recepito da alcuni leader politici che tentano anche di emularlo, adottando anche stesse strategie di comunicazione. Cioè di demonizzare e gettare fango sull’avversario, utilizzando le stesse strategie di comunicazione. Berlusconi aveva televisioni, loro hanno oggi le loro bestie social. Certo Berlusconi ha condizionato la libertà di stampa in quegli anni, perché aveva a disposizione 5 televisioni sostanzialmente nazionali. Tre sue, due del servizio pubblico, emittenti radiofoniche. Poteva anche poi utilizzare le satellitari con Mediaset e poteva soprattutto condizionare quegli editori che non la pensavano come lui, attraverso le concessionarie pubblicitarie. E poi aveva i giornali, le riviste di famiglia che potevano utilizzare dei dossier per infangare, dossier spesso falsi, preparati da ambienti oscuri con cui poteva manganellare oppositori politici e giornalisti. E laddove non riusciva con i dossier, scattavano gli editti bulgari. Ecco, sono stati estromessi dalla Rai professionisti come Enzo Biagi, Luttazzi, Michele Santoro. Tutto questo rappresentano i vinti. E poi il virus ha anche colpito, attecchito in quelle forze democratiche che dovevano rappresentare gli anticorpi, la reazione a questa malattia. Invece quelle forze si sono adeguate, anzi sono addirittura finite con l’emulare quel tipo di modello. A noi non rimane che appellarci a quel rumore di rotative, citando quel film, un immenso Humphrey Bogart che rispondeva alle minacce del gangster della città, che chiedeva spiegazioni su cosa fosse il rumore ”: “ …è la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi farci nulla!”
Ruby Rubacuori, vita stravolta: "Chi è e cosa fa oggi", parla il suo avvocato. Giovanni Terzi su Libero Quotidiano il 06 luglio 2022
«Sono oramai dieci anni che conosco e difendo Karima El Mahroug, conosciuta da tutti come Ruby, e credimi che è una donna, una madre, davvero irreprensibile. Credo che la gogna mediatica a cui è costantemente sottoposta sia profondamente ingiusta e rischi di ledere definitivamente la sua vita sociale presente e futura».
Chi parla è Jacopo Pensa, importante avvocato del foro di Milano, uomo colto e così attento umanamente che è capace di essere, prima che avvocato, giudice dei propri clienti. Conosco l'avvocato Pensa da 25 anni e l'ho visto essere, in talune occasioni, critico con chi difendeva. Diversamente quando c'è un caso in cui è cosciente della lealtà e dell'innocenza del proprio cliente la sua difesa diventa non soltanto "tecnica" ma appassionata ed intensa umanamente.
Avvocato quindi credi nella innocenza di Ruby?
«Certamente il pubblico ministero ha svolto il proprio compito ma credo che i contorni ed i fatti di questa vicenda processuale che riguardano una ragazza, all'epoca minorenne, sia ancora da scrivere. Ho sentito la diretta della requisitoria del pm su Radio Radicale. La dottoressa Siciliano parlava di Ruby dandole della "odalisca" e della "prostituta" raccontando con assoluta certezza che tra lei e l'allora presidente del Consiglio ci sia stato sesso in cambio di denaro».
È vero?
«Per me no. Però aspetto, assieme all'avvocato Paola Boccardi che difende con me Karima, il momento processuale della nostra discussione per spiegare ciò che è secondo me in realtà accaduto».
Che persona era Ruby all'epoca dei fatti?
«Era una ragazzina che dimostrava, fisicamente, più anni di quelli che in realtà aveva. Karima era una giovane che, improvvisamente, si è trovata a passare dalla miseria in cui viveva alla reggia di Versailles. Credo che per molte persone questo possa rappresentare un elemento importante per valutare i comportamenti».
Cosa intendi dire?
«Come ha detto il pm nella requisitoria finale "stiamo giudicando comportamenti di persone che in questi dieci anni si sono profondamente trasformati". Come dicevo, la Karima di allora non ha nulla a che vedere con la donna, mamma e moglie di adesso».
Una delle tue ultime difese è stata quella del governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana. Che giudizio hai di quella vicenda?
«Attilio Fontana è una delle persone più per bene che io abbia conosciuto. Fontana è un galantuomo che è stato attaccato, perseguitato e dileggiato in modo indecoroso. È stato accusato di fatti così insignificanti che anche il giudice delle indagini preliminari l'ha prosciolto in istruttoria dichiarando che quegli avvenimenti per cui era stato indagato non meritavano nemmeno il processo. Sono convinto che si sia esagerato nella ipotesi accusatoria».
Come è stato il governatore Fontana durante il processo?
«L'ho visto soffrire tantissimo non tanto per la questione tecnica e processuale su cui era prontissimo, ma sull'aspetto umano e personale. L'elemento su cui l'ho davvero visto angustiarsi è stata l'accusa di "favoritismi" familiari. Cose che non ci sono mai state ed infatti il tutto è stato archiviato senza neppure andare a processo e, credimi, non è una cosa rituale al Tribunale di Milano su vicende che riguardano la politica. Questi fatti di ingiustizia lacerano le persone in modo irreversibile».
Questo riguarda i clienti, e per un avvocato cosa accade? Come vive i processi che lo vedono coinvolto?
«Se uno fa l'avvocato con passione lavora 24 ore al giorno. Anche di notte, talvolta, mi sveglio con delle intuizioni che riporto nei miei appunti».
C'è stato un caso che ti ha coinvolto in modo particolare?
«Mi viene in mente il mio amico magistrato Francesco Pintus. La sera dell'11 agosto del 1998, quando il procuratore di Cagliari Luigi Lombardini si suicidò per paura di essere arrestato dopo essere stato interrogato dal magistrato Caselli che lo accusava di rapporti scorretti con la anonima sequestri sarda il procuratore generale Francesco Pintus disse: "Sono avvilito, disgustato. Ora bisogna che la verità venga fuori. Bisogna che si sappia che Lombardini è stato oggetto di un'aggressione senza precedenti. Bisogna che si sappia che da anni la procura di Palermo ha aperto la caccia nei nostri uffici giudiziari, sono venuti in cinque. Lo hanno sentito per sei ore, capite?
Sei ore. Bisogna finirla, finirla...". Per queste parole Pintus fu querelato dall'allora procuratore di Palermo Giancarlo Caselli e dai suoi sostituti. Dopo tanti anni e otto processi, tutti vinti, fui davvero felice».
Un'altra vicenda, passata agli onori della cronaca che ti ha visto difensore è quella dell'omicidio a Milano di Francesco D'Alessio da parte della modella Statunitense Terry Broome. Il padre di D'Alessio era convinto che ad uccidere il figlio fosse stato qualcun altro. Anche tu?
«No purtroppo a uccidere il giovane romano fu proprio Terry. Anche a me il padre raccontò questa teoria che però non stava in piedi. Spesso può diventare difficile accettare per un padre l'omicidio di un figlio e soprattutto è impossibile pensare che questo avvenga da parte di uno sconosciuto. Ma così è stato».
La Milano violenta degli anni Ottanta e quella di oggi di "Terrazza sentimento": quali sono le analogie e le differenze?
«Le analogie stanno nelle logiche per cui alcune cose sono sempre accadute. La differenza è nella violenza cieca e sempre crescente di oggi».
Tu sei anche famoso tra i tuoi amici, avvocati e non, per scrivere rime baciate sulla Giustizia. Come mai questa passione?
«Da mio nonno».
Me ne ricordi una?
«Riguarda la vicenda Storari e Davigo: "C'è un piemme qui a Milano/Che ha creato un caso strano/Suscitando una burrasca/Ha ficcato nella tasca/Di un amico assai sottile/Che non era certo ostile/Dei verbali segretetati/E puranco non firmati/Alla stampa lui rivela/Che lo ha fatto a sua tutela/Per non essere accusato/Di aver troppo traccheggiato/Nell'iscriver gli ungheresi/Nel registro dei sospesi./Poi sottile ne ha parlato/Con un alto magistrato/Ed assai fuggevolmente/Con il vicepresidente/È così di bocca in bocca/La vicenda ormai trabocca...».
Hai mai pensato di fare il giudice?
«Mai, anche se per mio papà sarebbe stato il massimo perché considerava i giudici i depositari di ogni virtù».
E invece?
«Diciamo che mezzo secolo di professione mi ha insegnato che non è proprio così».
Da ilmessaggero.it il 27 Gennaio 2022.
Silvio Berlusconi «sta meglio, sta recuperando. Ha passato giorni molto brutti, ma adesso è in ripresa». Lo ha detto il fratello Paolo, uscendo dall'ospedale San Raffaele di Milano, dove è ricoverato da alcuni giorni.
«Purtroppo non sono potuto venire prima perché ho avuto il Covid, oggi ho il tampone negativo ed eccomi qua» ha aggiunto il presidente del Monza. Squadra brianzola che è stata al centro della chiacchierata con il fratello: «Abbiamo parlato del Monza, il che vuol dire che sta meglio dopo la batosta».
Il Quirinale? «La salute è più importante»
Infine, a chi gli chiedeva se avessero parlato anche di Quirinale, Paolo Berlusconi ha risposto che «la salute è molto più importante, poi la politica sappiamo che è un teatrino, speriamo di essere governati bene».
La telefonata con Draghi
Il presidente Silvio Berlusconi ha ricevuto una cortese telefonata dal presidente del consiglio, professor Mario Draghi. Il presidente del consiglio ha formulato i migliori auguri di pronta guarigione. Nel corso del colloquio, a quanto si apprende, non è stato affrontato alcun tema politico.
Ugo Magri per "la Stampa" il 24 gennaio 2022.
Con quale stato d'animo Berlusconi abbia rinunciato al suo sogno presidenziale può comprenderlo a fondo solo chi ne conosce la psicologia di seduttore. L'uomo è totalmente convinto di meritarsi l'amore dei suoi simili, anzi di più: la loro incondizionata adorazione.
Dunque non era mai stato neppure sfiorato dal sospetto che la sua candidatura avrebbe sollevato un'onda tellurica di tali proporzioni. Silvio s' illudeva (e una quantità di gente ha contribuito a illuderlo) che la mossa di un anno fa, quando aveva deciso di sostenere il governo delle larghe intese, sarebbe stata sufficiente a trasformarlo da Cavaliere nero in padre della Patria, facendo scivolare nel dimenticatoio le mille vicende giudiziarie passate e quelle ancora in piedi. Com'era ovvio, non è andata così.
Ma prenderne atto, tornando con i piedi per terra, per l'ex premier è stato doloroso. Sufficiente a gettarlo in uno stato di prostrazione tale che è impossibile non scorgere un nesso con l'intera domenica trascorsa all'ospedale San Raffaele: ufficialmente per controlli già programmati, ma secondo chi lo frequenta a titolo precauzionale perché la botta anche fisica è stata tremenda; venerdì quasi faticava a reggersi per effetto di troppe notti insonni e di giornate trascorse al telefono nel tentativo di convincere uno via l'altro sconosciuti «peones», senza una vera cabina di regia, senza qualcuno in grado di tenergli il pallottoliere.
A un certo punto della mattina di sabato, nel pieno del tormento se insistere o rinunciare, sotto la doccia scozzese dei numeri altalenanti che gli forniva Vittorio Sgarbi, con gli alleati che pretendevano risposte immediate e una quantità di parlamentari assatanati che lo incitavano a non mollare, il Cav era diventato quasi afasico, ansimante per lo stress, con le palpebre semi-abbassate (nella cruda testimonianza di chi gli sta intorno), vero motivo del suo forfait alla «call» serale con Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
È stato lì che l'intera famiglia ha detto «basta», con Marina Berlusconi portavoce di tutti i figli sebbene fino a quel momento lei per prima avesse rispettato, pur senza condividerla, la smania paterna di cimentarsi nell'impresa impossibile. Fedele Confalonieri, Licia Ronzulli, Antonio Tajani, insomma la cerchia più stretta, ha fatto pesare che l'ottantacinquenne patriarca non sarebbe stato in grado di reggere un clima di scontro frontale. Il Colle, sogno di Berlusconi, sarebbe diventata la sua espiazione.
Alla fine lui s' è convinto; ha dovuto ammettere anzitutto a se stesso che, pure se fosse riuscito a farsi eleggere per il rotto della cuffia, sarebbe stato peggio di una sonora bocciatura in quanto poi si sarebbe scatenato l'inferno. Addirittura ha rivisto come in un incubo il fantasma del colonnello Gheddafi.
Anche lui «prima osannato e poi fatto fuori dagli stessi che lo consideravano il migliore», tragica testimonianza dell'ingratitudine umana. Nel caso di Berlusconi nulla di così cruento, solo qualche sfottò del Popolo viola e qualche adunanza delle Sardine, oltre alle ironie dei media specialmente stranieri, col New York Times alleprato dalla fantasia delle «feste eleganti» al palazzo del Quirinale.
«La scelta di ritirarsi è stata la risposta più nobile agli odiatori di professione», sospira Sestino Giacomoni, tra i più vicini al leader. A lui, come agli altri irriducibili berlusconiani, resta la speranza che passi pure questa nottata e Silvio superi l'ennesima depressione. Resistendo nel frattempo, si augura Giorgio Mulè, «senza cominciare a scannarci tra noi e con la stessa grinta di una testuggine romana».
Berlusconi e il Quirinale, il sogno infranto 28 anni dopo il «debutto»: l’argine della famiglia. Tommaso Labate su Il Corriere della Sera il 23 Gennaio 2022.
Berlusconi ritira la candidatura: il comunicato letto da Licia Ronzulli e l’ultima chiacchierata decisiva con la figlia Marina. Il desiderio più grande in un tema conservato da mamma Rosa, ai parlamentari aveva detto: «Per me è il senso di una vita».
«Vedi, per me questo è il senso di una vita, il sogno da bambino». Per comprendere quanto siano profonde le ragioni del passo indietro è necessario farlo, un passo indietro. Riavvolgere il nastro fino a sincronizzare il timer con i giorni tra Natale e Capodanno, quando la campagna quirinalizia di Silvio Berlusconi era nel pieno del suo svolgimento, il telefono scottava, il pallottoliere sembrava quasi sorridere e la clessidra giocava ancora a suo favore.
Ad alcuni dei parlamentari contattati per sondarne l’animo, non esattamente del suo stesso schieramento e a lui praticamente sconosciuti, il Cavaliere aveva raccontato di come non il successo delle aziende, non le Coppe dei Campioni del Milan e forse nemmeno la presidenza del Consiglio rientrassero tra i desideri del bambino ch’era stato settanta e passa anni addietro. Nel celeberrimo tema delle elementari che mamma Rosa aveva conservato per anni, infatti, il sogno era quello di «diventare presidente della Repubblica». L’ultimo sogno, l’obiettivo della sua lastdance, l’ultimo ballo. Un sogno di fronte al quale, per giorni diventati settimane e settimane diventate mesi, il Cavaliere s’è messo a correre contro ogni pronostico, com’era stato anche nel ’93 di fronte alla discesa nel campo della politica. E di fronte al quale si è fermato ieri pomeriggio.
La «responsabilità nazionale» evocata nella nota mandata al vertice della coalizione e letta da Licia Ronzulli, la calcolatrice dei voti che si era inceppata e financo l’unità del centrodestra, per non dire di ambizioni da king maker che non ha mai coltivato nel corso di una vita intera, c’entrano solo fino a un certo punto con la scelta di fermarsi. Dove non hanno potuto i consigli di Gianni Letta, gli ammonimenti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i suggerimenti neanche troppo amichevoli degli avversari, ha potuto — e tanto — l’orientamento della famiglia.
I figli gli hanno parlato a più riprese e l’ultima chiacchierata di ieri pomeriggio con la primogenita, Marina, è stata l’argine che ha impedito alle tante gocce di far traboccare un vaso ormai ricolmo. Visto l’enorme stress a cui era stato sottoposto negli ultimi giorni, viste le notti insonni, la trance agonistica, come avrebbe reagito il cuore di un ottantacinquenne di fronte all’incubo del «fuoco amico», ai possibili «franchi tiratori», al tira e molla dentro la coalizione, alla spietatezza della politica? «E se qualche gruppo organizzato si presenta qua sotto casa manifestare, nelle prossime ore?», gli è stato fatto notare tra le mura di Villa San Martino.
(Il Corriere ha una newsletter dedicata all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Si chiama Diario Politico, è gratis, e per iscriversi basta andare qui )
Da qui, senza neanche la convinzione che l’ha spinto (per adesso) a mostrarsi di fronte a una telecamera, senza nemmeno la voglia di presentarsi al vertice di coalizione per rendere conto della riserva finalmente sciolta ai suoi alleati, Berlusconi si è imposto il più lacerante degli altolà. Triste tantissimo, solitario forse no, final può darsi, come nella tripartizione degli aggettivi attribuita da Osvaldo Soriano al leggendario detective Philipe Marlowe.
Da oggi arriverà il momento di giocare le carte che gli rimangono in mano, e non sono poche, sul tavolo della gigantesca mano di poker finale che porterà alla presidenza della Repubblica. Le prime lanciate per interposta persona sono il niet (provvisorio o no?) al trasferimento al Colle di Mario Draghi; mentre nel taschino, dicono, ha un mazzo di jolly che va dall’ipotesi di benedire la corsa di Pier Ferdinando Casini al sogno impossibile di scavare, come se fosse una talpa, l’ultima, impossibile galleria che può portare al Mattarella bis.
Ma questi sono i temi della politica. L’uomo, nella notte, riflette sul senso di una storia che si apre e si chiude, su come ogni film non debba avere per forza il finale che si merita, su come questo non fosse a suo dire il finale giusto. La cura maniacale delle luci, della libreria, dello scrittoio, nella discesa in campo di ventotto anni fa; il politichese quasi asettico della nota vergata in Word dell’uscita dal campo, ieri. Il sussulto prima di andare a letto, forse in vista dell’ennesima notte insonne, confessato ai fedelissimi è quasi un avvertimento. «Ma non finisce qui». La stessa frase del suo compianto amico Corrado Mantoni quando lanciava la pubblicità.
Forza Italia, il malessere di Berlusconi: la famiglia lo ha convinto a rinunciare al Quirinale. Emanuele Lauria su La Repubblica il 23 Gennaio 2022. "Ma Silvio dov'è?". Nel giorno più atteso, nell'ora in cui avrebbe dovuto sciogliere la riserva sulla sua candidatura per il Colle, l'assenza di Silvio Berlusconi è una notizia che solo per poche ore rimane coperta. Nel corso del primo vertice della giornata, quello fra i big forzisti, viene addirittura fatta circolare una frase del Cavaliere ("Non ho ancora deciso") che in realtà non è mai stata pronunciata.
Berlusconi, fenomenologia di un ritiro. Alessandro De Angelis su huffingtonpost.it il 22 Gennaio 2022.
L'addio al sogno del Quirinale e un'assenza da comprendere e decrittare. In una ridda di voci sulle condizioni di salute e sulla forte delusione verso gli alleati, molto generosi nell’apprezzare il ritiro, meno nel costruire l’ipotesi.
La fenomenologia di un ritiro, gesti, scenografia, clima. Da sempre cimento, per i cronisti che raccontano Berlusconi, nell’intreccio tra indole e politica, come quella volta che, presentatosi al cospetto di Giorgio Napolitano per rassegnare le dimissioni da premier, chiese una sosta fisiologica alla toilette. E sparì per una mezz’ora perché era ancora lì, a fare le telefonate, per evitare di mollare.
Da liberoquotidiano.it il 22 gennaio 2022.
Svela un aneddoto su Silvio Berlusconi in diretta da Myrta Merlino a L'aria che tira su La7, la regina dei sondaggi Alessandra Ghisleri. Il Cavaliere, racconta la direttrice di Euromedia Research "non vuole intermediari. Un giorno quando aveva il 75 per cento di fiducia secondo i sondaggi, lui fece una pausa e mi chiese perché il 25 per cento rimanente non lo amasse".
E quindi, osserva Alessandra Ghisleri: "È insito nella sua natura, Berlusconi ha difficoltà a capire chi non lo ama, vuole raccontare come lui si vede". Basta vedere la pubblicità che ha fatto sui giornali, prosegue la sondaggista, "per capire com'è. È come Instagram quando mettiamo le foto della parte migliore di noi".
Intanto, secondo l'ultimo sondaggio della Ghisleri per Porta a porta, il Pd sale attestandosi come il primo partito con il 21,6% mentre, cala FdI che si ferma al 18,9 seguita dalla Lega al 18,5 per cento. Il Movimento 5stelle invece perde, secondo la sondaggista, l'1.3 per cento, fermandosi al 14.4 per cento. Forza Italia di Berlusconi sarebbe oggi all'8.2 per cento con un calo di mezzo punto percentuale. Se si guarda alle coalizioni, quella di centrodestra (Fdi + Lega + Fi + Altri di Centrodestra) otterrebbe il 47.2 per cento, mentre quella di centrosinistra (Pd + M5S + Mdp-Art.1 + SI) si fermerebbe al 40.
La lezione di Berlusconi. Pier Francesco Borgia il 23 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Il leader si consulta con ministri, dirigenti e familiari. Poi comunica agli alleati del centrodestra il suo passo indietro. L’orgoglio degli azzurri: "Anche questa volta antepone gli interessi del Paese, l’unico vero statista".
Più che un coup de théâtre è un atto di sensibilità. Quel mancato collegamento con i suoi alleati al vertice - da tutti tanto atteso - è un atto d'amore nei confronti del Paese. Silvio Berlusconi fa un passo indietro e rinuncia alla candidatura al Quirinale. E non solo. Evita anche di partecipare al summit. E affida alla senatrice Licia Ronzulli, presente al vertice insieme con Antonio Tajani, il compito di far conoscere agli alleati la posizione di Forza Italia.
E il passo indietro arriva al termine di una giornata a dir poco intensa. Ad Arcore Berlusconi ha incontrato e parlato con amici e familiari fino all'ultimo. Alle 16.30 si è collegato in videoconferenza con i ministri e i sottosegretari di Forza Italia. Anche in quello che è stato l'ultimo sondaggio prima della decisione è arrivato un coro di incoraggiamento. Da Brunetta, Gelmini, Carfagna e dai sottosegretari è stato manifestato infatti un atto di piena fiducia. Ma non è bastato. Come non sono bastati i numeri. Ed è lo stesso Berlusconi a rivelarlo con il comunicato diffuso in serata alle agenzie di stampa. «Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali, anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centro-destra - dice -, ho verificato l'esistenza di numeri sufficienti per l'elezione. È un'indicazione che mi ha onorato e commosso».
La reazione è stata unanime non solo tra gli alleati. Da Meloni a Salvini, passando per i centristi e pure per rappresentanti di altri partiti (come lo stesso Giuseppe Conte), tutti hanno riconosciuto il grande senso di responsabilità e la sensibilità politica del leader azzurro. Il quale ha sottolineato che la scelta del successore di Mattarella deve essere improntata alla massima condivisione possibile. Un nome autorevole e di alto profilo capace di raccogliere il massimo consenso possibile.
Insomma si deve replicare per la scelta del nuovo inquilino del Colle lo stesso ragionamento che ha portato alla nascita del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Dove la gran parte delle forze politiche in campo ha accettato di entrare per far uscire al più presto l'Italia dall'emergenza. Un esecutivo, questo, che secondo Berlusconi e i vertici di Forza Italia non ha ancora esaurito il suo compito. Draghi, ripetono i ministri di Forza Italia durante la riunione con Berlusconi, deve condurre il Paese fuori dall'emergenza sanitaria e dalla crisi economica, mettendo in sicurezza i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Una priorità per il Paese di fronte alla quale tutto il resto passa in secondo piano.
E le parole di Berlusconi sul futuro della legislatura e soprattutto del governo Draghi, dimostrano - a detta degli alleati - che il leader di Forza Italia è un «uomo delle istituzioni», tutt'altra cosa dall'«impresentabile» secondo tanti esponenti del centrosinistra.
La linea di Forza Italia viene sintetizzata da Antonio Tajani al termine del vertice con i ministri e sottosegretari azzurri. «Draghi deve restare a Palazzo Chigi». Il coordinatore nazionale azzurro aggiunge anche che non c'è alcun bisogno di rimpasti o nuovi ingressi nell'esecutivo.
Dal partito di Berlusconi, poi, viene ribadito che il centrosinistra non può assolutamente porre veti alle candidature avanzate dal centrodestra. E avverte che il passo indietro del leader azzurro è un atto di generosità e senso delle istituzioni che deve ispirare le prossime mosse per la scelte del futuro inquilino del Colle.
«Pochi possono vantare il coraggio e la visione politica di Berlusconi», commenta il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè al termine della riunione col leader azzurro. «Ancora una volta il presidente Berlusconi ha confermato il suo senso dello Stato, il suo impegno costante per un'Italia migliore, il suo anteporre gli interessi del Paese a quelli di una sola parte politica», conferma la ministra Mariastella Gelmini ricordando che il passo indietro replica nello spirito l'impegno preso un anno fa «permettendo la nascita del governo di unità nazionale, guidato dal presidente Draghi».
«Siamo profondamente commossi per la dichiarazione del Presidente Berlusconi - commenta la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini -. Ancora una volta ha dimostrato cosa significhi fare politica, mettendo da parte se stessi e puntando alla massima unità con generosità e saggezza». «Una generosità - aggiunge la senatrice Ronzulli - che ci rende orgogliosi. Tutti oggi gli riconoscono di essere uno dei pochi statisti che il nostro Paese ha avuto». Pier Francesco Borgia
Paolo Brusorio per "la Stampa" il 18 gennaio 2022.
«Solo un genio poteva pensare a me». E così è subito chiaro da che parte stia Arrigo Sacchi. E, soprattutto, che cosa pensi della scalata al Colle di Silvio Berlusconi. «Il genio», se non si fosse capito.
Istruzioni per l'uso: c'è un calcio prima di Sacchi e uno dopo. Arrigo da Fusignano, l'ultimo vero rivoluzionario. Ha vinto tutto con il Milan, meno di quello che avrebbe potuto fare con quel po' di squadra che allenava gli rinfacciano ancora i detrattori in imperituro servizio. Ha diviso l'Italia del pallone proprio come Berlusconi, il suo presidente, ha fatto con l'Italia tout court.
Arrigo, se l'aspettava questa candidatura?
«Da Berlusconi ti puoi attendere ogni cosa. Lo penso da quella volta che mi disse "la seguirà" dopo che alla guida del Parma avevo battuto il suo Milan. Ricordo ancora: ci vediamo una sera a Milano Marittima, mi mette subito a mio agio e dopo neanche mezz' ora mi sembra di conoscerlo da sempre. Io non ero nessuno e così buttai lì: o siete dei geni o siete dei pazzi ad affidarvi a me. Io avrei dovuto incontrare il conte Pontello per allenare la Fiorentina, Berlusconi mi fece firmare con il Milan il giorno prima. Mi dimostrò subito di avere grandi progetti, mi disse che saremmo diventati la squadra più forte del mondo. Ed è andata proprio così. Aveva una carica tale che era impossibile resistergli».
Le ha mai confessato, "Arrigo da grande farò il presidente della Repubblica"?
«No, ma è un uomo che non solo si pone degli obbiettivi. Li raggiunge anche. Quando era presidente del Consiglio e io ct della Nazionale, mi disse: "Se riesci anche nell'impresa di vincere il Mondiale ti faccio fare il ministro dello Sport"».
E lei che cosa rispose?
«Che il ministero non c'era. Lui scoppiò a ridere e mi disse che l'avrebbe inventato apposta. E se avessimo vinto, sono sicuro che avrebbe provato a farlo».
Scusi, ma come fa un uomo che ha diviso l'Italia per oltre 30 anni, a pensare ora di rappresentarla tutta?
«Berlusconi è intelligente, generoso. E si fida. Pensi che una volta gli ho fatto comprare un giocatore che aveva una menomazione al ginocchio tale da causargli un deficit fisico del 20%».
Nome?
«Un certo Carlo Ancelotti»
Va bene, ma non è un po' poco per candidarsi a Capo dello Stato?
«Guardi, non mi tiri dentro nella bagarre politica. Io in una stessa elezione ho votato Bonaccini, che conosco e stimo molto, e Berlusconi che ho visto da molto vicino. Penso per questo di essere obbiettivo».
Quindi come la mettiamo con le vicende giudiziarie del Cavaliere. Un presidente della Repubblica deve essere senza macchia o no?
«Parlo per quello che so. Berlusconi con me è sempre stato senza macchia. E ho lavorato con lui per 5 anni al Milan e per altri dieci a Mediaset. È stato accusato di tutto, incredibile. Nei miei confronti si è sempre comportato in maniera cristallina, non mi ha mai dato una lira in nero».
Se fosse uno dei Grandi Elettori non avrebbe dubbi allora?
«Lo stimo, gli sono amico e riconoscente. Si, se fossi in Parlamento lo voterei. E poi, dopo tutti i guai fisici che ha avuto, sarebbe per lui un gran finale».
A proposito: dopo tutto quello che ha passato, problemi di salute e guai giudiziari, se l'aspettava ancora in prima linea a 85 anni?
«Berlusconi è come quella vecchia pubblicità - che Sacchi adatta un po' alla bisogna, ma insomma rende l'idea - più lo mandi giù più lui si tira su».
Presto sapremo il destino della sua candidatura, ma si è fatto un'idea di come verrà ricordato Berlusconi nei libri di storia?
«Vedo molta poca serenità nei giudizi su di lui. Comunque, mi dia retta, è ancora presto per parlarne al passato».
Immagini Berlusconi nelle stanze del Quirinale: uno come lui abituato a decidere, non si sentirà come un leone in gabbia visto il supremo ruolo istituzionale che quella carica comporta?
«Per come l'ho conosciuto io, non è affatto un decisionista. Nel nostro primo Milan si era innamorato di Borghi, un attaccante argentino che io non ritenevo adatto al mio gioco. Voleva tenerlo e invece mi diede retta e lo vendemmo il prima possibile. Sa ascoltare gli altri. Gli ho fatto comprare anche giocatori non proprio in linea con la sua mentalità».
Che consiglio gli darebbe?
«Di avere una grande pazienza. Al tempo del Mondiale '94 gli dissi: "la mia impresa è difficile, ma la tua è impossibile".
Questo perché gli italiani hanno il senso della Nazione, ma non dello Stato. Che è visto come un nemico. Al tempo poi, in alcune redazioni, c'era l'ordine di sparare sulla Nazionale perché io arrivavo dal Milan e lui era premier. Finimmo secondi e non ci fecero neanche Cavalieri della Repubblica. Se non fu pregiudizio quello...».
Da premier era presidente del Milan che vinceva tutto, una squadra la cui forza e qualità è scolpita nella storia del calcio. Ora corre per il Quirinale ed è patron del Monza, sesto in serie B. Non trova che la parabola travalichi il pallone?
«Mi scappa da ridere. Che cosa vuol dire? Sono sicuro che darebbe tutto. Anche se l'Italia è peggiorata molto: una volta i barbari stavano oltre le Alpi, adesso stanno tra noi».
Lo sente spesso?
«Ultimamente un po' meno. Sa che all'inizio non riuscivo neanche a dargli del tu?».
E poi come si è sbloccato?
«Ho seguito il suggerimento di Berlusconi».
Che fu?
«Arrigo mettiti davanti allo specchio tutte le mattine e ripeti: Silvio è uno stronzo, Silvio è uno stronzo. Così prenderai confidenza con me e poi ti riuscirà più semplice passare al tu».
Lo fece?
«Diciamo che riuscii a passare al tu».
Le ha sempre dato retta?
«No, quando era ancora proprietario del Milan gli suggerii di prendere Sarri come allenatore. Dopo trent' anni, cioè quando mi portò in rossonero, avrebbe dimostrato di essere altri vent' anni davanti agli altri. E glielo dissi».
I fatti dicono che non ascoltò il suggerimento. Non sarà per le idee, diciamo non proprio forziste, dell'allenatore toscano?
«Non credo fosse per quello. Di sicuro Sarri ha un carattere che poteva non piacergli. Quando andò al Napoli, facendo molto bene, ammise di essersi sbagliato. E, mi creda, sbagliare è un verbo che Berlusconi usa poco».
Tommaso Ciriaco e Fabio Tonacci per repubblica.it il 16 gennaio 2021.
Denis Verdini è uomo di passioni forti e spietata ironia. E infatti, così comincia la lunga email che il 12 gennaio scorso scrive a Dell'Utri e Confalonieri, due amici della prima ora: “Caro Marcello, Caro Fedele, è stata davvero una bella mattinata nella quale alcuni ‘vecchietti arzilli’, come quelli di Cocoon, hanno ritrovato il gusto del sogno. Ed è stato bello sognare di mandare Silvio al Quirinale e pensare agli innumerevoli suicidi dei vari Travaglio, Gruber, Zagrebelsky…”.
E' solo il primo di una serie di impietosi passaggi contenuti in uno dei suoi celebri “memo” riservati, spediti ogni settimana ad amici selezionati. Usanza che neanche gli arresti domiciliari per il crac del Credito cooperativo fiorentino hanno interrotto.
Di fronte allo scenario del Cavaliere al Quirinale, il fu gran cerimoniere degli intrighi berlusconiani, accarezza l’emozione del riscatto. Paragrafo dopo paragrafo, nell'email pubblicata dal Tirreno l'ex senatore di Ala si cala nei panni di Berlusconi, alla ricerca disperata di voti dell’altra sponda. E quasi ringiovanisce, mentre dispensa i trucchi del mestiere, con generosità figlia dell’antico legame. “Mi permetto di suggerirvi di passare dai numeri garantiti da sedicenti portatori di voti, ai nomi. Questo servirà a far scoprire le carte e ad evitare che vi vendano due volte la stessa merce. E di assegnare a costoro una ‘firma’ riconoscibile”.
Sostanzialmente è un lungo e dettagliato vademecum per una sfida che lui stesso considera complessa, ai limiti dell'impossibile. Da combattere, ma ben sapendo che bisogna evitare al Cavaliere l’onta della sconfitta e ai moderati la disfatta ingloriosa: “In trent’anni – ricorda - il centrodestra mai è stato così vicino, nei numeri, a poter conseguire un risultato che mai ha ottenuto”.
L’appunto inizia come un flusso di coscienza. Riga dopo riga, emerge una tensione che quasi porta a spezzare la corda, l’eterno pendolo tra le ragioni del cuore e l’imperativo della famiglia: l’affetto per Silvio e quello per Matteo (nel senso di Salvini, fidanzato con la figlia di Verdini). “Il nostro Presidente ha la legittima ambizione di coronare il suo straordinario percorso”, premette, e “nessuno nel centro-destra può negargli questa opportunità”. Pd e 5S, ragiona Verdini, hanno già alzato barricate e “potrebbero essere tentati dalla soluzione dell’Aventino”, che già nel 2013 fece implodere il Nazareno con lo psicodramma dei 101 franchi tiratori. Berlusconi può provarci, anche perché “il Presidente ha dato informalmente ‘certezze’ su presunte disponibilità di voti o pacchetti di voti in suo favore, al di fuori del centrodestra”. Tutto questo a un patto, ed è qui che entra in gioco la famiglia: “Credo che in questa fase si possa pretendere la lealtà degli alleati, a condizione che nessuno (e soprattutto Salvini) si veda sottratto il proprio ruolo”.
Ecco il punto, provare la scalata ma senza irritare il sovranista e provocare una slavina. “Quello cioè che non si può pretendere da Salvini è che rinunci al tentativo di esercitare un ruolo da king maker. Gli si può chiedere dunque lealtà, ma non fedeltà assoluta, senza se e senza ma. Perché un’eventuale sconfitta sul Quirinale pregiudicherebbe anche la sua carriera politica”. Insomma, “il nostro Presidente” non può vestire i panni del candidato e del king maker. “Già non è mai esistito qualcuno che si è autocandidato al Quirinale. Non credo che la storia ci consentirà di fare entrambe le cose”.
Il memo qui, come un sussulto, si fa d'un tratto pragmatico, quasi brutale. Si cala nel sangue e fango della contesa parlamentare. Dal cuore alla ragione. Anzi, al rigore del professionismo, forgiato da anni di retroscena, conteggi d'aula, strategie. Verdini consiglia di “segnare” i voti, come per altre elezioni presidenziali. In cambio, Berlusconi deve assicurare lealtà agli alleati in casi di fallimento. “Passando quindi alla pratica, alla quarta chiama ciascun gruppo politico del centro-destra si farà ‘riconoscere’ firmando le schede.
A Fratelli d’Italia sarà detto di votare Silvio Berlusconi, alla Lega di votare on. Silvio Berlusconi e così via… Nel caso che alla quarta votazione non si palesino i voti aggiuntivi in numero sufficiente a far eleggere il Nostro, il Presidente dovrà rassicurare gli alleati della propria disponibilità a concordare SOLO con gli alleati le mosse successive che dovranno andare nella direzione di eleggere comunque un nominativo indicato dal centro-destra”.
Verdini, alla tastiera del suo computer nel domicilio dove ha scelto di scontare la condanna definitiva a sei anni e sei mesi (secondo i suoi legali, senza limitazioni nell'incontrare persone), va oltre. Sintetizza in dieci punti il senso della partita politica in ballo: “E’ giusto che Berlusconi alla quarta votazione provi a diventare Presidente”. Senza però scoprire le carte: “Trattandosi di rapporti personali e particolari Silvio non può, per evitare sputtanamenti, comunicare i nomi da lui conquistati agli alleati”.
Preso atto che “è tutto nelle mani di Silvio”, però, Verdini delinea un secondo, più probabile, scenario. “Se ciò sfortunatamente non dovesse accadere, Silvio deve permettere a Salvini di portare a termine l’obiettivo di eleggere un presidente di centrodestra, fornendogli tutto il suo appoggio”, eliminando “tutto il chiacchiericcio dai giornali sul fatto che Berlusconi, dopo un eventuale esito negativo della quarta votazione, potrebbe spaccare il centrodestra votando Draghi, Amato o chissà chi altro”. Un patto tra gentiluomini, detta altrimenti. Anche perché, “se Salvini o Meloni capissero che il Nostro ha seconde carte o piani B, sarebbe l’intero centrodestra a saltare per aria. Fuori da questo schema è evidente che chi smania di votare Draghi (la Meloni) o chi vuole legittimamente far pesare i suoi 215 grandi elettori (Salvini) si sentirebbe libero di fare come gli pare”.
L’ultimo passaggio è impregnato di nostalgia per i tempi che furono, quando Verdini ribaltò i numeri parlamentari a favore di Berlusconi schiacciando in un angolo Gianfranco Fini. Gli valse l'imitazione di Maurizio Crozza, trasformato dal comico in un taxista capace di traghettare frotte di peones da un gruppo all’altro dell’emiciclo.
Stavolta è diverso, e l’antico amico non sconsiglia di valutare anche un gesto che eviti l’azzardo della conta. “Se Berlusconi ha i voti di tutto il centro-destra, potrà comunque fare autonomamente la scelta di ritirarsi ancora con dignità all’esito della quarta votazione. Ma se non dovesse portare a casa neppure i voti del centro-destra, sarebbe un disastro. Se fosse un disastro annunciato, sarebbe ancora peggio per chi lo ha portato a questo punto”.
Federica Pascale per iltempo.it il 15 gennaio 2022.
“È del tutto lecito che il centrodestra avanzi una sua candidatura ed è lecito, ai miei occhi, che sia quella di un protagonista indiscutibile degli anni che abbiamo trascorso”.
Estratto dell'articolo di Giovanna Casadio per repubblica.it il 17 gennaio 2022.
È il diavolo che ci ha messo la coda. Nella redazione del Secolo d'Italia, giornale della destra storica, e nella Fondazione di Alleanza nazionale che lo edita, la giustificazione è: "Colpa del diavoletto della tipografia".
Sarà il "diavoletto" oppure un lapsus che - Freud insegna - la dice lunga sui veri sentimenti, comunque il titolo di prima pagina di stamani, sembra un manifesto della destra controcorrente. Urla in due righe: Colle, il centrodestra: "Il Cav scelga la riserva". Sottolineato rosso.
Ora tutti sanno che il vertice del centrodestra a Villa Grande si è concluso con un appello di Salvini, Meloni e compagnia a Silvio Berlusconi affinché "sciolga" la riserva. Come dire, decidi tu.
Ma di seguire e eseguire la volontà del Cav, forse non c'è gran voglia soprattutto nelle file della destra all'opposizione, di Fratelli d'Italia, che sta nella Fondazione, insieme a molti degli antichi colonnelli di Gianfranco Fini (il quale però non partecipa), a cominciare da Italo Bocchino, direttore editoriale del quotidiano, da Mario Landolfi ex ministro delle Comunicazioni, Gianni Alemanno, Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri.
Il direttore operativo Girolamo Fragalà, detto Jimmi, è stato svegliato da Francesco Storace, l'ex direttore, gran battutista, che lo ha incoraggiato: "Fatti una risata...". Ma c'era assai poco da ridere. "Se fosse stato un errore mio, avrebbe voluto dire che ho la vocazione al suicidio...", commenta Fragalà.
Solo un refuso, che è stato corretto subito in mattinata. Però già circolava sui social quel criptico invito a Berlusconi a scegliere la riserva.
Con un seguito di ogni declinazione possibile. Ovvero: scegliere di fare la riserva (un passo indietro). Oppure: scegliere una riserva (suggerimenti: Gianni Letta). O ancora: ritirarsi in una riserva (lontano, in un altro continente)".
LA REPLICA DEL SECOLO D'ITALIA A REPUBBLICA
(...)
Luca Maurelli per secoloditalia.it il 17 gennaio 2022.
Ci sarebbe da piangere, più che da ridere, ma noi siamo giornalisti allegri e non possiamo fare a meno di cogliere gli aspetti spassosi di questa primizia storica del giornalismo italiano.
Mai, neanche quando Repubblica annunciò in in titolo a tutta pagina che le “Fregne” erano “invase dalla folla” – per poi scoprire che il caos non era originato da un’orgia pubblica ma da una mattinata di sole a “Fregene” con assembramenti non vaginali – un giornale si era sognato di prendere sul serio un refuso tipografico, trasformarlo in notizia su un altro giornale e annunciarlo in prima pagina come scoop.
Di quel divertentissimo strafalcione tipografico Fregne-Fregene si sorrise, sul web, ma nessuno osò ipotizzare che si trattasse di un’inchiesta sulla presenza di rattusoni sul litorale laziale o di un attacco politico al governo sulla moralità dell’esecutivo. Era un refuso, non un lapsus, sembrava fregna, era fregene, basta, lo avrebbe capito anche un maniaco sessuale.
Lo scoop basato su un errore di un collega
Ieri, invece, per la prima volta nella storia del giornalismo italiano, abbiamo assistito al materializzarsi di uno “scoop” interamente basato sul refuso tipografico di un altro giornale e spacciato per formidabile retroscena politico da parte di Repubblica, visto che nella home page è stata piazzata un’articolessa dietrologica basata su un errore di battitura scappato al Secolo d’Italia, peraltro non nella sua edizione principale, quella on line (che ormai rappresenta la quasi totalità dell’offerta e dell’utenza giornalistica del nostro quotidiano) ma sulla versione cartacea destinata al solo pubblico di abbonati e disponibile via mail.
Un refuso corretto già nella seconda edizione, in ribattuta, all’alba, come capita da sempre in tutti i giornali che incorrono in un errore iniziale. Troppo tardi, c’era solo un giorno di tempo per prenderne atto, troppo poco per chi ha già deciso di scrivere…
Se volessimo ridere dello scoop di Repubblica, e in effetti non possiamo farne a meno, ci sarebbe da ricordare che il New York Times ha scoperto un proprio refuso in prima pagina dopo cento anni, noi dopo otto ore, siamo stati più bravi…
Ma nel dettaglio, vediamo qual è questo clamoroso refuso del Secolo d’Italia che ha scatenato i retroscenisti, i quirinalisti, gli origliatori, i ben informati, gli inviati speciali a Disneyland del quotidiano di Largo Fochetti, inducendoli a titolare, in prima pagina, sul sito, su quell’inquietante interrogativo che ha scosso i Palazzi della politica romana, fatto rabbrividire il Cavaliere, scosso le cancellerie europee e messo in fermento i mercati mondiali: “Il Secolo d’Italia e il titolo su Berlusconi: da “sciolga” a “scelga la riserva”. Refuso o lapsus?“.
Refuso o lapsus, dunque: questo l’agghiacciante dilemma posto da Repubblica, che per una giornata intera ha tenuto in ansia i lettori del sito, ai quali sarebbe bastato aprire il pezzo (ma riservato solo agli abbonati) per avere la risposta e fargli staccare il defribillatore che ne teneva a bada le coronarie.
“E’ un refuso”, spiegavano serenamente i giornalisti della nostra testata, invano. Sicuri? “Certo, è un refuso”. Ma se fosse un lapsus? “Nooo, è un refusooo”. Un colpo al cuore, per l’intervistatrice, che dimostrava una certa difficoltà nell’elaborare il lutto per la banalità della non notizia, inducendola a scavare nei meandri della tipografia del Secolo fino a riapparire sconvolta dal dilemma: dite la verità, colleghi, refuso o lapsus finiano?
“Il Cavaliere scelga la riserva” – il titolo errato – aveva aperto a Repubblica scenari da golpe dei colonnelli, di moniti criptici al Cavaliere affinché si facesse da parte, segnali massonici di congiure ordite nelle segrete delle tipografie redazionali per un nome di riserva da proporre per il Colle: si trattava, invece, solo di un involontario complotto del correttore automatico che aveva storpiato l’originario titolo, “Il Cavaliere sciolga la riserva“, ovviamente in relazione alla candidatura prospettatagli dal centrodestra.
Se ne può sorridere, su Twitter, come ha fatto qualche buontempone, del resto i ditini alzati sui social sono perfino più diffusi dei refusi nei giornali, certo. Ma che un giornale serio come Repubblica costruisse su un errore di battitura un articolo in cui sui ventila un “lapsus” più o meno freudiano degli ex finiani presenti nel Secolo d’Italia – per affossare Berlusconi o lanciare segnale politici trasversali alla Meloni o agli alleati – per un refuso finito un’edizione in pdf che leggono poche migliaia di persone rispetto a quella web su cui c’era il titolo corretto e che viene vista ogni giorno da mezzo milione di persone, nessuno poteva immaginarlo.
E’ la stampa, bellezza. Datemi un refuso e vi costruirò un retroscena nel quale neanche le testimonianze esclusive dei colleghi che avevano scritto l’articolo con il titolo incriminato sono servite a evitare che l’errore assurgesse a notizia. Dalle fregne, alle fregnacce, potremmo titolare oggi.
Poco conta che in passato, lo stesso giornale romano (come quelli di tutto il mondo) si fosse reso protagonista di strafalcioni altrettanto cattivi e divertenti, dallo storpiamento del nome del suo fondatore in “Eugeni” Scalfari, al commissario Calabresi ucciso ma scambiato per il figlio Mario in una rubrica, per non parlare di errori più banali, che qualche simpatico animatore di social aveva ripreso sul web.
Sul trash web, appunto, non su autorevoli testate web. Per nostra sfortuna, però, l’inchiesta sui colleghi che sbagliano, sulla tipografia distratta e sui “finiani” che sostituiscono le lettere sulla tastiera del direttore o fingono lapsus per attaccare il Cavaliere, non ha fatto breccia su nessun altro giornale. E un po’, sinceramente, ci dispiace. Siamo amanti del giallo, anche quando non c’è.
“Il mio debole sta nel sospettare in ogni insurrezione dell’alfabeto un complotto contro di me, diretto da un innominato in camice da lavoro, un tizio dalle mezze maniche, comunque si chiami, proto o linotipista: in realtà un nebbioso tiranno che ha preso a malvolermi sin dal principio”. (Il refuso, Gesualdo Bufalino)
Da iltempo.it il 19 gennaio 2022.
"Mi sono sempre rifiutato di pensare, come ha fatto la sinistra, che Berlusconi sia il buono della destra. Salvini e Meloni fanno i politici, Berlusconi è un delinquente". La sola idea che il Cavaliere possa salire al Colle fa impazzire Marco Travaglio, che recita il solito copione su cui ha costruito una carriera per distruggere la candidatura del Cavaliere.
"Ha finanziato la mafia per 20 anni, non potrebbe fare neppure il bidello" tuona il direttore del Fatto Quotidiano durante la puntata di "Otto e Mezzo" su La7 condotto da Lilli Gruber, dove i pareri anti-Berlusconi sono praticamente unanimi, fatta eccezione per Stefano Zurlo de Il Giornale.
"Siamo nella fase delle bombe di Maurizio Mosca - dice ancora Travaglio ironizzando sul toto-voto - sul presidente ci si accorda in segreto, sappiamo benissimo che se un partito lancia un nome, quel nome è bruciato. L'unico che si comporta come se fossimo negli Stati Uniti è Berlusconi, lui scioglierà la riserva dopo aver finito le telefonate tentando di arruolare o addirittura comprare parlamentari. Non sarebbe la prima volta. La sua candidatura è improbabile dal punto di vista numerico, ma per lui è un successo rispetto a un anno fa quando secondo i giudici era morente e svernava a Nizza per paura del Covid e dei giudici".
Fabio Martini per "la Stampa" il 20 gennaio 2022.
Per oltre 20 anni, con trasmissioni dai nomi diversi, si è portato dietro milioni e milioni di telespettatori, pochissimi come lui hanno influenzato tanto una fetta di opinione pubblica "indignata" e in questa intervista Michele Santoro sostiene che il flebile contrasto alla candidatura di Silvio Berlusconi è un segno di debolezza dei partiti, anche di quelli di centrosinistra: «Dovrebbero dire tutti che Berlusconi è, semplicemente e chiaramente, inadatto a diventare il capo dello Stato. E invece chi non lo vuole al Quirinale, come il Pd e i Cinque stelle, si limita a definire la sua candidatura come divisiva. Oramai è come se i "sopravvissuti" del sistema politico si tenessero per mano.
Un girotondo nel quale si ha paura di mollare uno degli elementi. Un girotondo sul bordo di un precipizio: se lasciano andare uno, magari cascano tutti assieme. C'è una sorta di solidarietà sull'esistente. Sono un po' colleghi: non se la sentono di parlar male di Berlusconi, che è un collega pure lui».
L'ultimo vero exploit politico-mediatico della sua vita Berlusconi l'ha fatto nel suo studio, quando pulì la poltrona di Marco Travaglio, un "numero" a suo tempo osannato che a distanza di anni si fatica ad immaginare come un gesto da futuro capo dello Stato: lei ci rimase male?
«Ci sono persone che ad un certo punto della propria vita si impegnano a capire chi sono. A me sta capitando, ma credo che questa non sia una problematica per Berlusconi. È così fuori da sé, nel suo bisogno di auto-rappresentarsi, che si nutre della droga della spettacolarità dei suoi comportamenti. In quella trasmissione confermò di essere un uomo di spettacolo, ma al tempo stesso era una resa.
Partecipando alla trasmissione, legittimò i suoi critici. Berlusconi limitò una sconfitta che fu devastante: milioni di voti persi. Noi siamo il Paese di Alberto Sordi e quindi se uno pulisce una sedia in segno di disprezzo di un giornalista, diventa quasi simpatico. In un altro Paese gli avrebbero detto: ma dove vai?».
Berlusconi ha ottenuto che le forze che rappresentano quasi metà del Paese lo ritengano un plausibile candidato alla presidenza della Repubblica: che segnale è?
«Di Berlusconi mi sorprende la tenacia. Lui è uno straordinario ballerino della politica: ballerebbe il tip-tap sulla sua tomba. Ha un'irriducibile vitalità. Invidiabile, soprattutto da persone della mia età. Però offre un'immagine patetica del nostro sistema democratico che punta su un ottantacinquenne, del quale tra l'altro non conosciamo lo stato di salute.
E non sto facendo invasioni della privacy, perché quando dobbiamo eleggere un presidente della Repubblica, è giusto preoccuparsi anche di queste cose. A leggere i certificati che manda in giro ogni volta che c'è un processo, bisognerebbe essere un po' preoccupati. Il centrodestra che lo sostiene non ha il senso esatto di cosa stia succedendo».
La Lega di Salvini e Fratelli d'Italia di Meloni sono eredi diretti di altrettanti partiti, la Lega di Bossi e An di Fini, che hanno combattuto Berlusconi spesso assai più della sinistra: hanno insufficiente cultura liberale?
«Come fanno queste due forze politiche, che hanno leader giovani che guardano al futuro, a non liberarsi della presenza di un personaggio così ingombrante anche per loro? Non riescono a prescinderne. Non devono mica ripudiarlo. Semplicemente pensare che si può andare avanti anche senza Berlusconi. Ma non ce la fanno.
Non so se abbiano maggiore o minore cultura liberale dei padri. Sicuramente non mi sentirei di paragonare Salvini a Bossi, che sia pure con tutte le critiche che gli si possono rivolgere, ha una sua grandezza. Meloni io penso sia una politica abbastanza abile, navigata e intelligente, ma non ha compiuto rotture che siano paragonabili a quelle compiute da Gianfranco Fini».
Santoro, non può negare che il Cavaliere sia un candidato legittimo.
«Certo, il candidato Berlusconi è eleggibile, ma siamo davanti ad una persona che sta affrontando diversi processi e dunque eleggerlo significherebbe sconfessare l'operato della magistratura italiana, disprezzarla. Tra l'altro si troverebbe a presiedere le riunioni del Consiglio superiore della magistratura una persona che ha dei giudici la stessa considerazione che posso avere io per i marziani.
Aprendo così una situazione di conflitto nei confronti di una delle fondamentali articolazioni dello Stato. Naturalmente i suoi amici e i suoi elettori possono pensare di rinnovargli la fiducia come capo di un partito, ma come si fa a pensare che lo Stato possa essere guidato da una persona in conflitto insanabile nei confronti della magistratura? Per non parlare dei conflitti di interesse irrisolti da anni. Certo, non è problema suo, ma della Repubblica italiana che non ha saputo darsi delle leggi efficaci in questo campo».
Non pensa che i Cinque stelle abbiano perso identità e appaiano quasi afoni?
«Loro dovevano atterrare tutti, dovevano rigenerare la nostra democrazia, ma a me pare che anche loro si tengano per mano con gli altri».
Se Santoro fosse un grande elettore, chi voterebbe per il Quirinale?
«Da anni, ogni volta che ci avviciniamo ad una scelta politica importante, viene fuori il tecnico. Una volta ci dice che non possiamo fare una lira di debito e tutti gli corriamo dietro, la volta successiva ci dice che possiamo spendere tutti i soldi che vogliamo. C'è sempre un ragionamento tecnico dietro.
Abbiamo un governo dell'emergenza e che rischia di diventare eterno. Per questo a me piacerebbe se Draghi diventasse presidente della Repubblica: con lui destra e sinistra non si sentirebbero umiliate. A quel punto i partiti potrebbero mettersi d'accordo sulle cose da fare per andare a votare. E potremmo ridare la parola al conflitto, al dibattito, alla contrapposizione. C'è un distacco tra i processi politici e la società che si manifesta nel voto: da 15 anni abbiamo governi e presidenti del Consiglio che non sono espressione del voto popolare. Questa è una patologia che a me spaventa».
Da corriere.it il 21 gennaio 2022.
Nanni Moretti all’attacco di Silvio Berlusconi e dell’eventualità che diventi presidente della Repubblica. Dopo anni di silenzio il regista ha postato una foto su instagram, molto eloquente: ovvero vi è raffigurato Elio Capitani che interpretò l’ex premier nel suo «Il Caimano del 2016».
Parole nette
Un post corredato da parole che non lasciano spazio ad alcun dubbi sulla contrarietà del regista all’approdo al Quirinale del suo «nemico»: « “Berlusconi è troppo divisivo”, dicono in molti. No, la cosa è più semplice: un personaggio così squalificato e indecoroso non può diventare presidente della Repubblica».
I deliri della sardina e i veri "trogloditi". Massimiliano Parente il 22 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Santori insulta il leader liberale che ha pubblicato l'intellighenzia di sinistra.
«Ho 34 anni, e la maggior parte della mia vita l'ho condivisa con il troglodita che vedete qui sotto». È l'inizio di un post su Facebook della sardina Mattia Santori che mi hanno girato degli amici, perché figuriamoci se seguo Mattia Santori, ma la cosa divertente è che sotto non c'è un'immagine di un australopiteco ma una foto di Silvio Berlusconi che si complimenta con Michelle Obama (mai dire a una donna che è bella, la sardina ha imparato che è sessista).
Segue una sintesi aneddotica da bar della biografia di Berlusconi, la culona data alla Merkel, il conflitto di interessi (che deve aver tormentato Mattia Sardina nella più tenera età), «per non parlare dei rapporti Stato-Mafia e la perdita costante di credibilità nel mondo», alla sardina sfugge che non c'è stata nessuna trattativa Stato-Mafia e che Marcello Dell'Utri è stato assolto, ma immagino anche Dell'Utri sia un troglodita con cui la sardina è stata costretta a condividere la vita, magari non passando mai in via Senato, dove c'è la meravigliosa biblioteca fondata da un senatore che ha passato ingiustamente sette anni in carcere (uomo coltissimo, di cui sono fieramente amico, ma lo dico io che sarò sicuramente uno scrittore troglodita, piuttosto che libri leggeranno le sardine?).
In pratica la raffinatissima sardina è nata ed è stata costretta a convivere con uno che ha fondato la televisione commerciale, ossia l'alternativa alla Rai in un paese statalista e controllato da democristiani e comunisti, e da bambino, avesse avuto la mia età, si sarebbe visto solo Dolce Remì e Heidi (che in realtà credo lo rappresentino molto), mentre noi grazie al troglodita abbiamo avuto accesso a serie come Supercar, Magnum P.I., L'uomo da 6 milioni di dollari, A-Team e mille altre, guardando programmi come il Maurizio Costanzo Show dove sono apparsi tutti i personaggi e gli intellettuali più importanti (me incluso a venti anni, la sardina era ancora sul girello), tutti trogloditi.
La sardina è cresciuta mentre la Mondadori di Berlusconi pubblicava i libri di tutta l'intellighenzia di sinistra, e poi idem quando ha acquisito Einaudi, non c'è nessun oppositore di Berlusconi che non sia tutt'oggi pubblicato da Berlusconi. Magari la sardina ha poi studiato e ha letto della mafia di cui parla nel post leggendo Gomorra di Roberto Saviano, pubblicato dal troglodita Berlusconi.
Deve essere stata una tortura, per una sardina così raffinata e intelligente e con un cervello quasi da Nobel nel formulare pensieri semplici in modo semplice, convivere con questo troglodita liberale che ha fatto la storia dell'Italia moderna. Con il quale, più volte, proprio in nome dei valori liberali, si è alleato Marco Pannella (che Silvio è andato a trovare prima che morisse), che però vai a sapere se era un troglodita pure Pannella, Mattia Sardina non lo dice nel suo post di Facebook. Io lo invidio, vorrei essere come lui, vorrei pensare come lui, perché in fondo noi essere umani siamo tutti trogloditi, mentre la felicità è questa, pensare come una sardina. Massimiliano Parente
La sinistra impazzisce di paura e riaccende la macchina del fango su Silvio Berlusconi. Hoara Borselli su Il Tempo il 19 gennaio 2022.
La paura fa 90! Eh già, sotto lo stimolo della paura si possono fare o dire cose incredibili, ad esempio si può cercare in tutti i modi di dipingere una persona come un mostro solo perché inconsciamente se ne riconosce la grandezza. Ciò che sta accadendo intorno alla figura di Berlusconi rappresentala narrazione perfetta di una sinistra connivente con una stampa ideologicamente allineata, che vuole in tutti modi allontanare i fantasmi della paura che si stanno facendo sempre più schiaccianti. L'incubo che da settimane incombe e toglie il sonno alla sinistra è che Berlusconi possa veramente riuscire nell'impresa e salire al Colle. Ciò che inizialmente appariva come una boutade, un esercizio di fantapolitica, oggi sta assumendo i contorni di una realtà sempre più concreta e inaccettabile, da chi, fino a oggi, è sempre stato l'indiscusso protagonista delle manovre sul Quirinale. Una sinistra che, conscia di essere declassata a semplice comparsa, sta agitando le braccia e sbraitando per cercare di ritagliarsi un ruolo sulla scelta del prossimo Presidente della Repubblica. Non trovando convergenze condivise su un candidato forte da schierare, non gli resta che fare ciò di cui sono abili maestri, ovvero, sgomberare il campo dallo scomodo avversario ancora prima di poterlo affrontare perché consci della sua forza.
E allora ecco che viene fatta ripartire la macchina del fango, atta a delegittimare con tutti i mezzi possibili la credibilità di Berlusconi e cercare di allontanarlo sempre di più da quel Colle che la sinistra sente per la prima volta vacillare. Oggi che ha tutte le carte in regola per tornare ad essere protagonista attivo nella scena politica, da «grande uomo» come lo definì Letta nel 2013 quando il Cavaliere gli rinnovò la fiducia a Palazzo Madama, è diventato oggi l'incandidabile. Addirittura lo stesso segretario Dem si è definito deluso e sorpreso che il centrodestra abbia proposto questo nome, visto che il Quirinale merita un alto profilo non politico e super partes. Premesso che la sinistra sta cercando non un alto profilo, bensì un altro profilo che non sia Berlusconi, quel «non politico» e «super partes» suonano come distonici rispetto a ciò che gli ultimi Presidenti della Repubblica hanno incarnato. Mattarella eletto con la tessera del Ps in tasca, Napolitano verrà ricordato nella storia come l'uomo che ha cambiato l'interpretazione e il ruolo quirinalizio. Non più garante ma protagonista dell'azione politica.
Non possiamo non ricordare Scalfaro, colui chiamato per garantire equilibrio a un Paese che aveva appena perso due figure come Falcone e Borsellino, che è stato arbitro «parziale» per tutto il settennato ed ebbe un ruolo determinante nel ribaltone che sconfessò la vittoria nel '94 di Berlusconi. Se questo è il concetto di Super Partes anelato da Letta, la puzza di veto ideologico non è poi così celata. Se poi ci mettiamo la dichiarazione sempre di Letta quando dice «sbagliato andare a cercare voti in Parlamento» è doveroso ricordargli ciò che accadde in quella infuocata settimana di compravendita in vista del Conte ter e domandargli se quando la ricerca dei vari Ciampolillo viene fatta dalla sinistra, la ricerca è democratica, e se la esercita la destra, diventa un atto illecito. Già che ci siamo ricordiamo a Letta che il discredito che sempre la sinistra attribuisce al Cavaliere in Europa, è si fantapolitica, dal momento che il pubblico endorsement fatto da Lopez e Weber, rispettivamente Segretario e Capogruppo della PPE, ha ribadito quanto in Europa la figura di Berlusconi rappresenti una garanzia ancora prima di un palese attestato di stima. Ci viene inoltre lecito rispondere a Rosy Bindi quando afferma che «la candidatura di Berlusconi rappresenterebbe un'offesa per tutte le donne». Comprendiamo che sia necessario sparare frasi ad effetto per potersi riprendere uno spiraglio di luce sulla carta stampata e non la biasimiamo visto che nel panorama politico il suo faro non brilla più da tempo semmai si fosse mai veramente acceso, però prima di pontificare su Berlusconi e giudicarlo, porti in dote almeno una parte di ciò che il Cavaliere a differenza sua ha fatto, sennò rimane un semplice esercizio di sterile retorica. Pubblicano lo stesso tweet.
L’ossessione B della sinistra che se ne frega delle libertà. Max Del Papa su culturaidentità.it il 16 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Di colpo siamo tornati al gennaio 1994, si parla solo di Berlusconi, anzi B, come usa il Fatto per dire che è impronunciabile. Ovviamente per stroncarne la candidatura al Colle. Messa da parte la pandemia, i contagi, i bollettini, tutto può aspettare ma non il “presidente non divisivo” cioè quello che piace al PD. Ai notiziari di regime preme una e una sola cosa, cosa pensa Letta, cosa auspica Serracchiani, cosa pretende il Politburo, sembrano teleNazareno. In Rai hanno, si direbbe, una paura fottuta ma anche altrove non scherzano: una come Sabina Guzzanti, completamente sparita dal radar, si ripresenta con l’imitazione del Caimano, il Cavaliere nero, pessima oggi come allora. Sì, back to 1994: che brezza dei bei tempi, che reminiscenza proustiana, alla ricerca dell’innominabile perduto!
Frattanto a Milano, a Roma, ribollono le manifestazioni contro il greenpass: in ventimila nella Capitale, forse di più nella Mediolanum del sindaco Sala che se gli scoppiano sotto il naso i botti di violenza etnica a Capodanno, si comporta come fosse lui l’offeso. Ma per i telegiornali non esistono, li rimuovono, non è successo niente, al massimo quattro gatti a sentire Montagnier, liquidato da un televirologo come un vecchio imbecille in carrozzella. Il servizio pubblico si occupa solo dei dolori del giovane Enrico, non più Berlinguer ma Letta.
Poi dicono che gli ascoltatori spariscono in proporzione emorragica. La comunicazione ufficiale comincia, si direbbe, a scontare il culo di sacco in cui si è cacciata: se dice che va tutto bene, madama la banchiera, si copre di ridicolo con tragica evidenza fattuale; se dice che va tutto male, la gente si chiede: e allora che hanno fatto finora Draghi, Speranza e il generale con la penna sul cappello e un metroquadro di patacche addosso?
Tu chiamala, se vuoi, narrazione ufficiale. Che sta franando. In Israele il maggiore ospedale nazionale attacca brutalmente il Ministero della Salute con le seguenti precise motivazioni: “Omicron presenta un rischio minimo; nessun paziente Covid su ventilatori; la maggior parte dei “ricoveri per Covid” non sono dovuti al Covid; i test di massa e le quarantene sono folli (insane, in inglese)”. La clamorosa protesta pare quasi fare eco alla pronuncia del Tar che, piaccia o meno, ha sconfessato il celeberrimo “protocollo Speranza”, tachipirina e vigile attesa, che rischia d’aver accoppato contagiati a ondate; per di più senza che nessuno abbia mai capito in cosa consistesse la vigile attesa.
In America, Biden colleziona bastonate dalla Corte Suprema sulla sua foja di chiusure; in Virginia il nuovo governatore, Repubblicano, come primissimo atto firma 11 ordini esecutivi tra i quali: abolizione delle mascherine, abolizione di tutti gli obblighi vaccinali, abolizione di tutte le restrizioni interne e alle frontiere nazionali.
In Austria pensano bene di rinviare a data da destinarsi le misure di deportazione degli orridi “novax”. In Francia Macron le prova tutte ma regolarmente sbatte contro un sistema forse un po’ più democratico che da noi. Così che ai megafoni di un potere alle vongole fuori controllo, che si ostina a persistere nei suoi errori con pervicacia tutta ideologica, non resta che pigliarsela con Djokovic e qui i toni si fanno puerili: tutto un tifo, un orgasmo per il bastardo senza gloria rispedito a calci in culo al suo Paese in quanto persona non grata in Austrialia; fa niente se un giudice ha sancito la regolarità del suo ricorso, quello che conta è che il tennista “rischia di dare il cattivo esempio”, con il che vale tutto: qual sia l’esempio buono lo decide il governo australiano, lo decide il ministro della Integrazione, lo decide l’agenda globalista, ossia la stupidità al potere, si tratti di prende a racchettate una pallina, di alimentarsi, vestirsi, svagarsi o prodursi sui social. Proprio così recita la farneticante motivazione, Djokovic rischia di spingere altri atleti a sottrarsi agli obblighi sanitari.
I telegiornali neanche ci provano a difendere uno straccio di obiettività, di distacco: servizi a spargifango, conduttori esaltati, che fanno la ola, un giornalista dello sport sulla Rai è arrivato a dire che privare Djokovic del torneo in Australia non basta, gli andrebbero revocati tutti gli sponsor, insomma deve finire sotto un ponte perché fa schifo. Sì, Djokovic ha le sue colpe, ha raccontato qualche balla di troppo, ha un padre un po’ troppo invadente, ma trattarlo da cinico untore, da eversivo, da criminale peggiore di una cellula dell’Isis pare francamente insostenibile. Ma le regole valgono per tutte, come ripete con sussiego il Politburo piddino che sulle regole a Bibbiano se ne catafotteva. O i marinaretti alla Davide Faraone, quello per cui Carola Rackete e Mimmo Lucano venivano prima delle regole. O i nostalgici della lotta armata, dei compagni che sbagliavano ma neanche tanto.
Montagnier sarà pure andato sopra le righe a Milano, “i non vaccinati dovranno salvare il mondo”, ma, signori, non giriamoci intorno: non è più questione di opzioni vaccinali, di vigili attese, quello che si odia è l’idea stessa di libertà, il non volersi sottomettere a una massificazione, al conformismo più avvilente, all’obbedienza più squallida. Che si potrebbe anche dire: resistere a una ridefinizione con la testa avvitata al contrario.
