Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
ANNO 2021
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
PRIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Circo.
Superstizione e fisse.
Gli Zozzoni.
Le Icone.
Le Hollywood d’Italia.
«Gomorra», tra fiction e realtà.
Quelli che …il calcio.
I Naufraghi.
Amici: tutto truccato?
Il Grande Fratello Vip.
"I tormentoni estivi? Sono da 60 anni specchio dell'Italia".
Le Woodstock.
Rap ed illegalità.
L’Eurovision.
Abella Danger e Bella Thorne.
Achille Lauro.
Adele.
Adriana Volpe.
Adriano e Rosalinda Celentano.
Aerosmith.
Aida Yespica.
Afef.
Alanis Morissette.
Alba Parietti.
Alba Rohrwacher.
Al Bano Carrisi.
Alda D’Eusanio.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Ale & Franz.
Alec Baldwin.
Alessandra Amoroso.
Alessandro Benvenuti.
Alessandro Borghese.
Alessandro Borghi.
Alessandro Cattelan.
Alessandro Cecchi Paone.
Alessandro Gassmann.
Alessandro Haber.
Alessandro Nivola.
Alessia Marcuzzi.
Alessio Bernabei.
Alfonso Signorini.
Alice ed Ellen Kessler.
Alina Lopez e Emily Willis.
Amanda Lear.
Ambra Angiolini.
Amedeo Minghi.
Amouranth, alias Kaitlyn Siragusa.
Andrea Balestri.
Andrea Bocelli.
Andrea Delogu.
Andrea Roncato.
Andrea Sannino.
Angela White.
Angelina Jolie.
Anya Taylor-Joy.
Anna Falchi.
Anna Oxa.
Annalisa Minetti.
Anna Maria Rizzoli.
Anna Tatangelo.
Anna Mazzamauro.
Anthony Hopkins.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonella Mosetti.
Antonello Venditti.
Antonino Cannavacciuolo.
Antonio Costantini Awanagana.
Antonio Mezzancella.
Antonio Ricci.
Arisa.
Asia e Dario Argento.
Aubrey Kate.
Baltimora.
Barbara De Rossi.
Barbara d'Urso.
Beatrice Rana.
Belen Rodriguez.
Bella Hadid.
Benedetta D’Anna.
Benedicta Boccoli.
Bill Murray.
Billie Eilish.
Björn Andrésen.
Bob Dylan.
Bobby Solo, ossia: Roberto Satti.
Brad Pitt.
Brandi Love.
Brigitte Bardot.
Britney Spears.
Bruce Springsteen.
Camilla Boniardi: Camihawke.
Can Yaman.
Capo Plaza, nato come Luca D'Orso.
Cara Delevingne.
Carla Gravina.
Carlo Cracco.
Carlo Verdone.
Carlotta Proietti.
Carmen Consoli.
Carmen Russo e Enzo Paolo Turchi.
Carol Alt.
Carolina Marconi.
Catherine Spaak.
Caterina Balivo.
Caterina Caselli.
Caterina De Angelis e Margherita Buy.
Caterina Lalli, in arte Lialai.
Caterina Murino.
Caterina Valente.
Cecilia Capriotti.
Chadia Rodriguez.
Charlotte Sartre.
Chloé Zhao, regista Premio Oscar.
Christian De Sica.
Claudia Koll.
Cristian Bugatti in arte Bugo.
Cristiano Malgioglio.
Clara Mia.
Claudia Cardinale.
Claudia Gerini.
Claudia Motta.
Claudia Pandolfi.
Claudia Schiffer.
Claudia Koll.
Claudio Baglioni.
Claudio Bisio.
Claudio Cecchetto.
Claudio Santamaria.
Coma_Cose.
Cosimo Fini, cioè Gué Pequeno.
Corinne Clery.
Daft Punk.
Damon Furnier, in arte Alice Cooper.
Daniela Ferolla.
Dario Faini, Dardust e DRD.
Demi Lovato.
Demi Moore.
Demi Sutra.
Deep Purple.
Diego Abatantuono.
Diletta Leotta.
Donatella Rettore.
Dori Ghezzi vedova De André.
Dredd.
Ed Sheeran.
Edoardo Bennato.
Edoardo Vianello.
Eddie Murphy.
Elena Sofia Ricci.
Eleonora Cecere.
Eleonora Giorgi.
Eleonora Pedron.
Elettra Lamborghini.
Elio (Stefano Belisari) e le Sorie Tese.
Elisa Isoardi.
Elisabetta Canalis.
Elisabetta Gregoraci.
Elena Anna Staller, detta Ilona (il nome della madre) o Cicciolina.
Elodie.
Ema Stokholma.
Emanuela Fanelli.
Emma Marrone.
Emily Ratajkowski.
Enrico Brignano.
Enrico Lucherini.
Enrico Montesano.
Enrico Papi.
Enrico Ruggeri.
Enrico Vanzina.
Enza Sampò.
Enzo Braschi.
Enzo Ghinazzi: Pupo.
Enzo Iacchetti.
Ermal Meta.
Eros Ramazzotti.
Eva Grimaldi.
Eveline Dellai.
Ezio Greggio.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Faber Cucchetti.
Fabio Marino.
Fabio Testi.
Fanny Ardant.
Federico Quaranta.
Federico Salvatore.
Filomena Mastromarino: Malena.
Fedez e Chiara Ferragni.
Fiorella Mannoia.
Flavio Insinna.
Francesca Alotta.
Francesca Cipriani.
Francesca Giuliano.
Francesca Michielin.
Francesca Neri.
Francesca Reggiani.
Francesco Baccini.
Francesco De Gregori.
Francesco Gabbani.
Francesco Guccini.
Francesco Pannofino.
Francesco Sarcina.
Franco Oppini.
Franco Trentalance.
Frank Matano.
Gabriel Garko.
Gabriele e Silvio Muccino.
Gabriele Lavia.
Gabriele Paolini.
Gabriele Salvatores.
Gene Gnocchi.
Gerry Scotti.
Giancarlo Magalli.
Giancarlo ed Adriano Giannini.
Gianfranco Vissani.
Gianluca Grignani.
Gianni Morandi.
Gianni Sperti.
Gigi D'Alessio.
Gina Lollobrigida.
Gino Paoli.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanni Veronesi.
Giucas Casella.
Giulia De Lellis.
Giuliano Montaldo.
Giulio Mogol Rapetti.
Giuseppe Povia.
Greta Scarano.
Harvey Keitel.
Heather Parisi.
Helen Mirren.
Hugh Grant.
Gli Stadio.
I Dik Dik.
I Duran Duran.
I Jalisse.
I Gemelli di Guidonia.
I Pooh.
I Righeira.
I Tiromancino.
Iggy Pop.
Ilaria Galassi.
Ilary Blasi.
Ilenia Pastorelli.
Irina Shayk.
Iva Zanicchi.
Ivan Cattaneo.
J-Ax.
James Franco.
Jamie Lee Curtis.
Jane Fonda.
Jean Reno.
Jenny B.
Jennifer Lopez.
Jerry Calà.
Jessica Drake.
Jessica Rizzo.
Joan Collins.
Jo Squillo.
John Carpenter.
Johnny Depp.
José Luis Moreno.
Junior Cally.
Justine Mattera.
Gabriele Pellegrini: Dado.
Giovanni Scialpi, in arte Shalpy.
Kabir Bedi.
Kayden Sisters.
Kasia Smutniak.
Kate Moss.
Kate Winslet.
Katherine Kelly Lang- Brooke Logan.
Katia Ricciarelli.
Kazumi.
Kevin Spacey.
Kim Kardashian.
Kissa Sins.
Lady Gaga.
La Gialappa's Band.
La Rappresentante di Lista.
Lando Buzzanca.
Laura Chiatti.
Laura Freddi.
Laura Pausini.
Le Carlucci.
Lele Mora.
Lello Arena.
Leo Gullotta.
Liana Orfei.
Licia Colò.
Lillo (Pasquale Petrolo) & Greg (Claudio Gregori).
Linda Evangelista.
Lino Banfi.
Linus.
Liza Minnelli.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Jovanotti Cherubini.
Loretta Goggi.
Lory Del Santo.
Luca Barbareschi.
Luca Barbarossa.
Luca Bizzarri.
Luca Tommassini.
Luca Zingaretti.
Luca Ward.
Luce Caponegro: Selen.
Luciana Littizzetto.
Luciana Savignano.
Luciano Ligabue.
Lucrezia Lante della Rovere.
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Maccio Capatonda (all'anagrafe, Marcello Macchia).
Madame.
Maddalena Corvaglia.
Madonna.
Maitland Ward.
May Thai.
Malika Ayane.
Maneskin.
Manila Nazzaro.
Manuel Agnelli.
Manuela Arcuri.
Mara Maionchi.
Mara Venier.
Marco Bellocchio.
Marco Castoldi in arte Morgan.
Marco e Dino Risi.
Marco Giallini.
Marco Mengoni.
Marco Tullio Giordana.
Maria Bakalova.
Maria De Filippi.
Maria Giuliana Toro: «nome d' arte», Giuliana Longari.
Maria Grazia Cucinotta.
Maria Luisa “Lu” Colombo.
Maria Pia Calzone.
Marianna Mammone: BigMama.
Marica Chanelle.
Marilyn Manson.
Mario Maffucci.
Marina La Rosa.
Marina Perzy.
Marisa Laurito.
Martina Cicogna.
Martina Colombari.
Massimo Boldi.
Massimo Ghini.
Massimo Ranieri.
Massimo Wertmüller.
Matilda De Angelis.
Maurizio Aiello.
Maurizio Battista.
Maurizio Milani.
Mauro Coruzzi, in arte Platinette.
Max Pezzali.
Mel Brooks.
Memo Remigi.
Micaela Ramazzotti.
Michael J. Fox.
Michael Sylvester Gardenzio Stallone.
Michele Foresta, in arte Mago Forest.
Michele Guardì.
Michele Placido.
Michelle Hunziker.
Miguel Bosé.
Milena Vukotic.
Milton Morales.
Mikhail Baryshnikov.
Mina.
Miriam Leone.
Mistress T..
Mita Medici.
Myss Keta.
Modà.
Monica Bellucci.
Monica Guerritore.
Monica Vitti.
Nada.
Naike Rivelli ed Ornella Muti.
Nancy Brilli.
Nanni Moretti.
Naomi Campbell.
Nek.
Nicola Di Bari.
Nicolas Cage.
Nicole Aniston.
Nina Moric.
Nino D’Angelo.
Nino Frassica.
Nick Nolte.
Nyna Ferragni.
Noemi.
99 Posse.
Oliver Stone.
Orietta Berti.
Orlando Portento.
Ornella Vanoni.
Pamela Anderson.
Pamela Prati.
Paola Perego.
Paola Pitagora.
Paola Saulino, meglio nota come Insta_Paolina.
Paolo Bonolis.
Paolo Conte.
Paolo Fox.
Paolo Rossi.
Paolo Sorrentino.
Paris Hilton.
Pasquale Panella alias Vito Taburno.
Patrizia De Blanck.
Patty Pravo.
Patti Smith.
Pedro Almodóvar.
Peppe Barra.
Peppino di Capri.
Phil Collins.
Pietra Montecorvino.
Pierfrancesco Favino.
Pier Francesco Pingitore.
Piero Chiambretti.
Pietro Galeotti.
Pino Donaggio.
Pio e Amedeo.
Pietro e Sergio Castellitto.
Pippo Baudo.
Pupi Avati.
Quentin Tarantino.
Quincy Jones Jr.
Rae Lil Black.
Rajae Bezzaz.
Raffaella Carrà.
Raffaella Fico.
Red Ronnie.
Regina Profeta.
Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.
Renzo Arbore.
Riccardo Cocciante.
Riccardo Fabbriconi: Blanco.
Riccardo Muti.
Riccardo Scamarcio.
Ricchi e Poveri.
Richard Benson.
Rita Dalla Chiesa.
Rita Ora.
Robert De Niro.
Roberto Da Crema.
Roberto Vecchioni.
Robyn Fenty, in arte Rihanna.
Rocco Maurizio Anaclerio, in arte Dj Ringo.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Roberto Bolle.
Rodrigo Alves.
Rosalino Cellamare: Ron.
Rosario Fiorello.
Rowan Atkinson.
Sabina Guzzanti.
Sabrina Ferilli.
Sabrina Salerno.
Sal Da Vinci.
Salma Hayek.
Salvatore Esposito.
Sandra Milo.
Sara Croce.
Sara Tommasi.
Sarah Cosmi.
Scarlit Scandal.
Serena Autieri.
Serena Grandi.
Serena Rossi.
Sergio Rubini.
Shaila Gatta.
Sharon Stone.
Shel Shapiro.
Silvio Orlando.
Simona Izzo e Ricky Tognazzi.
Simona Marchini.
Simona Tagli.
Simona Ventura.
Simone Cristicchi.
Sylvie Lubamba.
Sylvie Vartan.
Sophia Loren.
Stefania Casini.
Stefania Orlando.
Stefania e Amanda Sandrelli.
Stefano Accorsi.
Stefano e Frida Bollani.
Stefano Sollima.
Steven Spielberg.
Sting.
Taylor Swift.
Teo Teocoli.
Terence Hill, alias Mario Girotti.
Terence Trent d’Arby, ora Sananda Maitreya.
Teresa Saponangelo.
Tilda Swinton.
Tim Burton.
Tina Ciaco, in arte Priscilla Salerno.
Tina Turner.
Tinì Cansino.
Tinto Brass.
Tiziano Ferro.
Tommaso Paradiso.
Toni Ribas.
Toni Servillo.
Tony Renis.
Tosca D’Aquino.
Tullio Solenghi.
Uccio De Santis.
Umberto Smaila.
Umberto Tozzi.
Val Kilmer.
Valentina Lashkéyeva. In arte: Gina Gerson.
Valentina Nappi.
Valentine Demy.
Valeria Golino.
Valeria Marini.
Valeria Rossi.
Valerio Lundini.
Vasco Rossi.
Veronica Pivetti.
Village People.
Vina Sky.
Vincent Gallo.
Vincenzo Salemme.
Vittoria Puccini.
Vittoria Risi.
Zucchero Fornaciari.
Wanna Marchi e Stefania Nobile.
Wladimiro Guadagno, in arte Luxuria.
Willie Nelson.
Willie Peyote.
Will Smith.
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Figure di m…e figuranti.
Non sono solo canzonette.
La Prima Serata.
La Seconda Serata.
La Terza Serata.
La Quarta Serata.
La Quinta ed ultima Serata.
Sanremo 2022.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…scrivono.
Quelli che….la Paralimpiade.
Quelli che…l’Olimpiade.
L’omertà nello Sport.
Autonomia dello sport? Peggio della Bielorussia.
Le Plusvalenze.
Le Speculazioni finanziarie.
Gli Arbitri.
I Superman…
Figli di Papà.
Quelli che …ti picchiano.
Quelli che … l’Ippica.
Quelli che … le Lame.
Quelli che …i Motori.
Quelli che …il che Ciclismo.
Quelli che …l’Atletica.
INDICE SESTA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che …il Calcio.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che ...la Palla ovale.
Quelli che …la Pallacanestro.
Quelli che …la Pallavolo.
Quelli che …il Tennis.
Quelli che …la Vela.
Quelli che …i Tuffi.
Quelli che …il Nuoto.
Quelli che …gli Sci.
Quelli che …gli Scacchi.
Quelli che… al tavolo da gioco.
Il Doping.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Dagotraduzione dal Washington Post il 21 giugno 2021. Un tempo, negli Stati Uniti, quando il circo arrivava in città era una grande festa, paragonabile al Ringraziamento, al Natale e al 4 luglio. Negozi, uffici, scuole chiudevano e l’intera popolazione si radunava per assistere allo spettacolo. Ma il circo è stato qualcosa di più di puro divertimento: ha rassicurato gli americani che tutto era possibile. Il circo ha radici antiche, che risalgono agli antichi greci e ai romani. Nel Medioevo i turchi ne ripresero l’essenza con spettacoli di acrobazia su corde tese tra gli alberi di due navi. E nell’Inghilterra del XVIII secolo, i britannici iniziarono ad esibirsi sui cavalli all’interno di un anello di una certa dimensione. Le acrobazie equestri conquistarono presto anche gli americani. George Washington si dilettava in spettacoli con cavalli e cavalieri, qualche giocoliere e l’immancabile clown. All’inizio del 1800 l’arrivo degli elefanti, novità assoluta per il pubblico americano, lo spettacolo arrivò a nuovi livelli. Ma quello che negli anni ha attirato tra i 7.000 e i 10.000 spettatori sotto il tendone è stata l’idea di vedere cose apparentemente impossibili: esseri umani che saltellano sulla schiena, animali esotici, prodezze e acrobazie in una continua sfida alla morte. Negli Stati Uniti queste incredibili imprese hanno contribuito a trasformare il circo in un’istituzione politica e sociale, che si è sviluppata al fianco della nazione. E così è diventata una trasposizione del sogno americano: «vivere in una prateria o in un polveroso campo di grano e trovarsi faccia a faccia con le incredibili meraviglie mondane» scriveva il romanziere Hamlin Garland nel 1899. Negli anni Venti, l’avvento della radio, e poi quello della televisione negli anni Cinquanta, iniziò a segnare il lento declino del circo. Alcuni potrebbero liquidare la scomparsa del circo come la fine di un passatempo fuori moda, ma liquidare un’impresa che per più di un secolo ha incantato un’intera nazione è un esempio miope di pensiero astorico. Un critico culturale ritiene che il lungo successo del circo sia il risultato della sua capacità di concludere «l'esperienza americana», incluso quasi tutto ciò che troviamo divertente - esotismo, atletismo supremo e dramma della vita o della morte - nello spazio di un pomeriggio. E, aggiunge Kenneth Feld, successore di suo padre Irvin come uomo del circo degli ultimi giorni, tutte le imprese impossibili viste nel circo sono reali, un promemoria della capacità dell'istituzione non solo di intrattenere ma di ispirare. Certo, la perdita del circo ci rende un popolo più solo. Lo storico della cultura Ernest Albrecht lamenta il fatto che il progresso tecnologico ha portato all'aumento dell'offerta di intrattenimento direttamente nelle case (e nei telefoni), dove il diversivo diventa spesso un atto solitario. «Di conseguenza», afferma Albrecht, «ci saranno sempre meno opportunità di riunirsi con altri per creare quel gruppo speciale noto come pubblico». E questo non solo riduce il senso di comunità, ma anche la capacità di rivolgersi a un vicino e condividere la meraviglia: «È successo davvero?».
Dea Verna e Luca Uccello per "Oggi" l'11 giugno 2021. «Da quando sono diventata presidente del Museo Egizio, Fabio Fazio non mi invita più». E’ stata Evelina Christillin, con questo aneddoto rivelato nel programma Tiki Taka, a svelare al pubblico una caratteristica del conduttore di Che tempo che fa ben nota agli addetti ai lavori: la sua salda, fortissima, incrollabile superstizione. Il presentatore e terrorizzato dal viola e dalla presunta aura malevola degli antichi Egizi. Le storie su di lui si sprecano: i giornali ticinesi raccontano di quando i suoi collaboratori fecero cambiare una incauta signora svizzera, che si era presentata alle registrazioni del programma vestita di viola. Stessa indicazione venne data (informalmente) ai giornalisti in sala stampa durante i Festival di Sanremo da lui presentati: «Per favore, non vestitevi di viola». «Fabio ha tutte le sue fisse: entra in scena sempre dallo stesso posto e per primo», ha raccontato Filippa Lagerback. Ma se Fazio e il più irriducibile dei superstiziosi vip, non è l’unico. Perfino una svedese di ferro come la Lagerback ha confessato qualche debolezza: «Sono già vittima delle scaramanzie di mio marito Daniele Bossari che mi costringe a sostare sul ciglio della strada ogni volta che vede un gatto nero», ha raccontato. «Ma anch’io ho un mio rito personale: terrorizzata dagli aerei, prima di metterci piede busso tre volte sulla carlinga». Noi di Oggi abbiamo fatto una piccola inchiesta e abbiamo scoperto che il mondo dello spettacolo e affollato di curiosi riti, scaramanzie e amuleti. Elisa Isoardi, per esempio, ci ha confidato che lei non prende mai decisioni al martedì. Mentre Lorella Boccia, conduttrice di Venus Club su Italia 1, ci rivela che, prima di entrare in scena ha un rito, oltre alla classica chiamata alla mamma: tocca il fondoschiena a tutto lo staff. Daniela Ferolla, conduttrice di Linea Verde Life su Rai 1, ci dice: «Prima di una partenza o di un progetto di lavoro, faccio il bagno nel sale». Il bagno nel sale, in realtà, e un rito ricorrente. E ci spiega perchè l’ex velina Thais Wiggers. «Da brasiliana, sono molto spirituale», spiega. «Credo che quando sei felice, brilli, e tutto va bene, alcune persone possono provare invidia e mandarti il malocchio. Come rimedio, faccio il bagno con il sale grosso, perchè niente cresce sul sale e in più ha un potere energizzante». Tra i più superstiziosi, Giovanni Ciacci che ci racconta: «Porto sempre con me i corni presi a San Gregorio Armeno a Napoli. Evito di passare sotto le scale e se vedo un gatto nero mi fermo e aspetto. Su di me non uso mai il viola». Pietro Genuardi, tra gli attori più amati del Paradiso delle signore, la serie che fa ogni giorno ascolti boom su Rai 1, ci spiega di odiare il numero 13. «Non ho problemi con il numero 17, ma non sopporto il 13», dice. «Questa sindrome ha un nome e si chiama triscaidecafobia (e un disturbo d’ansia provocato dalla paura esagerata del numero 13, ndr)». Sempre dal set del Paradiso delle signore, Vanessa Gravina ci dice: «Non passo mai il sale di mano in mano e non prendo mai l’aereo il 13 o il 17». Sara Croce, la Bonas di Avanti un altro, invece spiega: «Mangio sempre le stesse cose prima dello show. E mi faccio venire a salutare da Leo, uno dei ragazzi della regia». L’attore Roberto Farnesi non si separa mai da tre oggetti che per lui hanno un valore speciale. «Ho una croce al collo che mi aveva regalato mia madre e un anello che era sempre al dito di mio padre», dice. «E poi una piccola ancora che mi ha regalato la mia compagna (Lucya Belcastro, ndr), simboleggia il porto sicuro che ho finalmente trovato. Questi tre oggetti per me sono uno scudo contro le avversità». Flavio Montrucchio, il conduttore di Primo appuntamento Crociera su Real Time e Discovery +, ha un’abitudine portafortuna curiosa: se beve da una bottiglia poi deve toccarsi la punta del naso con la stessa bottiglia. Valerio Staffelli prende sempre il tapiro per il muso e prima di entrare in scena urla: «Rock’nRoll!». Catena Fiorello tiene in borsa tre sassolini presi dalla spiaggia di Letojanni. «Era la spiaggia dove da bambina andavo con la famiglia», ci spiega. «Immagino che in quei sassolini ci siano tracce di quella infantile felicita. Ogni volta che li stringo sento una bella energia». Andrea Zenga ci racconta: «Scendo sempre dalla stessa parte del letto quando mi alzo se no penso che la giornata parta male. Sono fissato con il sale a tavola: devo sempre poggiarlo a tavola prima di passarlo. E non passo mai sotto le scale». La scala e una bestia nera anche per Ilary Blasi. «Ho paura di passarci sotto», ha detto. «Non so perchè, e una cosa che ho ereditato dai miei genitori». Curiosa anche la fobia della showgirl Elena Morali: «Quando passeggio con qualcuno, non mi faccio mai dividere da un palo», racconta. «Temo il 13, ogni volta che c’è di mezzo questo numero succede qualcosa: una volta mi sono rotta la gamba il 13! Evito di viaggiare e di prendere l’aereo». Infine Donatella Rettore e fedelissima a un oggetto di ferro (ma non rivela cos’e). «Al mio primo concerto, trovai sul palco questo oggetto, e mi sono detta: “Mi accompagnerà sempre, ma nessuno deve capire che è il mio portafortuna”. Da allora la mia carriera non si è fermata mai»
Da “bestmovie.it” il 24 ottobre 2021.
LITTLE ASHES (2008) - Robert Pattinson, evidentemente, ama il realismo visto che si è trovato in diverse occasioni a non voler solo simulare scene di masturbazione sul set. L prima è nel film Little Ashes di Paul Morrison dove Pattinson, nei panni di Salvador Dalì, una coppia che sta avendo un rapporto sessuale e si lascia andare all’autoerotismo. Pat ha dichiarato di essersi davvero procurato piacere per rendere la sua espressione più realistica davanti alla macchina da presa.
THE LIGHTHOUSE (2019) - La seconda occasione di Robert Pattinson è arrivata con lo sperimentale The Lighthouse di Robert Eggers, dove, racconta lo stesso attore, c’era «u scena di masturbazione feroce» sulla spiaggia. Stavolta Pattinson ha deciso di andare fi fondo: «Ho pensato, ok, a posto, nessuno mi ha detto di fermarmi quindi vado avanti», h al New York Times ammettendo di aver lasciato la troupe un tantino scioccata.
THE BROWN BUNNY (2003) - Tra i casi più celebri di vero sesso sul set c’è quello di The Brown Bunny, il film diretto e interpretato da Vincent Gallo che ha scandalizzato il Festiv Cannes nel 2003. Il passaggio controverso arriva quando l’attrice Chloë Sevigny, che allora era anche la fidanzata di Gallo, gli pratica del sesso orale: si è dibattuto a lungo sull'aute della scena, ma poi la stessa Sevigny ha dichiarato che era tutto vero.
NYMPHOMANIAC (2013) - Il dittico di Lars von Trier's dedicato a una donna ossessiona sesso ha, ovviamente, moltissime scene a tema, alcune non simulate. Per esempio, la s in cui Shia LaBeouf ha un rapporto con Stacey Martin. Attenzione però: il sesso è vero, m fra le due star. A metterci il corpo davvero sono state due controfigure, e i volti di LaBeo Martin sono stati applicati poi in CGI.
LOVE (2015) - Il regista francese Gaspar Noé è da sempre un provocatore. Nel film Love solo ha filmato vere scene di sesso tra gli attori Karl Glusman e Aomi Muyock, ma le ha addirittura girate in 3D. La maggior parte delle sequenze non erano coreografate ma las alla spontaneità dei due interpreti.
GLI IDIOTI (1998) - Il cinema estremo di Lars von Trier ha spesso liberato i corpi dalle convenzioni e dalla finzione. In Gli idioti, del 1998, racconta di un gruppo di amici che rinunciano alle proprie inibizioni cercando "il piccolo idiota dentro ognuno di loro". Tra le scene di nudo, ce n'è una di gruppo che chiaramente non è simulata, anche se non most chiaramente i volti degli attori.
SHORTBUS (2006) - John Cameron Mitchell racconta un gruppo di giovani a New York il sentimentale e sessuale che si incontra ogni settimana nel club Shortbus, incrociando rapporti, arte e politica. Il regista ha incoraggiato gli attori a lasciarsi andare davvero in scene di sesso volutamente non simulate.
PINK FLAMINGOS (1972) - Impossibile non citare il film cult di John Waters interpretato Divine, la drag queen più celebre del cinema. Pink Flamingos è stato censurato in divers paesi, tra i quali il Canada e l’Australia, proprio per le sue scene di sesso più esplicite, con quella in assoluto più controversa: il rapporto orale che Divine pratica a suo figlio nella finzione.
MEKTOUB MY LOVE: INTERMEZZO (2019) - Nel film di Abdellatif Kechiche c’è una lunga scena di quasi 13 minuti in cui un uomo pratica sesso orale alla protagonista Ophelie in discoteca. Il film aveva già scandalizzato Cannes, ma le polemiche si sono accese anco più quando alcuni giornali francesi hanno raccontato che la scena non era simulata, e ch regista avrebbe convinto gli attori a girarla dopo molte insistenze.
ECCO L’IMPERO DEI SENSI (1976) - Il dramma giapponese diretto da Nagisa Oshima è centrato su un uomo che lascia sua moglie per un'altra donna e, con la nuova compagna sperimenta varie situazioni sessuali, fino allo scioccante finale. Sada, interpretata da Ei Matsuda, pone infatti fine alla vita del suo amante, Kichizo, soffocandolo durante un gioco erotico e poi castrandolo. Alcune delle scene più focose (non la castrazione, ovviament sono state vissute davvero sul set dai protagonisti.
Da corrieredellosport.it il 29 settembre 2021. Will Smith ha parlato della relazione non convenzionale con la moglie Jada Pinkett in un'intervista rilasciata a GQ. L'attore ha spiegato che libertà e fiducia incondizionata sono alla base del loro matrimonio, celebrato nel 1997. "Le esperienze, le libertà che ci siamo dati l'un l’altro e il sostegno incondizionato, per me, sono la più alta definizione di amore", ha dichiarato Smith per poi aggiungere: "Ho sempre sognato di avere un harem di donne!". Il 53enne ci ha inoltre tenuto a precisare: "Il matrimonio non deve trasformarsi in una prigione". Will Smith ha raccontato di come lui e la moglie abbiano aperto il loro matrimonio ad altri partner sessuali dopo che entrambi si erano resi conto di essere “infelici". "Jada non ha mai creduto nel matrimonio convenzionale... Nella sua famiglia alcuni membri avevano una relazione non convenzionale. Quindi è cresciuta in un modo molto diverso da me. Ci sono state discussioni infinite e significative su costruire una coppia e per gran parte della nostra relazione, la monogamia è stata ciò che abbiamo scelto, non pensando però alla monogamia come alla perfezione...", ha puntualizzato.
Barbara Costa per Dagospia il 19 settembre 2021. #FreeBritney?!? Dal padre presto sì, ma dal porno proprio no! La cantante Britney Spears è protagonista del suo terzo porno… sto scherzando! È online la nuova porno parodia su Britney Spears, impersonata dalla pornostar Kenzie Taylor. Questo porno, "Free Britney", canzona e pornifica le note pene della povera Britney e la campagna mondiale #freebritney, con cui i suoi fan anni sui social hanno lottato per la liberazione della loro beniamina dalla tutela del padre che, dal rapato crollo psichico della figliola, ne gestiva scelte di vita, e soprattutto tanti, ma tanti, soldi. Fare porno mettendoci (abusivamente) in mezzo le star della musica e i loro guai veri o presunti, si fa, eccome, e da 30 anni, ma ci si guadagna a ondate. Vi sono dei periodi in cui si girano porno-parodie senza sosta, e gli sceneggiatori i più sagaci sono chiamati agli straordinari per sfornare porno-plot efferati, e le più grandi pornostar esortate a darsi da fare, col sesso ma pure con una recitazione un minimo credibile. Niente viene lasciato fuori o al caso: alle popstar le pornostar fanno il porno verso in abiti, trucco, hit e postura, e più le stesse popstar hanno flirtato col porno nei video social o musicali, più nei porno veri vengono prese in giro e sommerse di sesso spietato. Basta storpiare i loro nomi, e ben marcare che è una "parody, and not the real", per scampare i casini legali. E i fan apprezzano, e cercano questi video, i cui trailer diventano virali poiché montati "puliti", senza scene hot, e caricati e fatti girare anche dai siti di news e gossip che ne riprendono il nome della star pornizzata in questione. Se la pop-porn-parody è attiva dagli anni '80, Britney Spears ne è stata a sua insaputa protagonista fin da "… Baby, One More Time", sua prima hit e video, storpiati e parodiati in "Fuck Me Baby One More Time": qui la scolaretta in simil Lolita by Adrian Lyne porneggia ogni azione che nel videoclip fa soltanto intuire. Nulla da Britney fatto in seguito è stato dal porno tralasciato: i suoi videoclip più sozzi, la tuta rossa in latex di "Oops!... I Did it Again" (nel porno "Oops!... I Fucked him Again"), le orge umide di leccate in "I’m a Slave 4 U", i nudi in "Womanizer", il c*lo fotocopiato il "Toxic"… tutto fa porno, diventa materiale porno, titillando e scatenando l’istinto eversivo insito nella pornografia. Prima "vittima" della pop-porn-parody è stata Madonna, con la sua "Like a Virgin", nel video girato a Venezia subito virato in adattamento porno, e poi col suo corsetto a punta by Gaultier pornograficamente "usato" a dildo, fino a che Madonna ha lei apertamente sfidato il porno, più che accarezzandolo e ben poco mimandolo dal video "Justify my Love" in poi. Le due arti si sono fuse e infiammate in Adriana Chechik, super pornostar la quale ha parodiato Madonna (e Marilyn Monroe) in una porno versione di "Diamond are a Girl’s Best Friends", dove i diamanti hanno altra forma e "funzione". Ma sono tantissime le star della musica che hanno il loro clone porno. Con Jennifer Lopez si è avuto un coito tra pop e politica: "Not Jennifer Lopez XXX", del regista Will Ryder (celebre per aver firmato una porno parodia sulla presidenza Obama attualmente anatema, "White House Orgy", con il presidente nero che fa sesso e orge con sole donne bianche, cornificando Michelle interracial-mente), che trasforma la porno attrice Renae Cruz in una Jennifer Lopez rincorsa dai paparazzi e dalle richieste di terroristi pazzi suoi fan sfegatati, i quali, per un suo concerto, e "dopo-concerto", sono disposti a far la pace col mondo intero. La J.Lo del porno è preda di paure e ardori, il concerto non sa se farlo, però… (in questa porn parody le scene all’esterno della Casa Bianca e a Capitol Hill sono state girate sul posto: si può fare, il porno ha ottenuto legali autorizzazioni). Pure Lady Gaga è nel porno (parody) dalla sua prima hit, "Poket Face": il suo look è passato identico ma denudato in "Porn This Way", ma il suo porno più famoso è quello girato con… Beyoncé! Vi ricordate il loro duetto in "Telephone", e il trashissimo video? Quello con le lattine di Coca cola messe a bigodini, ambientato in un carcere. Lattine-bigodino e carcere sono pure nel porno "This Ain’t Lady Gaga", con le due cantanti che hanno i corpi delle pornostar Helly Mae Hellfire e di Rihanna Rimes. Qui però Lady Gaga e Beyoncé più che cantare ci danno sotto a strap-on. Se reality della musica come "X-Factor" sono passati al porno per merito di Rocco Siffredi ("XXX Fucktory", la versione italiana, e la più porno parodiata è Arisa), e se i popstar maschi sono per lo più parodiati nella da una parte dei fan agognata ma nella realtà improbabile passione omosex (i gruppi pop anni '90 Take That e Spice Girls sono stati fatti pornare in orge omosessuali e non, tra loro e non, al pari dei protagonisti dei telefilm cult "Friends" e "Beverly Hills 90210"), e se Hustler ha fatto delle porn parody garanzia di dissacrazione delle credibilità delle star musicali e dei reality ("Keeping it up for the KardASSians", è la porno-serie di Kim e culone sorelle) è "Katy Pervy" la porn parody con più popstar "prestate" al porno: oltre a una Katy Perry che qui svela quello che fa dietro le quinte (tornate di blow-job per "allenare" gola e voce), e che lei "Kissed a Girl" mica per finta e con una sola e una volta sola e solo in bocca, appaiono in porno-sequenza le porno caricature di Justin Bieber, Beyoncé, Rihanna, Lady Gaga, Snoopy Dogg, Kesha (e Bieber è suo malgrado pornato in "Bustin Beeber Never Say Never", e da protagonista). Ma una pazza scatenata come Miley Cyrus, dopo aver cavalcato quella bomba, nuda, nell’iconico video "Wrecking Ball" (diretto dal genio divenuto innominabile Terry Richardson) poteva non finire porno "triturata"? Eccola in "Molly’s Wrecking Ballz", di cui "World Class" è lo spin-off in resa gang-bang. E, per chi la preferisce, c’è pure in performance porno da Hannah Montana.
Tutto quello che avreste voluto sapere sulle scene di sesso nei film. E non avete mai osato chiedere, dai «calzini copri-pene» ai coreografi del sesso alle protesi. Gabriele Gargantini su il Post.it il 3 settembre 2021. Tra tutte le cose che il cinema deve fingere, una delle più difficili è il sesso. Durante il sesso – quello vero – si è di solito particolarmente spontanei, e quindi è difficile che il sesso dei film – quello finto – riesca a replicare quella spontaneità. Di queste cose si è accorto chiunque abbia visto una scena di sesso in un film: cioè quella cosa, come ha scritto il sito Messy Nessy Chic, «che, se sei un bambino o un ragazzo, accade proprio mentre i tuoi genitori entrano nella stanza». Oltre che per il risultato (bella scena/brutta scena), il sesso al cinema e nelle serie tv è interessante per le molte domande su come funziona, su come viene preparato e girato e sulle precauzioni che si prendono: cose valide sia in una qualsiasi fiction Rai che in un film da centinaia di milioni di dollari. Le risposte passano da molte cose: complicate clausole contrattuali, «calze copri-pene», coreografi del sesso, protesi, mutande color carne e addetti agli effetti speciali che, in post-produzione, aggiungono peli pubici al computer.
La scena. Nel caso di produzioni affidabili e relativamente grandi, gli attori iniziano le riprese sapendo già se dovranno girare scene di sesso o di nudo, anche parziale. La prassi, soprattutto in America, vuole che almeno 24 ore prima di una scena di sesso agli attori vengano date indicazioni il più dettagliate possibile sul tipo di scena da girare. Se tutto è ok, gli attori danno l’assenso e si presentano sul set pronti a girare. Non esistono pratiche universalmente condivise, ma ci sono un po’ di approcci consigliabili. Spesso si lascia agli attori un po’ di tempo da soli, perché possano dirsi delle cose, rompere la tensione e concentrarsi meglio. Quasi sempre, soprattutto in anni recenti, si fa in modo che durante le riprese siano presenti solo le persone strettamente indispensabili: gli attori, ovviamente, e poi il regista, il cameraman (due, in certi casi), il fonico e pochi altri (che se non sono indispensabili, nel momento della ripresa vera e propria a volte si girano dall’altra parte). Anche nel caso di grandi produzioni, difficilmente una scena di sesso richiede più di dieci persone oltre agli attori impegnati nella scena. Insomma, si fa il possibile per garantire un po’ di privacy agli attori (fare finta di fare sesso mezzi nudi con trenta sconosciuti che ti osservano a braccia conserte non è facile) ma soprattutto per limitare al massimo la possibilità che qualcuno possa registrare immagini o video degli attori, per poi diffonderle illegalmente. Qualcuno ha anche raccontato di volte in cui, per mettere un po’ più a loro agio gli attori, tutte le persone presenti al momento della scena sono rimaste in mutande. A un certo punto, quando tutti i non-indispensabili sono andati a prendersi un caffè e il regista è magari rimasto in mutande, la scena si gira.
Gli attori fanno sesso davvero? No, ovviamente. È cinema, non porno. Ci sono alcuni casi di film non considerati pornografici che contengono penetrazioni o veri atti sessuali, ma sono davvero rari. Ci sono poi casi in cui “si dice” (senza nessuna conferma o prova) che gli attori abbiano davvero fatto sesso durante quelle scene. È impossibile dire se sia vero o no: a seconda dei casi sono leggende metropolitane o voci messe in giro per far risultare un film più “vero” o “scandaloso”. Bisogna dire poi che, anche se un film dovesse davvero contenere del sesso, sarebbe nell’interesse di chi lo promuove non dirlo con certezza, perché porterebbe a un rischio di censura. Uno dei “si dice” più noti riguarda la scena di sesso tra Richard Gere e Debra Winger in Ufficiale gentiluomo ma, appunto, è un “si dice”.
Gli attori sono nudi? Quasi mai. Innanzitutto perché raramente è previsto che li si veda del tutto nudi, soprattutto nel caso degli attori maschi. Quando non sono nudi, gli attori indossano normali mutande, e a volte persino pantaloni (le gambe spesso non si vedono) o mutande color carne (poi si può comunque sempre sistemare tutto in post-produzione). Ci sono però casi in cui le scene di sesso richiedono che ci sia uno stretto contatto fisico tra gli attori. In quel caso gli attori indossano quello che nel gergo di Hollywood è noto come cock sock, un calzino copri-pene. Ci sono vari modelli di calzino copri-pene, e in realtà il nome è in parte fuorviante: è fatto perché ci possa finire dentro anche lo scroto. I cock sock in genere hanno una corda per fare un nodo che tenga il tutto sufficientemente al chiuso. Per le attrici esistono invece dei relativamente semplici adesivi per coprire i capezzoli e quelli che, sempre a Hollywood, sono noti come snatch patch, un adesivo da mettere tra le gambe per coprire la vagina ed evitare indesiderati contatti con organi sessuali di altri attori o attrici. Ci sono anche casi in cui le attrici hanno indossato parrucche pubiche (o merkin). Iniziarono a usarle nel Medioevo le prostitute, a volte per coprire i segni di certe malattie. Kate Winslet ha detto di averne usata una per The Reader, perché il film e l’ambientazione richiedevano la presenza di peli pubici e, dopo anni di depilazione, sarebbe stato difficile ottenere un risultato simile senza parrucca pubica. Poi, come sa chi ricorda la storia di John e Judy in Love Actually, esistono le controfigure. Si dice che in molte scene di 9 settimane e ½ ci sia una controfigura di Kim Basinger. E ci sono dei casi in cui gli attori, di solito dopo aver messo mutande color carne, usano delle protesi: succede quando un pene si deve vedere ma non si vuole che quel pene sia quello dell’attore. Sono state usate protesi in Nymphomaniac, il film di Lars Von Trier che è anche uno di quei film in cui c’è del vero sesso. Ma è meno facile di come pensiate. La produttrice Louise Vesth spiegò: «Abbiamo ripreso gli attori che fingevano di fare sesso e poi le controfigure che facevano davvero sesso, e in post-produzione abbiamo unito le cose. Quindi: dalla vita in su sono gli attori; dalla vita in giù sono le controfigure». Anche nelle grandi produzioni, a volte le soluzioni sono molto più semplici: per risolvere contatti indesiderati a volte basta per esempio un cuscino messo nel punto giusto tra i due corpi. Per il sudore, ogni set fa storia a sé, e dipende anche dal tipo di sudore che si vuole ottenere.
Come si decide cosa usare e come fare?
Come nel sesso vero, il principio di base è non fare niente che metta a disagio l’altra persona (o le altre persone). In genere se ne parla con gli attori e si cerca di fare in modo che ognuno sia a proprio agio e faccia il possibile per mettere i colleghi a loro agio. Attori e attrici hanno contratti molto dettagliati che prevedono cosa devono fare e cosa no, e in genere i registi non dovrebbero forzare nulla: ma ci sono storie di registi particolarmente insistenti, di attori o attrici che si sono trovati a disagio o di attori e attrici che dicono di aver improvvisato e di essersi invece trovati bene. Ovviamente, poi, già è strano girare scene di sesso piacevole, gioioso e consenziente. Tutto diventa decisamente più complicato quando sono scene che contengono una qualche forma di violenza.
Prima di girare la scena, la si prova? Esistono resoconti molto diversi fra loro. Qualcuno dice che è meglio provare e riprovare (anche vestiti e senza contatto fisico), per evitare che uno degli attori faccia qualcosa che possa risultare sgradevole o fastidioso ad altri. Esistono anche persone che si sono specializzate nella coreografia delle scene di sesso nel cinema e in tv, e nella consulenza agli attori: si sa che ci sono stati coreografi del sesso in Westworld e in The Wolf of Wall Street, per esempio. Qualcuno ritiene invece che sia meglio lasciare che gli attori possano improvvisare: il regista e produttore Judd Apatow dice di preferire questo secondo approccio perché «se viene provato e riprovato, oppure troppo pensato, alla fine sembra un brutto porno soft-core proiettato su un grande schermo». Alcuni attori hanno detto che a volte bere un po’ aiuta a rilassarsi e lasciarsi andare il giusto: Adrian Lyne – regista di 9 settimane e ½ , Proposta indecente, Lolita e Allucinazione perversa – ha detto che è capitato che prima delle scene di sesso di Attrazione fatale Michael Douglas e Glenn Close bevessero «champagne e margarita».
Come viene girata, tecnicamente, la scena? Qualche regista usa una sola cinepresa, per evitare di essere troppo invasivo con gli attori. Altri ne usano due: in questo caso il vantaggio è che la stessa cosa può esser ripresa da due punti, riducendo la necessità di dover fare più e più volte la stessa scena. Come quasi sempre nel cinema, pochi secondi sullo schermo corrispondono a ore e ore di ripresa, e magari decine di riprese della stessa scena: tutto questo rende i “si dice” effettivamente improbabili. Seamus McGarvey, direttore della fotografia di Cinquanta sfumature di grigio, ha detto che per alcune scene di quel film si scelse, in certi casi, di usare cineprese controllate a distanza, per lasciare soli gli attori. È probabile che durante ogni scena di sesso ci sia, accanto al letto, il regista che dice “adesso girati di qui”, “fai questo”, “guardala intensamente” e così via. È anche probabile che, con tante luci puntate addosso, magari sotto qualche coperta, faccia piuttosto caldo. Se sono nudi o quasi, finita la scena gli attori trovano in genere qualcuno che li attende con pantofole e accappatoio, da indossare per tornare in camerino.
Le eventuali erezioni sono un problema? I resoconti e le interviste dicono che, nella maggior parte dei casi, gli attori non hanno erezioni. Ma ovviamente è una cosa che può succedere. Jean-Marc Vallée – regista di Wild, Dallas Buyers Club e Big Little Lies – ha detto di non aver mai visto un attore con un’erezione, ma che non vuol dire che non abbia mai visto un attore eccitato: «È tutto molto tecnico, ma siamo umani e sono nudi, e si toccano». Sean Connery raccontò che prima delle scene di sesso era solito dire alle attrici: «Scusa se mi ecciterò, e scusa se non mi ecciterò». Seth Rogen raccontò di aver sentito un’intervista in cui Connery ne parlava e di averla detta a sua volta sul set di un film: spiegò però che se non sei Sean Connery non suona così bene.
Cosa ne pensano gli attori e le attrici? Molti attori e attrici hanno detto di sentirsi piuttosto a disagio, durante le scene di sesso. Hugh Grant invece ha detto: «Mi sono sempre piaciute, anche se forse dovrei dire di no. La risposta-tipo è “Oh, non è sensuale con tutti quei tizi che ti fissano”. Io le ho sempre trovate molto eccitanti». Lena Dunham ha detto: «Non capisco quando dicono che è una cosa meccanica e fredda. È come se qualcuno stesse facendo sesso con te. È una cosa che ti confonde». Secondo Michael Shannon il sesso finto nei film è «come il vero sesso, ma senza il piacere. C’è tutto il resto: l’orrore, la paura, l’ansia, la tristezza e la solitudine».
I contratti, dicevamo. Ne ha parlato di recente Hollywood Reporter, spiegando che dopo il caso Weinstein e tutte le sue conseguenze le cose sono un po’ cambiate. «Ora viene richiesto meno nudo», ha detto l’avvocato Jamie Feldman, che si occupa di contratti di attori e attrici: «Le persone stanno più attente a questi temi, a come formulano le loro richieste e a come ogni cosa può essere percepita».
Feldman ha spiegato che esistono delle specifiche clausole contrattuali relative alle scene di sesso. Si chiamano nudity rider e sono molto dettagliate. I nudity rider possono parlare del colore degli adesivi copri-capezzolo, del numero massimo di persone consentite sul set durante le riprese di certe scene, o (con molto dettaglio) delle parti di corpo visibili. Queste clausole regolano anche le scene girate con controfigure, visto che agli occhi degli spettatori quelle che vedono non sono controfigure. Sta agli attori decidere cosa vogliono, e sta ai loro agenti riuscire a imporre ogni loro richiesta. Già dai tempi di Sex and the City, per esempio, Sarah Jessica Parker chiede una clausola che le permette di non comparire nuda: «Alcune persone fanno richieste peculiari, come una stanza d’albergo piena di candele di un solo colore. Io non faccio richieste strane. Ho solo questa, sulla nudità». Certi contratti prevedono anche che attori e attrici possano avere il pieno controllo e l’eventuale diritto di veto sulle loro scene di sesso o nudo. Si dice ce l’abbiano per esempio Emilia Clarke per Game of Thrones e Elisabeth Moss per The Handmaid’s Tale. I nudity rider prevedono anche indicazioni su cosa fare delle scene girate ma non inserite nel film, che si cerca di eliminare.
Perché si fa tutto questo? Nella grandissima parte dei film, le scene di sesso sono strumenti: servono per dire allo spettatore che “tra questi personaggi, succede questa cosa”. Per questo spesso basta suggerire il tutto (vediamo due che si baciano e iniziano a spogliarsi, e poi, dopo un taglio, li vediamo abbracciati nel letto la mattina dopo). Quando vediamo il sesso nei film, spesso non si va oltre quelle che Richard Brody definì sul New Yorker «le abitudinarie convenzioni pneumatiche fatte da contorsioni e sospiri». Si dice che scrivere di sesso sia tra le cose più difficili per uno scrittore, perché si deve evitare sia il ridicolo che il volgare: probabilmente è lo stesso per il cinema. Alcuni tra i migliori registi e attori ci riescono; molti altri no. Comunque, più di tutto e nonostante le loro difficoltà, le scene di sesso ci sono perché, come si dice, «sex sells»: il sesso fa vendere.
Dagotraduzione dal Sun il 24 agosto 2021. La cantante di Juice Lizzo, 33 anni, è diventata l'ultima di una lunga serie di celebrità ad ammettere che si rifiuta di mettere il deodorante e di conseguenza ha un odore "migliore". Ma la sua rivelazione è tutt'altro che la confessione più estrema, e sembra che evitare la doccia sia di gran moda a Tinsel Town, se le ammissioni di queste altre star sono qualcosa su cui basarsi...
Deodorante da abbandono. L'attore del Dallas Buyers Club Matthew McConaughey, 51 anni, è stata una delle prime star a confessare di aver abbandonato il deodorante e molte celebrità hanno seguito le sue orme. Parlando nel 2005, quando gli è stato chiesto che odore dovrebbe avere un uomo, Matthew, 51 anni, ha risposto: «Quello di un uomo. Non metto il deodorante da 20 anni». Cameron Diaz, Julia Roberts e Bradley Cooper sono tutti famosi per non mettere il deodorante. L'attrice Julia Roberts ha detto a Oprah nel 2008: «In realtà non uso il deodorante ... non è mai stato il mio genere» mentre Cameron non lo usa da oltre 20 anni, e ha detto: «È davvero un male per te». Quando stava allattando, Kourtney Kardashian si rifiutava di mettere il deodorante in modo da poter mantenere il suo latte materno privo di tossine.
"Ho fatto pipì in alcuni lavandini". Jennifer Lawrence una volta ha rivelato di non essere troppo esigente su dove andare in bagno. Parlando a MTV News con i co-protagonisti di Hunger Games Liam Hemsworth e Josh Hutcherson, ha rivelato: «Ho fatto pipì in alcuni lavandini. Quando due ragazze vanno in bagno, qualcuno deve prendere il lavandino. In realtà mi piace prendere un lavandino. Uno potrebbe aspettare, ma se quello che aspetta sono io, sto andando al lavandino». Non è nemmeno l'unica confessione che ha fatto, dicendo: «Non mi lavo le mani dopo essere andata in bagno». Ma in seguito ha rivelato che si trattava solo di uno scherzo: «Ho detto a MTV che non mi sono lavata le mani dopo essere andata in bagno perché stavo cercando di disgustare Josh e Liam e ho finito per disgustare il mondo. Certo che mi lavo le mani dopo essere andato in bagno!».
Non lavarsi i denti. Ha un sorriso hollywoodiano, ma una volta Jessica Simpson ha rivelato di non spazzolare i suoi bianchi perlati ogni giorno - e per una ragione molto strana. La cantante, ora 41enne, ha detto a Ellen che si lava i denti circa tre volte a settimana, aggiungendo: «Perché i miei denti sono così bianchi e non mi piace che sembrino troppo scivolosi, ma uso Listerine e uso il filo interdentale tutti i giorni. È davvero strano, ma ho un ottimo alito».
Odore di un "gambero sul pannolino". La cantante Kesha una volta ha ammesso alla BBC Radio One che spesso il suo odore è tutt'altro che fresco, dicendo: «Di solito le persone intorno a me dicono: “Sei disgustosa!” o “Mettiti i pantaloni!”, oppure dicono: “Hai un odore strano, cos'è quell'odore?” «Una volta qualcuno mi ha detto che puzzavo di gambero sul pannolino». «Pensavo di poter creare una fragranza che fosse un po' come un gambero su un pannolino Fabergé, ma non so se la gente vuole sentire un odore simile».
Orrore per i capelli. La star di Twilight Robert Pattinson una volta ha ammesso di non essersi lavato i capelli per sei settimane. Quando gli è stato chiesto in un'intervista con Extra se fosse vero, l'attore ha detto: «Probabilmente. Non lo so. Non vedo davvero il motivo di lavarti i capelli. Se non ti interessa se i tuoi capelli sono puliti o no, allora perché dovresti lavarli?». «Mi lavo le ascelle e l'inguine». Jake Gyllenhaal una volta ha detto a Vanity Fair: «Sempre di più, trovo che il bagno sia meno necessario a volte» - e sembrerebbe che la coppia di Hollywood Ashton Kutcher e Mila Kunis siano d'accordo. Discutendo dell'igiene personale nel podcast Armchair Expert, Ashton ha dichiarato: «Lavo le ascelle e il cavallo ogni giorno, e nient'altro». Mila ha aggiunto: «Non lavo il mio corpo con il sapone tutti i giorni. Lavo le fossette e le t**e e le fessure e i buchi e le suole».
Da ilmattino.it il 6 novembre 2021. «Ho un ginocchio nuovo di zecca», annuncia allegramente Sir Rod Stewart mentre flette le gambe vestite con pantaloni bianchi attillati. «Mick Jagger ha una nuova valvola cardiaca. Elton ha un nuovo fianco. Tutti i vecchi vengono rimessi insieme. Riparati e rimessi in viaggio!». A 76 anni, Rod Stewart, dopo essere stato “aggiustato”, ha presentato il suo nuovo album. Tears of Hercules offre una selezione vigorosa di canzoni d'amore e di sesso principalmente scritte da lui, piene di eleganti groove da discoteca, ballate ricche di sentimento e rock grintosi, tutti interpretati dall'inimitabile e roca voce di Stewart. E lo ha presentato nel suo stile, sempre al di sopra delle righe. Un video per il suo singolo più recente, One More Time, è stato ampiamente deriso sui social media per aver raffigurato il settantenne scintillante che interagiva in modo civettuolo con un gruppo di giovani donne avvenenti con la metà dei suoi anni. «Questa è la mia band», ride, sprezzante. «Non sono state scelte per la loro bellezza. Suonano, cantano e ballano tutti. Anche i ragazzi della band non sono male!». Il tema della canzone è il sesso con una ex: «Non l'ho mai fatto», dichiara. «Davvero non l'ho mai provato. Quando ho finito con una donna, ecco, è davvero finito. Sto abbastanza bene così. Ma siamo stati tutti tentati». Un'allegra canzone dal sapore caraibico, invece, è Gabriella che evoca i ricordi di un'avventura di una notte con un'amante diciannovenne, mentre lo strepitoso inno al ballo Kookooaramabama propone numerosi luoghi per farlo, tra cui treni, aerei, automobili e cimiteri e suggerisce agli ascoltatori di «provarlo in cucina quando i bambini sono fuori. La lussuria spontanea è ciò di cui si tratta. Sono senza imbarazzo e senza vergogna», replica Rod Stewart. «Sto solo ricordando a tutti che il sesso dovrebbe essere divertente. L'ho sempre cantato. Sempre. Qualcuno deve fare questo duro lavoro e io l'ho fatto!» Riguardo alla sua libido nei suoi anni avanzati, dice: «Beh, non è più quello di una volta. Ma io amo davvero le donne. Amavo Marilyn Monroe quando avevo otto anni. Ritagliavo le sue foto dal giornale. E ho continuato a farlo per tutta la vita». «Gli anni '70 sono stati fantastici - prosegue Rod -. Era un'era edonistica. L'era delle scop**e!» La gioia sfacciata di Stewart per il suo successo è parte del suo notevole fascino. Quando gli viene offerto un elenco di caratteristiche della rock star degli anni '70 (ville, automobili, droga, sesso, capelli grandi, pantaloni attillati), si batte la coscia con gioia: «Li ho tutti!». In quegli anni c'era la sensazione che le strutture di classe venissero capovolte, quando un ex operaio di fabbrica del nord di Londra è diventato ricco e famoso, vendendo centinaia di milioni di dischi in tutto il mondo. «Il calcio e la musica erano i due degli unici modi per uscire dalle strade. Eravamo eroi della classe operaia». Tuttavia, quell'era dell'indulgenza tende ad essere considerata con un occhio più scettico e giudicante, adesso, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento delle giovani donne. Stewart è indifferente. «Non ho fatto assolutamente niente di male. Non ho mai fatto sesso con nessun minorenne, non ho mai costretto nessuno a fare sesso. In effetti, il sesso era sempre troppo per me, c'era sempre e diventava noioso. C'erano molte belle donne, ma non avevamo niente da dire alla fine della serata. Desideravo una donna nella mia vita, desideravo avere una storia d'amore, una relazione che fosse molto più profonda del semplice sesso. E l'ho finalmente trovata».
Da ansa.it il 4 novembre 2021. Gli anni passano per tutti: dopo Bob Dylan, Neil Young e Paul Simon, anche Bruce Springsteen si accinge a vendere la sua musica. I negoziati per la cessione alla Sony dei diritti sui brani registrati del "Boss" sono in dirittura d'arrivo, mentre ci sono ancora punti da limare per la vendita del catalogo delle canzoni. Lo ha appreso 'Billboard', confermato da “Variety”. Springsteen lavora con la Columbia Records (che appartiene alla Sony) dal 1972 ma a un certo punto della sua carriera, nel corso della revisione di un contratto, ha acquistato tutti i diritti sulla sua musica. Fino a pochi anni fa era rarissimo - quasi una vergogna - che musicisti vendessero i propri cataloghi. Il trend è' diventato sempre più frequente nei mesi della pandemia che a lungo ha bloccato concerti e tournee, ma anche via via che i grandi del rock invecchiano e cominciano a pianificare la successione monetizzando per conto degli eredi la loro produzione artistica. Springsteen ha 72 anni. L'ottantenne Dylan, a quanto si è appreso, ha venduto l'anno scorso per una cifra stimata a 400 milioni di dollari il suo intero catalogo a Universal Music, mentre il coetaneo Paul Simon ha ceduto i diritti su 60 anni di canzoni alla Sony, Mick Fleetwood dei Fleetwood Mac si è rivolto a Bmg e anche la regina del country Dolly Parton sta pensando di farlo. Secondo 'Billboard' i cataloghi di Springsteen valgono tra 330 e 415 milioni di dollari e un forte impeto ad accelerare i tempi viene dell'atteso aumento della tassa sui capital gain, uno dei punti forti della riforma tributaria del partito democratico che fino ad almeno il 2023 avrà il controllo della Casa Bianca e del Congresso. Fonti di Variety parlano di contatti durati parecchi mesi. Ne' Springsteen ne' la Sony nelle sue divisioni Music e Publishing hanno voluto fare commenti. Aiutato dal manager storico Jon Landau, Bruce Springsteen, oltre ad essere tra grandi del rock, è anche un astuto uomo d'affari che nell'ultimo mezzo secolo ha venduto soltanto negli Stati Uniti oltre 65 milioni di album, mentre il suo vasto catalogo di canzoni genera ogni anno centinaia se non migliaia di cover. Sempre secondo “Variety”, il catalogo degli album del Boss nel 2020 ha generato profitti per 15 milioni a cui si aggiungono 7,5 milioni all'anno per il catalogo editoriale. Stratosferici poi gli incassi dei tour, prima che il Covid bloccasse le trasferte: 840 milioni tra 2010 e 2019, un solo decennio in una carriera di quasi 60 anni. Il team di Springteen vende inoltre decine di registrazioni live d'archivio sul sito web del musicista bypassando completamente le etichette discografiche.
Mariarosa Mancuso per "Robinson – la Repubblica" il 6 dicembre 2021. Attore bambino, regista sperimentale, seguace delle avanguardie novecentesche. Poi la svolta: spacciatore di pettegolezzi hollywoodiani a sfondo macabro e sessuale. Per cortesia, tralasciamo dalla biografia di Kenneth Anger (classe 1937) l’adesione a Thelema, il culto fondato dall’occultista inglese Aleister Crowley — anche se da lì esce il folle cortometraggio Invocation to my Demon Brother, con la colonna sonora di Mick Jagger al sintetizzatore. Il regista lo avrebbe voluto nella parte di Lucifero, che andò invece a Bobby Beausoleil, implicato nella banda di Charles Manson per un traffico di droga. I film di Kenneth Anger appartengono alla storia del cinema underground, e sono sfacciatamente gay molto prima della retata a Stonewall. Dice: «ho scritto Hollywood Babilonia per soldi». Dobbiamo credergli, anche se le circostanze della pubblicazione fanno pensare a una civetteria. Uscì in Francia nel 1959, un’edizione americana del 1965 fu subito messa al bando per oscenità, finché nel 1975 l’illustratissimo libro fu ristampato con aggiunte, e recensito dal New York Times con tutti gli onori. Kenneth Anger aveva quasi 40 anni, e qualcuno cominciava a sospettare che non avesse davvero recitato, quando ne aveva sette, in A Midsummer Night’s Dream di Max Reinhardt e William Dieterle. La prima edizione Adelphi è del 1979, ora ristampata in tascabile con la storica traduzione di Ida Omboni, che per molti anni ha scritto gli spettacoli di Paolo Poli. Storica perché il gergo hollywoodiano non era diffuso come oggi, e quindi incontriamo delizie come “cadutista” per stuntman. Aggiunge fascino a un libro che negli anni è stato setacciato per distinguere il vero del posticcio: ma il divertimento per il lettore non cambia. Fact-checking. O addirittura “debunking”, diciamo oggi. Lo ha fatto Karina Longworh in un episodio del suo podcast “You Must Remember This”. Non è accertato che Clara Bow si sia portata a letto un’intera squadra di football, né che tra i giocatori ci fosse un certo Marion Robert Harrison, noto a Hollywwod con lo pseudonimo John Wayne. Sono vere invece le foto dell’incidente dove morì Jane Mansfield, altra attrice che nessuno ricorda quasi più — se non per la rievocazione dello scontro automobilistico in Crash di David Cronenberg. Sinistra anche la scritta “Hollywoodland” (così era, fino al 1949): buttandosi dalla D si suicidò Peg Entwistle, che aveva cercato il successo senza trovarlo. Kenneth Anger racconta l’industria del cinema dagli anni Venti agli anni Cinquanta (c’è un Hollywood Babilonia II che si allunga fino ai 70). Non era la Hollywood di oggi, con gli attori che fanno a gara per dissociarsi da Woody Allen e ora anche da J. K. Rowling. A far da spirito guida è sempre lui, Aleister Crowley, che aveva definito i cinematografari «una banda di maniaci sessuali pazzi di droga». In apertura, la prima Babilonia del cinema, inventata nel 1915 da D. W. Griffith con i suoi scenografi e falegnami: «giardini pensili, piste sopraelevate per le corse dei cocchi, elefanti-grattacielo». Nella pagina a fianco vediamo la fotografia dei pachidermi rampanti, ai grattacieli non avevamo proprio pensato. Altri capitoli rimandano a vecchie conoscenze fatte frequentando romanzi, film, omaggi sviscerati come I diari bollenti di Mary Astor, scritto e illustrato da Edward Sorel. L’omicidio di Sharon Tate ha spinto Quentin Tarantino a girare C’era una volta a Hollywood. Il romanzo Io, ciccione di Jerry Stahl (Mondadori 2008) ha raccontato l’infanzia dello scandaloso Fatty Arbuckle. Dal misterioso delitto sullo yacht di Marion Davies — amante di William Randolph Hearst, in Mank di David Fincher è l’attrice Amanda Seyfried — Peter Bogdanovich ha tratto il film The Cat’s Meow. Per gli spettatori italiani, Hollywood Confidential. Il produttore di western Tom Ince era morto di indigestione sullo yacht, pur avendo a disposizione droga e alcool in quantità (secondo qualche testimone). Secondo altri testimoni non era mai salito a bordo. C’era da nascondere una tresca tra Marion Davies e il miliardario Charlie Chaplin, che aveva già il suo daffare con le mogli. Qui Kenneth Anger ha vita facile, e non c’è fact-checking che tenga: bastano le età. È la Hollywood dei “fixer” che arrivano sul luogo del delitto prima dei poliziotti e cancellano le prove. Non è un’invenzione dei fratelli Coen nel film Ave Cesare, c’erano davvero professionisti pagati per difendere la reputazione dei divi. Da oscura manovalanza, gli attori erano diventati il grande patrimonio degli studios, vincolati da lunghi contratti e all’occasione prestati alla concorrenza: uno scandalo bastava a deprezzarli. Eddie Mannix — preso a modello per il film — era in forze alla MGM, le sue gesta sono in un libro intitolato The Fixers (solo per fanatici, quindi mai tradotto, lo ha scritto E. J. Fleming). Grande spazio hanno le pettegole dell’epoca, nemiche giurate: Hedda Hopper e Louella Parsons. E la rivista Confidential, che per lo sporco lavoro si era dotata dei più moderni ritrovati: pellicole a raggi infrarossi e potenti teleobiettivi. La fonti primarie restavano però le maldicenze dei nemici. Dalla rivista (di gran successo) viene lo stile finto scandalizzato — guardate che bordello! — che Kenneth Anger rifà con gusto: maiuscole, punti esclamativi, didascalie a doppio senso.
Dalle prime alle ultime riproduzioni. Star Trek, la serie culto che piaceva a Luther King. Giulio Laroni su Il Riformista il 24 Ottobre 2021. Domani ricorreranno trent’anni dalla morte di Gene Roddenberry (1921-1991), leggendario sceneggiatore e produttore statunitense. La vita di Roddenberry si intreccia e in qualche modo si identifica con la storia di Star Trek, la serie televisiva e poi cinematografica da lui ideata negli anni Sessanta. Questa sovrapposizione è stata a tal punto decisiva che egli ha chiesto, prima della sua scomparsa, di far lanciare le sue ceneri nello spazio. Per accostarsi a un fenomeno composito come quello di Star Trek conviene rifiutare allo stesso tempo sia una cinefilia ingenuamente celebrativa, poco propensa al giudizio di valore, e sia quell’ethos borghese che considera la fantascienza come un oggetto indegno della critica. In un corpus formato da tredici film e numerose serie tv i valori formali sono certamente eterogenei, né mancano i passi falsi, ma almeno fino a Star Trek – La Nemesi (2002) è possibile rintracciare una certa omogeneità d’intenti. È proprio Roddenberry a infondere in Star Trek un modo preciso di concepire le istanze politiche, la caratterizzazione dei personaggi, l’estetica della regia. C’è, nella sua idea del cinema e della televisione, un atteggiamento di sorprendente radicalità, che non di rado ha saputo emanciparsi dalla natura industriale del mezzo e porsi in contraddizione con il sistema in cui nasceva. L’essenza forse più pura della visione di Roddenberry si trova riassunta in una risposta dell’ammiraglio Kirk al capitano Spock in Star Trek III – Alla ricerca di Spock (1984). Interrogato sul perché abbia messo a rischio se stesso e l’equipaggio per trarre lui in salvo, Kirk risponde con una frase apparentemente senza senso: “Perché il bene di uno conta di più del bene di molti”. Non si tratta, come si potrebbe pensare, di un elogio irrazionalistico dell’individualismo, ma di una decisa presa di coscienza del valore irrinunciabile di ogni singola persona umana: se un proprio compagno è in pericolo, tutti si devono impegnare per salvarlo. Accanto a questo impulso umanistico, vi è in Star Trek il tentativo di trasporre nel futuro una critica allo stato di cose presente. Non però una critica reificata, irrigidita in scialbe enunciazioni di principio, ma un gioco continuo di luci e di ombre, di tesi e di antitesi. Ammirata da Martin Luther King, la serie classica nata negli anni Sessanta mostra un equipaggio multietnico, composto tra l’altro da una ufficiale africana, uno asiatico, persino un russo, la cui convivenza è all’insegna di un universalismo plurale. Anche l’incontro con mondi extra-terrestri rifugge sia la tentazione del pensiero della differenza sia quella uguale e contraria del colonialismo, preferendo a queste un’ottica di dialogo interculturale, di confronto talvolta impegnativo. Nel futuro immaginato da Star Trek esiste una norma, la Prima Direttiva, che impone di non interferire negli usi e i costumi dei pianeti alieni, anche quando questi sono intollerabili; ma allo stesso tempo, in un discorso incessantemente dialettico, i protagonisti molte volte decidono di infrangerla. In Star Trek IV – Rotta verso la Terra (1986) il viaggio dei personaggi negli anni Ottanta del Novecento è l’occasione per la descrizione arguta ma anche impietosa di un tempo presente segnato dall’ignoranza, dalla cupidigia, dalla distruzione dell’ambiente naturale, messo a confronto con un futuro utopico in cui la schiavitù del denaro è stata superata. Allo stesso modo Star Trek VI – Rotta verso l’ignoto (1991) trae dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica lo spunto per un apologo dal notevole spessore tragico, in cui la critica sociale non è data con enfasi declamatoria ma è il risultato di un fuoco di contraddizioni: Kirk lotta contro dei reazionari razzisti, ma è tentato egli stesso da pulsioni di odio. Nicholas Meyer, che ha collaborato a entrambi questi film – al primo come co-sceneggiatore, al secondo anche come regista – è una delle figure che più di tutte hanno contribuito a dare espressione al pensiero di Star Trek: fine conoscitore di Shakespeare, ammiratore di Bresson, ha dato vita a personaggi complessi, lacerati, del tutto estranei a un cinema pensato per il grande pubblico. Anche il lavoro sulle scenografie si ispira all’idea di un futuro modellato sul presente. Quando incontrai nella sua villa a Los Angeles lo storico scenografo di Star Trek Herman Zimmerman, egli mi mostrò per prima cosa alcuni suoi libri di architettura italiana, e in special modo uno su Carlo Scarpa, dai quali traeva ispirazione per i suoi progetti architettonici. Pur essendo entrato nella saga solo nel 1987 Zimmerman è, insieme a Matt Jefferies per la serie classica, il padre più autentico del design di Star Trek. A partire da Star Trek – il futuro ha inizio (2009), primo film del cosiddetto reboot, si compie un improvviso cambio di passo. La mano pesante di J.J. Abrams contamina Star Trek con l’estetica del fumetto, con i ritmi martellanti del videoclip, con l’effettismo del cinema più commerciale. I suoi personaggi, blande caricature di quelli di Roddenberry, si lasciano alle spalle ogni tentativo di problematicità o di originalità. Anche Star Trek: Discovery, una delle più recenti serie tv, sacrifica lo spirito originario sull’altare di un intrattenimento ideologico e disimpegnato. Unica piacevole eccezione è Star Trek: Picard: qui l’umanismo a cui tanto teneva Roddenberry, l’impulso interculturale, il futuro ispirato al presente – con citazioni nientemeno che dei Kraftwerk – tornano in tutto il loro fascino. Giulio Laroni
Daniela Mastromattei per “Libero quotidiano” il 23 ottobre 2021. Qualcuno li ricorda appena, i produttori di cinema, teatro, televisione non li cercano più. E i loro telefoni restano muti. Chi senza un soldo perché ha sperperato tutto il patrimonio, chi pieno di debiti col Fisco o chi è finito sul lastrico dopo un divorzio. Famosi passati dalle stelle alle stalle. Difficile restare sulla cresta dell'onda per molti anni, soprattutto nel mondo dello spettacolo, dove si vive perennemente sull'altalena. E se non si possiedono senso della misura e capacità di gestirsi, molti saltano per aria con la complicità di cattivi maestri. Tra i divi più richiesti da Hollywood negli anni Novanta, si dice che Nicolas Cage sia stato in grado di sperperare un patrimonio da 150 milioni di dollari per colpa di un "consumismo compulsivo". L'ultima caduta lo scorso 20 settembre quando, riportano alcuni testimoni, è stato protagonista di un litigio con il personale di un noto ristorante di Las Vegas, nel quale era entrato in condizioni pietose: «Era in un pessimo stato e andava in giro senza scarpe». E pensare che era stato ribattezzato lo stakanovista di Hollywood. Ve la ricordate Pamela Anderson, quello schianto di bagnina della celebre serie americana Baywatch? A nulla sono serviti la sua bellezza mozzafiato e il suo faccino d'angelo di fronte al Fisco. È stata costretta a dichiarare bancarotta nel 2012. Poi il silenzio. Anche Wesley Snipes attore di tanti film d'azione americani e antagonista di Michael Jackson nel video musicale del brano Bad, diretto da Martin Scorsese, non ha potuto fare molto contro l'Agenzia delle Entrate. Accusato di evasione fiscale, nel 2006 ha dichiarato bancarotta; ed è stato condannato per non aver versato 12 milioni di dollari di tasse. L'attore, che ha lavorato con Sean Connery in Sol levante, ha trascorso tre anni tra prigione e arresti domiciliari, rinunciando pure a una lussuosa villa a Malibu da quasi 8 milioni di dollari. Infelice anche la parabola di Mary J. Blige (cantautrice, attrice, produttrice discografica e 9 volte vincitrice ai Grammy Awards) ha sperperato quasi tutti i 45 milioni di dollari accumulati in 20 anni di carriera: colpa di alcuni investimenti sbagliati. Un incauto investimento immobiliare ha mandato per aria anche il capitale di Kim Basinger. La sensuale protagonista di 9 settimane e 1/2 avrebbe acquistato per 20 milioni di dollari un'area di oltre 700 ettari vicino al suo paese natale, Braselton, in Georgia, progettando la costruzione di un grande parco di divertimenti. Poco prima di cominciare i lavori (nel 1993) è finita sul lastrico e ha dovuto vendere il terreno. Anche da noi ci sono personaggi noti che lamentano condizioni di vita disagiate. Uno dei volti del piccolo schermo caduto in disgrazia è Lorenzo Crespi, che ha raccontato più volte nel salotto di Barbara D'Urso di non riuscire a trovare un lavoro, né a pagare l'affitto di casa. «Completamente truffato da una società che lavora per produzioni Rai», aveva denunciato raccontando la sua malattia ai polmoni. Anche Morgan da quando è stato sfrattato dalla sua casa di Monza, nel giugno 2019, è pieno di debiti per le cause legali intentate contro di lui dalle sue ex (Asia Argento e Jessica Mazzoli). Sempre a giugno 2019 ha fatto notizia Silvio Berlusconi che acquistava la casa di Marco Columbro. Il conduttore purtroppo dopo un'aneurisma cerebrale è stato costretto a stare per molto tempo lontano dai riflettori: «Dopo la malattia, per la televisione sono morto», aveva dichiarato. Neppure Claudio Lippi ha tenuto segreta la sua situazione: «Non ho una casa, non ho una barca, non ho niente, tutto a causa della cattiva gestione dei miei guadagni da parte del mio manager». Per nulla dignitosa la fine di Marco Baldini, che nel corso della sua carriera ha sprecato diverse chance. Dalla collaborazione con Fiorello alla radio. Nulla da fare, il vizio del gioco e i debiti accumulati lo hanno stritolato. Nel corso degli anni ha anche ammesso d'aver ricevuto un prestito da Linus, boss di Raio Deejay, che sembra non abbia mai restituito. E Sylvie Lubamba? Diventata famosa grazie a Chiambretti ha sbagliato e ha pagato con 3 anni di carcere per uso indebito di carte di credito. Raccontando la sua storia aveva parlato di reddito di cittadinanza. Ma i social sono insorti: «Trovati un lavoro e con te chi ha sperperato patrimoni...».
Ma si possono comprare le auto dei film? Ecco il valore delle 10 più costose. Graziella Marino su La Repubblica il 23 ottobre 2021. Uswitch.com, in collaborazione con CashForCars, ha stilato la speciale classifica: La Gadgetmobile dell'ispettore Gadget vale 21 milioni di euro. Se qualcuno è interessato... Le auto dei film di fantasia hanno spesso avuto un ruolo importante nel successo della pellicola, basti pensare alla Batmobile o alla DeLorean di Ritorno al Futuro. Ma quanto costerebbero nella realtà queste vetture? A svelarlo ci ha pensato il sito specializzato in analisi comparative Uswitch.com che, in collaborazione con CashForCars, azienda che si occupa di vendita di autoveicoli usati, ha stilato una classifica delle 10 più costose.
1 - GADGETMOBILE
Il primato spetta alla Gadgetmobile guidata dall’ispettore Gadget nel film del 1999, che oggi raggiungerebbe la cifra record di 21.600.733 euro. Originata dalla trasformazione della Lincoln Continental convertibile del 1964, che costa 64.652 euro, la vettura dell’ispettore Gadget raggiunge questo ragguardevole valore grazie alle sue eclettiche caratteristiche, dalla capacità di cambiare forma, agli innumerevoli gadget di cui dispone, come i motori a reazione, i paraurti artigli e i razzi di colla
2 - ACURA 2012
La seconda classificata è la Acura 2012 Stark Industries Super Car presente nel film ‘The Avengers’ e guidata da Tony Stark, alias Iron Man. La vettura, oltre al motore Palladium, ha molte caratteristiche high-tech, come un volante con sensore per effettuare la scansione del palmo della mano, e gli appassionati di supereroi e supercar nella vita reale potrebbero possederla per 7.923.571 euro
3 - BATMOBILE
La terza del podio è la Batmobile. Guidata dal Batman di Christian Bale ne ‘Il cavaliere oscuro’ (2008), l’auto costerebbe circa 7.753.005 euro nella vita reale. Questa vettura, chiamata Tumbler, è praticamente un mezzo militare d’assalto con linee nette e geometriche e enormi pneumatici ma, all’occorrenza, si può trasformare in un Batcycle, indubbiamente molto più comodo per gli inseguimenti di Batman nel traffico cittadino
4 - ASTON MARTIN DB4
Appena fuori dal podio c’è la bellissima Aston Martin DB4, guidata da James Bond (Sean Connery) nei film ‘Goldfinger’ e ‘Operazione Tuono’, con un valore di 2.547.945 euro
5 - FLYING FORD ANGLIA
Chi non vorrebbe farsi un giro sulla magica Flying Ford Anglia di ‘Harry Potter nella Camera dei segreti? Con 1.292.168 euro passa la paura
6 - AUTOJET THX 1138
La Autojet scelta dal regista George Lucas per il suo ‘THX 1138’ ha un valore stimato di 861.445 euro, e vale una fuga dal futuro
7- SAETTA MCQUEEN
Lightning McQeuen e il film ‘Cars’ costa 857.138 euro, ma chi la guiderebbe?
8 - FAB1
La FAB1 del film ‘Thunderbirds’, quella della famiglia Tracy, vale 215.361 euro e il sogno di essere un agente segreto a fin di bene
9 - GIGAHORSE
Chissà cosa ne penserebbe Mel Gibson: solo nona la The Gigahorse del film ‘Mad Max: Fury Road’ (86.145 euro).
10 - DELOREAN DMC-12
Chiude la top ten la DeLorean DMC-12 di Ritorno al Futuro. Il veicolo che viaggia nel tempo del dottor Emmett Brown, nonostante sia una delle auto più iconiche della storia del cinema, costerebbe solo 47.810 euro, incluso il condensatore di flusso (stimato a 388 euro), descritto dal dottore come "ciò che rende possibile viaggiare nel tempo”.
· Le Hollywood d’Italia.
Marina Valensise per “il Messaggero” il 13 dicembre 2021. La commedia all'italiana si fonda sulla satira, anche politica, del costume contemporaneo e racconta storie che si potrebbero trattare anche tragicamente, ma lo fa in modo lieve, scanzonato, sardonico, beffardo, a volte persino surreale. La grande stagione degli anni Sessanta inizia almeno trent' anni prima, come espediente per evitare la censura fascista, poi come reazione al neorealismo, al cinema verità imposto dalla miseria, dalla necessità di risparmiare, e quindi come via traversa e antiretorica, fondata sul comico, sullo sberleffo, per trattare di problemi attuali e seri, in forma di intrattenimento, ma dando voce non solo all'autobiografia, ma all'introspezione italiana nelle sue pieghe più autentiche. Tanto i caratteri, i personaggi, le situazioni, le trame dei film di De Sica, Dino Risi, Monicelli, Germi, Zampa, Sordi, Sonego, Lattuada sono il riflesso di tipi umani reali, tanto infinite le corrispondenze tra cinema e vita Aldo Fabrizi, per esempio, romanissimo, veracissimo, popolarissimo, aveva 37 anni quando si impose in Campo de' Fiori, firmando la sceneggiatura con Fellini, Piero Tellini e Mario Bonnard, e interpretando un pescivendolo infatuato di una bella signora nei guai. In Roma città aperta è lui a interpretare il prete che prima della mitragliata delle SS contro la Magnani dà una padellata in testa a un malato di scorbuto per trasformarlo in un finto moribondo, con un passaggio dal tragico al comico degno del teatro elisabettiano, che fra l'altro segna la sopravvivenza del neorealismo attraverso la stessa commedia all'italiana. È una delle tante spigolature offerte dalla ristampa di quest' opera pubblicata nel 1985 e sempre attuale. Più che un saggio o un libro di storia, trattasi di un repertorio ragionato di tutti i film, noti e meno noti, ignoti e del tutto dimenticati, dei loro antesignani nel fascismo, all'epoca dei telefoni bianchi, e dei loro concorrenti americani ai tempi dell'invasione delle major, ma anche dei registi, da Fellini a De Sica, da Germi a Lattuada, passando per Dino Risi, Visconti, e Pasolini, per citarne soli alcuni, e degli attori, da Sordi a Gassmann, da Tognazzi a Manfredi, da Macario a Totò, da Rascel a Franchi e Ingrassia, dalla Valeri a Monica Vitti a Laura Antonelli, senza dimenticare le grandi star come la Loren e la Lollobrigida, che hanno dominato il cinema del dopoguerra. Per il figlio della leggendaria Suso Cecchi d'Amico, che fu la sceneggiatrice di Visconti e di tantissimi altri, ed era a sua volta la figlia del principe della critica, Emilio Cecchi, e la moglie del musicologo più brillante d'Italia, Fedele d'Amico, questa rassegna sull'industria del cinema che include prezzi, produzioni, incassi, è anche un'autobiografia involontaria dove i ricordi personali scorrono sottotraccia. Ecco allora l'esordio di un comico sconosciuto, tal Alberto Sordi, scoperto da Masolino in un'arena all'aperto a Santa Marinella, prima che diventasse il protagonista del cinema italiano, regista, attore e interprete, premiato da incassi ragguardevoli come i 3 miliardi de Il medico della mutua diretto da Luigi Zampa, ma che aveva alle spalle una lunghissima gavetta iniziata a sedici anni come doppiatore di Oliver Hardy, col suo accento americano in tonalità da basso profondo, e continuata come autore radiofonico inseguendo il divismo coi Compagnucci della Parrocchietta, il conte Claro e Mario Pio. Ecco il torneo di ping pong organizzato sempre da Masolino sul terrazzo della casa di Castiglioncello, per placare l'ira di Gassman, dopo che la troupe del Sorpasso era stata battuta in una partitella di calcio da una squadra di vacanzieri. Ecco Franco Cristaldi in estasi a Venezia davanti all'apparizione del bikini verde smeraldo di una moretta dal sorriso smagliante, una tale Claudia Cardinale, sbarcata da Tunisi. E cosi alla fine della fiera, resta solo da sperare che dopo la ristampa arrivi pure un nuovo libro di memorie inedite e retroscena gustosi.
Tutte le volte di James Bond in Italia, ecco le location che hanno ospitato 007. Paride Leporace su Il Quotidiano del Sud il 29 settembre 2021. E venne il giorno dell’attesa prima di “No Time To Die” venticinquesimo film della saga di 007 e ultimo con Daniel Craig nei panni di James Bond, film che ha come location Matera ma anche Altamura e Maratea.
Le vicende di Bond nel corso della sua lunga vita cinematografica hanno spesso avuto come scenari incantevoli posti italiani segnati dalle riprese dei film girati. Una breve guida per ricordare inseguimenti e vicende tricolori dell’agente segreto più famoso della storia del cinema
DALLA RUSSIA CON AMORE- 1963
Il secondo film della saga, si conclude a Venezia, città molto glamour e internazionale. Arrivo lagunare con l’Orient Express con la prima bond girl italiana, Daniela Bianchi. Hotel Danieli e luna di miele veneziana sui titoli di coda. Ma le riprese sono in studio e il Canal Grande è solo riprodotto per l’unica avventura italiana di Sean Connery
AGENTE 007, LA SPIA CHE MI AMAVA-1977
Secondo film con interprete Roger Moore e la produzione scopre la Sardegna per scene molto spettacolari. La Lotus anfibia emerge sulla spiaggia di Capriccioli. In Costa Smeralda è collocata l’Atlantide marina del cattivo di turno. Si vedono Palau, la baia di Cala di Volpe e il suo esclusivo hotel, San Pantaleo ma c’è anche l’hotel Pitrizza.
MOONRAKER, OPERAZIONE SPAZIO-1979
Torna Venezia, e questa volta plain-air. Bond- Moore alle prese con inseguimenti su calli e gondole veneziane con il cinese Chang. Un godibile inserto italiano prima dello spazio.
AGENTE 007- SOLO PER I TUOI OCCHI-1981
Roger Moore resta in Veneto a Cortina. È accolta da Bibi, bella campionessa di pattinaggio su ghiaccio e da un folto gruppo di killer cattivi sugli sci. Nel corso del tempo diversi raduni organizzati da bondisti con raduno di auto e star della saga. Perché un Bond è per sempre.
CASINO ROYALE- 2006
Alla sua prima volta Daniel Craig trova godibili scene italiane e grandi giacimenti culturali. La villa del Balbianello con vista mozzafiato sul lago di Como è il buon retiro di Bond con Eva Green che registra un bacio sotto il celebre balcone.
Per il Daily Telegraph all’epoca la più bella location di sempre di James Bond. Ma anche nel finale del film appare un’altra stupenda villa lariana, una sorta di castello, ovvero Villa Castello. E in mezzo al film ritorna Venezia. Bond approda in barca a Bacino San Marco , si vede il Canal Grande, il Mercato del Pesce di Rialto, piazza San Marco non può mancare, il conservatorio Benedetto Marcello. Suspence e bellezza non mancano per uno dei più grandi incassi di sempre.
QUANTUM OF SOLACE-2008
Trionfa Siena in questa avventura di Bond con inseguimento durante un Palio ricostruito in piazza del Campo ma ci si rincorre anche sui tetti della città storica toscana. Sulla Gardesana occidentale inseguimento automobilistico che registrò un pauroso incidente con uno stuntman che rischiò la vita sul set. Scene di azione anche tra le cave di Talamone e i marmi di Carrara. Alcune guide riportane scene girate anche a Craco e Maratea ma si è trattato solo di sopralluoghi. Ora è arrivato il vero momento della Basilicata con “No Time No Die”.
SPECTRE -2015
Finalmente la città eterna. Anche Roma accoglie 007 con un inseguimento notturno che tocca i monumenti tra i più conosciuti al mondo. Strade chiuse e compensi per tutti. Da Trastavere alla Nomentana si sfreccia su Piazza Navona, Fontana di Trevi, via delle Quattro Fontane, luoghi della “Grande Bellezza”, Ponte Milvio.
È stato anche realizzato l’ebook “Discover Roma with Jamed Bond” – Guide to Spectre film locations, con una serie di descrizioni e aneddoti legati ai luoghi di Spectre a Roma illustrato con acquerelli originali. Monica Bellucci nei panni della Bond girl incontra Daniel Craig nel colonnato del Museo della Civiltà romana adattato per esigenza di copione a Cimitero del Verano.
Sette sataniche, sincretismo e stragi: ecco i santoni neri di Hollywood. Matteo Carnieletto e Andrea Indini il 7 Settembre 2021 su Il Giornale. C'è un (lungo) filo esoterico che collega la fondazione di Hollywood e la sede del cinema internazionale. California, 1886. Il sole si infrange sulla terra, rendendola incandescente, mentre un uomo di origini cinesi spinge un carro pieno di legna. Suda e impreca per il gran caldo. All'improvviso incontra un imprenditore, Hobart Johnstone Whitley, il quale gli chiede cosa sta facendo: "I hooly-wood", risponde il carrettiere, intendendo "I'm hauling wood" (sto trasportando del legname). L'imprenditore ha un'epifania, un'irruzione del sacro nella quotidianità, che saranno una costante in questa fetta di mondo. Capisce male, o forse lo fa apposta, e decide di chiamare questo luogo tra le colline della California "Hollywood", il bosco di agrifoglio. È l'inizio di una storia nuova, in cui la luce del sole si mescola alle tenebre del satanismo e dell'occultismo. A partire dagli anni Quaranta del XIX secolo, migliaia di persone si riversano verso la West Coast. Cercano l'oro. Inseguono un sogno. Vengono dalle parti più disparate del mondo e credono in fedi diverse. Ci sono protestanti e cattolici. Bianchi, indiani e neri. Litigano, a volte si ammazzano anche, ma alla fine si amalgano. Anche spiritualmente. Scrive Jesùs Palacios, autore di Satana a Hollywood (Edizioni NPE), che la California diventa "il luogo ideale per mescolanze e sincretismi, il luogo ideale perché a poco a poco la vecchia fede di indebolisse e si evolvesse in nuove credenze e superstizioni... Affinché proliferassero altresì imbroglioni, santoni, predicatori e falsi profeti". Sembra quasi che tutti si siano dati appuntamento lì. Negli anni Venti del XX secolo arriva Jiddu Krishamurti. Sopracciglia folte, occhi profondi e lineamenti da statua. Riesce ad ammaliare tutti, ma soprattutto le donne. Ottiene una rendita di cinquecento sterline l'anno. Un'enormità per l'epoca. Viene invitato a tutte le feste e incontra i personaggi più importanti dell'epoca, tra cui l'astrofisico Edwin Hubble e Greta Garbo, che rimane folgorata da lui. Più passa il tempo e più Krishamurti ottiene consensi: "Sempre radicato a Ojai e nelle vicinanze di Hollywood, avrebbe trovato di nuovo il sostegno della comunità cinematografica grazie a Mary Zimbalist, vedova del profuttore Sam Zimbalist, deceduto nel 1958 durante le riprese di Ben-Hur. Sarebbe diventata lei, a partire dal 1964, la sua principale fonte di finanziamento; gli costruì una casa nuova a Ojai, lo invitava spesso nella sua villa di Malibù e contribuiva di tanto in tanto alla sua stbailità economica, tenendo conto che il maestro fu imbranato fino alla fine dei suoi giorni in ambito finanziario". Il 17 febbraio del 1986 Krishamurti muore a Pine Cottage. Non vuole alcuna celebrazione. Sparisce per sempre. Nel vuoto. Con il passare del tempo, però, accanto all'esoterismo comincia a muoversi il culto per il demonio. Howard Stanton Lavey ne è il fondatore. Nato, l'11 aprile del 1930 a Chicago, a soli 36 anni rivela che è giunta l'Era di Satana e, in poco tempo, si circonda di un numero sempre più cospicuo di fedeli e conquista le bionde più belle di Hollywood. Dopo la seconda guerra mondiale frequenta per un breve tempo Marylin Monroe, consumata per lo più "sotto l'ombra di uno degli edifici più magici e spettacolari dell'architetto e occultista Frank Lloyd Wright a San Francisco, ispirato dall'achitettura maya e azteca del Messico dell'era precolombiana". Ma è con Jayne Mansfield che LaVey crea il legame più profondo: inizialmente l'attrice non lo considera più di tanto ma, non appena lo vede in abiti sacerdotali neri, impazzisce per lui e se ne innamora. Si dice addirittura che LaVey le abbia chiesto la mano e che l'avesse introdotta in alcuni circoli sacerdotali occulti. Accanto al satanista girano avvocati, artisti, anche agenti dei servizi segreti. Sono tutti alla sua corte e partecipano a riti terribili, fatti con candele nere e teschi umani. Nel 1968 apre la prima chiesa dedicata al culto luciferino e, qualche anno più tardi, scrive La Bibbia satanica: "L'opera - scrive Palacios - parla di invertire la morale tradizionale e fornisce una guida teorica e pratica (il libro contiene preghiere, incantesimi e cerimonie magiche) per l'uomo nuovo che dominerà il mondo del futuro, incentrata su un egoismo attivo un tantino darwinista, sul sesso libero, l'amoralità e una sorta di realismo religioso tipicamente ateo e umanista". Strane morti accompagnano la vita di Lavey e che tinteggiano, in una lunga scia di sangue, le colline della California. Ma come si è potuti arrivare a tutto questo? Secondo Michel Houellebecq, che ne Le particelle elementari, che quest'estate La Nave di Teseo ha riportato in liberia, si è dedicato a questo tema. La strada è lunga ed è indissolubilmente legata ai cambiamenti che, dopo il secondo dopo guerra, attraversarono il Vecchio continente: "Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo - si legge nell'incipit - di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia rapporti saltuari con altri uomini. Visse in un'epoca infelice e travagliata". Nel volume, lo scrittore francese analizza il legame sotteso tra la liberazione sessuale, di cui il Sessantotto si fa portatore sconvolgendo definitivamente i consumi dell'Occidente, e gli omicidi compiuti dai satanisti. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1998, è il racconto (crudo e disilluso) di due vite agli antipodi: Michel Djerzinski, biologo molecolare che spende tutta la sua vita per dare alla vita stessa un significato che sembra non esserci, e il fratellastro Bruno che, invece, cerca quel medesimo significato in un'onnivora attività sessuale devastata e devastante. Sono entrambi i prodotti di una rivoluzione culturale che ha lasciato nudo l'uomo, spogliato di una tradizione millenaria e in balìa di un voyeristico egoismo. Houellebecq accompagna il lettore per mano in un tour virtuale dentro e fuori le comunità hippy, i raduni new age, i campeggi per nudisti e i club per scambisti, che nella seconda metà del secolo scorso sono sorti in Francia. Quello che emerge è un vuoto cosmico che lascia le anime solo dinnanzi alla propria vacuità. Ma, se nel Sessantotto questa spinta emotiva, che ha portato alla disgregazione della famiglia e dei legami famigliari, viene ammantata da un'aurea di novità, sul finire degli anni Ottanta scema in una compulsiva reiterazione di canoni fallimentari che, però, sono ormai tanto permeati all'interno della nostra società da essere dati per scontati e, quindi, passivamente accettati. Finita l'euforia, che ha drogato gli anni Settanta (poi sfociati nella violenza ideologica del terrorismo), quello che rimane degli ex sessantottini è una triste "congrega" di ex ribelli (non più giovani) in cerca di emozioni ormai sciupate. E così il sesso si fa sempre più estremo e le droghe sempre più pesanti. È proprio tra gli "scarti" del Sessantotto (pochi soggetti a dire la verità) che Houellebecq intravede l'insinuarsi del germe del satanismo. Ne Le particelle elementari viene dato spazio, anche se per poche pagine, a un personaggio che sin dall'inizio appare oscuro e turpe: David Di Meola, figlio della cultura hippy che, dopo aver fallito come musicista rock, si butta prima sul sesso estremo e poi sul mercato degli snuff movie ammantandolo dei tetri simboli satanici. Il passaggio da violenza sessuale a omicidio è brevissimo. Ma sufficiente a macchiare di sangue un'intera generazione. Nel saggio Il disagio della civiltà (Feltrinelli), Sigmund Freud indaga, tra le altre cose, sul rapporto tra sessualità e morte, due concetti che la nostra mente fatica a tenere insieme. Eppure certi disvalori si sono fatti portatori di una sessualità forzata che in alcune sacche della società è accettata e condivisa (si pensi al masochismo e al sadismo), mentre in situazioni al limite sfocia negli stupri e negli omicidi rituali. Per Houellebecq questa deriva è la diretta conseguenza del materialismo più puro. Un altro figlio di questa degenerazione è sicuramente Charles Manson (venticinque anni più tardi scimmiottato dal cantante pseudo-satanista Marilyn Manson) la cui ombra sembra calare anche su alcuni capitoli de Le particelle elementari. Rileggendo la storia di Hollywood non deve affatto stupire se nel 1967, dopo aver girovagato per mezza America (dall'Oregon all'Ariziona, dallo stato di Washington al New Mexico), decide di insediare la sua Family (così venivano chiamati i suoi adepti) nella periferia di Los Angeles. Tra loro c'erano anche molte ragazze (tutte giovani, tutte molto belle). Nel romanzo Le ragazze (Einaudi) Emma Cline le descrive così: "Parevano appena ripescate da un lago [...] Stavano giocando con una soglia pericolosa, bellezza e bruttezza allo stesso tempo, e attraversavano il parco lasciandosi alle spalle una scia di improvvisa allerta. Le madri si guardavano intorno cercando i figli piccoli, spinte da una sensazione a cui non avrebbero saputo dare un nome. Le altre giovani prendevano per mano i fidanzati". Ancora una volta: eros e violenza, vita e morte. Che rimangono impregnate nella terra. "C'è gente che dice che questo posto è impregnato di una forza malefica", racconta una segretaria a John Waters mentre è in visita al ranch di Manson. Il male lì sembra non essersene mai andato. Alberga in quella terra e non se ne vuole più andare via. Del resto Charles lo accoglie, anzi lo invoca, per lungo tempo. Raduna attorno a sé un gruppo di hippy ai quali propone una nuova vita spirituale. Scrive Palacios che la "famiglia Manson" frequenta "riunioni notturne degli Angeli dell'Inferno, sette e comunità religiose piuttosto singolari come la crowleyana Loggia Solare dell'Ordine del Tempio d'Oriente (Oto) o l'orientalista Fonte del mondo, ispirata dagli insegnamenti pacidisti di Krishna Venta, che annoverava tra i suoi membri Shorty Shea, impiegato nel ranch, e una delle vittime della Famiglia, il cuio corpo, teoricamente smembrato e cosparso nel desrto, non fu mai ritrovato". Charles li fomenta. Promette loro il sangue e, infine, glielo concede. Accade tutto in una notte, quella tra l'8 e il 9 agosto del 1969: quattro suoi "figli spirituali" entrano nella casa di Sharon Tate e regista Roman Polanski. L'ordine è uno solo: "Uccidere tutti i presenti, nella maniera più macabra possibile". Così sarà. Alcuni degli ospiti verranno uccisi a colpi di coltello, altri furono freddati con armi da fuoco. La Tate chiede pietà per il figlio che ha in grembo, ma non c'è nulla da fare. È l'helter skelter - questo il nome del massacro, preso in prestito da una canzone dei Beatles - e non possono esserci sopravvissuti. Il sangue deve essere ovunque, perfino sui muri della casa. Immaginare un altro finale è difficile, ma non impossibile. Ci ha provato il re dello splatter Quentin Tarantino. C'era una volta a... Hollywood riscrive quella mattanza dandogli un altro finale. E prova a liberare Hollywood dai suoi mali. Ma è solo fiction. E Hollywood rimane quella che è.
Matteo Carnieletto. Entro nella redazione de ilGiornale.it nel dicembre del 2014 e, qualche anno dopo, divento il responsabile del sito de Gli Occhi della Guerra, oggi InsideOver. Da sempre appassionato di politica estera, ho scritto insieme ad Andrea Indini Isis segreto, Sangue occidentale e Cristiani nel mirino. Con Fausto Biloslavo ho invece scritto Verità infoibate. Nel dicembre del 2016, subito dopo la liberazione di Aleppo, ho intervistato il presidente siriano Bashar al Assad. Nel 2019 ho vinto il premio Prokhorenko-Paolicchi per i miei scritti sulla Siria.
Andrea Indini. Sono nato a Milano il 23 maggio 1980. E milanese sono per stile, carattere e abitudini. Giornalista professionista con una (sincera) vocazione: raccontare i fatti come attento osservatore della realtà. Provo a farlo con quanta più obiettività possibile. Dal 2008 al sito web del
Leonardo Colombati per il “Corriere della Sera” il 3 settembre 2021. Esiste un posto, in Italia, famoso in tutto il mondo, che il turista straniero non visita mai. Sta a Roma, sulla Tuscolana, e non ha nemmeno cent' anni. In sé, poi, non è poi tutta questa gran cosa: una serie di anonimi padiglioni, uffici e capannoni. In uno di questi, davanti a un immenso fondale che riproduce un cielo, sospesi a diversa altezza su due piccoli ponti attaccati con le funi ai tralicci del soffitto, due pittori in canottiera e coi cappellini fatti col giornale muovono i lunghi pennelli con lentezza da acquario, i secchi della vernice accanto. Tutto intorno è silenzio. Si sente solo il fruscio delle spatole sul fondale già quasi interamente dipinto. «Oh, a Ce'...» «Che voi?» «Vattela a pijà...» Così, in uno dei suoi ultimi film, Fellini descrive il Teatro 5 di Cinecittà, forse il luogo - insieme alla Firenze di Lorenzo de' Medici e al Vaticano di Giulio II - dove si è concentrato il più alto tasso di creatività e genio italico: una città dentro la città, più grande del suo contenitore, che riesce ad allargare i suoi confini fino ad abbracciare il mondo intero. Qui dentro, se batti il ciak, Visconti litiga ancora con Anna Magnani durante le riprese di Bellissima, Pasolini chiacchiera con Orson Welles in una pausa di lavorazione de La ricotta, e Mastroianni con gli occhi bistrati e un cappellaccio nero divide il cestino con gli operatori di ripresa. Il film si chiama 8 e ½ , il regista è Fellini. Mastroianni fa la parte di Guido, che poi è Fellini: un regista in crisi che non sa che film fare. E che alla fine imparerà, donandocela, una delle più liberatorie e gioiose lezioni su sé stesso e sulla vita che un'opera d'arte abbia mai saputo offrire. Il soggetto è di Fellini - che ha appena letto Jung: «la creatività e il gioco stanno l'una accanto all'altro» - e di Ennio Flaiano lo scrittore più ferocemente anti-italiano e al tempo stesso più tenacemente arci-italiano, che vuole chiamare il film La bella confusione. Di confusione ce n'è tanta, ed è davvero bellissima. Alla fine, poi, spuntano, in bianco, tutti i personaggi inventati dal regista, e si prendono per mano, con Guido che ne decide i movimenti, elettrizzato, felice, al megafono: «prendetevi per mano!» urla, e comincia il girotondo al suono di una fanfara di clown, finché non scende la notte e un bambino suona le ultime note su un flauto per poi sparire nel buio. A realizzare l'equivalente filmico della Cappella Sistina c'è voluta la creatività del più grande raccontatore di sogni dai tempi di Artemidoro (Federico); del più corrosivo scrittore italiano del dopoguerra (Ennio); di un attore smisurato e umano, troppo umano, come Marcello; e del prodigo Angelo Rizzoli, un miliardario che annotava giornalmente debiti, crediti e liquidità sul pacchetto di sigarette Turmac. Intanto, nel silenzio riverberato del grande Teatro 5 vuoto, il primo pittore si rivolge di nuovo al secondo: «A Ce'... No, stavo a pensà 'na cosa...» «Cosa?». «Perché non te la vai a pijà...?» e scoppia a ridere, felice come un bambino. Da quando 8 e ½ uscì nelle sale, nel 1963, esiste nei dizionari la parola «felliniano». «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l'aggettivo. Ne sono lusingato. Credo però che fregnacciaro sia il termine giusto» dirà Fellini. Trent' anni dopo, il 1° novembre 1993 una processione folta e silenziosa si dirige al Teatro 5, completamente vuoto, ad eccezione di una grande pedana con moquette azzurra su cui è stata sistemata una bara monumentale dalle borchie dorate. Due carabinieri in grande uniforme, ai lati del feretro di Fellini, sembrano due enormi fiori dal pennacchio rosso. Dietro la cassa, un grande cielo limpido, con le nuvole bianche: è il fondale utilizzato per Intervista, il film di Fellini che originariamente doveva chiamarsi Cinecittà. Quella notte, quando la bara è stata portata via e tutto è di nuovo in silenzio, continua il dialogo tra i due pittori: «A Ce'», fa il primo. E l'altro, sbuffando: «Uuhhhh!». «Sai chi t' ho incontrato ieri? Moccoletto. Sai che m' ha detto?» «No.» «M' ha detto che te la devi annà a pijà...!» Titoli di coda.
Luigi Mascheroni per ilgiornale.it il 14 giugno 2021. Parlando di cinema, meglio cominciare dal finale: spiega sempre la storia che si è appena vista. E la storia che stiamo per raccontare, quella di Renato Casaro, uno fra i più celebri cartellonisti cinematografici che l'Italia abbia mai avuto, si conclude, almeno dal punto di vista artistico - il maestro sta benissimo: ha 85 anni e si diverte ancora con i pennelli - con Quentin Tarantino, regista innamorato del cinema italiano di genere, che sta girando il suo C'era una volta a Hollywood, uscito nel 2019. Per la scenografia gli servono dei manifesti di finti B-movies - crime action e spaghetti western - interpretati dall'attore protagonista, Leonardo DiCaprio: film inventati ma credibili, tipo Operazione Dyn-o-mite! o Uccidimi subito Ringo, disse il Gringo. Aveva bisogno di un maestro. E a chi chiede di dipingerli? A Renato Casaro il cinema è sempre piaciuto, fin da ragazzo, quando - erano i primi anni '50 -, per entrare gratis nelle sale, si mise a creare le grandi sagome degli attori, pezzi unici dipinti a mano, da mettere all'ingresso del Cinema Teatro Garibaldi o del Cinema Esperia, nella sua città, Treviso. Che oggi, per sdebitarsi di tanta gloria ricevuta, gli dedica una grande mostra - titolo icastico: Renato Casaro -, divisa in tre sedi cittadine: «L'ultimo cartellonista del cinema» al Museo della Collezione Salce, nella chiesa di Santa Margherita, «Treviso, Roma, Hollywood» ai Musei civici di Santa Caterina e «Dall'idea al manifesto» al complesso di San Gaetano. Curata da Roberto Festi e Eugenio Manzato, da oggi al 31 dicembre, tra schizzi a matita, bozzetti, foto di scena, prove, varianti (per i diversi mercati, italiano e internazionale: qui ad esempio c'è Mai dire mai, per i cinema tedeschi Sag Niemals Nie, ma Sean Connery è sempre impeccabile in smoking e Walther PP d'ordinanza), e poi locandine, manifesti, a due e a quattro fogli, per le sale cinematografiche o per l'affissione stradale (ecco Sapore di mare, ecco Amadeus con tutti i personaggi racchiusi nella sagoma nera del compositore...), la mostra racconta fantasia, creatività, artigianalità che diventa arte, occhio e capacità di sintesi dell'uomo che dipinse il cinema. «Quando dovevo fare un manifesto, la cosa essenziale, una volta capita la trama, era togliere, togliere, togliere. Quello che restava di solito era l'immagine giusta». Classe 1935, ma di anni ne dimostra 65, T-shirt, sahariana e scarpe da tennis, Renato Casaro dopo una vita a Roma ha perso l'accento veneto e guadagnato una certa impassibilità romana, anche se nel 1984 si trasferì per un lungo periodo a Monaco di Baviera. «Oggi il manifesto non è più fondamentale - ammette mentre ci accompagna lungo le sedi, le sale e i 300 pezzi della mostra scelti tra una carriera che è lunga 1500 manifesti -. Un tempo invece seguiva il film importante ma dava anche importanza al film». Casaro, autodidatta puro, ha dato molta importanza a molti film. Nel '53, a 18 anni, è già a Roma, nello studio di Augusto Favalli. Il suo primo manifesto è Criminali contro il mondo, del '55. Studia i maestri italiani della pubblicità e gli illustratori americani come Norman Rockwell, gli Impressionisti e la pittura di Rembrandt, più avanti persino gli iperealisti giapponesi Passano due anni e apre un suo studio privato a Cinecittà («Un'industria che allora dava lavoro a non sai quante persone dai tecnici agli sceneggiatori, dalle comparse ai costumisti, dagli arredatori a noi pittori»). Prima si firma «C. Renè», poi con il suo nome. A Roma vive l'epoca d'oro del cinema: gli anni '60 e '70. Conquista i registi italiani e americani almeno un maestro per lettera dell'alfabeto: Annaud, Bertolucci, Coppola, fino a Tornatore, Verdone e Zeffirelli Lo chiamano Hollywood e le major: Fox, United Artists, MGM, Columbia Lo vogliono i grandi autori come i distributori dei film di cassetta Lui accontenta tutti, arriva a realizzare anche cento manifesti l'anno: «Dallo schizzo iniziale al poster finito ci volevano 4-5 giorni Lavoravo anche su più film contemporaneamente. Agli inizi avevo un collaboratore per il lettering, poi ho sempre fatto da solo. Mai mancato una consegna. Magari quando arrivava il fattorino a ritirare il manifesto non era ancora asciugato del tutto, e mi è capitato di metterlo sul radiatore della macchina, ma non tardavo di un giorno». Li faceva vedendo solo le foto di scena, a volte i trailer, raramente qualche girato «giornaliero», quando andava bene leggendo il soggetto. Ma il risultato soddisfaceva sempre tutti. I registi, che si fidavano ciecamente («Certo, lavorare con Leone e Bertolucci mi creava un po' di apprensione... ma ad esempio il manifesto dell'Ultimo imperatore dicono tutti sia un capolavoro, con il bambino inondato da un fascio di luce...») e i distributori, che un giorno dovevano accontentare il pubblico di cinefili, un altro gli amanti del cinema di genere Eccoli qui, tutti i generi reinventati da Casaro, prima a colpi di pennello e poi, dalla fine degli anni '70, di aerografo, «che dà maggior realismo all'immagine, avvicina ancora di più alla fotografia...»: l'horror (qui c'è Il laccio rosso, con la testa di una donna strangolata «a tutto schermo»), il peplum (a decine, uno più bello dell'altro), il western (fra i tantissimi, il nostro preferito è 7 dollari su rosso), il giallo (c'è il magnifico L'orologiaio di Saint-Paul, tratto da Simenon, con Philippe Noiret visto dietro il vetro del negozio con la scritta dell'insegna a specchio), i film di Franco e Ciccio (il cult movie I 2 sanculotti, dove la cosa migliore del film è il manifesto), la commedia (tantissimi titoli di Sordi), i musicarelli, la trilogia di Rambo. E poi tutti i film della coppia Terence Hill e Bud Spencer («Una volta mi dissero che senza i miei manifesti i loro film non avrebbero avuto così successo»), i capolavori della storia del cinema (come C'era una volta in America: qui ci sono diversi bozzetti, locandine e la versione tedesca con i volti dei quattro protagonisti in oro su sfondo nero) e i suoi personalissimi capolavori: Balla coi lupi («Dicono sia perfetto, scelsi l'immagine di Kevin Costner che da soldato si trasforma in indiano truccandosi il volto coi colori americani bianco e rosso sullo sfondo blu») e soprattutto Nikita («Lei di spalle che gira dietro una parete sporca di sangue, e tu non sai se sta andando via, e dove, con chi... È il lavoro che amo di più»). E poi i nostri personalissimi capolavori. Ne citiamo tre. La riedizione del 1962 per l'Italia di Rapina a mano armata di Kubrick (Casaro si fece scattare delle foto con un mitra in mano mentre fingeva di essere colpito a morte, poi scelse quella a cui ispirarsi per il manifesto), Misery non deve morire (il volto di Kathy Bates, una macchina per scrivere e una baita avvolti nel buio) e Opera di Dario Argento, con gli occhi tenuti aperti da spilli fissati con lo scotch come fossero due palchi di teatro... E il film, infatti, era tutto lì. L'arte di dipingere il cinema.
Quando Tirrenia era la Hollywood sull’Arno. Paolo Lazzari su larno.ilgiornale.it il 15 gennaio 2021. Se tendete bene l’orecchio e lasciate che i ricordi flettano i pensieri, le sentite anche voi. Un tramestio di voci ispeziona i corridoi in rifacimento. Quella sequela di volti amati dalla tradizione del cinema popolare crea una pausa dalla tristezza. C’è il fascino luminoso di Sophia Loren e c’è il sorriso aperto di Marcello Mastroianni. Quell’espressione imperiosa di Vittorio Gassman ed il volto benevolo di Vittorio De Sica. Ci sono Elio Petri e Sergio Corbucci e, con loro, decine di altri attori di un livello quasi irriverente, circondati da spalle più modeste, registi indaffarati, tecnici del suono, direttori della fotografia, comparse e semplici maestranze. Dove ci siamo infilati, dite? Richiesta legittima. Il posto è una piega del tempo incisa tra gli anni Trenta e i Sessanta, in Toscana. Precisamente, a Tirrenia. Se a qualcuno avanzasse una macchina del tempo, farebbe bene ad alzare la mano. Niente indifferenziato: soffiamo via la polvere ed accomodiamoci. Lancette indietro quasi di un secolo. Avete licenza di sgranare gli occhi ed allargare la bocca. Del resto, il “Pisorno” è uno spettacolo maestoso. Lo hanno chiamato così perché Tirrenia è terra di confine: con un piede sei nella città della torre pendente, l’altro affonda nell’Ardenza. Nel 1930 questi sono gli studi cinematografici più importanti d’Italia: lo rimarranno per tre decenni, fatto salvo il tetro interludio della seconda guerra mondiale, quando la cittadella del cinema verrà occupata prima dai tedeschi, poi dagli Alleati. Gli Studios sono costruiti durante il fascismo. La forma era quella rimbalzata nella testa del drammaturgo Gioacchino Forzano, ma servì l’iniezione di pragmatismo dell’architetto Antonio Valente perché i pensieri iniziassero a camminare davvero. Il regime bonificò l’intera area poiché la ritenne strategica: proprio in mezzo a due città, l’Arno ad un passo, il mare che si estende come un balsamo che lima le scarificazioni dell’anima, i monti a poca distanza. I denari necessari per finanziare un’opera così colossale vennero per la maggior parte sborsati dalla famiglia Agnelli. Breve stacco. Seguite la telecamera. Nel 1935 gli studi di Tirrenia assumono la denominazione ufficiale di “Pisorno“: se pensate che gli Universal Studios di Hollywood verranno inaugurati soltanto nel 1964, d’un tratto il quadro assume tinte più nitide. La Toscana è il vero centro del mondo cinematografico. Una culla del jet set internazionale che produce pellicole a manovella: quando la guerra stende un provvisorio sipario sono già ottanta i film girati da queste parti. Il secondo conflitto mondiale infligge un duro colpo al Pisorno. Gli anni che dovevano collimare con la ripresa assumono il retrogusto inospitale della disfatta. I fasti del tempo andato vengono presi a picconate, perché l’economia dell’Italia del dopoguerra gira ancora intorno all’essenziale e il cinema, in tutta sincerità, poteva considerarsi un lussuoso passatempo. Ma proprio quando la malinconia sembra avviluppare ogni cosa, la trama viene percorsa da un sussulto inatteso. Se non avete avuto fretta di tornare nel 2021 (perché dovreste, a conti fatti?) mettetevi di lato. L’Alfa Romeo che ruggisce sopra il viale di ghiaia che conduce agli Studios è pilotata da Carlo Ponti, produttore cinematografico a capo della Cosmopolitan Film e, a tempo perso, marito affettuoso di Sophia Loren. Osservatelo bene mentre si avvia all’ingresso, il gessato impeccabile crivellato da raggi riluttanti. Sta per staccare un assegno per acquistare tutta la baracca. Qualche settimana dopo gli operai sviteranno l’insegna: ora la città del cinema si chiama Cosmopolitan. La nuova era è propellente sano. Ossigeno che erompe in stanze asfittiche. Tornano i grandi attori. I maestri della regia sono di nuovo di casa. Il grande gigante intorpidito si scuote e riparte a pieno ritmo. Il successo però non ha un animo stanziale: si diverte a distribuire sferzate di felicità, senza concedere esclusive. In meno di un decennio la nuova ondata di fortuna degli Studios toscani si dissipa, complice anche l’ascesa di Cinecittà. Nel 1969 il Cosmopolitan getta la spugna. Quei monumentali spazi tornano ad imperlarsi di polvere e tristezza. Per l’ultimo stralcio di luce bisogna attendere il 1987, quando i fratelli Taviani decidono di ricostruire qui una Hollywood in miniatura per girare il pittoresco Good Morning Babilonia. Oggi questi luoghi sono in ristrutturazione e, per la maggior parte, diventeranno residenze alberghiere. Eppure, se vi trovate da quelle parti, fate un tentativo. Mollate il presente. Scaricate l’orologio. Socchiudete le palpebre ed evitate di trasalire: la Hollywood sull’Arno ha ancora molte cose da sussurrarvi.
· «Gomorra», tra fiction e realtà.
«Gomorra», tra fiction e realtà: gli ex attori finiti nei guai con la giustizia. Gli interpreti del film di Matteo Garrone - ma anche della serie tv ispirata al romanzo di Roberto Saviano - che negli anni sono finiti in manette. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 17/1/2021.
1. Salvatore Russo. Salvatore Abbruzzese, soprannominato Totò per il ruolo che aveva interpretato nel film di Matteo Garrone «Gomorra» (quando aveva 13 anni), è finito in manette per spaccio. Non è l’unico attore non professionista della pellicola ispirata al best-seller di Roberto Saviano ad essere finito nei guai con la giustizia. Prima di lui, nel 2018, le forze dell’ordine avevano arrestato Salvatore Russo nell'ambito dell'operazione che ha sgominato l'organizzazione criminale che gestiva lo spaccio nel Lotto P di Scampia (noto anche come «Case dei Puffi»). Nel film del 2008 ha impersonato l’affiliato che testa il coraggio delle future vedette sparando contro il giubbotto antiproiettile che indossano.
2. Nicola Battaglia. Tra i ragazzi che affrontano la prova di coraggio per entrare nel clan organizzata dal personaggio interpretato da Salvatore Russo c’era anche Nicola Battaglia: accusato di spaccio è stato fermato nel 2012.
3. Bernardino Terracciano. In «Gomorra» Bernardino Terracciano detto Zì Bernardino (che aveva già lavorato con Garrone nel film del 2002 «L'imbalsamatore») era Peppe 'o cavallaro, un estorsore del clan dei Casalesi. È stato condannato all'ergastolo nel 2016 - sentenza poi confermata nel 2018 - accusato del duplice omicidio di Luigi e Giuseppe Caiazzo, padre e figlio, uccisi nel 1992.
4. Pjamaa Azize. Da pusher nella pellicola a pusher anche nella realtà: nel 2015 è stato arrestato a Castel Volturno Pjamaa Azize.
5. Giovanni Venosa. Arrestato nel 2008 Giovanni Venosa, nipote del boss Luigi Venosa, nel 2012 è stato condannato a 13 anni e 10 mesi di reclusione per tre tentativi di estorsione ed una estorsione aggravati dal metodo mafioso. Nel film interpretava un boss della zona Pinetamare.
6. Vincenzo Sacchettino. Tra gli attori fermati negli anni dalle forze dell’ordine c’è anche Vincenzo Sacchettino, conosciuto per aver prestato il volto a Danielino (giovanissimo meccanico protagonista della famosa scena con Marco Palvetti/Salvatore Conte «Vienete a piglia' ‘o perdono») nella serie tv «Gomorra»: è stato arrestato nel 2019 con l’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Massimiliano Castellani per “Avvenire” il 18 dicembre 2021. «Quelli che tengono al Milan, oh yes! Quelli che non tengono il vino, oh yes! Quelli che non ci risultano, oh yes! Quelli che credono che Gesù Bambino sia Babbo Natale da giovane, oh yes!...», cantavano Beppe Viola e Enzo Jannacci dentro a qualche notte di scighera in un trani della Milano metà anni '70. Viola (morto a 43 anni nel 1982) non ha fatto in tempo a vedere quella canzone, Quelli che..., materializzarsi in titolo e filosofia della trasmissione di culto, Quelli che... il calcio. Programma in onda, ininterrottamente, ogni domenica calcistica su Rai 3 (poi dal '99 su Rai 2), dal 26 settembre 1993 fino allo scorso giovedì 2 dicembre. I titoli di coda, definitivi, sono scesi sulle teste dei conduttori Luca e Paolo e Mia Ceran che in coro hanno salutato mestamente: «Ringraziamo il nostro pubblico, ringraziamo le maestranze e la produzione Rai, la nostra band, tutti i professionisti che con il loro lavoro hanno reso possibile andare in onda». Finisce qui, la pagina che li accomuna, solo per l'egida sotto cui hanno lavorato, quella che il suo ideatore, Marino Bartoletti definisce «una trasmissione magica, un'alchimia irripetibile». Per comprendere bisogna tornare all'estate del '93 quando, il "musicologo" Bartoletti docet, il tormentone più gettonato nei juke-box delle spiagge della sua Romagna era What is love - cantato dalla "voce di Trinidad" Haddaway - e in hit-parade dominava l'album Gli spari sopra di Vasco Rossi, assurto a nuovo padrone degli stadi appena svuotati dai tifosi del calcio in vacanza. Fu allora che Bartoletti riuscì a convincere il direttore della Rai 3 più sperimentale e creativa di sempre, Angelo Guglielmi, a credere nel «progetto: una trasmissione in cui il mio grande sogno di bambino che lavorava di fantasia, ammaliato dalle radiocronache, trasportasse in tv Tutto il calcio minuto per minuto, abbinato a un talk-show brillante con comici del calibro di Teo Teocoli e Anna Marchesini». Guglielmi, come sempre illuminato e ricettivo al prodotto originale e di qualità, diede il placet, ma c'era un nodo ancora da sciogliere: la scelta del conduttore giusto. Bartoletti e il capostruttura Rai, Bruno Voglino, puntavano ad occhi chiusi sul giovane, anche se ancora acerbo, Fabio Fazio, classe 1964. «Guglielmi ci disse - continua Bartoletti - ve ne assumete tutta tutta la responsabilità, perché secondo me questo Fazio non buca il video». Ricorda bene queste perplessità un'altra grande anima del primo Quelli che... il calcio, il "signor Moviola" Carlo Sassi. «A dire la verità, venendo dalla Domenica Sportiva ero perplesso anche riguardo la mia presenza a una trasmissione così innovativa come quella che aveva in mente Marino, il quale mi convinse dicendomi: "Carlo, la faccio solo se ci sei tu". Quanto a Fazio, fino ad allora si era fatto conoscere come imitatore e conduttore di programmi per ragazzi (Jeans, in onda su Rai 3, nel 1986), ma tenere il timone di un programma pomeridiano domenicale, con in più la sacralità del campionato di calcio da rispettare, data l'età e l'esperienza, sembrava un grosso azzardo. Invece... Alla terza puntata andai da Fabio e gli dissi: mi scuso, perché non credevo fossi così bravo. Se la trasmissione sta andando alla grande è soprattutto merito tuo». Merito di Fazio e anche di quella «alchimia» bartolettiana che inventò il maxischermo su cui venivano proiettati, in diretta, i volti dei grandi radiocronisti di Tutto il calcio mi- nuto per minuto, Ameri, Ciotti, Gentili, Cucchi... E a questi si aggiungevano in studio personaggi noti dello spettacolo d'arte varia, ripescaggi vintage, come il conduttore Luciano Rispoli o l'olandese volante, il paroliere Peter Van Wood, calato nel ruolo di «astrologo», con tanto di sodalizio scaramantico interno: l'Atletico Van Goof, club ancora attivo nel paese di Castenaso (Bologna).
E ancora, l'esilarante tifoso extracomunitario, il "faziosissimo" juventino «colto», sottolinea Bartoletti, come il gambiano Idris, al quale faceva da contraltare lo «statistico, tassonomico e non nozionistico» interista Giuseppe Maria Buscemi, «che diceva di mangiare tutta la settimana pane e Gazzetta dello Sport, dice divertito Carlo Sassi. «Il successo del programma oltre ai contenuti leggeri e divertenti, era dato dalla novità di una "madre tifosa", come suor Paola, sfegatata della Lazio o la ricerca settimanale di un personaggio dal cognome particolare su cui costruire la puntata: tipo il signor Muratore o la coppia di coniugi Lampa Dario e Lampa Dina - va di amarcord Bartoletti - . Andando a caccia del cognome Sano reclutammo il designer giapponese Takahide Sano: era digiuno di calcio, eppure diventò uno dei più amati dal pubblico di Quelli che... ». Quelle prime otto stagioni (fino al 2001) targate Fazio-Bartoletti, furono un trionfo di ascolti (57,7% di share, punte massime da 7,6 milioni di telespettatori) e il «format generò di fatto due edizioni del Festival di Sanremo condotte da Fabio che portò all'Ariston parte della banda di Quelli che... il calcio». Figlio di quel format è stato anche un altro programma, progenitore di altri cento, come Anima mia (1997) ideato e condotto da Fazio e Claudio Baglioni. Ma tornando alla creatura primigenia, Quelli che... il calcio si reggeva ancora tutto sulle partite domenicali della Serie A. «Nonostante l'arrivo della pay-tv, con annessi anticipo e posticipo, noi avevamo un menù di 6-7 incontri pomeridiani in contemporanea e il pubblico da casa rimaneva incollato al video, colpita dallo spettacolo e dai collegamenti più stralunati». Come quelli dell'elegantissimo Everardo Dalla Noce che, da inviato da Piazza Affari era passato alla tribuna stampa degli stadi di Serie A, da dove puntualmente chiedeva notizie sulla sua Spal, in quel momento mestamente in C. All'epoca, l'imitatore e trasformista Ubaldo Pantani era ancora un studente universitario e sognava «di essere invitato a Quelli che..., solo come tifoso della Spal o del Pisa, città in cui vivo». Pantani è stato fino all'ultima puntata di Quelli che... il calcio edizione 2021-2022, il capitano di lungo corso della trasmissione. Ben 12 anni di onorata militanza, oltre 350 puntate, in cui ha presentato 30 personaggi, dall'indimenticabile Lapo Elkann fino all'Antonio Conte triste e solitario ultimo mister campione d'Italia con l'Inter. «Il format non aveva più nulla in comune con quello originario e va precisato che Quelli che... il calcio non ha chiuso il 2 dicembre, ma a maggio, al termine della passata stagione - dice Pantani - . Le colpe? L'ho già detto, quando si gioca in una squadra e si perde, le responsabilità vanno ripartite in parti uguali. Restando nel "calciolinguaggio", comunque ora sono sul mercato e spero di rientrare già in quello di riparazione, a gennaio». La barca ormai è affondata e quindi si salvi chi può. «Forse quella barca, rimasta da tempo senza il calcio (la Rai ha perso da un pezzo i diritti del campionato, ndr) ha resistito fin troppo... Tutte le edizioni successive alla nostra hanno vissuto di rendita, annacquando contenuti già visti e sentiti e cancellando definitivamente, verso i vent' anni di messa in onda, quella raffinata leggerezza che era la nostra cifra riconoscibile - continua Bartoletti - . Dispiace per un grande talento come Pantani, l'unico che avrebbe meritato di far parte della nostra squadra. Le sue imitazioni sono splendide: Ubaldo lo avessimo avuto allora avrebbe costituito il tandem ideale con Teocoli. Teo il meglio di sé lo ha dato a "Quelli che... il calcio": andatevi a rivedere quell'unicum del suo Enrico Cuccia "birichino" che percorre via dei Filodrammatici fino in piazza della Scala, sale sul tram e viaggia senza pagare il biglietto... ». Lo storico programma invece paga dazio al banco del consenso popolare, e la mannaia dell'Auditel non poteva che depennarlo dal palinsesto dopo gli ultimi ascolti: sotto il mezzo milione di telespettatori (il 2,3% di share). Una miseria per una prima serata. Ma su questo Carlo Sassi dissente: «La Rai doveva avere il coraggio di fargli terminare la stagione. L'errore più grave è stato non mantenere la trasmissione alla domenica e traslocarla al lunedì e infine al giovedì...». L'ultima parola, dopo quella fine sancita dalla Rai, spetta al "papà" di Quelli che... il calcio, al quale chiediamo: ha sentito Fabio Fazio? «Sì ma non per parlare della chiusura della trasmissione. Ma io e Fabio la pensiamo allo stesso modo: non aver visto una "tua creatura" festeggiare i trent' anni dispiace, soprattutto per la fine ingloriosa e direi offensiva che non gli è stata risparmiata».
· I Naufraghi.
Quanto guadagnano i naufraghi de L’isola dei Famosi? Stipendio da capogiro. Chiara Scioni il 18/3/2021 su Velvetgossip.it. L’Isola dei Famosi ha ripreso la sua messa in onda negli ultimi giorni, dopo ben due anni di stop. Al timone di questa nuova edizione Ilary Blasi, che sarà accompagnata dai suoi opinionisti ‘di fiducia’, Tommaso Zorzi, Iva Zanicchi ed Elettra Lamborghini. I naufraghi hanno già raggiunto da qualche giorno l’isola delle Honduras e hanno iniziato il loro percorso. E anche se tra alcuni concorrenti non è mancato già qualche attrito, la squadra sembra essere abbastanza unita. Nonostante le varie difficoltà che comporta il reality, i naufraghi cercano sempre di mantenere la calma e a far prevalere il loro spirito di sopravvivenza. Ma vi siete mai chiesti quanto guadagnano i concorrenti de L’Isola dei Famosi durante il programma? Scopriamolo insieme. L’esperienza a L’Isola dei Famosi è molto forte per chiunque scelga di partecipare. Nessun comfort, poche razioni di cibo e molto altro ancora. Ma ovviamente i concorrenti che decidono di buttarsi in questa nuova avventura sono consapevoli a ciò che vanno incontro e percepiscono anche un compenso per la loro partecipazione al reality. I cachet dei vari concorrenti non seguono una linea generale e spesso variano in base alla loro popolarità. Tra le naufraghe più pagate di quest’edizione pare esserci Elisa Isoardi che percepirebbe uno stipendio di 15mila euro a settimana. Mentre per il resto del cast i compensi si aggirano intorno alle 10mila euro a puntata. Insomma, uno stipendio da capogiro ma che, considerando le difficoltà a cui si sottopongono i concorrenti, è più che ponderato. E anche Ilary Blasi percepirebbe un cachet a cinque stelle, infatti, per ogni diretta la conduttrice percepirebbe ben 50mila euro. Insomma, pare proprio che gli autori de L’Isola dei Famosi non abbiano badato a spese per questa nuova edizione del reality e siamo solo all’inizio.