Ma non perdiamoci in queste ubbie, c’è da contrastare il ritorno di B(erlusconi). Perché siamo in una democrazia e la democrazia va difesa, non è vero? Il Cavaliere Nero al Colle non può andare, è divisivo, cioè sgradito al PD e alla filiale grillina, però i giullari, i guitti, i paraculi, i palettari possono andare da lui, nelle sue case editrici, nelle sue televisioni, senza imbarazzo alcuno: è la democrazia degli anticipi, che già nel 1994 chiamavano entrismo, strategia leninista. Che spiffero di gioventù, questo Cavaliere ancora tutto da disarcionare, ma salvando il salvabile.
L'aria che tira, Maria Teresa Meli asfalta Barbacetto: "Basta per pietà. Spero che Berlusconi ti quereli". Libero Quotidiano il 17 gennaio 2022.
"Spero che Silvio Berlusconi ti quereli". Maria Teresa Meli, ospite in studio di Myrta Merlino a L'aria che tira, su La7, prende a male parole Gianni Barbacetto, firma del Fatto quotidiano. La giornalista politica del Corriere della Sera è stufa di sentire il collega spalare fango sul Cav, in piena e totale linea con il suo direttore Marco Travaglio (il Fatto quotidiano da settimane sta procedendo con una martellante e a tratti grottesca campagna mediatica contro l'ipotesi di Silvio al Quirinale), e glielo dice in faccia, brutalmente.
"Nel mondo quando dici Berlusconi tutti ti sorridono e ricordano l'espressione 'bunga bunga'", è l'argomento di ferro di Barbacetto per respingere l'ipotesi (anzi, l'incubo) di Berlusconi presidente della Repubblica. E la Meli allarga le braccia: "Barbacetto scusa, gli è permesso di farlo, lo può fare. A furia di dire queste stupidaggini lo state facendo diventare simpatico pure a me. La prossima volta che io vedo 'Se non ora quando' o 'Pregiudicato scrive a pregiudicato'... Ma chissenefrega: Verdini non c'ha niente da fare e scrive a Dell'Utri. Possono scriversi? Sì, ti do una notizia, possono scriversi".
"Se voi e il vostro giornale continuate con questa campagna, questa campagna può portare solo simpatia a Berlusconi. Io non vorrei mai Berlusconi presidente della Repubblica, mi divertirebbe solo presiedere il Csm, da cittadina e non da giornalista. Voi state creando un clima di simpatia, mi chiedo perché dovete rompergli tanto le scatole".
"Nel 1974 Berlusconi ha incontrato il boss di Cosa Nostra Stefano Bontate e ha finanziato Cosa Nostra dal 1974 al 1992...". "Basta abbi pietà di noi!", lo interrompe la Meli. "Ma basta cosa!", urla Barbacetto. "Voi additate al pubblico ludibrio gente che è stata assolta", ricorda la Meli. Gioco partita incontra.
L'aria che tira, 10 minuti di insulti a Berlusconi? Mannheimer demolisce Barbacetto: "Quanto guadagna grazie a te". Libero Quotidiano il 18 gennaio 2022.
Bastano dieci minuti di intemerate e insulti di Gianni Barbacetto a L'aria che tira per far salire il gradimento di Silvio Berlusconi vista Quirinale. Tra il serio e il faceto lo sottolinea Renato Mannheimer, sondaggista in collegamento con Myrta Merlino nel talk mattutino di La7.
Prima di lui parlano Maria Teresa Meli, del Corriere della Sera, e la penna del Fatto quotidiano. Il tema è la possibile candidatura del Cav al Colle, e Barbacetto (così come il suo direttore Marco Travaglio) inorridisce. "All'estero se dici Berlusconi ti dicono Bunga bunga. Nel 1974 aveva incontrato il capo della Mafia Stefano Bontate, dal 1974 al 1992 ha finanziato Cosa Nostra...". La Merlino allarga le braccia ("Siamo riusciti a tornare al 1974"), la Meli non si trattiene e sbotta: "Basta Barbacetto per pietà, voi additate al pubblico ludibrio gente che è stata assolta".
A interrompere il duetto caldissimo tra i due giornalisti ci pensa appunto Mannheimer: "Due parole sole, malgrado tutto questo (quello che dice Barbacetto, ndr) ancora oggi Berlusconi è popolarissimo, ha popolarità del 40%, più di Letta". E, aggiunge poco dopo, probabilmente dopo questo dibattito "arriverà pure al 60%". "Perché ci sono le Meli che scrivono sui giornali, per forza...", è la battuta risentita di Barbacetto. "Scusa? Che cosa stai dicendo? - domanda inviperita la firma del Corriere della Sera - Noi giornalisti non contiamo un cavolo, è popolare a prescindere da me e da te, fattene una ragione. Stacci, io me ne sono fatta purtroppo, tu no perché sei supponente". E tutti a casa.
Berlusconi divisivo, e Napolitano? Mezz'ora in più, che scintille tra Minzolini e Annunziata sul Quirinale. Ill Tempo il 16 gennaio 2022.
La tesi che la possibile elezione di Silvio Berlusconi presidente della Repubblica sia un disastro per l'Italia declinata da molti commentatori vicini al centrosinistra provoca la ferma reazione di Augusto Minzolini e si accende lo scontro con Lucia Annunziata. Domenica 16 gennaio a Mezz'ora in più, su Rai3, il direttore de Il Giornale è in collegamento insieme ad altri ospiti come Paolo Mieli e Alessandro De Angelis.
Il tema, naturalmente, è quello del Quirinale e del candidato "divisivo" Berlusconi. "Anche quella di Sergio Mattarella fu un'elezione divisiva perché il centrosinistra decise" da solo, dice Minzolini che ricorda anche il ruolo decisivo del leder di Forza Italia: disse no a elezione ma si preoccupò di trovare 38 voti a favore dell'attuale capo dello Stato. Insomma, è legittimo dire "non mi piace Berlusconi perché si chiama Silvio ma se troviamo delle ragioni politiche non ce ne sono, se mai ce ne sono diverse" a favore di Berlusconi al Colle. Specie in un momento come questo in cui il presidente della Repubblica può avere dei rapporti internazionali che possono servire, spiega il giornalista che ricorda la telefonata del Cav con Vladimir Putin in piena crisi energetica.
L'argomentazione non piace alla conduttrice: "Credo che tu abbia fatto una enorme gaffe. L'idea che tu ti venda Berlusconi come l'uomo che può parlare con Putin non funziona..." sbotta la Annunziata. "Ma non ha neanche cattivi rapporti con gli Usa" replica Minzolini. In ogni caso, per la giornalista Rai, gli elementi che non sono a favore di Berlusconi come uomo di unificazione "sono tante".
Minzolini non vede come i suoi colleghi "questa specie di tragedia nazionale e internazionale" se il Cav va al Quirinale. "È ridicolo" sbotta, "abbiamo avuto Giorgio Napolitano eletto con il 53 per cento di voti ed è stata un'elezione divisiva, così come per Mattarella". Bisogna considerare quello che succede "Il giorno dopo l'elezione", se il presidente saprà essere il presidente di tutti. "È un ragionamento di lana caprina" è la replica della Annunziata che non vuole sentire ragioni, per la giornalista Berlusconi ha diviso il Paese. Negli ultimi undici anni se non ci fosse stato Berlusconi non saremmo stato governati. Questo è il dato. Non potete guardare solo al folklore e alle cose che fanno comodo" conclude Minzolini.
Giampiero Mughini venerdì 14 gennaio dal salotto di Stasera Italia, il talk di approfondimento politico condotto da Barbara Palombelli su Rete 4, commenta così la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, chiesta dei leader del centrodestra durante il vertice di oggi a Villa Grande.
Poche ore fa è stato diramato il comunicato del centrodestra nel quale si esplicita la posizione della coalizione, unita sulla scelta del Presidente di Forza Italia per il Quirinale: “I leader della coalizione hanno convenuto che Silvio Berlusconi sia la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono. Gli chiedono pertanto di sciogliere in senso favorevole la riserva fin qui mantenuta”.
Durante la puntata di venerdì 14 gennaio, Mughini dice la sua sulla candidatura di Silvio Berlusconi per diventare Capo dello Stato. Una candidatura difficile, ancora incerta. Diverse le zone d’ombra evidenziate dai detrattori del Cavaliere, tra queste le varie vicende giudiziarie che lo hanno, negli anni, flagellato.
“È stato condannato per un’evasione fiscale, ma nell’anno in cui Mediaset aveva pagato milioni in tasse. E Mediaset è stata creata dal nulla da Silvio Berlusconi” ricorda il giornalista. “È una candidatura divisiva, e già il fatto di essere divisiva inficia. Anche se lui vincesse, a furia di telefonate, raggiungendo la maggioranza semplice, non sarebbe un buon risultato per la Repubblica”.
Accadde domani. La candidatura di Berlusconi, il nuovo partito unitario della sinistra e altre notizie di trent’anni fa. Francesco Cundari su L'Inkiesta su l'Inkiesta il 15 Gennaio 2022.
Il Djokovic della politica italiana, capace di tenere inchiodato un intero paese ai suoi capricci, mobilitando milioni di fanatici ed esasperandone almeno altrettanti, è sempre lui: il Cavaliere. Colonna portante di quel bipolarismo di cartapesta di cui è al tempo stesso padre, figlio e spirito santo.
Riuniti nella villa di Silvio Berlusconi, i leader del centrodestra ieri «hanno convenuto che Berlusconi sia la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono». È la notizia che senza dubbio sarà oggi su tutte le prime pagine, ma potrebbe essere presa tale e quale dalle prime pagine di un qualunque quotidiano degli ultimi trent’anni.
Due giorni fa, in un’intervista al Manifesto, Massimo D’Alema si è detto favorevole «alla ricostruzione unitaria di una forza progressista» (come del resto anche Pier Luigi Bersani, il giorno prima, sul Corriere della sera). E anche questa è una dichiarazione che potrebbe essere presa pari pari da un qualunque giornale degli ultimi trent’anni. E non nel senso che nel corso degli ultimi trent’anni l’una o l’altra di queste dichiarazioni sia stata già pronunciata, l’una o l’altra di queste iniziative già annunciata, tentata o realizzata; il che, intendiamoci, farebbe comunque dell’Italia un caso pressoché unico nell’occidente (non si danno altre democrazie occidentali in cui gli stessi leader promuovano le stesse iniziative e rilancino le stesse candidature a distanza di tre decenni). Qui però siamo di fronte a un caso ancora più estremo. Il punto non è che quelle stesse dichiarazioni le potete ritrovare in questo o quel quotidiano di quindici, venti o ventisette anni fa; il punto è che le potete ritrovare in tutti, o come minimo, e più volte, in ogni singola annata, dal 1993 a oggi.
Da quando è stato introdotto il sistema maggioritario, con quell’obbrobrio sconosciuto a ogni altra democrazia occidentale che sono le coalizioni pre-elettorali, viviamo un interminabile, assurdo, grottesco giorno della marmotta.
Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, un leader del centrodestra si sveglia e sa che dovrà partecipare a un fondamentale vertice di coalizione la cui conclusione sarà che Silvio Berlusconi è indiscutibilmente «la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono» (l’unica eccezione sarebbe stata proprio in questa legislatura, visto il tracollo elettorale di Forza Italia nel 2018, ma come si è appena visto non si farà eccezione neanche stavolta: si tratta solo di sostituire Palazzo Chigi con il Quirinale, e scusate se è poco).
Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, un leader della sinistra si sveglia e sa che dovrà fare un’ampia intervista in cui lanciare la proposta di un nuovo grande partito della sinistra, o del centrosinistra, o dei democratici, o dei democratici e progressisti (ovviamente unitario).
Da allora in poi, ogni giorno, quando si alza il sole, non importa se tu sia di destra o di sinistra, l’importante è che tu dichiari l’improrogabile esigenza di cambiare la legge elettorale e fare le riforme istituzionali, per completare la transizione e salvare il bipolarismo, affinché gli elettori possano scegliere tra due schieramenti chiari, e la sera stessa del voto si sappia chi ha vinto, e il vincitore possa governare.
Sono trent’anni che ripetono in coro questa filastrocca davanti alle telecamere, per poi correre a telefonare a Clemente Mastella, a Domenico Scilipoti o a Lello Ciampolillo, per poi far rinascere e rimorire partiti, governi e coalizioni sulla base delle più spericolate alchimie parlamentari e politiche, per poi ricominciare da capo, sempre da capo, come se non ci fosse un domani. Che in effetti non c’è, ahinoi. Perché – per l’appunto – è sempre il giorno della marmotta.
I personaggi più incredibili di tutta questa vicenda però non sono loro, che alla fine non fanno altro che recitare una parte, sempre la stessa (e perché dovrebbero cambiare, finché dura?). I personaggi più incredibili siamo noi, tutti noi che ne scriviamo e ne parliamo, che commentiamo, che li elogiamo o li critichiamo, prendendo le parti degli uni o degli altri, come se fosse normale. Ecco, dobbiamo dircelo una volta per tutte: non è normale. Tutto questo non è normale.
Non è normale discutere della stessa identica riforma elettorale-istituzionale (cambiano i dettagli, e a volte neanche quelli, ma il principio è sempre lo stesso), dello stesso identico nuovo grande partito unitario della sinistra, con le stesse parole d’ordine, gli stessi slogan, le stesse argomentazioni, ogni anno, ogni singolo anno, ogni maledetto anno, per quasi trent’anni di fila.
Basta, basta, basta: abbiate pietà di noi. Rimettete il sistema proporzionale, lasciate che ogni partito si presenti con i suoi candidati, il suo programma e il suo simbolo, e prenda voti e seggi su quello, senza coalizioni-carrozzoni in cui entrare e uscire, dando ogni giorno un nuovo giro a questa giostra infinita.
In Germania, dove vige un sistema proporzionale, in cui le coalizioni di governo si formano in parlamento, dopo il voto, proprio come accadeva in Italia prima dei referendum del 1993, Angela Merkel è rimasta alla guida dell’esecutivo per sedici anni filati. Ma non è solo la stabilità e la governabilità che dovremmo invidiare alla Germania. Dovremmo invidiarle anche, non sembri una contraddizione, il ricambio.
Quando Silvio Berlusconi saliva infatti per la prima volta a Palazzo Chigi, nel 1994, il suo omologo tedesco era Helmut Kohl. Quando andava al governo per la seconda volta, nel 2001, cancelliere era Gerhard Schröder. La terza, nel 2008, Merkel, che intanto ha fatto in tempo a concludere la sua carriera, dopo sedici anni filati al governo, passando il testimone al socialdemocratico Olaf Scholz. E poi ironizzano sul fatto che i capi di governo stranieri non fanno in tempo a conoscere i nostri governanti.
Altro che ricambio. Qui il Djokovic della politica italiana, capace di tenere inchiodato un intero paese ai suoi capricci, mobilitando milioni di fanatici ed esasperandone almeno altrettanti in tutto il mondo, c’è poco da fare, è sempre lui: Silvio Berlusconi. Colonna portante di quel bipolarismo di cartapesta che da trent’anni tiene in piedi, e di cui è al tempo stesso padre, figlio e spirito santo.
Quelli che tutti eccetto lui. Paolo Armaroli il 14 Gennaio 2022 su Il Giornale.
TTB sembra una marca di insetticida. E invece no: la sigla sta per TUTTI TRANNE BERLUSCONI.
TTB sembra una marca di insetticida. E invece no: la sigla sta per TUTTI TRANNE BERLUSCONI. Nomi e cognomi di lor signori sono ben noti. Ma per carità di patria non li nomineremo per risparmiargli una brutta figura. Sì, perché nella loro foga demolitoria perdono il ben dell'intelletto. E finiscono per non indovinarne una neppure per sbaglio. In omaggio all'ipocrisia, non lo citano neppure il Cavaliere. Si limitano a disegnare più che un identikit un non identikit. Ma finiscono per tirarsi la zappa sui piedi, povere vittime della hegeliana eterogenesi dei fini.
Per cominciare, affermano che il futuro presidente della Repubblica dovrà essere eletto a larga maggioranza. E già qui, come usa dire, casca l'asino. Perché al primo scrutinio e a larga maggioranza sono stati eletti unicamente due dei dodici presidenti della Repubblica che finora hanno calcato la scena: Cossiga e Ciampi.
Ma, per chi non lo sapesse, Cossiga è stato eletto alla suprema magistratura dello Stato come seconda scelta. Quasi per sbaglio. Difatti Ciriaco De Mita, nel 1985 segretario della Dc, avrebbe voluto un costituzionalista provetto come Leopoldo Elia.
Smentiti sul primo non identikit, sono passati al secondo. Hanno osservato che non sarebbe ammissibile un segretario di partito. Orbene, si dà il caso che il quinto presidente della Repubblica, Saragat, è stato non solo segretario di partito ma molto di più. Nel gennaio 1947 è stato il promotore della scissione socialista di Palazzo Barberini.
Smentiti una seconda volta, lor signori si sono consolati osservando che non c'è due senza tre. E questa volta confidavano di non essere smentiti di nuovo. Non aveva forse Berlusconi guidato in un arco temporale che si distende dal 1994 al 2011 ben quattro ministeri? E allora ecco pronto all'uso un nuovo non identikit: mai e poi mai può insediarsi al Quirinale chi sia stato presidente del Consiglio. E non sanno, o fanno finta di non sapere, che sono stati presidenti del Consiglio Segni, Leone e Ciampi prima di diventare inquilini del Colle. E Con le pive nel sacco, i TTB si espongono a un'ennesima umiliazione. Ricorderanno che se c'è stato un acerrimo nemico di Berlusconi, questi è stato Oscar Luigi Scalfaro. Orbene, prima di conferirgli l'incarico di formare il suo primo governo il 18 aprile 1994, Scalfaro lo convocò sul Colle. Prima di congedarlo, gli rivolse questo invito: «Si ricordi di tenere sempre accanto a sé il signore che le sta accanto». Si trattava, manco a dirlo, di Gianni Letta. Il braccio ambidestro del Cavaliere.
Se Berlusconi fosse eletto, di sicuro avremmo sul Colle un segretario generale con i fiocchi come il predetto Gianni Letta. L'equilibrio fatta persona. Un mediatore che metterebbe d'accordo perfino due seggiole. Un uomo universalmente stimato. E con amicizie dappertutto: a dritta e a manca. Ora, è mai possibile che i TTB siano più scalfariani di Scalfaro, la bestia nera del Cav? Paolo Armaroli
MORTA MARIA TERESA LETTA, LA SORELLA DI GIANNI. (ANSA il 24 Ottobre 2022) - "Con la scomparsa di Maria Teresa Letta l'Abruzzo perde una delle personalità che ha dato lustro alla regione attraverso un quotidiano impegno verso gli altri. Come delegata della Croce Rossa nazionale per gli aiuti umanitari ha dedicato la sua vita al prossimo e questa eredità la raccogliamo e la facciamo nostra in questo momento di dolore. A nome personale e dell'intera Giunta regionale porgo il cordoglio alla sua famiglia e al fratello Gianni". Lo ha dichiarato il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio.
"Sono vivamente addolorato dalla scomparsa della professoressa Maria Teresa Letta, vicepresidente nazionale della Croce Rossa, con cui ho avuto l'onore di dialogare e collaborare in stagioni lontane. E' stata una testimone discreta e luminosa del volontariato cattolico, e la sua scomparsa priva la Croce Rossa di un apporto fondamentale. A tutti i familiari, e in particolare al fratello Gianni, porgo le condoglianze più affettuose della comunità di 'Verde è popolare". Così in una nota Gianfranco Rotondi, presidente di 'Verde è popolare'.
Da ilcapoluogo.it il 24 Ottobre 2022.
Addio a Maria Teresa Letta, sorella di Gianni Letta. Lutto ad Avezzano e in tutto l’Abruzzo: la dottoressa Letta ha presieduto il Comitato Croce Rossa avezzanese ed era molto nota anche per il suo lavoro di professoressa nei licei della città. Per anni colonna portante del mondo del volontariato marsicano, faceva parte della grande famiglie della Croce Rossa da oltre 30 anni.
“Con la scomparsa di Maria Teresa Letta l’Abruzzo perde una delle personalità che ha dato lustro alla regione attraverso un quotidiano impegno verso gli altri. Come delegata della Croce Rossa nazionale per gli aiuti umanitari ha dedicato la sua vita al prossimo e questa eredità la raccogliamo e la facciamo nostra in questo momento di dolore. A nome personale e dell’intera giunta regionale porgo il cordoglio alla sua famiglia e al fratello Gianni”. Lo ha dichiarato il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio.
“Se ne va un cardine della nostra Marsica. Sicuro punto di riferimento per il nostro territorio e preclaro esempio di umanità, equilibrio e solidarietà. Sempre dalla parte di chi viveva disagio e condizioni di bisogno. Docente d’altri tempi, in grado di mescere con maestria severità e comprensione. Onorato di essere stato tuo discente, onorato di averti potuto collaborare da amministratore nei tuoi molteplici progetti per il nostro territorio. Scriveva madre Teresa di Calcutta che ‘chi nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno non è vissuto invano’ e tu l’hai certamente fatto. Ai familiari della Professoressa Letta, il sentito cordoglio e alto il senso di gratitudine mio e dell’intera comunità Gioiese”, il messaggio di cordoglio di Gianluca Alfonsi, consigliere provinciale e sindaco di Gioia dei Marsi.
Che fine ha fatto il figlio del giudice che condannò Berlusconi: fuori dalla magistratura. Paolo Ferrari Libero Quotidiano l'08 maggio 2022.
Il padre magistrato è stato l'artefice della cacciata di Silvio Berlusconi dal Parlamento. A distanza di circa dieci anni gli ex colleghi del padre hanno cacciato lui dalla magistratura. La vicenda riguarda l'ex pm milanese Ferdinando Esposito, figlio di Antonio, il presidente del collegio della Cassazione che aveva reso definitiva la condanna a quattro anni per frode fiscale nei confronti di Berlusconi nel processo per i diritti Mediaset. Condanna che, perla legge Severino, costrinse poi il Cav ad abbandonare il Senato per andare in affidamento in prova presso una casa di riposo a Cesano Boscone.
Tutto inizia nel 2014 quando la Procura generale della Cassazione decide di avviare l'azione disciplinare nei confronti di Esposito junior. Ad accusarlo è un ex amico, l'avvocato piacentino Michele Morenghi. L'allora pm, che abitava in affitto in un super attico di oltre cento metri quadri con vista direttamente sulle guglie del Duomo, aveva chiesto a Morenghi, che in passato gli aveva dato dei soldi per fare delle vacanze, di pagargli direttamente il canone di locazione, pari a 32mila euro l'anno. Visto che Morenghi, all'epoca titolare di una società di integratori, si era rifiutato di provvedere al pagamento, Esposito lo apostrofò dicendo che in Procura «con l'inchiesta "sbagliata" può capitare di tutto alle aziende».
L'avvocato piacentino, scosso per quanto accaduto, decise di andare davvero in procura per vuotare il sacco con il procuratore Edmondo Bruti Liberati e la sua vice Ilda Boccassini. Esposito in quel periodo era in buoni rapporti con Arcore ed era stato anche fotografato con l'ex consigliera regionale di Fi Nicole Minetti.
VOGLIA DI POLITICA
Come appurarono le indagini dei colleghi, si recava spesso a Villa San Martino ed aveva espresso al leader di Forza Italia il desiderio di entrare in politica o di avere un posto in qualche ministero romano.
Uno di questi incontri avvenne il 22 maggio 2013, dopo giorni di passione per Berlusconi.
L'11 marzo si era svolta una manifestazione dei deputati azzurri davanti al Palazzo di giustizia. Il 6 maggio c'era stato il rigetto da parte della Cassazione della richiesta dei suoi avvocati di spostare i processi da Milano. L'8 maggio era arrivata la condanna in appello sui diritti tv. E il 13 maggio, infine, era terminata la requisitoria nel processo Ruby, dove il Cav sarà condannato in primo grado a sette annidi prigione. Esposito dichiarò sempre di non aver mai discusso con Berlusconi dei suoi processi milanesi. Terminati gli accertamenti, comunque, a luglio del 2016 venne fissata l'udienza davanti alla Sezione disciplinare del Csm.
Le accuse erano pesantissime: «Ottenere direttamente o indirettamente prestiti o agevolazioni da soggetti che il magistrato sa essere indagato in procedimenti penali; l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per se o per altri; comportamenti scorretti nei confronti di altri magistrati; comportamenti che arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio delle parti». Il disciplinare rimase sospeso fino alla definizione del procedimento penale che nel frattempo si era aperto al tribunale di Brescia, al termine del quale Esposito sarà condannato per il reato di tentata induzione indebita.
Riprese le udienze al Csm, i difensori di Esposito sollevarono anche una questione di costituzionalità, che la Consulta, nel novembre del 2018, dichiarò non fondata.
IL DISCIPLINARE
Terminata la consiliatura al Csm, il processo disciplinare era ripartito davanti ad un nuovo collegio, presieduto al vice presidente David Ermini. La sentenza, come per Palamara, fu quella della rimozione dalla magistratura e venne depositata a fine gennaio dello scorso anno «Le condotte di notevole risalto mediatico hanno prodotto evidenti gravissimi e non ripristinabili riflessi sul prestigio della funzione esercitata. È del tutto incompatibile con la sua permanenza nell'ordine giudiziario», scrissero al Csm. Contro questa decisione Esposito ha giocato nei mesi scorsi l'ultima carta, quella del ricorso in Cassazione, ma il collegio, presieduto dall'ex presidente della Cedu Guido Raimondi, lo ha respinto e la rimozione della magistratura è diventata definitiva.
Parlò di manipolazione ma i giudici gli hanno dato torto. Raccontò al Mattino la sentenza contro Berlusconi, il giudice Esposito perde anche in Appello. Paolo Comi su Il Riformista il 22 Giugno 2022.
Il Mattino vs Antonio Esposito: 2 a 0. Anche la Corte d’Appello conferma che non vi fu alcuna diffamazione nei confronti del magistrato che cacciò Silvio Berlusconi dal Parlamento. È stata depositata questa settimana la sentenza della sesta sezione civile della Corte d’Appello di Napoli che ha respinto il ricorso di Esposito contro l’assoluzione nel processo di primo grado nei confronti di Antonio Manzo, il giornalista de Il Mattino che aveva scritto l’intervista, poi pubblicata il 6 agosto del 2013. L’ex presidente della sezione feriale della Cassazione e attuale editorialista del Fatto aveva intentato una causa nei confronti di Manzo e dell’allora direttore responsabile Alessandro Barbano, ritenendo “falso, diffamatorio, e perciò lesivo” il contenuto dell’intervista dal titolo: “Berlusconi condannato perché sapeva non perché non poteva non sapere. Il giudice Esposito spiega la sentenza: era a conoscenza del reato”.
Il magistrato aveva sostenuto che il contenuto della intervista era stato alterato “mediante interpolazioni e omissioni, che ne stravolgono il senso e attribuiscono all’attore contenuti mai espressi”. La pubblicazione dell’intervista ebbe un enorme clamore mediatico: su Esposito venne aperto un procedimento per trasferimento d’ufficio, promosso dal Csm, e un procedimento disciplinare su iniziativa della Procura generale presso la Corte di cassazione, con rinvio a giudizio innanzi alla sezione disciplinare. Ma non solo: l’intervista confluì anche nel procedimento di conferma delle funzioni direttive presso la Corte di cassazione, culminato nel parere negativo da parte del primo presidente essendogli stata contestata “la carenza di profili di indipendenza, imparzialità ed equilibrio”. Gli allora consiglieri del Csm Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon, infine, avevano chiesto al Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli l’apertura di una pratica avente a oggetto l’intervista in questione, in considerazione della “particolare gravità delle affermazioni”.
Esposito, in ragione di tutto ciò, aveva chiesto a Manzo e Barbano un maxi risarcimento di 2 milioni di euro. Il processo di primo grado, conclusosi nel 2017, aveva permesso di appurare che l’articolo pubblicato il 6 agosto 2013 riportava fedelmente l’intervista rilasciata da Esposito. In particolare, era stato lo stesso Esposito a sollecitarla “con una telefonata al giornalista Manzo effettuata il 1° agosto 2013, alle ore 21.08 sul telefono cellulare di quest’ultimo, appena un’ora dopo la lettura del dispositivo con la condanna definitiva degli imputati, tra cui l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”. Tale telefonata era stata anticipata da altre telefonate precedenti il verdetto in cui “il magistrato e il giornalista avevano discusso del processo e delle implicazioni politiche dell’eventuale condanna di Berlusconi”. Telefonate tutte caratterizzate da un tono “confidenziale”.
Nella telefonata del 1° agosto 2013 era intervenuto l’accordo per l’intervista di lì a qualche giorno, relativa alla sentenza sul processo Mediaset. Un ‘modus’ a cui Esposito era avvezzo. Nel 2011, all’indomani della sentenza emessa contro Totò Cuffaro, ex presidente della regione Sicilia, il magistrato aveva rilasciato sempre al Mattino un’intervista – pubblicata il 24 gennaio 2011 – il giorno dopo la lettura del dispositivo e prima del deposito della motivazione. L’intervista sul processo sui diritti Mediaset era avvenuta telefonicamente intorno alle ore 17:00 del 5 agosto 2013 ed era stata registrata per garantirne la trascrizione fedele, la quale era stata inviata per fax ad Esposito con un appunto di accompagnamento, “Grazie Antonio, fedelissimo”, nel quale l’aggettivo “fedelissimo” stava ad indicare, per l’appunto, l’avvenuta trascrizione corretta ed esatta di ogni parola grazie alla registrazione del colloquio.
L’unico cambiamento, dopo l’invio del fax, era stata la domanda, poi inserita nell’articolo, “Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E quale è allora?”. Una aggiunta che, come scrivono i giudici nel provvedimento di assoluzione, non ha mutato “la verità sostanziale”. Una condotta che, al più potrebbe evidenziare profili di violazioni deontologiche. L’unica notizia positiva per Esposito, a cui il Csm ha radiato dalla magistratura nei mesi scorsi il figlio Ferdinando, il non dover pagare le spese del processo. I giudici hanno infatti deciso per la loro compensazione. Paolo Comi
Il fatto non sussiste, quelle parole sono state davvero pronunciate. Il giudice Esposito perde ancora, è vero che disse: “Berlusconi se mi capita a tiro lo faccio nero”. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 21 Gennaio 2022.
Tempi sempre più foschi, per il giudice Antonio Esposito. Ha perso un’altra causa, dopo quella romana contro Daniela Santanché, questa volta a Milano. Non è più in discussione, in questo caso, la libertà di definire la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi come “complotto politico”, ma il sospetto che il presidente di quel collegio di cassazione che emise il verdetto, avesse dei pregiudizi nei confronti dell’imputato. Per lo meno così paiono pensare diversi giudici. La signora Sandra Leonetti aveva partecipato a una cena, in epoca precedente al processo, cui era presente il giudice Esposito. Aveva in seguito raccontato di averlo sentito dire «Berlusconi mi sta proprio sulle palle». E poi, «se mi capita a tiro lo faccio nero».
Il magistrato ha sempre negato di aver pronunciato quelle frasi. E va detto che i partecipanti alla serata hanno ricordi divergenti tra loro. L’attore Franco Nero, per esempio, si è limitato a dire che aveva avuto la sensazione che il giudice avesse comunque Berlusconi in antipatia. Ma il ricordo del marito della signora Leonetti era stato molto preciso sulle frasi e lo aveva raccontato al Giornale. Nei giorni seguenti Il Fatto quotidiano si era affrettato a organizzare una sorta di contro-inchiesta per trovare qualche testimonianza opposta, in favore di colui che sarebbe poi diventato un collaboratore del giornale. Così era finita con le solite querele del giudice Esposito e la signora Leonetti era finita nel tritacarne della deposizione giurata da testimone nel processo contro suo marito. Implacabile la prima sentenza di condanna a risarcire 15.000 euro al magistrato.
Aveva detto il falso, dunque? Il dottor Esposito non aveva mai pronunciato quelle frasi? Non la pensano così i giudici della quinta sezione della corte d’appello di Milano, che l’ha assolta «perché il fatto non sussiste» . Non c’è la sua menzogna, le frasi sono state udite, il giudice le ha pronunciate. Ma soprattutto un tribunale ne è convinto. E sarà interessante leggerne le motivazioni, quando saranno depositate. Ma è possibile che un alto magistrato possa essersi lasciato andare, in una cena che viene definita “formale”, a un linguaggio così volgare nei confronti di un personaggio pubblico? Nella sentenza di primo grado che aveva condannato la signora Leonetti, la giudice monocratica Maria Teresa Guadagnino non lo aveva ritenuto possibile.
Aveva citato in lungo e in largo la “controinchiesta” del Fatto e i testimoni che parevano non aver sentito niente o che forse alla cena erano seduti dall’altra parte del tavolo. Ma non si era limitata a questo, aveva voluto scrivere una sua considerazione: «Va ancora aggiunto che l’Esposito è persona particolarmente credibile in ragione del ruolo di magistrato svolto per ben 40 anni, e da ultimo come Presidente di una sezione penale della Corte di Cassazione, il che rende del tutto inverosimile la circostanza che questi, in una cena formale e alla presenza di signore, rivolgendosi, peraltro con una imprudenza oltremodo inspiegabile e insensata, all’ospite che conosceva a malapena, abbia pronunciato frasi di quel tenore a proposito di Berlusconi». Noi siamo d’accordo con la giudice Guadagnino. Ci sembra proprio incredibile che un giudice di cassazione con 40 anni di onorato servizio abbia potuto essere così sguaiato “alla presenza di signore” e anche così violento nei confronti di un personaggio pubblico che neanche conosceva. Ma si dà il caso che abbiamo buona memoria, e che abbiamo letto un’altra sentenza, che riteniamo la giudice di Milano non conosca, emessa a Napoli dal gup Giovanni Vinciguerra.
Anche in questo caso il ruolo di attore della causa era stato del presidente Esposito, che aveva presentato un ricorso contro un legale, Bruno La Rosa il quale, nelle indagini difensive in favore di Berlusconi alla Cedu proprio contro la sentenza di cassazione che lo aveva condannato nel 2013, aveva presentato una registrazione con la testimonianza di tre dipendenti di un albergo di Ischia. Il giudice aveva denunciato l’avvocato per abuso d’ufficio e i tre dipendenti (due camerieri e un bagnino) per falso. In diverse occasioni, avevano riferito i tre testimoni (non sappiamo se in presenza di signore, il che sarebbe stato ancora più grave), il giudice Esposito aveva detto «A Berlusconi, se mi capita l’occasione, gli devo fare un mazzo così». Le testimonianze erano state videoregistrate, e abbondavano di altre dichiarazioni dello stesso tenore, di quello che i tre dipendenti conoscevano solo come il “signor Esposito”, ignorando che fosse un magistrato.
Forse anche loro non credevano che un giudice potesse esprimersi in quel modo e che addirittura, in qualche occasione, avesse detto che Berlusconi “prima o poi” sarebbe stato arrestato. Il gup di Napoli ha assolto tutti. Anche in questo caso, come a Roma e a Milano, i testimoni non erano bugiardi. Ci sono giudici che credono al fatto che un alto magistrato avesse dei pregiudizi nei confronti di colui che in seguito sarebbe diventato suo imputato e poi condannato. E che nonostante ciò non si sia astenuto da quel processo. C’è un po’ di lavoro per la Cedu.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Presentato un esposto contro il Gip che ha archiviato la sua denuncia. Esposito non vuol mollare, insegue Berlusconi fino alla Cedu. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 17 Luglio 2021
Che il giudice Antonio Esposito non fosse tipo da giardinetti lo si era notato fin dal dicembre 2015 quando i suoi settantacinque anni lo avevano costretto a una non desiderata pensione. Ma tra le passeggiate al sole con i nipotini e la vera sfida all’O.K. Corral che lo contrappone ormai con frequenza quasi quotidiana a Silvio Berlusconi qualche via di mezzo potrebbe anche esserci. Invece no, a quanto pare. Così abbiamo un ottantunenne napoletano che non demorde davanti al drappo rosso sventolato dall’ottantacinquenne lombardo. E prepara e studia carte bollate quando gioca in casa, ma si prenota anche una trasferta a Strasburgo. Almeno sulla carta.
Le notizie di questi giorni sono due, e quella che sembra la più piccola è forse la più importante. Perché pare che l’alto magistrato –ce lo garantisce il suo quotidiano di fiducia, quello di cui lui è anche collaboratore- abbia presentato un esposto nei confronti di un collega magistrato napoletano. Parliamo di quel giudice per le indagini preliminari Giovanni Vinciguerra che ha archiviato la sua denuncia nei confronti di un legale di Berlusconi, l’avvocato Bruno La Rosa, e contro tre camerieri ischitani che lo avevano sentito pronunciare frasi ingiuriose nei confronti del leader di Forza Italia negli anni precedenti il processo. Perché l’esposto? Dice che non sono state fatte indagini. Ma l’ex presidente di Cassazione non può non aver notato che il gip è entrato nel merito della questione pur constatando che comunque era scattata la prescrizione. E non può non sapere quanto scivolose siano quelle affermazioni (B. è un chiavica… ma non lo hanno ancora arrestato? eccetera) che gli vengono attribuite ormai anche da una sentenza. Perché, se i tre camerieri non hanno detto il falso, vuol dire che hanno detto il vero.
E qui arriviamo alla seconda notizia, buona per lui, che porterà il dottor Esposito in trasferta a Strasburgo. La Cedu ha accolto la sua richiesta di partecipare al giudizio che vede contrapposti Silvio Berlusconi e lo Stato italiano, che dovrà render conto sulla regolarità del processo con cui la sezione della Cassazione presieduta da Antonio Esposito condannò il primo agosto del 2013 Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere e cinque di interdizione per frode fiscale. Giusto per essere precisi, per ora il magistrato, più che salire su un aereo, può solo presentare una memoria entro il 15 settembre, la stessa data entro la quale il governo italiano dovrà rispondere a dieci domande.
E non sono domandine da poco. Una per esempio riguarda l’imparzialità dei giudici, visto che esiste agli atti a anche la testimonianza registrata nel 2016 del giudice Amedeo Franco, che aveva definito quel tribunale di cui aveva fatto parte “un plotone di esecuzione”, tanto che aveva anche maldestramente tentato di registrarne le sedute, e la sentenza una porcheria. È stato imparziale quel presidente –domanderanno i magistrati della Cedu– che aveva dato quei giudizi su una persona che in seguito sarebbe stata suo imputato, senza che lui sentisse il dovere di astenersi? Certo, lui nega di averle dette, quelle frasi. Ma c’è un altro neo in questa storia, che dovrebbe preoccuparlo. Perché di cause ne ha persa un’altra, il dottor Esposito.
Quella nei confronti del Mattino di Napoli e del giornalista Antonio Manzo, cui lui aveva detto, a sentenza pronunciata ma prima che fossero depositate le motivazioni, «Berlusconi condannato perché sapeva»: ma allora la frode fiscale non l’aveva messa in atto lui? Il giudice aveva chiesto al giornale un risarcimento di due milioni di euro e ha perso. Ma ha la querela facile, e così lo aspetta all’orizzonte nei prossimi giorni la causa civile nei confronti di Luca Palamara, che il magistrato ha denunciato insieme a Sallusti perché nel libro Il Sistema l’ex presidente dell’Anm ha spiegato come il giudice Esposito sia stato salvato dalla disciplinare del Csm, dopo l’intervista al Mattino, solo per motivi di opportunità. Cioè politici. Cioè perché faceva comodo la condanna di Berlusconi. Ne vedremo delle belle, prossimamente, in questa sfida all’O.K. Corral tra ottantenni.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Due tasselli per ristabilire la verità sul processo Mediaset. Berlusconi batte il giudice Esposito: Cedu e i testimoni di Ischia rendono giustizia al Cavaliere. Tiziana Maiolo su Il Riformista l'8 Luglio 2021
L’ordinanza del giudice di Napoli che rende credibili i testimoni di Berlusconi sugli insulti del giudice Esposito sono un nuovo tassello per la richiesta di revisione del processo presentata a Brescia e per l’esposto alla Cedu. Del fatto che Silvio Berlusconi non fosse più “il cavaliere nero” ci eravamo accorti da un po’. Del fatto che sia del tutto cessata, negli ambienti della magistratura militante, quell’allerta nei suoi confronti così ben descritta da Luca Palamara nel libro Il Sistema, non siamo ancora del tutto convinti.
Resta infatti sul corpo e sulla vita del presidente di Forza Italia la macchia di quell’unica condanna per frode fiscale del primo agosto 2013. Ma giorno dopo giorno quella macchia si dimostra sempre meno indelebile. Prendiamo quest’ultimo processo che si è concluso il 2 luglio a Napoli con un’ordinanza di archiviazione che fa segnare decisamente a Berlusconi un punto a favore nei confronti del giudice Antonio Esposito che lo condannò. La vicenda partiva da una denuncia del 2019 del magistrato nei confronti di tre dipendenti di un albergo di Ischia di proprietà di un senatore di Forza Italia e dell’avvocato Bruno Larosa, il quale aveva videoregistrato, all’interno di indagini difensive, le testimonianze dei tre su ripetuti episodi che avrebbero mostrato una animosità preconcetta del magistrato nei confronti di Berlusconi. Tralasciando l’immagine pubblica che dà di sé un magistrato che fa certe affermazioni, due sono le considerazioni da fare.
La prima è che l’ordinanza del gip Vinciguerra considera quelle dichiarazioni “non false”, come invece sosteneva il dottor Esposito. E, visto che l’alta toga anche da pensionato non lesina le querele, copiamo le frasi a lui attribuite direttamente dall’ordinanza: «Il tuo datore di lavoro sta con quella chiavica di Berlusconi», «all’ingresso del ristorante invece di dire buona sera era solito affermare ‘ancora li devono arrestare?’», e poi «ancora con quella chiavica.. che bella chiavica… a Berlusconi se mi capita l’occasione devo fargli un mazzo così». Ripetiamo, queste testimonianze sono state considerate dal giudice Vinciguerra con queste parole: «…le censurate dichiarazioni dei tre dipendenti dell’albergo dove il dr. Esposito aveva in passato soggiornato, per quanto tacciabili di inverosimiglianza secondo l’opponente non possono però comunque considerarsi ‘false’, non solo sulla base degli elementi di prova disponibili, ma anche di quelli che l’opponente collega agli accertamenti patrimoniali ‘trascurati’ nelle indagini». E già, perché il presidente Esposito aveva anche sospettato i camerieri di aver ricevuto qualche mancia di troppo e chiedeva controlli sui loro conti in banca.
La seconda considerazione è che l’ordinanza prescinde, pur non ignorandolo, dal fatto che i reati ipotizzati fossero comunque ormai prescritti. Avrebbe potuto lavarsene le mani, il giudice Giovanni Vinciguerra, e così la stessa pm Maria Di Mauro che ha chiesto l’archiviazione, invece sono entrati nel merito. Un merito che sicuramente non può sfuggire ai difensori di Berlusconi, ancora impegnati su altri due importanti fronti per arrivare a cancellare la macchia del 2013. Due appuntamenti li aspettano ancora, uno a Brescia, l’altro a Strasburgo. Che fosse stata presentata alla Corte d’appello di Brescia la domanda di revisione del processo per frode fiscale lo si è scoperto proprio a Napoli, dopo la denuncia del giudice Esposito. Il 20 novembre del 2020 l’istanza è stata depositata con una serie di nuove prove documentali e testimoniali che non sarebbero state valorizzate nel primo processo. Ovviamente c’è anche la testimonianza del giudice Amedeo Franco, deceduto nel 2019, che aveva fatto parte del collegio di Cassazione che aveva condannato Berlusconi, ma che in seguito aveva definito quella sentenza come una “porcata”, emessa da un “plotone di esecuzione”.
Mentre la Corte d’appello di Brescia non ha ancora preso una decisione, né fissando un nuovo processo né archiviando l’istanza ritenendola infondata, si è fatta viva nel mese di aprile la Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che ha accolto il ricorso di Berlusconi con gli audio delle parole del giudice Franco, depositati fin dal 2016. La Cedu ha posto al governo italiano dieci quesiti, dando tempo fino al prossimo 21 settembre per le risposte. Sono passati otto anni da quel 28 dicembre 2013 in cui Berlusconi avanzò il suo ricorso, ben prima del giorno in cui si presentò a casa sua il giudice Franco con il suo pentimento. Gli argomenti usati per dimostrare che l’Italia ha violato in vari modi il suo diritto a un equo processo sono molteplici. E l’ordinanza di Napoli con le dichiarazioni dei tre testimoni finalizzate a mostrare un pregiudizio del giudice Esposito nei confronti di Berlusconi e considerate “non false” dal giudice sono un nuovo tassello a favore della difesa. La macchia è sempre meno indelebile.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Le testimonianze dei tre dipendenti ritenute attendibili. “A Berlusconi devo fare un mazzo così”, il giudice Esposito contro l’archiviazione: “Decisione sconcertante e confusa”. Redazione su Il Riformista il 7 Luglio 2021.
“Berlusconi è una chiavica”. O ancora: “Se mi capita l’occasione, gli devo fare un mazzo così”. Il giudice Antonio Esposito non ci sta e considera “confuso” il provvedimento del Gip del Tribunale di Napoli Giovanni Vinciguerra che ha archiviato la denuncia da lui presentata contro i tre dipendenti dell’albergo di Ischia “che mi avevano attribuito dichiarazioni da me mai pronunciate nei confronti di Silvio Berlusconi“. L’ex presidente della sezione della Cassazione, che nel 2013 condannò il leader di Forza Italia a 4 anni per frode fiscale nell’ambito del processo Mediaset, critica in una nota la decisione del Gip Vinciguerra definendola “sconcertante“.
Esposito cita il “confuso provvedimento” nella parte in cui il giudice scrive che “le dichiarazioni dei tre dipendenti… non sembrano idonee ad integrare il prospettato reato di cui all’art. 371 c.p.: il falso giuramento della parte”, laddove invece il “reato prospettato” era quello di false dichiarazioni rese (all’avvocato Bruno La Rosa) da persone informate dei fatti nel corso di investigazioni difensive (penali). “E’ sconcertante – attacca – che il giudice parli di ‘un falso giuramento della parte‘, che può avvenire in un giudizio civile, giudizio civile che, però, non è mai esistito né vi è mai stato un ‘giuramento della parte’, né giammai è stato ‘prospettato’ tale reato. Così come – prosegue – è sconcertante che il giudice scriva che ‘l’usurpazione di funzioni pubbliche sia altra condotta ipotizzata ex art. 371 c.p.’ laddove il reato di usurpazione di pubbliche funzioni è previsto dall’art. 347 del codice penale”.
Secondo Esposito, “resta, inoltre, inspiegabile perché – con provvedimento non soggetto ad impugnazione – mi sia stata negata la possibilità di far accertare in che modo e da chi l’avvocato La Rosa sia venuto a conoscenza che tre dipendenti di un albergo di Lacco Ameno, di proprietà del senatore e coordinatore regionale di Forza Italia, Domenico De Siano, erano disponibili a rendere le dichiarazioni in questione; così come è del tutto improprio che il giudice non abbia disposto che venissero eseguiti quegli accertamenti di natura patrimoniale sui tre dipendenti, già a suo tempo, ordinati dal Pm Sergio Amato alla polizia giudiziaria, e non espletati e che, dovevano, comunque, essere effettuati non essendo mai stato revocato l’ordine di eseguirli”.
"Non erano bugiardi". “Quella chiavica di Berlusconi”, non mentirono i testimoni che riportarono le parole del giudice Esposito. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 7 Luglio 2021.
Non erano falsi i testimoni che nelle estati tra il 2007 e il 2010 avevano sentito il “signor Esposito”, in vacanza nell’albergo Villa Svizzera di Lacco Ameno a Ischia, dire frasi del tipo: «A Berlusconi, se mi capita l’occasione, gli devo fare un mazzo così». Lo ha stabilito il gup di Napoli Giovanni Vinciguerra, in una causa promossa da quel prestigioso ospite, che altri non era che il giudice di Cassazione che nel 2013 condannerà l’ex presidente del Consiglio a 4 anni di carcere per frode fiscale. Il magistrato aveva scoperto la registrazione raccolta dall’avvocato Bruno La Rosa il quale, nell’ambito di indagini difensive in favore di Berlusconi da presentare nel ricorso alla Cedu, aveva raccolto la testimonianza di tre dipendenti dell’albergo.
L’alto magistrato aveva presentato quindi un ricorso per abuso d’ufficio nei confronti del legale e per falso contro i due camerieri e il bagnino. Le testimonianze, molto precise, anche perché riferivano diversi episodi sempre dello stesso tono, erano state videoregistrate e inviate alla Corte Europea. Frasi imbarazzanti, rivolte anche al proprietario dell’albergo, il senatore di Forza Italia Domenico De Siano. Aveva raccontato a verbale un cameriere: «Un giorno mi chiese del mio datore di lavoro, all’epoca sindaco di Lacco Ameno, e quando gli dissi il nome, mi chiese se fosse di Forza Italia e alla mia risposta affermativa il dottor Esposito esclamava “sta con quella chiavica di Berlusconi”».
La frase veniva ripetuta spesso, secondo le testimonianze. Pare che il magistrato chiedesse il continuazione notizie sulla proprietà dell’albergo, trovandolo evidentemente confortevole, dal momento che vi ritornava ogni anno.
Ma la frase più grave, visto quel che è accaduto in seguito, è quella riportata dal testimone Fiorentino, secondo il quale il dottor Esposito avrebbe detto che «prima o poi avrebbero arrestato sia il mio datore di lavoro che Berlusconi». Frasi gravissime, che il magistrato ha tentato di denunciare come false, al punto di recarsi ben due volte in Procura, nel timore che i reati cadessero in prescrizione. Cosa che è regolarmente accaduta. Ciononostante il gup Vinciguerra ha voluto entrare nel merito, il che significherà pur qualcosa. In definitiva i testimoni non erano falsi e quelle frasi, pronunciate da chi in seguito giudicherà e condannerà colui che era stato l’oggetto dei suoi “complimenti”, restano ora scolpite in una sentenza.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Il retroscena. Così il Csm salvò il giudice Antonio Esposito con 50 pagine di motivazioni. Paolo Comi su Il Riformista il 3 Luglio 2020.
Una sentenza che ha fatto e fa ancora discutere. Parliamo dell’assoluzione di Antonio Esposito davanti alla Sezione disciplinare del Csm per l’intervista rilasciata al Mattino all’indomani della lettura del dispositivo di condanna nel 2013 a carico di Silvio Berlusconi. Il Csm, in casi analoghi, pare abbia avuto un diverso orientamento, sanzionando l’incolpato. Ed infatti il procuratore generale aveva chiesto al termine della requisitoria la “censura” per Esposito. Di diverso avviso il Csm secondo cui l’intervista era stata “inopportuna” ma essendo “la valutazione di opportunità un giudizio di valore che deve restare fuori dall’iter logico-giuridico che fonda l’accertamento di responsabilità disciplinare”, Esposito doveva essere assolto. Ma non solo. “Escluso che la condotta posta in essere fosse finalizzata a ottenere pubblicità e che le dichiarazioni fossero state veicolate attraverso canali di comunicazione personali o privilegiati, qualunque possibilità di ravvisare una responsabilità disciplinare viene meno, anche in considerazione delle particolari circostanze in cui il fatto venne ad inserirsi”. Infatti, “un conto è auspicare che Esposito – che si era visto dare del bandito solo perché aveva fissato l’udienza nel pieno rispetto delle regole – mantenesse il più assoluto riserbo sulla vicenda, altro è pretenderlo, prescindendo dalla valutazione del contesto in cui la sua condotta venne ad inserirsi”.
Occorre considerare la scriminante del dovere di “difendere la funzione svolta” e la “necessità di respingere il pericolo concreto ed attuale di un danno grave all’onore e alla dignità della sua persona, reiteratamente e gravemente aggredita prima e dopo la definizione del processo”.
E poi non esiste “una chiara regola che riservi all’ufficio stampa della Cassazione l’esclusiva dei rapporti con i giornalisti e l’impossibilità di trovare nel solo dovere di riserbo un limite alla estensione del diritto costituzionalmente garantito di manifestazione del pensiero” in quanto “la violazione di tale canone di comportamento per ciascun magistrato è irrilevante come fonte di responsabilità disciplinare”. Ci vollero circa 50 pagine di motivazioni alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura per assolvere, il 15 dicembre del 2014, Esposito. I rumors dell’epoca raccontano di una camera di consiglio alquanto turbolenta.
L’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, che era componente di quel collegio, intervistato sul punto questa settimana ha dichiarato sibillino che ci sono “dei fatti rispetto ai quali deve essere interesse di tutti chiarire e comprendere che cosa è accaduto”. Cosa accadde realmente? Pressioni esterne? Dei “condizionamenti” da ambienti istituzionali? Palamara è tenuto al segreto della camera di consiglio e non può parlare. Leggendo le motivazioni della sentenza non si può non percepire la difficoltà nel percorso argomentativo di arrivare ad un verdetto assolutorio nei confronti del magistrato che, con la sua decisione, aveva cambiato la storia del Paese. Il 5 agosto 2013, pochi giorni dopo aver definito con lettura del dispositivo il processo penale nei confronti di Berlusconi, Esposito aveva rilasciato un’intervista al quotidiano della sua città, Il Mattino di Napoli, in gran parte dedicata a ricostruire i passaggi essenziali del giudizio di legittimità.
L’episodio scatenò immediatamente la polemica politica. Esposito venne accusato di aver violato il segreto della camera di consiglio e, indebitamente, anticipato il giudizio, descrivendo per sommi capi il contenuto della sentenza prima che questa fosse depositata.Un comportamento ritenuto gravemente scorretto sul piano deontologico dal momento che il giudice era venuto meno al dovere di riserbo che grava sui magistrati e al codice deontologico dell’Anm. La sua condotta venne giudicata fortemente imprudente e suscettibile di arrecare grave danno alla intera magistratura. L’allora primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, fu costretto a intervenire pubblicamente per stigmatizzare l’accaduto.
Il processo iniziò il 25 febbraio 2014. Come spesso capita in questi casi, l’iter fu alquanto turbolento. Il collegio iniziale non riuscì a terminare l’istruttoria prima della scadenza della consiliatura e il dibattimento venne concluso dal nuovo consiglio. Esposito portò molti testimoni. Difendendosi da solo, nelle battute finali del processo ricusò anche i giudici che poi lo assolsero ma non senza averlo prima severamente redarguito. “La rilevanza della materia processuale e i prevedibili suoi riflessi sul quadro politico nazionale avrebbero lasciato prevedere tutto ciò che ne seguì, a cominciare dal fatto che le dichiarazioni rese potessero essere stravolte, adattate e strumentalizzate da un giornalista interessato ad enfatizzare una dichiarazione assolutamente scontata per montare un caso”, scrisse il collegio presieduto da Giovanni Legnini. Senza contare “gli effetti nefasti per la credibilità della magistratura derivanti dalla diffusione nell’opinione pubblica del convincimento o anche solo del sospetto che una grave irregolarità avesse accompagnato la definizione di un procedimento penale di tale rilevanza sotto ogni aspetto”. Insomma, va bene l’assoluzione ma “un magistrato dell’esperienza di Esposito doveva farsi carico di tutto ciò e astenersi in quel momento dal parlare”. Paolo Comi
Giudice Esposito e gli insulti a Berlusconi "chiavica", il verdetto in tribunale: la clamorosa vittoria dei camerieri. Libero Quotidiano il 07 luglio 2021.
Archiviata la denuncia del giudice Antonio Esposito contro tre camerieri di un hotel di Lacco Ameno, la cui proprietà appartiene a Domenico De Siano (senatore di Forza Italia). A riportarlo è Il Fatto Quotidiano, che ricorda come i tre dipendenti misero a verbale di aver ascoltato Esposito mentre insultava gratuitamente in pubblico Silvio Berlusconi.
Il giudice aveva risposto accusandoli di false dichiarazioni rese al pubblico ministero e aveva accusato l’avvocato Bruno Larosa di abuso d’ufficio e usurpazione di funzione del pm. Il gip ha archiviato tutto con quattro pagine di motivazioni dalle quali si evince che le indagini difensive di Larosa non violarono il codice. Era il 3 aprile 2014 quando i tre camerieri - Giovanni Fiorentino, Michele D’Ambrosio e Domenico Morgera - dichiararono che Esposito era solito insultare in pubblico e ad alta voce Berlusconi e De Siano. “Il tuo datore di lavoro - avrebbe detto tra il ristorante e la hall dell’albergo - sta con quella chiavica di Berlusconi… ancora li devono arrestare… a Berlusconi se mi capita l’occasione devo fargli un mazzo così”.
Nella denuncia presentata dal giudice si parlava di “ricostruzioni inverosimili”, ma il gip ha messo nero su bianco che “non possono comunque considerarsi ‘false’ non solo sulla base degli elementi di prova disponibili, ma anche di quelli che l’opponente collega agli accertamenti patrimoniali ‘trascurati’ nelle indagini”.
Rivelò gli insulti al Cav del giudice Esposito: il tribunale la assolve. Luca Fazzo il 20 Gennaio 2022 su Il Giornale.
La donna querelata dalla toga che condannò Berlusconi. La sentenza: non si è inventata nulla.
«Berlusconi mi sta proprio sulle palle». «Se mi capita a tiro lo faccio nero». A oltre otto anni dalla sentenza della Cassazione presieduta dal giudice Antonio Esposito che condannava Silvio Berlusconi per frode fiscale, tornano d'attualità le frasi che un commensale aveva attribuito proprio a Esposito: raccontando come un paio d'anni prima di occuparsi del processo per i diritti tv l'alto magistrato avesse manifestato tutta la sua avversione per il Cavaliere. Sono frasi che Esposito ha sempre negato di avere detto. Ma ora la Corte d'appello di Milano assolve con formula piena dall'accusa di falsa testimonianza una signora che quelle frasi aveva dichiarato, sotto giuramento, di averle sentite con le proprie orecchie. E la convinzione di Berlusconi di essere stato la vittima di una macchinazione giudiziaria portata a compimento da un giudice prevenuto esce inevitabilmente rafforzata da questa sentenza.
L'imputata del processo milanese, scaturito da una delle innumerevoli querele dell'ex giudice Esposito, era una signora napoletana, Sandra Leonetti. Le cui uniche colpe erano avere partecipato insieme a suo marito, una sera del 2011, ad una cena cui era invitato anche Antonio Esposito. Dopo la condanna di Berlusconi il marito della signora, Massimo Castiello, aveva rilasciato una intervista al Giornale in cui descriveva per filo e per segno la serata in cui, alla presenza anche dell'attore Franco Nero, aveva udito il dottor Esposito esprimere tutta la sua avversione contro l'ex premier. Per quella intervista, Esposito aveva fatto causa sia al Giornale che a Castiello. Nell'udienza davanti al tribunale civile di Milano, la signora Leonetti era stata citata a testimoniare per fornire la sua versione su quanto si era detto davvero a cena. E aveva confermato in pieno il racconto del marito: spiegando che a tavola si parlava di cinema, e parlando di un film in cui «un avvocato difendeva un imputato che se la cavava sempre, mio marito ha detto: sì, come Silvio Berlusconi che se la cava sempre. Il giudice Esposito si è agganciato e ha detto Mi sta proprio sulle palle. Io ho sentito questa frase certamente, potrebbero averla sentita anche gli altri commensali ma non è detto perché il tavolo è grande». E ancora: «Il dottor Esposito, rivolgendosi a mio marito con la voce più bassa e quindi bypassandomi ha detto se mi capita a tiro lo faccio nero. Credo insomma che il senso fosse quello».
Per avere reso quella testimonianza, la Leonetti viene querelata a sua volta dall'implacabile Esposito. E il 18 gennaio 2019 viene condannata a un anno e quattro mesi di carcere. Secondo il tribunale di Milano, Esposito non può avere detto quelle frasi: non solo perché gli altri commensali non le hanno sentite ma anche perché lui le nega: ed «è persona particolarmente credibile in ragione del ruolo di magistrato svolto per ben quarant'anni» ed è «inverosimile che in una cena formale, con imprudenza inspiegabile e insensata, abbia pronunciato frasi di quel tenore».
Ma ieri la Corte d'appello di Milano ribalta la sentenza che condannava la Leonetti, assistita dall'avvocato Giorgio Cozzolino. Per i giudici «il fatto non sussiste», la signora insomma non si è inventata niente. E Esposito dovrà rinunciare a 15mila euro di risarcimento.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
"Lecito dire che fu un golpe la condanna del Cavaliere". Luca Fazzo il 14 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Sentenza Mediaset, il tribunale civile di Roma respinge la richiesta di danni del giudice Esposito.
Finalmente si può dire. Si può dire che la condanna di Silvio Berlusconi in Cassazione per frode fiscale fu un «colpo di Stato». Che quella sentenza fu una «pronuncia politica, ideologica», che non aveva «niente a che vedere con lo Stato di diritto», pronunciata da «un presidente che farebbe venire la pelle d'oca a chiunque». Si può persino dire che in Italia «la giustizia è come un cancro». Sono affermazioni per cui fino a non molto tempo fa si rischiava persino di finire in galera. E invece ora un giudice riconosce che quando Daniela Santanchè, parlamentare allora del Popolo delle Libertà e oggi di Fratelli d'Italia, commentò così la sentenza finale del caso dei diritti tv non fece altro che esercitare il suo diritto di critica. Lo fece, scrive il giudice, con «dichiarazioni che avevano valenza oggettivamente offensiva» e «toni particolarmente aspri». Ma così esercitò la «libera manifestazione del pensiero» garantita dalla Costituzione.
La sentenza emessa da Silvia Albano, giudice della sezione «diritti della persona» del tribunale civile di Roma è resa ancor più innovativa dal fatto che la controparte della Santanchè era un ex giudice: ed è noto che in genere le toghe sono particolarmente severe quando a sentirsi diffamato è un collega o un ex collega. Si tratta di Antonio Esposito, il presidente di sezione della Cassazione che il 1 agosto 2013 confermò e rese definitiva la condanna del Cavaliere, e che da allora non perde occasione per querelare o citare in giudizio chi osa criticare quella sentenza o indicarne gli aspetti oscuri, e in genere trova toghe pronte a dargli ragione: appena il mese scorso sono stati rinviati a giudizio in un solo colpo quattordici tra giornalisti e politici querelati da Esposito.
Anche a Daniela Santanchè nel 2019 era toccato finire nel mirino dell'anziano ex ermellino: causa civile con richiesta di un risarcimento monstre di 150mila euro per nove interviste e dichiarazioni pubbliche da cui Esposito si era sentito ferito nell'onore e nel prestigio. Tra cui quella in cui il processo all'ex premier veniva definito un «processo indiziario tolto al giudice naturale»: dirottamento che, peraltro, emerge oggettivamente analizzando l'andirivieni del «fascicolo Berlusconi» negli uffici della Cassazione.
Ma stavolta la causa intentata da Antonio Esposito fa un buco nell'acqua. Perché per il giudice «è chiaro che espressioni come colpo di stato o sentenza politica per eliminare Berlusconi non fossero riferibili a fatti storici dimostrabili, ma fossero evocative di una gestione del potere giudiziario» che la Santanchè intendeva criticare. E la libertà di pensiero è «un pilastro dello Stato democratico e della effettiva possibilità per il popolo di esercitare la propria sovranità anche in ordine al controllo dell'esercizio del potere giurisdizionale». Non c'è democrazia senza critica al potere: anche se quel potere porta la toga.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
"Molte toghe non sono più allineate all'indirizzo politico prevalente". Luca Fazzo il 14 Gennaio 2022 su Il Giornale.
L'avvocato che ha difeso la Santanchè: "Il caso Palamara ha avviato un ripensamento su certe dinamiche di difesa corporativa".
Incredibile ma vero: una sentenza riconosce il diritto di parlare male del giudice che condannò Berlusconi. Vuol dire che il clima sta cambiando?
«Anche senza entrare nel merito della condanna di Silvio Berlusconi del 2013 rilevo che a distanza di anni sono emerse voci critiche, anche fra i giudici, sul trattamento riservato al Cavaliere; e grazie a questo molte espressioni di censura proferite all'epoca possono essere ora lette in maniera diversa e più correttamente inquadrate, così come avvenuto nel caso deciso dal Tribunale di Roma».
Daniela Missaglia è l'avvocato che ha assistito Daniela Santanchè nello scontro giudiziario con il giudice Antonio Esposito, oggetto di giudizi anche forti («mi fa venire la pelle d'oca») da parte della parlamentare. E che ha incassato una vittoria benaugurante.
Esposito aveva scelto la strada della causa civile anziché della querela. Perché?
«Sapeva che la strada del procedimento penale era irta di ostacoli e lungaggini rispetto a quella civile. Se la senatrice Santanchè fosse stata condannata in sede penale Esposito avrebbe poi dovuto instaurare un successivo giudizio civile per vedersi liquidati i danni. Rivolgendosi direttamente al giudice civile ha privilegiato quello che era il suo più immediato interesse, ossia il ristoro economico. Poi è noto che le maglie del giudizio civile sono più larghe. Insomma ha calcolato rischi, tempi e benefici».
Però gli è andata male. Quali erano gli aspetti più insidiosi?
«Premesso che il dottor Esposito può ancora impugnare in appello la sentenza, l'insidia che ho rilevato non stava tanto nella domanda in sé e negli elementi che la fondavano, piuttosto nell'incognita del giudice investito della decisione. Abbiamo avuto la soddisfazione di trovare un giudice che ha pienamente accolto le difese svolte e affermato i principi costituzionali di libertà nell'espressione delle idee, anche in forma di critica sferzante. Questi sono gli emblemi di una democrazia matura».
Magari dopo il caso Palamara qualcosa è cambiato. Magari ci sono giudici che hanno capito che difendere ad ogni costo la categoria non sempre vuol dire fare giustizia.
«É una lettura acuta e interessante ma per ora è solo una ipotesi. Certamente il caso Palamara, a maggior ragione considerando come il suo protagonista ha poi scoperchiato il vaso di Pandora di molti malaffari in seno alla magistratura, è stato un duro colpo per la categoria e posso convenire abbia innescato un ripensamento su certe dinamiche corporative preesistenti. D'altra parte la magistratura non costituisce un blocco monolitico e conosco molti suoi esponenti che non appaiono necessariamente allineati, dal punto di vista politico, all'indirizzo presentato come prevalente. Sotto questo profilo ritengo che si sia fatto un grande passo in avanti e il clima politico esacerbato e di scontro frontale di un tempo sembra volgere verso un una china discendente. Se questo si tradurrà anche in sentenze come quella emessa nella causa tra la senatrice Santanchè e il dottor Esposito non si potrà che esserne soddisfatti».
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
Carlo Taormina smaschera la sinistra: "Razzisti". L'ultima vergogna contro Berlusconi al Colle. Libero Quotidiano il 07 gennaio 2022.
Anche Carlo Taormina dice la sua sul Quirinale. A pochi giorni dal voto per il nuovo presidente della Repubblica (Roberto Fico ha stabilito il 24 gennaio come data per l'elezione ndr), il sottosegretario al Ministero dell'Interno lancia un appello: "C'è razzismo nei confronti di Berlusconi da parte della sinistra che non lo vuole al Quirinale. Solo per questo va votato perché la delegittimazione dell’avversario non deve esistere mai, prima di tutto in politica!". Un cinguettio che segue tanti altri. Il giurista infatti non si trattiene: "Pur di vincere il razzismo della sinistra nei confronti della non sinistra, bene Berlusconi al Quirinale. Così imparate una volta per tutte". E ancora: "Consiglio a Draghi di dimettersi. Si aprirebbe un inedito corso shock che potrebbe essere salvifico per la politica italiana ormai bloccata".
Le parole di Taormina arrivano proprio nel giorno in cui L'Espresso, la rivista diretta da Marco Damilano, dedica la copertina al leader di Forza Italia. In prima la foto del Cavaliere con due sole parole: "Lui no". "Ci bastano due parole e cinque lettere in tutto per dirlo" si legge nella nota di presentazione del numero del settimanale. "Non ci giriamo attorno nella copertina di questa settimana: Silvio Berlusconi non può essere il prossimo Presidente della Repubblica".
Lo stesso segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha messo i bastoni tra le ruote al tavolo dei leader indetto da Matteo Salvini per trovare un candidato comune per il Colle. Risultato? "Finché il centrodestra ha una posizione ufficiale attorno a Berlusconi, il dibattito resta congelato", è stato il diktat fatto pervenire alla Lega.
L'assalto al Cavaliere. Attacco dell’Espresso a Berlusconi: “Lui no”, 120 copertine contro il Cav al Quirinale. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 12 Gennaio 2022.
Paura, eh? Centoventi copertine dell’Espresso, gli hanno dedicato. E oggi ancora una, e quarantun pagine per dire “Lui no”. Un’ossessione che porta il nome di Silvio Berlusconi. Non è guerra politica e neanche giudiziaria o competizione imprenditoriale piuttosto che invidia sociale. È un po’ l’insieme di tutto questo. Ma è soprattutto e prima di tutto assalto alla persona. È inutile girarci intorno: in quel “Lui no” di oggi, a poche settimane dall’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, c’è la stessa subcultura del “cancel”, una sorta di razzismo al napalm per spazzare via chiunque non faccia parte del giro. L’individuo del presente e del passato, come si fa con i protagonisti della storia considerati politicamente scorretti.
Silvio Berlusconi ha dato fastidio da subito, a certi ambienti, fin da prima di entrare in politica. Ha reso un servizio utile il direttore dell’Espresso a dedicare le quarantun pagine dell’ultimo numero all’assalto a Berlusconi che fu condotto da un suo predecessore, Claudio Rinaldi, che spese tutte le sue energie e contribuì alla fine a portare Berlusconi a Palazzo Chigi, con una campagna di stampa forsennata e disperata e controproducente. Violenta e razzistica. Le vignette di Altan, quelle con la banana messa dove non dovrebbe essere, le battute sulla statura, sulle scarpe rinforzate, sul riporto dei capelli. Poi tutta la paccottiglia sull’arricchito, che è la versione volgare e disprezzata del self-made men, altrove portata a esempio di possibilità di crescita e successo delle società liberali e democratiche. I successi come imprenditore edile, i quartierini-modello di Milano 2 e Milano 3 dove tutti quelli che potevano, correvano a vivere, l’invenzione geniale della tv commerciale e persino la grandiosità del Milan: tutto è visto con sospetto. Berlusconi è una specie di gangster brianzolo: «Basette, riporto e revolver sulla scrivania. Si presenta così al pubblico l’imprenditore Silvio Berlusconi…», la didascalia a corredo di una foto in bianco e nero, in cui non si vede alcuna pistola, ma intanto il messaggio è scivolato tra le ciglia del lettore.
Gli articoli di Claudio Rinaldi e le copertine escono a raffica a partire dall’estate del 1993, quando si sospetta una possibile “discesa in campo”, nell’agone della politica, dell’imprenditore di Arcore. In realtà non è una grande intuizione giornalistica, visto che Vittorio Sgarbi, che aveva partecipato a qualche incontro di assaggio a villa San Martino, aveva spifferato la notizia urbi et orbi, annunciando anche che “il partito” c’era già. Esagerava, naturalmente, perché Berlusconi in quei mesi e prima di decidere, aveva speso ogni energia perché qualche democristiano come Martinazzoli si facesse avanti a raccogliere l’eredità politica ed elettorale dell’intero pentapartito, spazzato via dai capitani coraggiosi di Mani Pulite. Esagerava Sgarbi, ma intanto in tutta Italia imprenditori, professionisti, manager e impiegati di ogni livello venivano “testati” davanti a improvvisate telecamere perché fossero pronti, non solo per preparazione politica, ad affrontare la campagna elettorale del 1994.
I concetti sparati come pallottole su ogni numero dell’Espresso erano sempre gli stessi. «Così ama presentarsi il potere berlusconiano –scrive Rinaldi il 13 giugno 1993-: imperiale e discreto, duro e candido, spietato e amichevole. Un fenomeno raro, anzi unico. Indescrivibile, se non con ricorso ai concetti- limite del pensiero politico del Novecento, alla ‘dittatura democratica’ di Lenin, alla ‘tolleranza repressiva’ di Herbert Marcuse». Le sue idee, i suoi programmi sono “dozzinali”, le contrapposizioni tra società liberale e statalismo sono superficiali “balbettii”, i valori sono “banali”. In questo modo, con giudizi elargiti “ex cathedra”, si propaganda un messaggio totale sulla personalità del Nemico. Dopo averlo descritto con la banana e la pistola, le basette e il riporto, si comunica che questa sorta di avventuriero ha pensieri superficiali e rozzi, sempliciotti e approssimativi. “Minus quam merdam”, si sarebbe detto ai tempi della goliardia universitaria.
Claudio Rinaldi era un uomo intelligente e un giornalista esperto. Il suo tentativo di demolizione dell’uomo Berlusconi, prima ancora dell’imprenditore o del politico che stava nascendo, avrebbe potuto avere successo in un altro periodo della storia e anche con una persona diversa. La campagna dell’Espresso non aveva tenuto conto del fatto che Berlusconi, prima ancora di candidarsi, aveva già vinto. Perché era un imprenditore di successo e la suggestione del milione di nuovi posti di lavoro era più forte di qualunque assalto alla sua immagine. Gli italiani erano stanchi dei giochi della vecchia politica, e forse anche di una sinistra aristocratica con il naso all’insù. Cercavano proprio qualcuno che li facesse sognare “con il sole in tasca”.
Pare un paradosso, ma anche il famoso “conflitto di interessi”, agitato con ossessiva ripetitività in quegli anni, ha finito per giovare a Berlusconi, per rafforzare la sua immagine di vincente. Del resto, nel mondo intero e per diverse ragioni, è forse lui l’italiano vivente più conosciuto. Certo non lo era, in quegli ultimi mesi del 1993 e nei primi del 1994, il leader del Pds Achille Occhetto, che pure in quell’autunno aveva vinto le amministrative in tutte le grandi città, ma che fu sonoramente sconfitto alle politiche del 27 e 28 marzo. La lezione non è servita, eppure qualcuno come Umberto Eco li aveva avvertiti. Chissà chi vestirà oggi i panni di Eco, se le cose non andassero come desiderano, trent’anni dopo, ancora quelli dell’Espresso. Anche Marco Damilano, il direttore di adesso, non è uno sciocco e ha una certa preparazione politica. Infatti, quando partecipa alle maratone nella compagnia di giro di Enrico Mentana fa la parte del vecchio saggio, quello che ha scritto libri sulla Democrazia cristiana e che in fondo rimpiange la Prima Repubblica. Due giorni fa, senza neanche nominare Berlusconi, ha detto che al Colle nelle prossime settimane vedremo o Mattarella o Draghi.
Non ha avuto bisogno di sparare “Lui no”. Quello lo fa di notte, quando dismette gli abiti del politico preparato e indossa quelli da direttore dell’Espresso. Quello che, oltre al titolo di una certa efficacia, non pare aver molto da dire. Anche se è riuscito a riempire un paio di pagine, di introduzione a Claudio Rinaldi. Ma un po’ di parole le ha spese a prender le distanze dall’antiberlusconismo di stile Travaglio, liquidato con aristocratica ferocia. Usa un trucco retorico, quello di esaltare Rinaldi come un grande del giornalismo, «di un’idea del giornalismo, del giornalismo dell’Espresso. Prima del Caimano di Nanni Moretti e di Franco Cordero, prima delle dieci domande di Giuseppe d’Avanzo». Poi, ecco la mazzata al travaglismo: «E prima anche dell’antiberlusconismo trasformato in marketing, tournée teatrale, paccottiglia editoriale, la stanca ripetizione infinita di luoghi comuni, di rivelazioni che non rivelano ma confermano, di carte inesplorate che esplorano il nulla».
Così finisce con il dire che questo “Lui no” è un po’ come il più famoso “Io so” di Pasolini, un grido di impotenza. Che sembra stare alle spalle della decisione dell’Espresso di fare una finta campagna elettorale contro Berlusconi, pubblicando solo gli articoli di trent’anni fa, con argomenti he oggi hanno poco senso. Tanto che, al termine della corposa lettura delle quarantun pagine, vien da dire: Berlusconi al Colle? Perché no?
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Silvio Berlusconi, presunto innocente: come funziona il potere di Sua Emittenza. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 7 gennaio 2022. Imperiale e discreto, duro e candido, spietato e amichevole. Così ama presentarsi il Cavaliere. Vuole essere in cielo, in terra e in ogni luogo. Il ritratto datato 1993 dell’imprenditore che non era ancora entrato in politica ma preparava la sua “dittatura democratica”. Dittatura democratica. Questo caso consiste, innanzitutto, nella strabiliante posizione di predominio che Berlusconi occupa nel sistema italiano dei mass media: il suo gruppo controlla direttamente quasi la metà della audience tv un terzo delle vendite di periodici un quarto del mercato dei libri; nemmeno nel Terzo mondo è consentito a un unico soggetto di esercitare un simile potere sulla produzione delle notizie e delle idee.
Silvio Berlusconi e la dittatura del sorriso finto. Fra applausi scroscianti e sondaggi che si auto avverano, il leader di Forza Italia dopo le prime elezioni del 1994 ha costruito il potere di un uomo solo che voleva essere insieme Destra, Centro e Sinistra. Mentre sistemava i guai economici delle sue aziende. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 10 gennaio 2022.
All’inizio di aprile, quando i leghisti gli suggerirono di non andare subito a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi perse le staffe. Cominciò a dare i numeri. Strillò varie volte: «Ora o mai più!». Una scena imbarazzante. «Ha perso il controllo ... Si è comportato da bambino capriccioso», osò dire poi Francesco Speroni ai giornalisti. In quello scatto di nervi già si rivelava la prima grande malattia della Seconda Repubblica: il provvidenzialismo.
Quando anche Umberto Eco pensava che l’Espresso avesse aiutato Silvio Berlusconi. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 10 gennaio 2022.
Il nostro settimanale fu il primo a denunciare i pericoli della sua discesa in campo. E finì per essere accusato in questo modo di averlo santificato. Anche dall’intellettuale più illustre. A cui rispose il direttore già nel 1994
Mentre andavo a trovare Umberto Eco, il 13 marzo, le orecchie mi fischiavano da un pezzo.
Che barba! Roma, Milano, Torino, erano piene di persone per bene che storcevano il naso davanti alla campagna de “L’Espresso” contro Silvio Berlusconi. Non dicevano, per carità, che era «vergognosa», come si tuonava tutti i giorni dal quartier generale di Forza Italia. No, obiettavano che quella campagna era tanto puntuale, martellante, ossessiva da risultare alla fine controproducente. Alcuni mi indicavano addirittura fra i tifosi inconsapevoli di Berlusconi. E costui amava ripetere che gli attacchi dei denigratori, specie se aspri, gli portavano nuovi consensi. “L’Espresso” stava dunque sbagliando tutto? Anche fra gli azionisti del settimanale c’era chi suggeriva di non fare di Berlusconi una vittima.
Così, sapendo che anche Eco aveva qualche perplessità, e che d’altra parte non era minimamente sospettabile di inclinazioni berlusconarde, andai a trovarlo quella domenica pomeriggio. Già in altre occasioni, del resto, lo avevo pregato di segnalarmi con franchezza ciò che ne “L’Espresso” non gli piaceva. E lui, semisepolto fra i 30 mila volumi che tappezzano le pareti della sua casa milanese di piazza Castello, l’aveva fatto.
Eco non mise in dubbio la legittimità di una serrata critica a Berlusconi. Anzi, trovò subito modo di precisare che considerava l’eventuale ascesa al potere politico di Berlusconi un evento quasi storico. «Se vince», osservò, «vuol dire che, per la prima volta nella loro storia recente, gli italiani fanno coincidere i loro comportamenti etico-politici con i comportamenti di consumo».
Cioè? «Finora gli italiani compravano le pornocassette di Moana Pozzi, però mandavano le figlie dalle Orsoline. Adesso forse sono disposti a mandarle nei bordelli ... ». Eco scherzava, per sottolineare che si rendeva perfettamente conto della rilevanza del fenomeno Berlusconi. Capiva che si poteva ben scegliere di contrastare questo personaggio: del resto stava per rendere pubblica la sua scelta per i progressisti. Ma i tempi, i modi, i contenuti degli articoli de “L’Espresso” sotto il profilo dell’efficacia non lo convincevano.
Anzitutto, disse, «gli attacchi de “L’Espresso” sono cominciati troppo presto. Molti mesi prima che Berlusconi formalizzasse il proprio ingresso in politica. Così “L’Espresso” ha contribuito a fare di Berlusconi un mito, sia pure cercando di dargli una connotazione negativa: gli ha riconosciuto in anticipo la qualifica di capo della destra italiana». Mentre Eco parlava, pensai che forse non aveva tutti i torti. Certo le critiche a Berlusconi erano cominciate in estate, quando i fatti non erano ancora esplosi, e troppa gente ancora non aveva gli strumenti per valutare la portata di quelle critiche.
Ebbi il dubbio che “L’Espresso” avesse sprecato le sue munizioni, e che anzi Berlusconi se ne fosse servito per temprare i propri scudi protettivi, per imparare a far fronte a tutti gli attacchi che gli sarebbero giunti addosso durante la campagna elettorale. Ma, alla fine, mi risposi che non avevo proprio niente da rimproverarmi. Semplicemente, “L’Espresso” aveva scoperto prima di tutti che Berlusconi stava per entrare in politica; aveva capito che la sua sfida poteva risultare vittoriosa; e aveva preso tutto questo sul serio, raccontando fatti, svelando retroscena, esprimendo opinioni. Si era insomma comportato come ogni giornale che si rispetti davanti a una vicenda importante.
La seconda obiezione di Eco fu che lo spazio dato a Berlusconi da “L’Espresso” era troppo. «Buona parte dei lettori de “L’Espresso”», spiegò, «già da tempo è orientata contro Berlusconi, e si annoia se tutte le settimane deve leggere le storie dei suoi debiti e delle sue bugie, del Caf e della P2: alla lunga, queste notizie piovono sul bagnato. L’altra parte dei lettori, quella non ostile a Berlusconi, non si fa certo convincere da attacchi troppo numerosi e insistenti; anzi, ne è infastidita».
Un dosaggio eccessivo, dunque? Se avesse voluto fare campagna contro Berlusconi, Eco si sarebbe mosso diversamente. E qui spuntò l’obiezione sui contenuti, la terza. «Non avrei propinato ai lettori 10-20 pagine a numero. Avrei cercato i veri punti deboli di Berlusconi. E, una volta individuatili, avrei battuto solo su di essi. Anche con maggiore durezza, all’occorrenza; ma in modo più concentrato, più mirato».
Per esempio? «Da quanto ho potuto osservare in questa campagna elettorale, un difetto di Berlusconi è l’incapacità di parare i colpi a sorpresa, le botte non previste. In casi del genere, Giulio Andreotti era pronto a opporre la propria maschera, l’impassibilità del potere. Un Pansa è bravissimo nello sferrare contrattacchi micidiali: si pensi al suo celebre scontro con Giuliano Ferrara a “Il rosso e il nero”. Berlusconi no, è troppo costruito, troppo programmato, ha un repertorio di idee e di battute troppo limitato. Dice sempre le stesse cose, e le dice bene soltanto se il contesto in cui si trova è amichevole, tranquillo. Il cazzotto improvviso lo fa barcollare. Lo si è visto quando la procura di Milano voleva arrestare Marcello Dell’Utri: questo evento lo ha colto completamente alla sprovvista, lo ha mandato nel pallone, lo ha fatto uscire dai gangheri. Credo che lo stesso Berlusconi conosca molto bene questa sua debolezza, e che per questo si sia dato la regola di rifuggire dai confronti diretti con gli avversari: lì non riesce a dare il meglio di sé».
Dissi a Eco che forse il rifiuto dei confronti dipendeva anche dalla sconfinata presunzione di Berlusconi: egli si crede più in gamba di qualunque altro essere umano, e se si trova allo stesso livello di un avversario, anziché su di un palcoscenico sospeso sopra folle adoranti, si sente ingiustamente sminuito.
Eco rifletté, poi ribadì: «Se “L’Espresso” voleva davvero mettere in difficoltà Berlusconi, doveva essere meno prevedibile. E dunque non tanto fornire prove esaurienti della fondatezza di tante accuse contro di lui, quanto mirare ai suoi talloni d’Achille. Per uno che trae parte della sua forza dalla sua storia di self-made-man, e dall’ottimismo che ne consegue, rivelarsi impreparato agli eventi, nervoso, irascibile può essere un disastro».
Presi nota di tutto, ringraziai Eco e me ne andai. Ripensai a quel colloquio nei giorni successivi, quando fui costretto a incassare altre critiche. Valentino Parlato, del “Manifesto”, andava dicendo che involontariamente “L’Espresso” aveva dato una mano a Forza Italia. E al “Corriere della Sera”, lunedì 21 marzo, Indro Montanelli dichiarò: «Non posso credere che il mio amico Rinaldi abbia voluto portare delle fascine al fuoco di Forza Italia, ma la demonizzazione approda sempre al risultato contrario quando si esagera. Sono riusciti a fare di Berlusconi il protagonista della politica italiana».
Lo stesso osservò Lucio Colletti. Idem Gianni Agnelli. “L’Espresso” quinta colonna di Berlusca! Fosse vero, ormai si potrebbe bisbigliare: missione compiuta. Ma non è vero, non è mai stato vero. Diciamoci la verità, amici: Berlusconi era forte, era fortissimo, i suoi voti li avrebbe presi in ogni caso. Si poteva fermarlo solo denunciando fin dall’inizio, davanti al Paese, l’assurdità di una situazione in cui il magnate della tv dava la scalata al governo impugnando come clave quelle reti tv che lo Stato gli ha concesso di possedere. Peccato che per mesi “L’Espresso” sia stato l’unico giornale a svolgere questa opera e che gli avversari politici di Berlusconi non abbiano aperto gli occhi in tempo. Quanto alla “demonizzazione”, caro Indro, la parola non è la più adatta. “L’Espresso”, purtroppo, non ha demonizzato Berlusconi. Lo ha solo raffigurato, e tu lo sai bene, per quello che è.
Questo articolo con il titolo originale “Ma non dite che è colpa nostra” è stato pubblicato sull’Espresso l’8 aprile 1994
Il Vecchio e il Male, Silvio Berlusconi e la rottura con Indro Montanelli. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 10 gennaio 2022.
Il giornalista fu spinto verso la porta d’uscita de “Il Giornale” che aveva fondato con modi sospirosi e dolenti. Perché B. lascia ai suoi incauti compagni di strada una scelta sola: sottomettersi o andarsene
Forse ricordi, vecchio Indro. Era il 17 febbraio del 1990. Io avevo appena lasciato “Panorama”, per l’arrivo di Silvio Berlusconi alla presidenza della Mondadori, e tu scrivesti sul “Giornale”: «Il ritiro di Rinaldi (…) è un gesto di coerenza che ci incute rispetto, ma che non ci impedisce di deplorare l’uscita di un uomo come lui dalla direzione di un settimanale che gli deve gran parte del suo prestigio e della sua fortuna».
Tutto, ma non la destra intorno a Silvio Berlusconi. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 10 gennaio 2022.
“Un Instant party nel quale l’unica cosa che chiaramente si scorge è una grande irresistibile insofferenza verso le leggi e verso chi ha il dovere di farle osservare”. I pericoli segnalati della stampa estera nel 1994 in occasione dell’ascesa del Cavaliere
Se non volete dare retta a “L’Espresso”, sappiate almeno che cosa scrivono di questi tempi i giornali stranieri. Non gli articoli dei corrispondenti dall’Italia, per carità! Che Silvio Berlusconi ritiene influenzati dai comunisti. Ma le analisi e i commenti scritti a Parigi, o a Londra.
«Il fenomeno Berlusconi sarebbe difficilmente concepibile in ogni altra grande democrazia occidentale» (Martin Jacques, “The Sunday Times”).
Silvio Berlusconi, per l’Italia e per la Ditta: 9 ragioni per diffidare di lui. Claudio Rinaldi su L'Espresso il 10 gennaio 2022.
L’editoriale del 7 gennaio del 1994 in cui il direttore dell’Espresso spiegava l’interesse dell’allora solo imprenditore per la politica: “Si candida al governo del Paese: leggi pro domo sua, sogni di gloria, finanza allegra. Il programma: uno Stato-azienda al servizio di un industriale a rischio”
È così. Più incontra ostacoli il suo progetto di mettere insieme i leader del centro-destra ancora sbandato, più Berlusconi prometeicamente si erge contro il Dio cattivo della sinistra. La solitudine lo eccita, i suoi obiettivi diventano iper-ambiziosi. Vuole la presidenza del Consiglio. Anche se Gianni Agnelli la trova ridicola, la prospettiva di un governo Berlusconi, pura fantascienza fino a poche settimane fa, si è ormai materializzata come il possibile grande evento - o la grande catastrofe - del 1994.
La presa di distanza dello scrittore. Per Carofiglio niente Quirinale per Berlusconi perché ama le donne: e allora Kennedy e Clinton? Tiziana Maiolo su Il Riformista il 7 Gennaio 2022.
Fa una certa impressione sentir Gianrico Carofiglio, scrittore di talento, già senatore e anche pubblico ministero argomentare come un Travaglio qualunque, o come uno dei tanti tagliagole di Repubblica, la propria presa di distanza dall’eventuale candidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica. È capitato qualche sera fa nel corso di una trasmissione tv. Fa impressione prima di tutto perché un uomo delle istituzioni dovrebbe volare alto e rispettare sempre, soprattutto, le norme e i principi costituzionali.
Cosa che stanno facendo in questi giorni altri, che probabilmente non lo voterebbero mai, il leader di Forza Italia, ma che riconoscono (e come non potrebbero?) il fatto che Silvio Berlusconi gode dei diritti civili che gli consentono la candidatura. E che inoltre ha una storia politica e istituzionale, oltre che imprenditoriale, di alto livello, che merita rispetto. Come ha detto, per esempio, Luciano Violante. Il quale, proprio come Carofiglio (e con ruoli più prestigiosi, come la Presidenza della Camera), è stato magistrato ed esponente politico. Purtroppo Carofiglio ha preferito indossare i panni del pubblico ministero, o meglio quelli del cronista giudiziario. E ha anche scelto male il caso, quando ha detto “fosse anche solo per questo”, lasciando sottintese mille altre ragioni ostative alla candidatura.
Forse aveva leggiucchiato proprio quella mattina l’articolo di Repubblica (che ha cambiato direttore ma non le forche caudine), che signorilmente e con la consueta sobrietà preparava il calendario e gli appuntamenti del gennaio 2022, quello in cui cominciano le elezioni presidenziali, per il proprio nemico storico. “Dalle olgettine al Ruby ter il gennaio in tribunale del candidato Berlusconi”, il titolo che fa concorrenza al “no al garante della prostituzione” del Fatto quotidiano. Non occorre essere psicologi per notare gli argomenti scelti per colpire sotto la cintura, in chiave giudiziaria. Come del resto fa lo stesso Carofiglio, che sceglie uno dei processi più assurdi, quello contro Tarantini a Bari. Sarà perché è la sua città, sarà perché, come lui stesso ha detto in trasmissione, la presidenza del Consiglio (ma quale, visto che il processo dura da dieci anni?) si è costituita parte civile contro un imputato accusato di aver indotto qualcuno a mentire. Convochiamoli dunque, gli psicologi a spiegarci perché, visto che a Silvio Berlusconi è stato contestato, nell’arco di questi trent’anni, un po’ di tutto tranne la strage, questa banda di voyeur della politica insiste a parlare sempre e solo di sesso? La spiegazione più ovvia è quella dell’invidia, perché gli uomini ricchi e potenti, anche se non sempre avvenenti e giovani, hanno la possibilità di frequentare tante belle e giovani ragazze. È la vita, bellezza!
Ma qualcuno penserebbe mai di escludere a posteriori dalla galleria dei Presidenti degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy perché quel giorno saltò fuori dalla torta un’indimenticabile Marilyn con tutto quel che ne conseguiva? O Bill Clinton, per quei giochi sotto la scrivania nella Sala Ovale con la giovane stagista? Certo, sono argomenti piccantini per qualche salotto di soli uomini. O le caserme di un tempo. Ma se proprio si deve scegliere la via giudiziaria, su Berlusconi non c’è che l’imbarazzo della scelta. Non per reati commessi, ma per accanimento subìto. Ma ci vorrebbe un bel po’ di coraggio. Infatti nessuno cita mai l’unica condanna, quella per frode fiscale, per almeno due motivi. Il primo è che il processo di Cassazione ha avuto talmente tante anomalie che pare meglio non metterci le mani. Il secondo motivo è che pende un ricorso molto fondato, proprio per una serie di dubbi procedurali sulla parte finale del processo, presso la Corte Europea. Meglio non rischiare, quindi.
L’altra strada è ancora più perigliosa, quella che prende la via di Firenze, dove tre pubblici ministeri, ciascuno famoso a modo proprio per diverse vicende, senza senso del ridicolo stanno indagando Berlusconi e Dell’Utri come mandanti di stragi. Lo stanno facendo per la terza volta e tra pochi mesi saranno costretti ad archiviare, perché non potranno più chiedere la proroga delle indagini. E così cesseranno di farsi prendere in giro dal boss mafioso Giuseppe Graviano e dai ricordi di suo nonno. Restano dunque i processi di prostituzione.
Berlusconi, assolto nel processo principale “Ruby” e in una sessantina di altri, compreso il Ruby ter a Siena ( ma lo sarà presto anche a Milano e Roma), è costretto a convivere con questo fardello sulle spalle. Pur sapendo che è il vuoto di argomenti politici contro di lui ad aprire la via giudiziaria e poi quel po’ di invidia e di voyeurismo che caratterizzano certi ambienti vuoti culturalmente a vedere mercimonio anche dove non c’è. Berlusconi è il “Garante della prostituzione”? Nulla di più grave da contestargli se non il fatto che, come Kennedy e come Clinton è un peccatore? Beh, allora è pronto per fare il Presidente.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
· Berlusconi e la Giustizia.
Il processo infinito e le accuse. Travaglio grida al complotto, ma Berlusconi è ancora a giudizio su Ruby…Tiziana Maiolo su Il Riformista il 2 Dicembre 2022
È ufficiale, Marco Travaglio è convinto che Silvio Berlusconi sarà assolto al processo "Ruby ter". E poiché in genere chi viene assolto è considerato innocente, non possiamo che plaudere alla positiva giravolta del direttore del Fatto quotidiano.
La notizia è annunciata in un articolo di (finta) preoccupazione per un emendamento, presentato dal senatore Pierantonio Zanettin al decreto anti-rave del governo Meloni, che è già stato dichiarato ammissibile dalla commissione Giustizia. Si tratta di vietare al pm di ricorrere in appello contro le sentenze di assoluzione in primo grado. Nulla di nuovo sotto il sole, dal momento che al Senato è in discussione, oltre alla norma sulle manifestazioni musicali con occupazione abusiva di terreni privati e all’ergastolo ostativo, anche il testo della riforma Cartabia, la cui entrata in vigore è stata rinviata al primo gennaio 2023.
Non è una novità il fatto che Forza Italia, fin dai tempi della legge Pecorella, infaustamente abbattuta dalla Corte Costituzionale, avanzi questa proposta. Che del resto è entrata nel programma di governo di tutta la maggioranza di centrodestra. Dove sta quindi lo scandalo, quello che ha costretto il giornale dei pm a uscire allo scoperto, manifestando la convinzione che Berlusconi sarà assolto a Milano dall’accusa di aver corrotto i testimoni del processo "Ruby" in cui fu assolto? Lo scandalo dell’emendamento sarebbero "due righe esplosive". In cui si legge: "La modifica si applica ai procedimenti pendenti nel primo grado di giudizio alla data di entrata in vigore della presente legge". Legge "ad personam!", grida Travaglio. Convinto come è che Berlusconi, da tutto questo minestrone mal riuscito dei "processi Ruby", uno due e tre, oltre alle propaggini esterne a Milano, non potrà che uscire vincente.
Del resto, non è forse già stato assolto a Siena e a Roma? È un dato di fatto, che ogni qualvolta il processo si allontana dal luogo dove tutto ha avuto inizio, con le indagini della pm Ilda Boccassini che faceva sorvegliare l’abitazione di Arcore e tutte le persone che vi entravano o uscivano, la montatura si sgonfia. E si capisce che questo processo non avrebbe dovuto neppure avere mai inizio. Non c’era bisogno di leggere il libro di Palamara, per saperlo. E intanto sono passati dodici anni da quando questo grande processo alla morale ha avuto inizio. Le assoluzioni che Berlusconi ha già portato a casa, da quella importante del processo principale, con sentenza di assoluzione ormai definitiva, fino alle due dei rami secondari, non vengono perdonate.
Tanto che nel mese di ottobre, mentre si stava formando il governo Meloni e ogni partito del centrodestra avanzava le proprie proposte, non solo il Fatto quotidiano ma anche Repubblica già lanciavano un singolare allarme sull’ipotesi che a un rappresentante di Forza Italia potesse essere affidato il dicastero della giustizia. Due titoli gemelli. Il primo, "Ruby ter: B. vuole la Giustizia per spazzare via la Severino", il 12 ottobre. Il giorno dopo, "Il Cav imputato in 4 processi rischia la decadenza e spera di cambiare la Severino". Astuto Travaglio e ancor più Molinari il finto bonaccione, pronti a capire che solo un guardasigilli di Forza Italia avrebbe potuto modificare la legge che il 27 novembre del 2013 era costata la decadenza di Berlusconi dal Senato.
Incredibile, dicevano i due quotidiani, che ora lo stesso personaggio possa tornare su quei banchi. E dunque scava scava la vecchia talpa, fino a capire l’astuto progetto dell’ex presidente del Consiglio. Che oggi viene ribaltato, con la (finta) preoccupazione per l’emendamento del senatore Zanettin. E la consapevolezza che la sentenza attesa a Milano, e pur dopo la richiesta della pm Tiziana Siciliano di una condanna a sei anni di carcere, non potrà che essere di assoluzione. E quindi sperare solo che il rappresentante dell’accusa possa, a norma di legge, inseguire l’imputato con i suoi ricorsi in appello e Cassazione, e poi magari ancora in un altro appello e un’altra Cassazione, fino a che saranno passati almeno altri dodici anni. Perché il grande processo alla morale non può che essere infinito. Crucifige, crucifige.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
L’imputato Davigo torna alla carica contro il ritorno di Berlusconi. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 27 Ottobre 2022
Se fossimo in un paese civile, non ci sarebbe neppure bisogno di una “legge Severino”, perché comunque Berlusconi non sarebbe mai tornato in Senato. Insomma, quei due milioni circa di voti non li avrebbe avuti. Chi lo dice, nel giorno del grande rientro del leader di Forza Italia dopo la brutale cacciata del 2013? Forse un avversario politico? Magari Enrico Letta, che è andato a occupare il posto di Matteo Renzi, che aveva liquidato Berlusconi con il suo perfido “game over”. Invece.
Invece, come se non fosse lui stesso un imputato sottoposto a Brescia per quella rivelazione di atti d’ufficio che per un magistrato è un fatto gravissimo, ricompare d’improvviso in tv Piercamillo Davigo. A parlare di Silvio Berlusconi il “pregiudicato”, come se non fossero stati in qualche momento della loro vita tutti e due, l’ex toga e l’attuale senatore, un po’ sulla stessa barca in un’aula di tribunale. Da imputati. Colui che fu un tempo un trionfatore di “Mani Pulite”, uno che incedeva nel corridoio del quarto piano del tribunale di Milano, fregiato indebitamente del titolo di “dottor sottile” come se avesse la raffinatezza di Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, non si è mai sottratto alle telecamere.
Ama esibire la propria competenza tecnico-giuridica, e anche ripetere ossessivamente storielle paradossali che con la reale amministrazione della giustizia hanno poco a che fare. Così non si è negato neanche questa volta all’invito di Giovanni Floris, invitato a nozze a dire la sua proprio la sera precedente il rientro di Silvio Berlusconi a Palazzo Madama. Avrebbe potuto declinare, oppure concordare di essere invitato solo come “tecnico”, sia pure magistrato ormai in pensione. Ma il personaggio non è fatto così. E neppure la storia del suo processo è proprio edificante, sul piano del rigore. Ancor meno il suo comportamento in tv. Tanto che, quando un altro ospite della trasmissione, il direttore di Libero Sandro Sallusti, nel ricordargli di essere stato da lui due volte querelato ed esserne uscito vincente, gli rinfaccia di essere un “indagato”, l’ex magistrato non lo corregge. Già, perché Davigo non è più un semplice “indagato”, ma un imputato a tutti gli effetti, con un processo in corso. Innocente secondo la Costituzione, come tutti gli imputati, naturalmente.
Avrebbe dovuto rivendicarlo, con orgoglio, ma anche con la dignità che in questo caso è mancata. Avrebbe dovuto ricordare l’articolo 27 della Costituzione, gridando la propria estraneità al reato che gli viene contestato. Invece, muto. Silenzioso e sornione anche il conduttore, che non può ignorare la realtà dei fatti. Eppure le cronache sono state clamorose, fin dall’inizio “dell’affare Amara” con la deposizione dell’avvocato sulla presunta “Loggia Ungheria” e la storia della famosa chiavetta che, dalle mani del sostituto procuratore milanese Paolo Storari, passando da quelle del dottor Davigo membro del Csm, ha fatto uno strano giro dell’orologio, arrivando nella sua versione verbale fino al Presidente Mattarella, come ha testimoniato il vicepresidente del Csm David Ermini. E non si può dimenticare la presenza fisica e l’orgoglio da combattente dell’imputato Davigo nell’aula del tribunale di Brescia il giorno della prima udienza.
Era il 20 aprile scorso, e c’erano le telecamere. Non si sa che cosa il dottor Davigo pensasse di ricavare sul piano mediatico, fatto sta che il suo comportamento aveva stuzzicato persino il bonario presidente della prima sezione del tribunale Roberto Spanò, che a un certo punto si era visto costretto a dirgli paternamente: “È difficile svestire la toga quando si è dall’altra parte, la inviterei a calarsi nella parte dell’imputato”. Un invito inutile. Perché se è vero, come dicono molti magistrati, che la toga in qualche modo ti rimane appiccicata addosso anche quando non frequenti più le aule di giustizia, anche quando sei ormai in abiti “borghesi”, nel caso del dottor Davigo e del suo atteggiamento c’è qualcosa di più e di diverso. Perché in questo processo bresciano c’è il rischio che vada in pezzi del tutto la sua immagine dei tempi che furono, quella dei successi di “Mani Pulite”. Lui lo sa.
Lo ha dimostrato la sua agitazione quando David Ermini nella sua testimonianza ha chiarito che il magistrato, all’epoca membro del Csm, non gli chiese mai di formalizzare la consegna dei verbali secretati di Amara. Verbali che furono mostrati o finirono nelle mani, oltre che di cinque consiglieri, anche di persone estranee al Csm come il presidente della commissione antimafia Nicola Morra, e anche delle due sue segretarie. Quel giorno in quell’aula c’era solo un imputato in difficoltà. Come tanti. Magari anche come Berlusconi quando è stato condannato per frode fiscale. Un grande ex magistrato con la toga e la giustizia nel cuore sarebbe stato generoso, martedi sera. Avrebbe potuto ricordare che il leader di Forza Italia ha scontato la sua pena, pur ritenendola, e non solo lui, ingiusta. E anche che comunque due milioni di persone lo hanno riportato al Senato. Ma non c’è niente da fare. Quale grandezza aspettarsi da uno che non ritiene esistano innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca? Potremmo ricordarcene il giorno della sentenza che assolverà o condannerà l’imputato Piercamillo Davigo.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Da adnkronos.com il 26 ottobre 2022.
"Io c'ero, l'avviso di garanzia a Berlusconi ce l'ha dato la procura di Milano, in fotocopia". "La procura non è una persona, non si possono tutelare le fonti e poi fare questo gioco di prestigio. Bisognerebbe avere la sensibilità, quando si dice una cosa, di andare fino in fondo". Duro scambio di battute al Salone della Giustizia tra Alessandro Sallusti, direttore di 'Libero' e l'ex pm del pool di Mani pulite, Gherardo Colombo, nel corso del dibattito "1992: nasce il processo mediatico". Al centro, la vicenda della pubblicazione da parte del 'Corriere della Sera' dell'avviso di garanzia che l'allora premier Silvio Berlusconi ricevette nel 1994 durante il G8 che si svolgeva a Napoli.
"Ce l'hanno data quel giorno perché faceva più male a Berlusconi - ha detto Sallusti - Questa scelleratezza, superficialità, egoismo della classe giornalistica col passare dei mesi si è saldata con la classe dei pm", ha sottolineato, citando poi quanto ricostruito su questo tema da Luca Palamara, nel libro intervista 'Il sistema'.
Replica di Colombo: "Giel'ho dato io? No. Gliel'ha data Davigo? No. Questa è una cosa molto grave e pesante nei confronti di chi questa cosa l'ha fatta, ammesso che sia stata fatta, o di chi questa cosa non l'ha fatta. Mi sento molto in imbarazzo. Quando i giornalisti ricevono una notizia si coprono dietro la tutela della fonte, e si sparge un grande discredito nei confronti di chi così non si comporta. Questo attiene alla deontologia professionale. Mi sento chiamato in causa. Siccome la procura è impersonale, ammesso che sia vero che lei ha ricevuto una fotocopia da un magistrato, questo mi fa cascare dalle nuvole".
"Questa è stata la più grande spettacolarizzazione che sia mai capitata in Mani pulite, l'invito a comparire a Berlusconi", ha sottolineato ancora l'ex pm. Una fuga di notizie che "ha danneggiato enormemente le indagini. La mia idea del rispetto delle persone è molto ferma, le persone devono essere rispettate in sintonia con articolo 27, e devono essere rispettate anche dopo".
L'uscita della notizia "ha gettato tanto discredito sulla procura di Milano, è stato un danno enorme mi piacerebbe sapere da chi è uscita, c'è chi dice che sia uscita da chi ha ricevuto l'invito, dai carabinieri, dalla procura, se Sallusti ha ricevuto la fotocopia dell'invito a comparire, la procura è composta da magistrati, polizia giudiziaria. I magistrati eravamo io, Davigo, Borrelli, D'Ambrosio, Di Pietro, Greco, se dice che è stato un magistrato deve essere uno di questi sei".
Alla fine un accordo tra i due per una cena 'chiarificatrice'. "Propongo al direttore Sallusti una cena così parliamo di come è uscita la notizia, sono interessatissimo", la proposta di Colombo. "Molto volentieri, poi le racconto anche della telefonata che ricevetti il mattino successivo che mi annunciava, cosa inusuale, una perquisizione a casa mia alle ore 12, che mi sembrava un gentile invito, 'vediamo di non fare casino'".
Silvio Berlusconi. Una storia calabrese. A chiamare nuovamente in causa l'ex presidente del Consiglio sono tre pentiti, i cui verbali sono stati depositati dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al processo d'appello "Nndrangheta stragista". Alessia Candito su La Repubblica il 15 Ottobre 2022.
Si accredita come "fondatore del centrodestra" e da grande patron di Forza Italia guida le trattative per collocare i suoi nel futuro governo. Ma lontano dal salotto di Arcore, sulla riva calabrese dello Stretto, il nome di Silvio Berlusconi torna nelle carte giudiziarie e risuona - ancora - nelle aule di un tribunale. A chiamarlo nuovamente in causa sono tre pentiti, i cui verbali sono stati depositati dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al processo d'appello "Ndrangheta stragista".
«Alterato l’audio del giudice che disse: contro Berlusconi un plotone di esecuzione». Secondo una perizia la "confessione" del Giudice Franco sarebbe stata manomessa. Disse: "L’impressione è che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto". Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 12 Ottobre 2022.
Le registrazioni dei colloqui fra Silvio Berlusconi e l’allora giudice Amedeo Franco potrebbero essere state «alterate». La clamorosa rivelazione arriva a circa otto anni di distanza dai fatti, grazie ad una perizia effettuata dalla difesa del giudice Cosimo Ferri, deputato renziano uscente e all’epoca sottosegretario al ministero della Giustizia nel governo Letta. Tutto ha inizio all’indomani della decisione della Cassazione di rigettare, il primo agosto del 2013, il ricorso proposto da Berlusconi contro la sentenza di condanna a quattro anni di reclusione emessa dalla Corte d’appello di Milano nel processo su diritti Tv- Mediaset. Una decisione che aveva comportato, per effetto della legge Severino, la decadenza di Berlusconi da parlamentare.
Franco, relatore di quella sentenza e poi deceduto nel 2019, conoscendo Ferri, gli avrebbe allora chiesto un appuntamento con Berlusconi. «Abitava vicino al ministero e un giorno lo incrocio. Era un po’ agitato e mi chiede: “Sei in grado di prendermi un appuntamento con Berlusconi visto che sei sottosegretario?”. Mi dice che ci teneva molto ad incontrarlo. Gli rispondo affermativamente: “Sì sì, lo prendo, sento”. Ci sono stati due incontri: uno velocissimo e un altro più lungo, dove li ho lasciati lì a parlare tra di loro», dirà poi Ferri. Durante questi incontri, avvenuti tra la fine del 2013 e la prima settimana di febbraio del 2014, Franco si era lasciato andare a pesanti giudizi nei confronti dei componenti del collegio della Cassazione, presieduto da Antonio Esposito, affermando di non averne condiviso, pur essendo stato il relatore, la decisione finale.
La vicenda era quindi diventata di pubblico dominio nell’estate del 2020, con alcuni articoli sui principali quotidiani che avevano riportato ampi stralci di quei colloqui nei quali Franco descriveva il collegio come un «plotone d’esecuzione» costituito da «quattro ultimi arrivati che non capivano niente». Colloqui, si scoprirà, registrati all’insaputa dello stesso Franco e di Ferri.
Immediatamente era stato aperto un procedimento da parte della Procura di Roma, conclusosi con un nulla di fatto e senza che l’ex premier fosse mai stato interrogato sul punto. Gli atti, comunque, erano stati trasmessi alla Procura generale della Cassazione per esaminare la condotta di Ferri. La scorsa primavera, terminata la fase istruttoria, era stata esercita nei suoi confronti l’azione disciplinare, accusato di ‘ grave scorrettezza’ verso i colleghi che avevano composto il collegio, in particolare accompagnando uno dei giudici che aveva firmato la sentenza a casa del suo imputato. Questa settimana il colpo di scena da parte della difesa di Ferri, rappresentata dall’avvocato romano Luigi Antonio Panella, che ha acquisito gli audio incriminati, sottoponendoli a perizia da parte dell’ingegnere informatico Fabio Milana. Si tratta di una perizia che mette in discussione le conclusioni della Procura generale della Cassazione, fornendo una ricostruzione diversa delle modalità di svolgimento di tali incontri. Gli audio sarebbero stati registrati con un normale iPhone, verosimilmente occultato alla vista dei presenti.
La Prima conversazione risulta essere stata effettuata il 23 marzo del 2014 alle ore 10.50. La Seconda conversazione il 6 febbraio 2014 alle ore 22.50. «Se la denominazione risulta legata ad una loro temporalità è errata» e quindi «fuorviante», segno evidente di un «intervento modificativo», si legge nella perizia. Anche perché, come contestato dalla Procura generale, l’ultimo incontro è avvenuto a febbraio del 2014 e non nel successivo mese di marzo. A parte ciò, le “sorprese” emergono con l’analisi spettrale. La prima conversazione, in particolare, inizia con i presenti che stanno già dialogando fra loro. Terminate le conversazioni, ci sono poi cinque minuti di silenzio prima che il dispositivo venga spento.
«È possibile ipotizzare – scrive Milana una alterazione della registrazione originaria per mancanza ad inizio del file della parte di dialogo antecedente quello memorizzato». E poi: «Certamente all’inizio della registrazione non sono presenti rumori o elementi che possano ricondurre ad una accensione del dispositivo di registrazione ed eventuale posizionamento». In altre parole se l’iPhone è stato recuperato all’interno del locale ove si è tenuto l’incontro da un soggetto non partecipante all’incontro stesso, mancherebbe la parte iniziale delle registrazioni, quella relativa alla sua accensione prima dell’occultamento.
L’audio riporta alla fine le voci dei partecipanti all’incontro che si allontanano. Inoltre si sente un soggetto prelevare lo strumento di registrazione e portarlo con sé, acceso. Il soggetto, allora, bussa ad una porta e una voce femminile dice: “Avanti! So’ andati?”. La voce maschile risponde: ‘ Sì’. E sempre la voce femminile: “Ah pensavo avessero beccato il tel”. Il colloquio dimostrerebbe che della registrazione non erano a conoscenza i conversanti e che la voce del soggetto maschile che si è occupato di recuperare il telefono non fosse né Ferri né Berlusconi. Nella seconda conversazione, invece, sono presenti i rumori tipici dell’a-ziona-mento del dispositivo. Rumori presenti anche al termine della registrazione per l’azione di spegnimento. La voce di Berlusconi è nitida: ‘ Mi sa che si è spento’.
Segue voce femminile 1: ‘ È il mio? Il mio?’; Voce femminile 2: ‘ No, no! Sta andando, fermo’; Voce femminile 1: ‘ Di qua, di qua!’; Voce femminile 2: ‘ No, no non si è spento presidente’; Berlusconi: ‘ Sentiamo se si sente’; Voce femminile 1: ‘ Mettilo in ca…’; Voce femminile 2: ‘ Vai, 06 12’; Voce femminile 1: ‘ E ce n’è un altro, presidente. Vai a prendere l’altro!’; Voce femminile 2: ‘ Adesso vado a recuperarlo’. Voce femminile 1: ‘ Vai’.
Anche in questo caso l’iPhone sarebbe stato acceso da soggetti diversi da Berlusconi e Ferri. Quanto emerso, come ad esempio la mancanza della parte iniziale della prima registrazione che non si spiegherebbe se il telefono era stato acceso e poi occultato, evidenzierebbe «criticità logiche e cronologiche che non consentono di affermare la piena corrispondenza tra il contenuto della conversazione tra presenti con l’evento conviviale che si è tenuto a Palazzo Grazioli», scrive allora Panella, chiedendo alla sezione disciplinare del Csm l’inutilizzabilità degli ascolti.
La “grave scorrettezza” di Ferri, oltre a quella di aver accompagnato Franco da Berlusconi con lo scopo di consentirgli di rivelare i contenuti della camera di consiglio per favorire le iniziative più opportune per agevolarne la sua posizione, si sarebbe concretizzata anche affermando che Ercole Aprile, uno dei componenti del collegio ed esponente di Magistratura democratica, era in procinto di candidarsi al Csm. «Confermando – si legge nell’incolpazione – la tesi di Berlusconi di essere vittima di un complotto da parte di una corrente della magistratura».
«Si tratta di opinioni espresse in un incontro privato», ha sul punto già fatto sapere la difesa di Ferri. I legali di Berlusconi, il professor Franco Coppi e l’avvocato Niccolò Ghedini, recentemente scomparso, avevano precisato che l’audio era stato diffuso prima della morte del giudice della Cassazione, «seppur non pubblicamente». Già nel marzo del 2016 la bobina era stata infatti depositata alla Cedu dove era pendente il ricorso contro la sentenza di condanna. Ricorso che, alla vigilia della decisione, era stato però ritirato dalla difesa di Berlusconi, non consentendo così una valutazione di tali colloqui oggi oggetto del contendere.
MAFIA E POLITICA. I guai giudiziari di Berlusconi pesano sul nuovo parlamento. Il ritorno di Silvio Berlusconi. GIULIA MERLO E NELLO TROCCHIA su Il Domani il 27 settembre 2022
Nel nuovo parlamento, uscito dalle urne, si materializza uno scontro che per oltre due decenni si è consumato nel paese tra il potere esecutivo e quello giudiziario, quando al governo c’era Silvio Berlusconi.
L’ex cavaliere, dopo aver scontato ai servizi sociali la condanna per frode fiscale, tornerà al Senato, eletto con oltre il 50 per cento dei voti nel collegio uninominale di Monza.
Da una parte siederà lui, tra le file della maggioranza di centrodestra, e dall’altra, all’opposizione, i magistrati in pensione schierati ed eletti dal Movimento cinque stelle, Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, che troveranno in aula una seconda vita professionale.
Nel nuovo parlamento, uscito dalle urne, si materializza uno scontro che per oltre due decenni si è consumato nel paese tra il potere esecutivo e quello giudiziario, quando al governo c’era Silvio Berlusconi. L’ex cavaliere, dopo aver scontato ai servizi sociali la condanna per frode fiscale, tornerà al Senato, eletto con oltre il 50 per cento dei voti nel collegio uninominale di Monza.
Da una parte siederà lui, tra le file della maggioranza di centrodestra, e dall’altra, all’opposizione, i magistrati in pensione schierati ed eletti dal Movimento 5 stelle, Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, che troveranno in aula una seconda vita professionale.
IL CASO SISTEMI CRIMINALI
Così quello che succedeva nel paese vent’anni fa, potrebbe tornare a succedere in aula. Il leader di Forza Italia, al Senato, incrocerà direttamente Roberto Scarpinato, il pubblico ministero siciliano che negli anni Novanta firmò la prima indagine, ribattezzata “Sistemi criminali” che si occupava del ruolo di massoneria deviata, mafia ed eversione nera nella stagione delle stragi di Cosa Nostra.
Quell’inchiesta, archiviata su richiesta del pm, indagava anche sulla nascita di Forza Italia, sulla vicinanza mafiosa al movimento nascente e anche sul ruolo di Marcello Dell’Utri, il fido amico di Berlusconi che poi sarà condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. In quella richiesta, pur d’archiviazione, si trovano ragioni ipotizzate sulla fine della strategia stragista.
«Se ciò sia avvenuto anche per effetto della prosecuzione e dell’esito della “trattativa” è ipotesi logicamente plausibile, ma non sufficientemente provata e, in ogni caso, esulante dallo specifico oggetto del presente procedimento, così come ne è esulante l’incidenza che possa avervi avuto l’evoluzione dei rapporti di Cosa Nostra con altri soggetti, i quali si sono impegnati all’interno di nuove formazioni politiche dopo il tramonto della prospettiva secessionista (è il caso – ad esempio – dell’onorevole Marcello Dell’Utri, risultato prima in contatto con vari personaggi impegnati nel progetto meridionalista, e poi protagonista della nascita di Forza Italia)», si legge nell’atto.
Di fatto, “Sistemi criminali” è stata il preludio dell’inchiesta sulla presunta Trattativa Stato-mafia, coordinata da altri magistrati anni dopo, che è finita in appello dopo un lungo iter processuale con l’assoluzione degli imputati, tra i quali anche lo stesso ex senatore Dell’Utri.
DE RAHO A MONTECITORIO
Alla Camera dei deputati, invece, ci sarà De Raho, già coordinatore della direzione distrettuale antimafia di Napoli, e successivamente capo della procura nazionale antimafia fino al febbraio di quest’anno.
Proprio De Raho guidava l’antimafia partenopea quando il coordinatore di Forza Italia, Nicola Cosentino, nel 2009, venne raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, respinta dalla camera di appartenenza. De Raho aprì l’inchiesta che travolse l’ex sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi e l’allora primo ministro reagì sparando a zero sui magistrati.
«Ho assicurazione personale dagli interessati che si tratta di operazioni legate alla politica, e non a quella realtà. Sono bene al corrente di che cosa possa fare certa magistratura e quindi attendo i processi», disse Berlusconi quando vennero pubblicate le accuse di un collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, contro Cosentino. A distanza di anni i processi si sono celebrati e Cosentino è stato condannato a dieci anni, in secondo grado, per concorso esterno in associazione camorristica.
De Raho e Scarpinato potrebbero avere un ruolo nella commissione bicamerale d’inchiesta sulle mafie. Più nota come commissione Antimafia, è un organo parlamentare che unisce 25 senatori e 25 deputati e dal 1962 viene istituita con legge all’inizio di ogni legislatura.
Ha il compito di verificare l’attuazione della normativa antimafia, la congruità delle nuove norme, di vigilare anche sui rapporti tra mafia e politica e agisce con gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria a indagini ed esami in merito al fenomeno mafioso.
LE INDAGINI E GLI INCROCI
Proprio lo scontro parlamentare, però, potrebbe generare un cortocircuito tra il passato giudiziario di De Raho e quello di Berlusconi sul fronte opposto.
Nel gennaio di quest’anno, infatti, l’allora procuratore nazionale antimafia ha parlato a Repubblica delle inchieste in corso sulle stragi degli anni Novanta. «Procediamo con cautela. Bisogna evitare nuovi depistaggi alla Scarantino, per arrivare a una ricostruzione organica ogni conquista è elemento che va vagliato dai vari uffici - Palermo, Catania, Caltanissetta, Reggio Calabria, Firenze - coinvolti nelle indagini. In più è passato molto tempo. Che le dichiarazioni dei pentiti vanno vagliate con ancora più attenzione e certi accertamenti costano più fatica. Ma si possono e si devono fare e i risultati stanno arrivando», ha detto De Raho.
L’incipit dell’intervista ha questo tenore: «Arriverà un nuovo pezzo di verità sulle stragi. Di questo ne sono convinto. Stiamo lavorando da anni per questo». Un annuncio che è un auspicio ma si tratta di una indicazione molto forte, perché il procuratore nazionale antimafia ha come primo compito quello di coordinare il lavoro d’inchiesta delle varie procure distrettuali e ha accesso a fascicoli e notizie riservate.
Dunque, all’epoca dell’intervista De Raho era l’unico magistrato in Italia a poter avere, nell’esercizio delle sue funzioni, un quadro completo sulle indagini in corso sulle stragi e a poter anticipare con cognizione di causa l’arrivo un «nuovo pezzo di verità».
Queste verità, però, da gennaio ad oggi non sono ancora arrivate e non sono note alla pubblica opinione. Di certo c’è che nel 2021, come raccontato da Domani, alla procura nazionale antimafia di via Giulia a Roma si svolte diverse riunioni, con un via vai di procuratori delle distrettuali coinvolte nelle indagini.
LE INDAGINI SULLE STRAGI
Quelli di Caltanissetta competenti per territorio su Capaci e via D'Amelio, quelli di Palermo investiti della trattativa Stato-mafia, quelli di Reggio Calabria che hanno già portato a giudizio il siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone ottenendone la condanna in Corte di Assise. E poi c’è un’altra procura che indaga sui mandanti esterni delle stragi. E tra gli indagati c’è proprio Silvio Berlusconi.
Dell’Utri e Berlusconi sono indagati per concorso in strage dalla procura di Firenze. L’indagine approfondisce il ruolo di soggetti esterni nella campagna stragista, condotta dalla mafia siciliana nel 1993 con gli attentati a Firenze, Roma e Milano. L’accusa è sempre stata respinta dagli interessati e per gli avvocati che li assistono «è un’infamante ricostruzione».
Questa non è la prima indagine che riguarda Berlusconi e Dell’Utri per quella stagione di sangue e bombe, ma le indagini precedenti sono finite tutte con l’archiviazione. Erano “Alfa” e “Beta” a Caltanissetta e “Autore 1” e “Autore 2” a Firenze, sigle per coprire l’identità degli indagati. Ancora prima, a Palermo, erano stati anche “M” e “MM”, in compagnia di un certo “MMM“ che come occupazione temporanea aveva quella di stalliere, a tempo pieno invece faceva il mafioso della famiglia di Porta Nuova e ad Arcore badava ai “cavalli”. Si trattava del boss Vittorio Mangano, poi diventato noto alle cronache come lo stalliere di Arcore.
Silvio Berlusconi, da imprenditore, fino a metà degli anni Settanta, lo ha ospitato nella sua villa di Arcore, e successivamente lo bollerà come eroe perché in grado di non violare il patto di silenzio al quale era votato. Proprio quel Mangano che il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia e non solo, definiva «testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia».
LA FINE DELLE INDAGINI
Torniamo all’inchiesta fiorentina. Domani ha rivelato che la nuova indagine ha una data di scadenza: dicembre 2022. Entro la fine dell’anno, quindi, i pubblici ministeri dovranno decidere se archiviare tutto per la quarta volta o inviare l’avviso di chiusura delle indagini preliminari agli indagati.
L’inchiesta è stata aperta dall’allora procuratore capo della repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo - oggi sostituto procuratore nella procura minorile di Reggio Calabria - dal sostituto Luca Turco e dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli. L’inchiesta è stata avviata nel 2017 e parte dagli obliqui messaggi lanciati dal carcere dal boss Giuseppe Graviano, nei colloqui registrati da microspie con il suo compagno d’aria Umberto Adinolfi.
Graviano è un criminale incallito che vuole uscire dal carcere e sa benissimo che ogni sua parola viene intercettata. Non è un pentito e non è un imputato qualunque, è un mafioso, anzi è il mafioso che più di ogni altro - insieme a Totò Riina e Matteo Messina Denaro - quelle stragi le ha volute.
È un prestigiatore, capace di mischiare il vero e il falso. Secondo quanto confidato da Graviano, ci sarebbe stato un accordo economico tra lui e Berlusconi, che sarebbe stato il presupposto per la convergenza d’interessi nella stagione stragista del 1993.
La verità che Graviano ha consegnato ai magistrati di Firenze nel 2021 è che esista «una carta», cioè una scrittura privata tra lui e Berlusconi, che risalirebbe agli anni Settanta, quando Berlusconi non era ancora sceso in politica. Il documento stabilirebbe una quota di partenza di venti miliardi di lire raccolti tra le famiglie mafiose di Palermo guidate dal nonno di Graviano, per farle diventare finanziatrici nelle sue attività immobiliari.
Questa ipotesi, che ha dato il via all’indagine, troverebbe altri riscontri in dichiarazioni e in alcuni documenti in possesso degli inquirenti, ancora coperti da segreto. Basterà per mettere la loro firma sull’avviso di conclusione delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio?
I DUE NEMICI
Il dato politico, tuttavia, è che l’indagine rischia di essere l’ennesimo problema giudiziario di Berlusconi, che per estensione potrebbe creare difficoltà anche ai suoi alleati del centrodestra. Soprattutto visto che l’ex premier troverà in parlamento due magistrati che hanno sempre indagato sui rapporti tra politica e mafia, e in particolare conoscono bene le carte – note e non note – sulle stragi del 1993 nelle quali il suo nome è al vaglio degli inquirenti.
Da sempre vicino alla corrente di sinistra di Magistratura democratica, Roberto Scarpinato infatti è sempre stato considerato dai colleghi tra i magistrati più preparati dal punto di vista storico-culturale sul fenomeno mafioso, tanto da essere soprannominato “il filosofo”.
La sua carriera, tutta svolta in Sicilia, è stata caratterizzata non solo dall’indagine “Sistemi criminali”, ma anche dalle inchieste che hanno tentato di far luce sulle stragi del 1992 e 1993.
Non solo: quando era alla guida della procura generale di Palermo ha preso parte alle riunioni di coordinamento della procura nazionale antimafia sui mandanti esterni delle stragi, che sono state il preludio delle indagini in corso anche oggi, tra le quali quella in cui compare anche il nome di Berlusconi.
AMBIZIONI POLITICHE
Cafiero de Raho, invece, è il terzo procuratore antimafia eletto subito dopo il suo pensionamento dagli uffici di via Giulia. Prima di lui, il Pd ha candidato e fatto eleggere al Senato (e poi alla presidenza di palazzo Madama) Piero Grasso, non riconfermato in questa legislatura, mentre nel 2019 ha eletto nel collegio sud al parlamento europeo Franco Roberti.
L’ambizione, anche in politica, di de Raho era nota in ambienti giudiziari. I suoi frequenti contatti con la politica provengono dalla sua storia nella magistratura associata. De Raho è stato legato alla corrente centrista di Unità per la Costituzione, la stessa di cui è stato capocorrente e deus ex machina l’ex magistrato Luca Palamara.
È stato proprio Palamara, con le sue dichiarazioni proprio in audizione davanti alla commissione parlamentare Antimafia, a dire che de Raho sarebbe stato nominato dal Consiglio superiore della magistratura prima al vertice della procura di Napoli e poi alla Dna grazie anche all’influenza del potente ex ministro dell’Interno del Pd, Marco Minniti.
I suoi contatti con la politica sono proseguiti anche dopo il pensionamento, sempre nell’area del centrosinistra ma con ottimi rapporti anche nel mondo Cinque stelle. Ad appena un mese dall’addio alla Dna, il neosindaco di Napoli frutto dell’accordo tra Pd e M5s, Gaetano Manfredi, ha nominato de Raho membro del consiglio d’amministrazione del teatro Mercadante del capoluogo partenopeo.
Un incarico di questo tipo, seppur contiguo alla politica, non ha fatto scalpore quanto la sua candidatura al Senato. A stupire una parte del mondo togato è stato il tempismo con cui è avvenuta: appena sette mesi dopo la fine di un incarico delicato come quello alla Dna, con tutto il bagaglio di conoscenze riservate che questo significa.
Oggi che Berlusconi, de Raho e Scarpinato si ritroveranno insieme in parlamento, l’interrogativo è se la legislatura che sta per cominciare darà vita all’ennesimo cortocircuito tra politica e magistratura, questa volta direttamente da dentro il palazzo.
GIULIA MERLO E NELLO TROCCHIA
(ANSA il 5 ottobre 2022) - "L'augurio che mi faccio è che questa vicenda sia chiusa il prima possibile, perché è stato un grande incubo, e di riavere indietro la mia vita e di poterla vivere serenamente". Lo ha detto ai cronisti lasciando l'aula del processo Ruby ter Karima El Mahroug. "È evidente agli occhi di tutti che porto un marchio, una Lettera Scarlatta - ha aggiunto. Ho sempre avuto paura di essere strumentalizzata e credo che possiate capirlo". Alle domande su Berlusconi ha risposto di non voler dire altro.
Domenico Zurlo per leggo.it il 5 ottobre 2022.
Ruby Ter, nel processo milanese spunta a sorpresa Karima El Mahroug, la ragazza - tra i 28 imputati per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari - che oltre dieci anni fa finì nell'occhio del ciclone, togliendo il velo sulle "cene eleganti" che Silvio Berlusconi organizzava nelle sue residenze, in particolare quella di Arcore. Oggi a sorpresa Karima ha deciso di recarsi in tribunale per assistere all'intervento dei suoi avvocati difensori, Jacopo Pensa e Paola Boccardi.
Per Ruby/Karima la Procura ha chiesto una condanna a cinque anni di carcere: la ragazza non ha rilasciato dichiarazioni quando è entrata in aula e non ha intenzione di rilasciare dichiarazioni spontanee. «Sono passati 12 anni da quando sui giornali compariva il nome di Ruby, ma oggi è una donna che tra un mese compirà 30 anni, una donna profondamente diversa da quella ragazzina che scappava da 16 comunità, che viveva da sola. Porta un marchio, peggio di una lettera scarlatta, quella di prostituta minorile che confligge con quello che le intercettazioni dimostrano», sono le prime parole pronunciate dalla difesa.
«Se c'è una cosa che non cambia mai nelle dichiarazioni di Karima è 'non aver avuto, non aver compiuto atti sessuali con Berlusconi'. Le testimoni parlano tutte in maniera omologata, lei usa il suo linguaggio: non ha parlato di cene eleganti o burlesque, ha descritto serate sicuramente non puritane, ha descritto spogliarelli, dice che non hai mai visto o subito atti sessuali. Non ha mai partecipato a nessuna delle serate in cui ha partecipato le altre ragazze buone».
Anche «se fosse vero» che Karima El Mahroug ha ricevuto 5 milioni di euro da Berlusconi o «4,5 milioni», come scriveva in un appunto sequestrato, «lei avrebbe ricevuto quei soldi quando non era nemmeno pubblico ufficiale», ossia testimone, e dunque non ci sarebbe comunque la corruzione in atti giudiziari contestata, è uno dei passaggi dell'arringa difensiva dell'avvocato Paola Boccardi. Nel «processo Ruby 1», quello a carico di Silvio Berlusconi, poi assolto, «Karima non è stata mai sentita, quindi non ha mai svolto un ruolo di pubblico ufficiale».
La giovane «anzi - ha ribadito il legale - andava indagata sin da subito, se l'accusa riteneva che avesse mentito sulla prostituzione minorile e non le credeva». E dunque doveva essere ascoltata come testimone assistita da un avvocato. Il difensore ha anche spiegato che nel caso Ruby Imane Fadil, la teste chiave dell'accusa (morta nel 2019), «è stata ritenuta credibile e messa tra i 'buonì, mentre Karima, che ha partecipato a un numero minore di serate di altre ragazze, è stata messa tra le 'cattivè». L'avvocato ha anche chiarito che dalle rogatorie disposte dai pm «non sono stati mai evidenziati beni a nome di Karima», che «non ha mai avuto i bonifici mensili come le altre ragazze».
Da adnkronos.com il 17 ottobre 2022.
Alcune delle ragazze che hanno partecipato alle serate di Arcore, quelle che per la stampa sono diventate le 'olgettine' avrebbero fatto pressione su Silvio Berlusconi per ottenere soldi e in questo senso l'ex premier può essere ritenuto vittima di un tentativo di estorsione. Lo sostiene il difensore del leader di Forza Italia ripercorrendo i messaggi di una chat tra alcune delle imputate - Polanco, Guerra, le gemelle De Vivo solo per fare alcuni nomi - in cui emerge la volontà di "andare ad Arcore per fare pressione e ottenere benefici"
Per il difensore, in quegli screenshot, "è emersa la volontà di ricattarlo, lo dice un ufficiale di polizia giudiziaria". In questo senso, per la difesa non c’è nessuna violazione di un accordo corruttivo e Silvio Berlusconi "può essere individuato come parte offesa di un altro reato che non si è voluto perseguire". E cita la posizione di Giovanna Rigato, imputata a Monza con l’accusa di tentata estorsione.
Se la tesi difensiva è sempre stata quella di "un ristoro economico a chi aveva avuto pubblicità negativa" quindi di una causale alternativa lecita, per l'avvocato "ci possano essere state delle divagazioni dalla situazioni originaria e al più vi è sicuramente stata una del tutto non condivisibile rilevante forma di approfittamento da parte di alcune imputate".
Le dichiarazioni di Imane Fadil, la modella morta l'1 marzo 2019 per un'aplasia midollare e ritenuta dalla procura di Milano una testimone chiave contro Silvio Berlusconi, non dimostrano l'esistenza di un accordo corruttivo che avrebbe visto protagonista il leader di Forza Italia, spiega nella sua arringa Cecconi.
Tra il febbraio e il marzo 2015 la giovane di origine marocchina ha reso dichiarazioni ai pm titolari dell'indagine, ma la sua "terribile morte comporta delle inevitabili conseguenze di carattere processuale, perché le sue dichiarazioni rese in assenza di contraddittorio privano le difese di una legittima possibilità e capacità di procedere al controesame.
Questa povera ragazza meritava di essere oggetto di precisazioni e approfondimenti perché secondo la procura ha reso affermazioni particolarmente significative dando dimostrazione di essere al corrente del perché alcune ragazze avevano rese dichiarazioni false nei processi Ruby e Ruby 2".
Affermazioni a cui la difesa Berlusconi non crede: i processi "hanno dato dimostrazione più e più volte di soggetti approfittatori che hanno cercato di fare biecamente business, millantando conoscenze con Berlusconi, sono tanti".
Ad esempio la frase di un testimone 'C’è la possibilità di recuperare…' sono "la dimostrazione plastica di approfittamento", per questo la difesa del Cav propende "più che una proposta corruttiva" per un meccanismo "estorsivo" da parte di alcune ragazze. In questo senso la produzione da parte della procura delle dichiarazioni di Imane Fadil sono "inidonee - secondo l'avvocato Cecconi - a dare dimostrazione dell'esistenza di un accordo illecito". Allo stesso modo anche l’intervista a Marystell Polanco non rappresenta una prova contro Berlusconi, ma solo la voglia di un giornale di cavalcare mediaticamente il caso.
Per il difensore di Berlusconi, a processo per corruzione in atti giudiziari, si tratta dunque di un processo indiziario dove manca l'accordo corruttivo. L'ex premier avrebbe pagato - con soldi o altre utilità - i coimputati nel processo Ruby ter per ottenere il loro silenzio, a dire dell’accusa.
Per il legale, la procura di Milano parte da un "errore concettuale imperdonabile", perché "il reato presuppone in maniera inequivoca l'individuazione di un accordo corruttivo tra Berlusconi e gli imputati", mentre nella requisitoria della pubblica accusa "Ho fatto fatica a comprendere: ho letto di vari accordi corruttivi, di un'intesa intervenuta in una riunione 14 gennaio 2011 nella residenza di Arcore". Per la difesa siamo di fronte a un "processo per corruzione per pubblici proclami" dove il leader di Forza Italia "ha detto pubblicamente di aiutare qualcuna delle imputate. L'accordo corruttivo è stato per caso individuato? No, non ve n'è neanche un germoglio, tutti gli elementi sono di carattere indiziario e inidonei a ritenere compiuto" il reato contestato dall’accusa.