Isola dei Famosi, Elisa Isoardi: "Cachet astronomico", spunta la cifra spesa da Mediaset per convincerla. Libero Quotidiano il 26 marzo 2021. Sul web e sui social stanno impazzando le indiscrezioni sui presunti cachet dei concorrenti dell’Isola dei Famosi. Non solo, perché le voci riguardano anche Ilary Blasi e i suoi opinionisti: la conduttrice percepirebbe circa 50mila euro a puntata; considerando che il reality va in onda su Canale 5 per ben due volte a settimana, la moglie di Francesco Totti potrebbe incassare circa un milione. Tra gli opinionisti, invece, l’ultimo arrivato è quello più pagato: si tratta di Tommaso Zorzi, che sta capitalizzando al meglio il boom di popolarità dovuto al Grande Fratello Vip. Pare infatti che guadagni circa 50mila euro, mentre Elettra Lamborghini la metà (25mila) e Iva Zanicchi sui 20mila. Ma passiamo al capitolo naufraghi: le differenze sono piuttosto marcate a seconda di quanto sono conosciuti. La “paperona” dell’Isola dovrebbe essere Elisa Isoardi, che secondo i ben informati intascherebbe circa 15mila euro a settimana. Alle sue spalle dovrebbero esserci Daniela Martani e Ferdinando Guglielmotti, entrambi con un cachet che si aggirerebbe intorno ai 12mila euro: il visconte però si è già ritirato, è durato pochissimo. Vale di meno, invece, la partecipazione dei vari Vera Gemma, Paul Gascoigne, Gilles Rocca, Roberto Ciufoli e Brando Giorgi avrebbero firmato un contratto che prevederebbe un cachet di 7mila euro a settimana. Pare, però, che ci sia qualcuno che viaggia a cifre addirittura più basse: il naufrago meno pagato dovrebbe incassare circa 3mila euro, ma non è stato svelato il suo nome.
Fabio Fabbretti per "davidemaggio.it" il 16 maggio 2021. Sorpresa ad Amici 2021: la ballerina Giulia Stabile trionfa e strappa la vittoria al favorito (e fidanzato) Sangiovanni. La giovane allieva ha avuto la meglio in finale al fotofinish contro il cantautore di Lady e Guccy Bag, aggiudicandosi il montepremi in palio di 150.000 euro in gettoni d’oro. I cinque finalisti si sono sfidati nei due circuiti che caratterizzano il programma: canto e ballo. La sfida a tre tra i cantanti Aka7even, Deddy e Sangiovanni, giudicata per il 50% dal pubblico tramite il televoto, per il 25% dai professori e per il restante 25% dalla giuria, ha subito mandato all’atto finale Sangiovanni. Il duello tra i ballerini, con il medesimo meccanismo di votazione, ha invece premiato Giulia su Alessandro. Lo scontro finale tra fidanzati, giudicato unicamente attraverso il televoto, ha portato al successo la ballerina voluta nella scuola da Veronica Peparini, confermando così di aver fatto grande presa sul pubblico votante, relegando il favorito Sangiovanni al secondo posto. Per l’intero Serale, infatti, la ragazza è risultata ogni settimana la più votata via social tra tutti i partecipanti. Una scalata gratificata, prima della vittoria finale, da un premio di 30.000 euro in gettoni d’oro. Nella storia del programma, Giulia è la prima allieva di ballo a vincere Amici.
Chi è Giulia Stabile, la vincitrice di Amici 2021. Classe 2002, Giulia è nata a Roma da mamma spagnola e papà italiano. Inizia a ballare danza classica a 3 anni, in seguito approfondisce lo studio del modern ed entra a far parte della Nough Megacrew. E’ una delle prime allieve a conquistare un banco di Amici 20, ballando TKN di Rosalia e Travis Scott, grazie a Veronica Peparini, che la spinge – con successo – ad emergere e ad abbandonare ogni insicurezza.
Finale Amici 20: finale truccato. Amici 20, pioggia di critiche contro il talent: l’accusa è pesantissima. Antonio Meli il 16 maggio 2021 su bloglive.it. Arrivano le prime critiche pesanti per l’esito della finalissima di Amici 20. Molti gli utenti scatenati sui social, dopo l’esito e la vittoria del talent di Giulia. Nonostante moltissimi fan si siano riversati sui social per celebrare la vittoria di Giulia, sono state altrettanto feroci le critiche sia al format che al verdetto finale. Ovviamente il palcoscenico del caos è stato Instagram, e i post del verdetto finale di ieri sera. Intorno all’1 di notte infatti, una volta ufficializzati i vincitori e il podio, sono stati migliaia ad andare a commentare, alcuni anche pesantemente, le scelte del programma di Maria De Filippi. Se in termini di share e visualizzazioni, l’atto finale di Amici 20 è stato un gran successo, le polemiche non sono mancate nemmeno questa volta. Più di 6.000.000 di italiani hanno assistito alla finale, ma tantissimi si sono lamentati del verdetto, accusando addirittura la produzione di finale pilotato: i commenti. Non era certo la favorita Giulia Stabile, che si è imposta ironia della sorte proprio ai danni del fidanzato, il secondo classificato Sangiovanni. Il verdetto del talent più famoso d’Italia ha scatenato diversi malumori tra i fan sfegatati, che si sono andati a sfogare senza limiti sotto diversi post su Instagram, su Twitter e Facebook. L’accusa è pesante, quella di finale pilotato. Sul post di Trash Italiano, la pagina Instagram, il top comment è di un utente che scrive: “Bho, insomma, tutto pilotato”, che con questo messaggio ha ricevuto più di 2mila like. E ancora un commento questa volta da 5mila like: “La prossima volta ditecelo puntate prima, così evitiamo di guardare la puntata inutilmente”. Insomma un attacco duro al programma, da parte della fanbase del talent.
Amici 2021 truccato? Cecchi Paone non ha dubbi: “Trovo che tutto sia fatto per..” Jacopo D'Antuono l'8.05.2021 su Il Sussidiario.it. Amici 2021 truccato? Alessandro Cecchi Paone non ha dubbi: “Trovo che tutto sia fatto per bene”. La polemica continua...Ci avviciniamo al traguardo di Amici 2021 e ovviamente si innescano puntuali le polemiche. Come ogni anno, intanto, gli ascolti del programma si confermano ottimi. La padrona di casa, Maria de Filippi, anche in quest’edizione è riuscita a coniugare ascolti ed un pizzico di rinnovamento. Tuttavia non mancano le teorie complottiste sull’esito del serale di questa edizione. Alcuni telespettatori, infatti, pensano che le dinamiche, e talvolta gli esiti delle sfide siano organizzati a tavolino. A smentire categoricamente questa ipotesi ci ha pensato uno spettatore interessato come Alessandro Cecchi Paone, che ha così risposto ad una critica sulle sfide di Amici nella sua nuova rubrica per Nuovo Tv: “Trovo che tutto sia fatto più che bene”, ha commentato brevemente Paone.
Amici 2021 truccato? Per Cecchi Paone è un’ipotesi complottista. Alessandro Cecchi Paone, inoltre, ha aggiunto alcune altre considerazioni sul programma, traendo spunto dalla polemica sui risultati “strani” di alcune sfide. “Riguardo i suoi timori sui risultati, per favore non sia complottista e si diverta”, ha suggerito il giornalista ad un suo lettore. Cecchi Paone ha poi allargato il suo messaggio a tutta la platea di Amici 2021, in un certo senso rasserenandoli: “Non credo basti una serie di risultati uguali per dire che qualcosa non va – ha aggiunto – serve sempre una rinfrescata nelle presenze e nei meccanismi che regolano un talent storico e popolare come questo”.
Amici 20 Serale: le eliminazioni sono truccate? Le controversie e i pongoregolamenti. Blogtvitaliana.it Venerdì 30 Aprile 2021. Amici 20 Serale: le eliminazioni sono truccate? Le controversie e i pongoregolamenti di più il pubblico dei social a parlare di una involuzione del talent; infatti, sono moltissimi i fan del programma che sostengono che Amici non spalleggi più i concorrenti più talentuosi fra quelli in gara preferendo ad essi coloro che creano più interesse da un punto di vista puramente mediatico (creando polemiche, liti o storie d'amore). Insomma, quella che era riconosciuta come la Scuola del Talento ora si sta trasformando in un sorta reality di quart'ordine dove le relazioni fra concorrenti e professori valgono di più della resa sul palco. Eppure a scansare queste riflessioni un po' equivoche dovrebbero esserci docenti capaci di valutazioni oggettive, regolamenti rigidi e/o giurie in grado di decretare eliminazioni in base a parametri di competenza. Ma ad Amici 20 c'è davvero tutto questo? Forse non proprio. E un piccolo-grande indizio del fatto che forse ad Amici 20 nulla è come sembra, ci sono mille speculazioni su quanto viene mandato in onda ogni sabato sera: eliminazioni ping-pong, votazioni segrete, punteggi fotocopia, il pongoregolamento e - addirittura - qualcuno parla di "spintarelle" evidenti da parte della produzione dello show. Facciamo un breve riassunto di tutte le controversie che Amici 20 sta incassando nelle ultime settimane. Amici 20 è truccato? I punteggi fotocopia È un dettaglio raccontato anche da TvBlog.it nel corso della settimana: Amici 20 sfida ogni legge della matematica e della statistica mandando in onda per ben 20 volte su 21 delle manche di gara che finiscono SEMPRE con un punteggio di 2 a 1. Per la precisione: il primo punto viene dato alla squadra A, il secondo punto alla squadra B, per cui è praticamente necessaria SEMPRE la terza sfida. È un caso che per ben 20 volte su 21 accada questo "punteggio fotocopia"? Comprensibile che la trasmissione debba allungare il brodo fino all'una di notte (perché 2-1 significa fare sei esibizione per ognuna delle tre manche) e l'allungo spesso si fa anche per una semplice questione di ascolti. Ma questo improbabile tormentone mettere davvero tanto a rischio la credibilità della gara e al tempo stesso mette alla berlina i ragazzi in gara che - conti alla mano - già sanno se la loro esibizione sarà valutata in positivo o in negativo. Amici 20 è truccato? Le eliminazioni ping-pong Nei talent show a squadre come X Factor capita di frequente che dopo poche puntate serali uno dei team in gioco rimanga senza concorrenti, costringendo uno dei coach a restare in studio in qualità di semplice spettatore. Una possibilità che non è MAI accaduta ad Amici da quando il programma ha deciso di raggruppare i concorrenti in squadre. E come mai questa casualità? Lo scopriamo attraverso l'elenco degli eliminati: un vero e proprio ping-pong dove in maniera tecnicamente troppo equilibrata l'uscita di un concorrente da una squadra viene subito pareggiata dall'eliminazione di un concorrente della squadra avversaria. Forse è stato un caso ravvisabile solo in questa unica edizione? Purtroppo l'imbarazzo si crea quando si scopre che anche nelle precedenti edizioni a squadre, il Serale ha visto sempre stagioni con eliminazioni a ping-pong (uno di qua e poi uno di là) così da portare le squadre ad un numero pari fino alle puntate finale. Qui di seguito, il grafico con le eliminazioni di Amici 18: il numero di fianco al nome dell'eliminato segna l'ordine di classifica. Anche qui, com'è facile constatare, le eliminazioni sono regolarmente calibrate: via uno blu, poi uno bianco, poi uno blu e ancora uno bianco... e così via. Cambiamo stagione ma il meccanismo resta identico: Amici 16. A targhe alterne, viene eliminato uno blu e poi un bianco, un blu e un bianco fino alla finale con cinque concorrenti. Stessa cosa è successa anche per molte altre edizioni: Amici 15, Amici 14, Amici 13, Amici 12 (dove addirittura una doppia eliminazione consecutiva dei Blu viene coperta da una successiva doppia eliminazione per i Bianchi) e Amici 10, Amici 9, Amici 8 e Amici 7. Lo schema delle eliminazioni si ripete. Ora, pur volendo ipotizzare che sia tutto un caso, dobbiamo quindi affermare che presso gli Studi Elios di Roma esista un mondo parallelo dove le leggi della statistica e della matematica non funzionano. Perché altrimenti una faccenda del genere non si spiega. Provate voi stessi a fare un tentativo: mettete in un cappello 6 bigliettini bianchi e 6 bigliettini scarabocchiati di blu. Vi accorgerete come sia estremamente difficile trovate bigliettini alternati per colore. Amici 20 è truccato? Le votazioni segrete Pochi ci hanno fatto caso ma Amici 20 è l'unico talent show della tv italiana (e forse non solo italiana) a decretare una eliminazione attraverso un voto segreto. Con la necessità di votare attraverso un tablet, infatti, i tre giudici vip in studio non rivelano per chi hanno deciso di puntare il dito nel momento dell'eliminazione. Eppure a Ballando con le Stelle la giuria vota pubblicamente per alzata di paletta, a X Factor il voto eliminatorio è palese, a Tale e Quale Show le classifiche dei giudici sono esplicitate, a The Voice sono gli stessi coach a decretare a voce il loro eliminato. Perché gli eliminati di Amici vengono fatti fuori attraverso un voto segreto? E se questa votazione fosse "falsificata in maniera clandestina", tanto per citare la maestra Celentano? Il dubbio cresce quando davanti agli occhi ci appare la tabella delle eliminazioni e l'incredibile ping-pong già descritto. E il dubbio cresce ancor di più quando scopriamo che le votazioni della giuria vip non sono mai state palesate, anche nelle edizioni già concluse. Perché tanto mistero? Eppure ai fan del programma piacerebbe tantissimo sapere chi dei tre giudici vip ha deciso di sbattere fuori dal programma concorrenti come Leonardo, Tommaso o Enula... Amici 20 truccato? Lo storico pongoregolamento Il talent Amici di Maria De Filippi resterà negli annali della televisione italiana per esser riuscita a lanciare nella lingua italiana una nuova parola: pongoregolamento, ovvero un regolamento talmente poco solido da esser malleato come fosse plastilina. Non è chiaro chi abbia fatto nascere questo termine ma quel che è certo è che è nato su un forum di fan di Amici di Maria De Filippi per criticare la scelta della redazione del programma di modificare in corsa il regolamento di gara che - proprio in quanto gara e con un premio in denaro in palio - dovrebbe restare lo stesso fino alla finale. Ma così non accade mai. Solo quest'anno, ad esempio, la premessa era di eliminare due o tre concorrenti per puntata ma oramai da tre settimane ne viene eliminato solo uno. Ed è improbabile constatate che la conduttrice debba spiegare il "nuovo" regolamento di gara in ogni puntata leggendolo da un cartoncino a margine della prima manche. Nella storia dei serali di Amici, infine, è pieno di cambi di regolamento in corsa. Qui di seguito, alcuni degli articoli da noi pubblicati proprio circa questo argomento: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7. A margine di tutte questi dati oggettivi e statisticamente abbastanza incredibili, ci sono le numerosissime teorie che i fan del programma postano con molta frequenza sui social: una delle tante riguarderebbe le presunte "spintarelle" che la redazione metterebbe in atto per aiutare i concorrenti più spalleggiati dalle case discografiche; tecnicismo che quest'anno dovrebbe portare alla vittoria Sangiovanni. Ma andrà davvero così?.
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 22 settembre 2021. Il meraviglioso mondo di Signorini. Ogni stagione, con il Grande Fratello Vip, Alfonso Signorini corona un grande sogno: trasformare la tv nella sua casa delle bambole. Dopo aver esasperato il format originale, Alfonso Signorini si sta godendo il paradiso terrestre, un eden fatto di pettegolezzi, di confessioni, di amorazzi, di labbra esagerate, di «qualche mano che si allunga di troppo», di promiscuità (una categoria che andrebbe rivista alla luce delle identità di genere), di solidarietà alle donne afghane indossando un niqab («noi ci siamo e combattiamo al loro fianco. Grazie Jo Squillo di avercelo ricordato»), di un'atmosfera tardo-adolescenziale, di «percorsi», tanti «percorsi». Tempo fa, qualcuno sosteneva che Signorini fosse il vero ideologo di Silvio Berlusconi, il custode del suo immaginario pop, «espressione di una visione della vita licenziosa e invidiosetta, ma sottomessa e conservatrice». Sosteneva che Signorini, più di ogni altro personaggio Mediaset, avesse contribuito a costruire un nuovo senso comune, fatto di modelli estetici, di usi linguistici, di rapporti di genere, di modi di intendere il divertimento, l'amore, il corpo, l'intimità e così via. Non ne sono così sicuro: la tv di Silvio Berlusconi era molto più avanti di questa, più innovativa e contraddittoria. Signorini è semplicemente riuscito a ricreare il «suo» mondo per l'indubbia capacità di saper mescolare generi e media (tv e carta stampata). Azzardo un'ipotesi per quelli che hanno innalzato Signorini a teorico dell'«egemonia berlusconiana»: questa tv (dal Grande Fratello a Temptation Island, tanto per fare due esempi) ha danneggiato il Berlusconi politico. La Casa, l'Isola sono «corpi» slegati dalla realtà, sono situazioni che non si conciliano con il momento che stiamo attraversando, sono tv, appunto. Più questo tipo di tv è «fatta bene», più stimola il disinteresse per la politica (delegata invece ai talk sovranisti).
· "I tormentoni estivi? Sono da 60 anni specchio dell'Italia".
"I tormentoni estivi? Sono da 60 anni specchio dell'Italia". Mimmo Di Marzio il 19 Luglio 2021 su Il Giornale. Lo scrittore milanese Enzo Gentile e i cult del pop da spiaggia, da Vianello a Rovazzi. Di questi tempi, alla voce «tormentoni estivi» il pensiero dell'italiano medio vola immediatamente a Notti Magiche, la canzone portafortuna degli azzurri firmata Bennato-Nannini che fa il pari con il Poo-po-po tratta da Seven Nation Army dei White Stripe che fu colonna sonora ai nostri Mondiali del 2006. Ma da che Italia è Italia, ogni estate che si rispetti non può fare a meno del suo tormentone pop, le cui note rimbalzano dagli altoparlanti delle spiagge a quelli delle discoteche (finchè erano aperte). Un'epopea immutabile nei decenni e su cui è appena uscito un libro che ne ripercorre le tappe salienti, recuperando autori e aneddoti, ma soprattutto valorizzando un fenomeno troppe volte frettolosamente snobbato dalla critica «colta». L'autore, il giornalista milanese Enzo Gentile, lo ha intitolato Onda su Onda (Zolfo Editore), degna citazione del brano cult di Bruno Lauzi. Ma di titoli azzeccatissimi ce ne sarebbe stata una sporta - da Sei diventata nera a Una rotonda sul mare a Sapore di sale - tali e tanti sono stati i successoni delle canzoni che hanno accompagnato le estati italiane dal Dopoguerra a oggi. Ed è proprio dal boom economico degli anni Sessanta che prende avvio la bella storia corredata di nostalgiche foto di repertorio dei big della «leggera», consacrati da rassegne come il Cantagiro e il Festivalbar. «In molti casi hanno lasciato un segno più indelebile delle edizioni di Sanremo - dice Gentile - perchè l'Ariston ha avuto anche i suoi lunghi momenti bui, mentre ogni anno è sempre stata l'estate a consacrare la canzone regina». Un fenomeno, questo, tipicamente italiano ma che ci ha visto spesso primeggiare anche nelle classifiche internazionali. «C'è qualcosa di magico nel tormentone estivo, che trascende il clima di competizione che ha sempre caratterizzato Sanremo; il Festivalbar è una gara gioiosamente simbolica e il Cantagiro una parata in versione decappottabile di popstar in vacanza». Gentile però, nel suo atlante, ci tiene anche a sfatare un falso mito: quello che, per dirla alla Bennato, siano sempre state solo canzonette. Nella sua analisi revisionistica, l'autore contestualizza i successi discografici nei periodi socio-economici del Belpaese, quasi come se fossero la colonna sonora di un'Italia che nei decenni ha attraversato entusiasmi, depressioni, nazionalismi e esterofilie. «Se negli ultimi 60 anni dovessimo eleggere un re del tormentone estivo, l'Oscar andrebbe a Edoardo Vianello, autore di pietre miliari come Abbronzatissima, I Watussi, oppure Prendiamo in affitto una barca. Erano, quelle, canzoni spiritose ma nient'affatto stupide e comunque perfettamente in sintonia con un'Italia che inaugurava le prime grandi infrastrutture come l'Autostrada del Sole e che finalmente benediceva le vacanze nei nuovissimi alberghi delle nostre riviere». Facevano il pari, per fare un parallelo cinematografico, con pellicole cult come «Il Sorpasso» di Marco Risi. Quegli anni ruggenti, raccontati nel libro anche attraverso documenti e interviste, erano scanditi da voci simbolo dell'estate come Fred Bongusto e Peppino Di Capri. «Di Capri importò il twist nelle sale da ballo e fu un successo straordinario, perché gli italiani avevano una pazza voglia di ballare per scacciare i fantasmi del passato». Tra i napoletani anche un certo Renato Carosone. Poi i tempi cambiarono ma i tormentoni estivi continuarono come controcanto a sogni, vacanze e, perché no, a nuovi o fedigrafi amori. I '70 furono gli anni del cantautorato impegnato, «eppure, quasi come un contrappasso, la musica leggera lanciò memorabili lenti che parlavano di sentimenti e nostalgie», un intimismo che rivendicava sentimenti schiacciati dalle ideologie. I nuovi big erano Patty Pravo, Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Riccardo Cocciante, Mia Martini, Umberto Tozzi e molti altri; così arrivarono le struggenti estati di E tu, Mi ritorni in mente, Pazza idea, Piccolo uomo. «Gli Ottanta, con il loro dirompente edonismo, aprirono le porte al fascino dell'esotico e dei viaggi di massa. Ecco allora tormentoni come Vamos a la playa, Maracaibo e Tropicana». I Novanta battezzarono il rap e un certo disimpegno, contrassegnato dai successi estivi di band come Articolo 31 e 883, ma anche di parodie come Rapput di Claudio Bisio, che non a caso firma la prefazione di questo libro. All'appuntamento con il tormentone non volevano però mancare anche big come Ligabue, Gianna Nannini, Vasco Rossi e Luca Carboni che, con il suo Mare mare, finì per mesi in testa alle classifiche. E oggi, nell'era digitale e della crisi del disco, c'è ancora spazio per il tormentone? «Eccome; soltanto che, per non sbagliare, le produzioni chiedono aiuto all'...usato sicuro, e allora ecco i duetti Morandi-Jovanotti, Rovazzi-Ramazzotti, Orietta Berti-Achille Lauro. Sennò che estate sarebbe?». Mimmo Di Marzio
Tormentoni estivi anni '60, '70 e '80: ecco la musica degli over. Monica Cresci il 19 Luglio 2021 su Il Giornale.
Tormentoni e hit estive hanno accompagnato gli over 60 per tutta la loro vita: ecco le canzoni più belle degli anni '60, '70 e '80. Tormentoni estivi: da sempre una presenza costante delle vacanze, un sottofondo musicale fisso che rallegra le pause relax al mare o in montagna. Alcune hit stagionali spesso finiscono rapidamente nel dimenticatoio, altre diventano emblema di intere generazioni, definendone il mood esistenziale, emotivo e anche estetico. Evergreen che attraversano intere decadi trasformandosi in ricordi indelebili, diventando colonne sonore personali o di un intero periodo storico. Sono le canzoni più amate, le più cantate a squarciagola ai concerti, durante le serate danzanti nei club o in discoteca. Dagli evergreen degli anni '60 alle innovazioni degli anni '80, passando per le hit disco dei 70, la categoria senior può contare su una playlist corposa. Ma quali sono i brani più gettonati?
Perché torna di moda la musica degli over 60. Hit e tormentoni estivi del passato: il loro prepotente ritorno di anno in anno potrebbe assumere significati differenti. La bellezza immortale di sonorità e parole hanno segnato il passaggio di epoche differenti, come emblemi sociali e simbolo di innovazione. Sono state anche un vero e proprio spartiacque tra il passato e il futuro, sia dal punto di vista della moda che del linguaggio sociale. Ma a rendere intramontabili questi brani, tipici degli over 60, è forse la capacità di risultare sempre attuali anche agli occhi delle nuove generazioni. Canzoni e parole simbolo delle estati del passato, della leggerezza data dalle vacanze in giovane età e delle prime storie d’amore. I ricordi sono lucchetti che preservano la memoria e il cuore, piccoli scrigni dove racchiudere i momenti più belli e spesso anche gli eventi più dolorosi. E la musica è da sempre il fil rouge in grado di collegare esperienze, emozioni e sensazioni. Ecco quali sono le canzoni che ancora oggi balliamo e cantiamo con passione.
Le hit degli anni '60. I favolosi anni '60, il periodo della rinascita e della spensieratezza, della ripresa economica e del cambio generazionale, in particolare in Italia. Il momento viene ricordato dal punto vista musicale per la nascita della beat generation e successivamente della musica pop. Cultura, società e moda subiscono le influenze dell’epoca con una maggiore libertà stilistica, spesso dettata dagli input che giungono da fuori confine. L’aspetto formale di un tempo lascia spazio a libertà estetiche innovative, come ad esempio la minigonna, la voglia di scendere in piazza per manifestare ma anche per esprimere se stessi. Sono anni creativi, ma anche emotivamente intensi dal punto di vista musicale.
Le hit estive di quel periodo ben rappresentano questo insieme di cambiamenti, ecco le più note:
Abbronzatissima di Edoardo Vianello;
Sapore di Sale di Gino Paoli;
Azzurro di Adriano Celentano;
Tintarella di Luna di Mina;
Estate di Bruno Martino;
Cuando Calienta El Sol dei Los Marcellos Ferial;
In ginocchio da te di Gianni Morandi;
Una rotonda sul mare di Fred Bongusto;
Ciao Ciao di Petula Clark;
Il mondo di Jimmy Fontana;
Riderà di Little Tony;
Stasera mi butto di Rocky Roberts;
Luglio di Riccardo del Turco;
Acqua azzurra, acqua chiara di Lucio Battisti.
"Tre dischi per i 70 anni Le radio mi trascurano come con De André"
Senza dimenticare le hit estere quali "Help" dei Beatles, "Light My Fire" dei Doors, i Rolling Stones con "(I Can't Get No) Satisfaction", "Sugar Sugar" di The Archie, "Respect" della regina della musica Aretha Franklin, "Sweet Caroline" di Neil Diamond, nonché "Surfin U.S.A" dei The Beach Boys, solo per citarne alcune.
I tormentoni degli anni '70
Con gli anni '70 la società cambia pelle e velocità di andatura, la decade è caratterizzata da lotte di piazza e contestazioni, ma anche da molta violenza e terrorismo. Lo strato sociale si adatta alla rinnovata necessità di cambiamento che porterà verso gli anni '80, con tanto di ribellione culturale e, ovviamente, musicale.
L’arte diventa lo specchio delle rivendicazioni popolari, ma anche degli stravolgimenti politici del tempo e delle innovazioni scientifiche. Il look abbraccia linee e decorazioni più geometriche, mixate perfettamente con una moda più bucolica e floreale. Sono anni particolari dove anche la crisi economica trova posto nelle liriche, compresi i tormentoni estivi. Ecco i più noti:
Splendido splendente di Donatella Rettore;
E la luna bussò di Loredana Bertè;
Gloria di Umberto Tozzi;
Fin che la barca va di Orietta Berti;
Balla di Umberto Balsamo;
Comprami di Viola Valentino;
Pazza idea di Patty Pravo;
Figli delle stelle di Alan Sorrenti;
Super superman di Miguel Bosè;
Ricominciamo di Adriano Pappalardo;
Tanti auguri di Raffaella Carrà.
I tesori di David Bowie Ecco cover e ristampe a 5 anni dalla morte
Tra le hit estere, grandissimo successo estivo per i "Village People" con YMCA e il relativo balletto, seguito dall’immortale "Stayin’ Alive" dei Bee Gees, nonché "My Sharona" degli The Knack. Non si possono non citare Grease, Diana Ross con la cover di "Ain't No Mountain High Enough", Elton John & Kiki Dee con "Don't Go Breaking My Heart", "Bad Girls" di Donna Summer - vera regina della disco music dell’epoca - e "Dancing Queen" degli ABBA.
Le hit degli anni '80
Le rivolte del decennio precedente portarono direttamente verso gli anni '80 che, in Italia, videro un apparente aumento del benessere sociale, ma anche crisi economiche mondiali inasprite dalla tensione crescente della Guerra Fredda tra Usa ed Urss. In Italia la politica visse momenti travagliati tra scandali, cadute e rotture di alleanze, anche se la sensazione era quella di una crescita, di un rinnovamento e di molto benessere. Trasgressione artistica, musicale, crescita finanziaria e ricerca di successo dettata dagli yuppies, sono solo la copertina di una società in crescita dal punto di vista digitale, ma sofferente dal punto di vista lavorativo e sociale. La musica si fa portavoce delle persone, di queste evidenti differenze sociali, che ridefinisce il concetto di classi sociali. I tormentoni dell’estate anni ’80 ne sono un simbolo:
Gioca Jouer di Claudio Cecchetto;
Vamos a La Playa dei Righeira;
People from Ibiza di Sandy Marton;
Centro di gravità permanente di Franco Battiato;
Kalimba de Luna di Toni Esposito;
Mare mare di Luca Carboni;
Alghero di Giuni Russo;
Tropicana de Il Gruppo Italiano;
Boys di Sabrina Salerno;
Call Me di Ivana Spagna;
Non sono una signora di Loredana Bertè.
Il mondo segreto di Battiato: chi era davvero e cosa rivela la grafia
Nel resto del mondo impazzano i tormentoni di Huey Lewis & the News con "The Power of Love", dei Duran Duran con "Rio" e degli eterni rivali Spandau Ballet, ma anche degli Eurythmics con "Sweet Dreams (Are Made of This)". Sono gli anni di Flashdance con "Maniac" di Peter Sembello, di Gosthbuster, di "Fame" di Irene Cara, di una giovanissima Whitney Houston con "I Wanna Dance With Somebody (Who Loves Me)", dell’immancabile Madonna con "Papa Don't Preach" e degli Wham con "Club Tropicana". Passando per l’intramontabile "Lambada" di Kaoma e "La Bamba" dei Los Lobos. Senza dimenticare i mostri sacri di sempre come Depeche Mode, U2, Michael Jackson, The Police, Prince e Bruce Springsteen. Monica Cresci
Roberto Croci per “il Venerdì di Repubblica” il 31 luglio 2021. Nel 1969, nella stessa estate di Woodstock ma a 160 chilometri di distanza, si celebrava l'Harlem Cultural Festival, una rassegna musicale conosciuta come la Black Woodstock. Dopo 50 anni sono state ritrovate le riprese video dell'evento a cui parteciparono 300 mila persone, e talenti della musica black soul, gospel e R&B come Gladys Knight e Stevie Wonder, Mahalia Jackson, Abbey Lincoln, B.B. King, Nina Simone, Sly and the Family Stone, Herbie Mann, The 5th Dimension e The Staples Singers. Quelle immagini sono ora un documentario diretto da Ahmir Questlove Thompson, celebre per il suo lavoro di batterista e compositore nella band The Roots. Summer of Soul si potrà vedere dal 30 luglio su Disney+, dopo aver vinto molti premi, tra i quali il Grand Jury Prize e l'Audience Award nella categoria documentari al Sundance Film Festival. Questlove, dove ha scovato questo materiale?
«I nastri con più di 40 ore di riprese sono stati ritrovati in uno scantinato di New York. Il regista Hal Tulchin, morto nel 2017, aveva girato con quattro videocamere, sperando di poter vendere il materiale a qualche network televisivo. Purtroppo a quei tempi questa testimonianza preziosissima non aveva attirato l'interesse di nessuno. Fortunatamente io e Joe Lauro, il ceo di Historic Films Archive, siamo riusciti a recuperare il tesoro, digitalizzarlo e riportare questa documentazione straordinaria a nuova vita».
Quant' è importante raccontare questa storia oggi?
«Ogni testimonianza è importante per le comunità nere, perché documentare la nostra storia musicale non è mai stata una priorità. Quando mi hanno proposto la regia di Summer of Soul stavo lavorando sulla biografia di Prince e mi ricordo come descriveva in modo dettagliato l'impressione che Woodstock aveva avuto sulla sua vita di musicista. Durante il montaggio di questo film mi sono chiesto spesso quanto la Black Woodstock avrebbe potuto influenzare decine di artisti se questo film fosse uscito cinquant' anni fa, che impatto avrebbe potuto avere sulle nuove generazioni e quanto avrebbe potuto essere diversa la nostra musica».
La musica del film è una sorta di colonna sonora della storia degli afroamericani. Com' è riuscito a creare questo rapporto tra musica e immagini?
«Ho lavorato in simbiosi con il montatore Josh Pearson, perché capisce la mia sensibilità musicale. Per me è importante prendere sul serio il nostro passato, sostenere la nostra storia, soprattutto in questo momento di divisione sociale». Cosa ha imparato con questo suo primo lavoro da regista? «È stato un corso intensivo: ho capito come narrare le storie dei musicisti in modo efficace, cercando di raccontare i fatti salienti senza diventare noioso». N su disney+ il documentario Summer of Soul, sulla dimenticata "Woodstock nera" di 52 anni fa.
Andrea Laffranchi per il “Corriere della Sera” il 28 agosto 2021. Dalle playlist alla cronaca. Le storie del rap non sono solo nelle rime delle canzoni, ma nelle indagini delle forze dell'ordine. Una sequela di risse, aggressioni, rapine di gruppo e raid vandalici che in questi giorni hanno portato alla risposta della polizia: fogli di via, avvisi orali e Daspo per Baby Gang, 20enne di origini marocchine nato a Lecco, vero nome Zaccaria Mohuib, e Rondo da Sosa, all'anagrafe Mattia Barbieri: vietati locali e discoteche di Milano e divieto, per il primo, di frequentare mezza Riviera romagnola. C'è una connessione con le minacce, assieme a una trentina di amici, al titolare dello storico locale milanese Old fashion: botte, violenze, sassaiola. E pure con gli atti vandalici dello scorso weekend a Riccione. «Da oggi in poi tornerò a zanzare (derubare ndr ) i turisti in spiaggia perché altrimenti non vado avanti», aveva postato Baby Gang nei giorni scorsi dopo la cancellazione di una serata a Misano Adriatico. Tutto parte da Milano, zona San Siro, epicentro in piazzale Selinunte e via Preneste. Case popolari dove vivono 12 mila persone, la maggior parte di provenienza araba e maghrebina, dove i figli di seconda generazione sono cresciuti in strada con un background di rapine, piccolo spaccio, aggressioni fin da minorenni. Tutto aggravato dalla pandemia che non offre sfoghi ai ragazzi e alza il livello della tensione con i social che rilanciano le rivalità. Qui è il territorio della 7Zoo, la crew che ha dato vita all'etichetta Real Music 4 Ever. Rondo è quello che fa i numeri più grossi: oltre due milioni di ascoltatori al mese su Spotify. «Delinquente» è l'album che esce oggi di Baby Gang su cui ci sono grandi aspettative da parte di Warner, la multinazionale che li ha sotto contratto. Il primo a emergere è stato Neima Ezza, 19enne nato in Marocco, che in pieno periodo di restrizioni pandemiche ha convocato 300 persone in strada per girare un videoclip ed è finita male quando la polizia ha provato a disperdere l'assembramento. Vale Pain, Keta, Sacky, Kilimoney e Nko sono gli altri nomi della crew da tenere d'occhio secondo i web-magazine specializzati. La gang milanese rappresenta anche la nuova scena del rap, la drill. Tendenza musicale nata a Chicago 10 anni fa da una costola della trap, arrivata a Londra-Brixton attraverso la nuvola digitale di SoundCloud e adottata dalle seconde e terze generazioni nelle banlieu francesi. Rispetto al genere originario, le basi hanno un'atmosfera più cupa e aggressiva, le liriche raccontano il disagio con più rabbia e violenza. Nell'immaginario canne e sciroppo (codeina e sprite), gioielli e brand da ostentare, non bastano e si spinge sul gangsta con passamontagna e armi puntate. Antonio Dikele Distefano, 29 anni e genitori angolani, scrittore e autore della fiction Zero per Netflix che ritrae la periferia milanese fra seconda generazione, rap e pregiudizi, la vede così: «Da un lato dico che questi ragazzi arrivano alla fama prestissimo, a 17-18 anni, l'età in cui tutti, pure io, combinavamo casini. Dall'altro aggiungo che se negli Usa o nelle banlieu parigine il disagio è vero, qui tanti se lo creano: ci sono pregiudizi verso certi quartieri, ma a Milano la polizia non ti spara addosso». Paola Zukar è una che il rap game lo conosce: dalle prime fanzine Anni 90 è diventata manager di Fabri Fibra, Marracash e Madame: «Il rap si è radicato nelle periferie e ha avvicinato ogni tipologia di adolescente: lo ascoltano tutti e molti provano a farlo. Alcuni si atteggiano a una vita di strada che non conoscono, altri hanno quel vissuto. A tutti dico che fanno bene a provarci perché l'impegno e la voglia di migliorare aiutano a uscire da certe situazioni, ma poi bisogna saper gestire il successo». Roma è artisticamente ferma, non arriva nulla di nuovo, ma Digos e Squadra mobile hanno lavoro nel monitorare la scena: Sayanbull, ovvero Alex Refice, capo di una gand di rapper boxeur è finito in manette per aver preso a calci un ambulante bengalese e per una spedizione punitiva contro trapper rivali, tra cui Gabriele Magi, alias Gallagher, uno che pochi mesi prima era stato arrestato dai carabinieri con il compagno Traffik, Gianmarco Fagà, per aver picchiato e rapinato tre fan. Qualche testa calda c'è anche in provincia. Matteo Macaluso, 21 enne di Chivasso che si fa chiamare Eyes, è stato arrestato quest' estate per aver picchiato la fidanzata incinta; e Terror Bomber, 34 enne di Termoli, perché in casa gli hanno trovato candelotti e una bomba artigianale. Ma più che rapper, i loro video su YouTube non escono dal giro degli amici, sono solo delinquenti.
Bernardo Basilici e Menini Leonardo Di Paco per “La Stampa” il 14 ottobre 2021. Quasi dieci milioni di euro. Ecco quanto costerà l'edizione 2022 dell'Eurovision a Torino. Ci sono le spese per gli allestimenti, la promozione, servizi accessori, trasporti, soldi da dare alla Rai. Totale: 9 milioni e 750 mila euro. Risorse che per circa una metà peseranno sulle casse di Palazzo civico, mentre per la restante parte è stato chiesto aiuto a Regione ed enti privati. Per il noleggio e la gestione del Pala Alpitour ci vogliono poco più di 1,4 milioni di euro. Poi altri 3 milioni per «approntamenti, noleggi, impianti, segnaletica e strutture provvisorie», si legge in un documento interno al Comune. Quindi i servizi all'aeroporto, i trasporti la logistica: 1,4 milioni di euro, mentre per la sicurezza e la prevenzione sono 1,5. La voce promozione e comunicazione pesa per 450 mila euro, mentre 550 mila servono per l'utilizzo di altre strutture, come i tendoni e la Piscina Monumentale. Altri 100 mila per eventi collegati e spese varie. Totale 8,5 milioni di euro. A cui va aggiunto il «contributo di partecipazione a favore della Rai pari a un valore di 1,25 milioni di euro - stabilito in fase di trattativa con la televisione di Stato - che porta il totale appunto a quasi una decina di milioni. Fra le clausole del contratto, a oggi ancora una bozza, oltre agli impegni economici sono contenuti tutte una serie di requisiti, parecchio rigidi, decisi dall'Ebu, l'unione europea di radiodiffusione, che associa diversi operatori pubblici e privati del settore. In parole povere si tratta dell'ente che organizza l'Eurovision e che, in passato, si è occupato di Giochi senza frontiere. Prendiamo il Pala Alpitour - che sul sito già annuncia la prossima apertura della vendita dei biglietti - dovrà avere come minimo 8 mila posti a sedere più altri duemila in piedi: si ragiona a piena capienza. Come nelle edizioni precedenti dovrà essere allestita anche una «green room» da 300 posti, ovvero uno spazio aggiuntivo a ridosso del palco, parte integrante della scenografia, dove stazioneranno gli artisti e le delegazioni durante gli spettacoli. E poi un centro dedicato alla stampa da 500 posti, camerini, aree relax e così via. Capitolo risorse: chi le metterà? La Regione spenderà 2 milioni di euro. Compagnia di San Paolo, Camera di Commercio e Iren contribuiranno con mezzo milione a testa. Crt, invece, investirà 250 mila euro. Il resto (oltre cinque milioni) è tutto sulle spalle del Comune di Torino, che spalmerà la spesa sui bilanci 2021 e 2022, e nel frattempo chiederà una fideiussione. Ma non si tratta di una spesa eccessiva per casse municipali? Le difficoltà di bilancio sono senz' altro da tenere in considerazione. Ma, dall'altro lato, gli organizzatori delle ultime edizioni hanno speso ben di più. Il costo complessivo per l'Eurovision 2019 a Tel Aviv, ad esempio, è stato di 28,5 milioni di euro, 23 milioni per Lisbona nel 2017, Kiev 27 milioni (6,5 dei quali a carico del Comune), Stoccolma 2016 13 milioni (11 del Comune). E in passato si sono toccati anche i 60 milioni di euro. Intanto ieri pomeriggio si è riunito per l'ultima volta, prima del ballottaggio, il consiglio comunale targato Movimento Cinquestelle. All'ordine del giorno una variazione di bilancio per permettere lo svolgimento in città della manifestazione canora. La delibera, che prevede lo stanziamento di un fondo di 5 milioni di euro per un periodo limitato di tempo, derivante da recuperi di fondi del bilancio comunale, per garanzie bancarie richieste dalla Rai, è stata approvata con 32 voti favorevoli, due astenuti e nessun contrario.
· Abella Danger e Bella Thorne.
Barbara Costa per Dagospia il 27 marzo 2021. "Parental Advisory: Explicit Content". OK, ragazze: adesso che i perbenisti e i paurosi del sesso sono avvisati e sistemati, me lo dite? Dove sta? La versione non censurata di "Shake It", dove sta? Su quale porno-sito? Su Pornhub non c’è! Quando la fate uscire? Dai, non si può resistere al primo rimming a lingua che schiocca di saliva tra natiche e slip, e ancora meglio il secondo, e qui la lingua pare trattenerne il sapore, quasi a ingoiarlo… e si trasuda eiaculazione. Molto bene, ma la versione coi seni non pixellati!? E a scissoring…?!? Complimenti a Bella Thorne per la sua svolta porno, e per questa sua prova registica, autoriale, ma pure lesbo-soft-porn attoriale! Però: se il suo video "Shake It" è drogante, non sta nella canzoncina che dalla mente non ti si leva più, ma sta nella “bitch” che nel video Bella Thorne ruba all’etero sposo per sposarsela e sc*parsela lei. L’hai riconosciuta? La bitch è Abella Danger, giovane pornostar famosissima nonché potenza social con 1,5 milione di seguaci su Twitter e la bellezza di 7,6 milioni su Instagram. Con queste cifre, questo pubblico enorme, Abella "segna" trend e costumi. Dentro e fuori dal porno. Abella “non è così bella, ma è la più immensamente tr*ia!”, è ciò che i suoi orgogliosi fan ti dicono, perché quello che Abella balla e fa in "Shake It" è niente in confronto ai volteggi che realizza sui set porno. Abella Danger ha una aura sessuale tutta sua ed è la sua arma ed è letale. Abella Danger,25enne, comanda la generazione delle pornostar post-millennial non rifatte, non alte, non magre, e con un sedere grosso che, fino a qualche tempo fa, era tragedia possedere. Abella Danger comanda la generazione di pornostar cresciute a porno, web e biscotti e che non vede nel porno nulla di pericoloso, sbagliato, "sporco". Lei è entrata nel porno a 19 anni, col suo ragazzo del college, lui, il proprietario del cognome Danger, lui col quale Abella ha girato le prime scene. Appena ha scoperto che fare sesso professionale, le piaceva, e le riusciva, e con soddisfazione (“viene fuori il mio alter ego: la tr*ia che è in me!”) Abella Danger ha deciso di diventare una numero uno. Una determinazione, una sicurezza di sé che ha allarmato il suo ragazzo, rivelatosi il classico tipo geloso. Bye bye, amico, non "servi" più, un saluto e sei un ex, e Abella si è trovata un signor agente, e sul set si è data a porno sperimentazioni. Cresciuta in una famiglia di osservanti ebrei ashkenaziti, con un (severo) padre di 22 anni più grande di sua madre, Abella ha perso la verginità a 16 anni e non con chi si era innamorata, ma con chi è tutt’ora il suo migliore amico. La verginità è quello che per lei – e che in realtà – è: un impiccio, un mito inventato dagli uomini per controllare le donne. Sicché meglio perderla – se c’è qualcosa da perdere… – con chi sai amico e tale ti rimane, e non con chi da adolescente credi di amare, quando dell’amore ancora sai niente e la tua vita è tutta da inventare! Abella Danger manifesta il suo "debole" per i peni circoncisi, e candidamente rivela di aver perso la verginità anale sul set, con Keiran Lee. Ma nel porno non arrivi alla deflorazione anale nel grottesco, ridicolo modo che mi è capitato di vedere l’altra sera in "Le Età di Lulù", di Bigas Luna! Lasciamo stare, per carità. Non si può falsare, nemmeno cinematograficamente, l’ano e la sessualità di una donna in quel modo! Abella dice che prima di girare il suo primo anale porno è stata varie notti per 2 mesi – 2 mesi! – ad allenare il c*lo con dildo via via più grandi. Le pareti anali vanno ben preparate a ricevere calibri che su un set porno entrano e escono in modo innaturale rispetto a quanto si fa nella realtà (anche se l’uso a quantità industriale di lubrificante anale è bene sia lo stesso). Abella Danger piace, è seguita, anche per i suoi porno estremi in violenza: lei gira molto rough-porn, cioè quello che prevede scene di (finta) violenza, e (finti) soffocamenti. È "violenta" lei stessa, lei per prima (“il porno duro lo cerco, lo voglio: è una necessità”). Le sue forti scene a schiaffoni dati e ricevuti l’hanno innalzata nell’Olimpo delle dee del genere, e ti si stampa indelebile (e non solo negli occhi) il suo threesome con Ramon Nomar e Toni Ribas. Il suo primo threesome, sul set, e nella vita! Abella, prima del porno, ha avuto storie sia con donne che con uomini, ma non è promiscua, e mai si è avventurata in accoppiamenti non duali. Come Bella Thorne, Abella Danger si dichiara bisessuale, ma non poliamorosa al pari di Bella. E se Bella è ora pansessuale e monogama da quando sta col "nostro" Benjamin Mascolo, chi lo sa se Abella Danger sta ancora con quello schianto di f*ga con cui si è presentata sul red carpet degli Oscar del Porno l’hanno scorso… Una cosa è sicura: Abella Danger sta divenendo la musa di Bella Thorne. Dicono che la loro porno simbiosi non si fermerà a "Shake It" – girato a Los Angeles a fine settembre, e ci sono volute 14 ore – il quale è la loro seconda collaborazione dopo "Her&Him", il cortometraggio hot da Bella diretto per Pornhub, e di cui la Danger è la protagonista, e dove però, di 30 minuti, il sesso vero, elettrizzante, non simulato, dura solo due.
· Achille Lauro.
Achille Lauro: «Stavo buttando via la vita, mi sono fermato». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 28 Dicembre 2021. Musica e Arte. Il cantautore: dal mio battito un NFT, un’opera digitale. Sento in arrivo un’ondata punk, sono pronto a cambiare ancora.
Riproponiamo qui una delle interviste più lette del 2021, quella di Andrea Laffranchi ad Achille Lauro, uscita su 7 del 26 novembre.
Questa volta ci mette il cuore. Fuor di metafora. Achille Lauro mette il suo battito cardiaco, registrato dal vivo durante un concerto che si terrà il 7 dicembre al teatro degli Arcimboldi di Milano, in un NFT, un’opera digitale la cui autenticità e unicità è garantita dalla blockchain e dal sistema di scambio delle criptovalute. «Avrò dei sensori collegati al corpo che registreranno il battito e lo proietteranno creando un’immagine unica incorporata in un NFT. Mi viene in mente la copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division... L’asta sosterrà un progetto benefico per il reparto di cardiologia infantile del Policlinico San Donato».
Il cuore di Achille Lauro?
«Il cuore rappresenta l’esistenza e la mia esistenza è irrazionale, misteriosa e basata su emozioni, passioni e su un ignoto destino. Durante il concerto sarò accompagnato dall’Orchestra della Magna Grecia. L’orchestra è un corpo unico fatto di singoli elementi, rappresenta l’unione. In fondo anche noi, come singoli e come società, siamo fatti così».
Ci fossero stati quei sensori quando si è tolto il mantello a Sanremo 2020 all’inizio di Me ne frego ?
«Sarebbero impazziti. Ero concentrato sul gesto più che sulla performance canora. Mi giocavo otto mesi di lavoro in un secondo: tutto o niente. Ricordo la gente in prima fila all’Ariston: interdetta ma contenta. Ho sentito che qualcosa stava accadendo, che sarebbe stato l’ultimo giorno da signor Nessuno».
Da qualche mese sembra aver abbandonato i costumi elaborati con cui ha stupito a Sanremo e nei concerti. Cambia direzione?
«Visto anche il periodo difficile che abbiamo passato tutti, in questi mesi mi sono dedicato ad altro. Quando potrò fare un vero tour tornerò a fare cose mai fatte: non sarò certo in giacca e pantalone come quando ero sul red carpet della Festa del cinema di Roma o come farò a teatro. Lo show con l’orchestra punta sull’eleganza: c’è uno scopo benefico e basta quello».
Di recente sui social ha messo una sua foto da bambino con un gattino in braccio e la frase «Da piccolo volevo essere grande». E adesso?
«Credo che sia qualcosa che tutti abbiamo provato. E poi quando si cresce magari si vuole tornare bambini. Negli ultimi sei mesi questa cosa l’ho sentita meno. Ho lavorato così tanto che non avevo tempo per la malinconia, ma con quel post volevo anche raccontare una delle contraddizioni della vita: vogliamo sempre essere quello che non siamo. Sono sempre insoddisfatto, cerco quello che non ho».
La riporto alla malinconia. Il primo ricordo?
«Quando da bambino, assieme a mio fratello maggiore e ai cugini, andavamo dalla nonna materna. Ci parlava con dolcezza nelle orecchie e ci regalava dei giocattoli. Semplicità e felicità».
Il gioco preferito?
«Ho avuto fasi diverse con la costante della fantasia. Mi inventavo storie con i pupazzetti e le relative canzoncine per fare le sigle».
Cosa direbbe quel bambino se vedesse Achille Lauro oggi?
«Credo che gli piacerebbe, sono cresciuto con i personaggi più assurdi del punk. I bambini guardano tutto con purezza, senza sovrastrutture. Impazzisco quando uno di loro mi dà un disegno in cui mi ha fatto il ritratto. Spero che un giorno possa servirgli ricordare di aver visto uno che infrangendo le regole è riuscito ad essere se stesso».
In Sono io Amleto , autobiografia romanzata uscita un paio d’anni fa, ha raccontato di un’adolescenza turbolenta...
«Erano cose che dovevano succedere ma mi hanno dato tanto. Tutto quello che ti accade contribuisce a formarti. Non andavo a scuola, avevo seguito mio fratello e vivevamo in una comune».
Le manca non aver studiato?
«Se avessi appreso prima certe cose sarebbe stato meglio, ma dedicavo il mio tempo a quello che mi ha reso cantautore. Sono ossessionato dalla scrittura, mi chiudevo in camera e facevo solo quello».
Quando ha rimesso il treno Lauro su dei binari più regolari?
«Vengo dalla periferia romana, ai bordi del raccordo, una realtà di estrema difficoltà. Malavita e criminalità mi hanno fatto crescere con miti sbagliati. Roma non è corrotta, diceva qualcuno, ma corruttrice. Mi sono reso conto che stavo crescendo in un bolla sbagliata che mi avrebbe portato nella merda. Se parlo di droga non è quella che gira nel mondo dello spettacolo, ma di una bolla in cui non hai aspettative, non c’è futuro e accadono cose tremende da cui non si esce intatti. Dopo i 20 anni capisci che quelle non sono più cazzate, ma che stai buttando la tua vita nel cesso, stai diventando un uomo e se continui non puoi più cambiare strada ed è tardi per la redenzione».
In quello stesso volume aveva raccontato che le sue scelte fluide in tema di stile e guardaroba erano anche una risposta al clima di mascolinità tossica in cui è cresciuto.
«In quella periferia c’è un problema culturale: manca istruzione e non si può pretendere troppo. Ma mi sono reso conto che vivevo con persone senza interessi e prospettive. Non mi vedevo come loro a 50 anni».
E il sesso?
«La prima volta a 13 anni, lei aveva qualche mese in più. In quelle realtà metropolitane si cresce velocemente».
Il primo tatuaggio?
«Anche quello a 13-14 anni, nella comune li avevano tutti. È un sole con l’iniziale del nome di una persona importante. A mia mamma avevo detto che era fatto con l’hennè. Tutti i tatuaggi sono legati o a persone importanti o a un lato estetico e culturale come quelli del filone giapponese ».
Li ha anche in volto: le scritte «Pour l’amour», «Scusa» e un cuore trafitto. Che significano?
«“Scusa” è la chiave di tutto, una parola bellissima che puoi decidere sia riferita a se stessi per quello che facciamo o agli altri per quello che facciamo loro. Pour l’amour era il titolo del mio album. Toccare una parte importante come il viso è un tabù, la nonna ti dice che non potrai andare a lavorare in banca se te lo fai, ma io non avevo un piano B, per me quel disco era tutto o niente».
Oggi Achille Lauro è un progetto che va oltre la musica e lei ha detto che vorrebbe arrivare a quotarsi in Borsa. La spesa più folle che ha fatto?
«Nemmeno quando facevo rap mi interessavano orologioni, collane o macchinoni. Per come sono stato educato me ne frego delle cose materiali. Ai tempi della trap vivevo in un monocale, di giorno ufficio, di notte branda. Ho sempre investito tutto quello che ho guadagnato per poter avere una visione più grande. Un anno e mezzo fa sono cascato nel piacere delle cose materiali e ho comprato una Ferrari, ma l’ho già venduta».
Con il successo dei Måneskin, nel mondo si parla di ritorno del rock e di una tendenza in calo per il rap. Lei lo aveva capito prima, quando mollò l’hip hop per andare a Sanremo con Rolls Royce ?
«Non mi voglio incensare, forse sono uno che si stufa prima degli altri. E adesso che è in arrivo un’ondata punk, sto pensando di cambiare un’altra volta».
Achille Lauro, "la prima volta che ho fatto se***...": tutto a 13 anni, una confessione sconvolgente. Libero Quotidiano il 26 novembre 2021. Achille Lauro si confessa in una intervista a tutto tondo a 7, il magazine del Corriere della Sera. Il cantante ha parlato della sua infanzia in una realtà difficile: "Malavita e criminalità mi hanno fatto crescere con miti sbagliati. Roma non è corrotta, diceva qualcuno, ma corruttrice. Mi sono reso conto che stavo crescendo in una bolla sbagliata che mi avrebbe portato nella me***". Quindi ecco che a 13 anni, Achille Lauro si fa il primo tatuaggio e ha il primo rapporto sessuale. "La prima volta a 13 anni, lei aveva qualche mese in più. In quelle realtà metropolitane si cresce velocemente", racconta. E i tatuaggi "nella comune li avevano tutti". Quindi se lo è fatto anche lui: "È un sole con l’iniziale del nome di una persona importante. A mia mamma avevo detto che era fatto con l’hennè. Tutti i tatuaggi sono legati o a persone importanti o a un lato estetico e culturale come quelli del filone giapponese", precisa. Ma poi si cresce, continua il cantante: "Dopo i 20 anni capisci che quelle non sono più cazz***, ma che stai buttando la tua vita nel cesso, stai diventando un uomo e se continui non puoi più cambiare strada ed è tardi per la redenzione", dice Lauro. Il cantante è da sempre impegnato in diversi progetti. Adesso ha creato un Nft (Not fungible token) durante il One night show del 7 dicembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano con l'Orchestra della Magna Grecia. In sostanza, gli spettatori durante il live assisteranno in diretta alla creazione di un'opera Nft che riprodurrà il battito cardiaco e le emozioni dell'artista durante l'esibizione, rilevate attraversi sensori applicati sul suo corpo. Quest'opera digitale sarà poi messa all'asta su Crypto.com e i proventi andranno a una charity a supporto del reparto di cardiologia infantile del Policlinico San Donato. "Il cuore rappresenta l’esistenza e la mia esistenza è irrazionale, misteriosa e basata su emozioni, passioni e su un ignoto destino".
Mattia Marzi per “il Messaggero” il 16 aprile 2021. Ambiguità, contraddizioni, maschere. Teatro e cinema, come cantava in una canzone prima del successo. Ma anche vita, dunque verità. Achille Lauro è l' una e l' altra cosa. Distinguere la persona dal personaggio non è semplice. Elusivo ed enigmatico, il cantante si diverte a disorientare: «Questo è il mio ultimo album», dice, parlando del nuovo Lauro, che esce oggi. «Però non escludo il ritorno, come Califano», aggiunge subito dopo. Ecletticità e horror vacui: tra Festival di Sanremo (presenza fissa negli ultimi tre anni), dischi (questo è il quarto in meno di un anno) e libri (Sono io Amleto e 16 marzo), dal 2019 non si è mai fermato.
Imprenditore, discografico, manager, modello, scrittore. Dimentichiamo qualcosa?
«Contadino, operaio».
Scusi?
«Sono il primo a svegliarsi e l' ultimo ad andare a dormire. Lavoro ai progetti come un ossesso».
Non è proprio come andare in fabbrica. Non si sente un privilegiato?
«Sì. Ma per arrivare dove sono ho lavorato sodo: quando firmai il primo contratto dormivo in una macchina».
Da Barabba a maharaja, come canta in Lauro, una delle nuove canzoni. È vero che dà da mangiare a trenta famiglie?
«È un' espressione che non mi piace. Nel mio ufficio non ci sono porte: le persone non lavorano per me, ma con me».
Nella scalata al successo è mai stato ingannato?
«Spesso. Il mondo dello spettacolo è il paese dei balocchi. Ai giovani dico di leggere bene prima di firmare».
L' adolescenza tra droghe e rapine, le difficoltà economiche. Ne parla nei libri. Ma scrive anche che alcuni episodi sono frutto di fantasia. Cosa c' è di vero in quello che racconta?
«Lascio ai lettori la libertà di scegliere a cosa credere e cosa no».
È vero che ha fatto uso di droghe per la prima volta a 15 anni?
«Forse».
Suo padre, magistrato, ha smentito parte dei suoi racconti: Mio figlio non è un drogato, non ha avuto esperienze devastanti.
«Bisognerebbe parlare con chi è davvero cresciuto con me. Come gli amici del Quarto Blocco. Rapper, writers: vivevamo in una comune al Nuovo Salario. Ho conosciuto delinquenti, vissuto da vicino situazioni estreme in periferia. Un giorno mi sono detto: Io non voglio finire così. Devo tutto alla musica».
Latte+, una delle canzoni dell' album, era anche il nome della bevanda di Arancia meccanica, rinforzata con droghe. Allude per caso proprio agli stupefacenti?
«No. È una metafora dei mali della mia generazione: non si accontenta di niente».
E Non ricordo? Dice il dottore stai facendo progressi''... Parla di analisi?
«Le canzoni non vanno spiegate».
Certo che non dev' essere semplice evitare crisi di identità: samba trap, pop punk, elettronica, swing. Come fa?
«Faccio dischi in base a come mi sento sul momento: vivo di innamoramenti».
Mina l' ha cercata, dopo l' omaggio a Sanremo?
«No. In fin dei conti è inarrivabile. Proverò comunque a mandarle una canzone, se vorrà».
Che credibilità potrebbe avere una realtà musicale fatta di travestimenti?: lo ha detto Morgan, parlando di lei. Come risponde?
«Marilù è un pezzo chitarra e voce: non devo mettermi i pantaloni di pelle o la gonna per attirare attenzione».
E perché lo fa?
«Ho una visione totale della performance. Quando entro sul palco voglio che la gente dica: Ma dove va conciato così?».
Anche a costo di sembrare un clown, per citare Renato Zero?
«È un modello di Gucci, un prodotto marketing: sul mio conto tante stronzate. Zero ha commesso un errore di valutazione. Forse conosce solo gli ultimi successi. Anche io, come lui, nei dischi ho parlato di periferie. Basti ascoltare Ragazzi madre del 2016».
Oggi?
«Sulle panchine non mi ci siedo più, ma per quel mondo faccio tanto a livello sociale: sono un esempio».
Zero, travestendosi e cantando Mi vendo, sconvolgeva l' Italia cattolica e comunista degli Anni 70. E lei?
«Critico l' omologazione che trionfa oggi: nel mare del nulla io mi distinguo».
Il suo posizionamento è politico?
«Sì. Ma non voglio spiegare nulla».
Così è facile essere fraintesi.
«Dicano pure ciò che vogliono».
Cosa ne pensa della legge Zan contro l' omotransfobia?
«Al di là della diversità di genere, si parla di diritti umani. Va approvata».
Una curiosità, Lauro. Ma non è che lei è un grande attore?
«Se lo fossi, sarei il migliore».
"Ora vi mostro chi sono poi sparisco per un po'". Paolo Giordano il 16 Aprile 2021 su Il Giornale. Oggi esce il disco "Lauro". "Renato Zero? Lui è unico, ma forse non conosce tutto ciò che faccio". Ad Achille Lauro basta il la. Poi lui parla, argomenta, esonda al punto che è un'impresa arginarlo. Oggi esce il disco Lauro, che rappresenta in musica le sue parole, pari pari: «Un disco sincero, che non ha nulla da dimostrare ma che rappresenta tutte le mie personalità». Che sono tante, e si sa, molte più di quelle che ha mostrato con i «quadri» al Festival di Sanremo. Non a caso questo è il suo sesto disco in tre anni, roba da confondere anche i più fedeli a questo «artista sparigliatore» che vaga senza bussola ma con un'idea precisa: «Analizzare tutte le parti di me». Tanto per capirci, anche in Lauro spazia dal glam rock alle orchestrazioni, girovagando per la musica nonostante, come spiega, «i generi sono soltanto definizioni». E si allarga nel citazionismo, infilando sotto la stessa copertina i Beatles e Olivia Newton John, Britney Spears e Prince giusto per fare qualche esempio: «Io sono la contraddizione di me stesso» dice.
Achille Lauro, trovi un punto fermo in questo disco.
«Di certo è la mia parte malinconica».
La malinconia e la nostalgia talvolta vanno a braccetto. Nel video del nuovo singolo Marilù si citano i Nirvana dell'Unplugged.
«È soltanto una parte del racconto, non ci sono altri significati nascosti. Certo qualcuno può dire: ma cosa fa questo qui, si mette al livello di Kurt Cobain? Ma chi mi segue va oltre queste banalizzazioni».
Qualcuno dice che indossare tanti costumi/volti diversi può essere limitante, che il personaggio oscuri l'artista.
«Non credo che sia così, in realtà da parte mia i due aspetti sono strettamente collegati. Il desiderio di apparire non è più grande degli altri desideri».
Renato Zero qualche tempo fa riferendosi a lei ha detto che «con le piume e le paillettes non giocavo certo a fare il clown della situazione».
«Ogni artista ha una identità forte e non sono certo i costumi che uniscono le anime. Sono d'accordo che di Renato Zero ce ne sia soltanto uno, ma forse lui non è molto informato su tutto ciò che faccio e segue soltanto le attività mainstream».
Ha detto che lui cantava in periferia.
«Io ci sono cresciuto e sono molto vicino, i miei amici vivono ancora lì. Con la mia musica cerco anche di aiutare, ma non sto a sbandierare le cose che facciamo nella nostra vita privata. In ogni caso penso che le droghe siano una piaga sociale, non c'è dubbio su questo».
C'è un brano che si intitola Barrilete cosmico, citando la definizione che il telecronista Victor Hugo Morales coniò per Maradona dopo il gol all'Inghilterra ai Mondiali del 1986.
«Diego Armando Maradona era genio e sregolatezza, a me piace fissare i momenti storici nella mia memoria».
In Lauro c'è pure un titolo imprevisto: Generazione X. Ma non è la sua generazione.
«Io sono nato nel 1990 ma vedo un parallelismo tra chi è nato prima di me, tra la fine degli anni Sessanta e il 1985».
Addirittura?
«Mi sembra ci sia molta poca speranza per il futuro».
Qual è il suo futuro?
«Voglio prendermi del tempo per vivere e trovare la mia nuova dimensione».
Il titolo Lauro è il riassunto dei generi musicali del disco. Una lettera per ogni genere.
«C'è il glam rock, che rappresenta la battaglia per come essere. C'è il rock'n'roll, ossia il divertimento. C'è il pop, che in Italia non è considerato quanto dovrebbe. C'è il punk rock, che è scorrettezza e voglia di combattere per i propri ideali. E c'è la O di orchestra. Non voglio fare il fricchettone, ma l'idea di tanti che suonano la stessa musica mi piace».
Achille Lauro, talvolta la sottovalutano.
«La gente mi può dire che faccio schifo, ma per favore chiedo di ascoltarmi. Metto tutto me stesso in ciò che faccio, sono un perfezionista totale».
Oggi un artista deve fare i conti con il politicamente corretto.
«Credo che in certi momenti sia giusto dosare le parole per essere sicuri di non offendere nessuno. In un discorso ufficiale, a esempio. Ma l'arte non va spiegata né giustificata. Solo per parlare delle copertine dei dischi che hanno fatto storia, quante erano politicamente scorrette?».
Quando tornerà a fare concerti?
«Prima sistemiamo la situazione sanitaria. Ma subito dopo si deve tornare sul palco. Io sono l'ultimo che può lamentarsi, ma ci sono tantissimi operatori del mio settore in vera, autentica difficoltà». Achille Lauro: «In difesa dei deboli (ma anche delle critiche)». Mario Manca il 16/4/2021 su Vanityfair.it. Intervistare Lauro De Marinis è come provare a scalfire un’armatura in titanio, cercare di aprire una breccia che possa svelare cosa si nasconde dietro quegli occhi verdi che, a differenza di quanto avviene sul palco, non sfidano la platea ma cercano riparo altrove, negli angoli seminascosti di una stanza spoglia. Più che con le parole, però, Achille Lauro comunica il suo mondo attraverso le strofe: in Lauro, il suo sesto album in studio in uscita il 16 aprile, l‘artista decide di resettare tutto e di ripartire dal nome proprio, dal bambino che era e dall’uomo che è diventato: «Dopo un 2020 in cui mi sono divertito a fare mille progetti e a scherzare, con quest’album torno su me stesso, per quanto riguarda sia la scrittura che il sound.
Sono tutti brani che rappresentano me» racconta Lauro, convinto che il fallimento sia la più alta manifestazione del successo, «i fallimenti ci rendono quelli che siamo».
Chi lo definisce un progetto di marketing, un testimonial vivente del marchio Gucci, un furbetto che sfrutta la provocazione per farsi pubblicità non lo capisce e, molto probabilmente, non lo ha mai capito, spiega Lauro: «Sono una persona che ama quello che fa, una persona a cui piace immaginare un progetto e toccarlo con mano» riprende prima di rimarcare il suo amore per la trasformazione, ma la fedeltà alla sua identità: «Ho fatto progetti molti diversi, ma la mia anima non è mai cambiata». «Mamma non mi riconosce più, poi dice “Lauro sei sempre tu”» canta in Lauro, la canzone che dà il titolo all’album, ricordando un passato non troppo lontano nel quale passava «quattro giorni sveglio» e faceva «colazione con le pillole» e riflettendo sull’artista che è diventato e ha stregato Sanremo, sul ragazzo che a quasi 31 anni sta cercando di scardinare i luoghi comuni facendosi portavoce di una generazione che non vede l’ora di farsi sentire.
In questo album c’è molto del suo passato: che rapporto ha con i ricordi?
«Credo che tutto quello che appartiene al passato faccia parte di quello che siamo oggi. Adesso faccio una vita diversa, a causa e grazie al successo: sono più distante dal vecchio me, ma mantengo tutti i contatti, ogni volta che torno a Roma sto bene».
C’è un cambiamento che l’ha sconvolta di più?
«Ho cambiato il modo di pensare, di approcciarmi alla vita: prima ero un’altra persona. Uno psicanalista direbbe che non sei te stesso se non conosci almeno 3 parti di te: bene, io ne ho conosciute almeno una quindicina. Il mio è stato un cambiamento radicale».
In Generazione X fa un parallelismo tra i ragazzi di oggi e quelli dell’epoca: cosa ne ha dedotto?
«Volevo porre l’accento su questa generazione disillusa che non credeva nei genitori, nel matrimonio e nella chiesa e la nostra, che vive delle dipendenze come la tecnologia accettandola senza sapere a cosa ci porterà».
La componente spirituale continua ad avere un certo peso per lei: tipo quando canta «Cristo è donna».
«È tutto il contrario di tutto, come la mia vita».
Come mai dopo tutti questi anni la provocazione sulla sfera spirituale continua a destare scalpore, secondo lei?
«Trovo giusta la polemica: quando c’è vuol dire che qualcosa sta funzionando e che stai arrivando a più persone senza fermarti alla tua cerchia. Il gioco sta lì, nel mettere davanti alle persone qualcosa a cui non sono pronte, confrontarsi con qualcosa di non standard. Come i miei Sanremo: la prima volta è stato strano, negli anni il pubblico era davanti a qualcosa di fraintendibile su cui poter costruire una polemica, ma dietro c’è sempre stato un ideale molto forte. Chi si ferma alle apparenze dirà che San Francesco era solo una provocazione, ma in realtà era molto di più. Un quadro».
Questa voglia di fare polemica l’ha sempre avuta?
«Ho sempre fatto come volevo, non mi sono mai fatto troppi problemi. Ho sempre seguito me stesso e basta».
È contento di dove è arrivato?
«Sono contento di esprimere le mie idee e di farle valere. Ascolto tanto gli altri e cerco l’ispirazione in tutto quello che mi sta intorno: la strada è già nella mia testa, ma poi ci sono delle cosette che devi prendere da quello che arriva. È un confronto, una guerra tutti i giorni».
Un confronto che l’arte e la musica cercano di tradurre: quando è cominciata questa attenzione?
«Già nel mio primo mixtape, Barabba, c’era una visione abbastanza a fuoco a livello di immaginario. Per me le canzoni hanno un vestito: c’è un mondo che è già nella testa di chi le fa e di chi le ascolta, il punto è riuscire a trasferire quello che uno pensa in maniera efficace, ed è per questo che sono molto attento ai dettagli. È molto importante rispettare il colore delle canzoni».
Prima parlava di tormento: i pensieri oggi sono più ordinati rispetto a ieri?
«L’uomo è sempre tormentato. Non sono mai appagato di quello che ho, penso sempre al futuro e guardo con malinconia al passato».
Un passato che, come canta in Femmina, ha spesso visto l’uomo nascondersi dietro alla sua virilità.
«Per fortuna la società si evolve e ci sono persone che si battono per i diritti umani per sconfiggere queste scemenze che nel 2021 non hanno più senso. In Femmina evidenzio un aspetto caratteriale comune a tante persone, il maschio che si nasconde dietro alla virilità sapendo che la donna è la donna».
Al femminismo dedica una canzone specifica, Marilù. Per lei cos’è oggi il femminismo?
«Mi sono sempre battuto per i diritti, sono dalla parte di chi è in difficoltà e per la giustizia. Veniamo da 100 anni difficili, ora siamo noi a dover cambiare qualcosa: il mondo sta cambiando adesso, ed è per questo che è fondamentale mettermi dalla parte di chi questi diritti non li ha ancora conquistati».
Arriveremo mai a un mondo ideale?
«Di certo l’Italia sarà sempre un passetto indietro rispetto al mondo. Nel mio piccolo cercherò di utilizzare i miei spazi per sensibilizzare qualcuno. C’era una bella frase di Morgan su Rolls Royce: se anche una persona comprerà un disco dei Doors sarà un successo. Ecco, questo per me vale un po’ per tutto: se per due insignificanti parole una persona riesce a cambiare, posso dirmi felice».
In un mondo ideale la forza primitiva è sempre l’amore: lei come lo vede?
«Ho una visione molto cinica dell’amore, è qualcosa che appartiene a un tempo di leggerezza che non vivo più e che associo all’infanzia. L’amore è un po’ come la vita: a un certo punto la magia può svanire. L’amore è difficile, la coppia è difficile, il percorso è difficile: non è una strada spianata. Vivo l’amore non più come una favola, ma come un qualcosa da costruire, un vero e proprio lavoro».
Quindi non ci crede?
«Vivo di emozioni forti. Diciamo che credo nell’amore che si costruisce piano piano e non nell’amore facile».
E nei sogni ci crede?
«Vivo di sogni tutti i giorni, la costruzione di qualcosa che prima non c’era. Credo nelle persone che costruiscono i loro sogni».
Da bambino cosa sognava?
«Quello che faccio adesso».
E si è avverato tutto?
«Con grande fatica e dopo tanto impegno – sono sempre l’ultimo ad andare a letto e il primo a svegliarsi. Di certo si è avverata una parte».
Cosa è rimasto?
«Un obiettivo dopo c’è sempre: raggiunta una cosa, vuoi sempre qualcos’altro, o qualcosa di più o qualcosa di diverso. Da una parte è un bene, perché alimenta tutto quello che faccio».
Nel tempo difficile in cui stiamo vivendo, tra il virus e lo stop della musica dal vivo, di sogni ne abbiamo bisogno: è ottimista sul futuro?
«Sono ottimista sul fatto che usciremo da questa situazione. Ora è importante stare vicino a chi sta male e a chi è in prima linea a combattere questo nemico invisibile. Una volta che tutto questo finirà e non ci sarà più pericolo è importante, però, far ripartire il mondo dei concerti, un sistema flagellato da questo virus e non solo».
La chiusura non ha, però, eliminato la cattiveria che, per certi versi, si è anche amplificata. Lei come la vive?
«Cattiveria è una parola astratta. Se parliamo del giudizio degli altri, dobbiamo stare molto attenti prima di esporci e cercare di valutare diversi livelli di lettura. Personalmente sono abituato: scelgo io di mettere in piazza quello che faccio e, di conseguenza, accetto i giudizi, che non possono essere tutti positivi. Io me ne ne fotto, voglio che ci sia la critica ma, a livello generale, è importante tutelare i deboli da chi non si rende conto che una parola ha il potere di far prendere altre strade. Dobbiamo incoraggiare i ragazzi a fare di più, abbiamo bisogno di gente che cambi qualcosa».
Mattia Marzi per "il Messaggero" il 21 novembre 2021. Nell'era delle popstar tra urletti, gemiti e provocazioni di basso livello, cosa c'è di più punk e dirompente di una voce d'altri tempi come quella di Adele? A cinque giorni dall'uscita del suo nuovo, attesissimo album, 30 (nei negozi da venerdì 19 novembre), domenica notte la diva pop britannica è stata protagonista di uno speciale televisivo trasmesso negli Usa dalla Cbs l'emittente si è accaparrata i diritti dello show pagandoli tra i 5 e i 7 milioni di dollari che l'ha vista cantare in anteprima al tramonto alcuni brani del disco all'Osservatorio Griffith di Los Angeles di fronte a 300 invitati (tra cui Leonardo Di Caprio, Drake e Lizzo), raccontandosi anche in un'intervista concessa a Oprah Winfrey, la regina dei talk show. Dal divorzio con l'ex marito Simon Konecki, padre del figlio Angelo (9 anni), che ha ispirato il nuovo album, alla perdita di peso, passando per il rapporto con il padre recuperato sul letto di morte e l'amore ritrovato grazie alla relazione con l'agente sportivo Rich Paul: la 33enne cantautrice londinese si è raccontata a tutto campo. Come se non parlassero già le canzoni: «Sono un disastro», canta Adele, con la voce rotta, in Hold On, tra i brani di 30 eseguiti in anteprima insieme a I Drink Wine e Love Is a Game. «Ho passato mesi chiusa in casa, sola», si è confessata a Oprah. Ha costruito la sua carriera su ballate per cuori infranti come Someone Like You e Hello, però stavolta a lasciare è stata lei: «Simon mi salvò, portò stabilità in un momento di caos ha raccontato a proposito dell'ex marito, conosciuto nel bel mezzo del boom dell'album 21, nel 2011 ma poi tutto si è consumato in fretta». Prima di voltare pagina ha dovuto ricucire vecchie ferite, come il rapporto con il padre, che l'abbandonò quando aveva solo tre anni (l'uomo, malato di cancro, è morto a maggio): «È stato il motivo per cui non riuscivo ad arrivare a quel che è una relazione in cui ci si ama davvero». Nel singolo Easy on Me, uscito a ottobre e diventato subito il brano con il maggior numero di ascolti su Spotify in una giornata (19,7 milioni, oggi saliti a 255), canta la ricerca di comprensione: «Sono sempre stata ossessionata dall'idea di una famiglia perché non ne ho avuta una. Ora mi sento in colpa per aver smantellato la vita di mio figlio per la mia». In due anni ha perso 50 chili: «La palestra era l'unico luogo dove mi sentivo calma. Mi spiace che qualcuno si sia sentito a disagio con sé stesso vedendo il mio cambiamento, ma non è compito mio rassicurare le persone sul rapporto con il proprio corpo», ha sottolineato. A tirarla fuori dal baratro sono stati gli amici. E la nuova fiamma: «Mi fa sorridere. Per la prima mi sono amata anch' io», ha raccontato Adele a Oprah a proposito di Rich Paul, confessando di desiderare un altro figlio. Sold out i biglietti per gli show dell'1 e 2 luglio 2022 a Hyde Park, a Londra, mentre dell'album sono state stampate la bellezza di 500 mila copie in vinile (ha mandato in tilt gli impianti di produzione creando liste d'attesa di oltre nove mesi). Non solo la voce: quando si parla di Adele, anche le cifre sono d'altri tempi.
Dagotraduzione dal Washington Post il 16 novembre 2021. L'ultima volta che Oprah Winfrey è apparsa sulla CBS una domenica sera, intervistava il Duca e la Duchessa del Sussex in uno speciale bomba che ha provocato ondate d'urto in tutto il mondo. Ieri sera, era con un’altra superstar, la cantautrice britannica Adele. Non causerà altrettanto scalpore, ma la CBS non ritaglia due ore in prima serata per chiunque, quindi ci sono stati molti momenti degni di nota. Intitolato "Adele One Night Only", lo speciale di due ore (programmato per l'uscita di questo venerdì del suo attesissimo quarto album in studio, "30") era una combinazione di spettacolo e intervista. Adele si è esibita in una splendida serata al Griffith Observatory di Los Angeles, di fronte a una folla piena di celebrità da Lizzo a Melissa McCarthy a Drake. Ha cantato un mix di 10 canzoni vecchie e nuove tra cui "Hello", "Rolling in the Deep", "Make You Feel My Love" e il suo ultimo singolo da record, "Easy on Me". Tra una traccia e l'altra, la telecamera ha inquadrato Adele seduta nel roseto di Winfrey, mentre la conduttrice del talk show le chiedeva del suo divorzio, della sua tanto discussa perdita di peso, della sua relazione con il famoso agente sportivo Rich Paul e altro ancora. Ecco le quattro rivelazioni più personali tratte dall'intervista.
1) I suoi ultimi giorni con il padre
Nello speciale di Oprah non c’era molto di più rispetto a quanto uscito sui giornali in questi giorni circa il rapporto di Adele con il padre, ma c’è una grande differenza tra leggere della complicata relazione e sentirla raccontata ad alta voce. Adele, 33 anni, ha già parlato di suo padre, Mark Evans, e del fatto che fosse un alcolizzato; i suoi genitori si sono separai quando lei era piccola. Quando Winfrey le ha chiesto di nominare «una profonda ferita» del passato che stava cercando di guarire, Adele ha risposto: «L’assoluta mancanza di presenza e impegno di mio padre con me». Ha spiegato che il fatto di essere lontani ha influenzato le loro relazioni perché ha imparato a non avere aspettative. Ma dopo che al padre è stato diagnosticato un cancro, hanno ricominciato a parlare. Lui non aveva mai ascoltato la sua musica perché pensava che sarebbe stato troppo doloroso emotivamente, ma questa primavera, quando la malattia ha preso una brutta piega, ha insistito affinché ascoltasse alcuni dei suoi album, tra cui la canzone “To be loved”. «Il mio obiettivo principale nella vita è essere amata e amare. E quindi volevo suonarla a mio padre per dirgli: “Sei il motivo per cui non l’ho ancora fatto”». «Era la ragione per cui non ho saputo cosa significasse una relazione d’amore con qualcuno». Entrambi hanno pianto quando ha sentito la canzone, e il padre ha finito per ascoltare anche i suoi album precedenti. Quando è morto a maggio, si erano riappacificati.
2) Il senso di colpa che prova per il suo divorzio e per suo figlio
Il figlio di 9 anni di Adele, Angelo, era tra il pubblico al Griffith Observatory, e la cantante ha detto alla folla che era la prima volta che la vedeva esibirsi. Ha scherzato con Winfrey sul fatto che ancora non si rende conto che sua madre è famosa, ed è rimasto molto più colpito quando lo ha portato a uno spettacolo di Taylor Swift. Adele ha detto che ama ancora il suo ex marito, il dirigente di beneficenza Simon Konecki, ma poco dopo il loro matrimonio nel 2018, ha avuto la difficile realizzazione che stava solo "arrancando" invece di vivere la vita. Si sono separati poco dopo e hanno ufficialmente divorziato quest'anno. I due sono rimasti amici; vive in una casa di fronte a lei a Los Angeles. E sì, ha detto Adele, è consapevole che il suo prossimo album affronterà la loro separazione, anche se non è un argomento di conversazione frequente. Anche se è contenta che Angelo ora la veda in un posto molto migliore, è sempre stata fissata all'idea di una famiglia nucleare dopo la sua infanzia, e si sente estremamente in colpa. «Non l'ho ancora completamente superato, il fatto di aver scelto di smantellare la vita di mio figlio per conto mio - mi mette molto a disagio», ha detto Adele. Spera che un giorno suo figlio capirà la sua scelta dolorosa.
3) Come si sente riguardo alle reazioni dei fan sulla sua perdita di peso
Ogni volta che Adele pubblica una foto, un tabloid la riprende per raccontare la sua "trasformazione". La cantante ha perso circa 45 chili dal 2019 e ha detto a Winfrey che la perdita di peso non era l'obiettivo quando ha iniziato un programma di allenamento intensivo: ha avuto "gli attacchi di ansia più terrificanti" dopo aver lasciato suo marito, e la palestra era l'unico luogo in cui si sentiva calma e sotto controllo. Con l'aiuto di un personal trainer, è arrivata al punto in cui poteva sollevare 80 chili. (Questo è stato uno dei pochi dettagli che ha davvero scioccato Winfrey.) Winfrey ha affermato che quando ha attraversato la sua documentata perdita di peso, i suoi fan hanno sentito che li aveva "abbandonati". «Molte persone parlano del tuo peso», ha detto Winfrey, e ha chiesto com'è stato sperimentare le varie reazioni delle persone. «Non sono scioccata o addirittura turbata da questo perché il mio corpo è stato oggettivato per tutta la mia carriera», ha detto Adele, osservando che le persone la giudicheranno come "troppo grande» o "troppo piccola", non importa cosa, il che rende qualsiasi critica difficile da prendere sul serio. «Non ho mai ammirato nessuno a causa del loro corpo». «E quando eri più pesante, stavi bene», ha detto Winfrey. «Lo ero, ed ero positiva per il corpo allora e sono positiva per il corpo ora», ha detto Adele. «Ma non è compito mio convalidare il modo in cui le persone si sentono riguardo al proprio corpo. E mi dispiace che, sai, qualcuno si senta malissimo con se stesso. Ma non è il mio lavoro. … Sto cercando di sistemare la mia vita. Non posso aggiungere un'altra preoccupazione».
4) La sua nuova relazione
Winfrey ha avuto un grande piacere nel riferirsi al nuovo fidanzato di Adele come il "super agente" Rich Paul, una descrizione accurata visto che rappresenta LeBron James e altre superstar NBA. «Sto arrossendo!» ha detto Adele a un certo punto, ma Winfrey ha insistito per conoscere i dettagli. Adele ha detto che lei e Paul si sono conosciuti a una festa di compleanno un paio di anni fa, e prima sono usciti da soli a una cena che pensava fosse un incontro di lavoro. Hanno iniziato a frequentarsi quest'anno e sono usciti allo scoperto durante l'estate. «È così divertente. No, è esilarante. E molto intelligente. … È abbastanza incredibile guardarlo fare quello che fa», ha detto Adele. «Questa relazione è la prima volta che in realtà…». Winfrey si interrompe. «Ho amato me stessa e sono stata aperta ad amare ed essere amata da qualcun altro», ha confermato Adele. «Sì».
Da Libero Quotidiano il 9 ottobre 2021. Il ritorno sulle scene (attesissimo) e la prima intervista (a Vogue Usa e Uk): il fenomeno della musica Adele riappare dopo cinque anni di silenzio e in attesa del nuovo singolo Easy on me (fuori il 15 ottobre), parla a ruota libera di pandemia, del divorzio da Simon Konecki, di aspetto fisico e cura del corpo. «Ho passato molto tempo da sola - ha detto -. Mi sono resa conto che quando ero in palestra non avevo alcuna ansia. Non si è mai trattato di perdere peso. Ho pensato, se posso rendere forte il mio fisico, e posso sentirlo e vederlo, forse un giorno posso rendere forti le mie emozioni e la mia mente». Proprio l'aspetto fisico e l'ossessione dei tabloid le hanno reso la vita non semplice: «Il mio corpo è stato reso oggetto durante tutta la mia carriera. La parte peggiore di tutta la faccenda è stata che le conversazioni più brutali in merito al mio corpo erano quelle fatte da altre donne. Questo mi ha molto delusa e le loro parole hanno ferito i miei sentimenti». E ancora, a proposito del nuovo disco 30: «È come se volessi spiegare a mio figlio Angelo chi sono, il momento che sto attraversando. Adesso ha nove anni, ci sono tantissime domande che mi fa e alle quali non riesco a rispondere». Compresa la fine del rapporto con Simon Konecki, il papà di Angelo: «So quanto gli ha fatto male la rottura tra i suoi genitori, lo vedo, ma vorrei mi perdonasse rendendosi conto che io l'ho fatto perché avevo bisogno di felicità».
Raffaella Silipo per la Stampa il 9 ottobre 2021. «A trent' anni mi è crollato il mondo addosso», dice Adele. Eppure, a vederla nella fotografia di Steven Meisel sulla doppia copertina di Vogue - edizione Regno Unito e America - non ha l'aria di una sopravvissuta. È splendente, sofisticata, assai dimagrita da quella notte dell'Oscar per Skyfall, simbolicamente il punto più alto della sua carriera. Era il 2013, poco dopo la diva si ritirava dalle scene per fare la mamma, aveva detto, per vivere come una persona comune, soprattutto per non sentirsi più addosso gli occhi di milioni di fan. Oggi Adele, classe 1988, l'artista con gli album più venduti del XXI secolo, torna con un nuovo singolo, Easy on me, già pronto il 15 ottobre a battere un bel po' di record. «L'ho scritto per mio figlio Angelo - dice nelle interviste - Volevo spiegargli attraverso queste canzoni chi sono e perché ho deciso di sconvolgere la sua vita in cerca della mia felicità». Parla del divorzio dal marito, il manager Simon Konecki «che ha reso Angelo molto triste in alcuni momenti. Una cosa che non so se riuscirò mai a perdonarmi». D'altra parte il motivo del divorzio sarebbe proprio l'amore per il figlio: «Nessuno di noi ha fatto niente di male. Volevo solo che mio figlio mi vedesse amare davvero ed essere amata». Se il ritiro dalle scene non ha portato la serenità che si aspettava, le ha portato una nuova forma fisica: «Tutti hanno dovuto affrontare se stessi e i propri demoni durante il lockdown. Io l'ho fatto l'anno prima. Ho passato molto tempo da sola. Mi sono resa conto che in palestra non avevo alcuna ansia. Non si è mai trattato di perdere peso. Ho pensato, se posso rendere forte il mio fisico, e posso sentirlo e vederlo, forse un giorno posso rendere forti le mie emozioni e la mia mente». Trenta chili di meno, un numero che rischia di catalizzare l'attenzione dei fan, almeno fino a quando non potranno sentire la sua voce. «Il mio corpo - ammette lei - è stato reso oggetto durante tutta la mia carriera». Era, suo malgrado, diventata la portabandiera delle donne che combattono per mantenere la linea, la sua trasformazione fisica è stata presa come un tradimento. «Capisco che sia uno choc - dice - e che qualcuna si sia sentita ferite. Con il mio aspetto rappresentavo tante donne». Ma vedersi attaccata in modo brutale «mi ha molto rattristata, mi sono sentita ferita. Sono sempre la stessa persona». Il corpo delle star non appartiene mai davvero solo a loro, basti pensare alla diva delle dive, Maria Callas, che si sottopose a una feroce dieta e fu accusata di mettere a rischio la sua inarrivabile voce, alla Renée Zelwegger diventata con Bridget Jones a inizio millennio il simbolo di tutte le single che abbondano con il cioccolato, e aggredita come «anoressica» non appena tornata al peso forma. Anche una star di casa nostra, Katia Follesa, simpatica comica un po' in carne, è stata bersaglio di critiche feroci per essere dimagrita. «Mi hanno trattata come se non potessi più avere una comicità "dalla parte delle donne"». Adele ha un vantaggio: è bravissima a trasformare in successi mondiali i momenti difficili della sua vita, da Someone like you a Hello. Una ballata sul potere del corpo non stonerebbe affatto.
· Adriana Volpe.
(LaPresse il 29 maggio 2021) Adriana Volpe riceve le scuse pubbliche del marito, da cui si sta separando, dopo le pesanti accuse che l’uomo le ha rivolto in un post su Instagram, che è stato presto rimosso. Roberto Parli aveva puntato il dito contro la conduttrice ritenendo che avesse messo la loro figlia in una situazione inopportuna. Dopo la replica dell’ex moglie, sempre sui social, Parli ha riconosciuto di aver commesso un errore ed espresso il suo rammarico, sempre attraverso il suo profilo social, chiedendo scusa a tutte le persone coinvolte. Il presidente di LaPresse Marco Durante e tutta la struttura di LaPresse, che curano l’immagine di Adriana Volpe, si augurano che ulteriori esternazioni si plachino nell’interesse della minore.
(LaPresse il 29 maggio 2021) “Trovo infantile, se non vile, prendersela via social con i deboli per poi cancellare ciò che si è scritto. Sono stufo di vedere e leggere a giorni alterni, oggi attacchi scomposti e domani candide carezze. Non entro nel merito delle questioni private, anche se LaPresse gestisce il management e la comunicazione di Adriana Volpe. Mi soffermo solo sul fatto che un uomo, un compagno, un marito, o ex che sia, dovrebbe sempre avere riguardo delle proprie compagne, delle madri dei propri figli e non insultarle o umiliarle spargendo falsità su di loro. Chiunque lo conosca sa che Marco Profeta è un uomo sensibile e unico che ha aiutato in tutti questi mesi Adriana. Ma è bene sapere con serenità che Marco è gay, dunque è oltremodo male indirizzata qualsiasi gelosia ostinatamente possessiva, che a ben vedere sarebbe in ogni caso mal riposta. Marco è un mio amico che, come Adriana, difenderò fino alla fine. Spero che il signor Roberto, che non ho piacere di conoscere, plachi le sue intemperanze e si faccia un esame di coscienza, pensando al bene e alla crescita di sua figlia, bambina strepitosa. Un consiglio che mi corre l’obbligo di dare, da uomo, da marito, da padre. Ora basta caro Roberto, LaPresse è schierata totalmente con Adriana, Giselle e Marco”.
Adriana Volpe, "mio marito ha gravi problemi" ma Roberto Parli si rimangia tutto: un caso inspiegabile. Libero Quotidiano il 28 maggio 2021. Non è un momento facile per Adriana Volpe. La conduttrice sembrerebbe in rotta con l’ex marito Roberto Parli. Tutto è nato da un post che ieri l’uomo ha condiviso sui suoi social, lanciando delle accuse ben precise alla Volpe. Quest’ultima ha replicato così: “Ho letto un post che devo duramente censurare e che, purtroppo, palesa i gravi problemi di mio marito. Basti pensare che ieri sera eravamo serenamente a cena al ristorante insieme con nostra figlia e oggi pregiudica e infanga. Al momento non voglio aggiungere altro, non essendo questa la sede”. Tanti i follower che hanno espresso solidarietà ad Adriana. Tra questi anche l’ex gieffina Stefania Orlando, che ha commentato: “Tesoro ricordati che qualsiasi cosa succeda io ci sono sempre”. Parole che provano quanto sia forte il legame di amicizia tra le due. Intanto anche Parli sembra essere tornato in sé. E in riferimento alle accuse lanciate ieri, ha scritto: “Chiedo scusa a te Adriana e a nostra figlia Gisele. Saprò rimediare. Chiedo scusa anche all’avvocato Profeta”. Stefania Orlando, invece, ha commentato questa mattina su Twitter gli ascolti de La vita in diretta che si sono registrati ieri con lei presente in studio. Ascolti molto alti che hanno soddisfatto la showgirl, la quale si è poi complimentata col conduttore del programma Alberto Matano: “Sei un grande”.
"Girava nudo davanti a mia figlia", "Lui è gay": riesplode il caso Volpe. Francesca Galici il 29 Maggio 2021 su Il Giornale. Dopo le accuse, le repliche e le scuse del caso Parli-Volpe, è il manager della showgirl a intervenire nella vicenda per difendere la sua assistita. Non accenna a placarsi la polemica su Roberto Parli dopo le accuse dell'uomo nei confronti di sua moglie, Adriana Volpe, e di Marco Profeta. "Chi è questa persona? Adesso basta! Le falsità prima o poi devono uscire! Avvocato, cantante, autore o chi più ne ha più ne metta! – è tuonato Parli -Io so solo una cosa, che questa persona girava in casa Sign. Volpe/Parli in quanto ancora sposati! Nudo! Davanti a nostra figlia GISELE", ha tuonato l'imprenditore su Instagram, affermando di avere anche prove a testimonianza di quanto dichiarato. Il post, rimasto online su Instagram poche ore e poi rimosso, non è passato inosservato e così, dopo la risposta piccata della showgirl è arrivata anche la controreplica di Parli, che si è scusato sia con la moglie che con il suo amico, promettendo che avrebbe trovato il modo di farsi perdonare. Adriana Volpe non è ulteriormente intervenuta ma è stata diramata una nota stampa dell'agenzia LaPresse, che cura gli interessi della Volpe, per mano del suo presidente Marco Durante. "Trovo infantile, se non vile, prendersela via social con i deboli per poi cancellare ciò che si è scritto. Sono stufo di vedere e leggere a giorni alterni, oggi attacchi scomposti e domani candide carezze", ha scritto il direttore dell'agenzia di management riferendosi alla nota vicenda. Senza voler entrare nelle vicende personali della coppia, che già da qualche tempo è separata, Marco Durante ha duramente attaccato Roberto Parli: "Mi soffermo solo sul fatto che un uomo, un compagno, un marito, o ex che sia, dovrebbe sempre avere riguardo delle proprie compagne, delle madri dei propri figli e non insultarle o umiliarle spargendo falsità su di loro". Durante, quindi, ha difeso Marco Profeta dalle accuse che gli sono state mosse dall'imprenditore, definendolo "un uomo sensibile e unico che ha aiutato in tutti questi mesi Adriana". Le ragioni dietro il gesto di Roberto Parli non sono ancora note e probabilmente resteranno un mistero, ma l'agente della Volpe ha voluto sottolineare che "è bene sapere con serenità che Marco è gay, dunque è oltremodo male indirizzata qualsiasi gelosia ostinatamente possessiva, che a ben vedere sarebbe in ogni caso mal riposta". Per il momento, Marco Profeta non è voluto intervenire nella vicenda, nonostante sia stato chiamato in causa proprio da Roberto Parli ma ci ha pensato Durante a difenderlo in qualità di suo amico. "Spero che il signor Roberto, che non ho piacere di conoscere, plachi le sue intemperanze e si faccia un esame di coscienza, pensando al bene e alla crescita di sua figlia, bambina strepitosa. Un consiglio che mi corre l’obbligo di dare, da uomo, da marito, da padre. Ora basta caro Roberto", ha concluso Marco Durante, sottolineando che la sua agenzia è schierata dalla parte della sua assistita.
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
"Girava nudo davanti a mia figlia": le accuse choc del marito della Volpe. Francesca Galici il 28 Maggio 2021 su Il Giornale. Forte post accusatorio da parte del marito per Adriana Volpe: lui cancella il post da Instagram ma lei risponde e si prospettano le vie legali. La relazione tra Adriana Volpe e suo marito ha destato sospetti fin dallo scorso anno, quando si rincorrevano le voci di una separazione tra i due. Sia la conduttrice che Roberto Parli hanno smentito per un certo periodo di tempo, finché entrambi non hanno dovuto ammettere la fine del matrimonio. Nel corso del programma, e in varie occasioni successive, l'imprenditore sui social ha punzecchiato sua moglie ma non ci sono mai state accuse al livello di quanto dichiarato durante la notte con un post condiviso su Instagram, sparito però poche ore dopo. Immancabile la risposta di Adriana Volpe, che ha minacciato azioni verso il marito. "Chi è questa persona??? Adesso basta!!! Le falsità prima o poi devono uscire! Avvocato, cantante, autore o chi più ne ha più ne metta!! Io so solo una cosa, che questa persona girava in casa Volpe/Parli in quanto ancora sposati!!! Nudo!!! Davanti a nostra figlia GISELE!!!", ha scritto Roberto Parli nel suo profilo. Nello scatto si vede Adriana Volpe al mare in compagnia di un altro uomo. Cosciente della gravità delle sue parole, Roberto Parli ha quindi aggiunto: "Audio e testimonianze potranno accertare i fatti!!! Non ho nessuna paura di quello che scrivo, mi aspetto sicuramente ripercussioni legali!". Quindi, l'imprenditore ha concluso: "Per difendere mia figlia sono e sarò sempre disposto a tutto!!! Ps. Vi anticipo che qualsiasi risposta sarà da me ribattuta con molto altro!!! Per mia figlia!!!". Ovviamente, la risposta di Adriana Volpe è arrivata: "Ho letto un post che devo duramente censurare e che, purtroppo, palesa i gravi problemi di mio marito. Basti pensare che ieri sera eravamo serenamente a cena al ristorante insieme a nostra figlia e oggi pregiudica e infanga. Al momento non voglio aggiungere altro, non essendo questa la sede". Da sottolineare che, nonostante la separazione, Adriana Volpe continua a definire Roberto Parli suo marito. Per molti anni la coppia ha vissuto a Roma, città dove Parli e Volpe hanno cresciuto la loro figlia Gisele per i primi anni della sua vita. Gli impegni di lavoro hanno sempre portato l'imprenditore lontano dalla Capitale, in Svizzera, dove si trovano gli interessi economici della famiglia Parli. Questa distanza per molti ha minato il matrimonio e nemmeno l'avvicinamento di Adriana Volpe che, da quasi un anno, si è trasferita a Milano, è riuscito a ripianare le divergenze tra i due, che ora sembrano più profonde che mai. Nel pomeriggio, però, Roberto Parli si è scusato: "Chiedo scusa a te Adriana e a nostra figlia Gisele. Saprò rimediare. Chiedo scusa anche all'avvocato Profeta".
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 16 gennaio 2021. A Tv8, Adriana Volpe si sente a casa. «Anche perché passo tutto il mio tempo a Sky», spiega entusiasta. Anzi, come dice lei, «gasata». Il lunedì tornerà in onda con Ogni mattina e lo farà con una formula rinnovata che la vedrà per la prima volta alla guida di una trasmissione in solitaria. «Sono orgogliosa di questo mio ruolo inedito di capitano - spiega -. So che ne uscirò arricchita. Nei mesi scorsi abbiamo gettato le basi di questo appuntamento che ora si presenta con una veste nuova, votata alla leggerezza. Il 2020 è stato un macigno, ora vogliamo regalare positività. La nostra sarà come una famiglia piena di opinioni, emozioni e anche contrasti. Una famiglia piena di vita». In cui non ci sarà più, però, Alessio Viola, al suo fianco nei primi mesi: «Perché gli è stata data una bellissima possibilità: sviluppare un programma in prima serata che partirà in primavera. In parallelo, la rete aveva deciso di dare una nuova impronta al programma. Sono felice per me e per Alessio: la prima serata è l' ambizione di ogni conduttore». Anche la sua, confessa. «Ma mi considero una maratoneta: ho iniziato la carriera di conduttrice all' alba, con Mattino in famiglia , poi sono approdata a Mezzogiorno in famiglia, adesso vado in onda per quattro ore, fino al primo pomeriggio... quatta-quatta magari arriverò al preserale...sperando di non essere troppo incartapecorita». La sensazione è che se per anni la carriera di Adriana Volpe sembrava placidamente incasellata, ora abbia preso una svolta imprevista e spinto sull' acceleratore. Conferma: «La mia vita è cambiata con il Grande Fratello : lì ho capito che sapevo fare una tv senza copione, raccontando le cose come le volevo raccontare e non come altri avevano scritto per me. Ho realizzato che dovevo puntare alla libertà e che potevo essere un cavallo pazzo. Ora lo sarò». Si sente pronta: «Ho ancora un grande potenziale che non è stato tirato fuori: ora tutti stiamo navigando nella stessa direzione». In Rai non era così? «Sono reti governative, ci sono delle regole: qui ci permettono di sperimentare. Nessuno dice "questo non lo puoi dire"; "questo tema non lo puoi affrontare"». Quelli passati sono stati anni non sempre semplici ma che le hanno insegnato molto. Finiti però con la decisione di Volpe di denunciare il suo ex compagno di trasmissione Giancarlo Magalli. Il processo per diffamazione è ancora in corso. «Ogni pezzo della mia vita professionale è stata importante per crescere. Ma lavorare con Giancarlo è stato molto difficile. In me rimane la voglia di un senso di giustizia che mi aspetto. Investo tempo, energie e soldi per gli altri: non è possibile che se uno alza il dito per segnalare una questione seria non solo non venga ascoltato ma addirittura messo in disparte». Lei, oggi, appare più moderna e si sente più forte. «Da buona montanara, se raggiungi una vetta facendo fatica poi la soddisfazione è davvero pazzesca».
Adriana Volpe: "Ecco perché ho denunciato Magalli". In un'intervista al Corriere la conduttrice - che torna a Ogni Mattina in versione rinnovata - ha parlato della sua rinascita al Grande Fratello senza dimenticare però il passato e la "guerra" con il collega che ha denunciato. Novella Toloni, Sabato 16/01/2021 su Il Giornale. Una nuova sfida attende Adriana Volpe che, dal 18 gennaio, fa ritorno su TV8 con la versione rinnovata di Ogni Mattina. La conduttrice torna in video da sola e al Corriere della Sera ha raccontato con entusiasmo i progetti futuri senza però dimenticare il passato. Inevitabile non tirare in ballo Giancarlo Magalli con il quale, ha confessato lei, ha un conto in sospeso in tribunale. "La mia vita è cambiata con il Grande Fratello Vip: lì ho capito che sapevo fare una tv senza copione, essendo me stessa, raccontando le cose come le volevo raccontare e non come altri avevano scritto per me", ha svelato Adriana Volpe nell'intervista. L'esperienza al reality di Canale 5 ha rappresentato uno spartiacque nella sua esperienza televisiva. Dall'allontanamento dalla Rai al periodo di inattività fino al rilancio nel gameshow di Alfonso Signorini, che gli ha regalato un'offerta di lavoro irrinunciabile su Sky, la conduzione del programma Ogni Mattina. La trasmissione, dopo la pausa natalizia, torna in onda nella versione rinnovata che vede la Volpe conduttrice unica (Alessio Viola passa in prima serata) e lei non può essere più felice: "Sarò un cavallo pazzo: considero questa conduzione in solitaria un vero trampolino oltre che una grande sfida, visto che dovrò dimostrare di saper confezionare una trasmissione quotidiana di 4 ore al fianco di inviati e personaggi meravigliosi". Nonostante il presente professionale le stia regalando soddisfazioni, Adriana Volpe non dimentica il passato. In Rai aveva le mani legate: "TV8 è una realtà nuova, dove ci permettono di sperimentare. In Rai era diverso, sono reti governative e ci sono delle regole. Qui nessuno dice 'questo non lo puoi dire' o 'questo tema non lo puoi affrontare'". Anche la questione Giancarlo Magalli non è mai stata archiviata nonostante siano trascorsi quattro anni dalle tristi vicende. Il trattamento ricevuto dal collega negli anni di lavoro fianco a fianco a I Fatti vostri non è passato in secondo piano e lei si aspetta di ottenere giustizia: "Lavorare con Giancarlo è stato molto difficile. In me rimane la voglia di un senso di giustizia che mi aspetto dopo la denuncia. Non mollo: non lo faccio per me, che ho preso un mio percorso, ma per chi arriverà dopo. Investo tempo, energie e anche soldi per la tutela del lavoro: non è possibile che se uno alza il dito per segnalare una questione seria non solo non venga ascoltato ma addirittura zittito e messo in disparte. Che si tratti di uomini o donne, non cambia".
· Adriano e Rosalinda Celentano.
Il figlio di Adriano Celentano si racconta: dalla malattia alla fede. Alessandra Tropiano l'11/12/2021 su Notizie.it. Giacomo Celentano racconta della lotta contro la malattia: "Mi ritrovai solo". Poi il riavvicinamento alla famiglia e il matrimonio. Adriano Celentano e la malattia di suo figlio Giacomo. Dalla depressione alla fede, il racconto del figlio del grande cantante. Giacomo Celentano, figlio del grande cantante, si racconta. Il secondogenito di Adriano Celentano e Claudia Mori ha sofferto per anni di una brutta malattia, e ripercorre quel periodo buio, in cui è arrivato a soffrire di depressione. “Nel cuore della notte capii che era successo qualcosa di grave dentro di me, ma non sapevo cosa“: così Giacomo Celentano racconta del periodo passato a combattere la malattia e una depressione di cui si è reso conto solo nel 1990. Un periodo in cui anche le persone a lui più vicine non erano d’aiuto: “La mia stessa famiglia faceva fatica a comprendermi, tant’è che mi ritrovai da solo con la mia malattia” racconta. La depressione di cui Giacomo Celentano ha sofferto lo ha portato in un tunnel buoi, da cui è uscito grazie alla scoperta della fede. “La parabola della pecorella smarrita mi è cara perché la storia del mio incontro con Gesù. Egli venne a cercarmi per risollevarmi dalle miserie fisiche e spirituali attraverso Katia [la moglie di Giacomo,ndr]. Poi continuò a occuparsi di me attraverso la famiglia di mia moglie e del bravo medico che mi curò!” scrive. Ed è proprio la fede che ha fatto ritrovare la felicità al figlio di Adriano Celentano: un matrimonio felice, un riavvicinamento alla sua famiglia e un figlio, Samuele, che regala a genitori e nonni immense gioie. Ma nel racconto di Giacomo Celentano c’è del disappunto: da quando ha abbracciato la sua fede, racconta, i media nazionali si sono allontanati da lui. “Posso dire di essere stato penalizzato dai media nazionali per colpa della mia fede -racconta-. Da più di otto anni il mio percorso mi ha portato ad essere letteralmente bandito!”.
PG. per "il Giornale" il 25 novembre 2021. Mina ovviamente non c'era. E neppure Adriano Celentano. C'erano la moglie di lui Claudia Mori e il figlio di lei Massimiliano Pani con la carica divertente (e pure unica nel mondo pop) di portavoce. Obiettivo: la presentazione di The complete recordings, il cofanetto pieno di foto inedite e di tutte le canzoni che i due punti cardinali della nostra musica leggera hanno registrato insieme. Da Acqua e sale a Brivido felino. Insomma tutti i brani inclusi nei dischi usciti nel 1998 (Mina Celentano) e nel 2016 (Le migliori). Più un inedito, che non è per niente male e si intitola Niente è andato perso. È tutt' altro che uno «scarto» dell'ultimo disco perché ha tutti i carati per diventare un buon singolo. «Il brano è stato inciso nella scorsa estate», conferma Pani mentre sullo schermo del meraviglioso piccolo teatro Gerolamo passa il videoclip. La parola chiave del pezzo (scritto dal bravo Fabio Ilacqua) è forse «però», che conferma in qualche modo la vena critica di Celentano, e la trama musicale è attuale, ritmata, convincente. Di certo, loro due difficilmente deludono e anche i racconti che li circondano sono sempre sorprendenti. Ieri, in un incontro della Milano Music Week moderato da Luca De Gennaro, c'erano anche Celso Valli, Fio Zanotti e Mauro Balletti, che hanno condiviso anni e dischi con Mina e Celentano. «La loro matrice comune è che sono attenti e curiosi», dicono praticamente in coro. «Mina e Adriano sono due giocherelloni, si vogliono bene fin da ragazzini: l'idea di fare qualcosa insieme piaceva ad entrambi, così nel '98 hanno deciso di realizzare qualcosa di inedito, non autocelebrativo - hanno spiegato Mori e Pani -. Avevano fatto già delle cose in tv dove traspariva quanto loro due, insieme, fossero straordinari». Eh già, molte di queste «cose insieme» hanno caratterizzato la tv degli anni Sessanta e Settanta, diventando punti forti della storia musicale italiana. «Hanno sempre lavorato con uno spirito forte, una grande simbiosi pur nella diversità. Hanno sempre avuto curiosità e spirito di leggerezza, ma anche grande serietà, che li ha contraddistinti e portati a risultati eccezionali», dice Pani prima che Claudia Mori sveli ciò che tanti si aspettano, ossia i particolari sul ritorno in tv di quello che è stato chiamato per decenni Il Molleggiato e ora è uno degli «assenti» più presenti del mondo dello spettacolo. «Da parte di Adriano - conferma la moglie - l'idea c'è, ma bisogna essere in due per realizzarla. Ma bisogna fare i conti con il pericolo di censura che, dopo Rockpolitik, è stato abbastanza presente». Censura dove? «In Rai». Quindi c'è un progetto, manca il «luogo» dove mandarlo in onda. «Da un anno circa vedo Adriano armeggiare al computer. Prima mi ha detto che voleva mettere ordine. Ma adesso è chiaro che non si tratta solo di quello. Vedremo. Di certo, nonostante tutto, il ritorno di Celentano in tv sarebbe come sempre un evento. Anzi, a 83 anni, sarebbe un evento ancora più grande.
Adriano Celentano contro conduttori e talk: «Sono i maggiori responsabili dell’odio». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 19 novembre 2021.
«Il capostipite di questi distributori di Odio è un tipo grassottello coi baffi non sempre tagliati bene»: a chi si riferisce?
Conduttori e talk: Adriano Celentano ha scelto i suoi canali social per attaccare la tv che non gli piace. Si firma L’Inesistente, il tuttora Re degli ignoranti (le definizioni sono sempre sue). Un lungo post, maiuscole comprese, che è un’invettiva su come vengono costruiti oggi i talk show. Conduttori e interlocutori che secondo l’Inesistente (anche Molleggiato all’occasione) non favoriscono un dibattito, ma sono sempre più responsabili di una comunicazione che non aiuta lo spettatore. «Dal comando supremo di Provocata-Pandemia è stato emesso un nuovo Bollettino di guerra, il quale ci informa che il vero pericolo dei contagi, oggi come oggi, sembra non dipendere tanto dal Virus, quanto da certi Insidiosi esseri chiamati Interruttori. Essi si presentano come ospiti sotto forma di esseri umani pronti a distribuire la loro rabbia (molto spesso con la bava alla bocca) nei vari talk show».
«Il capostipite di questi distributori di Odio»
Celentano se la prende con chi secondo lui è il responsabile primo della deriva odierna: «Il capostipite di questi distributori di Odio, non voglio fare il nome altrimenti non viene radiato, è un tipo grassottello coi baffi non sempre tagliati bene». Il riferimento — comunque fuori luogo l’accenno al peso — a molti sembrava colpire Maurizio Costanzo. Un’ipotesi corroborata da anni di reciproco non amore. Costanzo — che in passato aveva definito Celentano «predicatorio e presuntuoso» — aveva duramente criticato anche l’ultimo show in tv (Adrian), «un varietà un po’ sghembo e, comunque, lontano dai gusti del pubblico attuale... dove, sostanzialmente, manca un perché lo spettatore debba vedere Celentano». Vecchie ruggini. Già 20 anni fa Celentano aveva accusato Costanzo (e Fazio) di «essere servi». Celentano però aveva in mente qualcun altro. Forse Telese? La caccia — anche se lui è contro — è aperta.
«Per condurre una trasmissione ci vuole Competenza»
Identificata, in qualche misura, quella che per lui è «l’origine del Male», Celentano prosegue e parla di «individui chiamati apposta per parlare sopra a chi (con pacatezza) dice cose sensate, in modo che L’onda Nera dell’Odio sgorghi come un fiume in piena nelle case degli italiani. Ma i veri responsabili di questo grave Innesto che sta mettendo a dura prova la pazienza degli italiani, sono i Conduttori. Andrebbero licenziati — Tutti in tronco — sia maschi che femmine. Non ci vuole tanto per capire che sono proprio loro i Maggiori responsabili di tutto questo Odio che invade le strade. È chiaro che non lo fanno apposta. La loro è solo Pura ignoranza. Pericolosa, ma ignoranza. E io che sono il Re ne conosco bene la materia. Ma loro no. Perché ignorano completamente il fatto che per condurre una trasmissione ci vuole Competenza. Poveri ignoranti che non siete altro... è questa la vostra disgrazia».
Quindi conclude con quello che per alcuni è un auspicio, per altri una minaccia: «Ecco perché, sempre di più, sto maturando l’idea di tornare in televisione. Perché la vostra non è televisione. La vostra è solo un misero schermo scolorito, pieno di voi stessi. Per fare televisione bisogna essere rock... e voi purtroppo siete lenti».
Adriano Celentano sparito, la scelta drastica del Molleggiato: "Sono terribilmente triste". Libero Quotidiano il 26 maggio 2021. Adriano Celentano sparirà per un bel po' di tempo. E' stato lui stesso a dichiarare che non pubblicherà più foto e video sui social. Quindi nessuno potrà più vederlo né su Facebook né su Instagram. Il motivo? Il cantante non è soddisfatto della qualità del servizio delle piattaforme e in particolare si è lamentato per un difetto di sync. “Fuori sync”, infatti, è ciò che si legge nell’immagine che ha pubblicato per accompagnare l’annuncio dello stop ai video. "Ho deciso, mio malgrado, di non pubblicare più video”, ha annunciato, raccontando di aver passato notti intere a studiare modi per sorprendere i suoi follower con i video. Il problema - a suo dire - è che quando poi li pubblica nota il difetto, insopportabile per lui: “Sono spudoratamente fuori sync e ciò mi rattrista terribilmente”. Celentano ha scritto di averlo notato soprattutto nel suo ultimo filmato insieme a Franco Battiato. E poi ha spiegato anche cosa vuol dire essere fuori sync: quando il movimento delle labbra non coincide con il suono che emette. Quando, insomma, l’audio non va insieme all’immagine. "Un difetto di incompetenza catastrofica”, ha continuato, sottolineando però che non si tratta di un difetto solo dei social. Il problema riguarderebbe anche la televisione. "Per Rai, Mediaset e altri il sync non è che un optional... è sempre in ritardo o in anticipo come in ritardo sono le idee di chi fa televisione, figlia di una cattiva manutenzione", ha affermato in maniera critica. E infine: "Mi dispiace ragazzi, perché avrei ancora tante cose da dirvi con i miei video, ma è più forte di me e neanche io so spiegarmi il perché. Ma vi scriverò!". Ricordate il flop epocale di "Adrian"? Celentano se ne frega: contratto d'oro con Mediaset, ecco quanto si è messo in tasca in 12 mesi.
Oggi è un altro giorno, Don Backy e l'inquietante rivelazione su Adriano Celentano e famiglia: "Ci sono strane regole. Alcuni amici mi dicono che..." Libero Quotidiano il 26 maggio 2021. Ospite di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno su Rai 1, Don Backy si è detto dispiaciuto per la fine dell'amicizia con Adriano Celentano. Il cantante ha rivelato che vorrebbe chiarire con Adriano, ma qualcosa glielo impedirebbe. "Non ci vediamo e non ci sentiamo dal 1994 e mi dispiace. Probabilmente lui avrebbe il desiderio a fare un incontro, come ce l'avrei io, ma ci sono circostanze che impediscono il desiderio. Non posso alzare il telefono perché non ho il numero, ma poi c'è tutta una situazione strana", ha raccontato Don Backy, all'anagrafe Aldo Caponi. Il cantante fece parte del cosiddetto Clan Celentano negli anni '60. Ma i rapporti tra i due si sono interrotti nel 1968, quando il Molleggiato presentò al Festival di Sanremo il brano “Canzone”, scritto dal cantautore toscano che successivamente gli face causa. "Fosse dipeso da me sarebbe bastato che mi venisse riconosciuto il dovuto. Quando vieni colto in fallo e la reazione è di difendersi attaccando, le cose vanno male. Non c'è stata nessuna sentenza perché io ho ritirato la querela, venendo lui a una transazione. Facendo questo, lui ha ammesso il suo torto", ha dichiarato Don Backy dalla Bortone. Parlando della possibilità di ricucire con Celentano e delle circostanze che glielo impediscono, invece, il cantante ha raccontato: "Ci sono regole di Casa Celentano, dei filtri che probabilmente non riuscirei a superare. Mi hanno raccontato di alcuni amici che sono andati a trovarlo, che cercano di telefonargli e che non arrivano a lui, poi magari sono tutte favole però fatto sta che è così. Io, se lui vuole, può chiamarmi tranquillamente, il mio telefono è raggiungibile al volo".
Belve, Rosalinda Celentano: "A 52 anni sono ancora vergine, ho la muraglia cinese". Francesca Fagnani sconvolta. Libero Quotidiano il 14 maggio 2021. I drammi e i tormenti interiori di Rosalinda Celentano, terzogenita di Adriano Celentano e Claudia Mori, protagonisti della puntata di Belve, in onda venerdì sera su Rai2. Intervistata da Francesca Fagnani, la 52enne attrice e figlia d'arte si è confessata senza tabù, a cominciare da quello sessuale. "Quando lei aveva 40 anni ha detto di essere ancora vergine. Le chiedo se ci sono novità", azzarda la conduttrice. "Se ci sono novità adesso? Io credo di sì. Ma fisicamente?". "Sì, certo". "Credo di sì. No, perché io con me stessa faccio fatica. Tu vuoi sapere se io fisicamente ho la muraglia cinese. È questo che vuoi sapere, no?". Lo scambio diventa quasi imbarazzante. "Non mi sarei spinta a tanto…", spiega la Fagnani. "Però se tu vuoi sapere questo, sì". Poi l'intervista diventa drammatica, a partire dalla vena autolesionistica che ha contraddistinto Rosalinda da giovane, e anche in età più matura. "Lei faceva riferimento a un tumore che ha avuto, importante - ricorda la Fagnani -. Le sono state asportate le ovaie e l’utero. Lei ha detto di no. Perché?". "Per me è stata una liberazione pazzesca", è la risposta spiazzante della figlia del Molleggiato riguardo alla malattia. "Quando invece è stato il tumore a mettere a rischio la sua vita, e non è stata lei a cercare la morte, ha avuto paura?". "No, perché era ancora il periodo in cui io volevo morire. L'ho avuto a 47 anni, quindi a 47 anni ancora io e la morte danzavamo. E quindi quando mi è stato diagnosticato io sono scoppiata a ridere: una liberazione".
Barbara Costa per Dagospia il 13 novembre 2021. “Hai detto Aerosmith!? Quella m*rda che passa per musica!? Gli do un altro anno prima di ritrovarsi nella spazzatura con tutte le altre band finite nel dimenticatoio. Gli Aerosmith sono una ca*zo di barzelletta!!!”. A inizio anni '70, questo in tanti pensavano, di Steven Tyler e soci, non immaginando che quella musica da loro ritenuta m*rda sarebbe durata 50 anni, e non smette di vivere e battere, nelle orecchie, e cuore e mente, e sul clitoride di noi fan assatanate e indomabili perché, niente da fare, se il rock ti piglia non te ne liberi, è un incantesimo, un veleno, ma benefico, e non ci sono antidoti, rimedi, soluzioni, e specie se il musicista adorato è sotto demone, di una chitarra, e la chitarra si sa gli ritma sul sesso, la chitarra è il corpo di una donna, sono le sue curve che lui tocca, accarezza, ama e suona, e quindi, sapete che c’è, c’è che con la storia che il rock è morto avete rotto: tenetevi pure i vostri rapper, e trapper, e star del pop mosce, e a me lasciate lui, Joe Perry, le sue chitarre e riff e "Rocks", la sua autobiografia, che vivaddio esce in italiano il 18 novembre per Tsunami Edizioni. Lasciatemi lui, Joe Perry, primo chitarrista e cofondatore degli Aerosmith, che dico come andrebbe detto fondatore e basta, ehi, è stato lui a chiamare Steven Tyler in squadra, e il loro primo incontro coincide col primo trip in acido di Joe. Come sia stato possibile che “un gruppo esaurito di 5 tossici alcolizzati, messi di m*rda, sommersi dai debiti, spesso sul lastrico, famosi per salire su un palco strafatti, e suonare alla grande”, sia stato capace di stipare arene e stadi, in tutto il mondo, da cinque decenni, è un mistero che Joe non sa risolvere. Come sia stato possibile che da mezzo secolo uno come Joe Perry, calmo, taciturno, solitario, sia il “fratello scelto e simbiotico” di un caciarone svalvolato qual è Steven Tyler, è il secondo mistero irrisolto che fa da filo rosso del libro. Se vuoi sapere come si può sopportare per così tanto tempo di comporre, suonare, produrre, fare tour, e passare compleanni, Natali, Pasque e Ringraziamenti con un tipo come Tyler, che non parla ma urla, logorroico (“porca tr*ia, non la chiude mai quella caz*o di bocca!”), maniaco dell’ordine, e che seleziona e etichetta tutto, ogni singolo barattolino della cucina e del frigorifero, ed è irascibile, sclera per niente, ma specie se la carta igienica non è del colore a lui giusto… leggiti 'sto libro qui. Secondo te, che ci si può aspettare da uno che ai tempi del liceo si sballava infilzando il dente di un pettine nella sigaretta e fumandosi la plastica? I musicisti rock vivono nel nostro stesso mondo ma al contempo in una realtà altra, e se tu vuoi sapere vita vera on the road fatta di camere da letto distrutte, lavabi e cessi svitati, tv lanciate in piscina, casse spia dal palco, alani fumati, case in fumo, manager mafiosi, coltelli alla gola, morsi in testa, sulle labbra di Joe e di corsa all’ospedale per ricucirlo, arresti per aver detto “caz*o” sul palco, dove ti gettano petardi, e uno colpisce Steven e gli ustiona la cornea, un altro recide a Joe un’arteria della mano destra… leggiti 'sto libro qui. E se vuoi sapere quanto gli Aerosmith han “sfrecciato lungo l’autostrada per l’inferno”, cioè come “all’inizio eravamo musicisti che caz*eggiavano con le droghe, e poi drogati che caz*eggiavano con la musica”, e nello specifico quali brani sono nati in trip (tra questi, "Walk This Way", è l’unico riff di Joe sobrio, "Back in the Saddle", l’ha scritta sdraiato sul letto fatto di ero, in "Night in the Ruts" Steven è pieno di crack)… leggiti 'sto libro qui. E pure per sapere quanta coca può entrare dentro un preservativo taglia XL, e quanti anni Joe ha fatto “colazione con doppio Black Russian”, portando sempre “un Jack Daniel’s nella custodia della mia chitarra”, e che, a differenza di Tyler, lui con gli aghi non va d’accordo… leggiti 'sto libro qui. Scoprirai che è vero, quella volta a Cleveland, a un concerto, un fan ha tirato sul palco una bustina, della polverina, e Steven l’ha presa, sistemata sul microfono, e con gli altri sniffata. E che è vero, Steven Tyler è “collassato sul palco più volte di quanto vorremmo ammettere”. E che Steven è stato testimone di Joe al primo matrimonio di Joe con Elyssa, cugina di Tyler, cugina non proprio, una di famiglia, sono cresciuti insieme, ma non hanno mai nemmeno limonato, forse, e comunque ecco il regalo di nozze di Steven agli sposi: uno sballo di costosissima eroina di prima qualità. In 50 anni non si contano deliri di sesso promiscuo, “tutti nella stessa stanza a farsi sp*mpinare” e “quante ore della mia vita ho aspettato che Steven sfinisse le groupie nel backstage?”. Bravate a cui Joe Perry - ci crediamo? - dice di non essersi unito, per non beccarsi la gonorrea, che certo non la scansi se dopo “ti lavi il pisello col whisky”. In 50 anni non si contano gli scaz*i tra Joe e Steven, compreso quello che nel 1980 porta Joe a mollare gli Aerosmith (“non sei più una band coesa quando hai spacciatori diversi”), addirittura a vendere la sua Les Paul del 1959, tobacco burst, una dei due soli esemplari al mondo, una chitarra che poi, quando ti rimetti con gli Aerosmith, bestemmi a ritrovare per fartela rivendere, e ce l’ha Slash dei Guns 'n' Roses, e pure se tu ci metti in mezzo Jimmy Page col caz*o che Slash te la ridà, se non gratis, a sorpresa come regalo alla festa dei tuoi 50 anni. Steven Tyler sarà pure un irascibile patologico, in crack emotivo, e a volte lavorare con lui è “spremere dentifricio da un tubetto vuoto”, e però è l’amico che porta la bara di tuo padre al funerale, è l’amico che si presenta nel backstage del tuo primo concerto con la tua nuova band, per farti leali auguri, è l’amico che affitta un aereo privato e ti accompagna in rehab quando è ora di darti una ripulita vera. È pure colui che il costo di questo aereo te lo mette sul conto, ok, è pure colui che di nascosto fa il provino coi Led Zeppelin, lo so, e però… non ci puoi stare senza. Scrive Joe Perry: “Si può scegliere, di mandare tutto e tutti affanc*lo”. Ma Steven Tyler no. Dai, che, anche da 70enni, e “pure se sfregiati, ammaccati, arrabbiati, risentiti”, connessi in modo sconnesso, si sale sul prossimo palco a suonare. La verità è che gli Aerosmith - e i loro problemi - non cambieranno mai. E far tacere Steven Tyler rimane impossibile. Steven rende faccende semplici delle gran rotture di c*glioni. Ma non si parte né si fa niente senza di lui. Vallo a trovare. Starà da qualche parte a sc*pare.
Aida Yespica, una straziante confessione: "Stuprata a sette anni, mi ricordo tutto di quell'uomo". Giovanni Terzi su Libero Quotidiano il 14 settembre 2021.
«In questo momento ciò che mi sta mancando di più è mio figlio Aron, a causa del Covid sono due anni che non riesco a vederlo». Il primo pensiero di Aida Yespica, modella e showgirl venezuelana, è per il suo grande amore, Aron, il figlio avuto dall'ex calciatore Matteo Ferrari il 27 novembre del 2008.
Dove vive tuo figlio?
«È a Miami con suo padre, ma sia per problemi con il passaporto che per la pandemia ormai è tanto tempo che non lo abbraccio, anche se ci sentiamo spessissimo».
La nascita di tuo figlio ha anche coinciso con un momento difficile della tua vita.
«Ho sofferto di depressione post-partum ed è stato un periodo faticosissimo. In più c'è stata la separazione con Matteo, che ha provocato ancora di più dei dolori e delle grandi delusioni»
Me ne vuoi raccontare una?
«Io e Matteo siamo dovuti andare in tribunale, perché inizialmente lui non voleva che io frequentassi Aron. È stata molto dura, ma alla fine la giustizia ha dato ragione a me, vedendo quanto amore e dedizione davo a mio figlio. Oggi posso dire che tra me e Matteo c'è un rapporto civile».
La tua vita è stata faticosa sin dall'infanzia.
«Sono nata in una famiglia umile, la nostra casa era stata costruita da mio padre vicino a un fiume. Le scale erano fatte con delle tapparelle ed eravamo in otto fratelli; ho il ricordo chiaro di mio padre che faceva qualsiasi lavoro, dal muratore all'elettricista, per riuscire a dare da mangiare a tutti. Eravamo poveri ma felici».
E tua mamma?
«Mia mamma ha lasciato mio padre quando avevo due anni, ci ha abbandonati, e lui per tutti noi ha svolto entrambi i ruoli di genitore. Papà è stato un uomo straordinario, che se n'è andato troppo presto. E io l'ho visto morire tra le mie braccia».
La voce di Aida cambia tono e le parole escono con maggior fatica. Il discorso su Jorge, questo era il nome del papà, riapre una ferita che porta ancora dentro in modo indelebile.
«Sembrava che mio padre si aspettasse di morire. Avevo diciassette anni e vivevamo a casa di mia zia, in quanto la nostra era stata spazzata via dalla piena del fiume sulla cui riva era stata costruita. Mio papà non vodi leva che mi allontanassi troppo in quei giorni e mi continuava a dire "e se non sto bene cosa faccio?...". Pensa che ero da poco ritornata dall'Italia proprio perché capivo che stava male».
E che cosa accadde?
«Mi arrivò una telefonata in cui papà non respirava, sono corsa da lui e l'ho visto morire. Ricordo di essere uscita dalla casa di mia zia urlando come una pazza in cerca di aiuto, ma non ci fu più nulla da fare. Papà se n'era andato. Devo dire che oltre al lutto, ci fu un fatto gravissimo che mi segnò ulteriormente».
Quale?
«Quando mio padre morì la mia famiglia mi mandò via da casa, e io dovetti andare a vivere da una amica in una favelas. Non avevo nemmeno i soldi per pagare i funerali e iniziai a lavorare di notte in un bar anche per cercare di tornare in Italia a fare la modella».
Il legame con tuo papà è sempre stato molto forte. Come aveva preso la tua scelta di vita da modella?
«Inizialmente non bene perché voleva che io studiassi. Però eravamo poveri e lui faceva fatica a mantenermi negli studi, e così fece una cosa dolcissima...».
Cosa?
«Fingendosi mio fratello, chiamò la mia agenzia, dove stavo facendo un corso per modella, per avere notizie. Il mio manager di allora capì immediatamente che si trattava di mio papà e lo rasserenò, garantendo che erano tutte delle brave persone e che avrebbero pensato loro a pagarmi gli studi. Così mio papà fu felice e si rasserenò».
Mantennero la promessa?
«Assolutamente sì».
Come nacque la tua professione di modella?
«In un autobus e casualmente. Un giorno un passeggero salito sul mio stesso autobus mi fermò, dicendomi che ero molto bella e che avrei potuto fare la modella. Mi diede il numero della sua agenzia, e così iniziai».
Quando sei arrivata in Italia la prima volta?
«Era il 1999 e arrivai a Milano. Era un periodo bellissimo anche se molto faticoso, perché facevo anche venti casting al giorno. Mi ricordo che vivevamo in una casa assieme ad altre modelle, in zona San Siro».