Per la difesa le imputate - le cosiddette olgettine - "non hanno mai assunto neanche per un minuto la qualifica di pubblico ufficiale" e gli elementi raccolti dall'ufficio di procura sono "tutti di portata indiziaria e inidonei a dimostrare la responsabilità nei confronti di Berlusconi".
Mattia Feltri per “la Stampa” il 7 ottobre 2022.
Scorre in me un dolce brivido quando, ogni qualche mese, mi imbatto in notizie su Karima el Marough. Forse la conoscete come Ruby Rubacuori, così soprannominata suo malgrado dal sessismo accettabile, quello applicato alle donne appartenenti o appartenute al circuito di Silvio Berlusconi.
Stavolta ho scoperto che Karima ha ormai quasi trent' anni, un marito, si è rifatta una vita ed è ancora imputata per le faccende del Bunga Bunga. Siamo al Ruby ter e mi sento già di pronosticare un quater. È notevole la dedizione con cui il tribunale e la procura di Milano si applicano alle serate farfallone di oltre un decennio fa, ma non vorrei sembrare ironico: i tempi e i trend della giustizia non sono quelli di TikTok o delle nostre conversazioni del dopocena.
La giustizia trionfi, per l'amor d'Iddio, e la mia opinione, che questa ragazza strasputtanata per anni su tutti i giornali sarebbe giustizia lasciarla in pace, è non soltanto minoritaria ma forse pure velleitaria. C'è ben altro, in giro per questo paese. Pensate che la procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio per Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, considerati fra gli esecutori materiali della strage di Piazza della Loggia.
La strage è del 1974, quarantotto anni fa. Non so nemmeno più quanti siano stati i processi e gli accusati e forse sono già meno velleitario se dico che dopo mezzo secolo non è giustizia, neanche per le vittime. Se tuttavia vi sembro comunque un po' fumoso, appunto velleitario, dovete sapere che Marco Toffaloni nel 1974 aveva diciassette anni. Per cui, se andrà a processo, sarà davanti al tribunale dei minori. Oggi di anni ne ha sessantacinque.
Escort, bugie sulle notti con Berlusconi: a Bari 3 condanne e due assoluzioni. La pena è stata inflitta alle imputate Vanessa Di Meglio, Sonia Carpentone e Barbara Montereale, ospiti delle serate a casa di Berlusconi, assieme a Roberta Nigro. Quest’ultima è stata assolta assieme all’ex autista di Tarantini, Dino Mastromarco. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Novembre 2022.
Il giudice monocratico del Tribunale di Bari, Mario Mastromatteo, ha condannato a due anni di reclusione ciascuno (pena sospesa) per falsa testimonianza tre delle quattro donne accusate di aver mentito sulle notti di sesso con l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, risalenti al periodo compreso tra il 2008 e il 2009. La pena è stata inflitta alle imputate Vanessa Di Meglio, Sonia Carpentone e Barbara Montereale, ospiti delle serate a casa di Berlusconi, assieme a Roberta Nigro. Quest’ultima è stata assolta assieme all’ex autista di Tarantini, Dino Mastromarco, ai sensi dell’articolo 384 dei Codice penale perchè - ha ritenuto il giudice - non potevano essere obbligati a rispondere alle domande a loro poste dalle parti perché dalle loro risposte poteva derivare una incolpazione ai loro danni. Le false testimonianze sarebbero state rese nel corso del processo 'escort', che si è concluso nei mesi scorsi con la condanna definitiva in Cassazione a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Tarantini, responsabile di aver reclutato alcune donne da portare nelle residenze private di Berlusconi perchè si prostituissero.
Condannate 3 escort baresi che mentirono ai giudici sulle nottate passate con Berlusconi a palazzo Grazioli. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 10 Novembre 2022.
Le false testimonianze delle escort baresi sarebbero state rese nel corso del processo conclusosi con la condanna definitiva in Cassazione a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Giampaolo Tarantini, ritenuto colpevole di aver selezionato e portato alcune escort pronte a prostituirsi, nelle residenze private di Berlusconi
Sonia Carpentone, Vanessa Di Meglio e Barbara Montereale sono state condannate dal giudice monocratico Mario Mastromatteo del Tribunale di Bari, ciascuna a due anni di reclusione per falsa testimonianza nel “processo Escort” , a seguito delle accuse di aver mentito sulle notti di sesso con l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2009. Le donne avevano sostenuto: “niente sesso, solo baci“. Le tre donne condannate, come riporta l’Ansa, usufruiranno della sospensione della pena. Le motivazioni saranno depositate fra 90 giorni.
Le false testimonianze sarebbero state rese nel corso del processo ‘escort’, conclusosi alcuni mesi fa con la condanna definitiva in Cassazione a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Giampaolo Tarantini, ritenuto colpevole di aver selezionato e portato alcune escort pronte a prostituirsi, nelle residenze private di Berlusconi. Il 13 ottobre dello scorso anno vennero rese note Le motivazioni della sentenza con cui l la Suprema corte aveva reso definitiva la condanna a due anni e dieci mesi per Tarantini, accusato di reclutamento della prostituzione.
Con la sentenza del 13 novembre 2015, che chiuse il primo grado di giudizio, il Tribunale di Bari dispose la trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione delle donne: la Procura aprì nuovo procedimento che questa volta le vedeva indagate per falsa testimonianza, venendo in seguito mandate a processo dal giudice per le udienze preliminari Rossana De Cristofaro. Da qui il processo conclusosi oggi in primo grado.
“A delineare la concretezza dell’offensività della condotta è il generale contesto nel quale la stessa si è sviluppata, per come emersa da innumerevoli dialoghi intercettati tra l’imputato e le ragazze reclutate, tra lo stesso e i compartecipi e tra l’imputato Tarantini e Silvio Berlusconi, contesto, cioè, in cui la scelta di prostituirsi appare essersi significativamente manifestata in un ambito nel quale la donna può essere ‘scambiata‘, ovvero ‘data in prestito‘ da un fruitore della prestazione sessuale ad altro”, scrivevano i giudici della Suprema corte. “L’imputato (Tarantini – n.d.r.) – continuavano gli ermellini della Terza Sezione Penale della Cassazione – si era attivato fattivamente offrendosi di pagare le spese di viaggio e di accompagnamento a Palazzo Grazioli circostanze dimostrative del fatto che l’accordo in questione non poteva farsi risalire a quelli precedenti, avendo posto in essere, l’imputato, attività diretta ad ottenere l’adesione delle donne per la specifica serata”.
Nelle motivazioni i giudici della Suprema corte parlavano di “frenetica attività” posta in essere “dall’imputato per reperire delle donne per la serata del 6 settembre 2008, in cui larga parte delle trattative (con le ragazze – ndr) riguarda il pernottamento o meno nella casa di Silvio Berlusconi“. Un comportamento che, secondo i giudicanti della Suprema Corte “dimostra l’autonomia dell’accordo prostitutivo con le tre donne nel quale la condotta di Tarantini ha avuto una evidente autonomia rispetto a precedenti inviti per altre serate”.
La Cassazione rigettò i ricorsi della Procura generale di Bari e dei difensori contro la sentenza dalla Corte d’Appello di Bari con la quale aveva condannato “Giampi Tarantini” in secondo grado, con la riduzione della condanna ridursi dai 7 anni e 10 mesi del primo grado a 2 anni e 10 mesi, grazie all’intervenuta prescrizione per 14 dei 24 episodi contestati e al riconoscimento delle attenuanti generiche. Nella requisitoria in Cassazione, il sostituto procuratore generale Luigi Giordano aveva chiesto l’annullamento della sentenza e la celebrazione di un nuovo processo d’Appello. Ma i giudici della terza sezione penale avevano invece dichiarato inammissibile il ricorso della parte civile Patrizia D’Addario, una delle ragazze “procacciate” da Tarantini, che fin dal primo grado aveva chiesto il risarcimento del danno. Domanda costantemente respinta, perché i giudici nei vari gradi del giudizio hanno ritenuto che la D’Addario, così come le altre ragazze che facevano parte del “giro” di Tarantini, non avesse sofferto alcun danno morale, in quanto aveva scelto autonomamente di prostituirsi.
Nell’udienza di oggi in Tribunale a Bari soltanto Roberta Nigro è stata assolta insieme a Dino Mastromarco l’ex autista di “Giampi” Tarantini, perchè secondo il giudice non potevano essere obbligati a rispondere alle domande a loro poste dalle parti perché in tal caso a seguito delle loro risposte poteva scaturire una incolpazione ai loro danni. La richiesta di rinvio a giudizio era stata formulata anche per l’ autista di Tarantini il quale negò di conoscere i motivi per cui quelle donne venissero accompagnate nelle ville del presidente. In realtà dalle intercettazioni – secondo la procura di Bari – “emerge la sua piena consapevolezza del giro di prostituzione e del pagamento di utilità alle ragazze“.
Vanessa Di Meglio ha raccontato nelle sue testimonianze e deposizioni in Tribunale: “”Dovevo dormire all’Hotel de Russie a Roma, ed invece mi sono ritrovata bloccata a palazzo Grazioli perché Tarantini non rispondeva al telefono “Abbiamo bevuto, ci sono state effusioni ma a livello superficiale, tipo baci, tipo preliminari… ma senza atti sessuali…” . Dichiarazioni ritenute false secondo il pm D’Agostino, che invece contestava nella sua richiesta di rinvio a giudizio delle intercettazioni in cui la donna chiedeva a Tarantini “Chi paga, chiediamo a lui o a te? ” e il giorno dopo la festa gli riferiva di essere stata ricompensata “con un importante regalo” da Berlusconi.
Analogo copione per Sonia Carpentone, Roberta Nigro e per Barbara Montereale, la quale raccontò davanti al tribunale di essere stata ingaggiata da Tarantini come “ragazza immagine” per una festa a casa Berlusconi e di aver percepito 1.000 euro. Invece secondo la procura di Bari, la Montereale si sarebbe prostituita a palazzo Grazioli a Roma, ex residenza di Berlusconi nella capitale, ricevendo dal premier dell’epoca in cambio due buste con dentro 5.000 euro .
Da lastampa.it il 10 novembre 2022.
False testimonianze in relazione alle dichiarazioni rese sulle feste tra il 2008 e il 2009, nelle residenze dell'allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: con questa accusa il tribunale di Bari ha condannato tre delle quattro ragazze imputate a due anni di reclusione. «Niente sesso, solo baci», questa la posizione delle tre donne.
Le false testimonianze sarebbero state rese nel corso del processo “escort", che si è concluso nei mesi scorsi con la condanna definitiva in Cassazione a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Tarantini, responsabile di aver reclutato alcune donne da portare nelle residenze private di Berlusconi perché si prostituissero.
Le posizioni delle ragazze
«Dovevo dormire all'hotel de Russie e invece mi sono ritrovata bloccata a palazzo Grazioli perché Tarantini non rispondeva al telefono - ha raccontato Vanessa Di Meglio - Abbiamo bevuto, ci sono state effusioni ma a livello superficiale, tipo baci, tipo preliminari... ma senza atti sessuali...» . Menzogne, per il pm D'Agostino, che nella richiesta di rinvio a giudizio contestava invece le intercettazioni in cui la donna chiedeva a Tarantini «Chi paga, chiediamo a lui o a te?» e il giorno dopo la festa lo informava di essere stata ricompensata da Berlusconi «con un importante regalo» .
Stesso copione per Sonia Carpentone e Roberta Nigro nonché per Barbara Montereale, che davanti al tribunale raccontò di essere stata ingaggiata da Tarantini come ragazza immagine per una festa a casa Berlusconi e di aver percepito 1.000 euro. Secondo gli inquirenti, invece, a palazzo Grazioli si sarebbe prostituita, ricevendo in cambio due buste con 5.000 euro dal premier dell'epoca.
La richiesta di rinvio a giudizio era stata formulata anche per Berardino Mastromarco, autista di Tarantini che negò di conoscere i motivi per cui quelle donne venissero accompagnate nelle ville del presidente. Dalle intercettazioni - dice la procura - «emerge la sua piena consapevolezza del giro di prostituzione e del pagamento di utilità alle ragazze».
La sentenza
La sentenza, pronunciata dal giudice Mario Mastromatteo, ha accolto la richiesta che era stata avanzata dalla procura di Bari guidata da Roberto Rossi. La condanna è stata inflitta a Vanessa Di Meglio, Sonia Carpentone e Barbara Montereale, tutte ospiti a casa di Berlusconi. Il giudice ha riconosciuto il beneficio della sospensione della pena. Assolti Roberta Nigro e l'autista di Gianpaolo Tarantini, Dino Mastromarco. Le motivazioni saranno depositate fra 90 giorni.
Berlusconi e Apicella assolti: «Non c’è stata corruzione». Ilaria Sacchettoni su Il Corriere della Sera il 18 Novembre 2022
Il filone romano di Ruby ter. L’ex premier: «Sono contento e soddisfatto»
Trenta minuti di camera di consiglio. Quindi la decisione di assolvere Silvio Berlusconi e Mariano Apicella per un capitolo giudiziario secondario rispetto al processo milanese Ruby ter ma comunque significativo. La presunta corruzione del cantautore affinché, in sede giudiziaria, ridimensionasse al rango di cene «normali» le serate ad Arcore in compagnia di Nicole Minetti, Emilio Fede e delle molte giovani protagoniste di quegli appuntamenti.
La prova del passaggio di denaro fra l’ex premier e Apicella era «ambigua» a detta del pubblico ministero Roberto Felici che, in aula, ha infatti sollecitato l’assoluzione per il premier (suscitando l’apprezzamento dello stesso Berlusconi che ha voluto omaggiarne l’onestà intellettuale a fine udienza). Dunque assoluzione per uno dei due capi di imputazione approdati a Roma dove sarebbero avvenuti i trasferimenti di denaro Berlusconi-Apicella, mentre l’altra contestazione, quella relativa alla falsa testimonianza di Apicella in sede processuale (sempre nel negare il contenuto delle serate) è stata prescritta: i fatti risalgono al 2012-2013.
La decisione fa il paio con l’altra stabilita un anno fa dai giudici senesi in merito alla presunta corruzione in atti giudiziari di Berlusconi nei confronti del pianista Danilo Mariani, anche qui, in teoria, compiacente protagonista delle cene ma infine assolto assieme all’ex premier con la stessa formula («il fatto non sussiste») adottata dai giudici romani. Secondo i magistrati l’ex premier non avrebbe mai versato sul conto bancario di Mariani una cifra vicina a 170 mila euro per convincerlo a dichiarare il falso sulle cosiddette «cene eleganti» di Arcore.
Si trattava di segmenti locali del processo principale, quello milanese, istruito dall’allora procuratore aggiunto Ilda Boccassini nei confronti di Berlusconi. Le indagini risalgono al 2011-2012, in seguito all’arresto a Milano di Karima «Ruby» El Mahroug, protagonista principale di quelle ormai famose serate.
Resta in piedi di fronte ai giudici della settima sezione penale l’ultima tranche processuale che ha visto la stessa Karima «Ruby» testimoniare sulla vicenda. «Guardando indietro, con la maturità e la consapevolezza di adesso, credo che quella ragazza di 17 anni avrebbe dovuto essere protetta, soprattutto da quello stesso sistema che non ha mai smesso di giudicarmi, anche quando nei processi mi definiva vittima», aveva dichiarato lei al Corriere a maggio scorso.
Esulta il leader di Forza Italia: «Sono contento e soddisfatto. Apprezzo anche il fatto che lo stesso pm abbia chiesto l’assoluzione». Ed esultano anche alleati, ministri e amici di sempre, fra i quali il titolare del dicastero degli Esteri, Antonio Tajani: «L’assoluzione di Silvio Berlusconi è una buona notizia per tutti — dice —. Nessun dubbio sulla sua innocenza. La decisione della magistratura ristabilisce la verità». Ma esultano, pur misurando le parole, i suoi difensori, gli avvocati Franco Coppi (Roma) e Federico Cecconi (Milano) i quali, ciascuno a suo modo, valorizzano il doppio risultato, cioè le assoluzioni romane e senesi portate a casa nel giro di un anno. Afferma Coppi: «Si è trattato di una sentenza ineccepibile da parte dei giudici di Roma. Una formula categorica che esclude qualsiasi perplessità in merito».
Confortato anche Cecconi: «Giusto un anno fa si era definito in modo analogo un altro frammento processuale relativo all’ipotesi di corruzione in atti giudiziari. È dimostrata al quadrato la veridicità di quanto abbiamo sempre affermato, ossia che non c’era alcun illecito passaggio di denaro tra Berlusconi e i suoi coimputati come lo stesso pm ha rilevato».
Ruby Ter, proposta la commissione d’inchiesta dopo l’assoluzione di Berlusconi. Storia di Alessandra Arachi su Il Corriere della Sera il 18 novembre 2022.
La richiesta arriva da Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera di Forza Italia: «Facciamo una commissione d’inchiesta sull’uso politico che viene fatta della giustizia. Forza Italia ha presentato una proposta di legge in questo senso già nella scorsa legislatura e l’ha ripresentata ora all’inizio di questa». La richiesta di Mulè è arrivata dopo l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter. «Berlusconi è stato ancora una volta assolto “perché il fatto non sussiste”. Quel che sussiste piuttosto è un evidente pregiudizio che per troppi anni ha guidato l’azione di una parte della magistratura nei suoi confronti avvelenando il clima politico».
«Riflettiamo sull’indipendenza della magistratura»
La proposta di Mulè è stata raccolta da un’altra vicepresidente del Senato, la leghista Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia. Che comunque ha spiegato: «Sono convinta che non debba essere il singolo caso a far nascere un’iniziativa legislativa o una commissione parlamentare, tuttavia il tema posto merita molta attenzione perché soprattutto dopo il caso Palamara c’è stata una del tutto inadeguata riflessione sul tema fondamentale dell’indipendenza della magistratura».
"Ora un'inchiesta sull'uso politico della giustizia". Ancora un'assoluzione per Silvio Berlusconi perché "il fatto non sussiste". Ora Forza Italia vuole una commissione d'inchiesta. Francesca Galici il 18 Novembre 2022 su Il Giornale.
Dopo l'assoluzione di Silvio Berlusconi, ora per la politica è il tempo delle riflessioni. Per l'ennesima volta, il Cavaliere è stato assolto perché "il fatto non sussiste" dopo un calvario giudiziario. "La nuova assoluzione per Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter - avvenuta dopo una fulminea camera di consiglio a seguito della richiesta della stessa pubblica accusa - dovrebbe definitivamente spingere i garantisti di ogni parte e coloro che hanno a cuore una giustizia realmente giusta ad avviare finalmente una riflessione approfondita sull'uso politico che è stato fatto della giustizia nell'ultimo quarto di secolo", ha dichiarato Giorgio Mulè deputato di Forza Italia e vicepresidente della Camera.
L'ennesimo flop delle procure dopo 28 anni di agguati continui
La proposta di Giorgio Mulè non è una novità, come ha già sottolineato il deputato di Forza Italia, perché il suo partito già nella scorsa legislatura aveva avanzato una simile idea. "Forza Italia presentò una proposta di legge per istituire una commissione di inchiesta parlamentare sul tema, con il convinto sostegno di tutti i partiti del centrodestra", ha aggiunto il deputato. E la stessa proposta, Forza Italia l'ha avanzata all'inizio di questa legislatura: "Il lavoro della commissione, alla luce anche delle notizie sul mercimonio tra le toghe venuto a galla con i recenti scandali, diventa sempre più un obbligo per chiunque abbia a cuore la necessità di un corretto svolgimento dei processi".
Sulla stessa linea operativa la presidente della commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno, che ha commentato la richiesta di Giorgio Mulè: "Sono convinta che non debba essere il singolo caso a far nascere un'iniziativa legislativa o una commissione parlamentare, tuttavia il tema posto merita molta attenzione perché soprattutto dopo il caso Palamara c'è stata una del tutto inadeguata riflessione sul tema fondamentale dell'indipendenza della magistratura". Così anche Maurizio Gasparri: "Non può mica finire qui. Mi riferisco alla vicenda dell'uso politico della giustizia. L'ennesima assoluzione a Silvio Berlusconi, dopo anni e anni di persecuzioni e di accuse infondate, con gravi danni non solo per lui, ma per la stessa democrazia italiana, non può rimanere priva di seguito".
Giustizia e persecuzione. Su un altro processo legato a quel mostro giuridico che è il Ruby Ter è calato il sipario. Augusto Minzolini il 19 Novembre 2022 su Il Giornale.
Su un altro processo legato a quel mostro giuridico che è il Ruby Ter è calato il sipario. Il tribunale di Roma, su richiesta della Procura, ha assolto con formula piena Silvio Berlusconi e il cantante Mariano Apicella dal reato di corruzione legato ad un'ipotesi di falsa testimonianza per le feste organizzate ad Arcore. Era uno dei filoni del maxi-processo imbastito dalla Procura di Milano, che non aveva digerito l'assoluzione in Cassazione del Cavaliere nel processo principale. Un'altra prova che tutta questa storia non ha nulla a che vedere con la giustizia, ma è stata solo una grande persecuzione a fini politici durata più di dieci anni. Montagne di carta che non hanno provato nulla. Una serie di processi che sono costati un pozzo senza fondo di soldi al contribuente e all'imputato. Roba da non credere in un Paese civile. E il fatto che sia stata la stessa Procura a chiedere l'assoluzione dimostra quanto l'intera tesi accusatoria fosse un buco nell'acqua.
Del resto, quale procura e di quale Paese aprirebbe un'inchiesta a carico di persone la cui sola colpa sarebbe stata quella di testimoniare a favore di un imputato che i Pm, in barba anche alla più elementare cultura garantista, desideravano assolutamente che fosse condannato? Perché di questo si è trattato: se non è un «unicum» a livello mondiale poco ci manca. E tutto - dispiace dirlo - per un fine politico. Altre ragioni non se ne scorgono dietro una concezione della giustizia medioevale che produce degli obbrobri giuridici di questo tipo. Coperti da una toga, i pm della Procura di Milano hanno potuto anche non ammettere la sconfitta in un processo: dopo averne perso uno, ne hanno imbastiti altri tre, uno a Siena, uno a Roma e uno nel capoluogo lombardo. Ora è rimasto in piedi solo quest'ultimo, che andrà a sentenza a gennaio. È meglio non immaginare cosa sarebbe successo ad un normale cittadino, che non avesse avuto le risorse di Berlusconi, se fosse stato sottoposto allo stesso trattamento: molto probabilmente avrebbe accettato la condanna, si sarebbe arreso per sfinimento e per l'impossibilità di fare fronte ai costi stratosferici di un processo «monstre» come questo.
È un argomento su cui dovrebbero riflettere i tantissimi magistrati, la stragrande maggioranza, che non sono accecati da un pregiudizio, politico o meno poco importa, verso un imputato. Perché, se avvengono episodi simili, c'è qualcosa che non funziona, per non dire di marcio, nel nostro sistema. Ci sono meccanismi perversi che neppure le norme contenute nella riforma Cartabia, con tutto il rispetto, sono in grado di sradicare.
Un sistema che, oltre a trasformare per l'imputato il processo in un calvario, in alcuni casi cambia il corso delle cose. Quanti processi basati su niente, che si sono conclusi con delle assoluzioni, hanno condizionato, danneggiato carriere politiche o imprenditoriali? Quante inchieste inesistenti hanno cambiato il destino di questo o quell'altro imputato eccellente o, peggio, vulnerato il processo democratico? Non lo sapremo mai, sappiamo solo che, quando la giustizia si politicizza, in Italia o in qualsiasi Paese, diventa iniqua.
Processo Ruby Ter, Berlusconi assolto anche a Roma "Mi ha fatto danni, ora sono contento". Luca Fazzo il 18 Novembre 2022 su Il Giornale.
I giudici accolgono la tesi affermata dallo stesso magistrato: non sussiste l’accusa di corruzione contestata all’ex premier e al cantante Apicella dalla Procura di Milano. "I versamenti iniziarono anni prima"
Il fatto non sussiste. Così, con la più categorica delle formule, il tribunale di Roma assolve ieri Silvio Berlusconi nel filone del caso Ruby approdato nella Capitale. La corruzione che la Procura di Milano contestava al premier e al suo musicista di fiducia Mariano Apicella (nel tondo) non c'è mai stata. Ci sono, inequivocabili, alla luce del sole, i versamenti - anche generosi - effettuati dal Cavaliere all'artista prima, durante e dopo il caso Ruby. Ma proprio la loro costanza nel tempo è la prova più chiara che non avevano nulla a che fare con la testimonianza resa da Apicella nel primo processo Ruby, quando andò in aula a Milano a negare di avere assistito - durante le feste del sabato sera nella villa di Arcore - a rapporti hot tra il padrone di casa e le sue giovani ospiti.
È la tesi che i difensori del leader azzurro sostengono da tempo, e che ieri viene fatta propria dai giudici della seconda sezione penale del tribunale romano. Ma prima ancora che dai giudici la tesi - e questo è un evento senza precedenti, nella storia quasi trentennale dei processi al Cav - viene avanzata con forza anche dal pubblico ministero, il rappresentante della pubblica accusa. Sul tavolo del pm romano Roberto Felici sono arrivate le carte provenienti dai colleghi milanesi, quelle che secondo loro dimostravano con certezza che Berlusconi aveva pagato Apicella per mentire in aula. È il teorema che per anni giornali e avversari politici hanno dato per dimostrato, per assiomatico. Il teorema aveva già dato segni di vacillare tredici mesi fa, quando in un altro troncone di questo spezzatino giudiziario il tribunale di Siena aveva emesso la sua sentenza a carico di Berlusconi e di un altro musicista, il pianista Danilo Mariani: anche lui da anni a libro paga dell'ex premier e anche lui accusato di avergli venduto a caro prezzo il suo silenzio sui sabati di Arcore. Mariani e Berlusconi vennero assolti: anche lì formula piena, «il fatto non sussiste». Ma lì almeno il pm d'aula aveva chiesto la condanna. Segno che il pool milanese non era del tutto solo nel dare la caccia alle presunte mazzette di Berlusconi per condizionare e depistare i processi a suo carico. Era stato poi il giudice a smontare tutto.
A Siena, invece, è ieri la stessa accusa a riconoscere l'inconsistenza delle colpe addebitate all'ex premier. «Sono contento e soddisfatto», è il commento che Berlusconi affida ai suoi legali Franco Coppi e Federico Cecconi. «Apprezzo anche - aggiunge - che lo stesso pubblico ministero abbia chiesto l'assoluzione. Gli elementi avanzati dalla difesa hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio l'assenza di elementi di opacità in questa vicenda». C'è, in Berlusconi, soddisfazione ma anche amarezza. «Si tratta - dice in serata ai suoi collaboratori - di una vicenda assurda che ha sporcato la mia immagine, che mi ha costretto a difendermi da accuse senza senso». L'ex capo del governo è sollevato ma anche contrariato: «Questa accusa - dice - mi ha fatto molti danni».
A chiedere l'assoluzione per Berlusconi e Apicella il pm Roberto Felici era arrivato non solo sulla base dei documenti che dimostravano come i pagamenti ad Apicella siano iniziati decenni prima del caso Ruby, ma anche della assenza di qualunque condizionamento del musicista da parte di Berlusconi o del suo staff.
Il pm Felici e il giudice non escludono che Apicella abbia omesso qualche dettaglio delle feste cui assisteva, e infatti l'accusa di falsa testimonianza viene dichiarata estinta per prescrizione. A mancare, dice il pm, è però qualunque indizio che le dichiarazioni di Apicella siano state pagate, o anche solo «dirette, condizionate o indotte» da Berlusconi.
«I pagamenti risalgono di gran lunga a prima - ha detto il pm nella requisitoria - quindi è difficile immaginare che siano dovuti alla presunta falsa testimonianza. Tra Berlusconi e Apicella c'era un rapporto amichevole di lunga data». Ed è lo stesso pm a ricordare che nel processo a Siena contro Berlusconi e Mariani, e concluso anch'esso con una assoluzione, il quadro probatorio era identico: «Cambiava solo lo strumento musicale». Adesso, ad archiviare dopo dodici anni il caso Ruby, manca solo la sentenza di Milano.
L'ennesimo flop delle procure dopo 28 anni di agguati continui. Un'inchiesta paradossale che va avanti da 12 anni. Il Cavaliere è stato assolto con formula piena dall'accusa principale. Ma i pm di Milano non demordono e non accettano la sconfitta. Luca Fazzo il 18 Novembre 2022 su Il Giornale.
Ci fosse stato ancora Niccolò Ghedini, chissà se ieri sera avrebbe rinunciato a ricordare di quante asprezze è costellata la strada giudiziaria che ha portato alla nuova assoluzione di Silvio Berlusconi. Perché - come confermano le amare riflessioni cui ieri sera il Cavaliere si lascia andare con chi gli sta attorno - la vittoria nel processo di Roma per corruzione in atti giudiziari non cancella le forzature e gli abusi di cui il fondatore di Forza Italia si sente vittima dal 1994. Cioè da quando a pochi mesi dalla sua prima vittoria elettorale e dall'approdo a Palazzo Chigi si vide recapitare il famoso avviso di garanzia del pool Mani Pulite.
Da allora, come è noto, è stato un crescendo, un lungo assedio del cui costo economico Berlusconi ogni tanto riferisce puntigliosamente (le migliaia di udienze, i milioni agli avvocati, eccetera) ma il cui costo politico è incalcolabile. A rendere tutto più inaccettabile, per il leader azzurro, c'è il fatto che tutte le accuse mossegli in questi ventotto anni siano risultate alla fine inconsistenti. Con l'unica eccezione del processo per i diritti tv, terminato con la condanna definitiva e la decadenza dal Senato: ma contraddistinto da un iter processuale, soprattutto al momento dell'approdo in Cassazione, sulla cui regolarità Berlusconi continua a nutrire profondi dubbi.
Il processo Ruby costituisce, da questo punto di vista, un unicum. Perché è un processo nato per gemmazione da un solo tronco principale, e sbocciato in una serie di filoni laterali nonostante il fallimento clamoroso incontrato dalla Procura di Milano sul versante originario: quello inaugurato la bellezza di dodici anni fa, con l'esplosione a mezzo stampa dell'inchiesta di Ilda Boccassini sull'arresto e la liberazione in Questura della giovane marocchina Ruby, e poi sulle serate cui la stessa Ruby e un folto gruppo di altre giovani partecipavano nella residenza milanese dell'allora premier. Fu l'inchiesta-pretesto per allontanare Berlusconi da Palazzo Chigi, e che portò mezzo pianeta a etichettare l'Italia come il paese del «bunga bunga». Come andò a finire è noto: ovvia condanna in primo grado, assoluzione con formula piena in appello e in Cassazione.
Il buon senso e la real politik avrebbero suggerito alla Procura milanese di lasciar perdere, accettando la sconfitta e dedicandosi ad altro. Invece, come in preda ad un'ansia di rivalsa, la Procura parte con il Ruby ter, incriminando personaggi del tutto eterogenei: senatori e musicisti, vecchi giornalisti e fanciulle in cerca di gloria, accomunati solo dall'avere ricevuto uno o più inviti alle feste di Arcore, di esserci andati, e di aver poi testimoniato sotto giuramento di non avere assistito ad ammucchiate o altre amenità del genere. Insieme a loro viene incriminato lui, Berlusconi, accusato di avere comprato il loro silenzio a colpi di decine, centinaia, migliaia o milioni di euro.
È un processo per alcuni aspetti paradossale, il Cavaliere è accusato di avere voluto truccare un processo in cui non aveva nulla da nascondere, visto che era - come da sentenza - del tutto innocente. Ma sono dettagli. La Procura va avanti, l'inchiesta si spezza in mille rivoli, poi si riunifica, alla fine resta tutto a Milano tranne i pezzi che approdano a Siena e a Roma: dove finiscono con l'assoluzione piena.
Ora le residue speranze dei suoi avversari di vedere il Cav condannato si concentrano sul troncone del Ruby ter ancora in corso a Milano, e che si avvia a conclusione, dopo una durata abnorme. Intorno al prossimo gennaio. La Procura ha chiesto per Berlusconi la condanna a cinque anni: incurante o quasi del fatto che i giudici abbiano già accertato che le ragazze oggi accusate di corruzione e falso vennero interrogate irregolarmente, benché fossero di fatto indagate, senza avvocato e senza avvisarle che potevano tacere e persino mentire. Tutto era lecito, nella caccia al Cav.
L’ennesimo flop di una persecuzione giudiziaria durata 10 anni. La persecuzione giudiziaria di Silvio Berlusconi sul caso Ruby dura ormai da più di 10 anni. E siamo già alla terza assoluzione...Francesco Curridori il 17 Novembre 2022 su Il Giornale.
Era il maggio 2010 quando scoppia il “caso Ruby” quando Karima El Marough viene arrestata per un furto. Da quel momento inizia per Silvio Berlusconi una persecuzione mediatica e giudiziaria che lo vede protagonista in ben tre processi.
Il primo riguarda i presunti festini a luci rosse che si sarebbero svolti nella villa di Arcore e ai quali avrebbe partecipto anche Ruby. Nel febbraio del 2011 i pm chiedono il processo con rito immediato per Silvio Berlusconi che verrà, poi, rinviato a giudizio per i reati di concussione e prostituzione minorile. Le cosiddete “Olgettine” sfilano nelle Aule di tribunale e il 24 giugno arriva la condanna per Berlusconi a 7 anni di reclusione, uno di più di quelli chiesto dall'accusa. Condanna che prevede anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il 18 luglio 2014, però, Berlusconi viene assolto in appello con formula piena perché, per quanto riguarda l'accusa di concussione, "il fatto non sussiste" , mentre all'accusa di prostituzione minorile, "il fatto non costituisce reato". Il 10 marzo 2015 la Cassazione conferma l'assoluzione. Tutto finito, dunque? No.
Contemporaneamente a questo primo processo va in scena il “Ruby bis” con i pm di Milano e il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che indagano Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede per induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile. Questo secondo filone giudiziario termina solo nel 2019 con la condanna di tutti e tre gli imputati e non riguarda Berlusconi solo perché per lui si procede col rito abbreviato. Per il Cavaliere, però, il calvario giudiziario prosegue col processo Ruby ter quando, il 3 gennaio 2014, il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati annuncia l'apertura di una nuova indagine che nasce dalla decisione di trasmettere alla Procura gli atti dei processi Ruby e Ruby bis. Sono ben 45 le persone indagate per vari reati tra cui quali corruzione in atti giudiziari, falsa testimonianza e rivelazione di segreto. Berlusconi viene, quindi, accusato di aver "comprato" il silenzio dei testimoni nei vari processi per provare la sua innocenza. Tra i vari indagati vi sono anche gli avvocati del leader di Forza Italia Niccolò Ghedini e Piero Longo (la loro posizione viene poi archiviata), numerose “olgettine”, il cantante Mariano Apicella e la senatrice Maria Rosaria Rossi.
Il 2 maggio 2016 la persecuzione giudiziaria diventa perversa perché il giudice “spezzetta” il processo in 7 tribunali diversi: Monza, Treviso, Roma, Pescara, Siena e Torino. Berlusconi, nella primavera del 2018, viene rinviato a giudizio a Milano, insieme ad altri 23 indagati. A febbraio 2020 arriva da Siena la prima richiesta di condanna per Berlusconi a 4 anni e 2 mesi di reclusione per corruzione in atti giudiziari. L'accusa ritiene che il Cavaliere abbia pagato il pianista senese di Arcore, Danilo Mariani, per indurlo a testimoniare il falso sul caso Olgettine. Il 21 ottobre 2021 il tribunale di Siena assolve sia Berlusconi sia Mariani con la formula perché il fatto non sussiste. È di oggi l'assoluzione del tribunale di Roma, ma è solo la seconda vittoria di un calvario che non è ancora finito e che dura da più di 10 anni perché alcuni pm non sanno accettare le sconfitte che subiscono in Aula. Sono magistrati che sembrano voler ripercorrere le orme di Pier Camillo Davigo che una volta disse: "Chi viene assolto non vuol dire che è innocente, ma solo che nei suoi confronti non è stata trovata una prova...".
Ruby Ter, Berlusconi assolto dall’accusa di corruzione con Apicella: “Rapporto amichevole”. Redazione su Il Riformista il 17 Novembre 2022
“Perché il fatto non sussiste”. L’ex Presidente del Consiglio e leader di Forza Italia Silvio Berlusconi è stato assolto dai giudici della seconda sezione penale di Roma nel filone romano del Processo Ruby Ter per la presunta corruzione del cantante napoletano Mariano Apicella sulle serate organizzate ad Arcore. La sentenza ha assolto anche lo stesso Apicella dall’accusa di corruzione in atti giudiziari e dichiarato la prescrizione per l’accusa di falsa testimonianza.
La richiesta del pm di Roma Roberto Felici era arrivata nel pomeriggio nel processo in corso davanti alla seconda sezione penale. Secondo l’accusa originaria, il cantante napoletano grazie alla sua falsa testimonianza in merito alle feste ad Arcore aveva ricevuto in cambio 157mila euro.
Il pm ha definito “circostanza rilevante” le date dei versamenti della presunta corruzione che sarebbero stati effettuati molto indietro nel tempo e per i quali sarebbe “difficile immaginare che i siano dovuti alla presunta falsa testimonianza”. Si parla del 2012. “Tra Berlusconi e Apicella c’era un rapporto amichevole di lunga data”.
“Sono contento e soddisfatto. Apprezzo anche che lo stesso pubblico ministero abbia chiesto l’assoluzione”, le parole di Berlusconi a caldo, al telefono con i suoi difensori, riportate dall’Ansa. “Gli elementi avanzati dalla difesa hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio l’assenza di elementi di opacità in questa vicenda“.
“Hanno parlato gli avvocati di Ruby ed era presente anche lei in aula e hanno confermato la tesi di sempre cioè che Ruby non ha mai avuto rapporti sessuali con Berlusconi – commentava il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti – Difficile che ci sia la prostituzione senza sesso, a meno che non si dia un valore ideale alla prostituzione. Ci sono anche tanti giornalisti che si prostituiscono a certi interessi ma non possono essere processati per questo”.
“Quindi non c’è mai stato nulla, solo molti processi che sono costati moltissimi soldi, che hanno impegnato moltissime pagine dei giornali, che hanno modificato la storia d’Italia, che hanno dato grande potere alle procure, alla procura di Milano in particolare, e che hanno dimostrato fino a che punto può arrivare l’arroganza e il cinismo di una parte della magistratura“.
Anche il Pm riconosce l'innocenza. Prosegue il record di assoluzioni di Berlusconi, e nella redazione del Fatto musi lunghi…Piero Sansonetti su Il Riformista il 18 Novembre 2022
Ieri si è concluso uno di tanti processi Ruby contro Berlusconi. Voi sapete che in tutto il mondo civile è possibile processare una persona una sola volta per lo stesso fatto. In questo caso il fatto consiste in uno o più inviti a cena ad alcune ragazzi e in particolare a Ruby. In Italia però – e in particolare se si tratta di Berlusconi – si fa un’eccezione e resta stabilito che si può processare la stessa persona per lo stesso fatto anche una decina di volte, o comunque tutte le volte che servono se non si riesce ad ottenere una condanna.
Nessuno più sa esattamente quanti siano i processi- Ruby. Tre o quattro sono i principali, poi alcuni di questi processi sono stati spacchettati e distribuiti in processi stralcio in varie parti d’Italia. Finora nessuna condanna. Sempre assolto.
Il processo di ieri si svolgeva a Roma. La Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio, poi il Pm ha guardato le carte e ha capito che c’era qualcosa che non andava. Berlusconi era accusato di aver pagato il suo amico Apicella, circa 150 mila euro, per mentire a proposito delle cene con Ruby e non ammettere che c’era stato sesso. Prova della manigolderia era un versamento di circa 150 mila del cavaliere all’amico Apicella nel 2012, e cioè all’epoca di uno dei primi processi Ruby. Il Pm però si è accorto che quel versamento era di parecchi anni prima. E ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Pluff. Processo finito, dopo appena una decina d’anni.
Processo Ruby Ter, magistrati onnipotenti: ora ne faranno un altro? “Sono la prostituta, ridatemi la mia vita”
Molti soldi spesi, molto tempo, molto fango su Berlusconi. Il quale ieri era piuttosto soddisfatto perché ha migliorato ulteriormente il suo record che già era assai invidiabile anche se difficilissimo da “conteggiare”. Quello di ieri era probabilmente il centesimo processo contro l’ex premier e solo in un caso (che però è contestatissimo e ora è al giudizio della Corte europea che potrebbe ribaltare la sentenza) è stato condannato. Il record migliorerà ancora nei prossimi mesi perché i processi Ruby continuano…
P.S. Dice che ieri alla redazione del “Fatto Quotidiano” ci fossero musi lunghi. Mah…
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
La collezione di assoluzioni. Berlusconi assolto per l’ennesima volta, se le accuse escono da Milano finiscono nel cestino. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 19 Novembre 2022
Sarebbe sufficiente mettere in fila i numeri: 4 anni di dibattimento, 6 anni di indagini, 30 minuti di camera di consiglio. Poi l’assoluzione per Silvio Berlusconi e il cantautore Mariano Apicella, dopo la aveva richiesta addirittura il pubblico ministero Roberto Felici. La corruzione non ci fu, e il chitarrista non andò a mentire a pagamento quando nel processo milanese denominato “Ruby” aveva definito come “normali” le serate di Arcore in cui aveva intrattenuto Berlusconi e gli ospiti con le sue canzoni. Il chitarrista è assolto a Roma dal reato di corruzione in atti giudiziari (prescritta la falsa testimonianza) dopo che a Siena la stessa sorte aveva avuto il suo collega pianista Danilo Mariani, assolto perché “il fatto non sussiste”.
Se qualcuno si sta domandando come mai il rappresentante dell’accusa di Roma abbia in certo qual modo derogato al suo compito ordinario che è quello di accusare, appunto, e quindi di chiedere la condanna, e abbia invece sollecitato l’assoluzione dei due imputati, risponderemo con una spiegazione geografico-politica. Le carte dell’accusa arrivavano da Milano, da quella procura che, dopo aver costruito la bufala del “processo Ruby” da cui Berlusconi è uscito assolto fino alla cassazione, non si è mai rassegnata a rinunciare alla cattura del pesce grosso. Quando dall’aria meneghina si passa a quella di luoghi diversi, di palazzi di giustizia “normali”, da Siena a Roma, ecco che tutto cambia, le cene diventano solo occasioni di svago e i colpevoli vengono dichiarati innocenti. Le carte milanesi finiscono nel cestino della carta straccia, dove avrebbero dovuto sempre stare, il pm chiede l’assoluzione e il tribunale decide in mezz’ora. Si capisce bene che in questi processi in salsa milanese non si tratta più solo di distinguere la verità dalla menzogna, di capire se l’imputato stia mentendo perché si è fatto corrompere dal satrapo delle orge, ma piuttosto di cercare la conferma di tesi precostituite. E se non la si trova, perché l’organizzatore delle serate maledette è stato assolto fino al terzo grado di giudizio, allora vorrà dire che per arrivare a quella sua “purificazione” giudiziaria deve per forza aver pagato. Manca poco che Berlusconi venga accusato anche di aver corrotto i giudici, quelli dell’appello e quelli della cassazione che lo hanno dichiarato innocente.
Perché, nella mentalità di certi pubblici ministeri, come ha ben spiegato urbi et orbi l’ex campione di Mani Pulite Piercamillo Davigo, non esistono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca. E figuriamoci se non l’ha fatta franca il più colpevole di tutti, che oltre a tutto dispone anche di consistenti possibilità economiche. E a che cosa servono i soldi, se non per comprarsi tutti, compresi i testimoni e magari gli stessi giudici? Il paradosso è che il presidente di Forza Italia avrebbe sborsato, e decine di suoi ospiti si sarebbero fatti corrompere, per truccare un processo in cui è stato dichiarato innocente. Ogni tanto salta fuori qualcuno che si dichiara pronto a rivelare “la verità” su quel che succedeva in quelle serate. Ma di quale verità che costituisca reato si tratti, ancora nessuno lo ha spiegato. E ancora, nel processo denominato “Ruby ter” in cui a Milano i pubblici ministeri hanno chiesto la condanna a cinque anni di carcere per Silvio Berlusconi, non viene esplicitato quale motivo avrebbe avuto l’ex premier di truccare le carte.
I tribunali di Siena e Roma hanno appurato che i versamenti in denaro sui conti correnti dei due musicisti erano delle vere retribuzioni, attinenti a periodi precedenti e non solo successivi all’inizio del “processo Ruby”. Versamenti regolari e costanti. Così come regolari e elargiti alla luce del sole erano quelle specie di risarcimenti che il leader di Forza Italia aveva ritenuto di dovere a quelle ragazze del mondo dello spettacolo o della comunicazione che avevano visto la loro carriera danneggiata quando non del tutto stroncata in seguito alla pubblicità negativa di cui erano state vittime in seguito alle indagini e al “processo Ruby”. La politica della tesi precostituita e la caparbietà che qualcuno interpreta come rivalsa per l’assoluzione di Berlusconi nel processo principale, ha portato la Procura di Milano anche a un clamoroso scivolone. Clamoroso e grave. Alcune di queste testimoni già ai tempi del primo processo erano in realtà indagate, e come tali avrebbero dovuto essere interrogate, e non nella veste di testimoni. Non è questione di lana caprina, e non è neppure solo un fatto formale.
In una società che rispetti i diritti di tutti, e a norma delle leggi italiane, la persona indagata deve avere il massimo della tutela, e deve essere sentita, sia nella fase delle indagini preliminari che nel dibattimento, con la presenza del difensore. L’indagato e l’imputato hanno diritto al silenzio, e anche alla menzogna. Abbiamo visto nel passato, in particolare nei processi per terrorismo, ma anche in seguito, i procuratori usare il “trucchetto” di chiamare a testimoniare, quindi senza difensore e con l’obbligo a dire la verità, persone che in realtà erano già sottoposte a indagini. E’ stato il tribunale presieduto da Marco Tremolada, lo stesso del processo Eni, a svelare quanto accaduto con un’ordinanza che tagliava di netto la possibilità di alcune testimonianze, e azzerava quelle già rese nel primo processo. Se qualcuno pensa che il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, che rappresenta l’accusa in aula, si sia arresa, si sbaglia. Il processo si sta svolgendo come se niente fosse, basato sul nulla come tutti gli altri finiti con le assoluzioni. E a gennaio vedremo se il partito delle tesi precostituite sarà atterrato dall’ennesimo flop. Perché, come ha detto la pg Celestina Gravina nell’appello contro i vertici Eni voluto dal pm Fabio De Pasquale, “questo processo non avrebbe dovuto neppure cominciare”. E se anche il “Ruby ter” finirà in niente, come dovrebbe, nulla potrà risarcire Silvio Berlusconi e la giustizia italiana.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Berlusconi e le ragazze, l’infinito processo alla morale. Due giovani condannate: “Dite che che vi ha pagato”. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 13 Novembre 2022
Da Milano a Bari, si continua a celebrare un Grande Processo alla morale, un controllo quasi di natura islamica su ogni ragazza che abbia avuto rapporti, amichevoli o sentimentali, con Silvio Berlusconi negli anni in cui era Presidente del consiglio e amava attorniarsi nelle sue serate oltre che di amici anche di belle ragazze. Questo grande processo è spezzettato in tanti filoni “minori”, dopo che il leader di Forza Italia è stato clamorosamente assolto dall’accusa infamante di “prostituzione minorile” a Milano e poi in cassazione.
Se non è stata sedotta per denaro la diciassettenne Karima El Mahroug, ragionano un po’ di pm sparsi in varie parti d’Italia, dalla Lombardia alla Toscana e poi a Roma e a Bari, sicuramente lo sono state le altre. E, poiché, chiamate a testimoniare dalle varie procure sulla domanda ripetuta ossessivamente sulla “verità” di quel che accadeva in quelle serate, ad Arcore, ma anche nella dimora romana del premier, raccontavano cose che non piacevano agli inquirenti, alcune di loro sono state trascinate nei diversi tribunali con diverse imputazioni. Un filone si sta svolgendo a Bari, dove è già stato celebrato un “processo escort” in cui è stato condannato a due anni e dieci mesi per favoreggiamento della prostituzione Giampaolo Tarantini. Alcune ragazze che hanno testimoniato a quel dibattimento come al solito non sono state credute, e si sono ritrovate davanti al giudice monocratico che proprio due giorni fa le ha condannate a due anni di reclusione per falsa testimonianza. Dovevano dire per forza di aver fatto sesso a pagamento, e non l’hanno detto. Quelli che se la sono cavata, una terza ragazza (inutile fare i nomi, sarebbe solo un pizzico di morbosità in più per gli amanti del genere) e l’autista di Tarantini, hanno seguito i consigli degli avvocati adducendo il pericolo di autoincriminarsi. E hanno portato a casa l’assoluzione.
Ma il bello deve ancora accadere, nel capoluogo pugliese, perché il prossimo 24 novembre, salvo rinvii, sul banco degli imputati dovrebbe esserci proprio Silvio Berlusconi, accusato di aver pagato Tarantini per mentire. Siamo sempre alle solite. Poiché la Verità del Grande Processo alla morale impone che in ogni aula di giustizia si debba sempre parlare di questi rapporti sessuali con l’ex premier per denaro, e chi non lo dice viene processato e qualche volta condannato. Occorre ricordare che in Italia la prostituzione non è considerata una professione ma un comportamento e che comunque non è reato? I magistrati dell’accusa ne sono ben consapevoli, quindi girano intorno e trovano comunque il modo di istruire processi per altri reati, saltando addosso ai testimoni, preferibilmente alle ragazze, così la morbosità sessuale rimane sempre accesa.
Il caso più clamoroso è quello di Milano, dove sono alla sbarra 28 persone, oltre allo stesso Berlusconi, per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. E dove il primo inciampo ha mostrato quanto sia difficile da estirpare quel metodo lombardo che bada più alla sostanza che alla forma delle procedure e dell’applicazione delle regole. Così nell’aula in cui si celebrava il processo chiamato “Ruby uno”, quello in cui alla fine Berlusconi è stato assolto, e anche in quella del “Ruby due”, una serie di ragazze sono state sentite come testimoni, cioè come pubblici ufficiali che prestano giuramento, e in seguito incriminate per falso, mentre in realtà erano già indagate. E avrebbero avuto diritto, in quella veste, a essere assistite da un difensore e anche a rifiutarsi di rispondere alle domande o persino a mentire. Si chiamano diritti della difesa, e sono stati calpestati.
La procura della repubblica di Milano, rappresentata in aula anche da un magistrato di punta come l’aggiunta Tiziana Siciliano che ha avuto parole sferzanti e offensive nei confronti del principale imputato, ha dovuto prendere atto del fatto che con l’ordinanza di un anno fa del tribunale, ogni deposizione di quelle ragazze nei processi “Ruby uno” e “Ruby due” era carta straccia. E che finalmente si poteva applicare pienamente il codice del 1989 che vietava l’ingresso del fascicolo del pm in aula. E mercoledi prossimo è previsto un quella stessa aula l’intervento dell’avvocato Franco Coppi, colui che fece assolvere Silvio Berlusconi al processo per la prostituzione minorile. Farà ancora il miracolo o una sentenza sfavorevole sancirà che il Grande Processo alla morale è destinato a non finire mai?
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Ruby ter, Karima in aula a sorpresa. La difesa: «Dopo 12 anni porta ancora un marchio sulla pelle». La giovane accusata di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari per le serate ad Arcore compare in aula per assistere all'arringa. «Sono passati 12 anni, oggi è una donna diversa». Il Dubbio il 6 ottobre 2022.
Nel processo milanese Ruby ter spunta, a sorpresa, Karima El Marough che ha deciso di assistere all’arringa dei suoi difensori. La giovane è tra i 28 imputati del processo per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.
Per Karima, assistita dagli avvocati Jacopo Pensa e Paola Boccardi, la procura ha chiesto una condanna a 5 anni di carcere. La giovane, protagonista delle serate nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore, non ha rilasciato dichiarazioni quando è entrata in aula ma ha parlato all’uscita.
«È stato un grande incubo e rivoglio indietro la mia vita», ha detto la giovane. «Non mi sono mai sentita difesa e quindi oggi è stata una giornata importante», ha aggiunto.
Ruby ter, parla la difesa: «Karima oggi è una donna diversa, ma porta un marchio sulla pelle»
«Sono passati 12 anni da quando sui giornali compariva il nome di Ruby, ma oggi è una donna che tra un mese compirà 30 anni, una donna profondamente diversa da quella ragazzina che scappava da 16 comunità, che viveva da sola. Porta un marchio, peggio di una lettera scarlatta, quella di prostituta minorile che confligge apertamente con gli elementi processuali come le intercettazioni», sono le prime parole pronunciate dall’avvocata Paola Boccardi. Frasi scandite con lo sguardo rivolto alla sua assistita, presente in aula, che ha subito una «esposizione mediatica infinita».
Leggi anche: «Odalische e schiave del sesso». La requisitoria etica contro il Cav e le donne
«Se c’è una cosa che non cambia mai nelle dichiarazioni di Karima è “non aver avuto, non aver compiuto atti sessuali con Berlusconi”. Le testimoni parlano tutte in maniera omologata, lei usa il suo linguaggio: non ha parlato di cene eleganti o burlesque, ha descritto serate sicuramente non puritane, ha descritto spogliarelli, dice che non hai mai visto o subito atti sessuali. Non ha mai partecipato a nessuna delle serate in cui ha partecipato le altre ragazze», prosegue Boccardi.
«Ruby per molti versi assomiglia a Imane Fadil», la modella marocchina e super testimone ai processi Ruby, morta per una grave forma di aplasia midollare nel marzo del 2019. «Entrambe sono di origine marocchiana, sono bellissime – sottolinea la difesa -. Entrambe vengono invitate ad Arcore. Imane Fadil ci va 10 volte, Ruby 6 o 7 volte. Entrambe al termine di quelle cene ricevono delle buste di denaro. Entrambe dicono di non aver avuto rapporti sessuali» con Silvio Berlusconi ma «Imane Fadil però viene creduta e finisce nella lista dei buoni. Ruby no».
Ruby in Aula: "Io marchiata da prostituta dalla Procura". La versione di Ruby è sempre stata la stessa, non è mai stata ritrattata, modificata, smentita da altre testimonianze. Luca Fazzo il 6 Ottobre 2022 su Il Giornale.
La versione di Ruby è sempre stata la stessa, non è mai stata ritrattata, modificata, smentita da altre testimonianze: «Non ho mai avuto rapporti sessuali con Silvio Berlusconi». Su questo punto ieri gli avvocati difensori di Kharima el Mahroug (nel tondo), la giovane marocchina il cui fermo nel 2011 diede il via all'inchiesta sulle feste di Arcore, hanno puntato per chiedere l'assoluzione della ragazza dall'accusa di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.
Il processo è ormai agli sgoccioli. La Procura ha fatto le sue richieste di condanna (cinque anni per la Mahroug, sei per il Cavaliere), il prossimo 17 gli avvocati di Berlusconi chiuderanno le arringhe. Ieri tocca a Paola Boccardi e Jacopo Pensa, difensori di Kharima. A sorpresa, accanto a loro si materializza in aula l'imputata: trentenne, elegante, apparentemente serena. I difensori affrontano il lato tecnico, concreto delle accuse mosse dalla Procura di Milano: spiegano che «anche se» la ragazza avesse preso dal Cavaliere i milioni di cui parla in un appunto, non vi sarebbe reato, perché allora non era testimone in nessun processo. Accanto, i legali mettono sotto accusa il trattamento cui Kharima è stata trattata dai magistrati di Milano, «marchiata» come una prostituta, sommersa di «domande intime, inopportune», solo al fine di «curiosità». Dice Jacopo Pensa: «A Ruby chiesero lei ha fatto sesso con Berlusconi, lei ha preso soldi per mentire?. Ma che domande sono queste? Poste a una donna appena diventata maggiorenne, io quando ho letto queste domande sono rimasto di stucco». Kharima, all'uscita: «Per me è stata una giornata veramente emozionante - ha spiegato al termine dell'arringa - è la prima volta che mi sento difesa, non mi sono mai sentita davvero difesa, neanche ai tempi quando ero una vittima». E poi: «L'augurio che mi faccio è che questa vicenda sia chiusa il prima possibile, perché è stato un grande incubo, e di riavere indietro la mia vita».
Processo Ruby Ter, magistrati onnipotenti: ora ne faranno un altro? “Sono la prostituta, ridatemi la mia vita”. Piero Sansonetti su Il Riformista il 5 Ottobre 2022
Oggi c’è stata una nuova udienza al processo Ruby ter, però credo che siano stati più di tre i processi, ne sono stati fatti moltissimi. Una situazione molto particolare, tutta italiana. Voi sapete che nel resto del mondo, in teoria anche in Italia, si può processare una persona per un certo fatto una volta. In Italia in alcuni casi se ne possono fare molti, il caso Ruby sapete qual è. Berlusconi fu accusato di aver avuto rapporti sessuali con Ruby (all’anagrafe Karima El Mahroug), giovane marocchina che era minorenne all’epoca dei fatti (aveva 17 anni e mezzo) e quindi il reato che gli fu attribuito era quello di prostituzione minorile. Parliamo di circa 12 anni fa. Sono stati fatti tantissimi processi, di ogni tipo, e dopo 12 anni sono ancora in corso.
Il processo più importante è il primo, quello che avrebbe dovuto essere l’unico, su cui i giornali hanno fatto titolo, contro-titoli, pagine intere. Il prestigio di Berlusconi fu in parte demolito da quella vicenda. La procura di Milano chiese 7 anni di prigione in primo grado poi in Appello e in Cassazione fu assolto. Però in teoria se fosse stato condannato il presidente del Consiglio sarebbe finito in prigione. Sarebbe stato il primo caso dall’epoca del fascismo.
Poi la vicenda proseguì perché la procura non fu mai contenta, perdeva i processi ma ne faceva altri. Esiste questo potere in Italia di rendere infiniti i processi. Hanno parlato gli avvocati di Ruby ed era presente anche lei in aula e hanno confermato la tesi di sempre cioè che Ruby non ha mai avuto rapporti sessuali con Berlusconi. Difficile che ci sia la prostituzione senza sesso, a meno che non si dia un valore ideale alla prostituzione. Ci sono anche tanti giornalisti che si prostituiscono a certi interessi ma non possono essere processati per questo.
La lettera scarlatta. Processo Ruby ter, la furia delle donne della Procura che si ergono a polizia morale del Paese. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 6 Ottobre 2022
Non chiamiamola più Ruby. Restituiamo la dignità e l’identità a Karima El Mahroug, la giovane donna ormai trentenne che è comparsa ieri, dopo quasi dieci anni di assenza e silenzio, nell’aula del tribunale milanese dove è imputata, insieme a Silvio Berlusconi e altre ventisette persone, di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
Se anche lei non avesse due bravi avvocati come Paola Broccardi e Jacopo Pensa, sarebbe sufficiente guardare Karima e ascoltarla mentre dice che vorrebbe uscire da quest’incubo a dal marchio cocente come la lettera scarlatta che porta sul suo corpo, per capire l’abisso che separa questo processo da quel che accadde dodici anni fa a una ragazza inquieta che era quasi maggiorenne ma non ancora, e che viveva un po’ alla ventura, dopo esser scappata di casa e da diverse comunità per minori. Una ragazzina che le istituzioni avrebbero dovuto tutelare, e che invece è stata usata come randello, per colpire il nemico di sempre, Silvio Berlusconi. Lei ne è perfettamente consapevole, ne parla con semplicità, all’uscita dall’aula. “Ho sempre avuto paura di essere strumentalizzata, dice, e credo che possiate capirlo. È la prima volta che mi sento difesa in un’aula come questa, non mi sono mai sentita davvero difesa, neanche ai tempi nei quali ero una vittima”.
Karima El Mahroug ha centrato il punto. Il processo nasce come accusa a Silvio Berlusconi, e Karima è la sua vittima di una prostituzione minorile. Una ragazzina fermata per furto, poi difesa niente di meno che dal Presidente del Consiglio, che viene poi “protetta” dagli investigatori in luogo segreto e a lungo interrogata sulla malefatte del Lupo Mannaro. Siamo nel 2010, dodici anni fa. L’ex pubblico ministero Ilda Boccassini ne racconta nel suo libro, ma non parla dell’anomalia di quei mesi, tra luglio e dicembre, in cui una minorenne è stata usata e spremuta in diversi interrogatori sui suoi rapporti con Berlusconi. Lei usata come vittima di un satrapo la cui difesa però fu tenuta all’oscuro, e solo cinque mesi dopo è stata messa al corrente di quel che stava succedendo.
Se la legge fu violata, di certo il Csm non se ne è accorto. L’avvocato Jacopo Pensa è stata abbastanza esplicito ieri mattina nel ricordare come la ragazza non fu in realtà tutelata nella sua veste di vittima, ma fu anzi poi sottoposta a pressioni indicibili persino nel processo di primo grado, perché fornisse quei particolari piccanti del suo rapporto con Berlusconi che la giovane marocchina ha sempre negato. La domanda più insistente era sempre: avete fatto sesso? E lei ha sempre risposto di no. Parole che “non erano evidentemente gradite ai giudici della quinta sezione”, dice l’avvocato Pensa. È triste ricordare, ma non possiamo negarlo, che Karima è stata trattata male da una serie di magistrati donne. La pm Boccassini, che nell’aula del primo processo, ne tratteggiò “l’astuzia levantina”, e poi le giudici del tribunale, quelle che Berlusconi definì “erinni” e “ femministe comuniste”. Se lei oggi si ritrova imputata, lo si deve soprattutto a queste donne in toga. Ma ce ne è un’altra, in questa nuova aula dove ritroviamo ancora Karima in una nuova veste, la pm Tiziana Siciliano che ha chiesto per lei cinque anni di carcere. Perché avrebbe mentito per soldi. E qui siamo nel regno dell’assurdo.
Non tanto perché Berlusconi non sarebbe stato in grado di versarle i cinque milioni di euro di cui si parla (e che comunque non sono stati mai trovati), ma perché Karima sarebbe stata pagata per negare qualcosa su cui il leader di Forza Italia è stato assolto. La prostituzione minorile non ci fu. E se è per questo neppure l’altro reato grave di cui fu accusato, la concussione nei confronti di un dirigente di polizia, il capo di gabinetto del questore Pietro Ostuni. Berlusconi è innocente, ce lo hanno detto diversi giudici, ma la Procura di Milano, presieduta in quegli anni prima da Edmondo Bruti Liberati e poi da Francesco Greco, non si è mai arresa. Quella stessa procura che si è rivelata un covo di vipere, oltre che di anomali metodi investigativi da parte di alcuni pm, che ora sono all’attenzione della magistratura bresciana. Pure in quegli uffici non proprio adamantini si è costruito nell’arco di dodici anni il Grande Processo alla Morale.
“Se c’è una cosa che non cambia mai nelle dichiarazioni di Karima –ha detto ieri l’avvocato Paola Boccardi- è di non aver avuto, non aver compiuto, atti sessuali con Berlusconi”. Possiamo aggiungere che, qualora anche li avesse avuti, ci sarebbe stato il reato solo a due condizioni: che la ragazza avesse fatto sesso a pagamento con un adulto consapevole della sua minore età. Il che non è accaduto, e ci sono le sentenze definitive, fino alla cassazione, a confermarlo. Ma chi fa il processo alla morale non ne tiene conto. Come dimenticare infatti la requisitoria del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano? Se non ricordiamo male la toga milanese, più che parlare di reati, si è accanita sul reo, che ha definito come “grande anziano” e “sultano”, oltre che “amico di Putin”. E poi ha preso di mira altre imputate, in un bel corpo a corpo ancora tra donne. Stiamo parlando di una serie di ragazze cui il rapporto di amicizia con Silvio Berlusconi e la partecipazione ad alcune cene nella residenza di Arcore non hanno certo giovato.
Tanto che lo stesso ex Presidente del Consiglio a un certo punto ha iniziato ad aiutarle economicamente, con versamenti mensili sui loro conti correnti alla luce del sole, perché nessuna di loro, dopo il trattamento subito dalla stampa, riusciva più a trovare lavoro. Si tratta di ragazze che svolgevano attività prevalentemente nel mondo della comunicazione e dello spettacolo. Ma vengono chiamate “olgettine”, dal nome della via in cui alcune di loro risiedevano. Bella regola del giornalismo, quella di togliere l’identità alla persona e di degradarla addirittura a un indirizzo di casa. Per non parlare dell’acido moralismo con cui le aveva bollate, nel corso della requisitoria, la pm Siciliano, sempre nell’ambito della solidarietà femminile: “..processiamo un gruppo di donne la cui caratteristica principale, causativa di guai, è la bellezza, ormai passata, all’epoca erano molto giovani”. Ricapitoliamo, dunque. Sono cretine, e ormai anche bruttine e sciupatelle.
Ma soprattutto, e questo è difficile da perdonare, sono trattate come prostitute. Andavano ad Arcore a spassarsela, poi raccontavano che invece era come andare a Lourdes. Mentivano e mentono per soldi. Il denaro della corruzione da parte del vecchio satrapo e puttaniere. Schiave sessuali del grande sultano. Devono difendersi da questo schifo davanti al mondo, prima ancora che dall’accusa di corruzione.
Il processo naturalmente va avanti, parleranno i difensori di Berlusconi, poi si andrà a sentenza nel gennaio 2023. E di anni ne saranno passati tredici da quella notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010 in cui una ragazzina fu fermata per furto, poi fu trasformata in vittima, poi in puttana e infine in bugiarda e corrotta. Un giocattolo nelle mani di magistrati giocolieri che continuano a usarla come randello politico.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Il processo sul caso Ruby-ter. Ruby-ter: “Processo alla morale”. Angela Stella su Il Riformista il 29 Settembre 2022.
Mentre Silvio Berlusconi si prepara al suo rientro in Senato, a Milano va avanti il processo sul caso Ruby-ter dove 29 persone, tra cui il leader di Forza Italia, sono processate per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. La sentenza è prevista per gennaio. Per Berlusconi i pm hanno chiesto una condanna a 6 anni. Il terzo filone del processo ruota intorno allo scandalo di Ruby, la giovane marocchina Karima El Mahroug, che finì in questura una sera del 2010 e aprì uno squarcio sulle “cene eleganti” di Arcore e le ragazze che vi prendevano parte e che avrebbero ottenuto denaro e regali dall’ex presidente del Consiglio per tacere su quelle notti di divertimento.
Ricordiamo che Berlusconi è stato già assolto in via definitiva per i reati di concussione per costrizione e favoreggiamento della prostituzione minorile. Ieri si sono presentate in aula le gemelle Concetta ed Eleonora De Vivo. Per loro l’avvocato Maria Emanuela Mascalchi ha chiesto l’assoluzione: “Da 10 anni vengono etichettate come ‘olgettine’, ossia escort, ma non lo sono”. Per loro i pm hanno chiesto condanne a 4 anni di reclusione. “Loro stesse hanno ammesso di ricevere dal 2006 somme di denaro da Berlusconi – ha spiegato il difensore – questa non è una condotta illecita, loro non hanno mai nascosto nulla”.
Si è trattato di indagini che, per la difesa, “hanno riguardato la sfera personale”. I pm nella requisitoria le hanno “etichettate – ha proseguito – come schiave sessuali del grande anziano, odalische del sultano, dicendo che hanno partecipato a scene orgiastiche, questi sono solo commenti e considerazioni scandalistiche da parte dell’accusa”. Mentre, ha aggiunto l’avvocato, “non ci sono elementi per arrivare ad una condanna” per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari. Dal processo, ha concluso, sono emerse “solo considerazioni legate alla morale, non reati”. In aula ha parlato anche l’avvocato Paolo Siniscalchi che assiste l’ex showgirl Barbara Faggioli e per la quale ha chiesto sempre l’assoluzione: “Non c’è alcuna prova in questo processo che la signora abbia avuto rapporti sessuali con Berlusconi o che abbia esercitato ad Arcore l’attività prostitutiva”. Il legale ha aggiunto: “se si guarda il flusso di aiuti che ha ricevuto dal presidente, si osserva che si è mantenuto costante nel tempo ed è servito per riparare quel danno che la vicinanza con il dottor Berlusconi le aveva cagionato”.