Nel mondo del lavoro hai mai subito violenza? (Ancora una volta la voce di Aida si interrompe, come a non voler rispondere).
«Sono sempre stata rispettata nel mondo del lavoro e mai nessuno e andato oltre al corteggiamento. Però c'è una cosa che mi fa ancora oggi molto male, ed è lo stupro che ho ricevuto quando avevo sette anni da un amico di famiglia che veniva sempre a casa da noi. Pensa che è tale il dolore che avevo rimosso totalmente quel momento, finché nel 2016 una mia amica mi racconta di una sua violenza subita»
E che cosa succede?
«Che piano piano riaffiora alla mia memoria quel momento orrendo. Ricordo tutto, il suo odore, la sua corporatura, era un uomo con una vistosa gobba, le sue mani che toccavano e accarezzavano...». Si interrompe, Aida, e non riesce andare avanti: quel ricordo è troppo forte da poter essere completamente raccontato.
L’hai mai detto a tuo papà?
«No, avevo paura che potesse stare male e combinare un pasticcio per difendermi».
La tua carriera in Italia e ricca di esperienze. Lele Mora in quegli anni era il deus ex machina dello show-biz. Che rapporto hai avuto con lui?
«Lele è sempre stato straordinario con me, lo considero un vice padre. Mi è stato vicino nei miei momenti difficili, come io ho fatto com lui. Ci vogliamo molto bene e, anche adesso, ci sentiamo».
Tra tutti i programmi televisivi che hai fatto, quale ricordi con maggiore piacere?
«Il Bagaglino è stata una esperienza straordinaria. Essere a teatro accanto a due "mostri" della comicità come Leo Gullotta e Oreste Lionello è stato davvero entusiasmante e mi ha insegnato molto. Poi non posso non citare "L'isola dei famosi" condotta da Simona Ventura».
Lì ci fu la famosa litigata con Antonella Elia...
«Antonella aveva il vizio da una parte di fingere amicizia e dall'altra di parlar male di tutti. A un certo momento non c'ho visto più e le ho tirato una sberla».
Avete fatto pace?
«Ci siamo chiarite. ma siamo molto diverse»
Hai fatto anche del cinema. Chi ricordi con piacere?
«Christian De Sica, un gran signore, un uomo di classe ma anche molto divertente».
Di te ci si ricorda anche per i tuoi calendari. Hai mai provato imbarazzo a posare nuda?
«Ho sempre mostrato solo il seno e non altro. Però sì, all'inizio avevo molto pudore e un po' di preoccupazione, poi pian piano mi sono lasciata andare».
Hai un fotografo che ti mette particolarmente a tuo agio?
«Dario Plozzer: lui ha sempre creduto in me ed abbiamo instaurato un bellissimo feeling».
Adesso che periodo stai vivendo?
«Sono molto serena e da poco sto vivendo una bella relazione con Mirco Maschio, un imprenditore di Padova. È avvenuto tutto molto velocemente, ma ho deciso di venire a vivere subito nella sua città».
E come ti trovi a Padova?
«I ritmi sono più lenti e la gente è più serena; insomma, sto molto bene».
Avresti un sogno professionale per il futuro?
«Mi piacerebbe fare un programma televisivo per bambini; li amo, sono esseri puri».
I quattro matrimoni di Afef, dal vicino di casa a Tronchetti Provera. Il Corriere della Sera il 16 ottobre 2021. Gli amori della modella che si è sposata per la quarta volta.
Nata in Tunisia. Afef Jnifen è nata a Ben Gardane, in Tunisia, il 3 novembre 1963. Quarta di sei figli, il padre ministro plenipotenziario per i rapporti bilaterali tra Tunisia e Libia, la madre di origini turche. Si trasferì a Parigi per diventare indossatrice. Entrata nell’ambiente della moda viaggiò molto, fino ad approdare in Italia, dove venne subito apprezzata da grandi stilisti. Fu definitivamente lanciata da Jean-Paul Goude, il regista fotografo che ha lanciato anche Grace Jones
Afef e il vicino di casa. Prima di iniziare a fare la modella, ancora giovanissima, Afef sposa un vicino di casa come segno di ribellione alla rigida educazione dei genitori
Afef e Marco Squattriti. Afef si sposa una seconda volta a 27 anni. Nel 1990 si celebrano le nozze con l’avvocato Marco Squattriti da cui ha anche un figlio, Sammy. Complice anche lo scandalo Safim-Italsanità (29 persone indagate per truffa aggravata) il rapporto tra i due va in crisi e alla fine degli anni ’90 Afef e Squattriti si separano.
Afef e Marco Tronchetti Provera. Tra il 1996 e il 1997 lavora in televisione partecipando come ospite fissa al Maurizio Costanzo Show mentre nel 1999 conduce il rotocalco di Mediaset «Nonsolomoda». È qui che conosce l’imprenditore Marco Tronchetti Provera, che sposerà nel 2001, e da cui si separa consensualmente nel 2018. Una lunga storia d’amore che si conclude dopo 17 anni
Afef e Alessandro Del Bono. Una volta esaurito il matrimonio con Marco Tronchetti Provera, Afef ha conosciuto Alessandro Del Bono, manager che lavora nel campo della farmaceutica. Nell’estate del 2019 i giornali di gossip parlano di un anello di diamanti in regalo, anticipo di quelle nozze che sono state celebrate il 15 ottobre in Costa Azzurra
Alanis Morissette: " A 15 anni sono stata violentata da più uomini". La confessione dell'artista canadese nel doc “Jagged”: "Lo dico ora perché prima nessuno mi ascoltava". La Repubblica il 15 settembre 2021. Dopo anni di doloroso silenzio, Alanis Morissette affida a un documentario una confessione scioccante: "Quando avevo 15 anni sono stata violentata da più uomini. Lo dico ora, prima nessuno mi ascoltava". La rivelazione della canadese, oggi 47enne, si ascolta nel documentario HBO Jagged diretto da Alison Klayman. La popstar non rivela l'identità dei suoi aggressori: "Mi ci sono voluti anni di terapia anche solo per ammettere che c'era stato qualche tipo di vittimizzazione da parte mia. Dicevo sempre che ero consenziente, ma poi mi veniva ricordato 'ehi, avevi 15 anni, non sei consenziente a 15 anni'", afferma la cantante nel documentario. In Canada l'età per il consenso è fissata a 16 anni. La cantante ha aggiunto: "Prima mi ero confidata con alcune persone, ma le mie parole erano cadute nel vuoto. Molti dicono 'perché quelle donne hanno aspettato 30 anni per dirlo?'. E io rispondo: 'Non hanno aspettato 30 anni. Nessuno le ascoltava, oppure erano minacciate o lo era la loro famiglia'. Le donne non aspettano, è la nostra cultura che non ascolta". Il documentario che racconta la storia della Morissette verrà presentato in al Toronto Film Festival. Non è la prima volta che la cantante parla di abusi sessuali e molestie. In un'intervista dello scorso anno al Sunday Times aveva dichiarato: "Quasi tutte le donne nel mondo della musica sono state aggredite, molestate o stuprate, È un aspetto onnipresente, più nella musica che nel cinema. Se non avessi un intero team di terapisti da tutta la vita, non credo che sarei ancora qui".
Da fanpage.it il 14 dicembre 2021. Alba Parietti sui social condivide molto della sua quotidianità, che si tratti di lavoro o semplice vita casalinga. Benché tutti siamo abituati a vederla impeccabile davanti ai riflettori, a volte si è mostrata anche in chiavi più casual e senza make-up. "Se in televisione vi sembro leccata e truccata, nella vita vera sono una semidebosciata" ha ammesso, con l'autoironia che la contraddistingue da sempre. Come ogni donna anche lei ama prendersi dei momenti di pausa tutti per sé struccata, in pigiama e pantofole. Quando si scatta dei selfie al naturale lo fa per ribadire di non sentire la necessità di dover piacere a tutti, perché è una donna serena, appagata, in pace con la sua età e lo specchio. La conduttrice il 2 luglio scorso ha compiuto 60 anni. Per lei il tempo sembra non passare mai. E invece passa, per lei come per tutti e lo ha ricordato lei stessa, con un momento nostalgia in cui ha tirato fuori dal suo album dei ricordi delle foto in cui aveva appena 35 anni. Nella vita di Alba Parietti ci sono stati diversi amori. Dal marito Franco Oppini è nato il figlio Francesco, poi dopo il divorzio ha avuto altre relazioni importanti. Il filosofo e docente universitario Stefano Bonaga, il finanziere Jody Vender, il principe palermitano Giuseppe Lanza di Scalea, la più recente quella dal 2010 al 2014 con Cristiano De André. Ma a fine anni Novanta ha avuto anche un flirt con l'attore Christopher Lambert. La showgirl su Instagram ha ripescato alcune foto di ben 25 anni fa, scattate proprio in compagnia di Lambert, mentre erano in vacanza a Porto Cervo ospiti sul Nafisa, la barca degli amici Rossana e Volja. Ha scritto: "Sono ricordi di un momento di grande felicità. Avevo 35 anni, lui 39 (e non esisteva praticamente il Photoshop): eravamo belli uguale. Eravamo una coppia che faceva sognare e anche noi in fondo abbiamo sognato. E come ci siamo divertiti. Chi ti regala emozioni e momenti indimenticabili rimane sempre nel cuore, perché sono talmente rari e preziosi che non possono che essere nell’album dei bei ricordi". Alba Parietti è bellissima ora come allora.
Estratto da ilfattoquotidiano.it il 14 dicembre 2021. (…) Accanto a lei, nelle immagini condivise con i fan, c’è Christopher Lambert, con il quale ebbe una storia d’amore verso la fine degli anni ’90. E ancora ha scritto: “Come ci siamo divertiti. Chi ti regala emozioni e momenti indimenticabili rimane sempre nel cuore, perché sono talmente rari e preziosi che non possono che essere nell’album dei bei ricordi”. Qualcuno ha commentato sostenendo che Alba sia ancora innamorata di lui e, tra i tanti messaggi di congratulazioni per la bellezza rimasta intatta, c’è anche una critica. “Te la canti e te la suoni”, ha scritto un utente. Parietti ha replicato: “Io canto e suono pezzi della mia vita che ho vissuto. Tu invece invidi perché non hai mai vissuto e vivi la vita degli altri invidiandola”.
Dagospia il 23 novembre 2021. Da I Lunatici Radio2. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei del mattino, in onda anche su Rai 2 più o meno tra l'una e le due e quaranta. Alba Parietti ha parlato un po' di se: "Ho avuto la fortuna di lavorare con i più grandi fotografi del mondo. Qualche tempo ho postato su Instagram una copertina di Max. Di materiale fotografico 'scottante' ne ho parecchio. Anche se non proprio di oggi. Se mi sono sempre resa conto di essere una bomba sexy? No, lo si capisce dopo. Quando non è più così. Mi rendo conto più oggi che a vent'anni. Una volta anche Naomi mi disse che ero la più bella italiana che avesse mai visto. Sento dei racconti postumi dove mi raccontano che mi consideravano una donna bellissima. Ma io non me ne accorgevo. Sono sempre stata una bambina insicura prima e una ragazza scapestrata poi, molto vanitosa ma poco maliziosa. La malizia o il sex appeal ce l'avevo di innato. Ho sempre trattato molto male i maschi, alla pari. Non ho mai avuto l'atteggiamento della pecorella, li ho sempre messi in grande difficoltà. Gli uomini mi amano ma li spavento allo stesso tempo. Spesso sono aggressivi. Sono da studiare da questo punto di vista". Sul suo rapporto con gli uomini: "Se ho conosciuto qualcuno di recente? Sono stagionale, non mi innamoro mai d'inverno, ho poco tempo per l'amore. Ho una questione legata all'adrenalina. Il mio lavoro mi dà emotivamente troppo interesse. Quando lavoro non ho bisogno di altro. Appena arriva la bella stagione, maggio giugno, la tv interrompe i programmi e lì si infila sempre qualcuno. Qualcuno che in questo mio vuoto emotivo riesce a insinuarsi. Non è solo una questione di occupare il tempo, è un fatto di adrenalina. Il mio lavoro mi riempie di adrenalina e passioni. Io gli ultimi rapporti sentimentali li ho vissuti come se fossi stata a un video game. Davo per scontato che prima o poi sarebbe arrivata una delusione. E quindi appoggiavo sempre sul tavolino il gioco fatto. Da una parte mi piace innamorarmi, la prendo sul serio. Però con consapevolezza. L'ultima volta che mi sono veramente innamorata? Molti anni fa. Era il 2016. Però mi sono infatuata altre volte. Infatuata con cadenza più o meno annuale". Ancora Alba Parietti: "Il momento per le donne? La corsa ormai è da parte degli uomini. Gli uomini stanno rincorrendo la parità di genere. Non riescono più a stare dietro alla capacità delle donne di essere tante cose. L'uomo è il sesso debole per un unico motivo. E' condizionato tutta la vita dal sesso. La donna dopo un certo periodo viene affascinata dall'affascinabile, l'uomo anche a settanta, ottanta anni, finché il fisico glielo permette, perde la testa per il sesso, cosa che rende completamente idioti. L'uomo ha due grandi difetti. La propria vanità e il sesso. Vedo uomini della mia età diventare patetici e ridicoli. La vergogna del nostro tempo è che a parità di meriti la donna guadagna il trenta percento in meno. Questo è incredibile. La verità è che la forza delle donne è odiata troppo spesso dalle donne stesse. Quando le donne inizieranno a riconoscere la forza di una donna che ce l'ha fatta e tenere alta la bandiera del femminile, in qualsiasi campo, sarà sempre troppo tardi. Se sono stata tradita da un uomo? Più di uno. Molto spesso proprio per insicurezza".
Perché partecipa a Tale e Quale, Alba Parietti si confessa. Fabrizio Finamore su Il Tempo il 29 ottobre 2021. Per molti è stata una sorpresa vederla tra i concorrenti di quest’ultima edizione di Tale e Quale eppure per Alba Parietti la scelta di partecipare alla trasmissione di Carlo Conti ha radici che partono da lontano. «Da diversi anni si parlava di una mia possibile partecipazione alla trasmissione - ci ha confessato Alba- quest’anno mi hanno richiamato dopo un provino e alla fine ci ho pensato mezza giornata, non di più, perché so che l’impegno è molto pesante, è uno di quei programmi in cui quando ci entri sei talmente impegnato che non hai tempo per fare niente altro, ma la trovo un’esperienza molto bella e costruttiva, oggi come oggi sono molto contenta di aver accettato».
Loredana Bertè, Damiano dei Maneskin, Guesch Patti, Ornella Vanoni, Amanda Lear, questa settimana Mick Jagger… quale dei personaggi che ha interpretato ha trovato più difficile da imitare?
«Sono tutti personaggi che amo tantissimo, inizialmente Ornella la vedevo molto difficile tanto che non volevo farla e invece alla fine è forse quella che mi è venuta meglio. Loredana invece, lo confesso, avrei voluto interpretarla meglio anche perché la conosco bene, ma evidentemente la scelta del pezzo è stata determinante; del resto nella vita non ho mai scelto cose facili, mi piace guidare sul bagnato».
In ogni caso la stessa Vanoni ha avuto modo di apprezzarla.
«Conosco Ornella, è una che non regala nulla a nessuno, se avessi fatto male me l’avrebbe detto, per questo i suoi complimenti sono stati un gande regalo. In generale comunque io credo che non conti tanto proporre un’intonazione perfetta ma l’emozione che riusciamo a far passare al pubblico».
Cristiano Malgioglio in fatto di intonazione non è mai troppo clemente con lei, quanto c’è di prestabilito nei vostri siparietti?
«Di costruito non c’è nulla, è il gioco del teatro dell’arte che diverte il pubblico ma anche noi, è come quando si scherza con gli amici, ogni volta non so mai se mi dirà qualcosa di tremendo, ma alla fine anche lui così si mette in gioco».
Eppure lo conosce da tempo, in uno dei suoi primi programmi «La piscina» come la sigla di chiusura interpretava proprio la sua «L'importante è finire»...
«La piscina fu un’altra esperienza televisiva meravigliosa, all’epoca qualsiasi cosa facevo andava bene... potevo anche stonare. Comunque Malgioglio è un amico, con lui mi diverto e poi di solito prima mi massacra ma poi è magnanimo nei voti».
Che approccio ha con il mondo delle imitazioni? Nell’84 lavorò con un grande del genere come Gigi Sabani in «Ok, il prezzo è giusto!», ha preso qualche spunto da lui?
«Ho lavorato molto con lui, lo ricordo come una persona molto allegra e molto piacevole, ma le mie sono delle trasfigurazioni più che delle imitazioni, quelli che interpreto sono personaggi che fanno parte di me, che mi hanno ispirato».
Come si trova con gli altri concorrenti di Tale e Quale? Molti sono giovani che non hanno la sua esperienza televisiva...
«Nel momento in cui entro in un gruppo ne faccio parte e non faccio mai pesare la mia storia, se lo facessi diventerebbe difficile per tutti lavorare insieme; se posso semmai dò dei consigli, cerco di creare spogliatoio come si dice in gergo, sono da sempre portata a fare questo».
Indubbiamente in molti le hanno riconosciuto il merito di essersi rimessa in gioco.
«Uno che fa il mio lavoro si mette sempre in gioco, soprattutto per divertirsi».
È vero che ha dichiarato che vorrebbe essere come Jane Fonda?
«Chi non vorrebbe essere come Jane Fonda? Ognuno poi ha un ideale cui ispirarsi, io non posso certo ispirarmi a una di 20 anni, nella Fonda invece vedo un bellissimo esempio di intelligenza, fascino e bellezza, è un’icona e le icone non tramontano mai».
Per chiudere, come vede la televisione di oggi?
«La televisione deve trovare una nuova strada per non essere snobbata dal pubblico giovane e dai social, se il mondo cambia dovrebbe farlo anche la TV».
Oggi si rischia poco?
«Quasi per niente e invece sui progetti nuovi andrebbe fatto molto di più».
Tiziana Platzer per “La Stampa” -Torino il 24 settembre 2021. È stata una settimana di dura lotta social. Non che Alba Parietti sia nuova alla battaglia all'ultimo post, però la sua interpretazione di Loredana Bertè al «Tale e quale Show» ha shakerato bene gli umori di fan e controfan. La parrucca blu in tinta con i leggins non sono bastati a far sorvolare pubblico e giuria sulla scivolosa performance canora. Eppure la showgirl e opinionista torinese non recede di un passo, non lo fa mai: «Mi sono emozionata più di quello che avrei dovuto, può succedere. Certo non mi tiro indietro e sono pronta per la nuova puntata». Grinta in salita e il concetto di paura motore di emozioni da non nascondere: ecco il colore dei primi sessant' anni di Alba Parietti. Compleanno festeggiato a luglio e ancora lì che gira, forse, almeno in senso anagrafico. E in quel circolare delle stagioni, la gara sul palco delle imitazioni è una bella prova di coraggio. Stasera davanti a Malgioglio che non ne fa passare mezza, si butta nel personaggio di Damiano dei Måneskin: una bella montagna da scalare, no?
«Questo programma è durissimo, molto più di quel che si pensi. Il mio lavoro di opinionista lo faccio con la mano sinistra, per quanto io studi sempre. Invece qui provi tutta la settimana, ci sono ore di trucco e più di un'ora di struccaggio alla fine, e naturalmente lezioni di canto e di ballo. Ci vuole il fisico, e vale per tutti, anche per i più giovani».
Damiano l'ha scelto lei o glielo hanno assegnato?
«In realtà ti assegnano personaggi che possono essere affini, io poi avevo chiesto di interpretare un uomo ed eccomi accontentata».
Cosa canterà?
«Non posso dirlo».
E il pubblico non le fa paura? Non le ha mai fatto male in questa lunga carriera nelle critiche feroci?
«Con l'imitazione di Loredana solo l'idea di rendere al meglio una cantante che per me è un mito, mi ha messo in difficoltà, pensare che durante le prove ero andata bene. Loredana stessa lo ha compreso, tanto che dopo mi ha mandato un messaggio con i cuori. E poi io sono abituata, il pubblico o mi ama, ed è il 50 per cento, o non mi sopporta, l'altra metà, e sul web io ho i miei scudieri. Io non faccio mai la scelta comoda».
Valgono questo i primi sessant' anni?
«Valgono sentirsi una donna rock. Per me o sei rock o sei anziana. Ma guai a chi dice a una donna che è vecchia: che ne può sapere di quanta voglia di vivere ha dentro quella persona? Quando ascolti Ornella Vanoni o vedi Jane Fonda, senti la passione: possono essere definite vecchie? Loro hanno l'animo rock».
La passione per lei è una strada senza fine: come è stata la sua estate sentimentale?
«Bella. Sono una donna che lascia sempre una porta aperta. Mi innamoro, poi appena sento odore di bruciato prendo l'estintore e via. Mi innamoro ma non mi affeziono».
Suo figlio come la guarda?
«Da fratello maggiore, mi consiglia, mi controlla, mi critica anche da un punto di vista artistico. Io ho tanti fratelli maggiori a dire il vero, quasi tutti i miei ex».
Cosa pensa del referendum sulla cannabis?
«Proprio perché sono una concorrente in un programma tv credo sia serio non espormi politicamente».
Anche sull'eutanasia?
«Ci sono scelte che hanno bisogno dell'etica e non della politica. Io ho nella mente gli occhi di mia nonna, sul letto disfatta da un cancro, che alla fine chiede a mio padre una puntura. Ognuno ha il diritto di scegliere come vivere e morire».
Secondo lei cosa dà più consapevolezza a una donna?
«Essere in grado di vivere da sola. Io vivo bene sola, sono stata educata così, e questo mi dà coraggio e consapevolezza da sempre, nonostante nella vita abbia vissuto di tutto. Tante donne invece pensano di non farcela e subiscono condizioni che non desiderano. L'indipendenza destabilizza».
L'ultima volta che si è sentita a casa a Torino?
«Circa un anno e mezzo fa, al concerto di Cristiano De Andrè. E prima sono andata a trovare i miei genitori nella tomba di famiglia a Pinerolo, lì dove c'è anche Gustavo Rol».
Maria Berlinguer per "la Stampa" il 9 agosto 2021. «La prossima volta che nasco voglio essere un cane di Paola». Al telefono da Ibiza dove ha una casetta e dove presto la raggiungerà Paola Ferrari, l'amica del cuore, Alba Parietti scherza. È nota la passione di Paola per i cani (a casa ha quasi uno zoo). Ed è anche grazie a un cucciolo di bobtail che è nata la loro amicizia più che trentennale. Una sorellanza. «È un'amicizia molto, molto forte. L'ho vista per la prima volta a Sanremo. Ma a Milano, al Derby, tutti parlavano di questa ragazza giovanissima e bellissima per cui Franco Oppini aveva perso la testa. Non ne parlavano male ma insomma poi un giorno vado a Sanremo con il mio fidanzato del tempo e vedo Franco con una stragnocca alta un metro e 80, pelliccia di volpe, allora si portavano ancora, calze velate e capisco tutto quel vociare. Aveva un cucciolo di bobtail in braccio e ho avuto subito simpatia per questa donna bellissima. Per fortuna io non conosco la parola invidia». A dire il vero la bellezza non faceva certo difetto neppure a lei... «Sì ma lei era spettacolare» risponde Ferrari. «Ci siamo conosciute, abbiamo scoperto che abitavamo vicine, e abbiamo cominciato a frequentarci. Abbiamo vissuto una bella parte di vita insieme. Ci siamo molto divertite e condiviso tante cose. Persino gli amori: in tempi diversi abbiamo avuto fidanzati comuni». Il debutto a «Galagoal» A rinsaldare e rendere unica l'amicizia anche Galagoal, la trasmissione che lanciò definitivamente Alba. «Avevamo trent'anni, lei aveva ricevuto un'offerta da Telemontecarlo per un programma che poi non andò in porto, le offrirono di condurre Galagoal per gli Europei di calcio a una cifra importante. Alba era molto incerta. Eravamo due ragazze e i soldi facevano comodo. Di calcio non ne sapeva molto mentre io avevo già fatto la mia prima Domenica sportiva: le davo lezioni di calcio sul terrazzo di casa mentre Francesco faceva i compiti». Va nei dettagli: «Scegliemmo insieme i vestiti, come il primo abitino nero con le borchie. Il successo può allontanare, invece per noi non è cambiato niente, abbiamo sempre gioito per i traguardi raggiunti dall'altra. Sono stata orgogliosa dei successi di Alba e anzi ho cercato di proteggerla perché io delle due sono quella più bacchettona, rompipalle. Poi lei dice che le devo anche i miei figli. Ed è vero. È stata lei a presentarmi mio marito». Quell'amico che la sposò Paola usciva da una storia molto lunga «con un ragazzo perbene e un po' noioso e non avevo nessuna intenzione di accasarmi. Alba mi ha letteralmente costretto ad andare a una cena a casa di una sua amica, Emanuelle. Non avevo idea di chi fosse. Quando ho capito che era la moglie di mio cognato e che eravamo in attesa di quel Marco ho cercato di scappare ma Alba è stata bloccata da Tronchetti Provera. Me l'hanno presentato ma sono fuggita subito per andare a ballare al Plastic che era un locale underground molto divertente. Lui chiamò Alba per avere il mio numero, io le proibii di farlo ma lei continuò a lavorare sotto traccia. Ed è finita che ci siamo sposati. La nostra amicizia è scandita dalle coincidenze, entrambe figlie uniche di madri problematiche che abbiamo recuperato in età avanzata. Caratteri forti, tante affinità».
Cane e gatto in politica. Tra le tante affinità certo non c'è la politica. «L'abbiamo sempre pensata in modo opposto, ci siamo molto scontrate sulla Santanchè - dice Paola - per tantissimi anni, e abbiamo anche litigato diverse volte ma poi su tante battaglie la pensiamo nello stesso modo». Parietti spezza una lancia al capitolo fidanzati: «Confermo abbiamo avuto fidanzati in comune evidentemente abbiamo gli stessi gusti, ma ovviamente non ci siamo mai rubate un compagno». Continua: «Ci siamo conosciute che eravamo ragazzine e sono stata io a presentargli Marco. Sono stata davvero un cupido speciale visto che è un amore che dura da così tanto. Sono stata testimone di nozze». Il racconto si ferma un attimo: «Ma sono le coincidenze che fanno paura. Io sono nata lo stesso giorno e lo stesso anno del fratello di Marco, Rodolfo, nella clinica Sant' Anna di Torino e pure Alessandro è nato il 2 luglio». La passione per il viaggio Che cosa vi ha legato in particolare? «I viaggi, le tante risate, un reciproco soccorso ma il primo gancio è stata la passione per i cani. Eravamo due ragazze. Io non ero nessuno, facevo cosette in tv, lei faceva la giornalista man mano abbiamo assistito ai successi dell'altra sempre con grande contentezza. Non c'è mai stata nessuna forma di invidia ma la piena condivisione delle fortune dell'altra», conferma Alba. Continua: «Tutto quello che abbiamo avuto io e Paola ce lo siamo straguadagnate. Mi ricordo di lei giovanissima che lavorava come una pazza. Forse ci lega anche il fatto che siamo due persone che hanno sempre basato le loro vite sulle loro forze. Due donne forti e belle. Ma ci siamo anche divertite tanto. Ancora oggi riusciamo a farci grandi risate. Paola è una persona molto autoironica».
Più sorelle che amiche. «La nostra è direi una sorellanza. Abbiamo discusso, ci siamo anche allontanate per periodi ma ci siamo sempre capite. Abbiamo avuto un'educazione severa. Eravamo due ragazze che avevano voglia di vivere però con il complesso di non essere prese sul serio dai genitori. Chissà forse anche a questo dobbiamo la nostra forza. Siamo state due donne estremamente fortunate nella vita ma è una fortuna che ci siamo costruite sempre lavorando».
"Vi spiego perché ora mi sento anarchica". Francesco Curridori il 10 Luglio 2021 su Il Giornale. Carriera, politica e vita sentimentale. La showgerl Alba Parietti, neo-60enne, si racconta a tutto tondo. "Il mio più grande successo professionale è il rispetto e la stima delle persone con cui ho lavorato. Questa, secondo me, è la più grande conquista che si può avere". Raggiunta l'età dei 60 anni, Alba Parietti, showgirl, conduttrice e opinionista televisiva, traccia un bilancio della sua carriera professionale, non certo priva di soddisfazioni.
Dopo 40 anni nel mondo dello spettacolo, ha anche qualche rimpianto?
"Il rimpianto è quello di non aver studiato bene le lingue perché probabilmente avrei potuto fare una carriera internazionale. All'epoca il fatto di non sapere bene l'inglese mi precluse, per esempio, un ruolo da protagonista in un film con James Bond".
Ha un ricordo particolare di Raffaella Carrà?
"Raffaella mi ha letteralmente onorato del fatto di aver voluto lei lavorare e duettare con me. Fu un atto di grandissima generosità anche perché mi rendevo conto che lei esaltava la forza dell'altro senza aver paura di avere vicino una donna più giovane. Era una che guardava solo al risultato e ti metteva a disposizione tutte le armi vincenti per farti brillare, non cercava di scacciarti. Lei aveva una grande capacità di fare anche da manager alla persona che invitava e gli dava tutta la visibilità, lo spazio e il comfort possibile".
Come affronta il tempo che passa? Ha paura della bellezza che sfiorisce?
"Non ho paura. Mi dispiace. Uno si vede quando era giovane e vorrebbe fermare il tempo, però nell'invecchiare c'è anche la curiosità di capire come si può diventare e si possono affinare delle qualità che prima lasciavi in secondo piano".
Nella sua carriera ha mai subito episodi di sessismo?
"Sì, soprattutto dalle donne ed è un qualcosa che non ti aspetti mai. Basta guardare i social come le donne si accaniscano in modo volgare e trovano pretesti per insultare. Io ammiro le donne che hanno fatto carriera".
Vuol parlare delle querelle con Selvaggia Lucarelli?
"No, tutto quello che c'è da dire con Selvaggia Lucarelli lo sto già dicendo, purtroppo, davanti ai giudici. Io avrei evitato, ma lei no. Evidentemente quello è il suo terreno, non il mio. Mi ci sono trovata e, dovendo affrontare cinque anni di processo, non ho neanche voglia di parlarne perché ho dedicato fin troppa energia a questa vicenda".
Lei ha condotto vari programmi di calcio. Questo sport è cambiato molto negli ultimi anni. In meglio o in peggio?
"Non so se è meglio o peggio, ma vedendo questi Europei mi sembra di rivivere i Mondiali del 1990. Rivedere Vialli e Mancini in quella situazione mi emoziona e mi commuove".
Un pronostico sulla finale Italia-Inghilterra?
"Forse l'Inghilterra è più forte di noi, ma spero che la sorte ci sarà amica".
Lei ha lavorato sia in Rai sia in Mediaset. Dove ha trovato più libertà?
"Ho trovato libertà ovunque ci fossero capistruttura o direttori capaci di lasciare le persone libere. In Rai uno dei più grandi direttori che ho avuto è Guglielmi, ,ma anche con Coletta mi sono trovata benissimo. Stessa cosa è avvenuta in Mediaset con altri dirigenti. Poi, sia in Rai sia in Mediaset ci sono stati direttori con cui non ho avuto alcun tipo di feeling. Con le maestranze e i colleghi di lavoro, invece, è andata benissimo da ambo le parti. Per me, sia Rai sia Mediaset sono famiglie".
Lei è figlia di partigiano ed è stata definita per molto tempo la 'coscia lunga della sinistra'. Le ha mai dato fastidio questa definizione?
"No, era una battuta anche venuta bene. Mi ci ritrovo anche se non ho mai fatto parte di nessuna lobby. Sono sempre stata di sinistra. Forse è rimasta solo la coscia, ma di sinistra".
Cosa pensa della sinistra di oggi?
"Sinceramente non voglio dare giudizi di questo genere. La politica è troppo lontana dai miei interessi perché è fatta solo di sondaggi, c'è poco cuore e troppo carrierismo. Mancano le passioni. Non siamo certo all'epoca di Matteotti o Berlinguer...".
Il Pd fa bene a non cedere sul ddl Zan?
"Sinceramente non lo so. Penso che il dialogo sia sempre un'ottima soluzione e che l'importante sia trovare una chiave, una lettura. Alle volte non aprire al dialogo può essere un errore".
Cosa pensa della crisi che sta vivendo il Movimento?
"Guardi, glielo dico con tutto il cuore: non sto seguendo perché mi sono disinnamorata totalmente della politica italiana. È un periodo in cui i giochi della politica non mi interessano. La politica è troppo legata agli interessi personali, di lobbies e di voti. Non riesco ad appassionarmi ai numeri e ai sondaggi. È come quando la tua squadra di calcio fa un gioco che non ti interessa più. Mi dichiaro anarchica e mi interessa solo seguire il mio istinto che di volta in volta prende decisioni senza condizionamenti di nessun genere".
Qual è stato il suo più grande amore?
"Me stessa. Poi, certo la persona che mi ha voluto più bene è Giuseppe Lanza di Scalea. Sarei cattiva, però, se dicessi che altri non sono stati altrettanto importanti però l'amore veramente irrinunciabile è quello per la mia dignità e sicuramente quello per mio figlio".
Lei ha rivelato di aver avuto un tumore all'età di 37 anni. Quanta paura ha avuto del Covid e delle malattie in genere?
"Non posso avere paura del Covid perché l'ho già preso e ho già fatto anche due dosi di vaccino. Ho più paura dell'ignoranza più che del Covid. Alla lunga uccide più l'ignoranza del Covid".
Francesco Curridori. Sono originario di un paese della provincia di Cagliari, ho trascorso l’infanzia facendo la spola tra la Sardegna e Genova. Dal 2003 vivo a Roma ma tifo Milan dai gloriosi tempi di Arrigo Sacchi. In sintesi, come direbbe Cutugno, “sono un italiano vero”. Prima di entrare all’agenzia stampa Il Velino, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione e in Editoria e Giornalismo alla Lumsa di Roma. Dal 2009 il mio nome circola sui più disparati giornali web e siti di approfondimento politico e nel 2011 è stata pubblicata da Aracne la mia tesi di laurea su Indro Montanelli dal titolo “Indro Montanelli, un giornalista libero e controcorrente”. Dopo il Velino ho avuto una breve esperienza come redattore nel quotidiano ‘Pubblico’ diretto da Luca Telese. Dal 2014 collaboro con ilgiornale.it, testata per la quale ho prodotto numerosi reportage di cronaca dalla Capitale, articoli di politica interna e rumors provenienti direttamente dalle stanze del “Palazzo”.
(ANSA il 7 ottobre 2021) Sono state assolte Alba Parietti e Selvaggia Lucarelli al termine del processo a Milano in cui erano imputate per diffamazione l’una nei confronti dell’altra dopo essersi querelate a vicenda per via di una querelle che era nata nell’edizione del 2017 del programma “Ballando con le stelle”. A deciderlo è stata stamane la sesta sezione del tribunale al termine del dibattimento che ha messo fine a una vicenda giudiziaria che va avanti dal 2018. All’epoca la giornalista e blogger, difesa nel processo dal legale Lorenzo Puglisi, era giudice del programma di primaserata del sabato sera, mentre il noto volto tv era ballerina-concorrente. Le infuocate polemiche tra le due nello studio tv avevano poi generato uno scontro via social e per questo, a causa di denunce reciproche, sono finite in un’aula di giustizia. Il giudice nell’assolvere Alba Parietti ha riconosciuto che le sue parole sarebbero state una reazione alle espressioni della blogger. “E’ stato riconosciuto – ha spiegato l’avvocato Filippo Schiaffino, il difensore di Alba Parietti – la correttezza del comportamento della mia assistita che durante quel periodo si è risentita per i continui attacchi. Oggi per lei si chiude, dal punto di vista penale, una vicenda che l’ha molto preoccupata”.
Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 4 luglio 2021.
Alba Parietti, quanti se ne sente?
«Trenta».
Sono 60. Ripercorriamoli per immagini. Ne scelga una per l'infanzia.
«Via Buttigliera 5, a Torino. Sono sul balcone che aspetto mio padre dal lavoro. Lo vedo arrivare e poi usciamo, mi porta a fare una passeggiata o a giocare la schedina. Al bar mi fa giocare a flipper, salgo su una sedia perché non ci arrivo. Di quell' età è anche l'immagine di mia mamma che prepara panini con la Nutella e Coca Cola con ghiaccio per i miei amichetti».
Adolescenza.
«Sono una ragazzina bella, ma inconsapevole. Ho i capelli lunghi e scompigliati, piaccio a tutti i maschi. Sono uno strano animale aggressivo, spudorata, e racconto un sacco di balle: una è che ho fatto una puntura contro il dolore, la mia amica Patrizia Perrone mi tira i pizzicotti e io resisto anche se soffro; un'altra è che ho un'amica che vive in Francia e fa una vita meravigliosa, quella che vorrei per me».
Anni Ottanta.
«Fingo di passare per caso davanti alla sede Rai di Torino vestita di leopardo, con i capelli cotonati con il frisé, non sembro una che ha studiato dalle orsoline con Marco Travaglio.
Attiro l'attenzione e Jerry Calà mi chiede il numero di telefono. Un giorno chiama a casa e mi invita a raggiungerlo con I Gatti di Vicolo Miracoli e conosco Franco Oppini, che diventerà mio marito e il padre di mio figlio Francesco. Da lì vengo catapultata in un mondo diverso, comincio a lavorare nelle tv private, faccio la valletta di Amanda Lear, per me una dea...».
Anni Novanta.
«Tutto quello che non potevo neanche immaginare si avvera. Sono seduta sullo sgabello di Galagoal a Telemontecarlo, un'intuizione di Ricardo Pereira, e da lì stravolgo la messa cantata del calcio maschile. Ho una gran faccia tosta, ostento una sicurezza che mette a disagio gli uomini, ma sono preparata, mi aiutano dalla redazione e studio tanto. Da quel momento tutti si accorgono di me, Rai, Mediaset, mi chiamano Berlusconi, Agnelli, vengono in trasmissione Maradona e Pelè, scrivono di me il New Yorker, Le Figaro ...».
Merito anche delle gambe accavallate sul famoso sgabello. Più di lei solo Sharon Stone.
«Ma lei è arrivata dopo. Quel gesto rappresentava consapevolezza e distacco. Distraevo il pubblico con le gambe, ma poi lo tenevo inchiodato con le argomentazioni. Certo, c'era anche un po' di narcisismo. Pensare che quello sgabello serviva a tutto: trucco, telegiornale, trasmissione. Chissà che fine ha fatto».
Anni Duemila.
«È quando capisco che non sono immortale. Ho appena compiuto 40 anni, arrivo da un paio di sconfitte professionali e sentimentali, quella con Christopher Lambert è stata bruciante. Vado in vacanza da sola in Sardegna a Porto Cervo e in 23 giorni mi faccio vedere a 23 feste, ogni sera con un abito diverso. Una donna che si sente mia rivale dice: "Alba crede di essere ancora molto bella..."».
Duemiladieci.
«Divento l'ospite per eccellenza. Penso di aver inventato il mestiere di opinionista, con Vittorio Sgarbi. Faccio la tuttologa e suscita molte antipatie. Ma io non improvviso mai, mi preparo. Come quando Boutros-Ghali, ai tempi segretario generale delle Nazioni Unite, aveva chiesto di essere intervistato da me per uno speciale Tg1 e una importante giornalista tv disse: "Beh, allora perché non lo fate intervistare dalla mia portinaia?". E invece scomodai economisti, politici, lavorai per una settimana con i miei autori. Arrivai super preparata».
Se le chiedo che lavoro fa oggi?
«Faccio Alba Parietti. È un marchio che ancora funziona piuttosto bene».
Che cosa l'ha fatta guadagnare di più?
«Ah beh, gli anni Novanta furono un pozzo di guadagno incredibile. Dopo Galagoal cominciarono a offrirmi 35 milioni a puntata, qualunque cosa facessi. Firmai un contratto con la Ip per un miliardo. È vero che come ho già raccontato rinunciai ai 9 miliardi che mi offriva Berlusconi per lavorare tre anni a Mediaset, ma forse ne guadagnavo due l'anno».
Di quale cosa è più orgogliosa?
«Di Grimilde, perché era un programma scritto da me con Giovanni Benincasa. Di Galagoal, perché ho inventato un nuovo modo di fare televisione. Di Macao, perché Boncompagni ci lasciava liberi di fare qualsiasi cosa. Poi della tournée teatrale Nei panni di una bionda. E del libro Da qui non se ne va nessuno, perché scritto grazie ai diari dei miei genitori».
È vero che fece svenire Alain Delon?
«Sì, dovevamo partecipare entrambi ad Amici. Non ci vedevamo da molto tempo, lui era risentito perché avevo avuto liaison con il suo avvocato. Ma vede, Delon non era mai stato l'oggetto dei miei desideri perché era troppo bello, troppo perfetto. Comunque, a distanza di tanto tempo ci incontrammo di nuovo e io fui affettuosissima, come se non fosse successo niente. Lui andò in crisi e si sentì male. Racconta che l'ho fatto svenire io».
Ha incontrato tantissime persone. Chi l'ha emozionata di più?
«Come scegliere... Elton John, conosciuto a casa di Gianni Versace, il simpaticissimo Jack Nicholson, David Copperfield, i Duran Duran, Oliver Stone, Bloomberg. La cosa bella è che quelli che erano i miei miti sono diventati miei amici: penso a Claudio Baglioni, di cui ero innamorata, ad Antonello Venditti, Fabrizio De André, Gianni Morandi. Una volta in aereo Luigi Lo Cascio mi chiese l'autografo: lui a me! Forse però l'incontro più sconvolgente, emotivamente più forte, è stato con Ezio Bosso».
Perché?
«Era una delle poche persone davanti alle quali mi sentivo in soggezione. Nella sua tragedia immane ha messo in scena la sua malattia, condividendola con la musica. Sarebbe bello raccontare questi personaggi anche nelle zone d' ombra, perché hanno sviluppato il genio attraverso grandi dolori che li hanno resi crudeli. Con lui fu un rapporto devastante».
Avete avuto una storia?
«Non c' è nulla di male nell' ammettere che ci sia stata una storia, complessa, dolorosa e pericolosa, irripetibile, che mi è costata moltissimo sul piano emotivo, ma che sono felice di aver vissuto. È stato un sogno a tratti meraviglioso, fuori da ogni logica umana».
A ottobre dello scorso anno è mancato Giuseppe Lanza di Scalea, suo grande amore. Che effetto le ha fatto?
«Lui in assoluto, oltre a essere uno degli uomini più importanti della mia vita, era quello di cui mi fidavo di più. Era davvero il Gattopardo. Ho avuto la fortuna di avere una grandissima confidenza con lui, uomo di etica e di pensiero. La sua malattia non l'ho vissuta perché aveva una compagna ed era giusto che fossi più defilata, ma se avessi potuto staccarmi un braccio per farlo stare meglio lo avrei fatto».
Chi l'avvisò della morte?
«Sua figlia Giulia, per me un riconoscimento: sapeva quanto bene ci volevamo. Quando ho letto il messaggio, è stato l'unico momento in cui mi sono permessa di piangere. La morte di Giuseppe, dopo quella dei miei genitori, ha rappresentato la perdita della famiglia».
Non dica così: lei ha Francesco, suo figlio.
«Sì, certo. Ma lui ha la sua vita, i suoi amici, il suo futuro. Giuseppe era mio pilastro, amico, non potevo immaginare che potesse non esserci più. Di certe cose potevo parlare solo con lui. È stato un dolore così violento, che è stato come cadere in un lago melmoso con una pietra al collo: potevo solo scegliere se vivere o morire e niente come il nostro lavoro ti fa restare a galla e ti permette di andare avanti nonostante l'abisso sul quale cammini».
È andata a salutarlo a Palermo?
«No, ma lo farò. Da poco in Spagna ho incontrato un suo caro amico e ci siamo abbracciati e lo abbiamo ricordato così».
È vero che ha salvato la biblioteca personale di Lev Tolstoj a Jasnaja Poljana?
«Salvata con i miei soldi. L' Associazione Italia-Russia di Bologna lanciò l'appello a Domenica in per salvare la biblioteca, che rischiava di essere devastata dai topi, dall' umidità: i libri andavano rilegati. Chiesi quanti soldi ci volevano, dissero 15 milioni di lire e li misi io».
Quale riconoscimento l'ha resa più felice?
«La mia vanità è stata più appagata quando il New Yorker mi ha raccontata come quella che incantava le star di Hollywood: ero come Cenerentola al ballo. Ma anche di Fellini ho un bel ricordo».
Racconti.
«Mi chiamava "faccia da mascalzone". Purtroppo il mio segretario ha buttato le lettere che mi aveva scritto».
E non lo ha licenziato?
«No, non si affidano agli altri le cose importanti, ho sbagliato io».
Quale successo avrebbe voluto condividerlo con i suoi genitori?
«Loro ne hanno vissuti tanti. Forse avrei voluto condividere adesso quello di mio figlio Francesco. Lo vedevano come la parte fragile di due genitori che litigavano sempre. Nulla avrebbe reso più orgogliosa mia madre del successo che ha ottenuto dopo il Grande Fratello Vip: è frutto della loro educazione, è un ragazzo equilibrato, perbene, buono, gentile».
Se avesse potuto richiamare in vita qualcuno la festa dei 60 anni chi sarebbe stato?
«I miei genitori e Giuseppe, ognuno per un motivo diverso. Mio padre per mostrargli che tutto ciò che ha fatto ha dato i suoi frutti e che non ho tradito il partigiano che lui era. Mia madre per dirle che se avessi potuto scegliere tra mille madri avrei scelto ancora lei, con la sua follia e genialità. E Giuseppe perché è e rimarrà sempre il mio migliore amico».
Da blitzquotidiano.it il 6 maggio 2021. Alba Parietti: “Il sesso era la mia dipendenza ma quasi tutti gli uomini hanno fatto cilecca la prima volta. Padre Georg Gänswein il mio sogno erotico”. Queste le dichiarazioni rilasciate dall’attrice a Permesso Maisano, trasmissione in onda su Tv8 nella tarda serata di mercoledì. Alba Parietti e il sesso: “Tutti i maschi alfa hanno fatto cilecca con me la prima volta”. “Sono stata forse ossessionata per anni dal sesso, ma da questo punto di vista la menopausa mi ha liberata. Quasi tutti gli uomini che ho conosciuto hanno fatto cilecca la prima volta. Tranne un paio, giuro, tutti. Soprattutto sono proprio i narcisisti che hanno fatto spesso cilecca. Hanno una tale aspettativa su se stessi che si caricano di una grossa aspettativa – ha commentato -. Diciamo che poi si sono molto rifatti nel tempo, ma la prima volta è stata abbastanza complicata per tutti. Ma non perché fossero innamorati, ma perché pensavano: ‘ho la Parietti, devo dimostrare il mio valore’, chissà pensavano a quale tigre del materasso”. Alba Parietti: “Sognavo di fare sesso con Padre Georg Gänswein”. “Il mio sogno erotico era Padre Georg Gänswein. Una volta l’ho incontrato in treno e non ho smesso di fissarlo per tutto il viaggio. Poi gli ho chiesto l’assoluzione. Lui mi ha domandato se mi fossi pentita e quando io ho risposto di no, lui non mi ha concesso l’assoluzione”.
Da "Chi" il 29 giugno 2021. Sul numero di Chi in edicola da mercoledì 30 giugno, Alba Parietti festeggia i suoi 60 anni con un'intervista esclusiva. «Dico di avere 60 anni da circa un anno, non ho mai nascosto la mia età. Anzi, avrei voluto fare il video de “La vacinada” con Checco Zalone al posto di Helen Mirren, ed essere la “veccia muchacha immunizada” (ride, ndr). Quando le donne si libereranno dall’idea che, per stare bene, devono piacere a un uomo e avere le caratteristiche di una ventenne, anche se gli uomini cadono a pezzi peggio di noi, avranno vinto». Sempre a proposito degli uomini, dice: «Viviamo in un’epoca di narcisismo, il mio rapporto con loro è lo stesso che c’è fra un mago e uno che svela i suoi trucchi. Non sopporto di essere sottovalutata, invece gli uomini vogliono fare il gioco delle tre carte con me e vogliono che ci caschi lo stesso. Sono tranquilla perché non cerco una relazione. La vivo solo nel periodo in cui gli uomini danno il massimo, quella del “love bombing”, il bombardamento d’amore. E, appena entrano nella fase della “svalutazione”, passo al narcisista successivo (…) Non avrei voluto che fosse “per sempre” con nessun uomo perché sarebbe arrivato il momento in cui l’avrei ferito. Ho scelto di essere libera per non mettere mai in ridicolo una persona che ho amato». «Mi ronza intorno una marea di gente, soprattutto uomini molto giovani, ma anche qualche vecchio marpione della mia età. Mi diverto a farmi corteggiare». E svela uno scoop: «È difficile imitarmi perché sono un camaleonte, prendo la forma e il colore di quello che ho intorno. Farò “Tale e quale show” proprio perché non sono mai rimasta tale e quale a me stessa. E vorrei imitare anche qualche uomo, mi sento molto fluida». Della politica rivela: «La sinistra non mi ha mai considerata candidabile, è troppo snob. Con Berlusconi ne abbiamo parlato, ma non avrei mai potuto farlo per la mia storia personale che mi avrebbe impedito di avere a che fare con i partiti alleati di Forza Italia, parlo di Salvini e della Meloni. E Berlusconi, che secondo me crede nelle mie capacità e conosce la mia storia di figlia di un partigiano e la rispetta, non me lo ha mai proposto». «Rifiutare anni fa la sua generosa proposta di passare in esclusiva a Mediaset? È stato un gesto sconsiderato, ma in quegli anni ho lavorato comunque tantissimo, con il senno di poi 9 miliardi erano una bella cifra, ma ho creato lo stesso le mie sicurezze negli anni, con un po’ più di fatica. Una volta Briatore mi disse: “Se fossi stata fidanzata con me e non con Bonaga, ti avrei costretta a prenderli”; “tranquillo che, con i nostri caratteri, non avremmo mai potuto essere fidanzati”, gli ho risposto». Sul numero di Chi in edicola da mercoledì 30 giugno, Alba Parietti festeggia i suoi 60 anni e svela le sue intenzioni per il futuro: «A questo punto posso avere solo cattivi propositi, è iniziato il conto alla rovescia e spero solo di avere ancora una quarantina di colpi da sparare. Sono pericolosa perché chi ha subito un danno sa che può sopravvivere, e non sono più vulnerabile alle lusinghe e alle bugie. Il calo del desiderio ti fa essere lucida, ho un amore smodato per la mia persona, sono felice, risolta, e voglio essere serena sapendo che dipende da me. Non sopporto i piagnistei delle donne della mia età che si fanno abbindolare solo perché non accettano la realtà e credono agli uomini. A 60 anni di solito le fiabe le racconti ai nipoti, non aspetti che sia il lupo a raccontartele. Lo stesso che, magari, per nasconderti alla moglie, ti ha registrato sul telefonino con un nome innocente tipo “Marco calcetto”. Le mogli dovrebbero fare uno squillo ogni tanto a questo “Marco calcetto” per vedere chi risponde (ride, ndr)». Fra gli uomini la Parietti salva solo i suoi ex («sono rimasta amica con tutti, è stato meglio così») e suo figlio Francesco, rivelazione del “Gfvip”: «Il segreto del nostro legame? Che ci vediamo poco, non viviamo più insieme e lui mi manda spesso a quel paese. È sempre stato autonomo, non ha mai subìto il mio ruolo. Adesso si è sdoganato da questa immagine, anzi, molti gli dicono che è meglio di me e lo trovo un gran complimento. Quando andiamo in giro e fermano lui per la foto sono fiera. Lo vedo felice, realizzato, sicuro, brillante». E, infine, scherza con il passare del tempo. «Il mio epitaffio? “Sono stata tutto ciò che desideravo essere e, soprattutto, sono stata Alba Parietti. Nessuno è perfetto...”».
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” l'1 settembre 2021. Alba Rohrwacher è l'attrice dei Festival. E alla Mostra ne porta due, di due registe donne: Maggie Gillenhaal e Laura Bispuri. Fiorentina, 42 anni, da piccola voleva fare l'acrobata al circo, è cresciuta in campagna col padre tedesco apicoltore che gli ha fatto scoprire Bach. Sua sorella è la regista Alice, abituata ai premi anche lei. Alba buca lo schermo col suo volto così poco italiano, con la sua grazia rivestita di una sorta di seconda innocenza ma che nasconde una sottile inquietudine che trasmette alle donne da lei interpretate, tutte con un dilemma, una frattura. Il regista dei suoi sogni? «Kubrick».
Venezia, Cannes, Berlino
«Sono legata a tutti e tre i festival in modo diverso, è sempre un po' come far parte di una piccola banda di soldati che, armati dei vestiti più belli, vanno a svelare, e a difendere, il lavoro fatto».
La sua prima volta al Lido?
«Era il 2004, avevo partecipato a un corto di Soldini e a L'amore ritrovato di Mazzacurati. Arrivai con un'amica e non so come mi ritrovai sul trappeto rosso alle tre del pomeriggio, tirandomi dietro il trolley. Non riuscivamo a trovare l'uscita e l'abbiamo percorso fino in fondo. Una scena assurda, goffa, da film. Per fortuna il tappeto era ancora deserto e pochi notarono le due ragazze con la valigia, finite per l'emozione dove non sarebbero dovute essere».
Ha vinto la Coppa Volpi.
«Nel 2014 con Hungry Hearts , è forse la prima volta in cui sono stata capace di gioire «senza ombre», sono stata davvero felice e non ho avuto paura di esserlo. Non mi sono sentita inadeguata o sbagliata. Piena di gratitudine per un film a cui avevo lavorato con amore, diretta dal mio compagno, Saverio Costanzo».
Invece ora veste leopardata nel film di Laura Bispuri.
«Ne Il paradiso del pavone sono un po' goffa, fragile, non mi sento mai davvero a mio agio. Il film racconta un lungo pranzo di famiglia, apparentemente normale, se non fosse per un piccolo grande evento che mette in discussione tutte le certezze... Questo è il nostro terzo film insieme. Con Laura, è come tornare a casa dopo un grande viaggio. E la casa può essere ovunque. Sa come condurmi, come portare la mia anima in posti a me ancora sconosciuti».
Poi è nell'esordio da regista di Maggie Gyllenhaal.
«Sono rimasta affascinata dalla sua delicatezza. Siamo entrate nel mondo di Elena Ferrante. The Lost Daughter , dal romanzo La figlia oscura che conoscevo già. La sceneggiatura è splendida e paurosa. Nel romanzo tutti i personaggi sono italiani e a un certo punto appare una coppia di stranieri. Maggie ha invertito i ruoli e in un film anglofono la straniera sono diventata io, l'italiana viaggiatrice».
C'è più intimità e complicità nel girare con registe donne o sono le persone a fare la differenza?
«Credo che la differenza la facciano le umanità diverse, piuttosto che i generi. Tra le registe donna con cui ho lavorato ci sono persone speciali e finire nella loro fantasia è stato un viaggio dolce, sempre in qualche modo familiare».
Lei ha detto che gli inizi non sono stati facili e in tanti hanno cercato di scoraggiarla.
«Kate Winslet ha raccontato di come alcuni insegnanti l'avessero scoraggiata. Anche io ho incontrato persone che mi avevano fatto capire che non c'era spazio per me, per la mia fisicità fuori dagli schemi, nel cinema italiano. A vent' anni, quando cercavo un agente, in un paio di occasioni la risposta fu la stessa: non ero fatta per il cinema».
Come reagì?
«Uscita da un incontro ho guardato la gonna bianca che avevo comprato per l'occasione. Ho questa immagine: il mio sguardo che si abbassa, probabilmente piangevo. Ma il pomeriggio sono andata a teatro, dove stavo provando uno spettacolo, e ho capito che la mia gioia era lì. Un lavoro, anche se piccolissimo, lo avevo. E quello mi bastava».
Il divismo una volta era legato al mistero, oggi alla condivisione. E' qualcosa che riguarda le attrici o piuttosto le influencer?
«Oggi mi sembra tutto capovolto. Se prima era legato ad una inaccessibilità, una lontananza e la fantasia veniva alimentata da ciò che era sconosciuto e per questo irraggiungibile, ora la condivisione estrema rende tutto vicino e quasi controllabile. Non so più se esiste una possibilità di divismo».
Quali film di Venezia vorrebbe vedere?
«Quelli italiani, tutti autori che stimo, e poi Jane Campion, Almodovar, Pablo Larrain, il mio amico Thomas Kruithof e tanti altri. Il programma è bellissimo, e finalmente si torna in sala insieme, tra sconosciuti. Solo l'idea di lasciarmi andare allo sguardo di un regista, di vedere un film insieme a tanti altri spettatori nel mistero della sala mi sembra un sogno».
· Al Bano Carrisi.
Elvira Serra per corriere.it il 30 dicembre 2021.
Al Bano positivo. Com’è possibile?
«Non riesco a spiegarmelo. Ho fatto tutte e tre le vaccinazioni, l’ultima il 6 dicembre, e anche quella anti-influenzale».
Sarà che a Natale eravate troppi?
«Ma no, non eravamo tanti. E tutti tamponati. A Zagabria, con Cristèl e Davor e i loro figli: Kay, di tre anni e mezzo, Cassia di due e la piccolina, Ryo, di tre mesi. C’era anche mia figlia Romina. È stato un Natale bellissimo».
Forse in aereo?
«Ma chi lo sa... In effetti sono stato parecchio in giro. In Croazia sono arrivato da Barcellona, dove mi ero esibito nella Basilica di Santa Maria del Mar per la Fondazione Montserrat Caballé: io e lei eravamo amici, avevamo fatto tanti concerti insieme. E prima ancora ero in Albania per una trasmissione televisiva andata in onda il 24 dicembre: ho anche incontrato il presidente Ilir Meta».
Magari può essere successo mentre rientrava in Puglia da Zagabria.
«Ho fatto tanti scali... Ma io mi sento benissimo, sto da Dio, non ho sintomi!».
Ha il naso un po’ tappato...
«Vero... Ma infatti mi sa che l’ho preso. L’ho scoperto per caso, andando a Mesagne a fare il tampone per il Capodanno di Canale 5 al Petruzzelli di Bari. Domattina (oggi, ndr) farò il molecolare: la speranza è l’ultima a morire. Intanto sono prigioniero di un maledetto invisibile virus».
Prigioniero, però a casa.
«Ma sì, con i miei figli Bido e Jasmine. E con Loredana».
Ritorno di fiamma?
«Romina e Loredana sono prima di tutto le mamme dei miei figli e perciò sacre. Questo non è frutto della mia mente, ma delle cose che ho ricevuto da piccolo».
Sua madre è mancata prima che scoppiasse l’epidemia.
«Se n’è andata in punta di piedi l’11 dicembre 2019. Ormai era alla fine del suo cammino terrestre...».
Nel video che ha postato su Instagram dice di non capire i no vax. Eppure ne avrà incontrati in questi quasi due anni.
«Sì, qualcuno l’ho incontrato. Ma che gli devi dire? Non so neanche perché diventino no vax. Con tutto quello che succede intorno è come se uno mette la mano sul fuoco e poi dice che non brucia. Per loro il fuoco è soltanto fantasia, lo vedono gli altri. Invece questa è la Terza guerra mondiale e il nemico squallido è il virus».
Le ha cambiato tanti piani?
«Intanto per come mi sento avrei cantato anche l’ultimo dell’anno, ma devi sottostare a queste sacrosante regole che vanno rispettate. Però tutta la mia tournée è in stand-by. A marzo dovrei andare negli Stati Uniti. Vedremo».
A Cellino San Marco come si è organizzato con la sua famiglia?
«Stiamo a 4-5 metri di distanza e sempre con le mascherine Ffp2. Io cucino per tutti, perché è la mia passione: per pranzo ho preparato il dentice arrosto, l’insalata di sedano dell’orto e la frutta del giardino. E poi prendo aria: oggi era una giornata fantastica e ho girato parecchio nel bosco, tra gli animali».
Il suo villaggio turistico ha risentito della crisi?
«Come tutte le attività. Anche perché poi le tasse arrivano lo stesso puntualissime! Non mi considero un imprenditore, ma piuttosto un uomo passionale: tutte le cose le ho fatte per grande passione e, siccome detesto i tempi morti, quando non cantavo facevo il resto, dalla cantina dei miei vini al villaggio turistico».
Per Capodanno avete molte prenotazioni?
«So che è pieno, ma non potrò farmi vedere, anzi. Gliel’ho detto: sono prigioniero, proprio come Gulliver».
Romina Power: «Albano? Non so perché sia finita. Vorrei rivivere un giorno con Ylenia, non smetterò mai di cercarla». Walter Veltroni su Il Corriere della Sera il 20 dicembre 2021.
«La mia esistenza a volte sembra un film: mio padre Tyrone è mancato troppo presto, sono come un albero a cui hanno tagliato le radici».
Romina Power insieme con Al Bano Carrisi:e con i figli Ylenia e Yari. Al Bano e Romina si sposarono a Brindisi il 26 luglio 1970. Insieme hanno avuto 4 figli
Romina, vorrei cominciare da tuo padre e tua madre.
«Mio padre purtroppo mi è stato sottratto troppo presto: la vita ci ha concesso solo pochi anni insieme. I miei genitori si sono divisi quando io ne avevo cinque e sono stata mandata con mia sorella Taryn dalla nonna in Messico che, puntualmente, ci ha messo in un collegio di suore, il Marymount di Cuernavaca. Quindi lo vedevo davvero poco. L’attaccamento c’era sempre. Dalle poche foto che ho di noi insieme, si capisce che c’era un forte feeling tra noi. Poi le letterine, le missive che io gli spedivo e che lui scriveva a me e a mia sorella. Purtroppo è stato nella mia vita un grande vuoto, come un albero a cui siano state tagliate quasi tutte le radici. Se lui fosse vissuto, la mia vita sarebbe stata completamente diversa. Molto più ricca, molto più completa. Mia madre invece ha vissuto fino a ottantasette anni e l’ho accompagnata nel viaggio finale di questa vita negli ultimi quattro. Stava molto male, aveva un tumore al colon. Viveva in California, a Palm Springs. Io ho mollato tutto e mi sono dedicata solo a lei. I dottori nel 2008 le avevano dato quattro mesi di vita, con me ha vissuto quattro anni».
La primogenita Ylenia, scomparsa a New Orleans il 1° gennaio 1994: aveva 23 anni
Di tuo papà hai qualche ricordo personale?
«No, ricordi veri non ne ho, ho solo ricordi di sogni. Per un periodo ho girato il mondo per intervistare persone che lo avessero incontrato. Stavo scrivendo un libro su di lui che si intitola C’ercando mio padre. In quella fase l’ho sognato varie volte. Nei sogni c’erano dei veri e propri incontri con papà. È tutto quello che ho».
Cosa ti diceva in questi sogni?
«Alcune volte scendevo in una grotta. Ci guardavamo in uno specchio e lui diceva: “Vedi quanto sei simile a me?”».
Dell’immagine cinematografica di tuo padre cosa ti è restato?
«Tantissimo, era l’unico modo per studiarlo, per conoscerlo. Ho guardato tutti i film possibili e immaginabili, tutte le interviste. Mi piacciono molto le interviste che lui ha fatto per qualche trasmissione americana: sento la sua voce e vedo com’era davvero come persona. Come si muoveva, cosa pensava. Sappiamo che era un bravissimo attore, sappiamo che però purtroppo non si è potuto realizzare fino in fondo. Lui amava il teatro e i progetti ambiziosi. Oggi sono felice di vedere che un regista come Guillermo del Toro ha girato una sua versione di La fiera delle illusioni. Il remake di un film del ‘47 che mio padre ha dovuto insistere per far produrre dalla Fox. La major non voleva che il suo divo per eccellenza si mostrasse in un ruolo così ingrato. Che un eroe dell’immaginario mostrasse fragilità. Guillermo del Toro sono sicura che ne abbia fatto un capolavoro. Lui mi ha invitato sul set a gennaio dell’anno scorso, quando ha iniziato le riprese, perché voleva un collegamento con Tyrone Power, e sono molto contenta di apparire con un cameo in una scena. Mi sembra un giusto omaggio a mio padre».
Ricordi come sapesti della sua morte?
«Ho rimosso tutte le cose che riguardavano mio padre, forse per soffrire di meno. Avevo sette anni. I miei ricordi d’infanzia iniziano dopo la sua morte, non prima. Però mi è stato raccontato che mia madre è arrivata in Messico, ci ha prese sulle sue ginocchia e ci ha detto “Vostro padre adesso sta con Dio, non sta più qui con noi sulla terra”. Si racconta che io ho guardato in alto e ho commentato: “Forse sta meglio con lui, che con quella donna”. Parlavo della moglie che aveva all’epoca».
Come è stato il collegio?
«Non sento mai racconti molto positivi sui collegi delle suore, ma il Marymount era diverso. In verità a Cuernavaca, dove andammo da bambine, c’era un bellissimo clima tropicale. Giocavamo molto all’aperto, erano suore che facevano sport insieme a noi. Insomma non era una cosa chiusa, cupa, triste. Poi sono passata direttamente al Marymount di via Nomentana a Roma, e lì mi ha preso un raptus mistico cristiano cattolico quando mi preparavo alla cresima. Per un periodo, un breve periodo, ho pensato: “Non sarebbe male farmi suora, da grande”. Mi sembrava una vita bella e tranquilla».
«DA PICCOLE IO E MIA SORELLA TARYN SIAMO SEMPRE STATE IN COLLEGIO. IL PERCHÉ BISOGNEREBBE CHIEDERLO A MIA MADRE»
Perché sei venuta a Roma ad un certo punto?
«Mia madre si è risposata con Edmund Purdom, l’attore. Si sono chiesti dove vivere. A tutti e due piaceva Roma. Negli Anni 60 a chi non piaceva? Era un paradiso, era bellissima. Hanno preso una villa sull’Appia Antica e noi dal Messico siamo state portate a Roma. Però sempre in collegio».
Anche quando eravate a Roma con vostra madre stavate in collegio?
«Sì, sì».
E perché?
«Bisognerebbe chiederlo a mia madre. Forse per lei era più semplice. Così ha affidato tutta la nostra educazione a qualcun altro. E forse è stato un bene perché, dopo il Marymount a via Nomentana, siamo passate in un collegio bellissimo in Inghilterra. Nel Kent. Lì mi si è aperto un mondo».
Raccontami il tuo arrivo nella Swinging London degli Anni 60.
«La Swinging London degli Anni 60 l’ho vissuta con il mio primo fidanzato che era Stash, il figlio del pittore Balthus. Era amico dei Rolling Stones, dei Beatles, degli Who. Vivere a Londra con lui era una cosa fantastica. Andavamo a casa di Paul McCartney o ad un concerto degli Who che vedevamo da dietro le quinte. C’erano Carnaby Street e l’arte contemporanea nelle gallerie d’arte: era una festa continua. Recentemente ho visto Get Back. L’ho guardato tra risate e pianti, perché è la cronaca dell’ultimo loro concerto e del loro ultimo disco. Seguivo i Beatles, compravo ogni loro disco, mi ispiravano. In quel tempo mi sembrava che il mondo andasse per il verso giusto. C’era un vento nuovo, la sensazione, non infondata, che tutto stesse cambiando e che tanti muri stessero crollando. Però se confronto quelle speranze, quei sogni, con la realtà cupa del tempo che stiamo vivendo, mi viene il magone».
Che ricordi hai dei Beatles?
«Ho conosciuto Paul McCartney più degli altri. A casa sua ti devo confessare che mi sono affacciata un attimo e ho scoperto la cucina più sporca che avessi mai visto. Piatti accatastati uno sull’altro, dovevano essere giorni e giorni in cui non era stato toccato niente. Sono rimasta scioccata e sorpresa da quella situazione. Lui era molto alla mano, simpatico. Stava con Jane Asher, all’epoca».
«IL MIO PRIMO FIDANZATO ERA IL FIGLIO DI BALTHUS. ANDAMMO A CASA DI PAUL MCCARTNEY, AVEVA LA CUCINA PIÙ SPORCA MAI VISTA»
E poi sei tornata a Roma. Perché e quando?
«Sono tornata per un’estate di vacanza all’Helio Cabala. Una sera stavo ballando lì con Taryn e le due figlie di Edmund Purdom, come facevamo ogni giorno. Quando facevamo il nostro numerino di shake, in pista si faceva largo intorno a noi. Dopo una di queste esibizioni, stavo bevendo, si avvicina una persona che si presenta come talent scout della De Laurentiis. Mi dice di essere alla ricerca di una giovane ragazza per il prossimo film con Ugo Tognazzi. Mi parla di cinema, per la prima volta. A me si spalancano gli occhi: in collegio scrivevo recite, interpretavo la parte principale, poi la dirigevo, ero molto coinvolta nelle recite scolastiche. Corro da mia madre che è un po’ meno entusiasta, ma la convinco prima a posare per delle fotografie per vedere se ero fotogenica, poi a fare un provino cinematografico con Franco Indovina, il regista. Avevo tredici anni e vengo scelta per la parte di Stella in Ménage all’italiana. Mi offrono anche un contratto di sette anni con la De Laurentiis. Alla fine, dopo tanto supplicare, mia madre accetta per il film. Ma non per il contratto di sette anni. Io, finite le riprese, volevo ritornare in collegio. Ma la preside disse di no: “Noi seguiamo il nostro time-table, non quello di Romina. Doveva tornare all’inizio dell’anno. Che rimanga pure dove sta”. Quindi non mi hanno più voluta nel collegio. Insomma, ho iniziato a fare un film dopo l’altro».
Ne hai fatti di varia natura....
«Se avessi scelto meglio, avrei avuto una carriera cinematografica un po’ più di spessore. All’epoca avevo tredici anni, cosa potevo sapere di quale fosse la cosa giusta da fare.... Ti lanci e segui il flusso».
Quando sei rimasta a Roma Taryn era con te?
«No, Taryn ha continuato a studiare, è rimasta in collegio. Mia madre diceva: “Taryn deve finire gli studi”. Io invece lavoravo per sostenere me, mia madre e tutta la famiglia».
«INIZIAI A RECITARE A 13 ANNI IN “MÉNAGE ALL’ITALIANA” E LASCIAI LA SCUOLA. LAVORAVO PER ME, MIA MADRE E TUTTA LA FAMIGLIA»
Poi hai cominciato a fare i “musicarelli”. Mi racconti l’atmosfera di quegli anni?
«Il mio quarto film era Nel sole. Quando leggevo il copione vedevo scritto ogni tanto: “canzone di Al Bano”. Ma io non sapevo chi fosse. Prima hanno fatto un provino cinematografico per vedere se Al Bano ed io, come coppia, eravamo credibili sullo schermo. Pare che piacessimo. Il produttore era Gilberto Carbone, della Mondial Te-Fi. In realtà lui produceva questi film per salvare la Titanus che si era indebitata con Il Gattopardo e altre opere di spessore. Nel sole è stato un successo strepitoso, non solo in Italia. Quando siamo andati a Teheran in Iran, nel ‘69, per un concerto che doveva fare Al Bano, c’era una folla esagerata all’aeroporto, neanche arrivassero i Beatles. Noi sull’aereo ci guardavamo intorno per vedere chi ci fosse a bordo, non potevamo pensare che tutta quella gente era lì per noi. Poi ci hanno portati via di corsa da sotto l’aereo. Mia madre, che era rimasta dietro, era imbestialita perché lei neanche l’avevano riconosciuta, non sapevano chi fosse. A volte la mia vita sembra un film».
Lo è sicuramente. Ti faccio la domanda che quasi tutti gli italiani si sono fatti allora e non hanno smesso di farsi. Credo che non ci fossero due persone per natura, estrazione, caratteristiche, più diverse di te e Al Bano. Cosa è scattato?
«Una mia figlia, Romina, ha fatto un’analisi accurata della situazione e ha così sintetizzato: “Una hippie e un contadino andranno sempre d’accordo”. Troveranno sempre un punto d’incontro: la natura, l’amore per gli animali, per il canto delle cicale d’estate. E poi la musica, perché scrivevamo molte canzoni insieme, anni fa».
E perché poi è finita ad un certo punto questo amore tra un contadino e una hippie?
«Questo non si sa. Ogni rapporto ha una parabola. Niente può durare in eterno, secondo me».
Qual è il film che sei più orgogliosa di aver girato nella tua carriera?
«Ancora lo devo fare. Come attrice non credo di aver dato un granché, francamente. Non mi è capitato di lavorare con qualcuno che mi ispirasse a tal punto da tirare fuori proprio il meglio di me».
E invece la canzone a cui sei più legata?
«Più che la canzone mi piacciono i progetti che ho realizzato da solista. Ho portato a termine degli album che ho seguito dall’inizio alla fine, come produttrice, autrice, cantante. Ce n’è uno che si intitola Da lontano. Ho impiegato una quindicina d’anni a mettere al mondo quell’album e ancora adesso mi piace la sua qualità».
Tu hai sempre dipinto...
«Sempre. Ecco una cosa bella che mi ha lasciato mia madre. Anche lei dipingeva molto in casa. Era molto dotata anche come pittrice, come ritrattista. Sono cresciuta tra colori e pennelli e a tredici anni ho iniziato ad affrontare tele da un metro per due. Poi ho voluto trovare uno stile mio, diverso da quello di mia madre. Con la spatola, molto materico. Però la prima mostra personale non l’ho fatta fino al 2000».
Ho visto che dipingi utilizzando spesso, come suggestione, le fotografie.
«Sì, realizzate da me. Sai che qui in Puglia ho ritrovato per caso circa ottomila diapositive ektachrome che ho scattato nell’arco di trent’anni? Una cosa incredibile, me ne ero dimenticata».
Che rapporto c’è tra fotografia e pittura per te?
«Ti faccio un esempio: portavo i bambini a scuola la mattina, qui in Puglia. Vedo un uomo su un carretto con un cane che cammina dietro. Come faccio a dipingerlo? Lo devo fissare in qualche modo. Allora lo fotografo e poi, con il carboncino, riporto sulla tela quello che ho reso eterno. Realtà e sua deformazione viaggiano insieme».
Ci sono delle foto molto belle tue e di Taryn. Che rapporto avevate?
«Siamo cresciute insieme, abbiamo vissuto sempre insieme tutte le nostre avventure, siamo diventate grandi insieme. Il suo pensiero mi apriva sempre delle nuove finestre, soluzioni alle quali non avrei pensato. Lei era molto analitica, aveva un pensiero trasversale ed era molto diversa dal modo di ragionare di chiunque altro io conoscessi. La sua opinione mi interessava e mi sorprendeva sempre molto. Ora lei mi manca, molto».
Sanremo che esperienza è stata? Sei stata lì diverse volte.
«Traumatica, per me. Non riesco a concepire canzoni in gara una contro l’altra. Per me ogni canzone racconta una storia e racconta la creatività di un artista. Non esiste il dare un voto. A Sanremo il posto più tranquillo è il centro del palcoscenico, perché tutto intorno è un caos invivibile. Tutti ti vogliono, chiunque pretende qualcosa da te e se tu non corrispondi, passano in un momento dall’amore all’odio. Quando abbiamo vinto, perché quell’anno facevano le votazioni del Totip come fossimo cavalli, man mano che arrivavano i risultati il nostro produttore dell’epoca veniva da noi e diceva “Ragazzi, siamo nella merda” perché lui aveva puntato tutto su un altro cantante che aveva appena acquisito nella sua scuderia e quindi era incazzatissimo che io e Al Bano fossimo in testa. Ma poi dall’alto guardavo giù e vedevo, da dietro il palco, i Queen che si facevano i capelli in modo da gonfiarseli di più. Sanremo è così. Caos e competizione».
«NON SMETTERÒ MAI DI CERCARE YLENIA. LE MANCAVA UN ESAME PER LAUREARSI AL KING’S COLLEGE, A LONDRA. ERAVAMO VICINE, DA SEMPRE»
Romina, Al Bano e la figlia Ylenia (foto Mondadori portfolio/Angelo Deligio)
Se dovessi rivivere un giorno della tua vita, uno solo, quale sceglieresti?
«Lo sai che mi viene in mente, quando mi chiedi questo, la scena del film di Spielberg A.I. in cui alla fine viene concesso a una madre di vivere un solo giorno con il suo bambino? Ogni volta che lo vedo, non riesco a trattenere le lacrime. Se potessi scegliere rivivrei un giorno con Ylenia. Un giorno qualsiasi, con lei».
Tua figlia Ylenia è sparita nei primi giorni di gennaio del 1994. Tu non smetti di cercarla.
«Certo, non smetto. Non smetterò».
Che idea ti sei fatta?
«In quella città tremenda, New Orleans, ogni anno spariscono tantissime persone. Ovviamente non se ne parla molto, perché tutti hanno paura, non si capisce di cosa. Secondo me lei, come tante altre ragazze, sarà capitata in una di quelle situazioni dalle quali è difficile uscire, è difficile scappare. Non è capitato solo a Ylenia, succede a tante ragazze, purtroppo».
Quand’è l’ultima volta che l’hai sentita prima che sparisse?
«A Capodanno del ‘94, quando lei ha chiamato per fare gli auguri alla nonna, perché era il suo compleanno».
E non ti ha detto nulla che ti facesse pensare che c’erano problemi?
«Niente. Assolutamente nulla. Poi il fatto che si fosse ricordata del compleanno della nonna - chiamava dagli Stati Uniti - testimonia che stava bene».
Perché era andata lì?
«Era scappata in Belize da diverso tempo. Viveva in una capanna sulla spiaggia. Le mancava un solo esame per laurearsi al King’s College di Londra e le avevano già offerto un posto come insegnante, per quanto era brillante la sua intelligenza. Però ha scoperto un tradimento del fidanzato ed è scappata via. Non voleva più sapere niente. Con me si manteneva in contatto. Ogni tanto la chiamavo io, qualche volta lei. Fece l’errore di tornare da sola a New Orleans, per quel Capodanno».
Ho visto che Al Bano invece è convinto che non tornerà. Perché si è fatto questa convinzione?
«Non lo so, lo devi chiedere a lui».
Cosa ti manca di più di lei?
«Tutto. La sua intelligenza, la sua simpatia, il suo calore. Avevo diciannove anni, quando lei è nata. Siamo state molto vicine, sempre. Era geniale, scriveva in una maniera pazzesca. Scriveva poesie, racconti e raccontava favole alle piccole. Era una persona che dava molto di sé agli altri, sempre».
Al Bano e la rivelazione su Ylenia Carrisi: "So com'è andata". Ma per Romina la verità è un'altra. Il Tempo il 21 novembre 2021. Ci sarebbero non uno ma ben due progetti di fiction sulla vita di Al Bano. Siamo ancora ai preliminari - in uno c'è lo zampino di Fausto Brizzi di "Notte prima degli esami" - ma il Leone di Cellino San Marco spera che l'idea si concretizzi. Per l'occasione ha ripercorso le scene clou della sua vita in una intervista a Candida Morvillo, sul Corriere. Tra le perle della lunga carriera del cantante c'è un "precedente" oggi dimenticato: nel 1967 Albano Carrisi in arte Al Bano ha aperto non uno, ma cinque concerti dei Rolling Stones ben prima dei Maneskin. "Nel loro camerino, scoprii l'odore della marijuana", racconta.
Nello stesso anno l'incontro con Romina Power sul set di Nel Sole, musicarello dedicato alal sua famosa canzone: " Io non sapevo chi fosse lei, lei non sapeva chi io fossi. Notai solo che aveva la minigonna: era la prima che vedevo. Successe tutto negli ultimi tre giorni". Parlando della dolorosa separazione con l'ex moglie e dopo della causa per plagio con Michael Jackson, si arriva a parlare delle pagine più drammatiche della vita di Al Bano, ovvero la scomparsa misteriosa della figlia Ylenia Carrisi, a New Orleans il 4 gennaio 1994. "Ho parlato con le due persone a cui disse, davanti al Mississippi, 'io appartengo all'acqua' - è la dolorosa confessione del cantante - Lì, ho rivisto mia figlia e ho capito che si era buttata nel fiume. Nell'ultimo anno, era cambiata, era andata a scrivere un libro sugli homeless in Belize". La madre di Ylenia ha una idea opposta: "Romina, invece, pensa che l'hanno drogata ed è da qualche parte". Carrisi racconta anche alcuni dettagli sulla crisi di coppia con la Power. "Il suo amore ha iniziato a spegnersi dal '90. Si era stancata delle tournée e anche della mia voce. Mi diceva: sul palco, mi spacchi i timpani. Ha avuto un cambio di personalità", dice Al Bano, da anni legato a Loredana Lecciso.
Al Bano: «Una serie sulla mia vita: dalla guerra a Ylenia. Il finale? Un trionfo a Sanremo». Candida Morvillo su Il Corriere della Sera il 21 Novembre 2021. Il cantante e il progetto per la televisione: sogno una parte per Sofia Loren e Checco Zalone. Con Romina mi lasciai male, pagai gli avvocati a rate.
Al Bano, davvero vedremo una fiction su di lei?
«C’è l’intenzione, ma intanto vorrei sapere cosa vorrebbero fare della mia vita...».
Chi vuole girarla, per quale rete o piattaforma?
«C’è un produttore che ha iniziato a scrivere, non so per chi e del regista non si è parlato. E mi ha cercato pure Fausto Brizzi. Avevo interpretato me stesso nel suo Poveri ma ricchi».
Quindi, due progetti concorrenti?
«Vediamo, forse posso mettere il primo insieme a Brizzi».
Se la prima scena fosse Al Bano che nasce, come sarebbe?
«In guerra, a Cellino San Marco, in una casa grande come questa stanza, nutrito con latte d’asina perché mamma non aveva latte. Poverina, a 19 anni, era sola: mio padre era in un campo nazista».
Le piacerebbe essere interpretato da Riccardo Scamarcio, pugliese come lei?
«Siamo pure amici, ma non c’entra niente con me: ha un altro vissuto, un’altra faccia. Io punterei a scoprire tutti attori giovani».
Filippo Scotti, la scoperta di Paolo Sorrentino in «È stata la mano di Dio»?
«Lui mi piace. Timido, un po’ imbarazzato, giustamente: è passato di colpo da essere sconosciuto a famoso. Mi ha ricordato me».
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Lei era timido?
«Stratimido. Al primo concerto grosso al Vigorelli a Milano, c’erano tanti artisti famosi, ventimila persone. Prima, sotto al palco, vomitai per la paura».
Per sua mamma Jolanda, come vede Sophia Loren?
«Sarebbe un sogno impossibile, anche se siamo amici».
Lei adulto a chi lo facciamo fare?
«Quello potrei farlo io, perché no? Me l’ero cavata pure in Angeli senza paradiso, facendo Franz Schubert».
A Checco Zalone, che in «Quo vado» lascia la Norvegia e torna in Italia colto da nostalgia canaglia quando vede a Sanremo lei e Romina Power, facciamo fare un cameo?
«Stiamo sempre sognando, ma può fare il fratello di Adriano Celentano, si chiamava Sandro. Fu il primo a considerarmi, mi prese nel Clan Celentano».
Scriviamo la scena madre dell’arrivo a Milano.
«Dormivo da abusivo nel cantiere dove ero imbianchino, senza luce, con le candele che mi sembrava la prova generale del mio funerale. Con le ultime mille lire, vado a comprare carne in scatola. Vedo la Simmenthal e altre scatole con una parola mai sentita: ananas. Pensai a una sottomarca. Mi nutrii di ananas per una settimana».
Romina Power compie 70 anni tra amore, dolore, successi. E la storia senza fine con Al Bano
Tempo tre anni e apriva i concerti dei Rolling Stones, ben prima dei Måneskin.
«Era il 1967. Facemmo cinque tappe. Cantavo: Io di notte; Nel sole; The House of the Rising Sun; What I Say. Nel loro camerino, scoprii l’odore della marijuana».
La scena più attesa sarà l’incontro con Romina, fra il cantautore contadino e la figlia di due divi di Hollywood.
«Era sempre il ‘67, ci troviamo sul set di Nel Sole. Io non sapevo chi fosse lei, lei non sapeva chi io fossi. Notai solo che aveva la minigonna: era la prima che vedevo. Successe tutto negli ultimi tre giorni».
E qui siamo alle nozze e all’idillio a Cellino San Marco. Roberto D’Agostino e Renzo Arbore scrissero che aveva chiuso Romina in una masseria a guardare le galline.
«Feci causa: lei di Cellino si era proprio innamorata».
E vinse?
«Lasciai perdere, perché ingaggiai il loro avvocato per fare causa a Michael Jackson: Will You Be There era uguale ai miei Cigni di Balaka. Gli americani mi proposero un accordo: io rinunciavo alla richiesta di danni, ma Michael avrebbe cantato con me all’Arena di Verona, per beneficenza. Era un bomba o no?».
Sì, ma non si fece. Perché?
«Gli arrivarono le accuse di pedofilia. Ed eravamo a metà anni ’90, scoppiava la tragedia di mia figlia Ylenia».
Ylenia scompare a New Orleans il 4 gennaio ’94, che idea si è fatto?
«Ho parlato con le due persone a cui disse, davanti al Mississippi, “io appartengo all’acqua”. Lì, ho rivisto mia figlia e ho capito che si era buttata nel fiume. Nell’ultimo anno, era cambiata, era andata a scrivere un libro sugli homeless in Belize. Romina, invece, pensa che l’hanno drogata ed è da qualche parte».
Senza questa tragedia, stareste ancora insieme?
«Il suo amore ha iniziato a spegnersi dal ’90. Si era stancata delle tournée e anche della mia voce. Mi diceva: sul palco, mi spacchi i timpani. Ha avuto un cambio di personalità».
Si era risvegliata la ragazza ribelle che aveva dato scandalo e girato film erotici?
«Era tornata quella della Roma degli artisti. I film nuda, però, glieli faceva fare la madre, Linda Christian. Ci siamo lasciati male. Quanti soldi di avvocati ho dovuto spendere… Qualcuno pagato a rate».
La scena clou con Loredana Lecciso?
«Quando, come milioni di italiani, la vedo ballare in tv. L’avevo conosciuta come una ragazza pacata, laureata».
Vi siete lasciati, ripresi, avete due figli, state ancora insieme?
«Certo. È sempre venuta prima la famiglia».
Lei ha avuto un infarto, un tumore, un’ischemia e un edema alle corde vocali. Ora, come sta?
«In grande forma. Stasera faccio un concerto in Svizzera».
Nel finale della fiction, che vorrebbe vedere?
«Un ritorno trionfale a Sanremo. L’ultima volta, sono stato fatto fuori dalla giuria di qualità con una canzone straordinaria».
Da Dipiù il 2 novembre 2021. Tutti credevano che il primo amore di Romina fosse stato Al Bano. E invece anche questa certezza è crollata. Lo conferma a Dipiù in edicola il primo amore della Power, il principe Stash Klossowski de Rola, figlio del mitico pittore Balthus, proprietario di un castello vicino a Viterbo, amico di Paul McCartney e animatore della Swinging London anni 60. «Ci incontrammo la prima volta a una cena a casa del miliardario filantropo Paul Getty, c’era anche sua madre Linda Christian. Ricordo che la sera stessa ci scambiammo un tenero bacio». Dalla sua casa di Malibù, dove si occupa anche di alchimia e dove Dipiù lo ha rintracciato, aggiunge altri dettagli sulla loro relazione: «Frequentavamo il jet set e le feste dei “figli dei fiori”, passavamo insieme anche serate romantiche, di affetto e di passione». Dopo un legame vissuto a cento all’ora e il progetto del matrimonio «L’idea ci stuzzicava, era trasgressiva», qualcosa si incrinò: «Sapevo che non sarebbe stato semplice, io avevo ventiquattro anni e Romina sedici. Alla fine il mio spirito libero mi allontanò da lei, aveva bisogno di altro». L’altro Romina lo trovò nella solidità di Al Bano. Nell’intervista di Dipiù Stash parla anche di un problema che avuto con il cantante. «Dopo un po’ che ci eravamo lasciati, pensai di tornare alla carica con Romina. Le telefonai, ma rispose Al Bano che mi disse: “Lascia stare la mia fidanzata o finisce male”. A quel punto decisi di battere in ritirata, ma poi, negli anni, ci siamo risentiti e oggi siamo amici, come me è appassionata di spiritualità e discipline orientali, tra noi c’è sempre una bella intesa».
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 26 settembre 201. Appena ha saputo della nascita della sua terza nipote, Al Bano è corso a Zagabria per conoscerla: «Sto diventando un bel patriarca - racconta divertito -. I nipotini impazziscono per me e io non vedo l'ora di stare con loro. Purtroppo sono un nonno a distanza, ma cerco di vederli con una certa continuità». Questo è il pensiero felice del cantante, quello che - unito al suo carattere - gli ha permesso di superare «i cinque minuti più inutili della mia vita artistica». Il cantante, intervistato da Maria Volpe, aveva definito così, a caldo, i fischi e gli insulti ricevuti per la sua incursione all'Arena, nella serata-tributo a Franco Battiato.
Passato qualche giorno, ha capito cosa è successo?
«Non era previsto che fossi lì, sono andato per amicizia di Vittorio Sgarbi: ero con lui a una serata ad Abano Terme quando mi ha detto di seguirlo, che mi avrebbe portato all'Arena dove c'era anche sua sorella con gli Extra Liscio».
Non ha fatto domande?
«No, giuro, non sapevo niente. Ma sono entrato con i fischi e uscito con gli applausi. Solo lì ho capito che era una serata per Battiato... ci sarei stato anche bene, ma non mi avevano invitato».
Come mai?
«Non so, ma io Battiato l'ho conosciuto bene perché avevamo lo stesso produttore: io dal 1965 e lui dal 1969, proprio perché veniva da una serie di successi. Spiace che abbiano trasformato una bella serata in qualcosa di politico».
Tra i vari insulti, urlavano «fascisti».
«Anche cretini, e sinceramente dirlo a Sgarbi...».
Se non fosse salito sul palco con lui sarebbe successo?
«Penso di no, non so. Ma tutti hanno pensato che il pubblico non si fosse comportato bene. Una vergogna simile è solo da dimenticare».
C'entra forse la sua popolarità in Russia?
«Spero di no. E allora in Spagna, Polonia, Giappone o Cina? Cosa possono politicizzare? Non ho mai espresso pensieri politici. Mio padre diceva: non ti fidare della politica ma fai in modo che non arrivi mai una dittatura».
Di recente si è espresso in favore del vaccino.
«Quello sì, il vaccino è la salvezza dell'umanità da sempre. Quando mi hanno chiesto di fare quel video ho accettato subito e a costo zero».
Come ha vissuto la pandemia?
«In campagna. Per quattro mesi sono stato 24 ore su 24 con i figli, mai successo».
Se non fosse un cantante?
«Ho sempre e solo voluto fare quello. Poi ho realizzato l'azienda vinicola perché lo avevo promesso a mio padre. Ho scritto la mia prima canzone a 13 anni ed era contro di lui: si chiamava La zappa picca pane pappa , dice che se fai il contadino hai pochi soldi».
Come reagì lui?
«Si mise a ridere. Mi disse che avrebbe pagato la scuola ma che se fossi stato bocciato avrei dovuto iniziare a lavorare in campagna, con lui. Mossa intelligente. Ma dopo un po' me ne andai a Milano».
Ha una canzone preferita?
«Sono legato a tutte. Sono le pagine dello stesso libro: non ne puoi strappare qualcuna, hanno tutte ragione di esistere. Ne ho cantate 630».
Come si spiega che, tra i tanti successi, ancora oggi i bambini cantino «Felicità»?
«E in tutto il mondo. Mah, sarà la magia della tarantella nascosta nel brano... Mi spiace non averla scritta io».
Un brano non suo che avrebbe voluto cantare?
«La prima volta che ho ascoltato Con te partirò di Bocelli ho pensato che se fosse capitata nella mia gola, sarebbe stata una grande gioia».
Pensa di essere apprezzato più all'estero che in Italia?
«Questo è garantito. In Italia sono considerato l'amico di famiglia mentre all'estero mi apprezzano per la musica: il gossip non esiste».
Eppure è tornato a esibirsi anche con Romina. Come vi trovate nei panni dei nonni?
«Questa volta non ci siamo ancora sentiti, ma le altre ci siamo confrontati, è bello».
Prossimi impegni?
«Il Coro dell'Armata Rossa mi ha chiamato per cantare con loro, nella data che faranno, guardacaso, a Verona, il 27 ottobre. Vorrei chiamare i signori che fischiavano l'altra sera e fargli sentire...».
Da "ilmessaggero.it" il 25 agosto 2021. "Non sono mai stato in vita mia a Santo Domingo. Quella di Ylenia è una ferita ancora aperta: sono deluso". Lo ha detto all'Adnkronos Yari Carrisi, smentendo le indiscrezioni secondo cui avrebbe incontrato segretamente a Santo Domingo la sorella Ylenia, scomparsa il 6 gennaio del 1994 da New Orleans. A Ylenia, Yari Carrisi ha dedicato un programma tv a cui sta lavorando: "E' un programma televisivo di viaggio in memoria di Ylenia. Si chiamerà 'YariYatry' che in sanscrito vuol dire amico viaggiatore. Ci sono tanti elementi che ricordano mia sorella, come il viaggio, la spiritualità, il desiderio della scoperta e della purezza". Alle nuove indiscrezioni su Ylenia replica anche Al Bano: "Rimango stupito - dice all'Adnkronos - Non penso proprio che mio figlio abbia detto di aver incontrato Ylenia. Sono dichiarazioni del tutto prive di fondamento. Purtroppo da anni c'è una speculazione sul nome di mia figlia, forse perché fa vendere i giornali. Vogliamo su questa vicenda essere lasciati in pace", è l'accorato appello del cantante.
Da liberoquotidiano.it il 26 ottobre 2021. Romina Power è stata ospitata da Silvia Toffanin a Verissimo, nella puntata andata in onda questo pomeriggio su Canale 5. La celebre cantante ha svelato che Al Bano non è stato il suo primo amore, ma è stato sicuramente il più lungo, visto che sono stati insieme per ben 29 anni. Cercando di indagare sulla fase dopo Al Bano, la Toffanin ha chiesto se ci sia stato un altro amore. Romina allora ha ammesso di tenere troppo alla propria libertà. Poi ha aggiunto: “Mia nonna diceva una cosa ma non so se è il caso di dirla. Per una salsiccia ti devi tenere tutto il maiale”. Tutto il pubblico, a quel punto, è scoppiato a ridere. Mentre la conduttrice in imbarazzo ha provato a correre ai ripari: “Erano i vecchi detti”. La Toffanin, poi, ha voluto omaggiare la Power - che di recente ha compiuto 70 anni - mandando in onda diversi filmati a lei dedicati. In tanti le hanno inviato un messaggio di auguri e di affetto, tra questi Loredana Bertè, Iva Zanicchi, Massimo Lopez e Tullio Solenghi. Parlando della sua età, Romina ha detto di non essere mai ricorsa alla chirurgia estetica: "Ho il terrore di quelle cose lì. Avrei paura di non riconoscermi dopo. Poi non capisco che senso abbia. E poi chi l’ha detto che la pelle liscia sia più bella?”. Tornando ad Al Bano, poi, ha rivelato: "Mia madre per tutta la vita l’ha criticato”. E infine: "Solo quando ho detto a mia madre che io e Al Bano ci stavamo separando lei mi ha detto che proprio adesso si stava affezionando a lui”.
La scomparsa di Ylenia Carrisi nel 1994. Figlia di Al Bano e Romina Power e nipote degli attori Tyrone Power, americano, e Linda Christian, messicana, Ylenia Carrisi aveva da poco più di un mese compiuto 23 anni, quando di lei si sono perse le tracce, il 6 gennaio del 1994 in Usa. L'ultima notizia la dava alloggiata all'hotel 'Le Dale' di New Orleans in compagnia di un artista di strada, Alexander Masakela, che fu anche arrestato il 31 gennaio 1994 ma poi rilasciato per mancanza di prove su un suo eventuale coinvolgimento nella scomparsa della ragazza. Un guardiano dell'acquario comunale affermò di aver visto una giovane simile alla descrizione di Ylenia gettarsi nelle acque del fiume Mississippi, evento ovviamente mai accertato. Da allora, varie ipotesi sono state avanzate da testimoni e da fonti giornalistiche più o meno attendibili: dall'uso di droga alla chiusura in un convento ortodosso in Arizona; ipotesi quest'ultima bollata da Al Bano come "vergognosa speculazione". Nata a Roma il 29 novembre del 1970, Ylenia ha fatto la valletta televisiva nel programma a quiz condotto da Mike Bongiorno su Canale 5, "La Ruota della Fortuna".
Da leggo.it il 4 agosto 2021. «Ho lavorato in uno strip club», racconta Romina Carrisi, figlia di Al Bano e Romina Power. L'ultimogenita della coppia di "Felicità" ha scelto la carriera di attrice cercando di ricalcare le orme dei nonni materni e ha studiato recitazione a Los Angeles. Ha ammesso che proprio in quel periodo ha lavorato in un locale di spogliarelli. Un'esperienza degna di una sceneggiatura.
Romina Carrisi e il lavoro nello strip club.
«Non mi sono mai sentita una figlia di papà», spiega in un'intervista al Fatto Quotidiano. La 34enne ha voluto vivere un'esperienza particolare, ma non ne aveva mai parlato prima. Solo adesso ha spiegato cosa ha fatto e perché: «Volevo vivere una straordinaria normalità. Semplicemente avevo bisogno di provare esperienze nuove, di tuffarmi in un mondo completamente sconosciuto. Ho osservato molto, mi sono divertita, ho fatto incontri assurdi».
In California, infatti, ha conosciuto star del cinema: «Ogni tanto arrivava Quentin Tarantino: gli piaceva una ragazza che somigliava molto ad Uma Thurman. Noi cameriere eravamo costrette a dare tutte le mance al manager del locale, un tipo stron*issimo: una sera un cliente iraniano s’innamora di me e mi rifila mance da 100 dollari, così correvo in bagno e m’infilavo di nascosto le banconote negli stivali. A fine serata il capo mi disse: "Com’è che non hai tirato su manco dieci dollari?". Io feci la faccia da svampita e me ne andai soddisfatta, con le banconote nello stivale».
Romina Carrisi e lo studio in America. Romina si è trasferita per un periodo nel Paese della famiglia materna per inseguire un sogno: «Me ne sono andata in America a studiare. Volevo scendere dalle montagne russe, smettere di far parte di un film corale per il quale non avevo fatto nemmeno il provino. Ho capito che l’attenzione morbosa non è una forma d’amore, soprattutto quando il pubblico di terze persone veniva e mi giudicava, mentre io crescevo e mi sentivo sola. Ho studiato quattro anni a Los Angeles recitazione, improvvisazione e scrittura. Sono andata per studiare e preparami e ho capito che mi piace di più stare dall’altra parte delle telecamere: ho fatto anche l’attrice e mi piace stare in scena ma ho compreso che cercavo dei ruoli soprattutto per nascondermi. Oggi, anche grazie alla psicoanalisi, ho trovato la mia dimensione: più che celarmi dentro un personaggio, voglio essere libera di esprimere me stessa».
Anticipazione da “Oggi” il 21 luglio 2021. «I momenti difficili ci sono stati, ma ci hanno unito ancora di più. Ci hanno permesso oggi di avere il giusto equilibrio. Siamo molto simili, più simili di quanto la gente immagini. E ha contato molto anche il rispetto delle reciproche individualità. Noi abbiamo i nostri spazi, li preserviamo, ma poi facciamo le cose insieme con entusiasmo, ci ritroviamo», dice Loredana Lecciso in un’intervista rilasciata assieme ad Al Bano al settimanale OGGI, in edicola da domani, per celebrare i loro 21 anni d’amore. E il cantante, parlando di ciò che li ha tenuti uniti, conferma: «Il senso della famiglia per noi è imprescindibile. Entrambi lo abbiamo fortissimo. Siamo pronti a fare qualsiasi sacrificio per i nostri figli. Poi ci sono l’umiltà e la solidità: siamo stati bravi soldati». Dell’ex moglie Romina Power dice: «Nel 1996 ha scelto la sua vita. Abbiamo avuto un gran bel passato insieme, poi è scesa la notte. Tutti pensavano che da uomo del Sud quale sono non avrei mai potuto rifarmi una vita: io invece me la sono rifatta come era giusto accadesse, e ne sono orgoglioso». E Loredana avverte: «Ho permesso a troppe persone di mettere il becco tra di noi. Ora non consento più ad anima viva di varcare il confine della nostra coppia». Al Bano e Loredana ripercorrono nell’intervista a OGGI i 21 anni dal loro primo casuale incontro («mi ha colpito il suo carisma», ricorda lei. E lui: «Mi innamorai prima della sua famiglia che di lei») e a proposito di un eventuale matrimonio, il cantante dice: «Il nostro matrimonio è mentale»; e Loredana conferma: «Con l’età si capisce che ciò che abbiamo è frutto di una scelta che facciamo giorno per giorno. Siamo stati entrambi già sposati in passato. Forse 15 anni fa mi avrebbe fatto piacere il matrimonio, ma solo per una questione di ordine: ora non lo vedo come un bisogno. Sto bene con Al Bano e lui con me».
Romina Power fa 70 anni? "Sono una sopravvissuta, sto invecchiando...": le parole che commuovono l'Italia. Libero Quotidiano il 02 ottobre 2021. Romina Power spegne le candeline dei 70 anni e con la sua solita verve ricorda ai follower che è solo un numero. In una Storia social la figlia Romina Carrisi le domanda: “Come ti senti per i primi 70 anni?”. “Sono una sopravvissuta… - dice la cantante - Tutti dicono: ah si invecchia, sto invecchiando… Io mi considero più una sopravvissuta che una invecchiata. 70 è solo il corpo perché noi siamo esseri eterni, quindi io non mi preoccupo”. Poi posa serena e sorridente con un mazzo di fiori tra le mani e ringrazia il suo fan club. Romina Power non si preoccupa certo per il tempo che passa e con il suo fascino sorride all’obiettivo. La cantante ha vissuto una vita sotto i riflettori alternando gioie e dolori: dall’amore per Al Bano alla scomparsa della figlia Ylenia, passando per i successi canori e i figli. E’ diventata nonna tre volte quella ragazza che a soli 15 anni era diventata il simbolo del Piper, il mitico locale romano. Poco più che maggiorenne Romina sposa il cantante di Cellino San Marco che la renderà madre di quattro figli Ylenia (scomparsa il 31 dicembre 1993 a New Orleans), Yari, Cristel e Romina jr Jolanda. Nel 1999 Romina e Al Bano si separano e tre anni dopo arriva il divorzio e il ritiro dalle scene. Per poco. Nel 2013 Romina Power e Al Bano tornano sul palco insieme ed è di nuovo un successo.
Albano Carrisi e Romina Power, "quando è scesa la notte tra me e lei". Il clamoroso "schiaffo morale" alla ex moglie. Libero Quotidiano il 22 luglio 2021. "Tra me e lei è scesa la notte". Albano Carrisi si racconta al settimanale Oggi insieme alla seconda compagna Loredana Lecciso e svela verità scomode sulla sua storica ex moglie, Romina Power. Una crisi esplosa con il dramma della loro figlia Ylenia, scomparsa a fine 1993. Un evento che ha diviso per sempre i due cantanti, con Al Bano rassegnato alla morte della ragazza e Romina ancora oggi convinta che la figlia sia viva, scappata e isolatasi volontariamente dal suo passato e dalla famiglia. "Nel 1996 ha scelto la sua vita – spiega Al Bano a Oggi, riferendosi alla Power -. Abbiamo avuto un gran bel passato insieme, poi è scesa la notte. Tutti pensavano che da uomo del Sud quale sono non avrei mai potuto rifarmi una vita: io invece me la sono rifatta come era giusto accadesse, e ne sono orgoglioso". La sua seconda vita è iniziata con Loredana Lecciso, pugliese come lui. "I momenti difficili ci sono stati, ma ci hanno unito ancora di più - ammette Loredana -. Ci hanno permesso oggi di avere il giusto equilibrio. Siamo molto simili, più simili di quanto la gente immagini. E ha contato molto anche il rispetto delle reciproche individualità. Noi abbiamo i nostri spazi, li preserviamo, ma poi facciamo le cose insieme con entusiasmo, ci ritroviamo". Secondo il 78enne crooner di Cellino San Marco, "il senso della famiglia è imprescindibile" sia per lui sia per Loredana. Entrambi lo hanno "fortissimo": "Siamo pronti a fare qualsiasi sacrificio per i nostri figli. Poi ci sono l’umiltà e la solidità: siamo stati bravi soldati". E questo nonostante il gossip, ciclicamente, tenda a dividerli per rilanciare la "favola" del ritorno di fiamma del vecchio amore, quello tra Al Bano e Romina. "Ho permesso a troppe persone di mettere il becco tra di noi - sottolinea ancora la Lecciso, decisamente combattiva -. Ora non consento più ad anima viva di varcare il confine della nostra coppia". Ventuno anni fa, l'inizio del loro amore. "Mi ha colpito il suo carisma", ricorda Loredana, mentre Carrisi spiazza tutti: "Mi innamorai prima della sua famiglia che di lei". Ma niente matrimonio. "l nostro matrimonio è mentale", glissa Al Bano, mentre la Lecciso chiude il discorso: "Con l’età si capisce che ciò che abbiamo è frutto di una scelta che facciamo giorno per giorno". “Siamo stati entrambi già sposati in passato. Forse 15 anni fa mi avrebbe fatto piacere il matrimonio, ma solo per una questione di ordine: ora non lo vedo come un bisogno. Sto bene con Al Bano e lui con me”, conclude la Lecciso. Chi pensava in una cerimonia nuziale imminente resterà con l’amaro in bocca.
Giulia Cazzaniga per "la Verità" il 21 giugno 2021.
Ha fatto da tramite per far incontrare Matteo Salvini con Vladimir Putin, e pure con i cinesi. Stima Silvio Berlusconi - «non lo hanno fatto lavorare fino in fondo» - eppure non avrebbe problemi a intonare Bella Ciao in piazza, e se c' è un politico che definirebbe «straordinario» è Nichi Vendola. Al Bano Carrisi ci risponde da casa, da Cellino San Marco, appena uscito dalla serra di pomodori e cicoria.
I giornali di gossip la adorano da sempre. I rumors più recenti la davano in rotta con sua moglie, Loredana Lecciso.
«Grazie a Dio l'ennesima balla, ma mi è toccato smentire».
Non si è abituato a questo tipo di attenzione su di lei?
«Anzi, la odio. C' è chi scrive bugie e le vende a caro prezzo. Ma non vorrà parlare di gossip?».
Le prime domande sono per Al Bano imprenditore.
«Piano con le parole (sorride), io i pezzi grossi dell'imprenditoria italiana li ho conosciuti. Da Ernesto Pellegrini a Colnago, delle biciclette. Persone con quel qualcosa in più che io non ho. Io sono un passionario, al quale qualche volta le cose vanno bene e altre meno».
Delle aziende - agricola, vinicola, alberghiera - e della casa discografica si occupa qualcuno al posto suo? C' è chi è capace di dirle «no»?
«Alla fine decido sempre di testa mia, è difficile fermarmi. Il vino poi è la mia passione fin da ragazzino. Anche se con la campagna ho avuto discordie: ho presto capito che si tratta di una partita sempre in perdita, e che in attivo sarebbe restato sempre un lavoro da schiavi».
Non le avrà fatto paura faticare.
«Figurarsi. Ho appena passato due ore in serra con i pomodori, le cicorie e il resto, ammazzando tante formiche che parevano un esercito. E poi ho spollonato l'uva in giardino. Mi sento meglio di prima, più energico».
È vero che è difficile trovare manodopera perché i giovani invece la temono?
«Il problema non sono i giovani, ma i genitori, che non li educano. Da ragazzino mio padre, con le buone - che preferivo - o con le cattive, mi portava in campagna, e lo ringrazierò sempre, mi ha dato una lezione di vita straordinaria. Quando ti abitui al lavoro, non ne avrai mai ribrezzo. Ci crede che una volta ho visto un bimbo milanese chiedere al padre se il fruttivendolo avesse appeso le ciliegie all' albero?».
Lei fu poi Al Bano, il cantante.
«La vocalità è il mio dono, come pure scrivere canzoni, cantare brani d' altri, o tuffarmi nel classico come pure ho fatto con grandissimi successi. L' ho capito da ragazzino, non ho mai smesso di crederci».
Quanto ha sofferto l'attività da imprenditore in questi mesi?
«Come per tutti gli altri, ahimé. Era quasi una morte annunciata, e adesso ci vuole una mano divina che faccia tutti alzare e camminare. Però le dico che il vino è l'unico a non aver sofferto, anzi».
Si beve per dimenticare?
«O per ricordare. Abbiamo venduto un buon 50% in più. E ci hanno appena dato l'ok per costruire una terza cantina: oggi produco 1,5 milioni di bottiglie l'anno, voglio arrivare a 5 milioni. Ce la farò».
Come ha vissuto personalmente questo periodo?
«La tragedia è stata la nostalgia per non poter cantare. È stata dura, dura davvero. Menomale che ho fatto tanta televisione. Avevo tournée previste in Giappone, Australia, Brasile tutto svanito come neve al sole».
Rimandate?
«Sì, ma a quando?».
All' estero intanto ci va il suo vino.
«In tutto il mondo. Mercati musulmani a parte».
Chi lo ama di più?
«Russia, Cina, Germania, Italia ovviamente. Ma ci sono pure la Spagna e Panama, o la Romania».
Vende tanto perché porta il suo nome?
«Quello apre le porte, ma si va avanti solo con la qualità. È la mia carta vincente».
Il segreto?
«Un bravissimo enologo, che sappia seguire il processo fin dalla nascita, capire quando è il momento giusto per l'imbottigliamento. Ci sono alcune accortezze che sono indispensabili».
È lei, quell' enologo?
«Io sono quello senza laurea, poi ho i miei esperti. Ma mio padre mi faceva assaggiare fin da bambino vino buonissimo e non mi sbaglio quasi mai».
Di recente si è vaccinato. Qualche mese fa in tv si era chiesto: «C' è da fidarsi?».
«Mi sono informato bene con un amico medico. Mi ha detto che il vaccino è la salvezza dell'umanità, e così l'ho fatto».
Quale?
«Mi hanno fatto Moderna».
Le avessero proposto Astrazeneca avrebbe avuto paura?
«Sono successi un po' di guai, capisco chi ne ha. In fondo la vita è la nostra, non un gioco».
Di «no vax» ce ne sono nel mondo dello spettacolo?
«Tanti, e anche nomi importanti di cui non sarò certo io a fare il nome. Ma è indispensabile vaccinarsi. Ancora ricordo il dottore di Cellino che ci metteva in fila, scolaretti alle elementari, per l'anti vaiolo. Ci salvò la vita».
Oggi i tempi della sperimentazione si sono accorciati.
«Mi fido di chi produce i vaccini, e non ho le carte in regola per parlare di eventuali errori».
Non si improvviserà virologo, insomma.
«Non ci penso nemmeno. Quanti ne abbiamo visti in questi mesi sbagliare? Con tutto il rispetto, perché alcuni li conosco bene».
Qualche giorno fa è andato in piazza a Napoli con 500 sindaci a chiedere risorse per il Mezzogiorno.
«Ho aderito alla proposta del mio amico Pino Aprile, che si batte contro le ingiustizie, e contro quelle perpetrate contro il Sud sono sceso in campo come era giusto fare».
Qual è l'ingiustizia?
«Al Sud doveva arrivare il 70% del denaro dell'Unione Europea, ma siamo già al 40%, che a questo punto mi chiedo se arriverà davvero.
Dall' Unità d' Italia in poi, il Nord ha strappato quel che ha potuto da qui per pagare i suoi debiti».
Meglio prima?
«Non sentirà mai da me un discorso contro l'Italia unita, mi piace l'idea che lo sia, ma che lo sia davvero. Qui si pagano le tasse come al Nord. E però i treni vanno alla stessa velocità che nel '61. Quelli rapidi arrivano al massimo a Napoli. Perché questa differenza? Subiamo uno schiaffo in faccia quotidiano».
Servono anche treni sul ponte sullo Stretto?
«Chiaro che sì».
Chi sferra gli schiaffi?
«Mi piacerebbe parlare di carezze, purtroppo non è così. Tutti i conti sono a favore del Nord, il Sud è maltrattato. Il Nord lo amo, lì ho materializzato i miei sogni.
Ma perché i ragazzi devono ancora scappare da qui per realizzare sé stessi?».
Mara Carfagna farà un buon lavoro?
«So che i suoi passi sono quelli giusti, mi auguro glieli lascino fare fino in fondo. Come ho fiducia in Mario Draghi. L' Italia potrebbe cambiare. Spero anche che Sergio Mattarella si sforzi per resistere altri quattro anni: so che è stanco, ma si faccia una vacanza e poi torni al Quirinale, perché ha dimostrato di essere un grande».
In piazza a Napoli le hanno chiesto di intonare Bella Ciao ma lei ha desistito.
«Non mi ricordo me lo abbiano chiesto, giuro. C'era anche chi mi chiedeva Felicità, o Nel sole».
La intonerebbe accanto all' Inno di Mameli?
«Non avrei niente in contrario a cantare Bella Ciao, ma teniamoci l’inno per così com' è, è la nostra storia».
Eppure in Parlamento si sono un po' accapigliati anche su questo.
«Non sopporto la politica del litigio. I politici fanno baruffa per il proprio ego, ma così non usciamo da questa tragedia. All' estero ci stimano ancora per Leonardo Da Vinci, Raffaello, la Ferrari o Armani, non certo per una politica illuminata. La Germania, ad esempio, ha un'Angela Merkel che sta ancora nella casa dove viveva prima dell'impegno politico, dà un esempio di vita straordinario. Non credo possiamo dire lo stesso dei nostri politici. Ricordo ancora chi gridava "Roma ladrona" e poi una volta sedutosi sulla poltrona».
Non ne salva neanche uno?
«Io non sto da nessuna parte, né a destra né a sinistra, e voto da sempre per chi mi dà più sicurezza».
Uno che le piace a destra?
«Berlusconi è un ottimo politico, ma poi non gli hanno permesso di lavorare fino in fondo».
A sinistra?
«Nichi Vendola, straordinario. Ha portato il grande cinema in Puglia e l'ha promossa come ho sempre fatto anche io».
Ho scoperto una sua inedita passione per il judo.
«Recente, è vero. Sono diventato ambasciatore del judo. Cristiano Minellono ha scritto il testo dell'inno, io per la prima volta l'ho cantato a Budapest in italiano».
Cosa le piace di questo sport?
«Ci si studia tra avversari, poi c' è uno scatto improvviso e perde chi cade con le spalle a terra. Ma il bello è che nonostante la durezza dello scontro ci si abbraccia come fratelli appena ci si rialza».
È vero che stava per combinare un incontro tra Salvini e Putin?
«Già due anni misi in contatto i cinesi e Salvini, che fu gentilissimo.
Mandò il ministro Centinaio e da allora arriva più vino italiano di prima nel Paese del Dragone, che prediligeva i vini francesi».
E stavolta con Putin come è andata?
«Avevo il numero di Salvini da allora, e la federazione di judo mi ha chiesto di invitarlo. Ma poi Putin ha rimandato l'appuntamento di Budapest, per via dell'incontro con Biden».
Putin lei lo ha già incontrato.
«Prima volta nel 1985, poi altre quattro, al Cremlino anche».
Conosce le sue canzoni?
«Tutti i russi le conoscono».
Che giudizio ha di lui?
«Mi ispira tanta, ma tanta fiducia. E non mi sbaglio. Ha dimostrato di non essere il nemico di nessuno».
I suoi programmi per il futuro?
«Il più importante è la grande festa che voglio fare quando sarà morto il Covid, con una grande bara in una fossa».
Nel frattempo andrà in vacanza?
«Quando sono a casa faccio il contadino e metto in vacanza l'artista, e viceversa. Il mio lavoro è una vacanza, dove altro dovrei andare?».
Oggi è un altro giorno, Romina Power inchioda Al Bano Carrisi: "La verità sui rapporti tra lui e mia madre", disastro in famiglia. Libero Quotidiano il 25 giugno 2021. Ha parlato soprattutto della sua famiglia, Romina Power, che è stata ospite di Serena Bortone nella puntata di Oggi è un altro giorno andata in onda venerdì 25 giugno su Rai1. La famosa artista ha raccontato di quando sua madre si recava a Cellino San Marco, dove i rapporti con Al Bano Carrisi non sarebbero stati proprio idilliaci, a causa di alcune problematiche che sfociavano in discussioni tra suocera e genero. Invece Romina conserva un ricordo bellissimo del rapporto con la madre di Al Bano: “Aveva un’ingenuità simile a quella dei bambini. Io e lei abbiamo allevato i 4 figli. La più grande conferma di amore che ho avuto da lei è stato quando nel 2013 abbiamo cantato di nuovo insieme con Al Bano a Mosca e lei si è pagata il biglietto da sola in prima fila e si è lanciata su di me per baciarmi”. Per quanto riguarda invece il rapporto con Al Bano, è ovviamente cambiato molto, anche se Romina ci ha tenuto a fare una precisazione: “Sul palco siamo sempre gli stessi, è ancora molto divertente lavorare con lui. Poi certo, fuori sono cambiate molte cose, ma sul palco no. Forse è per questo che il pubblico ci vuole così bene”. Poi una chiosa un po’ amara: “Spero di non finire la mia vita sola, da un punto di vista sentimentale”.
Da leggo.it il 25 giugno 2021. Romina Power, ospite a Oggi è un altro giorno, racconta alla conduttrice Serena Bortone della difficoltà nel superare la perdita del padre Tyrone. Ricorda di aver visto la mamma arrivare in Messico, dove lei e la sorella erano state mandate, e in quell'occasione le disse che il padre non c'era più. Quel momento ha segnato la sua vita per sempre. Spiega di non avere molti ricordi del padre ma solo sogni: «Questi sogni sono venuti fuori quando io ho iniziato a fare delle ricerche su di lui, per capire chi fosse, a quel punto ho iniziato a sognare di mio padre, a volte in situazioni in cui mi immaginavamo che potevamo stare, altri più metafisici». Poi continua: «Dopo l'arrivo della mia prima figlia ho sentito il bisogno di conoscerlo sul serio. Ho capito che era una persona fantastica, so che avrebbe potuto insegnarmi tanto». Romina Power quindi spiega di aver iniziato un percorso di ricerca di 25 anni alla fine del quale è nato il libro. Parla poi delle crisi avute nel corso della vita chiarendo: «La pace l'ho trovata nel Buddismo una forma che mi completa e che per me non ha discrepanze». Racconta di quando la mamma andava a Cellino San Marco e confessa che Al Bano non amava molto quei momenti per delle problematiche e discussioni tra suocera e genero. Ammette che nell'incontro con Cellino si è stupita delle tante ore passate a tavola e dei grandi saluti: «Era molto strano, ma era bello, capivo che era tutto amore». Ricorda il rapporto con la suocera bellissimo: «Aveva un'ingenuità simile a quella dei bambini. Io e lei abbiamo allevato i 4 figli. La più grande conferma di amore che ho avuto da lei è stato quando nel 2013 abbiamo cantato di nuovo insieme con Al Bano a Mosca e lei si è pagata il biglietto da sola in prima fila e si è lanciata su di me per baciarmi». Il rapporto con Al Bano è molto cambiato ma ammette: «Sul palco siamo sempre gli stessi, è ancora molto divertente lavorare con lui. Poi certo fuori sono cambiate molte cose, ma sul palco no. Forse è per questo che il pubblico ci vuole così bene». Poi conclude dicendo: «Spero di non finire la mia vita sola, da un punto sentimentale.
Al Bano Carrisi, bomba su Romina Power: "Non ho permesso che mi distruggesse la vita". Libero Quotidiano il 25 aprile 2021. “Non vedo l’ora di riabbracciare il mio pubblico”: Al Bano Carrisi si dice pronto a incontrare di nuovo i suoi fan. Come lui stesso ha spiegato in un’intervista al settimanale Di Più Tv, lui e Romina Power saranno impegnati in un tour che partirà il prossimo 5 novembre dalla Polonia e toccherà poi tutte le principali città dell’Europa dell’Est. A proposito di questi concerti e di una sorta di ritorno alla normalità dopo più di un anno di restrizioni causa Covid, Romina Power ha detto: “E’ emozionante essere abbracciata dal pubblico. Non ci ha mai abbandonato”. La storica coppia tornerà, così, a cantare i suoi cavalli di battaglia, ormai famosi e apprezzati in tutto il mondo, come Felicità, Nostalgia Canaglia e Ci sarà. “La gente ama vederci assieme, in fondo siamo stati insieme tanti anni. Non ho permesso alla nostra separazione di distruggermi la vita”, ha confessato il cantante di Cellino San Marco, parlando del suo rapporto privato e professionale che lo lega alla Power. Dopo alcuni anni di separazione, infatti, i due sono tornati a lavorare insieme. In una delle ultime puntate di Domenica In, inoltre, Al Bano aveva invitato sia Romina sia la sua attuale compagna Loredana Lecciso a sedersi attorno allo stesso tavolo nel tentativo di fare pace.
Dagospia il 17 marzo 2021. Da “Un giorno da Pecora - Radio1”. Quando farò il vaccino? “Il mio turno sarà alla fine di marzo. Se speravo di esser vaccinato prima? Sono fatalista: succede quando deve succederà, e succederà”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, è il cantante Al Bano Carrisi, che oggi si è raccontato ai microfoni della trasmissione di Rai Radio1. Sa già quale vaccino le faranno? “ 'Pretendo' che ci sia un vaccino Pfizer o uno Sputnik”. Lo Sputnik non è stato autorizzato dagli enti preposti, quindi non si può fare qui da noi. “Allora mi arrenderò al Pfizer”. Con Astrazeneca non si vaccinerebbe? “Siamo pieni di allarmismi su questo vaccino, leggo i giornali e guardo la tv e mi chiedo: che facciamo con Astrazeneca? Voglio vedere come vanno le cose. Ci sono molti punti che mi tengono un po' lontano da questa verità”. Ma secondo gli studi i dati critici su Astrazeneca sono davvero irrisori. “Ho sentito le due campane - ha detto il cantante a Un Giorno da Pecora - se c'è incertezza preferisco aspettare”. Prima abbiamo parlato del vaccino russo, terra che lei conosce molto bene: lì sa come sta evolvendo la pandemia? “In Russia hanno già ripreso a fare spettacoli, io sono in attesa di convocazione. Sono fermo da un anno, è tanto, troppo. Per fortuna ho fatto tanta tv ma come concerti se non vado errato l'ultimo che ho fatto è stato il 23 dicembre del 2019”. Parliamo di politica: cosa ne pensa del governo Draghi? “Penso che Draghi sarà un uomo di grande azione positiva". Vi conoscete di persona? "L'ho incontrato una volta su un volo Mosca-Roma, e abbiamo fatto due chiacchiere”. Quale canzone gli dedicherebbe? “Gli canterei 'Nel Sole', dopo tanto buio nel Paese c'è bisogno di un raggio di sole”. Torniamo a parlare di musica: ha visto il festival Sanremo? “L'ho visto, certo, io ho la sanremite acuta”. Le piacerebbe tornarci più come conduttore, ospite o concorrente? “Sono nato come cantante in gara e non mi dispiacerebbe tornarci con questo ruolo”. E' vero che aveva fatto un appello a Romina per tornare insieme sul palco dell'Ariston? “No - ha affermato Al Bano a Rai Radio1 - non ho fatto nessun appello. Mi hanno chiesto se ci volevamo andare insieme e io ho risposto di chiederlo a lei. Io sono nato solista e non rinuncio a questo fattore. Al Festival andrei anche da solo”. Qual è il brano che le è piaciuto di più? “Mi è piaciuto molto Ermal Meta, gran bel brano, ma anche 'Musica Leggerissima' di Colapesce Dimartino”. E il pezzo dei Maneskin? “Va bene, di rock ne ho sentito tanto, Sanremo è cambiato ed è giusto così. Il rock a Sanremo lo avevamo sentito la prima volta con Adriano Celentano, quando porto' '24mila Baci'”.
Da liberoquotidiano.it il 28 febbraio 2021. “Mettiamoci seduti e facciamo pace”: Al Bano Carrisi vuole riunire la sua famiglia (allargata). Vuole tornare a sorridere con la sua ex moglie e con la sua attuale compagna, Loredana Lecciso (insieme hanno avuto due splendidi figli). E ospite di Mara Venier, a Domenica In, torna a parlare della sua compagna Loredana Lecciso e dell’ex moglie (Romina Power). “La separazione con Romina è stata inaspettata, ma non bisogna rimanere vittima degli eventi. Non ha distrutto la mia esistenza, mi sono rifatto una vita, sto da Dio, sto bene adesso, ma non rinnegherò mai il mio passato, ho un rispetto totale. Loredana è una madre perfetta. Ognuno ha un sogno, il mio è che Romina e Loredana si sedessero a tavola e mangiassero insieme a noi, senza recriminazioni, nessuno ha colpa di quello che è successo. Romina aveva le sue esigenze, le ha seguite e va bene così. Se siete in ascolto Romina e Loredana, perché non ci incontriamo? La vita può essere breve o lunghissima, seminiamo semi di pace”, tuona Carrisi. Ma tempo fa, a Live non è la d’Urso, la Lecciso aveva annunciato: “Mi prenderei volentieri un caffè con Romina”. Parole che hanno avuto avuto il sapore dell’appello, che sarebbe rimasto inascoltato da parte della Power. Ora Carrisi ci riprova: vorrebbe che facessero pace. Poi parla dei suoi splendidi figli. “Che papà sono? Devi chiederlo ai miei cinque figli. Al momento giusto bisogna essere severi, perché le lezioni o gliele dai te o gliele da la vita. Da nonno faccio ogni giorno la video chiamata, perché i miei nipoti vivono a Zagabria. Non vedo l'ora di abbracciarli”, racconta alla Venier.
Michela Proietti per il “Corriere della Sera” il 21 maggio 2021. Ieri ha festeggiato il compleanno del papà Al Bano assieme al fratello «Bido», arrivato a Cellino San Marco dalla Svizzera, dove studia. Una colazione tutti insieme, perché in casa Carrisi il momento della tavola è sacro. «Io e mio padre siamo complici, tra di noi non ci sono frasi fatte, per lui è più importante essere sincero a tutti i costi, piuttosto che farmi complimenti gratuiti», dice Jasmine Carrisi, 19 anni, quinta figlia del cantante, nata dalla relazione con Loredana Lecciso, madre anche di Albano jr. Persino sul brano di esordio di Jasmine c'è stato un confronto: si sarebbe dovuto chiamare «Verso Sud», ma Al Bano l'ha convinta a chiamarla «Calamite». «Aveva ragione lui, però è stata una trattativa accesa». La canzone è un inno al valore di incontrarsi dal vero, il brano inizia con la frase «rivoglio le persone». Un testo nato durante il lockdown, quando Jasmine si è diplomata «a distanza» al Liceo linguistico di Lecce.
Ha sempre sognato di fare la cantante come suo padre?
«Mentre mio fratello è stato alla larga dal mondo artistico dicendo "ci sono fin troppi cantanti in famiglia", io ho sempre saputo che avrei fatto questo».
Il suo primo ricordo?
«Le tournée con papà e l'adrenalina del backstage. Lui era felicissimo di condividere con noi: chiudeva ogni concerto chiamandoci sul palco e cantando l'ultima canzone con me e Bido».
Come gli ha detto che avrebbe fatto il suo lavoro?
«Qualche anno fa, per un suo compleanno, ho inciso per lui alcune cover in inglese di successi come Nel Sole . Non so se si è stupito di più per la musica o perché non credeva parlassi così bene l'inglese...».
Nel frattempo ha continuato a studiare musica?
«Sì, ma poi sono arrivate le insicurezze».
Insicurezze di che tipo?
«Ho scoperto di avere un cognome ingombrante e avevo paura che la mia voce potesse non piacere».
La famiglia l'ha aiutata ?
«Mi hanno incoraggiata, però mi hanno anche messa in guardia. La famiglia è il legame su cui conto di più, non c'è amicizia che tenga».
Un consiglio di suo padre?
«Una frase che ripete sempre: "devi essere un problema per i problemi". Lui cerca di superare tutto».
E di sua madre?
«Di essere meno ingenua».
Un rapporto speciale ?
«Con mia sorella Brigitta (la prima figlia di Loredana Lecciso ndr ). Presto mi trasferirò a Milano da lei. Ma anche con Yari (il primogenito di Al Bano e Romina Power): parliamo di musica».
Come ha vissuto la famiglia allargata?
«Siamo meno peggio di come ci dipingono».
Il rapporto con Romina?
« Con lei parlo di Los Angeles, dove vorrei trasferirmi».
Nonna Jolanda.
«Si arrabbiava per i jeans strappati, ma era ironica».
Avrebbe voluto conoscere sua sorella Ylenia?
«Tanto. So che era intelligentissima, avremmo avuto delle belle conversazioni».
I media l'hanno ferita?
«Di più Instagram: ho 95 mila follower, ma se potessi chiuderei il profilo. Tutti hanno carta bianca nello sfogare la frustrazione e a volte mi hanno condizionata».
Aurora Ramazzotti spesso denuncia gli haters.
«Non è facile avere un cognome famoso. Per loro non avrei dovuto fare musica».
E invece magari farà un duetto con papà Al Bano.
«Mai, quello mai».
· Alda D’Eusanio.
Da "ilmessaggero.it" il 15 marzo 2021. È una lotta per riabilitare la sua dignità, quella che il noto volto tv Alda D’Eusanio ha appena intrapreso contro Mediaset, rea secondo la giornalista di non averla protetta all’interno del Grande Fratello Vip e, addirittura, di averla cancellata imponendo a tutti i suoi colleghi di qualsiasi salotto, finanche il divieto a nominarla. A raccogliere lo sfogo dell’opinionista in forza a Barbara D’Urso prima dell’ingresso nella casa, è il Settimanale Nuovo, che riepiloga la scomoda vicenda di cui D’Eusanio si è resa protagonista. Una impasse generatasi tra le mura più spiate d’Italia, in cui Alda si è lasciata andare dimenticandosi delle telecamere, dando seguito a voci di corridoio sulla coppia Laura Pausini-Paolo Carta, alludendo a comportamenti violenti da parte del musicista nei confronti della cantante. «È stato un grave errore e ne sono consapevole, oltre che pentita, ma Mediaset non mi ha protetta e non mi ha dato modo di scusarmi pubblicamente. Perché a pubbliche offese devono rispondere pubbliche scuse», dichiara la giornalista raggiunta da Il Messaggero, a cui aggiunge: «È strano come prima del GFVip, per cui sono stata più volte cercata, potessi apparire sulla rete mentre ora sono innominabile. Non è giusto, è come se io non fossi mai esistita. Chiedo solo rispetto, rivoglio la mia dignità», conclude. Una vicenda spinosa quella che si va delineando, poiché la giornalista di fatto, sembra non aver violato alcun punto del regolamento che, a quanto si sa, contempla l'espulsione in casi di «Razzismo, omofobia e blasfemia. E io non ho fatto nulla di tutto ciò», precisa D’Eusanio, che è pronta ad impugnare il fatto, per ripristinare un equilibrio che in questa storia pare sbilanciato contro di lei. «Sarebbe stato giusto proteggermi, anche perché i miei certificati medici sono entrati nella casa prima di me», sottolinea al settimanale il volto TV che, nel 2012, è stata vittima di un grave incidente per cui è stata oltre un mese in coma. “Viva per miracolo”, come spesso le ripetono gli specialisti con cui è stata ed è tutt’ora in cura. A seguito dell’incidente infatti, Alda ha visto compromettersi la memoria cognitiva ed il controllo dei freni inibitori, motivo per cui, sin dal suo ingresso nella casa, ha tenuto a specificare al conduttore Alfonso Signorini durante la prima diretta, che spesso si sente come una bambina di 9 anni, pronta a rispondere e parlare senza freno. «Non mi pento mai delle mie azioni ma, tornassi indietro, non entrerei in quella casa. Trovo anche ingiusto che il mio infelice “scivolone” sia stato trattato in modo diverso, con più durezza», dichiara D’Eusanio in riferimento a come la rete invece si è mossa, nei confronti della coppia Adua del Vesco e Massimiliano Morra. Durante il programma infatti, i due giovani attori convinti di essere a riparo dalle telecamere, hanno proclamato parole pesanti sulla casa di produzione di cui sono stati entrambi parte, casa di produzione che, in molti, hanno ricondotto alla Ares Film di Alberto Tarallo e Teodosio Losito e per cui nelle ultime ore è scoppiato il caso Ares Gate, a seguito dell'apertura di un’inchiesta per istigazione al suicidio dopo la morte di Losito.
l reality show. Perché Alda D’Eusanio è stata espulsa dal GfVip e cosa c’entra Laura Pausini. Vito Califano su Il Riformista il 7 Febbraio 2021. Alda D’Eusanio è stata espulsa dal reality show del Grande Fratello Vip. Un’espulsione con effetto immediato per la giornalista che ha pronunciato delle frasi che hanno sconvolto gli spettatori e portato la produzione a intervenire con effetto immediato. La giornalista aveva rischiato l’espulsione già all’inizio dell’edizione per aver pronunciato la parola “negro”. In questo caso ha avanzato ipotesi di violenze coniugali sulla cantante Laura Pausini da parte del compagno Paolo Carta. I due hanno dato mandato all’avvocato Pier Luigi de Palma di agire contro tutti i soggetti responsabili delle “gravissime affermazioni”. Dichiarazioni senza alcuna base. L’illazione di D’Eusanio è venuta fuori in un dialogo all’interno della Casa. Parlando di Pausini, della quale veniva diffusa una canzone, e del suo compagno ha detto: “Questa c’ha uno che la mena”. La showgirl Samantha De Grenet l’ha interrotta esclamando: “Ma che dici, si amano alla follia!”. E la regia ha smesso di riprendere la scena. Dello stesso avviso Cristiano Malgioglio che sui social ha scritto che “se c’è una coppia felice innamorata e meravigliosa nel mondo dello spettacolo è quella di Laura Pausini con il suo compagno Paolo”. Immediata la reazione dei diretti interessati. “Troviamo assurdo che sia consentito dire cose così false e gravi nell’ambito pubblico e in questo caso di una trasmissione televisiva”, sottolineano Pausini e Carta in una nota diffusa via social dall’ufficio stampa della cantante dopo le pesanti accuse, assolutamente false e infondate, mosse da D’Eusanio – Nessuno può permettersi di attribuirci cose che sono lontane anni luce dal nostro modo di vivere, di educare e di rapportarci all’interno della nostra famiglia. È una cosa molto grave ed insensata e non possiamo fare altro che affidarci alla giustizia, per tutelarci. I ricavati della denuncia saranno devoluti interamente alle associazioni contro la violenza sulle donne”. Dopo la frase di D’Eusanio è scoppiata subito la bufera sui social. Mediaset ha comunicato l’espulsione con una nota ufficiale: “L’editore si dissocia completamente dalle reiterate affermazioni inopportune e offensive della concorrente anche riferite a persone non presenti nella casa […] Un comportamento grave e imperdonabile soprattutto alla luce del fatto che Alda D’Eusanio non sia una concorrente estranea al mondo della tv ma una professionista adulta ed esperta a cui certe espressioni non possono sfuggire. La signora D’Eusanio si dovrà assumere la completa responsabilità delle sue azioni”. Una nota anche da parte di Endemol Shine: “Endemol Shine Italy si scusa e si dissocia completamente dalle affermazioni pronunciate dalla signora Alda D’Eusanio nella Casa di Grande Fratello Vip in merito alla vita privata di Laura Pausini, affermazioni che hanno violato il regolamento del programma e delle quali sarà chiamata a rispondere personalmente. La produzione del programma procederà all’immediata squalifica della concorrente”.
"Affermazioni inopportune e offensive". Alda D’Eusanio espulsa dal Gf Vip. Con un provvedimento ad effetto immediato Alda D'Eusanio è stata espulsa per aver esternato una grave considerazione personale. Roberta Damiata, Sabato 06/02/2021 su Il Giornale. Con un durissimo comunicato del Grande Fratello Vip, Alda D’Eusanio, l’ultima concorrente entrata nella Casa, è stata espulsa con effetto immediato dal gioco. “L’editore si dissocia completamente dalle reiterate affermazioni inopportune e offensive della concorrente anche riferite a persone non presenti nella Casa. Un comportamento grave e imperdonabile soprattutto alla luce del fatto che Alda D'Eusanio non sia una concorrente estranea al mondo della tv ma una professionista adulta ed esperta a cui certe espressioni non possono sfuggire. La signora D'Eusanio si dovrà assumere la completa responsabilità delle sue azioni”, si legge. Non sono state specificate quali siano state le affermazioni inopportune, ma tutto fa pensare alla grave esternazione che la concorrente ha pronunciato parlando di Paolo Carta, compagno della cantante Laura Pausini. Già nei giorni passati Alda era stata ripresa per vari episodi. Come quando aveva pronunciato la parola “negro” per cui altri concorrenti erano stati eliminati. Numerosi infatti i suoi richiami in confessionale, tanto da creare ilarità e battute da parte degli altri concorrenti per questa sua caratteristica di dire qualsiasi cosa in libertà come se non ci fossero le telecamere. Questa volta però Mediaset ha preso una decisione esemplare vista la gravità del fatto, con l’espulsione a effetto immediato. Prima della diretta di venerdì scorso, Alda si era lasciata andare ad una confessione molto personale sulla cantante Laura Pausini e sul suo compagno Paolo Carta. Mentre si preparava per la diretta la regia ha messo di sottofondo una canzone della cantante ed è scattato subito il commento della D'Eusanio. “Che poi questa qui c’ha uno che la mena", aveva affermato rivolgendosi a Samantha de Grenet. "La concia in una maniera che non puoi neanche immaginare. Lui è un chitarrista che sta con lei e hanno pure una figlia insieme. Pare la crocchi di brutto”. Inorridita la de Grenet che ha subito replicato: “Ma che dici? Sei pazza? Si amano alla follia”. Immediatamente la regia ha staccato l’immagine dalle due, ma chi seguiva la diretta da casa è rimasto senza parole per questa esternazione. Per questo sono arrivati decine e decine di messaggi con la richiesta di provvedimenti urgenti sul caso. Intervenuto immediatamente anche l’avvocato della coppia PierLuigi De Palma che ha ricevuto il mandato di agire contro tutti i soggetti responsabili delle gravissime affermazioni. "Troviamo assurdo che sia consentito dire cose così false e gravi nell'ambito pubblico e in questo caso di una trasmissione televisiva. Nessuno può permettersi di attribuirci cose che sono lontane anni luce dal nostro modo di vivere, di educare e di rapportarci all'interno della nostra famiglia. È una cosa molto grave ed insensata e non possiamo fare altro che affidarci alla giustizia per tutelarci. I ricavati della denuncia saranno devoluti interamente alle associazioni contro la violenza sulle donne". In serata è arrivato anche il comunicato di Endemol: "Endemol Shine Italy si scusa e si dissocia completamente dalle affermazioni pronunciate dalla signora Alda D'Eusanio nella Casa di Grande Fratello Vip in merito alla vita privata di Laura Pausini, affermazioni che hanno violato il regolamento del programma e delle quali sarà chiamata a rispondere personalmente. La produzione del programma procederà all'immediata squalifica della concorrente".
Dagospia il 6 febbraio 2021. L’ufficio stampa Goigest informa che l’avvocato Pier Luigi De Palma ha ricevuto il mandato di agire contro tutti i responsabili delle gravissime affermazioni pronunciate al GF Vip su Laura Pausini e Paolo Carta. “Troviamo assurdo che sia consentito dire cose così false e gravi nell’ambito pubblico e in questo caso di una trasmissione televisiva. Nessuno può permettersi di attribuirci cose che sono lontane anni luce dal nostro modo di vivere, di educare e di rapportarci all’interno della nostra famiglia. È una cosa molto grave e insensata e non possiamo fare altro che affidarci alla giustizia, per tutelarci. I ricavati della denuncia saranno devoluti interamente alle associazioni contro la violenza sulle donne. Laura e Paolo Ufficio Stampa Goigest
Da leggo.it il 6 febbraio 2021. Alda D'Eusanio shock su Laura Pausini. La concorrente del Grande Fratello Vip ha affermato che Paolo Carta, il compagno della Pausini, la picchierebbe. Alda, che in soli 7 giorni non ha certo tenuto la lingua a freno all'interno della casa l'ha sparata grossa, parole molto forti nei confronti della coppia che di fatto denunciano un reato ma senza alcuna prova di nessun genere. Mentre i vip si stavano preparando per la diretta, il Grande Fratello ha messo della musica di Laura Pausini ed Alda D’Eusanio ha affermato: «Che poi questa qui c’ha uno che la mena, la crocchia in una maniera. Lui è un chitarrista che sta con lei e le ha dato anche una figlia, pare che la crocchi di botte». Accuse pesanti nei confronti del compagno della Pausini a cui la cantante è legata da diversi anni non solo nella vita privata ma anche sul lavoro, riportate da alcuni utenti su Twitter. I due, da sempre molto riservati, hanno vissuto la vita familiare lontano dai riflettori e insieme alla loro bambina Paola, fatta eccezione per alcuni post pubblicati sui social. Samantha de Grenet dopo le esternazioni ha guardato la D'Eusanio piuttosto perplessa: «Ma che dici? Si amano da impazzire». La regia in quel momento ha staccato immediatamente concentrandosi sulla stanza blu. Un'uscita, quella della D'Eusanio che potrebbe non passare inosservata, ma non certo la prima. Poco dopo il suo ingresso c'è stato il brutto scivolone con la parola "negro" da lei usata e ritenuta poco appropriata dai coinquilini e anche da parte del pubblico a casa che però alla fine a scelto di non squalificarla. Altra brutta frecciatina a Maria De Filippi e al suo ruolo di mamma considerato da Alda non appropriato. Ora Laura Pausini.
Adriano Aragozzini a Dagospia l'8 febbraio 2021. Caro Roberto mi meraviglio che tu riporti su Dagospia le notizie false inventate e destituite da qualsiasi fondamenta di Alda D’Eusanio al GFV. Tutti in Italia sanno che io ho fatto resuscitare Mia Martini prendendola al Festival di Sanremo nel 1989 contro il parere di molti artisti ed anche di funzionari delle case discografiche. In 5 anni che ho organizzato il Festival (3 da patron assoluto e 2 da produttore esecutivo per conto della Rai), Mia ha partecipato 3 volte. Inoltre ho avuto sempre con Lei un rapporto fantastico che Lei ha ricambiato in ogni intervista sui giornali ed in televisione parlando di me in modo meraviglioso. Inoltre l’ho portata al tour ‘’Sanremo in the world’’ a Tokyo, New York, Toronto, San Paolo del Brasile e Francoforte in Germania. Io sono stato calunniato ed offeso e questa mattina i miei legali hanno presentato denuncia querela ad Alda D’Eusanio che dovrà rispondere penalmente e civilmente delle sue dichiarazioni offensive calunniose false ed inventate. Adriano Aragozzini
Da ilmessaggero.it l'8 marzo 2021. Adriano Aragozzini ha querelato Alda D'Eusanio: chiesti un milione di euro di danni, che saranno devoluti in beneficienza. Lo comunica Elisabetta Calvario, il legale del produttore discografico dell'ex patron del Festival di Sanremo. Che in una nota dello Studio Legale Mlt di Roma ha dichiarato che, su richiesta di Adriano Aragozzini è stata sporta una denuncia-querela alla Procura Generale della Repubblica di Roma per «gravissima calunnia nei riguardi di Adriano Aragozzini in occasione di una puntata del programma televisivo Grande Fratello Vip ripreso e mandato in onda sulle Reti Mediaset la D'Eusanio si è permessa di dare del delinquente ad Adriano Aragozzini su una circostanza destituita da ogni fondamento essendo bel noto a tutti in Italia assolutamente il contrario», si legge.
La replica. Il legale sottolinea infatti come Adriano Aragozzini «abbia fatto rivivere come artista Mia Martini portandola al Festival di Sanremo del 1989 facendola partecipare al Tour Sanremo in the World con concerti a Tokyo New York Toronto San Paolo del Brasile e Francoforte ed inoltre Aragozzini in 5 anni che ha organizzato il Festival ha scritturato per 3 Mia al Festival».
L'Avvocato Elisabetta Calvario - sempre su richiesta di Aragozzini - ha «presentato denuncia contro Alda Deusanio al Tribunale Civile di Roma richiedendo un danno di un milione di Euro che verrà interamente versato per beneficenza al Presidente della Caritas Internationalis Cardinale Luis Antonio Tagle al Vaticano.
Renato Franco per il "Corriere della Sera" il 7 novembre 2021. «Ci si guarda indietro... E siamo già vecchi». L'ironia è il codice di rappresentazione con cui Aldo, Giovanni e Giacomo hanno attraversato 30 anni di storia del teatro, del cinema e della tv.
Eppure gli inizi - come quasi sempre succede - non furono un garage americano e una strada in discesa.
Giacomo: «Agli esordi ci avevano bocciato alcuni personaggi, fanno schifo, dicevano. Erano i bulgari».
Ovvero uno strepitoso successo.
«Anche per Tafazzi la stessa cosa, ci dissero di andare a farlo all'oratorio. Invece lì le follie erano ben viste, la tv all'epoca era bellissima». Lì, ossia Mai dire gol. Aldo: «I tre della Gialappa cercavano sempre di stimolarci, anche loro un trio e una grande affinità che ci legava. In quanti se proponi di fare il geco attaccato al muro, ti rispondono: sì dai organizziamo».
Tra i tanti spettacoli cosa vi rappresenta di più?
Giovanni: «Il teatro più di cinema e tv, per il suo meccanismo immediato con il pubblico, quindi I corti, Tel chi el telùn sono stati i progetti più esaltanti. Il cinema è diverso, alla fine sei quasi condizionato dal successo che ha decretato il pubblico. La tv invece è stata il palco delle grandi follie. A Mai dire gol dovevamo lavorare in pochi minuti. Lì abbiamo vissuto i momenti più euforici e folli, divertenti».
Eppure, anche lì, mica facile: «Appena siamo entrati a Mai dire gol hanno cercato di cacciarci. La Gialappa ci voleva, ma qualcun altro - non ci ricordiamo proprio chi fosse... - remava contro. Ci hanno tenuto per qualche ora in un limbo di attesa, 5 ore in un bar di Milano 2. Abbiamo resistito. E questa è una delle fortune di essere in tre, perché magari uno da solo se ne sarebbe andato».
Le decisioni a maggioranza, ma non solo.
Ancora Giovanni: «Il meccanismo era doppio: o si decideva a maggioranza o uno era così bravo da convincere gli altri a farsi seguire. C'è anche il proverbio: chi fa da sé fa per tre. Ecco, non è il nostro caso, per noi è il contrario».
Sempre in sintonia, qualche lite composta sempre all'interno.
Aldo: «Siamo sempre stati una squadra ben rodata, tra di noi, e poi con Paolo Guerra (il loro storico produttore) e Massimo Venier (il regista). Ci si fidava perché avevamo obiettivi comuni. Piccoli screzi ci sono sempre stati. Anche grossi - ma non ci ricordiamo nemmeno questi».
Giovanni: «La verità è che abbiamo una sensibilità artistica molto simile, questo è stato il collante che ci ha tenuto insieme: se a uno piace il non sense e un altro preferisce la comicità fisica non c'è possibilità, si rompe subito il meccanismo. Invece noi abbiamo tante affinità. E poi siamo amici, ci piace stare insieme».
Per festeggiare il 30° anniversario della loro carriera il trio ha scelto il canale Nove: due serate speciali inedite (Abbiamo fatto 30..., in onda in prime time il 21 e il 28 novembre; e in anteprima su Discovery+ da domani) insieme ad Arturo Brachetti (nel ruolo di conduttore-intervistatore) con aneddoti, gag, improvvisazioni, segreti e retroscena di 30 anni di televisione, cinema e teatro.
Qual è lo stato di salute della comicità oggi?
«Un tempo c'era più fermento, più voglia di essere liberi e visionari. Se noi fossimo nati adesso probabilmente non saremmo emersi...».
Giovanni: «Io avrei fatto il giardiniere».
Aldo: «Io l'aiutante del giardiniere».
Giacomo: «E io avrei continuato a lavorare in ospedale... La differenza è che noi costruivamo lo spettacolo anche seguendo le reazioni del pubblico; adesso il like è troppo freddo, è un sì o un no, non dialoga con te. Negli anni 80 c'erano locali dove il pubblico si divertiva a insultarti, a tirarti le monetine. Anche quello era formativo».
Fondamentali le monetine. Senza il «grano» di Giovanni questa storia forse non sarebbe stata scritta: «Se non avesse investito lui 5 milioni di lire nel nostro progetto non saremmo mai esistiti. Cinque milioni, era tutto ciò che possedeva».
Giovanni: «Sono stato lungimirante. Questo mi permette di avere ancora il 34% dei guadagni...».
Giacomo Poretti: «Un bullo mi perseguitava, gli lanciai addosso un banco. Che risate la gag dei bulgari». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 10 ottobre 2021. L’attore del trio di Aldo e Giovanni e Giacomo: «Ci vogliamo bene, ma a un certo punto abbiamo sentito il bisogno di fare qualcosa anche da soli». L’ultimo libro, «Turno di notte»: «Il lavoro di infermiere mi ha insegnato l’umiltà». Giacomino Poretti arriva sorridente e trafelato, ordina un caffè, dice di star bene, sempre bene, nonostante sia una fase della vita incasinata: sta ristrutturando casa, che notoriamente — chiarisce — con il lutto e il cambio del lavoro è una delle tre maggiori fonti di stress per l’essere umano; sta ultimando il cartellone per il Teatro Oscar, assieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi; e si sta occupando del nuovo libro, «Turno di notte», terza fatica letteraria dopo« Alto come un vaso di gerani» e «Al Paradiso è meglio credere», tutti per Mondadori. Confessa: «A questo tengo più che agli altri. Del primo non mi sembrava vero mi dessero la possibilità di scriverlo. Il secondo era una storia un po’ distopica, credo l’abbiano apprezzata in due o tre. Questo è stato anche doloroso scriverlo»..
Scelga lei come qualificarsi: marito, figlio, padre, attore, comico...
«Sono molto legato alla famiglia, per me è centrale, è in cima a tutte le cose. Ma sulla lapide mi piacerebbe ci fosse “scrittore”. È un po’ esagerato, mi rendo conto. Però, se me lo si chiede prima, allora non avrei dubbi: o scrittore o umorista».
In «Turno di notte» racconta i suoi 11 anni all’ospedale di Legnano: entrò nel 1974 da ausiliario e uscì nel 1985 da caposala.
«I ricordi più belli li ho in chirurgia plastica e traumatologia-ortopedia. C’era una tale carenza di infermieri che ti impiegavano subito a fare tutto, anche se non eri diplomato. Ma il reparto che mi ha segnato di più è stato medicina, con i pazienti di oncologia».
La lezione più grande imparata in corsia?
«L’umiltà. Credo valga anche per i medici. Nel mio caso, sono passato per prove di umiliazione mica male: l’infermiere deve occuparsi del corpo del malato, un corpo sporco, che suppura, che maleodora. Il tuo primo compito è pulirlo, e non è sempre piacevole. Certo, è più umiliante per l’ammalato».
E i medici come imparano l’umiltà?
«Capendo che non sono onnipotenti. Quando devi dire che un familiare ha pochi mesi di vita subisci una sconfitta: con tutto quello che hai studiato, non sai come salvarlo».
È mai stato ricoverato, dopo?
«Sì e ho anche avuto bisogno del pappagallo. In quel caso mi sono chiesto: “Ma sono stato attento e premuroso con i pazienti quando me lo chiedevano? Perché prima glielo porti via e prima lo togli dall’imbarazzo».
È stato battezzato Giacomino. Di chi è la colpa?
«Di mia madre, che voleva darmi il nome di suo padre, morto quando lei e il gemello avevano otto mesi. Però, per differenziarmi da lui, mi chiamò Giacomino. Da ragazzino mi faceva schifo. Ma perché, dico io? Sembrava il mio destino fosse già scritto. In casa mi chiamavano Mino. Poi a scuola cominciarono con Jack».
Mai stato bullizzato?
«Un pochino, per l’altezza. Una volta ho reagito in maniera scomposta. Frequentavo le serali, perché di mattina lavoravo in fabbrica: avevo cominciato dopo la licenza media e tre mesi ai geometri, i miei genitori mi avevano fatto capire che era meglio se lavoravo. Al professionale c’era uno grande che mi prendeva sempre per i fondelli: è arrivato il tappetto, il piccoletto... Quella volta non ci vidi più. Lui era seduto al suo banco, io lo raggiunsi e gli scaraventai contro la scrivania. Cadde all’indietro e batté forte la testa: per cinque secondi non si mosse. Poi si riprese, non mi insultò più. Ho ancora paura se ci ripenso. A mia discolpa posso citare papa Francesco quando ammise: è vero che non si può reagire violentemente, ma se un mio amico dice una parolaccia contro la mia mamma lo aspetta un pugno!».
Cos’ha preso dai suoi genitori?
«Mio padre Albino era metalmeccanico. Da lui spero di aver preso la sensibilità: era molto dolce. Mia madre faceva l’operaia tessile: lei è un carrarmato. Un aneddoto emblematico della sua infanzia è di quando mia nonna svegliò nel cuore della notte lei e il gemello, che avevano 8 anni, per andare in campagna a tagliare un ciocco di legno: era inverno e c’era la neve. Da lei ho preso l’indomabilità: mia moglie, invece, dice che sono cocciuto».
E suo figlio Emanuele, quindicenne, cosa ha preso da lei?
«La profonda sensibilità. Mentre l’ironia la deve alla nonna».
Che padre pensa di essere?
«Affettuoso e ansioso. Quando Emanuele è nato è stato il giorno più bello della mia vita. Mia moglie, Daniela, doveva fare il cesareo, fissato per le 9 del mattino. Lei si svegliò alle 8.10, tranquilla, anche perché stava benissimo con Emanuele in pancia. Io ero sveglio dalle 6, sbarbato e vestito di tutto punto!».
Il libro lo ha dedicato a Emanuele e a Daniela, «medico delle anime».
«Lei è psicoterapeuta, una delle sue passioni è il teatro, lo usa anche nel lavoro. Aveva fatto la scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano per la regia ed ebbe una piccola parte nel film di Giuseppe Piccioni Fuori dal mondo, prodotto da Lionello Cerri dell’Anteo, che mi invitò a vederlo. Io gli feci capire che mi sarei annoiato tantissimo e invece conobbi Daniela: era il 1999. Ci siamo sposati nel 2002».
Insieme avete intrapreso un percorso di fede. Organizzate ancora gli incontri spirituali al San Fedele?
«Non più. Insieme avevamo cominciato a frequentare il centro: padre Eugenio Bruno ci aveva sposato e aveva battezzato nostro figlio. Però posso dire che il matrimonio ha un senso diverso all’interno del percorso di fede: le parole fedeltà e dedizione mi riscaldano».
Pensa mai alla morte?
«Certo, più passa il tempo e più ci pensi! Quando ci siamo ammalati di Covid la sera ci addormentavamo con il timore di non risvegliarci. Avere fede aiuta, ma talvolta fa incavolare ancora di più. Nel mio libro, l’infermiere Saetta instaura frequenti dialoghi con chi sta lassù: impreca, supplica, spera. E a volte si sente accolto e grato».
Giacomo Poretti: «Ex infermiere malato di Covid, che paura ho avuto di finire in ospedale»
Aldo Giovanni e Giacomo di nuovo sul set: «Faremo ridere ancora?»
Giacomo Poretti (senza Aldo e Giovanni) si racconta in «Moto Teatro»: «Il mio palco sull’apecar»
Ha fatto cinema, televisione, teatro. Perfino l’ape-teatro!
«Ah questa è stata un’esperienza bellissima! Due settimane fa sono venuti in 400 al Cimitero Monumentale di Milano: c’erano 5 fiati e io che declamavo una cosa su Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, un tedesco e un terrone africano. Quattrocento al cimitero non è male, eh...».
Si ricorda il suo debutto?
«In oratorio a Villa Cortese, avevo 8 anni. Don Giancarlo mise in scena uno spettacolo su tre extraterrestri che arrivavano sul nostro pianeta: uno era altissimo, uno bassissimo e uno grassissimo. Ebbi la parte senza provino. Ci furono due repliche, ricordo ancora l’emozione. Mi ci sono voluti altri vent’anni per intraprendere finalmente quella strada».
E arriviamo all’incontro con Aldo Baglio e Giovanni Storti. Cosa l’ha divertita di più?
«Beh, quando facevamo i bulgari mi divertivo come un matto! All’inizio si chiamavano gli albanesi. Poi, prima di una puntata di Mai dire Gol successe una tragedia nel mare e la Gialappa’s suggerì di cambiare nome per rispetto».
Com’erano nati i personaggi?
«Da una vacanza-lavoro a Zanzibar, dove io non potei andare perché ero malato. Aldo e Giovanni tornarono pazzi per questi acrobati locali scarsissimi. Decisero di farne la parodia. Tenga conto che loro due sono acrobati veri, hanno frequentato la Scuola di Mimo dell’Arsenale».
Non è che dessero questa impressione...
«Sembrare scarsi raddoppia la bravura!».
Censure?
«Sì. Ai tempi di Cielito lindo, era il 1993, quando facevamo i vecchietti, dedicammo un “sai che?” a Sandra Milo, che aveva già 60 anni. La battuta era: sai che Sandra Milo è incinta? E sai cosa ha detto il figlio appena è nato? Ciao nonna! Una cosa innocente, giocata sul fatto che con la provetta si poteva fare un figlio a qualsiasi età. Ci avvertirono: se lo dite chiudiamo il programma. Cedemmo».
Sensibilità offese?
«Ne La banda dei Babbi Natale a un certo punto Giovanni, che interpreta un veterinario, dà un calcio a un gatto bianco. Era chiaramente un peluche. Ma gli animalisti protestarono. Per la povera Mara Maionchi, cui ne facemmo di ogni colore, non si fece avanti nessuna associazione di suocere. Pure per un spot ci fecero problemi: volevamo mettere un cane, finto, dentro la lavatrice. Ci finii io».
Le dispiace essere associato sempre al trio?
«No, affatto. Devo a loro la mia carriera artistica. Siamo al punto che quando esco con mia moglie qualcuno commenta: quella è la moglie di Aldo Giovanni e Giacomo!».
Vi volete bene?
«Sì. Giovanni l’ho sentito due giorni fa, Aldo è più anarchico e risponde meno al telefono. A un certo punto abbiamo sentito il bisogno fisiologico di fare anche altro, da soli: la notorietà ti dà una grande libertà. Ci siamo visti una settimana fa per parlare del nuovo film».
Ha fatto ridere tantissime persone: di chi è più orgoglioso?
«Dopo l’Expo il cardinale Scola, allora arcivescovo di Milano, mi commissionò una serata in piazza Duomo sul tema dell’alimentazione. Ero teso perché avevo scritto un pezzo molto divertente, ma pieno di riferimenti biblici un po’ forzati, con Giacobbe, Esaù... Il cardinale mi fece i complimenti. Ma il giorno dopo la vera soddisfazione fu vedere le foto con il cardinale Tagle che rideva a crepapelle! Un filippino, capisce? Comicità senza confini!».
Quale giudizio aspetta con più apprensione? Quello di sua madre o di sua moglie?
«Di mia moglie, mi fa sempre un mazzo così. Le faccio leggere le cose in anteprima, ad alta voce. Lei ride, partecipa, mi fa i complimenti. E poi mi massacra!».
Estratto dell’articolo di Daniela Mattalia per “Panorama”, pubblicato da “La Verità” il 30 settembre 2021. Per 11 anni, prima del palcoscenico, Giacomo Poretti (una delle tre anime del celebre trio con Aldo e Giovanni) ha calcato le corsie degli ospedali come infermiere. Di quell'esperienza ha voluto fare un bilancio scanzonato nel suo ultimo libro - Turno di notte (Mondadori) -. Di seguito uno stralcio della sua intervista che trovate su Panorama.
Cosa le è venuto in mente di fare un mestiere così ingrato come quello dell'infermiere? È stato per caso, come per il suo alter-ego Sandrino, o ci ha pensato su?
«No, è stato davvero per caso. Da bambini magari sogniamo di diventare astronauta, o pilota, poi la vita decide altrimenti, le "porte scorrevoli" che ci si aprono sono tantissime. Mai avrei pensato di fare un lavoro simile. Ma poi ci sono rimasto».
Alla fine è diventata una scelta.
«Sì, perché dall'ospedale in fondo puoi sempre scappare, se la cosa ti atterrisce. Scegli un'altra specialità, magari in uno studio dentistico, aspiri un po' di saliva ma non vedi cose tremende...».
Allora perché vale la pena?
«Io l'ho vissuto come qualcosa di tragicamente miracoloso. Quando lavori in ospedale la cosa decisiva non appartiene né al "bello" né all'"interessante", è lo stare a contatto con la malattia e anche con i suoi esiti nefasti che è sconvolgente, ti sconquassa. L'aspetto relazionale con le persone è ciò che ti resta addosso».
Come riusciva a non farsi coinvolgere troppo?
«In quelle pagine ho cercato proprio di far capire il pericolo che si corre, sempre in bilico tra il cinismo e l'affezionarsi».
Lei l'aveva trovato un punto di equilibrio?
«Penso di sì perché, come dice Sandrino, alla fine "i vecchini li ho sempre cambiati", benché si provi spesso la tentazione di dire "ma perché"?».
«Saetta» ha fatto 1.765 turni di notte, anche lei? E un arresto cardiaco, l'incubo di ogni infermiere, le è mai capitato?
«Sì, il numero è grosso modo quello lì. E di arresti cardiaci me ne sono capitati cinque. Non tutti finiti bene, però. Nel mio caso, due si sono salvati e tre no».
Ha mai pensato «avrei potuto fare di più»?
«Sempre, del resto è la domanda che si fa anche il comico: potevo migliorarla quella battuta? Avrei potuto far ridere di più?».
Mai sofferto di «burnout»?
«No, una volta non si parlava nemmeno di questa sindrome da esaurimento. Però il primo decesso l'ho sofferto proprio tanto. Me lo ricordo bene, era un signore di poco più di 50 anni, aveva una brutta malattia...».
I medici a volte sono sin troppo bruschi, altre - lei nel libro li prende in giro - fanno i vaghi, usano paroloni astrusi di fronte ai malati e alle famiglie. Lei che ne pensa di loro, sinceramente?
«Io ne ho un'ottima opinione perché è il mestiere più difficile del mondo. Ce ne sono tre così: il medico, il politico e il prete».
Il politico forse no, eh.
«A farlo bene sì, invece. Io, caspita, ho quasi una venerazione per i medici, anche perché ne ho visti molti in difficoltà, a volte devi far piangere una persona, o famiglie intere, è tremendo».
Le sarebbe piaciuto indossare il camice?
«Molto, io non ho mai studiato ma avrei voluto fare l'internista: è il cosiddetto medico generico che però deve sapere un'infinità di cose, è come un segugio che scopre la malattia».
Lei i pazienti li faceva ridere?
«No, non avevo e non ho alcuna attitudine a far ridere chi sta male. Ho sempre pensato che chi va in ospedale non ha voglia di ridere».
Nella sua «seconda vita», le è successo di intervenire in un luogo pubblico dove qualcuno si sente male e c'è chi fa la classica domanda: «C'è un medico»?
«Sì, ti viene istintivo, mi è capitato in incidenti stradali nei quali dai una mano, oppure i vicini di casa ti chiamano per fare una medicazione o togliere i punti e mi dicono: "Giacomo, verresti tu?"».
Aldo e Giovanni le chiedono mai pareri o consigli medici?
«Eh, è successo un paio di volte durante le tournée teatrali che Aldo si ferisse e dovevo fargli il richiamo dell'antitetanica, un gag meravigliosa perché lui è un cagasotto mondiale, Giovanni mi faceva da assistente e io lo rincorrevo con la siringa in mano».
Lei e la sua famiglia un anno fa vi siete ammalati tutti per il Covid. Sapere di medicina ha aiutato in quel frangente o era peggio?
«In quel caso lì nessun medico al mondo sapeva di cosa ci si stava ammalando, forse adesso si inizia a saperne qualcosa di più, io non ero per niente rassicurato, non c'era nessuna cura certa, si andava a spanne... Anche ora non è che sia chiarissimo. Ho fatto tanti giorni con febbre molto alta, nel marzo 2020. Per fortuna il virus si è fermato lì e non è andato nei polmoni o da altre parti».
Lei nel libro mette in scena un monologo irriverente e un po' scazzato rivolto a Dio. Al quale rimprovera il silenzio. Lei crede? E perché Dio fa finta di niente?
«Io ci credo, sì. E ho cercato di raccontarla nel romanzo com' è fatta la fede, di dubbi, domande, arrabbiature. Tanti filosofi prima di me hanno affrontato il problema di questa "assenza". Appartiene, penso io, al fatto che uno deve stare là e l'altro deve stare qua».
Ma se lui sta là a far finta di niente, noi cosa ce ne facciamo?
«No, non è vero che fa finta di niente. Lei come lo sa? Se Dio risolvesse tutto saremmo dei pupazzi, dei topi da esperimento, invece siamo totalmente liberi. È dentro questo mistero che Saetta chiede e impreca».
Ale & Franz ripartono dal teatro: «Gag sull’amore maturo, c’è voglia di leggerezza». Emilia Costantini su Il Corriere della Sera il 18 Dicembre 2021. Assente da due anni dalle scene, il duo comico inaugura la riapertura a Milano dopo ventidue anni del Teatro Lirico. Repliche fino al 9 gennaio. «Comincium» : un titolo, una garanzia. Ale e Franz, al secolo Alessandro Besentini e Francesco Villa, ricominciano dopo due anni di assenza dal palcoscenico, inaugurando la riapertura del Lirico di Milano il 22 dicembre, con la regia di Alberto Ferrari. «Eccoci qui... sembra passato un secolo — esordisce il duo —, i ricordi del sipario che si apre, i fari che si accendono, i sorrisi e gli applausi del pubblico. In una parola: il teatro». Lo spettacolo, accompagnato dalla musica eseguita dal vivo da Luigi Schiavone (chitarra), Fabrizio Palermo (basso), Francesco Luppi (tastiere), Marco Orsi (batteria) e la cantante Alice Grasso, si divide in tre quadri. «Nel primo — spiega Ale — siamo due persone alla fermata dell’autobus. Io sto mangiando un tramezzino e Franz attacca una filippica sulla mia mancanza di rispetto per la natura. La sua critica parte dall’involucro di plastica del mio tramezzino, per arrivare fino al surriscaldamento del pianeta». Nel secondo quadro, due cinquantenni scoprono l’amore: «I due signori di mezza età, si incontrano in un parco — interviene Franz — e uno racconta all’altro di essersi innamorato di una ragazza molto giovane e di sentirsi in colpa. Ma anche l’altro lo rincuora, confidando che gli sta succedendo la stessa cosa. Al termine delle reciproche confessioni, però, esplode una verità che scombina i piani a entrambi». Il duetto si conclude con l’incontro di due amici anziani in una bocciofila: «Entrambi hanno fatto, a suo tempo, la guerra — riprende Ale — ma temono di aver ricevuto una lettera che li richiama al servizio militare». Aggiunge Franz: «Il timore di quel richiamo alle armi, che poi si scoprirà non vero, gli fa rivivere i drammatici momenti del conflitto bellico che hanno patito sulla propria pelle. Ecco — sottolinea l’attore —, forse questa ultima parte è quella che ha un tocco di malinconia». Ma «Comincium» vuole essere, ed è, uno spettacolo divertente, leggero, all’insegna della risata. «Assolutamente sì — conferma Ale —. Il titolo stesso sta a rappresentare la voglia di ripartire, di incontrare il pubblico con una risata liberatoria». Risate e anche tante canzoni: «Eh sì — dice Franz — anche perché la riapertura coincide con un grande evento: il Lirico viene intitolato a Giorgio Gaber. Per noi una bella responsabilità e un grande onore. Verranno quindi eseguite sue canzoni, ma anche di Enzo Jannacci e di Giorgio Strehler». Divertire gli spettatori muniti di mascherina, che copre la bocca che ride, è una deminutio? «Nello spettacolo non si parla di pandemia, un tema doloroso su cui c’è poco da scherzare — risponde Ale —, ma non sono certo le mascherine a bloccare la reazione degli spettatori». Conclude Franz: «La gente ha voglia di uscire, di incontrarsi in una sala teatrale, pur dovendo accettare tutte le misure di sicurezza».
Baldwin spara sul set di Rust, il precedente del 1993 con Brandon Lee. Adnkronos.com il 22 ottobre 2021. Alec Baldwin spara sul set con una pistola di scena causando la morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins e il ferimento del regista Joel Souza. E' accaduto oggi, nel corso della lavorazione del film western 'Rust' al Bonanza Creek Ranch di Santa Fe, in New Mexico. Dietro l'incidente potrebbe esserci il malfunzionamento della pistola di scena, caricata a salve. "I dettagli non sono chiari in questo momento, ma stiamo lavorando per saperne di più e supportiamo un'indagine completa su questo tragico evento", hanno affermato il presidente della International Cinematographer's Guild John Lindley e il direttore esecutivo Rebecca Rhine. Incidenti come quello accaduto sul set di “Rust” sono estremamente rari, ma non inediti. Le armi da fuoco vere sono spesso utilizzate nelle riprese e sono caricate con cartucce a salve che creano un lampo e un botto senza che parta alcun proiettile. Ma a volte qualcosa può andare storto, come accadde nel 1993 a Brandon Lee, il figlio di 28 anni della defunta star delle arti marziali Bruce Lee, morto sul set dopo essere stato accidentalmente colpito da un colpo di pistola di scena durante le riprese di una scena mortale nel film 'Il corvo'. Successivamente è stato appurato che purtroppo la pistola utilizzata aveva un bossolo che era rimasto nella canna e che, nell'esplosione di una nuova carica a salve, la vecchia cartuccia era stata sparata fuori ed aveva ucciso l'attore. Secondo i produttori l'incidente avvenne per una serie di sfortunati eventi scaturiti dalla negligenza dei membri del personale che, avendo bisogno di proiettili inerti per una scena di un primo piano del caricatore, li costruirono togliendo innesco e polvere da sparo da veri proiettili invece di comprarli già pronti. Per errore uno dei proiettili non venne però privato dell'innesco e il revolver venne lasciato carico anche dopo la scena. Quando il grilletto della pistola fu successivamente premuto, l'innesco rimasto ebbe abbastanza forza da spingere comunque l'ogiva fino a metà canna, inceppando l'arma. Al momento della scena fatale, la pistola venne caricata con proiettili a salve (munizioni fornite di polvere da sparo ma prive di ogiva, in modo da emettere il suono dello sparo senza però che avvenga effettivamente lo sparo) ma quando venne esploso il colpo, l'ogiva precedentemente incastrata nella canna venne sparata allo stomaco di Brandon. Lee morì più tardi al New Hanover Regional Medical Center di Wilmington (Carolina del Nord), dopo una lunga e vana operazione per rianimarlo, in cui venne rinvenuta l'ogiva. Le sue eredi, la madre Linda, la sorella Shannon e la fidanzata Elizah, fermarono le indagini ritirando la denuncia e accettando la spiegazione dell'incidente fornita dalla produzione in cambio di un risarcimento in milioni di dollari, firmando un accordo extragiudiziale che suscitò il rimprovero da parte del coroner che svolgeva l'inchiesta, giacché almeno sette persone stavano per andare a processo per omicidio colposo e invece in questo modo non ci fu luogo a procedere.
Dopo aver appresso dell'incidente sul set di 'Rust', la sorella di Brandon Lee, Shannon, ha twittato: "I nostri cuori sono con la famiglia di Halyna Hutchins e Joel Souza e con tutte le persone coinvolte nell'incidente di Rust. Nessuno dovrebbe mai essere ucciso da una pistola in un film".
Da "ansa.it" il 9 novembre 2021. Dopo il tragico incidente sul set del suo film "Rust" in cui è rimasta uccisa la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, Alec Baldwin ha chiesto a Hollywood di assumere un poliziotto su ogni set in cui si usano armi. "Ogni set di film o di serie tv che usa pistole, vere o false che siano, dovrebbe avere un poliziotto sul set, assunto dalla produzione, per sorvegliare specificamente la sicurezza delle armi", ha scritto l'attore sui suoi profili social. Baldwin, protagonista e produttore di "Rust", il 21 ottobre in New Mexico aveva aperto il fuoco con un'arma che riteneva caricata a salve e che invece ha ucciso la Hutchins e ferito il regista Joel Souza che si trovava dietro di lei. Nei giorni scorsi, a seguito di quello che aveva definito "un evento orribile", lo stesso Baldwin aveva chiesto di imporre nuove regole sui set che rendessero obbligatorio durante le riprese l'uso di armi e di proiettili di plastica.
Da leggo.it l'11 novembre 2021. Nuovi guai per Alec Baldwin accusato insieme ad altri di negligenza tale da causare a un dipendente della troupe di Rust un «grave disagio emotivo». Serge Svetnoy il capo tecnico delle luci del set di Rust ha intentato una causa contro diverse società e individui coinvolti nel film, tra cui Alec Baldwin, dopo l'incidente che è costato la vita alla direttrice della fotografia Halyna Hutchins. Nel procedimento si accusano Baldwin, l'assistente alla regia David Halls, l'armaiola Hannah Gutierrez Reed e altri imputati di negligenza che ha causato a Svetnoy un «grave disagio emotivo». Oltre ad incolpare i produttori, tra le altre cose, di non aver assunto un armaiolo competente ed esperto. L'uomo, che ha lavorato come capo tecnico delle luci sul set, dice di essere stato colpito da «materiali di scarico» dell'esplosione e mancato per un pelo dal proiettile partito dalla pistola che impugnava l'attore. «La presenza di un proiettile vero in un revolver rappresentava una minaccia letale per chiunque si trovasse nelle sue vicinanze», si legge nella causa, dove si sostiene la mancata «attuazione degli standard del settore per la custodia e il controllo delle armi da fuoco utilizzate sul set». Svetnoy ritiene «che le munizioni usate non siano mai state conservate in modo sicuro e siano state semplicemente lasciate incustodite sul camion di scena».
Il racconto dell'attore. “Quella volta che ho rischiato la stessa tragedia di Alec Baldwin”, Pierfrancesco Favino e l’incidente sul set con un fucile. Antonio Lamorte su Il Riformista il 10 Novembre 2021. Quello che è successo ad Alec Baldwin poteva succedere a Pierfrancesco Favino. Lo ha raccontato lo stesso attore in una lunga intervista a Il Corriere della Sera. La tragedia sul set del film Rust, lo scorso 21 ottobre: mentre l’attore provava una pistola di scena un colpo è partito e ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins e ferito il regista Joel Souza. La pistola era caricata con proiettili veri. Le indagini sulla tragedia sul set a Santa Fe, in New Mexico, sono in corso. La rivelazione di Favino – a proposito di brutte esperienze, e di sicurezza sui set cinematografici – proprio nel giorno in cui dagli Stati Uniti arriva la notizia di un membro della troupe del film Rust, Jason Miller, morso al braccio da un ragno marrone. L’uomo è grave, ricoverato in ospedale: rischia l’amputazione a causa dell’infezione. I giornali stanno parlando di maledizione del film. Baldwin, che dall’inizio ha collaborato con gli inquirenti, è ancora sconvolto per la tragedia. “A proposito di quello che è successo a Alec Baldwin – ha raccontato dunque Favino – ricordo un episodio. Eravamo in Bulgaria. Avevo un fucile, ovviamente caricato a salve, dovevo sparare bendato. Ho chiesto all’aiuto regista di poter provare l’arma prima e non mi fu data la possibilità di farlo per questioni di tempo. Sparai, il bossolo mi sfiorò le tempie”. L’attore non ha voluto rivelare di quale film si trattasse. “Per la prima volta nella vita ho urlato tanto. Mi hanno tenuto, avevo ragione io. Un film può venire male, ma un conto è che sia un incidente, un conto che sia un progetto”. L’attore tornerà al cinema il prossimo 18 novembre con Promises di Amanda Sthers. Interpreterà Alexander che “non è il classico italiano mafioso ma un uomo cresciuto a Londra, madre inglese e padre italiano, ma che vuole recidere i legami con questa parte della famiglia”. Ha recitato in inglese. Favino nei prossimi mesi sarà di nuovo in sala con Il colibrì, tratto dal romanzo vincitore del Premio Strega di Sandro Veronesi, e Nostalgia, dal romanzo di Ermanno Rea. Agli inizi, ha ricordato Favino nell’intervista, fu importante la sua ragazza dell’epoca, che lo incoraggiò a recitare. Lui guardava tre film al giorno e andava al Festival di Venezia con lo zaino in spalla. Ha studiato con Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni. Con quest’ultimo in particolare condivide tanti biopic sulla storia italiana. I passi più importanti nella sua carriera? Bartali, El Alamein, la serie tv Romanzo Criminale e il Festival di Sanremo condotto con il direttore artistico Claudio Baglioni e Michelle Hunziker nell’edizione del 2018. Favino nella sua carriera ha vinto tre David di Donatello, una Coppa Volpi, quattro Nastri d’argento.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Alec Baldwin, un morto non basta. "Membro della troupe a rischio-amputazione": Rust, altra tragedia sul set. Libero Quotidiano il 09 novembre 2021. Un dramma nel dramma sul set di Rust. Dopo la morte di Halyna Hutchins, colpita dalla pistola di Alec Baldwin, il film deve fare i conti con un'altra tragedia. Jason Miller, membro della troupe nonché addetto allo smantellamento del set, rischia l'amputazione di un arto. L'uomo è stato morso ad un braccio da un "ragno eremita marrone", noto per avere un veleno tossico in grado di causare necrosi. Ed è quello che sta accadendo a Miller, ora grave in ospedale, dove i medici stanno cercando di curare l'infezione e lo stanno sottoponendo a diversi interventi per evitare il peggio. "In pochi giorni ha manifestato sintomi gravi tra cui necrosi del braccio e sepsi - scrive la famiglia di Miller sulla pagina di GoFundMe, creata per raccogliere fondi necessari alle cure mediche -. È stato ricoverato in ospedale e ha subito diversi interventi chirurgici ogni giorno mentre i medici fanno del loro meglio per fermare l'infezione e cercare di salvare il suo braccio dall'amputazione". A tutti viene poi chiesto "supporto e l'offerta di contributi per aiutare Jason a superare questo momento doloroso e impegnativo". Una notizia che arriva dopo la tragica scomparsa della direttrice della fotografia, uccisa da un proiettile vero che in quell'arma non doveva esserci. Chi ha visto Baldwin, è stato lui a sparare alla Hutchins, lo descrive affranto. Da giorni l'attore non si fa vedere in pubblico, chiuso nel dolore per avere perso quella che lui stesso ha definito "un'amica".
Alec Baldwin distrutto dal dolore: gli attimi dopo la tragedia all'ufficio dello sceriffo. Redazione il 22 ottobre 2021 su Today. E' il Mirror a raccontare i primi momenti dopo l'incidente avvenuto sul set di "Rush", pubblicando fotografie e riportando le dichiarazioni di un funzionario. Distrutto dal dolore. Piegato in due in agonia fuori dall'ufficio dello sceriffo di Santa Fe presso cui si è recato dopo l'incidente mortale avvenuto nelle scorse ore sul set del film western Rush. Così viene raffigurato Alec Baldwin nelle foto pubblicate dal Mirror, quotidiano britannico, nei momenti successivi al colpo sparato con una pistola di scena e che si ritiene abbia ucciso il direttore della fotografia Halyna Hutchins, 42 anni.
Le dichiarazioni di un funzionario dello sceriffo
Baldwin, 63 anni, è apparso visibilmente sconvolto. Stando a quanto riporta il sito del Mirror, un funzionario del dipartimento dello sceriffo di Santa Fe ha dichiarato: "Il signor Baldwin è stato interrogato dagli investigatori e rilasciato. Non sono stati presentati arresti o accuse". E ancora: "Questa indagine rimane aperta e attiva. Nessuna accusa è stata depositata in merito a questo incidente. I testimoni continuano ad essere interrogati dagli investigatori".
La produzione si ferma
Intanto, dopo la tragedia le riprese si sono ovviamente fermate. "Il cast intero e lo staff sono davvero sconvolti dalla tragedia odierna", si legge nella nota diffusa dalla produzione e riportata dal New York Times. "Abbiamo fermato a tempo indefinito la produzione del film e collaboriamo a pieno con le indagini", aggiunge la dichiarazione che assicura assistenza alle persone coinvolte "mentre lavoriamo per elaborare questo terribile evento" e fa le condoglianze alla famiglia della direttrice della fotografia Halyna Hutchins.
Chi è Alec Baldwin, l’attore che ha sparato sul set del film Rust. Redazione il 22 ottobre 2021 su Newsmondo.it. La biografia, i film e la vita privata di Alec Baldwin, l’attore statunitense coinvolto in un drammatico incidente sul set.
Alexander Rae Baldwin, per tutti semplicemente Alec Baldwin, è un noto attore statunitense che nel corso della sua carriera ha preso parte anche a pellicole di una certa importanza. Nell’ottobre del 2021 il suo nome è venuto alla ribalta per un drammatico incidente avvenuto sul set del film Rust: Alec Baldwin ha accidentalmente aperto il fuoco con una pistola di scena, uccidendo la direttrice della fotografia.
La biografia
Nato nel 1958 negli Usa, sin da giovanissimo coltiva una grande passione per la recitazione. Passione che avrebbe portato avanti nel corso della sua vita e che lo avrebbe portato al successo. Ma prima di sfilare sui red carpet più prestigiosi, Baldwin ha lavorato come cameriere, come autista e anche come venditore di magliette. Un passato che non ha mai rinnegato e non ha mai nascosto. Un passato che gli ricorda i sacrifici fatti per arrivare al successo.
I film di Alec Baldwin
Nel corso della sua carriera Baldwin ha preso parte a svariate decine di film per il cinema e la televisione. Ricordiamo il suo film di esordio, La divisa strappata, del 1986. Un film destinato alla televisione che regala all’attore la prima ondata di visibilità e notorietà. Inizia così a lavorare per il cinema e nel 1988 lavora con Oliver Stone nel film Talk Radio. Inizia una scalata impressionante. Nel 1990 recita al fianco di Sean Connery nel film Caccia a Ottobre Rosso
Negli anni 2000, dopo un periodo difficile dal punto di vista professionale, Baldwin torna alla ribalta con film di primo piano, come The Aviator, di Martin Scorsese.
La filmografia completa e dettagliata è messa a disposizione da Coming Soon.
La moglie e i figli di Alec Baldwin
Il matrimonio con Kim Basinger è stato uno degli eventi più importanti nel mondo del cinema: i due si sposano nel 1993 e hanno una figlia, Ireland. Dopo una lunghissima relazione, nel 2000 arriva la separazione, seguita dal divorzio, ufficializzato nel 2002.
Nel 2012 Baldwin sposa Hillary Thomas, nota semplicemente come Hilaria. Si tratta di una insegnante yoga. Dalla relazione nascono Carmen Gabriela, Rafael, Leonardo Angel, Romeo Alejandro David e Eduardo Pau Lucas. Nel 2021 la coppia ha un’altra figlia, Lucia, nata da madre surrogata.
L’incidente sul set del film Rust: Alec Baldwin spara con la pistola di scena e uccide la direttrice della fotografia
Il 22 ottobre del 2021 Baldwin viene alla ribalta per un drammatico incidente con la pistola avvenuto sul set del film Rust. Baldwin, protagonista del film, spara accidentalmente con la pistola di scena e ferisce a morte la direttrice della fotografia.
Da "leggo.it" il 24 ottobre 2021. La pistola di scena che ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins era stata usata da alcuni componenti della troupe di Rust per gioco fuori dal set utilizzando proiettili reali e questo potrebbe spiegare perché conteneva munizioni vere. Lo riporta TMZ citando alcune fonti, secondo le quali la polizia ha rinvenuto sul set proiettili veri e salve nella stessa area, e questa potrebbe essere un'altra spiegazione del perché una munizione vera sia poi finita nella pistola di scena. Inoltre l'assistente alla regia di Rust, Dave Halls, è stato oggetto nel 2019 di lamentele per la sicurezza e per il suo comportamento sul set durante le registrazioni di due produzione cinematografiche. Lo riporta Cnn citando alcune fonti, sottolineando che fra le lamentele contro Halls c'era il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza sulle armi, degli effetti pirotecnici ma anche il suo comportamento sessuale inappropriato. Halls è identificato nei documenti della polizia come colui che ha consegnato l'arma ad Alec Baldiwn, quella con cui è stata uccisa la direttrice della fotografia Halyna Hutchins.
Alec Baldwin: «Halyna Hutchins era mia amica. Servirebbe una nuova legge per le armi sul set». Redazione Online de Il Corriere della Sera il 30 ottobre 2021. Alec Baldwin parla davanti a una telecamera per la prima volta dal tragico incidente sul set del film «Rust», costato la vita alla direttrice della fotografia Halyna Hutchins lo scorso 22 settembre. L’attore, intercettato da Tmz, ha risposto alle domande dei cronisti ribadendo più volte di non poter parlare dell’incidente. «Ci sono indagini in corso, non posso parlare, lo sceriffo mi ha ordinato di non parlare», dice più volte l’attore e produttore. « Halyna era mia amica, quando sono arrivato in città per la prima volta l’ho portata a cena», ha ricordato visibilmente scosso, ricordando come, insieme al regista Joel Souza rimasto ferito nell’incidente, erano una «squadra ben affiatata». «Quanti incidenti con le armi ci sono? Questi sono gli Stati Uniti. Servirebbe una nuova legge per le armi sul set, magari di plastica, non saprei: io non sono un esperto ma è urgente» «proteggere le persone sul set» e «collaborerei in ogni modo a questo», ha aggiunto.
Alec Baldwin: vita privata, figli, mogli, arresti per le crisi di rabbia, alcol e droghe: la vita dell’attore e i momenti bui. Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 22 ottobre 2021. Un carattere irascibile, svariati arresti per aggressione, il divorzio turbolento da Kim Basinger: ritratto del divo che sembrava finalmente aver ritrovato la serenità.
Un carattere non semplice
Non è famoso per avere il carattere più semplice del mondo Alec Baldwin. Attore, umorista, assolutamente versatile sul set, da sempre affianca la sua carriera ad aneddoti sulla vita privata che parlano di un temperamento piuttosto poco propenso alla calma. Le sue crisi di rabbia hanno riempito le cronache, specie qualche anno fa: nel 1995, ad esempio, aggredì un paparazzo che aveva fotografato la moglie Kim Basinger e la loro figlia, Ireland. Nell'ottobre 2021, maneggiando una pistola di scena, ha ucciso per errore la direttrice della fotografia del film Rust, Halyna Hutchins.
L’arresto per una lite
Un altro episodio che ha fatto intuire la scarsa diplomazia che contraddistingue Baldwin c’è stato nel 2014, quando fu arrestato per una lite con la polizia. Il motivo? Era stato fermato mentre andava in bicicletta contromano a New York, dove abita. Non aveva gradito.
Il divorzio da Kim Basinger
Altro capitolo doloroso e complicato della vita dell’attore è quello legato al suo divorzio da Kim Basinger, con cui era stato sposato dal 1993 al 2002. La fine decisamente turbolenta della relazione ha regalato diversi colpi bassi a favore di stampa (Basinger aveva paragonato l’ex marito a Saddam Hussein, ad esempio) oltre che una lunga e durissima battaglia legale, durante la quale Baldwin aveva dovuto lottare anche per poter continuare a vedere e frequentare la figlia.
L’arresto nel 2018
Nel 2018, un’altra epica crisi di rabbia sfociata in un arresto. Questa volta il motivo era stato una lite per un parcheggio, sempre a New York: l’attore in quel caso aveva dovuto rispondere in tribunale all’accusa di aggressione. Tutto era successo in un parcheggio del West Village, dove un uomo di 49 anni si era accaparrato un posteggio che un familiare di Baldwin stava tenendo occupato per parcheggiare la Cadillac Escalade dell’attore. Baldwin non l’aveva presa bene: il 49enne si era quindi recato in ospedale per un dolore alla mascella, ma l’attore aveva negato di averlo preso a pugni.
Le crisi depressive
Altro capitolo dele fasi buie di Baldwin è quello legato alle sue crisi depressive. Negli anni Novanta, sono quelle che l’hanno portato a fare abuso di alcol e altre sostanze stupefacenti. In tempi più recenti, invece, lo avevano spinto ad annunciare di volersi ritirare dalle scene, per nulla soddisfatto del suo lavoro: «La mia carriera è un completo fallimento. L’obiettivo di un attore è interpretare ruoli memorabili, capaci di trascinare la storia del film. Io non ho mai avuto questa soddisfazione». Questo nonostante sia tra gli interpreti più richiesti oltre che versatili.
La nuova vita e la nuova moglie Hilaria Lynn Thomas
Tutto sembrava essere cambiato per il meglio, per Baldwin, con l’incontro del suo nuovo amore: la sua insegnante di ginnastica Hilaria Lynn Thomas. Dopo un anno di fidanzamento, il 30 giugno del 2012 l’ha sposata, nella cattedrale di St. Patrick a New York. Il 23 agosto 2013 diventano genitori di una bambina chiamata Carmen Gabriela e il 17 giugno 2015 hanno avuto un altro figlio, Rafael. La coppia ha avuto il 12 settembre 2016 il suo terzo figlio, Leonardo Àngel Charles. La coppia ha avuto nel maggio 2018 il loro quarto figlio, Romeo Alejandro David e quindi altri due: Eduardo, venuto alla luce lo scorso settembre e, sei mesi dopo, Lucia. L’attore ha spesso ringraziato sua moglie per averlo «salvato» da sé stesso, ridandogli un nuovo equilibrio.
Una pistola a salve può uccidere? Il caso Alec Baldwin, le armi di scena e trucchi di Hollywood, tra negligenze e tragici errori. Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 22 ottobre 2021. Le armi usate sui set cinematografici possono essere fondamentalmente di due tipi: pistole giocattolo, o pistole vere caricate a salve con piccole cariche esplosive. Come è possibile che 28 anni dopo l’incidente capitato a Brandon Lee, figlio di Bruce, sul set di un film, si possa ancora morire per colpa di una pistola di scena? Le perizie balistiche della polizia su quanto capitato sul set di Rust — in cui Alec Baldwin ha sparato alcuni colpi di pistola uccidendo la direttrice della fotografia Halyna Hutchins e ferendo il regista del film Joel Souza — chiariranno tutto, ma è possibile fare delle ipotesi. Le pistole usate sui set cinematografici possono essere fondamentalmente di due tipi: pistole giocattolo, o pistole vere caricate a salve con piccole cariche esplosive che emettono semplicemente una fiammata molto scenografica ma ovviamente non fanno fuoriuscire un proiettile. Perché non sempre si usano pistole giocattolo? Perché semplicemente non sembrano vere, sono più leggere e vengono maneggiate in modo diverso: nelle riprese più ravvicinate si vedrebbe la differenza. Quindi si usano pistole vere, che un tecnico specializzato che deve sempre essere presente sul set carica non con proiettili ma con piccole cariche capaci per l’appunto di fare una fiammata. Nel 1993, quando morì Lee (la pistola era caricata a salve ma era rimasto in canna, incredibilmente, un proiettile vero che venne sparato fuori dalla carica a salve, si scoprì con l’autopsia), la tecnologia digitale degli effetti speciali era primitiva: ora però non ci sono scuse, sarebbe tecnicamente possibile usare sempre pistole scariche, non fare nessuna fiammata «fisica» ma aggiungere il tutto, digitalmente, in post-produzione. Perché, comunque, anche le pistole caricate correttamente a salve possono uccidere? Nel 1984, l’attore Jon-Erik Hexum stava giocando con una pistola di scena, una 44 Magnum,durante le noiosissime pause sul set. La pistola era stata – appare oggi negligenza criminale – lasciata incustodita. Hexum pensava che le cartucce a salve al suo interno fossero innocue, si appoggiò la pistola alla tempia e premette scherzosamente il grilletto, tipo «roulette russa». La carica, spinta dal gas e studiata per fare una fiammata di circa 20 cm, gli spezzò l’osso temporale che finì dentro nel cervello, uccidendolo.
Da "corriere.it" il 23 ottobre 2021. Si arricchisce di nuovi tasselli la tragica vicenda che ha coinvolto Alec Baldwin sul set del film «Rust». Se in molti si sono chiesti come fosse possibile che ci fosse un’arma carica — quella che ha ucciso la 42enne direttrice della fotografia Halyna Hutchins — ora sembra delinearsi qualche risposta. Circa un mese fa, la persona scelta come responsabile dell’armeria, la 24enne Hannah Gutierrez-Reed, aveva confessato in un’intervista podcast i suoi timori circa il suo ruolo già nel fim precedente a «Rust», «The Old Way», con Nicolas Cage: «Quasi non ho accettato il lavoro perché non ero sicura di essere pronta, ma facendolo è andato tutto bene», aveva dichiarato. Quello era il suo debutto a capo del dipartimento armi da fuoco in una produzione cinematografica. In quell’occasione, aveva anche ammesso di aver trovato il caricamento di armi a salve in una pistola «la cosa più spaventosa» perché non sapeva come farlo, tanto da chiedere aiuto a suo padre, pure armaiolo, per superare la paura. Ma non sono gli unici nuovi dettagli inquietanti ad essere emersi. Si è saputo da qualche ora che la troupe cinematografica aveva lasciato il set qualche tempo prima dell’incidente mortale proprio per alcuni timori legati alla sicurezza dopo che le armi da fuoco erano state scaricate accidentalmente tre volte. Una di queste, dalla controfigura di Baldwin a cui era stato detto che la pistola non era carica. Nel report della polizia è stato detto che Gutierrez-Reed aveva disposto tre pistole di scena su un carrello fuori dal luogo delle riprese, e il primo assistente alla regia — Dave Halls — ne aveva afferrato una portandola da Baldwin, ignaro che fosse caricata con proiettili veri. Non solo, «pistola fredda» aveva gridato Halls prima di consegnare la pistola all’attore: una frase usata per segnalare al cast e alla troupe che la pistola era sicura, pronta per sparare per la scena. Pochi istanti dopo, girando una scena all’interno di una chiesa, Baldwin ha mirato alla telecamera e premuto il grilletto, uccidendo Hutchins mentre lo filmava e ferendo il regista Joel Souza, che era in piedi dietro di lei.
Alessandra Ferrara Biondo per "tio.ch" il 23 ottobre 2021. Man mano che trascorrono le ore dal fatale incidente avvenuto sul set, che ha visto l'attore Alec Baldwin uccidere accidentalmente la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, aumentano le informazioni diffuse dai media statunitensi. Sarebbe stata una ventenne al suo primo incarico a fornire la pistola carica, con un solo colpo vero al suo interno. Il suo nome è Hannah Gutierrez Reed, stando alla Bbc, che a sua volta cita un documento con i nomi dei membri della troupe di turno quel giorno. A lei era affidato il compito di controllare le armi da fuoco del film. La ragazza è la figlia del famoso armaiolo Thell Reed, abituato a lavorare sui set dei grandi film. Ma l'arma è stata consegnata a Baldwin da un assistente alla regia, David Halls, che prima di passargliela avrebbe avvisato che la pistola era "fredda", vale a dire che non aveva proiettili veri al suo interno. All'attore sarebbe stata fornita una delle tre pistole a disposizione sul set. Lo riporta la Cnn, che cita l'affidavit presentato dall'ufficio dello sceriffo della contea di Santa Fe. Come già anticipato c'era già stato un incidente sul set: la controfigura dell'attore aveva sparato accidentalmente due colpi dopo che gli era stato assicurato che la pistola non era carica, nemmeno a salve. Dopo quell'episodio tuttavia non ci fu nessuna indagine. Oggi Baldwin ha rilasciato le prime dichiarazioni dopo l'incidente: «Non ho parole per descrivere lo choc e la tristezza per questo tragico incidente. Halyna Hutchins era una moglie, una madre e una collega apprezzata da tutti noi». E proprio in onore della direttrice della fotografia, l'American Film Institute, presso il quale la Hutchins si era laureata nel 2015, ha creato un fondo per delle borse di studio. La chiamata al 911 - È stato un membro della troupe a chiamare i soccorsi, dichiarando che due persone erano state uccise accidentalmente sul set. «Abbiamo bisogno di aiuto, hanno sparato al regista e ad una cameraman» ha detto la donna al telefono. Stando all'affidavit, tutte le armi da fuoco, le munizioni, le macchine da presa, le apparecchiature e gli abiti indossati dagli attori al momento della sparatoria sono stati sequestrati.
Baldwin, un’altra pistola aveva già sparato. Allarmi e misteri sul set di «Rust». Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 24 ottobre 2021. Sei milioni di dollari. Poco più di cinque milioni di euro. Per il cinema americano sempre più dipendente dai kolossal — investimento enorme, incassi in proporzione — rappresentano un budget da niente, quello dei film definiti tecnicamente di «Tier 1», fascia 1, cioè quella più bassa, una specie in via d’estinzione in un modello di business come quello di Hollywood cambiato radicalmente dallo streaming. La morte accidentale della direttrice della fotografia del film «Rust» , colpita al petto da un colpo sparato con una pistola di scena da Alec Baldwin durante le riprese, giovedì scorso, in New Mexico, si spiega tristemente, banalmente, vergognosamente così: tanta fretta, pochi soldi, ore di lavoro troppo lunghe, troppe scorciatoie prese su tutto, sicurezza compresa. Il Los Angeles Times ha rivelato che poche ore prima della tragedia la troupe — regolarmente iscritta al sindacato — aveva lasciato il set per protestare contro condizioni di lavoro troppo onerose (orari lunghissimi, l’albergo a 80 km dal set per risparmiare) ed era stata sostituita da tecnici non iscritti al sindacato, quindi meno costosi e meno dotati di diritti, arruolati in loco a Santa Fe. Incredibilmente una pistola, qualche giorno fa, aveva già sparato per errore due proiettili, senza colpire nessuno — per mano della controfigura di Baldwin. Elemento che mette in una posizione ancora più complicata Hannah Gutierrez-Reed, responsabile delle armi di «Rust». Ventiquattrenne, al suo secondo film come armiere, ora viene accusata da tutti d’incompetenza — commentando in un podcast la sua prima esperienza, in un film con Nicolas Cage, aveva detto di non essere sicura di sentirsi pronta — ma è figlia di un famoso stuntman e armiere di Hollywood, che le ha insegnato personalmente il mestiere. È appurato che quando l’aiuto regista David Halls, pochi istanti prima del ciak, ha preso una pistola da un carrello (ce n’erano tre) e l’ha data a Alec Baldwin, , dando sostanzialmente luce verde all’azione. Pochi istanti dopo, Baldwin ha sparato e dalla pistola — tutt’altro che «cold», scarica — è partito un proiettile. Un colpo solo: una morta e un ferito. La questione centrale sulla quale stanno indagano i periti dell’ufficio dello sceriffo di Santa Fe è questa: la prima regola di sicurezza del manuale che illustra la procedura per utilizzare armi su un set, il manuale standard dell’industria cinetelevisiva, decreta che nessun proiettile vero deve essere presente sul set, o nelle vicinanze. È cioè proibito anche solo portare un proiettile con sé dirigendosi sul set, e lasciarlo nel cruscotto dell’auto chiusa a chiave e parcheggiata. Non si può, punto. Come ha fatto invece un proiettile vero, capace di trafiggere un corpo umano e di avere ancora abbastanza velocità da ferire la spalla di qualcuno posizionato dietro la vittima colpita in pieno, a finire dentro la pistola non «fredda» ma caldissima consegnata nelle mani di Baldwin? Come mai dopo l’incidente della pistola della controfigura non è stato preso nessun provvedimento? Rust Movie Productions LLC, la società di produzione, ha diramato un comunicato decisamente anodino nello stile ma che suona, viste le circostanze, grottesco: «La sicurezza del cast e della troupe era la priorità assoluta. Anche se non siamo stati informati di alcun reclamo ufficiale riguardante la sicurezza di armi o oggetti di scena sul set, condurremo un’indagine interna». Il set in New Mexico è fermo, la troupe dissolta: il circo mediatico si è trasferito a New York, con i fotografi appostati sotto casa Baldwin 24/7 che hanno ripreso i sei figli piccoli e il gatto portati via dalle tate, a bordo di tre suv carichi di bagagli, saggiamente evacuati da Manhattan per un luogo più tranquillo.
Matteo Persivale per il "Corriere della Sera" il 25 ottobre 2021. «Quel figlio di p… dell'aiuto regista». La registrazione della chiamata al 911, il pronto intervento, dice tutto. La voce è di Mamie Mitchell, che era accanto a Halyna Hutchins quando la direttrice della fotografia, giovedì scorso, è stata centrata al petto da un proiettile sparato da Alec Baldwin con una pistola di scena sul set del film western Rust. Mitchell, una delle poche veterane della troupe, era la «script supervisor», la persona cioè che ha il compito fondamentale di controllare che tutto - dai capelli degli attori all'arredamento del set - resti identico tra un ciak e l'altro, per ovvie ragioni di continuità logica. Ecco le sue parole: «Siamo al Bonanza Ranch, una pistola di scena ha sparato per errore il regista e la direttrice della fotografia sono stati colpiti: venite subito con le ambulanze». E poi, rivolgendosi a qualcun altro, non all'operatore: «Quel figlio di p dell'aiuto regista a pranzo mi aveva appena urlato dietro hai visto come gridava? Eppure è lui che ha la responsabilità di controllare le pistole, quel fottuto». Sta parlando di Dave Halls, aiuto regista che aveva prelevato la pistola da un carrello (ce n'erano altre due) e come da protocollo di sicurezza aveva gridato «pistola scarica» e l'aveva data a Baldwin. Baldwin, protagonista e anche co-produttore del film, appena si è accorto di aver sparato ha immediatamente gridato «perché mi avete dato una pistola carica?». L'aiuto regista è nei guai: Maggie Goll, che nel 2019 ha lavorato con lui, ha spiegato alla Nbc che Halls «non aveva creato un ambiente di lavoro sicuro nessuna corsia antincendio stabilita, uscite bloccate ... le riunioni di sicurezza erano inesistenti Halls non ha mai tenuto riunioni sulla sicurezza quando sul set è stata usata una pistola». La produzione era assicurata, ma pare inevitabile una causa civile da parte degli eredi di Hutchins, 42 anni, sposata, un bimbo piccolo. «Qualcuno deve essere stato per forza negligente - ha detto al Los Angeles Times il professore della USC Gould School of Law Gregory Keating - La questione è capire chi è stato negligente, e come spartire la responsabilità».
Laura Zangarini per il Corriere.it il 25 ottobre 2021. Il colpo che ha ucciso Halyna Hutchins sul set del film «Rust» è partito dalla pistola di Alec Baldwin mentre l’attore si stava esercitando a estrarla dalla fondina nell’ambito di una ripetizione: lo ha detto alla polizia il regista della pellicola, Joel Souza, rimasto ferito alla spalla dal proiettile. L’agenzia Reuters precisa che, sempre secondo la deposizione di Souza, Baldwin, dopo aver estratto l’arma dalla fondina, l’ha puntata verso la telecamera, accanto alla quale si trovavano Hutchins e Souza. In quel momento sarebbe partito il colpo fatale. «Stavo guardando (Baldwin, ndr) stando dietro alla spalla di Hutchins» e all’improvviso «abbiamo sentito come il rumore di una frusta e poi un forte colpo», ha dichiarato Souza. Che ha poi detto di «ricordare vagamente Hutchins lamentarsi del dolore allo stomaco e al petto». La direttrice della fotografia ha detto che «non riusciva a sentire le sue gambe», secondo quanto riferito agli investigatori da Reid Russel, il cameraman che era in piedi accanto a lei al momento della sparatoria. In seguito, ha aggiunto Souza, la direttrice della fotografia «si è accasciata ed è stata soccorsa a terra». Alex Baldwin, 63 anni, sconvolto dalla tragedia è stato fotografato sabato fuori da un hotel a Santa Fe mentre abbracciava e parlava con Matt Hutchins, il marito della vittima, e il loro bambino di nove anni. In una dichiarazione letta a una fiaccolata, Hutchins ha definito la morte di sua moglie «una enorme perdita». Nessuno finora è stato accusato per l’incidente mortale durante le riprese di giovedì al Bonanza Creek Ranch fuori Santa Fe, mentre l’ufficio dello sceriffo continua le sue indagini. Secondo quanto emerso finora, tutti i testimoni sul set hanno dichiarato che a Baldwin era stato assicurato che l’arma fosse scarica poco prima che iniziasse la scena. Nei giorni scorsi sono emersi dettagli preoccupanti sulle misure di sicurezza adottate sul set a causa della produzione a basso costo del film: in particolare, la responsabile alle armi era al suo secondo incarico e aveva lasciato trapelare in passato dubbi sulla sua preparazione ad affrontare un ruolo di questa importanza, e l’assistente alla regia Dave Halls sarebbe stato protagonista nel recente passato di comportamenti inappropriati su diversi set, dove avrebbe anche trascurato l’aspetto della sicurezza. Da testimonianze raccolte dal sito Tmz sembra poi che l’arma che ha colpito Hutchins fosse stata utilizzata per gioco fuori dal set, con proiettili veri: e questo spiegherebbe come mai all’interno del tamburo si trovasse - in palese violazione di tutte le norme di sicurezza - almeno una pallottola carica.
Anna Guaita per “il Messaggero” il 25 ottobre 2021. Chi aveva giocato a tiro a segno con la Colt che Alec Baldwin ha poi usato nella scena che si è conclusa con l'uccisione della fotografa Halyna Hutchins? Ogni giorno che passa, nuovi inquietanti particolari contribuiscono a delineare un quadro di sciatteria e noncuranza sul set del western Rust, teatro dell'incidente che è costato la vita a Halyna e ha portato in ospedale anche il regista Joel Souza. In forma privata, vari dipendenti del set raccontano ai media americani che sin dai primissimi giorni nel ranch vicino a Santa Fe si erano contate numerose violazioni del protocollo di sicurezza. Tra queste anche un atteggiamento spavaldo nell'uso delle armi, al punto che qualcuno si era divertito a sparare per davvero con reali pallottole, e questo potrebbe spiegare come mai un proiettile sia rimasto nella Colt che l'assistente alla regia Dave Halls ha passato a Baldwin. Ma non si spiega come mai sia Halls, sia la capo armiera, Hannah Gutierrez Reed, non abbiano prima controllato ognuna delle tre pistole che erano state messe su un carrello a disposizione dell'attore. Nuove testimonianze sono giunte da ex colleghi sia di Halls che della Gutierrez, secondo i quali in film precedenti il loro comportamento era stato negligente proprio nel maneggiare le armi. Vari esperti hanno confidato a Variety, la rivista considerata la bibbia di Hollywood, che per fare economia spesso i film low-budget, com' era Rust, ricorrono a personale non sindacalizzato, ma questo significa portare sul set giovani ancora alle prime armi, che non hanno abbastanza esperienza, come sembra fosse la 24enne Gutierrez. La rivista ha dedicato ieri un lungo servizio sul suo sito per lamentare il fatto che negli ultimi dieci anni la crescente popolarità dei servizi in streaming ha raddoppiato la produzione di spettacoli, e la fretta di produrre e guadagnare ha spinto l'industria ad abbassare il livello di qualità del personale che assume. Per di più questo personale è soggetto a turni di lavoro massacranti e ciò facilita le sviste. Sul set di Rust la scarsa sicurezza pare sia stata dovuta anche alle crescenti economie. Un gruppo di sei dipendenti del set hanno fatto la valigia dopo che erano stati trasferiti da un normale motel a uno scalcinato, e a quel punto la produzione del film ha assunto nuovi dipendenti, scegliendoli fra personale non sindacalizzato. Tutto ciò fa intuire che la tragedia si trasferirà presto in tribunale. In questo momento ci sono tre inchieste sui fatti dello scorso giovedì, una aperta dalla polizia di Santa Fe e dalla procuratrice Mary Carmack-Altwies, una dall'assicurazione che copriva la produzione e una dalla Occupational safety and health administration del Dipartimento del lavoro. Esperti di legge pensano che ci sia la possibilità che qualcuno venga incriminato per omicidio colposo. Ci sarebbe un precedente nel caso del regista Randall Miller, che ha fatto due anni di carcere per aver dimostrato incuria sul set del film «Midnight Runner», nel 2014, quando una addetta alla cinepresa rimase schiacciata da un treno su una ferrovia che doveva essere deserta. Nel caso della morte di Halyna Hutchins però sia il regista Souza sia l'attore Alec Baldwin erano stati assicurati dall'assistente alla regia Halls che la pistola era scarica. Anche sulle responsabilità dei produttori del film, responsabili davanti all'assicurazione di far rispettare i protocolli di sicurezza, le cose sono un po' fumose: i produttori sono sette, e fra questi c'è lo stesso Baldwin, il quale però è stato lui stesso vittima della superficialità dei controlli.
Caso Baldwin, cosa sappiamo dell’incidente sul set di «Rust»: tiro al bersaglio, sciatteria, accuse. Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 26 ottobre 2021. Sul set si giocava a sparare alle lattine. Anche l’attore (e produttore) ora rischia: ha sparato per errore alla direttrice della fotografia, che ha ucciso, e al regista. «Perché mi avete dato una pistola carica? Perché?», gridava Alec Baldwin subito dopo aver sparato per errore alla direttrice della fotografia e al regista del suo film Rust, giovedì scorso, alle 13.50 (le 21.50 in Italia), Bonanza Creek Ranch nei pressi di Santa Fe, New Mexico. Dopo giorni di rivelazioni sull’indagine che sta svolgendo l’ufficio dello sceriffo la risposta che si può già dare, con certezza, alla sua domanda, è: per negligenza, incapacità, sciatteria. Per folle incoscienza, per fretta di completare un western dal budget ridicolo per la Hollywood di oggi, sei milioni di dollari. Il risultato: Baldwin, nei panni di un pistolero, ha centrato la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, 42 anni, e il regista Joel Souza, 48 anni. Hutchins è morta prima di arrivare in ospedale, Souza è stato ferito leggermente a una spalla.
I colpi per gioco
Le rivelazioni di ieri sono particolarmente sconvolgenti. Tutti si chiedevano come fosse possibile che una pistola di scena avesse in canna un proiettile vero? Si è saputo che i membri della piccola, sgangherata troupe nei giorni precedenti (prima di andarsene, poche ore prima della tragedia, per protestare contro il superlavoro e l’albergo a 80 km dal set, sostituiti da personale locale non iscritto al sindacato) erano soliti ammazzare il tempo caricando le armi di scena con proiettili veri, e giocando al tiro a segno con le lattine di birra vuote nei pressi del set. Si chiama «plinking», in slang: un’abitudine molto americana (gli americani sono 329 milioni, le pistole almeno 390 milioni), ma la prima regola di sicurezza di ogni set è che non possono esserci munizioni vere, soltanto quelle a salve realizzate apposta da tecnici specializzati, senza proiettile, che fanno semplicemente rumore e un lampo molto scenografico ma che non fanno uscire nulla dalla pistola.
Negligenze e accuse
Come è finita una pistola carica nelle mani di Baldwin? Gliel’ha data l’aiuto regista Dave Halls, dopo aver gridato, come da procedura, per essere sentito da cast e troupe, «pistola scarica», garantendo così a tutti che il ciak sarebbe avvenuto in completa sicurezza (si è saputo ieri che Halls era stato cacciato da una produzione proprio per violazioni alla sicurezza delle armi quando una pistola aveva sparato per errore, e per comportamenti scorretti a sfondo sessuale). Nella registrazione della telefonata del pronto intervento si sente la script supervisor della produzione inveire contro Halls, «quel figlio di p…». Chi ha dato la pistola carica a Halls? La quasi debuttante responsabile delle armi Hannah Gutierrez-Reed, 24 anni, che ha ottenuto il lavoro dopo che altri più esperti si erano chiamati fuori visto il budget irrisorio e la lavorazione a tappe forzate (Gutierrez-Reed è figlia di un famoso stuntman e armiere di Hollywood, che le ha insegnato personalmente il mestiere).
Cosa può accadere
Le possibili conseguenze? Quelle penali sono da determinare: le testimonianze solleverebbero Baldwin da conseguenze per negligenza criminale, molto a rischio invece Gutierrez-Reed e Halls. Quelle civili? Enormi, e molto ramificate. L’assicurazione difficilmente basterà a coprire l’entità del danno provocato: la famiglia della vittima, in assenza di un accordo extragiudiziale, potrà citare per danni la produzione (Baldwin è co-produttore: pare salvo o quasi da strascichi penali ma quelli civili paiono garantiti) e, singolarmente, Gutierrez-Reed, Halls, e altri.
Chiara Maffioletti per "corriere.it" il 23 ottobre 2021.
Un carattere non semplice
Non è famoso per avere il carattere più semplice del mondo Alec Baldwin. Attore, umorista, assolutamente versatile sul set, da sempre affianca la sua carriera ad aneddoti sulla vita privata che parlano di un temperamento piuttosto poco propenso alla calma. Le sue crisi di rabbia hanno riempito le cronache, specie qualche anno fa: nel 1995, ad esempio, aggredì un paparazzo che aveva fotografato la moglie Kim Basinger e la loro figlia, Ireland.
Nell'ottobre 2021, maneggiando una pistola di scena, ha ucciso per errore la direttrice della fotografia del film Rust, Halyna Hutchins.
L’arresto per una lite
Un altro episodio che ha fatto intuire la scarsa diplomazia che contraddistingue Baldwin c’è stato nel 2014, quando fu arrestato per una lite con la polizia. Il motivo? Era stato fermato mentre andava in bicicletta contromano a New York, dove abita. Non aveva gradito.
Il divorzio da Kim Basinger
Altro capitolo doloroso e complicato della vita dell’attore è quello legato al suo divorzio da Kim Basinger, con cui era stato sposato dal 1993 al 2002. La fine decisamente turbolenta della relazione ha regalato diversi colpi bassi a favore di stampa (Basinger aveva paragonato l’ex marito a Saddam Hussein, ad esempio) oltre che una lunga e durissima battaglia legale, durante la quale Baldwin aveva dovuto lottare anche per poter continuare a vedere e frequentare la figlia.
L’arresto nel 2018
Nel 2018, un’altra epica crisi di rabbia sfociata in un arresto. Questa volta il motivo era stato una lite per un parcheggio, sempre a New York: l’attore in quel caso aveva dovuto rispondere in tribunale all’accusa di aggressione. Tutto era successo in un parcheggio del West Village, dove un uomo di 49 anni si era accaparrato un posteggio che un familiare di Baldwin stava tenendo occupato per parcheggiare la Cadillac Escalade dell’attore. Baldwin non l’aveva presa bene: il 49enne si era quindi recato in ospedale per un dolore alla mascella, ma l’attore aveva negato di averlo preso a pugni.
Le crisi depressive
Altro capitolo dele fasi buie di Baldwin è quello legato alle sue crisi depressive. Negli anni Novanta, sono quelle che l’hanno portato a fare abuso di alcol e altre sostanze stupefacenti. In tempi più recenti, invece, lo avevano spinto ad annunciare di volersi ritirare dalle scene, per nulla soddisfatto del suo lavoro: «La mia carriera è un completo fallimento. L’obiettivo di un attore è interpretare ruoli memorabili, capaci di trascinare la storia del film. Io non ho mai avuto questa soddisfazione». Questo nonostante sia tra gli interpreti più richiesti oltre che versatili.
La nuova vita e la nuova moglie Hilaria Lynn Thomas
Tutto sembrava essere cambiato per il meglio, per Baldwin, con l’incontro del suo nuovo amore: la sua insegnante di ginnastica Hilaria Lynn Thomas. Dopo un anno di fidanzamento, il 30 giugno del 2012 l’ha sposata, nella cattedrale di St. Patrick a New York. Il 23 agosto 2013 diventano genitori di una bambina chiamata Carmen Gabriela e il 17 giugno 2015 hanno avuto un altro figlio, Rafael. La coppia ha avuto il 12 settembre 2016 il suo terzo figlio, Leonardo Àngel Charles. La coppia ha avuto nel maggio 2018 il loro quarto figlio, Romeo Alejandro David e quindi altri due: Eduardo, venuto alla luce lo scorso settembre e, sei mesi dopo, Lucia. L’attore ha spesso ringraziato sua moglie per averlo «salvato» da sé stesso, ridandogli un nuovo equilibrio
Da "corriere.it" il 22 ottobre 2021.
Brandon Lee rimasto ucciso sul set de Il Corvo
L'incidente avvenuto sul set del film «Rust» — in cui Alec Baldwin ha sparato alcuni colpi di pistola uccidendo la direttrice della fotografia Halyna Hutchins e ferendo il regista del film Joel Souza — è solo l'ultimo di una serie nella storia del cinema. Aveva scioccato il mondo la morte di Brandon Lee. Era il 31 marzo del 1993 quando, per un colpo di pistola accidentale sparato sul set de «Il Corvo», l’attore morì: aveva 28 anni. I produttori parlarono subito di una serie di eventi sfortunati, ma aveva colpito tutti il fatto che al momento dello sparo Lee stesse girando la scena in cui il suo personaggio ricorda il momento della sua morte. A sparare fu Michael Massee, l’interprete del personaggio di Funboy.
Vic Morrow e due comparse morte sul set di Ai confini della realtà
Tre attori sono morti invece sul set del film del 1983, «Ai confini della realtà»: durante le riprese un elicottero si schiantò uccidendo l’attore Vic Morrow e due comparse (Myca Dinh Le e Renee Shin-Yi Chen). Dietro la macchina da presa c’era John Landis. Morrow e Dinh furono decapitati dalle pale dell’elicottero, dopo che aveva perso il controllo fino allo schianto.
Harry O'Connor in Xxx
Harry O’Connor, era una controfigura di successo a Hollywood. Nel film con protagonista Vin Diesel, diretto da Rob Cohen, mentre vestiva i suoi panni in una scena d’azione, si lanciò da un’auto in volo con il paracadute ma finì contro un ponte, rimanendo ucciso all’istante. La scena è stata inclusa nella pellicola, anche se comprensibilmente senza lo schianto finale.
John Bernecker morto girando The Walking Dead
Incidente mortale anche sul set della celebre serie tv con i morti viventi protagonisti. Il 12 luglio 2017, durante le riprese dell’ottava stagione, lo stuntman John Bernecker per un salto sbagliato dal balcone atterrò di testa sul cemento, morendo poco dopo.
Il pilota Art Scholl in Top Gun
Art Scholl, pilota e istruttore di volo, rimase ucciso durante le riprese di «Top Gun», nel 1985. L’uomo precipitò nell’oceano Pacifico, per un’acrobazia sbagliata: l’aereo non è più stato ritrovato.
The Sword of Tipu Sultan
Ad oggi, il set cinematografico con il maggior numero di morti resta quello di «The Sword of Tipu Sultan», una seria tv indiana. Nel 1989 lo studio dove veniva registrata aveva preso fuoco e 62 persone morirono, intrappolate tra le fiamme. Il regista e attore Sanjay Khan era rimasto in ospedale per 13 mesi.
Dagotraduzione dal New York Post il 25 ottobre 2021. La tragedia sul set del film western “Rust” a Santa Fe, nel New Mexico, potrebbe avere conseguenze legali gravi per Alec Baldwin, che giovedì, sparando con una pistola di scena, ha ucciso accidentalmente il direttore della fotografia del film, Halyan Hutchins, 42 anni. Questo è il parere degli esperti legali consultati dal Post. Secondo Joseph Costa, avvocato di Los Angeles, l’attore e produttore esecutivo del film potrebbe essere anche accusato di omicidio colposo. «Come produttore esecutivo, è in una posizione di controllo e può essere perseguito penalmente». «È come bere quando si guida, non si ha intenzione di causare gravi danni, eppure può succedere di provocarne». Erlinda Johnson, avvocato penalista nel New Mexico, ex procuratore statale e federale, ha spiegato che Baldwin potrebbe dover affrontare una responsabilità penale per omicidio colposo. «Tutto ciò che lo stato deve dimostrare è che è stato coinvolto in un atto lecito ma pericoloso e non ha agito con la dovuta cautela». «L’omicidio colposo è un reato di quarto grado con una pena massimo fino a 18 mesi di carcere». Anche se la difesa di Baldwin dovesse sostenere che all’attore è stata consegnata la pistola da qualcun altro, «beh, spettava a lui, dal momento che stava maneggiando l’arma, assicurarsi che non ci fossero proiettili». «Chiaramente qualcuno non ha affrontato la cosa con la dovuta diligenza. Avrebbero dovuto controllare quelle pistole per assicurarsi che non ci fossero proiettili veri». Un altro avvocato, questa volta della California meridionale, ha detto che nessuna, tra le persone coinvolte nel film, è al sicuro davanti a una denuncia civile. «Saranno tutti citati in giudizio» ha detto Denise Bohdan, avvocato difensore di Los Angeles. «Chiunque abbia gestito quel set sarà portato in tribunale». «Alec Baldwin è stato il produttore principale, ma si potrebbe scoprire che è stato un altro produttore a cercare di tagliare sui costi. Non credo che sarà accusato di omicidio, ma per Baldwin sarà sicuramente un incubo legale». «I fatti devono ancora venire fuori, ma per quanto riguarda le accuse penali, saranno esaminate eventuali negligenze» ha detto Rachel Fiset, avvocato penalista di Los Angeles. «I suoi problemi non riguardano quello che ha fatto come attore. Verrà sicuramente fuori che pensava di sparare a salve. Il vero problema è il suo ruolo di produttore e i protocolli di sicurezza sul set, o la loro assenza. Se viene dimostrata una vera negligenza, potrebbe provocare accuse penali». Secondo il penalista di New York Rob Kuby, Baldwin non sarà accusato penalmente per la legge in New Mexico, anche se «certamente è esposto civilmente sia come produttore che come datore di lavoro».
Alec Baldwin spara sul set e uccide la direttrice della fotografia, ferito il regista: la tragedia durante le riprese del suo western. Il fatto è accaduto mentre si girava la scena di una sparatoria: la pistola che avrebbe dovuto sparare a salve ha funzionato male. L'attore in lacrime: "È stato un incidente". La Repubblica il 22 ottobre 2021. Tragedia durante le riprese del film western Rust al Bonanza Creek Ranch, vicino a Santa Fe, nel New Mexico. Halyna Hutchins, direttrice della fotografia, 42 anni, è morta mentre il regista Joel Souza, 48 anni, è rimasto ferito. A fare fuoco con una pistola di scena è stato Alec Baldwin, protagonista e produttore del film, secondo la ricostruzione dell'ufficio dello sceriffo della contea di Santa Fe. Ma la pistola che avrebbe dovuto sparare a salve, secondo un portavoce di Baldwin, ha funzionato male. È accaduto durante le riprese della sequenza di una sparatoria. La tragedia sarebbe avvenuta a causa del malfunzionamento di un'arma da fuoco, una pistola o un fucile di scena. Inutile il trasporto di Hutchins in elicottero al New Mexico Hospital, dove la donna è morta, mentre Souza è arrivato in ambulanza al Christus St. Vincent Regional Medical Center. Si trova in terapia intensiva, le sue condizioni sono state definite critiche. A dare aggiornamenti è l'attrice Frances Fisher: con un tweet comunica sui social che il regista è uscito dall'ospedale.
Baldwin: "È stato un incidente"
Sull'episodio indaga l'ufficio dello sceriffo della contea di Santa Fe, che dovrà accertare la dinamica dell'incidente e che tipo di arma e di proiettili sono stati utilizzati. Proseguono gli interrogatori. La polizia ha confermato che a sparare è stato il protagonista e co-produttore del film, visto in lacrime fuori dall'ufficio dello sceriffo. "È stato un incidente", ha detto sconvolto. Del cast, oltre a Baldwin, fanno parte anche Jensen Ackles, Brady Noon e Travis Fimmel. Le riprese sono state interrotte. La produzione ha assicurato che l'arma era stata caricata a salve ma "inspiegabilmente" ha sparato, uccidendo. Sarebbe stato proprio l'attore 63enne a prepararla prima di iniziare la scena.
Il set della tragedia
Il film sul cui set è accaduta la tragedia è Rust, un western di produzione indipendente (prodotto anche dallo stesso Alec Baldwin) che si stava girando al Bonanza Creek Ranch, una location molto usata per questo genere di film, nel sud di Santa Fe in New Messico. Baldwin interpreta il famigerato fuorilegge Rust, il cui nipote di 13 anni viene condannato all'impiccagione per l'uccisione accidentale del proprietario di un ranch. Nel cast Jensen Ackles ha il ruolo di un maresciallo degli Stati Uniti e Travis Fimmel interpreta un cacciatore di taglie. Rust cerca di far evadere suo nipote dalla prigione. Durante la fuga, mentre Ackles e Fimmel danno loro la caccia, un legame inaspettato si forma tra il fuorilegge e suo nipote. Le riprese sarebbero dovute andare avanti fino ai primi di novembre, secondo una comunicazione del New Mexico Film Office.
Le indagini in corso
Il portavoce dello sceriffo, Juan Rios, ha riferito che gli agenti sono intervenuti intorno alle 14 ora locale al Bonanza Creek Ranch dopo alcune chiamate al 911 che segnalavano una persona colpita da spari sul set del film. Gli inquirenti indagano sul tipo di proiettile. "Questa indagine rimane aperta e attiva", ha dichiarato il portavoce, aggiungendo che "non sono state presentate accuse in relazione a questo incidente" e che "i testimoni continuano a essere interrogati dagli investigatori".
Halyna Hutchins, direttrice della fotografia
Halyna Hutchins (afp)Nata in Ucraina, Halyna Hutchins è cresciuta in una base militare sovietica nel Circolo Polare Artico. Aveva studiato giornalismo a Kiev e cinema a Los Angeles. Dopo aver fatto diversi lavori, è entrata nel sistema hollywoodiano curando soprattutto produzioni indipendenti tra cui Archenemy, Blindfire e The Mad Hatter. Diplomata all'American Film Institute nel 2015, è stata nominata 'astro nascente' dall'American Cinematographer nel 2019. La International Cinematographers Guild, associazione internazionale dei direttori della fotografia, ha fatto sapere per bocca del suo presidente John Lindley e della executive director Rebecca Rhine che "i dettagli al momento non sono chiari, ma stiamo lavorando per sapere di più e sosteniamo un'indagine completa su questo tragico evento". "Sono così triste di avere perso Halyna. E così infuriato che questo sia potuto succedere su un set", ha dichiarato su Twitter il regista di Archenemy, Adam Egypt Mortimer. E ancora: "Era un talento brillante assolutamente impegnata nell'arte e nel cinema".
Baldwin non sapeva che l'arma fosse carica: "È a salve", gli avevano urlato sul set. La Repubblica il 23 ottobre 2021. Le prime indagini scagionano l'attore: anche l'aiuto regista che ha dato il via libera a usare l'arma era convinto che fosse innocua, invece uno dei proiettili era reale. La responsabile della sicurezza delle armi era una ventenne al primo incarico. La produzione era sotto accusa da parte della troupe per violazioni dei protocolli di sicurezza: quella pistola aveva già sparato per errore con proiettili veri. Ad Alec Baldwin era stata consegnata un'arma carica da un assistente alla regia che gli aveva indicato fosse sicura, poco prima del tragico incidente costato la vita al direttore della fotografia Halyna Hutchins, 42 anni, durante le riprese di un film western in un ranch di Santa Fe. Lo rivelano i primi documenti sull'indagine diffusi dai media americani.
La ventenne al primo incarico
E’ emerso però che la responsabile del controllo delle armi sul set del film era una ventenne al primo incarico in quel ruolo. Lo rivela un documento, ottenuto dalla Bbc, che elenca i membri della troupe che erano previsti sul set quel giorno. Secondo gli investigatori l'assistente alla regia, David Halls, non sapeva che l'arma avesse proiettili veri prima di consegnarla a Baldwin. L'assistente Halls aveva consegnato la pistola a Baldwin urlando "cold gun", il che significava che l'arma non avesse proiettili veri. A quel punto l'attore ha colpito il direttore della fotografia Halyna Hutchins al petto, uccidendola. Mentre il regista Joel Souza, che si trovava dietro di lei, è rimasto ferito.
Baldwin è stato interrogato dalle forze dell'ordine e il suo abito di scena sporco di sangue è stato acquisito come prova insieme alla pistola. Gli investigatori hanno sequestrato tutte le armi e le munizioni presenti nel set, le macchine fotografiche e le apparecchiature informatiche e gli abiti indossati dagli attori al momento della sparatoria. L'ufficio dello sceriffo della contea di Santa Fe ha affermato che l'indagine "rimane aperta" e che non sono state presentate accuse. Secondo il Los Angeles Times, che cita fonti molto vicine alla produzione, l'arma con cui l'attore ha ucciso Halyna Hutchins sul set cinematografico di 'Rust’ aveva gia' sparato per sbaglio in passato. I protocolli di sicurezza standard sulle armi da fuoco nell'industria cinematografica non sono stati seguiti col necessario rigore. Sabato scorso il sostituto di Alec Baldwin, aggiungono le fonti, aveva sparato due colpi con la stessa pistola che, anche in quel caso, era stata segnalata come "fredda", ovvero priva di munizioni. "Ci sarebbe dovuta essere un'indagine", ha dichiarato alla testata Usa un membro della troupe, "non c'erano riunioni sulla sicurezza. Non c'era alcuna garanzia che non sarebbe successo di nuovo. Tutto quello che volevano era fare in fretta, in fretta, in fretta".
Un proiettile vero
L'indagine ha dimostrato che l'arma conteneva proiettili a salve e un solo proiettile vero. Poche ore prima che l'attore sparasse a Hutchins, parte della troupe cinematografica aveva lasciato il set per protestare contro le condizioni di lavoro. I tecnici erano esasperati per gli orari eccessivi, i lunghi viaggi per raggiungere il set e i pagamenti arretrati.
Un membro della squadra dei cameraman ha anche sporto denuncia per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza, e sarebbero state conteste anche le procedure di sicurezza delle armi e sui protocolli Covid non seguiti prima delle riprese. La casa di produzione, Rust, ha sottolineato in una nota che "la sicurezza del nostro cast e della troupe è la massima priorità. Ed "anche se non siamo stati informati di alcun reclamo ufficiale riguardante la sicurezza di armi o oggetti di scena sul set, condurremo una revisione interna delle nostre procedure, mentre la produzione viene interrotta".
Il tweet dell'attore
"Non ho parole per esprimere lo shock e il dolore per il tragico incidente che ha rubato la vita di Halyna: moglie, madre e ammirata collega. Sto cooperando con la polizia per capire come sia potuto accadere", ha scritto Baldwin in un messaggio pubblicato sul proprio profilo Twitter. Il portavoce dello sceriffo di Santa Fe, Juan Rios, ha detto che l'attore "ha fornito dichiarazioni e ha risposto ad alcune domande", presentandosi spontaneamente al posto di polizia e lasciando l'edificio una volta terminato l'interrogatorio. "Non vi e' stata alcuna incriminazione e non sono stati effettuati arresti", ha precisato la polizia, secondo la quale il colpo e' stato sparato da Baldwin durante una scena girata in un ranch.
Caso Alec Baldwin, social e tabloid puntano il dito contro Hannah Gutierrez-Reed. Benedetta Perilli La Repubblica il 23 ottobre 2021.La giovane responsabile della sicurezza delle armi, figlia d'arte, ha caricato la pistola dalla quale è esploso il colpo mortale. Suo padre, Thell Reed, è un leggendario stuntman di Tarantino. Nessuno è incriminato al momento per l'omicidio della direttrice della fotografia Halyna Hutchins, avvenuto sul set del film Rust, anche se le indagini nelle ultime ore si sono concentrate sul ruolo di Hannah Gutierrez-Reed, la persona responsabile della sicurezza delle armi che ha caricato la pistola dalla quale è esploso il colpo mortale sparato dall'attore Alec Baldwin.
Caso Alec Baldwin, Franco Nero: “Nei miei film tante pistole, ma i cavalli erano il vero pericolo”. Arianna Finos La Repubblica il 23 ottobre 2021. Intervista all'attore italiano, protagonista di tanti western. "Nell'incidente di Santa Fe ancora troppe cose da spiegare". Franco Nero, ottant'anni a novembre, una carriera da duecentotrentanove film di cui almeno cento con la pistola in pugno - thriller, bellici e soprattutto i gloriosi western - non ha dubbi: "Le armi da set non uccidono, in quello che è accaduto ad Alec Baldwin ci sono ancora troppe cose da spiegare", dice a proposito dell'incidente sul set di Rust, in New Mexico, costato la vita alla direttrice della fotografia Halyna Hutchins.
L'armiere Luca Ricci: "Un incidente come quello di Alec Baldwin in Italia non può accadere". Chiara Ugolini La Repubblica il 22 ottobre 2021. Specializzato in armi sceniche e effetti speciali, non sa spiegarsi come sia potuto accadere: "Posso solo immaginare che ci fosse un proiettile non a salve in quell'arma. In Italia è proibito per legge portare proiettili sul set per cui noi forniamo solo cartucce a salve". Luca Ricci è un armiere, la sua famiglia lavora nel campo degli effetti speciali di esplosioni e di armi da set dagli anni Cinquanta, la sua è la terza generazione. Ha lavorato sul set di Gomorra, Suburra, La mafia uccide solo d’estate, Romanzo criminale. Dal set della serie Sky Django in Romania ci spiega perché un incidente come quello avvenuto questa notte sul set del film di Alec Baldwin in Italia non potrebbe mai accadere.
Dal Corvo di Brandon Lee alla strega del Mago di Oz, quando il set diventa un'arma. Chiara Ugolini La Repubblica il 22 ottobre 2021. Tanti nella storia del cinema gli incidenti durante le riprese. E in tempi in cui la sicurezza sembra essere al primo posto è inconcepibile quello che è avvenuto sul set di Alec Balwin. Il tragico incidente avvenuto sul set del western Rust a Santa Fe, in cui l'attore Alec Baldwin ha ucciso involontariamente la direttrice della fotografia e ferito gravemente il regista a causa del malfunzionamento di un'arma da fuoco, riporta alla mente la serie di drammatici incidenti che hanno costellato la storia del cinema.
'Il corvo' Brandon Lee
Il più vicino al caso di Alec Baldwin è sicuramente quello che è accaduto sul set de Il corvo nel '93 dove il ventottenne Brandon Lee (figlio di Bruce Lee) venne ucciso a causa di una pistola caricata a salve malfunzionante usata da un compagno di set, Michael Masee che, pur se completamente scagionato dalle indagini, finì in uno stato di profonda depressione, esasperata anche dalla cattiva fama che iniziò a perseguitarlo.
'Across the border', 1914
Purtroppo la storia degli incidenti sul set è praticamente antica quanto quella del cinema, uno dei primi casi mortali risale addirittura al 1914 quando durante le riprese del film muto Across the border, in Colorado, l'attrice Grace McHugh stava girando una scena in cui il suo personaggio stava attraversando il fiume Arkansas su una barca. Quando la barca si è capovolta, l'operatore della telecamera Owen Carter si è immediatamente gettato nel fiume per salvarla, ha trascinato la barca su quello che lui pensava fosse un banco di sabbia che si è però rivelato essere invece di sabbie mobili. Il resto della troupe cinematografica ha guardato impotente mentre venivano risucchiati nel banco di sabbia e morivano annegati.
'Il mago di Oz', 1939
Se oggi la sicurezza sul set è una priorità, in passato anche qualcosa di semplice come il trucco poteva causare incidenti pericolosissimi: soltanto durante la lavorazione de Il mago di Oz (1939) ne avvennero due. Buddy Ebsen (che interpreterà poi il marito contadino di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany) inizialmente scritturato per interpretare lo Spaventapasseri riteneva di essere più adatto nel ruolo dell'Uomo di latta e si mise d'accordo con Ray Bolger (previsto per quel ruolo) per scambiarsi i personaggi. Purtroppo però non sapeva di essere allergico all'alluminio, elemento che il make up dell'uomo di latta conteneva in grande quantità ed ebbe una reazione allergica importante: Ebsen rischiò la vita e stette due mesi in ospedale prima di riprendersi costringendo la produzione a sostituirlo con Jack Haley. Ma non fu l'unico incidente con trucco; anche Margaret Hamilton, la strega dell'Est, sul cui volto era steso un trucco verde a forte componente di rame rischiò di essere sfigurata per sempre quando durante una scena in cui scompariva tra le fiamme alcuni granelli di polvere incendiaria incandescente le finirono sul volto dando fuoco alla polvere di rame e provocando all'attrice ustioni di secondo grado.
'Quarto potere' (Citizen Kane), 1941
Alcuni incidenti poi sono diventati mitici per il livello di stoicismo dei propri protagonisti. Sul set del capolavoro Citizen Kane, Orson Welles inciampò in una scala e si fratturò l'osso della caviglia, trovandosi poi costretto a usare una sedia a rotelle per le due settimane successive di riprese. Welles si tagliò anche una mano durante la scena in cui Charles Foster Kane distruggeva la stanza in un eccesso di rabbia. Welles, dopo essersi ferito continuò a recitare improvvisando, afferrò una tenda per coprire la sua mano sanguinante e completò la sequenza che viene considerata una delle scene più belle della storia del cinema che termina con il ritrovamento della palla di vetro con la casetta e la battuta indimenticabile Rosebud.
'L'esorcista', 1973
L'esorcista (1973) è un film che ha segnato profondamente la sua giovane protagonista Linda Blair che all'epoca del film di William Friedkin aveva solo 14 anni. Le tracce che quel film cult hanno lasciato sull'attrice che dopo quel ruolo (che le ha dato notorietà e una candidatura all'Oscar) non ha più avuto altrettanto successo e per anni ha combattuto con le dipendenze, sono però anche di natura fisica. Sul set Blair aveva subito una frattura spinale a causa di un guasto meccanico durante le riprese della scena in cui Regan MacNeil levita e si dibatte violentemente. La frattura si è poi trasformata in scoliosi dopo un altro incidente alla schiena durante una scena in moto per un altro film.
'Ai confini della realtà', 1982
Forse meno famoso ma ancora più terrificante era stato l'incidente che aveva provocato la morte di tre attori avvenuto il 23 luglio 1982 durante le riprese del film a più mani Ai confini della realtà, che rendeva omaggio alla serie. Un elicottero si schiantò al suolo uccidendo sul colpo l'attore Vic Morrow e due comparse Myca Dinh Le e Renee Shin-Yi Chen, mentre si girava una scena diretta da John Landis. L'incidente avvenne durante le riprese della sequenza ambientata in Vietnam: un elicottero, a causa di un susseguirsi di esplosioni pirotecniche, perse il controllo e si schiantò contro un albero. Morrow e Dinh furono decapitati entrambi dalle pale dell’elicottero, mentre la piccola Chen riportò ferite mortali.
'Cover up', 1984
Sempre a causa di un'arma malfunzionante l'attore Jon-Erik Hexum morì nel 1984, dopo essersi sparato alla testa con una pistola a salve mentre fingeva di giocare alla roulette russa con una Magnum 44 sul set della serie televisiva Cover up. In quel caso anche se non c'era la pallottola, lo sparo produsse una tale pressione sul cranio che alcuni frammenti dell'osso si conficcarono nel cervello, dopo un intervento delicatissimo l'attore entrò in coma e venne dichiarato morto dopo sei giorni.
Stuntmen
Nella storia del cinema ci sono parecchi stunt che si sono feriti o hanno perso la vita a causa di incidenti sul set. Uno dei primi che vengono raccontati nella storia del cinema è quello avvenuto sul set del Ben Hur del 1925, quando un primo tentativo di ripresa della corsa dei carri venne fatto in esterni al Circo Massimo a Roma, provocando la morte di uno stuntman a causa della rottura di una ruota del suo carro . Anche 34 anni dopo sul set del remake con Charlton Heston ci furono incidenti, Joe Canutt, che era la controfigura di Heston, subì uno squarcio sul mento dopo essere stato lanciato fuori dal suo carro durante una scena di una corsa.
Charlton Heston in 'Ben Hur'
Harry O'Connor, controfigura di Vin Diesel sul set dell'action di Rob Cohen XXX è morto dopo essersi lanciato da un'auto in volo con il paracadute finendo contro un ponte e morendo sul colpo, ma non è l'unico incidente accaduto su un film di Vin Diesel ad alta adrenalina. Due estati fa su Fast & Furious 9 lo stuntman Joe Watts, controfigura di Diesel, era stato indotto in coma per un trauma cranico, in seguito a una caduta di nove metri ma è sopravvissuto.
Un altra vittima del cinema è stato lo stunt e pilota aereo Art Scholl sul set di Top Gun con Tom Cruise nel 1985. Esperto pilota acrobatico, conosciuto nel mondo, morì mentre eseguiva un'acrobazia per catturare delle scene per il film di Tony Scott.
01 Marzo 2011
Il 12 luglio 2017, durante le riprese dell'ottava stagione della serie sugli zombie The Walking Dead, lo stuntman John Bernecker era in piedi su un balcone con l'attore Austin Amelio, che interpreta Dwight. Lo stuntman, che aveva alle spalle 93 crediti e aveva lavorato sul set di Black Panther, avrebbe dovuto saltare dal balcone e cadere sull'imbottitura, ma non si è allontanato abbastanza dal balcone e ha mancato il bersaglio imbottito di pochi centimetri è precipitato per sei metri ed è atterrato di testa sul cemento. Trasportato in aereo in ospedale, è stato dichiarato morto. Sul set del film russo La frontiera di Ilyinskye nel 2018 è morto lo stuntman Oleg Shilkin, 31 anni, investito e ucciso da un carro armato d'epoca durante le riprese del film ambientato nella seconda guerra mondiale. Il carro armato avrebbe dovuto fermarsi a breve distanza da dove si trovava Shilkin, ma invece lo travolse in pieno.
Alec Baldwin, ritratto di una star tra set e impegno politico. Sul set del nuovo film in New Mexico, l'attore ha sparato con una pistola caricata con proiettili veri: un morto e un ferito. La star dalla lunga carriera tra grandi registi, impegno politico e il divorzio da Kim Basinger. La Repubblica il 22 ottobre 2021. Una laurea in Scienze politiche, la passione per la recitazione che lo ha portato a sulla strada di una lunga carriera fatta di tantissimi titoli sia al cinema che in tv, un'aspra battaglia legale con la ex moglie Kim Basinger che ha occupato a lungo le cronache, una nomination all'Oscar nel 2004 come migliore attore non protagonista, l'attivismo in favore dei Democratici, dal convinto sostegno a Obama agli attacchi a Trump, che più volte ha fatto ventilare un suo ingresso in politica. Alec Baldwin è uno dei volti più popolari di Hollywood e adesso il suo nome torna nei titoli di tutti i giornali del mondo per il drammatico incidente che lo ha visto protagonista sul set di un nuovo film in New Mexico: durante le riprese ha sparato, ci sarebbe stato un malfunzionamento dell'arma che tuttavia era caricata con proiettili veri e ha ucciso la direttrice della fotografia oltre a ferire gravemente il regista. Sessantatré anni, cinque fratelli, le origini in un sobborgo di Long Island, il debutto davanti alla macchina da presa a soli 9 anni in un Frankenstein amatoriale, poi cambia strada e si mette a studiare, si laurea in Scienze politiche all'Università George Washington, l'obiettivo è diventare un avvocato. Niente da fare: palcoscenico e set hanno la meglio e Baldwin passa al corso di recitazione di Lee Strasberg, alla New York University. Intraprende così un cammino che condividerà con altri sui tre fratelli, William, Stephen e e Daniel. Il debutto è in tv con The doctors, una soap che va in onda all'inizio degli anni 80. Poi prende il volo e gira praticamente un film l'anno lavorando anche con registi di prestigio, da Beetlejuice - Spiritello porcello di Tim Burton a Una vedova allegra ma non troppo di Jonathan Demme, da Una donna in carriera di Mike Nichols a Talk Radio di Oliver Stone e via via passando per Alice di Woody Allen, Hollywood, Vermont di David Mamet, The Aviator di Martin Scorsese, fino ai più recenti BlaKKKlansman di Spike Lee, A star is born di Bradley Cooper fino e Chick Fight diretto da Paul Leyden. Sul set di Bella, bonda... e dice sempre sì del 1991 conosce Kim Basinger, che sposa due anni dopo. Diventano una delle coppie più belle e invidiate di Hollywood, inseguita dai paparazzi per ben sette anni. Tanto dura l'idillio ma è una dichiarazione politica - almeno così recita la vulgata - a incrinare il rapporto, ovvero quella fatta da Baldwin che annuncia che lascerà gli Stati Uniti in caso di vittoria elettorale di George W. Bush. Un attivismo politico, quello dell'attore, che avrebbe amplificato una già esistente incompatibilità tra i due. Kim Basinger chiede il divorzio, parte una battaglia legale che si concentra sulla custodia della loro figlia Ireland - oggi 25enne - e che si nutre di accuse pesanti, come quella di alcolismo e abusi rivolta dall'attrice al marito. La spunta lui, che nel 2004 ottiene la custodia congiunta della ragazzina con diritto di visita, revocato tuttavia nel 2007 dopo la diffusione di un audio, un messaggio telefonico di Baldwin con una imprecazione e insulti rivolti proprio alla figlia, allora undicenne. La battaglia legale con Basinger non è stata l'unica occasione, per Baldwin, che lo ha portato davanti a un giudice: nel 2018 era stato arrestato per aver picchiato un uomo in un parcheggio. Il suo impegno in favore dei Democratici ha fatto spesso ipotizzare un suo possibile ingresso in politica. Si era parlato di Baldwin per la poltrona di governatore dello Stato di New York, poi ancora nel 2011, in occasione delle suppletive alla Camera, dopo le dimissioni del deputato Anthony Weiner costretto a lasciare per una storiaccia di foto "hard" su Twitter, si era parlato ancora di Baldwin come possibile candidato a sindaco di New York. L'attore ha comunque messo la propria arte al servizio della satira politica con una imitazione di Trump, al Saturday Night Live, che ha spopolato nel 2017 e gli ha anche permesso di vincere un Emmy che l'attore, durante la cerimonia di consegna dei riconoscimenti, ha dedicato proprio all'ex presidente americano. Nel giugno del 2012 Baldwin ha sposato l'istruttrice di yoga e influencer Hilaria Thomas, dalla quale ha avuto finora sei figli: Carmen Gabriela, Rafael, Leonardo Àngel Charles, Romeo Alejandro David, Eduardo Pau Lucas e Lucia.
Baldwin spara sul set, assistente regia era già stato licenziato per incidente con pistola. Adnkronos il 25 ottobre 2021. In un altro film un membro della troupe era rimasto leggermente ferito in un episodio simile. L'assistente alla regia del film 'Rust', che ha consegnato la pistola di scena con cui Alec Baldwin ha sparato e ucciso la direttrice della fotografia, era stato già licenziato da una produzione cinematografica per un episodio simile. Un membro della troupe del film a cui lavorava, ha rivelato la società di produzione del film alla Cnn, era rimasto leggermente ferito in un incidente con una pistola. In particolare, a quanto riferito alla Cnn dalla Rocket Soul Studios, Dave Halls faceva l'assistente alla regia nel film "Freedom's Path" nel 2019, quando l'esplosione prodotta da una pistola "scaricata inaspettatamente" sul set ha fatto fare un balzo indietro a un tecnico del suono, costringendolo a ricorrere a cure mediche e causando uno stop temporaneo della produzione. Proprio a causa di quell'incidente, Halls è stato rimosso dal set e licenziato, ha detto la società, spiegando che le riprese non ricominciarono "finché Dave non fu fuori".
Baldwin, l'assistente alla regia che gli ha dato l'arma carica era stato licenziato per un incidente simile. Massimo Basile su La Repubblica il 26 ottobre 2021. L’assistente alla regia del film ‘Rust’, cioè la persona della troupe che ha dato a Alec Baldwin l’arma risultata poi carica, era stato licenziato in passato per un incidente simile. Lo ha rivelato alla Cnn la casa di produzione di ‘Rust’. Dave Halls, un passato d’attore, da trent’anni assistente regista, ha lavorato in ‘Fargo’, film del ’96 dei fratelli Coen, 'Matrix Reloaded’, del 2003, e ‘Cell Block 99: nessuno può fermarmi’, del 2017. Due anni fa, durante le riprese di ‘Freedom’s Path’, un fucile “scaricato inspiegabilmente sul set" aveva ferito, in modo non grave, un tecnico del suono, finito a terra per effetto dell’esplosione del colpo. Il rimbombo gli aveva provocato danni all’udito. L’incidente aveva portato all’interruzione dei lavori. Il tecnico era tornato sul set dopo alcuni giorni, ma Halls, a cui spettava il compito di controllare lo stato delle armi da usare in scena, era stato licenziato in tronco dalla Rockhill Studios. Le riprese, ha spiegato la compagnia alla Cnn, “non ricominciarono fino a che Halls non abbandonò il lavoro”. L’assistente regista era parso “pieno di rimorsi ma aveva capito la gravità di ciò che era successo”. Era stato subito sostituito da un altro e il film portato a termine. “Era una persona inaffidabile - ha raccontato un collega, preferendo restare anonimo - eppure, nonostante le varie segnalazioni, continuava a lavorare”. Giovedì, a conclusione di una catena di negligenze, tra cui l’aver lasciato le armi di scena incustodite, è andata in modo tragico. Baldwin stava provando davanti alla cinepresa una pistola definita “cold gun”, cioè scarica, da Halls, quando a un certo punto è partito un colpo. La direttrice alla fotografia, che si trovava di fronte all’attore, si è portata le mani al ventre ed è crollata a terra. Il regista, Joel Souza, è rimasto ferito alla spalla. Per la donna, 42 anni, portata in ospedale, non c’è stato niente da fare. Il regista se la caverà. Ma niente tornerà più come prima nel mondo del cinema americano. Le riprese del film sono state sospese a tempo indeterminato. Con una lettera inviata al cast e alla troupe di ‘Rust’, i vertici della produzione hanno annunciato lo stop fino a quando le “indagini saranno completate”. “Il nostro pensiero - scrivono - va a tutti voi che, come noi, state vivendo questo tragico momento e piangete la scomparsa della collega e cara amica, Halyna Hutchins”. “Siamo una famiglia - continuano - e dobbiamo sostenerci l’uno con l’altro come fanno le famiglie nei momenti di difficoltà. Restiamo in stretto contatto con quella di Halyna e elogiamo la forza che sta mostrando davanti a questa indescrivibile tragedia”. Baldwin è ancora sconvolto. La moglie, Hilaria, ha commentato per la prima volta la tragedia. “Il mio pensiero va a Halyna - ha scritto su Instagram - a suo marito, a suo figlio, alla loro famiglia, ai loro cari. E al mio Alec”. “Non ci sono parole - ha aggiunto - per esprimere lo shock e il dolore per una tragedia del genere”. Hollywood si sta mobilitando: oltre alla petizione per bandire le armi vere dai set, che ha raccolto oltre 15 mila firme in poche ore, molte case di produzione stanno rivedendo i loro protocolli interni. La serie tv su Abc, “The Rookie’, ha annunciato che da ora in poi userà solo pistole ad aria compressa, con proiettili di plastica a potenza ridotta.
La tragedia sul set. Cosa è successo ad Alec Baldwin e come è morta Halyna Hutchins la direttrice della fotografia del film Rust. Redazione su Il Riformista il 23 Ottobre 2021. Uno dei volti più noti del cinema americano, l’attore Alec Baldwin, ha sparato e ucciso il direttore della fotografia, e ferito gravemente il regista del western che stava girando nello stato americano del New Mexico. Halyna Hutchins e Joel Souza «sono stati colpiti e feriti quando Alec Baldwin ha scaricato una pistola usata nelle riprese» del film Rust, ha dichiarato un portavoce del dipartimento dello sceriffo della contea di Santa Fe. Halyna Hutchins, 42 anni, è stata trasferita in elicottero in un vicino ospedale, dove purtroppo è stata dichiarata morta dai medici. Il regista di Rust, Joel Souza, 48 anni, è stato portato in terapia intensiva dove le sue condizioni erano state reputate “critiche”. Ma in seguito l’attrice Frances Fisher (anche lei parte del cast del film) ha fatto sapere con un tweet che “Il nostro regista Joel Souza è uscito dall’ospedale”, nel tentativo di rettificare le prime informazioni che erano state raccolte sull’incidente in New Mexico. Stando ai media specializzati, all’origine della tragedia vi sarebbe stato un erroneo caricamento dell’arma di scena con proiettili veri anziché a salve. Gli inquirenti hanno ascoltato diversi testimoni dell’accaduto ma in questa fase non è stata formalizzata alcuna ipotesi di reato. «È stato un incidente, è stato un incidente», ha ripetuto fra le lacrime e sotto choc l’attore di 68 anni. La foto della star stravolta dall’accaduto ha fatto il giro del web. «Perché mi avete dato una pistola calda?» (che nel gergo vuol dire carica). «Perché mi avete dato una pistola calda?». Sarebbero state queste le sue prime parole dopo la tragedia, raccontano alcuni testimoni citati dal Daily Mail. ll portavoce dello sceriffo di Santa Fe, Juan Rios, ha aggiunto che dopo l’incidente l’attore “ha fornito dichiarazioni e ha risposto ad alcune domande”, presentandosi spontaneamente al posto di polizia e lasciando l’edificio una volta terminato l’interrogatorio. «Non vi è stata alcuna incriminazione e non sono stati effettuati arresti», ha precisato la polizia, secondo la quale il colpo è stato sparato da Baldwin nel quadro di una scena girata in un ranch. La vittima, Halyna Hutchins si definiva una “sognatrice irrequieta” e “dopata di adrenalina” e sorrideva spensierata nelle ultime foto e negli ultimi video condivisi su Instagram in cui raccontava entusiasta la vita sul set. «Uno dei vantaggi di girare un western è che puoi andare a cavallo nel giorno libero», scriveva in uno degli ultimi post. Direttrice della fotografia, Halyna aveva 42 anni ed era ucraina, ed era cresciuta in una base militare sovietica nel Circolo Polare Artico. Dopo la laurea in International Journalism, aveva lavorato come giornalista investigativa per produzioni di documentari nell’Europa dell’Est, poi il salto nel cinema.
La tragedia sul set. Chi è Alec Baldwin, l’attore che ha sparato sul set del film “Rust”: morta la direttrice della fotografia Halyna Hutchins. Redazione su Il Riformista il 22 Ottobre 2021. È un grande attore Alec Baldwin: protagonista in televisione e al cinema. E da oggi colpito per sempre da una tragedia enorme, comunque andranno le cose. Sul set di Rust, film western, l’incidente: mentre maneggiava una pistola di scena sarebbe partito un colpo, o forse più di uno, che hanno raggiunto due persone. È morta la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, 42 anni, mentre il regista Joel Souza è gravemente ferito. Ancora tutta da chiarire la dinamica dei fatti. L’attore è sconvolto. Stanno girando delle foto sui social nelle quali è evidente il suo stato di shock. “È stato un incidente, è stato un incidente”, le sue prime parole. La tragedia si è consumata intorno alle 13:50 di giovedì, ora locale, quindi nella notte italiana. Hutchins e Souza “sono stati colpiti quando Baldwin ha scaricato una pistola usata nelle riprese del film” ha detto lo sceriffo di Santa Fe. Rust doveva essere un film western, scritto e diretto da Joel Souza, sulla storia del fuorilegge Harland Rust, che soccorre per aiutare il nipote di 13 anni condannato a morte. Baldwin era anche coproduttore del film che stava girando. L’attore ha 68 anni. È nato il 3 parile 1958 a Amytiville, nello Stato di New York, da una famiglia numerosa, cattolica, di origini irlandesi, inglesi e francesi. Ha due sorelle e tre fratelli, tutti attori, quattro conosciuti come i “Baldwin Brothers”. Prima di diventare famoso lavorò come cameriere nell’iconico club di New York Studio 54, da autista e come venditore di magliette. Ha studiato alla George Washington University e alla Tisch School of the Arts della New York University. Laureato in Belle Arti. Il debutto da attore quindi: tra Broadway, la televisione e i set cinematografici. I primi ruoli importanti in Beetlejuice – Spirito Porcello, di Tim Burton, e in Talk Radio, di Oliver Stone, nel 1988. A Hollywood riuscì a imporsi nei panni del donnaiolo spregiudicato come in Una vedova allegra … ma non troppo e Una donna in carriera. Altri ruoli di primo piano in Caccia a ottobre rosso con Sean Connery e in Alice di Woody Allen. Sul set di Bella, bionda … e dice sempre sì conobbe la sua futura moglie Kim Basinger, dal quale ebbe la figlia Ireland e dalla quale divorziò nel 2002. A inizi anni duemila una nuova giovinezza con The Aviator, Elizabethtown, The Departed, The Good Shepherd. Quindi la serie della Nbc 30 Rock. Iconica e virale in tutto il mondo la sua interpretazione dell’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump per il Saturday Night Live. È stato candidato all’Oscar al Premio per il Miglior Attore Non Protagonista per The Cooler. Nel 2012, il matrimonio con la sua insegnante di ginnastica Hilaria Lynn Thomas. Redazione
Non come attore ma da produttore del film. Omicidio sul set, cosa rischia Alec Baldwin: la pistola usata per gioco con “proiettili veri”. Riccardo Annibali su Il Riformista il 24 Ottobre 2021. Dopo il particolare dei “proiettili veri” usati per la pistola di scena del film, la posizione di Alec Baldwin è a rischio, non in veste di attore che ha sparato ma come uno dei produttori. Secondo TMZ, che cita alcune fonti, la pistola di scena utilizzata dall’attore “era stata usata da alcuni componenti della troupe per gioco“, fuori dal set “utilizzando proiettili reali“. La polizia avrebbe rinvenuto sul set proiettili veri e salve nella stessa area
Alcuni esperti legali citati dai media americani ritengono che sia improbabile che Baldwin venga accusato di omicidio colposo in quanto non sapeva che la pistola era carica. L’unica possibilità che venga incriminato penalmente è se sarà accertato che ha maneggiato l’arma in modo pericoloso, cosa che finora non è emersa.