Processo Ruby Ter, tutte le richieste del Pm
Lo stesso ex premier ha sempre spiegato di aver versato soldi alle ragazze come risarcimento per i danni da loro subiti per lo scandalo mediatico del caso Ruby. È stato poi il momento dell’arringa difensiva di Nicola Giannantonio, che ha chiesto l’assoluzione per l’altra showgirl Barbara Guerra: è “evidente” che la donna “ha anche avuto momenti di irascibilità”, ossia come risulta dagli atti dell’inchiesta avrebbe esercitato un forte pressing per avere soldi, ma tra lei e Silvio Berlusconi “c’è sempre stato un legame di forte amicizia” e “nel processo non c’è prova di un accordo corruttivo tra i due per rendere falsa testimonianza”. La prossima settimana ci sarà l’arringa della difesa di Karima El Mahroug. Dopo toccherà ai legali di Berlusconi. A novembre le repliche dell’accusa. Angela Stella
Sandro De Riccardis per milano.repubblica.it il 28 settembre 2022.
Le gemelle Concetta "Imma" ed Eleonora De Vivo, Barbara Faggioli, Barbara Guerra. Per tutte le quattro ragazze chiamate a difendersi nell'udienza di oggi del Ruby ter, imputate per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, erano presenti in aula solo le due gemelle. Per tutte le quattro "ospiti" di Silvio Berlusconi ad Arcore, accusato di aver ottenuto denaro e regali per non raccontare cosa succedeva nelle "cene eleganti" a villa San Martino, i loro difensori hanno chiesto l'assoluzione.
Il processo potrebbe arrivare a sentenza per l'ex premier, imputato di corruzione in atti giudiziari, e per gli altri ventotto imputati, a gennaio. Una data non è stata ancora fissata e la durata del dibattimento potrebbe dover tenere conto di eventuali impegni di Berlusconi nelle settimane calde dell'avvio della nuova legislatura e della formazione del governo.
Ma il presidente del collegio, Marco Tremolada, d'intesa con la procura e con gli avvocati delle parti, ha stilato un calendario che potrebbe portare alla sentenza all'inizio del prossimo anno.
Intanto oggi, per la prima volta in aula, sono comparse le gemelle De Vivo, per le quali il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno chiesto quattro anni. "Da dieci anni ormai, da quanto è iniziato questo procedimento vengono etichettate come 'olgettine', ossia come escort - ha esordito l'avvocato Maria Emanuela Mascalchi -. Loro stesse hanno ammesso di ricevere dal 2006 somme di denaro da Berlusconi, non è una condotta illecita e loro non hanno mai nascosto nulla".
La difesa delle due ex showgirl ha parlato di indagini che "non riguardano reati, ma la sfera personale, la vita privata delle due sorelle", mentre "i pm nella requisitoria le hanno etichettate come schiave sessuali del grande anziano, odalische del sultano".
In realtà, ha argomentato la legale, "non ci sono elementi per arrivare ad una condanna" perché dal processo sono emerse "solo considerazioni legate alla morale, non reati. Col presidente Berlusconi da parte delle gemelle c'era un rapporto di stima e amicizia", e i pagamenti sono "liberalità" perché non c'è stato alcun accordo illecito con il Cavaliere.
Anche la difesa di Barbara Faggioli ha puntualizzato come non ci sia alcuna correlazione tra le "le somme ricevute da Berlusconi e le sue testimonianze nel processo". Berlusconi ha versato denaro a Faggioli, ha dichiarato il suo legale Paolo Siniscalchi, "prima, durante e dopo i processi".
Pagamenti che rappresentano "un desiderio riparatorio di Berlusconi" per ragazze che "sono state bersagliate mediaticamente". Anche Faggioli, per la quale l'accusa ha chiesto quattro anni, "si è trovate sotto un fuoco mediatico più grande di lei". Per di più, ha continuato il legale, "non è stata direttamente testimone di atteggiamenti impropri né di rapporti sessuali".
Le liberalità per Barbara Guerra non sono corruzione ma solo la prova della "forte amicizia" con Berlusconi. "Nel processo - ha spiegato l'avvocato Nicola Giannantonio, chiedendo l'assoluzione per la sua assistita rispetto ai cinque anni chiesti dai pm - non c'è prova di un accordo corruttivo tra i due per rendere falsa testimonianza".
Berlusconi "con lei è stato sempre molto generoso e l'ha aiutata fin dall'inizio. Questa è una storia di amicizia nata nel 2007 e lei ha avuto dal presidente l'uso di case e immobili sin da tempi non sospetti". In più, secondo Giannantonio, "non c'è alcun elemento che provi che Berlusconi abbia promesso a Guerra la donazione della villa", a Bernareggio, in provincia di Milano.
"Non era di sua proprietà, lei l'aveva in uso", ha precisato il legale. Il Cavaliere "ha ritenuto di doverla aiutare per ciò che aveva subito con dazioni di denaro, in modo regolare e tracciabile". Il processo riprenderà il 5 ottobre, mentre le arringhe dei difensori di Berlusconi saranno nelle udienze tra il 17 ottobre e il 2 novembre. Dopo le repliche dei pm e le controrepliche delle difese, tra fine novembre e dicembre, la sentenza potrebbe arrivare entro gennaio.
"Così il lodo Alfano venne cancellato dalla lobby in toga e dalla Consulta". Alessandro Sallusti il 9 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Sono passati tanti anni, dodici per l'esattezza, ma il 7 ottobre 2009 è una data spartiacque nei rapporti tra la magistratura e la politica.
Sono passati tanti anni, dodici per l'esattezza, ma il 7 ottobre 2009 è una data spartiacque nei rapporti tra la magistratura e la politica. Lei, dottor Palamara, in quel momento era a capo dell'Associazione nazionale magistrati e fu uno dei protagonisti di quella vicenda, la bocciatura del cosiddetto Lodo Alfano, una legge che voleva dare l'immunità alle quattro più alte cariche dello Stato, tra le quali il presidente del Consiglio.
«Che in quel momento era Silvio Berlusconi, reduce dal trionfo elettorale dell'anno precedente ma braccato dalla magistratura. Tre erano i processi che lo vedevano imputato: quello per la corruzione dell'avvocato Mills, quello per diffamazione aggravata dall'uso del mezzo televisivo sulle relazioni tra le cooperative rosse e la camorra, quello per la compravendita dei diritti televisivi».
Potevate voi sospendere le ostilità contro Berlusconi per i successivi cinque anni, cioè fino a che quel governo sarebbe rimasto in carica?
«Era da escludere. Le ricordo lo abbiamo raccontato e documentato nel libro precedente che quando Berlusconi vince a mani basse le elezioni del 2008 l'Associazione nazionale magistrati scende in campo come forza di opposizione, stante la debolezza in quel momento della sinistra politica».
Già, Berlusconi questo lo sa bene, del resto proprio lei glielo aveva in qualche modo anticipato nell'unico vostro incontro privato faccia a faccia, avvenuto sul finire del 2007 quando lei da poco era stato nominato segretario generale dell'Anm.
«Esatto, per cui lui, una volta tornato a Palazzo Chigi nell'aprile del 2008, per prima cosa prova a blindarsi. Il 26 giugno il governo vara il Lodo Alfano dal nome del ministro della Giustizia proponente che a tempo di record diventa legge: la Camera lo approva il 10 luglio, il Senato il 22 e il giorno dopo il presidente Napolitano, suo malgrado, controfirma».
Per Berlusconi è fatta. Cosa avete pensato in quel momento?
«Che lui certamente aveva i numeri parlamentari per fare ciò che voleva, ma non aveva il controllo del Sistema. E il Sistema, come vedremo, è più forte del Parlamento. Era soltanto una questione di tempo, quell'immunità andava levata con ogni mezzo. E la lobby dei magistrati si mette in moto. Il 26 settembre Fabio De Pasquale, in quel momento pubblica accusa in due processi che riguardano Berlusconi, non ne vuole sapere di sbaraccare e solleva un dubbio di costituzionalità sul Lodo Alfano. Dubbio accolto dai giudici, che chiedono lumi alla Corte Costituzionale. È il varco in cui tutti ci infiliamo».
Fabio De Pasquale, quello che ai tempi di Mani pulite fece intendere al presidente dell'Eni Gabriele Cagliari la scarcerazione in cambio di una confessione, e che non mantenne la parola? Poi Cagliari si suicidò in cella. Quello che nel 1992 mise sotto accusa per truffa Giorgio Strehler, portando il grande regista a dire «è una vergogna, mi dimetto da italiano»? Per avere giustizia totale assoluzione Strehler dovette stare tre anni sulla graticola. Quel De Pasquale oggi sotto indagine, sospettato di non aver tenuto un comportamento limpido nel processo Eni concluso a Milano con la sconfessione delle sue tesi accusatorie?
«Sì, quel De Pasquale. Ma in quei giorni partono anche i manifesti a difesa della Costituzione firmati da molti intellettuali, e Antonio Di Pietro, in quel momento leader politico di Italia dei Valori, lancia la raccolta di firme per un referendum abrogativo di quella legge. Una mobilitazione simile a quella dei girotondi lanciati dal regista Nanni Moretti anni prima, nel 2002, sempre regnante Berlusconi, in concomitanza con un precedente tentativo di concedere l'immunità alle alte cariche dello Stato».
Parliamo del cosiddetto Lodo Schifani, legge approvata nel 2003 e abrogata l'anno successivo dalla Corte Costituzionale.
«Esatto, quindi in quel momento è urgente rimettere in moto lo stesso meccanismo per arrivare allo stesso risultato. Però, prima di raccontare cosa avvenne dietro le quinte, è meglio che chi ci legge abbia chiaro quali sono i meccanismi che sovraintendono alla Corte Costituzionale»...
...«Tutti i presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1999 venivano da partiti di sinistra o culture di sinistra, come si può dire senza dubbi anche di Carlo Azeglio Ciampi, il quale tuttavia al momento dell'elezione non aveva tessere di partito. Il che significa che i cinque membri in carica alla Corte costituzionale di nomina quirinalizia non potevano che riflettere quell'indirizzo. Difficile poi pensare che i cinque membri nominati dalla magistratura fossero tutti, diciamo così per semplificare, di destra o addirittura filoberlusconiani, stante che il gioco delle correnti guidate dalla sinistra giudiziaria mette ovviamente becco anche lì. Dei restanti cinque, di nomina parlamentare, almeno un paio sono eletti dalla sinistra. Risultato: oltre i due terzi dei giudici costituzionali, cioè un'ampia maggioranza, hanno un orientamento a sinistra e questo non può non avere un peso, diciamo così, di cultura giuridica, nelle loro decisioni, come del resto è normale e logico che sia».
Però sempre giudici sono.
«Certo, ci mancherebbe. Sto solo dicendo che, numeri alla mano, all'interno della Corte costituzionale che dovrebbe dirimere con imparzialità i conflitti tra poteri dello Stato l'orientamento della magistratura, su ogni tema, prevale su quello della politica, soprattutto sulla politica di centrodestra... Ma lo sbilanciamento a sinistra è dovuto anche a un altro fatto ai più sconosciuto».
Rendiamolo noto.
«Lei conosce quel detto: «I ministri passano, i dirigenti restano», che sta a indicare come in un ministero chi comanda davvero sono i capi di gabinetto guarda caso quasi tutti magistrati distaccati e gli alti funzionari, in altre parole la burocrazia? Ecco, alla Corte costituzionale i giudici sono come i ministri, interessati soprattutto a mantenere la poltrona adeguandosi all'orientamento prevalente per non essere emarginati, e magari sperare di essere eletti presidente. A mandare avanti la macchina ci pensano gli equivalenti dei dirigenti al ministero, cioè gli assistenti di studio».
E questi da dove sbucano?
«Ogni giudice ne può avere fino a tre. Possono essere scelti tra docenti universitari, magistrati amministrativi o contabili. La maggior parte, oltre i due terzi, arriva dalla magistratura ordinaria, quindi anche loro occupano quel posto solo dopo aver superato l'esame delle correnti. Il meccanismo è lo stesso usato per lottizzare qualsiasi altro incarico direttivo, tipo procuratore della Repubblica o presidente di tribunale».
E perché questi «assistenti di studio» sarebbero così importanti?
«Perché sono loro a studiare le carte e preparare le sentenze da sottoporre al loro giudice di riferimento. Il quale il più delle volte prende atto e firma. L'attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia, nasce così, assistente di studio di Antonio Baldassarre, che nei primi anni Novanta fu anche presidente della Corte e che poi nel 2007 finì nei guai perché coinvolto in quel pasticcio che fu la vendita a privati di un pezzo di Alitalia: condanna a tre anni per aggiotaggio. Poi il presidente Napolitano la nomina giudice. Da giudice è collega di Sergio Mattarella, che diventato presidente della Repubblica vede di buon occhio la sua nomina prima, nel 2019, a presidente della Corte stessa, poi a ministro della Giustizia nell'esecutivo di Mario Draghi».
Interessante, ma non divaghiamo troppo. Torniamo a quel 2009 e alla necessità di non concedere l'immunità a Silvio Berlusconi.
«Certo, ma guardi che non ho divagato. Per capire le singole vicende bisogna sapere come funzionano i meccanismi. Spero di aver chiarito perché la Corte Costituzionale è sì un organismo terzo, ma non «troppo terzo» rispetto al potere esercitato dalla magistratura al di fuori delle aule di giustizia. Tanto è vero che io in quei mesi, da presidente dell'Anm, frequento spesso, non solo in occasioni formali, il Palazzo della Consulta, sede della Corte che sta proprio di fronte al Quirinale allora abitato da Giorgio Napolitano, con il quale sono in costante contatto».
In che senso «non solo in occasioni formali»?
«La posizione della magistratura associata era chiara e io stesso mi ero confrontato con il presidente Napolitano: per noi il Lodo Alfano doveva essere abolito e Berlusconi processato. Ovvio che per trovare il modo di arrivare all'obiettivo tenevo rapporti stretti con i miei referenti alla Corte, quei magistrati distaccati che ben conoscevo e di cui parlavo prima. Sono state tante le colazioni dentro quel palazzo così algido, così distante anche nella sua architettura dal popolo. Una sorta di reggia esclusiva».
Un lavoro di lobby per affossare una legge democraticamente approvata dal Parlamento. Non è il massimo della trasparenza.
«Era quello che aveva deciso il Sistema in quel momento. Non dimentichiamoci che Berlusconi e il suo governo erano i nemici del Sistema, non si poteva in alcun modo permettere che si rafforzassero con l'immunità. Quindi ognuno doveva fare il suo: i procuratori che stavano indagando su Berlusconi avanzare eccezione di costituzionalità, il Csm proteggere loro le spalle, l'Anm suonare la grancassa del rischio colpo di Stato e affini, i partiti di sinistra e i sindacati mobilitare le piazze, i giornali di area dare grande rilevanza a tutto questo. Da ultimo, non in ordine di importanza, il presidente della Repubblica a cui era toccato, per dovere d'ufficio, controfirmare quella legge. Insomma, bisognava preparare il terreno perché la Corte costituzionale alla fine facesse il suo, sentendosi ben supportata».
Una partita impari.
«Berlusconi mette in campo un parere favorevole al Lodo Alfano dell'Avvocatura di Stato, ufficio che dipende dalla presidenza del Consiglio, quindi da lui. E avvicina gli unici due giudici della Corte di nomina del centrodestra, Luigi Mazzella, già suo ministro in un precedente governo, e Paolo Maria Napolitano. La cena avviene a casa Mazzella nel giugno di quel 2009, vi partecipano anche Gianni Letta e Carlo Vizzini, oltre che lo stesso Alfano. L'incontro non costituisce reato i giudici costituzionali non sono soggetti alle stesse restrizioni di quelli ordinari ma la notizia della cena, guarda caso, viene fuori, e gettata in pasto all'opinione pubblica diventa un boomerang per il Cavaliere».
Finale scontato.
«Il 7 ottobre 2009 la Corte, con nove voti contro sei, dichiara l'incostituzionalità del Lodo Alfano, con la motivazione che per introdurre l'immunità alle alte cariche dello Stato non basta una legge ordinaria ma ne serve una costituzionale, dato che la materia va a toccare il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge».
Poteva andare diversamente?
«In punta di diritto sì. Quella sentenza smentisce la sentenza con cui la stessa Corte, due anni prima, aveva bocciato il Lodo Schifani, antesignano di quello Alfano... Il dato politico è che la magistratura nel 2009 ha vinto, che Silvio Berlusconi poteva rimanere, come è stato, sotto inchiesta e sotto processo, e questo è dovuto al fatto che la Corte costituzionale, grazie al meccanismo che regola la nomina dei suoi giudici e dei suoi assistenti di studio in funzione delle logiche delle correnti, ha fatto Sistema».
Per lei sarà stato come appiccicarsi al petto una medaglia.
«Non lo nego, fu una stagione esaltante, celebrata anche da Roberto Vecchioni nella canzone Chiamami ancora amore, con la quale, altro schiaffo al berlusconismo, due anni dopo vinse il Festival di Sanremo... Ma siamo nel 2011, e grazie anche alla bocciatura del Lodo Alfano Berlusconi è accerchiato: anche gli artisti, con il lasciapassare della Rai, si uniscono al Sistema. La battaglia sta per essere vinta, alla fine di quell'anno il governo cadrà. Ma altre cose bollono in pentola».
Alessandro Sallusti dal 2010 al 2021 è stato direttore responsabile de ilGiornale, dove aveva cominciato insieme a Indro Montanelli nel 1987. Ha lavorato per Il Messaggero, Avvenire, il Corriere della Sera, e L'Ordine, fino ad approdare a Libero, con Vittorio Feltri.
Severino interpreta la legge: quelle chance negate al Cav. Stefano Zurlo il 9 Febbraio 2022 su Il Giornale.
L'ex ministro rivela 10 anni dopo: Berlusconi avrebbe potuto evitare al Senato la decadenza col voto segreto.
Una sorta di interpretazione autentica della norma che prende il suo nome. Paola Severino ora spiega che la legge Severino non può portare alla decadenza automatica del parlamentare condannato, ma anzi lascia un certo margine di manovra al Parlamento. Ma come? Ci avevano spiegato che il destino di Berlusconi era segnato e il Senato avrebbe dovuto solo mettere il timbro, come un passacarte, sul verdetto della Cassazione. Ma non è così, e dopo dieci lunghi anni carichi di silenzio, l'ex ministro della Giustizia svela quel che accadde in Consiglio dei ministri nel 2012 a proposito del decreto legislativo 235, quello appunto utilizzato per esibire il cartellino rosso in faccia al Cavaliere.
«Fu grazie alla straordinaria capacità di Antonio Catricalà - svela l'avvocato celebrando alla Luiss proprio il grande giurista scomparso lo scorso anno - che il decreto legislativo» fu modificato in extremis, così da evitare un «eccessivo automatismo».
Parole pesanti e sorprendenti perché Forza Italia e il centrodestra sollevarono il tema dopo la condanna del Cavaliere, ma l'asse Cinque stelle-Pd fu irremovibile: il Senato non poteva far altro che dare corso a quel provvedimento.
A quanto pare la questione era più sottile e Catricalà l'aveva colta in pieno, ventilando il cambio in corsa di una parola nel corso di quel Consiglio dei ministri: «Il suggerimento che subito accolsi riconosceva al Parlamento il pieno potere di decidere sulla decadenza o meno di un suo membro. Risultato che ottenemmo attraverso la modifica dell'espressione dichiarazione in deliberazione. Fu proprio in virtù di questo cambiamento che la norma è riuscita a superare in tante occasioni il vaglio della Corte costituzionale e quello della Corte europea dei diritti dell'uomo».
Severino non aveva mai chiarito questo punto esplosivo e nemmeno era mai emersa quella staffetta di vocaboli nel testo. E però questo modifica la prospettiva di quel voto e di quella norma: se così stanno le cose non si capisce perché l'anno dopo, nel 2013, con la bagarre sul Cavaliere, non si sia ricorso al voto segreto. «Io posi la questione in aula - racconta il senatore di Forza Italia Giacomo Caliendo, ex magistrato - insistendo per il voto palese sulla decadenza, ma la sinistra e i grillini ripetevano che non c'era margine di interpretazione e dunque si doveva votare a carte scoperte. Il presidente Grasso invece di decidere passò il cerino alla giunta per il regolamento che a maggioranza optò per il voto palese, chiarendo che i senatori erano chiamati a un atto dovuto e nulla più. Così, forzando la prassi, l'aula decise la cacciata di Berlusconi a scrutinio palese, infischiandosene di tutte le questioni che avevo sollevato: dalla retroattività del decreto alla richiesta di chiarimenti alla Corte europea».
Come mai l'ex ministro parla oggi? Chissà, anche se all'orizzonte c'è un referendum proprio su quella legge. «La norma - aggiunge lei - ha dato al Parlamento un pieno potere di valutazione» di cui però fino ad oggi il Parlamento non aveva consapevolezza. E questo «ha consentito - è la conclusione - di escludere la decadenza del senatore Minzolini», oggi direttore del Giornale, «diversamente da quanto era accaduto con Berlusconi». Qui, di nuovo, qualcosa non quadra perché l'espulsione di Minzolini, a voto ancora una volta palese, fu bocciata per la rivolta dei garantisti del Pd. La lettura corretta della Severino arriva solo ora. Stefano Zurlo
Quel duello tra Cav e supremi giudici durato trent'anni. Luca Fazzo il 9 Febbraio 2022 su Il Giornale.
«Un organo politico». «Ci sono undici membri di sinistra». «Se una legge non piace alla sinistra viene impugnata da un pm di sinistra e portata avanti alla Corte Costituzionale che inderogabilmente la abroga». Una cosa è certa: se Silvio Berlusconi leggerà i passaggi che il nuovo libro della coppia Palamara-Sallusti dedica alla vicenda del lodo Alfano, cancellato dalla Consulta nel 2009, non resterà stupito. Anzi: potrà dire «io l'avevo detto». Perché sono quasi trent'anni che il duello tra il Cavaliere e i giudici di piazza del Quirinale si popola di scontri frontali, che si risolvono quasi sempre nella sconfitta del primo. Il quale ha da tempo maturato la convinzione che lì, tra gli stucchi e gli ermellini, si nascondano alla fine i più potenti dei suoi avversari.
Eppure non era cominciata male: un giovane Berlusconi nel 1988 plaudeva («viva soddisfazione») alla sentenza che, tra mille cautele, aveva sdoganato le tv locali, aprendo la strada alla nascita del suo impero. Ma erano altri tempi, e soprattutto non era ancora iniziata l'epoca del Berlusconi politico. Nel '94 cambia tutto. E il Cav deve rendersi conto in fretta che nessuna maggioranza parlamentare, neanche la più ampia, gli risparmierà di fare i conti con la Consulta. Da lì iniziano i guai. Perché a sbattere contro il muro della Corte vanno una dopo l'altra non solo le leggi che girotondi e magistrati democratici catalogano come «leggi ad personam» ma anche norme che fanno parte del percorso ordinario di un governo. Sotto la tagliola finiscono uno dopo l'altro i provvedimenti del «pacchetto sicurezza» con cui il terzo governo Berlusconi aveva risposto all'emergenza criminalità. Nel 2005, caso più unico che raro, la Consulta cassa la legge finanziaria di Tremonti, colpevole di tagliare i fondi alle Regioni.
Ma a guastare i rapporti in modo irrimediabile è il trattamento riservato alle riforme che puntano a depotenziare i pm: nel 2004 viene cancellato il lodo Schifani, che proteggeva le alte cariche istituzionali dagli attacchi delle Procure. Nel 2009 stessa sorte al lodo Alfano. Nel pieno del caso Ruby, la Consulta dà torto persino alla Camera dei deputati che rivendicava per il processo la competenza del tribunale dei ministri.
Dietro ogni botta, in questi anni Berlusconi ha intravisto la lunga ombra del complotto che - dalle Procure fino alla presidenza della Repubblica - userebbe la Consulta per fare dell'Italia un paese a democrazia limitata. Fu così anche nell'occasione più macroscopica, l'azzeramento nel 2007 della «legge Pecorella», la norma che impediva alle Procure di impugnare le sentenze di assoluzione. Era una conquista di civiltà, che oggi viene invocata dall'intero mondo dei penalisti, e che persino la commissione nominata dalla ministra Cartabia (ex giudice costituzionale, peraltro) aveva inserito nel suo piano di riforme prima di essere stoppata dal «partito dei pm». Ma allora l'innovazione venne liquidata come una sorta di ignobile scudo offerto dal Parlamento al premier-imputato. Per Berlusconi il top fu venire a sapere che l'autore della sentenza era il giudice Giovanni Maria Flick: che era ed è un grande giurista, ma era stato ministro della Giustizia nel governo di Romano Prodi, ed era stato il primo giudice costituzionale nominato da Carlo Azeglio Ciampi, che era approdato al Quirinale dopo essere stato anche lui ministro nei governi di Prodi e di Massimo D'Alema. Per il Cavaliere, il messaggio diceva che il cerchio si era chiuso.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
De Pasquale, il magistrato testa d'ariete che lanciò l'assalto al premier forzista. Luca Fazzo il 9 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Fu lui a far ricorso alla Consulta e far partire l'attacco concentrico. Colleghi, giornali, intellettuali: tutti contro lo "scudo" parlamentare.
Ora che la sua carriera rischia di naufragare tra procedimenti disciplinari e rinvii a giudizio, almeno due pregi vanno riconosciuti - a mo' di onore delle armi - al dottor Fabio De Pasquale. Il primo è di essere dotato di una onestà personale al di sopra di ogni sospetto: tale che anche l'insinuazione che alcuni figuri del «caso Eni» gli riservano in una intercettazione è stata universalmente liquidata come fango. Il secondo è di essere mosso da una buona fede altrettanto granitica. Ogni qualvolta De Pasquale è partito all'attacco, a spingerlo c'era - insieme all'ambizione professionale, al furore agonistico, forse a una umanissima vanità - anche una cristallina convinzione di essere dalla parte del giusto. I potenti che finivano nel suo mirino, da Gabriele Cagliari a Silvio Berlusconi ai top manager dell'Eni, hanno di volta in volta incarnato per lui una sorta di male assoluto.
Poi però c'è il resto, che di questa tetragona convinzione di essere nel giusto, della totale (e un po' inquietante) assenza di dubbi è a suo modo figlia. L'episodio su cui si concentra il passaggio dedicato in Lobby&logge al baffuto pm messinese è un buon esempio di questo approccio muscolare al processo penale. Quando De Pasquale si rende conto che il «lodo Alfano» rischia di essere l'iceberg contro cui va a sbattere il processo per frode fiscale al Cavaliere, impugna l'arma del ricorso alla Corte Costituzionale. Certo, lo fa perché è intimamente convinto della illegittimità della norma. Ma anche perché è consapevole che ad affossare il lodo è pronta a intervenire una moltitudine di soggetti diversi, dai giornali liberal ai giuristi democratici, e che nella Consulta ci sono orecchie pronte ad ascoltare le ragioni degli indignati. «Depa», come lo chiamano in Procura, sa che la battaglia è vinta in partenza. E che la Consulta gli aprirà la strada per portare fino in fondo il processo all'odiato Cav. Risultato raggiunto: il 25 ottobre 2012, in un'aula stipata all'inverosimile, arriva la condanna di Berlusconi a quattro anni di carcere.
Da lì in poi, tutto cambia. De Pasquale diventa per un pezzo d'Italia, anche più di quanto lui stesso lo desideri, un simbolo della lotta al Cav. L'autostima che già era solida, e ai tempi di Mani Pulite lo portò a rifiutare l'arruolamento come ragazzo di bottega del pool, dalla vittoria del processo a Berlusconi si rafforza ulteriormente. Si apre la caccia a un obiettivo più alto. Ma cosa c'è di più alto di un premier? Risposta ovvia: l'Eni, il colosso fondato da Mattei, uno Stato nello Stato che in giro nel mondo conta più della Farnesina e di Palazzo Chigi. E che però, nelle carte di De Pasquale, rastrella petrolio corrompendo a destra e manca: Algeria, Congo, Nigeria, Kazakistan. Per «Depa» è la battaglia finale, quella che dalle storielle colorite di film strapagati del processo al Cav, lo catapulta nel mondo della finanza internazionale, dei ministri, delle multinazionali. Riesce a farsi creare un dipartimento su misura.
E a quel punto, dicono ora le accuse della Procura di Brescia, perde il senso di ciò che si può e non si può fare.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
(ANSA il 19 gennaio 2022) - Giovanna Rigato, una delle giovani ex ospiti alle serate di Arcore e imputata anche a Monza per un tentativo di estorsione ai danni di Silvio Berlusconi da un milione di euro, si presentò nella "primavera del 2017" davanti a villa San Martino con un "foglio" in cui "c'era scritto che entro 7 giorni il presidente avrebbe dovuto versarle una somma di denaro, un milione di euro, su un conto in Inghilterra, altrimenti disse lei 'ognuno si assume la sua responsabilità'".
Lo ha raccontato, testimoniando nel processo sul caso Ruby ter a carico del leader di FI e altre 28 persone, tra cui molte cosiddette 'olgettine', Roberto Sileno, ex coordinatore, ora in pensione, del servizio di vigilanza della residenza ad Arcore, il primo teste della difesa dell'ex premier, convocato in aula dall'avvocato Federico Cecconi.
Il teste ha letto anche parte del biglietto che Rigato cercò di consegnare all'ex premier nel quale era scritto che aveva "urgenza di parlare col Presidente" per quel "pagamento da un milione", 'spalmato' su "7 anni", e nel quale erano indicate anche le scadenze e le coordinate bancarie.
Sileno ha spiegato che in quegli anni "le ragazze chiedevano di essere ricevute quasi tutti i giorni, ma noi dicevamo che non ci si può presentare così, questo non è l'iter, bisogna prendere appuntamento con la segreteria. Ma era difficoltoso, erano verbalmente aggressive, eccedevano, insistevano".
Il 'pressing' sul Cavaliere per richieste di denaro da parte delle giovani, poi finite imputate per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari, era già emerso dagli atti dell'inchiesta. "Dicevamo il presidente non c'è, è a Roma, vada da Spinelli (il ragioniere di fiducia, ndr) - ha aggiunto l'ex guardia - cercavamo le giustificazioni più disparate per liberarcene, erano insistenti, non erano persone con cui si poteva parlare".
Rigato, oltre che nel Ruby ter, è imputata anche a Monza per tentata estorsione in un processo in corso nel quale Berlusconi è parte civile, dopo aver denunciato il presunto ricatto.
"Si è presentata una domenica pomeriggio nella primavera 2017 - ha detto l'ex capo delle guardie di villa San Martino - 'il presidente non c'è' le abbiamo detto, uscivamo sempre quando c'erano queste ragazze, non le facevamo avvicinare al cancello". E' arrivata "con una persona di 45 anni, non italiano - ha aggiunto - mi ha detto 'ho un foglio e devo darlo al presidente' e io le ho detto che lui non c'era e l'ho preso io e l'ho letto".
Nel biglietto c'era scritto che "entro 7 giorni doveva essere fatta questa operazione, altrimenti 'ognuno si assume le sue responsabilità' e poi dopo una settimana, 10 giorni, fui chiamato da uno studio legale per rilasciare dichiarazioni su questo".
Berlusconi, infatti, denunciò l'accaduto. Nella sua deposizione l'ex capo (fino all'autunno 2017) delle guardie della residenza del leader di FI ha spiegato che molte "persone in difficoltà", soprattutto economica, si presentavano fuori dalla villa e ha ricordato anche "la più particolare delle situazioni: un imprenditore sardo che ha cercato di darsi fuoco davanti alla residenza".
Il "presidente", ha spiegato il teste, "indirettamente si interessò" del caso, "la sua assistente riuscì ad avere il numero della famiglia, disse alla moglie che qualsiasi bisogno avesse poteva contare sul presidente, ma le ha detto di non divulgare la cosa, perché Berlusconi è una persona generosa, ma non voleva che altri compissero gesti simili, se in difficoltà".
Il leader di FI "si è preso a cuore questa persona e l'ha aiutata a livello imprenditoriale con suggerimenti e con un aiuto economico e poi ho visto quest'uomo con la famiglia a Villa Certosa dopo un anno e mezzo, quando lui e la famiglia sono venuti a ringraziare il presidente". Per oggi erano stati convocati dalla difesa dell'ex premier otto testimoni, ma se ne è presentato solo uno, perché gli altri (tra cui alcune ragazze che hanno frequentato Arcore) hanno presentato vari impedimenti, pure legati al Covid, come quarantene e malattie.
(ANSA il 20 gennaio 2022) - "L'unico dato probatorio rappresentato dall'esistenza di plurime elargizioni di denaro da parte di Silvio Berlusconi in favore di Danilo Mariani non è affatto dotato della forza probatoria che pure gli viene conferita e riconosciuta dal pubblico ministero", ovvero che l'impegno del primo a pagare il secondo sarebbe stato il corrispettivo perchè Mariani rendesse falsa testimonianza.
Così i giudici di Siena nella motivazione della sentenza con cui il 21 ottobre Berlusconi e l'ex pianista di Arcore Danilo Mariani sono stati assolti perchè il fatto non sussiste dall'accusa di corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter a Siena.
(ANSA il 28 giugno 2022) - Le "dazioni corruttive maggiori" andavano a chi era "a conoscenza di più cose, e/o delle cose più gravi", come Karima El Mahroug e Iris Berardi "minorenni all'inizio della loro frequentazione con Berlusconi", o Barbara Guerra che tutto sapeva "della Berardi in ragione del loro rapporto" e ancora Alessandra Sorcinelli, che sapeva "tutto quello che sa la Guerra", e Marysthell Polanco che diceva di sapere "più di tutte".
Lo scrivono l'aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio in una delle memorie depositate a supporto delle loro richieste di condanna, formulate in aula il 25 maggio, per Silvio Berlusconi a 6 anni di reclusione e per altri 27 imputati per il caso Ruby ter.
Quattro memorie, di cui due in particolare che ripercorrono gli esiti delle indagini e quanto sostenuto dai pm in aula, sono state depositate ai giudici della settima penale di Milano in vista dell'udienza di domani in cui inizieranno a parlare le prime difese (quella del leader di FI interverrà a settembre).
I pm, tra l'altro, negli atti depositati puntano a dimostrare che "l'esecuzione del programma corruttivo", ossia il presunto accordo tra il Cavaliere e le giovani ex ospiti alle serate hard di Arcore, "era già in atto alla data del 14 gennaio 2011, quando venivano rinvenuti i verbali di sommarie informazioni difensive" nel corso di perquisizioni alle ragazze.
Verbali "falsi", secondo gli inquirenti, e con la versione delle 'cene eleganti'. Dunque, "il programma corruttivo era in atto a gennaio 2011", ben prima di quando nell'autunno seguente le ragazze assunsero la veste di testimoni nei processi sul caso Ruby. E fu Berlusconi, per i pm, a prendere "l'iniziativa della riunione con gli avvocati Ghedini e Longo" e le giovani a Villa San Martino, sempre del 14 gennaio di 11 anni fa.
Da corriere.it il 30 marzo 2022.
«Non ho mai ricevuto soldi da Berlusconi o da Ruby che ho mantenuto io durante la nostra relazione». Luca Risso, ex compagno di Karima El Mahroug (Ruby rubacuori, ndr), imputato per corruzione, ha deciso di fare dichiarazioni spontanee nel processo su Ruby ter.
Per la Procura Risso avrebbe aiutato la compagna a investire in Messico parte del denaro versato da Silvio Berlusconi in cambio del suo silenzio sulle serata ad Arcore.
In Messico
«Mi sono trasferito in Messico nell’ottobre del 2013 perché ho avuto un danno di immagine, la mia immagine era distrutta» dallo scandalo del Rubygate. L’ho fatto con i soldi guadagnati in 25 anni di attività nei locali della mia città e nella Riviera ligure, l’ho deciso dopo tutto il clamore dovuto a questo caso: lavoravo con la mia immagine e il processo ha distrutto la mia immagine», spiega l’uomo che è proprietario di due ristorante e di un pastificio a Playa del Carmen ed è socio di altri due ristoranti. All’estero Risso si è rifatto una vita: ha una nuova compagna e due figli di 2 e 5 anni.
La discoteca Albikokka e l’ex tesoriere leghista Belsito
Dopo aver preso in gestione per sei mesi la discoteca Albikokka di Genova, dove si era esibita anche Ruby, a fine 2012 Luca Risso ha ceduto le sue quote «a Francesco Belsito, l’ex tesoriere della Lega, per 70 mila euro e alla mamma di lui».
L’ex compagno di Karima ha ricordando di aver lavorato a lungo alle Piscine dei Castelli e allo Scooner a Sestri Levante, al Covo di Nord Est a Santa Margherita Ligure, di cui era comproprietario, infine all’Albikokka di Genova, prima di trasferirsi in Messico nel 2013.
«Periodo di grande difficoltà economica»
Prima di inaugurare il ristorante a Playa del Carmen e il pastificio, Risso ha ammesso di aver attraversato «un periodo di grandi difficoltà economiche» e, commuovendosi, ha detto di aver meditato ad un certo momento «di tornare in Italia» e abbandonare il progetto di trasferirsi in Messico.
Poi con l’ingresso in società di Matteo Bosio, titolare di un pastificio a Genova, Risso ha detto di essere riuscito ad inaugurare ristorante e pastificio «nel dicembre del 2014 e da lì le cose sono iniziate ad andare bene».
Adesso gestisce due locali a Playa del Carmen, uno a Tulum e uno a Puerto Aventura in Messico. Con le sue dichiarazioni spontanee si è chiusa la fare istruttoria del processo. Si tornerà in aula il prossimo 18 maggio con la requisitoria del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio.
Il legale di Berlusconi: «Sono fiducioso che sarà assolto»
«È un processo con delle contestazioni articolate e delicate, ma noi riteniamo che ci siano tutti gli elementi per uscire da questo processo con una sentenza come quella di Siena, ossia un’assoluzione con la formula più ampia possibile. Punto e basta».
Lo ha spiegato, al termine dell’udienza, il legale di Silvio Berlusconi, l’avvocato Federico Cecconi parlando coi cronisti e ribadendo che è «fiducioso» e convinto che l’ex premier sarà assolto nel merito a Milano, come è già accaduto in un filone processuale a Siena.
Anche dal dibattimento milanese che si è concluso oggi dopo 5 anni la difesa è convinta che sia emersa la generosità di Berlusconi, che ha versato i soldi alle «ex olgettine», ospiti delle serate ad Arcore, come «liberalità» e non per comprare il loro silenzio o reticenza, come sostiene l’accusa. Soldi che Berlusconi ha versato alle giovani come ad altri nel tempo «piuttosto per rapporti di amicizia e di affetto con le varie persone coinvolte».
I difensori delle ragazze: "Interrogatori da annullare". Luca Fazzo il 14 Luglio 2022 su Il Giornale.
Nessuna corruzione, nessuna mazzetta per mentire ai magistrati del caso Ruby
Nessuna corruzione, nessuna mazzetta per mentire ai magistrati del caso Ruby: gli aiuti economici di Silvio Berlusconi a Ioana Amarghioalei iniziarono già nel 2009, quando l'inchiesta sulle «cene eleganti» nella villa del Cavaliere era ancora di là da venire. Quei soldi, dice ieri in aula il difensore della giovane, Alberto Borbon, erano l'aiuto di Berlusconi a Ioana per finire la Bocconi, dopo che la ragazza aveva perso il padre e non poteva più permettersi le rette universitarie. Dopo l'esplosione del caso Ruby, ha aggiunto il legale, gli aiuti sono diventati più consistenti visto che le ragazze «dopo essere state travolte dalla bufera mediatica della vicenda si sono trovate senza lavoro e in indubbie difficoltà economiche». L
È un tema ricorrente, in queste arringhe conclusive del processo «Ruby ter» che vede l'ex premier accusato di corruzione giudiziaria: in molti casi i versamenti in denaro di Berlusconi alle giovani e ad altri imputati iniziano ben prima del caso Ruby, e metterli in relazione con le bugie che le stesse avrebbero messo a verbale, interrogate come testimoni, non ha senso logico.
L'intervento dell'avvocato Borbon, che difende anche Elisa Toti, ha anche preso di mira quello che alla fine potrebbe diventare lo snodo centrale del processo. Negli interrogatori cui sono state sottoposte dalla Procura milanese, le ospiti delle cene a Villa San Martino si sono viste rivolgere domande crude e imbarazzanti, da parte di pm che non nascondevano di considerarle praticamente delle prostitute. Peccato, ha ricordato il difensore delle due donne, che esista un articolo del codice di procedura penale che esclude la punibilità di chi mente per evitare «un grave nocumento nell'onore». Quand'anche le teorie della Procura milanese sulle serate di Arcore fossero state esatte, non era dalle dirette interessante che i pm potevano pretendere le conferme che cercavano.
Alla prossima udienza, il 20 luglio, parleranno i difensori di altre ragazze, poi il processo verrà rinviato all'autunno quando - tra il 21 settembre e il 17 ottobre - si annunciano i piatti forti: le arringhe dei difensori di Kharima el Mahroug e di Berlusconi. Subito dopo, la sentenza.
Ruby Ter, l'ex compagno Luca Risso: "Mai ricevuto soldi da lei o da Silvio Berlusconi. Karima mi chiese una buonuscita". La Repubblica il 30 Marzo 2022.
Dichiarazioni spontanee al processo milanese dell'uomo che, ai tempi dello scandalo delle Olgettine, era fidanzato con la ragazza. E' accusato di riciclaggio.
"Per prima cosa voglio negare in modo più assoluto i fatti contestati, io non ho mai ricevuto soldi né dal dottor Berlusconi né da Karima, nella mia relazione di tre anni con Karima ho provveduto io a mantenerla, anche se lei ha avuto buone entrate dalla sua attività". Così si è difeso, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo milanese sul caso Ruby ter, Luca Risso, ex fidanzato di Karima El Mahroug.
Risso, accusato di riciclaggio, ha anche chiarito che nel progetto del ristorante con pastificio in Messico a Playa del Carmen, dove lui attualmente vive e lavora, inizialmente fu coinvolta anche lei ma poi la loro relazione finì. Risso è accusato nel processo, che vede tra gli imputati Berlusconi e altre 28 persone, di aver riciclato parte dei soldi che l'ex premier avrebbe fatto avere a Ruby come presunta corruzione in atti giudiziari (tra i 5 e i 7 milioni di euro per la giovane, secondo i pm). Parte di quel denaro del Cavaliere, secondo i pm, sarebbe servito per l'acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen.
"Tutte le disponibilità economiche che avevo - ha chiarito Risso spiegando quegli investimenti in Messico - le ho guadagnate nella mia attività coi locali sulla riviera ligure, siamo stati il top della riviera per 7 anni almeno". Locali come il Fellini e l'Albikokka. Il "mio trasferimento in Messico nel 2013", stando alle dichiarazioni di Risso che si è anche commosso, è avvenuto "coi soldi della mia attività che ho svolto a Genova e nella riviera ligure, ho deciso di trasferirmi nell'ottobre 2013 perché c'era stato tutto il clamore dovuto a questo caso e io ho sempre lavorato sulla mia immagine e quindi tutto ciò che era successo non mi permetteva più di seguire le mie attività".
Nel "giugno 2013 sono stato là con lei", ha detto ancora riferendosi a Ruby e al Messico, "perché inizialmente il progetto che io avevo era familiare, subito dopo abbiamo formato una società io, Karima, una ragazza messicana che ci serviva per le licenze e uno chef italiano e in ottobre io mi sono trasferito da solo in Messico e la nostra relazione era già abbastanza compromessa". Il ristorante e il pastificio hanno aperto a fine 2013. "Sono sempre stato - ha concluso - un visionario io e ho capito che poteva avere un buon impatto, con Ruby era finita, non era più quello che volevo ed è diventato solo un mio progetto".
Ruby Ter, l'ex compagno Luca Risso: "Nel 2014 mi chiese 160mila euro per sé e per la bambina"
"Ruby mi ha chiesto una buonuscita da 160mila euro, 100mila per lei e 500 euro al mese per la bimba per 10 anni. L'ho scritto su un pezzo di carta che è quello che hanno trovato a Ruby perché lei lo ha conservato". Una presunta concessione in cambio delle quote di Karima nella società messicana aperta con altre persone. La richiesta di denaro risale al marzo 2014 quando "è venuta in Messico senza dirmi niente. Era un tentativo di riappacificarci, ma non eravamo compatibili. Ha dato in escandescenze, ha rotto la tv e i vicini hanno chiamato la polizia", racconta l'uomo oggi socio di quattro ristoranti in Messico e padre di altri due figli avuto con la nuova compagna. Nelle sue dichiarazioni ha ricostruito le difficoltà di ripartire da zero lontano da Genova e ha anche spiegato una lettera indirizzata a Berlusconi e finita negli atti dell'inchiesta che vede 29 imputati, tra cui il leader di Forza Italia. "La lettera 'caro presidente' è stata scritta da mio papà, diciamo che è stato frutto di una ricostruzione fantasiosa: ci sono evidenti imprecisioni e incongruenze", conclude l'ex compagno di Ruby.
Ruby Ter, il legale di Berlusconi: "Fiducia nell'assoluzione"
"E' un processo con delle contestazioni articolate e delicate, ma noi riteniamo che ci siano tutti gli elementi per uscire da questo processo con una sentenza come quella di Siena, ossia un'assoluzione con la formula più ampia possibile. Punto e basta". Lo ha spiegato, al termine dell'udienza odierna sul caso Ruby ter, il legale di Silvio Berlusconi, l'avvocato Federico Cecconi. Anche dal dibattimento milanese che si è concluso oggi dopo 5 anni (niente più testi ma requisitoria dei pm il 18 maggio) la difesa è convinta che sia emersa la generosità di Berlusconi, che ha versato i soldi alle 'ex olgettine', ospiti delle serate ad Arcore, come "liberalità" e non per comprare il loro silenzio o reticenza, come sostiene l'accusa. Soldi che Berlusconi ha versato alle giovane come ad altri nel tempo "piuttosto per rapporti di amicizia e di affetto con le varie persone coinvolte".
Ruby, un punto per la difesa. "Mai avuto soldi da Berlusconi". Luca Fazzo il 31 Marzo 2022 su Il Giornale.
L'ex fidanzato della ragazza scagiona il Cavaliere. Il legale: "Ci sono gli elementi per una assoluzione".
A quasi sei anni di distanza dal rinvio a giudizio, e dopo un numero incalcolabile di inciampi, si avvia alla conclusione il processo «Ruby ter» che vede Silvio Berlusconi imputato di corruzione in atti giudiziari. E nell'ultima udienza prima che la Procura pronunci la sua requisitoria arriva una deposizione che contribuisce a far sì che il difensore del Cavaliere, Federico Cecconi, mostri ottimismo sull'esito finale del processo-fiume. «Ci sono le condizioni - dice il legale - perchè Berlusconi venga assolto».
Accade che a prendere la parola per ultimo sia Luca Risso, già fidanzato di Kharima el Mahroug alias Ruby, anche lui accusato di corruzione - come la sua ex e come una serie di giovani ospiti delle feste ad Arcore - per avere mentito quando venne chiamato a testimoniare nei primi processi: come quando disse di avere letto effettivamente sul passaporto di Ruby il nome «Mubarak». Secondo l'inchiesta della Procura, avviata dopo la assoluzione di Berlusconi nel processo principale per prostituzione minorile, Risso sarebbe stato ricompensato per questa dichiarazione spartendo con la sua ragazza centinaia di migliaia di euro, utilizzati in buona parte per l'apertura di un pastificio in Messico.
Il comportamento processuale di Risso, soprattutto dopo la rottura della relazione con Ruby, è sempre stato un po' ondivago, tanto che la Procura ha sperato che - come alcune delle giovani imputate - dall'imprenditore arrivasse qualche ammissione. Invece ieri Risso si presenta in aula davanti al tribunale presieduto dal giudice Marco Tremolada, e si difende negando qualunque accordo sottobanco con il leader di Forza Italia. «Voglio negare - dice - i fatti contestati: non ho mai ricevuto soldi da Berlusconi o da Ruby». L'uomo ha dato una versione dei suoi rapporti con Kharima el Mahroug opposta a quella circolata negli anni scorsi, secondo cui buona parte degli averi della giovane sarebbero approdati nelle sue disponibilità: «Sono io che la mantenevo durante la nostra relazione», ha detto. I fondi utilizzati per creare il locale a Playa del Carmen, inaugurato nel 2013, «erano i risparmi della mia attività, venticinque anni nel top dei locali della riviera ligure». Dopo la fine della storia d'amore Risso sostiene di avere liquidato a Ruby la sua quota dell'azienda messicana e di essersi rifatto una vita con una nuova compagna da cui ha avuto due bambini.
Bisognerà aspettare più di un mese e mezzo per capire se e quanto le dichiarazioni di Risso abbiano fatto breccia nelle convinzioni della Procura. I pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno prenotato due udienze, il 18 e il 25 maggio, per la loro requisitoria, che si annuncia lunga e complessa. A rendere ostico il compito della Procura ci sono alcuni dati oggettivi. Innanzitutto il lungo tempo trascorso, che sta per coprire con la prescrizione il ruolo di tutti gli imputati accusati solo di falsa testimonianza, come la senatrice Maria Rosaria Rossi e il giornalista Carlo Rossella. La prescrizione dell'accusa più grave, la corruzione in atti giudiziari, è lontana: ma il tribunale ha già manifestato una serie di dubbi sulla correttezza delle modalità con cui Risso, Ruby e le Olgettine vennero interrogati durante i processi senza iscriverli nel registro degli indagati. Questioni giuridiche a parte, la difesa di Berlusconi punta all'assoluzione piena come già accaduto nel processo gemello a Siena: i soldi vennero versati alla luce del sole, e non avevano nulla a che fare con le testimonianze rese in aula.
"Non c'è stata corruzione". La sentenza che scagiona il Cav. Luca Fazzo il 22 Gennaio 2022 su Il Giornale. Le motivazioni dell'assoluzione a Siena per il Ruby ter stroncano l'accusa: "Bonifici al pianista da sempre".
Quando i pubblici ministeri del caso Ruby mandarono la polizia a fotocopiare i conti correnti di Silvio Berlusconi sarebbe bastato che se li facessero consegnare tutti. Non solo gli estratti dal 2011 al 2014, gli anni caldi delle inchieste sul «bunga bunga», ma anche quelli prima e quelli dopo. Avrebbero scoperto che Danilo Mariani, il pianista delle serate di Arcore, aveva ricevuto soldi dal Cavaliere, e per cifre ben più rilevanti, ben da prima che iniziassero le indagini e i processi. Mettere quindi in relazione una parte dei versamenti con la testimonianza resa da Mariani nei vari processi Ruby non aveva alcuna base di prove.
É questo il ragionamento con cui il tribunale di Siena, motiva ieri l'assoluzione del 21 ottobre scorso di Berlusconi e di Mariani dall'accusa di corruzione in atti giudiziari. É il primo dei filoni dell'inesauribile «Ruby ter» arrivato a sentenza. Il pm aveva chiesto la condanna a quattro anni di carcere. I giudici ieri scrivono che «dell'esistenza di un accordo corruttivo tra gli imputati non vi sono prove dirette di alcun tipo e genere».
«Da nessuna - aggiungono - delle migliaia di conversazioni telefoniche acquisite in atti può trarsi la benché minima traccia, ovvero il più labile segno, dell'esistenza di un simile pactum sceleris tra i due imputati». E ancora: «Nessuno dei testimoni ha mai fatto cenno o riferimento alcuno all'esistenza degli accordi corruttivi descritti nell'imputazione».
Contro il Cavaliere e il suo pianista, insomma, c'erano solo quei bonifici bancari che i pm consideravano il prezzo del silenzio. Ma il tribunale ha analizzato a fondo tutti gli estratti conto. Conclusione «è incontrovertibilmente emerso come le elargizioni di natura economica corrisposte da Berlusconi in favore di Mariani avessero avuto inizio ben quattro anni prima, avessero avuto cadenza costante nel tempo e come fossero ancor più voluminose rispetto a quelle oggetto di accertamento». Tra il 2006 e il 2009, un totale di 282mila euro, con diverse causali. E il caso Ruby era ancora di là da venire.
Il bonifico che per i pm milanesi segna l'inizio dei pagamenti per le bugie dette in aula da Mariani sono 3mila euro, 24 novembre 2011. Ma il tribunale «non può non rilevare» che bonifici del medesimo importo, sempre il 24 del mese, erano stati fatti immancabilmente dal gennaio 2008. Uno stipendio, insomma, divenuto nelle tesi della Procura la prova di un reato gravissimo.
Morale: il tribunale ritiene che «l'ipotesi accusatoria non possa essere accettata come vera», perché l'accordo tra Berlusconi e Mariani di pagamenti in contanti in cambio di bugie sotto giuramento «non ha affatto trovato conforto e sostegno in una pluralità di dati probatori»; e «l'unico dato probatorio rappresentato dall'esistenza di plurime elargizioni di denaro non è affatto dotato della forza probante che gli viene conferita dal pubblico ministero». Fine.
Certo, nel frattempo Mariani è stato processato a parte e condannato per falsa testimonianza, per avere negato di avere assistito a episodi «a valenza sessuale» durante le serate a Villa San Martino. Ma «anche là dove si assuma, come in effetti ritenuto dal Tribunale, che Mariani abbia deposto il falso» esiste una «ipotesi alternativa che non appare in alcun modo superabile sulla scorta dei dati probatori acquisiti»: che lo abbia fatto «non perché così tenuto a fare in esecuzione di un patto corruttivo bensì in ragione del legame professionale e amicale che lo legava da tempo a Berlusconi».
Nel frattempo sono passati nove anni, e anche la falsa testimonianza è prescritta.
Luca Fazzo (Milano, 1959) si occupa di cronaca giudiziaria dalla fine degli anni Ottanta. È al Giornale dal 2007. Su Twitter è Fazzus.
Da Radio Maria e Marta Fascina e Marco Columbro: cosa spunta dai bonifici milionari di Silvio Berlusconi. Il Tempo il 02 marzo 2022.
L’elenco di persone che ha ricevuto prestiti e regali da Silvio Berlusconi riempie più pagine e più colonne della relazione di Andrea Perini, professore di diritto penale e consulente dell’ex premier imputato a Milano nel processo Ruby ter insieme ad altre 28 persone, accusate a vario titolo di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
Scorrendo l’elenco c’è Radio Maria Associazione a cui risultano versati 20mila euro, ben 80mila euro a due parrocchie, 450mila euro alla Fondazione Bettino Craxi. Tra chi riceve denaro c’è anche Marta Fascina, l’attuale compagna di Berlusconi, che in tre anni riceve complessivamente 24.500 euro: 12.500 nel 2013, 7mila euro nel 2014 e 5mila euro nel 2016. In undici anni Berlusconi ha elargito prestiti e donazioni per 18,5 milioni di euro, di cui circa 4,1 milioni alle imputate del processo Ruby ter e 8 milioni ad altre persone, oltre ai quasi 5,5 milioni a enti politici, fondazioni e associazione.
In undici anni Silvio Berlusconi ha fatto bonifici e regali per 18,5 milioni di euro, di cui circa 4,1 milioni alle imputate del processo Ruby ter, 8 milioni ad altre persone e quasi 5,5 milioni a enti politici, fondazioni o associazione. È quanto emerge dalla testimonianza di Perini. L’esperto, già consulente tecnico in altri processi con al centro il leader di Forza Italia, ha analizzato i conti bancari di Berlusconi dal gennaio 2006 al dicembre 2016, elencando i singoli bonifici come quello «da tre milioni di euro» elargito nel 2008 all’infermiera che ha assistito l’anziana madre, una somma che dimostra «la misura della generosità di Silvio Berlusconi» e che va aggiunta alle «varie uscite verso enti di beneficenza, fondazioni, una suora, una parrocchia o l’Associazione nazionale Circolo della libertà». Le entrate sui conti correnti esaminati sono «oltre 2,5 miliardi in undici anni provenienti in gran parte da dividenti delle diverse holding» e per l’esperto la generosità ’in uscità è pressoché la stessa nel corso degli anni e non fa differenza tra imputate - che ricevono denaro in gran parte sotto forma di «prestito infruttifero o liberalità» - e persone non coinvolte nel processo, anzi a leggere i numeri sembra essere meno generoso con le ragazze che hanno preso parte alle serate di Arcore.
Tra chi ha beneficiato della bontà di Berlusconi ci sono anche ricorda il consulente «Marco Columbro che riceve un milione o Alberto Torregiani (figlio del gioielliere ucciso negli anni di Piombo e rimasto ferito nell’agguato, ndr) che ha ricevuto un bonifico da 30mila euro».
(ANSA il 2 marzo 2022) - Tre milioni di euro versati da Silvio Berlusconi nel 2008 all'infermiera che si prese cura della madre dell'ex premier, morta a febbraio di quell'anno.
E' questa la cifra più alta bonificata ad una persona da uno dei conti del Cavaliere, tra il gennaio 2006 e il dicembre 2016, stando alle analisi effettuate dal consulente della difesa dell'ex presidente del Consiglio, il professore e commercialista Andrea Perini, sentito oggi come teste nel processo sul caso Ruby ter.
Una consulenza, fatta di tabelle e grafici illustrati in aula, per mostrare, come spiegato dal consulente che ha risposto alle domande dell'avvocato Federico Cecconi, il "quadro di generale generosità" dell'ex premier.
E dunque Perini ha evidenziato che Berlusconi in quegli undici anni non solo ha versato come "liberalità" circa 4,1 milioni di euro alle ragazze che hanno preso parte alle serate di Arcore e ora sono imputate nel Ruby ter, ma anche circa 8,8 milioni di euro "a soggetti terzi", ossia altre persone, come "un milione di euro" che è andato al conduttore tv Marco Columbro.
O i "30mila euro bonificati" ad Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel '79 dai 'Pac' di Cesare Battisti. E ancora, sempre in quegli 11 anni, l'ex premier ha regalato anche circa 5,5 milioni ad "associazioni, enti, organismi politici, religiosi". Il consulente ha anche chiarito che i conti personali del leader di FI, e in particolare uno, hanno registrato movimenti in entrata, sempre tra il 2006 e il 2016, per un "ordine di grandezza di 2,5 miliardi di euro, entrate che gli vengono da varie società e holding".
Pietro De Leo per “Libero quotidiano” il 3 marzo 2022.
La generosità di Berlusconi. Ovvero, categoria del racconto pubblico di questi anni. Un po' tra leggenda ed accadimenti estemporanei. Il disoccupato che gli si avvicina a margine dell'evento pubblico e lui che poi lo fa ricontattare dalla segreteria per procedere ad un aiuto.
La coppia di anziani indietro con le bollette che gli scrive una lettera e, quasi per incantesimo, riceve poi un sostegno per andare avanti qualche tempo. È stato il fiume del berlusconismo tenero scorso nelle viscere di trent' anni di guerre puniche, il Cavaliere buono della realtà in riscossa sul Cavaliere nero dipinto dai nemici. Gesti piccoli o grandi spesso rimasti sotto la coltre della riservatezza. Ieri, però, una parte di questo racconto è riemersa.
Siamo nel processo Ruby Ter, strascico del romanzone giudiziario delle cene eleganti. Berlusconi è accusato, come noto, di aver agevolato attraverso elargizioni di danaro e regali di vario tipo testimonianze a lui favorevoli da alcune partecipanti alle sue serate. E invece è arrivata una relazione tecnica, dati alla mano, nel tentativo di provare l'effettiva liberalità di quei gesti. Per dimostrare che il leader di Forza Italia regali li fa un po' a tutti.
Questo, infatti, è il risultato di una ricostruzione, circa sessanta pagine con tanto di grafici e tabelle, elaborata da un commercialista, Andrea Perini, e che il professionista ha esposto ieri in Aula, su domande del difensore dell'ex premier, Federico Cecconi. In dieci anni, dal 2006 al 2016, sono stati donati o prestati a vario titolo 18,5 milioni di euro. Soldi in parte destinati sì alle imputate nel processo, ma anche ad una miriade di altre persone, enti, associazioni.
Ecco allora, per esempio, un bonifico di 30 mila euro ad Alberto Torregiani, la cui storia fa parte delle pagine più buie del nostro Paese. È il figlio adottivo di Pierluigi, gioielliere ucciso dai terroristi rossi dei Pac di Cesare Battisti a Milano in una spedizione nel suo negozio, nel lontano 1979. Alberto era presente, e fu colpito da un proiettile (partito dalla pistola del padre che sparò nel tentativo di difendersi) e rimase paraplegico.
Un milione di euro, poi, è andato a Marco Columbro, tra i volti-simbolo del pionerismo televisivo di Canale 5 la cui carriera di presentatore subì dei contraccolpi per un serio problema di salute. Poi ecco nel 2008, anno in cui venne a mancare la mamma di Berlusconi, tre milioni di euro donati all'infermiera che se ne prese cura. Cifra, questa, più alta di tutte.
Alcuni bonifici, per 24.500 euro totali, furono invece destinati alla sua attuale compagna, Marta Fascina, tra il 2013 e il 2016. E non mancano, poi, le mani tese ad alcune realtà associative ed enti pubblici. Dunque 20 mila euro in favore di "Radio Maria Associazione", o ancora 3mila euro al Comune di Arcore e 13 mila al Comune di Torino, servizio tesoreria. 80 mila euro invece vanno a due parrocchie, 450 mila euro alla Fondazione Bettino Craxi.
E alle ragazze imputate? Dei circa 4,1 milioni di euro destinati a loro, più o meno 3,1 milioni erano "prestiti infruttiferi" e "liberalità", mentre il resto è servito a pagare utilità come automobili oppure canoni di locazione. Peraltro, secondo il perito, nel periodo dal 2006 al 2011, perciò prima che le ragazze fossero coinvolte come testimoni nei processi Ruby, queste avrebbero ottenuto 1,9 milioni di dazioni.
Peraltro, il consulente ha sottolineato che anche altre donne hanno ricevuto delle risorse, pur non essendo coinvolte nel processo, tra cui la showgirl Carolina Marconi, che nell'udienza precedente aveva testimoniato, sottolineando la vicinanza di Berlusconi in un periodo difficile a livello familiare ed economico.
«Ci sono beneficiarie che non sono imputate e che hanno ricevuto bonifici periodici con cadenza mensile da 2mila a 3mila euro, così come le imputate», ha detto il commercialista. Sul processo, siamo alle battute finali. Il 16 marzo saranno ascoltati i testi di altre difese, mentre il 23 si svolgerà l'ultima udienza relativa ai testimoni e in seguito ci sarà la requisitoria.
Al di là dell'aspetto giudiziario, però, l'udienza di ieri ha fornito un altro spaccato della vita di Berlusconi, in una vicenda che ha segnato l'intreccio pieno tra dimensione pubblica e vita privata del leader.
Giuseppe Legato e Monica Serra per “la Stampa” il 14 aprile 2022.
Il primo bonifico è del 29 marzo 2012. Ne seguiranno altri 21 fino al 6 dicembre 2013. Tutti da 2500 euro e tutti cadenzati all'inizio del mese. L'ultimo cadeau è un versamento di 25 mila euro; transitano da un conto Monte dei Paschi di Siena, filiale di Segrate, a un altro di Intesa San Paolo in provincia di Torino. Ordinante: Silvio Berlusconi. Beneficiaria: Roberta Bonasia, già infermiera dell'AslTo5 di Moncalieri-Chieri, residente - ai tempi - a Nichelino, zona popolare.
Fino a quel giorno la conoscevano in pochi se non per una partecipazione a Miss Italia per cui l'amministrazione comunale dell'epoca si spese in prima persona con tanto di manifesti: «Votate la nostra concittadina».
Ma Roberta Bonasia già allora era entrata in un altro giro di frequentazioni che l'avevano portata ad Arcore insieme ad altre ragazze decise a introdursi a tutti i costi nel mondo dello spettacolo. Anche su di lei si è chiusa pochi giorni fa, davanti alla settima sezione penale del Tribunale di Milano (presidente Marco Tremolada), l'istruttoria dibattimentale del processo Ruby Ter, in cui la trentasettenne è imputata di corruzione in atti giudiziari in concorso con l'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E tutte le spese che il Cavaliere ha sostenuto in un frangente di due anni per la donna sono state raccontate in aula. Per il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio sarebbero «indebite corresponsioni per rendere e per aver reso false dichiarazioni» nei processi Ruby 1 e Ruby 2 «quale testimone al fine di favorire Emilio Fede, Dario Mora e Nicole Minetti nonché Berlusconi». E pensare che proprio Fede e Mora, nelle motivazioni della sentenza di condanna a 7 anni, l'avrebbero osteggiata con una vera e propria strategia (poi fallita) perché «era pericolosamente diventata la favorita di Berlusconi».
Il Cavaliere - secondo alcuni testimoni dei magistrati - l'avrebbe presentata alle cene come la sua fidanzata. La difesa, legale Stefano Tizzani, è tutta nella considerazione che quelle dazioni di denaro (compreso un appartamento nella Torre Velasca) fossero atti di generosità non certo finalizzati a far mentire Bonasia in aula. E c'è poi la questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni (anche dell'imputata) perché allora fu sentita come testimone ma su di lei, come su altre - sostengono i legali - erano già in corso indagini.
Quindi la formula avrebbe dovuto essere un'altra. E cioè indagata di reato connesso. E quell'ultimo maxi-assegno da 25 mila euro? La difesa lo colloca come ulteriore ultimo aiuto perché il clamore dell'inchiesta in corso avrebbe all'epoca interrotto l'ascesa in televisione della giovane. In ogni caso il prossimo 18 maggio si aprirà la requisitoria dei pm.
Negli atti fin qui maturati è emerso questo: in aula Bonasia ha affermato «di non avere avuto una relazione sentimentale con Berlusconi, né alcun rapporto sessuale; di non essere mai stata a dormire presso la sua abitazione di Arcore; di non avere percepito da lui denaro, tanto meno quale corrispettivo per prestazioni sessuali, mai verificatesi; solo a seguito di contestazioni del pm, Bonasia ammetteva di aver ricevuto denaro dall'uomo, ma non durante le cene». Per il giudice che si è già espresso su Mora e Fede «la teste giungeva a fornire versioni francamente non credibili, non verosimili e, anzi, risibili. Le affermazioni cozzano in maniera netta con il contenuto delle intercettazioni telefoniche».
Berlusconi e i soldi alle ragazze: dal Rubygate alla donna del mistero. GIOVANNI TIZIAN ED EMILIANO FITTIPALDI su Il Domani il 21 gennaio 2022.
Il silenzio dei protagonisti rende ancor più misteriosa una storia che ha in Silvio Berlusconi, autocandidato a nuovo presidente della Repubblica, l’attore principale. Al centro della vicenda, come rivelato da Domani, i 70 mila euro che l'ex premier ha versato in più tranche a una sconosciuta donna residente a Roma, Julinda Llupo.
Una ragazza nata nel 1987 a Tirana, in Albania, che con una sua società gestisce affittacamere nella capitale. Il motivo di questi versamenti mensili con causale «prestito» o «regalo» nel primo anno della pandemia e con il processo Ruby ter in corso non è dato saperlo. Anche perché Llupo riesce a ottenere anche un mutuo dalla banca partecipata dal Fininvest.
«Berlusconi è solo munifico», filtra dalla cerchia stretta del leader di Forza Italia. Per avvalorare questa tesi gli avvocati citano a Domani una lista piena zeppa di nomi di persone bisognose o di enti sostenuti da loro cliente.
Giovanni Tizian, classe ’82. A Domani è capo servizio e inviato cronaca e inchieste. Ha lavorato per L’Espresso, Gazzetta di Modena e ha scritto per Repubblica. È autore di numerosi saggi-inchiesta, l’ultimo è il Libro nero della Lega (Laterza) con lo scoop sul Russiagate della Lega di Matteo Salvini.
Emiliano Fittipaldi, nato nel 1974, è vicedirettore di Domani. Giornalista investigativo, ha lavorato all'Espresso firmando inchieste su politica, economia e criminalità. Per Feltrinelli ha scritto "Avarizia" e "Lussuria" sulla corruzione in Vaticano e altri saggi sul potere.
Da adnkronos.com il 7 Luglio 2022.
“Mariano Apicella ha ricevuto dal 2002 contributi a cadenza mensile da parte di Silvio Berlusconi, circa tremila euro, sempre verso fine mese. Le causali erano per emolumenti, compensi o liberalità”.
Lo ha detto Gianfranco Santolini, ragioniere e consulente della difesa dell’ex premier, sentito nel processo Ruby ter in corso a Roma davanti alla seconda sezione penale del tribunale che vede imputati Berlusconi e Apicella per la presunta corruzione legata alla falsa testimonianza del cantante napoletano riferita alle feste organizzate ad Arcore.
Secondo l’accusa, il cantante napoletano grazie alla sua falsa testimonianza in merito alle feste ad Arcore avrebbe ricevuto in cambio 157mila euro.
Santolini ha riferito in aula, chiamato come teste dalla difesa, in merito alle analisi che ha svolto su tre conti bancari di Berlusconi.