Come uno dei produttori del film Rust, però, rischia, almeno dal punto di vista civile, una serie di azioni legali se verrà accertata una negligenza nella sicurezza. Anche se l’attore è il produttore principale, le indagini potrebbero rivelare che altri produttori hanno ridotto la soglia di sicurezza e quindi sarebbero responsabili. I detective dovranno anche accertare chi ha autorizzato la sostituzione della troupe aderente al sindacato di settore che ha lasciato il set con altri operatori che non sembrano aver rispettato i protocolli di sicurezza. Per Baldwin, qualunque sia lo sviluppo legale, si tratterà di una lunga battaglia se vorrà dimostrare la sua innocenza. L’incidente avvenuto giovedì alle 13:50 in un ranch a Santa Fe, nel New Mexico, ha ancora molte zone d’ombra. Secondo le ipotesi più accreditate sembrerebbe che Alec Baldwin abbia sparato un singolo colpo da un revolver Colt che in qualche modo ha colpito sia Hutchins che il regista del film, il 48enne Joel Souza, ora fuori pericolo. Matthew, avvocato e laureato ad Harvard e marito della giovane direttrice della fotografia, ha detto al DailyMail: “Ho parlato con Alec Baldwin e mi è stato di grande sostegno. Ovviamente ci sono molte cose da affrontare ogni volta che c’è un lutto in famiglia. Ci sono un sacco di telefonate e messaggi”. Baldwin ancora scosso dopo l’incidente ha scritto in un tweet: “Non ci sono parole per trasmettere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, una nostra moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata. Sto collaborando pienamente con le indagini della polizia per affrontare come si è verificata questa tragedia e sono in contatto con suo marito, offrendo il mio sostegno a lui e alla sua famiglia. Il mio cuore è spezzato per suo marito, il loro figlio e tutti coloro che conoscevano e amavano Halyna”. Riccardo Annibali
La tragica morte di Halyna Hutchins. “Alec Baldwin si esercitava a estrarre la pistola”, il racconto del regista e il giallo del proiettile vero sul set di “Rust”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 25 Ottobre 2021. Alec Baldwin si stava esercitando a estrarre la pistola dalla fondina quando è partito il colpo che ha ucciso Halyna Hutchins. Il regista del film che si stava girando a Santa Fe, in New Mexico, Joel Souza ha fornito questa versione alla polizia. Era rimasto ferito anche lui nel tragico incidente sul set del film western Rust co-prodotto dallo stesso Baldwin. Nessuno è stato incriminato finora per la tragedia del Bonanza Creek Ranch di venerdì scorso. Joel Souza ha quindi raccontato che Baldwin si stava esercitando a estrarre l’arma dalla fondina prima di un ciak. Il colpo è partito quando ha puntato la pistola verso la telecamera. Erano lì vicino il regista e la direttrice della fotografia. Hanno sentito “come il rumore di una frusta” e quindi “un forte colpo”, ha raccontato Souza secondo quanto riportato da Reuters. Hutchins ha cominciato a lamentarsi di un dolore allo stomaco e al petto oltre a dire di non sentire più le sue gambe. Non c’è stato niente da fare per la 42enne, che lascia il marito e un figlio di nove anni. “Perché mi avete dato un’arma calda?”, le prime parole di Baldwin dopo la tragedia. Da subito hanno fatto il giro del mondo le immagini dell’attore sconvolto, al telefono, all’esterno del luogo delle riprese. Baldwin si è recato spontaneamente dalla polizia a rendere la propria versione dei fatti. “Il mio cuore è spezzato – aveva scritto quindi l’attore sui social – Non ho parole per esprimere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata”. Sabato Baldwin è stato fotografato mentre abbracciava Matt Hutchins, marito della vittima, e il figlio della coppia, di nove anni. L’uomo ha definito la scomparsa della moglie, in una dichiarazione letta a una fiaccolata, come una “enorme perdita”. La produzione ha assicurato che la pistola era caricata a salve. Di solito queste armi sono caricate con piccole cariche esplosive che generano una fiammata molto scenografica ma senza far riuscire un proiettile. In casi estremi possono uccidere. I testimoni sul set hanno dichiarato che a Baldwin era stata data una pistola dichiarata “fredda”, ovvero scarica. Successivamente sono emersi dettagli preoccupanti sulle misure di sicurezza adottate sul set a causa dei bassi costi di produzione. La responsabile alle armi, 24 anni, Hannah Gutierrez-Reed – figlia d’arte di Thell Reed, stuntman e armiere molto conosciuto a Hollywook per aver lavorato su set importanti come Django Unchained e Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino e per aver insegnato l’uso delle armi di scena a star come Brad Pitt e Russell Crowe – , era al suo secondo incarico. Parte della troupe aveva inoltre lasciato il set da qualche tempo perché preoccupata dalla sicurezza dopo che le armi da fuoco erano state scaricate accidentalmente tre volte: una di queste dalla controfigura di Baldwin cui era stato detto che la pistola non era carica. Altro particolare: l’assistente alla regia Dave Halls sarebbe stato oggetto di lamentele per almeno due produzioni in passato proprio per un presunto disprezzo dei protocolli di sicurezza. Alcune testimonianze riprese da TMZ riferivano invece che la pistola di scena della tragedia sarebbe stata usata per gioco fuori dal set di Rust per divertimento. Con proiettili veri. E questo potrebbe spiegare perché una munizione vera si trovasse nel tamburo dell’arma data a Baldwin. In violazione di tutte le norme di sicurezza. Versioni comunque ancora tutte da confermare. Proprio Halls avrebbe preso una delle tre pistole di scena lasciate su un carrello fuori dal luogo delle riprese, ignaro fosse carica, e l’avrebbe consegnata a Baldwin gridando “pistola fredda”. L’ufficio dello sceriffo continua le sue indagini.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
La direttrice della fotografia del film "Rust" uccisa da un proiettile vero. “Non ho controllato la pistola di Baldwin”, l’assistente alla regia Dave Halls sulla tragedia di Halyna Hutchins. Antonio Lamorte su Il Riformista il 28 Ottobre 2021. L’assistente alla regia del film Rust, quello sul cui set è morta la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, non ha controllato efficientemente l’arma e tutti i proiettili che si trovavano all’interno, quando l’ha consegnata all’attore Alec Baldwin. E mentre quest’ultimo si esercitava a estrarre l’arma puntandola verso la telecamera, secondo quanto ricostruito dal regista Joel Souza, ferito nella stessa occasione, è partito il colpo che ha ucciso la 42enne direttrice della fotografia. David Halls, l’assistente, secondo altre testimonianze aveva anche gridato “pistola fredda”, e quindi inoffensiva perché caricata a salve, prima di passarla a Baldwin. Questi gli ultimi dettagli sulla tragedia sul set di Santa Fe, venerdì scorso. Che non abbia controllata l’arma lo avrebbe raccontato lo stesso Halls agli investigatori: non avrebbe controllato bene quanti e quali proiettili fossero contenuti nel tamburo della pistola. Questo quanto risulta da un mandato di perquisizione, secondo quanto riporta la Cnn. Avrebbe visto solo tre proiettili e non sarebbe sicuro di aver controllato anche il resto del tamburo. Il mandato di perquisizione riguarda anche un furgone di scena sul quale si trovava una cassaforte con le armi utilizzate sul set del film western. Hannah Reed-Gutierrez, “armiera” al centro delle polemiche anche perché alla sua seconda esperienza importante, a soli 24 anni, ha riferito che in pochi conoscevano la combinazione della cassaforte e che i proiettili veri non erano permessi sul set. Quelli che vengono utilizzati sono a salve e vengono lasciati su un carrello sul set, senza protezione. Lo sceriffo della contea di Santa Fe, Adan Mendoza, in conferenza stampa ha confermato ieri che Halyna Hutchins è stata uccisa da un proiettile vero. Lo sceriffo ha anche aggiunto che sul set sono stati trovati altri proiettili veri. “I fatti sono chiari: è stata data una pistola a Baldwin che era funzionale ed ha sparato una pallottola vera che ha ucciso Hutchins”, ha detto Mendoza spiegando che l’Fbi sta analizzando un proiettile estratto dalla spalla del regista Souza. Nella stessa occasione la procuratrice distrettuale, Mary Carmack-Altwies, ha sottolineato che l’inchiesta è appena iniziata, che si stanno ascoltando decine di testimoni e che tutte le opzioni, comprese possibili incriminazioni, sono sul tavolo. “Se i fatti e la legge sostengono le accuse io allora avvierò l’incriminazione – ha detto – non prendo decisioni affrettate”. Non è escluso quindi che anche Alec Baldwin venga accusato. “C’era un’enorme quantità di proiettili sul set – ha aggiunto Carmack-Altwies – dobbiamo analizzare tutti i tipi di munizioni”. Ritrovati infatti tre revolver, bossoli e munizioni: alcuni chiusi nelle loro scatole e altri sparsi in vari punti del set. Anche una pistola vera non di ultima generazione ma funzionante. Alcune di queste armi, secondo testimonianze, venivano usate fuori dal set e dalle riprese, per gioco, da alcuni membri della troupe. Proprio sulle negligenze nella gestione delle armi e della sicurezza sul set l’assistente alla regia Halls è stato oggetto di diverse testimonianze. Secondo Cnn era stato licenziato dal film Freedom Path’s del 2019 dopo che un incidente con un’arma da fuoco aveva ferito non gravemente un membro della troupe. Sul set anche proteste per le stesse ragioni e le condizioni di lavoro, che avrebbero portato alcune maestranze a lasciare la lavorazione.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Spari e sangue sul set del film: Alec Baldwin uccide la direttrice fotografia. Francesca Galici il 22 Ottobre 2021 su Il Giornale. Durante le riprese di Rust, Alec Baldwin ha sparato con la pistola di scena caricata a salve: morta la direttrice della fotografia, ferito il regista. Tragedia sul set del film Rust. Durante le riprese di una scena l'attore Alec Baldwin ha sparato con la pistola di scena, uccidendo la 42enne Halyna Hutchins, la direttrice della fotografia. Ferito Joel Souza, 48 anni, regista del film. Il set del film è stato allestito nella contea di Santa Fe, in New Mexico. Stando alle prime indiscrezioni, Alec Baldwin impugnava un'arma caricata a salve che, per motivi ancora da chiarire, ha funzionato male. Le riprese sono state fermate immediatamente, sarebbero dovute andare avanti fino ai primi di novembre. Il giornale Santa Fe New Mexican, accorso sul posto, ha riferito che Alec Baldwin, 68 anni, è stato visto in lacrime fuori dall'ufficio dello sceriffo, ma non è stato possibile ottenere un commento da lui. Non sembrano esserci dubbi sul fatto che la tragedia sia figlia di un disgraziato incidente ma, come da prassi, le forze dell'ordine stanno lavorando per capire come sia stato possibile. "I dettagli al momento non sono chiari, ma stiamo lavorando per sapere di più e sosteniamo un'indagine completa su questo tragico evento", ha fatto sapere l'associazione internazionale dei direttori della fotografia per bocca del suo presidente John Lindley e della executive director Rebecca Rhine. Il portavoce dello sceriffo, Juan Rios, ha riferito che alcuni agenti sono accorsi intorno alle 14 ora locale al Bonanza Creek Ranch dopo diverse chiamate al 911, che chiedevano aiuto per soccorrere una persona che era stata colpita da imprecisati colpi di pistola sul set di un film. Le autorità si sono recate sul posto insieme alle ambulanze e hanno fatto il possibile per salvare la vita di Halyna Huchins, che è stata inizialmente trasportata in ospedale, allo University of New Mexico Hospital, dove è stata dichiarata morta. Souza, invece, è stato portato in ambulanza al Christus St. Vincent Regional Medical Center e dopo alcune ore è stato dimesso. "Questa indagine rimane aperta e attiva", ha dichiarato il portavoce, aggiungendo che "non sono state presentate accuse in relazione a questo incidente". Intanto, "i testimoni continuano a essere interrogati dagli investigatori" per chiarire le dinamiche di un incidente che ha sconvolto il mondo del cinema. "Alec Baldwin si è presentato spontaneamente e ha risposto ad alcune domande, fornendo chiarimenti. Al momento non è stato accusato né arrestato nessuno", ha spiegato il portavoce dello sceriffo Juan Rios.
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Baldwin, lo sparo e il giallo del proiettile. Valeria Robecco il 23 Ottobre 2021 su Il Giornale. Dramma sul set del film "Rust". L'attore: "Devastato, perché l'arma di scena era carica?" New York. Si tinge di sangue e di mistero il set del film western Rust con Alec Baldwin, girato in questi giorni in New Mexico. Le riprese sono finite in tragedia quando l'attore e produttore della pellicola ha sparato con quella che doveva essere una pistola di scena uccidendo accidentalmente la direttrice della fotografia Halyna Hutchins e ferendo il regista Joel Souza. La 42enne è stata trasportata in aereo all'ospedale dell'Università del New Mexico, dove è stata dichiarata morta, mentre Souza inizialmente sembrava in condizioni molto gravi, ma dal suo entourage hanno fatto sapere che è già stato dimesso dall'ospedale. Un portavoce di Baldwin intanto ha confermato che l'incidente - avvenuto giovedì intorno alle 14 locali - sarebbe legato a una pistola che, probabilmente caricata a salve, non ha funzionato correttamente e ha esploso i proiettili. «Alec Baldwin si è presentato spontaneamente e ha risposto ad alcune domande, fornendo chiarimenti. Al momento non è stato accusato né arrestato nessuno», ha spiegato ai media il portavoce dello sceriffo della contea di Santa Fe, Juan Rios. Dopo la deposizione l'attore 63enne era visibilmente sconvolto e in lacrime. «Perché mi avete dato una pistola carica?», continuava a ripetere. Poi un tweet più lucido: «Non ci sono parole per descrivere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che è costato la vita ad Halyna Hutchins», e ha aggiunto di avere il «cuore spezzato» e che sta cooperando con l'indagine della polizia. Le autorità indagano sulla dinamica dei fatti e su come si sia potuta verificare una simile tragedia, visto che solitamente le armi di scena sono caricate con cartucce a salve. Un portavoce dell'ufficio dello sceriffo ha detto al New York Times che non si sa ancora se gli spari siano partiti durante una prova o durante le riprese. «Le armi di scena hanno un fattore di pericolo anche se sono molto più sicure rispetto all'uso di un'arma da fuoco sul set», ha sottolineato Joseph Fisher, direttore di scena che ha maneggiato armi nell'esercito e con la polizia di New York: anche se non c'è un vero proiettile ci sono gas, calore e aria che escono dall'arma poiché è presente un carico di polvere da sparo, «e questi possono provocare lesioni fisiche entro i 7-14 metri, a seconda del carico». Le riprese di Rust, in cui Baldwin interpreta il fuorilegge Harland Rust, che viene in aiuto del nipote di 13 anni condannato all'impiccagione per omicidio, sono state sospese a tempo indeterminato e la società di produzione si è detta «devastata» per la morte di Hutchins. La 42enne, originaria dell'Ucraina e cresciuta in una base militare sovietica nel Circolo Polare Artico, era considerata un astro nascente della fotografia: sposata con un figlio, sui social lei stessa si definiva una «sognatrice irrequieta» e «dopata di adrenalina». Le ultime foto e video condivisi su Instagram la ritraggono sorridente mentre racconta entusiasta la vita sul set, e ammira i cieli al tramonto o all'alba al Bonanza Creek Ranch, dove si girava il film. Nella prima parte della sua carriera, dopo la laurea in International Journalism, Halyna ha lavorato come giornalista investigativa per produzioni di documentari nell'Europa dell'Est. Poi ha scoperto la passione per il cinema e si è trovata a dirigere la fotografia di molte pellicole hollywoodiane. Valeria Robecco
Scherzi finiti male, disgrazie e suicidi. Quando il sangue (vero) scorre sul set. Nino Materi il 23 Ottobre 2021 su Il Giornale. Indagini sulla tragedia in New Mexico: dinamica da chiarire. Ma i precedenti possono indicare agli inquirenti possibili piste. La sensazione è che la polizia della contea di Santa Fe (lo «sceriffo», in particolare) sappia più di quanto abbia detto finora. Sta di fatto che l'inchiesta sul «caso Baldwin» sembra la trama di un film western che narra di una morte misteriosa sul set di un film western in cui si racconta una storia tipicamente western; insomma, un gioco di scatole cinesi, anche se in Cina ignorano il genere western. Ieri, sul «luogo del crimine», la scena era surreale: una scenografica chiesa di cartapesta in mezzo al nulla del deserto, circondata da auto con i lampeggianti che baluginavano. A riempire il silenzio solo le urla disperate di Alec Baldwin: un attore famoso che ieri ha capito, sulla propria pelle, la differenza tra un dolore «recitato» e una disperazione reale. Per gli inquirenti sono due, al momento, i rebus senza soluzione. La prima: com'è potuto accadere che la pistola di «scena» che aveva tra le mani per interpretare il ruolo del «fuorilegge Harlan Rust» abbia esploso proiettili veri? La seconda: com'è possibile che sulla traiettoria di sparo ci fossero la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, 42 anni (morta sul colpo) e il regista Joele Souza, 48 anni (rimasto ferito)? In realtà ci sarebbe anche un terzo quesito: ma la tragedia che si è verificata ieri sul set del film «Rust» è davvero un caso eccezionale? Ma qui la risposta ce l'abbiamo, ed è «no». La casistica delle sciagure avvenute dopo il fatidico «ciak, si gira!» risulta infatti lunga e variegata. Clamorosa la sciagura del 1993 sul set del cult-movie «Il Corvo» dove perse la vita il 28enne Brandon Lee (il figlio della star delle arti marziali, Bruce Lee), colpito da un proiettile calibro 44 esattamente come accaduto ieri negli Usa. Non a caso il primo post di solidarietà alla famiglia della vittima è arrivato proprio dalla sorella di Brandon Lee: «I nostri cuori sono con la famiglia di Halyna Hutchins e Joel Souza. Nessuno dovrebbe mai essere ucciso da una pistola su un set cinematografico». E invece è accaduto più di una volta. Nel 1984, l'attore Jon-Erik Hexum morì dopo essersi sparato alla testa con una pistola, che pensava fosse a salve, giocando alla roulette russa sul set della serie tv «Cover Up». L'anno prima tre attori, tra cui due bambini, erano morti durante la lavorazione del film «Ai confini della realtà». Vic Morrow, 56 anni; Myca Dinh Le, 7 anni e Renee Shin-Yi Chen, 6 anni, perirono nel crollo di un elicottero utilizzato sul set. Anche il celebre «Top Gun», con protagonista Tom Cruise, registrò una vittima sul set: il pilota acrobatico Art Scholl, 53 anni, che era stato ingaggiato per fare il lavoro di ripresa in volo per il film. Durante una scena di volo acrobatico Scholl col suo Pitts S-2 si inabissò nell'Oceano Pacifico al largo della costa meridionale della California. Un film maledetto fu anche nel 2008, il thriller di fantascienza «Jumper» dove lo scenografo David Ritchie fu ucciso da una valanga di ghiaia caduta dalla cima di un muro. Funestate da un lutto furono pure le riprese della pellicola d'azione del 2002 «XXX» con Vin Diesel, la cui controfigura morì durante la scena nella quale avrebbe dovuto scendere da un ripido pendio per poi paracadutarsi su un sottomarino. Si sfracellò invece contro un ponte. E mai «The end» fu così drammatico. Nino Materi
Sparo forse ripreso in video e il giallo della "protesta". Nino Materi su Il Giornale il 24 ottobre 2021. L'attimo dello sparo forse ripreso in un'immagine. E non sarebbe neppure una cosa eccezionale considerato che ci troviamo su un set cinematografico. Bisogna però capire se la «scena» nella quale Alec Baldwin ha fatto fuoco, uccidendo involontariamente la direttrice di fotografia e ferendo il regista del film, era all'interno di un «ciak, si gira» oppure faceva parte di un contesto «estraneo» alla registrazione della pellicola. Non è un dettaglio da poco: nel primo caso si avrebbe la documentazione visiva dell'esatta dinamica dell'incidente; nel secondo caso la ricostruzione della tragedia sarebbe demandata solo alle testimonianze dei membri del troupe tecnica e del cast di attori presenti al momento della drammatica sparatoria. Nel dubbio, la polizia ha comunque sequestrato tutte le attrezzature. Poi, come in ogni ambiente di lavoro, ci sono i rumors cui lo sceriffo di Santa Fe presta particolare attenzione, pur non prendendo per oro colato i pettegolezzi che circolano attorno allo staff di «Rust». Si parla di non meglio precisati «contrasti», «rancori» e «litigi»: roba però comune a ogni ambiente professionale dove competitività e adrenalina sono la benzina naturale del mestiere, figuriamoci tra gli «abitanti» del pianeta di celluloide chiamato Hollywood. Inevitabile pure l'eco delle malignità, con al centro la presunta «inadeguatezza» della responsabile del controllo delle armi (prevista per legge sul set di ogni pellicola dove sia previsto l'uso di armi da fuoco): «Era al suo primo incarico, e già il giorno prima alla sciagura si era registrato un incidente analogo, fortunatamente senza conseguenze», accusa chi va alla ricerca di un facile capro espiatorio. Se questo rispondesse al vero, la posizione della «responsabile sicure» del film rischierebbe un'incriminazione. Un pericolo che continua a incombere anche su Alec Baldwin, inconsapevole autore dell'«omicidio». Intanto ieri è arrivata la conferma degli investigatori: «Nella pistola c'erano munizioni vere. L'arma era stata consegnata pochi istanti prima all'attore da un assistente, che gli aveva detto che era sicura. Nessuno dei due sapeva che ci fossero proiettili veri. La responsabile del controllo armi era al primo incarico. Si tratta di Hannah Gutierrez Reed, 24 anni». E poteva mai mancare il giallo nel giallo? Poche ore prima della sciagura, una decina di operatori e tecnici si erano allontanati dal set per protestare contro le condizioni di lavoro. Secondo il Los Angeles Times gli operatori «erano frustrati per le troppe ore di straordinario e la mancanza di sicurezza». E se a caricare quella vecchia pistola con proiettili veri fosse stato un gesto di «protesta»? Poi degenerato in vendetta mortale?
Sul set abusi e veleni. Ed era carica per gioco la pistola di Baldwin. Massimo M. Veronese su Il Giornale il 25 ottobre 2021. La domanda girava, qualcuno la sussurrava a bassa voce, altri si interrogavano muti, come se a chiedere si facesse brutta figura: perchè mai sul set di un film avrebbero dovuto circolare armi vere? Va bene la storia dell'urlo «cold gun», cioè pistola scarica che aveva dato il via libera alle riprese di Rust, va bene che ci fosse addirittura un'armiera, come si suol dire, alle prime armi insieme alla troupe e al cast, ma cosa ci fanno delle armi vere dentro una sparatoria finta? Perchè quando Alec Baldwin esce dalla chiesa ed estrae l'arma dalla fondina per fingere di ammazzare le comparse intorno a lui spara invece un colpo vero che uccide la direttrice della fotografia Halyna Hutchins e rompe la clavicola al regista Joel Souza dietro di lei? Adesso, forse, si sa. Per scherzo. Sul set usavano le pistole finte per fare sul serio e le pistole vere per scherzare. Il sito Tmz citando fonti legate alla produzione della pellicola, ha ricostruito questa storia che non sta in piedi con un'ipotesi che sembra reggere. L'arma, caricata a pallettoni veri, era usata per gioco, per allenarsi al tiro al bersaglio, ben lontani dai ciak da qualche membro dello staff «a scopo ricreativo spiega il sito. Insomma macchinisti, assistenti di scena, comparse, elettricisti o aiuto costumisti facevano i pistoleri del west con la Colt caricata a pallottole detonanti, poi, a ricreazione finita, ripulivano l'arma e la riconsegnavano alla fiction, innocua e innocente. Ma stavolta non sarebbe andata così. Come nella roulette russa una pallottola, una sola, è rimasta dove non doveva essere più e la tragedia si è consumata in un amen. Secondo sempre una fonte citata dal sito, i poliziotti avrebbero trovato proiettili veri e a salve nella stessa area, altra spiegazione di come un proiettile vero avesse potuto finire nella pistola. É qui che il ruolo, vero, dell'armiera, la 24enne Hannah Gutierrez, che avrebbe preparato la pistola con la quale Baldwin ha ucciso la Hutchins, diventa drammaticamente cruciale. Lei insiste, come l'assistente Dave Halls, ferito pure lui, che ha materialmente consegnato il revolver a Baldwin, nel sostenere l'insostenibile e cioè che la pistola era «fredda», cioè caricata a salve. Halls, si legge nel rapporto dell'agente Joel Cano, dell'ufficio dello sceriffo della contea di Santa Fe, «non sapeva che l'arma era caricata con proiettili veri». Nè Gutierrez Reed nè Halls sono al momento accusati, ha precisato un portavoce dello sceriffo. Halls poi non se la passa bene a prescindere: secondo la Cnn, tre anni fa era finito sotto accusa perchè troppo disinvolto sia sulla sicurezza delle armi, che su quella del comportamento sessuale. Ma che tirasse una brutta aria al Bonanza Creek Ranch, lo dicono anche altre cose. Alcune ore prima della tragedia, riferisce l'Ap, sette cameramen impegnati nelle riprese del film avevano lasciato il set in segno di protesta per le condizioni di lavoro, tra cui gli alloggi e la sicurezza. Tensioni sulla produzione del film, girato in New Mexico, erano iniziate fin dall'avvio delle riprese, i primi di ottobre. Anche per questo ora Alec Baldwin rischia sul piano legale. Non l'accusa di omicidio, come detto non sapeva che la pistola era carica, a meno che non si dimostri che la maneggiasse in modo pericoloso ma come produttore se verranno accertate negligenze nella sicurezza in un ambiente già attraversato da tensioni. Un'arma, la sua, a doppio taglio.
"Si è lamentata e poi accasciata": cosa è successo dopo lo sparo di Alec Baldwin. Francesca Galici il 25 Ottobre 2021 su Il Giornale. Alec Baldwin ha puntato la pistola contro la telecamera e poi è partito lo sparo: sono questi i nuovi dettagli emersi sull'omicidio di Halyna Hutchins. Proseguono le indagini della polizia per capire la dinamica dell'omicidio accorso durante il set di Rust, film con Alec Baldwin. Ed è stato proprio l'attore a sparare il colpo fatale che ha ucciso la giovane direttrice della fotografia, Halyna Hutchins, e ferito il regista del film, Joel Souza. L'uomo è già stato dimesso dall'ospedale, la pallottola l'ha colpito alla clavicola e fortunatamente non ha riportato gravi conseguenze. Anche per questo motivo ha già potuto parlare con gli investigatori per raccontare la dinamica dei fatti dal suo punto di vista, per provare a dare una spiegazione a una tragedia simile. La direttrice della fotografia, invece, è stata colpita dal proiettile in pieno petto. Stando alle parole del regista, che nel momento dello sparo si trovava dietro un monitor insieme ad Halyna Hutchins, Alec Baldwin era impegnato nelle prove di una scena e si stava esercitando a estrarre il revolver dalla fondina. Nel farlo, l'attore puntava la pistola contro la telecamera. Così si legge nei documenti citati dalla Bbc, che si riferiscono a quanto dichiarato da Joel Souza e dall'operatore di ripresa Reid Russell. Entrambi, però, hanno riferito alle autorità che ad Alec Baldwin era stato detto che la pistola di scena fosse scarica. Joel Souza, probabilmente ancora sotto choc, non ha ricordi nitidi di quei momenti. Nei documenti si legge che il regista ricorda che Halyna Hutchins "si è lamentata del dolore allo stomaco e al petto", quindi "ha iniziato a barcollare all'indietro, si è accasciata ed è stata soccorsa a terra". Russell, che in quel momento si trovava in piedi accanto alla Hutchins, ha detto agli inquirenti che non riusciva a sentire le sue gambe. La posizione di Alec Baldwin è ora al vaglio degli inquirenti e all'attore potrebbe anche essere notificata un'accusa ufficiale di omicidio colposo, soprattutto perché lui non ricopre solo il ruolo da protagonista del film ma anche quello di produttore. Dall'America sono arrivate a Baldwin accuse di negligenza ma il cameraman, stando a quanto ha potuto vedere durante le riprese, parlando con gli inquirenti ha dichiarato che l'attore è stato molto attento, citando come esempio un episodio sul set in cui la star si assicurava che un attore bambino non fosse vicino a lui quando veniva scaricata una pistola. Il quadro sulla dinamica si sta facendo più nitido col passare dei giorni e poi sarà compito delle autorità formulare i capi d'accusa e individuare gli eventuali responsabili di una tragedia evitabile.
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Daniel Baldwin rischia l'incriminazione: colpo di pistola mortale sul set, "violata la regola numero 1". Libero Quotidiano il 24 ottobre 2021. Potrebbe rischiare conseguenze giudiziarie pesantissime, Alec Baldwin. Dietro l'incidente mortale sul set del film Rust, con il colpo di pistola che ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, non ci sarebbe solo l'inesperienza del maestro d'armi debuttante, Hannah Gutierrez-Reed, che avrebbe caricato con un proiettile vero la pistola, ma una grave disattenzione dello stesso divo di Hollywood. Secondo Bryan Carpenter, esperto di armi sui set intervistato dal New York Post, Baldwin avrebbe infranto la regola numero uno sulla sicurezza: "Carica o no, un'arma anche se di scena non si punta mai contro un altro essere umano". Il rischio legale per l'ex marito di Kim Basinger non è peraltro nelle vesti di attore che materialmente ha sparato, ma in quello di produttore del film che non ha garantito il rispetto delle più elementari regole di sicurezza sul set. Improbabile però che venga accusato di omicidio colposo, in quanto non era a conoscenza che la pistola fosse carica. Possibile invece una incriminazione penale per aver maneggiato l'arma in modo pericolosi. Certa invece una incriminazione in sede civile se verranno accertate negligenze nella sicurezza sul set. Durante la lavorazione del film, peraltro, una troupe aderente al sindacato di settore aveva lasciato la produzione accusando proprio una mancanza negli standard di sicurezza, un inquietante segnale se non una premonizione di quello che sarebbe successo sul set.
Alec Baldwin trovato così, in lacrime a bordo strada: "Perché mi avete dato una pistola calda?". Libero Quotidiano il 22 ottobre 2021. Alec Baldwin è devastato dalla tragedia di cui è stato protagonista, suo malgrado. L’attore era sul set del film Rust, dove è morta Halyna Hutchins, direttrice della fotografia, a causa di un colpo sparato con la pistola in dotazione alla pellicola. Questi sono i fatti acclarati, per la dinamica del drammatico incidente si dovrà attendere: al momento non sono emersi particolari, solo ipotesi e primissime ricostruzioni. “Perché mi avete dato una pistola calda?”, sono state le prime parole di un Balwdin sconvolto, che si è presentato spontaneamente per essere interrogato: sul web sono diventate virali le foto che lo ritraggono molto provato dopo la sua dichiarazione agli agenti. Piegato in due e in lacrime mentre parla al telefono, l’attore non riesce a spiegarsi come sia potuta avvenire una cosa del genere. La produzione ha assicurato che la pistola era caricata a salve, ma in rarissimi casi può uccidere comunque: un solo proiettile avrebbe colpito due persone, il regista e la direttrice della fotografia, con quest’ultima che ci ha rimesso la vita. Tutto è ancora da chiarire, ma intanto Baldwin ha affidato alcune parole a Twitter: “Il mio cuore è spezzato. Non ho parole per esprimere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata”. Alce Baldwin spara sul set del film western: morta la direttrice della fotografia, grave il regista. Orrore e dramma
Alec Baldwin, chi era Halyna Hutchins e cosa non torna sulla sparatoria: "Dettagli poco chiari", come è morta? Libero Quotidiano il 22 ottobre 2021. La tragedia sconvolge Hollywood: Alec Baldwin apre il fuoco sul set, pare per errore, e uccide Halyna Hutchins, 42 anni, la direttrice della fotografia del film a cui stava lavorando e di cui Baldwin è anche co-produttore. Ma non solo: ferito in modo grave anche il regista Joel Souza. Secondo quanto si apprende, l'attore avrebbe sparato convinto che fosse una pistola a salve, ma invece i proiettili erano veri. Non è chiaro se Baldwin stesse scaricando la pistola oppure se la sua fosse una "gag" finita in tragedia. Per certo, dopo il dramma, era sconvolto, continuava a ripetere "è stato un incidente", in lacrime mentre la polizia effettuava i rilievi. Tutto è accaduto alle 13.50, ora del New Mexico, di giovedì 22 ottobre. La vittima, come detto, è Halyna Hutchins. Tra i suoi ultimi lavori era stata direttrice della fotografia del film d’azione del 2020 Archenemy, con Joe Manganiello. Si era laureata nel 2015 all’American Film Institute e nel 2019 era stata definita "stella nascente" del cinema da American Cinematographer (Asc), l’associazione culturale e professionale statunitense. E ancora, la International Cinematographers Guild, un’associazione internazionale dei direttori della fotografia, ha fatto sapere con il suo presidente John Lindley e con l'executive director Rebecca Rhine che "i dettagli al momento non sono chiari, ma stiamo lavorando per sapere di più e sosteniamo un’indagine completa su questo tragico evento". Lutto ad Hollywood e cordoglio dei colleghi che hanno lavorato con la Hutchins, nata in Ucraina nel 1979 e cresciuta in una base sovietica militare nel circolo Artico. Aveva frequentato l’Università di Kyiv e si era laureata in International Journalism. Nella prima parte della sua carriera era stata giornalista investigativa per produzioni di documentari nell’Europa dell’Est. Solo dopo l'ingresso nel mondo del cinema: nel 2013 era entrata, su indicazione del direttore della fotografia e vincitore di un Emmy Robert Primes, all’American Film Institute Conservatory, dove due anni dopo avrebbe preso il diploma.
Alec Baldwin, testimonianza-choc: "Come lo ho visto sabato mattina". Dopo il dramma sul set...Libero Quotidiano il 25 ottobre 2021. Un morto, un ferito grave. Una vita spezzata sul set, per un drammatico errore, per una pistola caricata con proiettili veri. Si tratta della tragedia che ha travolto Alec Baldwin, l'attore che ha aperto il fuoco, inconsapevole di quel che stava per accadere. Nel mirino, ora, ci è finito Dave Halls, assistente alla regia già finito nel passato nel mirino per il suo comportamento sul set, giudicato carente in termini di sicurezza (la notizia è stata rilanciata dalla Cnn). Nel dettaglio, Halls non avrebbe in più occasioni rispettato i protocolli per la sicurezza sulle armi, effetti pirotecnici compresi. E ancora, si parla di "comportamento sessuale inappropriato", altra ombra nel passato di Halss, che è stato identificato nei documenti della polizia come colui che ha consegnato l'arma ad Alec Baldwin, quella con cui è stata uccisa la direttrice della fotografia Halyna Hutchins. E ora, si apprende, Alec Baldwin è sprofondato nel dramma. A parlare sono delle fonti anonime vicine all'attore, secondo cui sarebbe "assolutamente inconsolabile". L'attore sta infatti annullando tutti gli altri progetti e appuntamento, sta cercando, spiega la fonte sempre alla Cnn, di "prendersi un po' di tempo per se stesso e riconcentrarsi: non vuole vedere nessuno". Sabato mattina è stato visto uscire dall'hotel in cui soggiornava per le riprese e abbracciare il marito della Hutchins. E ancora, testimoni lo hanno visto abbracciare il figlio di Matt e Halyna, Andros, 9. "È stato piuttosto devastante - ha detto la fonte alla rivista People -. Ogni volta che succede qualcosa di brutto, a breve termine, si sottrae agli occhi del pubblico", conclude.
Alec Baldwin e la sparatoria, "comportamenti sessuali inadeguati". Una rivelazione pesantissima. Libero Quotidiano il 25 ottobre 2021. Si chiama Dave Halls ed è l'ultima figura chiave nel dramma che ha sconvolto Hollywood. Assistente alla regia di Joel Souza sul set di Rust, secondo la Cnn è identificato nei documenti della polizia come colui che ha consegnato ad Alec Baldiwn la pistola da cui sono partiti due colpi: il primo ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, il primo ha ferito lo stesso Souza. Sotto accusa ora sono finite le misure di sicurezza praticamente assenti sul set di un film girato con budget ridotto, 5 milioni di dollari, e con una troupe non iscritta al sindacato e trovata sul posto, a Santa Fe, dopo l'addio per protesta di quella precedentemente assoldata. Sul conto di Halls, scrive sempre la Cnn, risultano vecchie accuse risalenti al 2019, durante la lavorazione di altri film, per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza sulle armi, degli effetti pirotecnici e, ciliegina sulla torta, anche per il suo comportamento sessuale inappropriato. Resta poi il giallo sull'arma che doveva essere a salve ma che era stata caricata invece con proiettili veri. Fermo restando il ruolo dell'armiere Hannah Gutierrez Reed, figlia d'arte debuttante, nelle ultime ore i media americani rilanciano la pista del gioco finito in tragedia. Poche ore prima della sparatoria fatale, infatti, secondo il sito TMZ alcuni componenti della troupe di Rust per gioco avrebbero sparato fuori dal set utilizzando proiettili reali. Due di questi sarebbero poi rimasti nella pistola di scena..
Alec Baldwin, il regista esce dall'ospedale e vuota il sacco: "Ecco come ha ucciso Halyna", testimonianza-choc. Libero Quotidiano il 25 ottobre 2021. Joel Souza è uscito dall'ospedale. Il regista, colpito dalla pistola impugnata da Alec Baldwin sul set di Rust, ha raccontato quanto accaduto quel tragico giorno. Lui, a differenza della direttrice della fotografia Halyna Hutchins, è sopravvissuto e ricorda bene il momento dello sparo. "Stavo guardando Baldwin stando dietro alla spalla di Hutchins e abbiamo sentito come il rumore di una frusta, poi un forte colpo". Baldwin, riporta l'agenzia Reuters, dopo aver estratto l'arma dalla fondina l'avrebbe puntata verso la telecamera, accanto alla quale si trovavano Hutchins e Souza. In quel momento sarebbe partito il colpo fatale. Il regista ha poi aggiunto di "ricordare vagamente Hutchins lamentarsi del dolore allo stomaco e al petto. Halyna diceva di non sentire le gambe". Quanto successo sarebbe frutto di un errore. L'attore infatti pensava che la pistola fosse a salve. A scagionarlo da qualsiasi accusa l'urlo dell'aiuto regia che prima di consegnargli la pistola avrebbe garantito la sua sicurezza. In realtà però l'arma era caricata con proiettili veri. Una negligenza su cui si sta indagando: alcuni parlano addirittura di una pistola usata in precedenza per gioco (qualche giorno prima alcuni membri della troupe l'avrebbero utilizzata per colpire alcuni oggetti fuori dal set), mentre altri parlano di una mancanza di sicurezza. Lo stesso aiuto regia, David Halls, è stato oggetto nel 2019 di critiche proprio legate all'assenza di controlli. Secondo alcuni importanti avvocati statunitensi potrebbe rispondere per il poco controllo che ha reso possibile l'incidente anche Baldwin. L'attore era del film Rust il produttore esecutivo. Motivo per cui potrebbe dover rispondere di omicidio colposo, in quanto non avrebbe verificato la sicurezza dell'arma con cui ha ucciso la direttrice della fotografia.
Alec Baldwin, "omicidio colposo": l'attore piomba nel dramma, la scoperta sulla morte sul set di Halyna. Libero Quotidiano il 25 ottobre 2021. Alec Baldwin potrebbe essere perseguibile penalmente. Nonostante l'attore abbia sparato, inconsapevolmente, un proiettile vero sul set di Rust, non sono da escludere gravi conseguenze. Secondo Joseph Costa, avvocato di Los Angeles, "come produttore esecutivo, è in una posizione di controllo e può essere perseguito penalmente". Baldwin, infatti, non avrebbe verificato la sicurezza dell'arma con cui ha ucciso la direttrice della fotografia del film, Halyna Hutchins. All'interno della pistola dovevano esserci proiettili a salve e non veri. Anche se la difesa di Baldwin dovesse sostenere che all’attore è stata consegnata la pistola dall'aiuto regia "beh - sentenzia Erlinda Johnson, avvocato penalista nel New Mexico -, spettava a lui, dal momento che stava maneggiando l'arma, assicurarsi che non ci fossero proiettili. Chiaramente qualcuno non ha affrontato la cosa con la dovuta diligenza. Avrebbero dovuto controllare quelle pistole per assicurarsi che non ci fossero proiettili veri". Una negligenza che potrebbe costare cara a Baldwin. Si parla di un reato, quello per omicidio colposo, sanzionato con una pena massima di 18 mesi di carcere. I suoi problemi, dunque, non riguardano quello che ha fatto come attore. Per quelli - ne è certo Rachel Fiset, avvocato penalista di Los Angeles - "verrà sicuramente fuori perché pensava di sparare a salve. Il vero problema è il suo ruolo di produttore e i protocolli di sicurezza sul set, o la loro assenza. Se viene dimostrata una vera negligenza, potrebbe provocare accuse penali". Intanto fonte anonime rivelano lo stato d'animo dell'attore definito "assolutamente inconsolabile". Baldwin starebbe annullando tutti gli altri progetti e appuntamenti, vuole "prendersi un po' di tempo per se stesso e riconcentrarsi: non vuole vedere nessuno".
Alec Baldwin, la pistola era caricata con proiettili veri: per l’assistente alla regia era sicura. Debora Faravelli il 23/10/2021 su Notizie.it. Secondo le prime ricostruzioni di quanto accaduto sul set di Rust, la pistola maneggiata da Alec Baldwin era caricata con proiettili veri. Nella pistola che Alec Baldwin stava utilizzando sul set del film western Rust e con cui ha accidentalmente ucciso la direttrice di fotografia e ferito il regista, erano presenti proiettili veri. Sia l’assistente che l’attore non sapevano che le munizioni fossero vere: un addetto aveva detto loro che era sicura da usare. A ricostruirlo è stata la Polizia che sta ancora indagando sui dettagli di quanto accaduto durante le riprese, quando l’attore americano ha per errore esploso alcuni colpi mentre stava maneggiando l’arma. Anche la Rust Movie Productions, la società di produzione del film, ha avviato un’indagine interna anche se al momento non è pervenuta alcuna denuncia sulla sicurezza sul set. Secondo una prima ricostruzione dello sceriffo della contea di Santa Fe, l’assistente alla regia che aveva fornito la pistola a Baldwin gliela aveva data definendola come “arma fredda“, ovvero senza proiettili. Dalle indagini è inoltre emerso che la responsabile del controllo delle armi sul set del film western era una ventenne al primo incarico in quel ruolo. Lo si evince da un documento pubblicato dai media che elenca i membri della troupe che erano previsti sul set quel giorno. Baldwin è già stato interrogato dalle forze dell’ordine e il suo abito di scena sporco di sangue è stato acquisito come prova insieme alla pistola. Al momento nessuno risulta indagato per l’incidente.
Da “il Giornale” il 19 novembre 2021. Alec Baldwin, che ha accidentalmente ucciso una persona sul set di un film, stava «giocando alla roulette russa» quando ha maneggiato la pistola senza seguire le regole di sicurezza dell'industria cinematografica: è questa l'accusa mossa all'attore da Mamie Mitchell, il secondo membro della troupe del film a presentare una denuncia contro di lui. La tragedia, accaduta sul set del film western Rust, risale al 21 ottobre quando il direttore della fotografia Halyna Hutchins rimase uccisa da un colpo di pistola accidentalmente sparato da Baldwin. E Mitchell non è l'unica ad accusare Baldwin di negligenza: secondo quanto affermato dall'avvocato dello sceneggiatore, Gloria Allred, «dal nostro punto di vista, il signor Baldwin ha scelto di giocare alla roulette russa quando ha azionato un'arma senza controllarla e senza che l'armaiolo lo avesse fatto in sua presenza» ha spiegato aggiungendo che «il suo comportamento e quello dei produttori è stato pericoloso».
Da “Libero quotidiano” il 19 novembre 2021. Brutte notizie per Alec Baldwin. L'assistente alla sceneggiatura del film Rust, Mamie Mitchell, ha fatto causa all'attore e ai produttori per i danni emotivi patiti per la morte della fotografa Halyna Hutchins nel corso delle riprese in New Mexico: «È stato irresponsabile. Nella sceneggiatura non era prevista la scena in cui avrebbe dovuto sparare». Baldwin «ha giocato con la roulette russa» impugnando l'arma e sparando senza prima averla controllata, senza avere accanto la responsabile delle armi, sostengono i legali. L'attore «ha avuto l'arma dall'assistente alla regia», una cosa impensabile per un «veterano dell'industria del cinema come lui». E ancora: «Nella sceneggiatura non c'era una scena in cui Baldwin o qualsiasi altra persona avrebbe dovuto sperare», ha spiegato la Mitchell. Anche Hollywood Reporter riporta che sul set «si era discusso che ci sarebbero state tre inquadrature ravvicinate dopo la pausa pranzo, una sugli occhi di Baldwin, una sulla macchia di sangue sulla spalla di Baldwin e una sul busto di Baldwin mentre allungava la mano verso la fondina per prendere la pistola. Da nessuna parte nel copione si diceva che l'imputato Baldwin avrebbe dovuto sparare». La causa, depositata presso la Corte Suprema di Los Angeles, nomina molti altri imputati tra cui David Halls, l'assistente alla regia che ha consegnato la pistola all'attore e Hannah Gutierrez Reed, responsabile delle armi sul set.
Alec Baldwin, drammatica accusa: "Giocava alla roulette russa". Morte sul set, cambia tutto? Libero quotidiano” il 19 novembre 2021 Ancora guai per Alec Baldwin. "Gli eventi che hanno portato all'innesco di una pistola carica da parte del signor Baldwin non sono una semplice negligenza. Al contrario, dal nostro punto di vista, il signor Baldwin ha scelto di giocare alla roulette russa quando ha attivato un'arma senza averla controllata e senza che l'armaiolo lo avesse fatto in sua presenza. Il suo comportamento, e quello dei produttori di Rust, sono stati pericolosi". Ecco la nuova accusa per l'attore americano da parte di Mamie Mitchell, sceneggiatrice di Rust, sul cui set è stata uccisa la direttrice della fotografia Halyna Hutchins da un colpo di arma da fuoco sparato dall'attore americano. Mitchell è la seconda persona della troupe a sporgere denuncia contro Baldwin. La sceneggiatrice sostiene di soffrire di "angoscia emotiva" e altri disturbi in conseguenza ai danni "causati intenzionalmente" dalla produzione. Sotto accusa anche l'assistente alla regia, David Halls, che aveva consegnato la pistola ad Alec Baldwin, dicendogli che era innocua, e l'armaiolo, Hannah Gutierrez-Reed, responsabile delle armi usate dalla troupe. L'altra persona che accusa Baldwin, ricorda Repubblica, è Serge Svetnoy, capo tecnico delle luci, presente durante i fatti. "La presenza di un proiettile vero in un revolver rappresentava una minaccia letale per chiunque si trovasse nelle sue vicinanze", c'è scritto nella causa, dove si sostiene la mancata "attuazione degli standard del settore per la custodia e il controllo delle armi da fuoco utilizzate sul set. Svetnoy ritiene che le munizioni usate non siano mai state conservate in modo sicuro e siano state semplicemente lasciate incustodite sul camion di scena", nella denuncia presenta dall'avvocato di Svetnoy.
L'assistente alla sceneggiatura del western. “Alec Baldwin non doveva sparare, ha giocato alla roulette russa”, le accuse sulla tragedia sul set del film “Rust”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 18 Novembre 2021. Alec Baldwin non doveva sparare, si è comportato irresponsabilmente, come se stesse giocando alla roulette russa: l’assistente alla sceneggiatura del film Rust ha lanciato accuse pesantissime nei confronti dell’attore. Il caso è quello tragico della morte sul set del film western Rust, lo scorso venerdì 22 ottobre, della direttrice della fotografia Halyna Hutchins, uccisa da un proiettile vero, come ha confermato lo sceriffo di Santa Fe Adan Mendoza. Secondo quanto rivelato dal regista Joel Souza, Baldwin si stava esercitando a estrarre l’arma e a puntarla verso la telecamera quando sono partiti i colpi. Niente da fare per la 42enne direttrice alla fotografia. Ferito gravemente anche il regista Joel Souza che però non è in pericolo di vita. “Halyna era mia amica, quando sono arrivato in città per la prima volta l’ho portata a cena”, ha detto l’attore intercettato da Tmz. “Quanti incidenti con le armi ci sono? Questi sono gli Stati Uniti. Servirebbe una nuova legge per le armi sul set, magari di plastica, non saprei: io non sono un esperto ma è urgente” per “proteggere le persone sul set” e “collaborerei in ogni modo a questo”. Mitchell è intervenuta duramente sul caso con le sue dichiarazioni. Durante una conferenza stampa ha lanciato accuse a Baldwin e ai produttori del film. Al momento dell’incidente, ha raccontato, l’assistente si trovava molto vicina all’attore. La scena che si stava girando al momento dell’incidente richiedeva tre inquadrature ravvicinate: gli occhi di Baldwin, una macchia di sangue sulla spalla e un’immagine del busto dell’attore. “Non c’era una scena in cui Baldwin o chiunque altro avrebbe dovuto sparare”, ha accusato Mitchell. Il suo avvocato ha depositato una causa contro Baldwin e gli altri produttori del film. Secondo Mitchell, che chiederà i danni per i traumi e le conseguenze emotive subite dopo la tragedia, l’attore ha violato i protocolli di sicurezza sul set maneggiando l’arma e comportandosi in maniera “spericolata”. Secondo quanto ricostruito dalle indagini a passare l’arma all’attore sarebbe stato l’assistente alla regia Dave Halls, secondo Cnn licenziato dal film Freedom Path’s del 2019 dopo che un incidente con un’arma da fuoco aveva ferito non gravemente un membro della troupe. “Il signor Baldwin ha scelto di giocare alla roulette russa quando ha sparato senza controllare la pistola e senza che lo facesse l’armatrice in sua presenza. La possibilità di ferite o di morte era una conseguenza probabile”, ha detto la legale di Mitchell, Gloria Allred. L’attore ha quindi “avuto l’arma dall’assistente alla regia”, una cosa impensabile per un “veterano dell’industria del cinema come Baldwin”. Al centro delle indagini anche Hanna Reed-Gutierrez, l’armiera, 24 anni, alla sua seconda esperienza importante – figlia d’arte di Thell Reed, stuntman e armiere molto conosciuto a Hollywood per aver lavorato su set importanti come Django Unchained e Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino e per aver insegnato l’uso delle armi di scena a star come Brad Pitt e Russell Crowe.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Alec Baldwin, la prima intervista tv dopo la tragedia di Rust: “Non ho premuto il grilletto”. In anteprima, un estratto della prima intervista tv di Alec Baldwin dopo la tragedia di Rust in onda giovedì 2 dicembre in esclusiva su ABC News. “Qualcuno ha messo munizioni vere in quella pistola”. A cura di Giulia Turco su Fanpage.it il 2 dicembre 2021. Alec Baldwin parla nella sua prima intervista tv della tragedia avvenuta sul set di Rust che ha causato la morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins. L'intervista integrale andrà in onda nella serata di giovedì 2 dicembre sulla ABC e in streaming su Hulu, ma l'emittente americana ne ha già diffuso un estratto in anteprima. "Non ho premuto il grilletto", ammette Baldwin al giornalista di ABC News George Stephanopoulos, "non punterei mai una pistola contro nessuno, né premerei il grilletto, mai".
Cos'è successo davvero sul set di Rust
Sono tante le domande alle quali Alec Baldwin viene sottoposto nella prima intervista dopo la tragica vicenda dello scorso 22 ottobre, sul set di Rust in New Mexico. L'attore è emotivamente a pezzi, scoppia in lacrime davanti alle domande del giornalista definendo quanto successo la cosa peggiore che gli sia mai capitata nella sua vita: "Penso a cosa avrei potuto fare per impedirlo", spiega Baldwin con voce rotta. "Non ho idea di come sia potuto succedere", aggiunge nel corso dell'intervista. "Qualcuno ha messo munizioni vere in quella pistola, un proiettile che non doveva essere nello studio".
Il ricordo di Halyna Hutchins
Non mancano parole sulla direttrice di fotografia colpita al petto dal proiettile sparato dall'arma da fuoco che Baldwin aveva in mano sul set. "Non mi sembra ancora vero", continua a ripetere l'attore sotto choc davanti al giornalista. Trasportata d'urgenza in ospedale, per lei non c'è stato nulla da fare. "Era una persona amata e ammirata da tutti coloro che hanno lavorato con lei", racconta a proposito di Hutchins. Sulla morte della donna di 42 anni, che ha lasciato il marito e un figlio, la polizia continuerà ad indagare. Nella giornata di martedì 30 novembre è stato emesso un nuovo mandato di perquisizione specificando che gli investigatori potrebbero aver trovato l'origine del proiettile sparato da Baldwin.
Alec Baldwin, intervista in tv dopo l’incidente sul set di Rust: «Non ho premuto il grilletto». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 2 dicembre 2021. «Io non ho premuto il grilletto». parla nella sua prima intervista tv della tragedia avvenuta sul set di Rustquando un colpo di pistola ha causato la morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins. L’intervista integrale andrà in onda nella serata di giovedì 2 dicembre sulla ABC(nella notte tra giovedì e venerdì, ndr) e in streaming su Hulu (ma è stata registrata martedì) ma l’emittente americana ne ha già diffuso un estratto in anteprima. «Non ho premuto il grilletto — ha dichiarato Baldwin al giornalista di ABC News, George Stephanopoulos, — non punterei mai una pistola contro nessuno, né premerei il grilletto, mai». Il giornalista ha definito particolarmente «cruda e intensa» l’intervista con l’attore 63enne.
«L’intervista più intensa della mia vita»
Cos’è successo davvero sul set di Rust allora? Sono tante le domande alle quali Alec Baldwin ha provato a rispondere nella prima intervista dopo la tragica vicenda dello scorso 22 ottobre, sul set di Rust in New Mexico. «Ho fatto migliaia di interviste negli ultime 20 anni, alla ABC — ha dichiarato Baldwin — ma questa è stata la più intensa che io abbia mai rilasciato». L’attore è apparso emotivamente a pezzi, è scoppiato in lacrime più volte davanti alle domande del giornalista, definendo quanto successo «la cosa peggiore» che gli sia mai capitata nella vita: «Penso a cosa avrei potuto fare per impedirlo — spiega ancora Baldwin con voce rotta — Non ho idea di come sia potuto succedere. Qualcuno ha messo munizioni vere in quella pistola, un proiettile che non doveva essere nello studio». Questa la spiegazione di Baldwin.
L’incidente sul set di «Rust»: le ultime notizie e gli approfondimenti
La polizia continua a indagare
Non mancano parole sulla direttrice di fotografia, Hutchins, colpita al petto dal proiettile sparato dall’arma da fuoco che Baldwin aveva in mano sul set. «Non mi sembra ancora vero» ha continuato a ripetere l’attore sotto choc davanti al giornalista. Trasportata d’urgenza in ospedale, per lei non c’è stato nulla da fare. «Era una persona amata e ammirata da tutti coloro che hanno lavorato con lei». Sulla morte della donna di 42 anni, che ha lasciato il marito e un figlio, la polizia continuerà ad indagare.
Nella giornata di martedì 30 novembre è stato emesso un nuovo mandato di perquisizione specificando che gli investigatori potrebbero aver trovato l’origine del proiettile sparato da Baldwin. Secondo gli atti del tribunale, Baldwin ha ricevuto l’arma dall’assistente alla regia del film, Dave Halls, la quale non sapeva che la pistola contenesse munizioni vere. Halls aveva ricevuto la pistola da Hannah Gutierrez-Reed, l’armiera di 24 anni della produzione del film.
Da Adnkronos.com il 2 dicembre 2021. «Il grilletto non è stato premuto. Io non ho tirato il grilletto». Alec Baldwin parla così, in un'intervista che Abc News trasmetterà stasera, dopo la morte della direttrice della fotografia sul set del film "Rust" ad ottobre. Halyna Hutchins è morta dopo essere stata colpita da un proiettile partito dalla pistola di scena che Baldwin stava usando sul set. «Il grilletto non è stato premuto», dice l'attore nell'intervista con George Stephanopoulos. Il giornalista ha chiesto perché l'attore abbia puntato l'arma e tirato il grilletto sebbene la sceneggiatura non prevedesse il gesto. «Non punterei mai un'arma contro qualcuno e non tirerei il grilletto, mai», la risposta di Baldwin. «Qualcuno ha messo una pallottola 'viva' nell'arma, un proiettile che non doveva nemmeno essere nell'area», dice Baldwin utilizzando l'aggettivo che definisce un proiettile in grado di provocare danni reali. La star si commuove quando il discorso si sposta sulla vittima, Halyna Hutchins: «Era adorata da tutti quelli che lavoravano con lei, era amata da tutti e ammirata. Tutto questo non mi sembra reale». E' la cosa peggiore che le sia mai capitata? «Sì, continuo a pensarci. Cosa avrei potuto fare?».
(ANSA il 3 dicembre 2021) - Alec Baldwin ha spiegato, nella sua prima intervista televisiva dopo la tragedia sul set del film Rust, come è partito il colpo dall'arma che ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins. Intervistato da George Stephanopoulos sulla Abc, l'attore americano - pur non avendo mai premuto il grilletto - ha ammesso di avere armato la Colt d'epoca alzando manualmente il cane del revolver per poi lasciarlo andare provocando così lo sparo. "Le ho detto che nella scena armo la pistola - ha raccontato Baldwin riferendosi ad Hutchins - e ho detto 'vuoi vedere come faccio' e lei ha detto sì. Quindi ho preso la pistola e ho cominciato ad armarla, senza premere il grilletto - ha proseguito l'attore puntando l'indice destro in avanti e tirando indietro il pollice alzato proprio per simulare il movimento che stava descrivendo -... e poi ho lasciato andare il cane ed è partito il colpo". Intervistato dalla Cnn, un esperto di armi, Scott Rasmussen, ha osservato che se l'attore avesse accompagnato lentamente il cane della pistola invece di lasciarlo andare l'arma non avrebbe sparato. Resta però il mistero di come un proiettile vero sia finito nella Colt. Oltre ad uccidere Hutchins, la pallottola ha ferito di striscio a una spalla il regista Joel Souza.
Alec Baldwin dopo l’incidente mortale sul set: «La mia carriera potrebbe finire qui». Il Corriere della Sera il 3 dicembre 2021. «Tutto quello che è successo quel giorno è precipitato perché io Halyna avevamo una cosa profonda in comune: entrambi pensavamo che la pistola fosse scarica». Alec Baldwin, nella lunga intervista che è andata in onda la notte scorsa negli Stati Uniti sulla Abc, ha ricostruito dal suo punto di vista la dinamica del tragico incidente che ha portato alla morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins sul set di «Rust». L’attore ha anche detto che dopo l’accaduto la sua carriera potrebbe essere finita: «Potrebbe essere», ha ammesso, spiegando che al momento la cosa non lo preoccupa e che in ogni caso non «riesce a immaginare» di girare mai più un film in cui sia presente una pistola. Premettendo di non voler passare per vittima «perché c’è una vittima ed era una mia amica», Baldwin ha detto di voler parlare in televisione per poter chiarire alcune cose, a partire dal fatto che, contrariamente a quanto era emerso finora, lui : «Ci sono delle indagini in corso e potrebbe volerci molto tempo. Credo ci siano alcune idee sbagliate che stanno girando e sento davvero di non poter aspettare. Vorrei solo dire che farei qualsiasi cosa per poter cancellare quel che è successo», ha detto Baldwin, interrompendosi più volte durante l’intervista per la commozione. Descrivendo il momento dell’incidente per la prima volta, Baldwin ha detto che la pistola ha sparato durante le prove, mentre lui stava discutendo delle angolature con cui tenerla insieme a Hutchins: «In questa scena devo armare la pistola. Vuoi vedere come? E lei ha detto di sì - ricostruisce l’attore, mimando i gesti -. Quindi prendo la pistola e inizio ad armarla. Non premo il grilletto. Le chiedo “Vedi?” E lei mi dice “Fai finta di premere e abbassala un po’”. Io preparo la pistola e le chiedo “così vedi bene? Così vedi? Va bene così?” A quel punto lascio il cane della pistola e la pistola spara». Baldwin ripete con sicurezza: «Non ho premuto il grilletto. Non punterei mai una pistola verso qualcuno per poi premere il grilletto». E premette anche che quando l’arma gli era stata consegnata, era stato detto chiaramente che si trattava di una «cold gun», cioè di una pistola scarica: «Quando in un set viene detto così, ci si rilassa perché si è sicuri che la pistola non ha dentro proiettili veri». Baldwin ha parlato anche dell’incontro con il marito di Hutchins subito dopo l’incidente: «Ci siamo abbracciati e io non sapevo che cosa dire. Semplicemente non sapevo cosa dire».
I 400 colpi. Il futuro delle armi da fuoco al cinema non sembra essere a rischio (per ora). Dario Ronzoni su l'Inkiesta il 6 Dicembre 2021. L’incidente avvenuto sul set del film “Rust” ha riaperto il dibattito. Ma se è vero che sono numerosi i registi che chiedono di bandire pistole e fucili veri, altri pensano che la questione sia più complessa e vada affrontata caso per caso. Dopo l’incidente accaduto sul set del film “Rust”, in cui l’attore Alec Baldwin, a causa di un mancato controllo, ha sparato e ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins (anche se le cose potrebbero essere andate in modo diverso), ferendo il regista Joel Souza il problema delle armi da fuoco vere nei film è tornato al centro della discussione. Chi è contrario sottolinea che, ormai, le tecniche di editing in post-produzione sono in grado di simulare proiettili, spari, traiettorie, compreso il lampo che scaturisce dalla canna della pistola a ogni sparo. Usare armi vere per girare un film è un rischio inutile, sostengono. C’è una petizione online, appoggiata da attori come Lena Dunham e Sarah Paulson. La stessa cosa sostiene, in un tweet, anche il regista Craig Zobel. Altri hanno firmato una lettera aperta perché vengano bandite e perfino il senatore della California Dave Cortese intende introdurre una legge per ridurre l’impiego di armi da fuoco sul set. Tuttavia questo sentimento, come spiega questo articolo del magazine New York, non è universale. Tanti registi hanno evitato di prendere posizione mentre un nome celebre come Ridley Scott è del tutto contrario a ogni cambiamento: «State scherzando?», ha chiesto. Il punto è che le armi vere, in fatto di realismo, sono la soluzione migliore. Hanno il giusto rinculo, che l’attore non deve simulare – e suscitano, a detta degli esperti, reazioni più convincenti da parte degli attori. Anche eventuali sostituti come le armi ad aria compressa (con eventuali ritocchi in post-produzione) non rappresentano un’alternativa perfetta. Sono più leggere e, a conti fatti, possono ancora essere pericolose. In una lettera aperta, un gruppo di addetti alle armi – cioè le persone incaricate della sicurezza di pistole e fucili durante le riprese, che ne controllano il funzionamento e si occupano di caricarle e di distribuirle agli attori – hanno cercato di mettere insieme una difesa appassionata. Hanno ricordato che, dal 1984 – anno dell’incidente che è costato la vita all’attore Jon-Erik Hexum, morto sul set del telefilm “Cover Up” a causa di uno sparo a salve puntato alla tempia (ha creato una pressione sul cranio risultata fatale) – ci sono state solo tre morti dovuti ad armi da fuoco durante le riprese di un film, mentre 23 sono quelle avvenute a causa di scene pericolose e altre 23 che hanno riguardato le strutture di scena. Il caso di “Rust” è tato il risultato di «incompetenza e di un uso inadeguato di fiture professionali che controllano il rispetto di protocolli e standard di sicurezza». In passato, il rapporto con le armi era meno attento. Si sparava davvero, gli edifici risultavano davvero danneggiati e gli attori potevano scegliere se comparire o meno sulla scena. Adesso le regole di condotta sono stringenti. Le munizioni vive (quelle che si possono sparare davvero) non possono essere portate sul set. Gli addetti alle armi devono mantenere un controllo costante: si occupano dell’affitto, della prova (che va condotta lontano dai luoghi di produzione) e, quando non sono in uso, devono riporle in valigette d’acciaio. Non solo: controllano anche i proiettili a salve, caricano le armi solo quando le telecamere vengono accese e si occupano di distribuirle agli attori, ricordando di attenersi al copione e alle mosse concordate, senza improvvisare. Tutto questo – dicono – minimizza il rischio di incidenti. Resta il fatto che, oltre al problema della sicurezza, utilizzare armi da fuoco vere impone una serie di accorgimenti che, secondo il regista Ben Rock, sono costosi e fanno perdere tempo. Ogni volta le riprese vanno interrotte per i safety meetings, in cui vengono spiegate le modalità di uso delle armi. Tutti devono avere delle protezioni per le orecchie, bisogna mettere del plexiglass vicino alle telecamere e del compensato intorno a tutto il resto. I lavori vanno a rilento e, secondo lui, «questo non è lavorare con gli attori». Sul tema, insomma, ci sono svantaggi e non tutti hanno posizioni nette. I vantaggi del realismo delle armi vere – che nemmeno quelle airsoft hanno – sono insostituibili, ma l’impiego della tecnologia permette di accorciare tempi di realizzazione e mantenere il tutto in sicurezza. Starà al regista scegliere, sulla base delle sue esigenze e della sua sensibilità da quale parte stare.
Ecco chi mi ha aiutato, la Amoroso svela il suo periodo buio. Il Tempo il 14 novembre 2021. Un periodo buio che ha superato grazie all'aiuto di una psicologa. Alessandra Amoroso si racconta durante la puntata di "Verissimo" andata in onda domenica 14 novembre. "Volevo affrontare le mie paure e allora ho chiesto aiuto a una psicologa - dichiara a Silvia Toffanin - Si chiama Alessandra come me. Insieme abbiamo la potenza delle Alessandra al quadrato. Con lei ho imparato ad affrontare e superare tutto". Poi il riferimento alla nipotina Andrea che riesce a vedere solo quando torna a casa. "E' la mia gioia - svela la Amoroso - E la cosa più bella è che lei mi reclama quando non ci sono e non vede l'ora che arrivi". E mentre lo racconta scoppia in lacrime.
Verissimo, Alessandra Amoroso in lacrime: "Faccio molta fatica a parlare". Libero Quotidiano il 14 novembre 2021. "Di lei faccio molta fatica a parlare": Alessandra Amoroso si è commossa parlando della sua nipotina Andrea a Silvia Toffanin, nello studio di Verissimo su Canale 5. "Lei per me è un grande dono, è una bambina speciale", ha continuato, dicendo di rivedere sua nonna negli occhi della piccola: "Nei suoi occhi vedo tanto amore per me. Questo legame che ho con mia nonna è come se lei lo avesse passato ad Andrea. E’ magico”. La cantante poi ha rivelato di aver affrontato e vissuto un periodo molto difficile. Tutto è iniziato con il lockdown quando si è ritrovata a convivere con le sue due più grandi paure: il buio e la solitudine. A quel punto la Amoroso ha deciso di voler intraprendere un percorso di psicanalisi che oggi l’ha portata ad una vera e propria rinascita: "Volevo dare un nome alle mie paure. Ho voluto conoscere Alessandra. Non volevo più giudicarmi e criticarmi né dare agli altri modo di farlo”. Infine l'artista ha spiegato che sta lavorando al suo primo concerto allo Stadio San Siro, evento che si terrà il 13 luglio 2022. “Sei la seconda donna, dopo Laura Pausini, ad entrare nello Stadio San Siro. Ti rendi conto?”, le ha fatto notare Silvia Toffanin. La Amoroso, emozionata, ha ammesso: “E’ una fortuna e sfortuna”, aggiungendo che spera ci possano essere molte più donne in futuro a fare concerti lì.
· Alessandro Benvenuti.
Luca Pallanch per "la Verità" il 18 gennaio 2021. Dopo le zone rossa, arancione e gialla, ora è la volta della zona bianca. Corsi e ricorsi storici. Nel 1977, mentre l'Italia viveva l'emergenza terrorismo, un gruppo di giovani comici, I Giancattivi, mise a soqquadro la Toscana con uno scherzo memorabile sulla Radio 3 regionale. Alessandro Benvenuti, oggi protagonista su Sky della serie I delitti del BarLume, rivendica con orgoglio il copyright della zona bianca.
I Giancattivi emisero un falso bollettino definendo la Lucchesia zona bianca...
«Zona batteriologicamente bianca!».
Come vi era venuto in mente?
«Perché era l'unica provincia democristiana in una regione rossa. Fu uno scherzo che riuscì molto bene: i centralini dei Vigili del Fuoco e della Prefettura furono invasi da telefonate e ci fu un fuggi fuggi verso le province amiche di Livorno, Massa Carrara e Pistoia, che erano tutte province rosse. Questo scherzo ci ha dato grande notorietà: la notizia fu ripresa anche nella stampa nazionale. Erano tempi in cui la satira era per pochi eletti, tanto è vero che quando fondammo il primo teatro, che oggi è il Teatro di Rifredi, lo chiamammo Humor side».
Qual era la formazione de I Giancattivi all'epoca?
«Athina Cenci, Alessandro Benvenuti e Franco Di Francescantonio».
È vero che il nome Giancattivi deriva dal terzo componente della formazione iniziale, Paolo Nativi?
«La leggenda narra che nel Settecento una colonia di ex schiavi romani liberatisi si erano trasferiti a Roccastrada, formando una colonia di mugnai, e lì cambiarono il cognome da Giancattivi in Nativi. L'etimologia è latina: iam captivus. Per noi scegliere di fare questa strada era una sorta di liberazione da quella che era stata la nostra vita passata, era la realizzazione dei nostri sogni. Aveva un significato molto profondo per noi il nome Giancattivi».
Come siete arrivati a Non stop, la trasmissione televisiva che vi ha lanciato nel 1979?
«Perché eravamo parecchio bravi! Enzo Trapani e Alberto Testa, i due autori del programma, ci videro al Teatro Verdi a Milano. Ci pedinarono per un mese intero prima di convincerci... ».
Perché?
«Non ce ne importava nulla di andare in televisione: eravamo molto puri, tutti presi dal nostro tipo di teatro sperimentale: non erano solo sketch con le barzellette, ma ci ispiravamo ai movimenti dadaisti, surrealisti e futuristi. Poi, siccome in quella trasmissione c'era anche Massimo De Rossi che aveva portato in scena una magnifica pièce di Roberto Lerici, Bagno finale, ed era stato ospite nostro a teatro, ci siamo detto: «Se c'è De Rossi, ci si può andare anche noi!». Senti quanto eravamo scemi».
A Non Stop c'era anche Francesco Nuti.
«Nuti entrò perché il terzo de I Giancattivi di quell'epoca, Tonino Catalano del Mago Povero di Asti, che era con noi da sei mesi, non volle fare televisione, per cui eravamo rimasti Athina Cenci e io, finché un funzionario dell'Arci toscano ci dette la dritta: "Ma perché non andate a vedere questo giovane comico talentuoso che ha iniziato da poco a fare cabaret?". Andammo a vederlo e Francesco entrò nel gruppo. La prima cosa che fece con noi fu Non Stop, un bel colpo».
Giocavate alla scuola, con la maestra e i due alunni...
«Quello nella seconda trasmissione che abbiamo fatto in televisione, La sberla, per la regia di Giancarlo Nicotra. A Non stop presentammo una serie di sketch, tra i quali c'era anche quello dei due alunni e la maestra».
L'avevate già fatto a teatro?
«Erano tutti sketch provatissimi, fatti in teatro centinaia di volte. La vera novità di Non stop era dovuta al fatto che i gruppi o i singoli comici presentavano degli sketch che erano già testati con il pubblico, che quindi avrebbero funzionato di sicuro. Questa fu una grande intuizione di Enzo Trapani».
La notorietà fu immediata?
«Io so' rimasto chiuso in casa per due settimane! Andavamo in onda in prima serata, il giovedì sera, sulla Rete 1, con due soli canali, ci vedevano decine di milioni di persone: il giorno dopo eri santo, ti mancavano solo le stigmate! La prima volta che uscii ebbi la malaugurata idea di prendere un treno dal mio paese, Pontassieve, fino a Firenze. Non ti dico cosa è successo su quel treno! Sono stato preso d'assalto da due vagoni di gente: firmai autografi dalla partenza all'arrivo».
In famiglia cosa dissero?
«Erano molto soddisfatti perché guadagnavo! Erano talmente disperati del mio fallimento come studente che furono molto contenti di vedermi sbocciare come attore».
Dopo il successo televisivo, fioccarono subito le proposte cinematografiche?
«Il cinema si fiondò su di noi: ci fecero un sacco di proposte, ma erano tutte persone che ci piacevano poco, per cui inventavamo film che costavano così tanto che alla fine non ce li facevano fare. Invece poi, quando scoprimmo i produttori giusti, Franco Cristaldi, Gianfranco Piccioli e Mauro Berardi, scrissi Ad ovest di Paperino. Con noi, I Gatti di Vicolo Miracoli, La Smorfia, Carlo Verdone, che provenivano tutti da Non Stop, si portò nel cinema italiano una ventata di novità, allontanandoci dai padri sacri, i Gassman, i Tognazzi, i Manfredi, i Sordi».
Poi Nuti andò via...
«Ad ovest di Paperino fu un film complicato perché il gruppo si sciolse dopo tre settimane di lavorazione. Arrivare in fondo fu veramente faticoso. Francesco aveva un grande talento, ma poco metodo, per cui subiva un po' la nostra personalità. Questo è stato uno dei motivi per cui ha voluto fare la sua strada, scelta più che legittima. Gli abbiamo insegnato molto io e Athina, però Francesco è stato importantissimo per noi per avere il successo che abbiamo avuto perché dei tre era il più determinato a conseguirlo. Noi eravamo un po' più snob, ce ne fregava fino a un certo punto».
Voi due invece avete proseguito...
«Per altri due anni, molto belli, con Daniele Trambusti. Portammo in teatro un bellissimo spettacolo, Corto Maltese, facemmo un secondo film, Era una notte buia e tempestosa..., e un programma televisivo, Lady Magic, poi ci sciogliemmo».
Per quale motivo?
«Perché si muore da soli anche nella malaugurata idea che si partecipi a un suicidio collettivo!».
Dei film che ha fatto Nuti da solo quale ha apprezzato?
«I film che ha fatto Francesco, se devo essere sincero, non è che mi hanno fatto mai impazzire. Quello che mi è piaciuto di più è Tutta colpa del Paradiso, escluso il primo quarto d'ora che è tremendo. La cosa da sottolineare di Francesco è che non è mai stato un uomo molto felice, nonostante abbia avuto delle grandi fortune. Questo mal di vivere lo ha espresso in tutti i suoi film. Siccome io ho voluto molto bene a Francesco e lo conosco molto bene intimamente, nei suoi film ho sempre visto il disagio che covava dentro. Tutta colpa del Paradiso è l'unico che mi ha veramente fatto ridere con gioia perché ho visto un Francesco solare, radioso, ho avuto il sollievo di vederlo in un momento di grazia».
Fu coniato il termine «malincomici» per definire i comici della vostra generazione...
«Siamo stati dei comici più coscienti di quelli della generazione che ci ha preceduto. Loro si sono dovuti adattare al mercato, noi abbiamo inventato un nuovo mercato. Abbiamo cercato di ricostruire la comicità attraverso l'umanità, il sociale, la vita. I Giancattivi raccontavano il surrealismo di un mondo, che stava andando verso un tipo di follia. Basta vedere quello che succede oggi sui social... ».
Poi ha avuto anche modo di lavorare con Verdone in Compagni di scuola, dove organizza un altro scherzo terribile alle spalle dei suoi compagni di liceo, spacciandosi per un disabile, un ruolo politicamente scorretto.
«Se penso al cazzotto che Athina Cenci dà al neonato dentro alla carrozzina in Ad ovest di Paperino, in un paese di mamme come l'Italia... io sono abituate a fare 'ste cose: l'artista ha l'obbligo di essere scomodo, di rompere gli schemi, non può fare le cose che vuole il mercato».
Il teatro è la linea che dà continuità alla sua carriera?
«Sono nato a teatro. Sono tuttora direttore artistico dei teatri di Siena e del teatro di Tor Bella Monaca. Non smetterò mai di fare teatro, è la mia vita, infatti ora soffro molto».
Come vive la chiusura dei teatri?
«Non ho tanto voglia di parlarne. Ogni tanto sento uno pseudo-giornalista che dice delle cose terribili, come se noi fossimo una categoria della quale si può tranquillamente fare a meno, come se il teatro fosse un lusso... È che la gente non sa qual è il nostro lavoro, anche per colpa del mondo del teatro che si è sempre chiuso in sé stesso, anziché dire: "Venite a vedere quando si fanno le prove quanta fatica si fa!". Venite a vedere cosa vuol dire far uscire la gente di casa per andare in un luogo dove può ascoltare delle storie e discuterne dopo: è un segno di umanità e di vitalità. È la civiltà che va avanti, non la solitudine davanti allo schermo. Il futuro non è davanti a un computer: se è così, vuol dire che ci dobbiamo preparare a diventare automi. È questo che mi fa paura: non si tiene conto delle ferite che la pandemia porterà dentro di noi, questa aberrazione di chiudersi in casa a lavorare nello stesso posto dove mangi, leggi un libro, dormi, campi, come si dice in toscano».
Ha fatto il Covid e durante il lockdown ha tenuto un diario. A settembre ha avuto la possibilità di tornare sul palcoscenico.
«Ho fatto uno spettacolo meraviglioso, Panico ma rosa, tre volte e poi basta, ci hanno rinchiuso un'altra volta!».
Ha interpretato anche film drammatici, come Soldati 365 giorni all'alba di Marco Risi. Erano tentativi di uscire dai panni del comico...
«Ma io non so' comico! Se uno vuole vedere un grande attore drammatico, deve vedere un attore comico. Chi fa il drammatico e basta molto spesso diventa un trombone. Tutti i comici, quando si sono cimentati in parti drammatiche, sono sempre risultati clamorosamente bravi. Io le poche volte che ho fatto delle cose non comiche mi sono piaciuto molto di più di quando faccio il comico, ti devo dire la verità. Ho questa nomea d'orso per cui non mi capita molto spesso di avere delle proposte di fare altro rispetto a quello che faccio, ma va bene così perché mi piace stare a casa mia».
· Alessandro Borghese.
Gabriele Principato per "corriere.it" il 17 marzo 2021. «Buongiorno a tutti dal mio bunker segreto. È il quinto giorno che sono qui da quando ho preso il Covid». Inizia così il diario di oggi dello chef, che da qualche giorno condivide sulle Stories di Instagram i suoi momenti di clausura forzata dopo aver preso il virus. «Niente febbre per il momento...che dire...sono tutto acciaccato, ossa rotte...la testa che mi gira...» racconta. Prima di lasciarsi andare a una considerazione ironica e ottimistica: «Ma almeno, la natura non ha più segreti per me...». E, via con un elenco di curiosità e stranezze su animali e coralli apprese sul web nella lunga attesa in quarantena. Poi, il ritorno alla realtà e alla sua condizione, mentre sorseggia un caffè. «La parte più buona della giornata», dice. «Spero di levarmi il Covid immediatamente di mezzo — dice lo chef — perché dovrò sostituirmi i reni...non so più come posarmi sul letto...mi giro e mi rigiro...ma...a prescindere da questo, ragazzi, sono anche piuttosto fortunato...quindi...va bene così», conclude mentre sgrana gli occhi e saluta tutti, considerando la sua una forma più «lieve» rispetto ad altre e alle tante situazioni drammatiche che ormai si sentono da mesi. Dopo qualche giorno di mistero, lo chef aveva svelato sui social la sua condizione e i suoi progressivi miglioramenti dopo un avvio complicato. «Oggi è il quarto giorno — aveva esordito ieri —. Sto un po’ meglio ho le ossa meno rotte, non ho più questa febbre particolare che ti butta al tappeto per giorni di fila. Non sono in formissima, però sto un pochino meglio. Volevo dirvelo. Da qua dentro non si esce per i prossimi 4 o 5 giorni e facciamocene una ragione. Sto facendo una scorpacciata di documentari: tartarughe, squali, savana… tutto quello che c’è». La sua ultima apparizione pubblica era stata a Trento, come lui stesso aveva raccontato sui social mercoledì 10 marzo, per registrare una puntata della fortunata trasmissione tv Quattro Ristoranti. In tutti questi mesi lo chef si è più volte battuto contro le chiusure forzate dei ristoranti e la crisi del settore della ristorazione — Coldiretti ha calcolato che il made in Italy agroalimentare ha già perso quasi 11,5 miliardi, in un anno, e i continui stop and go alle attività hanno portato ai ristoratori perdite di fatturati di oltre l’80% — che sta costando agli operatori migliaia di posti di lavoro e rischia di non fare più rialzare le saracinesche a centinaia di attività. In vista anche le chiusure di Pasqua e Pasquetta che, se confermate, creeranno per le attività un’ulteriore perdita. «Si sta radendo al suolo la ristorazione italiana — aveva detto qualche mese fa, con il primo lockdown, Alessandro Borghese — un settore che è il fiore all’occhiello del Paese. Servono fondi e regole per progettare la ripartenza. Se andiamo avanti così molti chiuderanno definitivamente. Io ho le spalle larghe, faccio anche altre attività, ma penso a quelli che vivono degli incassi di bistrot, trattorie e osterie, soprattutto in provincia. Sono molto preoccupato per loro… alcuni hanno già chiuso, tanti altri lo stanno per fare».
Candida Morvillo per corriere.it il 21 dicembre 2021. Ad Alessandro Borghi non era venuto mai in mente che potesse fare l’attore. Non quando faceva lo stuntman («era solo uno dei miei trecento lavori»), non quando a 18 anni s’imbucò a un David di Donatello («mi pareva impensabile anche solo andarci con un biglietto mio invece che di un altro, figuriamoci far parte di quella gente»). E neppure quando, bambino, suo padre lo filmava di continuo: «Stavamo al piano terra a viale Marconi, a Roma, scavalcavo il balcone per andare in cortile. Papà mi riprendeva da dentro casa, io tutto biondo in bici, io col pallone, poi cascavo, mi sbucciavo le ginocchia, andavo da lui, piagnevo e lui, sempre riprendendo: nun è niente. Io piagnevo , uscivo di nuovo, ridevo». Sarebbe forse facile raccontare com’è che diventa attore questo ragazzo pazzescamente sorridente e adesso barbutissimo perché sta girando Le otto montagne di Felix van Groeningen e che ha fatto Diavoli con Patrick Dempsey, Suburra diretto da Stefano Sollima, e che nel 2019 ai David ci è andato invitato e ne è uscito con la statuetta da miglior protagonista per Sulla mia pelle o che quest’estate ha girato in Norvegia con Peter Mullan e dal 23 dicembre, al cinema, è il protagonista di Supereroi di Paolo Genovese. Sarebbe forse facile, ma non lo è perché Borghi, 35 anni, ha vissuto tanto, ma pensa anche tanto. «Io ho la testa che viaggia molto», dice, «mentre arrivavo per l’intervista, stavo in taxi e ho pensato, così “a buffo”, che è difficile trovare il modo di esprimersi ed essere sicuri di comunicare quello che vuoi dire, ma poi, quanta intelligenza serve per capire se la persona con cui parli ha l’intelligenza per capire cosa dici? È un doppio salto mortale, no?».
Ho capito solo che non ama le interviste. Sbaglio?
«Io potrei essere un astrofisico e raccontarle dei buchi neri, ma poi lei come fa a dire se ho ragione o no? Essere travisato mi terrorizza, forse perché ci ho messo anni a capire non chi io sia ma chi vorrei essere. La differenza dei livelli di comunicazione è una cosa a cui penso con tenerezza perché sono cresciuto fra persone senza istruzione, ma con quella che chiamo “una meravigliosa educazione stradale”».
E che sarebbe l’educazione stradale?
«Sapersi adattare a tutti i tipi di esseri umani e situazioni. Mi domando, se mai sarò papà, se i miei figli potranno impararla. Agli amici coi figli alla scuola privata, chiedo: “In classe, gli hanno mai dato una pizza in faccia?”. Rispondono: “Ma sei matto?”. Io di pizze ne ho prese: a ognuna, imparavo qualcosa. Educazione d’impatto».
Da chi le prendeva?
«Dove sono cresciuto io, era la normalità: arrivavi e dovevi crearti il tuo spazio. Se cercavi di essere amico di chi prendeva 10, i ripetenti ti gonfiavano di botte e, se eri amico dei ripetenti, quelli col 10 non ti parlavano più. Per cavartela, l’unica era essere te stesso. Fino a 16 anni, ho solo preso botte. Tuttora, se vedo uno che tratta male un altro, provo qualcosa di brutto».
Come ne uscì?
«Ero diventato manesco. Aver cominciato pugilato mi ha salvato perché mi faceva sentire in grado di difendermi. Poi cresci e capisci che invece del pugilato è meglio che cominci a leggere due libri, almeno ti difendi con le parole».
Lei che voleva fare da grande?
«Non ci pensavo. Poi, mi fu regalato un libro, Il potere di adesso. Mi si aprì un mondo, quello dello stare nel presente. Uscivo da una delusione d’amore ed era un momento di estrema povertà, non avevo una lira, facevo solo lavoretti, però ricordo che quando la sera andavo in macchina fuori Roma per fare il sorvegliante notturno in un palazzo a specchi ero felice come un bambino. Vedevo la vita bellissima anche quando facevo il commesso fino alle 18 e subito dopo il cameriere fino alle due di notte».
Ha scritto su Instagram «lo dico soprattutto ai ragazzi che provano a fare il mio mestiere, facendo tre lavori: le cose belle accadono».
«L’ho scritto tornando da Los Angeles. Peter Mullan mi aveva appena raccontato di quando Ken Loach, sul set di My name is Joe , gli disse: ricordati di essere sempre la persona meno importante nella stanza. Quella frase mi rimbombava in testa facendomi pensare a tutte le persone da cui ho imparato qualcosa, come Claudio Caligari e Valerio Mastandrea quando abbiamo girato Non essere cattivo, Peter Mullan o Charles Dance sul set di The Hanging Sun ...
Tutte avevano un ego basso: per loro, comunicare aveva a che fare solo col trasmettere informazioni, mentre a volte ci facciamo sovrastare dal voler dimostrare di essere i più bravi. Infatti nello stesso post ho scritto anche: lasciate l’ego da parte e mentre lo dico a voi lo sto dicendo a me».
Problemi di ego lei ne ha avuti?
«Sì, perché ci ho messo molto per riuscire a fare cinema come piaceva a me. Al primo ciak avevo 18 anni e Sollima mi scelse per Suburra a 28. Dopo dieci anni nell’ombra cercavo rivalsa... Tipo: ora vi faccio vedere quanto vi siete persi».
Prima diceva «ci ho messo anni a capire chi volevo essere». Che cosa ha capito?
«La cosa che è mutata è che ho smesso di avere paura di giudicarmi e di cambiare. Irene, la mia fidanzata, dice sempre: tu hai un sacco di difetti, però sei molto risolto con te stesso».
Irene Forti, manager delle risorse umane, studi a Londra. Sotto una sua foto, lei ha scritto solo: fine. Nel senso di «fine. È lei».
«Ne sono profondamente innamorato. Mi dice sempre: amo le persone che si alzano la mattina e sanno chi vogliono essere. Questa frase è diventata un’ispirazione. Ogni giorno mi chiedo: io cosa voglio fare per me, per gli altri, per questo mondo? La risposta non c’è, ma la domanda in sé attiva un processo che mi costringe ad avere a che fare con me in modo diverso».
E difetti ne ha davvero un sacco?
«Ne ho, ma molti li ho superati. Ero permaloso e molto pieno di me».
Perché sta ridendo?
«Per tutta la vita mi hanno detto: hai occhi bellissimi. E io ero convinto di avere gli occhi più belli del pianeta. Poi, crescendo, ti dici: che deficiente ero. Di brutto avevo anche che prendevo in giro gli altri in un modo mutuato dall’ambiente popolare da cui venivo. Le parole hanno un peso.
L’insulto fa male. È successo pure a me. A lungo ho pensato di avere dei tic, invece era Sindrome di Tourette. Sente che ogni tanto ho un respiro strano? Sono spasmi. È una sindrome neurologica, con vari sintomi: io ho gli spasmi o mi soffio sulle dita. Dopo la diagnosi ho smesso di considerarlo un problema, perché almeno adesso so che cosa ho».
E quando recita come fa?
«Mi passa. Mi sono dato una spiegazione “poetica”: il mio lavoro è mettermi nei panni di un altro; l’altro la Tourette non ce l’ha e quindi, in quel momento, neanch’io».
Se non fosse stato fermato da un talent scout fuori dalla palestra sarebbe diventato attore?
«Qualcosa avrei fatto perché sono uno che si arrangia, ma non credo cinema: feci quel provino solo perché mio padre mi disse: “Gli hai detto che ce andavi e ora ce vai”».
Ci andò e scoprì che recitare le era facile?
«No, andai e non vedevo l’ora che finisse. Già m’immaginavo i commenti... Ahò, vuoi fa’ l’attore, ma ‘ndo vai? Invece fui preso subito».
Quando capì che ce la poteva fare?
«Ricordo l’arrivo sul set di Caligari. Non ho pensato “ce la posso fare”, ma: se non faccio vedere adesso che so fare, non avrò più possibilità. Lì ho detto a mia madre “mo’ non ti devi preoccupare più di niente”, sa la rivalsa bella di chi viene da un posto semplice?».
Il personaggio più difficile?
«Quelli più lontani da me. Stefano Cucchi in Sulla mia pelle fu facile: di ragazzi come lui ne ho conosciuti tanti. Difficile è stato fare Il primo re , un film in protolatino girato per tre mesi nei boschi, o Diavoli, incentrato sulla finanza, in inglese con accento british».
Uscirà a breve la seconda serie. La prima è stata vista in 160 Paesi: che effetto fa?
«Assurdo, ma l’avevo già vissuto con Suburra, la serie ... Fai 80 milioni di spettatori, chiedi “è andata bene?” e loro: be’ poteva andare meglio. Lì ho iniziato a preoccuparmi di essere capito da tutti in tutto il mondo. Pensavo: gli americani non conoscono i gipsy».
Non deve preoccuparsi lo sceneggiatore dell’universalità dei simil Casamonica?
«Però l’attore può rendere emotivamente comprensibile una cosa non immediatamente comprensibile».
Chi o cosa l’ha aiutata ad avere fiducia nel suo talento?
«Sentire la fiducia che altri avevano in me. Quando Sollima mi scelse si era rotto il bidet, l’avevo smontato, attraversavo la strada col bidet in braccio. Squilla il cellulare. Era lui. Mi è venuto un infarto. Poi mi ha detto: vedrai che tutto quello che farai andrà bene. Ho pensato: se si fida così tanto avrà ragione, mica è scemo. Avvertire fiducia alleggerisce, cominci a giocare con un lavoro che è fatto di momenti: fai trenta take orribili, uno splendido, nel film va quello orribile e vinci il David».
«Supereroi» è il suo primo film tutto sull’amore.
«È su un uomo e una donna che, attraverso l’amore, si distruggono e poi si ricompongono e poi si ridistruggono e poi si ricostruiscono. Ci ho ritrovato, dopo Fortunata, Jasmine Trinca, una sorella».
Avere figli è un tema del film: lei ne vuole?
«Nella mia testa, ho un pensiero di famiglia come se già esistesse. Il desiderio credo sia legato al tipo di amore che provo».
La sua compagna è d’accordo?
«Forse più di me. Io, a volte, ho dubbi perché non mi piace quello che vedo fuori: non capisco se l’atto di egoismo sia non mettere al mondo qualcuno secondo un tuo giudizio o mettercelo conoscendo il brutto là fuori. Poi, quando ne parliamo insieme, lei mi riporta sul pianeta Terra. Mi dice: ti fai troppe domande. Ha ragione».
Dagospia il 5 maggio 2021. Dal profilo Instagram di Alessandro Cattelan. Il Primo maggio di 20 anni fa esatti appena arrivato a Milano con i capelli ossigenati e le sopracciglia spinzettate, affrontavo la mia prima diretta televisiva intervistando i Gazosa e Damon Albarn. Da lì in poi non mi sono mai fermato. Ne approfitto per ringraziare chiunque mi abbia seguito, chiunque abbia mai lavorato insieme a me e chiunque sia mai stato ospite in uno qualsiasi dei miei programmi, per avermi regalato 20 anni di gioie, esperienze, risate, infiniti aneddoti da raccontare, sbronze, viaggi, e avermi aiutato a realizzare quello che ho fatto. Mi state facendo vivere dieci vite in una. Alla vostra!
Da fanpage.it il 5 maggio 2021. La domanda è sempre lì, sul tavolo: cosa vuole fare Alessandro Cattelan da grande? L'addio del conduttore a X Factor dopo la conduzione di tutte le edizioni andate in onda su Sky, è stata la premessa per il futuro approdo del conduttore su Rai1, a quanto pare in autunno, con due prime serate sperimentali che lo esporranno per la prima volta all'impatto con il grande pubblico. Perché è vera una cosa, vale a dire che l'enfant prodige della televisione italiana è da anni atteso al grande salto, la sfida con la televisione generalista, da molti considerata la Tv vera, che ha Sanremo come emblema assoluto. Ma su questa aspettativa nei suoi confronti, questa costante comparazione con i grandi della storia della Tv, Alessandro Cattelan ha un'idea chiara e l'ha espressa definitivamente in un'intervista rilasciata a Michele Dalai nel suo programma su Discovery + Lights Camera Revolution: "Secondo me per un sacco di persone io non ce l'ho ancora fatta – dice Cattelan – perché credo si aspettino da me una cosa, ovvero il pippobaudismo, il dover arrivare a Pippo Baudo". Il presentatore specifica che deve capire dove "abbia sbagliato a dare questa convinzione che a me interessi questo obiettivo", aggiungendo: È una cosa che a me nello specifico non interessa e mi sento anche in colpa quando mi viene chiesto […] Ma lo dico perché secondo me non esisterà più quella cosa. Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Raimondo Vianello, avevano a disposizione la possibilità di muoversi su due canali, tu guardavi uno o l'altro. Era ovvio che avessero una capacità di influenza enorme sul popolo, ma secondo me nessuno avrà più quel tipo di impatto lì, a meno che non decida di fare cose prettamente aperte a tutti. Quindi Cattelan taglia corto: "Di recente mi hanno chiesto in modo molto diretto se volessi aprirmi, o continuare a fare cose fighe e io ho risposto che volevo continuare a fare cose fighe. In questo momento godo di tanta attenzione e voglio sfruttarla per fare le mie cose. Quando le mie cose non avranno più seguito, farò le cose che vanno bene a tutti".
La televisione generalista verso il tramonto? Sono parole interessanti, che danno modo di riflettere sia sul racconto che si fa della televisione e, nello specifico, del conduttore, sia sull'avvenire della televisione stessa. Il momento storico che viviamo sta facendo emergere sempre di più una parcellizzazione e personalizzazione dei canali di comunicazione, nonché il proliferare dei colossi dello streaming. Un combinato disposto che minaccia l'autorevolezza della televisione intesa nel suo senso tradizionale e generalista. Le parole di Cattelan sembrano andare proprio in questa direzione e sarà curioso capire se il conduttore abbia ragione oppure no.
Alessandro Cecchi Paone sospeso: il rapporto tra mondo profano e massoneria è occulto. Stefania Limiti su Il Fatto Quotidiano il 15/7/2021. Se sei massone devi stare zitto. Punto. Alessandro Cecchi Paone, invece, noto giornalista a cui non fa difetto il protagonismo, è un tipo che parla e parla e parla… Lo ha fatto di recente anche per il numero speciale di FqMillennium sulle logge massoniche, rivelando non solo di essere massone – lo aveva già detto nel 2005 – ma di essere anche un massone di un certo calibro proveniente da una famiglia massonica e prendendosi la scena. Naturalmente cita le origini mazziniane della sua famiglia, come se Giuseppe Mazzini fosse stato un massone – noto refrain – e non un antimassone (si veda i suoi Doveri dell’uomo). La faccenda non è piaciuta al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi – Paone è iscritto alla Loggia 844 “Cinque Giornate” di Milano, una delle 35 logge milanesi e delle 75 in Lombardia, aderendo al Goi – che, persa la pazienza, non ha nascosto la sua ira chiamando a fare il loro dovere gli organi interni, sospendendo il massone chiacchierone che ha parlato del suo grembiulino rappresentando il Grande Oriente d’Italia nel mondo profano, come fosse lui il Gran Maestro. Tutta la questione dovrebbe interessarci perché non si tratta di una lite tra condomini ma di qualcosa che ci racconta delle regole massoniche e di come fondamentalmente la segretezza sia qualcosa di invalicabile per questo mondo. La massoneria pretende di rappresentare gli elevati nel mondo, di orientare i profani, di instillare il sapere, attraverso i legami speciali e il circuito reale della “catena”, detta dell’Unione, con cui ogni membro massone è legato agli altri: sembrano ambizioni innocenti, finanche apprezzabili, se non fosse che questo, calato nel semplice mondo profano, significa fondamentalmente l’orientamento degli affari pubblici, l’indicazione e la selezione delle classi dirigenti. Significa la pretesa di dare forma allo Stato nel laborioso silenzio della propria obbedienza. La segretezza non riguarda solo le logge, ovviamente, ma tutti quei gruppi che pur stando nel mondo con più disinvoltura tuttavia tessono le proprie reti, facendo ben attenzione a non renderle pubbliche: si pensi a Comunione e Liberazione, ad esempio. La sospensione di Cecchi Paone ci parla di questo, del rapporto tra mondo massonico e quello di noi profani: un rapporto occulto, a nessuno è dato scavalcarne i confini.
Alessandro Gassman su papà Vittorio: "Era terrorizzante, quando parlava di sé in pubblico mi vergognavo". Libero Quotidiano il 21 agosto 2021. "Papà era più spaventoso di me, quando si arrabbiava era terrorizzante, gli bastava lo sguardo silente": Alessandro Gassman si è raccontato in una lunga e intima intervista al Corriere della Sera. Al centro del colloquio anche il rapporto con il padre Vittorio, celebre attore, regista e sceneggiatore, venuto a mancare nel 2000. Facendo un paragone col rapporto che lui ha con suo figlio Leo, ha detto: "Lui ha potuto avere molte più sicurezze, mentre io ero un pacco che viaggiava da un padre a una madre". Gassman, comunque, non nasconde di avere imposto anche lui delle regole rigide per l'educazione del figlio: "Sono stato severo in modo metodico nel proibire il cellulare fino ai suoi 15 anni e il motorino fino a 16". Continuando a parlare del padre Vittorio, poi, ha dichiarato: "Mi fece fare il macchinista teatrale per due anni, inculcandomi il concetto di stanchezza fisica. Ho smesso di essere figlio il giorno in cui, in tournée, stette male”. Il regista, che presto porterà al cinema “Il silenzio grande” con Massimiliano Gallo e Margherita Buy, ha anche sottolineato le enormi differenze che c'erano tra lui e il genitore: “Amava parlare di sé stesso in pubblico, io lo detestavo, ne avevo vergogna. Mi mise nelle mani di Enrico Lucherini, il press agent, che aveva un esercito di venti sarte e mi riconsegnò a papà che ero un’altra persona. Quel giorno capii che non volevo fare l’attore. Ero timidissimo”.
Fulvia Caprara per la Stampa il 27 giugno 2021. Alla fine, se proprio deve spiegare perché negli anni è diventato uno degli attori italiani più amati dal pubblico, Alessandro Gassmann trova la risposta: «Al centro dei miei personaggi c' è sempre il cuore. Credo che gli spettatori li abbiano apprezzati per questo. Non solo perché li ho fatti io, ma perché sono persone che avrebbero conosciuto con piacere». La prevalenza del rapporto umano, della partecipazione al vivere sociale, è la cifra distintiva dell'attore e regista che, per tutta la vita, ha rischiato di restare «il figlio di» e ora, ironia della sorte e merito del successo di Leo, rischia di diventare «il padre di». Stasera, al «Festival del Cinema e del Teatro» di Benevento, è in anteprima Ritorno al crimine, il sequel di Non ci resta che il crimine, firmato da Massimiliano Bruno, interpretato da Gassmann insieme a Marco Giallini, Edoardo Leo, Gian Marco Tognazzi, Carlo Buccirosso: «Ci siamo molto divertiti, con loro sto talmente bene che certe volte ancora mi stupisco che ci paghino per stare insieme».
Che ruolo ha nel film?
«La sceneggiatura mette a fuoco le caratteristiche di ogni personaggio. Io sono il fesso, il pauroso, quello lento di comprendonio, che si spaventa sempre più di tutti».
Ha appena firmato il suo nuovo film da regista, «Il silenzio grande», di cui si dice che potrebbe andare a Venezia. Quanto le piace ancora far ridere?
«I mesi di pausa imposti dal Covid mi hanno fatto riflettere. A 56 anni inizio ad avvertire esigenze legate alla mia età, il mestiere del regista è, in questo momento, quello che amo di più, anche se, naturalmente, non smetterò di recitare. I gusti personali sono un po' cambiati, la mia idea per il futuro è fare un po' di meno e rischiare un po' di più. Di commedie ne ho girate tantissime, prima di rifarne una vorrei aspettare un'occasione speciale e, d' ora in poi, vorrei scegliere quelle in cui, più che ridere, si sorride».
Il cast di «Ritorno al crimine» (dal 12 luglio su Sky Cinema) richiama il clima di certe classiche commedie all' italiana, quelle che faceva suo padre.
E' d'accordo?
«Siamo tutti attori duttili, facciamo da sempre drammatico e comico, senza considerare la commedia un genere di serie B.
Ritengo che un interprete debba saper fare tutto e penso di essere diventato un attore migliore quando ho capito che potevo anche far ridere. E' un po' la stessa scoperta che fece mio padre quando recitò nei Soliti ignoti.
Non aveva mai fatto ruoli brillanti e, da lì, la sua carriera strepitosa prese il volo».
Suo figlio Leo è diventato una star. Che effetto le fa?
«Mi fa un immenso piacere, ma mi dispiace constatare che le sue fan conoscano poco mio padre. Penso sia un po' colpa del mare di informazioni da cui i ragazzi sono travolti, della possibilità che hanno di vedere e rivedere sempre la stessa cosa e dell'educazione dei genitori che, forse, dovrebbero parlare di più con i figli, e senza il telefono in mano».
Per i più giovani quello della pandemia è stato un tempo davvero duro. Che ne pensa?
«Vanno compresi, improvvisamente si sono ritrovati chiusi in casa con mamma e papà, senza la libertà di baciarsi, abbracciarsi, fare l'amore, in un'età in cui l'ormone galoppa e ci si sente immortali, fortissimi. Una cosa terribile».
Vaccini, seconde dosi, varianti. Qual è la sua posizione?
«Ho fatto Johnson & Johnson, per nove mesi dovrei stare tranquillo. Mi auguro che il buon senso prevalga, che si riesca a vaccinare il più alto numero di persone possibile, e che si arrivi alla famosa immunità di gregge. In questo campo ascolto solo gli scienziati.
Insomma, se voglio mangiare bene, chiedo consiglio ai cuochi, e non ai dentisti. In Italia è successo, invece, che si siano messi tutti a parlare e a dire cosa bisogna fare».
Usa molto i social, scatenando polemiche e reazioni violente. Perché?
«Quando si tratta di salute pubblica, diritti civili e cose che trovo ingiuste, dico e faccio quello che penso. Mi arreca fatica, so che spesso non dovrei farlo, mia moglie mi "cazzia" per questo, ma ritengo che, quando le regole basilari del vivere comune vengono disattese, sia giusto non accettarlo, e farlo sapere».
In questi aspetti, nella sua voglia di partecipare, lei è molto diverso da suo padre. E' così?
«Mio padre ha consacrato la sua vita al lavoro, non ha mai avuto interessi che non fossero legati alla cultura, alla musica, alla poesia, al teatro, al cinema. Forse, se avesse coltivato un po' di più sé stesso, si sarebbe ritrovato meno solo alla fine dell'esistenza, quando, inevitabilmente, la salute e il lavoro vengono meno. Io sono diverso, metto sempre la vita prima del lavoro».
Si avvicinano le elezioni del nuovo sindaco di Roma. Che cosa si augura?
«Vorrei che i candidati facessero una cosa molto semplice. Invece di mostrare in giro le loro facce, mi piacerebbe che pubblicassero dei cartelloni con su scritti i punti basilari dei loro programmi. Roma è una città difficile da amministrare, spero solo che venga eletta una persona onesta, in grado di fare bene il proprio lavoro».
Ha mai pensato di intraprendere la carriera politica?
«Sì, ci ho pensato. Non lo faccio perché mia moglie non vuole, ha paura, sa che sono un tipo trasparente, anche eccessivamente integerrimo, e teme che, facendo politica, potrei essere irretito da persone molto più scaltre di me. Però mi farebbe proprio piacere, ci sono tante cose che non mi piacciono e, da cittadino, sarei contento di provare a migliorarle».
Alessandro Gassman "delatore", assembramenti in casa del vicino. Enrico Ruggeri: "Nostalgia della Stasi". Libero Quotidiano il 15 aprile 2021. Clamoroso scontro social tra Alessandro Gassman ed Enrico Ruggeri. L'attore romano su Twitter invita, più o meno, i suoi followers a denunciare i vicini che festeggiano in casa in barba alle normative anti-assembramenti e il cantante milanese, contrario alle delazioni, commenta: "Come la Stasi". E il tema, ovviamente, divide gli italiani. "...Sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi? Hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare", scrive qualche giorno fa il figlio del grande Vittorio. "Ci mancavano pure i delatori vip", è stato uno dei primi commenti "di peso", quello di Nicola Porro, presentatore di Quarta repubblica. "Grande attore e regista... con un po' di nostalgia per i tempi andati della Germania Est...", è l'ironica definizione data da Ruggeri su Gassman Junior. Seguono decine e decine di critiche ("Siamo in un Paese in cui si invidia il successo e si ammira la furbizia. Devastante"), insulti e minacce. "Fai il ganzo perché come vicino avrai qualcuno come te, ti vorrei vedere con quello che non ha nulla da perdere, te ne staresti buono e zitto". Gassman ha risposto a quasi tutti i commenti, con tono garbato ma fermo. Anzi, irremovibile: "Dire quello che si pensa e chiedere il rispetto delle regole, dopo quasi un anno e mezzo di pandemia, viene da una parte consistente vissuto con reazioni di violenza, insulti e minacce. Grazie a chi, anche se in disaccordo, ha voglia di confrontarsi".
Da leggo.it il 15 aprile 2021. Il vicino di casa organizza una festa che viola le regole anti-Covid: si dilunga oltre il coprifuoco e in casa sembrano esserci troppe persone. Che fare in questi casi? Denunciare alle forze dell'ordine o lasciar correre per non rovinare i rapporti tra condomini? Se lo è chiesto Alessandro Gassmann in un tweet che ha scatenato un enorme dibattito culminato in insulti e minacce. «Mi dispiace soprattutto per mia moglie, che è spaventata e ringrazio chi invece mi sta mandando bellissimi messaggi», ha spiegato l'attore all'indomani delle roventi polemiche scatenate dal suo post su Twitter. L'attore romano aveva raccontato un episodio accaduto nel suo condominio, rivelando di aver sentito il frastuono provenire dalla casa del vicino dove presumibilmente si stava svolgendo un party tra ragazzi. Gassmann ha ipotizzato, tra le possibili azioni da intraprendere in un caso simile, anche quella di chiamare le forze dell'ordine per far imporre il rispetto delle regole vigenti. "... sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino, inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi?... hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare...", aveva scritto Gassmann. Il post dell'attore ha scatenato un vespaio di polemiche, facendo insorgere molti internauti che lo hanno accusato di essere una 'spia' e usare metodi eccessivamente 'delatori'. Tra loro anche qualche personaggio noto. "Grande attore e regista...con un po' di nostalgia per i tempi andati della Germania Est", scrive Enrico Ruggeri. L'attore ha spiegato però che il rispetto della normativa è, a suo avviso, l'unico modo per uscire da questo momento. "Solo seguendo tutti le regole, usciremo da questa drammatica situazione", conclude Gassmann.
Da rtl.it il 16 aprile 2021. Il venerdì mattina a partire dalle 8.00 alle 9.00 in diretta su RTL 102.5, il consueto appuntamento con Giletti 102.5 condotto da Massimo Giletti e Luigi Santarelli. Al centro sempre la stretta attualità e come sempre, microfoni aperti per tutti gli ascoltatori che vogliono dire la loro su tutti i fatti più importanti della settimana, e anche grandi ospiti. Questa mattina molti come sempre gli argomenti: in settimana le proposte di ristoratori e altre categorie per chiedere quelle riaperture che il Governo potrebbe discutere la prossima settimana. Intanto, il vaccino Johson&Johnson nel mirino. Nella puntata di oggi la voce di Barbara Palombelli. “Io ho parecchi vicini fanno anche feste in giardino con i bambini e mi mette una grande allegria. Sinceramente non mi sento di giudicare, anche perché da quel che ho letto erano all’aria aperta in un cortile, quindi non credo ci fossero gli estremi per un assembramento pericoloso, quindi io mi sarei fatta i fatti miei”. Così la nota presentatrice Barbara Palombelli sul caso che ha visto Gassmann al centro di alcune polemiche per un tweet dove annunciava di denunciare i suoi vicini di casa che stavano facendo una festa. Tra le risposte di attacco nei confronti di Gassmann, quella di Enrico Ruggeri che lo ha definito "nostalgico per i tempi andati della Germania Est".
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 16 aprile 2021. Che fare quando il vicino di pianerottolo organizza un assembramento festaiolo, premessa di un potenziale focolaio? Se lo è chiesto con l’abituale mitezza Alessandro Gassmann, limitandosi a esporre le possibili alternative: fare finta di niente, condurre una trattativa diplomatica con il vicino, denunciare gli aventi party alle autorità. I beceri in servizio permanente effettivo lo hanno coperto di insulti, attribuendogli la terza scelta per il solo fatto di averla evocata. Una minoranza di ironici, l’unica che qui ci interessa, ha parlato con la voce di Enrico Ruggeri, equiparando la delazione condominiale ai metodi della Germania comunista. Però quella era una dittatura occhiuta e orecchiuta. Mentre il contagio è quanto di più democratico si possa immaginare: passa di fiato in fiato senza distinzioni ideologiche, e chi lo incentiva non sta esercitando la sua libertà, ma minacciando quella altrui. Messo alle strette, credo che mi comporterei come suppongo abbia fatto Gassmann. Prima sopporterei rodendomi il fegato. Poi andrei a parlamentare con i reprobi cercando di non lasciarmi corrompere da una tartina. E infine NON denuncerei nessuno (per farlo bisogna averci il fisico), limitandomi a scrivere la storia sui social senza fare i nomi, che se non uno sputtanamento è almeno un avvertimento. Nella speranza che il senso del ridicolo riesca sempre a proteggermi dal virus dell’ego, che ci fa parlare come Gassmann quando la festa è degli altri e come Ruggeri quando è la nostra.
Ruggeri torna su Gassmann: "Se denunci le feste, fallo con tutto". Francesca Galici il 16 Aprile 2021 su Il Giornale. Enrico Ruggeri ha spiegato il senso del suo tweet contro Alessandro Gassmann, ha attaccato Giuseppe Conte e la narrazione della pandemia. Alessandro Gassmann è tra gli argomenti preferiti degli ultimi giorni sui social. Il motivo è nella denuncia di una festa all'interno del suo condominio in violazione delle attuali norme contro il contagio da coronavirus. Sui social gli sono piovute addosso le peggiori accuse, è stato etichettato come delatore e, per giunta, minacciato di morte. Stesso trattamento ha ricevuto sua moglie, totalmente estranea alla vicenda. Di suo padre, il grande Vittorio Gassman, è stata invece insultata e derisa la memoria. Sulla vicenda è intervenuto anche Enrico Ruggeri con un tweet, che nelle intenzioni sarebbe voluto essere critico ma leggero ma che, purtroppo, come spesso accade ha scatenato i peggiori istinti sui social.
"Attore con nostalgia della Germania Est". Qualche giorno fa sul suo profilo Twitter, dove è molto attivo, il cantante ha scritto. "Grande attore e regista... con un po’ di nostalgia per i tempi andati della Germania Est...". In quel momento è esplosa la polemica. "Mi rendo conto che oggi su Twitter tutto diventa enorme. Se quella battuta l’avessi fatta ad Alessandro a cena insieme, ne avrebbe riso anche lui. Mi dispiace molto la contrapposizione e il malcostume di cui spesso sono stato vittima anche io", si rammarica sul Corriere della sera Enrico Ruggeri, che nell'immaginario social a causa di quel tweet è diventato un nemico di Alessandro Gassmann. "Ho letto insulti su di lui, la sua famiglia, suo padre. Una cosa orribile. Alessandro è un grande attore e regista che ha un peso (il cognome) terribile da portare, ma lo porta egregiamente. Il suo film Il premio è bellissimo. Questa guerra di tutti contro tutti - che Hobbes aveva previsto secoli fa - è terribile. E Twitter amplifica le controversie". Enrico Ruggeri farebbe lo stesso? "Non so rispondere. Posso dire però che se lo faccio, lo farei sempre e per tutto. Se vedo uno che ruba una macchina, uno che picchia la fidanzata, se alla Stazione Centrale vedo tre tizi che si scambiano una bustina", ha detto al Corriere.
Le accuse di Ruggeri. D'altronde, il cantante nell'ultimo anno ha più volte dichiarato la sua contrarietà alle regole, soprattutto quelle da lui considerate inutili: "Non capisco perché in mezzo alla strada devo mettere la mascherina. Se entro in un negozio la metto, ma se sono all’aperto no. In un vicolo stretto con 50 persone la metto, sì. Ristoranti aperti a pranzo e a cena no. Ci stanno abituando a obbedire a regole che non capiamo, e non è un bel segno se guardiamo indietro nella storia". Per Enrico Ruggeri da un anno si discute di qualcosa di non oggettivo, che divide la stessa opinione scientifica. "Io ne faccio una questione filosofica: non possiamo rinunciare a vivere per paura di morire", spiega il cantante che però rifiuta l'etichetta di negazionista. Enrico Ruggeri non nega che esista un problema e che ci sia la pandemia, tanto che la mascherina la utilizza, ma è fortemente critico per la gestione che è stata adottata della stessa, per la narrazione sbagliata. "Hanno scritto di alcune persone famose morte per Covid e io so per certo che non era vero. Un uomo di 32 anni, in coma irreversibile da tre anni per una pallottola in testa, hanno detto che è morto di Covid (che forse ha preso in ospedale). Questa è una distorsione", accusa Ruggeri.
La stoccata a Conte. Il cantautore si è speso tantissimo nell'ultimo anno a supporto del mondo dello spettacolo, soprattutto dei lavoratori che da 15 mesi quasi non hanno uno stipendio. Durante l'intervista al Corsera si toglie l'ennesimo sassolino dalla scarpa nei confronti di Giuseppe Conte e della frase che ha fatto indignare gli artisti di tutta Italia: "Il mondo dello spettacolo è stato umiliato. Quella frase 'I cantanti che ci fanno tanto divertire' è un macigno che pesa su chi l’ha pronunciata, più che su di noi". Ma Ruggeri non risparmia una frecciatina al veleno anche ai suoi colleghi, colpevoli di non spendersi pubblicamente per la battaglia: "Tantissimi miei colleghi mi fanno congratulazioni segrete per sms. Io ci metto la faccia, loro tacciono".
Quando il delatore Gassmann reclamava i vaccini per gli attori. Serena Pizzi il 13 Aprile 2021 su Il Giornale. Gassmann si compiace nel segnalare i vicini festaioli, ma il web lo massacra e lui blocca tutti. Però ringrazia per i bei messaggi. Avere un vicino di casa come Alessandro Gassmann non deve essere affatto facile. Soprattutto di questi tempi. Perché lo spione che al primo rumore molesto inizia a citofonarti o a bussare alla porta o addirittura ti mette alla gogna mediatica è una bella croce da portarsi dietro. Lo diciamo fin da subito a scanso di equivoci: le regole ci sono e vanno osservate. Chiunque faccia feste, festini, cene e pranzetti è un vigliacco che non ha rispetto di chi da un anno a questa parte è segregato in casa. Detto questo, ci viene anche da aggiungere che i delatori sono una brutta "razza". Le spie invocate da Roberto Speranza lo scorso ottobre mentre era ospite da Fabio Fazio - poi ritrattate - non sono mai piaciute ai cittadini italiani. Per chi non lo ricordasse: il ministro della Salute se ne era uscito con una frase discutibile che aveva sollevato un vespaio. "Quando c'è una norma, questa va rispettata e gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente. Ma è chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni. Io mi fido molto anche dei genitori e nel momento in cui si dà un'indicazione formale io sono sicuro che la maggior parte delle persone la seguirà".
Ecco il punto: le segnalazioni. L'affidarsi alle sentinelle - lo ricorderete - non aveva conquistato il cuore italiano da sempre amante della libertà. Tanto che se il vicino di casa ti scrutava con sospetto scattava la classica domanda: "Cosa c'è da guardare?". Se invece la vittima era una persona più pacata, non ti interrogava, ma il suo cervello elaborava dati per arrivare alla conclusione che "quella è una spia assoldata da Speranza". Ma questo è il passato, che poco ci piace. Andiamo al presente, dove la Stasi pare essere tornata di moda. Purtroppo. Due giorni fa, Gassmann cinguettava: "... sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino, inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzini?... hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare...". Tralasciando la discutibilissima grammatica del testo, punteggiatura e pure le basi della matematica (le possibilità sono tre), scopriamo un attore-sentinella che sui social si vanta di aver segnalato alle autorità competenti il "mega rave party". "Fatto il mio dovere. Fiero", rincara in un commento, ma poco dopo lo fa sparire e lo rimpiazza con un "nulla". Beh, nel caos poco si capisce. La denuncia è arrivata? La polizia? Cosa diamine è successo domenica sera nell'appartamento accanto a quello del nostro Alessandro? Cinque elementi sono certi: Gassmann non si tiene un cecio in bocca, vantandosi in rete per il suo gesto ha fatto incazzare (quasi) tutti, gli utenti lo hanno insultato, lui ha bloccato i famigerati hater e ha reso il profilo di Twitter privato. Gli insulti e le minacce sono inammissibili, ci mancherebbe. Anche se non ci piace il vicino-spione ce ne dobbiamo fare una ragione. Di sicuro non possiamo rispondergli che lo aspettiamo sotto casa con una spranga di ferro. Serve un po' di pace in un mondo già devastato dalla guerra del Covid. Certo, ci piacerebbe essere più liberi. Magari poter vedere qualche amico, senza che qualcuno vada a misurare i decibel del nostro tono di voce o a contare quante sagome abbiamo in casa. Ma ci sono delle regole: rispettiamole. C'è anche un altro concetto da snocciolare. Gassmann non ha commesso il peccato originale denunciando i trasgressori. Quello che ha fatto girare le palle è stato il modo con cui ha informato il mondo del suo gesto "eroico". Pensavamo che il caso Scanzi - classico esempio del chi si loda si sbroda - avesse insegnato qualcosa. E invece... pure lui ha peccato di troppa superbia. Che bisogno c'era di denunciare il fatto sui social? Se il suo intento era soltanto quello di fermare il "festone", sarebbe bastato chiamare la polizia, tornare a dormire e il giorno dopo fare finta di nulla. No? Ovviamente, dopo più di 24 ore di "mazzate" l'attore ha rotto il silenzio con l'AdnKronos: "Mi dispiace per le polemiche e anche per gli insulti e le minacce che ho ricevuto. Quasi un anno e mezzo di pandemia ha esacerbato gli animi portando ad una rabbia diffusa. Mi dispiace soprattutto per mia moglie, che è spaventata e ringrazio chi invece mi sta mandando bellissimi messaggi". Anche queste poche frasi potrebbero essere contestate liberamente. Di chi è la rabbia diffusa? Sua o di chi lo ha insultato? Dei vicini chiassosi? Ringrazia per i messaggi, benissimo. Peccato che la maggior parte degli utenti siano stati censurati perché non la pensano come lui. Quindi sarà stato ringraziato da altre spie. Piccola postilla. A marzo, Gassmann reclamava i vaccini per gli attori. "Quando saranno vaccinate le categorie più a rischio: medici, personale medico tutto, anziani, forze dell’ordine, forse qualcuno dovrebbe pensare anche agli attori? Unica categoria che deve lavorare senza mascherina?", scriveva sempre sul suo fidato Twitter. Anche qui è scoppiato il bordello, ma la nostra celebrity non ha mollato l'osso. Forse voleva il vaccino per imbucarsi alle feste prima degli altri? Pare che non ce l'abbia fatta e sia finito a fare il guardone ai party degli altri.
Dagospia il 16 dicembre 2021. L’attore e regista Alessandro Haber sarà ospite dell'ultima puntata di stagione de “La Confessione” di Peter Gomez, in onda sul Nove venerdì 17 dicembre alle 22:45, subito dopo I Migliori Fratelli di Crozza. Haber racconta al direttore de ilfattoquotidiano.it alcuni aspetti intimi della sua relazione amorosa con Giuliana De Sio. "Nell'autobiografia parli tanto del rapporto con le donne e delle tante donne di cui sei stato innamorato. Però con Giuliana De Sio è stata una cosa diversa", ha detto il conduttore facendo riferimento al libro 'Volevo essere Marlon Brando' edito da Baldini e Castoldi. "Beh, è stata una delle donne che forse ho amato di più in assoluto, anche perché lei era completamente diversa da me - ha detto l'attore - Lei usciva da una comune, era una ragazza di 18 anni, nove anni meno di me. E appena l'ho vista, è stato un colpo di fulmine, ci ho messo tanto per conquistarla, però mi è piaciuta molto anche questa lotta". "Avete perso un figlio insieme?", ha chiesto Gomez. "Sì, lei aveva 18, 19 anni - ha raccontato Haber - Tra l'altro eravamo in crisi, poi lei stava cominciando la sua carriera per cui avere un figlio a quell'età lì... anche per me, non ero ancora pronto - ha ammesso - Adesso a ragion veduta, ne avrei fatti degli altri se avessi potuto. Mia figlia Celeste è nata quando io avevo 56, 57 anni". "Senti, però ho anche letto che tu, non forte, ma l'hai menata una volta...", ha detto il giornalista toccando un tasto dolente della storia tra i due attori. "No, nella mia vita non ho mai menato, mai menato una donna in vita mia - ha premesso l'interprete, tra gli altri, del vedovo Paolo in Amici miei - Atto II° - Una spinta, ho tirato un libro, quelle cose lì che si fanno, ma mi è scappato. Era una situazione di esasperazione - ha proseguito - Lei si era innamorata di uno, me l'aveva confessato e io stavo male... Una sberla, ma la si può raccontare... Però diciamo che ho grande rispetto per le donne e una grande ammirazione per la donna in generale, per cui mi è scappata e chiedo scusa", ha concluso.
ILARIA RAVARINO per il Messaggero l'11 ottobre 2021. Tutta una vita in 450 pagine, tra alti e bassi, occasioni perse e incontri importanti (con Nanni Moretti, Mario Monicelli, Pupi Avati). Settantaquattro primavere che dalla pagina scritta, domani sera, voleranno sul palco del teatro Vascello a Roma, dove il bolognese Alessandro Haber - presto nel Caravaggio di Michele Placido - porterà in scena, con gli amici Giuliana De Sio, Manuela Kustermann e Giovanni Veronesi, il suo tragicomico zibaldone Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini), in libreria con La Nave di Teseo.
Cosa succederà sul palco?
«Sarà un happening: Veronesi sa tutto di me e mi sconquasserà. Con De Sio ho avuto una storia anni fa, mi conosce bene. E con Kustermann ho fatto due spettacoli. Interverranno anche altri amici, racconterò pezzi del libro».
Il libro: ha raccontato tutto o si è censurato?
«È tutto vero, mi sono messo a nudo fino in fondo. Ho solo protetto alcuni nomi».
Perché?
«Quando parlo di droga accenno a due o tre personaggi famosi, uno dei quali non c'è più. Non mi va di fare i nomi. È una fase che tutti abbiamo attraversato, per fortuna l'abbiamo sfangata. Ma negli anni Ottanta se non ti chiudevi in bagno a pippare cocaina eri escluso dai giri».
E lei?
«Mi è successo, ma è finita là. L'avrò fatto per tre, quattro anni. Ma la droga non l'ho mai usata sul lavoro. Per me il lavoro è sacro e inviolabile, sono molto disciplinato. E comunque sono storie di 35 anni fa».
Quali le pagine per lei più dolorose?
«La morte di mio padre, naturalmente. E poi l'episodio in Argentina, quando dopo aver conosciuto di notte una ragazza, invitandola il giorno dopo a un appuntamento, mi sono reso conto che era zoppa. Mi è presa una tale ansia che mi sono inventato una scusa e me ne sono andato. Una cosa vergognosa, di cui mi sono pentito. Lei era di una bellezza sconcertante. E mi voleva».
L'occasione persa?
«Vittorio De Sica. Mi offrì un ruolo e dissi no. Mi avevano montato la testa convincendomi che mi volesse come protagonista. Invece mi chiamò per una parte secondaria e rifiutai. Ora avrei pagato per farlo. Sono stato un cretino, dovevo contare almeno fino a dieci».
Oggi lo fa?
«Oggi conto fino al sei».
L'occasione fortunata?
«Pupi Avati, che nel Regalo di Natale mi fece fare il primo film da coprotagonista. Fu l'inizio di un sodalizio. E Mario Monicelli: abbiamo girato insieme cinque film».
Come ha reagito quando si è tolto la vita?
«Era come se me lo aspettassi. Mario era uno che fino a 95 anni si alzava dal letto e si metteva a sentire musica, a leggere. Un mese prima l'avevo chiamato, mi disse che non poteva uscire di casa perché non vedeva e non sentiva più. Non voleva essere accudito. Ha fatto un gesto di un coraggio unico».
Alti e bassi: rifarebbe tutto?
«Tutto. Non devo niente a nessuno. Tutto ciò che ho fatto l'ho guadagnato, e se ho sbagliato ho pagato. Ho un carattere esuberante, ma non ho mai fatto del male agli altri». Il suo segreto? «Non ho tecnica. Il diaframma non so nemmeno dove sia. Ho istinto razionalizzato e talento regalato». Giovani registi che le piacciono?
«I fratelli D'Innocenzo, Jonas Carpignano. Paolo Sorrentino si può dire?».
Haber ha un erede?
«Stimo Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Elio Germano, Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Hanno il mio stesso amore per la recitazione. È che siamo di scuole diverse. O meglio: io le scuole non le ho mai volute».
Emilia Costantini per corriere.it il 27 settembre 2021. Quando da bambino viveva con la famiglia a Tel Aviv, gli piaceva andare allo zoo. «Mi incantavo davanti agli animali — racconta Alessandro Haber — e in particolare adoravo i gorilla: gli buttavo tante noccioline, loro mi sorridevano e me le ributtavano. Avrei voluto giocare con loro ed entrare nella gabbia, che era una specie di palcoscenico». Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini) (Baldini+Castoldi) si intitola l’autobiografia dell’attore, dal 30 settembre nelle librerie, dove il racconto sincero, appassionato, creativo e anche nevrotico, straparlante, «haberrante» si dipana senza censure dall’infanzia all’attuale maturità, tra prime teatrali, provini andati bene e quelli andati male, avventure, invidie, occasioni perse, sesso e tradimenti.
Ma Gigi Baggini che c’entra?
«Vi ricordate il personaggio impersonato da Ugo Tognazzi nel film Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli? È un attore fallito, che viene continuamente preso in giro dagli altri, chiede lavoro e nessuno se lo fila. Ebbene io ho visto per la prima volta quel film a 18 anni e ho subito pensato, masochisticamente, di diventare come lui. L’ho portato con me per tutta la vita e continuo a tenermelo vicino per riscattarlo, anche come monito, per dare una possibilità a quelli che non ce la fanno a conquistare un posto al sole, il palcoscenico».
A cominciare dal palcoscenico nella gabbia dei gorilla?
«Certamente! Volevo fare l’attore sin da quando avevo 5 o 6 anni. Una strana ossessione, una malattia... mi travestivo, inventavo spettacolini per i miei genitori, ero scatenato».
Per questo è stato espulso dalla scuola?
«Espulso? Sono proprio scappato! In Israele, dove ho vissuto fino ai 9 anni, in collegio i Frères mi picchiavano sulle mani con il caucciù perché in verità ero incontenibile, rispondevo male, avevo sempre la battuta impertinente: meglio le botte che studiare. E una volta mi sono rifugiato ai margini di un bosco, un’avventura decisamente molto trasgressiva, ma purtroppo calò la sera, si fece buio, faceva freddo... e cominciai ad avere paura. Per fortuna, vedevo da lontano le luci della città, che un po’ mi rassicuravano. Sono rimasto là fino all’alba, quando finalmente mi ha ritrovato mio padre: ero salvo! Però ancora oggi, quando vado a dormire, non riesco ad addormentarmi in una camera completamente buia, ho bisogno che la serranda lasci filtrare un po’ di luce, non riesco a sostenere le tenebre totali, con l’oscurità mi assale un senso di claustrofobia».
Insomma, alla fine è riuscito a ottenere un diploma?
«Quando siamo tornati in Italia, prima a Castiglione dei Pepoli poi a Verona, i professori mi picchiavano con il battipanni, ma non provavo grande dolore, perché evidentemente sentivo che le botte me le meritavo. Le medie le ho fatte in sei anni, perché prendevo sempre 4 in condotta e non potevano mai promuovermi all’anno successivo. Mi era già cresciuta un po’ di barba quando raggiunsi il diploma, pagato da mio padre. A me quel pezzo di carta non è mai interessato, non era da incorniciare: l’unico mio obiettivo era fare l’attore. E il mio primissimo debutto avvenne proprio a Tel Aviv, nel teatro parrocchiale, facendomi la pipì sotto...».
Per l’emozione di trovarsi di fronte al pubblico?
«Macché! Avevo 7 anni e mi affidarono il ruolo di protagonista nella recita scolastica, ma a un certo punto con i compagni ci venne da ridere, non ricordo il motivo, forse perché qualcuno di noi aveva sbagliato una battuta o non si era ricordato una frase del testo da pronunciare. Insomma, rido talmente tanto che comincio a pisciare ed era talmente tanta, che il rigagnolo scende piano piano lungo il palcoscenico, cade giù in platea e finisce ai piedi del preside. Mia madre, presente in sala, credo abbia fatto finta, per la vergogna, che non fossi figlio suo. Un debutto di m... D’altronde lei, quando poi ho iniziato il mio percorso, mi ripeteva sempre “cambia mestiere!” e io rispondevo testardo no, non cambio! Era preoccupata per il mio futuro, mi vedeva inquieto, piangevo, mi disperavo quando non venivo preso in qualche spettacolo o film e poi, quando finalmente ho cominciato a partire per le tournée, si raccomandava supplicandomi: “non farti subito riconoscere”».
Risultati scolastici piuttosto scarsi. Come ha fatto a imparare a recitare?
«Volevo andare a New York, all’Actors Studio, perché il mio mito, appunto, era Marlon Brando. Ma i miei erano spaventati dall’idea che partissi da solo per l’America. Così decisi di andare a Roma, per frequentare l’Accademia Silvio d’Amico. Purtroppo, però, quando arrivai le iscrizioni erano già chiuse, così mi informo e mi segnalano la scuola di Alessandro Fersen: usava il metodo Stanislavskij , perfetto per me che sognavo l’Actors Studio! Decisi di fare il provino».
Lo superò?
«Andò benissimo tanto che, siccome avevo ancora 17 anni, quindi ero minorenne, Fersen pur di accogliermi nella sua scuola, avendo capito che ero dotato di un certo talento, camuffò la mia data di nascita sull’iscrizione, come se avessi già 18 anni».
Marlon Brando però non l’ha conosciuto.
«No, ma ho incontrato per strada Orson Welles... non a New York. Ero a piazza Navona con dei colleghi a fare progetti di lavoro e, a un certo punto, vedo un omone che si avvicinava procedendo a passo lento. Non potevo crederci, era proprio lui! Mi alzo di scatto e gli vado incontro, gli attacco bottone, manifestandogli tutta la mia ammirazione, lui non capiva niente di quello che stavo dicendo e, mentre stava per accomodarsi in una lussuosa limousine, mi allunga una mano, regalandomi un sigaro. Sicuramente mi aveva preso per un poveraccio che cercava lavoro».
L’esordio nel cinema avviene con Marco Bellocchio nel film «La Cina è vicina».
«Già, la Cina... a ripensarci oggi con il Covid mi fa un po’ impressione. Quello fu un film direi profetico. I cinesi hanno grande potere di acquisto, di armamenti, la loro è un’invasione lenta, meditata, stanno facendo tabula rasa di tutto e vogliono assumere il potere mondiale che, finora, è sempre stato degli americani... li stanno scalzando. Non so cosa ci sia dietro al tristemente noto laboratorio da dove sarebbe sbucato fuori il virus, non so se dietro alla pandemia ci sia un business, se c’è una mente che sta facendo il buono e il cattivo tempo. Un fatto a mio avviso è certo: siamo marionette sotto a una lente di ingrandimento».
Con «Orgia» di Pasolini ha riscosso uno dei suoi primi successi in palcoscenico. Ha conosciuto lo scrittore?
«Pier Paolo venne a tenere un seminario proprio mentre frequentavo la scuola di Fersen. Il suo sguardo penetrante mi affascinava e la sua vocina sottile con l’accento del Nord era magnetica. Non so come, ero riuscito a trovare il numero del suo telefono di casa, all’epoca i cellulari non esistevano, ma tutte le volte che telefonavo per parlare con lui, mi rispondeva sempre la mamma carina, gentilissima, dicendomi che suo figlio in quel momento era impegnato e non poteva venire al telefono. Quando è morto mi trovavo a Londra, per un lavoro in tv. Tornato in hotel, accendo la televisione e apprendo la notizia: sono rimasto di m... attonito. E il fatto incredibile è che, dieci anni dopo, mi trovavo di nuovo nella capitale inglese, quando mi telefona il mio agente per propormi di interpretare Orgia con la regia di Mario Missiroli... mi venne la pelle d’oca. Pasolini era un grande poeta, scrittore a tutto tondo, fuori dal coro. Mi sono sempre piaciuti gli atipici».
Per un tipo «atipico» come lei, cosa significa fare l’attore?
«Essere vero. Se sei vero sei credibile, è una giostra dove la finzione diventa verità. Non so chi sono io, so di certo chi sto interpretando. Attraverso i personaggi che incarno, con i quali faccio l’amore, imparo a conoscermi un po’ di più e, andando avanti con l’età, il modo migliore è lavorare fino allo sfinimento, agli ultimi giorni di vita, ubriacarsi di impegni continui, perdersi in tanti ruoli per dimenticare la realtà, non pensare alla morte. L’importante è rispettare rigorosamente il pubblico che ci aiuta a esistere, bisogna essere sempre disponibili e non deluderlo mai fino al paradosso...».
Quale paradosso?
«Faccio un esempio. Quella volta ero in motorino, mi viene addosso una Vespa, cado, mi rompo tre costole, ma il giorno dopo dovevo debuttare al Quirino con Woyzeck di Georg Büchner! Stavo ancora per terra e vengono a soccorrermi dei ragazzi: mi riconoscono e mi chiedono un autografo. Non riuscivo nemmeno a respirare, eppure non ho potuto dirgli di no... e ho firmato gli autografi».
Poi è riuscito a debuttare?
«Come no? Prima che si alzasse il sipario, mi rivolsi alla platea, spiegando quel che mi era successo il giorno prima, mi scusai per la mia voce non eccezionale, ma non volevo deludere gli spettatori e sarei andato in scena lo stesso. Un lungo applauso e il sipario si alzò per celebrare il rito della messinscena».
Qual è il ruolo più difficile che ha dovuto affrontare?
«Quello di padre, che la mia adorata figlia Celeste mi costringe a interpretare da quando è nata 17 anni fa. Mi sento inadeguato, comunque ci sto provando, lo sto vivendo per lei, che è stato un regalo di Antonella, la donna che ho sposato tre anni fa dopo che ci eravamo lasciati. Se non avessi Celeste sarei vuoto, arido, abbrutito. Di sicuro non sono un bravo genitore, non riesco a dirle mai di no, non sono capace a imporle delle regole... insomma il personaggio di padre mi riesce davvero male».
Paolo Jacobbi per “Il Venerdì - la Repubblica” il 10 ottobre 2021. Forse era destino che prima o poi la carriera dell'attore Alessandro Nivola (pronuncia Nivòla, alla sarda) si sarebbe incrociata con le vicende della famiglia mafiosa più celebre della tivù: i Soprano. Anni fa, guardando una puntata della serie, una puntata tutta ambientata a Napoli, il fratello di Alessandro si accorse che un'intera scena era girata proprio di fronte a una delle opere del nonno, Costantino Nivola, artista, scultore, art director, amico di Le Corbusier e di Jackson Pollock, nato in Sardegna e diventato famoso a New York. Adesso il nipote Alessandro è il protagonista de I molti santi del New Jersey. I Soprano: le origini. È un film per il cinema, uscirà negli Stati Uniti il 1° ottobre e il 4 novembre in Italia. Lo ha scritto e prodotto David Chase, il padre dei Soprano andati in onda dal 1999 per sei premiatissime stagioni. La serie ha avuto 111 nomination agli Emmy e ne ha vinti 21. Quattordici anni dopo la messa in onda dell'ultimo episodio resta un classico, scintilla del rinascimento televisivo degli anni Duemila e, non a caso, durante la pandemia è anche stata riscoperta dai vecchi fan o scoperta da chi non l'aveva vista a suo tempo. Quanto ai Molti Santi del New Jersey, la regia è di Alan Taylor, uno di famiglia, si può dire, perché aveva diretto diversi episodi della serie. Nivola, 46 anni, è invece una "new entry". Attore di lungo corso, lo abbiamo visto in decine di film, da Face/Off a Jurassic Park III, da American Hustle a The Neon Demon, raramente in ruoli di primissimo piano. Qui è finalmente protagonista, nei panni di Dickie Moltisanti, zio e mentore di Tony che è invece interpretato da Michael Gandolfini, figlio del compianto James. Nella serie originale, Dickie non c'è, ma se ne parla spesso: è la figura più influente nella formazione di Tony. Il film va alle origini del "fato" della famiglia Soprano, quel fato a cui è impossibile sfuggire, quel ciclo continuo di violenza compiuta e subita che non si può spezzare. Sullo sfondo, le tensioni razziali tra italoamericani e afroamericani a fine anni Sessanta e primi Settanta nel New Jersey. Alessandro Nivola, che rilascia l'intervista in ottimo italiano, giustamente scalpita. Ha dovuto aspettare più del dovuto, causa Covid più altri impicci. La lavorazione del film era finita a giugno 2019, ma poi Chase ha deciso di aggiungere cinque nuove scene. Il 13 marzo 2020, Alessandro era pronto, nel suo camerino, truccato e vestito come Dickie Moltisanti, completamente immerso di nuovo nel personaggio. Bussano alla porta, ma non per dirgli che è il momento del ciak. Gli dicono che il film è sospeso. Hanno ripreso in ottobre e, adesso, finalmente ci siamo.
Il personaggio della vita?
"Oh, sì. Dopo anni di lavoro, di tanti film non sempre riusciti, finalmente un personaggio strepitoso, in cui posso mostrare tutto quello di cui sono capace".
Un personaggio di italo-americano, per di più.
"Per anni, il mio nome è stato un impedimento. Per mille motivi. Intanto nessuno lo sa pronunciare. Negli Stati Uniti, Alessandro si pensa sia greco o spagnolo, non italiano. In più, nel '98, quando ero agli inizi, sono stato notato in un film inglese, I Want You, regia di Michael Winterbottom. Bel film, ambientato nella costa sud dell'Inghilterra con Rachel Weisz. Io interpretavo un pescatore con l'accento del luogo. Con il mio nome, più l'accento inglese, gli americani dicevano al mio agente che non sapevano come collocarmi. Ci sono stati dei momenti di grande frustrazione. Certi giorni pensavo di cambiarlo, prendermi un nome d'arte più comprensibile".
Perché non lo ha fatto?
"Perché sono troppo orgoglioso delle mie origini, della storia della mia famiglia, del nonno artista che sposò un'ebrea e lasciò l'Europa in fuga dal nazismo. E perché sono molto testardo. Così il nome me lo sono tenuto e al diavolo tutti quanti. Tutto sommato è andata bene così: è bastato aspettare l'occasione giusta ed è arrivata. Chase voleva un attore davvero di origine italiana, per fortuna".
Ha usato un po' i ricordi di famiglia per interpretare il film?
"Sì e no. Un certo modo di gesticolare, di camminare di mio padre, di mio nonno, quello sì. Ma l'esperienza dei miei in America non ha molto a che vedere con il solito cliché degli immigrati italo-americani. Il loro era un milieu completamente diverso. Erano artisti, non ricchi, ma colti e bohémien. Una storia abbastanza simile a quella della famiglia di Robert De Niro, il cui padre, pittore, infatti, era amico di mio nonno. Vivevano nel Greenwich Village, erano un mondo a parte".
Lei dove vive?
"Da quindici anni vivo a Brooklyn: ci stanno anche mia mamma e mio fratello, che è un artista. Abitiamo vicini. Sono stato diversi anni a Los Angeles, prima, perché mi pareva il posto giusto per costruire una carriera nel cinema. Ma poi con mia moglie (l'attrice e regista inglese Emily Mortimer, ndr) e i nostri due figli ci siamo spostati. Quando andiamo a trovare i suoi parenti in Inghilterra, il volo da New York è molto più breve e non so se lei abbia idea di quanto casino possano fare due ragazzini in molte ore di aereo".
Chi le ha insegnato l'italiano?
"Nessuno! Ho fatto da me. Mio padre parlava italiano solo con i suoi genitori, mai con i figli. E quando lo parlava davanti a noi, sussurrava: di solito per dire cose che non voleva che noi sentissimo. E poi lui era nato a New York, voleva essere un vero americano, aveva imparato l'inglese a scuola e, a un certo punto, addirittura si cambiò il nome: da Pietro a Pete. Solo più tardi nella vita, ha riscoperto le sue radici".
E lei quando le ha scoperte?
"Noi abbiamo ancora tanti parenti vicino a Nuoro. Quando ero molto piccolo non ci andavamo mai, erano gli anni Settanta e i miei avevano molta paura dei rapimenti. Mio nonno, lo scultore, era famoso e questo bastava a far temere che fossimo nel mirino dei banditi. Solo più tardi, quando ero già adolescente, sono cominciate le mie estati in Sardegna. I miei cugini non parlavano una parola d'inglese, io niente italiano. Mi comprai un libro di grammatica e mi misi a studiare così, da solo. Per anni, ho avuto un'identità un po' confusa. D'estate non ero abbastanza italiano, negli Stati Uniti non mi sentivo abbastanza americano. Non ho mai seguito il baseball ma adoro il calcio e Paolo Rossi era il mio eroe. Quando avevo delle esitazioni, quando mi sentivo un po' perduto, a metà tra due Paesi e due culture, ne parlavo con mia nonna, ebrea tedesca. Per lei, che era scappata dalle mostruosità della guerra, il concetto di Patria non era molto positivo. Si definiva cittadina dal mondo".
Negli anni dei Soprano in televisione, li guardava?
"Confesso che, ai tempi, guardavo molto poco la televisione, giusto lo sport e i notiziari. Appartengo a una generazione cresciuta con molti pregiudizi nei confronti della tv. Consideravamo fare l'attore in televisione molto meno prestigioso rispetto al cinema o al teatro".
Oggi chiaramente le cose sono cambiate.
"Moltissimo. E un po' è anche merito dei Soprano, una serie pioniera, che ha aperto la strada a un nuovo tipo di televisione. È stata una rivoluzione culturale".
Lei, che ha studiato a Yale e ha una formazione teatrale, ha debuttato a Broadway accanto a Helen Mirren.
"Sì, eravamo insieme in un allestimento di Un mese in campagna di Turgenev. Io ero appena uscito dall'Università, lei era già Helen Mirren. Mi sono innamorato pazzamente. Tutte le sere, durante il quarto d'ora di intervallo tra il primo e il secondo atto, mi piazzavo nelle vicinanze del suo camerino per cercare di attirare la sua attenzione. Lei leggeva il giornale e non mi ha mai filato".
L'ha incontrata ancora, dopo quell'esordio?
"Sì, abbiamo addirittura girato un film insieme, non un grande film, purtroppo, dove lei interpretava mia madre. Ogni tanto capita di vedersi a eventi o premiazioni. Una volta, ho anche raccontato in pubblico l'aneddoto della mia cotta per lei, consegnandole un premio. Ci siamo fatti una risata".
Niccolò Dainelli per ilgazzettino.it il 2 dicembre 2021. L'appuntamento con le domande dei follower su Instagram, per Alessia Marcuzzi è diventato una vera e propria abitudine. La showgirl e presentatrice romana risponde con sincerità agli oltre 5 milioni di follower su Instagram. E dopo aver rivelato di avere dei sex toys, ecco una nuova rivelazione molto hot. Sulle Instagram stories della Marcuzzi arriva una domanda secca, diretta e a bruciapelo: «Posto più strano dove hai fatto l'amore?». Alessia non si scompone di certo e, con una gif molto azzeccata, risponde al follower curioso. Alla domanda «intima» risponde con un aereo che lascia la scia di un cuore. Una risposta che lascia a bocca aperta tutti. Probabilmente è una delle fantasie erotiche più comune e irrealizzabile al mondo, ma non per Alessia Marcuzzi. Il suo posto più strano è stato proprio all'interno di un aereo. Dopo aver rivelato a tutti di avere dei vibratori nel cassetto, ecco un'altra confessione hot che infiamma il mondo del web.
· Alessio Bernabei.
Gaspare Baglio per rollingstone.it il 7 febbraio 2021. I talent possono fare male. E pure parecchio. Specialmente se sei un ragazzino di 21 anni con tanta voglia di emergere, ma totalmente impreparato a quello che sta fuori dalla bolla di uno studio televisivo dove tutti ti acclamano. Ne sa qualcosa Alessio Bernabei. Ex concorrente di Amici di Maria De Filippi, ex frontman dei Dear Jack, ex cantautore messo sotto contratto dalla Warner, ex ragazzo di successo. Una vita da ex, insomma. Già, perché a un certo punto, dopo primi posti in classifica, i dischi d’oro e di platino, le partecipazioni a Sanremo e un’esposizione mediatica continua, le luci si sono spente. Ora, dopo il singolo Trinidad uscito qualche mese fa, Bernabei ci riprova con Everest, che è «una metafora. L’Everest è la montagna più alta al mondo e la vita è una scalata verso una meta anche se, nel 99% del mio percorso, non mi sono goduto il viaggio».
Come mai non te lo godevi?
«Quando ti trovi, a 21 anni, a fare questo lavoro, con tante responsabilità e tante persone intorno, non ci si gode sempre quello che succede».
Capisco. Ma facciamo un passo indietro: hai partecipato ad Amici come frontman dei Dear Jack, un salto a Sanremo 2015 e poi lasci il gruppo. Che è successo?
«I veri Dear Jack, quelli originali, eravamo in due: io e il chitarrista. Ho iniziato a fare punk in un magazzino e poi ho messo in piedi un’altra band che faceva metal. Un mio amico mi ha detto che Amici aveva aperto alle band, ma mi sembrava difficile prendessero metallari per un programma di Canale 5. Così ci siamo alleggeriti».
In che modo?
«Portando canzoni che presentavo ai concorsi di canto cui mia madre mi obbligava a partecipare. Presi i primi ragazzi che mi capitarono e alle selezioni presentammo brani come Anima gemella. È stata una cosa improvvisata, ma hanno visto in noi una potenziale band per teenager».
E poi?
«Ci siamo trovati con un successo inaspettato tra le mani. Prima è una figata, poi ti mangia».
Cioè?
«La vita privata viene inghiottita da un qualcosa che non lascia spazio nemmeno per te stesso».
Tipo?
«Uscivo di casa e non c’era un momento in cui la gente non mi chiedeva la foto».
Quello però era il lavoro. Uno che partecipa a un talent una cosa del genere se l’aspetta e, anzi, la cerca…
«Sì, però, quando uscivo con la ragazza non mi godevo nulla. Nemmeno i live».
Addirittura.
«Noi abbiamo fatto il Forum di Assago, ma era come se fosse tutto dovuto, come se fosse normale per aver fatto quel programma. Invece col cazzo che era normale».
Ma tutto dovuto a chi?
«A una band come la nostra: ci aspettavamo tutto ciò che è successo, ci sembrava naturale perché quando ci annunciavano, ad Amici, sentivamo le urla delle ragazzine in studio. Eravamo abituati e proprio questo ci ha dato un’illusione. Ma è stata un’illusione: ecco la cosa negativa».
Cosa ti ha fatto dire basta?
«La convivenza costretta con dei ragazzi con cui non eravamo veramente fratelli, a eccezione di uno. Sei in giro su un van e, dopo un po’, se sei costretto a vedere ogni giorno le stesse facce, ti vai sulle palle. Tutte le parti caratteriali negative sono venute allo scoperto. Abbiamo tirato fuori il peggio di noi».
Qual era il tuo peggio?
«Essere un 21enne preso dalla giostra del successo che faceva gaffe e tweet stupidi: litigavo con la fidanzata e scrivevo la frecciatina su Twitter. Facevo critiche a gente dello spettacolo che, a pensarci adesso, mi direi: ma che cazzo fai?. E poi avevo perso anche la fame di scrivere. Eravamo come dei manichini in giro a fare interviste e apparizioni tv. Eravamo le rockstar, ma io non ero più l’artista che voleva fare musica. Ero proprio il ragazzino stupido che aveva sfondato».
Dovevate sottostare a delle regole?
«Sì, ma non le rispettavo. Una di queste era appunto stare fermi sui social ed essere produttivi: ricordarsi le date dei tour, fare promozione per bene. Non avevo la testa per quello. Avevamo un calendario molto esteso e dovevamo ricordarci tutto, ma ero l’ultimo in grado di farlo. Per un periodo mi misero a dormire con Riccardo, il batterista e il più grande del gruppo, altrimenti non mi svegliavo. Devo dire che i miei compagni, alcune volte, mi hanno anche salvato il culo».
Quando non rispettavi le regole che succedeva?
«Il manager mi diceva che ero un coglione».
Prendevate uno stipendio fisso?
«Avevamo un cachet a data, a livello economico non ci ho rimesso più di tanto. I patti erano onorati, che non ci dessero quello che ci spettava è un altro discorso. Che poi, per un ragazzo come me, pure se mi avessero dato 10 euro, al Forum di Assago ci avrei suonato. Eravamo ingenui».
Non mi hai ancora detto qual è stato il fatto scatenante del tuo addio ai Dear Jack.
«Una mattina mi sono svegliato e non avevo più voglia di suonare. Quella roba lì mi ha fatto capire che stavo sbagliando direzione. Quello che prima era il mio più grande sogno era diventato il mio peggiore incubo: stare su un palco. Non mi importava più, anche se mi dicevano che avrei fatto l’Arena di Verona, che poi è stato l’ultimo live insieme ai Dear Jack. Dovevo cambiare perché odiavo i miei compagni e la situazione».
L’hai subito detto al resto del gruppo?
«Ho spiegato loro il disagio. Ho detto, sinceramente, che mi stavano sul cazzo, uno per uno».
Reazioni?
«Erano sollevati perché ero diventato una palla al piede. Loro avevano stretto un’amicizia: ero io l’anello debole fuori da tutto. Mi hanno detto che potevo andare».
E tu?
«Ci sono rimasto male. Mi sono detto: ma come? Sono il vostro cantante, abbiamo fatto tutto insieme! Forse aveva stancato la mia presenza».
Quale aspetto di te non sopportavano?
«Soffrivano il mio essere pretenzioso. Avevo un’idea di band che loro non condividevano».
Vale a dire?
«Loro pensavano di essere una boy band, di essere tutti uguali. Io, invece, la immaginavo con un frontman che spacca supportato da una band che spacca allo stesso modo. Tipo Freddie Mercury e Brian May. Il resto del gruppo non è inferiore, sono musicisti coi controcoglioni, ma si fermano lì, non sono tutti frontman».
Come mai questa visione?
«Sono cresciuto con i Coldplay, con gruppi in cui il cantante è la ciliegina sulla torta. I Pooh non sono la mia idea di band.
Hai mai fatto una grande litigata coi Dear Jack?
«Non dico che arrivavamo alle mani, ma le discussioni erano infuocate. Ci mandavamo affanculo e magari, dopo due ore, avevamo un live e dovevamo sorridere. È questo che mi ha distrutto».
Il vostro manager era Lorenzo Suraci?
«Sì, era lui in prima persona: manager e discografico».
E come ha preso la tua dipartita? Immagino che lasciare il gruppo di un editore che ha Rtl 102.5, Radio Zeta e Radio Freccia non sia stato facile. Probabilmente avrebbe potuto garantire passaggi radiofonici…
«Lorenzo Suraci era un po’ come un padre severo, doveva vedersela con un ragazzetto di 21 anni inconsapevole delle cazzate che faceva. È stato fin troppo paziente, ma era tosta gestire quella realtà. È stato molto generoso, mi ha lasciato andare verso le mie esigenze. Da quel punto di vista non posso dirgli nulla».
E da quale punto di vista puoi dirgli qualcosa?
«Era un po’ come la signorina Rottermeier. Incuteva timore. Come potevo scamparla per le minchiate che facevo? Dicevo: sbaglia lui perché sono il cantante dei Dear Jack e faccio quello che voglio».
Invece?
«No, col cazzo. Aveva una responsabilità grandissima e molte volte è giusto che mi abbia fatto il culo».
Tra l’altro non ha scelto di seguire te, è rimasto con la band.
«Mi sono trovato un altro manager dopo essere stato per un periodo senza nessuno».
Come ti trovi col nuovo agente?
«Ne ho cambiati tre».
Eh, ma sei proprio difficile!
«Non riuscendo a capire chi ero, come facevano a capirlo gli altri? Ero instabile e, giustamente, le persone mi hanno mandato a quel paese».
Quando ti guardavi allo specchio cosa ti dicevi?
«Che coglione che sei, questo mi dicevo. Anche se, alla fine, ho sempre fatto pace con me stesso. E non è facile. Ho dovuto sbatterci la testa tante volte. Non potevo abbandonare la musica, anche se ho avuto la tentazione».
Ah, sì? E come mai?
«Perché la musica fa anche male. Trovarsi davanti a una certa realtà, essere insicuro, mi ha fatto riflettere se valesse la pena continuare».
Perché eri assalito da questi dubbi?
«Mi trovavo a interpretare brani che non volevo cantare, solo perché sotto al palco si aspettavano quella roba lì. Adesso mi metto a nudo: fare arte è anche questo».
Quali canzoni non volevi cantare?
«Per i singoli mi è andata bene, non mi sono mai dispiaciuti. Domani è un altro film è l’unica hit che mi emoziona anche se non l’ho scritta. Mi ricorda quei periodi belli, ma forse è l’unica. Non c’è un brano che mi fa schifo, ma ci sono tanti pezzi che non mi rispecchiano».
Il primo impatto quando sei andato via?
«Una paura enorme. Il brand Dear Jack aveva un impatto gigantesco, era la moda del momento. Ci paragonavano agli One Direction, avevamo lo stesso seguito. Per me è stato un salto nel vuoto: chi cazzo era Alessio Bernabei senza i Dear Jack?»
Eh, appunto, chi era?
«Non era niente. Forse il punto di forza era il viso, riconoscibile perché associato alla band. Non sapevo come sarebbe andata la carriera dopo quel successo lì».
Beh, non è andata benissimo…
«Noi siamo infinito è stato certificato oro, il singolo è diventato platino. Poi è stata una macchina che, piano piano, si è fermata del tutto».
E come hai vissuto questo stop?
«Ho avuto crisi di astinenza, ero abituato ad avere una vita al massimo e di colpo ero meno calcolato, meno considerato, avevo meno notifiche su Instagram. Tutte cose che mi hanno portato a una considerazione: ma allora tutto quello per cui ci avevano illuso non esiste. Se c’è un’inattività nel lavoro i risultati poi si vedono: la gente, se non gli dai canzoni nuove, che cazzo ti deve seguire a fare?»
Sei andato in depressione?
«Fortunatamente no, ho sempre cercato di essere centrato, ma sono stato molto male. Ho avuto molta insicurezza, quella che mi nascondeva il successo. Prima mi sentivo Freddie Mercury, poi col cazzo che lo ero».
E cosa eri?
«Una persona normale».
Maria De Filippi che ruolo ha avuto?
«La mamma. È stata presente nei momenti importanti. Durante il distacco dal gruppo mi ha supportato tantissimo: ha chiamato la Warner dicendo loro che ero solo, che valevo e dovevano farmi un contratto. Grazie a lei ho firmato».
Però poi sei andato via pure dalla Warner. Ti sei mai chiesto se, magari, il problema eri tu?
«Tantissime volte. Sentivo di essere una mina vagante, forse ero troppo pretenzioso o non sapevo chi cazzo ero. Ora inizio a capire la direzione da voler prendere. Fino a due anni fa, anche a livello musicale, non sapevo nemmeno dove andare a parare. La Warner non riusciva a stare al passo con me. Io volevo andare in una direzione, loro in un’altra».
Hai avuto anche difficoltà economiche?
«Non nascondo di averle avute. Fortunatamente ho fatto, prima del Covid, parecchie date. Questo mi ha permesso di non andare proprio sul lastrico».
Il colpo più duro è stato, immagino, l’anteprima del tour rinviata per pochi biglietti venduti…
«È stata la consapevolezza di capire che dovevo faticare e sbatterci la testa. Guardarmi allo specchio, darmi quattro schiaffoni e dirmi che non era più come prima. Bisognava rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per fare lo stesso numero di paganti. A livello musicale, poi, non ho dato nemmeno tutto quello che potevo dare. L’Alessio che non funzionava, che i fan non riconoscevano, che non vendeva dischi era quello che apparteneva a quei meccanismi che non dovevo seguire. Everest è il primo tassello con una consapevolezza diversa».
Chi ti ha deluso di più?
«Alessio Bernabei».
Troppo facile così.
«Mi hanno deluso in tanti, anche la mia band e Warner Music quando me ne sono andato. Una delusione dettata dalla paura, mia, di aver comunque lasciato una multinazionale».
Se tornassi indietro?
«Farei le stesse cose, erano una mia esigenza».
Ok, ma quali persone che ti hanno deluso?
«Quelle che ci sono state finché avevo le fan sotto casa e poi, quando le cose sono cambiate, non le ho più viste. Come amici e fidanzate che volevano la storia su Instagram per avere i miei follower e diventare influencer. Mi amavano per il mio lavoro».
L’anno scorso i Dear Jack hanno provato a fare una reunion, ma non ti hanno voluto.
«Non è proprio così».
E com’è andata allora?
«A gennaio dello scorso anno abbiamo provato a rimetterci insieme. A vedere come potevano andare le cose. Credevo ci fossero i presupposti, ho iniziato a fare sentire loro nuovi brani. L’obiettivo era farci vedere di nuovo insieme, per la prima volta, proprio ad Amici, dove tutto era nato».
E loro?
«Più passava il tempo, più mi accorgevo che era peggio di prima. A un certo punto ho detto ai ragazzi di fermare la giostra: non ci trovavamo».
Hai provato a tornare a Sanremo?
«Sì, con dei brani anche validi, secondo me. Ma non mi hanno accettato. Mi è dispiaciuto per la visibilità che quella piattaforma può dare. Mi avrebbe aiutato, ma la vita artistica non è solo Sanremo».
Questi brani presentati per il festival sono anche nel disco che stai preparando?
«Sì, usciranno come singoli, anche se a livello artistico cambio molto direzione».
Marco Carta, Moreno e Valerio Scanu hanno fatto dei reality come l’Isola dei famosi. Tu?
«L’Isola l’hanno proposta anche a me. E pure con un cachet bello grosso. Ho sempre rifiutato, non mi ci trovo a fare quel tipo di programmi».
Cosa hai pensato dei tuoi colleghi che, invece, hanno fatto i naufraghi?
«Buon per loro, si vede che sono predisposti per quei format».
Prossimo step?
«Sto facendo uscire un pezzo all’anno. Vorrei essere più attivo con le uscite di brani in cui credo. Ho l’esigenza di mettere in musica tutto quello che ho dentro».
Cos’hai dentro adesso?
«Insicurezza e malinconia. Un lato che ho sempre nascosto. Voglio mostrare le mie paure, forse le persone se lo meritano. L’arista di plastica non interessa, sono di carne e ossa».
I fan ti sono ancora vicini?
«Ho un fan club attivo e si sono fatti in quattro».
Ti senti più una rockstar o una popstar?
«Amo Kurt Cobain e Michael Jackson».
È una risposta un po’ paracula.
«Lo so. Allora diciamo che vorrei essere rock’n’roll come Cobain e performer come Jackson. Fondamentalmente, però, vorrei essere me stesso».
· Alfonso Signorini.
Silvia Fumarola per repubblica.it il 12 febbraio 2021. Insulti, volgarità, scene madri, abbracci, riconciliazioni, conversazioni senza capo né coda, bugie e grandi verità: quello che si vede al Grande fratello vip supera ogni immaginazione. Volano gli stracci e le querele, come nel caso di Laura Pausini che ha denunciato Alda D'Eusanio - espulsa. Aveva detto che il compagno picchiava la cantante. Un reality infinito (iniziato a settembre si concluderà il primo marzo), quello in onda su Canale 5 due volte a settimana, il lunedì e il venerdì, condotto dal direttore di Chi Alfonso Signorini.
Ha spiegato che "Grande fratello aiuta la gente a distrarsi". C'è un limite: non le sembra che ci siano state cadute notevoli?
"Le cadute ci sono state ed è quasi inevitabile che ci siano, per la natura stessa del programma, io parlo delle 24 ore in diretta. Come accade in qualsiasi casa italiana, ci sono cadute, litigi, parolacce che non vorresti mai vedere. Sono imprevisti che accadono senza filtri".
Senza filtri no. C'è una squadra di autori.
"È vero che ci sono, assolutamente sì. Si incontrano anche con i concorrenti in confessionale, ma alla fine sono gli inquilini della casa i protagonisti. Uno si comporta com'è, nel bene e nel male. Il limite è il proprio modo di essere. È un serpente che si morde la coda. Quando fai un casting per un programma come questo cerchi un mix, le personalità forti sono preponderanti, non cerchi esclusivamente i personaggi fuori dagli schemi ma ci deve essere una giusta alchimia nel gruppo. Quando fai un cast non riesci a capire dove vai a finire, pensi a Rosalinda Cannavò alias Adua Del Vesco, non è che avesse una grande personalità. Poi è uscita fuori. Tommaso Zorzi l'ho voluto io: dicevano che fosse una personalità poco gestibile".
Non avevano tutti i torti.
"Quando c'è l'esuberanza ma anche uno spessore intellettuale, va bene; l'ho voluto e non me ne pento. Come ho voluto Stefania Orlando. Sono entrato due anni fa come conduttore con grande rispetto, GF è una macchina da guerra che esiste da 20 anni. C'è un capoprogetto che si chiama Andrea Palazzo. Certo alcune cose non mi piacevano e allora l'ho fatto capire. Per esempio i giochini mi deprimono, alla fine li ho convinti a toglierli, mentre l'attenzione al racconto e all'emozione è molto nelle mie corde".
Poco emozionante Antonella Elia che fa body shaming contro Samantha De Grenet o Alda D'Eusanio che accusa il compagno della Pausini.
"Orrende. Ci mancherebbe, dico la verità, l'unica cosa di cui mi pento è non aver sentito la battuta di Mario Balotelli, ho rimproverato i miei. La Elia ha sbagliato e mi sono vergognato di non aver interrotto quella pagina. Ho sbagliato. Quando ho sentito Alda mi sono agghiacciato, ho capito che era una scheggia impazzita e ho voluto l'espulsione immediata. Mi è dispiaciuto".
Ha chiesto scusa a Laura Pausini?
"Se l'avesse detto nel mio serale sarei stato responsabile, deve chiedere scusa la D'Eusanio. Ma mi dispiace per Laura e la chiamerò".
Si sente più un conduttore o un domatore?
"Non lo so, più che un domatore sei un regista: devi calibrare e dosare gli interventi, le personalità. Non sono un conduttore, le categorie non le amo tantissimo, non mi sento neanche un direttore. A volte sono un domatore, a volte una pecora, a volte un fan, atteggiamento assai provinciale che deriva dalla mia famiglia che subiva il fascino del piccolo schermo. E infatti io subisco il fascino di Maria Teresa Ruta".
Si è chiesto perché milioni di persone continuino a seguire il reality?
"Mi stupisce che la classica tv generalista, intesa come strumento di compagnia relegata agli anni 80, continui a vivere e a lottare insieme a noi. Complice il raddoppiamento della prima serata e la durata, GF si è più "soapizzato": i risultati dimostrano che regge ancora e interessa il pubblico, elemento su cui bisogna riflettere. Il concorrente non è più concorrente. Io ho ricevuto 350 mail di lettori che mi chiedevano di fare le condoglianze a Dayane Mello, anche persone con una loro struttura. Stiamo assistendo a un processo di identificazione strano, insolito; gli inquilini del GF diventano vicini di casa, abitanti di un condominio".
Ognuno ha il suo modo di reagire al lutto, quindi massimo rispetto. Ma Dayane Mello dopo la perdita del fratello ha chiesto di tornare nella casa. Non le è sembrato strano?
"Molto strano, io non avrei reagito così. Lei ha preferito rimanere lì e lo ha spiegato alla psicologa del programma: "Voglio restare in casa perché ho bisogno di sentire gli abbracci". Parlare della morte non è stato facile. Se poi guardiamo anche dal punto di vista analitico e cinico, non sono abbracci veri, è un tipo di realtà che nel quotidiano non esiste. Però la sfida è inserire emozioni. La persona è nella sua quotidianità all'interno di una struttura complessa e falsata. Quando entri in una casa vigilata dalle telecamere, il rapporto con la realtà è dilatato".
Lei urla "vipponiiiii", e suona vagamente una presa in giro.
"Lo è. Come stravip, c'è una forte carica di ironia, in vipponi c'è l'assonanza con pipponi. Come quando dico a Elisabetta Gregoraci che è chic e la tratto come Grace Kelly al Ballo della rosa. Poi se ci crede è un problema suo".
Si definirebbe cinico?
"Ovvio. Chi fa televisione non lo è? Poi non sei solo cinico, saresti una macchina da guerra. C'è un processo stranissimo di identificazione: io mi commuovo veramente, mi identifico nel dolore di Maria Teresa Ruta. L'affaire Zenga: se mi prendi come Alfonso, che sia figlio o padre, non aspetto il GF per farmi vivo con mio figlio. Ma quando Walter decide di avere il confronto, lì si illuminano gli occhi del cinico. Allora al posto degli occhi ho le slot machine".
Parteciperebbe al "Grande fratello"?
"No mai. Non perché sia snob, non ho un pregiudizio nei confronti di questi programmi, ma mi mancherebbero i miei riti quotidiani a cui non sono più disposto a rinunciare. Non è che siano chissà che cosa: il pianoforte, il mio gatto, la mia casa, i miei incontri notturni quando ci sono. Sono stato fidanzato 14 anni con Paolo, ognuno ha deciso di fare la sua vita, ma ci amiamo più di prima. Sulla carta tutto più facile, in realtà molto più difficile".
Non le dispiace di creare falsi miti col "Grande fratello"?
"Certo che ci penso. Allargherei il discorso non tanto ai reality ma alla tv, chiunque faccia tv ed è colpito dalla luce rossa si trasforma in personaggio, mostro, dipende da quello che è la persona. La macchina del reality costruisce tanti mostri, la mia responsabilità è al 50%. Se non ci fosse il sistema non diventerebbero mostri, ma scelgono".
Nel 2015, quando ha pubblicato il libro "L'altra parte di me", ha detto che si dava 3 o 5 anni per lasciare la direzione di "Chi". Non ha lasciato.
"L'intenzione c'è sempre. Mi do un massimo di tre anni, a 60 anni abbandono la direzione. Anche se non è un peso per me, Chi è una distrazione piacevolissima, me lo sono costruito addosso e lo faccio con la mano sinistra. Ma mi piace coltivare i miei interessi, voglio dedicarmi alle regie delle opere".
Sempre convinto che "Il pettegolezzo distrugge. Il gossip costruisce"? È un po' giocare con le parole, non trova?
"Ho studiato la filologia. Il pettegolezzo molesto è la diffamazione, è tutto ciò che distrugge; il cicaleccio, quello che ti consente di staccare, allieta la vita. Poi a volte il gossip diventa pettegolezzo".
Barbara D'Urso fa gossip o pettegolezzo?
"Fa tante cose. È una donna che lavora come una pazza, ha una resistenza fisica unica, è un fenomeno. Andrebbe studiata. Quando lavi i piatti, uno lo spacchi. È capitato a me, a chiunque, di fare delle brutte pagine ma non fa solo quello. A volte fa gossip, a volte le capita di fare pettegolezzo".
È diventato buono?
"Ho capito che fare la televisione non è una passeggiata. Da opinionista certi concorrenti li avrei strapazzati, entri in una logica con cui devi fare i conti. Non guardo la tv, il poco tempo libero che ho lo spendo in modo diverso. Gianni Boncompagni diceva: 'La televisione è già un delitto farla, figurati guardarla'. Dopo che ho conosciuto la fatica di farla, sono più rispettoso".
Chi era il Signorini che andava da Chiambretti rispetto a quello di oggi?
"Il Signorini del programma di Piero era un bambino goloso del banco di dolci, quello di oggi non ha più la fame di una volta, ma neanche il candore e l'incanto. Quindi, inevitabilmente, è un po' indurito dalla vita. Mi piacerebbe tornare a quegli anni".
L'ha accompagnata la voglia di riscatto, poi ha conosciuto il potere, la famiglia Berlusconi. Che ha capito?
"Il potere è qualcosa da cui bisogna stare molto lontani. È bello da vedere, da frequentare, ma come si può vedere un meraviglioso spettacolo a teatro. Non bisogna prendere troppa confidenza con il potere. Grazie al cielo, anche se mi dicono che sono un uomo di potere, non mi frega niente".
Forse perché il potere ce l'ha?
"Sono uno dei pochi direttori che non frequenta i salotti perché mi annoio. Poi mi legano dei rapporti affettivi: se vuoi bene a Berlusconi, vuoi bene a un uomo di potere. Ma non vedo in lui, in Marina o in Piersilvio, il potere. Non parlo di lavoro o della situazione politica. Come vado in vacanza con Marina vado in vacanza con la mia amica Maddi, che ha 65 anni e ha problemi a arrivare alla fine del mese".
Laurea in filologia medievale, diploma al Conservatorio. Ha insegnato italiano, latino e greco, storia e geografia. Oggi come spiegherebbe ai suoi studenti che è il re del gossip e del reality?
"È da Tso, lo so. Sono fatto così che devo farci. Faccio televisione e se incontro Pippo Baudo mi batte ancora il cuore, se vedo la Carrà svengo. Da melomane incallito quando ho firmato la mia prima regia ho dovuto affrontare i pregiudizi del mondo musicale, della cultura con la C maiuscola. Mi sono trovato alla prima prova della Turandot e mi guardavano tutti con cattiveria, se avessero potuto mi avrebbero sbranato. Prende la parola il soprano Martina Serafin, appena tornata dal Metropolitan di New York: 'Cosa c'entra lei che fa il Grande fratello?'. Le ho detto: 'Ha ragione, non ho una risposta ai suoi dubbi, le idee chiare non ce l'ho, ma la musica la conosco'. Mi sono messo al piano e a leggere quello che le note mi ispiravano, ho visto negli occhi la trasformazione. Ma rinnegare non avrebbe avuto senso. Mi piace leggere Seneca, De brevitate vitae, in latino, amo suonare il Preludio di Chopin, parlare di vaccini con la Ruta, far sapere che Belen è incinta. Ci sguazzo, la vita è fatta di tanti colori. Sono affamato di vita, so dove arrivare assumendomi anche i rischi".
Rifarà il "Grande fratello"?
"Che ne so, a me non l'ha detto nessuno. Ora voglio solo sparire, voglio fare le mie ciaspolate, mi aspetta la montagna. Il reality è una macchina, e dovrei cominciare adesso a pensare al cast" .
Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 22 agosto 2021.
Chi è nata prima?
Ellen: «Alice: è più anziana di me di 45 minuti».
Alice: «Io pesavo due chili e duecento, Ellen un chilo e 800. Ancora oggi peso di più: io 61 chili, lei 60,4».
Il pregio e il difetto di sua sorella?
Ellen: «Il difetto è che è un po' negativa, pensa troppo alle cose, è sempre incerta. Il pregio è che è molto precisa a tenere tutte le carte in ordine: è una buona segretaria». Alice: «Il suo difetto è anche il pregio: decide troppo rapidamente e a volte dice di sì senza pensare. Ma se non fosse per questo suo lato, tante cose non le avrei fatte».
Alice ed Ellen Kessler hanno compiuto 85 anni il 20 agosto. Cena in un ristorante italiano a base di pesce e champagne con due amiche a Monaco di Baviera, la città in cui vivono sotto lo stesso tetto, ma in due appartamenti separati. In comune hanno lo scantinato, dove si allenano a giorni alterni «per permettere a entrambe di eseguire gli esercizi all'unica spalliera senza perdere il ritmo».
Cosa vi siete regalate?
Alice: «La cena».
Ellen: «La verità è che non ci regaliamo più niente, non abbiamo bisogno di nulla. Ma abbiamo ricevuto moltissimi bouquet di fiori, dagli amici, dalla banca, da quelli che sono interessati a che restiamo in vita!».
Com' è la vostra giornata tipo?
Ellen: «La mattina facciamo una piccola colazione separata. A pranzo mangiamo insieme: cucina un giorno una e un giorno l'altra, se non andiamo al ristorante. La sera ognuna sta per conto suo».
Alice: «Amo la pasta con le zucchine, Ellen gli spaghetti con le vongole. Prepariamo tanta pasta così mangiamo meno carne».
Il ricordo più vivido?
Ellen: «Il primo ingaggio al Lido di Parigi con le Bluebell Girls. Venivamo dalla Germania dell'Est, dopo aver vissuto 18 mesi a Düsseldorf. Per noi era una cosa fantastica: quei costumi, il pattinaggio su ghiaccio, non avevamo mai visto una cosa così. Era come andare sulla Luna!».
Alice: «In Italia il ricordo professionale più bello è stato quando Garinei e Giovannini ci chiesero di fare Viola, violino e viola d'amore. Nessuno credeva che potessimo stare su un palcoscenico, la televisione ci aveva relegate a fare le stesse sigle un po' superficiali. Invece la prima fu uno stra-successo. Una sera andammo a mangiare al ristorante e vi trovammo Anna Magnani: lei si alzò in piedi e ci applaudì. "Voi siete meravigliose!"».
Il vostro luogo del cuore in Italia?
Ellen: «Positano, dove trascorrevamo il mese di agosto a casa di Zeffirelli. Lì si incontravano persone interessanti, da Carla Fracci a Gregory Peck».
Alice: «Ormai in Italia in vacanza non veniamo più, troppi telefonini, non potremmo stare in spiaggia senza che qualcuno si avvicini per una foto. Andiamo in Florida, dove nessuno ci riconosce».
Un amore indimenticabile?
Ellen: «Umberto Orsini senz' altro, sono stata con lui per vent' anni. Quando ci lasciammo, stetti male per quattro mesi. Poi la vita riprende, avevo il mio successo, mi sono rassegnata. Da allora, però, basta con gli uomini. Ora abbiamo solo tanti amici gay, che sono dei fantastici cavalieri!».
Alice: «Marcel Amont ed Enrico Maria Salerno. Ma il legame più interessante è stato quello con Salerno perché era un signore un po' imprevedibile, non sapevi mai cosa sarebbe successo il giorno dopo».
Avete fatto incontri incredibili. Chi vi ha colpito di più?
Alice : «Harry Belafonte: uomo meraviglioso, cantante bravissimo e si è dato da fare per gli afroamericani».
Ellen: «Frank Sinatra: abbiamo lavorato insieme due volte. Stupendo: cantava, recitava, con noi era sempre gentile e ci trattava come due ladies».
Avete detto a «Oggi» che lascerete l'eredità a Medici senza Frontiere.
Ellen: «Non abbiamo più parenti e se li abbiamo non li conosciamo. Abbiamo scelto loro perché rischiano la vita per gli altri, hanno preso il Nobel per la Pace e sono seri».
Ed è vero, come ha riportato la «Bild», che desiderate riposare nella stessa urna?
Alice : «Sì, con nostra madre e il nostro barboncino Yellow».
· Alina Lopez e Emily Willis.
Barbara Costa per Dagospia il 20 febbraio 2021. “Io voglio essere libera, non voglio legami, non voglio fidanzati. Io voglio sc*pare e godere con chi mi va. Mi chiamano p*ttana? Tanto meglio, ché di quello che pensano gli altri non me ne può fregare di meno!”. Capito, sì? Alina Lopez è una che parla chiaro, lei ha la lingua lunga, non solo per quello che dice, ma proprio in centimetri, ce l’ha più lunga della media, anche se in realtà non se l’è mai misurata. Ma tu, la vedi, benissimo, nei suoi porno, quanto è lunga e quanto tale sua linguona giri, lecchi, su e giù, e dappertutto, per ani e sessi, e ambo i sessi. E quando l’azione si sposta in bocca… Confessalo: i video di Alina per cui smani, sono quelli dove le vengono in bocca, la ingozzano di sperma che lei non deglutisce, ma si sputa sui seni, con soddisfazione, la stessa con cui appena dopo guarda in camera, e ti fa l’occhiolino. Vero? Mio caro, il presente e il futuro del porno è vivo, bacia pelli giovani, e "parla" sudamericano. Alina Lopez, con la sua collega Emily Willis, sono tra le pornoattrici che si stan facendo strada, e sono figlie di immigrati. Sono la nuova generazione americana che bussa alle porte della porno gloria. Reclamandola. Alina è messicana, Emily è argentina, ma lo sono solo d’origine: Alina è nata a Seattle, quinta di 7 fratelli, mentre Emily è stata portata via dall’Argentina a 6 anni, causa il divorzio della madre, e suo nuovo matrimonio con uno statunitense. L’origine sudamericana non è l’unica qualità che le accomuna: sarà un caso, o forse, chi lo sa, magari ha la sua importanza, ma sia Alina che Emily sono cresciute in comunità mormone. Hanno retroterra e educazione religiosi, peculiari e ortodossi, che però non hanno impedito a tutte e due di perdere la verginità in fretta, Alina a 14 anni, e Emily a 13. Background spirituale a parte, hanno entrambe scelto il porno dopo un diploma e lavori part-time che le hanno su due piedi licenziate: Alina installava panelli solari, Emily era una venditrice porta a porta. Perdi il lavoro, e che fai? Ti disperi? A 20 anni!? Senti, tu fa come ti pare, Alina è andata a Las Vegas a sp*ttanarsi quanto le restava sul conto corrente, e Emily… ha cambiato ragazzo. Chi lo dice che la Generazione Z sia disperante, con poche o nulle risorse, e che il suo futuro sarà tetro? A me sembra il contrario, almeno per coloro che non stanno fermi, col c*lo sul divano: Alina via social ha contattato tra gli agenti-porno migliori su piazza, ricevendone la possibilità di un provino. Lo ha superato, grintosa ma senza aspettarsi imminente e gratuita riuscita, anche perché appena arrivata sul set l’hanno rispedita a casa. Il motivo? Un febbrone che lei tentava di dissimulare per paura di fare chissà quale brutta figura. Uno stop di 2 settimane, e di nuovo in prova, sul set. Invece, Emily Willis ha iniziato col porno amatoriale, con qualche incursione nel professionale. È rimasta a porno-spasso per mesi. Caparbia ha insistito, caparbia ha trovato la sua porno occasione, e oggi è un vulcano. Chi può fermarla? Queste ragazze non sono sicuramente la gioia di ogni genitore, ma sono sicure di sé, hanno la padronanza dei loro corpi, intente a costruirsi delle personalità singolarissime e d’acciaio. Padronanza e personalità che, non so te, ma io non intravedo di un grammo in influencer, attriciucole, showgirlucole anche note. Biasimi Alina e Emily per la loro sfacciataggine? “L’anale nel porno c’entra nulla con quello che fai in privato”, dice Emily, “o almeno, con il poco che ho fatto io prima del porno! Qui ti insegnano le tecniche per rilassare i muscoli, ma ti svelo un segreto: dopo 2 giorni di riprese, "dietro" ti fa male, eccome!”. Aspetta… come dici? Queste due non sono donne rispettabili, e il problema sta sempre in ciò che pensano e dicono gli altri!? Uffa, l’ho scritto, riscritto, e te lo ripeto: questi "altri"… altri non sono che gran parte del pubblico porno! Come Alina, Emily scrolla la spalle a critiche e insulti: “Mi danno della tr*ia, della p*ttana? Io amo essere una tr*ia, adoro essere una p*ttana. Faccio un lavoro che mi piace, e faccio la vita che voglio fare” (scusa, lettore: spero ti sia chiaro, che denigrazioni quali tr*ia, p*ttana, nel porno non hanno valore, e dovrebbero iniziare a non averlo nella vita di tutti i giorni. O pensi che un sesso e un ano, di porno incontaminati, valgano più di quelli di un o una pornostar? Ah, ho capito: tu prezzi il tuo sesso, e quello degli altri… Che orrore). Mostrare il sesso in un porno è l’azione meno intima che esista: il porno non è sesso, il porno è spettacolo, è intrattenimento volto a stimolare piacere in chi decide di vederti. Emily Willis ha un uomo ideale? “No, ma lo preferisco grande di età. In ogni caso, uno che non sa come si tratta un clitoride…io lo caccio via!”. Alina e Emily sono state già "strapazzate" da Rocco nostro, e non solo: in molti porno recitano insieme, e tu, le hai viste nel lesbian con lo strap-on? No? E che aspetti? Meglio che ti sbrighi, perché le due fanno già programmi post-porno. Lo sanno, che staranno al top fin che la giovane età sarà loro alleata, come sanno quanto questa alleanza sia fugace: lasciato il porno, Alina vuole insegnare yoga, e Emily vuole fare l’infermiera. Dopo seri e adeguati studi, è il caso di dirlo?
P.S. Emily ha fatto strage di premi agli ultimi Oscar del Porno: è lei la Miglior Attrice dell’Anno! Il suo "Insatiable: Emily Willis" è stato pluripremiato. Emily e Alina, coralmente ad altre giovani pornostar, sono premio Oscar come Mainstream Venture of the Year. Mi sa che queste due, a fare l’insegnante e l’infermiera, non ci pensano più…!
Barbara Costa per Dagospia il 12 dicembre 2021. Lei è innocente, candida come Biancaneve, fino a che non ha a che fare con la regina cattiva e trans! Perché allora eccola che diventa pura energia sessuale, animalesca, e fiera si fa femmina impetuosa, e nell’ansimare la più triviale, e nell’orgasmo la più plateale, e guardatela come furba sgrana i suoi occhioni davanti al nuovo porno-daddy da spennare! Lei è Emily Willis, la Miglior Attrice Porno '21, premio Oscar in carica insieme agli altri 8 che ha messo sui nuovi scaffali del suo appartamento con tre camere da letto. Quest’anno Emily Willis, nonostante Covid e chiusure, tamponi e finalmente vaccini, è la performer che più ha lavorato, e tanto sui social e tanto sui set, divampando in lavori quali "Fairest of Them All", una porno succosa versione di Biancaneve. La 22enne Emily Willis è già sul tetto del porno, e ce la farà a restarci? Si porno-brucerà? Come cambia la vita di una ragazza che ha già raggiunto traguardi che gran parte delle sue colleghe è destinata per tutta una pur buona carriera a sognare? Se vinci l’Oscar del Porno quale Miglior Attrice la prima cosa che cambia è il tuo conto in banca: poche ciance, anche per una scena la più semplice prendi molto di più perché diventa tuo diritto pretendere e ottenere cachet molto più alti rispetto all’attimo prima di stringere quella statuetta nelle tue mani. Vai di diritto in copertina, il tuo nome spicca sempre in cima, ti si spalancano le porte dei progetti i più sontuosi. Come afferma Colin Allerton, vicepresidente di "Adult Empire", colosso dello streaming porno, "Insatiable", porno premio Oscar di 5 scene tutte interpretate da Emily Willis (tra cui la sua prima di doppia penetrazione) “è tra i video più venduti e scaricati, rimane in tendenza, e non scende”. Adult Empire traccia il valore di mercato delle pornostar in base ai numeri di vendite e di download. E Emily Willis è da 12 mesi stabile sul podio delle più remunerative. Una combinazione di aspetto, personalità, abilità prestazionale, ovvia sfrontatezza e amore per il sesso e esibirlo: tutto giusto, necessario, ma cos’ha, cosa deve avere una attrice porno più delle altre per sfondare? Per esser tra le pornostar la più seguita pure tra un pubblico giovane, rispetto a quello passato frammentato e non portato alla porno-fedeltà, e che cambia video e performer a tempo e misura di clic? Sono questi tutti quesiti che mi sa non hanno soluzione. Emily Willis ha ambizione fuori dal comune, se si interrogano i registi che la scelgono e con lei vogliono lavorare, registi che sono nel porno da decenni e che di ragazze ne hanno viste a caterve, registi che però ti dicono che Emily “è destinata alla celebrità” (Jules Jordan), che “se ci fosse una gara tra la sua bellezza e la sua bravura, sarebbe critico proclamare il vincitore” (Claudio Bergamin), e che “è una gran lavoratrice, è giovane ma con un temperamento già ben definito” (Julia Grandi). Tutto bello, lodevole, e però, qual è la chiave giusta per ottenere successo? Si punta sui social, su Pornhub, su determinate scene? Sullo stakanovismo? Non si sa. Da quando è la regina del porno, Emily Willis lavora con meno frequenza di prima, quando girava anche 5 scene a settimana. Oggi le distanzia, sebbene il suo ritmo di lavoro sia serrato, e la sera vada a letto presto per poi la mattina alzarsi prestissimo e stare a meditare un’ora prima di raggiungere i set. Emily dice che è la meditazione il suo segreto per mostrarsi così grintosa e sicura. Sarà. Altre voci di boss del porno rivelano che Emily Willis è tra le più scritturate perché non crea problemi: è il suo buon carattere la sua arma vincente. Nell’ambiente porno, al suo interno competitivo e invidioso, lei non è negativa e non fa chiacchiere, non parla male di nessuno, come non è untuosa. Lei lavora, con serietà e abnegazione. Ogni volta, dopo ogni scena, ricomincia da capo. Lei con Mick Blue da poco ha girato "Uncut", duro sesso gonzo, senza copione, e attenti che la performance in auto è senza tagli, sc*pata e servita nella sua verità. Emily Willis accetta inusuali sfide: è la protagonista dell’anal di apertura di "The Red Room”, debutto alla regia porno di Seth Gamble, attore veterano ma vergine dietro la telecamera. Ma una che è Oscar in carica per Miglior scena lesbo a due e di gruppo, Miglior threesome etero e Miglior gang-bang di fellatio, quali considera le sue scene più riuscite? “"Oil for Days"”, ti dice Emily, “e quella con Rocco Siffredi, e quella con Jax Slayher dove succhio lo sperma dal suo ombelico”. E le peggiori? “L’anal con Dredd! Una grande fatica, dati i suoi 30 cm”. Ma ci hanno testé riprovato, con una nuova scena, “e stavolta è stato più facile”. E Emily ammette le difficoltà che ha a girare con le donne, con le quali si scopre “poco sicura di farle stare bene. Io voglio che con me si sentano libere di esternare tutta la loro ferocia”. E ci sono scene che ambisce a fare? “Una gang-bang da record”, risponde Emily, “con me vale il detto: più siamo meglio stiamo!”. Questa argentina (nata a San Rafael, ma a 5 anni portata negli USA, a St. George, Utah), questa mormona che si guadagnava da vivere vendendo apparecchi satellitari porta a porta, e che in privato vuole uomini più grandi di lei, sc*pamici fidati, Emily Willis, col suo corpo scolpito dalla danza (ecco una cosa che accomuna varie pornostar, la danza: hanno un simile bagaglio Valentina Nappi, Malena, Aubrey Kate, e molte altre, ma è vano associarlo al loro successo per motivarlo), un corpo armonico dacché bilanciato, senza posticce tettone né posticcio culone, l’opposto dell’acuito Kardashian-style, sarà il porno trend di questi anni '20?
Miguel Bosé racconta di aver perso la verginità con Amanda Lear. La reazione della cantante è immediata. Valentina Mericio il 20/11/2021 su Notizie.it. Amanda Lear ha risposto a Miguel Bosè dopo che il cantante ha confessato di aver perso con lei la verginità. Della leggendaria cantante e presentatrice Amanda Lear si sono sentite le storie più diverse tanto che, in più occasioni, vip quali Giucas Casella e Simona Izzo hanno raccontato che la celebre musa di Salvador Dalì sarebbe nata addirittura uomo. Eppure non molti conoscono anche un altro retroscena. Miguel Bosé ha infatti raccontato alla giornalista Nuria Roca di aver perso la verginità proprio con Amanda Lear. La replica della cantante non si è fatta attendere. Alla base di tutto, vi sarebbe un rapporto, a tratti conflittuale, tra Miguel Bosè e il padre, il noto torero Dominguin. In particolare – rivela il cantante – pare che questo incontro così tanto ravvicinato con la musa di Salvador Dalì sia stato “architettato” proprio dal padre e il pittore. Il Torero – ha spiegato Miguel Bosè – non vedeva l’ora che il figlio fosse “iniziato al sesso per ‘gareggiare’ con lui con le altre donne”. Miguel Bosè ha aggiunto che quell’esperienza ha rafforzato il rapporto con la Lear che si è evoluto in un’amicizia fatta di complicità e che resiste ad oggi: “Da allora, io e Amanda continuiamo tutt’oggi a vivere un’enorme fratellanza e complicità”. Non si è fatta attendere la replica immediata della cantante che, intervenuta a Verissimo ospite di Silvia Toffanin ha dichiarato: “Non capisco perché Miguel abbia raccontato questa cosa privata, ma si vede che gli ho lasciato un bel ricordo […] Lui era il figlio del grande torero Dominguin, che era un grande conquistatore ed era preoccupato che Miguel fosse troppo delicato, dolce. Lui veniva spesso ospite da Salvador Dalì a Cadaqués e un’estate Dominguin me lo ha buttato praticamente tra le braccia. Io e Miguel siamo andati a fare una passeggiata ed è successo”.
Amanda Lear: «La prima volta di Miguel Bosé? Suo padre me lo buttò tra le braccia». Il Corriere della Sera il 20 novembre 2021. Lo rivela la cantante e attrice domenica 21 novembre a «Verissimo»: «Il padre di Miguel, il torero rubacuori Luis Dominguín, aveva paura che Miguel fosse gay». Amanda Lear replica in tv all’ormai incontenibile Miguel Bosé. Il cantante e ballerino, 65 anni, dopo anni di silenzioso riserbo sulla sua vita privata, da qualche tempo sembra non aver voglia di parlare d’altro. Nei giorni scorsi i contenuti della sua intervista alla rete televisiva «La Sexta», al quale ha dichiarato che «il Covid non esiste» e confessato di aver fatto da giovane un sostanzioso u so di droghe , hanno fatto il giro del mondo. Ora al centro dei gossip c’è il suo memoir pubblicato in Spagna, «El hijo del Capitán Trueno» (Il figlio di capitan tuono, ed. Espasa) nel quale, dopo aver rivelato che i suoi genitori, l’attrice Lucia Bosé e il torero «tombeur de femme» Luis Miguel Dominguín, «erano dei mostri», rivela di aver perso la verginità niente meno che con Amanda Lear. Il cantante spagnolo ha rivelato che l’incontro con la musa di Salvador Dalì è stato pianificato da suo padre, Luis Miguel Dominguín. Il più famoso torero di sempre desiderava che il figlio fosse come lui, conosciuto per essere un irresistibile rubacuori (Lucia Bosé, madre di Miguel, rivelò che il loro era «un matrimonio molto affollato». Lo disse anche Lady D del suo, ma lì erano «solo» in tre. La diva spagnola raccontò che, dopo essere stato a letto con Ava Gardner, il marito l’aveva salutata dicendo: «Scusa, devo andare a raccontarlo agli amici»). Quindi predispose un piano per scongiurare il «rischio» che Miguel potesse essere gay, e affidò alla Lear il compito di sedurre Miguelito. La Lear, 82 anni, ha ripercorso i fatti con Silvia Toffanin nella puntata di «Verissimo» che andrà in onda domani, domenica 21 novembre, confermando di avere avuto l’incontro con Bosé — e confessando di essere decisamente sorpresa del fatto che lui lo abbia reso pubblico. «Non capisco perché Miguel abbia raccontato questa cosa privata, si vede che gli ho lasciato un bel ricordo». E ha aggiunto: «Lui era il figlio del grande torero Dominguín, che era un grande conquistatore ed era preoccupato che Miguel fosse troppo delicato, dolce. Lui veniva spesso ospite da Salvador Dalì nella sua villa a Cadaqués, in Catalogna, e un’estate Luis me lo ha buttato praticamente tra le braccia. Io e Miguel siamo andati a fare una passeggiata, ed è successo».
Leonardo Martinelli per "Specchio - la Stampa" il 25 ottobre 2021. Nel pomeriggio di un autunno dolce e intimo, nel cuore di Parigi, al teatro della Porte Saint-Martin, ritroviamo un'Amanda Lear diversa, più vera. A partire dal ruolo che sta interpretando qui tutte le sere. Dal 2009 in Francia il palcoscenico è diventato la sua nuova vita (una delle mille, tra cantante di disco music, musa di Salvador Dalì e David Bowie, personaggio televisivo, pittrice). «E durante il confinamento mi chiamavano per propormi di ritornare a teatro con la solita commedia divertente. Io rifiutavo. Mi sono detta: se mi faccio rivedere, voglio sorprendere, altrimenti resto nella mia bella casa in Provenza a dipingere, con i miei gatti». D'un tratto è arrivata la proposta di Michel Fau, attore impegnato ma anche imprevedibile («un fuori di testa», sintetizza Amanda). Il titolo della pièce: Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford?, sulla falsariga di un film indimenticato, Che fine ha fatto Baby Jane?, di Robert Aldrich, anno 1962. Raccontava la rivalità tra due sorelle, vecchie attrici, una sulla sedia a rotelle (la Crawford) e l'altra pazza e alcolizzata (la Davis). Il riflesso della guerra che le due interpreti si erano fatte davvero sul set. Ecco, la pièce racconta proprio questa vicenda, un faccia a faccia tra Fau (che, travestito, è la Davis) e la Lear (che, con una parrucca e irriconoscibile, è la Crawford): lettere che si inviano, un confronto feroce e cinico. «È un ruolo diverso: non più le donne trionfanti, stupende e seducenti che avevo interpretato finora - racconta Amanda -. Si tratta di una diva alla fine della carriera, perfida e cattiva. È un ruolo più serio, drammatico». La critica francese plaude, il pubblico anche. A un certo punto Fau, che è pure regista, la fa morire sul palco cantando. Il brano è la versione inglese di una canzone di Charles Trenet, Que reste-t-il de nos amours, scritta nel 1942. Fa parte del nuovo album di Amanda, Tuberose. Pure questo è un ritorno, l'ultimo risaliva al 2016.
C'è la disco music?
«Per niente. I fans che mi seguivano in discoteca quarant' anni fa, ormai li vedo solo in farmacia.
Nel nuovo album ho raccolto una serie di grandi classici francesi, ma non scontati, pezzi di artisti come Alain Bashung, Miossec, Serge Gainsbourg, Barbara, Jacques Dutronc C'è anche un remake di una canzone italiana, Amandoti, dei Cccp, con cui collaborai nel passato. Canto con un pianoforte e una chitarra la solitudine, il tempo che passa, gli amori finiti. È un album malinconico, ma non triste».
«Una ventina d'anni fa - ricorda - Toto Cutugno me lo aveva proposto: ti scrivo una canzone strappalacrime italiana, saresti adatta. Io avevo rifiutato. Ma aveva ragione lui: io sono molto malinconica». In questo pomeriggio a Parigi, imprevedibilmente tiepido, rassicurante, l'Amanda burlesca della tv sembra lontana anni luce.
«Quello è un personaggio che ho inventato, quando iniziai a lavorare per le televisioni di Berlusconi. Vidi che il ruolo della donna in Italia era sottovalutato. Faceva da spalla al mattatore o al conduttore, il Pippo Baudo di turno. E allora mi costruii quel personaggio, che dice la sua, che prende in giro l'uomo piacevo alle donne italiane che guardavano la tv: per loro era una sorta di rivalsa».
Dalì, invece, il grande pittore, capì subito chi fosse Amanda: «Diceva che ero un angelo melanconico, come il disegno di Albrecht Dürer, che ne raffigura uno disperato. Lui faceva di tutto per tirami fuori da questa depressione. Io mi rifiutavo di prendere degli psicofarmaci. E dovevo sforzarmi a essere più allegra e ottimista. Oggi mi riesce meglio, perché non ho più i problemi di una volta, quell'esigenza di sedurre comunque. Era troppo importante per me e non era tanto e solo una questione sessuale: volevo sedurre anche il fruttivendolo o un cane. Oggi molto meno». Ritorna sempre Amanda. Forse questa volta è ritornata davvero.
Da liberoquotidiano.it il 25 ottobre 2021. Un piccolo caso al Gf Vip, un piccolo caso sull'immaginario asse che unisce Giucas Casella ed Amanda Lear. Il punto è che Casella, poco dopo essere entrato nella casa del reality di Canale 5 condotto da Alfonso Signorini, si era prestato a una clamorosa rivelazione proprio su Amanda Lear. In buona sostanza, il sensitivo ha rivelato di averla conosciuta quando era un uomo e si chiamava Peki D'Osolo. E così, Rolling Stones ha deciso di chiedere una battuta su quanto detto da Giucas Casella alla diretta interessata, ossia Amanda Lear, la quale ha stroncato il sensitivo con poche ma efficaci parole: "Cosa ti dico delle affermazioni di Giucas Casella al Gf Vip? Chi è Giucas Casella? Un cantante? Io avevo un fidanzato che si chiamava Manuel Casella, ma Giucas Casella non so proprio chi sia", lo ha dileggiato. E chissà che Giucas Casella non venga informato di queste parole, che forse potrebbero ricevere una risposta altrettanto piccata. Dunque, nella stessa intervista, Amanda Lear ha anche stroncato il Gf Vip, alla pari un po' di tutti gli altri reality: "L’arrivo del Grande Fratello Vip è stato un disastro per me. È un tormentone: ogni anno c’è la casa, l’isola, per me non sono programmi di intrattenimento", ha tagliato corto. E ancora, ha rincarato la dose: "Vedere degli analfabeti che si lavano i denti non mi diverte". No, ad Amanda Lear il Gf Vip proprio non piace...
Alessio Poeta per “Chi” il 9 luglio 2021. Tutti credono di conoscerla, ma nessuno, in fondo, la conosce davvero. Lavora in tv, ma guai a proporgliela. Ama l’arte, la vita, gli animali, detesta gli uomini. Fugge dalle relazioni e pensa, oggi più che mai, che nella vita bisogna essere felici, perché gli infelici, alla fine, fanno solo danni. «Ho imparato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno così da poter riempire, l’altra metà, con un po’ di vodka». A parlare così, tra una battuta e l’altra, a pochi giorni dall’inizio delle sue vacanze, è Amanda Lear. « ».
Domanda. Nostalgica?
Risposta. «Non particolarmente. È un sentimento che non mi appartiene. O almeno non più. Una volta, qui, era pieno di bella gente. Ora ti giri ed è pieno di meretrici che, a un accenno di sorriso, ti chiedono cento euro. L’unica cosa buona di questo periodo è che sono tornata a viaggiare. Dieci giorni fa sono stata a Roma e poi vicino Siena per un evento. C’era anche Ornella Vanoni. Non ci vedevamo da una vita. Mentre parlavamo è arrivata Jo Squillo. Puntandoci una luce in faccia delle sue, ci ha chiesto di definirci».
D. Lei cosa ha risposto?
R. «Che sono una sopravvissuta».
D. Lo pensa davvero?
R. «Sì, la mia vita è stata sempre un caso. Incontri fortunati e posti giusti nei momenti giusti. Oggi mi chiamano ovunque. È incredibile: più non voglio andare da nessuna parte, più mi cercano. Un po’ come in amore».
D. Dire molti “no” non la renderà amatissima…
R. «Poco importa. L’idea di passare per stronza non mi dispiace e negarmi è il lusso più grande che possa concedermi. Non sa quanto è incavolato il mio agente per tutti i soldi che gli faccio perdere».
D. Parla sempre di denaro.
R. «Spendo tutto. Alle mie amiche dico sempre: “Se mi vuoi bene, prestami la carta di credito”. E loro, puntualmente, mi consigliano di mettermi da parte qualcosina per quando sarò anziana. Poverine: forse non sanno che non sarò mai vecchia! La verità, scherzi a parte, è che ho sempre avuto quel sano ottimismo di pensare che i soldi, come vanno, torneranno. Mal che vada venderò tutto su Ebay» (ride, ndr).
D. Oggi che cosa la fa stare bene?
R. «Una cena con amici, un buon gelato, un paesaggio. Al contrario di quel che si può pensare, amo le cose semplici. Ai ricchi, ho sempre preferito i morti di fame».
D. Su Instagram si immortala spesso con bei ragazzi.
R. «Amici. Solo amici. L’ultimo è un maestro di tennis di Bruxelles. Sembra un pupo, ma ha 35 anni. Ogni settimana mi attribuiscono un giovanotto, ignari del fatto che io non voglio nessuno. La solitudine è la cosa più bella del mondo. Sarò diventata egoista? Tant’è».
D. Non le manca un abbraccio?
R. «Mmm no. Una volta Giorgio Armani mi ha detto: “Finché potrai andare avanti da sola, non avrai bisogno di nessuno. Avvertirai questa necessità solo quando sarai veramente stanca”. Ma quello non è bisogno di amore... è necessità di un badante».
D. Che cos’ha capito, negli anni, dell’amore?
R. «Che finisce, sempre. E che c’è solo un grande amore».
D. Il suo?
R. «Mio marito, Alain-Philippe Malagnac d’Argens de Villèle. Spesso mi chiedo se parlo di lui come grande amore per via della sua morte improvvisa (a 51 anni, nel 2000, nell’incendio della villa in Provenza dove viveva con Amanda, ndr). Se non fosse morto, magari, oggi avremmo divorziato. Al mio analista ho chiesto per anni quando sarei riuscita a voltare pagina. Lui mi rispondeva sempre: “Mai”. I lutti si metabolizzano col tempo. Vanno vissuti. La rabbia si trasforma in disperazione per diventare, dopo un bel po’, accettazione».
D. Cos’ha imparato dall’analisi?
R. «Che bisogna avere sempre un sogno, una passione. Qualcosa che ti mantenga vivo. Vivere perennemente concentrati su se stessi non fa bene. La gente, oggi più che mai, non si ama e cerca conferme stravolgendosi i connotati».
D. Lei quando ha iniziato a volersi bene?
R. «Tardi. Quando incontro gli sguardi delle 20enni di oggi, non vorrei mai cambiarmi con loro. A 20 anni ero tormentata. Sbagliavo sempre. Soffrivo per qualsiasi cosa. Anche per il primo cretino che passava. Non sapevo mai come comportarmi. Qualcuno dice che si inizia a far pace con se stessi quando si avvicina l’ora della morte».
D. La spaventa?
R. «No, spero sia solo rapida e indolore. Oggi sono serena. Non voglio strafare, né fare quello che non mi piace. Ho trovato la mia stabilità. Non ho più quella fame di essere ovunque. Non ho ambizioni. Il successo me l’hanno tirato addosso. Sono stata fortunata. Forse anche troppo».
D. Dalla vita ha avuto più gioie o dolori?
R. «Più gioie. Le delusioni si superano, tutte. Non si può pensare di farla finita per un debito o per un tradimento».
D. Lei è stata più tradita o ha più tradito?
R. «Sono una traditrice seriale. La fedeltà non mi appartiene. Quando hai successo, poi, ti si butta addosso chiunque. Tentazioni su tentazioni. Quando andavo in tournée, alla fine dei miei concerti, c’erano migliaia di ragazzi che mi aspettavano. Lì nacque la battuta che usavo gli uomini come kleenex. Una battuta sarcastica che pensavo li offendesse. Invece gli uomini amano essere considerati usa e getta. Contenti loro. Certo è che i tempi cambiano. Una volta mi aspettavano fuori le discoteche, oggi me li ritrovo in farmacia in fila per il Prostamol» (ride, ndr).
D. Perché piace così tanto ai giovani, se l’è mai chiesto?
R. «Mi danno della “cougar” (in gergo, matura mangiauomini ndr.), ma, almeno da parte mia, non c’è attrazione sessuale fine a se stessa. C’è uno scambio di energie. I giovani amano ascoltarmi. Li faccio ridere, si perdono nei miei racconti».
D. Aveva detto di aver chiuso la sua boutique…
R. «Ogni tanto la riapro. Sa… per non dimenticare» (ride, ndr).
D. Lei è molto devota a Santa Rita da Cascia. Prega?
R. «Tantissimo».
D. E cosa chiede?
R. «Ringrazio».
D. Il domani?
R. «A fine estate inizieranno le riprese di un docufilm sulla mia vita e prossimamente uscirà un nuovo disco. Sarà un album tutto in francese, semi acustico. È finita l’era della disco music e dello sculettare in discoteca. Non voglio ridicolizzarmi come Madonna. Mi dicono “iena”, “invidiosa”. Ma l’ha vista? Si figuri se potrei mai invidiare una come lei...».
· Ambra Angiolini.
Da corrieredellosport.it il 13 ottobre 2021. La storia d'amore tra Ambra Angiolini e Massimiliano Allegri è giunta al capolinea. Alcune indiscrezioni circolavano da tempo, ma nelle ultime ore la notizia si è diffusa e ha provocato anche il duro sfogo social della figlia dell'attrice e del cantante Francesco Renga. Il tutto è nato dalla consegna del Tapiro d'Oro di Striscia la Notizia ad Ambra, gesto che ha fatto infuriare Jolanda, di cui riportiamo le parole. "Oggi la mia mamma ha ricevuto un Tapiro in seguito alla pubblicazione di vari articoli sulla fine della sua relazione, ma il motivo non mi è chiaro. So bene che, in quanto personaggio pubblico, secondo alcuni è giusto che la sua vita, anche quella privata, venga sbandierata ai quattro venti, ma è davvero necessario infierire? Perché venire da lei a Milano? Perché non andare a Torino? Perché si è fidata della persona con cui stava e con cui ha condiviso quattro anni della sua vita?! Anche se, questa persona, alla fine si è rivelata diversa, la colpa è di chi si fida o di chi tradisce la fiducia e tradisce in ogni senso possibile? Cosa c'è di riprovevole o "perdente" nel fidarsi e nell'amare? Quando si gioca, si sta al gioco, sono d'accordo, ma questo non mi sembra il caso. E ditemi quello che volete, che sono pesante, che non so scherzare, che faccio questioni su problemi inesistenti, che i problemi veri sono altri, ma a me non fa ridere. La sofferenza delle altre persone non mi diverte. E sì, mi sento di dirlo perché c'è di mezzo la mia mamma, ma lo penso a prescindere".
Da “Striscia la Notizia” il 13 ottobre 2021. Stasera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) Ambra Angiolini si aggiudica il primo Tapiro d’oro della sua carriera a causa della fine della storia d’amore – durata quattro anni – con Massimiliano Allegri. Secondo alcune indiscrezioni l’attuale allenatore della Juventus sarebbe proprio scomparso dalla vita dell’attrice. «Si è smarcato sulla fascia. Cos’è successo?» chiede Valerio Staffelli all’attrice, che, riguardo al ghosting subito dall’ormai ex compagno, risponde più volte: «Non lo so». Ma, consegnandole il Tapiro, Staffelli la rincuora: «Lui non la lascerà mai sola». E l’ex volto di Non è la Rai ci scherza su: «Diciamo che almeno il Tapiro in casa a Milano entra…».
Massimo Galanto per tvblog.it il 14 ottobre 2021. Jolanda Renga, 17 anni, ha sollevato, via Instagram, il caso televisivo di cui più si parla in queste ore (anche sui social, non a caso). La consegna del tapiro d’oro di Striscia la notizia ad Ambra Angiolini è al centro della discussione, con indignazioni pubbliche da parte di alcune donne del mondo dello spettacolo, da Belen Rodriguez (“che vergogna“) a Selvaggia Lucarelli (“è stato davvero crudele“) da Laura Chiatti (“servizio bieco e irrispettoso“) a Sabrina Scampini (“essere un personaggio pubblico non significa dover subire qualunque tipo di umiliazione“) da Francesca Barra (“Striscia dovrebbe scusarsi“) a Stefania Orlando (“consegna inopportuna“). Andiamo per gradi. Prima accusa: sessismo. Perché Striscia la notizia ha consegnato il tapiro ad Ambra e non a Massimiliano Allegri? La domanda se l’è posta anche – con toni e argomenti apprezzabili – Jolanda Renga. La risposta temiamo sia assai semplice: perché il tapiro è un ironico riconoscimento che viene da sempre consegnato alla ‘vittima’, ossia a chi è demoralizzato o intristito per una data situazione. Secondo quanto si capisce (anche dal racconto della figlia minorenne dell’attrice), la storia d’amore con l’allenatore della Juventus si sarebbe conclusa a causa del tradimento di lui. Dunque, convenzione vuole che il tradito sia attapirato più del traditore. Ed è per questo motivo che ad essere ‘premiata’ sia stata Ambra, invece che Allegri, rappresentato – peraltro – nel servizio di Striscia la notizia come un uomo inaffidabile, con tanto di riferimento alla vicenda datata 1992 del matrimonio saltato in extremis. Seconda accusa: cattivo gusto. Premesso che il cattivo gusto è ingrediente assai presente nella televisione, anche se curiosamente viene sottolineato ad intermittenza da taluni addetti ai lavori, cosa significa cattivo gusto per un programma come Striscia la notizia che per sua natura deve essere anche irritante, irriverente e indisponente? E, ancora più nel dettaglio, cosa significa cattivo gusto relativamente ad una vicenda di gossip che riguarda due personaggi pubblici? È cattivo gusto ironizzare, facendo sfoggio di scarsa sensibilità, sui sentimenti dei vip? Quindi, sono di cattivo gusto le battute e i ripetuti riferimenti ai gossip di Belen Rodriguez, Diletta Leotta ed Elisabetta Canalis, oppure l’indignazione vale solo in alcuni casi? Dunque, è il tapiro (e Striscia la notizia in generale) ad essere totalmente inopportuno e ormai anacronistico o, al contrario, è ormai una tendenza (vantaggiosa in termini di visibilità anche social) leggere le normali dinamiche televisive con una preoccupante suscettibilità che dà vita a discussioni sempre polarizzate e quasi sempre ossessionate dalla questione di genere?
P.S. È cattivo gusto anche la velata allusione alla omosessualità di Allegri con Dybala?
P.P.S. Senza le legittime e comprensibili esternazioni della figlia, la perfetta reazione ironica di Ambra davanti a Valerio Staffelli avrebbe fatto scoppiare comunque il caso mediatico o tutto si sarebbe esaurito con un sacrosanto plauso per la dimostrazione di autoironia fornita dall’attrice?
Giuseppe Candela su Dagospia il 14 ottobre 2021. Va bene che il tapiro si consegna all'attapirato (quindi alla "vittima" a cui rode), funziona così. Sappiamo che se fosse successo a Belen nessuno avrebbe detto nulla, detto questo l'ho trovato sgradevole sia per i toni che per i tempi. #Ambra ha reagito da donna intelligente.
Mattia Buonocore: Per il tapiro a Monte, Corona, Leotta, Belen, De Martino nessuno si era indignato...
Lucillola: Allegri tradisce Ambra Angiolini e Striscia la Notizia le recapita un tapiro d'oro. E d'improvviso, il monologo strappalacrime della Incontrada sulla bellezza dell'imperfezione femminile, diventa credibile come i ricoveri di Berlusconi. #Striscia #Allegri #ambra #14ottobre
Stefano Guerrera: l’imbarazzo che provo nei confronti di Striscia la Notizia non è quantificabile e non so come abbia fatto Ambra a restar così calma
Massimo Falcioni: La lasciata è attapirata, chi lascia no. Chi rosica è attapirato, chi genera il rosicamento no. Poi, se volete, cambiamo la regola dopo 25 anni solo per far felice Ambra. #Striscia
Leeno: Comunque Ambra é stata anche troppo di classe con striscia, io avrei avuto idee su come usare il naso del tapiro su quello con il microfono.
Alice Penzavalli: Solidarietà ad Ambra Angiolini, ma se fosse successo a Belén Rodriguez o a Diletta Leotta sarebbe scoppiata comunque la polemica? Ho i miei dubbi. #ambraangiolini #striscialanotizia
Dagospia il 14 ottobre 2021. Dall'account facebook di Selvaggia Lucarelli: Caro Valerio Staffelli, il tapiro è da sempre una specie di Oscar delle gaffe, dei tafferugli televisivi, di fatti di cronaca e costume su cui sorridere. Uno dei pochi riti televisivi sopravvissuti all’usura del tempo. Io ne ho due, uno preso perché ho pensato di aver subito il furto di una macchina, per poi comprarne una nuova e ritrovare l’altra. E un tapiro perché Belen mi cacció dal suo bar, insieme a Gianni Morandi. Ne ho riso con te, con voi di striscia, che per inciso mi siete pure simpatici. Quello che ho visto ieri non mi è piaciuto. Ieri il tapiro consegnato vis a vis non era una sorpresa, aveva più il sapore di un agguato. C’era una donna che non stava solo vivendo la fine di una storia, ma la stava vivendo da personaggio pubblico, con la sua intimità sbattuta sui giornali e particolari mortificanti. Un tradimento, la fine di un amore sono giá dolori affrontati tra le pareti di casa, figuriamoci se ne parla anche ai semafori. Non fa meno male, se sei famosa da quando avevi 14 anni, no. Il presentarsi sotto il posto di lavoro di questa donna con un microfono e infierire con battute da bar (“mica lui la tradisce con Dybala?), ridacchiare, trattare la faccenda come fosse una rissa tra soubrette, ricordate che lui- il maschio alfa- le donne le tradisce con virile serialitá, mi è parso davvero crudele. Per giunta, col morto ancora caldo. E una cosa la voglio dire anche a Vanessa Incontrada: quante volte ti abbiamo sentito lamentarti della crudeltà dei media, cara Vanessa. Dei media che sfruculiano la tua vita privata, che giudicano il tuo corpo. Ieri potevi tirarti fuori da questa trattazione così spietata della vicenda. Tendere una mano ad @ambraofficial. E invece non solo grasse risate, ma già che c’eri hai pure mandato un saluto all’allenatore, come se si fosse appena usciti da una gag, anziché dal girare il coltello in una ferita aperta. Pensaci la prossima volta in cui ti lamenterai della crudeltà del sistema con le donne, perché ieri ne hai fatto parte anche tu. E adesso, caro Valerio, attendiamo il tapiro al maschio alfa, mi raccomando. (e un mazzo di rose per Ambra, magari).
Ambra Angiolini e sulla rottura con Allegri: «Esiste per tutti il giorno Zero, è un inizio e negli inizi non si conosce la sconfitta». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. L’attrice nella sua trasmissione di Radio Capital legge un pensiero che chiarisce la sua posizione rispetto alla fine della storia d’amore con l’allenatore Massimiliano Allegri. «Esiste per tutti un giorno zero, quando si riparte». Altro che ragazzina di «Non è la Rai». Ambra Angiolini è ormai una donna bella, intelligente e saggia, oltreché una bravissima attrice. Come è orma noto a tutti si è conclusa la sua storia d’amore con l’allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri e nonostante il clamore mediatico procurato dalla fine del legame, Ambra non si è scomposta, non ha mostrato lacrime, non ha lanciato invettive. E dopo aver preso con classe il tapiro d’oro di «Striscia la notizia» mercoledì sera, giovedì durante il suo programma «Le mattine di Radio Capital» alle 11, su Radio Capital, ha concluso la puntata con lunga citazione di grande forza. «Esiste per tutti il giorno Zero, è un momento in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Ci si allontana dalle persone che diventano ricordi, da quelle che non restano, da quelle che in fondo non ci sono mai state. Si chiama giorno zero perchè quello che segue lo zero è sempre un inizio e negli inizi non si conosce la sconfitta». Era stato il settimanale «Chi» ad anticipare la notizia della fine dei quattro anni d’amore tra l’attrice e l’allenatore. Secondo quanto riportato dal magazine, Ambra Angiolini avrebbe «provato a salvare il rapporto fino alla fine» ma a seguito di una lunga crisi il tecnico bianconero avrebbe deciso di sparire dalla vita della sua ormai ex compagna. «Un colpo al cuore per l’attrice», sempre per riportare le parole di «Chi». La coppia aveva iniziato a convivere da qualche mese a Milano.
Allegri e Ambra Angiolini, amore finito. La figlia di lei: «Mia mamma tradita dopo 4 anni». Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 13 ottobre 2021. Il Tapiro di Striscia la Notizia consegnato all’attrice e il post amareggiato di Jolanda Renga: «Se, questa persona, alla fine si è rivelata diversa, la colpa è di chi si fida o di chi tradisce la fiducia e tradisce in ogni senso possibile?» Tutto finito. E pure male. E’ terminata la storia d’amore tra Massimiliano Allegri e Ambra Angiolini, sua compagna da quattro anni. L’indiscrezione era arrivata inizialmente dal settimanale «Chi» che titolava: «Max Addio, è finita con Allegri». Per poi trovare conferma anche da Jolanda Renga figlia dell’attrice e di Francesco Renga. Del resto se ne parlava già prima dell’estate, poi i due erano stati paparazzati insieme in Costiera Amalfitana: baci, abbracci, coccole e selfie proprio per allontanare queste voci e mostrare al mondo che la passione fosse come quella dei vecchi tempi, nonostante gli impegni di entrambi. Allegri è tornato sulla panchina della Juventus dopo due stagioni, mentre Ambra era sul set della serie televisiva «Le fate ignoranti». Però, passato l’idillio in Costiera Amalfitana, le voci di una possibile crisi erano tornate prepotenti ad agosto, poco prima che iniziasse il campionato di serie A. E’ stato per primo «Chi» a raccontare la possibile fine di una storia d’amore. Il settimanale diretto da Alfonso Signorini racconta di come l’attrice abbia provato in tutti i modi a recuperare il rapporto fino alla fine. E dalle anticipazioni sui social si legge: «È stato un colpo al cuore per l’attrice che ha provato a salvare il rapporto fino alla fine. Ma, dopo una lunga crisi, sembra che l’allenatore sia sparito». La rottura viene ritenuta certa anche da «Striscia la Notizia» che ha consegnato un Tapiro ad Ambra. «Si è smarcato sulla fascia. Cos’è successo?» chiede Valerio Staffelli all’attrice, che, riguardo al ghosting subito dall’ormai ex compagno, risponde più volte: «Non lo so». Ma, consegnandole il Tapiro, Staffelli la rincuora: «Lui non la lascerà mai sola». E l’ex volto di Non è la Rai ci scherza su: «Diciamo che almeno il Tapiro in casa a Milano entra?». Sul fatto è poi intervenuta la figlia di Ambra e Francesco Renga Jolanda che su Instagram si lascia andare ad alcune considerazioni sul rapporto tra la madre ed Allegri e sul comportamento dei mass media. «Oggi la mia mamma ha ricevuto un Tapiro in seguito alla pubblicazione di vari articoli sulla fine della sua relazione, ma il motivo non mi è chiaro - scrive la ragazza-. So bene che, in quanto personaggio pubblico, secondo alcuni è giusto che la sua vita, anche quella privata, venga sbandierata ai quattro venti, ma è davvero necessario infierire? Perché venire da lei a Milano? Perché non andare a Torino? Perché si è fidata della persona con cui stava e con cui ha condiviso quattro anni della sua vita? Ed anche se, questa persona, alla fine si è rivelata diversa, la colpa è di chi si fida o di chi tradisce la fiducia e tradisce in ogni senso possibile? Cosa c’è di riprovevole o “perdente” nel fidarsi e nell’amare? Quando si gioca, si sta al gioco, sono d’accordo, ma questo non mi sembra il caso. E ditemi quello che volete, che sono pesante, che non so scherzare, che faccio questioni su problemi inesistenti, che i problemi veri sono altri, ma a me non fa ridere. La sofferenza delle altre persone non mi diverte. E sì, mi sento di dirlo perché c’è di mezzo la mia mamma, ma lo penso a prescindere».
Massimiliano Allegri: dalla fidanzata lasciata all’altare all'addio a Ambra senza una parola. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 14 ottobre 2021. La sua è una storia contrassegnata da due grandi passioni: quella per il calcio e quella per le donne. Ma il calcio non l'ha lasciato mai.
L'addio ad Ambra
Era già tutto previsto, avrebbe cantato Riccardo Cocciante. Già perché dopo 4 anni Massimiliano Allegri non ha resistito e ha lasciato anche la sua ultima fidanzata, Ambra Angiolini. Senza una parola, pare. Tanto che la figlia dell'attrice Jolanda Renga parla apertamente di tradimento «in tutti i sensi». E del resto Max in campo sentimentale è stato sempre così.
Max e la Juventus
E dire che, secondo alcuni, Max sembrava cambiato. Da quando a maggio era tornato alla Juventus. Due anni dopo quell'estate del 2019, in cui, in lacrime, aveva salutato la Vecchia Signora. Dopo aver vinto cinque scudetti di fila, dando continuità ai tre consecutivi di Antonio Conte. Non solo. Portando la Juventus a giocarsi due finali di Champions: a Berlino nel 2015, sconfitto dal Barcellona e a Cardiff nel 2017 sconfitto dal Real Madrid. Al suo posto era arrivato Maurizio Sarri, esonerato poi dopo il nono tricolore di fila della Juventus. Adesso Allegri prende il posto di Andrea Pirlo. La sua avventura in bianconera arriva al capolinea con il quarto posto acchiappato nell’ultimo turno di campionato. Anche se ha conquistato la Supercoppa Italiana e la Coppa Italia.
Nato a Livorno
Max Allegri è cresciuto nel quartiere livornese di Coteto all’interno di una famiglia operaia, composta dal padre scaricatore al porto cittadino, dalla madre infermiera e dalla sorella minore. Con il padre portuale il suo destino sembrava segnato: «Dopo aver preso la patente B presi la C, perché con quella avrei potuto prendere la D che mi sarebbe servita per entrare in porto. La strada era già segnata. Non è che avessi scelta», raccontò una volta Allegri.
Vita «spericolata»
Fin da quando era calciatore Allegri era celebre per il suo fascino. Che però gli comportò anche una serie di disavventure amorose. Nel 1992 il neotecnico bianconero – in quel periodo un centrocampista del Pescara – sale agli onori delle cronache non solo sportive perché lascia la fidanzata dell’epoca, Erika, (quasi) all’altare. La abbandonò a due giorni dalle nozze: in preda ai ripensamenti, capì di non amarla e di non sentirsi pronto per il grande passo. Da qui la scelta clamorosa del dietrofront sentimentale.
Il matrimonio, le altre storie e i figli
Il tecnico si è poi sposato con Gloria Allegri nel 1994. In quel periodo gioca nel Cagliari. Un anno dopo, nasce la prima figlia della coppia: Valentina Allegri. Ma il matrimonio con Gloria naufraga ad appena quattro anni dall’inizio. In seguito, Allegri si lega, per 8 anni, a Claudia Ughi, madre del suo secondo figlio: Giorgio. I due, però, si separano mentre lei è ancora incinta: a una cena con amici, il mister incontra Gloria Patrizi, di 19 anni più giovane ed ex coniglietta di Playboy. Stanno insieme un paio di anni, ma nel 2014 la storia arriva al capolinea.
La relazione, durata 4 anni con Ambra Angiolini
Passano tre anni e dopo alcuni mesi di indiscrezioni mai confermate, Massimiliano Allegri e Ambra Angiolini, attrice ed ex stella tv di «Non è la Rai» escono allo scoperto. Una relazione che sembrava essere diventata solida nel corso degli anni. Tanto che i due annunciano le nozze per il 2019. Nozze che non si faranno mai. La relazione finirà, come detto, nell'autunno del 2021.
Ballerino per una notte
E dire che la vicinanza con Ambra aveva consolidato la sua passione per il mondo dello spettacolo. Il 19 settembre 2020 Allegri partecipa come ospite speciale alla prima puntata «Ballando con le stelle» (15esima edizione). Così il tecnico juventino diventa ballerino per una notte, come era successo con altri sportivi, tra i quali Alessandro Del Piero, Gabriel Batistuta e Roberto Mancini. Allegri esegue un tango insieme alla ballerina professionista Roberta Beccarini.
La carriera da calciatore
Come calciatore Allegri era spesso definito come un ottimo centrocampista che aveva una buona visione di gioco, ma che ha ricevuto molto meno di quanto avrebbe meritato. Dal 1985 al 1988 gioca nel Livorno, squadra della sua città. E vista la rivalità fa scalpore il suo trasferimento al Pisa nel 1988, con il quale gioca due gare in A. Dopo le stagioni alla Pro Livorno e al Pavia, nel 1991 Allegri va al Pescara. Conquista la promozione e nel 1992 colleziona 31 gare nella massima serie, segnando 12 reti (una anche al Milan nel 4-5 per i rossoneri del 13 settembre ‘92). In termini di gol, la sua annata migliore. Dal 1993 al novembre 1995 è al Cagliari per poi andare al Perugia. Dopo delle parentesi al Padova, al Napoli e ancora al Pescara, Allegri chiude la carriera nel 2003 all’Aglianese.
Il maestro Galeone
Come detto forse il suo periodo migliore da calciatore Allegri l’ha avuto nel Pescara. Notato da Pierpaolo Marino, dirigente a quell’epoca della squadra abruzzese, nel 1991 Allegri si trasferisce nel club agli ordini del tecnico Giovanni Galeone. Con lui instaura un profondo rapporto professionale e ancor più umano: «Ho avuto la fortuna di avere un maestro come lui, che magari non ha ottenuto grandi risultati ma che mi ha insegnato il piacere del calcio», ricorda anni più tardi lo stesso Allegri. Anche Galeone parla molto bene dell’arrivo di quel giovane centrocampista: «La squadra era già fatta, ma la dirigenza ingaggiò questo ragazzo che sinceramente non conoscevo. Dopo tre giorni mi era tutto chiaro, era un gran calciatore sul prato verde e un ragazzo serio e rispettoso, arrivò in punta di piedi e dopo poco era già il leader dello spogliatoio». Ancora oggi Allegri chiede molti consigli a Galeone. Per lui è un secondo padre.
La carriera da allenatore: dall’Aglianese allo scudetto con il Milan
Terminata la carriera calcistica Max comincia quella di allenatore da dove aveva finito, ovvero dall’Aglianese. Dopo Spal, Grosseto, Sassuolo e Cagliari nell’estate 2010 diventa allenatore del Milan. Quell’estate Silvio Berlusconi e Adriano Galliani acquistano Ibrahimovic e Robinho e Allegri alla sua prima stagione in rossonero vince lo scudetto. Il 18esimo della storia del club rossonero, a oggi l’ultimo vinto. L’anno successivo arriva secondo perdendo il duello con la Juventus di Antonio Conte. Nella sua terza stagione al Milan conquista il gradino più basso del podio, ma l’anno successivo – all’indomani della sconfitta del 12 gennaio 2014 rimediata contro il Sassuolo (4-3) – viene esonerato. Poi però andrà alla Juventus per inanellare una serie di trionfi.
Ambra e il Tapiro, che brutta gaffe essere tradite. Beatrice Dondi su L’Espresso il 14 ottobre 2021. Secondo Striscia la notizia se il tuo uomo ti lascia hai fatto una brutta figura. Un brutto momento di bassa tv. Che gaffe essere tradite. Sei una donna e ti lasci scappare il tuo uomo? Che figura barbina, nei confronti del resto del mondo. Per sintetizzare quel momento di bassa televisione che è stata la consegna del Tapiro d’oro da parte dell’inviato di Striscia ad Ambra Angioini basterebbe ripercorrere il senso del “premio” che abitualmente consegna Valerio Staffelli. Che recapita porta a porta, nel corso della trasmissione cosiddetta satirica di Antonio Ricci un riconoscimento alla scivolata di stile. Una battuta pesante, un doppio senso, o anche più semplicemente un errore sciocco in cui si è accidentalmente incappati. A Ilary Blasi fu dato il Tapiro per una frase detta durante la diretta dell’Isola dei Famosi: “Dentro la patata” anziché Palapa. A Giorgia Rossi per il lapsus “ca**o” anziché “incasso”. A Selvaggia Lucarelli, come scrive sul suo profilo Instagram, perché denunciò il furto di una macchina, ne comprò una nuova e poi ritrovò la vecchia. Insomma cose così, tra Blob e la goliardia spicciola. Ad Ambra invece il “premio” è andato perché Massimiliano Allegri, come recita la copertina di Chi, l’avrebbe lasciata per un’altra. Che brutta figura le corna signora Angiolini, gli anni Cinquanta non sono mai finiti non se ne era accorta? Così il tradimento, la storia personale, una coppia che si disintegra per faccende del tutto private diventa, per il programma rivoluzionario che fa una satira di livello, una semplice figuraccia. Perché in questo strano Paese fermo al tempo che fu, se due persone si lasciano è ovvio che sia la donna a meritare lo scettro di gaffeuse. Perché non è stata capace di tenersi stretto il suo compagno. E così nella pubblica piazza di Striscia, si è consumato l’ennesimo episodio di piccineria collettiva, questa volta a discapito di una signora elegante che ha cercato di sorvolare sulle volgarità snocciolate. E che è stata difesa da una ragazza di 17 anni, sua figlia Jolanda, che ha dimostrato in un solo post che essere adulti non dipende certo dall’età anagrafica. Mentre in studio Alessandro Siani e Vanessa Incontrada avrebbero potuto replicare in qualsiasi modo. Tranne quello che poi hanno fatto: condire la triste scena con grasse risate.
Ambra, Allegri e il Tapiro. La telenovela social nel gioco delle coppie. Valeria Braghieri il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. L'addio tra l'attrice e l'allenatore della Juve è una storia in cui tutti (o quasi) si ritrovano. Che nel suo codice genetico ci fosse scritto che, per sempre, avrebbe trasportato sulle spalle il peso dell'attenzione mediatica fu chiaro nel lontano 1992 quando, appena quindicenne e con un auricolare che le trasportava in bocca le parole in differita, apparse a Non è la Rai. Dall'altra parte dell'invisibile microfono c'era Gianni Boncompagni, davanti allo schermo di Canale 5, milioni di telespettatori inebetiti. Un pubblico trasversale, talvolta insospettabile e non sempre in buona fede. In mezzo lei. Allora adolescente «normalotta», carne freschissima e apparentemente ignara dell'epocale cambio di costume che stava portando in scena e che contribuì a sdoganarla al mondo col solo nome di battesimo: Ambra. Angiolini è venuto solo poi. L'iper esposizione prestissimo, il cono d'ombra poco dopo. Qualche anno di blackout in cui rimettersi in pari con la propria età e con la bilancia (erano iniziati i problemi alimentari). Il ritorno sulle scene, una canzonetta di successissimo e la metamorfosi professionale (è arrivata a recitare, tra gli altri, per Ferzan Ozpetek nel bellissimo Saturno contro). L'unione con il cantante Francesco Renga, due figli, Jolanda e Leonardo, la fine dell'unione voluta dall'attrice perché «il mio cuore ha smesso di battere per una persona gigantesca». Sembrava che il cuore lo avesse rianimato, qualche anno più tardi, l'allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri. Fino all'altro giorno, con la notizia della loro storia che si è andata a schiantare dopo quattro anni. Qualche voce di crisi poco prima, una vacanza riparatrice in Costiera Amalfitana, un trasloco dei due a Milano, ma niente. Pare che Allegri sia scomparso dalla vita di Ambra dopo averla tradita, oltretutto. Sparito, infantasmito. Qualcosa come quell'evaporazione che i distillatori chiamano «percentuale dell'angelo», cioè quel due, tre per cento di prodotto che se ne va in fumo nella fase della fermentazione. Lui a Torino, lei a Milano in cerca di un'altra casa. Lui si sarebbe rivelato una persona diversa da come era sembrato durante la relazione. Quando l'attrice lo definiva una salvezza per lei e per la sua ormai disincantata voglia d'amore, la certezza della sua vita adulta. Ecco, la certezza si è sgretolata e mercoledì, Valerio Staffelli di Striscia la Notizia, ha consegnato un Tapiro all'attrice. Perché a lei e non al fuggiasco? Si sono chiesti la figlia di Ambra in un post in difesa della madre e la miriade di persone che hanno subito, istintivamente solidarizzato con la parte lesa della coppia. Perché chi si «attapira», non è di norma colui che sceglie ma colui che subisce. E perché nel Tapiro, in fin dei conti, c'è una sorta di attenzione affettuosa, quasi un ironico premio di consolazione. L'Ambra dello spettacolo lo sa. L'altro giorno, dietro alla mascherina, aveva un sorriso che non poteva definirsi di circostanza, ma nemmeno di entusiasmo. Ed è stata al gioco. Vessata dal destino di una relazione infelice, sotto un cielo milanese gonfio d'inverno, ma sotto i riflettori. Destino a cui si è consegnata tanti anni fa. Mercoledì era il giorno in cui il destino si è fatto scomodo, ma lei ne è consapevole da sempre. Anche senza l'auricolare nascosto. Ieri, al termine della trasmissione su Radio Capital, Allegri, per Ambra, è diventato il «giorno zero», quello che arriva nella vita di tutti a dal quale tocca ripartire. «Esiste per tutti il giorno Zero, è un momento in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Ci si allontana dalle persone che diventano ricordi, da quelle che non restano, da quelle che in fondo non ci sono mai state. Si chiama giorno zero perché quello che segue lo zero è sempre un inizio e negli inizi non si conosce la sconfitta» è stato lo sfogo dell'attrice ai microfoni dell'emittente. Altro che Tapiro...
Da ansa.it il 16 ottobre 2021. "Della mia vita privata non ho mai parlato e non intendo farlo: sono due cose che ho sempre diviso, va bene così ed è molto più importante parlare della partita di domani". Alla vigilia della sfida di campionato tra la sua Juventus e la Roma, Massimiliano Allegri dribbla così la domanda sulla recente rottura con Ambra Angiolini. Intanto gli avvocati Valeria De Vellis e Daniela Missaglia, in nome e nell'interesse di Ambra Angiolini, si sono riservati "di valutare - è scritto in una nota diffusa oggi - ogni migliore iniziativa a tutela della loro assistita in considerazione dell'illegittima intromissione e conseguente spettacolarizzazione di una vicenda privata e dolorosa da parte del Signor Valerio Staffelli", inviato di Striscia la notizia. I legali contestano anche il "comunicato del Tapiro d'Oro" in risposta al Ministro Elena Bonetti, soprattutto dove si afferma che "la Signora Ambra Angiolini fosse consenziente".
Fabrizio Biasin per “Libero quotidiano” il 16 ottobre 2021. Ambra ha preso il Tapiro d'Oro per una presunta questione di corna, lo sanno anche i sassi (rendetevi conto, il tapiro). Il tapiro- lo sapete- è una specie di "premio" che viene assegnato a un vip qualunque, uscito male da una vicenda qualunque. Lo definiscono "attapirato" (pensate come siamo messi). L'obiettivo di colui che consegna il tapiro, il signor Staffelli di Striscia la Notizia, è provocare una reazione nel malcapitato/a. Nella migliore delle ipotesi la vittima si incazza come una iena e ti fracassa il tapirone sul cranio, cosa che genera grande godimento negli autori del programma, che vedono gli ascolti crescere a dismisura. Quando invece va male e la vittima è persona dotata di sale in zucca, non succede una fava: quello/a ritira il premio, ascolta le considerazioni di Staffelli («Sior Tizio, Siora Caia...»), in sottofondo si sentono agghiaccianti risate registrate e buonanotte ai suonatori (ma dimmi te, nel 2021, ancora il tapiro. Vabé). Nel caso specifico, Ambra è stata fenomenale: di fronte alla provocazione tapiresca ha reagito con classe. Non un insulto, nessuna reazione scomposta, qualche minimo riferimento al suo ex (Max Allegri, allenatore della Juve) e arrivederci a mai più. A reagire sono stati tutti gli altri al grido di «ma era proprio il caso? Ma non potevate andare alla fonte, ovvero da chi le corna le ha messe, invece che rompere l'anima a lei, cornuta e mazziata?». Ci sta. Oddio, forse gli indignati sono andati oltre per questioni molto contemporanee legate al politicamente corretto, ma è vero che un minimo di delicatezza in più si poteva usare. Diciamo che un bel «ma chissenefrega del Tapiro» avrebbe sepolto la faccenda in partenza, evidentemente però non siamo ancora pronti per uscire dal Medioevo. E veniamo al punto. Tutta questa faccenda (Ambra che riceve il tapiro) ha trasformato Massimiliamo Allegri in un mostro. Massimiliano Allegri non è un mostro, al massimo un trombatore seriale (lo scriviamo sulla fiducia, per fortuna non abbiamo prove). Ce ne sono tanti qua e là in giro per il mondo, alcuni più furbi di altri. Quelli furbi non si fidanzano e strombazzano a piacimento. Badate bene, non stiamo facendo distinzioni di genere, capita anche a molte esponenti dell'altro sesso e - lo diciamo ad alta voce - fanno benissimo: zero impegno, massima libertà. Da fidanzato, invece, dovresti evitare di diventare una trivella umana, in particolare se il tuo nome è sulla bocca di tutti e in passato hai abbandonato la tua metà a un passo dall'altare (così si dice del Sior Max). Questo straordinario curriculum vitae, però, non è sufficiente per trasformare il trivellatore in quello che l'opinione pubblica ha più o meno definito "demonio". Cioè, possiamo anche farlo, ma dobbiamo avere il coraggio di guardarci allo specchio. Allegri è stato uno stronzo? Se è vero quello che ci hanno detto sì, è stato uno stronzo. È stato uno stronzo più di un qualunque altro nostro conoscente, amico, amica, cugino, compagno di padel? No. Anzi, magari noialtri abbiamo fatto o subìto di peggio, perché purtroppo il mondo- e qui sveliamo uno dei tre misteri di Fatima - è pieno di infamacci. Ieri Ambra ha detto così a Radio Capital: «Grazie a tutti. Vedere questo muro di amore folle che si è schierato davanti a una persona che evidentemente ora non riesce a farlo da sola, è commovente». La abbracciamo forte, consapevoli del fatto che molti di quelli che le stanno dicendo «poverina tu, quanto è infame lui» sono stati l'Allegri di qualcun altro/a.
Massimiliano Allegri, "le sue tendenze gay". Clamoroso siluro, il caso Ambra-Striscia si complica: "Come la mettiamo?" Libero Quotidiano il 16 ottobre 2021. Nel mirino ci è finito Massimiliano Allegri. Tutti contro di lui, dopo la consegna del tapiro d'oro ad Ambra Angiolini da parte di Striscia la Notizia. Tapiro consegnato all'attrice in seguito alla rottura dopo quattro anni con Allegri, il tutto per un tradimento di lui. Certo, poco elegante il tradimento, ma sono cose capitano, un po' a tutti. Il fatto strano, però, è che Allegri sia finito nel mirino più per il tapiro di Striscia che per le sue azioni, come se con quanto fatto dal tg satirico di Canale 5, il mister della Juventus, c'entrasse qualcosa. E così, in difesa del farfallone Max Allegri, ecco scendere in campo Alberto Dandolo, su Dagospia. Una difesa tutta concentrata in un "flash", in cui si punta il dito su alcune battute di Valerio Staffelli nel momento della consegna del tapiro da Ambra, battute in cui alludeva a una tendenza gay dell'allenatore bianconero. Si legge infatti nel Dago-flash: "Tutti in coro a difendere la mitologica Ambra vittima del crudele cinismo antifemminista del tapiro. E il povero Max Allegri, ferito nel suo testosterone dal truce Staffelli che ammicca a sue tendenze gay? Associazioni lgbt+ dove siete? Fate sentire il vostro urlo di sdegno contro l'omotransfobia del tapiro chiedendone la pubblica lapidazione! Se non ora quando?", conclude Dandolo.
Striscia la Notizia, Ambra, Allegri e il resto: processo al Tapiro d'oro. Il tg satirico attaccato per aver invaso la privacy dell'attrice appena lasciato. Ma la satira è cattiva. Semmai c'è da chiedersi se il tapiro è ancora satira...
Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 15 ottobre 2021
Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...
«La satira deve avere dei limiti perché deve superarli continuamente», diceva Vauro che distillava battute sugli ebrei fascisti (ma il copyright della crudeltà era di Jonathan Swift che addirittura suggeriva di macellare i bambini poveri). L’imprescindibilità di una satira cattiva è l’eccezione che ieri molti opponevano alle critiche piovute verso Antonio Ricci, dopo la consegna del Tapiro d’oro a Ambra Angiolini. Resoconto dei fatti da Striscia la notizia. Ambra -la cui bellezza e ironia raggiungono vette siderali- viene adescata dal solito Valerio Staffelli che le consegna il trofeo in quanto donna “attapirata” causa della separazione dall’ (ex) fidanzato fedifrago Massimiliano Allegri. Staffelli nel porgere il Tapiro d’oro si lascia andare a qualche fregnaccetta precotta («mica lui la tradisce con Dybala» sottofondo di Richard Sanderson dal Tempo della mele); Ambra, visibilmente straziata sotto la mascherina, con educazione incassa e s’allontana in una nuvola di mestizia. Chiosa al siparietto è la messa in onda, perfida, del video Ti appartengo canzone-cult dell’ex ragazzina prodigio ai tempi di Non è la Rai. Inevitabile picco d’ascolto: 5,57 milioni di spettatori per 22,61% di share. Il giorno dopo Striscia entra nel mirino degli obici di mezzo mondo dello spettacolo. Il mezzo mondo femminile. Tranne Vanessa Incontrada che si lamenta sempre dell’ingerenza dei media nella vita privata altrui, salvo improvvise amnesie –guarda caso- giusto mentre conduce Striscia. Comunque, è tutta una mitragliata contro i Gabibbo Boys. Selvaggia Lucarelli scrive: «C’era una donna che non stava solo vivendo la fine di una storia, ma la stava vivendo da personaggio pubblico, con la sua intimità sbattuta sui giornali e particolari mortificanti. Un tradimento, la fine di un amore sono già dolori affrontati tra le pareti di casa, figuriamoci se ne parla anche ai semafori». Luisa Ranieri bacchetta il «gesto orrendo»; Laura Chiatti accenna ai diritti violati delle donne; Francesca Barra accusa, di fatto, Striscia di sessismo e di strisciante compiacimento a favore del “maschio alfa” Allegri. Interviene perfino la figlia di Ambra, Jolanda per difendere privacy e onore della madre. Un casino. Eppure, suvvia, Striscia non è uscita dal solito, sempiterno canovaccio. Il tg satirico entra per mission a gamba tesa nella vita delle persone notorie e anche meno notorie (io stesso sono stato accomunato in diretta ad un medico–serial killer, e la mia vecchia madre ignara e disperata, come quella di Fracchia la belva umana, telefonò ai carabinieri. Ma ci sta). Striscia picchia con malvagità e per vocazione di satira; la quale satira –come detto- dev’essere un pugno nello stomaco. E il Tapiro equivale sempre a un lungo sorso di curaro, a una lingua di napalm, a una provocazione contundente che ignora il dolore stesso delle vittime. Rivedetevi, per dire, l’espressione livida della Carrà nel prendere il Tapiro per aver ricevuto in Spagna quell’onorificenza che aveva sempre sperato di ottenere in Italia. Tra l’altro, non esiste sessismo. Il Tapiro sputtana democraticamente tutti; se ad essere stato lasciato – e quindi attapirato- fosse stato Allegri, l’avrebbe ricevuto lui. No, è sbagliato sparare sul Tapiro. Anche perché, diciamolo, Ricci se ne fotte altamente. E poi, è la satira bellezza. Semmai, sarebbe necessario, oggi, sparare sull’utilità del Tapiro. E chiedersi se il tapiro è ancora satira. Il pupazzotto parodia di Oscar delle gaffe, delle risse, delle nequizie dei fatti di cronaca politica e costume vive i suoi 25 anni oramai come reperto del passato. Un tempo era lo sguardo del voyeur che si ficcava nella privacy blindata dei vip, molti dei quali s’incazzavano (Mike Bongiorno lo gettò a terra). Via via, con gli anni, ha perso la sua forza eversiva, s’è trasformato in un rito stanco, accompagnato da battutelle sfarinate dallo spirito del tempo. Il Tapiro è come il Buster Keaton vecchio e rintronato degli ultimi film con Franco e Ciccio: non provoca, non scalda più. E –ancora peggio- sempre più spesso viene agognato come oggetto di marketing e celebrità effimera dall’ attapirato di turno. Striscia rimane un presidio di ironia, spesso di servizio pubblico. Eppure io ho visto tutto l’anacronismo della consegna di quella mostruosità dorata, l’altro giorno, in una frase di mio figlio di dieci anni: «Papà, perché guardi questa cosa? Mica fa ridere…».
Marco Zonetti per "vigilanzatv.it" il 15 ottobre 2021. Dopo il fiume di polemiche scatenate dal Tapiro d'Oro consegnato da Valerio Staffelli di Striscia la Notizia ad Ambra Angiolini per la fine della sua storia con Allegri, polemiche che hanno visto tanti personaggi dello spettacolo e figure istituzionali scagliarsi contro il Tg satirico di Antonio Ricci in difesa dell'attrice, ecco che arriva un colpo di scena. Sul sito di Striscia, infatti, viene pubblicato il fuorionda dell'incontro tra Staffelli e Ambra, dimostrando che quest'ultima era dunque preavvisata della consegna del Tapiro e che lo accetta di buon grado, senza sottrarsi all'intervista, senza fuggire, senza intimare di spegnere le telecamere, ma pregando soltanto l'inviato di non stravolgere nel montaggio il senso delle sue dichiarazioni. Per giunta, nel momento in cui - nel pomeriggio prima che andasse in onda il servizio incriminato - è uscito il post della figlia di Ambra, Jolanda Renga, che stigmatizzava la consegna del tapiro alla madre, Staffelli ha contattato l'attrice per chiedere spiegazioni, e quest'ultima ha replicato: "Oddio, che cosa ha fatto mia figlia!". Insomma, da donna di spettacolo navigata qual è, per Ambra era semplicemente un'occasione come un'altra per apparire e far parlare di sé. Nel rispondere pubblicamente alla Ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti che aveva stigmatizzato il servizio del Tg di Ricci, Striscia in veste di Tapiro D'Oro le ricorda di essere: "una trasmissione satirica che ha come missione impossibile combattere l'ipocrisia nel mondo. Una guerra persa, visto il numero dei nemici, ma che per noi vale sempre la pena combattere". E precisa: "Quanti sepolcri imbiancati, prosseneti, finti moralisti o semplici ciarlatani, individui in crisi di astinenza o semplicemente bisognosi dell'esternazione quotidiana si sono sentiti autorizzati a pontificare sull'argomento!". Con un avvertimento finale alla Ministra: "Chissà che non ci incontreremo presto...".
Gentile ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, mi presento: sono il Tapiro d’oro. Ci tenevo a scriverle dopo che anche lei - che onore! - ha impegnato alcuni minuti del suo tempo per parlare di me in compagnia delle menti più brillanti della Nazione. Sono nato nel 1996, premio dal muso lungo e triste. E da allora vengo consegnato ai cosiddetti “attapirati”. Senza andare troppo indietro negli anni, sono finito nelle mani di Stefano De Martino, Diletta Leotta, Riccardo Scamarcio, Belén Rodriguez, Ignazio Moser, Federica Pellegrini, Francesco Monte, ecc. Motivo? I loro cuori spezzati, senza distinzione di genere. Come vede, mi sono sempre fatto un punto d'onore di rispettare le Pari Opportunità. Lei, invece, cara Ministra, sembra non considerare Diletta Leotta degna della sua tutela, con il solito doppiopesismo rivelatore. L'amica Ambra Angiolini, ci tengo a dirlo, è stata avvicinata in modo amichevole dal tapiroforo Valerio Staffelli: nessuna fuga, richiesta di spegnere le telecamere o segnali di fastidio. Anzi! Per mostrarle che tutto si è consumato in modo sereno, sul nostro sito può vedere la prima parte del servizio, non andata in onda: Ambra, che ha una lunghissima carriera alle spalle e molta consuetudine con il mondo dello spettacolo, non ha mai manifestato a Staffelli la minima volontà di non essere intervistata, come risulta evidente durante tutto il servizio. A telecamere spente, inoltre, Ambra si è raccomandata con Staffelli che in sede di montaggio non venissero compiute azioni che stravolgessero il senso di quello che lei aveva detto: richiesta naturalmente accolta. Nel pomeriggio, prima che andasse in onda il servizio, quando è uscito il post della brillantissima, lucidissima, maturissima penna Jolanda, a Staffelli, che l'aveva contattata per chiedere spiegazioni, Ambra ha risposto: "Oddio, che cosa ha fatto mia figlia!". Cara ministra Bonetti, Striscia la notizia, come sa, è una trasmissione satirica che ha come missione impossibile combattere l'ipocrisia nel mondo. Una guerra persa, visto il numero dei nemici, ma che per noi vale sempre la pena combattere. Quanti sepolcri imbiancati, prosseneti, finti moralisti o semplici ciarlatani, individui in crisi di astinenza o semplicemente bisognosi dell'esternazione quotidiana si sono sentiti autorizzati a pontificare sull'argomento! Chissà che non ci incontreremo presto...
Luigi Bolognini per "la Repubblica" il 15 ottobre 2021. La polemica riaffiora carsicamente: come tratta le donne Antonio Ricci? Inizia tutto a metà anni Ottanta con Drive In, per chi lo ricorda, con le ragazze Fast Food a girare in hot pants e procace scollatura. E prosegue con le Veline di Striscia la notizia, che porgono news ai conduttori succintamente (s)vestite: cori contro la mercificazione del corpo femminile cui Ricci risponde che tutto è ironico, una satira di come i mass media trattano le donne, e che le Veline non intrallazzano con calciatori e vip, ma pensano solo a lavorare. L'ultimo affondo in un'intervista a Tpi: «I giornalisti non possono attaccare le modelle perché la moda per la carta stampata è fonte primaria di vita. E allora sono costretti a prendersela con le Veline». Frasi dette subito prima del Tapiro d'oro ad Ambra Angiolini dopo la fine della sua storia con l'allenatore della Juventus Massimiliano Allegri. Fine dovuta alla sparizione improvvisa di lui, pare dopo un tradimento. Eppure lo sberleffo a favor di telecamera è toccato alla tradita, per di più donna, è stata lei a dover ricevere lo scomodo premio dorato e le battute di Valerio Staffelli. Ambra, bisogna dire, ha abbozzato, subendo senza reagire. Solo ieri a Radio Capital ha detto: «Esiste per tutti il giorno zero, in cui non si vince, non si perde ma si riparte, ci si allontana dalle persone che restano, da quelle che diventano ricordo, da quelle che in fondo non ci sono mai state». Altri si sono scatenati. Cioè altre. A cominciare da Jolanda Renga, figlia di Ambra e del cantante Francesco: «Perché venire da lei a Milano? Perché non andare a Torino? Perché si è fidata della persona con cui stava e con cui ha condiviso quattro anni della sua vita?!», scrive su Instagram. Sullo stesso social la giornalista Francesca Barra: «Questo è il Paese che non va dal Mister Allegri, dal "maschio" a dare il tapiro, ma dalla donna, la parte chiaramente più in difficoltà. Questo è il Paese delle grandi battaglie, della solidarietà femminile, dell'empatia. Del "ti faccio male e poi ti sfotto cantando una canzoncina", perché tutto finisce sempre cosi». Parole condivise e rilanciate da Ilary Blasi. L'attrice Laura Chiatti parla di «servizio bieco e totalmente irrispettoso nei confronti di una grande artista, di una talentuosa attrice, che prima di tutto è una donna di spiccata sensibilità e una madre. Esiste una sostanziale differenza tra satira e cattivo gusto. Viviamo in un Paese dove ci si batte costantemente per i diritti e la tutela delle donne attraverso i mezzi di comunicazione, quando poi spesso sono proprio i mezzi di comunicazione, se utilizzati in maniera sbagliata, i primi ad involvere ogni progresso e a denigrarci calpestando ogni forma di buonsenso e dignità». E c'è chi sottolinea che la conduttrice di Striscia Vanessa Incontrada non abbia speso una parola per Ambra, lei che si era data a monologhi tv in difesa delle donne. Anche questo è parte della polemica, genere in cui Ricci ama sguazzare da sempre.
Da "today.it" il 15 ottobre 2021. "Grazie per quello che sto vedendo": così Ambra Angiolini nella puntata di oggi, venerdì 15 ottobre, del programma Le Mattine su Radio Capital, ha aperto la brevissima parentesi riferita alla vicenda della separazione da Massimiliano Allegri diventata di dominio pubblico negli ultimi giorni. "È sorprendente per una cosa che nessuno voleva che fosse pubblica, perché non è giusto, e vedere questo muro di amore folle che si è schierato davanti a una persona che evidentemente ora non riesce a farlo da sola è commovente", ha proseguito: "Il mio senso di gratitudine non sbaglia, quello che mi sento di dire è grazie!". Le parole dell’attrice arrivano a qualche ora dal discorso che ha messo definitivamente e pubblicamente un punto alla sua storia d'amore con l'allenatore della Juve, conclusa dopo le voci di un tradimento e motivo del discusso Tapiro consegnatole dall’inviato di Striscia la notizia Valerio Staffelli. "Esiste per tutti il giorno zero - ha dichiarato - È un momento in cui non si vince, non si perde ma si riparte. Ci si allontana dalle persone che diventano ricordi, da quelle che non restano, da quelle che in fondo non ci sono mai state. Si chiama giorno zero perché quello che segue lo zero è sempre un inizio e negli inizi non si conosce sconfitta".
La storia tra Ambra e Allegri. Legati dall'estate 2017, quando fu il settimanale Chi ad immortalare insieme l'attrice e lo sportivo, adesso tra Ambra ed Allegri la situazione è più che tesa. Negli anni passati si era parlato di nozze, di anelli arrivati a suggellare un amore sempre più solido. Poi qualcosa è andato storto. Ambra torna così di nuovo single. Nel suo passato, lo ricordiamo, anche un lungo amore con il cantante Francesco Renga, a cui è stata legata dal 2004 al 2015 e da cui ha avuto proprio i figli Jolanda e Leonardo, oggi cresciuti e pronti a sostenere la mamma nei momenti più difficili, come appunto le delusioni d'amore.
Striscia inchioda Ambra (e i moralisti): ecco il fuori onda. Marco Leardi il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. Dopo le polemiche per la consegna del premio satirico alla showgirl, Striscia pubblica un filmato in cui la donna accetta di fermarsi per le riprese e sta al gioco. Antonio Ricci: "Moralisti hanno pontificato sull'argomento". Tra moti di indignazione, dissertazioni sulla lesa dignità femminile e alzate di scudi sui social, la consegna del tapiro d’oro ad Ambra Angiolini era diventata una faccenda fin troppo seria. L'attribuzione del premio satirico alla showgirl, a motivo del tradimento che avrebbe subito dall’ex compagno Massimiliano Allegri, aveva sollevato un nugolo di polemiche contro Striscia la Notizia. Il programma di Canale5 era infatti stato accusato di essersi intromesso con irriverenza nella vita privata della donna, infierendo sul suo dolore per la fine della storia d'amore con l’allenatore bianconero. Colpito dalle suddette critiche, rimbalzate in modo particolare sui social, il tg satirico di Antonio Ricci ha messo in azione la propria contraerea con l’obiettivo di fare chiarezza sulle reali modalità con cui Ambra era stata avvicinata dall’inviato Valerio Staffelli. In un fuori onda pubblicato sul proprio sito, la trasmissione di Canale5 ha dunque mostrato le immagini (inedite) che precedevano l’effettiva consegna del tapiro d’oro. Nel video si vede Ambra Angiolini che accetta di trattenersi con Staffelli, stando al gioco. "Sai che non ce l’avevo il tapiro? Se ce lo meritiamo, giusto così...", afferma la showgirl, acconsentendo anche alla richiesta di spostarsi in una zona meno esposta al traffico, per realizzare le riprese senza difficoltà. Nel filmato, l’ex ragazza di Non è la Rai non appare infastidita dall'irriverente premio, né intima all’inviato di Striscia di allontanarsi. Una versione dei fatti distante dalla connotazione negativa poi attribuita al servizio incriminato. Il programma di Antonio Ricci ha inoltre rilevato la reazione avuta dalla showgirl dopo che sua figlia, Jolanda, aveva espresso rimostranze sul social per la consegna del tapiro. A Staffelli, che l'aveva contattata per chiedere spiegazioni, Ambra aveva risposto: "Oddio, che cosa ha fatto mia figlia!". "A telecamere spente, inoltre, Ambra si è raccomandata con Staffelli che in sede di montaggio non venissero compiute azioni che stravolgessero il senso di quello che lei aveva detto: richiesta naturalmente accolta", si legge inoltre in un comunicato diramato nelle scorse ore dal programma Mediaset. Certo, la punzecchiatura di Striscia alla Angiolini non è stata affatto indolore: nel servizio di Staffelli non sono mancate battutine urticanti e frecciate sulla fine della relazione con Allegri. Un tale approccio lo si può ritenere discutibile o evitabile, ma è pur vero che il tg satirico da sempre dispensa tapiri proprio con l’obiettivo di stuzzicare le malcapitate vittime. È la sua mission. Già in passato, Striscia aveva consegnato l’irriverente premio a volti noti (sia uomini che donne) vittime di tradimenti amorosi, ma non vi erano state analoghe polemiche. Su questo punto, la trasmissione di Antonio Ricci ha insistito nella sua replica alla ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, che aveva attaccato: "Si è scelto di andare dalla donna e non dall'uomo". In una nota fatta scrivere ironicamente dallo stesso tapiro, si legge: "Sono finito nelle mani di Stefano De Martino, Diletta Leotta, Riccardo Scamarcio, Belén Rodriguez, Ignazio Moser, Federica Pellegrini, Francesco Monte, ecc. Motivo? I loro cuori spezzati, senza distinzione di genere. Come vede, mi sono sempre fatto un punto d'onore di rispettare le Pari Opportunità. Lei, invece, cara Ministra, sembra non considerare Diletta Leotta degna della sua tutela, con il solito doppiopesismo rivelatore". Andando ancora al contrattacco, Striscia ha poi accusato: "Quanti sepolcri imbiancati, prosseneti, finti moralisti o semplici ciarlatani, individui in crisi di astinenza o semplicemente bisognosi dell'esternazione quotidiana si sono sentiti autorizzati a pontificare sull'argomento!". E mentre Ambra su Radio Capital si è commossa parlando del delicato momento che sta attraversando, Striscia la Notizia tira dritto. Fino al prossimo tapiro.
Marco Leardi. Classe 1989. Vivo a Crema dove sono nato. Ho una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa, sono giornalista. Da oltre 10 anni racconto la tv dietro le quinte, ma seguo anche la politica e la cronaca. Amo il mare e Capri, la mia isola del cuore. Detesto invece il politicamente corretto.
Massimiliano Allegri, "me lo paghi tu". La sconcertante richiesta ad Ambra Angiolini dopo le corna: soldi, che imbarazzo. Libero Quotidiano il 20 ottobre 2021. Continua a tenere banco il caso di Massimiliano Allegri e Ambra Angiolini, che ha avuto grande eco mediatica soprattutto dopo che Striscia la Notizia ha deciso di consegnare il tapiro d’oro all’attrice. Tra l’altro la consegna effettuata da Valerio Staffelli ha scatenato un putiferio: perché assegnare il poco lusinghiero riconoscimento a chi è stato tradito e non a chi ha tradito? Il tg satirico si è difeso ricordando che ha sempre goliardicamente dato il tapiro ai cuori infranti. Fatto sta che il caso continua ad arricchirsi di particolari. Stavolta è Chi magazine a riportare alcuni nuovi retroscena su traslochi e richieste da parte dell’allenatore della Juventus. La coppia era legata da circa quattro anni e si è sciolta dopo un presunto tradimento di lui: la relazione pare fosse in crisi da un po’, ora il settimanale scrive che Allegri avrebbe chiesto alla sua ex di pagare l’affitto della casa dell’allenatore, in cui lei si era trasferita insieme ai figli. L’attrice invece starebbe cercando una nuova sistemazione per evitare azioni legali. Inoltre si vocifera che Allegri l’abbia tradita più di una volta: non sarebbe una novità per un uomo non nuovo a turbolenze nella vita privata. Tra l’altro Max ha dribblato la questione in questi giorni, parlando unicamente di calcio quando interpellato. "Non sarà con noi". Clamorosa assenza di Ambra Angiolini, cosa diserta: corna-Allegri, sospetto crollo nervoso.
Da gossipetv.com il 20 ottobre 2021. La fine della relazione tra Ambra Angiolini e l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri continua a far discutere. La coppia, insieme da quattro anni, si è detta addio da poco, in seguito a un presunto tradimento da parte di lui. Dopo il polverone che si è sollevato per il Tapiro D’Oro ricevuto da Ambra a causa della rottura, Chi magazine riporta nuovi curiosi retroscena su ciò che è accaduto e su ciò che sta avvenendo. La 44enne cantante e attrice sta vivendo un periodo molto difficile. Si era recentemente trasferita da Brescia a Milano, nella casa di proprietà dell’allenatore insieme alla figlia 17enne Jolanda, avuta dalla relazione con il cantante Francesco Renga. La decisione di vivere insieme ad Allegri è stata a lungo ponderata. Già nel periodo del lockdown del 2020 c’era aria di crisi, prontamente risolta dalla stessa Ambra. Adesso, però, la fine della love story è assodata, definitiva, senza un punto di ritorno. Il settimanale Chi spiffera alcune chicche inedite relative al naufragio d’amore, scrivendo che il mister della Juventus ha chiesto all’ex di “pagare l’affitto“. Dal canto suo l’attrice starebbe cercando una nuova sistemazione per “non incappare in azioni legali (il rischio c’è)”. Il magazine diretto da Alfonso Signorini rivela anche altri retroscena spinosi inerenti all’addio. A quanto pare, i tradimenti (Ambra ne avrebbe trovato le prove “nell’auto di ‘Max'”) sarebbero stati “a più riprese” e sarebbero avvenuti a Torino. Allegri, che per ora ha deciso di non commentare la vicenda e in generale la sua vita privata, non è nuovo a storie burrascose. Lo dimostra il suo passato: nel 1992 è scomparso senza dare spiegazioni a due giorni dalle nozze con una certa Erika. Poi ha lasciato la compagna di lunga data Claudia Ughi. Dopo la separazione l’ha portata in tribunale per rimodulare l’assegno di mantenimento del loro figlio Giorgio, in un periodo in cui non stava allenando alcuna squadra. Non gli è però andata bene: ha perso e ha dovuto sborsare più soldi. Per fortuna Ambra, che ha parlato di “giorno zero” da cui ricominciare, può contare sul supporto della figlia, che è al corrente dell’accaduto. Jolanda, dimostrando grande maturità, ha difeso a spada tratta la madre dopo che una settimana fa le è stato recapitato il Tapiro da Striscia la Notizia. L’idea venuta al Tg satirico di Antonio Ricci è stata assai criticata. Non era meglio che Staffelli facesse qualche chilometro in più e si dirigesse a Torino?