“Oltre agli emolumenti mensili, Apicella ha beneficiato anche di importi straordinari, 30mila euro nell’ottobre 2003 e 100mila euro nel 2008. Complessivamente – ha spiegato il consulente della difesa – dal 2002 al 2016 Apicella ha beneficiato di oltre 600mila euro”.
“Queste dazioni avevano la natura di liberalità e le ritengo sganciate dalle vicende processuali” ha concluso Santolini. La prossima udienza è fissata per lunedì prossimo quando è prevista la requisitoria del pm.
Silvio Berlusconi, fango dal Domani: "Quei 70mila euro alla donna albanese". L'agguato di De Benedetti prima del Colle. Libero Quotidiano il 20 gennaio 2022.
Con tempismo a dir poco sospetto, Domani - il quotidiano fondato da Carlo De Benedetti, storico rivale di Silvio Berlusconi - ha tirato fuori una storia piuttosto complicata riguardante il leader di Forza Italia e Julinda Lupo, una donna di nazionalità albanese che avrebbe intrattenuto degli affari con un giudice di Cassazione che in passato ha avuto a che fare con il Cavaliere.
L’ossessione-Berlusconi a sinistra è tornata di moda da quando è stata ventilata la possibilità di una sua candidatura al Quirinale. Candidatura che però nelle ultime ore è praticamente naufragata, dato che non ci sono i voti necessari per procedere con l’elezione del Cav a presidente della Repubblica. Ciò non ha frenato Domani dal pubblicare una storia piuttosto contorta: tutto partirebbe da una segnalazione dell’Ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia, che ha notato un’operazione da quasi 70mila euro passati dai conti Berlusconi su quello della donna albanese. Per Domani si tratterebbe di un “regalo” consegnato in nove rate ma non l’unico, dato che nel 2010 Julinda Lupo avrebbe ricevuto del denaro dal leader di Forza Italia.
Sempre secondo il quotidiano fondato da De Benedetti, la donna avrebbe usato i soldi per pagare l’affitto di un appartamento di proprietà di Cosimo D’Arrigo, un giudice di Cassazione che nel 2012 ha fatto parte del collegio che ha assolto Berlusconi nel processo Mediatrade.
Andrea Siravo per lastampa.it il 23 febbraio 2022.
Una «conferma al quadrato» che il filone Ruby ter è «un processo alla generosità» di Silvio Berlusconi. Questa la sintesi della difesa del leader di Forza Italia delle due deposizioni rese dalla cantante Cristina Ravot e dalla showgirl Carolina Marconi nel processo milanese per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza sulle presunte “cene eleganti” a Villa San Martino.
Entrambe le testimoni citate dall’avvocato Federico Cecconi «hanno dato la dimostrazione - ha sostenuto il legale - che c’è una platea molto ampia di persone che ha ricevuto dal dottore Berlusconi utilità economiche dirette e indirette in modalità del tutto disinteressate».
E questo per sottolineare ancora una volta come i bonifici e le regalie effettuati dall’ex premier alle cosiddette olgettine non fossero il prezzo del loro silenzio su quanto accadeva alle serate di Arcore.
Una generosità che Berlusconi nei confronti di Ravot, musicista di Sassari che si è esibita, come ha spiegato, in alcune serate a Villa Certosa con Mariano Apicella, ha manifestato con l’acquisto per lei di un appartamento da 170 metri quadrati del valore di 1,7 milioni di euro in un palazzo del ‘700 a Campo dei Fiori a Roma.
«Io rifiutai una casa per un anno intero e mi disse 'sei una delle pochissime persone che mi dice no’, ma alla fine me la comprò», ha racconta in aula Ravot. Un aiuto, a suo dire, per far fronte a difficoltà familiari.
«Lui aveva aiutato tante persone ad acquistare la casa - ha continuato -. Ribadiva che secondo lui la casa è fondamentale, perché da piccolo aveva sofferto, e diceva: 'quando io voglio vedere una persona tranquilla, il gesto che posso fare è aiutarla a comprare una casa, grande o piccola che sia’».
Rispondendo anche alle domande del pm Luca Gaglio, ha raccontato di essere stata presente pure ad «una cena ad Arcore» dove erano presenti «una ventina di ragazze: quella sera loro ballavano e io non ho cantato, quelle serate però non mi piacevano, perché le ragazze erano invidiose tra loro, volevano farsi vedere, ballare e primeggiare e glielo dissi anche al dottore».
Ha detto di aver anche conosciuto Gianpaolo Tarantini, «non mi piaceva per niente, era un individuo losco». Non le piaceva nemmeno «l'atteggiamento delle ragazze, ho più volte espresso la mia perplessità al dottore e questo non gliel'ho mai detto ma quando erano a tavola alcune di loro facevano anche delle "battutine” senza farsi sentire». E ha concluso: «Lui è un “buonone” ma molti stanno lì solo per farsi vedere, primeggiare».
«Io lo vedo come un grande papà per tutti, che c'era sempre», lo ha definito Carolina Marconi, nota soprattutto per una sua partecipazione al Grande Fratello. «Dal 2021 ho affrontato un tumore e mi è servito come lezione, l'ho affrontata col sorriso questa battaglia, la più difficile della mia vita, e questo me l'ha insegnato lui, Berlusconi, è la persone più buona che io abbia mai conosciuto nella mia vita, è così, non è tutto scontato, lui ha un occhio di riguardo su tutto, sempre gentile e ironico».
Un aiuto a lei da Berlusconi è arrivato sotto forma di «avvocati bravi» per la situazione «col mio ex marito da cui ho subito maltrattamenti e violenze, e loro mi hanno accompagnato sempre dal 2010 in poi e ancora dobbiamo concludere, perché non sono divorziata». Il leader di Fi, ha proseguito, "ha fatto qualcosa sempre per me e non e' tutto scontato, Berlusconi non mi ha fatto sentire sola mai, nel 2010 con tutti gli impegni che aveva mi ha chiamato anche per le condoglianze quando è morto mio padre, è una persona buona e mi diceva sempre 'io ho un sorriso per tutto’».
Oggi avrebbero dovuto testimoniare nell'aula bunker alla periferia sud di Milano un'altra decina di testi che per vari impedimenti, invece, non si sono presentati e la difesa di Berlusconi ha rinunciato a tutti, salvo a due persone che vorrebbe sentire nell'udienza del 30 marzo. Il legale Federico Cecconi ha chiesto, poi, di acquisire i verbali di Alberto Zangrillo e Mariastella Gelmini, già sentiti nel processo Ruby anni fa e che oggi non hanno potuto essere presenti. Alla prossima udienza del 2 marzo, invece, saranno sentiti i consulenti tecnici della difesa del leader di FI e il 16 marzo, poi, l'udienza sarà dedicata ai pochi testi delle altre difese.
Da lastampa.it il 23 febbraio 2022.
Silvio Berlusconi «acquistò per me nel 2008 un appartamento a Roma del '700 in piazza Campo de' Fiori da 170 metri quadri» del valore di «1,7 milioni di euro», perché «lui aiutava sempre quelli che stavano attorno a lui a comprare casa, perché secondo lui la casa era la cosa fondamentale, ci diceva, perché quando era piccolo aveva sofferto, aveva avuto dei problemi con la casa, non so bene di che genere, e quindi voleva vedere le persone tranquille».
Lo ha raccontato, convocata come teste dal legale dell'ex premier, l'avvocato Federico Cecconi, Cristina Ravot, cantante di Sassari che si è esibita, come ha spiegato, in alcune serate, «cene molto eleganti», a Villa Certosa con Mariano Apicella.
«La mia foto andò sui giornali come la nuova fidanzata di Berlusconi - ha aggiunto la musicista, che si è anche commossa durante la deposizione - e il mio nome fu impropriamente accostato allo scandalo Ruby, per effetto di questo non ho avuto il rinnovo di un contratto in tv».
L'immobile del '700, poi, «andava mantenuto e aveva spese importanti, e quindi gli dissi che dovevo venderlo, non riuscivo a mantenerlo; quindi lui dal 2011 mi mandò un bonifico mensile da 2500 euro al mese e io ci pagavo le rate dell'Agenzia delle entrate per un accertamento che avevo avuto».
Berlusconi in questi anni «ha pagato per me soldi che poi andavano all'Agenzia delle entrate, per togliere l'ipoteca dalla casa e per 10 anni ha sostenuto le spese legali, versava 20mila euro al mese».
Ora, ha proseguito, «per non chiedere altri aiuti, ho chiesto un finanziamento, so che lui me li darebbe ancora, ma per anni lo ha fatto per questa ingiustizia tributaria che ho subito e tutto è nato quando il mio nome è uscito per il processo Ruby, anche se io non ero coinvolta e l'accanimento è partito da lì». E ancora: «Gli piacevo come bella donna - ha chiarito - un approccio può esserci stato, a lui piace corteggiare un po' tutti, donne e uomini, io gli ho voluto molto bene».
La giovane ha spiegato che anche «prima del 2008» l'ex premier le fece avere due «bonifici per 50mila euro» come «rimborsi spese» per le serate. Berlusconi «mi chiamava sempre, poteva avere piacere a vedere una bella ragazza che cantava, ma poi si preoccupava continuamente e mi disse "voglio fare una cosa per te, vorrei che tu stessi tranquilla”, io rifiutai per un anno intero e lui mi disse “sei l'unica persona a cui sto offrendo qualcosa che mi dice no, una delle poche”».
Poi si convinse a farsi regalare la casa. Il leader di FI, ha aggiunto, «ha sempre chiesto a tutti, a me ma anche ai camerieri, se avevamo bisogno di qualcosa e tutto ciò che mi ha dato e regalato lo ha fatto sempre di sua iniziativa spontanea».
Rispondendo anche alle domande del pm Luca Gaglio, ha raccontato di essere stata presente pure ad «una cena ad Arcore» dove erano presenti «una ventina di ragazze: quella sera loro ballavano e io non ho cantato, quelle serate però non mi piacevano, perché le ragazze erano invidiose tra loro, volevano farsi vedere, ballare e primeggiare e glielo dissi anche al Dottore».
Ha detto di aver anche conosciuto Gianpaolo Tarantini, «non mi piaceva per niente, era un individuo losco». Non le piaceva nemmeno «l'atteggiamento delle ragazze, ho più volte espresso la mia perplessità al Dottore e questo non gliel'ho mai detto ma quando erano a tavola alcune di loro facevano anche delle "battutine” senza farsi sentire». E ha concluso: «Lui è un “buonone” ma molti stanno lì solo per farsi vedere, primeggiare».
Berlusconi e i soldi alla donna misteriosa, i sospetti dell’antiriciclaggio. EMILIANO FITTIPALDI E GIOVANNI TIZIAN su Il Domani il 20 Gennaio 2022.
Segnalazione sospetta sul candidato della destra al Quirinale: «Ha dato quasi 70 mila euro a Julinda Llupo».
La donna ormai residente a Roma fa l’affittacamere, ha avuto «prestiti e regali» nel 2020. Llupo non ha voluto spiegare il motivo di questi bonifici arrivati da Berlusconi.
Ma i bonifici iniziano già 10 anni fa. Llupo ha anche rapporti economici con un magistrato della Cassazione che giudicò Berlusconi nel 2012. Lui: «Mera coincidenza».
L’ultima mistero di Silvio Berlusconi si chiama Julinda Llupo. Una ragazza classe 1987 nata a Tirana, in Albania, e da anni residente in Italia, di cui finora non si sapeva nulla. Il suo nome è però finito, insieme a quello del candidato della destra alla presidenza della Repubblica, in una segnalazione sospetta della Uif, l’ufficio antiriciclaggio di Banca d’Italia. Llupo, che gestisce insieme all’attuale compagno alcuni bed&breakfast a Roma, tra febbraio 2020 e ottobre dello stesso anno ha avuto dall’ex premier quasi 70 mila euro divisi in nove tranche. Soldi, scrivono i detective finanziari, partiti da un conto corrente personale di Berlusconi attivo presso Ubi Banca e arrivati a quello della donna con la dicitura, assai vaga, di «prestiti» o «regali».
L’istituto dove ha il deposito la donna e la Uif hanno aperto un fascicolo a causa dell’operatività «anomala riconducibile a persone fisiche/giuridiche collegate», si legge nel documento. La storia scoperta da Domani è curiosa. Non solo perché colui che vuole sostituire Mattarella “presta” molto denaro a persone lontane dalla sua cerchia familiare o pubblica, ma anche perché gli investigatori evidenziano come una parte dei soldi ottenuti vengono usati da Llupo per pagare un canone affittuario a un magistrato della Corte di cassazione, Cosimo D’Arrigo. Un giudice che nel 2012 fu membro del collegio che scagionò l’imputato Berlusconi in uno dei filoni del processo sui fondi neri di Mediatrade.
I REGALI A JULINDA
Partiamo da Julinda Llupo. Un’approfondita ricerca sul web e sui social non restituisce molto del suo profilo. Tuttavia dopo l’analisi dei documenti societari, le visure catastali e le interviste a diverse fonti, Domani può dare conto che la donna ha avuto somme di denaro da Berlusconi fin dal 2010, quando la ragazza aveva 23 anni. Oggi Llupo è la compagna di un giornalista pubblicista, Edoardo Maria Lofoco, che insieme a lei titolare di alcune società che gestiscono bed&breakfast e affittacamere nel centro di Roma, nella zona intorno alla Cassazione.
L’uomo è animatore e fondatore dell’associazione di categoria Asstri, una sigla semisconosciuta che intende difendere gli interessi delle strutture extra alberghiere e che ha tra i suoi soci fondatori (è scritto sul sito web) nientemeno che il presidente degli avvocati dell’ordine di Roma Antonio Galletti, il capo dei sindacati della polizia penitenziaria Giuseppe Moretti e scrittori famosi come Federico Moccia.
Lofoco sui social promuove le attività dell’associazione, mentre una delle ultime foto pubblicate lo ritraggono insieme a Gianfranco Micciché, il luogotenente storico di Berlusconi in Sicilia ora presidente dell’assemblea regionale. Prima ancora troviamo un’immagine di lui insieme a Gianfranco Rotondi, e democristiano tra i fan più accaniti di Berlusconi al Quirinale. Il 29 settembre scorso il compagno della ragazza ha pubblicato un post su Facebook per fare gli auguri di compleanno a Berlusconi.
Lofoco ha fatto politica locale, nel suo paese Sezze, provincia di Latina. Ha sostenuto liste civiche senza una connotazione partitica evidente. Anche per questo è da escludere che l’interesse e la generosità di Berlusconi nei confronti della famiglia Lofoco-Llupo sia da cercare nell’attivismo politico dell’imprenditore laziale.
Un fatto è però certo. Il 27 febbraio 2020, sei giorni dopo la notizia del primo focolaio di Covid-19 a Codogno, dal conto dell’ex presidente del Consiglio parte il primo bonifico destinato alla donna misteriosa. Fino a ottobre si ripeteranno costanti, tutti motivati con la giustificazione “prestiti” e “regali”. Da febbraio a ottobre la donna incasserà in tutto 62.500 euro, mentre a novembre e dicembre 2020 l’antiriciclaggio segnala altri 5mila euro in arrivo. In quei mesi l’Italia era in lockdown e Berlusconi impegnato a difendersi nel processo Ruby Ter a Milano. «Llupo non è nella lista delle ragazze coinvolte nel processo», dice una fonte da Arcore senza aggiungere altro.
DONNE E MUTUI
Gli investigatori segnalano che dai conti di Berlusconi in quei mesi partono «numerosi bonifici con causali riconducibili a prestiti/regali a favore di molteplici persone fisiche». Oltre alla enigmatica Llupo, per esempio, Berlusconi invia 1,1 milioni sul conto estero del cugino Giancarlo Foscale, oggi residente in Svizzera. Un presunto «prestito infruttifero». Il nome di Foscale riporta agli anni di Mani Pulite: ex manager, fu coinvolto in una delle inchieste di Tangentopoli su Fininvest. Poi il suo nome rispuntò fuori nel 2016 nell’elenco dei Panama Papers, la lista di italiani che avevano società nei paradisi fiscali.
Ma chi è Julinda Llupo? E perché Berlusconi è così generoso con lei? La ragazza e il marito, contattati, non hanno voluto dare alcuna spiegazione. «Io non vi conosco. Perché dovrei dirlo a voi di Berlusconi? Non mi sento di dover parlare di questa cosa», ha detto la donna. Che oggi risulta socia unica di una società: L3L-Co, le cui quote gli sono state cedute dal compagno Lofoco qualche mese fa. Una società specializzata in bed&breakfast che se nel 2019 fatturava 473 mila euro con un utile di quasi 28 mila euro, nel 2020 (con ogni probabilità a causa della pandemia) ha perso il 90 per cento dei ricavi, con una perdita a bilancio di ben 162 mila euro. In passato è stata azionista anche di Rome by Cicle srl, che aveva un capitale sociale di un solo euro.
Nonostante la crisi, però, la società della ragazza ha comprato a ottobre 2020 un grande negozio a piazza Cavour di ben 213 metri quadri, pagato 700 mila euro tondi tondi. Venditore è il fondo immobiliare dell’Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti. Come ha fatto Llupo ha trovare i soldi? Ha chiesto un mutuo alla Banca Mediolanum, controllata al 40 per cento dalla famiglia Doris e al 30 per cento dalla Fininvest di Berlusconi. Un mutuo da 640 mila euro, che l’amica del Cavaliere dovrebbe ripianare in 15 anni con rate da circa 4.500 euro al mese.
SILVIO IL GENEROSO
Domani ha chiamato una fonte autorevole del collegio di avvocati che difende Berlusconi nel Ruby Ter per avere delucidazioni sulla vicenda segnalata dall’antiriciclaggio. «Cominciamo col dire che Llupo non fa parte delle ragazze coinvolte nelle vicende giudiziarie del nostro assistito. Le dico però che per il processo Ruby Ter (dove Berlusconi è accusato di aver corrotto le sue ex ospiti per non dire la verità in tribunale sulle cene eleganti, ndr) abbiamo fatto stilare una lista di tutte le donne e gli uomini a cui Berlusconi fa libera beneficenza. L’abbiamo fatta fare a un consulente esterno». Nella lista, che però non è stata mai depositata, ci sarebbe anche il nome della ragazza albanese. «È vero: Julinda a noi risulta sia stata aiutata nel corso degli anni, a partire dal 2010, prima ancora della vicenda Ruby. Poi con la pandemia non riusciva a far fronte alla crisi dei bed&breakfast, settore in cui aveva provato a cimentarsi,e così l’ha aiutata di nuovo per non fallire. Il mutuo della banca Mediolanum come ha fatto ad ottenerlo? Non credo l’abbia aiutata lui, non posso dirglielo perché non lo so».
Dall’entourage dell’ex presidente del consiglio spiegano che l’antiriciclaggio per le persone politicamente esposte (acronimo tecnico è Pep) «si attiva ormai in automatico». Aggiungono poi dettagli inediti sulle attività di beneficenza del Cavaliere. «Llupo è una delle tantissime persone che in questi ultimi tempi hanno chiesto e ottenuto aiuto economico. Non sappiamo se si conoscano personalmente con Julinda, perché Berlusconi a volte aiuta anche chi non ha mai visto in vita sua. C’è gente e gli manda una lettera, tipo per cure mediche costose», spiega un legale dell’ex premier a Domani. Al netto dei denari dati alle ragazze che frequentavano i festini (circa 2500 euro al mese), «il Cavaliere Berlusconi, da dati in nostro possesso, ha investito in beneficenza negli ultimi anni circa 40 milioni di euro. Dentro la lista c’è Llupo, ma anche anche preti, suore, associazioni no profit. Ha regalato per esempio 200mila all’Aquila Rugby, 70 mila euro alla parrocchia di San Salvatore, molti contributi a Radio Maria, altri 50 mila a un’associazione dei cardiopatici. È un uomo generoso, non solo con le belle ragazze».
ARRIVA IL LEGHISTA
Torniamo alla segnalazione dell’ufficio antiriciclaggio, dove forse gli investigatori che hanno indagato sui rapporti economici tra il Cavaliere e Llupo non erano a conoscenza della generosità del pregiudicato candidato alla successione di Sergio Mattarella. Il documento evidenzia che dopo l’accredito dei bonifici di Berlusconi, la ragazza ha prestato al marito Lofoco parte dei soldi avuti dal politico, mentre 15 mila euro sono finite a una società di costruzioni albanese, la Andi Konstruksion. A giugno 2020 la donna ordina pure un bonifico di 2.500 euro a favore di un conto corrente di magistrato, Cosimo D’Arrigo, toga in Cassazione oggi nel civile, ma nel 2012 componente del collegio che giudicò Berlusconi nel processo denominato “Mediatrade” sui diritti televisivi. Collegio che prosciolse Berlusconi dall’accusa di frode fiscale e appropriazione indebita. D’Arrigo è attualmente nel comitato degli esperti che valutano i bilanci dei partiti in Parlamento.
Il bonifico della Llupo al magistrato ha questa causale: «Acconto canone locazione per conto della Blu Victory Srls». Una società che non è della donna né del marito, ma di altre persone. Un politico ex berlusconiano, poi convertito al sovranismo di Matteo Salvini: C.taldo C.labretta, avvocato, giornalista e attualmente vice responsabile della Lega in Calabria. Che aveva deciso di investire nel settore degli affittacamere nella Capitale.
Dunque, C.labretta qualche tempo fa aveva deciso di affittare un appartamento a via Germanico. Il proprietario è il giudice di Cassazione D’Arrigo. «Sì, la Blu Victory era mia e avevo avuto l’idea di investire nel settore ricettivo, ma poi è arrivato il Covid e mi ha tagliato le gambe», spiega C.labretta a Domani. Amico di Julinda Llupo e del marito, l’amministratore unico della Victory risulta aver firmato con il giudice un contratto d’affitto per 35 mila euro l’anno. Perché allora alcuni bonifici arrivano da Llupo per conto della Blu Victory che è del leghista calabrese? «Forse ho chiesto un aiuto a lei perché ero in difficoltà. Ma non so nulla dei rapporti tra lei e Berlusconi. Julinda l’ho conosciuta solo quando ho deciso di investire nei B&B a Roma. Mi sono ritirato da questo mercato perché stavo perdendo soldi», chiude C.labretta, che giura anche di non sapere che D’Arrigo fosse uno dei giudici dei processi Berlusconi.
LA VERSIONE DEL GIUDICE
Sentito al telefono, il giudice ammette di conoscere la ragazza («mi ha raccontato di essere una profuga scappata dalla guerra») e suo marito, ma spiega che gli intrecci che riguardano lui e il suo ex imputato Berlusconi «sono frutto di una mera coincidenza. Ho conosciuto il suo compagno, Lofoco, tempo fa, e gli ho affittato il mio appartamento che ho comprato in nuda proprietà anni fa. Lui ci ha fatto i lavori per fare sette stanze e sette bagni, poi dopo un po’ ha smesso di pagare. Mi ha detto che aveva avuto problemi con un suo socio. Lofoco forse si era sentito in colpa e così mi aveva presentato C.labretta, che gli subentra facendo un nuovo contratto. Su internet capisco essere un politico locale. Mi rassicurai della serietà dei nuovi inquilini quando firmai il contratto con C.labretta in un bed&breakfast di Lofoco sito a piazza Cavour: nel pianerottolo c’è un commissariato di polizia, e in genere i poliziotti sanno bene chi sono i loro vicini».
Sarà. Il giudice D’Arrigo però non è fortunato nemmeno stavolta: anche C.labretta smette presto di pagargli la pigione: «Tra il primo contratto con Lofoco e il secondo con C.labretta, sono in credito con loro di 60 mila euro in tutto. Non mi pare che mi abbiano fatto un piacere, al contrario. Comunque la signora credo mi pagò al posto di C.labretta perché io mi lamentai con loro del fatto che mi avevano presentato un loro amico insolvente».
Il fatto curioso è che, una volta andato via il leghista, il giudice ha deciso di affittare l’appartamento di nuovo alla coppia Llupo-Lofoco, che già gli avevano tirato “un pacco” tempo prima. «Si è vero, mi hanno detto che lo prendevano per loro. Non mi pagano regolarmente nemmeno adesso, ma sono persone umili. E poi se li mando via in quanto insolventi, con il Covid a chi posso mai affittare il locale? Almeno guadagno qualcosa. Dei soldi o dei loro legami economici del mio ex imputato Berlusconi non sapevo nulla. Non sapevo nemmeno che devono pagare 4.500 euro al mese per un mutuo».
Grande amico del boss della corrente di Magistratura indipendente Cosimo Ferri, oggi nel comitato della rivista giuridica Giustiziacivile.it diretta dall’ex premier Giuseppe Conte e Fabrizio di Marzio, D’Arrigo non vuole dirci come votò nella camera di consiglio che decise il proscioglimento definitivo dell’allora leader del Popolo della libertà. «Non posso per legge».
Per la cronaca, nel maggio del 2012 la seconda sezione penale di cui faceva parte D’Arrigo insieme a quattro colleghi confermò il proscioglimento di Berlusconi per non aver commesso il fatto, una decisione precedentemente disposta dal giudice per l’udienza preliminare. La procura di Milano, che accusava l’ex premier di frode fiscale e appropriazione indebita in un filone dell’inchiesta su presunti fondi neri nella compravendita dei diritti tv e cinematografici effettuati dalla società Mediatrade, aveva però fatto ricorso in Cassazione contro la decisione del gup. I pm erano infatti convinti che ci fossero prove dirette del coinvolgimento del capo di Forza Italia nella vicenda, e che Berlusconi aveva esercitato influenza de facto sulle decisioni dei manager di Mediaset anche dopo l’anno 2000. Il ricorso degli inquirenti fu respinto a maggioranza dal collegio a cui partecipò D’Arrigo. «Non posso dirle come votai, ma le assicuro che ho la coscienza a posto. Il mio nome è finito nel documento dell’antiriciclaggio solo a causa di coincidenze beffarde».
EMILIANO FITTIPALDI E GIOVANNI TIZIAN
Anna Santini per corriere.it il 18 gennaio 2022.
Quattro donne e l’ex autista di Gianpaolo Tarantini -l’imprenditore pugliese condannato in Cassazione a 2 anni e 4 mesi per il reclutamento delle donne da portare alle cene di Arcore sono stati rinviati a giudizio dalla gup del Tribunale di Bari, Rossana De Cristofaro. Sono accusati di aver mentito sulle notti di sesso con Silvio Berlusconi avvenute, secondo la Procura di Bari, tra il 2008 e il 20098 nelle residenze dell’allore presidente del Consiglio.
Si tratta di Vanessa Di Meglio, Sonia Carpentone, Roberta Nigro, Barbara Montereale e Dino Mastromarco, per i quali il processo inizierà il 7 aprile davanti al giudice monocratico Mario Mastromatteo. I cinque imputati, secondo l’accusa, avrebbero mentito nel corso delle loro testimonianze per il processo escort.
Berlusconi-escort, udienza per il Cav il 21 gennaio a Bari
Questo rinvio a giudizio è uno stralcio dell’altro processo ancora in corso a Bari nei confronti di Silvio Berlusconi, nel quale l’ex presidente premier è imputato per induzione a mentire: l’accusa, in questo caso, è di aver pagato le bugie dette dall’imprenditore barese Gianpaolo Tarantininelle indagini sulle escort.
Secondo l’accusa Berlusconi avrebbe fornito a Tarantini avvocati, un lavoro e centinaia di migliaia di euro proprio perché mentisse ai pm baresi che indagavano sulle escort, portate nelle residenze estive dell’ex premier fra il 2008 e il 2009, e sui suoi interessi in Finmeccanica.
La prossima udienza di questo filone è fissata al 21 gennaio, cioè tre giorni prima dell’inizio delle votazioni per eleggere il successore di Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica, con l’ex premier scelto dal centrodestra come candidato per la prima carica dello Stato.
Processo escort, le frasi ritenute false
«Ci sono state effusioni, tipo mani, carezze, baci. Berlusconi era una persona molto carina, divertente, adorabile, è un bell’uomo, si lascia coinvolgere e abbiamo cominciato a scherzare un po’, poi comunque a un certo punto ci siamo fermati e io sono andata a dormire in un’altra camera da sola».
Frasi come queste, pronunciate nel processo cosiddetto «escort» da alcune delle donne portate, tra il 2008 e il 2009, dall’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini nelle residenze di Silvio Berlusconi perché si prostituissero - come accertato anche da una sentenza ormai passata in giudicato - secondo la Procura sono bugie.
La Procura dunque non crede ai loro racconti sullo scambio di «effusioni superficiali» con l’allora premier e nemmeno alla giustificazione, per chi ha ammesso di aver ricevuto soldi, che si trattava di «gesti compassionevoli» di Berlusconi.
All’ex autista di Tarantini, poi, la Procura contesta di aver mentito sulla «piena consapevolezza che le ragazze procurate da Tarantini e spesso prelevate e accompagnate a Palazzo Grazioli si prostituissero in favore» dell’allora presidente del Consiglio, «del quale - si legge nell’imputazione - conosceva in realtà le abitudini sessuali e la consuetudine ad elargire in loro favore e per compensarle delle prestazioni ricevute cospicue somme di denaro e altre generose utilità». Secondo i difensori degli imputati, per esempio nel caso dell’ex autista difeso dall’avvocato Gaetano Castellaneta, quelle presunte bugie costituiscono un «caso di non punibilità», perché rivelare quei fatti avrebbe comportato il rischio di una assunzione di responsabilità.
(ANSA il 18 maggio 2022) - "Se un processo può arrivare ad una pronuncia di primo grado dopo 8 anni vuol dire che il sistema ha fallito".
Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano nella parte iniziale della requisitoria nel processo sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, tra cui una ventina di ex ospiti delle serate di Arcore e la stessa Karima El Mahroug che sarebbero state 'stipendiate' con versamenti e regalie per portare nei processi sul caso Ruby la versione delle "cene eleganti". Le indagini si chiusero nel 2015.
(ANSA il 18 maggio 2022) - "I fatti sono stati già consegnati alla Storia, indipendentemente dalle nostre valutazioni e da quella delle difese, questo fatto non è già più nostro ma consegnato alla Storia: il presidente del Consiglio in carica usava sistematicamente allietare le proprie serate ospitando a casa propria gruppi di odalische, schiave sessuali a pagamento". Lo ha spiegato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano nella requisitoria del processo milanese sul caso Ruby ter iniziando anche a parlare del "pagamento delle testimoni", ossia delle cosiddette 'olgettine', al centro dell'accusa di corruzione in atti giudiziari.
(ANSA il 18 maggio 2022) - Silvio Berlusconi era un uomo "che poteva avere il mondo ai suoi piedi, che si accompagnava con amicizie come quella con Putin, colui che ora sta mettendo in ginocchio il mondo" e oggi "quello che processiamo è un grande anziano, un uomo malato". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano nella requisitoria del processo milanese sul caso Ruby ter
(ANSA il 18 maggio 2022) - Imane Fadil, una delle testimoni chiave dell'accusa nei processi sul caso Ruby morta nel 2019 per una rara malattia, "aveva paura, una paura che l'ha accompagnata fino alla morte, un timore che il giro che l'ha accompagnata fino alla morte fosse davvero pericoloso e potente".
Lo ha detto il procuratore aggiunto di Milano Tiziano Siciliano nella requisitoria del processo Ruby ter. Sulla morte di Fadil all'inizio si indagò anche per omicidio. Fadil ha "alimentato in noi un profondo desiderio di giustizia", perché questi "reati di gravità straordinaria feriscono" non solo l'amministrazione della giustizia ma anche "le persone".
(ANSA il 18 maggio 2022) - "Prove evidenti della corruzione sono state cercate e da noi trovate, evidenti, con grande soddisfazione". Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano nella requisitoria del processo milanese sul caso Ruby ter e nella parte in cui sta chiarendo che solo le indagini da lei effettuate, assieme al pm Luca Gaglio e alla polizia giudiziaria, hanno portato ad individuare elementi sulla presunta corruzione in atti giudiziari.
E ciò per spiegare anche che, quando le ragazze venivano sentite nei processi sul caso Ruby, non si poteva già iscriverle per quel reato. Da qui la richiesta di revoca dell'ordinanza con cui i giudici hanno dichiarato inutilizzabili le deposizioni delle giovani, accusate nel processo di aver detto il falso in cambio di soldi e regalie dall'ex premier.
"Abbiamo trovato dati, fotografie, screenshot, messaggi, materiale probatorio incontaminato che nessuno aveva analizzato prima, materiale a nostra disposizione per la prima volta - ha detto Siciliano - abbiamo fruito di documentazione bancaria, per costruire una solida base documentale che riempisse di significato ciò che prima erano solo sospetti".
Siciliano, parlando del fascicolo di cui era titolare ormai più di una decina di anni fa su due ragazze e nel quale non c'erano elementi per indagarle, ha fatto riferimento anche ad Ilda Boccassini, titolare all'epoca dell'inchiesta sul caso Ruby, da cui il leader di FI è stato assolto in via definitiva.
"Boccassini aveva un senso di riservatezza, con lei non solo non potevi parlare di un'indagine, ma nemmeno dell''esistenza di un'indagine, il suo fascicolo era blindato", ha detto. E quindi "istituzionalmente abbiamo fatto l'unica cosa possibile - ha aggiunto - abbiamo valutato se ci fossero elementi di coordinamento con la nostra indagine, non emergevano elementi per cui ci fosse questa osmosi tra i due uffici, questa è stata la valutazione del Procuratore (Bruti Liberati, ndr) a cui ci siamo rimessi e abbiamo archiviato il nostro fascicolo".
E ora "nel 2021 mi si dice che queste ragazze non potevano essere testi - ha aggiunto -. Alla luce di ciò che sappiamo ora è evidente, ma all'epoca no, si parlava di cifre risibili rispetto al patrimonio di Berlusconi", ossia erano questi i versamenti emersi all'epoca. "Noi ora sappiamo tutto, anche di più di quello che serve, all'epoca la realtà presentata al Tribunale nei processi era incredibile, una teste disse 'un puttanaio'", ha detto ancora il pm sempre nei passaggi della requisitoria per chiedere ai giudici la revoca di quell'ordinanza che potrebbe far crollare le accuse cancellando le false testimonianze.
La requisitoria del pm su Berlusconi: "Ospitava schiave ma il sistema giudiziario ha fallito". Christian Campigli su Il Tempo il 18 maggio 2022
Un processo destinato a risollevare l'interminabile polemica tra magistratura e politica. Una vicenda giudicata da una parte come una delle più gravi manifestazioni del potere usato per il raggiungimento di squallidi fini sessuali. Dall'altro lato dello steccato, un'inchiesta bollata come l'ennesima crociata contro un imprenditore serio, vincente e da quasi trent'anni impegnato in Parlamento.
“Otto anni fa Silvio Berlusconi era un uomo che poteva avere il mondo ai suoi piedi, il Presidente del Consiglio che si accompagnava con amicizie come quella con Putin, che sta mettendo in ginocchio il mondo. Oggi è un grande anziano, malato, perché le certificazioni prodotte mostrano un quadro di patologie”. È questo uno dei passaggi più significativi della requisitoria tenuta questa mattina dal procuratore aggiunto di Milano, Tiziana Siciliano, durante il processo Ruby Ter.
Secondo la tesi accusatoria, l'allora Premier “ospitava un gruppo di odalische, schiave sessuali che a pagamento lo divertivano, allietavano le sue serate. Intorno ad Arcore, a Palazzo Grazioli e a Villa San Martino succedeva qualcosa di medioevale, boccaccesco, moralmente discutibile, incredibile”.
La ricostruzione del pubblico ministero dipinge, nelle serate di Arcore, “una violenza grave” nei confronti di “ragazze davvero giovani” che partecipavano alle cene. “Se sei così bella in un modo così rapace e non hai strumenti culturali o una famiglia che riesce a proteggerti allora sei veramente una vittima predestinata di predatori di ogni genere”. Per l'accusa, c'era un “consolidato sistema prostitutivo”, in particolare “si esercitava prostituzione nelle case di Berlusconi per un periodo molto lungo. Se un processo può arrivare a una pronuncia di primo grado dopo otto anni, il sistema giudiziario ha fallito”.
Per il caso Ruby Ter, oltre al fondatore di Forza Italia, sono imputate altre ventotto persone, accusate a vario titolo di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
«Silvio Berlusconi il sultano, le odalische schiave sessuali»: le accuse del pm al Ruby Ter. La difesa: cattivo gusto. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 18 maggio 2022.
A 12 anni dall’ingresso di Karima «Ruby» El Mahroug nella questura di Milano (27 maggio 2010), dove l’aveva condotta una volante della Polizia perché accusata di furto e dalla quale uscirà dopo una telefonata in cui l’allora premier Silvio Berlusconi riferisce che gli avevano detto che era la nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak, comincia ad intravedere faticosamente la conclusione il processo Ruby ter che vede il Cavaliere a 85 anni imputato di corruzione in atti giudiziari per aver comprato i silenzi e le bugie di una trentina di ospiti e collaboratori che hanno testimoniato su ciò che accadeva ad Arcore nelle cene e soprattutto nei dopocena del bunga bunga nei primi due processi. «Se un processo può arrivare a una pronuncia di primo grado dopo 8 anni dalla sua iscrizione vuol dire che il sistema giudiziario ha fallito», esordisce il pm Tiziana Siciliano nella requisitoria che il 25 maggio si chiuderà con le richieste di pena per poi dare spazio alle difese.
L’inchiesta partita nel 2014
Le indagini del terzo processo Ruby cominciarono nel 2014 quando, dopo le sentenze precedenti, i giudici trasmisero alla procura le testimonianze di cui non avevano tenuto conto ritenendole false. Il processo partì tre anni dopo. Tra gli imputati, ci sono anche la senatrice Maria Rosaria Rossi, ex stretta collaboratrice del Cavaliere, e la stessa Karima El Mahroug. «Non me la sento di pronunciare la parola finalmente», dice Siciliano nella requisitoria, «né di esprimere soddisfazione» di fronte a un «sistema che impone ripetizioni e sospensioni inutili», solo «utili agli imputati» che vogliono dilatare i tempi. E il tempo che passa «rende tutto estremamente difficile», con i fatti che si tramutano in storia e la prescrizione che galoppa (già colpite alcune false testimonianze, ma non c’è rischio per le corruzioni in atti giudiziari).
Il «sultano», le «odalische», le «notti a pagamento»
Il Berlusconi che era la quarta carica dello stato, ricchissimo amico del «Putin che ora sta mettendo in ginocchio il mondo», oggi, «è un grande anziano», afferma il procuratore aggiunto, le cui malattie hanno costretto il collegio a «mesi e mesi di sospensione» e suscita «tenerezza e quasi compassione» ricordarlo inseguire la giovinezza. È lo stesso uomo che, come «un sultano», usava «allietare le proprie serate con un gruppo di odalische, nel senso di schiave sessuali, che a pagamento lo divertivano» e trascorrevano «la notte con lui a pagamento». Alla prima pausa, arriva la replica del difensore del Cavaliere, l’avvocato Federico Cecconi. «Esternazioni che rischiano di scivolare nel cattivo gusto», afferma e ricorda che il suo cliente «in tempi recenti, quando poteva presentare impedimenti per motivi di salute, non l’ha fatto».
Le sentenze Ruby 1 e 2
Le prove delle false testimonianze, ripete il pm, sono nelle sentenze Ruby 1 e 2, ma su quelle stesse testimonianze è caduta come un macigno l’ordinanza con cui a novembre il tribunale le ha dichiarate non inutilizzabili perché i testi non erano stati interrogati come indagati assistiti da un avvocato, visto che già c’erano elementi che facevano ipotizzare che fossero stati corrotti (non viene toccata la corruzione in atti giudiziari, reato che si realizza a prescindere dalla testimonianza). Un’ordinanza che la procura ritiene sbagliata chiedendo ai giudici di revocarla o modificarla perché, sostiene Tiziana Siciliano, come farà poi anche il sostituto Luca Gaglio, le prove sono arrivate solo dopo le sentenze con le intercettazioni e i riscontri sui pagamenti in denaro, auto e case. Berlusconi ha sempre detto che versa 2.500 euro al mese alle donne che, da quando sono state coinvolte, non trovano più lavoro nello spettacolo o nella moda. «Carriere brillanti interrotte da questa vicenda giudiziaria? Non è vero, non lavoravano prima, non avrebbero lavorato e non lavoreranno adesso. Sono pagate perché non hanno detto la verità» afferma Gaglio definendone alcune «prostitute professioniste».
Karima-Ruby, Berlusconi e il processo: «Turbata dalla descrizione dei pm, sono stanca di combattere». Redazione Milano su Il Corriere della Sera il 26 Maggio 2022.
La requisitoria del pm: Karima El Marough più di così non poteva spendere, pagava tutto in contanti, hotel di lusso e champagne. La reazione: «Parole da parte di chi non mi ha mai conosciuta, la mia vita non ha nulla a che vedere con quella descritta dall’accusa».
«Sono molto turbata dalla descrizione che ancora una volta viene fatta della mia persona, da parte di chi non mi ha mai neppure conosciuta». La descrizione: Ruby rubacuori «foraggiata» da Silvio Berlusconi — secondo la Procura — con centinaia di migliaia di euro, che «pagava con banconote da 500 euro», che «più di così non poteva spendere», che più di così «c’era solo buttare i soldi dalla finestra», che saldò un intero viaggio alle Maldive «in contanti» (59 mila euro), che soffriva di shopping compulsivo, che «moltiplicava le spese per tre». Ruby che appena maggiorenne sembrava «essere diventata miliardaria da un giorno all’altro» e si comportava «come le persone che vincono alla lotteria e prima spendono, spendono, poi arriva la depressione e anche il rischio suicidio è alto». Lei, giovane odalisca del «sultano» (per dirla come il pm Tiziana Siciliano) che si faceva pagare «i taxi da Genova a Milano», frequentava «i ristoranti e gli alberghi di lusso», «spendeva anche 1.400 euro in una notte» e ordinava «gli champagne più costosi anche con le scritte fluorescenti». Ecco. Ruby non si riconosce nella Ruby raccontata dal pm Luca Gaglio nella requisitoria al processo a carico di Silvio Berlusconi e altri 27 imputati (chiesti per lei cinque anni per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari). Karima El Mahroug, «molto turbata dalla descrizione che ancora una volta viene fatta della mia persona», risponde così: «La Ruby descritta in aula è molto lontana da Karima, la persona che sono sempre stata e la donna che sono oggi e la mia vita non ha nulla a che vedere con quella descritta dall’accusa nel processo. Sono stanca di dover combattere contro una rappresentazione di me che non ha nulla a che vedere con quanto sono». Una vita difficilissima (l’ha ricordato anche il pm): abbandonata dalla famiglia, messa in comunità, fuggita a 13 anni e finita nel mondo della «prostituzione» ancora minorenne. Karima vittima di un destino che l’ha prima travolta e poi le ha indicato la strada di Arcore.
Chi è Karima El Marough
Data di nascita: 11 novembre 1992. Luogo: Fkih Ben Salah (Marocco). Figlia di madre giovanissima, infanzia travagliata a Letojanni nel Messinese (in alcune interviste parlò anche di abusi dai parenti), negli ultimi tempi siciliani l’adolescente Karima si ritrovò a lavorare in un «centro estetico», uno di quei posti in cui si fanno trattamenti di bellezza e la spunta alle unghie e poi «arrivavano questi uomini di sera, una volta che era finito l’orario da centro estetico», e si facevano «massaggi che erano un pochettino particolari, spinti» (questa la sua testimonianza dolorosa nel processo alla titolare per sfruttamento della prostituzione minorile). Karima scappa dall’estetista, da varie comunità e case famiglia, dalla Sicilia, diventa cubista e ballerina da night, arriva a Milano, entra nel giro delle olgettine, viene fermata per furto il 27 maggio 2010 da una volante del commissariato Monforte, finisce alla questura di Milano per il fotosegnalamento, poi alle 23.49 arriva la telefonata di Berlusconi da Parigi per chiedere il rilascio della 17enne, spunta la panzana della «nipote di Mubarak», il resto è storia giudiziaria e del costume politico italiano.
Il bunga bunga, i viaggi, il lusso e il Messico
Dodici anni dopo, Karima è tra gli imputati del Ruby ter, terzo procedimento aperto sulle notti di Arcore e il bunga bunga. La procura insiste molto sulla «disinvoltura» della ragazza entrata nella «corte» e «foraggiata» dall’ex premier. «Viaggi, vestiti costosi, champagne di lusso: qualsiasi pagamento fatto da Ruby è in contanti». Sarà anche per questo, per questa disinvoltura con cui Karima gestisce il post «lotteria», che il pm la dipinge come una donna «inaffidabile» (per l’ex premier). Inaffidabile al punto che era meglio tenerla lontana dalle aule di giustizia. «È stata fatta volare via per non farla testimoniare». Tra dicembre 2012 e gennaio 2013, l’inverno delle deposizioni al processo Ruby 1 (Berlusconi sarebbe stato poi assolto in via definitiva), il pm ha detto che Ruby «si incontrò con Maria Rosaria Rossi», senatrice azzurra, ex fedelissima del Cavaliere (per lei chiesti 1 anno e 4 mesi), «e ricevette i soldi per andare in Messico» con l’allora fidanzato Luca Risso. Le cronache di Ruby, prima della separazione da Risso (da cui ha avuto una figlia), registrano l’acquisto di alcuni appartamenti e l’apertura del ristorante-bar-pizzeria Casa Sofia in un centro commerciale di Playa del Carmen.
Il paragone con la moglie di Mario Chiesa
«Ricordate la moglie di Mario Chiesa che va a vuotare il sacco? Ruby esplode nel 2014». Perché il pm Gaglio, nella requisitoria, ha paragonato Karima alla moglie dell’ex presidente del Pio Albergo Trivulzio (il cui arresto diede il via a Tangentopoli)? Perché Karima «esplose» quando scoprì «il tradimento» di Risso. Nei messaggi di quel periodo agli atti delle indagini non faceva «che ripetere che nulla era stato intestato», ma i soldi investiti in Messico «erano suoi». O meglio, secondo, l’accusa, versati da Silvio Berlusconi attraverso l’allora compagno Risso (accusato di riciclaggio). Denaro, secondo le indagini, passato per Francoforte e Lugano. «C’è la prova di un bonifico da 300 mila euro che ha come beneficiario Luca Risso», ha detto Gaglio spiegando che tra dicembre 2013 e gennaio 2014 il telefono cellulare di Risso agganciò più volte la cella telefonica di Arcore.
Ruby ter, la pm Siciliano su Berlusconi: "Ad Arcore violenza grave, ragazze come odalische offerte al sultano". La Repubblica il 18 maggio 2022.
Battute finali del processo, le indagini chiuse nel 2015. La procuratrice aggiunta: "Dal Cavaliere violenza orribile contro le donne, è fatto storico che ospitasse schiave sessuali. Da potente amico di Putin ora è grande anziano". La difesa: "Parole di cattivo gusto".
Ci sono voluti 8 anni per arrivare alla prima sentenza del caso Ruby ter, allora l'imputato Silvio Berlusconi era "un uomo che poteva avere il mondo ai suoi piedi", un presidente del Consiglio che "si accompagnava con amicizie come quella con Putin che sta mettendo in ginocchio il mondo", ma "oggi è un grande anziano, malato, perché le certificazioni prodotte mostrano un quadro di patologie. Se un processo può arrivare ad una pronuncia di primo grado dopo 8 anni vuol dire che il sistema ha fallito. Senza scappatoie. E non diamo la colpa ai magistrati, perché questi magistrati hanno sempre cercato di portare avanti il processo".
A dirlo è il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano iniziando la sua requisitoria nel processo sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, tra cui una ventina di ex ospiti delle serate di Arcore e la stessa Karima El Mahroug che sarebbero state 'stipendiate' con versamenti e regalie per portare nei processi sul caso Ruby la versione delle "cene eleganti". Le indagini si chiusero nel 2015. Intorno ad Arcore, palazzo Grazioli e villa San Martino succede qualcosa di medioevale, 'Boccaccesco', moralmente discutibile, incredibile", le parole della pm.
Ruby ter, da Berlusconi "sultano nell'harem" a Minetti "cobra": cosa ha detto la pm in aula
"La nostra epoca guarda con ribrezzo a questa violenza orribile perpetrata nei confronti delle donne", ha dtto Siciliano riferendosi in particolare alle deposizioni di Ambra Battilana e Chiara Danese, due delle giovani che assieme a Imane Fadil sono state testimoni chiave dell'accusa per ricostruire le serate del "bunga-bunga" di Arcore in cui, ha aggiunto il pm, Emilio Fede "le offriva al Sultano", ossia Berlusconi, "a completamento dell'harem specificando 'mangia dal mio piatto'". Una frase che sembra un riferimento a quello che l'ex moglie di Berlusconi, Veronica Lario, disse nel 2009: "Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido: quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere".
I reati contestati a vario titolo sono corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. "Credo che la parola passata nella mente di tutti oggi sia la parola finalmente - ha aggiunto Siciliano - . C'è un elemento positivo nella parola finalmente, un'attesa agognata. Io sono fuori dal coro questa mattina, non riesco ad esprimere una reale soddisfazione". Siciliano ha chiesto ai giudici di "revocare l'ordinanza che avete emesso o in via subordinata una modifica" dell'ordinanza che riguarda la posizione delle 'olgettine'. Nella sua requisitoria - che si concluderà nella prossima udienza in calendario il 25 maggio - la pubblica accusa ricorda "il grande colpo di scena" del processo: "è stato il 3 novembre 2021, quando il tribunale con un'ordinanza di riserva" - su una richiesta (del 2019) avanzata dalla difesa del leader di Forza Italia - ha sollevato "un profilo di inutilizzabilità delle posizioni testimoniali" delle teste. In sintesi per i giudici le olgettine ai tempi dovevano essere sentite come indagate e non come testimoni, quindi le affermazioni messe a verbale non potranno essere utilizzate nel processo.
Per Tiziana Siciliano "la domanda è un'altra: queste signore avevano davvero la posizione di indagate sostanziale? Io c'ero e so come sono andate le cose, ho la profonda convinzione di aver agito correttamente. Quali elementi noi potevamo avere per iscrivere e chi che non avevano neanche un'operazioncina sospetta, una sos, non c'era niente. Su cosa avremmo dovuto iscriverle?".
Siciliano ha anche detto che non ha voluto pronunciare in aula la parola "vecchio, per non suscitare reazioni incontrollate", com'era avvenuta in un'altra fase del dibattimento. Per l'ex premier si prova "tenerezza per una persona anziana che sembra inseguire la giovinezza, ma forse ha solo paura della morte", ha chiarito l'aggiunto Siciliano. Che ha continuato dicendo che l'allora presidente del Consiglio "ospitava un gruppo di odalische, schiave sessuali che a pagamento lo divertivano, allietavano le sue serate". "Indipendentemente da quelle che saranno le vostre valutazioni questo fatto ci è già sfuggito ed è già consegnato alla storia. Il presidente del Consiglio usava sistematicamente allietare le proprie serate a casa propria con gruppi di odalische, schiave sessuali a pagamento, che lo divertivano e alcune trascorrevano con lui la notte", ha detto.
Ragazze che, ha aggiunto Siciliano, "lo divertivano, trascorrevano alcune la notte con lui e questi fatti, chiusi con sentenza passata in giudicato, sono stati cristallizzati come fatto storico: l'attività di un consolidato sistema prostitutivo". E il "dato inoppugnabile è che le due sentenze passate in giudicato entrano a far parte del processo di cui trattiamo". Prima Siciliano aveva affermato che nel caso Ruby ter si sta processando un uomo che è stato "alla Presidenza del Consiglio", tra le persone "più ricche del mondo", che "aveva il potere di modificare lo Stato" e che oggi invece "è un grande anziano malato", di cui "conosciamo la vita privata perché di interesse giornalistico e guardiamo a questo con tenerezza e compassione". E dall'altra parte "processiamo un gruppo di donne la cui caratteristica principale, causativa dei guai, è la bellezza, ormai passata, all'epoca erano molto giovani". Il procuratore aggiunto ha esordito nella requisitoria (che si chiuderà il 25 maggio) così: "Pensavo, venendo in macchina, che se ci fosse una sorta di lettore del pensiero la parola statisticamente stamani più passata nelle menti di chiunque, dai giornalisti al personale di sorveglianza e agli avvocati, è 'finalmente' che contiene soddisfazione, l'elemento positivo della conclusione". E ancora: "Io devo dire che sono fuori dal coro, non riesco ad esprimere una reale soddisfazione, è stato un impegno faticoso in questi anni, lavorativo e psicologico, ma non posso dire finalmente perché se un processo può arrivare alla pronuncia di primo grado dopo 8 anni vuol dire che il sistema ha fallito".
"Le prove della corruzione sono state trovate. Questo è un working in progress: adesso sappiamo tutto, anche più di quello che serve, è incredibile", ma non è stato sempre semplice mettere in fila gli elementi contro "questo gruppo di compiacenti soggetti che ruotavano intorno all'ex premier e ricevevano utiità", ha detto ancora Siciliano. A dare 'forza' all'accusa il sequestro di alcuni telefonini degli indagati che hanno restituito "fotografie, screenshot, messaggi vecchi: un materiale probatorio incontaminato che era a nostra disposizione per la prima volte". Ma anche "documentazioni bancarie che non c'erano" e che hanno "costruito una solida base documentale di quelli che prima erano soltanto dei sospetti con qualche aggancio indiziario".
Iris Berardi e Ruby sono "incontenibili, di loro Berlusconi non si fida", ha sostenuto Siciliano. E' per questo motivo che entrambe sarebbero state tenute lontane dalla villa del Cav, con "I dopocena di Arcore che sono un modo di dire acquisito nella storia". Ruby "è incontenibile, Karima è una bambina improvvisamente scaraventata nel mondo dei balocchi, che gira con mazzette di soldi, e che parla, parla, parla. Puoi anche coprirla d'oro ma una così non la tieni", aggiunge la pubblica accusa che ricorda come per una vacanza di una settimana alle Maldive avrebbe speso 56mila euro. Per la pm Siciliano - la tesi dell'accusa è che Berlusconi avrebbe pagato il silenzio delle olgettine - "gli elementi forti contro le false testimonianza sono contenuti nelle sentenze e riscontri certamente di carattere documentale".
Ruby ter, i legali di Berlusconi: "Dai pm epiteti di cattivo gusto"
"Ci siamo abituati a questa non particolarmente ricca e unidirezionale attribuzione di epiteti al dottor Berlusconi, non condivido questa scelta, credo che si possa avere un'opinione diversa senza arrivare a queste forme di esternazione che rischiano di scivolare nel cattivo gusto". Lo ha spiegato ai cronisti, in una pausa dell'udienza, il legale del leader di FI, l'avvocato Federico Cecconi, facendo riferimento alle espressioni, come "Sultano", "grande anziano" o "schiave sessuali", usate dai pm nella requisitoria del caso Ruby ter per descrivere l'ex premier e le serate di Arcore.
"Non sono sorpreso, non ci aspettavamo né rose né tavole imbandite né cioccolatini", ha chiarito il difensore, che ha voluto ricordare, però, che "quel processo", ossia il caso Ruby, che "Berlusconi ha avuto in un momento particolare della sua vita politica si è risolto in modo definitivo con una assoluzione".
Monica Serra per “la Stampa” il 19 maggio 2022.
Lo ha definito «un sultano nel suo harem». «Un uomo ricchissimo e potente, un presidente del Consiglio che usava accompagnarsi con amici come Putin, che ora sta mettendo in ginocchio il mondo». Ha sottolineato la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano: «Oggi Silvio Berlusconi è solo un grande anziano malato, con una serie di patologie certificate che hanno fatto accumulare rinvii su rinvii a questo processo. Ma all'epoca poteva avere tutti ai suoi piedi. E a casa sua ospitava gruppi di odalische, schiave del sesso a pagamento che allietavano le sue serate».
Fatti, questi, che «sono già stati consegnati alla storia da sentenze passate in giudicato», ha spiegato nella sua requisitoria la pm davanti ai giudici che dovranno decidere se condannare Berlusconi (e gli altri ventotto imputati del processo Ruby Ter) per corruzione in atti giudiziari, cioè per aver pagato con «denaro, case, auto, cavalli, e tutto quello che la merceologia umana può immaginare» il silenzio dei testimoni negli altri processi Ruby.
«Se un processo arriva a sentenza dopo otto anni, qualcosa nel sistema non ha funzionato», riflette la pm Siciliano in un discorso che prelude alle richieste di condanna attese mercoledì, nella prossima udienza. In ogni caso «quel che all'epoca si consumava tra Arcore, palazzo Grazioli, villa Certosa era qualcosa di medievale, boccaccesco, moralmente discutibile incredibile».
«Violenze orribili che la nostra epoca guarda con ribrezzo, a danno di ragazze molto giovani, anche minorenni, spesso senza una struttura, una famiglia solida, senza gli strumenti per tutelarsi da predatori di ogni genere. Forse perché sono una mamma - sottolinea la pm - sento e so che la giovinezza va protetta».
Parole e toni forti, che il difensore del leader di Forza Italia, Federico Cecconi, al termine dell'udienza, definisce «esternazioni a cui siamo abituati che rischiano di scivolare nel cattivo gusto». Facendo notare che il processo Ruby «si è concluso con un'assoluzione».
A supporto dell'accusa, sostiene la pm, «oggi però ci sono fotografie, screenshot, messaggi, uno sconfinato materiale probatorio che nessuno aveva analizzato prima. Oltre alla documentazione bancaria che riempie di significato ciò che erano solo sospetti».
E ad altri «elementi oggettivi», come i termini usati dalle ragazze che partecipavano al «Bunga bunga» nelle loro testimonianze, sempre uguali: «Tutte definivano le serate a casa dell'ex premier come normalissime, conviviali. Segno che qualcuno aveva scelto quelle parole a tavolino».
Poi ci sono i bonifici, i regali, le case, «dazioni di denaro che, come evidenzieremo, hanno una causale lecita», sostiene la difesa. Un punto che però - ancora prima delle repliche - il pm Luca Gaglio prova a smontare davanti al collegio presieduto dal giudice Marco Tremolada: «Gli avvocati sostengono che i pagamenti siano stati fatti per una sorta di perdita di chance delle ragazze, in seguito allo scandalo Ruby, che fermò le loro carriere. Ma dimenticano che quelle giovani non lavoravano neanche prima e non lavorano adesso: sono state pagate perché non hanno detto la verità».
I pm si concentrano a lungo sulla figura di Imane Fadil, la cui testimonianza è stata direttamente acquisita nel processo perché la modella è morta nel 2019 a causa di una rara malattia, all'inizio un giallo su cui la procura aveva aperto un fascicolo d'indagine, poi archiviato.
«Era una ragazza bellissima e davvero ferita, che era stata stritolata da questo sistema. Aveva paura perché aveva percepito quanto il giro che l'ha accompagnata fino alla morte fosse davvero pericoloso e potente. Imane però aveva un profondo desiderio di giustizia» davanti a questi «reati di gravità straordinaria che feriscono non solo l'amministrazione della giustizia ma - non dobbiamo dimenticarlo mai - anche le persone».
Per questo, secondo i magistrati, questi reati «non si possono spazzare via», come potrebbe accadere in base dell'ordinanza assunta dai giudici a novembre, con cui sono state dichiarate «inutilizzabili» le presunte false testimonianze delle giovani su cui si fonda il processo. Perché, all'epoca, una decina di anni fa, le ragazze hanno reso quelle dichiarazioni da testimoni e non - come secondo il collegio avrebbero dovuto - da indagate. Un'ordinanza che ieri i pm hanno chiesto di revocare. Con una mossa per le difese «tecnicamente impossibile». Decideranno i giudici, al momento della sentenza.
Il pm aggredisce il Cav nel processo Ruby ter. "Frasi di cattivo gusto". Luca Fazzo il 19 Maggio 2022 su Il Giornale.
Dall'accusa attacchi moralistici e personali contro Berlusconi. La protesta della difesa
«Sultano». «Medievale, boccaccesco». «Sistema prostitutivo». Utilizzatore di «odalische», di «schiave sessuali». «Uomo di potere sconfinato». «Amico di Putin, quello che oggi ha messo in ginocchio tutto il mondo». Dall'accusa di avere commesso un reato ci si può difendere. Dai giudizi morali, dagli aggettivi, dalle sferzate non c'è scampo. Per Silvio Berlusconi la requisitoria che la Procura di Milano inizia a pronunciare contro di lui al termine del cosiddetto processo «Ruby ter» resterà forse negli archivi come il punto più aspro dell'attacco giudiziario condotto in questi anni nei suoi confronti. Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto, prende la parola per tirare le fila di un processo interminabile, con il Cavaliere accusato di corruzione in atti giudiziari per avere comprato i silenzi e le bugie delle ragazze ospitate nelle sue feste ad Arcore. Prima promette «non sono qui a esprimere giudizi di disvalore». Poi scarica sull'imputato una lunga serie di contumelie dove è davvero difficile distinguere la ricostruzione giudiziaria dall'attacco etico. E dove entrambi preparano il terreno per chiedere nella prossima udienza, fissata per il 25 maggio, una pena esemplare per il «Sultano». Perché «la nostra epoca guarda con ribrezzo a questa violenza orribile».
È un processo durato un'eternità, otto anni tra apertura delle indagini e requisitoria: «vuol dire che il sistema giudiziario ha fallito», dice la Siciliano; non è colpa dei giudici, dice, ma degli «strumenti inutilmente dilatori» concessi ai difensori. Non è proprio così, anni si sono persi nell'andirivieni di pezzi del fascicolo tra un tribunale e l'altro, disposti da giudici e annullati da altri giudici. La conseguenza è che uno dei reati contestati agli imputati, la falsa testimonianza, è a ridosso della prescrizione. Ma sul processo pesa un'ombra ben più pesante: il «colpo di scena», come la definisce la Siciliano, con cui nel novembre scorso il tribunale ha stabilito che tutte le testimonianze delle «Olgettine» portate in aula dalla Procura come corpo del reato sono affette da «inutilizzabilità assoluta», per il semplice motivo che le fanciulle vennero interrogate come testimoni mentre in realtà la Procura scavava da tempo sul loro conto, al punto di andare a caccia di movimenti sospetti sui loro conti bancari, ma senza iscriverle nel registro degli indagati.
Per il processo potrebbe essere una pietra tombale: sparirebbe l'accusa di falsa testimonianza, e anche quella di corruzione giudiziaria rischia di stare la stessa fine. Così Tiziana Siciliano parte all'attacco, chiede al tribunale di rimangiarsi l'ordinanza, e lancia una sorta di sfida: «Se io ho ritardato apposta l'iscrizione nel registro degli indagati ho fatto una cosa gravissima, denunciatemi al Consiglio superiore della magistratura».
È una sfida che la dice lunga sul valore che la Procura milanese assegna a questo processo, ultima chance di ottenere una condanna a Berlusconi nell'inchiesta sulle sue feste, dopo l'assoluzione con formula piena nel primo filone dalle accuse di prostituzione minorile e concussione. È l'inchiesta che portò alla caduta del suo governo e che è diventata famosa in tutto il mondo: «Ero in vacanza in Sudafrica - racconta il pm - e mi chiedevano del bunga bunga». L'assoluzione del Cavaliere nel troncone principale non turba la Siciliano, «i fatti sono consegnati alla storia indipendentemente dalle nostre valutazioni». I fatti secondo la Procura sono che «a Palazzo Grazioli, a Villa Certosa, a Villa San Martino» accadevano «cose incredibili». E che quando la Procura di Milano è arrivata con le sue indagini, Berlusconi ha comprato a caro prezzo («una si è comprata nove paia di scarpe, significa novemila euro») l'omertà delle sue ospiti. Il pm ammette che su venticinque testimoni cinque hanno detto che Arcore era un «postribolo», e venti hanno negato tutto: ma è alle prime che bisogna credere. E su tutto domina il giudizio morale ed estetico: «Delle ragazze così giovani con due uomini così vecchi. È disturbante». Brontolano i difensori del Cav: «Si scivola nel cattivo gusto».
Ideologia e processi. Augusto Minzolini il 19 Maggio 2022 su Il Giornale.
Anche se si compie uno sforzo per restare pacati è difficile non essere sbalorditi, e magari anche scandalizzati, di fronte alla requisitoria del pubblico ministero contro Silvio Berlusconi nell'ennesimo processo del filone Ruby a Milano.
Anche se si compie uno sforzo per restare pacati è difficile non essere sbalorditi, e magari anche scandalizzati, di fronte alla requisitoria del pubblico ministero contro Silvio Berlusconi nell'ennesimo processo del filone Ruby a Milano, il Ruby ter. Se ci fosse un minimo di onestà intellettuale tutti vedrebbero nei ragionamenti e nel lessico usato l'immagine plastica di come non dovrebbe essere amministrata la giustizia, scorgendone mali e vizi. Un insieme di giudizi etici, di moralismi esasperati che dovrebbero esulare dalla sfera del pubblico ministero che, invece, dovrebbe attenersi all'illustrazione delle prove e dei fatti. Ma visto che prove e fatti, al di là delle leggende metropolitane e del solito carico di intercettazioni e di teoremi piegati ai desideri della pubblica accusa, non ce ne sono, il magistrato ha dovuto fare incetta della retorica e dei luoghi comuni di questi anni riportando le lancette del tempo indietro, agli anni peggiori dell'anti-berlusconismo togato.
Il culmine è stato raggiunto quando ha pronunciato questa frase per rimarcare il potere all'epoca dei fatti del Cav: «Era un uomo che poteva avere il mondo ai suoi piedi che si accompagnava con amicizie come quella con Putin che oggi sta mettendo in ginocchio il mondo». Ora tirare in ballo in un'aula di tribunale l'amicizia tra Berlusconi e Putin, mettendola in relazione con le follie di oggi dello Zar non ha nulla a che vedere con il processo, ma dimostra solamente che la toga in questione ha un «pregiudizio ideologico» verso l'imputato. È un esempio fulgido del meccanismo perverso che ha avvelenato negli ultimi decenni inchieste, processi, procure e Palazzi di Giustizia. È quel virus devastante che porta a processare opinioni, ruoli, idee e a non attenersi alla valutazione delle prove dei reati. È l'interpretazione più iniqua della giustizia quella che ha portato ai tribunali speciali fascisti, ai tribunali del popolo sovietici, ai processi inquinati dalla cappa del maccartismo.
È l'ennesimo caso in cui la politica esercitata con la toga inquina la giustizia. Che cosa c'entra ciò che fa oggi Putin con Ruby? Un processo che già di per sé ha un vizio di fondo, perché nasce da un desiderio di «revanche» della Procura di Milano dopo l'assoluzione di Berlusconi in Cassazione nel Ruby uno (alla sbarra, come nei vecchi regimi, ci sono tutti coloro che hanno testimoniato in suo favore) e che continua ad avere il suo motore nell'avversione ideologica di un pezzo di magistratura verso l'imputato. Quel pubblico ministero, a prendere sul serio le sue parole, potrebbe chiedere l'ergastolo per Alessandro Orsini, il teorico del putinismo nostrano, per un divieto di sosta: lo dice uno come il sottoscritto che è sempre stato dalla parte dell'Ucraina aggredita senza «se» e senza «ma». Solo che tutto ciò non c'entra nulla con il processo in questione. È solo la riprova di quanto sia malato il nostro sistema giudiziario, di come l'indirizzo ideologico di una magistrato (o di una corrente della magistratura) che incrocia il Palazzo o i protagonisti della politica determina le condizioni per cui ci sono sempre dei «garantiti», prevalentemente nel centrosinistra, e dei perseguitati, generalmente di centrodestra. Dopo quarant'anni, diciamocelo francamente, sempre appellandoci all'onestà intellettuale, non se ne può proprio più.
Follie giudiziarie. Augusto Minzolini il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
C'è un limite a tutto, si dice, ma a quanto pare alla follia giudiziaria no.
C'è un limite a tutto, si dice, ma a quanto pare alla follia giudiziaria no. Le richieste della pubblica accusa nell'ennesimo processo Ruby, siamo al ter, sono prive di qualsiasi «ratio», sono un'offesa al buonsenso, a meno che non si interpreti questa operazione - perché di questo si tratta - come un tentativo di «revanche» dei Pm milanesi per salvare la faccia ad inchieste e processi che finora hanno prodotto solo montagne di carta da far concorrenza alla biblioteca di Alessandria ma, nei fatti, si sono rivelati dei buchi nell'acqua.
Soprattutto non si capisce davvero a questo punto chi sia la vittima di questa «soap opera» processuale che va in scena nei tribunali della Repubblica da dieci anni. Sulla carta sarebbe dovuta essere Ruby, ma visto che la presunta vittima non si è prestata al gioco dei Pm, di botto si è ritrovata sul banco degli imputati con una richiesta di condanna di cinque anni corredata anche dalla confisca di 5 milioni. Per azzardare un paragone: negli Stati Uniti, patria del diritto, il procuratore speciale Kenneth Starr nel «caso» di Monica Lewinsky non riuscì ad incriminare Clinton pur avendo dalla sua la testimonianza della vittima. Con il risultato che finì a passeggiare ai giardinetti. Nel nostro Paese - la Repubblica delle procure -, invece, dopo un'assoluzione in Cassazione, si è imbastito un processo per mettere alla sbarra quella che sarebbe dovuta essere la «vittima» dei teoremi dell'accusa e i testimoni della difesa. Il «reato»? Aver testimoniato in favore del Cavaliere. Sì, il grande paradosso del Ruby ter è che nella mente dell'accusa la vera colpa di Silvio Berlusconi è di essere stato assolto in Cassazione nel Ruby uno. Siamo, quindi, oltre ogni logica. Anche la più perversa. E, quando l'intento è assurdo, è naturale che le contraddizioni si moltiplichino. Ad esempio, perché su 26 ragazze chiamate a testimoniare bisogna dare credito a sei che hanno testimoniato (in maniera alquanto nebulosa) che in quelle cene c'era qualcosa di strano e non alle altre venti, dico venti, che hanno detto il contrario?
La ragione è alquanto semplice: c'è una «ratio» politica in questo processo. Come in quelli, su altri temi e per altri reati, che hanno riguardato e riguardano Matteo Salvini, Matteo Renzi e tanti altri. La verità è che da noi il diritto viene piegato alle simpatie ideologiche e alle antipatie personali. I processi si trasformano in arene mediatiche, non si basano sulle norme del diritto ma sugli anatemi etici di qualche toga. È il passato che ritorna. Un anacronismo che rende ancora più chiara, e drammatica, la Storia degli ultimi trent'anni e che ci ricorda come basti poco per rimaterializzare i fantasmi. E ci rende chiaro come le riforme (e i referendum) che un pezzo di magistratura, guarda caso la più politicizzata, osteggia, non solo sono necessarie ma sono un dovere. A cominciare dalla separazione delle carriere tra giudici e Pm: la requisitoria e la richiesta della pubblica accusa nel processo Berlusconi dimostra, infatti, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si tratta di due mestieri diversi, di due vocazioni diverse, di due approcci culturali e mentali al diritto diversi.
«Odalische e schiave del sesso». La requisitoria etica contro il Cav e le donne. Il processo Ruby ter si colora di nuovi giudizi morali. Ad Arcore accadeva qualcosa di «boccaccesco, moralmente discutibile, incredibile», ha detto la pm in aula. Valentina Stella Il Dubbio il 19 maggio 2022.
«Il presidente del Consiglio usava sistematicamente allietare le proprie serate a casa propria con gruppi di odalische, schiave sessuali a pagamento, che lo divertivano e alcune trascorrevano con lui la notte». Sono solo alcune delle espressioni usate oggi dal pubblico ministero Tiziana Siciliano durante la requisitoria nel processo sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati.
I reati contestati a vario titolo sono corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. Tuttavia in alcuni passaggi il pm sembra aver travalicato la stretta requisitoria giudiziaria per avventurarsi nel campo della morale e dell’etica pubblica. Del resto non è la prima volta – e non parliamo certo della dottoressa Siciliano – che assistiamo in un’aula di giustizia al salto dal diritto penale del fatto al diritto penale d’autore, tentando di addebitare colpe e di costruire un quadro accusatorio per quel che si è e non per ciò che si fa, proiettando una luce “fosca” sull’imputato e sulla sua presunta colpa morale.
La pm Siciliano era stata impeccabile, qualche anno fa, quando, nel processo legato al suicidio assistito di Dj Fabo, aveva chiesto con una requisitoria appassionata o l’assoluzione per Marco Cappato, leader dell’Associazione Luca Coscioni, o di investire la Consulta. Oggi invece ha voluto mettere in luce le abitudini private sessuali dell’ex premier e del suo entourage: intorno ad Arcore, palazzo Grazioli e villa San Martino, ha infatti detto la magistrata, è successo qualcosa di medioevale, «boccaccesco, moralmente discutibile, incredibile».
Le ragazze, ha proseguito Siciliano, «lo divertivano, trascorrevano alcune la notte con lui e questi fatti, chiusi con sentenza passata in giudicato, sono stati cristallizzati come fatto storico: l’attività di un consolidato sistema prostitutivo». Il legale del leader di FI, l’avvocato Federico Cecconi, al termine dell’udienza ha così commentato: «Queste forme di esternazione rischiano di scivolare nel cattivo gusto», ricordando che Berlusconi per quei fatti è stato assolto. Non si tratta solo di gusto ma di libertà sessuale.
In questi anni un pezzo di magistratura italiana ha dato l’idea di vivere nella Repubblica di Gilead, lo Stato immaginario de Il Racconto dell’Ancella, il famoso romanzo di Margaret Atwood dove le donne fertili sono asservite agli uomini solo per scopi riproduttivi mentre le altre badano o governano la casa. Si tratta di una sorta di perbenismo e paternalismo istituzionale che nega la libertà di concedere il corpo in modo consapevole. Pensare a queste donne come schiave è sbagliato perché probabilmente stanno esercitando la massima espressione della loro autodeterminazione.
Il processo che dura da otto anni. Processo Ruby Ter, la Pm non ha prove contro Berlusconi e si inventa le “schiave sessuali”. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 19 Maggio 2022.
“Amico di Putin”, l’accusa infamante fiorisce sulla bocca di una pm in un processo in cui non c’entra niente, ma c’entra molto con il bisogno di creare simpatia su di sé e disprezzo sull’imputato. Siamo a Milano, nell’aula del “Ruby-ter”, la pm è Tiziana Siciliano, procuratrice aggiunta e sopravvissuta alle macerie dell’ufficio che fu di Francesco Greco e oggi è presieduto da Marcello Viola. L’imputato è Silvio Berlusconi, che non è accusato di simpatia per il nemico numero uno dei politicamente corretti, ma di corruzione di testimoni. Un reato le cui prove stanno evaporando giorno dopo giorno. Altro che riscossa della Procura di Milano contro il “cavaliere nero”!
La requisitoria della pm Tiziana Siciliano al processo Rubi-ter è costretta a rifugiarsi laddove un magistrato non dovrebbe mai avventurarsi, cioè nella confusione tra il reato e il reo, per convincere il tribunale a condannare l’imputato, insieme a ventotto “complici”, per corruzione in atti giudiziari. Come se la procura in mano non avesse né prove né indizi. Come se dire “sultano” o “grande anziano” o “amico di Putin” e “schiave sessuali” servisse non solo a riempire l’aula di immagini, ma anche a dare a chi la ascolta la visione plastica di una situazione orgiastica da sanzionare nell’aula di un tribunale. Giustamente il difensore di Berlusconi, Federico Cecconi, lamenta il ricorso, da parte dell’accusa, a epiteti volgari e cattivo gusto. E ricorda che il suo assistito è già stato giudicato innocente. Non solo nel processo principale, che non avrebbe mai dovuto esistere, se non nelle fantasie della Procura più ideologica d’Italia e nella pervicacia insistente di Ilda Boccassini, che ne racconta ampiamente nel suo libro, quasi si fosse trattato di un corpo a corpo con il “nemico”. Ma anche nel primo del filone “Rubi-ter”.
La storia di questo processo, che sta arrivando verso il traguardo dopo ben otto anni, avrebbe dovuto essere il momento della rivincita della Procura di Milano, dopo lo smacco subito perché l’ex Presidente del consiglio, spiato, pedinato e controllato nelle sue abitudini e amicizie e infine trascinato in tribunale con l’accusa infamante di prostituzione minorile, era stato assolto in appello e cassazione con formula piena. La pubblica accusa aveva quindi dirottato l’attenzione sulle tante persone che al dibattimento erano andate a testimoniare. Tutti coloro che avevano descritto le cene di Arcore come semplici serate piacevoli tra amici, non solo avevano giurato il falso, secondo la Procura, ma lo avevano fatto perché erano stati corrotti. Il particolare che sfugge sempre ai più, e che viene costantemente tralasciato dalle cronache, è che il “processo Ruby” non riguardava orge e peccati, e neanche un giro di sfruttamento della prostituzione, ma un sospetto di concussione, che il Presidente del consiglio avrebbe esercitato tra un dirigente della questura di Milano, il quale ha sempre negato di essersi sentito in qualche modo costretto, reato che sarà presto accantonato dalla stessa accusa.
Perché il nocciolo politico era un altro: il Presidente del Consiglio andava punito perché era un puttaniere, e tutte le ragazze (a un certo punto chiamate con disprezzo “Olgettine”, dal nome della via dove alcune abitavano) erano prostitute. Il che naturalmente non era vero, ma ce ne era una, la famosa Ruby, che non aveva ancora compiuto diciotto anni, mancavano pochi mesi. E qui arriviamo al secondo reato, quello che arriverà, con l’assoluzione dell’imputato, quello di prostituzione minorile.
Quindi, il centro di tutto questo indagare, quale è? In che cosa avrebbero mentito, per denaro, tutti questi testimoni? L’unica informazione che avrebbero potuto dare per essere considerati sinceri dalla Procura e inguaiare Berlusconi, era quella sull’età di Ruby, e sul fatto che il leader di Forza Italia fosse o meno a conoscenza di avere di fronte una minorenne che si prostituiva. Ammesso che le cose stessero così. Tutto il resto è irrilevante, dal punto di vista processuale. Pure, né la dottoressa Boccassini, né le tre giudici del primo processo, quelle che Berlusconi aveva definite “comuniste e femministe” e che avevano condannato e ora anche la pm Siciliano, hanno avuto la forza di sottrarsi al moralismo e alla tentazione di giudicare l’uomo invece che il reato.
Con sprezzo, a volte con volgarità. Anche le ragazze, nelle parole di ieri di Tiziana Siciliano: “…processiamo un gruppo di donne la cui caratteristica principale, causativa di guai, è la bellezza, ormai passata, all’epoca erano molto giovani”. In realtà, tutto questo circo mediatico-giudiziario finisce con essere solo un diversivo dalla sostanza del processo. Perché negli ultimi mesi sono accaduti due fatti di grande rilevanza. La prima riguarda la clamorosa assoluzione del pianista Danilo Mariani e dello stesso Berlusconi dello stesso reato che si sta giudicando a Milano. La sentenza è stata emessa dal tribunale di Siena, dove una costola dell’inchiesta era stata trasferita per competenza territoriale: “Il fatto non sussiste” . Se l’ex presidente del consiglio non ha corrotto il pianista, perché lo avrebbe fatto con altre persone? Qui si innesta l’altra grande novità dei mesi scorsi, la vera pietra che potrebbe trasformarsi in valanga e travolgere la pubblica accusa portando Berlusconi verso un’altra assoluzione piena.
Qui la relazione tra colleghe si fa esilarante, con la dottoressa Siciliano che lamenta l’eccessiva riservatezza di Ilda Boccassini, che avrebbe tenuto segrete le carte del processo, “il suo fascicolo era blindato”.
Per questa motivo, par di capire, la procura di Milano, pur avendo già compiuto atti investigativi, come per esempio una richiesta di informazioni presso la Banca d’Italia, nei confronti di una serie di persone, non le hai poi interrogate come indagate, quindi con tutte le tutele compresa la presenza di un difensore, ma come testimoni. Svista, ingenuità, colpa della riservatezza di Boccassini? Ora, senza voler accusare nessuno, chiunque abbia pratica di Palazzi di giustizia sa benissimo che questo è un vecchio espediente di tanti procuratori. Lo hanno fatto negli anni del terrorismo, lo hanno ripetuto con tangentopoli. Fatto sta che, di chiunque sia la responsabilità, il tribunale nel novembre scorso ha emesso un’ordinanza per annullare tutte le deposizioni della maggior parte di coloro che erano stati interrogati come testimoni e che sono stati indagati solo in un secondo momento.
La dottoressa Siciliano lancia una provocazione: “Se dovessero emergere elementi che potrebbero far dubitare della correttezza processuale… si vada anche verso un procedimento disciplinare”. E chiede invano la revoca dell’ordinanza. Ma ormai le cose sono andate così. E anche gli uomini e le donne della Procura di Milano dovranno arrendersi al fatto che se, per qualche motivo soggettivo o oggettivo, le regole sono saltate, la cosa non passa più inosservata. L’aria è proprio cambiata.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
La persecuzione. Ruby Ter, perché i giudici hanno chiesto 6 anni per Berlusconi senza alcun reato…Tiziana Maiolo su Il Riformista il 26 Maggio 2022.
Avrebbero richiesto meno per un caso di rapina a mano armata, i procuratore milanesi Tiziana Siciliano e Fabio Gaglio, che vorrebbero Silvio Berlusconi in galera per sei anni, e poi confiscargli dieci milioni di euro, come condanna per corruzione in atti giudiziari nel processo “Ruby ter”. Non va meglio per la stessa Karima El Marhoug, che viene paragonata, in un momento di megalomania del pm, alla moglie di Mario Chiesa, come se, raccontando di qualche serata ad Arcore, avesse fatto scoprire una nuova Tangentopoli: per lei manette per cinque anni. E poi tutti gli altri, a scendere.
Ormai si raschia il barile, e a Milano si celebrano solo processi-spazzatura, anche se con l’arroganza di sempre. Si cerca la rivincita nei confronti di chi, come Berlusconi, è stato assolto nel processo principale da una concussione sempre negata dalla presunta vittima e da un’infamante quanto inesistente prostituzione minorile. E allora la si prende alla larga: se te la sei cavata è solo perché hai avvelenato i pozzi, e ti sei comprato i testimoni. Innocente mai. Per la procura di Milano Silvio Berlusconi è come l’agnello nella favoletta di Fedro. Qualcosa avrà fatto. Ma la vera domanda è: chi è che sta intorbidando le acque della giustizia?
Un processo senza movente e senza prove, che si snoda nello spazio e nel tempo con il numero uno, il bis e il ter, e quest’ultimo a sua volta spezzettato tra Milano, Roma e Siena. Neanche si trattasse di un processo per strage e si attendesse un qualche Spatuzza per un barlume di verità. Intanto otto anni sono già passati, e il Grande Imputato viene continuamente dichiarato non colpevole. E mai è mancata l’evidenza mediatica, legata più all’importanza del personaggio trascinato alla sbarra, che non alla consistenza dei reati. Anche perché Silvio Berlusconi è stato assolto in via definitiva dai due reati che gli erano stati contestati, concussione e prostituzione minorile, ma anche dalla corruzione. Non esiste in questa storia, se non sulla bocca dei pubblici accusatori e dei giornalisti più fanatici, un delitto definito “serate di Arcore” o “bunga bunga”, termine diventato addirittura di rilievo internazionale. Quindi quali sono le verità inconfessabili per le quali occorre pagare per ottenere il silenzio? Certamente non sono reati.
Il succo del processo è tutto qui, ed è il solo punto su cui, a partire dai due pubblici ministeri, la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio, non viene mai fornito un chiarimento che abbia qualche parvenza di razionalità. Berlusconi è accusato di aver corrotto una serie di persone (a loro volta imputate nel processo) perché testimoniassero il falso nell’aula in cui lui doveva rispondere di un reato da cui è stato assolto. E’ stato dichiarato non colpevole da una corte d’appello e da una sezione della cassazione. Altri reati non sono mai entrati in quelle aule di tribunale. Ma la Procura di Milano, che avrebbe la necessità urgente di un ampio esame di coscienza sulla disinvoltura con cui ha applicato il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale in tutti questi anni, a partire da quelli di Tangentopoli, non ha mollato la presa. E neanche la preda. Non potendo, in base al principio del “ne bis in idem”, ricominciare tutto da capo nei confronti del Grande Nemico, quel “cavaliere nero” preso di mira fin da quell’invito a comparire recapitato nel 1994 a Napoli mentre il Presidente del Consiglio presiedeva un incontro internazionale sulla criminalità, ha dirottato le proprie attenzioni sui testimoni. Avrebbero mentito perché sono stati corrotti.
Su che cosa avrebbero mentito? Su quel che “succedeva davvero” in quelle serate ad Arcore. Ma che cosa succedeva davvero? Sesso droga e rock and roll? Prostituzione? Bunga bunga? Nessuno lo dice mai, come se ci trovassimo ogni volta davanti alla Santa Inquisizione, quella che giudica e sanziona i peccati. Tra l’altro, la conoscete la barzelletta del “bunga bunga”? Due uomini vengono sequestrati da un gruppo di guerriglieri in un paese africano. Viene loro lasciata un’opzione: la morte o il bunga bunga. Il primo sceglie la seconda via e viene sodomizzato, l’altro preferisce la morte, ma il capo dei guerriglieri gli dice: ok, ma prima un po’ di bunga bunga.
È una storiella che qualcuno ha raccontato una sera, poi Berlusconi l’ha rivisitata e ha dato ai due sequestrati le sembianze e l’identità di due esponenti politici di Forza Italia, e tutti a ridere. Se non esiste il reato di barzelletta, neanche se è un po’ stupidina, non esiste neppure quello di prostituzione, e men che meno quello di elargizione di denaro o di mantenimento. Silvio Berlusconi, con grande generosità, ha aiutato una serie di persone, in gran parte ragazze che venivano invitate alle sue cene, con un contributo economico, quasi a titolo di risarcimento per le occasione di lavoro mancate e la reputazione finita nella polvere proprio per il processo. Lo ha fatto in modo chiaro e legale, quasi plateale, non certo con mancette passate sottobanco.
Il pubblico ministero Luca Gaglio ha un’altra visione delle cose, e ieri ha usato la mano pesante: “Emerge in modo chiaro che viene assicurato alle ragazze che sarebbero state ‘a posto’ con un reddito base mensile di 2.500 euro e di avere un tetto, una casa un alloggio”. E quindi? E quindi il gesto avrebbe avuto il fine di garantire il loro silenzio su “quel che succedeva”. Ma in quale reato consistesse quel che succedeva, una volta di più viene taciuto. Le testimoni sarebbero state aiutate economicamente “per rendere false testimonianze, per mentire in tribunale e non lasciare dichiarazioni ai media in senso contrario”. Come già la procuratrice Siciliano, che nella prima parte della requisitoria aveva descritto queste ragazze come persone insignificanti se non per la loro bellezza, del resto ormai tramontata, aveva aggiunto con perfidia tutta femminile, anche il pm Gaglio le tratta con sprezzo come capricciose e avide. Volevano la casa nella zona più bella di Milano, per esempio.
Ma gli esponenti della Procura sanno benissimo di aver commesso un errore procedurale ormai irreparabile, dopo l’ordinanza del tribunale del novembre scorso. Perché le hanno convocate come testi (obbligate a dire la verità e senza l’assistenza del difensore), pur dopo aver compiuto quegli atti d’indagine che avrebbero necessitato una loro iscrizione nel registro degli indagati e di conseguenza l’obbligo di interrogarle in quella veste e con tutte le garanzie del caso. C’è poco da giudicare la loro moralità o la loro avidità, quindi. C’è poco da mettersi in cattedra. Ma forse sarebbe opportuno che questi “procuratori che sbagliano”, dovessero ogni tanto rispondere a qualcuno. Ma loro sono innocenti a prescindere. Al contrario di Berlusconi, che ai loro occhi deve quanto meno esser nato già colpevole.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Vittorio Feltri rivela tutto: "Vi racconto le mie cene eleganti ad Arcore". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 30 maggio 2022.
Venerdì il Corriere della Sera ha intervistato Carlo Rossella, noto giornalista, già direttore di Panorama, del Tg1 e della Stampa di Torino. Come mai ha sentito il bisogno di interrogarlo? Il Tribunale che si occupa di Ruby ter, un processo grottesco in corso di svolgimento, ha chiesto tramite il Pm non solo di condannare Silvio Berlusconi a sei annidi galera per motivi francamente oscuri, ma di mettere al gabbio due anni anche il povero Rossella per falsa testimonianza. In pratica avrebbe mentito sulle famigerate cene eleganti che avevano luogo ad Arcore nella magione del Cavaliere. Le sue bugie erano tese, secondo la pubblica accusa, a coprire le porcherie attribuite al leader di Forza Italia. Contro il quale vi sono imputazioni gastrosessuali ridicole: egli avrebbe organizzato in casa sua convegni carnali durante i quali ne succedevano di tutti i colori con ragazze addirittura minorenni.
PRESUNTO IMPOSTORE Accuse infondate che però hanno trovato credito presso la magistratura, notoriamente non simpatizzante dell'ex presidente del Consiglio. Cosicché la pratica giudiziaria prosegue da decenni senza mai concludersi definitivamente. Ma questo dettaglio è risaputo e non stupisce. Sorprende invece che il mio collega e amico Rossella venga coinvolto quale presunto impostore, avendo egli partecipato alle serate di Villa San Martino, senza confessare la deriva erotica. Di qui la falsa testimonianza attribuitagli. Ora anche io in tutta sincerità devo ammettere di aver preso parte varie volte ai banchetti serali organizzati da Silvio, durante i quali, forse perché sono di Bergamo e quindi un po' tonto, non ho mai assistito a qualcosa di piccante. Come penso che anche Carlo non abbia mai visto scene porno, altrimenti me ne avrebbe parlato visto che siamo in confidenza da decenni.
Io stesso se nel salone berlusconiano fosse accaduto qualcosa di speciale, per esempio una fanciulla nuda al posto del dessert, me ne sarei accorto nonostante la mia vista deficitaria. Rossella ha sempre dichiarato di essere stato talvolta ospite del Cavaliere e di non aver verificato episodi degni di nota. Allora chiedo alle toghe di interrogare anche me sulle vicende pruriginose, giurerò di dire la verità e spiegherò cosa accadeva nel vano delle feste.
NIENTE DI SCABROSO Numero complessivo degli invitati, una ventina, quasi tutti maschi, non più di cinque signore, due o tre potabili. La tavolata era apparecchiata come Dio comanda, veniva servito un piatto di pasta tricolore, in omaggio alla bandiera patria, bianca, rossa al pomodoro, verde al prezzemolo. Seguiva un secondo di carne, poi arrivava un dolcetto. Un pianista e un cantante interpretavano motivetti leggeri, alcuni gradevoli. Io a un certo punto mi alzavo e andavo in salotto a telefonare e a bere qualcosa. Una sera Berlusconi, prima di dare il via al desinare, tenne in giardino un discorsetto spiritoso per dire che le donne gli piacevano quanto a me. Risatina finale. Fu l'unica volta che parlò di sesso, e lo fece senza volgarità. Immagino che la esperienza di Carlo non sia stata diversa dalla mia in quel di Arcore. Lasciatelo stare. Non torcetegli neanche un capello. Massacrate pure il Cavaliere, che è abituato alle ingiustizie.
Erano "donne libere". Sgarbi e i ‘bunga bunga’ di Berlusconi: “Sempre presente, mai visto schiave ma i pm non vogliono ascoltarmi, hanno paura”. Redazione su Il Riformista il 26 Maggio 2022.
“Sono stato a tutti i bunga bunga e non ho mai visto schiave”. A parlare in un video diffuso sui social è Vittorio Sgarbi, onorevole e critico d’arte che interviene sulla richiesta di condanna, a 6 anni, a Silvio Berlusconi nell’ambito del processo Ruby Ter dove il leader di Forza Italia è imputato per corruzione in atti giudiziari. “Mi viene un sospetto. Ovvero che i magistrati non abbiano convenienza a sentirmi. È un’accusa la mia. Io sono pronto a dire tutta la verità: tutto quello che ho visto e non corrisponde in alcun modo al contenuto della requisitoria contro Berlusconi. Forse non è conveniente sentirmi”.
Poi incalza: “C’è qualcosa di inaccettabile in questa esclusione di un testimone chiave, che è stato a tutti i bunga bunga, che ha visto quello che vorrebbe dire e non corrisponde a questa ricostruzione. Non ho mai visto schiave. Solo donne libere. Sono pronto a giurarlo per la testimonianza che voglio dare in verità rispetto a questo caso. Forse non c’è convenienza a sentirmi”.
Ieri la Procura di Milano, attraverso il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio nella loro requisitoria, ha chiesto 28 condanne e una assoluzione nel processo Ruby Ter che vede imputati l’ex presidente del Consiglio e altre 28 persone, tra cui una ventina delle cosiddette ‘ex olgettine‘ che partecipavano alle serate organizzate nella villa di Arcore e che, sempre secondo l’accusa, sarebbero state pagate per dire il falso nel corso del processo.
Chiesti cinque anni di reclusione per Karima El Mahroug, detta Ruby, accusata di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari. Ci sono elementi e prove, aveva spiegato il pm nella lunga requisitoria, “che dimostrano che già dal 2011”, prima che le giovani testimoniassero in aula, “esisteva un accordo corruttivo” tra l’ex premier e le ragazze “volto ad ottenere le false testimonianze di tutte le testimoni dei Ruby 1 e 2”.
Da ilsussidiario.net il 23 maggio 2022.
«Pensavo che il mio silenzio facesse finire il fango da parte di testate giornalistiche, di persone che mi fanno vivere delle situazioni abbastanza brutte». Per questo Patrizia D’Addario ha deciso di farsi intervistare da Massimo Giletti a Non è l’Arena.
Ha voluto raccontare la sua verità, a distanza di tempo dallo scandalo escort: «Solo questa settimana ho ricevuto tre telefonate dal mio avvocato che mi dice che la mia immagine è sui giornali… Se accosti la mia foto al presidente Berlusconi e a ragazze che devono subire un processo per falsa testimonianza, come posso dimenticare… Io ho sempre detto la verità. Io piango tutti i giorni… Vorrei combattere contro le ingiustizie che ancora subisco».
Patrizia D’Addario ha fatto anche una confessione: «Ho tentato il suicidio e la notizia è passata in sordina. Ero uscita dal tribunale, ero stanca… Ho ingerito delle pillole, tantissime. Erano pillole per la tiroide, perché ne soffro… Mi auguravo di morire». Ma ora Patrizia D’Addario vuole combattere: «Continuo a combattere o mi porterò la verità con me nella tomba». Riguardo il suo incontro con Silvio Berlusconi: «Sono andata lì perché avevo un problema, una pratica edilizia… Quando sono arrivata lì mi ha chiesto di cosa mi occupassi e gli spiegai che avevo un cantiere aperto e che avevo subito una truffa». Il primo incontro finì con lei che andò via perché non voleva partecipare ad un’orgia. Ma poi ci fu un secondo incontro.
«Io avevo uno stalker in quel periodo, il mio ex compagno, che ho denunciato innumerevoli volte. Mi massacrava di botte, minacciava la mia famiglia». Inoltre, Patrizia D’Addario ha voluto fare una precisazione riguardo una dichiarazione ad Annozero: «Fui costretta a prostituirmi dall’uomo con cui stavo. Credo che sia arrivato il momento di precisarla, visto che ho subito una serie di manipolazioni a riguardo. Lui sapeva della mia sofferenza, del mio stalker. Non mi fu dato modo di precisare».
Quelle registrazioni che aveva raccolto, e che ha consegnato ai magistrati, non servivano per fare dei ricatti: «Non ho mai ricevuto soldi e chiesto favori, il mio avvocato risolse la pratica… Non è mai venuto nessuno sul mio cantiere, anzi sta cadendo a pezzi. Non ho avuto nessun tipo di raccomandazione né soldi. Ho dovuto pagare le spese legali. Sono stata sbattuta nei tribunali per difendermi dalle diffamazioni, ho trascorso 13 anni così».
Poi Patrizia D’Addario ha svelato un altro retroscena: «Mi fece una promessa sul suicidio di mio padre… Hanno sequestrato tutto le banche, sono rientrata e mi sono trovata una situazione bruttissima. Quindi, ho preso in mano tutto, anche i debiti. Con i risparmi ho tolti i debiti e volevo terminare questo cantiere… Sono venuti tutti gli ingegneri d’Italia, più che aiutarmi pensano di saltarmi addosso e che sono quella descritta per anni».
Patrizia D’Addario torna in tv per raccontare la sua verità. La donna, protagonista delle “cene eleganti” nella villa di Arcore dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è ospite oggi di Non è l’Arena di Massimo Giletti. «Ho denunciato questo mio ex compagno, ed è finito in carcere, perché mi faceva violenza privata, per sfruttamento della prostituzione, minacciava i miei familiari. All’epoca ero pure mamma», sono alcune delle dichiarazioni che il programma di La7 ha anticipato.
Dunque, Patrizia D’Addario precisa di essere stata costretta a fare l’escort: «Non mi è stato modo di precisare ed è diventato un marchio indelebile. Se uno denuncia, non vuole fare certe cose, è la vittima. Io invece sono diventata il contrario». Patrizia D’Addario è stata tra le donne che hanno partecipato alle notti che hanno fatto scandalo di Silvio Berlusconi e che sono diventate oggetto di inchieste e processi ancora in corso. In particolare, è stata la prima a rivelare quello che succedeva in quelle notti.
Peraltro, Patrizia D’Addario non ha ottenuto alcun risarcimento, dichiarando inammissibile il suo ricorso. Nell’ottobre scorso, dopo dodici anni, la Corte di Cassazione ha messo fine al processo Escort, relativo alle 26 donne portate nel 2008 nelle residenze di Silvio Berlusconi da Gianpaolo Tarantini.
Anzi, lei è stata condannata a pagare 3mila euro di spese legali. Invece Gianpaolo Tarantini è stato condannato a due anni e dieci mesi. La donna raccontò di essere fuggita dal letto dell’allora premier per evitare un’orgia con lui e altre tre ragazze, riferì di donne che partecipavano alle cene eleganti senza avere gli slip e parlò di una sala da pranzo «allestita con le farfalle che erano dappertutto, sulle bottiglie, sui tovaglioli, sui lampadari. Mi spiegarono che erano il simbolo della parte più intima delle donne».
Quando il gruppo si trovò nella camera da letto del Cavaliere, cominciarono delle carezze. «Ho sentito che mi accarezzavano in un posto in cui non dovevano. Siccome io un’orgia non l’ho mai fatta, sono corsa in bagno perché volevo andare via. Berlusconi mi ha raggiunto e mi ha calmato perché aveva capito che avevo problemi». Era il 26 ottobre 2008. Il 4 novembre 2008 Patrizia D’Addario tornò a Palazzo Grazioli su richiesta di Berlusconi e Tarantini. «Berlusconi mi portò nella sua camera da letto, mi mostrò il letto che gli aveva regalato Putin. Avemmo rapporti sessuali, chiacchierammo e lui mi dedicò poesie».
Il 12 giugno si vota. Arriva “puntuale” la richiesta di condanna per Silvio Berlusconi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 25 Maggio 2022.
Il leader di Forza Italia, processato per concussione e prostituzione minorile, è stato assolto in via definitiva per quei reati. Da quel procedimento è stato aperto un fascicolo sulla ipotizzata corruzione delle ragazze presenti alle feste – compresa Ruby per la quale la procura ha chiesto una condanna a 5 anni – affinchè sostenessero la versione delle “cene eleganti”.
La procura di Milano nel secondo giorno di requisitoria ha chiesto una condanna a 6 anni per Silvio Berlusconi nell’ambito del processo “Ruby ter” al termine del processo che vede imputati l’ex premier e altri 28 imputati, tra cui una ventina di cosiddette ex “Olgettine, ex ospiti alle serate di Arcore che secondo l’ipotesi accusatorie, sarebbero state retribuire, per testimoniare il falso nei processi sul caso di Karima El Mahroug, meglio nota come “Ruby” l’allora 18enne marocchina, ospite tra le altre della residenza dell’ex presidente del Consiglio quando era ancora minorenne. La sentenza arriverà non prima di settembre.
La procura di Milano nel secondo giorno di requisitoria ha chiesto una condanna a 6 anni per Silvio Berlusconi nell’ambito del processo “Ruby ter” al termine del processo che vede imputati l’ex premier e altri 28 imputati, tra cui una ventina di cosiddette ex “Olgettine, ex ospiti alle serate di Arcore che secondo l’ipotesi accusatorie, sarebbero state retribuire, per testimoniare il falso nei processi sul caso di Karima El Mahroug, meglio nota come “Ruby” l’allora 18enne marocchina, ospite tra le altre della residenza dell’ex presidente del Consiglio quando era ancora minorenne.
Il leader di Forza Italia, processato per concussione e prostituzione minorile, è stato assolto in via definitiva per quei reati. Da quel procedimento è stato aperto un fascicolo sulla ipotizzata corruzione delle ragazze presenti alle feste – compresa Ruby per la quale la procura ha chiesto una condanna a 5 anni – affinchè sostenessero la versione delle “cene eleganti”.
Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, ed il pm Luca Gaglio titolare del procedimento, hanno chiesto in totale 28 condanne . Tra le richieste quella di condannare Maria Rosaria Rossi, senatrice ed ex assistente del Cavaliere, a 1 anno e 4 mesi per “falsa testimonianza“, accusa contestata anche al giornalista Carlo Rossella per il quale sono stati chiesti 2 anni. 4 anni di condanna sono stati chiesti per la showgirl Francesca Cipriani, Condanne richieste fino a 5 anni per venti ragazze, ex ospiti delle serate di Arcore, il cui “silenzio” testimoniale sarebbe stato remunerato da Berlusconi. Chiesti 6 anni e 6 mesi per Luca Risso. Da assolvere, per i pm, solo Luca Pedrini ex assistente di Nicole Minetti.
Queste le richieste di condanna formulate dall’ accusa: 3 anni e mezzo e 88 mila euro per Ioana Amarghiolalei , 3 anni e mezzo, 95 mila euro per Lisney Barizonte , 4 anni, 147,7 mila euro per Iris Berardi , 4 anni, 147,5 mila euro Concetta De Vivo, 4 anni, 130,5 mila euro per Eleonora De Vivo, 4 anni, 105 mila euro per Aris Espinosa per la quale si è prescritta la falsa testimonianza e chiesta assoluzione per un’imputazione di induzione alla prostituzione, 4 anni, 183 mila euro Barbara Faggioli, 4 anni, 114 mila euro per Manuela Ferrera, 4 anni, 97 mila euro per Marianna Ferrera, 5 anni, 269,8 mila euro per Marysthell Polanco, 5 anni, 237,5 mila euro per Barbara Guerra, 134 mila euro per Miriam Loddo, 3 anni e 4 mesi, 30 mila euro per Giovanna Rigato, 4 anni, 109 mila euro per Raissa Skorkina , 5 anni, 367,5 mila euro per Alessandra Sorcinelli, 3 anni e 4 mesi, 155,8 mila euro per Elisa Toti, 4 anni, 90 mila eur per Silvia Trevaini e 3 anni e mezzo, 85 mila euro per Iona Visan. Per le restanti posizioni a cui è contestata solo la falsa testimonianza, 1 anno e 8 mesi per Simonetta Losi, 1 anno e 8 mesi per Giorgio Puricelli. Per l’avvocato Luca Giuliante, ex legale di Ruby, chiesti 4 anni per corruzione in atti giudiziari.
L’accusa ha chiesto la confisca di 5 milioni di euro a Ruby e 10 per l’ex premier. L’accusa ha chiesto in totale la confisca di 22 milioni di euro: ci sono anche quelle per un totale di circa 2,7 milioni di euro a carico della ventina di ragazze, ex ospiti delle serate ad Arcore. I pm hanno anche chiesto di confiscare quattro immobili, tra cui le due ville da un milione di euro a Bernareggio, nel Milanese, messe a disposizione di Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli da parte dell’ex premier. I pm hanno chiesto anche ai giudici di applicare con la sentenza sequestri preventivi su tutte le somme e i beni che hanno chiesto di confiscare.
Karima El Mahroug ovvero Ruby Rubacuori sarebbe stata pagata dal leader di Forza Itala. La 18enne marocchina, spacciata per la nipote dell’ex presidente egiziano Mubarak, spendeva “centinaia di migliaia di euro che … le venivano consegnate, tramite il suo legale Luca Giuliante, da Berlusconi; lei più di così non poteva spendere, più di così c’era solo buttare i soldi dalla finestra. Soffre in quel periodo di una vera e propria compulsione a spendere”. Il pm Luca Gaglio ha evidenziato diverse delle prove già agli atti sul ritmo di spesa di Ruby tra cui “i taxi da Genova a Milano, ristoranti e gli alberghi di lusso, dove spendeva anche 1.400 euro in una notte, gli champagne più costosi anche con le scritte fluorescenti”. Secondo il pm Karima El Mahroug, in quel periodo “è come le persone che vincono la lotteria e prima spendono, spendono, poi arriva la depressione e anche il rischio suicidio è alto. Karima era inaffidabile – ha aggiunto ancora il pubblico ministero – e il progetto era non farla testimoniare ed è stata fatta volare via per non farla testimoniare” in particolare nel periodo tra dicembre 2012 e gennaio 2013, cioè quando avrebbe dovuto deporre nel processo Ruby 1 nel quale però Berlusconi è stato successivamente “assolto” in via definitiva., Il pm ha spiegato che “ Ruby si incontrò con Maria Rosaria Rossi”, la senatrice, per un lungo periodo segretaria particolare del Cavaliere e imputata anche lei, “e ricevette i soldi per andare in Messico“, assieme all’allora fidanzato, anche lui imputato Luca Risso, il quale però lo scorso 30 marzo scorso ha dichiarato in aula di non aver mai ricevuto soldi né da Berlusconi né dalla sua ex compagna Ruby.
In udienza è stato affrontato anche il ruolo delle delle “Olgettine”. “A queste ragazze è stato assicurato che sarebbero state a posto sia come reddito, con un mensile da 2.500 euro, per un tetto, una casa, un alloggio . Ci sono elementi e prove che dimostrano che già dal 2011 “esisteva un accordo corruttivo” tra l’ex premier e le ragazze prima che le giovani andassero a testimoniare in aula, ha affermato il pm Gaglio “volto ad ottenere le false testimonianze di tutte le testimoni dei Ruby 1 e 2”. Le giovani ragazze secondo l’accusa venivano “pagate anche per rendere interviste ai media non diverse da quelle in tribunale”.
“Vi è stato un accordo per le false testimonianze e si deve comprendere nel pacchetto anche la soluzione aggiuntiva di non rilasciare interviste ai media in senso contrario a quelle rese davanti ai giudici” secondo l’accusa. La tesi contrapposta dal collegio di difesa, tende a dimostrare che le ragazze sarebbero state risarcite per la loro reputazione compromessa dopo lo scandalo delle serate a Villa San Martino. Per la Procura di Milano , invece, l’accordo corruttivo fu stretto “embrionalmente” nel gennaio 2011 con l’ormai nota riunione ad Arcore tra Berlusconi, i suoi legali e le ragazze, dopo le perquisizioni dei pm per il “caso Ruby 1“.
Il pm Luca Gaglio ha ricordato che “alcune di queste imputate avevano l’aspettativa di ricevere un alloggio in proprietà” e non in affitto e ha ricordato il ‘pressing’ delle giovani che andavano ad Arcore, davanti alla villa dell’ex premier, e telefonavano per avere soldi al ragioniere Giuseppe Spinelli “cassiere” di fiducia del Cavaliere Berlusconi.
La Presidenza del Consiglio costituitasi parte civile nel processo, ha chiesto che tutti i 28 imputati, tra cui Silvio Berlusconi, per cui la procura ha chiesto la condanna, risarciscano lo Stato con una provvisionale da 10,5 milioni di euro. L’istanza è stata formulata dall’avvocato distrettuale dello Stato, Gabriella Vanadia, che rappresenta Palazzo Chigi, al termine di un breve intervento in aula. In particolare, la «provvisionale di risarcimento» comprende «10 milioni di euro per la corruzione in atti giudiziari» e «500mila euro per le false testimonianze».
L’avvocato Federico Cecconi, legale difensore di Berlusconi, dopo la richiesta di condanna parlando con i cronisti ha commentato “Non sono sorpreso, questo è un processo dove la Procura da anni continua con questa impostazione accusatoria e noi abbiamo argomenti solidi per arrivare all’assoluzione, il reato non c’è, tutto quello che è stato fatto oggetto di contestazione è smentibile”.
«Berlusconi e il bunga bunga, discredito planetario»: perché la presidenza del Consiglio chiede 10 milioni di euro di danni. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 25 Maggio 2022.
Processo Ruby Ter, la Procura di Milano chiede 6 anni di condanna per Silvio Berlusconi senza attenuanti generiche: il leader di Forza Italia avrebbe comprato il silenzio e le bugie di una trentina di ospiti e collaboratori alle feste del «bunga bunga» ad Arcore. Karima: io turbata. non sono la donna descritta dai magistrati. La difesa: nessun reato.
Più che la condanna a 6 anni di carcere per corruzione in atti giudiziari, più che la confisca dei 10.846.123 euro e delle 4 case che negli anni avrebbe dato alle «olgettine» che chiede la Procura di Milano nel processo Ruby ter, ciò che probabilmente ferisce in modo maggiore Silvio Berlusconi è la richiesta dell’avvocatura dello Stato che, per conto della presidenza del Consiglio dei ministri che è parte civile, vuole che l’ex premier versi anche una provvisionale di 10 milioni di euro per i danni causati «dal discredito planetario» che avrebbe gettato sull’istituzione con il suo comportamento.
«Niente attenuanti»
Dopo 12 anni di indagini sulle vicende Ruby, Berlusconi vede il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio chiedere una condanna senza le neppure attenuanti generiche (dato che ne ha già usufruito in altri procedimenti) perché avrebbe comprato il silenzio e le menzogne di una trentina di ospiti e collaboratori che, a partire dal 2011, furono chiamati a testimoniare nei processi Ruby 1 e 2 sulle cene e i piccanti dopocena del bunga bunga ad Arcore. «Non sono sorpreso. Da anni la Procura continua con questa impostazione accusatoria e noi abbiamo argomenti solidi per arrivare all’assoluzione. Il reato non c’è, tutto quello che è stato fatto oggetto di contestazione è smentibile», dichiara il suo difensore, l’avvocato Federico Cecconi.
«Accordo corruttivo»
Per i pm, invece, esisteva eccome un «accordo corruttivo» tra Berlusconi e le ragazze che avevano frequentato la residenza, alle quali «è stato assicurato un reddito di 2.500 euro al mese e un tetto», che per alcune di loro è diventato «un alloggio di proprietà», perché il sicuro mattone era l’obiettivo di tutte. «L’interesse era di pagare per mentire in tribunale e anche nelle interviste che venivano rilasciate ai media in modo da non depotenziare le testimonianze in aula», precisa Gaglio. A provarlo ci sarebbero «plurimi elementi»: oltre ai versamenti fatti con regolarità, migliaia di euro regalati ma mascheratati dietro prestiti decennali infruttiferi e le telefonate e le chat tra le ragazze. L’ex premier ha sempre detto, già nel primo processo in cui fu assolto, che si tratta di un aiuto che lui continua a dare alle ragazze per risarcirle dai danni di immagine e lavorativi che avrebbero subito a causa delle indagini e che subiscono anche ora che sono donne adulte.
La lista e i soldi dal Cavaliere
Siciliano e Gaglio chiedono ai giudici della settima sezione penale del Tribunale di condannare anche gli altri 27 imputati (chiesta solo una assoluzione) a cominciare da Karima «Ruby» El Mahroug (per lei 5 anni di reclusione), che è risultata presente ad Arcore a febbraio 2010 e che è accusata di essere stata corrotta da Berlusconi ricevendo almeno 5 milioni di euro (di cui è stata chiesta la confisca) per non rivelare ciò che aveva fatto e visto nelle stanze di Villa San Martino. Anche questo accordo sarebbe ampiamente provato, afferma il pm Gaglio sciorinando altre intercettazioni e altri documenti, come la famosa lista, sequestrata nelle perquisizioni di gennaio 2011, in cui Ruby elenca quanti soldi aveva avuto o quanti altri prevedeva di avere ancora dal Cavaliere.
Solo banconote da 500 euro
Il pm non si risparmia quando descrive Karima El Mahroug come una ragazza che, quando è maggiorenne da appena pochi mesi, sembrava «essere diventata miliardaria da un giorno all’altro». Spendeva in modo compulsivo le «centinaia di migliaia di euro» che le mandava Berlusconi. Pagando sempre con banconote da 500 euro, scialava in taxi, non prendeva mai un treno ma solo auto con autista che la scorrazzavano andata e ritorno da Genova a Milano. Soggiornava in alberghi da 1.400 euro a notte con colazione e cena in camera irrorata con «gli champagne più costosi», spendeva 5.000 euro per il quarto compleanno della sua bambina e addirittura 59.000 euro per una vacanza da nababbi alle Maldive. «Più di così c’era solo da buttare i soldi dalla finestra», chiosa il magistrato.
Karima: «Non sono la donna descritta dai pm»
Karima, però, era inaffidabile, quindi pericolosa. Le sue spese folli, le troppe banconote da 500 che amava tenere sempre nella borsetta, tanto che una volta si dispiacque perché aveva appena 3.500 euro, rischiavano di attirare sospetti su lei. Bisognava anche evitare che si presentasse a testimoniare nel dicembre 2012 al processo Ruby 1 (poi verrà in aula ma la Procura rinuncerà a sentirla) e, sostiene l’accusa, fu prudenzialmente «fatta volare via» a spese di Berlusconi, spedita in Messico con il marito Luca Risso che doveva farle da tutore evitando che facesse imprudenze rischiose. Per lui, accusato di riciclaggio per aver investito all’estero i soldi della moglie (nel frattempo si sono separati) e falsa testimonianza, la Procura chiede la pena più alta, 6 anni e mezzo e confisca di 3 dei 5 milioni incassati da Ruby. «Sono molto turbata dalle descrizione che ancora una volta viene fatta della mia persona, da parte di chi non mi ha mai neppure conosciuta — il commento di Karima El Mahroug — La Ruby descritta in aula è molto lontana da Karima, la persona che sono sempre stata e la donna che sono oggi e la mia vita non ha nulla a che vedere con quella descritta dall’accusa nel processo. Sono stanca di dover combattere contro una rappresentazione di me che non ha nulla a che vedere con quanto sono». Tra le altre richieste, c’è la condanna a 16 mesi (sospesa) per falsa testimonianza di Mariarosaria Rossi, la senatrice ex FI ed ex stretta collaboratrice del Cavaliere. Sentenza a dopo l’estate.
Giuseppe Alberto Falci per il “Corriere della Sera” il 26 maggio 2022.
«Ho piena fiducia nell'operato della magistratura. Chiarirò la mia posizione nelle udienze che seguiranno». Mariarosaria Rossi si trova a Roma quando nel pomeriggio di ieri arrivano le richieste di condanna nel processo milanese sul caso Ruby Ter a carico di Silvio Berlusconi e di altri 28 imputati. E fra questi 28 c'è anche lei, Mariarosaria da Piedimonte Matese, provincia di Caserta, per la quale la richiesta è più mite, un anno e quattro mesi, per «falsa testimonianza». Non vuole aggiungere altro, Rossi.
Si ritrova, così, una richiesta di condanna che la riporta a quando era l'ombra del Cavaliere al punto da essere chiamata dai nemici, con tono dispregiativo, «la badante». Per oltre dieci anni l'ex senatrice azzurra è stata accompagnatrice, assistente, prima consigliera, colei che custodiva i segreti personali e politici. Molto legata a Francesca Pascale, ex fidanzata di Berlusconi, Rossi viene allontanata da villa San Martino all'indomani dell'intervento al cuore del Cavaliere del giugno 2016. Resta nel partito, ma senza più rivestire incarichi apicali.
Rieletta nel 2018 preferisce pian piano prendere le distanze dagli azzurri. E inizia a preparare il piano B, torna imprenditrice e apre una pizzeria gourmet nel casertano che porta il suo nome: «Codice Rossi». Il punto di rottura avviene nel gennaio 2021 quando Rossi dai banchi di Forza Italia dà il voto di fiducia al governo Conte II. Nessuno mai si sarebbe aspettato una presa di posizione del genere.
Un minuto dopo sarà espulsa da Forza Italia e indosserà subito i panni della «responsabile» per Conte. «Ho votato per la continuità di un governo in un Paese che di lì a poco avrebbe visto la terza ondata della pandemia». Durerà un mese l'innamoramento politico per l'avvocato di Volturara Appula. Dopodiché aderisce al progetto politico di Giovanni Toti, ritrovo dei delusi di Forza Italia. «Qui - assicura - mi sento a casa».
Da “la Stampa” il 30 luglio 2022.
«Dopo dieci anni di gogna e fango mediatico, resto fiduciosa che il Tribunale riconosca la mia innocenza». Così la senatrice Maria Rosaria Rossi, ex fedelissima di Berlusconi, si è presentata nell'aula del processo milanese sul caso Ruby ter che la vede, tra 29 imputati, accusata di falsa testimonianza per dichiarazioni rese nel 2012 nel Ruby 1 a carico del Cavaliere, poi assolto in via definitiva.
«È una vicenda assurda e dolorosa che non ha colpito solo la mia persona, ma ha colpito tutti i miei cari, la mia famiglia e mio figlio, l'unica persona a cui sento di dover chiedere scusa per avergli fatto vivere questi anni della sua adolescenza nel turbine di un fango mediatico e nel pregiudizio», ha spiegato ai cronisti la parlamentare di Cambiamo, dopo aver ascoltato l'arringa dei suoi legali, gli avvocati Nadia Alecci e Salvatore Pino. A fine maggio, l'aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno chiesto 28 condanne, tra cui 1 anno e 4 mesi per l'allora assistente di Berlusconi. Per il leader di Forza Italia sono stati chiesti 6 anni e una confisca da oltre 10 milioni, presunto prezzo da lui pagato per comprare il silenzio delle ex ospiti del Bunga Bunga.
«Che c'entra dire, come ha fatto la Procura, che i fatti di questo processo sono stati consegnati alla storia? Qua dobbiamo verificare se sono avvenuti», ha affermato l'avvocato Alecci. La Procura contesta a Rossi di aver mentito su una cena dell'agosto 2010, perché disse di non aver visto la statuetta di Priapo, né le ragazze denudarsi durante la cena o essere toccate da Berlusconi nel dopocena.
La senatrice, ha chiarito il legale Pino, ha raccontato ciò che ha visto, mentre la tesi dei pm è «questa: se eri lì, non puoi non aver visto». Ieri ha parlato anche la difesa del giornalista Carlo Rossella, pur cui sono stati chiesti 2 anni sempre per falsa testimonianza, col legale Caterina Malavenda che ha chiesto di assolverlo. La difesa di Berlusconi interverrà tra il 28 settembre e il 19 ottobre, mentre la sentenza è attesa a inizio 2023.
Ruby Ter, Berlusconi: «Accanimento dei giudici, non si fermano mai». Lo scudo degli alleati. Paola Di Caro su Il Corriere della Sera il 26 Maggio 2022.
Il leader di Forza Italia dopo la richiesta di condanna a 6 anni spera che il tribunale di Milano gli dia ragione: «Sono stato assolto nel processo Ruby». Coro in difesa dell’ex premier, da Salvini a Meloni.
Sperava di no, ma in cuor suo quella richiesta se la aspettava, eccome. E negli ultimi giorni era tornato più volte sul tema della «persecuzione giudiziaria» ai suoi danni, anche invitando gli italiani ad andare a votare per i referendum sulla giustizia. Però la requisitoria del pm di Milano, con i toni usati, Silvio Berlusconi la vive come l’ennesimo affronto, quasi uno sfregio, alla sua persona. «Non si fermano davanti a niente, è puro accanimento di una parte della magistratura», si è sfogato in privato.
La speranza è che i giudici gli diano ragione «perché io sono stato assolto nel processo Ruby», e per accuse simili — corruzione di testimoni — anche da Siena è arrivata un’assoluzione. Ma in attesa del verdetto, almeno una consolazione per il Cavaliere è arrivata: dopo settimane di liti, contrapposizioni, gelo, pubblico e privato, il centrodestra si è improvvisamente e totalmente ricompattato. Con tutti i leader dei partiti alleati e tutti gli azzurri, nessuno escluso, compatti nel definire assurda, cattiva, inconcepibile la richiesta di condanna. E nel difendere l’ex premier: «È un uomo di 85 anni, lo vogliono in prigione fino a 90? Ma che senso ha continuare a tormentarlo? Basta, basta...».
Gli alleati, intanto. Nonostante il vertice di Arcore sia finito piuttosto male, non è mancata la solidarietà. Matteo Salvini e Giorgia Meloni erano assieme ad Antonio Tajani ieri al congresso della Cisl quando la notizia della richiesta di condanna è arrivata e immediatamente entrambi hanno subito diramato una nota: «Altro processo, altra richiesta di condanna per Berlusconi per il caso Ruby. Ma basta, non se ne può più! 12 giugno, con i sì ai referendum la giustizia cambia», ha scritto su Facebook il leader leghista. E la presidente di FdI non è stata da meno: «Piena solidarietà e vicinanza a Silvio Berlusconi, vittima di un accanimento giudiziario senza precedenti. Siamo convinti che anche questa volta saprà dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati».
Il coordinatore azzurro ha ringraziato i colleghi, che però si sono quasi stupiti: «Ma ci mancherebbe altro, Antonio, su queste cose non esiste divisione», ha subito detto Meloni, figurarsi Salvini che ha difeso Berlusconi già nei giorni scorsi anche dalle critiche della ministra Gelmini. Che però, stavolta, non fa mancare la sua totale vicinanza all’ex premier: «Solidarietà al presidente Berlusconi per la abnorme richiesta arrivata oggi dai pm di Milano. Sono certa che saprà dimostrare ancora una volta la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati». Parole simili a quelle degli altri due ministri, Brunetta e Carfagna, come a quelle di tutta Forza Italia dai capigruppo agli ex ministri come Michela Brambilla («Solidarietà, sono certa che anche questa volta saranno riconosciute la sua estraneità ai fatti contestati e la sua correttezza») a Giorgio Mulé che parla di applicazione del «codice Berlusconi», tutti insorti come un sol uomo, compreso il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto: «L’immagine che emerge è quella di un agonismo, ai limiti della questione personale, che non fa bene al sistema. La giustizia, soprattutto in un momento così delicato, non ha bisogno di guerre ma di toni pacati». Ed è, aggiunge Tajani, ancora una «giustizia usata a fini politici».
Il dato politico però ora è quello di una unità totale su questo punto, forse scontata ma arrivata al momento giusto. E, almeno in questo momento, senza tensioni che si scaricano sul governo. La costituzione di parte civile di Palazzo Chigi e la richiesta di risarcimento di 10 milioni viene considerata una sorta di automatismo tecnico, nessuna responsabilità è attribuita al premier. Se turbolenze ci sono e ci saranno, non sarà su questo.
Monica Serra per “la Stampa” il 21 luglio 2022.
I debiti delle società di famiglia di Michela Vittoria Brambilla la fanno finire ancora una volta nei guai giudiziari. E trascinano nel fascicolo d'inchiesta aperto dalla procura di Milano anche Silvio Berlusconi, che non è indagato. Ma che, per salvare la sua fedelissima ex ministra dal baratro finanziario, le concede una fideiussione da due milioni e mezzo di euro.
Al centro dell'indagine per sottrazione fraudolenta al pagamento dell'Iva, fatture false e appropriazione indebita, c'è l'ex deputato del Popolo delle Libertà Massimo Nicolucci, manager napoletano di 65 anni con precedenti esperienze nella ristrutturazione di aziende in crisi. Che, ai primi di luglio, con altri tre indagati, sue presunte «teste di legno», si è visto sequestrare un milione e 379 mila euro, con un provvedimento d'urgenza del pm Paolo Storari che è già stato convalidato dal gip Domenico Santoro.
Tanto quanto, stando alle indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, in concorso con la deputata forzista, avrebbe sottratto al pagamento dell'Iva tra il 2017 e il 2020 dal «gioiellino» della famiglia Brambilla, la Prime Group spa, con sede a Brivio, nel Lecchese: una società da venti milioni di fatturato, forte dei contratti di fornitura di alimenti che vantava con clienti come Esselunga, Conad, Bennet, Iper Montebello, e poi svuotata dei suoi principali asset proprio da Nicolucci.
Quando Michela Brambilla ha scelto di rivolgersi al collega di partito - come si legge nel provvedimento di convalida del sequestro - era in fortissima difficoltà economica. La storica azienda di famiglia, la Trafileria del Lario spa, era vicina al fallimento, che nel 2019 è costato alla ex ministra un patteggiamento a un anno e quattro mesi per bancarotta; l'altra sua società, la Prime, aveva debiti milionari con le banche e con lo Stato.
Tanto che «Brambilla avrebbe richiesto - si legge nell'atto - l'intervento personale di Silvio Berlusconi, ottenendo il rilascio da parte del suo capo di partito di una fideiussione del valore di 2,5 milioni euro (sottoscritta il 31 marzo del 2015 e valida fino al 15 maggio del 2018, poi prorogata per un anno) che avrebbe garantito la continuità aziendale», con la promessa che «non sarebbe mai stata escussa». A farlo però ci ha pensato Nicolucci, che non si è preoccupato neppure di tradire la fiducia del suo presidente.
«Mi sono stufato di sentire Michela, se non faccio un accordo con te la mando in galera veramente... La denuncio per estorsione, hai capito? Perché mi dovrà spiegare perché mi ha mandato le mail di Berlusconi, dicendo che se non creavo l'accordo con te il presidente mi avrebbe distrutto...», diceva intercettato Nicolucci. E ancora: «Cioè una cosa che vale dieci la dovrei pagare un euro. E perché dovrei accettare, per la riconoscenza del presidente? Così mi regala un'altra cravatta di Marinella con scritto presidente Berlusconi... sai quante ne ho a casa?».
L'ex ministra si era rivolta a Nicolucci con l'obiettivo di «cedere l'intero pacchetto azionario della Prime (intestato al marito, Eros Maggioni, ndr) a un investitore che avesse le risorse per risanare l'azienda». Nicolucci, per l'accusa «amministratore di fatto» che ha gestito la società tramite suoi uomini di fiducia, come il commercialista Giovanni Graziano, l'avrebbe acquistata a un euro, assicurando a Brambilla, dopo «il risanamento e la successiva vendita, il quaranta per cento del profitto».
Quel che invece avrebbe fatto è ricostruito nella denuncia che la società Media Invest, che di recente ha acquistato il gruppo, ha presentato con l'avvocato Mario Zanchetti, dando il via all'inchiesta. Negli atti si legge come Nicolucci avrebbe «drenato il drenabile», svuotato dei suoi principali asset la Prime esposta col Fisco, per trasferirli a fronte di corrispettivi forfettari alla controllata Blue Line, evadendo così l'Iva anche attraverso la sottoscrizione di fatture inesistenti. Con tre presunti complici, tra cui il fratello Maurizio, Nicolucci è anche accusato dell'appropriazione indebita di 383 mila euro.
Tra i soldi che sarebbe riuscito a drenare anche per «amici e parenti» ci sono quelli per i fratelli comaschi Oscar e Luca Ronzoni, che hanno già patteggiato nell'ambito di un'altra grossa indagine per riciclaggio. Intercettato al telefono proprio con Oscar Ronzoni oltre che con l'amministratore della Blue Line, Paolo Intermite, forse anche per via di pressioni che riceveva da Brambilla - che per quanto indagata solo per la sottrazione al pagamento dell'Iva appare vittima della gestione dell'amico - Nicolucci diceva: «Vieni a vedere questa azienda: l'organizzazione, la serietà Aveva i telefoni staccati. Sai perché? Perché Michela faceva pagare alla Prime 50 mila euro il server per la segreteria politica!».
Silvio Berlusconi, "si può andare a letto con uno scimmione": choc in tribunale. Libero Quotidiano il 21 luglio 2022
Nella giornata di mercoledì 20 luglio nell'aula bunker di San Vittore sono andate in scena le arringhe difensive nel processo Ruby Ter. Secondo i legali, le accuse altro non sono che "giudizi morali sovrapposti a giudizi tecnici e moralismo a piene mani su comportamenti privatissimi". In totale sono 27 le persone ospiti delle cene e dei dopocena nella residenza di Silvio Berlusconi. Serate meglio note come "Bunga Bunga" e per le quali i 27 sono accusati di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari. Assieme a loro anche il leader di Forza Italia. Il motivo? Gli indagati sono accusati di aver ricevuto denaro e regali dal Cavaliere a partire dal 2011, affinché non dicessero la verità su cosa realmente accadesse ad Arcore.
"Su questo processo c’è una densa nebbia che ha sovrapposto giudizi morali a giudizi tecnici. Se togliessimo questa lente, ci renderemmo conto dell’assoluta irrilevanza dei fatti", commenta l’avvocato di Lisney Barizonte, Patrizia De Natale. La Barizonte, 36enne cubana, rischia 3 anni e sei mesi di reclusione. "Perché una persona dovrebbe farsi pagare per mentire su toccamenti, baci, sulla famosa statuetta di Priapo, ovvero su fatti che non costituiscono reato e poi dichiarare in aula il prezzo della corruzione, ossia di aver avuto denaro?".
Dei soldi ricevuti non è un mistero, visto che sia le ragazze che lo stesso Berlusconi ammisero apertamente dichiarando che fosse "un aiuto economico perché, a causa della vicenda Ruby, avevano subito danni pesanti e non riescono più a lavorare". E ancora: "Il danno all’immagine di queste ragazze è stato incalcolabile, erano additate come prostitute per essere andate a cene normalissime". A far ecco alla De Natale, Ivano Chiesa, legale di Aris Espinosa e Ioana Visan: "Non parlerò dei fatti, perché a me di cosa fa la gente a letto non importa, per me puoi andare a letto con uomo, con una donna, con uno scimmione, con chi vuoi. Allora dobbiamo discutere di cosa fa uno nella camera da letto?".
Simona Romanò per leggo.it il 21 luglio 2022.
«Giudizi morali sovrapposti a giudizi tecnici e moralismo a piene mani su comportamenti privatissimi». Sono le fondamenta sulle quali si basano le accuse del processo Ruby ter, secondo gli avvocati che oggi, mercoledì 20 luglio, hanno svolto le arringhe difensive nell’udienza nell’aula bunker di San Vittore.
Sono 27 le persone che sono state ospiti delle cene e dei dopocena del Bunga Bunga e sono accusate di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari, con Silvio Berlusconi, per aver ricevuto denaro e regali dal Cavaliere a partire dal 2011, affinché non dicessero la verità su cosa realmente accadeva ad Arcore nei processi Ruby uno e due.
«Su questo processo c’è una densa nebbia che ha sovrapposto giudizi morali a giudizi tecnici. Se togliessimo questa lente, ci renderemmo conto dell’assoluta irrilevanza dei fatti», dice l’avvocato Patrizia De Natale che difende Lisney Barizonte, la cubana, oggi 36enne, che è stata ospite a Macherio e per la quale i pm Luca Gaglio e Tiziana Siciliano hanno chiesto 3 anni e sei mesi di reclusione per le due accuse. «Perché una persona dovrebbe farsi pagare per mentire su toccamenti, baci, sulla famosa statuetta di Priapo, ovvero su fatti che non costituiscono reato e poi dichiarare in aula il prezzo della corruzione, ossia di aver avuto denaro?».
Le ragazze hanno ammesso di aver ricevuto denaro costantemente. Lo stesso Berlusconi lo dichiarò apertamente sostenendo che fosse «un aiuto economico perché, a causa della vicenda Ruby, avevano subito danni pesanti e non riescono più a lavorare». «Il danno all’immagine di queste ragazze è stato incalcolabile, erano additate come prostitute per essere andate a cene normalissime».
«Non parlerò dei fatti, perché a me di cosa fa la gente a letto non importa, per me puoi andare a letto con uomo, con una donna, con uno scimmione, con chi vuoi». È l’arringa show dell’avvocato Ivano Chiesa, legale di Aris Espinosa e Ioana Visan, due delle ospiti delle serate di Arcore. «Allora dobbiamo discutere di cosa fa uno nella camera da letto?», aggiunge Chiesa.
Ruby Ter, il pm: "Karima come la moglie di Mario Chiesa. Alle ragazze 2.500 euro al mese e una casa per il loro silenzio". La Repubblica il 25 maggio 2022.
Udienza conclusiva per la requisitoria del processo che vede imputato l'ex premier e altre 28 persone per corruzione, oggi le richieste di condanna. Il pm Gaglio: "Berlusconi foraggiava le spese compulsive di Ruby, che era inaffidabile".
"A queste ragazze è stato assicurato che sarebbero state a posto sia come reddito, con un mensile da 2.500 euro, sia per un tetto, una casa, un alloggio". Lo ha affermato il pm di Milano Luca Gaglio nella seconda parte della requisitoria, iniziata oggi dopo l'udienza di una settimana fa, nel processo milanese sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, tra cui una ventina di cosiddette 'ex olgettine', ex ospiti alle serate di Arcore che sarebbero state pagate, per l'accusa, per dire il falso nei processi sul caso Ruby. Requisitoria che oggi si chiuderà con le richieste di condanna.
Ruby ter, la pm: "Berlusconi ospitava schiave sessuali. Da amico di Putin a anziano malato"
Ci sono elementi e prove, ha spiegato il pm, "che dimostrano che già dal 2011", prima che le giovani andassero a testimoniare in aula, "esisteva un accordo corruttivo" tra l'ex premier e le ragazze "volto ad ottenere le false testimonianze di tutte le testimoni dei Ruby 1 e 2". Le giovani venivano "pagate anche per rendere interviste ai media non diverse da quelle in tribunale".
Ruby ter, il ricordo di Imane Fadil in aula. La pm: "Era spaventata da un giro pericoloso e potente"
"Vi è stato un accordo per le false testimonianze e si deve comprendere nel pacchetto anche la soluzione aggiuntiva di non rilasciare interviste ai media in senso contrario a quelle rese davanti ai giudici", ha aggiunto il pm che parlerà ancora per alcune ore, prima di chiedere le condanne.
La tesi difensiva, invece, è che le ragazze fossero state risarcite per la loro reputazione compromessa dopo lo scandalo delle serate a Villa San Martino. Per la Procura, invece, l'accordo corruttivo fu stretto "embrionalmente" nel gennaio 2011 con l'ormai nota riunione ad Arcore tra Berlusconi, i suoi legali e le ragazze, dopo le perquisizioni dei pm per il caso Ruby 1. Gaglio ha ricordato anche che "alcune di queste imputate avevano l'aspettativa di ricevere un alloggio in proprietà" e non in affitto e ha ricordato il 'pressing' delle giovani che andavano ad Arcore, davanti alla villa dell'ex premier, e telefonavano al ragioniere di fiducia del Cavaliere, il ragioniere Giuseppe Spinelli per avere soldi.
Ruby Ter, il pm: "Berlusconi foraggiava le spese di Karima ma lei era inaffidabile"
"Le centinaia di migliaia di euro che Karima spendeva le venivano consegnate, tramite il suo legale Luca Giuliante, da Berlusconi; lei più di così non poteva spendere, più di così c'era solo buttare i soldi dalla finestra. Soffre in quel periodo di una vera e propria compulsione a spendere". Lo ha spiegato il pm di Milano Luca Gaglio nella requisitoria del processo sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi, della stessa Ruby, di Giuliante e altri 26 imputati.
Il pm ha ricordato molte delle prove già agli atti sul ritmo di spesa di Ruby 'foraggiatò dall'ex premier, tra cui "i taxi da Genova a Milano, ristoranti e gli alberghi di lusso, dove spendeva anche 1.400 euro in una notte, gli champagne più costosi anche con le scritte fluorescenti". In quel periodo Karima El Mahroug, secondo il pm, "è come le persone che vincono la lotteria e prima spendono, spendono, poi arriva la depressione e anche il rischio suicidio è alto".
"Karima era inaffidabile - ha detto ancora Gaglio - e il progetto era non farla testimoniare ed è stata fatta volare via per non farla testimoniare". In particolare, tra dicembre 2012 e gennaio 2013, quando avrebbe dovuto deporre nel processo Ruby 1 (Berlusconi fu poi assolto in via definitiva). Ruby, ha spiegato il pm, "si incontrò con Maria Rosaria Rossi", senatrice, ex fedelissima del Cavaliere e imputata anche lei, "e ricevette i soldi per andare in Messico", assieme all'allora fidanzato, anche lui imputato.
Ruby ter: il pm paragona Karima alla "moglie di Mario Chiesa"
"Ricordate la moglie di Mario Chiesa che va a vuotare il sacco? Ruby esplode nel 2014". Così il pm Luca Gaglio, nella requisitoria sul caso Ruby ter, ha paragonato la moglie dell'ex presidente del Pio Albergo Trivulzio (il cui arresto diede il via a Tangentopoli) a Karima El Mahroug che "esplose" quando scoprì "il tradimento" dell'allora fidanzato Luca Risso. E che, dunque, nei messaggi agli atti delle indagini in quel periodo non faceva "che ripetere che nulla era stato intestato, ma i soldi erano suoi", quelli investiti in Messico e, secondo l'accusa, a lei versati da Silvio Berlusconi, attraverso l'allora compagno, accusato di riciclaggio.