Giuseppe Fumagalli per “Oggi” il 29 ottobre 2021. L'ambiente Juve è una cerchia. Murata. Gli assalti per strappare qualche indiscrezione sulla fine tempestosa della relazione tra Massimiliano Allegri e Ambra Angiolini vengono regolarmente respinti. Ma a forza di insistere dalla cerchia murata qualcosa fuoriesce. La notizia, sfuggita a un frequentatore dell'ambiente Juventino, riguarda la prova del tradimento, che Ambra avrebbe scoperto sull'auto dell'allenatore della Juve. Un orecchino? Uno slip? Un reggiseno? O addirittura peggio? Nulla di tutto ciò. Sarebbe qualcosa di più sottile. «Un capello», mormora la nostra fonte, «un capello chiaro». Alla Continassa, quartier generale della Juve, azionano le catapulte. «Un capello?», è la reazione, «Ma che prova è. Oggi anche gli uomini portano i capelli lunghi. Allegri può anche dare un passaggio a uno dei suoi giocatori, il capello potrebbe essere di Rabiot». Senza allargare il fronte d'indagine a ipotesi finora inesplorate la nostra fonte si fa più precisa e incalzante: «Capello biondo, lungo e liscio». Non aggiunge altro. Il problema, sempre ammesso che di capello si tratti, è stabilire a chi appartenga. Se metter fine a un amore fosse reato ci penserebbero i Ris. E invece bisogna procedere a ten- toni, in una delle città più riservate del mondo. Altra fonte: «Non occorre andare troppo lontano», è il consiglio. «L'ambiente Juve è blindato e anche gli affari di cuore si giocano all'interno di un circuito chiuso. È tutta storia recente. Andrea Agnelli si è preso la bella- Deniz, che era moglie di un suo amico e manager. Alena Seredova, lasciata da Buffon, si è messa con Alessandro Nasi, cugino degli Elkann. Andrea Pirlo ha lasciato la moglie Patrizia, per mettersi con Valentina Baldini, amica di Deniz ed ex di Riccardo Grande Stevens, il cui padre, Franzo fu anche presidente della Juve. Insomma, se volete trovare la bionda, cercatela Ii». Un amico di Allegri, raggiunto al telefono, sogghigna: «Lui lo conosciamo, è sempre stato un po' farfallone», commenta. «Però negli ultimi anni mi sembrava più stabile. Qualcosa ha combinato, è sicuro, ma può darsi sia già tutto finito. Quando l'ho visto poche settimane fa mi ha detto di essere single».
Da corrieredellosport.it il 29 ottobre 2021. E se con Max Allegri il per sempre non c'è stato, sicuramente l'amore tra madre e figlia, quello sì che sarà per sempre. Dopo la fine della relazione con l'allenatore della Juve, Ambra Angiolini, che sta cercando di recuperare il sorriso perso, ha deciso di incidere sulla propria pelle il legame indelebile con la sua primogenita Jolanda attraverso un tatuaggio. Proprio la diciassettenne, avuta dal precedente matrimonio con Renga, nei giorni scorsi ha difeso pubblicamente la madre in occasione della polemica nata dopo la consegna del Tapiro da parte di Striscia la Notizia. Unite e complici, mamma e figlia hanno scelto un'immagine, di cui una parte completa l'altra, per suggellare il loro grande rapporto: Jolanda si è tatuata una figura femminile di profilo che soffia, mentre Ambra un soffione, che nel linguaggio dei fiori simboleggia la forza, la speranza e la fiducia. "Alla fine mi ha convinta Jolanda Renga ….. un “ per sempre “ che non si poteva rifiutare, pensato con gli occhi a cuore", ha scritto Ambra su Instagram, dove ha postato alcuni scatti che mostrano il tatuaggio appena fatto. Il tenero gesto ha conquistato i molti fan dell'attrice che hanno lasciato dolci commenti sotto il post e tra i tanti messaggi è arrivato anche quello di Francesco Renga che si è un po' ingelosito e ha scritto: "Vabbè", seguito da una faccina.
Da corrieredellosport.it il 4 novembre 2021. Ambra Angiolini e Massimiliano Allegri non hanno mantenuto alcun rapporto dopo la burrascosa rottura di qualche settimana fa, avvenuta - a quanto pare - per un tradimento dell'ex calciatore. Il settimanale Chi ha svelato nuovi retroscena su questa separazione: "Allegri e Ambra hanno smesso di parlarsi: l'allenatore pensa che sia stata la sua ex a decidere di diffondere la notizia della loro separazione". Al momento l'ex ragazza di Non è la Rai vive ancora nell'appartamento che doveva condividere con il mister bianconero ma è pronta a traslocare. "Dopo varie visite, l'Angiolini insieme con la figlia Jolanda pare che abbia trovato una nuova casa dove si trasferirà in tempi brevi per spezzare ogni legame, dimenticando ogni pezzo del puzzle di un amore che ormai era finito da circa 8 mesi".
Da sport.virgilio.it il 4 novembre 2021. Ora c’è solo silenzio (si fa per dire) attorno a Ambra e Max Allegri: la tensione tra loro ha toccato una tale elevatezza che la coppia non si parla neanche più per questioni di ordine pratico, relegando a terzi la risoluzione delle pratiche e delle incombenze che impone l’aver ancora una casa in comune. Ambra, come già rivelato dal settimanale Chi, avrebbe deciso di cercare un nuovo appartamento per sé e per Jolanda, sua figlia, dopo che Allegri ha deciso di riprendere possesso dell’appartamento milanese (molto vicino a quello occupato dalla figlia Valentina). Ergo Ambra deve abbandonare la loro dimora e trovarne un’altra. Ma ciò poco conta, dopo il comunicato stampa diffuso da Striscia la Notizia e le ultime rivelazioni di Alfonso Signorini.
Ambra, il comunicato di Striscia la Notizia
Nella serata di mercoledì, l’ufficio stampa di Striscia, ha inviato alle redazioni un lungo ed articolato comunicato che ricostruisce quanto avvenuto relativamente alla consegna del Tapiro a Ambra: un momento non proprio gratificante, che ha innescato reazioni di indignazione, l’intervento di opinionisti, giornalisti, addirittura della ministra per le Pari Opportunità su quello che è il ruolo e l’immagine trapelata dell’attrice. Questa versione, respinta in blocco dal tg satirico e dai suoi collaboratori, è stata smentita lato loro con una serie di documentate prove. “Il tapiro ad Ambra è stato un agguato, un atto violento contro la volontà dell’attrice. Il Gabibbo vi mostra il fuorionda dell’approccio dell’inviato Valerio Staffelli ad Ambra, che è in auto quando lo vede. Potrebbe allontanarsi. Invece scende, e segue il tapiroforo per accettare di buon grado il premio di consolazione. Verranno mostrare anche le molte immagini in cui si vede Angiolini che ride e fa battute a Staffelli”, si legge nel comunicato.
Il retroscena sul post di Jolanda Renga
Secondo Striscia, anche il post pubblicato da Jolanda Renga sarebbe stato frutto di una mossa mediatica architettata dall’agenzia che segue Ambra e (Notoria Lab) che avrebbe aiutato la primogenita dell’attrice a elaborare, in maniera più diretta, la propria opinione sulla rottura tra Allegri e la mamma. E Allegri? Secondo le ultime di Chi sarebbe stato irritato, e non poco, dall’immagine emersa da questa vicenda che ha sollevato così tante critiche e pressioni da esaltare ancora di più se possibile una contrapposizione, una semplificazione di ruoli. Stando all’allenatore sarebbe stata proprio Ambra a lasciar trapelare la notizia della frattura e a costruire una sorta di schermo dietro cui proteggersi, mettendo in luce le sue carenze e il presunto tradimento subito. Fino ad ora, nonostante l’attenzione costante, Allegri ha sempre preferito glissare e non fornire dettagli sulla sua vita privata. E ciò nonostante una vita sentimentale che ha visto separazioni, divorzi, rotture e flirt.
Il chiarimento tra Ambra e Vanessa Incontrada, poi il silenzio
Torniamo però a Striscia e alla difesa del proprio operato: un capitolo inedito di questa vicenda viene consegnato ai media attraverso un passaggio chiave, in questa triste vicenda del Tapiro a Ambra, accompagnate tra l’altro da minacce intollerabili verso i conduttori, Staffelli e lo staff: “Quando Vanessa Incontrada ha telefonato ad Ambra e si sono spiegate e chiarite. Però di questo fatto Angiolini nelle sue dirette radio e Instagram non ha mai dato notizia. Così non si sono evitate le minacce di morte arrivate ai conduttori, a Valerio Staffelli, ai loro figli. «Altro che muro d’amore, muro d’ipocrisia», precisa il Gabibbo”. Perché se Vanessa Incontrada, accusata di aver taciuto pur ricoprendo un ruolo molto importante nella comunicazione e nella lotta agli stereotipi ha omesso fino a mercoledì questo chiarimento? Perché Ambra non ne ha fatto cenno, anzi? Perché ancora sussistono questi non detti, al netto di una separazione che a quanto pare ha più strascichi di quanto si creda? Nulla è così, se vi pare. Almeno fino all’emergere di altri dettagli su una questione che non è più (solo) una vicenda privata.
Valerio Palmieri per “Chi” il 18 novembre 2021. Il tapiro d'oro consegnato da Valerio Staffelli ad Ambra Angiolini lo scorso 13 ottobre per la notizia della fine della relazione con Allegri, rivelata proprio da "Chi", ha fatto molto discutere. Perché ad Ambra e non ad Allegri? E un caso di sessismo? La figlia dell'attrice si è subito schierata in difesa della madre, il web si è infuocato. Un po' troppo, visto che sono arrivati anche insulti e minacce a Striscia, a Staffelli, alla famiglia di Staffelli e a Vanessa Incontrada, conduttrice in quei giorni del tg satirico, rea di non aver difeso la collega. Gli avvocati di Ambra si sono riservati "di valutare ogni migliore iniziativa a tutela della loro assistita in considerazione dell'illegittima intromissione e conseguente spettacolarizzazione di una vicenda privata e dolorosa da parte del Signor Valerio Staffelli". E così Striscia ha mostrato il dietro le quinte dell'incontro fra Staffelli e Ambra, in cui l'attrice si è mostrata gentile di fronte all'altrettanto gentile richiesta di Staffelli. Abbiamo intervistato l'inviato di Striscia, pronti a sentire anche Ambra se vorrà fornire la sua versione.
Domanda. Perché il tapiro ad Ambra e non ad Allegri?
Risposta. «Abbiamo deciso di andare da Ambra perché il tapiro viene tradizionalmente consegnato al presunto attapirato, non abbiamo mai fatto distinzioni tra uomini e donne, infatti lo abbiamo dato in passato anche a volti famosi come Riccardo Scamarcio e Fabrizio Corona, sempre peri loro amori da copertina infranti».
D. Non ha pensato, poi, di portarlo anche ad Allegri?
R. «No, perché è stato montato un caso assurdo sul nulla. Ci aspettavamo che Ambra in radio chiarisse, dicendo che io non l'avevo aggredita e che si era spiegata al telefono con Vanessa. Addirittura i suoi avvocati hanno minacciato di querelarci per l'intromissione nella sua vita privata. Incredibile. Voi di "Chi", allora, che per primi avete scoperto la nascita dell'amore tra Ambra e Allegri e poi per primi avete scoperto la fine del loro amore, dovreste avere l'ergastolo garantito».
D. Ma lei ha chiamato Ambra prima del servizio per mettersi d'accordo sulla consegna?
R. «No, sapevo a che ora sarebbe uscita dalla radio dove lavora e mi sono messo li fuori ad aspettarla. Quando è uscita, è entrata in macchina e io mi sono avvicinato con garbo per chiederle se potevo consegnarle il tapiro. Avrebbe potuto mettere in moto e andarsene come ha fatto qualche giorno fa Mourinho e, invece, è scesa, ha fatto battute simpatiche e mi ha pure invitato a pranzo. Le immagini del fuori onda che abbiamo poi diffuso sono inequivocabili».
D. Se Ambra le avesse detto: "Non me la sento, sto soffrendo troppo", che cosa avrebbe fatto?
R. «Ma lei è scesa dalla macchina. Poteva dirmi: "Valerio non è il caso, ne parliamo un'altra volta", e andarsene. Invece è stata al gioco e lo ha anche condotto con l'abilità di una donna consumata di spettacolo quale è».
D. Ambra aveva voglia di parlare o è stata solo gentile?
R. «Dopo 26 anni e 1.400 tapiri posso dire che, quando una persona è così simpatica e alla fine saluta e va via, e ti raccomanda addirittura di non inserire nel montaggio delle battute che possano stravolgere il senso delle sue dichiarazioni, è ovvio che penso sia andato tutto bene. Avevo consegnato tapiri ad altre donne per la fine dei loro amori, vedi Belen o Diletta Leotta, e non c'è stato nessun problema».
D. Che cosa le hanno detto sua moglie e sua figlia?
R. «La sera della consegna del tapiro hanno detto entrambe che Ambra era stata molto simpatica, poi, nei giorni seguenti, sono arrivate minacce di morte e insulti anche a loro».
D. E dispiaciuto?
R. «Sono dispiaciuto che Ambra non abbia smorzato i toni, avendo comunque gli strumenti per farlo. E poi la vicenda dell'addio fra Ambra e Allegri ha avuto altri sviluppi: dopo l'ondata di insulti a noi, salta fuori la storia del capello biondo trovato nella macchina di Allegri, una cosa che potevano sapere solo i due interessati, quindi o lui o lei l'hanno detto alla stampa. Allegri ha detto più volte di non volerne parlare. Chi sarà stato? Poi, dopo la storia del capello, arriva quella dell'affitto che Ambra avrebbe dovuto pagare ad Allegri per continuare a vivere a casa sua. E ancora, il tatuaggio di Ambra e della figlia. Mi sembra che ci sia un filo logico che porta all'uscita del nuovo film di Ambra dove, guarda caso, interpreta il ruolo di una donna abbandonata».
D. Lei pensa male.
R. «Io riporto solo dei fatti accaduti. Se unisci i puntini, viene fuori la figura del tapiro. Lo abbiamo pure dimostrato, smontando passo per passo le varie incongruenze nel servizio mandato in onda il 3 novembre».
D. Che cosa è successo dopo che avete mandato il video intero della consegna?
R. «Molte donne che ci avevano attaccato hanno cambiato idea. "Allora le cose non sono andate come pensavamo". Siamo stati zitti per un po' sperando che Ambra avrebbe chiarito, così non è stato. E consideri che Vanessa è stata bravissima perché l'ha chiamata, ma non ha mai parlato di questa telefonata, ha aspettato che lo facesse lei. Ma non è successo e Vanessa è stata ricoperta di insulti sui social, tanto che ha dovuto addirittura bloccare i commenti, ha ricevuto minacce terribili rivolte sia a lei che a suo figlio».
D. A chi darà il prossimo tapiro?
R. «Non glielo posso dire perché altrimenti poi dovrei ucciderla (ride, ndr)».
Ambra Angiolini e Max Allegri, le corna e l'ultima indiscrezione: "Pare che ora...", è finita in disgrazia.
Libero Quotidiano il 04 novembre 2021. L'amore tra Ambra Angiolini e Massimiliano Allegri è finito malissimo: i due non si parlano più. Insieme alla telenovela Wanda Nara - Mauro Icardi, è la storia di corna più bollente dell'anno 2021. E forse non è un caso che entrambe le vicende riguardino una donna di spettacolo e un protagonista del mondo dello sport, con il mix devastante di riflettori e gossip da spogliatoio. Nel caso dell'allenatore della Juventus e della ex stellina di Non è la Rai, oggi stimata attrice e conduttrice radio, la trama è chiara: lui, che un po' farfallone lo è sempre stato fin da ragazzo, l'avrebbe tradita più volte durante la loro relazione e quando lei lo ha scoperto, lo ha mollato. Punto. Tutto abbastanza scontato, ma dopo viene il bello. Il Tapiro d'oro consegnato da Striscia la notizia alla Angiolini ha scatenato una ondata di indignazione, con le accuse di insensibilità e scarso rispetto da parte del tg satirico di Canale 5. Antonio Ricci ha replicato sottolineando le responsabilità della stessa Ambra e della agenzia che ne cura l'immagine nella gestione del post-rottura. E il settimanale Chi diretto da Alfonso Signorini, che per primo aveva lanciato lo scoop della coppia scoppiata, dopo aver rivelato il dettaglio del "capello biondo" trovato da Ambra in auto, indizio inequivocabile delle corna con amante da ricercare nella "famiglia della Juventus", sgancia un'altra bomba. Ambra e Allegri "hanno smesso di parlarsi: l'allenatore pensa che sia stata la sua ex a decidere di diffondere la notizia della loro separazione", parziale conferma di quanto sottolineato da Striscia. La Angiolini vive ancora nell'appartamento milanese condiviso con Allegri, ma "dopo varie visite, insieme con la figlia Jolanda pare che abbia trovato una nuova casa dove si trasferirà in tempi brevi per spezzare ogni legame, dimenticando ogni pezzo del puzzle di un amore che ormai era finito da circa 8 mesi".
Giampiero Mughini per Dagospia il 16 ottobre 2021. Caro Dago, sarà perché invecchio sempre più pericolosamente fatto è che sempre più pregio il valore della discrezione, del non far rumore mentre cammini, dello scansarti e del non esserci anziché esserci a tutti i costi sui media e compagnia cliccante. Un valore che è talmente in controtendenza rispetto alle voghe e ai valori della nostra società da diventare rarissimo e dannoso per chi lo pratica. Naturalmente ero stato fra coloro che erano rimasti sbalorditi della consegna del Tapiro di “Striscia la notizia” ad Ambra, persona e donna che conosco e apprezzo: e che è la testimonianza vivente di quanto Gianni Boncompagni, che la scoprì “ragazzina”, ci azzeccasse sempre nei suoi giudizi. (E a proposito di Boncompagni e della sua “Non è la Rai”, ho apprezzato molto che Aldo Grasso, un critico televisivo di cui condivido appieno il 90 per cento di quello che scrive, si sia detto “pentito” del non avere apprezzato a suo tempo quella formidabile invenzione televisiva.) Mai e poi mai l’avrei scritto da quanto mi sembrava banale, certo era sconcertante che un segno di dileggio venisse appioppato a una donna di cui sembrava che fosse stata “lasciata” dal suo uomo dopo una relazione durata quattro anni. Solo che le cose a quanto pare non sono andate così. Ambra, che è donna di spettacolo e donna intelligente, pare abbia concordato la scenetta con i finti pirati di “Striscia la notizia”. Ha intuito che da quella sceneggiata ne sarebbe venuta per lei un gran guadagno massmediatico, e difatti mezza Italia dopo quella scenetta tifa (giustamente) per lei. La società fondata sulla comunicazione massmediatica, secondo cui l’importante è esserci, trionfa ancora una volta. Ambra non ci fosse stata, ne avrebbe avuto solo danni sotto forma di disinteresse, di silenzio su di lei, di non esserci per l’appunto. Al suo posto in quei giorni avrebbe magari trionfato una qualche sciacquetta qualsiasi che si fosse resa “visibile” per il più banale dei motivi. E del resto in una società dominata dal rumorio della comunicazione di massa, come fai a distinguere tra motivi “banali” e motivi che non lo sono. Impossibile. Esserci esserci esserci. A tutti i costi. A cominciare dall’esserci sui social a qualsiasi costo e in qualsiasi circostanza. Senza di che, è il caso mio, la tua condizione diventa eguale a quella degli antifascisti esuli in Francia e dunque lontanissimi dalla realtà italiana degli anni Venti e Trenta. Non esisti, non esisti proprio. Un mio amico che stava sui social due tre ore al giorno, mi diceva che quando usciva un suo libro era come se duemila copie fossero già immediatamente vendute. A coloro con i quali aveva duettato a colpi di clic per mesi e mesi. Malato di discrezione come sono, se esce un mio libro non ne accenno neppure ai miei amici. Una volta la Feltrinelli mi aveva invitato a parlarne in una delle sue librerie romane. Di quell’appuntamento non ne feci parola con nessuno. Nella saletta si radunarono venti o venticinque persone, non una di più. Vendetti due copie del libro. Mi direte che questa è spocchia. Ossia l’altra e prelibata faccia della discrezione. Ma certo che lo è.
Signore e signori. Ambra, Boccassini e l’idea che il tradimento tra adulti sia la cosa più devastante che possa capitare. Guia Soncini su L'Inkiesta il 16 Ottobre 2021. Con l’indignazione per il tapiro all’attrice tradita e per le rivelazioni dell’ex magistrato su Falcone sembra di essere tornati nel mondo di Pietro Germi. E da quando le diciassettenni, le uniche peraltro che avrebbero diritto a considerare le corna una questione di vita o di morte, vengono adulate come fari culturali? Dio, come mi manca Pietro Germi. Mi manca fino alla profondità, la vastità e l’altezza che l’anima mia può raggiungere allorquando persegue, irraggiungibili agli sguardi, i fini del bene e della grazia ideale. (Sì, sto scempiando quella poesia che vi sembra di riconoscere ma non siete proprio sicuri: è Elizabeth Barrett Browning, la declamavano in una puntata di Saranno famosi quand’eravate piccoli e avreste dovuto studiare Tacito invece di guardare la tele). Mi manca Pietro Germi in questo secolo a lui successivo che è a lui contemporaneo: chissà dove pensavate di vivere, voi che abitate il tempo congelato, immobile, di Signore e signori, di Divorzio all’italiana, di Sedotta e abbandonata. Ho sospettato fossimo quell’Italia lì la settimana scorsa, quando Ilda Boccassini veniva accusata d’aver diffamato Francesca Morvillo svelando d’aver avuto, trent’anni fa, una relazione con suo marito, Giovanni Falcone. Quella al capitolo fedifrago delle memorie di Ilda Boccassini è stata una reazione comica. Custodi della morale matrimoniale si battevano il petto come prefiche al funerale della monogamia. Mi tornava in mente la vedova di Spencer Tracy che, a Katharine Hepburn – amante di lunghissimo corso del marito, a tutti gli effetti un matrimonio parallelo – che le telefona, risponde «ma io credevo tu fossi un pettegolezzo». Solo che allora era il 1967, un anno dopo Signore e signori. Sono passati mille anni, in termini di costumi di coppia, parrebbe – e invece. E invece ricopio il commento che più mi è piaciuto all’uscita del libro dello scandalo; il commento, su Facebook, di una signora – Eleonora, non vi dirò sotto che articolo di che giornale, né ve ne svelerò il cognome – che unisce il contemporaneo non sapere niente di niente mai, e lo scandalizzarsi come le beghine messe in scena da Germi: «Ma Falcone era sposato? Questo non l’ho capito. Perché, se lo era all’epoca, la signora è una maleducata, priva di sensibilità verso i parenti della moglie. Perché farli soffrire? Non mi piace!». Per Eleonora i parenti di Francesca Morvillo, che quarantaseienne morì in un attentato assieme al marito e alla scorta, soffriranno perché la signora era, aspettate che continuo l’articolo con una mano sola mentre con l’altra m’attacco a una tenda per meglio significare la drammaticità di questa condizione invero rarissima nonché grave, cornuta. Ebbene sì, signori della corte: cornuta. Mi piacerebbe che Eleonora fosse un’eccezione, ma la vicenda di Ambra mi ha fatto capire che no, siamo proprio convinti che le corna siano la cosa più devastante che possa capitare (sospetto non sia colpa di Anna Karenina che si butta sotto al treno ma del coniglio da compagnia bollito dell’amante in Attrazione fatale: la mia generazione era giovane e impressionabile). Se siete appena tornati da Marte, riassumo. Ambra Angiolini – attrice, madre (sì che c’entra), e madeleine del boncompagnismo, carattere fondativo della nazione – conclude la sua relazione con Massimiliano Allegri – tizio a me ignoto che ha a che fare col giuoco del calcio – e riceve perciò la visita d’un inviato di Striscia la notizia, il quale le consegna un brutto oggetto che, storicamente, la trasmissione consegna a chi abbia fatto una brutta figura. (Che concetto da provincia germiana, la «brutta figura»). Scusate la premessite ma devo precisare che, tra un inviato televisivo che t’impone un’intervista che non hai concesso, e chiunque altro sia l’intervistato renitente, io sto e starò sempre contro il varietà televisivo che t’impone d’alzargli gratis gli ascolti, anche qualora l’intervistato fosse Priebke. Figuriamoci se è Ambra Angiolini. Tuttavia, quando l’opinionismo accorre in massa a dire ad Antonio Ricci che come ha potuto essere così atroce, così insensibile, così irrispettoso d’una situazione così delicata; quando le presunte corna d’una storia d’adulti vengono trattate come se invece che di corna stessimo parlando di terrore miseria e morte; quando le diciassettenni vengono trattate come fari culturali (la figlia di Ambra e di Francesco Renga, la diciassettenne Jolanda, unica ad avere l’età giusta per considerare le beghe sentimentali questione di vita o morte, come Giulietta Capuleti, è intervenuta sui social, la cui livella ci fa trattare allo stesso modo un intervento di Jolanda Renga e uno di Angela Merkel); ecco, quando accade tutto questo io mi chiedo se ci abbia dato di volta il cervello. Quando Elena Stancanelli – ieri sulla Stampa – scrive «sono stata tradita dall’uomo con cui stavo e questo fa di me una persona ridicola? Ho capito bene?», io, senza neppure sapere se Ambra fosse d’accordo col programma (quando si tratta di gente dello spettacolo, i programmi aggressivi sono spesso più complici di quanto lo siano coi carneadi), senza sapere niente dei fatti, osservo la tenda cui ci siamo tutte attaccate alla prima occasione in cui far sfoggio delle nostre priorità, e penso quant’è strano che non ce ne sia stata neanche una, ne sarebbe bastata una, che dicesse «ahò, ma erano solo corna»; neanche una, ne sarebbe bastata una, che alle accuse di vessare le donne abbia risposto che gli uomini sono cornuti almeno altrettanto (almeno); e poi penso a quanti soggetti sprecati, e a cosa avrebbe saputo farne Germi.
Perché solo la Angiolini merita tutela? Il doppiopesismo smascherato dal tapiro. Francesca Galici il 18 Ottobre 2021 su Il Giornale. Per il tapiro d'oro ad Ambra Angiolini è sceso in campo anche il ministro Bonetti: perché non è accaduto quando a ricevere il tapiro sono state altre donne? La storia d'amore tra Ambra Angiolini e Massimiliano Allegri si è conclusa. Non è la prima e non sarà certo l'unica, i loro fan se ne faranno una ragione. Ma da giorni non si fa che parlare di loro due ma soprattutto di Ambra, a quanto pare tradita dal suo ex. E anche qui, non è che sia l'unica ad aver subito questa sorte, la social guru Giulia De Lellis ci ha fatto pure un libro dal titolo "Le corna stanno bene su tutto". E se lo dice lei, chi siamo noi per contraddirla? Ma la querelle per la quale la Angiolini è stata eretta quasi a povera vittima e sulla quale, a detta di alcuni, non si può scherzare è nata quando è entrata in scena Striscia la notizia. Le femministe strombazzanti hanno iniziato a lamentare il fatto che è stato crudele consegnarle il Tapiro d'oro, nato come riconoscimento nei confronti degli "attapirati", ossia tristi. Addirittura in favore dell'attrice si è spesa anche Elena Bonetti, ministro per le Pari opportunità e per la famiglia. "Queste vicende non devono mai essere spettacolarizzate. Certamente si è scelto di andare dalla donna e non dall'uomo. Ma conosco Ambra, donna di grande coraggio e ha retto questa situazione con grande dignità", ha detto ai microfoni di Radio Capital. Un inasprimento del clima al quale il tg satirico di Canale5 ha provato a mettere una pezza, alleggerendo il tutto e lasciando che fosse il tapiro stesso a rispondere al ministro, segnalandole tutti i casi in cui il tapiro è finito nelle mani di uomini e donne dopo la fine della loro relazione. "Come vede, mi sono sempre fatto un punto d'onore di rispettare le Pari opportunità. Lei, invece, cara Ministra, sembra non considerare Diletta Leotta degna della sua tutela, con il solito doppiopesismo rivelatore", si legge nel comunicato. In effetti, non si ricordano altre volte in cui ci si è stracciati le vesti per un tapiro consegnato a una persona tradita. "Quanti sepolcri imbiancati, prosseneti, finti moralisti o semplici ciarlatani, individui in crisi di astinenza o semplicemente bisognosi dell'esternazione quotidiana si sono sentiti autorizzati a pontificare sull'argomento", chiosa in chiusura di comunicato il tapiro. Ma tutto questo va contestualizzato, perché Striscia, dopo che si è sollevato il polverone, ha mostrato il fuorionda della consegna. Ambra, dice il tapiro, "non ha mai manifestato a Staffelli la minima volontà di non essere intervistata, come risulta evidente durante tutto il servizio. A telecamere spente, inoltre, Ambra si è raccomandata con Staffelli che in sede di montaggio non venissero compiute azioni che stravolgessero il senso di quello che lei aveva detto: richiesta naturalmente accolta". Se il clima era disteso e non c'è stata nessuna richiesta di spegnere le camere o di non trasmettere il servizio da parte dell'attrice, cos'è successo dopo? Non si sa, però gli avvocati di Ambra Angiolini hanno annunciato che si riservano di procedere "in considerazione dell'illegittima intromissione e conseguente spettacolarizzazione di una vicenda privata e dolorosa da parte del signor Valerio Staffelli, inviato di Striscia la notizia". Ai legali ha risposto ancora una volta il tapiro d'oro: "Mi sono limitato a raccontare quello che è visibile a tutti nel filmato pubblicato sul nostro sito, a prova di ogni smentita. È evidente la volontà di trasformare l’episodio in una telenovela". Striscia la notizia consegnerà ora un tapiro al tapiro?
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Non solo Wanda e Icardi. L'eterna "incornata" che fa la storia del calcio. Tony Damascelli il 18 Ottobre 2021 su Il Giornale. Dai 14 figli di Garrincha fino a Buffon, Terry e Balotelli: tradire è un classico del pallone. Raccontano che Garrincha sia stato padre di quattordici figli, raccontano pure che i suddetti non siano tutti della stessa madre ma sparsi un po' per il mondo, quello del football in particolare, frequentato dal fenomeno brasiliano. La storia è antica, dunque, di tradimenti di sesso, di famiglie spaccate, di matrimoni finiti, di clamorosi divorzi. Wanda Nara ha scoperto che «mi tesoro» come Lei chiamava Mauro Icardi, se la intende con una sventola (si può scrivere o è oggetto di sessismo acuto?) compatriota, Eugenia Maria Suarez detta China ma avendo una nonna giapponese. Lo stesso Icardi aveva portato via la succitata Wanda al sodale Maxi Lopez con la quale la strepitosa Nara aveva dato alla luce figli tre. Raccontano che Gigi Buffon abbia messo le corna ad Alena Seredova preferendole Ilaria D'Amico e la ragazza di Praga si sia vendicata unendosi ad Alessandro Nasi che, in un certo senso, è tra coloro che ha garantito il salario di Buffon. Raccontano che John Terry, ex capitano del Chelsea, somigliante assai a Kevin Spacey, abbia approfittato di Vanessa Perroncel ma questa era moglie di Wayne Bridge, sodale di squadra di John, al punto da rinunciare alle convocazioni in nazionale, per evitare di incontrare il vigliacco al quale Fabio Capello, per punizione, tolse pure la fascia di capitano. Si potrebbero raccontare storie cento di Diego Armando Maradona e delle sue prestazioni in orizzontale, le battaglie sull'eredità coinvolgono parenti vicini e lontani. Ha un buon album di figurine private Mario Balotelli che conta un numero di amori traditi superiori ai gol realizzati. Ci fu il caso di Wilfied Zaha ceduto dal Manchester United perché scoperto a filare con la figlia dell'allenatore David Moyes. Si narra del colombiano James Rodriguez che perse la testa per la modella russa Helga, conosciuta ad una festa in casa di Cristiano Ronaldo. Nulla di strano se non che la relazione esplose e proseguì mentre Daniela Ospina, la moglie di Rodriguez, stava in Colombia con tutta la famiglia appresso. L'olandese Virgil Van Dijk ha commesso un fallo da cartellino rosso, lasciando la moglie per Georgie Lyall, buona fantastica però attrice nota di film porno, sulla stampa inglese grandi reportage e fotografie della coppia beccata ignuda in albergo. Restando nel mondo hard non va dimenticato Faustino Asprilla che consigliò moglie e figli di andare in Colombia perché il clima di Parma era umido, freddo, nebbioso, malinconico e per combatterlo Faustino pensò di buttarsi su Petra Scharbach, tedesca affascinante e divertente. L'ex difensore di Napoli, Vicenza, Juventus, Roma e varie, Luciano Marangon, soffriva di solitudine e andava per discoteche, si scaldava prima delle partite con un team di donne belle, lo accompagnava Ruud Krol che così spiegava alla propria moglie: «Vado da Luciano che è sempre solo». Non male, si fa squadra anche così. Si segnalano anche vicende colossali di presidenti di serie A capaci di colpi di mercato in casa altrui. Il mondo del calcio vive di finte in campo e anche fuori. Basta non stupirsi. Un tempo dalle tribune si urlava: «Arbitro cornuto!», ormai l'insulto non va più di moda, è superato. Basta consultare l'almanacco e scegliere una figurina tra le tante dei calciatori e ripetere lo stesso strillo. Nemmeno il Var potrebbe smentirlo. Tony Damascelli
Aldo Grasso per il Corriere della Sera il 6 settembre 2021. Ebbene sì, lo ammetto: «Non è la Rai» non mi piaceva, inutile fingere il contrario. Con gli occhi di oggi (Mediaset ha proposto una maratona sul canale Extra, 163 di Sky, interrotto dalle promozioni di Giorgio Mastrota), è tutto un altro programma ed è possibile condividere molti degli elogi che hanno accompagnato l'anniversario (9 settembre 1991). Allora ero prigioniero di alcuni giudizi e di non pochi pregiudizi. Il programma in sé non era molto diverso dall'intrattenimento facile: cruciverbone, giochini telefonici, canzoni, balletti, discoteca, Enrica Bonaccorti, Paolo Bonolis Per l'esplosione delle cento adolescenti in costume, acerbe e maliziose, si parlava di lolitismo (pregiudizio), di traviamento (al Corriere arrivavano decine e decine di lettere di genitori disperati e un critico alle prime armi ne era colpito), di strategia berlusconiana per intontire il Paese (altro pregiudizio), di deriva televisiva. Pareva che «Non è la Rai» fosse solo la risposta Fininvest a «I ragazzi del muretto» della Rai o alla «Piscina» di Alba Parietti. Tempi in cui per «L'istruttoria» di Giuliano Ferrara si parlava di Circo Barnum. I metri di paragone erano altri: «Avanzi», «Mai dire gol», per qualcuno anche «Twin Peaks». La disputa più avvincente era questa: la famosa coppia Arbore-Boncompagni non lavorava più insieme e in molti credevamo (critici ben più titolati di me) che la «tv intelligente» fosse prerogativa del primo e il suo contrario del secondo (senza capire che quella spudoratezza stilistica stava cambiando la tv, nel suo profondo). E poi i giornali erano pieni della cerimonia che ogni giorno si ripeteva davanti agli studi della Safa Palatino, a Roma. Centinaia di ragazze che aspiravano a far parte del cast, madri agguerrite che cercavano di imporle o di trascinarle via, interventi di psicologi e sociologi, il Telefono Azzurro bollente. Difficile non tenerne conto. Sbagliavo? Amo i film dell'errore.
Non è la Rai, "ma quale favola... roba da vomito". La ex sgancia la bomba: da Ambra a Laura Freddi, testimonianza-choc. Libero Quotidiano il 09 settembre 2021. Nella giornata del 30esimo compleanno dell’inizio del Non è la Rai una delle sue protagoniste va controcorrente. A far esplodere il caso è stata Laura Colucci, allora 21enne. La donna prima postato su Facebook un post durissimo poi ha rilasciato una intervista, destinata a far discutere e ad accendere polemiche. “Non era una favola. C’erano delle situazioni vomitevoli. Le racconterò nel libro che sto scrivendo, probabilmente anche facendo i nomi o comunque facendo capire di chi parlo”. "Non ho fatto il provino come le altre ragazze. Sono arrivata a programma iniziato, dopo due mesi. Un giorno ero andata al Centro Palatino con una mia amica, Boncompagni mi ha visto e mi ha chiesto di fare parte del cast. Tra le ragazze c'era un rapporto di pseudo-amicizia, di competizione e di invidia. La maggior parte sgomitava. C’erano addirittura quelle che si facevano uscire le lacrime per farsi fare i primi piani. Si faceva di tutto pur di apparire”.
Capitolo Boncompagni. "Amava contornarsi di persone giovani. Il rapporto con le ragazze era professionale e a volte anche extraprofessionale. Che lui avesse delle relazioni con le ragazze non mi riguarda, con me non ci ha mai provato. Aveva un grande carisma, ti trasmetteva qualcosa ed era riuscito a creare questo mood per cui dovevi arrivare a fare di tutto per emergere. Prediligeva le ragazze che venivano da un basso ceto sociale perché più affamate di successo e pronte a mettersi in gioco”. Il suo caso era differente visto che proveniva da una famiglia a cui non doveva per forza portare i soldi a casa. A me nessuno ha mai chiesto di andare a letto con qualcuno, però ho vissuto direttamente storie di ragazze che frequentavo che mi hanno confidato di essere dovute scendere a compromessi per poter emergere e fare qualcosa di più rispetto a quello che facevo io ad esempio. C’erano minorenni, c’erano genitori delle minorenni che spingevano… Non erano rapporti sessuali, ma compromessi. A me mai nessuno ha chiesto di fare sesso, ma ad altre ragazze sì. Ambra era molto più piccola di me e non ci siamo mai frequentate o sentite. La Freddi l’ho frequentata tanto, però ti dico no comment. Perché ci sarebbe tanto da dire”.
Michela Marzano per "la Repubblica" il 2 febbraio 2021. Ambra è preoccupata. I disturbi del comportamento alimentare sono in costante aumento. Sono sempre più numerose le bambine e le ragazze che si sentono diverse dalle altre, hanno male all' anima, e non trovano altro modo per dirlo se non attraverso il cibo. Per non parlare poi di tutti quei bambini e quei ragazzi che fanno più fatica a riconoscere la propria malattia e che si vergognano ancor più delle proprie coetanee. Michela Marzano. «È per questo che hai scritto InFame ? Hai voluto raccontare la storia della tua bulimia affinché chi ne soffre non si vergogni? L' ho trovato un libro molto coraggioso. Non credo sia stato facile, per una persona di successo come te, raccontare le notti passate a mangiare e vomitare, le ore chiuse in bagno, il reflusso gastrico e la voglia di guarire lasciandoti alle spalle Elettra, "l' altra", come tu chiami nel libro la parte malata di te stessa e di cui cerchi disperatamente di sbarazzarti. Che fine ha fatto oggi Elettra? Te ne sei liberata?». Ambra Angiolini. «Non credo di essere stata così coraggiosa. In fondo, in questo libro, voglio solo dire che sono una tra le tante che si è ammalata, e che non c' è nulla di cui ci si debba vergognare. E poi, anche se racconto tutto, non mi piango mai addosso. Credo che il mio libro sia anche pieno di leggerezza e di ironia».
M. «A un certo punto, scrivi che il digiuno di amore ti proteggeva dalle abboffate alimentare. Scrivi: "Meno sento e meno sbaglio, meno mi concedo e meno mi sento in colpa". Di cosa ti sentivi in colpa? Che cos' è che non andava bene?».
A. «C' era quel "troppo" di cui non sapevo cosa fare. Sentivo "troppa roba" dentro e non capivo dove metterla. E poi quel grido: "Ancora!". Anche se è proprio questa voglia di fare che mi ha poi sempre spinto ad andare avanti».
M. « Ma cosa c' era dietro quell' ancora? Un vuoto da riempire?
Un' assenza? Te lo chiedo perché, quando qualcuno mi domanda che cosa c' era all' origine dei miei disturbi alimentari, l' unica risposta che trovo è l' ansia di diventare perfetta, la colpa di non essere esattamente come gli altri avrebbero voluto che io fossi, una severità costante nei miei confronti e l' incapacità, in fondo, di accettare le mie fragilità e le mie contraddizioni. Per anni, non mi sono mai sentita "abbastanza". Dovevo sempre fare meglio, di più, ancora È stato così anche per te? È per questo che "l' ancora!" smette di perseguitarti durante la tua prima gravidanza?».
A. «Quando ero incinta, ero piena, sazia. Dentro la mia pancia c' era una persona che non diceva mai "ancora!". L' ancora è diventato "amore". Ma adesso basta parlare di me, non è questo che mi interessa».
M. «E che cosa ti interessa?».
A. «Vorrei che, in Italia, si prendesse consapevolezza di questa macchia nera costante sul futuro. Se i più giovani soffrono, è il futuro del nostro Paese che rischia di essere compromesso. Se penso al domani, penso ai giovani; come faremo domani se non li curiamo oggi?».
M. «E come si dovrebbero curare i giovani?».
A. «Creando strutture adatte. È quello che sta cercando di fare Simona Tironi, la vice presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia, con la quale collaboro. È lei la prima firmataria di una legge che prevede l' istituzione di una rete regionale per la cura dei Dca (i Disturbi del comportamento alimentare, ndr ), la creazione di una cabina di regia, il rafforzamento di interventi ambulatori per le diagnosi precoci, la creazione, in ogni ospedale, di reparti specializzati. Ti sembra possibile che le persone bulimiche e anoressiche siano ricoverate in centri di salute mentale insieme agli altri pazienti psichiatrici? Questi centri non sono adatti a chi soffre di Dca».
M . «Il tema della cura è fondamentale, certo. Ma poi c' è anche tutto il capitolo sulla prevenzione, non pensi che ci sia bisogno di un radicale cambiamento culturale? In fondo, anoressia e bulimia sono solo sintomi di un malessere più profondo. Ed è su questo che ci si dovrebbe concentrare».
A. «Purché la si smetta con tutte le stupidaggini che si dicono sul corpo, sul peso, sul body positive e sulle modelle. Basta parlare sempre e solo di corpo! Anoressia e bulimia non sono capricci, non c' entrano nulla con l' estetica. Basta con tutti questi pregiudizi che cancellano le voragini di problemi che i più giovani si portano dentro E poi basta, soprattutto, con le categorie. Le categorie sono gabbie. E chi nelle categorie non c' entra, che fa? E se il problema fosse proprio l' esistenza di queste gabbie?».
M. «Hai ragione, secondo me, il punto è proprio questo. Spesso, dietro i Dca, c'è l' ansia di non essere esattamente come si dovrebbe; c'è un' ossessione per il dover essere, mentre l' essere si appanna e scompare; c' è il bisogno di far qualcosa di quel "troppo" o di quel "troppo poco "che ci si porta dentro. Tanto ognuno di noi è di verso da chiunque altro, e non serve a nulla sforzarsi di essere diversi da ciò che si è. L' importante è accettarsi. E perdonarsi. E circondarsi di persone che ci amano per quello che siamo, senza chiederci di cambiare, migliorare, diventare "altro". Sono tanti i genitori e gli insegnanti che proiettano sui figli e sugli alunni aspettative e frustrazioni, e questo non li aiuta certo ad accettarsi e ad amarsi per come sono. Non trovi?»
A. «Forse. Anche se io penso che si nasca così. Il mio primo vagito è stato: "Ancora!". Cosa avrebbero potuto fare i miei genitori? L' importante, comunque, è parlare dei Dca. Non vorrei che accadesse la stessa cosa che succede sempre in Italia quando c' è un' urgenza. Adesso che con la pandemia, il lockdown e la Dad sono aumentati del 30% i casi di ragazze e ragazzi malati, l' allarme è alto. Tutti ne parlano, tutti si preoccupano. E poi? C' è il rischio che, col tempo, tutti se ne dimentichino. Esattamente come con il terremoto dell' Aquila?».
M. «Sì, certo, anche perché si tratta di un problema strutturale della nostra società, non di una moda che passa. Dietro, c' è l' ossessione per la performance, la riuscita, la perfezione. Sai, sono convinta che nessuno di noi nasca malato. Ci si ammala di anoressia e di bulimia quando non si ha la possibilità (o la libertà) di essere se stessi. E allora si pensa che, se qualcosa non va come si vorrebbe, è sempre e solo colpa nostra. Credo che sia da lì che si debba ripartire. Anche grazie a un libro come il tuo».
· Amedeo Minghi.
Andrea Laffranchi per il Corriere della Sera il 27 marzo 2021. Amedeo Minghi non se lo spiega. Lo lascia sorpreso che Vattene amore , la sua hit del 1990 portata a Sanremo con Mietta, sia usata come sottofondo ai video dei matrimoni... «Beh, tutti se la dedicano spesso, ma il titolo è abbastanza esplicativo: Vattene amore », racconta il cantautore che ieri ha pubblicato «Navi o marinai». «Questo brano nuovo vuole essere un messaggio di speranza. Le canzoni che scrivo non hanno quasi mai traiettorie precise, ma ho sentito l' esigenza di affidare a questa canzone il mio abbraccio».
Nel testo parla di «vinti o vincitori», «prede o predatori». Nella vita da che parte si è trovato?
«Direi un pareggio, usando una termologia calcistica. A volte ci si immagina vinti e ci si scopre poi vincitori, o viceversa. È ciò che accade alle canzoni. A volte hanno bisogno di tempo per essere capite e avere fortuna».
Come «Vattene amore» celebrata all' ultimo Sanremo dal duetto fra Elodie e Fiorello?
«Sono stati bravi e disinvolti. Li ho ringraziati. Quel brano nasce dal dialogo incessante di due visionari, io e Pasquale Panella. Il successo e la popolarità raggiunta hanno frantumato il significato stesso di questo raffinatissimo brano. Meglio così».
È vero che il «trottolino amoroso» viene dalle Nozze di Figaro di Mozart e il «gattino annaffiato» dalla pubblicità della Barilla?
«È una canzone piena di riferimenti e allusioni, ma come tutti i successi viene strappata agli autori e diventa del pubblico. Dentro c' è il "farfallone amoroso" mozartiano come riferimenti a pubblicità smielate dell' epoca».
La pandemia le ha dato più tempo per scrivere o le ha tolto stimoli?
«È un periodo delicato a livello mondiale. Ci mancano le abitudini di sempre. Siamo tutti più fragili e più soli. Non ho avuto lo slancio di scrivere o di progettare. L' ispirazione accade sempre un attimo dopo l' esperienze "forti". Siamo ancora nella tempesta».
«1950» raccontava l' Italia del Dopoguerra. C' è bisogno di una Serenella per il post-pandemia?
«Serenella è ancora oggi una ragazza modernissima: ha gli occhi spalancati verso il futuro. Ci racconterà ancora molto».
Le piace la nuova generazioni di cantautori emersa con lo streaming?
«Gli arrangiamenti sono il loro punto di forza. Un tempo si partiva al pianoforte o alla chitarra e si facevano sentire melodie; dovevamo essere riconoscibili con la nostra voce. Oggi i cantautori nascono in un mondo fatto di immagini e pertanto hanno un approccio diverso. Ad esempio i testi hanno bisogno di più parole e spesso sono molto più colti e profondi di ciò che la mia generazione produceva».
· Amouranth, alias Kaitlyn Siragusa.
Lorenzo Mancosu per "gazzetta.it" il 13 giugno 2021. Quando a fine 2019 si è esaurita la straordinaria spinta di Fortnite di Epic Games, che ha effettivamente quadruplicato i numeri di Twitch.tv, la piattaforma di Amazon si è resa protagonista di un vero e proprio ritorno alle origini. A partire dallo scorso anno, abbiamo assistito a una virata verso la formula originale di Justin.tv, con una forte crescita delle dirette IRL (ovvero In Real Life) e dei contenuti basati sul semplice dialogo fra streamer e pubblico. Questo cambio di paradigma ha portato all’esplosione di un nuovo filone di contenuti sessualizzati che hanno fatto la fortuna di numerose streamer, portandole senza sforzo in vetta alla categoria dedicata al Just Chatting. Ma è stato solo di recente che questo ecosistema si è evoluto nelle dirette “Hot Tub”, ovvero trasmissioni in cui le ragazze posano in costume da bagno dentro piscine gonfiabili improvvisate, raccogliendo decine di migliaia di dollari in donazioni e abbonamenti. Dopo mesi e mesi di continue polemiche, Twitch si è finalmente espresso sulla questione creando una categoria ad hoc per questo genere di contenuti.
INCERTEZZE – La principale polemica rivolta a Twitch dagli stessi creator risedeva nella nube di incertezze che avvolge i termini di servizio della piattaforma: non essendoci chiarezza sui contorni della sfera erotica consentita e sulle sanzioni applicate al momento delle violazioni, si è venuto a creare un clima estremamente tossico. Numerose streamer legate a doppio filo al mondo gaming si sono lamentate della concorrenza sleale attuata dalle ragazze delle Hot Tub, mentre diversi streamer più volte sanzionati dal team di Amazon hanno puntato il dito contro le misure risibili che sono state spesso adottate contro le ragazze recidive. I più criticavano la massiccia presenza di dirette Hot Tub nella pagina principale di Twitch, quasi fosse divenuto il contenuto di bandiera della piattaforma, disponibile e accessibile a “zero-click” di distanza dall’approdo sul celebre sito web. Di converso, il team che gestisce la comunicazione di Twitch ha scelto di non esprimersi mai in modo netto sulla tematica, limitandosi a prendere saltuari provvedimenti nel tentativo di arginare i comportamenti più spinti. O almeno, ha agito in questo modo fino al caso che ha coinvolto la streamer Amouranth.
LA CATEGORIA HOT TUB – Amouranth, alias Kaitlyn Siragusa, è una streamer ventisettenne che ha costruito un’impressionante carriera da creator digitale fin dal suo primo approdo sulla piattaforma, cui ha affiancato una presenza su tutti i moderni social network, da YouTube fino a OnlyFans. Con l’ascesa della categoria Hot Tub nelle pagine di Twitch, Amouranth si è rapidamente imposta nelle prime posizioni in termini di engagement, arrivando ad incassare oltre $60.000 in un singolo mese dai soli abbonamenti dei fan. E anche se ciò è stato motivo di pesanti critiche da parte della community, la Siragusa non si è mai mossa in violazione dei termini di servizio di Twitch. La compagnia, dal canto suo, ha improvvisamente smesso di pagare ad Amouranth gli introiti derivanti dalle pubblicità trasmesse nelle sue dirette Hot Tub, probabilmente su indicazione di qualche inserzionista preoccupato, e così facendo ha scatenato una reazione legale da parte della Siragusa. Nel giro di pochi giorni, dopo aver taciuto sull’argomento per oltre un anno, Twitch ha deciso di inaugurare la categoria “Pools, Hot Tubs & Beaches” al fine di racchiudere contenuti di questo genere, decretando una volta per tutte la legittimità delle dirette, seppur confinandole al di fuori dell’immenso bacino di utenza del “Just Chatting”.
PROBLEMI NORMATIVI – Anche se la discussione attorno alle dirette Hot Tub si è sviluppata perlopiù sul piano ideologico, e numerosi streamer si sono chiesti se Twitch fosse la piattaforma adatta per ospitare contenuti di questo genere, il fulcro del problema risiede nella matassa dei termini di servizio di Twitch. La piattaforma di broadcasting è cresciuta a dismisura nel corso degli ultimi anni, e quella che era una semplice bozza normativa non è più sufficiente per definire in modo chiaro ed esaustivo i contenuti consentiti o quelli borderline. Sono migliaia i casi di professionisti del settore estromessi dalla piattaforma, e dunque letteralmente lasciati senza lavoro, a causa della nebulosità del testo o di presunte disparità di trattamento. E questa è una problematica che tocca tutti gli streamer, da coloro che trattano principalmente il mondo dei videogiochi fino alla stessa Amouranth, che secondo le ultime stime quest’anno perderà oltre $500.000 a seguito delle recenti misure. Insomma, quello di Twitch sta diventando, oltre che un giro di affari enorme, anche un fenomeno in rapidissima evoluzione, e la gestione dovrebbe trovare il modo di imbrigliarlo in una normativa capace di tenere il passo coi tempi.
· Andrea Balestri.
Dagospia il 16 gennaio 2021. Da “i Lunatici - Radio2”. Andrea Balestri, il “Pinocchio” dello sceneggiato diretto da Comencini, con Nino Manfredi e Gina Lollobrigida, è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei. Sullo sceneggiato del 1972: "Come sono diventato Pinocchio? Il carattere mio personale è proprio quello del Pinocchio di Comencini. Vispo, sveglio, senza peli sulla lingua, irritante. Sono stato fortunato perché Comencini nella sua scelta mi ha dato un onore grandissimo, quello di aver lavorato con le stelle più amate del cinema, Manfredi, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Gina Lollobrigida. Tutto è cominciato mentre ero a scuola, facevo la seconda elementare, avevo sette anni. Comencini mandò dei fotografi a fare delle foto ai bambini delle elementari, visionò più di 3000 fotografie. Dopo varie selezioni, l'ultimo provino fu a Roma. Comencini chiese a sette bambini chi aveva il coraggio di rompere un quadro con un martello. Non fece in tempo a dirlo che io presi il martello e ruppi il quadro. Fui l'unico tra i sette bambini a farlo. Lui si arrabbiò, mi disse che dovevo ripagarlo, io risposi che me l'aveva chiesto lui di di farlo e che quindi non avrei ripagato niente. Sono diventato Pinocchio perché ho rotto un quadro". Sul set: "Nino Manfredi è stato più uno zio, un amico di giochi, lui con me non recitava, durante le pause si metteva accanto a me e giocava con me. Manfredi è stato un grande, una persona deliziosa, dolce e molto affettuosa. I rapporti con la Lollobrigida? Non erano idilliaci, lei era una star, voleva che le si desse del lei, io venivo da un rione delle case popolari, davo del tu a tutti. Non c'è mai stata molta intesa tra di noi. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia? Due persone meravigliose, attori seri e in gamba. Amici di gioco, durante le pause c'era un ottimo rapporto tra bambino e adulto. Tra i due il rapporto era di rispetto reciproco e di amicizia, nonostante che pare li abbia riavvicinare Comencini, dopo una loro litigata. Erano amici, avevano un'intesa particolare tra di loro". Sull'arrivo del successo da bambino: "Non è pericoloso, è anzi una cosa simpatica, che fa piacere. Dopo 50 anni ancora si parla di quello sceneggiato, che è stato visto da milioni di persone. Il merito di questo va a Comencini. Una volta finito Pinocchio ho fatto altri lavori, altri tre film, uno con Bud Spencer, un omone che a vederlo ti faceva tremare, ma poi quando ce l'avevi davanti era una pasta d'uomo. Ero piccolino, quando vidi questa montagna rimasi impressionato, ma era tranquillissimo". Poi il cinema è uscito dalla vita di Balestri: "Ho fatto tanti altri lavori, all'età di dodici anni non sono stato più chiamato a parte qualche apparizione. Sono tornato alla vita normale, ho proseguito la scuola, ho continuato a fare lavori normali, il cinema non c'è stato più stato. Pinocchio rimarrà sempre una icona del cinema, merito di Comencini che ha scelto grandissimi attori. Dopo 50 anni ancora se ne vendono più di 20.000 copie all'anno. E' stato un treno, sono arrivato alla fermata, sono sceso ed ho continuato la vita normale. Mi ritengo fortunato e onorato di aver conosciuto dei grandissimi attori e di aver lavorato con Luigi Comencini, il miglior regista del mondo, per me non era un regista, è stato un babbo, affettuoso, comprensivo". Sul ritorno a scuola: "Quando facevo Pinocchio la produzione mi aveva messo una maestra dietro che tutti i giorni mi faceva fare i compiti. Alle medie è stata un po' più dura, i ragazzetti di undici dodici anni sono anche un po' cattivelli, ma con me cadevano male, perché picchiavo tutti. Mi chiamavano Pinocchio per prendermi in giro, a me non piaceva, dopo una o due volte che lo facevano magari mi arrabbiamo e gli davo due botte. Molte bambine però erano innamorate di me. Alle bimbe Pinocchio piaceva perché era un'anima ribelle e in quegli anni lì piaceva il bambino ribelle e non il bambino bamboccio".
Claudia Luise per “La Stampa” il 18 novembre 2021. Si sapeva che ospitare Andrea Bocelli non fosse proprio a buon mercato. Nessuno pensava potesse bastare una pacca sulle spalle e tanti ringraziamenti. Ma di certo la Fit non si aspettava che per cantare l'Inno d'Italia e un altro successo del suo sterminato palmares il tenore sarebbe arrivato a chiedere ben 125 mila euro. Per dieci minuti di esibizione è sembrata una cifra eccessiva. Davvero troppo in tempi di crisi, anche per un fuoriclasse della musica. Nessuna mediazione è stata possibile, il cantante non ha indietreggiato di un euro. E il Comitato organizzatore delle Nitto Atp Finals si è dovuto arrendere: lo show lo faranno i due migliori tennisti al mondo che si sfideranno domenica. Bastano loro, non servono altre star.
· Andrea Delogu.
Matteo Cassol per mowmag.com il 25 aprile 2021. Intervista intima e audace di Andrea Delogu, che su Specchio rispondendo alle domande di Andrea Malaguti ha parlato di tatuaggi, di terapia, di San Patrignano (dove ha trascorso l’infanzia), di politica, di musica e di televisione, dicendo, tra le altre cose, che Manuel Agnelli «ha un bel telaio» (si può dire, di un uomo? Non equivale a dire, per analogia motoristica, che una donna «ha una bella carrozzeria»?) e che una frase di Franca Leosini le ha fatto provare «un brivido clitorideo». Scrittrice, autrice, conduttrice, dj, sedicente disculcalica e dislessica, “Andrealarossa” (così si chiama su Instagram e così si sente), comincia parlando dei propri tatuaggi. Sul braccio ha la scritta “Dancing in the dark” (un omaggio a Bruce Springsteen), incisa con la calligrafia sottile di sua madre («mi ha fatto diventare spingsteeniana e, più in generale, quella che sono»), sul collo ha una farfalla («quella è stata una pazzia giovanile. Sono di Rimini. D’estate ci piace esagerare. La farfalla è venuta per sbaglio»), ma l’unico tattoo che considera importante è quello ispirato al Boss («gli altri magari li cancello»).
Andrea Delogu va in terapia: «Da otto anni. In Italia è considerato un lusso o la risorsa di chi non ce la fa più. Invece è un’opportunità a portata di mano. Salva la vita a molti. Con me lo ha fatto. Salvando anche chi mi sta vicino». Come? «Rompo meno le palle. Ci sono momenti in cui l’unica cosa che riesci a vedere è il tuo dolore e pensi che sia evidente a tutti. Semplicemente non è così. Ma io so di non essere sola al mondo e questo fa un’enorme differenza».
Andrealarossa: «Dentro mi sento rossa. E mi schiarisco fino a diventarlo [nel senso di capigliatura]. È il mio colore. Ai tempi del liceo ero un’utopista. Mi sentivo comunista». E adesso? Lo è ancora? «In un senso più moderno. Credo che dovremmo condividere di più. Siamo i re dell’evasione, i signori della macchina parcheggiata sulle strisce perché non c’era posto. Pensare al prossimo, a chi è più fragile, dovrebbe essere un obiettivo di tutti. Ci manca l’idea di comunità». L’ha imparato a San Patrignano, sulla collina di Coriano, nel Riminese, dove si erano conosciuti i suoi genitori: «Per noi la condivisione era ovvia, non serviva che l’insegnassero. Le cose erano di tutti».
Delogu è fan dei Maneskin: «Sono arrivati a Sanremo con spocchia. E io adoro gli spocchiosi. Perché se non riescono a fare le cose che dicono di saper fare, perdono due volte. E loro hanno vinto». Andrea, invece, non ritiene di essere spocchiosa: «Ma il punto è che spesso fare gli umili è più comodo. Protegge. Non impazzisco per gli umili». E veniamo a colui che alla faccia dei propri 55 anni si era esibito a torso nudo assieme ai Maneskin, Manuel Agnelli: «Bravissimo. Davvero. E con un telaio di tutto rispetto. Complimentoni». Incazzata nera per il video di Grillo in difesa del figlio («una cosa di una gravità folle. Un video che mi ha gelato il sangue»), ottimista sul futuro in tema di (venir meno delle) discriminazioni («sono amareggiata [per la mancata conclusione dell’iter della legge Zan], ma so che arriveremo a essere una società inclusiva e presto la politica avrà bisogno di raccattare voti e li andrà a cercare anche tra le persone che sta discriminando»), Delogu si professa innamorata dell’italiano e si dimostra una “leosiner” a dir poco appassionata: «Colleziono vocabolari. Recentemente, su eBay, ne ho comprato uno magnifico, del 1874. Prendo a prestito una frase della splendida Franca Leosini: “Io non lo conosco l’italiano, lo posseggo”. Quando gliel’ho sentito dire ho provato un brivido clitorideo».
Alvaro Moretti per "Molto Donna - il Messaggero" il 25 febbraio 2021. Cavalier Andrea Delogu: ci sorridiamo su, ma solo un po'. Perché la ragione per cui Andrea, la presentatrice-scrittrice-cantante-attrice, è stata insignita dal presidente della Repubblica ha a che fare con temi serissimi. Dove finiscono le parole è stato un libro importante, scritto da una dislessica, lei, per le persone come lei e per gli altri che non capivano. Ora ci riprova con una serie di interviste che lancia sul web, sui suoi social: Giganti.
Chi sono i Giganti?
«Con Gianluca Comandini, Rossella Rizzi e Paolo Negro volevamo dare spazio anche a chi non è successa una tragedia o un miracolo. Giganti normali che combattono cose enormi, senza che ce ne accorgiamo. Come Donato, schizofrenico che ha accettato di mostrarsi: quelli come lui non lo fanno in genere. La gente empatizza con i giganti normali».
Le donne spesso devono vivere da giganti della normalità.
«Vero. Tra le prime storie c' è quella di Valentina che è in trappola e non sappiamo come farla uscire: prima laurea, seconda in arrivo, ma non vuole pesare sulla famiglia e così rinuncia a stage e a trasferimenti. Il lavoro per una così specializzata non c' è: fa le pulizie e la baby sitter. Si sacrifica, non vuole pesare... E paga il conto con la sua vita. Quante donne si immedesimeranno in lei?»
In questo numero parliamo di ageism: l' età che diventa una spada di Damocle. Un altro stigma.
«Verissimo: ho 38 anni, sono nel mondo dello spettacolo da quando ne ho 16. C' è il periodo in cui sei troppo giovane per...Quello in cui se fossi un po' più giovane...Oggi mi offrono i ruoli da madre e io mi sento quella che vuole uscire con le amiche. Sui social quando facevo la Vita in Diretta criticavano la mia tinta troppo rossa... Capelli così rossi passati i 35 anni... Ma alla gente che gliene frega dell' età? Io, oggi, mi sento matura per toccare le corde giuste quando parlo di dislessia, del mio passato da figlia di San Patrignano, o quando intervisto Giganti. Ma la cosa più pesante è un' altra per una donna che lavora, specie nel mio settore».
Quale?
«Lavoro da 22 anni, ma sempre qualcuno vedendoti in tv o su un palco dice: con chi è andata a letto quella per essere lì... Ad un uomo non capita. È lo stigma dell' essere donna. Ma per fortuna ci sono i social».
Bella questa: Delogu che fa, non demonizza, lei?
«In questi 22 anni le cose stanno cambiando proprio grazie ai social: se il mondo ti apprezza, l' opinione determinante dei quattro o cinque maître à penser vale meno. Voi avete la pagina Mind The Gap, ma lo scalino è ancora uno scalone. Fino a quando non sei famosa ti trattano male: ai maschi non capita. Smettiamo di dire che i social fanno solo schifo: i social sono la gente, tutta la gente. Si sceglie con chi andare, come nella vita reale».
E con gli hater come si fa?
«Si risponde a modo e si blocca la gente. Il limite si può anche insegnare. Ora mi sto rendendo attiva su Clubhouse: vediamo come va, ma è un mezzo in più per non dipendere da pochi che decidono per tutti».
Un anno senza. Anche senza Sanremo?
«E chi lo ha detto? Forse potreste trovarmi lì con Ema Stockholma e Gino Castaldo. Un anno in cui m' è venuta l' ispirazione per un nuovo libro».
Dopo la storia dell' infanzia a San Patrignano e la dislessia?
«Gli scoppiati, la gente scoppia. Il Covid c' entra fino a un certo punto. Io mi sto prendendo il mio tempo per raccontarlo: scrivere è una fatica doppia per una dislessica come me, ma è terapeutica. Mi ha aiutato a superare lo stigma: li sentivo a scuola sussurrare quella è la figlia di San Patrignano, la figlia degli ultimi, l' effetto che ha avuto la serie è figlio dell' oblìo di quella storia. Poi c' è stata la dislessia. Ma è sempre stata più forte la voglia di farcela ad essere quella che sono oggi».
Tutto meritato per lei, finora?
«Questo lo lascio dire solo a mia madre. La sofferenza del percorso conta, ma non è un merito: conta non perdersi d' animo e ribellarsi alle gabbie che ti impongono. Ma che sono molto fortunata devo dirlo».
Chi l' ha ispirata, a chi deve un grazie?
«Arbore, Marco Giusti, Paola Marchesini, Stefano Coletta mi hanno detto: mi fido di te. L' ispirazione viene se vedi Antonella Clerici, con cui ti senti a casa. O Mara Venier, capace di essere la zia di tutti gli italiani. Poi Carlo Conti che nel backstage di Sanremo ti chiede: Ma che sta facendo la Fiorentina? Tra i giovani dico Stefano De Martino: siamo molto amici, ma la sua leggerezza da intrattenitore è tanta roba».
Scrittrice, conduttrice radio e tv, attrice, cantante.
«A me piace la pizza, giocare a tennis, uscire con le amiche. Non scelgo».
E sulla carta d' identità che c' è scritto? Andrea Delogu...
«Autrice, perché fa un po' artista. Ma forse è meglio comunicatrice: quella sono io».
Autrice e Cavaliere.
· Andrea Roncato.
Elisa Porcelluzzi per ilsussidiario.net il 3 ottobre 2021. Nicole Moscariello e suo marito Andrea Roncato, ospiti a Oggi è un altro giorno, raccontano com’è andato il loro primo incontro, organizzato dalla figlia di lei Giulia Elettra Gorietti. “Il primo incontro è stato divertente: abbiamo finito la cena e lui subito dopo mi ha chiamato chiedendomi di vedere un film insieme in camera sua. Io mi sono offesa, 7 mesi ha dovuto aspettare.”, ha rivelato la Miscariello. Dopo quei sette mesi è nata una storia d’amore che dura ormai da anni. Il loro segreto? Roncato rivela: “Abbiamo tante cose in comune, lei si diverte con me e le piccole cose ci riempiono la vita. Ama gli animali come me, ride insieme a me.”
Nicole Moscariello: “Credevo che Andrea Roncato ci provasse con mia figlia”
Il primo incontro tra Nicole Moscariello e Andrea Roncato non è stato di certo romantico. Ospite a Oggi è un altro giorno, lei racconta di essere stata preoccupata dall’atteggiamento di lui con la figlia Giulia. Entrambi lavoravano nello stesso film e lei temeva, vista la fama di lui di latin lover, che arrivasse a provarci con la ragazza. “La mia preoccupazione era solo Giulia. – ha ammesso la Moscariello su Rai 1, continuando – Andrea era sempre accompagnato da donne bellissime e anche molto giovani, io avevo paura lui ci stesse provando con lei. Ero così preoccupata che l’ho chiamata e le ho chiesto di passarmelo, lui mi ha tranquillizzato ma io non lo ero tranquilla, anche se pure Giulia mi tranquillizzava dicendomi che la trattava come una figlia. Poi lei, intelligentemente, ha organizzato un incontro”. (Aggiornamento di Anna Montesano)
Da ilmattino.it il 3 ottobre 2021. Procede a gonfie vele la storia d'amore tra Andrea Roncato e Nicole Moscariello, madre della nota attrice Giulia Elettra Gorietti. I due si sono sposati nel 2017 dopo sette anni di fidanzamento ma il modo in cui si sono conosciuti, raccontato dallo stesso attore, è davvero curioso. Nicole Moscariello è nata nel 1968, tra lei e l'attore comico ci sono 20 anni di differenza ma questo non sembra aver mai costituito per loro un problema. Nello sbocciare del loro amore un ruolo da protagonista è stato proprio quello della figlia di lei Giulia Elettra, volto conosciuto del cinema italiano. Andrea Roncato, come lui stesso ha raccontato, stava recitando insieme alla Gorietti per la pellicola "Almeno tu nell'universo" e sembra che la madre abbia messo in guardia Giulia dall'uscire a pranzo con lui. «Si è sacrificata per salvarla» ha commentato ironicamente Moscato. «Ho fatto un film con lei che si chiama "Almeno tu nell’universo". La sera andavamo a mangiare insieme, essendo colleghi di lavoro, e la madre le telefonava per dirle: "Dove sei? A Pranzo? Con chi? Con Roncato? Lascialo perdere, è uno che va dietro alle ragazzine". Dico sempre che si è sacrificata per salvare la figlia».
Da "fanpage.it" il 22 gennaio 2021. Andrea Roncato tuona contro la ex moglie Stefania Orlando, concorrente del Grande Fratello Vip. L’attore è stato attaccato sui social dopo l’intervista rilasciata a Barbara D’Urso in cui parlava del suo rapporto con la ex moglie, intervista che è stata mostrata a Stefania in diretta al GF Vip e che ha provocato la dura reazione della donna che, a fine puntata, ha provato ad abbandonare la Casa. Ma l’attore non ci sta ad addossarsi le colpe di quanto accaduto e su Instagram torna ad attaccare Stefania.
Grande Fratello Vip, Stefania Orlando contro l'ex Andrea Roncato: "Perché l'ha fatto?". La risposta di Signorini gela tutti. Libero Quotidiano il 26 gennaio 2021. "Perché ripescare una storia di 20 anni fa?": Stefania Orlando non riesce a capire come mai il suo ex marito, Andrea Roncato, abbia tirato fuori vicende del passato, scagliandosi contro di lei. "Non ho mai parlato di Andrea e quando l'ho fatto è stato in modo carino e affettuoso. Questa invadenza da parte sua nel mio percorso mi ha fatto male - ha detto la showgirl al Grande Fratello Vip -. Dopo la fine della nostra storia c'è stata una complicità, un volersi bene, un'amicizia. Non capisco il bisogno di andare a ripescare particolari di qualcosa che fa riferimento a più di 20 anni fa". Alfonso Signorini l'ha confortata, spiegandole che Andrea "sta attraversando un periodo complicato" e che in ogni caso "la vita vera è fuori, non nella casa e nemmeno sui social". In settimana, infatti, l'ex della Orlando aveva risposto stizzito a un commento su Instagram, tirando in ballo proprio Stefania: "Dicono che sono invidioso della carriera di Stefania. Ho fatto 67 film e quasi 500 episodi di fiction e lei due trasmissioni quando stava con me e 20 anni di materassi".
Da ilmessaggero.it il 25 gennaio 2021. Andrea Roncato torna a parlare dell'ex moglie Stefania Orlando, ma le sue parole mostrano ancora una volta un certo risentimento nei confronti della concorrente del Grande Fratello Vip. Dopo aver detto a Live non è la D'Urso di essere stato lasciato per un altro, ora in un commento su Instagram ha rivelato altri dettagli della loro relazione. «Sono una persona buona ma quando si tira in ballo la mia famiglia e mia moglie mi incazzo», spiega Roncato, «Mi dicono i tuoi amici che sono invidioso della carriera di Stefania. Ho fatto 67 film e quasi 500 episodi di fiction e lei due trasmissioni quando stava con me e 20 anni di materassi. Non ti vergogni a seguire il Grande Fratello Vip? Dove alcuni chiamati tali sono VIP perché hanno fatto vedere la p****a senza mutante al Festival di Venezia o cose simili. Un branco di inutili che si credono VIP. Ma ti rendi conto! Mah. Continua pure a dire cattiverie contro di me se ti fa stare bene. Ciao». Per ora Stefania non sa ancora nulla di queste dichiarazioni. Le precedenti di Andrea l'avevano portata ad avere una reazione impulsiva al punto che la Orlando aveva minacciato di abbandonare la casa, poi passata la crisi ha commentato: «Stavo male: il cervello era appannato perché ero accecata dalla rabbia. La sua è stata una cosa completamente fuori posto che mi ha destabilizzata, è stata una cosa gratuita». Cosa farà dopo l'ennesima frecciatina?
Andrea Roncato: “Sono stanco di prendermi le colpe”. In risposta a un utente che aveva commentato l’accaduto sotto una foto pubblicata sul suo profilo Instagram, Roncato ha perso la pazienza e raccontato la sua versione dei fatti a proposito della sua storia con la ex moglie, una versione diversa rispetto a quella resa nota da Stefania. “Mia moglie non ha mai detto una sola parola di Stefania, non diciamo cazzate. È Stefania che continua a dire che mia moglie è gelosa. Ma non la conosce neppure. Gelosa di che?”, ha specificato Roncato, per poi tornare sul matrimonio con la Orlando, “Sono stanco di prendermi tutte le colpe per 20 anni, se dico tutte le verità sarebbero cavoli ma continuo a dire che io non ero un bravo marito. "La ex di Roncato": ma che cominci a dire che è la moglie del povero Simone. Ha fatto mille servizi, ex di Roncato, ex di Roncato. Ma manca Roncato ma che cazzo (scusa) continua a dire. Quando avevo bisogno per la droga se ne andò e grazie a Dio ce la feci da solo con la mia volontà. Ex di che? Basta con ‘sta storia”.
Su Barbara D’Urso: “Mi ha messo in imbarazzo”. Nemmeno Barbara D’Urso scampa alla rabbia dell’attore che, accusato di essere tornato su questa storia solo per ottenerne visibilità, aggiunge: “Questa storia l’ha tirata fuori la D’Urso mettendomi in imbarazzo”.
Da "liberoquotidiano.it" il 18 gennaio 2021. La bomba di Andrea Roncato su Stefania Orlando, tra le favorite per la vittoria al Grande Fratello Vip su Canale 5. Ospite di Barbara D'Urso a Domenica Live, il comico bolognese rompe il silenzio sulla sua ex moglie, non risparmiandole stoccate velenose. "Due anni è durato il matrimonio, poi ha preso e se n’è andata. Io avendo le spalle larghe ho sempre fatto finta di niente. Ho sempre fatto il superiore a questa cosa. Anche se alla fine poteva anche bruciarmi questa storia". "Mi ha lasciato lei certo - prosegue Roncato davanti a una D'Urso stupita -. Dice per dei problemi? Certo che c’erano dei problemi, perché lei aveva un altro, quindi un grosso problema. Vabbè, però fa niente. Aveva un altro lei, non c’è niente di male dai. Uno si può innamorare di un altro. Stefania è stata con questo qualche anno. Comunque è vero che non sono stato un bravo marito, quindi questo l’avrà spinta. Diciamo che è andata via di casa a vivere con un altro, ma forse aveva ragione, non ero il marito giusto. Non sono uno che addossa le colpe alle altri, ho le spalle larghe e mi prendo la responsabilità". Un'intervista a cuore aperto che potrebbe far cambiare idea sulla Orlando a qualche telespettatore.
Gf Vip, la verità dell'ex marito della Orlando: "Mi ha lasciato perché aveva un altro". A Live - Non è la d'Urso, Andrea Roncato ha raccontato la sua verità sulla fine del matrimonio con Stefania Orlando, concorrente del Gf Vip. Francesca Galici, Lunedì 18/01/2021 su Il Giornale. Stefania Orlando è una delle concorrenti più amate del Gf Vip 5. Al pubblico a casa piace tantissimo il suo approccio schietto e l'amicizia che si è creata con Tommaso Zorzi. Oggi, Stefania è felicemente sposata con Simone, suo secondo marito. In prime nozze, infatti, la concorrente si è unita con Andrea Roncato. Un matrimonio durato due anni che si è poi concluso nel 1999. L'ex marito della showgirl è stato ospite di Live - Non è la d'Urso dove, tra aneddoti e ricordi, ha spiegato il motivo dietro il divorzio dalla concorrente del Gf Vip.
Tutte contro Stefania Orlando. Lei piange e il marito dice addio ai social. La coppia sembrava molto affiata durante gli anni in cui sono stati uniti e lo testimonia anche la conduttrice, svelando un retroscena sull'amicizia che la lega all'attore e alla concorrente del reality. "Ricordiamoci che siamo vivi per miracolo", ha detto Barbara d'Urso ricordando un episodio che li ha visti coinvolti tanti anni fa durante una regata benefica di off-shore, quando una tempesta li colse in mezzo al mare. Insieme a lei, a Stefania Orlando e ad Andrea Roncato era presente anche Jerry Calà. Un forte legame di amicizia, come spiega la stessa conduttrice in un tweet di ringraziamento verso i suoi ospiti: "Ho un sacco di anni per fortuna e molti vengono in onda da me gratuitamente o quasi solo per amicizia, sono fortunata". Un idillio tra Roncato e la Orlando che però si è rotto ma l'attore non ha nascosto le sue responsabilità per la fine del matrimonio con Stefania Orlando ma ha rivelato un retroscena rimasto finora inedito: "Due anni è durato il matrimonio, poi ha preso e se n’è andata. Io avendo le spalle larghe ho sempre fatto finta di niente. Ho sempre fatto il superiore a questa cosa. Anche se alla fine poteva anche bruciarmi questa storia". Ma il motivo per il quale i due hanno preso strade diverse lo rivela solo in un secondo momento: "Mi ha lasciato lei certo. Dice per dei problemi? Certo che c’erano dei problemi, perché lei aveva un altro, quindi un grosso problema. Vabbè, però fa niente. Aveva un altro lei, non c’è niente di male dai. Uno si può innamorare di un altro". L'attore ha poi continuato, facendo mea culpa: "Comunque è vero che non sono stato un bravo marito, quindi questo l’avrà spinta. Diciamo che è andata via di casa a vivere con un altro, ma forse aveva ragione, non ero il marito giusto. Non sono uno che addossa le colpe alle altri, ho le spalle larghe e mi prendo la responsabilità".
· Andrea Sannino.
Con “Abbracciame” il cantante ha unito tutti, da Nord a Sud. Andrea Sannino tra Capodimonte e il no di Sanremo: “Colpito perché canto l’amore in napoletano”. Rossella Grasso su Il Riformista il 28 Febbraio 2021. “Un oltraggio”. Così è stato definito il videoclip musicale “Voglia”, l’ultimo brano di Andrea Sannino girato a Capodimonte. Una polemica che ha messo contro critici d’arte e protagonisti della cultura ma che il cantante ha bypassato con eleganza: “Ringrazio per le critiche perché fanno sempre crescere ma sono democratico al mille per mille: l’arte è di tutti”. “’Voglia’ nasce un anno fa, prima di questo anno maledetto. ‘Voglia’, quindi desiderio, è un sentimento che accomuna tutti in questo momento. A prescindere dall’amore c’è voglia di fare tantissime cose. Per noi è un buon augurio”, ha spiegato Sannino. Ma cosa c’è di sbagliato in una canzone d’amore cantata in un luogo d’arte? Tutto è partito dalle critiche mosse da Tommaso Montanari e Nicola Spinosa che si sono duramente scagliati contro l’operazione che unisce musica e cultura. Molti però si sono schierati al fianco del cantante elogiando la sua iniziativa che porterà certamente a conoscere un luogo di cultura come Capodimonte a tante persone in più proprio grazie a quel videoclip. Ma quello che realmente ha colpito Sannino della polemica è stato l’utilizzo inappropriato di un termine attribuitogli: “cantante neomelodico”. “Forse i due critici d’arte dovrebbero studiare meglio la musica – dice – Mi hanno definito ‘neomelodico’ in senso dispregiativo ma la parola non lo è. Significa nuova melodia, e io sono orgoglioso di rappresentare la nuova melodia napoletana. Usato in senso dispregiativo mi ha offeso. Così la gente pensa che io stia con un mitra sotto il Caravaggio a inneggiare alla malavita e alla camorra. Purtroppo ormai è questa l’idea che in tanti hanno di questa parola”. Ma per Sannino così non è. Viene dunque da chiedersi: per i critici d’arte il videoclip era forse un “oltraggio” perchè il cantante è un “neomelodico”? Se la stessa cosa l’avesse fatta un cantante lirico andava bene? Per il cantante è stata una bella emozione girare il videoclip in quel luogo magico che è Capodimonte. “Siamo stati rispettosi del luogo, a partire dall’abbigliamento. Capodimonte non ha bisogno della mia pubblicità ma se io posso essere un veicolo per arrivare a tante persone che non conoscono l’esistenza di Capodimonte e di Caravaggio, perché ce ne sono e come, io sono onorato se anche solo 10 di quelle persone domani vanno a visitare il Museo”. A questo si aggiunge un altro intento da non sottovalutare: quello di farsi promotore di una denuncia sociale forte. “Musica e arte sono i due comparti forse maggiormente danneggiati dalla pandemia – ha spiegato – unendo le due cose abbiamo provato anche a sensibilizzare sulla riapertura dei musei, paradossalmente aperti in settimana ma chiusi nel weekend quando potrebbe essere un diversivo e invece tutti si aggregano sul lungomare”. E racconta che mentre girava il videoclip il museo era aperto al pubblico ma vuoto. Molte guide turistiche hanno assistito alle riprese e hanno già pensato a organizzare un “Tour Sannino”, attraverso le opere che scorrono dietro il videoclip. Un’idea già realizzata per lo stesso motivo dai fan di Beyoncé al Louvre. Il brano è stato premiato con più di 200mila visualizzazioni su YouTube in nemmeno 5 giorni, forse complice anche la polemica nata, ma è stato scartato da Sanremo. Una esclusione che Sannino ha vissuto con grande filosofia, “ci riproveremo un’altra volta”, ha detto. Ma la cosa che lo ha colpito maggiormente è il dito puntato contro la lingua napoletana da parte del regolamento del Festival della canzone. “Gli artisti napoletani per fortuna vanno a Sanremo come ospiti, ma in gara la lingua napoletana manca da tempo – ha detto – È questo il mio rammarico più grande. Sono stato costretto dal regolamento a cambiare la mia canzone, e a tradurne metà. Come tutte le cose metà e metà non rende e quindi forse è stato anche questo. Non capisco l’esclusione della nostra lingua da un regolamento, quando nel mondo il mande in Naples è considerato come Made in Italy a livello musicale”. Un vero paradosso se si considera che “Abbracciame”, altro fortunato brano di Sannino, nemmeno un anno fa portava gli italiani da Nord a Sud, fuori ai balconi a cantare a squarciagola proprio in lingua napoletana. Un canto che unì tutti e fece sentire le persone più vicine durante il lockdown. “Magari l’ha cantata anche Spinosa dal suo balcone – ironizza Sannino – Se la mia musica ha aiutato a esorcizzare la paura degli italiani io ne sono felice. I dottori sono il vero simbolo di questa lotta, a loro è affidato il compito di curare le persone, alla musica spetta quello di curare le anime e sono onorato che "Abbracciame" fa parte di questa cura”.
Barbara Costa per Dagospia il 28 agosto 2021. Che deve fare una pornostar per avere credibilità? Essere la più famosa? Lei lo è. Vincere tre Oscar del Porno di seguito quale Miglior Attrice? Lei li ha. Avere in bacheca altri 38 premi? Ci sono. Avere una laurea in Scienze Sociali da 110 e lode, la cui tesi su pornografia e sesso è stimata pubblicazione accademica? Ottenute entrambe. Avere studiato, a Parigi, presso l’esclusiva "Sciences-Po"? Fatto. Che altro? Quando hai tale curriculum, ti chiami Angela White e hai curve e tettone e occhioni blu, e sei la leggenda vivente del porno, proprio non sai che fartene del Metoo, del neofemminismo o come lo vuoi chiamare, insomma, di tali lagne martellanti. È il porno che del Metoo nulla se ne fa, dacché sono per primi gli uomini nel porno a riconoscerlo: è l’apporto delle donne che vi lavorano che guida il porno verso strade nuove. Tra queste donne, c’è Angela White: colei che il porno se l’è preso, rivoltato, e su cui vi regna da 10 anni, da quando ha associato al lesbian il sesso il più duro coi colleghi. Angela White è una pornostar che domina ogni scena che fa, e è la sua energia che la fa amare da chi la guarda: gli uomini, invece che esserne spaventati, ne sono sedotti. Totalmente. Non c’è video di lei che non li ecciti. Fruitori porno che sulle prime la definivano “balenottera”, sono caduti ai suoi piedi: “Non pensavo, eppure lei ti fa sangue e sesso, ti prende a livello mentale”, “è una macchina del sesso, si vede che le piace”, e però, “lei sc*pa col sorriso sulle labbra”, come se dallo schermo ti chiamasse, t’invitasse a stare con lei. Angela White è di virilità rassicurante. Coi suoi porno siamo oltre ogni miccia segante o esca masturbatoria, lei è scrigno di maschi capricci segreti e goduti ogni giorno, più volte al giorno, senza tregua: “Angela, tu sei adrenalina continua, vai avanti così, bella puledrona!”. Angela White è entrata nel porno a 18 anni, e lo voleva fare dai 14, da quando ha visto nel porno il posto dove ogni corpo e ogni sessualità sono glorificati. Angela è entrata nel porno business da indipendente, con una sua casa di produzione. Lei ha capito subito quanto sia importante nel porno avere l’assoluto controllo della propria immagine. Ogni atto sessuale in cui la vedi è tale perché lei così ha deciso e voluto. Angela White con la sua fisicità "grossa", e naturale, ha ribaltato il concetto di bellezza. Lei ha mutato le regole dello sc*pamento pornografico mostrando come una donna non alta, non magra, non rispecchiante la perfezione imposta, possa ottenere vero successo (mondiale). E soldi. Lei lo rimarca in ogni intervista, e gli uomini pendono dalle sue labbra. Angela mostra alle donne – specie alle signore metooiste – com’è anatema farsi reggere lo strascico dal cognome di un uomo per essere qualcuno. Lei lo può ben dire, perché nel porno non ha casa il diktat femminista di valere di più soltanto perché hai una vagina tra le gambe! Qui, se vuoi emergere, conta il coraggio e il carattere che hai, e che nessuno ti può dare. Altro che il divano del produttore, o far le moine al boss di turno! Quando sei una pornostar e come Angela White usi il tuo reale nome e cognome e ti mostri al mondo come fai e ti fai fare sesso, su un set cinematografico, per un lavoro che è tua scelta di vita, e i tuoi video sono a 600 milioni di views su Pornhub e salgono giorno dopo giorno, hai un seguito social travolgente (7,6 milioni su Instagram, 1,6 su Twitter, e a non contare OnlyFans), la tua popolarità trapassa il porno, sei una celebrità mediatica e ciò che fai e dici getta semi, nelle menti, germogliandole. Dacché non è smodato affermare che ciò che fai, e qui il porno che fai, acquista contorni politici. E Angela White lo sa benissimo. Col suo eloquio forbito, si batte indomita a gettar gocce nel mare a formare onde spazzanti menti ottuse ad accettare che non si tornerà indietro, e le donne non torneranno in cucina, né a figliare un marmocchio l’anno, né chiunque si professi di una sessualità e/o orientamento "diverso" dall’etero, sarà "riprogrammato". La famiglia etero oggi è una scelta al pari di altre: “La monogamia tradizionale non fa per me”, svela Angela White, “io mi identifico come poliamorosa, e amo e ho più partner allo stesso tempo”. È quella poliamorosa una tipologia di famiglia che fa e farà sempre più parte della nostra società. Angela non sta zitta, passiva, come le pornostar "bamboline" del passato: lei combatte pregiudizi, e usanze sociali finora parse "naturali". Per Angela White è tempo di smetterla di criminalizzare chi lavora nel sesso e col sesso. Chi fa porno fa un lavoro, e questo vale anche per chi di sua volontà e senza costrizione si prostituisce. Il problema è che, nella percezione comune, non si differenzia il lavoro sessuale dal traffico sessuale, fondendo una scelta professionale autonoma con un crimine. Angela vira e tocca questo tasto dolente: perché ci devono stare ancora figli educati dai genitori cioè dalla società a sfottere, a bullizzare, e a fare ciò che facevano a lei da adolescente ed era picchiata, e insultata a tr*ia poiché bisex? E la bullizzavano pure per il suo fisico. Ma la colpa è pure e tanto dei media: “Nella mia adolescenza mai ho visto un corpo come il mio raffigurato sulle riviste di moda, mentre la pornografia valorizza ogni tipo di forme, con cellulite, smagliature, seni non più tonici”. Per Angela White va abolito “lo stigma che cade su ogni donna che decide fiera del suo corpo”. Che sia attrice porno, medico, prostituta, soldato, manager, camionista, politica. Ogni donna deve rendere conto soltanto a se stessa. E che ognuna/o abbracci il suo corpo e la sua sessualità, che è solo sua, e di nessun altro. Angela White ne è convinta e convince: la pornografia ha valore inclusivo e non causa male sociale. I media mainstream, mossi da spirito buonista, mettono il porno sotto luci di abiezione e sfruttamento, i quali ci sono nel porno quello più misero, a zero professionalità, certo non vanno a “chiedere lumi a chi lavora per Brazzers”. Il porno sul web è un pericolo per i pupi? Sì, per quelli lasciati da genitori sconsiderati soli col web, e lo è per chiunque, ragiona Angela, “non sia educato alla sessualità conforme all’età che ha”. Educazione che da grandi ci si deve dare. Dice Angela White: “La pornografia non è e non dev’essere etica: rappresenta le più varie fantasie sessuali che, in quanto tali, non possono essere represse o educate al politicamente corretto”. Si crede che quelle di Angela White siano mere chiacchiere? Lei ha un passato di politica attiva da candidata nel movimento "Sex Party" della sua nativa Australia. Angela non voleva poltrone, bensì portare sotto i riflettori i diritti sessuali dei disabili, la nefasta ingerenza delle religioni nella politica, e pene più dure contro i pedofili, e fare in modo che il suo Paese non assegnasse seggi a esponenti vessatori della prostituzione e delle sessualità non etero. Ci è riuscita. Lei parla, lotta, ci mette faccia, e corpo (con un’altra candidata, ha girato un sex-tape "elettorale"!). C’è chi rimpiange i partiti di una volta. Stupidaggini. Ma c’è pure chi, via social, invoca una Angela White successore di Mario Draghi. Non esageriamo. Oppure… chissà. Ci arriveremo?
· Angelina Jolie.
Da "corriere.it" il 5 settembre 2021. «Ci sono molte cose di cui non posso parlare». Nonostante questa premessa, Angelina Jolie ha fatto numerosi riferimenti al suo divorzio da Brad Pitt , da lei accusato anche di violenza domestica, in una lunga intervista al quotidiano britannico Guardian, spiegando di considerare la sua separazione una questione di diritti umani. Alternando il suo racconto fra l’impegno umanitario che la vede in prima linea e la vita privata, l’attrice ha confessato: «Spesso non riesci a riconoscere qualcosa in ottica personale, soprattutto se ti concentri sulle più grandi ingiustizie globali, perché tutto il resto sembra più piccolo. È molto dura. Mi ci è voluto davvero tanto per arrivare al punto da sentire di dovermi separare dal padre dei miei figli». Alla domanda se avesse paura per la sicurezza dei suoi figli, ha risposto: «Sì, per la mia famiglia. Tutta la mia famiglia». Jolie, 46 anni, ha detto di aver passato anni difficili e di non esserne ancora fuori, aggiungendo però di desiderare che «tutta la famiglia stia bene, incluso il padre dei miei figli». Jolie ha inoltre fatto riferimento nell’intervista a un suo incontro con Harvey Weinstein quando aveva 21 anni, accennando a delle avances da parte dell’ex produttore cinematografico, condannato per stupro e aggressioni sessuali, mentre stava lavorando al film «Playing By Heart»: «È qualcosa da cui sono sfuggita. Me ne sono stata distante e ho messo in guardia le persone su di lui, ho detto di non lasciare che le ragazze stessero da sole con lui. Mi hanno chiesto di recitare in “The Aviator” ma ho detto di no perché era coinvolto. Non ho mai più voluto lavorare con lui ed è stata dura per me quando invece Brad l’ha fatto. Abbiamo litigato per questo. Ci sono stata male». Jolie ha anche detto che spesso le donne sminuiscono la gravità di un’aggressione sessuale se riescono a sfuggirne e così ha fatto lei stessa: «Se riesci a fuggire dalla stanza, pensi che lui abbia tentato ma non sia riuscito, giusto? Ma la verità è che il tentativo e l’esperienza del tentativo sono un’aggressione». Angelina Jolie e Brad Pitt, genitori di sei figli, erano una delle coppie più scintillanti e famose di Hollywood. Hanno annunciato la separazione nel 2016, infrangendo la favola dei «Brangelina», trasformatasi negli ultimi anni in un incubo di battaglie legali, accuse e dolore che è ancora in corso e che include anche la custodia dei figli. Un episodio raccontato da Jolie, in particolare, aveva all’epoca scatenato la richiesta di divorzio: durante un viaggio nell’aereo privato della famiglia Pitt, ubriaco, sarebbe diventato «verbalmente e fisicamente violento» con il figlio Maddox. L’attore fu poi scagionato da quelle accuse, ma ammise di avere problemi di alcol, iniziando un percorso con gli Alcolisti Anonimi dopo la separazione. Jolie ha ora scritto un libro «Know Your Rights» insieme all’avvocato per i diritti umani Geraldine Van Bueren: una guida per aiutare i più piccoli a conoscere i loro diritti e a reclamarli. «Quel che so è che quando viene fatto del male a un bambino, fisicamente, emotivamente o vedendo che viene fatto del male a qualcuno di loro caro, ciò può danneggiarlo. Uno dei motivi per cui i bambini devono avere questi diritti è perché senza sono vulnerabili e rischiano di vivere in modo insicuro». Una riflessione generale che però l’attrice sembra estendere alla sua famiglia, considerando la difesa dei suoi figli come parte di una battaglia per i diritti più ampia: «È stato tutto così orribile che quasi vedo come una benedizione il fatto di essere in una posizione in cui posso combattere il sistema. Non inizia tutto con una violazione. È molto più complicato di così. A mio figlio di 17 anni, per esempio, è stato negato di avere una voce in tribunale». Jolie, descritta dalla giornalista del Guardian come stanca, a tratti sull’orlo delle lacrime, complessa e talvolta contraddittoria, puntualizza poi però di desiderare che «tutti noi andiamo avanti. Voglio che stiamo bene e in pace. Saremo sempre una famiglia».
Da "huffingtonpost.it" il 27 maggio 2021. Via libera da un giudice californiano alla custodia congiunta dei figli per Brad Pitt (ma solo in via provvisoria). Le superstar di Hollywood Pitt e Angelina Jolie, protagonisti di quello che è stato definito ‘il divorzio del secolo di Hollywood’, hanno sei figli, tre biologici e tre adottati. L’ex coppia ha divorziato formalmente due anni fa e da allora ha avuto inizio una lunga battaglia giudiziaria. Dopo aver lavorato per mesi sul caso ascoltando testimonianze di professionisti che hanno avuto modo di parlare con i figli di Angelina Jolie e Brad Pitt, il giudice John Ouderkirk si è espresso chiaramente sulla questione. “C’è stato un cambiamento significativo negli accordi di custodia sulla base di una decisione estremamente dettagliata presa dal giudice”, ha riferito una fonte vicina alla coppia alla testata ‘Page Six’, “Brad stava solo cercando di avere più tempo da trascorrere con i suoi figli”. Il provvedimento tuttavia è solamente provvisorio, poiché l’attrice avrebbe intenzione di continuare la sua battaglia legale. I termini del contratto originale di custodia dei figli non sono mai stati rivelati pubblicamente, ma i media statunitensi hanno ampiamente riferito che Pitt ha cercato da subito la custodia condivisa, mentre Jolie ha chiesto l’affidamento esclusivo. I “Brangelina” si sono sposati in Francia nel 2014, ma erano una coppia dal 2004 dopo aver recitato in “Mr and Mrs Smith”.
DAGONEWS il 17 marzo 2021. Angelina Jolie si dichiara "pronta a fornire prove di violenza domestica" nell'aspra battaglia per il divorzio con l'ex marito Brad Pitt. I documenti ottenuti da The Blast mostrano che l'attrice, 45 anni, si è dichiarata disposta a offrire nello specifico "prove autorevoli" a sostegno di presunte violenze. La coppia condivide l'affidamento dei figli Maddox, Zahara, Pax, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne, i più piccini, di quasi 12 anni. Al momento, la coppia sta cercando di accordarsi finanziariamente, oltre che per la custodia. Il divorzio risale al 2016, quando Pitt è stato indagato dall'FBI e dai servizi sociali proprio per presunti comportamenti aggressivi all'interno della famiglia, addirittura accusato (e scagionato) per aver abusato di Maddox, il figlio maggiore, dopo una lite su un jet privato. Oltre alle accuse di abusi domestici, i documenti in mano alle autorità dimostrerebbero che il tribunale stia per chiedere alla coppia di far testimoniare anche Shiloh, Knox e Vivienne. Dissapori anche all'interno dello staff dei legali della Jolie, che sarebbe intenzionata più che mai a ottenere la custodia totale dei figli, mentre Brad starebbe combattendo per un 50 e 50. Una fonte vicina a Jolie ha detto: «Angelina ha combattuto con le unghie e con i denti per ottenere ciò che vuole in questo divorzio, quando si tratta dei suoi figli non si tira indietro». Uno degli ex legali dell'attrice, Laura Wasser, l'ha inoltre definita come "cattiva e velenosa".
Anna Guaita per “il Messaggero” il 19 marzo 2021. Quando sembrava che l'annosa lite fra Angelina Jolie e Brad Pitt sull'affidamento dei figli stesse per giungere a una conclusione amichevole, l'attrice lancia nuove inquietanti accuse che potrebbero riportare tutto in alto mare. Lo scorso venerdì Angelina ha presentato un ricorso in tribunale in cui sostiene di poter offrire «prove e testimonianze autorevoli» circa comportamenti violenti dell'ex marito nei confronti dei figli e di lei stessa. La 45enne attrice sarebbe pronta a portare i figli minorenni a testimoniare. Significa cioè che cinque dei sei figli che la coppia ha avuto e adottato potrebbero doversi sedere sulla sedia dei testimoni. Il più grande, Maddox, ha 19 anni e quindi per legge può rifiutarsi di obbedire. Gli altri figli sono Pax di 17 anni, Zahara di 16, Shiloh di 14, e i gemelli Knox e Vivienne di 12 anni (Maddox, Zahara e Pax sono adottati). Brad e Angelina si sono separati nel 2016 dopo 10 anni di convivenza e due di matrimonio. Nel novembre di quell'anno sulla base di voci diffuse da testimoni sui social, fu aperta un'inchiesta per possibili atti aggressivi di Brad verso l'allora 15enne Maddox, durante un volo di ritorno dall'Europa. Due mesi di indagini da parte sia del Dipartimento della Famiglia che dell'Fbi non portarono alla luce nessuna prova di aggressività e definirono quell'incidente «un normale battibecco fra padre e figlio, senza uso della forza». Non è chiaro dunque se le accuse di oggi di Jolie si riferiscano a nuovi eventi, avvenuti dal 2016 in poi. Amici dell'attore hanno commentato che Angelina sta solo tentando di «danneggiare» Brad, e che negli ultimi quattro anni altre volte ha presentato accuse «che sono state controllate e si sono rivelate infondate».
AVVOCATI E PARCELLE. La coppia, che ha finalizzato il divorzio già da due anni, sembra effettivamente incapace di trovare un accordo sui figli. Lei ha già cambiato avvocato quattro volte, e ha speso una vera fortuna in parcelle legali. Ultimamente ha venduto un quadro che Brad le aveva regalato nel 2011, e ne ha ricavato quasi 15 milioni di dollari. Ma allo stesso tempo, con sei figli teenager in scuole costosissime, varie case con personale numeroso, viaggi eleganti e dispendiosi di gruppo, anche un'attrice del suo calibro sembra sia in difficoltà finanziarie, anche perché da tempo non lavora e vive solo dei diritti che le spettano dai vari film. Ovvio che non sono mancate le voci malevoli che insinuano che le accuse di violenza contro l'ex marito potrebbero essere un tentativo disperato di obbligarlo a concludere la causa che oramai si trascina da quattro anni. Per di più Angelina deve aver sicuramente letto le interviste in cui Brad ha raccontato di voler chiedere il pieno affidamento della 14enne Shiloh, la prima figlia che la coppia ha avuto, che gli assomiglia moltissimo e che è diventata un'eroina del movimento Lgbtq per la sua chiara identità più maschile che femminile. Angelina invece non vuole assolutamente separare la truppa dei figli e ha sempre insistito di averne il pieno affidamento, rifiutando l'affidamento condiviso che gli avvocati dell'ex marito le proponevano all'inizio. Dal canto suo, Brad pure non è senza colpa, poiché aveva originariamente accettato di lasciarle i figli, accontentandosi del diritto di visita. Ma ha cambiato idea, e anzi in questi quattro anni ha abbracciato uno stile di vita molto morigerato, senza alcol e con periodici controlli per dimostrare che non usa droghe, allo scopo di dimostrare al giudice di aver creato un ambiente sicuro per i figli. Nel frattempo Angelina ha ammesso che la lunga lotta contro l'ex marito è stata «una prova molto difficile», e che sta facendo grandi sforzi «per risanare la famiglia» senza esserci ancora riuscita. E pensare che quando erano insieme i Brangelina facevano sognare. Si erano incontrati quando il matrimonio di Brad con Jennifer Aniston stava facendo acqua, e si piacquero subito, e in poco tempo divennero la coppia più ammirata del mondo, bella, ricca, piena di figli. E poi il crollo, e un divorzio che passerà alla storia come uno dei più combattuti di Hollywood.
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 20 marzo 2021. Non resta nemmeno il ricordo della bella fiaba. Angelina Jolie e Brad Pitt, l' ex coppia più sfavillante di Hollywood - i più belli tra i belli, i più potenti tra i potenti - a ogni udienza del loro complicatissimo divorzio frantumano sempre più quell' immagine di perfezione che aveva destato parecchi sospiri e anche qualche moto d' invidia durante la loro unione. Ora, a vacillare, è anche il loro ruolo di genitori: li avevamo conosciuti come performanti funamboli capaci di destreggiarsi con grazia tra gli impegni e i desideri della numerosa famiglia che avevano formato. Ora, quella stessa famiglia diventa il principale terreno della contesa che, cinque anni dopo la separazione, li vede ancora uno contro l' altro. E, come nel più triste dei copioni, adesso arriva anche a coinvolgere i figli, direttamente. Giorni fa, fonti vicine all' attrice avevano fatto trapelare la sua volontà di arrivare alla fine di questa causa eterna, calando quello che cinicamente è stato definito il suo asso: decidendo, cioè, di far deporre i figli in suo favore. Ieri è arrivata la notizia secondo cui il maggiore della coppia, il 19enne Maddox, lo avrebbe già fatto, testimoniando contro il padre - con cui, è stato fatto capire, i rapporti sarebbero ancora tesi - al punto da voler cancellare il suo cognome, per usare solamente quello della madre. Subito dopo la rottura tra Pitt e Jolie, si era detto che a far crollare la situazione tra loro sarebbe stato proprio un litigio fra Maddox e Pitt, nel contesto non esattamente comune tra la maggior parte delle famiglie di un volo privato. Era il 2016. Poco dopo, l' annuncio della separazione. Ora però, si aggiungono nuovi dolorosi tasselli che descrivono un rapporto padre-figlio mai più recuperato. «Maddox da tempo non usa Pitt sui documenti non legali bensì Jolie - ha rivelato una fonte alla stampa americana - e vuole cambiare legalmente il suo cognome in Jolie». Oltre a Maddox, la coppia ha altri cinque figli: Pax, 17 anni; Zahara, 16; Shiloh, 14 e i gemelli Knox e Vivienne, 12 e tutti, ora, potrebbero essere chiamati anche loro a testimoniare. Le accuse rivolte a Pitt sono gravi: violenza domestica. Al momento della separazione, avevano iniziato a circolare voci che parlavano di un divo spesso in preda alla collera, il più delle volte ubriaco. Accuse pesanti, che ora tornano a prendere corpo nella causa che vede contrapposti i due attori, sempre più simili alla coppia (in guerra) che avevano interpretato nel film che per paradosso li aveva fatti innamorare, Mr. e Mrs. Smith . Da allora - era il 2004 - i due non si erano mai separati, decidendo di sposarsi dopo dieci anni di convivenza nel loro Chateau Miraval, nel sud della Francia. Due anni dopo, l' annuncio che in pochi si aspettavano: quello della fine del loro amore. Sul glamour che aveva illuminato da subito questa unione, calava in quel momento un velo opaco da cui poi non sarebbero più usciti, fino ad arrivare al divorzio effettivo, nel 2019, per «divergenze inconciliabili». Finiva così la loro storia ma non la loro battaglia: la causa per la spartizione dei beni e la custodia dei figli è nel vivo. E ora arriva a toccare anche i figli, frantumando, dopo l' idea della coppia perfetta, anche l' immagine di una famiglia guidata in ogni scelta dall' amore.
Ross McDonagh per “Daily Mail” il 20 febbraio 2021. Una volta disse che era andata a letto solo con quattro uomini, di cui tre erano i suoi mariti. Ma Angelina Jolie ha una storia sessuale bizzarra, iniziata in età pre-scolastica, quando faceva parte del gruppo delle “Kissy Girls”. Raccontò nel 2007 a “Ok!Magazine”: «Ero molto “sessuale” all’asilo. Avevo creato un gioco in cui baciavo i maschi, pomiciavano e ci spogliavamo. Sono finita in un mare di guai!». Perse la verginità a 14 anni, con la benedizione della madre: «A quell’età o facevo cose spericolate per strada col mio fidanzato o stavo con lui nella mia stanza da letto, accanto a quella di mia madre». Nell’adolescenza le cose si sono incupite. Era affascinata dai coltelli e si autolesionava: «Il sesso e le emozioni con il mio fidanzato non erano abbastanza. Allora io ho tagliato lui e lui ha tagliato me. Ci siamo scambiati qualcosa e il mio cuore ha battuto fortissimo. Da allora, ogni volta che mi sentivo intrappolata, mi sono tagliata. Ho ancora un sacco di cicatrici. Era un’età avventurosa e dopo qualche birra, le cose succedevano». A 20 anni aveva provato qualsiasi droga, inclusa cocaina, ecstasy, LSD ed eroina, la sua preferita. Sul set di “Hackers” incontrò Jonny Lee Miller, a suo dire la seconda relazione sessuale della sua vita. Una volta mollati, la Jolie si dedicò alla prima sua relazione lesbo con la modella Jenny Shimizu: «Mi innamorai di lei la prima volta che la vidi. L’avrei sposata», dichiarò la Jolie in una intervista. Sposò invece Miller, in un ritorno di fiamma: si presentò alle nozze con una maglia bianca e il nome del marito scritto con il sangue. La Shimizu dice che comunque la loro relazione continuò anche mentre la Jolie era sposata: «E’ durata anni, lei è così: bellissima e di mentalità aperta». L’anno successivo, sul red carpet dei “Golden Globes”, baciò in bocca suo fratello. Lo rifece qualche mese dopo dando scandalo. In seguito incontrò Billy Bob Thornton (di 20 anni più grande) e due mesi dopo si sposarono a Las Vegas. Lei si tatuò il suo nome sul braccio e ognuno girava con al collo la fiala di sangue appartenente all’altro. Si giurarono amore eterno e si mollarono poco dopo perché “non avevano niente in comune”. Disse che non avrebbe più voluto relazioni sentimentali e invece si innamorò di Brad Pitt, sposato con Jennifer Aniston. Inizialmente negò tutto: «Non riuscirei a guardarmi allo specchio la mattina se stessi con un uomo che ha tradito la moglie. Non me lo perdonerei, dato che mio padre tradì mia madre». Eppure sono stati insieme 12 anni, hanno sei figli, e si sono sposati solo due anni fa, a coronamento di un rapporto che sembrava solidissimo. Nonostante voci su sue presunti flirt con Colin Farrell e Jared Leto, continua a dire che è stata a letto con soli quattro uomini, e tre erano suoi mariti. Ma in una intervista del 2004 ha anche ammesso che aveva “vari amici” con cui si intratteneva in modo adulto: «Posso avvicinarmi ad un uomo ma solo se non interferisce con la mia famiglia. Non ho mai fatto sesso da una botta via, solo con gente che conosco bene».
Gloria Satta per "il Messaggero" il 4 novembre 2021. Il mondo intero l'ha conosciuta con i capelli rossi e gli abitini geometrici ultra-glam di Beth, la problematica quanto imbattibile protagonista della serie La Regina degli Scacchi, grande successo su Netflix. Nella vita Anya Taylor-Joy, 25 anni e bellezza non convenzionale dominata dagli occhi grandi, è invece biondissima, magrissima e pienamente consapevole di essere l'attrice del momento: identità spanglish (la madre anglo-spagnola viene dallo Zambia, il padre è un argentino di origini scozzesi), infanzia a Buenos Aires e adolescenza vissuta tra Londra e New York, dopo il successo della serie ha girato sei film senza fermarsi. Uno è L'ultima notte a Soho di Edgar Wright (in sala da oggi), un thriller psicologico con colpo di scena horror: Anya, capelli cotonati e fascino enigmatico, interpreta Sandie, una giovane cantante che cerca di sfondare nella Swinging London degli Anni '60 dove brillano mille luci ma i sogni di una ragazza rischiano di scontrarsi con pericoli enormi.
Le somiglia?
«Sì, perché ha una grande passione, vuole assolutamente far parte dello spettacolo proprio come lo volevo io da ragazzina. Ma Sandie non è solo ambiziosa, è anche arrabbiata e sola. Io la ammiro perché non chiede scusa per lo spazio che occupa: è una lezione importante per tutte le donne. Gli Anni Sessanta hanno fascino, ma io preferisco vivere oggi. Per noi ragazze è un periodo di grandi cambiamenti in cui succedono molte cose».
Soprattutto per lei, ormai lanciata nello star system: ha combattuto molto per sfondare?
«Per forza. Prima di trovare il mio posto nel mondo ho affrontato difficoltà e ostacoli. Come tutti, del resto. Quando da Buenos Aires ci trasferimmo a Londra avevo 6 anni e fino agli 8 mi sono rifiutata di parlare inglese. A scuola venivo bullizzata. Ma per fortuna ho sentito molto presto la chiamata, cioè il desiderio insopprimibile di recitare».
È vero che per fare l'attrice ha abbandonato la scuola?
«Proprio così. A 16 anni capii che lo studio non faceva per me e scrissi una lunga lettera per spiegarlo ai miei genitori. Per fortuna hanno capito che se mi avessero impedito di inseguire i miei sogni sarei stata infelice e con molta intelligenza hanno deciso di sostenermi. Oggi sono i miei principali fan».
Cominciando a lavorare giovanissima, ha incontrato dei pericoli, subito avance?
«Sono cresciuta in mezzo ai maschi, pensando di essere come loro. Non vedevo nessuna differenza. Così ho provato uno shock quando, crescendo, mi sono resa conto di essere guardata come un oggetto sessuale solo perché avevo un corpo diverso. È un disagio che qualunque donna ha provato e potrebbe raccontare. Non solo nel cinema».
Si aspettava il successo planetario di La Regina degli Scacchi?
«A dire la verità, no. Per anni mi ero sentita dire che per sfondare dovevo essere nel posto giusto al momento giusto. Bella lotta, dal momento che all'inizio non conoscevo nessuno nel cinema... poi la serie è esplosa durante il lockdown. E quando uscivo per fare le spesa rimanevo senza parole, confusa, perché venivo riconosciuta dalla gente. Non mi era mai successo prima».
Qual è stata la sfida più difficile nell'interpretare Beth, la regina degli scacchi?
«Risultare credibile in ogni momento della storia. Beth ha avuto una vita durissima: cresciuta in orfanotrofio, è dipendente da alcol e psicofarmaci e vive per giocare a scacchi proprio come io vivo per recitare. Ho provato a entrare nella sua testa, è il metodo che applico per interpretare qualunque personaggio. E mi permetto di dire che sono soddisfatta del risultato».
Pensa di essere cambiata oggi che è una star?
«No, sono rimasta la stessa Anya che adora fare l'attrice, cerca sempre di migliorare, si alza felice alle 5 del mattino per andare sul set e ha la fortuna di fare le cose che ama con persone eccezionali. Mi considero molto fortunata e grata perché mi viene permesso tutto questo».
Tra i film che ha girato ultimamente ci sono anche Furiosa, il nuovo capito della saga Mad Max, e The Northman in cui recita accanto a Nicole Kidman: che effetto le ha fatto trovarsi sul set con la diva?
«Ero terrorizzata. Ma lei mi ha messa a mio agio».
Che consiglio darebbe a una ragazza che vuole sfondare come attrice?
«Le direi di guardare più film possibili e cercare di capire come funziona il cinema. Prima o poi s' imbatterà nella storia giusta al momento giusto».
Dagospia il 22 giugno 2021. Da Radio 2. Anna Falchi è intervenuta su Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei e dalla mezzanotte e trenta alle due circa anche su Rai 2. La conduttrice ha parlato un po' di se: "Questo ritorno alla quasi normalità? Era ora, un po' di libertà mancava a tutti, anche se la gente è ancora un po' spaesata. Io stessa spesso mi meraviglio quando non sto a casa, ma si respira proprio la gioia di potersi rivedere. Finalmente ci si rivede dal vivo, bei vecchi ricordi che ritornano alla realtà. Mia figlia? Ha vissuto bene questo periodo, nonostante sia stata quasi sempre da sola, ha trovato il suo equilibrio, il suo perché. E' stata fortunata a non soffrire molto, i giovani e i bambini sono quelli che hanno sofferto di più. Come mamma non sono gelosa, mia figlia è espansiva, esuberante, mi racconta tutto, parliamo tanto, siamo anche amiche, anche se lei ha solo dieci anni, parliamo molto".
Ancora Anna Falchi: "Con i social ho un buon rapporto. Li uso con grande moderazione, ho anche poco tempo per starci. Non dico mai la mia, difficilmente prendo posizione, se non per la Lazio. Non prendo mai posizione, è l'unico modo per non avere nemici. Qualcuno mi scrive che sarebbe disposto a cambiare squadra pur di farmi contenta".
Sulla Lazio, squadra di cui è grande tifosa: "Mi è dispiaciuto l'addio di Simone Inzaghi, è un grande allenatore, un grande professionista, ma si era concluso un ciclo, più di quello non saremmo riusciti a fare, la situazione era diventata un po' statica. E' giusto che Simone faccia altre esperienze in altre squadre ed è giusto che la Lazio cambi modulo, gioco. Io non avrei mai pensato di riuscire a portare a casa Sarri. Lo amo. E' un uomo giusto per le squadre del centro-sud. Prima il Napoli, poi la Lazio. Se ci porta Insigne ci fa anche un bel regalo. E' un sogno, chissà...".
Sulla Nazionale: "Mi aspetto che la squadra di Mancini sia battagliera fino alla fine, confido in buoni risultati. Una foto particolare se vince la Nazionale? No, quelli sono esclusivi della Lazio. Anche se c'è Ciro, e sono sempre grande tifosa di Ciro".
Sui suoi esami di maturità: "Ho un bel ricordo di quel periodo. Grande emozione, grande paura, grande tensione, tante ore a studiare sui libri per fare bella figura. Io sono sempre stata una secchiona. Sono emozioni che non torneranno più. Quello della maturità è un passaggio verso l'età adulta. Un momento meraviglioso, il momento della crescita. Io ero una secchiona, non amavo far copiare, io studiavo fino alle tre di notte, se mi chiedevano di suggerire non ero felice di farlo".
ANNA FALCHI
Sulla prossima stagione televisiva: "'A breve inizierà Uno Weekend. I fatti vostri'? Un colpo di scena, lo riassumo così. Dopo tanti anni che vi siete fatti i fatti miei, ora sarò io a farmi i fatti vostri (ride). Io sono vivace, esuberante, faccio questo lavoro come facessi qualunque altro lavoro, con professionalità, passione, voglia di intrattenere con leggerezza ed eleganza, in questa nuova sfida con Salvo Sottile, grandissimo professionista, ed io sono una sua grandissima fan. Sono molto felice di poter lavorare con lui".
Sulla sua vita privata: "Da poco è iniziata la convivenza con il mio compagno, dopo dieci anni di rodaggio. Sta andando benissimo, siamo entrambi molto impegnati, siamo molto liberi e indipendenti. Poi è bello incontrarsi a casa. Il lockdown che ci ha costretto a stare forzatamente lontani è stato una bella prova, abbiamo sofferto di solitudine, mancanze, abbiamo pensato non dovesse succedere più".
Anna Falchi nella quotidianità: "Le riunioni di condominio o con le insegnanti? Faccio tutto, le persone con me si comportano in modo assolutamente normale".
Sul rapporto con il proprio corpo: "Non mi fermo mai, dormo poco, mi alleno in casa con i tutorial di youtube, mi dedico ogni giorno a una parte diversa del corpo, ho tutti gli accessori per allenarmi, ma non faccio diete. Non mi piacciono i dolci, preferisco il salato, un bel panino con la mortadella ogni tanto non manca di sicuro. Anche perché la mortadella è carne bianca, è dietetica, fa bene. Meglio quello che un dolce super zuccherato".
Su cosa la fa ridere e sull'ultima volta che ha pianto: "Mi commuovo sempre quando mia figlia mi dice cose che non mi aspetto, tipo che non vuole crescere o che vuole passare tutta la vita con me. Non è mai scontato. Una cosa che mi ha fatto ridere? Mio fratello, è molto simpatico. Anche se ogni tanto litighiamo per questioni di calcio. E' un grande tifoso della Roma, se la Roma perde per due giorni non mi risponde al telefono".
Sulla cosa più folle che un uomo abbia fatto per lei: "Il mio compagno attuale, la mia bambina aveva solo quattro mesi. Andai a fare un film in Bulgaria, stavo lì da sola, soffrivo moltissimo di cervicale. E lui era in grado di farmi dei massaggini particolari e mi dava incredibilmente sollievo. Dovetti partire per lavorare, un giorno tornando dal set, arrivando in albergo, trovai un bigliettino scritto da lui, con la pomata che usava per farmi i massaggi. Quando ho chiamato l'ascensore l'ho trovato dentro l'ascensore. Era venuto a trovarmi, facendomi una bellissima sorpresa".
Candida Morvillo per il "Corriere della Sera" il 26 aprile 2021.
Anna Oxa, il 28 aprile compie 60 anni, che momento sarà?
«Io ho smesso di avere dei momenti. Vivo in un flusso continuo, in un presente senza un prima o un dopo».
Quando e come ha iniziato a vivere così?
«Soprattutto dalla morte di mia madre, una ventina di anni fa, uno di quei dolori così forti che non possono restare fine a se stessi. Mi si è aperta "la domanda", quella della vita e della morte, di questo passaggio di cui non ti accorgi, perciò rimandi tante cose, invece di osservare e comprendere cosa fa veramente parte di te e cosa hai integrato da fuori: giudizi, idee, luoghi comuni... Cose che devi escludere, altrimenti non sei nel movimento della vita e replichi sempre il passato».
Lei quali cose ha escluso?
«Io escludo ogni giorno, perché più vedo, più capisco, e la comprensione non passa dall'intelletto. Ormai vivo nella natura, dove senti una fusione, dove non c'è bisogno di inventarsi ruoli, avere modelli e non c'è giudizio. È una condizione nota ai bimbi, poi, crescendo, s' inizia con: questo è giusto; questo è sbagliato; come dobbiamo giudicare; a chi devo appartenere».
Com'è questo suo ritiro svizzero nella natura?
«Ci sono le montagne, cascate, boschi, animali, fiori e piante. Qui vedi tutto: l'inverno, la neve, la primavera. Il ruscello che ho messo su Instagram è proprio davanti a casa, la distanza è fra me e il palmo della mano. Oggi, l'arte è diventata che sei un artista perché qualcuno lo decide, ma è come dire a Picasso di dipingere sedie perché si vendono. Invece, stare nel flusso della natura è essenziale per stare nel processo creativo».
La prima volta che si è sentita in questo processo?
«Da bambina, a Bari, cantavo e già vivevo questo stato di assoluta assenza, come se ci fossero due frequenze parallele, una che viveva di sonorità, di bellezza, e l'altra del mondo degli adulti, così incomprensibili. Io penso di essere stata modellata dal suono come i sassi enormi che vedo qui levigati dall'acqua, che lentamente ha tolto gli spigoli, ogni volta che il sasso non ha opposto resistenza».
Bari, quartiere San Pasquale, otto figli, padre albanese rifugiato politico, morto che lei aveva 8 anni, famiglia modesta. Percepiva un futuro già scritto?
«Io vedevo solo la strada di casa e il cortile, e cantavo. Ero innocente, pulita e, se oggi mi faccio domande sull'esistenza, è grazie a quella bimba venuta passo passo con me».
Cosa cantava la bimba Oxa?
«Brani italiani all'inizio, ma ho avuto presto la fortuna di frequentare jazz, blues... Fra i 13 o i 14 anni ho iniziato con i pianobar, portando un repertorio anche degli anni Venti. Nel tempo ho avuto la capacità di avere più timbri e più suoni, come se avessi percorso le etnie, forse perché nasco con nonno imam albanese, nonna turca, mamma italiana. E ho sempre cercato di fare miei i brani che cantavo: li riscrivevo, li rimontavo per esprimere quello che mi passava dentro, senza riprodurre ciò che avevo già fatto ed ero già stata».
Le hanno chiesto spesso di rifare cose già fatte?
«Sarebbero stati gentili se si fossero fermati a spesso. Già a 16 anni ho vinto Sanremo Giovani con Un'emozione da poco e un'immagine punk, e poi ho cambiato, ma tanti mi dicevano di restare uguale perché, se no, il pubblico poteva rimanerci male».
Lei è sempre stata definita camaleontica, sensuale, addirittura peccaminosa.
«Non avendo una mente peccaminosa, non mi sono mai vista tale. Le tante cose che si sono viste dipendono dalla mente di chi guardava. Di sicuro, in me, non ho mai avvertito volgarità».
Dalla tuta a pelle di Sanremo '85, all'ombelico di «È tutto un attimo», al tanga del Sanremo '99 vinto con «Senza Pietà», ogni sua apparizione faceva discutere.
«Quella tuta la mette ogni ballerino, l'ombelico l'ho scoperto mentre già le donne andavano nude. Chiedo: perché solo io scateno interesse?».
E che risposta si dà?
«La trovi lei una risposta. Io so che, da anni, non sono in tv, eppure ho un pubblico enorme e sono sui giornali anche se non parlo. Ho un rapporto con un pubblico che guarda a me come un'artista che non ha mai fatto dell'arte una convenienza. Che si è permessa di rivoluzionare tutto e fare Proxima, L'America non c'è, di portare a Sanremo 2006 Processo a me stessa».
Quel festival le portò critiche feroci, il brano fra suoni orientali, balcanici e drammaturgia non fu capito.
«Mi hanno chiesto di andare e ho detto: vengo, se posso portare ciò che sono. Ma, siccome tanti non si esprimono mai, se uno si esprime tutti gli danno addosso. Nessuno parlava del brano, dicevano solo cose per ferire, ma io ho vissuto il processo creativo, che m' importa se altri fanno il branco e devono sbranare il lupo? È una vita che provano a farlo. Da quando nel 2013 mi sono fatta male a Ballando, la Rai mi ha chiuso le porte, questa non è violenza?».
Dei suoi cavalli di battaglia, quale ama di più?
«Non posso rispondere: quello che ho cantato, l'ho donato, non è più mio».
Ha avuto tre mariti, più Gianni Belleno, papà di Francesca e Qazim, cos'è stato l'amore per lei?
«È una domanda che dovrebbe rimanere una domanda, ma posso darle delle indicazioni. Per esempio, tante idee sull'amore non appartengono all'amore, tipo: il possesso, il controllo, vivere l'altro come una stampella».
Ora ama?
«Se me lo chiede, vuol dire che finora non mi ha ascoltata. Che importanza ha se amo, se non amo? Se piaccio o no? I media non vogliono sapere di Anna Oxa, vogliono la loro storia di Anna Oxa, ma la mia forma di vita non è quella, è quella di Primo Cuore (Canto Nativo), che è oltre ogni forma-canzone nota e che è uno sguardo all'umanità. Sono divorziata e ancora mi parlate dai miei mariti, non sapete staccarvi dalle cose inutili».
Col senno di poi, il matrimonio è inutile?
«Ci sono cose che vivi, capisci e poi si sformano, liquefatte come orologi di Dalì. Oggi dico che sarebbe interessante se due persone avessero pari energia e la condividessero. Ma spesso uno deve stimolare all'altro la fiamma persa. Sarebbe stato bello fare l'intervista qui nel bosco. Le avrei detto: provi a sentire l'amore. L'amore è il profumo di un fiore, l'acqua che scorre, la foglia attraversata dal vento».
· Annalisa Minetti.
La sportiva e cantante. Annalisa Minetti e la tecnologia rivoluzionaria per i non vedenti: “Potrò tornare a leggere”. Elisabetta Panico su Il Riformista il 21 Aprile 2021. Annalisa Minetti in un’intervista al settimanale Grand Hotel ha spiegato che grazie alla tecnologia ritornerà a “vedere”. Queste le dichiarazioni della 44enne nata a Rho, piccolo comune di Milano, un’artista molto versatile: cantante, scrittrice, conduttrice ma anche un’atleta paraolimpica. All’età di 18 anni, a causa della retinite pigmentosa della quale soffre dalla nascita, inizia gradualmente a perdere la vista. Ha trovato un grande ausilio alla sua condizione grazie alla tecnologia. Si chiama Orcam MyEye Pro. Sulla stanghetta degli occhiali una telecamera che in pochi secondi trasmettono le informazioni su tutto ciò che rientrerebbe nel suo campo visivo. “In questo sistema si può inserire un registro dei volti dei tuoi familiari e dei tuoi amici associandoli al loro nome – ha spiegato al settimanale Grand Hotel – Così, quando per esempio mia figlia mi viene incontro, la vocina mi avvisa: ‘Elena si sta avvicinando’. Sai che vuol dire? Ti cambia davvero la vita!“. La telecamera processa le immagini e in cinque secondi manda le informazioni ottenute che Annalisa potrà ascoltare grazie ad un’auricolare. “Grazie a ciò potrò ritornare a leggere, riconoscere le persone registrate precedentemente nella memoria della telecamera e fare tanto altro”. Minetti è un personaggio molto noto per via delle sue performance nel mondo dello spettacolo e nello sport. La sua carriera è iniziata nel 1997, quando partecipa a Miss Lombardia classificandosi settima. L’anno successivo ha affrontato il palco più ambito per ogni cantante, quello del Festival di Sanremo e con la sua canzone Senza te o con te, ha vinto sia la categoria Giovani che la categoria Campioni. Nel 2005 è risalita sul palco di Sanremo in coppia con Toto Cutugno e il duo si è classificato secondo. E’ stata anche campionessa di atletica leggera. Nel 2012 ha partecipato ai giochi para olimpici di Londra e ha conquistato la medaglia di bronzo nei 1500 metri. Nello stesso anno ha conquistato anche la medaglia di bronzo ai campionati europei di atletica leggera paraolimpica. L’anno successivo ha vinto una medaglia d’oro ai campionati del mondo di atletica leggera paraolimpica negli 800 metri. Nel 2017 alla Maratona di Roma ha conquistato la medaglia d’oro e ha stabilito il record come migliore prestazione europea nella categoria T11 – categoria per gli atleti non vedenti o ipovedenti – sui 42 chilometri. Medaglia d’oro anche nella mezza maratona di Roma-Ostia sui 21 chilometri. Si è sposata con il calciatore napoletano Gennaro Esposito, dal quale è nato il suo primogenito Fabio, e poi con il ricercatore scientifico universitario di Tecnologie della Riabilitazione e fisioterapista, Michele Panzario. I due hanno avuto una bimba, Elena.
Elisabetta Panico. Laureata in relazioni internazionali e politica globale al The American University of Rome nel 2018 con un master in Sistemi e tecnologie Elettroniche per la sicurezza la difesa e l'intelligence all'Università degli studi di roma "Tor Vergata". Appassionata di politica internazionale e tecnologia.
"Vi spiego come torno a vedere. E ho due priorità..." Roberta Damiata il 23 Aprile 2021 su Il Giornale. Grazie ad una speciale tecnologia israeliana, Annalisa Minetti potrà tornare autonoma. Una chiacchierata “di corsa” con Annalisa Minetti nel senso letterale della parola, perché la cantante, conduttrice e atleta, si sa preparando per le Paraolimpiadi di Tokyo. “Approfitto di ogni momento in cui i bambini sono a scuola per allenarmi, visto che i miei figli sono sempre al primo posto nella mia vita”, racconta. Annalisa ormai da qualche giorno è al centro delle cronache per una notizia che potrebbe aprire una speranza per tutti i non vedenti come lei. Un dispositivo che permetterebbe di darle autonomia, rilevando oggetti e volti e dando la possibilità a chi non ha l’uso della vista, di poter leggere e studiare.
Tutti i giornali hanno parlato di questo dispositivo che permette di vedere, ma è proprio così? Come funziona?
“Vedere no perché questo non è un dispositivo che fa tornare la vista, ma permetterà ai non vedenti come me di percepire le immagini che vengono riproposte nell’orecchio attraverso un auricolare bluetooth”.
Come cambierà la sua vita con questa tecnologia?
“Sarà un passo verso l’autonomia totale, almeno dentro casa. Sono già molto autonoma ma con questo potrò ad esempio leggere le etichette di un detersivo, o di qualsiasi cosa che compro al supermercato. Oppure studiare o leggere un libro da sola, senza l'aiuto di nessuno. Un’altra cosa meravigliosa è il riconoscimento dei volti: se si avvicina mia figlia o mio marito, mi dice di chi si si tratta”.
Di sicuro un bel passo avanti anche se come diceva è già molto autonoma. A proposito di questo lavorativamente parlando, cosa sta facendo in questo periodo?
“Principalmente sto preparando le Paraolimpidi di Tokyo con le Fiamme Azzurre, che danno un grande supporto a tutti noi atleti paraolimpici. Sto inoltre lavorando ad un importante progetto televisivo che mi vedrà protagonista, e infine sta per uscire un nuovo progetto discografico, che sarà anche la colonna sonora di un cortometraggio”.
Come fa a fare tutto visto che ha anche due figli?
“Sono una donna come tutte. Per me la priorità sono i miei figli Elèna e Fabio, per questo cerco di ritagliarmi ogni secondo per fare le mie cose, quando loro sono a scuola. È complicato ma alla fine ci riesco sempre”.
Da dove nasce questa sua forza?
“Ho lavorato molto sulla motivazione tanto da creare una mia società che insegna proprio questo. La motivazione è alla base di ogni grande obiettivo e sono convinta che dovrebbe diventare una materia scolastica. Tutti abbiamo bisogno di allenarci a vivere. Comunque la mia forza arriva anche dal rispetto che ho per il dono della vita che ho ricevuto, i miei mi hanno fatto questo regalo e io faccio in modo di non sprecarlo”.
Questo è molto bello soprattutto in un periodo dove la gente per la pandemia ha vite molto stressanti. Come la sta vivendo lei?