Il pm, infatti, nella requisitoria ha ricostruito anche il tema di quei soldi che sarebbero arrivati fino in Messico e coi quali Ruby e Risso avrebbero messo in piedi un ristorante con annesso pastificio a Playa del Carmen e acquistato anche alcuni appartamenti. Denaro, secondo le indagini, passato per Francoforte e Lugano. "C'è la prova di un bonifico da 300mila euro che ha come beneficiario Luca Risso", ha detto Gaglio, spiegando che tra dicembre 2013 e gennaio 2014 il telefono di Risso agganciò più volte la cella telefonica di Arcore.
Processo Ruby Ter, il pm: "Le ragazze chiedevano casa a Berlusconi, ma critiche sulle zone di Milano"
Per le ragazze ospiti delle feste di Arcore lo 'stipendio' di "2500 euro al mese è la metà della promessa" fatta da Silvio Berlusconi in cambio del loro silenzio con i magistrati milanesi che stavano indagando sul caso Ruby, perché "manca la casa". È quanto ha detto il pm Luca Gaglio in un passaggio della sua requisitoria al processo Ruby ter, sottolineando però che "le ragazze sono molto moto critiche sulle zone di Milano" che vengono loro proposte. Emblematico è il caso di Barbara Guerra, che dal 2012 al 2014 cerca un appartamento idoneo per lei, anche con l'aiuto dell'architetto Ivo Redaelli, amico di famiglia di Silvio Berlusconi, che diventa "una vittima sacrificale" della ragazza e di altre giovani e viene subissato di richieste, come il ragionier Giuseppe Spinelli, contabile di Silvio Berlusconi, a cui le ragazze si rivolgono di continuo pretendendo danaro.
"Se le ragazze stanno male, hanno accesso diretto al professor Zangrillo e al San Raffaele", chiarisce il pm. "Tutto quello che Berlusconi può fare poco sforzo, lo fa. Per le case, invece, la situazione è più complessa". Gli immobili, infatti, non vengono intestati alle ragazze ma concessi in comodato d'uso. Soluzione che scontenta tante di loro, tra cui Barbara Guerra che aveva chiesto una casa in Brera ma a cui è stato assegnato un appartamento all'Arco della Pace nello stesso palazzo di un'altra ragazza. "Barbara Guerra non è contenta della casa all'Arco della Pace, ci va ma non è contenta - ha aggiunto il pm - : dice che è una zona di discoteche, un po' buia e con brutta gente".
Requisitoria Ruby Ter, per il procuratore Berlusconi aveva schiave sessuali. Il Domani il 18 maggio 2022.
Per il procuratore Siciliano «i fatti sono stati già consegnati alla storia, indipendentemente dalle nostre valutazioni e da quella delle difese: il presidente del Consiglio in carica usava allietare le proprie serate ospitando a casa propria gruppi di odalische, schiave sessuali a pagamento».
«Un sistema prostitutivo consolidato», con ragazze che «lo divertivano, trascorrevano la notte con lui». Siciliano ha anche parlato dei compensi per le testimoni, le cosiddette “olgettine”, al centro dell’accusa di corruzione in atti giudiziari.
Nella requisitoria, il procuratore ha parlato anche di Berlusconi, che ai tempi era una delle persone più ricche del mondo, che «aveva il potere di modificare lo stato», ma oggi è «un grande anziano malato» di cui «conosciamo la vita privata perché di interesse giornalistico e guardiamo con tenerezza e compassione».
«Berlusconi allietava le serate ospitando schiave sessuali a pagamento». Sono le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano, durante la requisitoria nel processo sul caso Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, tra cui una ventina di ospiti delle serate di Arcore e la stessa Karima El Mahroug.
«Tra Palazzo Grazioli, Villa Certosa e Villa San Martino si consumava qualcosa di medioevale, di boccaccesco, di incredibile, moralmente discutibile», spiega Siciliano.
«La nostra epoca guarda con ribrezzo a questa violenza orribile perpetrata nei confronti delle donne». Ad affermarlo è sempre il procuratore, riferendosi alle deposizioni di Ambra Battilana e Chiara Danese, le ragazze che insieme a Imane Fadil sono state testimoni dell’accusa che ricostruirono le serate del “bunga bunga” ad Arcore.
Le parole di Fadil hanno in particolare fatto emergere «ulteriori riscontri» sulla verità di quelle notti a luci rosse, per esempio di come Emilio Fede l’avesse portata ad Arcore «come un giocattolo da esibire a Berlusconi» in cambio di un «contrattino televisivo». Una dinamica che Fadil non voleva accettare e per cui voleva ribellarsi.
Nella requisitoria, che si concluderà il 25 maggio con le richieste di condanna, il procuratore ha anche aggiunto: «Pensavo, venendo in macchina, che se ci fosse una sorta di lettore del pensiero, la parola statisticamente stamani più passata nelle menti di chiunque, dai giornalisti al personale di sorveglianza e agli avvocati, è ‘finalmente’ che contiene soddisfazione, l’elemento positivo della conclusione».
Ma in realtà, «io devo dire che sono fuori dal coro, non riesco a esprimere una reale soddisfazione, è stato un impegno faticoso in questi anni, lavorativo e psicologico, ma non posso dire finalmente perché se un processo può arrivare alla pronuncia di primo grado dopo otto anni vuol dire che il sistema ha fallito».
Il pm Siciliano, che rappresenta l’accusa insieme al pm Luca Gaglio, ha chiesto ai giudici di revocare l’ordinanza con la quale hanno dichiarato “inutilizzabili” le deposizioni rese da una ventina di ragazze nei due processi sul caso Ruby.
Inoltre, Siciliano ha spiegato come l’imputata Iris Berardi, una delle giovani ragazze ospiti nelle serate di Arcore, «frequentasse la casa di Silvio Berlusconi da minorenne», come d’altronde Karima El Mahroug. Di Berardi e di Ruby «Berlusconi non si fida, sono incontenibili e adotta la strategia dell’allontanamento e Berardi obbedisce».
Ma il Cav «cerca di tenere lontana Ruby, perché è incontenibile, perché è una bambina improvvisamente scappata dal paese dei balocchi, che si fa vedere in giro con mazzette di banconote e parla con gli amici, e come fai a fidarti?» sostiene Siciliano.
Tuttavia, mentre Karima andò all’estero e non depose nel primo processo, «Ruby neanche coperta d’oro si riusciva a tenere, data la sua esuberanza, nemmeno con quei 56mila euro per andare una settimana alle Maldive» chiarisce il pm.
Ruby, il calvario continua. Chiesti 6 anni per Berlusconi. "Persecuzione infinita". Luca Fazzo il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
Invocano di negargli anche le attenuanti generiche "perché le ha già avute un sacco di volte, quattro, sei, abbiamo perso il conto".
Invocano di negargli anche le attenuanti generiche «perché le ha già avute un sacco di volte, quattro, sei, abbiamo perso il conto». A Silvio Berlusconi la procura della Repubblica di Milano chiede che venga rifilata una condanna che lo escluderebbe di nuovo dal Parlamento e per cui solo l'età avanzata gli eviterebbe il carcere: sei anni, per corruzione in atti giudiziari. L'accusa è quella di avere comprato con contanti, case e posti di lavoro il silenzio e le bugie di ventuno giovani donne, già ospiti delle sue feste del sabato sera, perché non testimoniassero la verità su quanto accadeva nella saletta del «bunga bunga».
Oltre ai sei anni di prigione, i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, chiedono che a Berlusconi vengano sequestrati quattro appartamenti prestati ad altrettante donne, e quindici milioni, l'equivalente dei soldi che avrebbe versato alle testimoni. I pm chiedono il sequestro immediato, come se il Cavaliere potesse scappare. È, insieme a tutto il resto, una requisitoria-batosta, l'ennesima che arriva dalla Procura che da quasi trent'anni gli dà la caccia. A Berlusconi la notizia arriva in diretta, E la reazione è amara. «Certi pubblici ministeri della Procura di Milano - si sfoga con chi gli è accanto ieri - si confermano fuori dal tempo, alimentano una persecuzione politica fuori da ogni logica». Ed «è ridicola prima ancora che offensiva «l'idea di chiedere sei anni di carcere «per rieducare un imprenditore del mio calibro, un uomo politico che è stato per nove anni presidente del Consiglio. E che ha ottantasei anni».
Ma tutto questo, nella requisitoria dei due pm, diventa in realtà un'aggravante: il «potere enorme», le amicizie internazionali, sono per la Procura il contesto in cui il Cavaliere sarebbe divenuto un «Sultano nell'harem», pronto a sottoporre le sue ospiti a una «violenza orribile» trasformandole in «schiave sessuali». Commenta ancora Berlusconi: «Sono stato oggetto in questi ventotto anni di una persecuzione giudiziaria, singoli magistrati pensano di poterla tirare ancora in lungo». Comunque il Cav si dichiara fiducioso che «uscirà la verità» e anche stavolta verrà assolto.
Al termine della requisitoria, la Procura chiede di condannare insieme a Berlusconi altri ventisette imputati. Tra questi ci sono gli ospiti delle serate che hanno negato di avere assistito a scene hot: la senatrice Maria Rosaria Rossi (un anno e 4 mesi), il giornalista Carlo Rossella (due anni), il massaggiatore Giorgio Puricelli (venti mesi). E poi, in blocco, tutte le ragazze che hanno rifiutato di confermare il teorema d'accisa. La pena più alta, cinque anni, viene chiesta per Ruby, ovvero Kharima el Mahroug, che viene accusata di avere incassato per tacere ben cinque milioni (di cui in realtà c'è traccia solo in un pensiero affidato da Ruby a un diario) di cui adesso viene chiesto il sequestro. Ben sapendo che nel frattempo la ex ragazza ha sperperato lo sperperabile, e su di lei la Procura infierisce: «una ragazza che si manteneva facendo la prostituta fin da minorenne», «ha la dinamica di persone di origini modeste che vincono alla lotteria, i soldi vengono bruciati, arriva la depressione e il rischio suicidio non è escluso».
Per le altre ragazze, le pene oscillano tra i tre e i cinque anni, assommando l'accusa di corruzione a quella di falsa testimonianza: anche se la Procura sa bene che il secondo reato è destinato a venire cancellato, perché i giudici hanno già stabilito che gli interrogatori vennero condotti fuori dalle regole, senza avvocato, anche se di fatto su Ruby e le Olgettine si stava già scavando da tempo. Ma quel che conta, l'asse del processo, è dimostrare che Berlusconi dopo l'esplosione del caso Ruby si scatenò per convincere al silenzio le ragazze che potevano accusarlo. Ma nemmeno una volta, nella loro requisitoria, i pm ricordano ai giudici che nel frattempo Berlusconi è stato assolto, e che sentenze definitive hanno stabilito che ad Arcore non avveniva niente di illegale. Dice Federico Cecconi, legale di Berlusconi: «Anche ci fosse stata una richiesta di pena di un giorno non ci avrebbe soddisfatto. Qui si tratta dire se è o non è reato. Noi riteniamo sommessamente che il reato non c'è».
Quei buchi neri del processo che dimostrano l'urgenza di riformare la giustizia. Luca Fazzo il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
Forse è un bene che la requisitoria del processo Ruby ter arrivi a tre settimane dai referendum sulla giustizia.
Forse è un bene che la requisitoria del processo Ruby ter arrivi a tre settimane dai referendum sulla giustizia, nel pieno delle polemiche sulla riforma della magistratura voluta dal ministro Cartabia e aspramente contestata dalle toghe. Perché il processo Ruby, con i suoi tanti buchi neri, sembra fatto apposta per catalizzare tanti dubbi sul funzionamento della giustizia in questo paese, e costringersi a domandare se alcune ipotesi su cui oggi ci si accapiglia - dalla separazione delle carriere alla valutazione delle performance dei magistrati - siano propaganda di parte o problemi reali.
Di buchi logici ce ne sono tanti. Il più macroscopico riguarda la posizione della ragazza che ha dato il nome alla vicenda, Kharima el Mahrug alias Ruby. Entra nell'inchiesta come vittima, presunta preda sessuale delle notti di Arcore; quando però va in aula a dire che andava alle feste di sua volontà, che era lieta di esserci, e che nessuno le ha mai allungato una mano addosso, per la Procura diventa una bugiarda matricolata, maltrattata e ingiuriata («furbizia mediorientale») dal pm Ilda Boccassini, poi incriminata, portata sul banco degli imputati, candidata ieri a cinque anni di carcere e al sequestro di tutto ciò che possiede «perché non c'è un solo euro che abbia guadagnato onestamente». E allora chi è la vittima di questa storia, se la vittima è diventata colpevole? Non si capisce più.
Ma ci sono altri passaggi su cui ci si può soffermare. Il pm Luca Gaglio dedica un'ora a ricostruire come Silvio Berlusconi avrebbe organizzato e forse ordinato la fuga di Ruby in Messico, nel 2014, per impedire a tutti i costi che testimoniasse in aula. Peccato che poi Ruby torni, si faccia interrogare, e scagioni totalmente il Cavaliere. Che bisogno c'era di farla sparire oltre l'Atlantico? E ancora. Nella ricostruzione della Procura, l'uomo di Ruby, Luca Risso, praticamente tiene Berlusconi in pugno, pronto a rivelare - se non adeguatamente retribuito - tutta la verità su quanto avveniva a Villa San Martino. E invece la lettera che i pm trovano nel computer di Risso e che considerano una prova d'accusa, descrive tutt'altra storia, con Risso inferocito perché da Arcore neanche gli rispondono al telefono. Come se i terribili segreti custoditi da Risso tanto terribili non fossero.
Ma ciò che davvero non fila, ed infatti è il passaggio su cui i due pm passano oltre senza spiegazioni, è il vero nodo del processo, il postulato da cui nasce tutto. E cioè che le serate nella villa del Cavaliere si trasformassero automaticamente, scoccata una certa ora, in baccanali. Nessuno dei testimoni «laici», degli ospiti «normali», ha mai confermato l'assunto: e per questo sono stati tutti incriminati. Delle ventisei ragazze interrogate nelle indagini, venti hanno negato tutto, sei hanno invece - con toni e dettagli diversi - raccontato che a una cert'ora saltavano freni inibitori e gancetti dei reggiseni. Ebbene, tra le due versioni, per la Procura l'unica credibile è quella di minoranza. Le sei che accusano sono sincere, disinteressate, magari pentite. Le venti che negano sono profittatrici irriducibili, in alcuni casi prostitute (e anche ieri l'epiteto viene distribuito con nomi e cognomi) al soldo di Berlusconi, che continuano a mentire perché foraggiate da lui. Come questo profilo si combini con la definizione di «schiave sessuali», di vittime di «violenze indicibili» che la Procura aveva usato nella sua stessa requisitoria è un altro dei misteri di questo processo. Ma il mistero vero è perché, in assenza di qualunque riscontro oggettivo, tra due versioni opposte si debba credere a quella che corrisponde in pieno ai desideri dell'accusa. E su questo disassamento si costruisca un processo durato otto anni e costato milioni. Tanto se anche stavolta venissero tutti assolti nessuno potrà mai chiederne conto ai pm.
Tajani: "È inaccettabile". Meloni: "Piena solidarietà". Pier Francesco Borgia il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
Le richieste del pm al processo Ruby ter lasciano perplessi i protagonisti del mondo della politica.
Le richieste del pm al processo Ruby ter lasciano perplessi i protagonisti del mondo della politica. Da Salvini a Tajani, da Lupi alla Meloni, in tanti avanzano dubbi e soprattutto esprimo solidarietà al leader azzurro per l'ennesimo «processo politico», come in molti lo hanno già etichettato. «La richiesta di condanna del Cavaliere è fuori dal tempo», sbotta la senatrice azzurra Licia Ronzulli. «Una sentenza di natura politica - spiega il suo compagno di partito Paolo Barelli - È ridicola prima ancora che offensiva l'idea di chiedere sei anni di reclusione per rieducare un imprenditore e uomo politico che si è distinto su ogni fronte».
Sul fronte degli alleati si segnala la presa di posizione convinta di Giorgia Meloni. «Piena solidarietà e vicinanza a Silvio Berlusconi - commenta la presidente di Fratelli d'Italia -, vittima di un accanimento giudiziario senza precedenti. Siamo convinti che anche questa volta saprà dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati». Oltre Salvini, anche Maurizio Lupi (Noi con l'Italia) critica la richiesta dei giudici, considerandola «la scontata conclusione di un teorema che ha prodotto già troppi danni alla politica, alle istituzioni e all'immagine internazionale del nostro Paese e della stessa magistratura».« Al Cavaliera va la nostra solidarietà - aggiunge -. È ora che i partiti prendano finalmente coscienza della necessità di voltare pagina e di riformare la giustizia, dando seguito agli applausi rivolti al presidente della Repubblica nel corso del suo discorso d'insediamento. Per quanto ci riguarda, Noi con l'Italia intensificherà il proprio impegno referendario a favore del Sì».
Il senatore azzurro Renato Schifani considera quello dei pm del Ruby ter un «teorema già smentito dalle precedenti assoluzioni», mentre il suo collega Maurizio Gasparri parla di «chiaro intento persecutorio». «Un accanimento inaccettabile contro un uomo che ha agito sempre con correttezza e trasparenza» dice il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani. «Le richieste di condanna della Procura - gli fa eco Gianfranco Rotondi - sono surreali. Nemmeno una rapina a mano armata totalizzava tanti anni di pena». Piena solidarietà a Berlusconi arriva anche dai ministri azzurri: Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta.
"La giustizia italiana fa paura. I pm alimentano lo scontro". Paolo Bracalini il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
Salvini: "Berlusconi è vittima di un accanimento, dalle toghe a volte più una censura morale che giuridica".
Il referendum sulla giustizia del prossimo 12 giugno è in buona parte merito di Matteo Salvini che insieme ai Radicali ha promosso la raccolta firme e contribuito a rilanciare l'urgenza di una questione, quella del malfunzionamento della giustizia e della politicizzazione delle toghe, che in passato ha diviso lo stesso centrodestra. In questa consapevolezza ha contribuito l'esperienza vissuta da Salvini sulla propria pelle, accusato di «sequestro di persona» per aver chiuso i porti all'immigrazione clandestina da ministro dell'Interno. «Il mio processo per aver difeso i confini dell'Italia andrà avanti mesi o anni, la prossima udienza sarà venerdì 17 giugno ed è frutto della volontà politica di 5Stelle e sinistra che hanno fatto di tutto per mandarmi alla sbarra - spiega al Giornale il leader della Lega -. È il loro modo per battere gli avversari politici, non è un caso se c'è una preoccupante censura a proposito dei quesiti sulla giustizia». Uno dei quali riguarda il Csm, l'organo che dovrebbe governare la magistratura ma che invece, nel sistema scoperchiato da Palamara e Sallusti, è il centro di smistamento delle carriere e delle promozioni in base all'appartenenza ideologica dei magistrati. «I cittadini hanno paura della giustizia anche perché si apprende di spaventose guerre tra magistrati. Anche la procura di Milano sta vivendo queste profonde lacerazioni. Occorre demolire e ricostruire il Csm, ma con il Pd e i 5Stelle è impossibile farlo perché bloccano tutto. Difende l'esistente. E la riforma Cartabia da sola non basta» dice Salvini. Che rilegge sotto questa luce la vicenda del processo Ruby contro Silvio Berlusconi, compresa l'ultima requisitoria del pm che ieri ha chiesto una condanna a 6 anni di reclusione per l'ex premier. «Alcuni pubblici ministeri della Procura di Milano si dimostrano fuori dal tempo, preferiscono alimentare una contrapposizione di natura politica al di fuori di ogni logica. Contro Silvio Berlusconi sembra ci sia un accanimento, descritto in modo sconvolgente anche dall'ex presidente dell'Anm Luca Palamara: nonostante sentenze di assoluzione e scandali che coinvolgono le toghe, le richieste di condanna e i processi contro il Cavaliere non finiscono mai - commenta il leader leghista -. Sono rimasto molto colpito dal fatto che alcuni passaggi della requisitoria che ha letto il pm sembravano una censura morale più che giuridica. I magistrati devono solo esaminare norme, non dare giudizi sui comportamenti privati, addirittura censurando il comportamento di alcune famiglie delle ragazze coinvolte. Il richiamo a Putin (il pm Tiziana Siciliano ha tenuto a sottolineare l'amicizia tra Berlusconi e «Putin che ora sta mettendo in ginocchio il mondo», ndr) appare del tutto fuori luogo, gravissimo, frutto di pregiudizio politico e di evidente antipatia».
A colpire il segretario della Lega sono anche i tempi del processo Ruby Ter. «L'inizio indagini risale al 2015: è inammissibile essere vicini alla prima sentenza dopo 7 anni. Sette anni! Aggiungo che il processo principale sul caso Ruby è finito con una assoluzione: sembra singolare che si continuino a inseguire filoni di processo quando il principale ha dato ragione a Berlusconi. Sono certo che il Cavaliere ne uscirà bene, ma qui c'è l'ennesima dimostrazione della necessità dei referendum sulla giustizia. È nell'interesse di tutti avere la certezza che chi ha il potere di fare indagini e di chiedere 6 anni di pena sia un magistrato indipendente. Attenzione: la mia non è una accusa a questi pm, ma sono convinto della necessità che tutti i magistrati siano svincolati dalle correnti». Altrettanto netto è il giudizio sul merito del processo alle serate ad Arcore: «È ridicola prima ancora che offensiva l'idea di chiedere sei anni di reclusione per rieducare un imprenditore del suo calibro e un uomo politico che è stato per nove anni presidente del Consiglio e ha quasi 86 anni. Ha sempre aiutato, in totale trasparenza e per tutta la sua vita, persone che riteneva ne avessero necessità. Lo aveva detto anche lui stesso nel corso di un'udienza del processo dal quale, poi, era stato assolto. Insieme, con il referendum, vinceremo questa grande sfida, contro tutto e tutti: non credo a un'Italia condannata a una giustizia ingiusta e inefficiente».
"Una sentenza così tardiva è sempre una sentenza ingiusta". Francesco Boezi il 26 Maggio 2022 su Il Giornale.
L'ex magistrato critico: "Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, ma quegli epiteti verso l'imputato sono indecorosi".
La Procura di Milano ha chiesto sei anni per Berlusconi sul Ruby Ter.
«Anche se non sono più in servizio mi riesce difficile pronunziarmi sulle richieste di un collega, soprattutto ignorando gli atti. Quello che però mi scandalizza è che il processo si riferisca a fatti accaduti molti anni fa. Una sentenza così tardiva è sempre una sentenza ingiusta».
Il pm ha nominato la moglie di Mario Chiesa per operare un paragone.
«Non ho ascoltato la requisitoria in cui si fa questo paragone, e quindi non so come il Pm abbia spiegato questo nesso. Posso solo rispondere che la moglie di Mario Chiesa ha contribuito a rivelare un sistema generalizzato di corruzione e di finanziamenti illegali, che ha portato al crollo della prima repubblica. Qui il contesto mi sembra meno gravido di conseguenze generali».
«Sultano», «grande anziano» e «boccaccesco». Sono alcune delle espressioni usate in un'altra udienza.
«In quarant'anni di esercizio della funzione di Pm non mi sono mai sognato di esprimermi in termini così grossolani. L'imputato va rispettato sempre, e queste sortite sono di pessimo gusto. Aggiungo che, provenendo da una magistrata appartenente a una Procura che oggi versa in gravi difficoltà di immagine, per i conflitti sorti nel suo ambito e per gli indagati che vi fanno o vi hanno fatto parte, una maggiore cautela sarebbe stata più appropriata»..
Anche questa vicenda rientra nel tema dei rapporti tra Giustizia e politica: una relazione che continua a essere problematica.
«Il conflitto tra politica e giustizia non è nato con Mani Pulite, che malgrado errori nelle indagini e usi strumentali della custodia cautelare ha perseguito reati gravi. Il conflitto è nato quando la magistratura ha invaso il campo della politica, condizionandone lo svolgimento, in particolare con l'invito a comparire notificato a Berlusconi a mezzo stampa, con una patente violazione del segreto istruttorio sulla quale nessuno ha mai indagato. Poi la stessa politica ha strumentalizzato le indagini che colpivano gli avversari che non riusciva a battere sul terreno elettorale».
Lei è presidente del Comitato per il Sì al Referendum. L'attenzione mediatica per un appuntamento chiave come questo però è quella che è. Come se lo spiega?
«Da un lato vi sono problemi più angoscianti, come la guerra in Ucraina e la crisi economica. Ma dall'altro vi è un residuo timore verso la Magistratura perché si pensa, a torto, che il referendum, abbia nei suoi confronti un intendimento punitivo. Timore comprensibile, perché basta un'informazione di garanzia per compromettere l'immagine, o addirittura la carica di un politico».
Lei ha dichiarato che non andare a votare Sì significherebbe dover smettere con le lamentele.
«Quando si è intervistati occorre trovare espressioni incisive, ma comunque la sostanza è proprio quella. Ora i cittadini hanno la possibilità di mandare alla politica un messaggio di insoddisfazione sull'amministrazione della giustizia penale nel nostro Paese. Se non se ne avvalgono, non possono poi lamentarsi della violazione quotidiana dei diritti costituzionali da parte di alcuni magistrati. Tuttavia la disaffezione degli italiani alle urne è così aumentata che l'astensione non potrebbe essere interpretata come un voto negativo, ma come stanchezza e rassegnazione generalizzata. Quindi nel merito sarebbe scorretto identificare l'astensione con un voto contrario. Quello si vedrà dal conteggio dei voti reali, da lì si capirà l'orientamento dei cittadini».
Ruby ter, la prova che i pm perseguitano Berlusconi. Corrado Ocone il 26 Maggio 2022 su Nicolaporro.it.
C’è un aspetto non considerato di quello che è stato definito efficacemente il “sistema Palamara”, cioè la corruzione della giustizia fatta da una casta di intoccabili per fini di parte o immediatamente politici. Il processo cosiddetto Ruby ter ce ne dà una plastica esemplificazione. Lo potremmo chiamare “partenogenesi”, mutuando un termine dalla medicina, il che in tempo di biopolitica (qualcuno ha parlato anche di biodiritto) fa sempre chic. Oppure, spostandoci sul terreno economico, lo potremmo definire, questa volta parafrasando Piero Sraffa, “produzione di processi attraverso processi”. Anzi un processo, quello appunto alle cosiddette “cene galanti” organizzate da Silvio Berlusconi, che si trascina ormai stancamente da anni e anni.
Il Ruby ter non giudica infatti più quelle cene, ma i comportamenti di imputati e testimoni (diventati anch’essi ora imputati) nel corso dei due precedenti processi che pure erano giunti all’assoluzione del Cavaliere perché “il fatto non sussiste”. Comportamenti che, giudicati penalmente rilevanti dai pubblici ministeri inquisitori, hanno portato gli stessi a chiedere ieri pene così spropositate, da risultare paradossalmente superiori a quelle chieste in precedenza per i reati da cui poi gli imputati erano stati scagionati. Un gioco al rialzo che un tempo avrebbe avuto sicuro effetto mediatico, ma che oggi viene generalmente mal sopportato dagli italiani, ormai completamente consapevoli di come funziona il sistema e di come con molta probabilità finirà ancora una volta tutta la vicenda, cioè con l’assoluzione degli imputati.
Un vero e proprio fumus persecutionis quello che ha per protagonista l’ormai più che ottuagenario presidente di Forza Italia, che riporta la giustizia a una fase barbarica e premoderna, quella in cui si perseguiva l’uomo e la sua costituzione morale e non semplicemente il reato. Dalle parole usate infatti dai due pm nelle loro requisitorie è infatti facilmente riscontrabile un’impostazione moralistica, con una sottesa invidia sociale per le fortune dell’imputato e per la vita gaudente ma pienamente legittima fra adulti consenzienti, che egli spesso conduceva e faceva condurre alle sue beneficiate.
La giustizia come vendetta e risarcimento storico delle diseguaglianze fra gli uomini: quanto di più aberrante posa concepirsi! È il risultato di una cultura giuridica che non può essere quella di un Paese civile. In verità, il gioco di una parte della magistratura (non tutta e nemmeno la maggioranza per fortuna) è ormai stato smascherato abbondantemente. E anche gli italiani non hanno più fiducia in essa, facendo a loro volta però spesso l’errore di mettere tutta l’erba in un fascio. Purtroppo questa consapevolezza non genera ribellione, ma assuefazione e disillusione su un possibile cambiamento.
Spero di sbagliarmi, ma ho paura che gli italiani il 12 giugno se ne staranno a casa e non faranno scattare il quorum sui benemeriti referendum su una giustizia più giusta, ovvero che sia tali, promossi da Lega e Radicali. Un errore gravissimo, e orse irrimediabile: chi è causa del suo mal, pianga se stesso… Uno scatto d’orgoglio è ancora possibile?
Corrado Ocone, 26 maggio 2022
Ruby Ter, "Lo vogliono fare": il terribile sospetto sulla richiesta di condanna per Berlusconi. Libero Quotidiano il 26 maggio 2022.
L'ennesimo assalto da parte della magistratura ha lasciato senza parole Silvio Berlusconi. L'ex premier adesso si trova a dover fronteggiare la richiesta di 6 anni per il processo Ruby Ter proprio in un momento delicato per il suo partito che guarda alle amministrative del 12 giugno, al referendum sulla Giustizia e alle politiche che ormai sono dietro l'angolo. E così il leader azzurro, secondo quanto riporta Repubblica, si è lasciato andare ad uno sfogo amaro: "C’è chi mi accusa di reati per i quali sono già stato assolto in un altro processo, c’è chi è fuori dal tempo e vuole tirarla per le lunghe per evidenti ragioni politiche", avrebbe detto a chi gli sta vicino.
Poi il Cav ha respinto le vergognose accuse mosse dai pm: "Ho sempre aiutato, in totale trasparenza e per tutta la sua vita, persone che riteneva ne avessero necessità". Ma a far male, a ferirlo, è soprattutto la richiesta di 6 anni di carcere, un vero schiaffo per un ex premier protagonista degli ultimi 30 anni della politica italiana: "È ridicola prima ancora che offensiva - il senso - l’idea di chiedere sei anni di reclusione per “rieducare” un imprenditore del mio calibro e un uomo politico che è stato per nove anni presidente del Consiglio. E che, soprattutto, ha quasi 86 anni". E tra le stanze di Forza Italia si fa sempre di più largo un sospetto.
La richiesta di condanna, guarda caso, è arrivata pochi giorni dopo la nuova discesa in campo di Berlusconi con il suo comizio alla Mostra d'Oltremare di Napoli. Tajani si sarebbe chiesto: "È un caso?". Il grande sospetto è che qualcuno voglia frenare la nuova corsa politica di Berlusconi, un po' come nel 1994 quando l'avviso di garanzia venne recapitato direttamente a Napoli.
«Il Cav in galera!». Riecco l’assalto dei magistrati. Ruby ter, la procura chiede sei anni di carcere per il Cav e cinque per Karima El Mahroug. «Le ragazze sono state pagate per tacere». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 26 maggio 2022.
Sei anni di reclusione per Silvio Berlusconi, imputato per corruzione in atti giudiziari, e cinque anni di reclusione per Karima El Mahroug, accusata di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari. Sono le richieste della Procura di Milano nel processo Ruby Ter, che vede coinvolto l’ex presidente del Consiglio, la ragazza passata alle cronache come Ruby e altre 28 persone, tra cui una ventina di cosiddette “olgettine”, che sarebbero state pagate per testimoniare il falso nei vari processi del caso.
Il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno anche chiesto la confisca di 10 milioni e 800mila euro all’ex presidente del Consiglio, di cinque milioni a Ruby e di tre milioni a Luca Risso, ex compagno della ragazza, come “prezzo della corruzione”. Per quest’ultimo è stata anche chiesta la reclusione per sei anni e sei mesi. Secondo Gaglio «è stata una corruzione percepita in modo peculiare dalle parti coinvolte» perché «prendere soldi per mentire sembrava normale», mentre per Federico Cecconi, avvocato di Berlusconi, «il reato non c’è, tutto quello che è stato fatto oggetto di contestazione è smentibile e ci sono argomenti solidi per arrivare all’assoluzione». Ma «a queste ragazze è stato assicurato che sarebbero state a posto sia come reddito, con un mensile da 2.500 euro, sia per un tetto, una casa, un alloggio», ha aggiunto Gaglio, che ha poi descritto Ruby come una ragazza «con una vera compulsione a spendere».
Tra le altre richieste, quella di un anno e quattro mesi per Maria Rosaria Rossi, senatrice ed ex fedelissima di Berlusconi, e di due anni al giornalista Carlo Rossella, entrambi accusati di falsa testimonianza. Chieste condanne fino a cinque anni per venti ragazze, e una confisca di loro beni per due milioni e 700mila euro. Compatta la reazione del centrodestra in difesa del leader di Forza Italia. «Altro processo, altra richiesta di condanna per Berlusconi per il “caso Ruby” – scrive il numero uno della Lega, Matteo Salvini, sui social – Ma basta, non se ne può più», per poi invitare a votare Sì ai referendum sulla giustizia il prossimo 12 giugno. «Piena solidarietà e vicinanza a Silvio Berlusconi, vittima di un accanimento giudiziario senza precedenti», spiega la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. «Siamo convinti che anche questa volta saprà dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati», aggiunge l’ex ministra della Gioventù nel quarto governo del Cavaliere. Che viene difeso in primis dal suo stesso partito. Secondo il coordinatore nazionale, Antoni Tajani, «ancora una volta si usa la giustizia a fini politici».
Secondo l’ex presidente del Parlamento europeo «da Milano arriva un’assurda e immotivata richiesta di condanna contro Berlusconi per una vicenda dalla quale è stato già assolto», definendo poi la vicenda «un accanimento inaccettabile contro un uomo che ha agito sempre con correttezza e trasparenza».
Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera” il 27 maggio 2022.
C'è un elemento che molti sembrano non considerare, o non vogliono considerare, da quando nel 2010 è cominciato il caso Ruby: e cioè che, al di là di ciò che avrebbe o non avrebbe fatto, ricevuto o non ricevuto, a dispetto di un fisico da pin-up Karima El Mahroug era solo poco più che un'adolescente quando frequentava Arcore e le cene e i dopocena del bunga bunga per i quali è finita in una vicenda enormemente più grande di lei.
Dopo 12 anni di inchieste e processi che la dipingono ad appena 17 anni come una prostituta, una maliarda spregiudicata che buttava soldi dalla finestra, oggi, a 29 anni ne rischia 5 di carcere per non aver detto in Tribunale, secondo i pm, la verità su ciò che accadeva a casa di Silvio Berlusconi. «Guardando indietro, con la maturità e la consapevolezza di adesso, credo che quella ragazza di 17 anni avrebbe dovuto essere protetta, soprattutto da quello stesso sistema che non ha mai smesso di giudicarmi, anche quando nei processi mi definiva vittima», dichiara lei al Corriere della Sera da Genova dove vive con la sua bambina e il compagno di oggi.
«Sono molto turbata dalla descrizione che ancora una volta viene fatta della mia persona da parte di chi non mi ha mai neppure conosciuta», aggiunge. Già il primo processo fu battezzato con il suo nome «Ruby uno», e non «bunga bunga» come sarebbe stato più logico fare (finì con l'assoluzione di Berlusconi), assegnandole implicitamente quel ruolo determinante che poi le avrebbe permesso di incassare da Berlusconi almeno 5 milioni di euro, secondo i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio che nel Ruby ter chiedono la condanna del Cavaliere a 6 anni per aver corrotto lei e un'altra trentina di testi.
I pm «descrivono nella loro requisitoria una persona che non esiste, con un nome di fantasia che avevo inventato da giovanissima per proteggermi dietro una maschera», afferma Karima.
Comunque la si pensi, Karima è quantomeno finita in una vicenda enormemente più grande di lei. Prima di entrare ad Arcore a febbraio 2010, la sua vita non era certamente stata quella che meritava una bambina. Arrivata dal Marocco con i genitori, viveva con loro in povertà in una casa fatiscente nelle campagne di Letojanni (Messina) grazie ai pochi soldi che il padre faceva vendendo cianfrusaglie per strada.
«A 13 anni è scappata da una comunità» dopo essere «stata abbandonata dalla famiglia», dice Gaglio. Padre e madre non erano riusciti a contenere l'esuberanza di una ragazzina già allora oggetto degli appetiti di quegli adulti ai quali finirà per concedersi a pagamento.
Nel 2009 partecipa a un concorso di bellezza in cui la adocchia Emilio Fede, qualche mese dopo è a Milano nel giro di Lele Mora. Immaginabile l'euforia che deve aver provato a Villa San Martino tra potere, soldi e ragazze disinibite che fanno a gara per catturare l'attenzione del padrone di casa. Sta di fatto che dal 27 maggio 2010, quando una volante la porta in questura accusata di furto (uscirà dopo una telefonata di Berlusconi che segnala di aver saputo che si tratta della nipote dell'allora presidente dell'Egitto Mubarak), Karima El Mahroug è costantemente sotto la luce obliqua dei riflettori.
«La mia vita è stata stravolta e io stritolata da un sistema molto più grande di me», racconta. Le indagini dicono che spendeva in modo compulsivo le «centinaia di migliaia di euro» che le mandava Berlusconi. «Quella che sono davvero continua ad essere invisibile agli occhi di tutti» e «la Ruby descritta in aula è molto lontana dalla donna che sono oggi, la mia vita non ha nulla a che vedere con quella descritta dall'accusa nel processo», rivendica: «Sono stanca di dover combattere contro una rappresentazione di me che non ha nulla a che vedere con quanto sono».
Mattia Feltri per “La Stampa” il 27 maggio 2022.
Sono giornate elettrizzanti. Silvio Berlusconi annuncia il ritorno in campo perché sono tornati i comunisti e lo fa mentre canta Malafemmena.
La procura di Milano ne chiede la condanna per la storia delle olgettine e in tribunale viene spiegato che Ruby Rubacuori è una gran furbona, di colpo piena di soldi.
Si riaccende la polemica sulla Nipote di Mubarak. Intanto in Sicilia si indaga su Forza Italia a proposito delle stragi di mafia. Qualcuno si interroga sul ruolo di Marcello Dell'Utri. E pure su quello di Totò Cuffaro.
Ah, forse si indaga anche sul ruolo dell'estremismo bombarolo fascista nella strage di Capaci.
Leggo analisi a proposito della scala mobile, chi sta con Bettino Craxi, chi con Ciriaco De Mita. Giuseppe Conte intende mettere al centro della sua agenda politica la questione morale di Enrico Berlinguer. Una squadra italiana allenata di Mourinho vince una coppa europea. Pare che Matteo Salvini per restituire slancio alla Lega abbia intenzione di candidare Gianfranco Fini.
In tv vanno molto i dibattiti su Winston Churchill e Adolf Hitler. Particolarmente spumeggiante la discussione sulla legge elettorale proporzionale.
Uno che si chiama (Caio) Mussolini reputa decisamente attuali le parole di Giorgio Almirante. Dicono che sulla Croisette si balla Elvis Presley. Ci si ammala di vaiolo.
Sfera Ebbasta ha fatto un rap con Toto Cutugno. Se non sbaglio, c'è un referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati.
Molta irritazione verso George Soros per la speculazione sulla lira. Allarme radiazioni a Chernobyl. Ehi, non è che siamo nel 1987, vero? Sennò quest' anno ho la maturità.
Giuseppe Legato per lastampa.it il 27 maggio 2022.
«Era tra le preferite di Berlusconi». Cosi, ieri a Milano, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio hanno tratteggiato l'identikit di Roberta Bonasia, ex infermiera dell'AslTo5 di Moncalieri/Nichelino diventata negli anni a cavallo tra il 2012 e il 2013 assidua frequentatrice delle serate di Arcore, appellata da alcuni imputati come «la fidanzata del premier».
E, nel processo ribattezzato Ruby/Ter, hanno chiesto per la giovane la condanna a 4 anni e 3 mesi (e confisca pari a 80 mila euro) ai giudici della settima sezione del tribunale (presidente Marco Tremolada).
Bonasia, che oggi ha cambiato vita e nome per sfuggire al clamore mediatico) difesa dal legale torinese Stefano Tizzani, è accusata di corruzione in atti giudiziari in concorso con Berlusconi. Pagata - secondo l'accusa - per mentire su quelle cene.
Le sue presunte bugie sarebbero state ricompensate con 22 bonifici, di cui 21 da 2500 euro e un maxi-versamento finale da 25 mila euro tutti emessi dal conto di Berlusconi (filiale di Segrate del Monte dei Paschi) verso il conto dell'ex infermiera (Intesa San Paolo in un comune dell'hinterland sud di Torino). Bonasia avrebbe peraltro beneficiato per diversi mesi di un appartamento in Torre Velasca.
Per i pm si sarebbe trattato di «indebite corresponsioni per rendere e per aver reso false dichiarazioni» nei processi Ruby 1 e Ruby 2 «quale testimone al fine di favorire Emilio Fede, Dario Mora e Nicole Minetti nonché Berlusconi». Per metà, una beffa.
Perche proprio Fede e Mora, nelle motivazioni di condanna a 7 anni, l'avrebbero osteggiata con una vera e propria strategia (poi fallita) perché «era pericolosamente diventata la favorita di Berlusconi».
Il Cavaliere - secondo alcuni testimoni dei magistrati - l'avrebbe presentata alle cene come la sua fidanzata. La difesa è tutta nella considerazione che quelle dazioni di denaro fossero atti di generosità non certo finalizzati a far mentire Bonasia in aula. E il maxi versamento finale da 25 mila euro? Una sorta di ristoro perché il clamore mediatico della vicenda aveva interrotto l'inarrestabile ascesa nel mondo dello spettacolo di Bonasia.
Rischia 5 anni di carcere nel processo sul "Bunga bunga". Karima El Mahroug e il tritacarne del Ruby ter: “Stritolata da un sistema più grande di me”. Redazione su Il Riformista il 27 Maggio 2022.
Karima El Mahroug, conosciuta in Italia come Ruby, ha 29 anni, una bambina e un compagno, vive a Genova e a 12 anni dallo scandalo del cosiddetto “Bunga bunga” rischia cinque anni di carcere. “Guardando indietro, con la maturità e la consapevolezza di adesso, credo che quella ragazza di 17 anni avrebbe dovuto essere protetta, soprattutto da quello stesso sistema che non ha mai smesso di giudicarmi, anche quando nei processi mi definiva vittima”, ha fatto sapere in un testo inviato all’Ansa attraverso il suo legale, l’avvocata Paola Boccardi. La sentenza dopo l’estate.
El Mahroug era arrivata in Italia dal Marocco con i genitori. Cresciuta in povertà nelle campagne di Letojanni, in provincia di Messina. Il padre faceva l’ambulante e lei scappò da una comunità dopo essere stata abbandonata dalla famiglia. A un concorso di bellezza nel 2009 venne notata da Emilio Fede, secondo la ricostruzione dei pm. L’anno dopo esplose il caso del “Bunga Bunga”. I processi su quelle che vennero definite “cene eleganti” portano il suo nome. “Sono molto turbata dalla descrizione che ancora una volta viene fatta della mia persona da parte di chi non mi ha mai neppure conosciuta” ha aggiunto Karima El Mahroug dicendo che i pm “descrivono nella loro requisitoria una persona che non esiste, con un nome di fantasia che avevo inventato da giovanissima per proteggermi dietro una maschera”.
Ruby ter è il terzo filone dell’indagini sull’inchiesta dei presunti soldi versati alle cosiddette “Olgettine”. È partito nel 2014. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto procuratore hanno chiesto una condanna senza le attenuanti generiche. Secondo le accuse l’ex presidente del Consiglio avrebbe comprato il silenzio e le menzogne di una trentina di ospiti e collaboratori che, a partire dal 2011 vennero chiamati a testimoniare nei processi Ruby e Ruby 2. Secondo i pm l’accordo prevedeva un reddito di “2.500 euro al mese e un tetto”. Secondo Gaglio “l’interesse era di pagare per mentire in tribunale e anche nelle interviste che venivano rilasciate ai media in modo da non depotenziare le testimonianze in aula”. Imputate 28 persone in tutto.
Chiesta alla settima sezione penale del Tribunale di Milano per Berlusconi la condanna a sei anni di carcere per corruzione in atti giudiziari, la confisca di quasi 11 milioni di euro delle quattro case che avrebbe fornito nell’ambito del presunto accordo, dieci milioni di euro per il “discredito planetario” causato all’istituzione. A Karima El Mahroug per corruzione in atti giudiziari è stata chiesta una condanna a cinque anni di reclusione e la confisca di cinque milioni di euro per non aver rivelato quello che sarebbe successo a Villa San Martino. “Le centinaia di migliaia di euro che Karima spendeva – ha detto Gaglio – le venivano consegnate, tramite il suo legale Luca Giuliante, da Berlusconi; lei più di così non poteva spendere, più di così c’era solo buttare i soldi dalla finestra. Soffre in quel periodo di una vera e propria compulsione a spendere. Karima era inaffidabile e il progetto era non farla testimoniare ed è stata fatta volare via per non farla testimoniare”.
E invece: “La mia vita è stata stravolta e io stritolata da un sistema molto più grande di me. La Ruby descritta in aula è molto lontana dalla donna che sono oggi, la mia vita non ha nulla a che vedere con quella descritta dall’accusa nel processo. Sono stanca di dover combattere contro una rappresentazione di me che non ha nulla a che vedere con quanto sono”, ha aggiunto El Mahroug. Come aveva scritto nel suo editoriale il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti: “L’idea della Procura è che prima o poi un giudice amico che lo condanni si trova. Finora è andata malissimo. Primi gradi, appelli, cassazioni, Ruby ter, Ruby bis, Rubi ter-bis…: niente sempre assolto. Adesso tornano alla carica. Lo accusano di avere assoldato i testimoni. Ma perché avrebbe dovuto se è accertato che è innocente? E poi, allora, anche i giudici che lo hanno assolto vanno processati?”.
La nuova campagna del Fatto. Travaglio ossessionato dalle bufale dei Graviano, falsi scoop del Fatto contro Berlusconi. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 21 Dicembre 2021. Leggiamo dal Fatto: «La sentenza di cassazione contro Dell’Utri colloca Berlusconi come una vittima e non come un imputato. Ciononostante non è una medaglia per un candidato al Quirinale». Anche se vittima, sei pur sempre colpevole, se sei “lui”. Povero Marcolino! Continua a credersi Davide contro Golia-Berlusconi e non gliene va bene una. Ha tentato con il titolone “No al garante della prostituzione”, ma i vari processi “Ruby”, iniziati con una piena assoluzione nel filone principale, si stanno sbriciolando uno a uno anche nei rivoli secondari. Mostrando una volta di più il leader di Forza Italia, più che come reo, come vittima. Si sta giocando quindi, settimana dopo settimana, la “carta Graviano”. Ma non funziona neppure questa, e lo dimostreranno le archiviazioni. Ma nel frattempo la disperazione sta allagando di lacrime la redazione del Fatto, tanto che sono ridotti a lamentarsi pubblicamente perché sull’argomento «i quotidiani non scrivono una riga». Lo schema è sempre lo stesso. Il venerdì, il piccolo settimanale L’Espresso fa il suo scoop, che in realtà è sempre la stessa notizia ripetuta più volte, sulle dichiarazioni di Graviano e le stragi del 1993 di cui Berlusconi sarebbe il mandante. In realtà non lo dice Graviano, ma Travaglio, ma fa lo stesso. Il sabato esce sul Fatto l’articolo, in genere di Marco Lillo, che più che giornalista è assemblatore di verbali, che riprende il finto scoop e aggiunge altri verbali per far vedere che lui ne ha di più di Marco Damilano. Un piccolo manicomio, insomma, che ormai non solo non guadagna più le prime né le ultime pagine dei quotidiani, ma non riesce neanche a far incazzare i difensori di Berlusconi, che evidentemente si sono stancati di ripetere quel che disse Niccolò Ghedini nel febbraio 2020: «Dichiarazioni totalmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà e palesemente diffamatorie». Che cosa era successo? Semplicemente che nel corso di un processo per ‘ndrangheta Giuseppe Graviano aveva cominciato a farneticare su Berlusconi. Ma nella sentenza le sue dichiarazioni erano state bocciate come inattendibili e prive di alcun riscontro. Come ormai si ripete da tempo. Ma Graviano insiste con le sue allusioni, perché spera di guadagnarci qualcosa, chissà, magari qualche permesso premio.
Stiamo parlando di un mafioso ergastolano ostativo che con le sue dichiarazioni astute e ricche di buchi quanto una rete da pesca, sta da un po’ prendendo in giro i magistrati di Firenze, a partire dal capo della procura Creazzo (quello definito come “Il Porco” da una collega siciliana), fino agli aggiunti Luca Tescaroli (antimafia doc) e Turco (il preferito di Matteo Renzi, viste le attenzioni che gli dedica). I quali cercano disperatamente di credere a questo zuzzurellone che, partendo dalla storia di suo nonno (che è un po’come dire dalle guerre puniche), che sarebbe stato imbrogliato da Berlusconi dopo aver versato, insieme ad altri, qualche milione di lire per imprecisati investimenti mai andati in porto, lascia intendere di aver qualcosa da dire sui “mandanti esterni” degli attentati del 1993 e 1994. Perché lui di quelle bombe a Roma, Milano e Firenze qualcosa deve sapere, visto che per quegli attentati è stato condannato.
La cosa più sorprendente è però non solo il fatto che a Firenze esista un filone di indagine su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, ma che gli uomini della Dia stiano perdendo tempo a ispezionare la zona di Basiglio-Milano 3, il quartiere residenziale costruito dalla Edilnord di Paolo Berlusconi, alla ricerca di un residence e anche di un appartamento dove Graviano avrebbe incontrato il presidente di Forza Italia, allora semplice imprenditore, insieme al cugino Salvatore, che aveva nelle mani una “carta” in cui Berlusconi ribadiva l’accordo stipulato con il nonno. Chiariamo subito che sia il nonno che Salvatore sono morti. E che la “carta” non c’è. Inoltre, che cosa c’entra tutto ciò con le stragi? Niente di niente.
Pure gli “scoop” continuano. E i viaggi dei pm fiorentini su e giù per l’Italia. E anche il traffico dei verbali. C’è l’interrogatorio di Graviano del 20 novembre 2020. Quello in cui i pm fiorentini gli chiedono: «Riferisca in ordine a eventuali rapporti economici con Berlusconi e Dell’Utri». E lui racconta la storia del nonno, «Quartararo Filippo, che lavorava nel settore ortofrutticolo». Poi fa confusione, perché dice di aver incontrato Berlusconi insieme al nonno, poi dice invece che il nonno non ha mai avuto rapporti diretti con l’imprenditore milanese. Poi lancia la sua bombetta, anche questa non nuova: mi hanno fatto arrestare per non dare corso a quell’accordo economico assunto con il nonno. Quindi sarebbe stato Berlusconi a farlo arrestare? Ma all’unica domanda importante per l’inchiesta: «Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi», Graviano risponde: «Non lo so se è stato lui». E stranamente, nel successivo interrogatorio del primo aprile di quest’anno non si parla più di bombe, ma solo della “carta” dei defunti nonno Filippo e cugino Salvatore. E noi paghiamo, avrebbe detto Totò.
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Il falso scoop. Espresso e Fatto provano a impallinare Berlusconi: rispunta l’intervista a Borsellino di Canal Plus e il tentativo di estorsione al Cav. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 31 Dicembre 2021. «Come magistrato ho una certa ritrosia a parlare di cose che non conosco», disse nell’intervista tv Paolo Borsellino, quando gli chiesero di Silvio Berlusconi. Lo si può riascoltare su youtube. Eppure… Eppure, la situazione è questa: Silvio Berlusconi ha organizzato le stragi del 1993 e ha tentato di far uccidere il suo amico Maurizio Costanzo, prima ancora però aveva anche fatto assassinare Paolo Borsellino. Proprio per quell’intervista al giudice palermitano che lo avrebbe spaventato perché sarebbe stata “pericolosa” per il leader di Forza Italia. Cui viene attribuito un bel curriculum criminale, indubbiamente.
Il grottesco è che esiste una partita di giro giornalistica tra il comico e il delinquenziale che non solo è convinta di questa favola, ma perde anche tempo a scriverne, e soprattutto a sollecitare i magistrati ad aprire inchieste. Come se non fossero bastati gli innumerevoli tentativi abortiti in terra di Sicilia. Come se non fosse ancora all’ordine del giorno la follia dell’inchiesta aperta a Firenze da un procuratore definito “Il Porco” da una collega che lo accusa di molestie, insieme a uno già svezzato dall’“antimafia” in Trinacria e un terzo innamorato delle gesta di Matteo Renzi. La partita di giro giornalistico-giudiziaria procede, naturalmente, in simbiosi con quella più politica, il battaglione dei virtuosi che spiegano ogni giorno a Berlusconi di lasciar perdere con la candidatura al Quirinale, chi evocando il conflitto d’interessi, chi qualificandolo come “divisivo”. Come se la gran parte dei predecessori non provenisse da qualche partito e non fosse di conseguenza “divisivo”. Ma c’è divisivo e divisivo, dipende solo dal colore politico.
La storia giudiziaria serve a rafforzare quella politica e a riempire molte pagine. Accantonata la questione della frode fiscale, perché per l’unica condanna Berlusconi è stato riabilitato e qualche sorpresa potrebbe arrivare dalla commissione europea e lasciare i suoi persecutori a bocca asciutta. Fallita l’operazione di Travaglio “No al garante della prostituzione” (forse perché molti uomini italiani vanno a prostitute e non amano che li si faccia sentire in colpa per questo), non restava che la mafia. Dare del mafioso a un politico è sempre un bel colpo. Quindi si spara con queste cartucce. C’è la carta Giuseppe Graviano – parliamo di un mafioso condannato all’ergastolo per le principali stragi di Cosa Nostra -, che almeno una volta la settimana porta a spasso qualche pubblico ministero. Prima parlando del proprio nonno che sarebbe stato truffato dopo un investimento in società con l’imprenditore di Arcore. Poi dilettandosi di toponomastica sul sud milanese, dove si sarebbe recato in anni passati in motel piuttosto che in un appartamentino per appuntamenti di cui non si capisce la finalità.
Fantasie che però hanno tenuti impegnati i magistrati e gli uomini della Dia in diversi viaggetti, e i giornalisti del Fatto con le loro affannose cronache a riempire pagine su pagine. Che Giuseppe Graviano si stia accreditando per avere qualche alleggerimento al proprio 41 bis è lampante. Non può fare il “pentito” perché sulle stragi ormai c’è un affollamento di collaboratori di giustizia da non lasciare spazio a nuove rivelazioni. Così ha cercato la gallina dalle uova d’oro, ormai introvabile a Palermo, ma ancora vivente a Firenze. Ma anche il filone Graviano è ormai asciutto. Un po’ perché lui vuol fare lo scambio con qualche vantaggio personale e la cosa non sta andando in porto, ma soprattutto perché in realtà su Berlusconi non ha proprio niente da dire. Ecco dunque che spunta fuori – ancora e ancora – la storia di un’intervista al giudice Paolo Borsellino, fatta poco prima della sua uccisione, da due giornalisti dell’emittente francese Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. La chiacchierata aveva come tema generale la mafia e andava inserita in un documentario. I due però, lo si capisce bene riguardando il filmato, insistevano molto con le domande su Vittorio Mangano, lo stalliere che per un periodo fu impiegato ad Arcore, la sicilianità di Marcello Dell’Utri (la sua vera colpa) e i rapporti con Silvio Berlusconi.
Borsellino si difendeva come poteva dall’insidia dell’incalzare delle domande, dicendo che non ne sapeva niente e che se Mangano parlava di cavalli era perché ne era appassionato. Ma anche che, quando parlava con un esponente della famiglia mafiosa degli Inzerillo, forse usava quel termine, così come quello delle “magliette”, per parlare di droga. Lui diceva Inzerillo, e quelli traducevano in Dell’Utri, però. Una vera “incomprensione”. Come quando gli dicono che tutti e due, il dirigente di Publitalia e lo stalliere erano di Palermo e il magistrato sorridendo: ma non vuol dire che si conoscessero, anche se erano della stessa città! I due tendevano continuamente il loro tranello al giudice, con un uso particolare e ingannevole della telecamera. Lo spiega in modo esplicito Michel Thoulouze, ex manager di Canal Plus e di Telepiù, intervistato ieri dal Fatto quotidiano. E dice anche qualcosa di più. Che i due giornalisti avevano in seguito tentato di vendere l’intervista e tutte quante le 50 ore di girato a un collaboratore di Silvio Berlusconi, il quale si era detto non interessato e aveva rifiutato.
Peccato però che il piccolo settimanale L’Espresso, allegato di Repubblica, abbia titolato nel suo ultimo numero “Soldi per insabbiare lo scoop. Un emissario di Berlusconi offrì un milione di dollari per l’intervista di Canal Plus a Borsellino”. Chi lo dice? L’avrebbe detto in confidenza Fabrizio Calvi a uno dei due colleghi dell’Espresso (Paolo Biondani e Leo Sisti) prima di morire. Eh si, perché l’autore della famosa intervista a Borsellino, che era malato di Sla, ha deciso di chiudere con la vita in una clinica svizzera lo scorso ottobre. E lui, scrivono con cinismo i suoi due “amici” del settimanale italiano, «non ha fatto in tempo a spiegarci tutto quello che aveva scoperto». Bel modo di trattare gli amici! Aspetti che uno non ci sia più per accreditargli uno scoop inesistente e poi ti lamenti perché lui non ha fatto in tempo a dirti tutto, come se fosse morto all’improvviso e non, come è stato, in modo programmato. Cinismo ributtante, veramente.
Naturalmente, e “opportunamente”, anche l’altro giornalista del finto scoop non c’è più, morto da dieci anni. Ma spiega bene in che cosa consistesse quell’inchiesta sulla mafia che non andò mai in onda, l’intervista dell’ex manager di Canal Plus, Michel Thoulouze, come riportata dal Fatto: «La verità è che non l’hanno trasmesso perché quel documentario era una m…». E sui due: «Ho detto a Moscardo: non fate il ricatto». Quindi tutta l’insistenza nelle domande a Borsellino su Berlusconi aveva lo scopo di estorcergli denaro? Il che ci riporta a un episodio del 2019 (come riportato da un articolo di quei giorni da Damiano Aliprandi sul Dubbio), quando Paolo Guzzanti aveva messo in discussione la veridicità di una trasmissione della Rai sulla famosa intervista a Borsellino e su una presunta inchiesta su Marcello Dell’Utri della procura di Caltanissetta. Sigfrido Ranucci, autore della trasmissione, l’aveva querelato, ma Guzzanti era stato assolto e i magistrati, confermando che la trasmissione era stata “manipolata”, avevano anche ironizzato sugli imputati fantasma, presenti solo nella fantasia di qualcuno.
Ma un altro episodio va segnalato. Ne parla l’Espresso, per notare che nel 2019 il giornalista francese Fabrizio Calvi era stato sentito dal procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci, vicino a Losanna, e che il verbale di quell’interrogatorio era stato secretato. Il settimanale aggiunge che era presente anche “uno strano” avvocato. Ora, strano o no che fosse, quando a un interrogatorio è presente un legale significa una cosa sola, che la persona ascoltata non è un testimone ma un indagato. E, alla luce di quel che ha detto nell’intervista di ieri sul Fatto l’ex manager di Canal Plus Pierre Thoulouze sull’intenzione dei due giornalisti di estorcere denaro a Berlusconi con la patacca dell’intervista di Borsellino che neanche lo nominava, che cosa pensare dell’inchiesta di Caltanissetta? E se gli indagati non fossero stati Mangano, Dell’Utri e magari lo stesso imprenditore di Arcore ma proprio i due cronisti, sospettati di tentata estorsione?
Tiziana Maiolo. Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
Come superare il populismo. Chi è senza reato scagli la prima pietra. Massimo Donini su Il Riformista il 30 Dicembre 2021. Col processo di secolarizzazione del diritto e della morale le etiche di partito, di chiesa e di schieramento, laici e cattolici, liberali e socialisti, credenti e atei, onnivori e vegani, sono tutte quante divenute sempre più, se non categorie storiche, quanto meno visioni private del mondo: visioni che tuttavia è vietato assumere come quelle pubbliche della legge in chiave monopolistica e totalizzante. Sono concezioni del mondo accolte da gruppi che restano stranieri morali tra loro, come emerge a tutto campo nelle questioni paradigmatiche della bioetica.
In un contesto di pluralismo dei valori, infatti, solo il diritto può adottare punti di vista rispettosi delle differenze e non contrassegnati da una specifica identità ideologica che sarebbe ad esso vietata da principi superiori. È vero dunque, oggi, che solo il diritto può rappresentare ormai l’etica pubblica. Ma poiché le leggi non obbligano in coscienza, e dunque formalmente non sono un parametro di moralità, se un’etica pubblica va individuata, dovrà essere ritagliata dal perimetro di ciò che è giuridicamente consentito o regolato, ma possa venire avvertito anche come doveroso moralmente. L’etica pubblica è dunque ciò che, della forma-ius, ci obbliga in coscienza. Più singolare e distorcente è la declinazione penalistica del fenomeno, che muove dalla convinzione che il diritto penale è quel ramo del diritto che ha più capacità censoria, è il più intollerante dei diritti, pur restando (in ipotesi) laico e non confessionale, non di partito o di parte.
In una situazione di assenza di parametri pubblici di valutazione morale, per disapprovare una condotta la via più sicura è di qualificarla come reato, mancando altrimenti un sistema di valori davvero eloquente o condiviso: una censura in termini non penalistici o perfino non giuridici, ha un impatto assai modesto in un sistema privo di un codice di comportamento autonomo. È diffusa la percezione che “se non è penale, si può fare”, se un certo comportamento non configura un reato, la norma-precetto che lo vieta non si avverte come un obbligo veramente vincolante. Quando una condotta integra un illecito civile o amministrativo, la relativa sanzione può essere vista come una sorta di onere: la si può metter in conto, in cassa, quale tributo da pagare se vi vuole commettere il fatto. Se la sanzione è penale, invece, la regola ha un impatto censorio assai più forte, esprimendo un divieto assoluto, il cui castigo non è riducibile a tassa. Questo dato è poi accentuato da una peculiare debolezza della politica, incapace di esprimere una propria scala di valori, un proprio codice etico. Fenomeno che in Italia ha accentuazioni specifiche.
La popolarità della giustizia penale è dovuta molto anche all’illusione forse più grande della coscienza collettiva: l’idea che il reato riguardi gli altri, che si possa normalmente non commettere.
L’esperienza del penalista dimostra invece il contrario: è inevitabile che ognuno di noi commetta (e subisca) qualche reato. Si tratta di una dimensione umana, sociale, politica di carattere universale. Occorre infatti una nuova cultura per rappresentarla e promuoverne una acquisizione pubblica. I reati più comuni, di cui a seconda delle inclinazioni tutti siamo stati autori o vittime, sono gli oltraggi, le percosse, le diffamazioni, le violenze private, le appropriazioni o i piccoli furti, alcune forme di stalking, di disturbo alle persone, di minaccia, di ricatto, di frode e di falso, di comportamento pericoloso alla guida, o di guida in condizioni alcooliche vietate, di porto senza giustificato motivo di cose o strumenti atti ad offendere la persona, di consumo con cessione di droghe, di abuso di ufficio, di reticenza in giudizio, di omissione di soccorso, di abuso edilizio, o di discriminazione per motivi razziali, religiosi, sessuali, di violazione di corrispondenza, di ricevimento di cose provenienti da reati altrui, o di complicità in reati altrui etc. L’ingiuria, gli atti osceni e il danneggiamento doloso semplice sono stati da qualche tempo depenalizzati, altrimenti vi rientrerebbero.
Nella vita privata, dalla scuola materna alla casa di riposo, nella circolazione stradale, nei luoghi di lavoro, in famiglia, nella vita pubblica, nei pubblici uffici, nelle imprese, tutti abbiamo rischiato di fare male ad altre persone violando anche involontariamente regole di prudenza, o di correttezza, e solo perché fortunati non ci è accaduto di commettere lesioni od omicidio colposi, qualche abuso o violazione di obblighi occorsi invece ad altri meno fortunati di noi. L’informazione giuridica dovrebbe dare conto che i reati, nel nostro sistema, non sono inferiori a 6000 fattispecie (una ricerca finanziata dal Ministero della ricerca scientifica di una ventina di anni fa conteggiava 5431 norme-precetto solo fuori dai codici), e dunque nessuno li conosce tutti, mentre tutti possono commetterne qualcuno senza saperlo. È dunque importante che si riconosca che nessuno è immune, nessuno è immacolato, nessuno può pensare che il penale riguardi solo gli «altri». E non sarebbe neppure necessario ricordarlo se non fosse diffusa la dimenticanza che anche i dieci comandamenti riguardano tutti come capaci di colpa, e tra questi il più universale, il “non uccidere”, che anche inteso in senso stretto è toccato alla maggior parte di noi di non violarlo perché non c’è stata l’occasione per farlo, non perché ci manca la fossetta occipitale mediana di Lombroso.
La tendenza del diritto a rappresentare l’etica pubblica ha dunque sviluppato la patologia di identificare il diritto penale con tale etica, ma a sua volta questo eccesso si è accompagnato all’illusione collettiva di riservare l’infamia penalistica agli altri, ora per interesse a usare questo etichettamento contro avversari politici (ciò che esprime l’aspetto più inquietante del giustizialismo), ora invece per una mancata percezione dell’oggettività del dato che il rischio penale è un fenomeno di massa. Questa situazione paradossale rende oggi necessario il passaggio da una democrazia penale populista, come quella che si lascia alle spalle l’anno ora trascorso, a una democrazia penale informata. La democrazia penale qui intesa non è solo quella (in un’accezione un po’ negativa) della maggioranza disinformata e telecomandata a odiare a turno i pedofili, i corrotti, gli immigrati clandestini, i riciclatori di denaro, gli automobilisti ubriachi, gli stupratori soprattutto se stranieri, gli imprenditori che risparmiano sulla sicurezza, i violenti allo stadio, gli evasori dell’Iva europea, i bancarottieri, gli hackers, i negazionisti, i giovani bulli e violenti, e ovviamente tutti gli associati per delinquere (un’imputazione alla portata di tutti, i benpensanti non lo sanno e devono apprenderlo): quella maggioranza occhiuta che ha sostenuto a lungo populisticamente i programmi legislativi e la macchina da guerra giudiziaria contro il crimine e che l’attuale scontro sui “doveri informativi” delle Procure della Repubblica vuole rimettere in gioco.
La democrazia penale informata è quella che garantisce più conoscenze e più controllo critico, che si basa su dati controllabili di altro tipo. Non è il sapere di una parte del processo che informa unilateralmente i cittadini prima delle decisioni di un organo terzo, ma la democrazia dove la scienza condivide le conoscenze che il Parlamento utilizza nel costruire le leggi (non solo l’Air, l’analisi di impatto della regolamentazione, ma controlli di legittimità, predittività degli effetti, impiego di culture ed esperienze non giudiziarie, attenzione al conflitto sociale e alle cause che favoriscono il delitto) e le trasmette anche ai giudici e ai media, dove la divisione dei poteri si attua attraverso una condivisione dei saperi che la limita: affinché non accada come nell’antica Cina quando l’imperatore, dalle segrete stanze della Città Proibita, esercitava almeno simbolicamente un potere assoluto sul tempo e sul peso, di cui poteva stabilire l’unità di misura. La Città Proibita quale monumento dell’inaccessibilità del Potere e del suo Sapere. Questa misura potrebbe oggi riguardare il peso della colpa e la durata della pena, due dati scarsamente accessibili allo stesso sapere scientifico.
Se si conoscesse meglio il male intrinseco della macchina della giustizia, o si conoscessero le sue inevitabili sconfitte, anche se non si manifestano in violazioni terrificanti o disumane dell’integrità dei corpi, o nell’indifferenza alle anime, la popolarità di quella macchina da guerra sarebbe minore, e ciò le farebbe solo bene, rendendola più controllata e attenta, più umana, e anche la retorica della giustizia, e la celebrità di alcuni suoi attori, si dimostrerebbero spesso patetiche e ingannevoli. Un sano ridimensionamento di quelle illusorie aspettative potrebbe solo giovare a ridurre l’uso populistico dell’informazione, che costituisce uno dei mali della società contemporanea. Massimo Donini