“Non so quando ne usciremo ma la considero una sorta di guerra, che decideranno i potenti quando finirà. Rispetto a questo però credo che anche in passato nel nostro Paese abbiamo vissuto situazioni pesanti, che abbiamo superato con grande coraggio. Quindi anche ora dobbiamo semplicemente ricordarci di essere italiani capaci di fare la differenza proprio nel momento della difficoltà. Non va sprecato questo momento anzi, va impiegato per capire cosa ci sta dicendo l’universo e quello che possiamo fare realmente nella nostra vita. Accettare il cambiamento significa uscire dalla zona di confort alla quale eravamo abituati, e scoprire le nostre risorse che ci poteranno a fare cose meravigliose”.
Diceva prima: “Decideranno i potenti quando finirà”. Cosa intendeva?
“Credo che il virus non sia scoppiato per caso e come me, lo pensano un po’ tutti. Questa potrebbe essere vista come una Terza Guerra Mondiale dove noi siamo le vittime, ma io non sopporto chi si crea una sorta di alibi. Noi siamo proprietari del nostro tempo e delle nostre vite, e siamo responsabili per questo. Se non troviamo l’aiuto di cui abbiamo bisogno da chi ci governa, siamo noi che dobbiamo cambiare”.
Pensa che non ci sia stato aiuto da parte dello Stato?
“Non parlo proprio dell’Italia, ma ad esempio dell’America o la Cina, che sono molto furbi”.
Cosa ne pensa dei vaccini? Crede siano una via d’uscita?
“Spero che lo sia e io lo farò. Per tornare alla domanda precedente sugli aiuti, sono d’accordo con Giorgia Meloni quando dice: “Se chiudi non chiedi”. Almeno quello dovrebbe essere fatto”.
È favorevole alle riaperture?
“Assolutamente. Qualche rischio dobbiamo pur correrlo. Sta a noi non darci alla pazza gioia e ad essere bravi, per far in modo che tutto rimanga aperto. Però sono assolutamente a favore di riaprire tutto e tornare a vivere”.
Un grande tema di questo periodo, supportato anche da recenti accadimenti, è la violenza sulle donne. Che pensiero ha in merito?
“In questo momento il Covid ha creato ulteriori tensioni che hanno portato all’aumento di violenza e femminicidi. Questa chiusura ha danneggiato tantissimo a livello psicologico e anche psichiatrico i depressi, e tutte quelle persone che avevano già grandi psicolabilità. Per questo dico a tutte le donne di studiare tutti gli atteggiamenti tipici dell’uomo narcisista e maltrattante. Questo per capire a livello psicologico come agisce, e con questo mettersi al riparo. Dovrebbero quasi essere fatti corsi di formazione su questo tema, che porta poi a molte altre questioni. È una questione di mentalità, se scopro ad esempio che mio figlio o mia figlia fanno sesso di gruppo, a prescindere credo di aver fallito come madre, perché per me l’amore è un’altra cosa”.
Ha toccato un punto attuale e molto importante, soprattutto perché lei ha un figlio maschio. Come lo sta crescendo nei confronti del rapporto con l’altro sesso?
“In realtà non gli dico grandi cose, nel senso che penso che le persone più che parlare devono essere d’esempio. È inutile che dica a mio figlio di non dire parolacce se sono poi io a farlo per prima. Cerco con l’esempio di essere una madre che si fa in quattro per i propri figli. Ho un marito che mi rispetta e mi ama sopra ogni altra cosa, e credo che mio figlio vedendo questo, capisca come deve essere il rapporto con l’altro sesso. Questo a mio parere è l’insegnamento più giusto”.
Nella sua vita ha subito attenzione particolari?
“Fortunatamente no. Ne parlo spesso con le mie due amiche del cuore: Luisa Corna ed Emanuela Villa. Ci diciamo che siamo state fortunate perché nessuno mai, forse perché non vedevo, ci ha mai provato o ha utilizzato con me il sesso come merce di scambio. Ho sempre apparentemente conosciuto brave persone, oppure la voglio vedere così: sono stata così brava e professionale che non serviva altro”.
Forse anche perché è molto forte e al contrario la fragilità viene percepita come opportunità per approfittarsi di una donna.
“Non sono d’accordo. La fragilità di una donna è meravigliosa è la debolezza che rende noi capaci di essere vittime”.
Quanto è stata importante per lei Miss Italia e quanto è cambiato in questi anni il concetto di bellezza?
“Anche se forse se ne sono resi conto in pochi, io penso di aver un po’ cambiato il concetto di bellezza, quando ho partecipato a Miss Italia. Essendo l’unica che non poteva vedersi fisicamente, credevo soprattutto in me stessa. La bellezza sicuramente ti dà la possibilità di apparire in maniera immediata, ma sei poi non hai altro è veramente difficile sostenerla. Io comunque come dicevo, non vedendomi e non credendo nel mio aspetto fisico, ho lavorato molto sulla mia persona”.
Che rapporto ha con i social e con gli haters?
“Con i social moderato nel senso che mostro solo una parte della mia vita, non tutto. Questa è una decisione che abbiamo preso con mio marito che è una persona estremamente riservata. Al contrario a livello professionale condivido molto, perché i miei progetti sono sempre rivolti alle persone. Per quanto riguarda gli haters ho lavorato su un metodo che si chiama Rebornow. È un criterio con valenza scientifica costituito con il Centro ricerca Accademia Nazionale di Cultura Sportiva che coinvolge il dott. Antonio de Lucia presidente dell'associazione italiana psicologi dello sport e il dott. Luigi Mazzone primario di psichiatria infantile a Tor Vergata. Ovviamente non serve solo per quello, ma per chiunque abbia bisogno di aiuto e di supporto. E' una sorta di sportello d'ascolto molto funzionale perché secondo me: “Se lo puoi dire, lo puoi curare”, e se qualcuno ti ascolta sei vicino all'obiettivo”.
In passato lei ha subiti attacchi hater. C’è stata gente che addirittura ha messo in dubbio che fosse una non vedente.
“Il mio modo di essere una non vedente è estremamente diverso da quello a cui la gente è abituata a percepire. Io sono quella che va sul tapis roulant con una mano sola, e ci sono persone vedenti che non lo fa perché hanno paura di cadere. Ho rischiato tanto ma ho deciso di non arrendermi alla mia condizione. Dal momento che mi hanno diagnosticato la malattia, mi sono detta che non dovevo lasciarmi condizionare. Lì ho capito la forza che avevo, e il mio desiderio di essere e non soltanto di esistere. Invito tutte queste persone a seguire il mio programma, dove ci sono tanti esperti che potrebbero seguirle e aiutarle a canalizzare positivamente la loro rabbia”.
· Anna Maria Rizzoli.
Luca Pallanch per "la Verità" il 12 marzo 2021. Ci sono personaggi nel mondo dello spettacolo che improvvisamente spariscono dai radar: le luci si spengono e cala il sipario. Pochi hanno la forza di dire basta e tornare a vivere una vita «normale», senza rimpianti. Anna Maria Rizzoli si è lasciata alle spalle un festival di Sanremo, condotto con Mike Bongiorno nel 1979, e una breve ma folgorante carriera cinematografica. Si è negata all'incedere del tempo e nell'immaginario collettivo, complice questa sua assenza, rimane la bellissima protagonista di tante commedie degli anni Settanta e Ottanta. Per La Verità esce per una volta dal suo riserbo, pronta a eclissarsi nuovamente.
Com' è stata chiamata a condurre il festival di Sanremo?
«Ho fatto un'ospitata a Domenica in condotta da Corrado e l'indomani sono stata chiamata dalla Rai per sapere se me la sentivo di presentare il festival. Si vede che sono piaciuta! Ho risposto: "Ci provo". Ero un po' spaventata perché Sanremo fa paura. Avevo lavorato a Telealtomilanese, insieme a Enzo Tortora nel programma Aria di mezzanotte. Avevo una mia rubrichetta: facevo gli oroscopi. E in Rai avevo presentato con Christian De Sica e Ingrid Schoeller Alle sette della sera, ma il festival di Sanremo era un'altra cosa».
Conosceva già Mike Bongiorno?
«L'ho conosciuto quando mi ha chiamato il direttore di Tv sorrisi e canzoni Gigi Vesigna per fare insieme a lui la foto per la copertina in occasione del festival».
Com' era?
«Un uomo straordinario, oltreché un professionista eccezionale. È stato bellissimo lavorare con lui perché era una persona che ti aiutava».
Ricorda la prima volta che è salita sul palco?
«Un'emozione grandissima, caspita, ero agitatissima, però una volta sul palco è passata. Avere vicino Mike era una sicurezza».
Ricorda una sua papera?
«Veramente il giorno dopo la fine del festival mi ha chiamato Giovanni Salvi, il vice direttore generale della Rai, e mi ha detto: "Lei mi deve dire come ha fatto a non fare neanche una papera perché Sanremo è stata sempre una Waterloo per tutti". Sono stata brava!».
Iniziò come modella...
«Facevo il liceo a Milano e un giorno, all'uscita, mi ha fermato un signore che aveva un'agenzia di modelle e mi ha detto: "Ma perché lei non fa la modella? È così carina...". Allora mi sono iscritta a un corso per indossatrici e ho fatto delle serate, poi ho lasciato la scuola con grande dispiacere dei miei genitori. Ho lavorato tantissimo come modella, facendo anche la pubblicità della Stock vestita da Babbo Natale. Mi piaceva quel lavoro. Poi ho fatto un servizio fotografico su un carrello elevatore, chiamata da Osvaldo Annicchiarico, il fratello di Walter Chiari, che aveva un'agenzia di pubblicità. Osvaldo mi ha presentato Walter, che mi ha subito offerto di fare teatro con lui. Gli ho detto: "Ma io non lo so se sono capace...". Walter è rimasto colpito da questa frase».
L'ha fatto poi teatro?
«No, ma mi sono fidanzata con Walter!».
Colpo di fulmine?
«Sì, siamo stati insieme due-tre anni, con momenti di interruzioni perché ogni tanto lui andava in Australia. Eravamo fidanzati, ma ognuno viveva a casa sua. Mi ricordo che mio papà aveva cinque anni meno di lui!».
Lo ha presentato ai suoi genitori?
«Sì, è venuto a trovarci a casa tante volte. Piaceva a tutti Walter. Semplice, alla mano, molto intelligente, un uomo fantastico».
Il suo primo film è stato Peccati in famiglia di Bruno Gaburro?
«Sì, lì come modella ho fatto una comparsata. Poi ho fatto una particina ne Il padrone e l'operaio di Steno e un episodio di Dove vai in vacanza? diretto da Luciano Salce, con Paolo Villaggio. Grazie a questo episodio e al festival di Sanremo la mia carriera è decollata».
Lei è stata molte volte diretta da Luciano Salce e da Mariano Laurenti.
«Era bellissimo lavorare con Luciano perché, avendo fatto l'attore, conosceva i nostri problemi, per cui era paziente, premuroso, gentile, mai arrabbiato. Mariano era carino, un papà».
Spesso lavorava con Enzo Cannavale e Bombolo.
«Bombolo aveva una comicità innata: aveva un modo di dire le cose anche fuori dal set che ci faceva morire dal ridere. Non recitava, interpretava sé stesso. Cannavale era straordinario, veniva dal teatro, aveva lavorato anche con Eduardo De Filippo. Sul set era come stare in famiglia perché ormai ci conoscevamo bene, c'era un rapporto affettuoso, non ci sono mai stati screzi. Ci siamo sempre molto divertiti a fare quei film».
Con chi ha legato particolarmente?
«Forse con Lino Banfi, un gran signore».
Con le colleghe?
«Una con cui mi sono divertita tantissimo era Francesca Romana Coluzzi, un'attrice con la a maiuscola. Quante volte abbiamo dovuto stoppare perché scoppiavamo a ridere e non riuscivamo ad arrivare alla fine della scena».
Non viveva una rivalità con le altre attrici del periodo, Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Gloria Guida, Nadia Cassini?
«La rivalità poteva essere l'occasione che una aveva di fare un film che un'altra avrebbe voluto fare lei, non a livello personale, anche perché ognuna aveva il suo cliché. C'è da dire che eravamo poche. Dopo ne sono arrivate tantissime».
Non erano belle come voi!
«Diciamo che noi eravamo tutte naturali, non c'era la chirurgia estetica, non c'erano neanche le punturine, proprio nulla. Quando facevamo i servizi su Playboy, non è che ci fossero le foto ritoccate al computer come adesso... Noi com' eravamo eravamo».
Un film che avrebbe voluto fare?
«Me ne offrivano così tanti! Mentre facevo un film, stavo facendo le prove costumi di un altro che iniziava subito dopo. Uno che volevo fare a tutti i costi e che sono riuscita a fare è Uno contro l'altro... praticamente amici con Renato Pozzetto e Tomas Milian. Pozzetto ogni tanto veniva al trucco la mattina: "Non ti sembra che ci sono un po' troppe parolacce in questo film?"
Che ricordi ha di Tomas Milian?
«Era molto serio, professionale. Er Monnezza era proprio il suo ruolo: se l'era costruito addosso. Non era uno che fuori dal set scherzasse: quando finiva la scena, andava a riposare. Pozzetto invece era simpaticissimo e andavo sempre a mangiare nella sua roulotte. Aveva un cuoco che cucinava benissimo».
Eravate due milanesi in un cinema romanocentrico.
«Parlavamo la stessa lingua».
Per l'anagrafe è romana.
«Sono nata a Roma per combinazione perché mia mamma è andata in viaggio di nozze in ritardo e ha avuto improvvisamente le doglie, però a tre mesi ero già a Milano. Non ho niente di romano, anche se poi ho vissuto, benissimo, a Roma per tanti anni».
In Uno contro l'altro... praticamente amici interpretava una ragazza romana, la sorella di Tomas Milian.
«Un po' guitta».
Era doppiata...
«Sempre. Non sempre le voci mi piacevano. Solo una volta ho avuto il privilegio di essere doppiata da Simona Izzo [in Rag. Arturo De Fanti, bancario-precario ndr]. Mi ha dato una voce magnifica».
Non ha recitato mai con la sua voce?
«No, solo quando ho fatto teatro con Giorgio Strehler. Avrei preferito, ma non si giravano i film in presa diretta e non avevo neanche il tempo di fare il doppiaggio».
È stata un'esperienza straordinaria...
«Con Strehler ho chiuso in bellezza perché ero stanca di questo lavoro: ho sacrificato gli anni più belli dietro la carriera. Adesso, tornando indietro, non so se rifarei questa professione, magari farei l'avvocato come mio papà».
Addirittura?
«Ma sì! I sogni che si realizzano sono sempre inferiori alle aspettative. Alla fine ci si sacrifica tanto e poi una dice: "Ma ne vale la pena?". Quando è arrivato Strehler, mi sono detta: "Va bene, chiuderò in bellezza. Lavoro con lui e poi mi ritiro". Così ho fatto».
Com' è capitata l'occasione di lavorare con lui?
«Eleonora Brigliadori interpretava una parte nella commedia La grande magia, scritta da Eduardo De Filippo, ma, non so per quale motivo, non voleva più continuare. Ci siamo visti una volta con Strehler perché ero fidanzata con un architetto che gli stava facendo la casa. Mi ha chiesto: "Tu faresti teatro?". "Il teatro serio non so... ho sempre fatto commedie brillanti". "Vedrai, non preoccuparti, ti faccio recitare io". Ho fatto con lui 15 giorni di prove, io e lui da soli, per impostare la voce. Mi ha insegnato tutta la mia parte: era così bravo che poteva far recitare anche i sassi».
Che effetto le ha fatto recitare in teatro?
«Con il pubblico dal vivo è tutta un'altra cosa. Se sbagli, sbagli, se inciampi, inciampi. Siamo stati in scena per tre-quattro anni: al Piccolo Teatro di Milano più volte, al Teatro dell'Odéon di Parigi, dove alla prima c'era anche François Mitterrand, a Vienna, Berlino, al Petruzzelli di Bari, al Duse di Bologna. Alla fine ho detto: "Adesso basta! Non lavoro più"».
È il ricordo più bello della sua carriera?
«È quello che mi ha dato più soddisfazione perché sono riuscita a fare una cosa che era più grande di me. Alla fine c'era una scena drammatica molto impegnativa: mi staccavo il vestito di dosso, rimanevo con un camicione nero, sciupata, imbruttita, piangevo come una matta. Era lunga, durava qualche minuto. Facevo fatica a dormire, tanto ero stravolta da questa scena. Non ero portata a questo tipo di recitazione, però ci sono riuscita. Strehler mi ha detto che sono stata brava. Ha mandato a tutti un biglietto prima di andare in scena a Parigi per incoraggiarci. A me ha scritto: "Non avere troppa paura, vedrai che andrà bene, sei molto più brava di quello che pensi"».
Cosa ha fatto dopo?
«Ho fatto la moglie! Poi mi sono separata e ho divorziato. Non avevo più voglia di recitare, anche perché mi avrebbero chiamato per fare la zia o la mamma».
Quindi non le manca lo spettacolo?
«Assolutamente no. Mi chiamano ogni tanto per fare l'ospite in qualche programma televisivo, ma rispondo sempre di no perché l'idea passare la giornata in camerino, fare le prove, il trucco, ohh, per carità! Mi annoio, anzi mi stanco».
· Anna Tatangelo.
Anna Tatangelo, l’addio a Gigi D’Alessio e la storia con Livio Cori: “Mi sono dovuta ricostruire”. Alice Coppa il 09/09/2021 su Notizie.it. Anna Tatangelo ha confessato per la prima volta i suoi sentimenti in merito alla rottura da Gigi D'Alessio e alla sua nuova liaison con Livio Cori. Dopo ben 14 anni d’amore Anna Tatangelo ha detto addio a Gigi D’Alessio, padre di suo figlio Andrea. I due avevano già vissuto un periodo di crisi nel 2018 e, a sorpresa, avevano provato di nuovo a stare insieme. La liaison si era conclusa in un nulla di fatto e oggi, a un anno di distanza, D’Alessio aspetta un figlio dalla sua nuova compagna, Denise Esposito, mentre Anna Tatangelo sembra aver ritrovato la serenità tra le braccia di Livio Cori. “È ovvio che non solo ho dovuto affrontare una separazione e un trasloco, ma mi sono dovuta ricostruire. Per fortuna quando riesci a stare bene con te stessa, poi puoi affrontare il mondo. Fino a poco fa mi mancava un po’ di serenità, ho dovuto sempre sudare più degli altri per dimostrare il mio valore artistico perché il privato veniva messo sempre in primo piano. Oggi la situazione è diversa ma quindici anni fa era tosta, venivo sempre giudicata”, ha dichiarato la cantante che da anni conviveva con Gigi D’Alessio nella villa di “Amorilandia” all’Olgiata. Mentre Gigi D’Alessio veniva paparazzato in yacht con la sua nuova giovanissima fiamma (incinta del suo quinto figlio) Anna Tatangelo è stata avvistata mentre si scambiava dei baci bollenti con il rapper Livio Cori. A proposito della sua nuova relazione sentimentale la cantante ha detto: “Adesso sto bene. […] L’amore è il motore di tutto, nel bene e nel male. Oggi come oggi, prima di buttarmi a capofitto in un rapporto ci penserei mille volte o comunque lo farei in modo diverso. Bisogna crederci, ma bisogna anche mettere al centro se stessi, senza annullarsi. Altrimenti se poi, per caso, ti ritrovi da sola non sai che pesci prendere”. Oggi la cantante vive a Roma insieme a suo figlio Andrea e sembra intenzionata ad andare avanti per la propria strada. La relazione con Livio Cori durerà? In tanti sperano di sì e per il momento sulla questione lei preferisce mantenere il massimo riserbo.
Maria Volpe per il Corriere della Sera l'11 settembre 2021. Anna Tatangelo ha 34 anni e molte vite. Ha bruciato le tappe cominciando a cantare a 15 anni e ora si trova a un nuovo debutto: conduttrice di un programma, da sola, su Canale 5, dal 19 settembre, la domenica alle 15.30. Si sta reinventando una vita, buttandosi alle spalle il passato, soprattutto quello sentimentale. Oramai, da tempo, lei e Gigi D’Alessio non sono più una coppia ed entrambi si sono rifatti una vita con nuovi partner. E adesso Tatangelo si trova ad affrontare un programma storico, «Scene da un matrimonio» (condotto da Davide Mengacci negli anni ’90), ma totalmente rivisitato.
Anna, la vedremo domenica. Si è chiusa l’epoca di Barbara D’Urso e si apre quella di Tatangelo-Toffanin.
«Nessuno prende il posto di nessuno. Il programma è totalmente nuovo e diverso. Barbara D’Urso è una grande professionista in onda da anni. Io sono una principiante».
Sta di fatto che ora ci siete Silvia Toffanin e lei la domenica pomeriggio di Canale 5.
«Sì certo, ma io faccio una cosa totalmente differente. Barbara ed io veniamo da due mondi diversi. I confronti non hanno senso. Credo sia corretto, prima di dare un giudizio, vedere il programma. Lo so bene io che vengo da pregiudizi musicali e ho sempre detto: “prima di criticare, i dischi vanno ascoltati”».
Come si è preparata a condurre “Scene da un matrimonio?”
«Sono entrata in questo mondo in punta di piedi. A differenza di quanto si possa immaginare, ho fatto un passo indietro e racconto le storie degli sposi. Anche il mio abbigliamento non è da prima donna, ma molto semplice: jeans e maglietta. La protagonista è la sposa».
Lei dunque viene invitata alle nozze di persone comuni e racconta il matrimonio.
«Sì, è come se fossi una invitata. Ma la sera prima delle nozze, vado a raccogliere le emozioni, i sentimenti, le tensioni, i pensieri degli sposi, come fossi un’amica. E anche se ascolto parole di persone che conosco poco, mi toccano il cuore. Mi commuovo anche a vedere un genitore che accompagna il figlio all’altare. Si pensa sempre al padre della sposa, ma anche la madre dello sposo è importante. Io che ho un figlio maschio, ci penso…».
Perché Mediaset ha scelto lei per un programma di questo tipo?
«Perché il mio rapporto con il pubblico è lungo, la gente mi conosce da quando ho 15 anni, per strada mi chiedono come sto, e come sta mio figlio Andrea (11 anni, ndr). Penso di essere vissuta come un’amica. La mia musica può piacere o no, ma sentono che sono una persona vera».
Un’Anna diversa, senza trucco, paillettes e lustrini.
«Certo in questo programma non sarò né truccata, né vestita grintosa. Mi vedranno molto semplice. Il pubblico scoprirà una Anna nuova; anche in All together now mi hanno vista in modo diverso. E pure questa esperienza differente mi affascina tanto».
Lei non si è mai sposata con il suo ex compagno Gigi D’Alessio. Le è dispiaciuto?
«Sì ho sofferto a non essere sposata con Gigi, ce lo chiedeva anche nostro figlio. Poi capisci che c’è un legame che va oltre, ma certo da piccola ho sognato l’abito bianco. Ora non lo sogno più, ma non lo escludo, è un sacramento in cui credo. Al di là delle storie vissute, la vita va avanti, ho 34 anni e posso tranquillamente pensare al matrimonio per il futuro. È stata dura la separazione, ma mi posso rinnamorare e perché no, convolare a nozze».
È talmente giovane che può fare tutte le scelte che vuole.
«È vero, io poi ho fatto tutte le cose al contrario. Ho già un figlio di 11 anni. E dopo un figlio, il matrimonio è la cosa più importante».
Di questi tempi in cui si preferisce convivere che effetto le hanno fatto questi matrimoni?
«In una società di estremo consumismo, mi ha fatto effetto vedere giovani coppie che desideravano creare un legame definitivo»
Quando si è emozionata di più?
«Una nonna ha regalato alla nipote l’abito da sposa. Ma il giorno del matrimonio la nonna era costretta a letto, malata; e la sposa ha percorso molti chilometri solo per andare a farsi vedere vestita da sposa dalla nonna, prima dell’inizio del rito matrimoniale».
Qual è secondo lei il fondamento di un matrimonio?
«Il rispetto. Se non c’è rispetto in una coppia non si può andare avanti. E non è scontato».
Ha paura di questa sfida?
«C’è tanta aspettativa e io sento la responsabilità di questo debutto. Da parte mia però c’è la serenità di aver creato un prodotto pulito».
Suo figlio Andrea cosa ha detto?
«È felicissimo quando vede la mamma che si emoziona, per lui è motivo di orgoglio. Ho un bellissimo rapporto con Andrea: parliamo tanto e ci facciamo forza a vicenda».
È solo una parentesi, poi tornerà alla musica, o è l’inizio di una nuova carriera?
«La musica è la mia priorità, ma ho imparato a godermi il momento, a vivere quello che c’è e quello che verrà. Certo è però, che sto già pensando all’anno prossimo: nel 2022 festeggio vent’anni dal mio primo Festival di Sanremo (aveva 15 anni, ndr) ed è un evento che va celebrato».
Da "Belve" l'8 giugno 2021. Protagoniste della nuova puntata di Belve - condotto da Francesca Fagnani, in onda venerdì 11 giugno, alle 22.55 su Rai2 - sono la cantante Anna Tatangelo e il direttore Marco Travaglio. La crisi di coppia. Un percorso di psicoterapia. Il nuovo amore appena entrato nella sua vita. A 34 anni d’età Anna Tatangelo svela a Francesca Fagnani le difficoltà che ha incontrato durante la sua storia con Gigi D’Alessio, quello che avrebbe voluto dire e non ha detto all’inizio della loro storia, i colpi bassi ricevuti a causa della loro lunga storia sentimentale. Come quando la conduttrice le chiede: cosa l’ha avvantaggiata e cosa l’ha svantaggiata nell’essere stata per anni la compagna di Gigi D’Alessio?, domanda Fagnani. “Avvantaggiata personalmente, soltanto l’essere affiancata da una persona che ha 20 anni più di me di esperienza artistica. La parte che mi ha svantaggiata: la sua musica è stato un pretesto per attaccarmi. Mi dicevano: “Però ‘sti pezzi sono troppo dalessiani”. Ma si può dire che nel suo esordio è stata in qualche modo avvantaggiata? “No, avvantaggiata no. Ricordo benissimo quel periodo: si parlava esclusivamente della mia vita privata per infangare le persone. Per tanti anni sono stata zitta perché volevo rispettare il mio compagno e i suoi figli. Però, magari, se potessi tornare indietro, forse qualcosina la direi. E che cosa le è rimasto in gola? “Sono cose che non si possono dire, rischierei di fare piccoli danni. Però la cosa bella è che chi doveva sapere ha saputo…”.
Chi ce l’ha messa di più tra i due per cercare di salvare questo rapporto?
“Io, sicuramente. Ma lui lo sa, è cosciente”. C’è qualcosa che le manca particolarmente della vostra vita insieme? “Al momento no, nulla. Sto bene così”.
Molto divertente, seppur intimo, è invece il dialogo tra Fagnani e Tatangelo sulla nuova vita sentimentale della cantante. È innamorata adesso?, chiede la conduttrice.
“Innamorata è un parolone, però sto bene”, risponde Tatangelo.
Ma trattasi di Livio Cori?
“Non mi va di fare nomi o cose, sto bene. Me la voglio vivere con calma questa cosa che sto vivendo”.
Vabbè. Io l’avviso, dal punto di vista comunicativo che se fa così è confermato.
“No, io ho detto non smentisco e non confermo”. Come fanno i prigionieri politici… E mentre ride di gusto insieme a Fagnani, Tatangelo risponde divertita: “Chiamo il mio avvocato!”.
Indomabili, ambiziose, sempre all’attacco e mai gregarie alle 22.55 le protagoniste di Belve si prendono il venerdì sera di Raidue, con un ciclo di dieci puntate. Il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani con domande dirette e mai cerimoniose puntano a far emergere forza e fragilità delle protagoniste, parte quindi con due donne dello spettacolo. Feroci e fragili, al tempo stesso.
Da liberoquotidiano.it l'1 marzo 2021. Una assoluta meraviglia, in bianco e nero. Una foto di Anna Tatangelo che lascia i fan a bocca aperta. Bellissima, elegantissima, provocante. La cantante di Sora si concede all'obiettivo senza troppe inibizioni, fasciata in un abito da sera nero dalle trasparenze pericolose e che fanno sognare. Anche perché la Tatangelo, nello scatto, non sembra indossare l'intimo. Fotografia allusiva, insomma. Delicata. Ma soprattutto tremendamente sexy (e con una mano piazzata in modo "strategico" per evitare qualunque tipo di... eccesso). Ma la fotografia postata dalla cantante ed ex di Gigi D'Alessio, in verità, è un infallibile escamotage per attirare l'attenzione, insomma per far cadere gli occhi sul lungo sfogo che scrive a corredo delle immagini. Uno sfogo relativo al fatto che "per 19 anni mi sono sempre sentita chiamare così, sempre". E come? "La Tatangelo", presto detto. E Anna, ora, è un po' stanca. E lo spiega in modo approfondito, chiaro e tondo, con le parole che vi riportiamo qui sotto: Per 19 anni mi sono sempre sentita chiamare cosi, sempre. Le canzoni de LA TATANGELO, il trucco o i capelli de LA TATANGELO, il modo di vestire de LA TATANGELO e la sua vita privata. Non e solo un nomignolo, nel bene o nel male sono io, la me orgogliosa di tutte le barriere che negli anni ho superato. Ma diciamocelo, almeno qui tra noi, un po’ stanca a volte voler far capire a tante persone che “salire su un palco” o “giocare con l’immagine”, ed essere la ragazza reale di tutti i giorni, siano “due cose distinte e separate”. La prima e l’artista che interpreta mondi, personaggi, si diverte a sperimentare, insomma LA famosa TATANGELO...ma ragazzi la seconda sono io, ANNA. Spesso ho dovuto dimostrare il mio mondo musicale più di qualsiasi artista in Italia , proprio perchè negli anni c’è sempre stato qualcuno che aveva qualcosa da dire su di me, ma su ANNA o su LA TATANGELO? Perchè poi il confine, anche se netto, può diventare labile in questo nostro pazzo mondo artistico....
· Anna Mazzamauro.
Anna Mazzamauro e le sconvolgenti parole di Paolo Villaggio: "Ti scelgo come sceglierei un cesso", ciò che non aveva mai detto. Bruna Magi su Libero Quotidiano il 14 agosto 2021. Non ditele che ha fatto della bruttezza la chiave del suo successo. Afferma di aver cavalcato l'atipicità. E infatti atipica lo è indubbiamente, Anna Mazzamauro, in questa nostra epoca che inneggia all'immagine patinata (e ritoccata al photoshop anche sui social) quale comunicazione primaria. La incontriamo una sera d'estate, alla prima nazionale del suo monologo, del quale è anche autrice, Com' è ancora umano lei, caro Fantozzi, nel teatro più suggestivo d'Italia, quello di piazza Sant' Agostino, a Borgio Verezzi, che dall'alto della collina domina le milleluci della costa. Il prossimo autunno aprirà la stagione all'Ecoteatro di Milano. Ed è in ansia per il debutto, un test molto importante. Perchè un attore deve sempre provarla, quell'emozione, con umiltà, anche se hai fatto rivivere la Magnani (hanno in comune il nome, il monologo era Magnani Anna, detta Nannarella) e sei stata l'unica a fornire il tuo naso a Cyrano de Bergerac. E afferma categorica: «Onde essere certi di non dare in pasto al pubblico una cagata pazzesca, come direbbe il ragionier Fantozzi». Vi assicuriamo che lo spettacolo non è tale, anzi, non ha una sbavatura, Anna diventa una signorina Silvani che fa rivivere l'uomo e il personaggio, Villaggio e Fantozzi, in una simbiosi irresistibile. E gli episodi più significativi del loro sodalizio vengono rivissuti in scena.
Quarantacinque anni fa, Villaggio la indicò al regista Luciano Salce come la perfetta identificazione della bruttezza. E il truccatore aggiunse di non aver bisogno di intervenire. Questo non le ha mai dato fastidio?
«Mi ha assicurato un grande successo. E mi ha fornito un ideale trampolino di lancio per portare in scena pregi e difetti, anche attraverso le nefandezze della Silvani. Ma rifiuto la definizione di brutta. È riduttivo, volgare, cretino. Come abbiamo già rilevato all'inizio della conversazione, sono atipica».
Ma com' era davvero la Silvani, la donna che aveva fatto innamorare pazzamente Fantozzi?
«Un'autentica str**za. Per la quale non si poteva neppure applicare la giustificazione un tempo usata per le racchie, vale a dire "è bella dentro". E come ogni str**zo non si rendeva neppure contro di esserlo. È quella che sputazza nella scatoletta del rimmel, un gesto che avevo inventato io, sul set, non c'era nel copione».
E Villaggio? Nella vita reale era antipatico come alcuni sostengono?
«Ammorbidisco la teoria. Diciamo che era uno snob. Ma appena un filo. Quando gli chiesi perché dopo tanti anni di lavoro condiviso non ci frequentavamo come amici, lui mi rispose: "Perché io frequento solo persone ricche e famose". Ci trovammo insieme in tv, intervistati da Barbara D'urso, e lei gli chiese come mi aveva scelta. Lui rispose: "Come avrai scelto un cesso". Io ribattei dicendo che gli aveva fatto comodo usarlo, quel cesso. Ciò non intacca quello che Villaggio aveva dentro. Un grande cervello e una vastissima cultura. Nel corso dello spettacolo leggo i suoi racconti».
Gli piacevano le donne. E lui piaceva alle donne anche se non era un bell'uomo?
«Nel mondo del cinema le ragazze, e anche le loro madri, trovano affascinante chiunque sia disponibile a dar loro una spintarella. Succede ancora oggi, anche se non lo dicono per via dell'emancipazione, in base alla quale non si dovrebbe ricorrere a certi vecchi trucchetti. Ma si fa sempre».
E lei quanto ha sedotto, nonostante l'atipicità?
«Diciamo che ho dovuto impiegare anche il cervello, magari leggendo qualche libro più delle altre. Ho amato come tutte. Ho divorziato da un marito e poi ho incontrato il grande amore che purtroppo oggi non c'è più. Ho un rapporto meraviglioso con mia figlia, una manager molto in gamba sempre in giro per il mondo, insieme abbiamo festeggiato il mio onomastico, e sono felice di poter dedicare tutta me stessa al teatro. Non sento gli anni, provo entusiasmi intatti. Mi dà fastidio l'idea della morte, questo sì, eccome, ma come si permette quella di darci della scadenze? Io sto così bene qui, nel mio mondo, perché me ne dovrei andare? A volte penso che vorrei fare come Villaggio, che nel finale del mio monologo ritrova Fantozzi in una casetta bianca dove è andato ad abitare. Ecco, io vorrei ritrovare la signorina Silvani. Materializzata davanti a me. Perché mi ha seguito come un'ombra per tutta la vita, mi ha regalato la libertà di dire qualsiasi cosa, di diventare un'icona. Lei, sempre al mio fianco come un'ombra, ha fatto saltare i confini tra bellezza e bruttezza. Luoghi comuni».
Anna Mazzamauro: Mi conquisti, mi seduchi. Federico Rocca il 16/4/2021 su Vanityfair.it. Questo articolo, in versione ridotta, è pubblicato sul numero 16 di Vanity Fair in edicola fino al 20 aprile 2021.
«Sono carica!».
Niente «Pronto, chi parla?», per Anna Mazzamauro. Risponde così, tra l’esplosivo e il minaccioso, alla mia telefonata delle sette di sera. La rincorro da mezzogiorno. Ma le si è rotto il cellulare, è uscita di casa per comprarne uno nuovo. È rientrata, e l’ha dovuto mettere in carica. Appunto.
Grazie per la sua disponibilità.
«Ma scherza! Sono io che ringrazio lei, è un piacere per me.
Faccio il mio lavoro, lei fa il suo e questo è un incontro positivo che ci regala felicità. Arrivederci, stia bene!».
Non resiste, da mattatrice di razza qual è, alla tentazione di fare spettacolo. L’astinenza forzata dal palcoscenico si fa sentire, nonostante la prossima pièce sia già pronta per andare in scena in estate. Un omaggio al personaggio che l’ha – ahilei – consacrata leggenda: la mitica signorina Silvani della saga cinematografica Fantozzi. Con la quale, per la prima volta dopo l’ultimo ciak, torna a confrontarsi.
Di nuovo in scena dopo questo stop. Con quale animo?
«Mi commuoverò molto, a nome di tutto il teatro italiano. Perché non ricomincerò solo io; ci sarà un bel codazzo di colleghi che verrà dopo di me. Sempre dopo, eh! Scherzo… Fino a un certo punto».
Come nasce questo spettacolo?
«Io sto tanto bene da sola sul palco, non sa quanto! E siccome trovo immorali quegli attori che leggono un testo, prendono i soldi e se ne vanno, mi sono inventata questa lettura spettacolo… un letturacolo. Quello che ha scritto Paolo Villaggio, lo leggo; quello che ho scritto io, lo recito».
Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi è il titolo. Al presente.
«Fantozzi è per sempre, sì. Come le grandi maschere».
Perché, proprio oggi, ha voglia di far rivivere la Silvani?
«Perché ho fatto Cyrano de Bergerac, uno spettacolo sulla Magnani, La locandiera… Ho fatto tutto. Era arrivato il momento di consumare questa specie di vendetta nei suoi confronti, mia croce e delizia».
Partiamo dalla delizia.
«Chissà quante colleghe avrebbero pagato per interpretarla».
E croce?
«Lei ha approfittato di me, per tanti anni. Me lo permetta: la signorina Silvani è una stronza».
Perché l’ha ingabbiata in un ruolo?
«Se mi fossi fatta ingabbiare in quel ruolo, la stronza sarei io. È stronza come tipo di donna».
Stronza, ma simpatica.
«Ce ne sono tante di stronze simpatiche. Non mi faccia fare nomi! La sua stronzaggine, però, è impastata con la sua solitudine».
È stronza perché sola, o sola perché stronza?
«Lei sembra un po’ Marzullo, sa? In genere sono le donne intelligenti a essere sole, perché inavvicinabili. Quando un uomo frequenta una stronza, invece, se è intelligentino, non ce la fa a sostenerne la stronzaggine e l’abbandona».
Come è diventata la Silvani?
«Avevo già lavorato con Luciano Salce, il regista. Quando lui e Villaggio cercavano i cessi da mettere attorno a Fantozzi, si ricordò di me, ma per il ruolo della moglie Pina. Al provino andai con capelli da leonessa, un abito rosso attillatissimo, calze a rete. Mi disse: “Perdonami, ma ti ricordavo più brutta”. Paolo gli sussurrò all’orecchio: “È brutta anche lei, ha un sacco di difetti, però li porta sui tacchi. Uno come Fantozzi non può che sognare una così”».
La Silvani ha una sua carica di sensualità.
«Paolo Villaggio voleva sempre che gli cantassi delle canzoni, in particolare Bocca di rosa. Un giorno ho preso il suo spirito e l’ho messo addosso a quello della Silvani, regalandole lo stesso senso di conquista grottesca. Preferiva apparire come una puttana, piuttosto che sola».
Forse, però, alla Silvani deve anche qualcosa.
«Con questo spettacolo ne riconosco l’importanza. E soprattutto la riconosco a Paolo».
Com’era Villaggio?
«Molto chiuso. Ricordo un set, a Courmayeur. Eravamo soli, nella neve. Era bianco come può esserlo il MonteBianco. Io vestita da Heidi e lui coi calzoni ascellari. Un silenzio agghiacciante. All’improvviso mi dice: “Anna, sai chi mi ha cercato? Strehler! Vuole che interpreti Il buon soldato Sc’vèik”. “Che bella intuizione, sei contento?”, dissi io. “Sì, molto, devo andare a parlare con lui”. Punto. Non mi ha più detto nulla e non è più successo niente. Trattava i rapporti di lavoro come il cibo: si faceva portare cartoni strapieni di pizze, ma ne sbocconcellava soltanto un po’».
Faceva lo stesso con le persone?
«Non so, non eravamo amici. Eravamo compagni di strada nel cinema, rispettosissimi l’uno dell’altra».
Le dispiace non essere stata sua amica?
«Non amo essere amica degli attori. Perché gli attori hanno un rapporto vero solo quando stanno in scena».
La Silvani non è bella, ma incarna il desiderio. Un’antesignana della bellezza inclusiva di cui oggi parliamo?
«Ogni tanto, per cinque minuti, anche a me piacerebbe essere una stanga di uno e ottanta, avere le gambe attaccate ai lobi delle orecchie, il culo alto e le tette al vento. Mi piacerebbe andare a un provino e dire: “Son qui, cosa devo fare?”. “Niente, signorina, per carità! Ecco il contratto”. Dove sta questa nuova bellezza? Ne vede altre di atipiche, oltre me?».
Ha sofferto per la sua «atipicità»?
«All’inizio sì. Non dolore, ma un grande fastidio lo provocava. Ho imparato a svicolare, a essere autoironica, a denigrare me stessa prima che lo facessero gli altri».
Che cosa ha in comune con la Silvani?
«Il fisico. Quando guardo lei, vedo me allo specchio».
E che cosa vi differenzia?
«Speravo mi dicesse lei che la Silvani è stronza, mentre io sono intelligente…».
Gli stronzi spesso sono molto intelligenti.
«Diciamo che è una stupida, allora. Una che si è fatta eleggere “Miss quarto piano” dopo aver tentato inutilmente di farsi tutti quelli del primo, del secondo e del terzo».
Gli uomini la usavano, in qualche modo?
«Non se la cagavano proprio. Solo Fantozzi l’amava. E lei, come fanno spesso le donne non troppo intelligenti, lo prendeva in giro. Ma se ne pentirà amaramente».
Cosa direbbe, oggi, la Silvani a Fantozzi?
«Torna, ’sta casa aspetta a te!».
Quindi, con il tempo ha imparato a credere a quell’amore?
«La solitudine a volte ti fa pensare cose che non avresti mai il coraggio di dire. Ma io, sul palco, gliele metto in bocca. Perché, sì, il personaggio mi piace».
E sola, lei, non si è mai sentita?
«La solitudine grande mi prende solo in mezzo ai cretini».
Le capita spesso?
«Quando lavoro per il cinema sì. Paolo mi ha viziata con la sua intelligenza, la sua raffinatezza e la sua cultura. Dopo di lui mi è capitato di fare certe cagate… A teatro sono una primadonna, al cinema un’anziana caratterista alla quale mettere in testa la parrucca bianca e far dire quattro “vaffanculo”. Basta che la gente rida, dicono…».
· Anthony Hopkins.
Paola Zanuttini per "il Venerdì - la Repubblica" il 26 aprile 2021. Allegria: The Father. Nulla è come sembra è il miglior film sulle devastazioni della vecchiaia dai tempi (2012) dello spietatissimo Amour, di Michael Haneke. Lo ha decretato The Hollywood Reporter. Adattamento della fortunata pièce del drammaturgo francese Florian Zeller che, per l'occasione, ha debuttato dietro la cinepresa, The Father racconta una storia di ordinaria demenza senile: un padre, Anthony Hopkins, perde il contatto con la realtà e una figlia amorosa, Olivia Colman, fatica ad accudirlo nei suoi scatti incontrollabili di rabbia e ribellione. Che è un film profondamente riuscito lo si capisce dall' empatia che suscita con il protagonista. Un' empatia così intima che rende complicato delineare la trama perché - come dice il titolo italiano - ai suoi occhi, ma anche ai nostri, nulla è come sembra. Di chi è la casa che fa da sfondo alla vicenda? Sembra l'abitazione di un pensionato benestante con i segni rassicuranti dei decenni trascorsi lì dentro, ma forse è l'appartamento della figlia che deve ospitarlo perché lui non è più in grado di badare a se stesso. E la figlia è divorziata o no? Eppoi sta davvero lasciando Londra per Parigi dove raggiungerà un nuovo amore? Condividere per 97 minuti lo straniamento, la confusione mentale, la disperazione di questo vecchio signore svanito non è proprio indolore, ma è il cinema, bellezza. Un mood decisamente indeterminato, dovuto al Covid, accompagna anche l'uscita del film, presentato con gran successo nel gennaio 2020 al Sundance e atteso nelle sale italiane il prossimo settembre. Intanto The Father ha appena vinto due Bafta, per il miglior adattamento e per il miglior attore protagonista ed è stato candidato a sei Oscar. Anthony Hopkins ha 83 anni, ma dice che tuffarsi nella demenza senile non lo ha turbato affatto. «Era un'ottima sceneggiatura, scritta molto bene, basata su un'ottima pièce che io, peraltro, non ho visto a teatro. Quando il copione è buono non fai fatica, segui la road map, fila tutto liscio. Faccio questo lavoro da così tanto tempo e da molto, ormai, cerco di semplificare. La cosa che aiuta di più è la preparazione, imparare bene la parte, ripetere, ripetere all' infinito in modo di cominciare a pensare come il personaggio. E per me non è certo un problema visto che ho una memoria ancora efficientissima. Questa corvée non è stressante, anzi, è molto piacevole, è una sfida. Ancora più godibile se mi capita di lavorare con bravi attori».
Non ha pensato neanche una volta che quello che succede al suo personaggio potrebbe, con i dovuti scongiuri, capitare anche a lei?
«È solo recitazione. La gente non mi crede, ma è molto facile mantenere le distanze. Sai cosa devi fare, cosa ti è richiesto, il regista dice azione! e tu fai. Non c' è ansia, non credo sia necessario torturarsi. Alcuni attori entrano in uno stato di tormento e dolore: buon per loro, ma non per me. Io voglio funzionare come attore, consegnare un'interpretazione che racconti al pubblico una storia in modo chiaro e accurato. Lo spettatore non ha bisogno di vedere la mia agonia e tutta quella roba lì. Quando ero più giovane la mostravo, ma non ci credo più, non serve per una buona interpretazione. Fare ogni volta King Lear in queste condizioni sarebbe un massacro».
Agli antipodi dell'Actors Studio, quindi.
«Per carità, niente da ridire, ho visitato l'Actors Studio, studiato la tecnica Stanislavskij, che è buona, non ha niente di sbagliato, ma alla fine bisogna concludere, mentre col Metodo si finisce che la gente parla troppo: bla bla bla. A un certo punto bisogna alzarsi e darsi da fare. E io a un certo punto l'ho detto: basta chiacchiere. Se sbagli, pazienza, chi se ne importa, rilassati. Non ha senso voler sembrare reali. Hai una storia: raccontala sulla scena o alla cinepresa e falla finita. Ero un grande fan dei grandi attori del cinema americano come Humphrey Bogart, Spencer Tracy, Bette Davis: la loro interpretazione era così facile, non avevano bisogno di mangiarsi il cuore. Recitavano e basta».
In realtà, seguire l'esempio dei divi dell'epoca d' oro di Hollywood è stato un suggerimento di Katharine Hepburn. Nel lontano 1968, sul set di Il leone d' inverno, lui era un giovane attore di teatro gallese figlio della working class, con grandi ansie di rivalsa (soprattutto per gli insuccessi scolastici) e invidiosissimo del conterraneo Richard Burton; lei, per età e carisma, era ormai una divinità. E, con la spiccia autorevolezza di una dea che rivolge la parola agli umani, gli diede un consiglio non richiesto, ma molto apprezzato: smetterla di recitare troppo e limitarsi a pronunciare le battute, fidandosi del suo istinto, proprio come Tracy o Bogart. Hepburn vanta un altro credito nei confronti di Hopkins, che ammette di aver riprodotto il gorgheggio affilato della diva nel modo di parlare dell'Hannibal Lecter di Il silenzio degli innocenti, per il quale ha vinto l'Oscar. Lecter, il suo ruolo più famoso, lo ha interpretato non una, ma tre volte, e qualche altra parte da disturbato mentale c' è stata. Va anche detto che durante il lockdown ha postato una serie di video in cui al protrarsi dall'isolamento corrispondeva un peggioramento della sua condizione psichica: in uno parlava in tono allucinato con un cane di ceramica.
Questo vuol dire che la follia l'affascina? O la spaventa?
«È stato solo uno scherzo per farsi una risata in una situazione deprimentissima. La pazzia non mi affascina per niente, è un evento, spiacevole, della vita e io ho fatto il matto soltanto per divertire: sa, ho una certa dose di humour e mi piacciono i film comici perché là dentro sembrano tutti matti. La comicità è una meravigliosa via di fuga, far ridere è una forma di follia, ma è anche uno dei doni più grandi che si possano fare al mondo. Ammiro gli stand up comedians, fanno intrattenimento, anche molto divertente, ma non hanno niente a che vedere con la mia personalità».
Non ha sfiorato la follia nemmeno quando beveva di brutto?
«Ma era quasi mezzo secolo fa! Bere troppo fa male, ma non credo abbia nuociuto alla mia salute mentale: ho sempre mantenuto il controllo. Ogni forma di dipendenza alla fine è noiosa e infatti non mi va di parlarne, non importa a nessuno. Ripeto: non sono pazzo e sono molto felice, grazie a uno spiccato senso dell'umorismo, anche durante il lockdown. Aggiungerei che all' attuale benessere contribuiscono il suonare il pianoforte e la pittura, che esercito con una certa aggressività».
Il primo piano, verticale, glielo procurò la madre, più incline del padre a favorire le arti. Il piccolo Anthony voleva anche diventare disegnatore, ma qualcuno lo scoraggiò. Molti anni dopo gli ha ridato coraggio la terza moglie Stella Arroyave che, vedendo i suoi scarabocchi sui bordi dei copioni che leggeva, ha diagnosticato l'inespressa vena pittorica del marito, consigliandogli di mettersi a dipingere.
The Father sembra trasformare un evento triste e abbastanza comune in una specie di thriller: con la mente e i ricordi che si sfilacciano, il suo personaggio comincia a sospettare che gli affetti più cari cospirino contro di lui. Una situazione alla Rosemary' s Baby?
«Non ci vedo nessuna suspense. C' è solo un uomo che soffre di demenza senile e ha una grande confusione in testa. È un film sulla condizione spaventosa di chi perde il contatto con la realtà, gli ancoraggi della memoria, la connessione con il presente. Questo è spaventoso, ma non è un thriller, è solo un problema serio di quando si invecchia. Spero che per il pubblico sia un'introspezione su cosa può accadere. Attraversiamo il nostro tempo convinti di essere immuni alla vita e alla morte e che non ci accada niente di male, ma invece queste cose possono capitare in ogni momento. È il dilemma dell'esistenza: dobbiamo cercare di vivere nel migliore dei modi sapendo che siamo mortali e che alla fine non resta niente di noi. Un giorno ce ne andremo non sappiamo dove e non torneremo indietro. Eccolo qui il senso della vita. Piuttosto tragico, no? Meglio farsi una risata».
Il suo personaggio dice alla giovane badante che si presenta per un eventuale assunzione che da giovane faceva il ballerino di tip tap invece che l'ingegnere, lavoro che in effetti ha svolto per tutta la vita. È un lapsus o una bugia?
«A un certo punto ne sa abbastanza dei piani della figlia: farlo accudire dalla giovane badante mentre lei se ne va a Parigi. Flirta, cerca di affascinarla, ma sa esattamente cosa sta succedendo: le dice che era un ballerino per farle sapere che è più affascinante di come sembra e per ammonirla a non ingannarlo. Lui non vuol essere governato da nessuno, ecco perché è così crudele con la figlia. Non è una carogna, è solo umano. Anche mio padre quando era malato e stava per morire non voleva gente intorno che gli dicesse cosa fare. Era duro, certo, ma non poteva che essere così» Forse anche lui, come padre non è stato tanto tenero. Con la sua unica figlia Abigail non si vede dal secolo scorso - «le persone rompono i rapporti. Le famiglie si dividono e si va avanti con la propria vita», ha spiegato in un'intervista di molti anni fa. «È qualcosa di gelido. Perché la vita è gelida».
Simona Marchetti per "corriere.it" il 3 marzo 2021. Per anni Sir Anthony Hopkins ha annegato nell’alcol il senso di colpa che provava per la fortuna che aveva avuto come attore e per il fatto di non sentirsi degno della fama che gli era piovuta addosso. Poi si è reso conto che tutto quel bere lo stava uccidendo e che stava facendo del male anche alle persone che gli erano vicine, così 45 anni fa ha detto basta e da allora è riuscito a rimanere sobrio. «L’alcol ha un effetto istantaneo ed è per questo che ne facciamo uso – ha raccontato l’83enne attore, che ha ricevuto una nomination ai Golden Globes per il suo ruolo in “The Father”, in una lunga intervista al Sunday Times - . Nel mio caso, avevo questi singolari conflitti, non ero a mio agio nella mia pelle, mi sentivo profondamente in colpa e indegno della fortuna che avevo avuto come attore e mi vergognavo. È letale stare con gli ubriachi, ma l’irrequietezza e la rabbia hanno agito come una forza trainante nella mia vita, anche se non vorrei rivivere mai più quegli anni per via di tutte le persone che ho ferito». La svolta è arrivata nel 1975, quando Hopkins ha detto addio per sempre alla bottiglia. «Stavo bevendo fino a morire – ha continuato il premio Oscar – ma quando ho chiesto aiuto e ho capito che non ero da solo e che c’erano migliaia di persone nella mia condizione, tutte le mie paure hanno cominciato a dissolversi. Ho chiuso con l’alcol per sempre e non ho più avuto voglia di bere di nuovo». Ovviamente la situazione contingente in atto (leggi, pandemia di Covid-19 e conseguenti lockdown) non sta facilitando la vita di coloro che lottano contro la dipendenza dall’alcol. «In questo periodo la pressione è oltre l’immaginabile – ha concluso Hopkins – quindi è normale che le persone cerchino un qualche sollievo a questa situazione, ma mi auguro che coloro che stanno facendo fatica a tenere duro riescano a chiedere aiuto.Da quando ho rinunciato (all’alcol) la mia vita è solo migliorata». Un concetto ribadito anche lo scorso dicembre, quando l’attore aveva condiviso un video su Twitter per annunciare al mondo di essere sobrio (e contento di esserlo) da ben 45 anni. «Esattamente 45 anni fa ho avuto un campanello d’allarme – aveva infatti raccontato la leggenda hollywoodiana nella clip - ero diretto verso il disastro, stavo bevendo fino a morire. Ho ricevuto un messaggio, un pensierino che diceva: “Vuoi vivere o morire?” e io ho risposto “voglio vivere” e all’improvviso è arrivato il sollievo e la mia vita è stata fantastica».
Fulvia Caprara per “la Stampa” il 24 gennaio 2021. Lo sguardo e il desiderio, l'intelletto e la ferocia, l' intreccio poliziesco e il nodo psicologico. All' epoca ci fu perfino chi ebbe da ridire e si scandalizzò, ma, alla prova degli Oscar, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, tratto dal romanzo di Thomas Harris, arrivato nelle sale 30 anni fa, riuscì ad ottenere i cinque più importanti riconoscimenti, film, regia e sceneggiatura e interpreti, Anthony Hopkins nelle vesti dello psichiatra, serial killer e antropofago, e Jodie Foster in quelli di Clarice Sterling, giovane recluta dell' Fbi incaricata di convincerlo a collaborare: «Stavo recitando a Londra, in teatro, M.Butterfly - racconta Hopkins a Variety per l' anniversario del film, uscito 14 febbraio '91 -, il mio agente mi aveva mandato il copione. Vidi il titolo e gli chiesi "cos' è? Una fiaba?"». Bastarono dieci pagine di lettura a fargli cambiare idea: «Era il ruolo migliore che avessi mai letto, il sabato successivo incontrai Demmme, gli chiesi se davvero mi voleva, non potevo credere di avere quella fortuna, anche se avevo un po' paura di lavorare con Jodie, aveva già vinto un Oscar». Della prima giornata di prove Foster ricorda l' impressione che le fecero le battute pronunciate da Hopkins: «Ho avvertito un freddo che invadeva la stanza. Dopo, era quasi come se fossimo troppo spaventati per continuare a parlare tra di noi». Quel tono veniva da una precisa impressione di Hopkins: «Ci avevo riflettuto, e ne avevo anche discusso con Demme, gli avevo detto che, secondo me, Hannibal avrebbe dovuto apparire come Hal, il computer di 2001 Odissea nello spazio, l' impressione, appena si esprime, è che da qualche parte sia appena arrivato, silenziosamente, un pescecane». Per il personaggio di Clarice, la Foster svela di aver lavorato su una sua specifica caratteristica: «Clarice era rimasta segnata dall' immagine di agnelli sanguinanti al macello e dalla propria impotenza. Era una persona inquieta, come se si vergognasse di non essere abbastanza forte e grande e come se, proprio da questa sensazione, traesse la sua reale potenza. In qualche modo è come se Clarice somigliasse alle vittime su cui sta indagando». Quella particolare alchimia diede vita al successo del Silenzio degli innocenti e al sequel del 2001, Hannibal, regia di Ridley Scott, con Hopkins libero di delinquere, dopo essere fuggito dal carcere. A Firenze conoscerà l' ispettore di Polizia Rinaldo Pazzi, interpretato da Giancarlo Giannini che, proprio quest' anno ha ricevuto la Stella sulla Walk of Fame di Los Angeles: «Fu Dino De Laurentiis - ricorda l' attore - a dirmi che Scott cercava qualcuno per quel ruolo. Andai a fare il provino, sicuro che non mi avrebbe scelto, la presi alla leggera, gli feci vedere come fumavo una sigaretta, come mi levavo la giacca, come recitavo in inglese, alla fine dissi "you are a genius, I am a genius, who cares?". Ridley mi trovò simpatico, anche dopo, sul set, in genere batteva un solo ciak, ci guardavamo e ripetevamo quella frase». Sul set Hopkins chiese a Giannini di leggergli dei versi di Dante in italiano: «Voleva capire la metrica, gli ho registrato un nastro». I metodi per calarsi nei rispettivi personaggi erano diversi, Giannini disinvolto, all' italiana, Hopkins molto compreso, all' inglese: «Provammo una scena insieme, mi disse subito che, dal mio sguardo, non traspariva nessun timore. Gli risposi, "scusa, ma se ti guardo con paura, la storia viene meno". Sul set gli feci uno scherzetto invece di spaventarmi, gli fumai in faccia». Per Giannini l' esperienza di Hannibal non era stata difficile: «Agli inizi preparavo i ruoli in modo meticoloso, poi, una volta ho chiesto a Marlon Brando "qual è il tuo segreto?". E lui "non leggere mai i copioni"».
Renato Franco per il "Corriere della Sera" il 12 novembre 2021.
Quante vipere ci sono nel mondo della tv?
«Io penso sia così in tutti gli ambienti, certo la tv è un mondo molto competitivo. Ma ho trovato un sistema: non frequento l'ambiente, così non si alimentano rivalità e pettegolezzi. Io uscivo con Fabrizio (Frizzi), vedo Carlo (Conti), sento Paolo (Bonolis). Ho degli amici, ma ho imparato che se frequenti questo ambiente finisci per vedere sempre le stesse persone e parlare solo e sempre di tv, cosa che mi annoia molto visto che ne faccio già abbastanza. Invece mi interessa parlare con persone che mi possano arricchire con altri argomenti».
Antonella Clerici è inscatolata nei nostri televisori da quasi 40 anni, è il volto per eccellenza del mezzogiorno, ma quando serve anche della prima serata. Ha collezionato tanti successi e qualche fallimento (chi nella vita non ne ha?), è stata l'ultima donna a condurre il Festival di Sanremo (era il 2010), è una che non suscita gelosie («Piaccio alle donne perché non mi vedono come una rivale, a Sanremo ho avuto donne bellissime: Rania di Giordania, Jennifer Lopez, Dita von Teese...»).
Il mondo dello spettacolo è pieno di ego, lei come riesce a non farlo diventare ipertrofico?
«Io non mi circondo di persone che mi danno ragione, ma di persone intelligenti. Non ho dei lacchè; ho autori, ho persone di mia fiducia che mi dicono sempre quello che pensano. Anzi a volte pure troppo duramente - sorride -. Non ho un grande ego, mentre vedo tanti colleghi che nei posti pubblici amano mettersi in mostra. Io al contrario vorrei sparire. Il mio ego si esprime solo sul palco, lì sento che devo tirare fuori la mia personalità. Di mio sono umile, una timidezza di fondo che mi ha sempre tenuto con i piedi per terra, una timidezza che mi viene dalla provincia (è cresciuta a Legnano, ndr ), il mio piccolo mondo antico. Il fatto è che io non mi sento mai arrivata, mi sento eternamente Cenerentola al ballo, i miei colleghi mi sembrano sempre meglio di me, sembra sempre sappiano quello che vogliono, io invece mi nutro di dubbi. Ma i dubbi mi stimolano, sento di dover imparare: leggo, studio, mi informo tanto. Non mi siedo sugli allori, mi metto sempre in discussione».
La sua carriera è fatta soprattutto di calcio e cucina, ovvero gli sport preferiti dagli italiani: è questo il segreto della sua popolarità?
«Anche della mia longevità... Il calcio è lo sport nazionale per eccellenza; il cibo non passa mai di moda, infatti si dice che finisce sempre tutto a tarallucci e vino, il leitmotiv di tutto quello che muove il nostro Paese. Unisco le passioni degli italiani e credo che la mia popolarità sia legata al fatto che sono molto in sintonia con il pubblico a cui mi rivolgo. Lavoro per Rai1, una rete popolare e generalista: quando sono indecisa tra due termini cerco di usare quello più facile; se scelgo il più difficile ricorro anche a un sinonimo, perché bisogna arrivare a tutti. È importante farsi capire. E poi spesso i messaggi più importanti passano attraverso la leggerezza, chi pontifica non va lontano».
Il programma in cui si riconosce di più?
«Ho amato tanti programmi, dal Treno dei desideri a Ti lascio una canzone che mi ha aperto le porte del Festival di Sanremo. Ma il mezzogiorno è il mio posto perché - l'ho capito da Raffaella Carrà - ti dà la possibilità di avere un contatto quotidiano con le persone, mi ricorda il mio mondo della provincia, che poi è quella in cui sono tornata a vivere oggi (ormai da tempo si è trasferita ad Arquata Scrivia, seimila abitanti in provincia di Alessandria, ndr ). La prova del cuoco prima , È sempre mezzogiorno! adesso mi hanno dato la grande notorietà: senza il mezzogiorno avrei fatto più fatica».
Qual è il peso di Sanremo?
«La pressione mediatica. Sai che tutta Italia ti sta guardano e giudicando, anche se hai un bruscolino nell'occhio. Ho fatto programmi più complicati, ma al Festival sei al centro del mondo: se ti va bene è la soddisfazione massima della tua carriera; se ti va male può affossarti».
Il suo fu un successo, eppure nessuno voleva farlo con lei...
«Perché dopo il Festival di Bonolis che aveva avuto un risultato clamoroso nessuno credeva in me. So di un cantante di cui non dirò mai il nome che disse che io sapevo troppo di sugo, non capendo che proprio quella era la mia forza...».
Bonolis fu pagato un milione, lei la metà...
«Però non era una questione uomo-donna, ma Mediaset-Rai, questa è la verità. Paolo arrivava da lì, a Mediaset hanno guadagni che noi ci scordiamo, il rapporto è 1 a 10; chi fa la tv pubblica sa che a parità di esposizione e popolarità guadagna sempre molto meno. A Mediaset Maria (De Filippi) è una donna ed è una colonna. Nella tv, non tanto a livello dirigenziale, ma di conduzione, le donne contano».
Il programma che non avrebbe dovuto accettare?
«Tanti, con il senno di poi. Sicuramente penso a Senza parole. Ecco, lì non ho dato ascolto a Marco Bassetti che mi diceva che bisognava registrarlo, invece io mi ero intestardita per la diretta, ma solo dopo ho capito che c'erano dei tempi morti infiniti. I programmi emotional vanno registrati, perché le emozioni non escono a comando, può passare del tempo e il montaggio ti aiuta a eliminare i buchi di racconto. Io sono una fanatica della diretta, ma ci sono programmi che meritano una cura particolare e vanno necessariamente registrati».
I suoi genitori cosa le hanno insegnato?
«Mi hanno insegnato che la cultura è libertà: ed è una cosa che io continuo a ripetere a mia figlia».
Chi è stato per lei Gianfranco De Laurentiis?
«Un padre. A Roma non conoscevo nessuno, lui mi ha accolto nella sua famiglia, con i figli e la moglie, come una figlia aggiunta. Mi ha insegnato tutto, era un mostro di bravura. Adesso c'è Google, noi andavamo in giro con i faldoni di appunti. Lui sapeva tutto a memoria, era di una cultura e un'intelligenza pazzesca».
Il 26 novembre torna in prima serata su Rai1 con «The Voice Senior» (prodotto da Freemantle).
«Con tre puntate in più rispetto alle otto dell'anno scorso. I punti di forza del format sono due. Le blind audition - i provini al buio in cui i coach non vengono condizionati dall'aspetto fisico del concorrente, ma soltanto dalla voce - e le storie dei protagonisti, persone che vanno dai 60 anni in su, quest' anno il più grande ha 88 anni. C'è gente gagliardissima, persone che hanno cantato tutta la vita e che per qualche motivo non sono riuscite a farlo di mestiere, sono state a un passo dalla gloria ma poi hanno smesso per problemi diversi. Ci sono artisti che diventano famosi e artisti che finiscono per cantare per gli amici... È un programma che insegna che nella seconda parte della nostra vita si fanno scelte per passione, non per la carriera, per avere un futuro. Come me adesso. A 57 anni non ho la smania che avevo a quaranta, se no avrei qualche problema di relazione con me stessa».
I coach sono Orietta Berti, Clementino, Loredana Bertè e Gigi D'Alessio.
«Orietta è in palla, è la bocca della verità, alla sua età può dire quello che pensa. Sembra dolce e carina, ma poi ti tira delle stilettate... Clementino è l'esplosività, uno showman pazzesco, sapientemente contenuto - perché il problema è contenerlo - potrebbe fare un programma da solo: canta, balla, conduce, ha la battuta prontissima. Gigi è il musicista per eccellenza e aiuta il programma perché è quello che conosce meglio il format. Loredana Bertè è sempre imprevedibile e poi è molto competitiva, litiga fino alla morte».
Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo. Quanta bellezza c'è in tv?
«Poca. Perché c'è troppa gente in tv, si danno quarti d'ora di popolarità a persone che non la meritano e si tralascia la ricerca di talenti, che pure esistono. Una volta la tv d'estate investiva su personaggi sconosciuti, io stessa sono emersa grazie a un programma estivo, all'epoca si testavano conduttori nuovi. Oggi ci sono molte più opportunità, molte più reti, ma si cerca meno l'applicazione, il talento, la cultura, la capacità di comunicare, si guarda soprattutto all'aspetto fisico, se uno è "instagrammabile" nella maniera giusta, ma non si capisce che non è affatto detto che se hai successo sui social lo puoi avere anche in televisione, soprattutto in quella generalista».
E nei social quanta bellezza c'è?
«Al di là dei cretini, che sono ovunque e che non vanno tenuti in considerazione, Twitter mi piace molto, è un medium che ti mette in comunicazione con tante persone sagaci e ironiche. Su Instagram invece è tutto più edulcorato, artefatto, deve essere tutto leccato. A me non piace, questi calcoli su cosa funziona o no, il retropensiero continuo non fa per me».
Le hanno mai chiesto di entrare in politica?
«Ai tempi di Sanremo, in quel momento di grandissima popolarità, ma non lo farei mai, a ognuno il suo mestiere. Al massimo posso esprimere un'opinione, alla mia età poi, se non dico quello che penso adesso quando lo dico... Ma la politica no, sono troppo lineare, sono l'antipolitica per eccellenza».
La cosa più trasgressiva che ha fatto?
«Devo ancora farla... In realtà sono poco trasgressiva, mai preso nemmeno una ciucca seria. Sono una persona controllata, giù la testa e pedalare, mentalità lombarda di provincia».
Con quale delle sue gaffe vuole essere ricordata?
«Ne ho due. Non posso vivere senza ca... e la borra, che fa schiuma ma non è un sapone. Sono espressione della mia naturalezza. Non mi piace essere ricordata come la conduttrice perfetta, sono anche una che ha senso dell'ironia e dell'autoironia». L'età che avanza... «...mi fa girare le palle. Molto. Mi girano perché la vita che ho da vivere è più corta di quella che ho già vissuto: guardo il famoso metro di Nanni Moretti e mi vengono i nervi».
· Antonella Elia.
Dagospia il 9 luglio 2021. Da "Belve". Protagoniste della nuova e ULTIMA puntata di Belve - condotto da Francesca Fagnani, in onda questa sera (venerdì 9 luglio), alle 22.55 su Rai2 - sono la showgirl Antonella Elia e l’attrice Chiara Francini. In attesa venerdì 16 di Belve cult, il meglio di...Antonella Elia: le lacrime per il figlio a cui ha rinunciato a 26 anni, le cattiverie su Samantha De Grenet? Non mi pento ma mi sono state suggerite; Le scelte professionali sbagliate: “Lele Mora mi ha spremuto come un limone, mi ha usato e poi gettato”.
Mi dice una vera belvata, una carognata che ha fatto nella vita? Per esempio aver insultato Samantha De Grenet…
“Felicissima” di averlo fatto".
Lei l’ha accusata di essere ingrassata, ma era la conseguenza di un problema di salute che aveva. Non si è pentita, quindi?
“No, zero. Io passo la vita a guardarmi e a dire oddio sono ingrassata".
Ma non le dispiace aver saputo poi che quel disagio era conseguenza di un problema di salute serio?
“Ritengo che siano state dette certe cose, dopo attenta riflessione, per farmi fuori” dal Grande Fratello: “Punto, è quello che penso”.
Lei a De Grenet ha anche detto: “Sei la regina del gorgonzola, il massimo della tua carriera è aver fatto la regina del gorgonzola per due anni”. Col massimo rispetto, però lei da ragazza ha fatto la pubblicità dei pannolini…
“Lo dico qui: la cosa mi è stata suggerita. Era per far ridere, solo che è venuta fuori una tragedia, ero talmente incavolata che non ho fatto ridere nessuno. Però quella cosa mi è stata suggerita”.
Ma da chi?
“Non lo dirò mai”.
E la circostanza che lei stessa avesse fatto pubblicità ai pannolini?
“Sì, certo, ma era diverso. Io ero all’inizio della mia carriera, secondo il suggerimento ricevuto, lei era all’apice della carriera quando ha fatto la sua pubblicità”.
Stimolata da Francesca Fagnani, Antonella Elia svela anche un retroscena sulla sua carriera.
Lei disse: nella mia vita sono stata mal consigliata, chiede la conduttrice. Da chi, per esempio?
“Lele Mora. Lui veramente mi ha fatto fare le scelte più sbagliate, mi ha spremuta come un limone, cioè io sono stata un limone che va usato e gettato”. E perché, secondo lei? “Forse perché non ho lucidità sufficiente per fare delle scelte soppesate, credo a tutto, se mi parli in cinque minuti mi convinci di qualsiasi cosa, sono debole".
Il racconto più doloroso di Antonella Elia, accompagnato dalle lacrime, riguarda il bambino al quale ha rinunciato. Quando aveva 26 anni lei ha deciso di abortire, adesso, con la distanza del tempo, è stata una scelta giusta o no?
“No, è stata una scelta completamente sbagliata e rimpiango tantissimo il figlio che non ho avuto”.
Senza alcun filtro, Antonella Elia racconta poi a Francesca Fagnani anche la perdita della mamma a un anno d’età e del padre a 14 (“Ho da sempre dentro quei dolori”); il rapporto esclusivo con i “miei grandi maestri: Corrado, Mike Bongiorno e Raimondo Vianello”; il legame sentimentale con il fidanzato Pietro delle Piane “sessualmente focoso”.
Indomabili, ambiziose, sempre all’attacco e mai gregarie, alle 22.55 le protagoniste di Belve si prendono il venerdì sera di Raidue, con un ciclo di dieci puntate. Il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani con domande dirette e mai cerimoniose puntano a far emergere forza e debolezze dei protagonisti. Feroci e fragili, al tempo stesso.
Antonella Elia: «Io Maleficent? Solo in tv». Terry Marocco su Panorama il 29/1/2021. Non è cattiva, è che la disegnano così. Antonella Elia senza trucco né tacchi, ma con i pantaloni di velluto e gli occhiali, sembra una ragazzina esile. Non ha niente della Maleficent che tiene banco al Grande Fratello Vip, grondante cattiveria. E che, dietro il vetro della glass room, ha detto a Samantha De Grenet che all'apice della carriera era arrivata a essere la reginetta del gorgonzola e ora, cedendo al peso dell'età, si stava ingrassando. Eva contro Eva. Parole sbagliate che hanno travolto la showgirl torinese, soprattuto quando l'altra ha confessato di essere ingrassata a causa di un tumore. A questo punto Antonella ha ribattuto che non ne sapeva nulla e anzi ben conosce il dolore della malattia, avendolo provato lei stessa. Poteva finire qui, ma così non è stato. Come racconta in esclusiva a Panorama l'opinionista del Grande Fratello Vip. «Mi sono sentita sul banco degli imputati. Tutto ha avuto inizio con quel ridicolo, squallido litigio. Non ho saputo cavarmela come avrei dovuto. Sono stata sopraffatta da me stessa, dalle mie emozioni. Trovandomi di fronte una persona antipatica, spocchiosa e poco empatica ho reagito così. È stato come essere davanti a un muro sul quale sono rimbalzata».
Perché ha deciso di accettare questo incontro, voi due sole?
«Le ho detto che era entrata nella casa in modo aggressivo e lei mi ha risposto dandomi dell'imbecille. Voleva farmi sentire una nullità. E non solo: non capiva perché mai fosse stato eliminato Filippo Nardi, il concorrente che aveva offeso con una frase sessista molto grave Maria Teresa Ruta. Poi aveva urlato «Ti uccido» a Stefania Orlando per un banale diverbio su una teglia. E infine insultato e fatto body shaming contro Carima, influencer che amo svisceratamente, dicendo che era: «Grossa, di colore, non il mio genere». Io sono lì per esprimere opinioni. A volte sono pesante, me ne rendo conto, altre volte meno. Di solito la metto giù dura con chi non stimo. Ma siamo sempre in un ambiente goliardico, televisivo, nella vita ignorerei questo genere di persone, ma in quel contesto non posso. Non voglio mai colpire l'essere umano, la sua essenza, la sua profondità».
Poi quando si è trovata dietro quel vetro qualcosa è andato storto.
«È successo tutto in fretta: ero spaesata, in quel contesto è facile perdere se stessi, sentirsi a disagio. Per giorni non ho voluto rivedere la clip del litigio. Poi l'ho riguardato e la frase: «Stai ingrassando» mi è parsa la battuta di un litigio di bassa lega tra femmine. Una performance teatrale. Grottesca. Conosco la sofferenza, la malattia, purtroppo fin da piccola. Ho perso mia madre a un anno e mezzo per una leucemia fulminante. La mia è stata solo una boutade goliardica e di cattivo gusto».
Cosa è successo dopo?
«Dopo la trasmissione Samantha De Grenet ha detto che era ingrassata a causa di un tumore e che l'avevo toccata su una cosa dolorosissima, che tutti dentro la Casa sapevano. La settimana seguente, durante la puntata c'è stato un nuovo confronto tra noi due, dove le dico che conosco la malattia e mai avrei voluto colpire una persona solo per farla soffrire. Non sono così becera, squallida. Anche perché anch'io so cosa vuol dire affrontare un tumore, avendo avuto lo stesso problema».
Che effetto ha avuto questa sua dichiarazione?
«Devastante. Dopo due giorni Benedicta Boccoli ha postato una storia su Instagram dove mi accusava: «Hai detto che hai avuto un tumore, ma non è così, Antonella. Tu hai avuto una cosa terribile, sei stata operata, ma non hai fatto chemio o radioterapia. Non ci fai una bella figura a usare la malattia». Ho iniziato a piangere, urlare, non riuscivo a credere in che mondo vivo, cosa ci faccio in mezzo a questi lupi? Ci conosciamo da 30 anni, sapeva tutto della mia malattia, abbiamo fatto una lunga tournée teatrale insieme e le avevo raccontato ogni cosa. È stata come una fucilata in faccia. Un'operazione ignobile, un gesto di sciacallaggio. Non ci sono tumori di serie A e di serie B. Ci sono tumori e basta».
Come ha reagito?
«Ero fuori di me dalla rabbia e sono andata dal mio oncologo all'Umberto I. Avevo scoperto di avere un tumore nel 2016, mi hanno operata a Roma all'Istituto Tumori Regina Elena. Mi tolsero un quadrante al seno, quattro centimetri, per un carcinoma. Dopo i medici mi dissero che era meglio procedere con lo svuotamento di entrambi i seni. Ricordo le loro parole: «Hai una bomba che ti può esplodere da un momento all'altro». Decisi di chiedere altri pareri e da allora sono in cura dal dottor Andrea Botticelli al Policlinico. Sono rimasta sotto stretto controllo per quattro anni, monitorata con esami ogni sei mesi e continuo ancora con i controlli annuali».
Cosa le ha consigliato l'oncologo in merito a questa vicenda?
«La malattia che ho avuto è indipendente dalla gravità dell'esame istologico. La mia fortuna è stata prendere il tumore allo stadio iniziale. Il modo in cui si affronta una diagnosi di cancro prescinde assolutamente dalla gravità dello stesso. La malattia non va strumentalizzata, è un percorso doloroso per tutti. Ma da questa vicenda così orribile dovevo riuscire a tirare fuori il meglio di me. Trasformare il veleno in medicina, diventare un sostegno per le altre donne. Dovevo diventare testimone del mio percorso: la prevenzione, la mammografia, lo screening sono fondamentali. E io che ne sono uscita devo testimoniarlo. Da un miserabile attacco ho deciso di lasciare perdere denunce e querele, ma di trasformare la mia dolorosa esperienza in aiuto. Dal cancro oggi si guarisce, non c'è da vergognarsi di essere malati e la diagnosi precoce salva la vita».
Cosa le ha fatto più male?
«Parlarne davanti a tutti. Alla fine della mia dichiarazione in studio mi sono scese le lacrime. Per me questa è stata una mutilazione che non avrei mai voluto si venisse a sapere. Di me ormai si sa tutto. Sono squartata, non ho privacy. Questo era il mio ultimo segreto che non avrei voluto rivelare, volevo restasse tale e non darlo in pasto in televisione. Ma dovevo far capire che non potrei mai colpire il dolore, la miseria, la vergogna della malattia. Io ho avuto un tumore e nessuno si può permettere di metterlo in discussione».
Come hanno reagito i social?
«Mi hanno sommersa di insulti, da: «Bugiarda, ti sei inventata la malattia» a «Vergognati dovresti essere cacciata dal Grande Fratello Vip»».
Chi l'ha sostenuta?
«I miei amici, quelli che mi vogliono bene e mi rispettano per quella che sono, soprattutto Alfonso Signorini e Pupo mi sono stati molto vicini».
Come ha vissuto la malattia?
«Questa mutilazione mi ha segnata, io non ho più avuto rapporti intimi per due anni, mi sentivo colpita nella mia femminilità. E ancora oggi mi vergogno. Questa vita che a vederla da fuori dovrebbe essere meravigliosa, il più delle volte è un inferno».
Che cosa non è più disposta a tollerare?
«Questo orrore mediatico, dove tu sei nell'arena e combatti e la gente, i media, i social, stanno con il pollice alzato o abbassato. Le belve feroci ti sbranano, ma io lotto per fare vedere quella che sono, quello che penso. Nel bene e nel male. Nella mia infinita mediocrità sono stufa di tutte queste ipocrisie, vittimismi, di questa continua strumentalizzazione del dolore. Ormai facciamo veramente pena. Ci nascondiamo dietro una tastiera a scrivere cose orrende o a venerare falsi miti. È diventato un meccanismo schiacciante, diabolico, dove la nullità prevale. Io mi rifiuto di fare parte di tutto questo e continuerò a dire ciò che penso. Non sarò mai schiava dell'ipocrisia. Io continuerò a dire la mia verità».
Da leggo.it il 10 dicembre 2021. Antonella Mosetti senza freni. Dalla televisione ai canali social per adulti il passo è breve, almeno per l'ex volto di Non è la Rai, finita vittima di un diabolico scherzo delle Iene che sono riuscite a estorcere alla showgirl piccanti rivelazioni a proposito delle sue preferenze sessuali. La modella, che a ottobre ha confessato di aver aperto un canale professionale su Onlyfans per arrotondare, si fa convincere dall'amico Antonello Lauretti dell'esistenza di un cliente che, grazie al mercato cinese, potrebbe garantirle grandi opportunità di guadagno. Antonella, al settimo cielo per la proposta, accetta e si lascia andare a confessioni peccaminose e senza timore ammette: «Sono porca, se mi piace un uomo… eh!».
L'incontro con il cliente
Istruito dalla iena Nicolò De Devitiis, l'amico convoca la Mosetti a casa sua per incontrare il famoso cliente. «Sei single?», le domanda l’uomo. «Sì, da tre anni. Becco tutti fig*i che sembrano grandi, 30, 35 anni, in realtà hanno 20, 22 anni. E dico: 'Ma io con te che ci faccio? Ti do il latte?'». Dopo pochi minuti si passa alle domande più serie: «Quali sono le richieste hot che ricevi su Onlyfans?». «Posso fare una foto in cui si vede un po’ il seno, mutanda, calze a rete. Il capezzolo? In privato. Le foto che mi chiedono tanto sono dei piedi. Quelle con le scritte sulle tette ancora no». L’uomo poi le precisa che dovrà scrivere in cinese sul seno. «Lo faccio!», replica Antonella. E aggiunge: «Io ho fatto i calendari. Sto bigottismo inutile!». Quando il manager le chiede dei tatuaggi, per i quali gli asiatici vanno pazzi, lei gli mostra quello sul piede, poi precisa di averne un po' in tutto il corpo: «Sulla patata, luna mandala sulla chiappa, in mezzo al seno c’ho la scritta 'Resilienza'. Amo', ce li ho studiati!».
La proposta
Tra una rivelazione e l'altra si passa a simulare l'incontro con il cliente. «Mettiamo che io sono un utente e ti voglio dare 10 mila dollari, me la fai vedere una ziz*a in privato, con la faccia però?», gli dice il manager. «Sì, certo!», risponde lei. «Dove ti vuoi spingere?», le chiede ancora, con proposte sempre più eccessive e alle quali lei replica così: «Ho tanta paura, nel senso che io sono porca, non me ne frega un caz*o, però ho paura che qualcuno mi fa uno screenshot di un video. Sai quanta gente mi ha detto: 'Ti do 30 mila subito, mi mandi un video privato che stai nuda sul letto e ti si vede tutta in video?' Ma io in Italia posso rischiare?». La prudenza, si sa, non è mai troppa. «Tanto comunque so' tutti porci - continua la Mosetti - Facebook, Instagram… Vado al ristorante, mi arriva il messaggio: 'Se vieni in bagno ti do 1000 euro'. Cioè, hai capito dove arrivano? Amo', nessuno mi prende sul serio. Gli uomini me se vojono tutti chiava' in tutti i modi. Quello comunico». Lauretti chiarisce che Antonella è porca solo con chi gli piace. «Se mi piace faccio proprio… eh! Mi travesto. Cioè se uno mi dice versati lo champagne tutto addosso, avoglia. Ho fatto tutto, tranne le candele, la cera calda, bollente, sui capezzoli. Fa un po’ male, però se ti piace uno lo fai», rivela.
La truffa
Le parole della modella convincono il manager che si accorda con Antonella Mosetti per inserire i suoi dati online. Poco dopo, però, l'amico le rivela che il suo profilo su Onlyfans è stato hackerato e le sono già stati rubati 2.000 euro. Imbufalita, se la prende con Antonello e un suo gancio, Luigi, che gli ha fornito il contatto. La Mosetti sbraita, in preda all’isteria, dice parolacce finché non si lascia convincere ad andare a casa del finto manager per recuperare i soldi. Mentre è in auto al ragazzo colpevole di aver dato il contatto all’amico Antonello dice: «I 2.000 euro me li ridai tu, anzi me ne ridai 3.000 di euro, con 2.000 me ce pulisco 'n'ascella, con un minuto di Onlyfans faccio 2.000 euro, senza neanche fa vede' 'na tetta». Una volta arrivata a casa del truffatore, Antonella lo insegue per picchiarlo: «Ti ammazzo di botte». Per fortuna alla fine il presunto manager riesce a fuggire dal suo nascondiglio in bagno e ad aprire la porta per svelare lo scherzo. «Voi siete pazzi, uno c’ho un’età…». «Ma che un’età, su Onlyfans stai a fa' i numeri!», le fa notare Nicolò De Devitiis. «Eh so’ top, non faccio vede’ niente e so top, scusate. Perché l'ho aperto? Non lo faceva nessuno e l’ho fatto, tanto non sono nuda su Onlyfans. Mi so' detta 'Why not?'».
Carlo Massarini per "la Stampa" il 30 giugno 2021. Antonello Venditti torna a esibirsi dal vivo in tutta Italia con "Unplugged special 2021", una serie di concerti con una band di cinque musicisti, in cui ripercorre una carriera che arriva al mezzo secolo. Mentre si prepara a partire, parliamo del piacere e insieme dell'incertezza di tornare a suonare di fronte alle persone, del prezzo della pandemia, dei diritti violati e di una società che ti trascura "se sei piccolo". Ammette di essere colpito dal bullismo che imperversa, e del suicidio di chi è vittima «perché debole». Paradossalmente, giura di non capire perché si discuta della legge Zan, visto che «il decreto Zan ce l'ho dentro» e così dovrebbe accadere per tutti. Sono tempi duri, per alcuni in particolare, e vede una sola soluzione: "Ci vorrebbe un amico". Un amico per questa Italia che esce provata fisicamente ed economicamente dalla pandemia e ha bisogno di ritrovare uno spirito comune. Il primo appuntamento della ripartenza è sabato 3 luglio allo Stupinigi Sonic Park. Inizialmente la data era il 2 ma è stata spostata per non coincidere con Italia-Belgio agli Europei di calcio. «Sono talmente rari i momenti di sana socialità e collettività di questi tempi - spiega Venditti -, che mi sembrava un peccato far scegliere al pubblico tra il calcio e il concerto, quasi una mancanza di rispetto. In fondo il calcio, come la musica, sono grandi passioni della vita. E poi non è una semplice partita ma una partita della Nazionale in un momento così delicato come quello che stiamo passando. Mi sembrava importante, una prova generale di italianità per la rinascita: siamo italiani, non ce lo dimentichiamo, non lasciamo questo senso di identità soltanto alla destra, l'Italia è un simbolo di tutti noi: il senso di identità è fondamentale per dare impulso alla nascita di una nuova società in Italia. È un periodo storico importantissimo».
Lo vivi con un senso di speranza questo periodo, quindi?
«Certo, altrimenti non partirei per un tour proprio ora: prendo questi concerti come un dovere civile, innanzitutto verso tutti quelli che lavorano nel mondo dello spettacolo, che sono stati così duramente provati dal lockdown e non hanno lavorato per mesi. E poi per il pubblico, per ridare alla fisicità l'importanza che ha. Naturalmente con la massima attenzione alla sicurezza».
Secondo te cambierà la nostra maniera di vivere?
«Molto. Perché il senso di insicurezza che abbiamo vissuto in questo periodo lo metabolizzeremo con fatica. Un piccolo esempio: ho l'impressione che porterò sempre la mascherina nei luoghi affollati».
La pandemia ti ha dato spunto per le canzoni? A Natale mi avevi risposto che ci vuole tempo per metabolizzare le esperienze, e che la instant song non è nelle tue corde. Questa insicurezza di cui parli ti metterà in condizione di scrivere diversamente?
«Fammi di nuovo questa domanda alla fine del tour. Allora sarà un momento di bilanci: penso che alla fine di questi 35-40 concerti che farò dal 3 luglio fino a ottobre avrò tantissimo da raccontare, avrò incontrato persone, ascoltato storie di vita e sarò pronto a scrivere».
C' è una singola cosa che ti è rimasta impressa più di altre di questo periodo?
«Le facce da mutanti, in continuo cambiamento, dei virologi e dei politici in tv, le polemiche infinite sui vaccini, sui richiami La verità è non siamo in grado di fare previsioni. Anche per questo mi godo questi concerti, perché ho paura che potrebbe uscire qualcosa che ci impedirà di nuovo di vivere in pace».
Hai debuttato 50 anni fa. Cosa volevi trasmettere al pubblico allora? E cosa adesso?
«Immagino la stessa cosa: cantare è un modo per esprimere me stesso e la mia diversità. Non so far altro che parlare di me. La musica per me è una compagna di vita da sempre. Sono stato un adolescente molto solo, bullizzato fino a 16 anni. Ero talmente complesso e complessato che ho rischiato il suicidio molte volte. Le canzoni sono nate da quel dolore, anche se a volte, prendi "Marta", mi nascondevo dietro a un altro nome. Adesso ho conquistato tante cose nella mia vita, innanzitutto una certa sicurezza psicologica e spirituale, ma in fondo sono sempre lo stesso. Odio quando mi chiamano maestro. Sono stato maestro di me stesso, mi sono costruito da solo con un linguaggio di scrittura e di canto tutto mio. Quando qualcuno mi dice grazie per le mie canzoni sento una responsabilità verso le persone».
Cosa provi quando un ragazzo bullizzato si toglie la vita?
«Eh, mi sento come mi sentivo allora, quando volevo morire. Devi essere molto forte dentro, credere in te stesso e credere in quello che sei, io sono convinto che si suicidano solo i giusti, quelli che hanno ragione. I colpevoli sono più furbi, magari tentano il suicidio ma poi sopravvivono. Ho molto rispetto per chi si suicida. Il suicidio è nella nostra natura, purtroppo, ma a volte basta una parola per continuare a vivere. Ecco perché c' è bisogno di amici, di una società che si interessi di te anche se sei piccolo. Ci vorrebbe un amico, sempre».
Si discute molto del ddl Zan, che ne pensi?
«Non ho bisogno di sottoscrivere il decreto Zan: ce l'ho dentro. Nel mio profondo sono un anarchico, per me conta il mio diritto naturale, la mia coscienza. Non ho bisogno di regole. Ma mi rendo conto che in questi tempi confusi c' è bisogno di atti formali che ribadiscano la civiltà. Mi sembra così normale che mi pare assurdo doverlo scrivere in una legge».
Tu hai avuto un figlio molto giovane, hai anche dei nipoti. Come sono cambiati i ragazzi?
«Io non posso dire come sono i ragazzi oggi, non basta vederli per capirli, lo devono raccontare loro come sono loro. Eppure, quando vedo che la mia canzone "Notte prima degli esami", che ho scritto nell' 84 pensando al 1966 e che vive ancora benissimo nel 2021, penso che in fondo non sono cambiati poi tanto. Ci sono sentimenti che uniscono le generazioni».
Cosa proponi nei concerti?
«Ci sarà un repertorio enorme. Non si sono capite ancora alcune cose, se si può stare seduti o in piedi, noi faremo da cavie in una situazione che se non partivamo ho paura che non si sarebbe sbloccata. Io mi sarei aspettato dei finanziamenti ai comuni per svolgere una sana operazione culturale. Ma purtroppo non è andata così».
Forse la difficoltà, la privazione farà tornare la bramosia di eventi, come negli anni 70?
«Certo, c' è lo spirito degli Anni 70, di quando andavo da solo sul palco con il piano, ma tutta la tecnologia e l'esperienza di oggi. È un altro modo di sentire le canzoni: sento voglia di vivere, non di rivivere. Le canzoni fanno parte tutte dello stesso tempo. Non esistono canzoni vecchie o nuove, ci sono canzoni che restano e altre no. Solo i vecchi parlano di vecchiaia, e catalogano tra musica degli Anni 70, 80, 90. La musica è quella che rimane, non un "come eravamo". Oggi posso comprare un disco di Leonard Cohen e trovarci il futuro. Non c' è più un conflitto generazionale, le generazioni si danno la mano».
Questa è un'estate di duetti intergenerazionali, ti piace quello Morandi e Jovanotti?
«Jovanotti è stato taumaturgico per Morandi, è stato tanto male e aveva bisogno di aiuto. Torniamo a quello che dicevo prima, ci vorrebbe un amico. Quanto ai tormentoni, anche quando sono kitsch, qualsiasi cosa che ci dia il senso della vita è il benvenuto».
Tu con chi vorresti cantare?
«Vorrei cantare finalmente col mio amico Francesco De Gregori. Abbiamo rimandato tanto: aspetto con ansia il 18 giugno del 2022».
· Antonino Cannavacciuolo.
"Paura e soldi mai avuti". Chef Cannavacciuolo realizza il sogno del papà: “Ristorante a Ticciano, lavorerò con la gente del mio paese”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 30 Marzo 2021. Dal Covid al sogno di suo padre che finalmente realizzerà. “A dicembre ho avuto il Covid, ma praticamente non me ne sono accorto: ero un po’ stanco, avevo dei giramenti di testa. Pensavo fossero gli effetti della dieta detox che stavo seguendo, invece qualche settimana dopo ho fatto un test sierologico e ho capito che era il virus. Per fortuna non ho perso né gusto né olfatto e non ho contagiato nessuno”. Lo chef napoletano Antonino Cannavacciuolo, 45 anni, in una intervista a Cook, il mensile di cucina del Corriere della Sera, ripercorre gli ultimi 12 mesi (“Sono stati pesanti. Business fermo, tanta incertezza, problemi per tutti”) e rilancia: “Il sogno di mio padre Andrea era aprirmi un ristorante a Ticciano (frazione del comune di Vico Equense, ndr), dove sono nato. Tra pochi mesi succederà, solo che sarò io ad aprirlo a lui, nella casa padronale che ha comprato per me nel 1995. Sono felice di realizzare questo suo desiderio perché è a lui che devo il mio successo”. “Tutto quello che faccio è per dimostrare qualcosa a mio padre, con me lui ha sempre avuto un rapporto di sfida ‘fammi vedere che sai fare’”, ha raccontato. Entro la prossima estate saranno ben tre le inaugurazioni de “Laqua Resorts”, la nuova linea di ospitalità ideata con la moglie Cinzia. Oltre al “Laqua Countryside” di Ticciano con il ristorante gourmet, anche il “Laqua by the Lake” a Pettenasco, sul lago d’Orta e il “Laqua by the Sea” a Meta di Sorrento. Tornando al ristorante che aprirà nella sua Ticciano, Cannavacciuolo non nasconde la sua emozione:“Per me è davvero un cerchio che si chiude visto che sono nato a 50 metri da lì. Potrò finalmente lavorare con le persone del paese che conosco da una vita. Chi coltiva, chi produce olio, i pescatori, i macellai.. saranno tutti nostri fornitori. Papà mi farà da consulente per i terreni: da oltre vent’anni si è messo a fare il contadino. In cucina ci sarà uno dei miei collaboratori, Nicola Somma, cresciuto con me a Torino, ma poi lavoreremo con personale locale. Sarà un modo per restituire qualcosa al borgo da cui vengo”, ha aggiunto. Paure? Rimpianti? “No. Come dico sempre io, paura e soldi mai avuti. I soldi non li ho perché li reinvesto tutti. La paura nemmeno, nella vita mi sono sempre buttato e ho sempre faticato. Lavo i piatti ancora oggi, se serve”.
· Antonio Costantini Awanagana.
Dagospia il 13 dicembre 2021. Già il suo nome, Awanagana, appare come "nome d'arte" pur non essendolo. Se poi aggiungi il look da pirata, si capisce come la sua riconoscibilità sia stata, da subito, evidente a chiunque. Nato sotto il segno del cancro, Antonio Costantini Awanagana ha vissuto molte vite, ma imperniate sempre su un valore fondamentale: la libertà. Awana ha iniziato a fare il lavoro del disc-jockey, iniziando a lavorare a Radio Montecarlo quando ancora le onde medie quasi non esistevano. Ha partecipato a programmi tv, nel 1977 assieme a Jocelyn ha condotto, su Telemontecarlo, Un peu d'ampie, d'amitie et beaucoup de musique e nel1978 era a Domenica In, quella presentata da Corrado. E stato anarchico, liberale, massone, oggi membro dell'Ordine dei Templari. Una vita autentica.
Giovanni Terzi per "Libero quotidiano" il 13 dicembre 2021. «Mi son deciso, pensando di fare cosa gradita, a precisare una cosa perché ho visto che il mio nome e la mia immagine viene utilizzata in fantasiosi modi. Ben venga se il mio nome è utilizzato da associazioni sportive piuttosto che per canzoni, ma voglio che sia chiaro che mi dissocio fermamente da tutti quelli che mi usano per fini sessuali, o forum ambigui e via dicendo. Credo che questa mia dichiarazione fosse necessaria. Grazie». Questa dichiarazione è fatta in apertura del sito di Awanagana, noto musicista e conduttore radiofonico di Radio Montecarlo. Per «ragazzi come me», classe 1964, la voce e la compagnia di Awanagana, così come di altri epici conduttori come Leopardo o Federico l'olandese volante, fanno parte di una gioventù felice ed in qualche modo epica in cui la radio rappresentava un momento di vera libertà artistica.
Maurizio Costanzo ha detto: «La televisione, come diceva Mc Luhan, non è figlia dell'immagine ma della parola, è figlia... della radio. Quando è arrivata la televisione tutti hanno detto: per la radio è finita! Non è stato così. La radio, qualunque cosa accada, cela farà sempre. Pubblica o privata ma principalmente privata, la radio ha una grande funzione di informazione e intrattenimento e permette di arrivare facilmente a un pubblico, come quello giovanile, altrimenti irraggiungibile».
Così anche oggi, tra le mille trasformazioni della società, la radio rimane uno strumento fondamentale per informare e intrattenere. Awanagana, perche questa frase in apertura del tuo sito?
«Perché, a mia insaputa, aprivano birrifici clandestini o attività poco chiare ed addirittura mi hanno riferito di siti porno o di pedofilia. Così ho voluto mettere un punto a tutto questo e dissociarmi in modo evidente».
Ma che significato ha Awanagana?
«Il suo significato sarebbe "auguro a te le cose che io non ho avuto nella vita", è un segno di gentilezza d'animo nei confronti del prossimo ed è uno dei nomi che i miei genitori mi hanno voluto mettere».
Ho sempre pensato che fosse un nome d'arte, invece non è così...
«Il mio nome completo è Antonio Awana-Gana Costantini Picardi, e anche oggi con grande mia soddisfazione c'è gente, molti dei quali ragazzini, che mi riconosce. L'altro giorno, ad esempio, due giovani al supermercato mi hanno fermato gridando "figo Awanagana!", ed io mi sento un po' un highlander, un immortale della musica, perché attraverso davvero tutte le generazioni, dai diciottenni ai settantenni come me».
Da tempo non ti sentiamo in radio: cosa stai facendo?
«Vivo a Monaco, dove ho un bellissimo rapporto con il Principe Alberto, persona davvero molto amabile. Faccio l'animatore in molte serate, suonando e cantando musica jazz».
Quando è nata la tua passione per la musica?
«Sai, sin da piccolo vedevo mio padre, un uomo molto severo ma con spiccate doti artistiche, amare la musica; faceva il commerciante, ma suonava la fisarmonica...».
Che famiglia era la tua?
«La mia famiglia è stata una famiglia fantastica: mio papà era del 1905, mentre la mamma del 1927, e se pensi che io sono del 1949 tra ognuno di noi ci sono ventidue annidi differenza. Era un mondo profondamente diverso e sono stato cresciuto da un padre che chiamavo per nome, Armando, e che solo qualche volta a me dava del tu». In che senso? «Se mio padre era in vena di affettuosità mi chiamava dandomi del "tu", altrimenti del "lei", a significare che qualcosa non andava, e anche del "voi", quando proprio non c'era davvero da scherzare».
Ci sono state frasi o momenti che ricordi del rapporto con tuo papà?
«Quando ho iniziato a lavorare e a guadagnare, mi disse: "Sappia che mai nessuno ha portato a casa i soldi", dandomi del lei! Oppure: "Lei non deve niente a nessuno, ma nessuno deve qualcosa a lei". Mio padre mi ha insegnato l'importanza della libertà; ed io sono infatti da sempre un uomo libero e poco gestibile, e questo la mia vita lo racconta in modo inequivocabile».
Quali scelte hai fatto legate alla libertà?
«Nella vita ho sempre amato essere libero e scoprire, senza pregiudizi, la vita. Così a diciotto anni vivevo a Parigi, in pieno Sessantotto. Poi, tornato in Italia, sono passato da essere un giovane anarchico fino a diventare un liberale legato al leader di allora, Malagodi. Finché un giorno uno zio, da parte di mamma, mi iscrisse al GOI (Grande Oriente d'Italia), la più antica e numerosa istituzione massonica in Italia».
E fa ancora parte di qualche loggia massonica?
«Assolutamente no, ne uscii quasi subito, anche se in gergo, non potendo uscire dalla massoneria, dicono che ti sei "messo in sonno"».
Come ti sei iscritto al GOI?
«Un giorno Edgard, fratello di mia mamma e generale di PS, mi disse che l'indomani mi aspettava in caserma. In un batter d'occhio mi trovai iscritto alla massoneria».
E oggi?
«Da anni faccio parte dell'Ordine dei Templari».
Quindi i Templari esistono ancora, Awana?
«Certamente: il mio nome è Fra Antonio AwanaGana Costantini Picardi. Quello dei Templari è un ordine, noi siamo cavalieri Monaco e Monaco cavalieri di origine cistercense sotto la regola di San Bernardo di Chiaravalle, e da Statuto abbiamo la sopravvivenza della umanità, la difesa del Cristianesimo è molto altro. Il nostro obiettivo è dare messaggi positivi e impegnarci nel sociale e in opere umanitarie, la nostra vita improntata a una grande spiritualità».
Difendere il Cristianesimo cosa significa? Rispetto al mondo musulmano, per esempio.
«Uno di Al Qaeda non potrà mai avere i nostri valori. Spesso quando guardiamo ad oriente siamo preoccupati ed io oggi, per l'ordine Templare, sono il ministro degli Esteri della nazione templare».
Addirittura nazione Templare?
«La nazione è stata riconosciuta dall'Onu e adesso stiamo trattando un chilometro quadrato di terreno per costruire lo Stato Templare». Il tuo mondo professionale è pieno di invidie. Nei tuoi momenti di difficoltà c'è stato qualcuno che ti abbia dato una mano? «No. Direi nessuno se non Corrado che, dopo il suo incidente in macchina, mi fece condurre, al suo posto, "Rally Canoro", manifestazione musicale fatta nelle piazze d'Italia».
Nella tua carriera di artista qualche incontro che ti ha lasciato il segno?
«Uno su tutti quello con Orson Wells, facevo la comparsa in un suo film. Era un omone grande e grosso che emanava autorevolezza, sempre con il sigaro in bocca. Aveva dato gli ordini per una scena dove dovevamo recitare fino a quando lo diceva lui. Ad un certo punto gridò: "Stop!". Tutti ci fermammo e lui ci rimproverò, ma in realtà chi aveva sbagliato era lui e, con onestà, lo riconobbe; era un uomo molto affabile, durante le pause parlava con tutti e mi disse: "Il lavoro è dignità"».
Quali artisti musicali del passato ricordi?
«Ricordo chi era vero, genuino; gente come Tony Santagata, scomparso pochi giorni fa, e Lino Patruno».
E dei cantanti di oggi chi ti piace ascoltare?
«Perché, ci sono cantanti oggi?».
Tale e Quale Show, Antonio Mezzancella si racconta: “Dopo la vittoria sono diventato coach”. Asia Angaroni il 7 ottobre 2021 su Notizie.it. Dopo la vittoria a Tale e Quale Show, Antonio Mezzancella torna nei panni di coach e nell’intervista esclusiva racconta qualcosa in più su di sé. Si è fatto conoscere al grande pubblico prima a Tu Si Que Vales e poi a Tale e Quale Show, il programma di successo condotto con entusiasmo da Carlo Conti che Antonio Mezzancella ha vinto sia nel 2018 sia nel torneo dei campioni l’anno successivo. Ora torna nella famosa trasmissione Rai, che continua a riscuotere ampio seguito, e lo fa vestendo nuovi panni: si sveste dal titolo di “concorrente” e dopo il trionfo ottenuto diventa un coach. Un vero artista, che si fa conoscere per il suo carisma veramente coinvolgente, la sua solarità sincera e la sua grande dose di allegria. Un artista di talento, che è prima di tutto padre di due splendide ragazzine e compagno affettuoso. È proprio dietro le quinte di Tale e Quale Show che ha conosciuto la sua compagna, ballerina del programma. Nell’intervista esclusiva, Antonio Mezzancella ha parlato con gioia della sua carriera e del suo nuovo percorso, svelando qualcosa in più su di sé. Tale e Quale Show continua a conquistare il grande pubblico, intrattenendo e facendo cantare proprio tutti a squarciagola. Antonio Mezzancella è entusiasta per il suo nuovo ruolo e spiega: “Tornare nello studio di Tale e Quale Show per me è come tornare in famiglia. Ci sono tornato da vincitore, quindi mi sono sentito molto più rilassato. Il difficile è stato fatto, ora il bello è trasmettere la mia esperienza agli altri. Ora non c’è più la tensione della prima serata. La mia sfida adesso è far apprendere quante più cose possibile ai miei allievi. Per tre ore vogliamo regalare divertimento e spensieratezza al pubblico”. Ad averlo spinto a partecipare al programma, ormai tre anni fa, è stata la voglia di mettersi in gioco e divertirsi. “Avevo tanta voglia di sperimentare questa esperienza, che è a 360 gradi. Avevo tanta curiosità verso questo show nato ormai 11 anni fa. Sono sempre stato un fan fedele, curioso e desideroso di provare a cantare, ballare, imitare e restare ore e ore in sala trucco. Avendo ormai vissuto l’esperienza, riesco a immedesimarmi nelle titubanze e nelle paure dei concorrenti”, ha commentato. Artista e showman, ma prima di tutto papà: “Le mie figlie sono orgogliose di me. Loro vivono in Umbria e io a Roma, ma ogni volta che posso prendo la macchina e le raggiungo. Cerco di vederle ogni settimana. Sono un padre molto affettuoso e scherzoso. Mi piace accendere in loro la curiosità. La più piccola mi ha chiesto di insegnarle a cantare in inglese seguendo gli stessi consigli che do a Pierpaolo Pretelli”, ha confidato con il sorriso e la dolcezza di un padre. Antonio Mezzancella è nato a Perugia il 2 giugno 1980. Nel 2004, a 24 anni, ottiene il trofeo del Festival di Castrocaro Terme. Comincia la sua carriera in radio per emittenti notevoli come M2O, Radio 105, Radio Uno e Radio Deejay. Da circa un anno è parte integrante del programma “Tutti Nudi”, in onda su Radio Rai Due insieme a Pippo Lo Russo e Dj Osso. Nel 2015 ottiene il secondo posto a “Tu Si Que Vales”. Poi arriva alla Rai, nel 2018, partecipando come concorrente a “Tale e Quale Show”. Come Fiorello e Pintus, Antonio Mezzancella ha avviato la sua carriera lavorando nei villaggi turistici. È proprio durante le estati roventi della Calabria che ha cominciato a dimostrare il suo talento da imitatore. Antonio è soddisfatto del percorso fatto finora e non trattiene la contentezza per il suo nuovo ruolo da coach. Non mancano neppure i pensieri sul futuro, in merito ai quali ha raccontato: “Da lunedì al venerdì sono a Tale e Quale Show, ma nel weekend continuo a lavorare in radio. Ho in progetto una teatrale e spero in nuove esperienze televisive che mi vedano protagonista non solo come imitatore, ma anche come conduttore o co-conduttore”.
Da tpi.it il 14 ottobre 2021. “Siamo su posizioni completamente opposte con Pier Silvio Berlusconi c’è una differenza sostanziale tra ciò che teorizza e quello che manda in onda. Quando ci parli assieme dice che vuole una televisione non caciarona, diciamo un po' modello Toffanin. Poi guardi lo schermo e trovi dell’altro. Ma non è questo il peggio. Il peggio è che invece di spassarsela, di combinare casini da milionario qual è in quanto figlio di Silvio, resta qui, nella ridente Cologno Monzese, a lavorare una quantità assurda di ore. Glielo dico sempre: divertiti, Piersilvio, goditela, strafogati. Non spendere le tue energie a fare il padre di tuo padre”
“Finché ci sono totani che abboccano, questa provocazione è attuale. La nostra mission impossible è smascherare l’ipocrisia del mondo. I giornalisti non possono attaccare le modelle perché la moda per la carta stampata è fonte primaria di vita. E allora sono costretti a prendersela con le Veline. Non devo neppur mettere le reti, mi saltano direttamente in barca”
“Quand’era presidente della Rai Roberto Zaccaria (1998-2002, ndr) ci siamo parlati al Festival di Sanremo: chiese se sarei stato disposto a passare in Rai e gli risposi che avrei accettato a costo zero pur di scrollarmi di dosso questa rottura di palle di Ricci che fa il gioco di Mediaset. In cambio chiedevo solo l'accesso libero all’archivio Rai”. La trattativa non andò avanti: “Zaccaria non si è più fatto sentire. Ma non è stato questo a stupirmi. A colpirmi fu che chiese se fossi disposto a lavorare con chiunque. Voleva sapere se avrei messo veti come Fabio Fazio, che a suo dire aveva preteso l'esclusione di Piero Chiambretti dalla rete dove c'era lui. Disse esattamente così. Misi in chiaro che a me degli altri non importava niente e la cosa è finita lì”
“Il caso Morisi? impossibile pretendere che non si infierisca. Certo l’insieme di omosessualità, droga ed escort rom è stato un triplete pazzesco. “La Lega ce l’ha duro”. Sì, ma come e per farne che."
“Giuseppe Conte è uno che si piace molto, troppo. Sessualmente è un auto-piacione. Parla come Dudù, la macchietta napoletana del Gagà”.
“Attaccano Giorgia Meloni dicendo che lei e il suo partito sono un ammasso di fascisti. E allora? L’Italia è un paese profondamente fascista in tantissime sue manifestazioni”.
“Sono un vero potere forte. Resta da verificare quanto sapranno mantenere il consenso. Tra dieci anni immagino Chiara Ferragni senza Fedez. Lei una signorina borghese bien élevée, lui tamarrissimo: un maschio alfetta. Lei lo farà fuori versandogli una pozione nella Coca Cola e farà in modo che la colpa ricada su J-Ax”
Così Antonio Ricci, padre di Striscia la Notizia, in un'anteprima dell'intervista di Riccardo Bocca pubblicata sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale - Tpi , in edicola da venerdì 15 ottobre
LUCA DONDONI per la Stampa il 24 settembre 2021. Da lunedì su Canale 5 torna Striscia la notizia, stagione N. 34, conduttori Vanessa Incontrada e Alessandro Siani, («ci piace vincere facile») veline la bionda Talisa Jade Ravagnani (ex allieva di Amici) e la mora Giulia Pelagatti. Sottotitolo La voce dell'inscienza. «Dopo le speranze nella scienza - spiega Antonio Ricci - sembra che ora prevalga l'inscienza. Il non sapere e spiegare, il non conoscere e voler pontificare».
Ricci si tolga subito un sasso dalla scarpa: Massimo Boldi ha sostenuto di essere l'inventore del suo tg satirico. «(ride) Ma siamo seri? Striscia è un format unico ed è strano che Massimo lo scopra dopo oltre trent' anni. Però dovevo immaginarmelo, lui è sempre un po' in ritardo. Eppure gli voglio bene come a quello zio un po' suonato che c'è in tutte le famiglie. Boldi poi ha sempre fatto ridere proprio per il suo essere rimbambito, non ha una vis comica sua, una comicità ragionata ma estemporanea».
È entrato in studio sulle note del Gladiatore di Ridley Scott. Un guerriero implacabile ma finito male.
«Per come stavano andando le cose sino a un po' di mesi fa non sapevamo neanche se avremmo fatto la conferenza stampa. L'anno scorso è stato terribile per tutti. Ho avuto il Covid, avevo le cannette della respirazione nel naso e di fianco a me moriva una persona; per farmi forza tenevo il telefonino sulla pancia e seguivo Striscia mandando messaggi agli autori e correggendo i filmati. Il Covid mi ha insegnato la precarietà ma devi uscirne forte e la forza che avevo all'ospedale era incredibile. Mi sono rimesso in sesto e non gliela volevo dar vinta a questa bestia che forse ho preso per una mascherina fuori norma. Tutt' ora non se ne parla molto ma è uno scandalo senza fine e Striscia se ne occuperà ancora. Molti miei inviati e qualche conduttore ha patito il Covid ma siamo riusciti a portare a casa la trasmissione».
Perché il sottotitolo La voce dell'Inscienza?
«Il Covid non è più un argomento appetibile nemmeno per Striscia. Ritengo una cosa noiosa da parte dei nostri inviati andare a indagare su chi non chiede il Green Pass o affronta la pandemia alla carlona. Anche i talk show ormai languono perché gli argomenti sono sviscerati e dal punto di vista politico il governo Draghi ha ammazzato il dibattito».
Si è fatto un parere sulla polemica per come DAZN fa vedere il calcio agli italiani?
«Purtroppo sono anch' io vittima di DAZN. In casa abbiamo fatto quattro abbonamenti perché non sapevamo se avremmo visto la partita oppure no. Tolti i numeri che appaiono sul teleschermo e non si capisce cosa sono, l'assenza di immagini proprio mentre la tua squadra segna, va tutto bene».
E che dice di Cattelan su Rai1?
«Permettetemi di spezzare una lancia in suo favore, non è giusto scatenarsi contro di lui. Ha avuto contro la tempesta perfetta, la finale del volley e Juve/Milan. Forse per la seconda puntata il ragazzo non avrà la serenità e la tracotanza che serve per un varietà ma spero si riprenda e reagirà a un evento sfortunato».
Chi ci sarà dopo Siani e la Incontrada?
«Subito una sorpresa: Sergio Friscia e Roberto Lipari insieme per la prima volta. A seguire i decani Greggio/Iacchetti poi Gerry Scotti con quella matta di Francesca Manzini che sarà sostituita nel finale da Michelle Hunziker.
Tra i nuovi inviati c'è il bravissimo Nando Timoteo, segnatevelo, mentre Ballantini interpreterà i ministri Cingolani e Lamorgese. Con le imitazioni di Conte e Grillo (Ballantini - Friscia) vedrete gag divertenti. Valeria Graci farà Puffetta Leotta ma ho una panchina lunghissima, cosa che ci ha permesso di affrontare in maniera indolore un periodo difficilissimo».
Il politicamente corretto ha preso sempre più piede e Striscia è nell'occhio del ciclone.
«Il politicamente corretto mi offende nel profondo. Appartengo a un movimento religioso che prevede la satira e non potete andare contro ciò in cui credo. Adoro l'esagerazione e mi offende chi vuole limitarci. Non posso permettere che quattro ciancicati ci rompano le scatole, anzi vi annuncio che abbiamo denunciato il sito "Diet Prada", quelli che ci hanno messo all'indice per aver ironizzato sugli occhi a mandorla dei cinesi. L'attacco non era rivolto a una trasmissione comica ma a una casa di moda: Trussardi (Tomaso Trussardi è il marito di Michelle; ndr). A loro interessava stroncare dei brand italiani, l'hanno fatto con Dolce e Gabbana e hanno tentato di farlo anche con noi. La nostra linea non può essere quella di abbassare il capo perché la libertà di prendere in giro è fondamentale».
Renato Franco per corriere.it il 23 settembre 2021. Torna Striscia la notizia (da lunedì su Canale 5) e torna Antonio Ricci, che parla di rado, ma quando parla difficile passi inosservato. Massimo Boldi in una recente intervista aveva sostenuto di essere lui l’inventore del tg satirico. Ricci sfodera il suo miglior sorriso per rispondere, ma le parole sono fiamme: «Strano che lo scopra dopo 34 anni, ma del resto lui è così, sempre in ritardo. A lui voglio bene come a quello zio un po’ così che c’è in tutte le famiglie. Del resto ha sempre fatto ridere perché è decotto, ma non ha una vis, ed è il suo bello, la sua non è una comicità ragionata, non è una questione preparata, ma è una capacità estemporanea». Gli aggettivi che usa sono altri, ma il senso è ben chiaro: guai a toccare la sua creatura che riparte da una doppia novità: nuova la coppia di conduttori (Vanessa Incontrada e Alessandro Siani, «li ho scelti perché questa volta volevo vincere facile»); nuova la coppia di Veline (la mora Giulia Pelagatti e la bionda Talisa Ravagnani). Ricci ragiona molto sul politicamente corretto. Lo spunto è la polemica che nella scorsa edizione aveva coinvolto Gerry Scotti e Michelle Hunziker, accusati di razzismo per aver ironizzato sugli occhi a mandorla dei cinesi e scherzato sulla loro pronuncia. Ricci prima usa la leva del paradosso: «Il politicamente corretto mi offende nel profondo, sono io che vorrei essere tutelato. Voi offendete la mia religione che prevede la satira. La satira, lo dice il termine stesso, è esagerazione. Ci offendono se ci vogliono limitare nella nostra libertà; così offendono le nostre divinità». Poi diventa serio: «Striscia non ha chiesto scusa, anzi abbiamo denunciato Diet Prada (un account Instagram che si occupa di moda e che aveva contribuito a rendere la protesta virale, ndr): un giudice dovrà giudicare il loro comportamento strumentale, perché a loro interessa stroncare i brand italiani. Lo avevano fatto con Dolce e Gabbana e poi lo hanno fatto con Trussardi, attraverso Michelle Hunziker (moglie di Tomaso Trussardi, ndr). Quella degli occhi a mandorla era una parodia bambinesca. La nostra linea non può essere quella di abbassare la testa: la libertà di prendere in giro è una libertà fondamentale». Ricci racconta anche la sua esperienza ravvicinata con il Covid: «Ero con le cannule della respirazione nel naso e di fianco a me moriva una persona. Ma la forza che avevo quando ero in ospedale era enorme, volevo masticare le flebo; non volevo dargliela vinta a sta bestia». L’ironia poi prende il sopravvento: «Quando ho iniziato ad avere i primi sintomi sono fuggito da Milano e sono andato ad Albenga, avevo paura di incontrare Zangrillo...».
Da liberoquotidiano.it il 23 settembre 2021. L'ideatore di Striscia annuncia di aver "denunciato Diet Prada per quel casino che ci hanno fatto sugli occhietti dei cinesi, per cui un giudice dovrà giudicare il comportamento di Diet Prada che è stato strumentale perché l’attacco non era a Striscia ma a una casa di moda. Michelle non c’entrava niente ma l‘hanno attaccata perché è la moglie di Trussardi. Una settimana prima che a Gerry e Michelle venisse in mente di fare gli occhietti, una cosa bambinesca, su Rai 1 era andata in onda una cosa sui cinesi sulla quale Diet Prada non è intervenuta". Quindi Ricci rivela un ultimo aneddoto: "Il giorno dopo la polemica sui cinesi volevo far fare una gag a Gerry Scotti in cui si diceva che lui aveva mangiato il cane, poi lui non se l’è sentita”.
Da liberoquotidiano.it il 23 settembre 2021. “La figura delle veline ha una sua valenza provocatoria, crea dibattito": Antonio Ricci ha acceso i riflettori sulla nuova edizione di Striscia la Notizia, che partirà lunedì 27 settembre su Canale 5 con la conduzione di Alessandro Siani e Vanessa Incontrada. Nel corso della conferenza stampa, sono state presentate anche le due nuove veline, che dopo ben quattro anni sostituiranno Shaila e Mikaela. Si tratta di Giulia Pelagatti e Talisa Ravagnani, ex concorrenti di Amici. Proprio parlando della loro figura, il padre del tg satirico di Canale 5 ha detto: "Hanno la loro funzione, è chiaro che negli anni ci sono state veline rimaste più nell’immaginario di altre ma questo riguarda tutti. Spesso questo riguarda anche le scelte che hanno fatto dopo". Poi ha sottolineato: "Noi non abbiamo mai fatto scandalo con le veline, non è mai successo un casino con una velina. Questo perché il nostro è un ambiente familiare dove noi cerchiamo di tutelare queste ragazze giovani, mai minorenni. Sono ballerine, grazie anche alla nostra coreografa”. Durante la presentazione delle veline, come riporta il sito di Davide Maggio, la prima a rompere il ghiaccio è stata Talisa: “Il mio nome ha un’origine latina, vuol dire nobiltà”. Giulia invece ha detto: “Siamo state accolte molto bene, con grande entusiasmo. Le persone che lavorano qui ci trasmettono una grande energia. Siamo entrambe onorate, non vediamo l’ora di iniziare”. Ancora Talisa: “Mi aspetto di crescere come artista e come persona”. A un certo punto Ricci ha scherzato con Giulia: “La Barbara D’Urso che è in me vede che potresti piangere dall’emozione”.
· Arisa.
Arisa e il trionfo a «Ballando»: «Il bacio a Vito Coppola? Tra noi c’è grande attrazione». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 20 Dicembre 2021. La cantante vincitrice dello show di Rai1: «Nella danza ero goffa, da ragazza coprivo il corpo: questa è la mia rivincita. Con il mio maestro c’è anche grande affetto». Dice di non essere stata la più brava, ma senza dubbio Arisa, vincitrice dell’ultima edizione di «Ballando con le Stelle» (la finale ha raggiunto il 28% di share), tra tutti i concorrenti è stata la più amata. «È una grande soddisfazione quando ti premiano per qualcosa che non è il tuo lavoro — spiega —. E dire che nel ballo ero abbastanza indietro: sono da sempre scoordinata».
Eppure ha vinto. E nel corso delle settimane sembra essere sbocciata, anche fisicamente.
«Merito dell’attività fisica. In generale, sono come un animale che si adatta all’ambiente esterno: ero circondata dalla bellezza ed è stato spontaneo fare delle azioni che ricercassero il bello».
Inoltre, lavorando sul suo corpo, forse è andata anche oltre certi suoi limiti, no?
«Mi sono sviluppata a nove anni e da allora sembrava che tutti fossero autorizzati a fare commenti sul mio seno o a darmi fastidio. Così ho iniziato a coprirmi. Ne ha risentito anche il mio corpo: avevo una postura ingobbita in avanti. In queste settimane ho capito quanto sia stupido avere vergogna di certe cose».
Cosa ha amato di lei il pubblico?
«Credo il percorso. Molte persone si sono identificate: la perfezione non è di questo mondo».
Oggi può dire di saper ballare?
«Insomma... Devo fare la prova senza Vito (Coppola, il suo insegnante, ndr)».
Si è molto parlato del rapporto tra voi. Lui le ha scritto una lettera, c’è stato un bacio rubato durante una performance... Possiamo chiarirlo?
«C’è affetto, ma anche affinità e sì, grande attrazione. Però, boh, non è il momento di parlarne. Di certo è stato molto importante avere lui al mio fianco perché avevamo lo stesso obiettivo e non volevo deluderlo».
Momenti più belli?
«Quando è venuto mio padre. Poi quando mi sono accorta che la relazione con Vito stava diventando intensa... e inaspettatamente la vittoria».
Qualcosa l’ha fatta arrabbiare?
«Non mi arrabbio mai. Mi ha un po’ ferita Serena Bortone quando mi ha chiesto se fossi intenzionata a girare un film erotico: mi sembrava che una donna avesse frainteso un’altra donna».
Tra gli altri concorrenti, chi era bravo per lei?
«Morgan, Bianca Gascoigne, Sabrina Salerno... ma erano tutti bravi».
Sì ma la coppa a chi l’avrebbe data?
«A me».
Farebbe mai la giurata a «Ballando»?
«Dovrei avere competenze che non ho. Il ballo non è la mia materia e credo non sarei in grado. Ballando è un programma molto di settore».
Perché ha scelto di partecipare?
«Milly (Carlucci, ndr) me lo proponeva da anni: avevo sempre detto no. Ma dopo aver fatto Amici, dove tutti ballavano, mi è venuto il desiderio. Ora vorrei continuare a esercitarmi. Con Milly c’è un grande feeling: con la sua eleganza, serietà e professionalità rappresenta l’Italia più bella, umana e non sguaiata».
Ha confessato di essere stata esclusa da Sanremo.
«Lo avrei fatto volentieri, sarebbe stato un bel coronamento di quest’anno. Mi è venuto spontaneo parlarne, non c’è un pensiero dietro. Ma restano tante cose belle da fare: il 23 è uscito il mio album, “Ero romantica”, è autoprodotto, ci tengo molto e lo voglio promuovere al meglio».
Arisa si sfoga in tv: "Ecco cosa mi dicevano...". Novella Toloni il 5 Dicembre 2021 su Il Giornale. La cantante ha raccontato di avere vissuto un'infanzia difficile, vittima suo malgrado di episodi di bullismo, che però l'hanno aiutata a crescere. È anche grazie al ballo se Arisa è riuscita a esprimere le sue emozioni in un modo diverso dal canto. Lo ha ammesso lei stessa nel corso dell'ultima puntata di Ballando con le stelle, quando la cantante è riuscita a mettere in scena l'emarginazione vissuta quando era solo una bambina: vittima di episodi di bullismo, che l'hanno segnata. Non è la prima volta che Arisa racconta di avere vissuto un'infanzia difficile costellata da episodi di bullismo. Negli ultimi mesi l'artista sta vivendo una trasformazione interiore ed esteriore anche grazie al suo ultimo album e alla partecipazione allo show di Rai Uno. Un periodo che l'ha portata a parlare apertamente e senza filtri delle sue esperienze spesso negative, come quelle legate al bullismo di cui è stata vittima quando frequentava le scuole medie. "Un giorno mi chiama la bidella e mi dice: 'Ti rendi conto che hai fatto?' - ha raccontato a Ballando con le stelle Arisa - C'erano degli insulti molto pesanti verso la maestra firmati a mio nome. Fu un doppio dolore, perché io volevo bene a quella maestra. Non ero stata io. Mi sono sentita impotente, tradita, al di fuori di una cerchia e io non facevo parte di quella cerchia. Non mi consideravano una di loro". La cantante ha raccontato di essersi sentita più volte una esclusa: "Gli altri si sentivano in diritto di farmi quello che volevano, tanto non mi potevo difendere. Mi dicevano sempre che puzzavo". Nel ripercorrere quei momenti dolorosi, Arisa ha svelato di non sentirsi però una "vittima" ma soprattutto di non volere essere considerata tale. Con la performance portata a Ballando la cantate ha voluto esorcizzare un dolore che l'ha segnata ma non piegata: "Mi è servito tantissimo. Anche adesso mi è rimasta quella cosa che non vengo considerata 'una di loro'. Però adesso io ho i mezzi fortunatamente. Il destino mi ha dato la possibilità di avere un megafono dal quale poter dire la mia". Attraverso le sue canzoni e i messaggi che condivide sui social network, infatti, l'artista si fa spesso portatrice di messaggi positivi e moniti contro body shaming, bullismo e l'odio dilagante degli hater sul web.
Novella Toloni. Toscana Doc, 40 anni, cresco con il mito di "Piccole Donne" e del personaggio di Jo, inguaribile scrittrice devota a carta, penna e macchina da scrivere. Amo cucinare, viaggiare e non smetterò mai di sfogliare riviste perché amo le pagine che scorrono tra le dita. Appassionata di
Da fanpage.it il 30 novembre 2021. Arisa è una delle cantanti più ascoltate e seguite in Italia nonché uno dei volti televisivi più chiacchierati del momento. In coppia con Vito Coppola è una delle concorrenti di Ballando Con Le Stelle e lo scorso 26 novembre ha pubblicato il suo nuovo album, Ero Romantica. Non le piace non avere nulla da fare: "Quando ho poco da fare" – confessò in un'intervista – "Cado in depressione, ingrasso, mi taglio i capelli. Sento il bisogno di emozioni, di sentirmi viva". Per questo motivo è sempre stata impegnata in nuovi progetti e lavori sin da quando era appena maggiorenne. A 19 anni Rosalba Pippa ha lasciato casa per trasferirsi a Milano e lì ha trovato la felicità. Prima di salutare la sua Pignola, in Basilicata, ha dovuto lottare contro alcuni problemi arrivati con l'adolescenza. Li ha raccontati ai microfoni di Vanity Fair.
I problemi arrivati con l'adolescenza
Arisa racconta con il sorriso i dettagli riguardo la sua infanzia vissuta con la mamma ed il papà, in una casa sulla collina vicino quella dei nonni. Dopo i primi anni felici con il suo zainetto a forma di koala e le passeggiate lungo la strada sterrata percorsa per andare all'asilo, sono arrivati i problemi. Rosalba ha raccontato di aver vissuto anni di disagio quando i genitori le vietavano di uscire e di vivere esperienze di vita. Questa estrema protezione da parte di mamma e papà ha avuto ripercussioni sulla crescita. Il mio corpo è cresciuto di colpo. Lo sviluppo a nove anni: le forme, il seno, l’altezza. I miei genitori non mi facevano uscire di casa. Erano terrorizzati, mi vedevano come qualcosa di incontrollabile. Anche perché io ero esuberante, molto aperta. Avevano paura che qualcuno potesse farmi del male, che si potesse approfittare di questa mia predisposizione al “vale tutto”, che tra l’altro ancora ho. Mi hanno protetta molto, ma il loro amore mi toglieva le cose che, a quell’età, era normale facessi. Ancora adesso per certi aspetti sono infantile, non sono una navigata.
La ribellione a 11 anni
Arisa decise di ribellarsi alle proibizioni dei suoi genitori ed a 11 anni ha raccontato di essersi fatta fare il primo ‘succhiotto'. "Mio padre mi ha visto il collo, uno shock: "Rosalba, cos’hai fatto?" – ha confessato la cantante – "La prima sigaretta invece a nove anni. Ho subito voluto dirglielo per fargli capire che non ero quella che lui pensava. Nel mentre mia madre girava per la casa urlando: “Stai zitta, stai zitta!”. Da noi si litigava tutti i giorni a causa mia". Ma i divieti non le hanno abbassato le ali: la cantante appena maggiorenne ha preso il volo e si è trasferita prima a Bergamo e poi Milano per farsi strada nel mondo del lavoro. Ad accompagnarla la sua voce, un talento innato per il quale non ha mai preso lezioni. La amo, profondamente. Le devo tutto. È il mio essere più profondo, la mia anima che si apre. Anche se le faccio del male: ogni tanto fumo qualche sigaretta. Ho imparato a cantare da sola, mai preso lezioni. Solo qualcuna dopo il successo, per paura di perdere la voce. Per tanto tempo è stata la solitudine che mi ha insegnato a sentire il mio corpo e a calibrare da dentro tutto quello che mi serve
Da Sanremo a Siffredi: il passo (di Arisa) è breve. Francesca Galici il 29 Novembre 2021 su Il Giornale. Arisa sdogana il porno e risponde "presente" all'interesse di Rocco Siffredi: ma perché questa virata per una delle voci più belle della musica italiana? C'è qualcuno che ancora si ricorda che Arisa è una cantante? Non che il suo album non stia andando bene, anzi, a pochi giorni dall'uscita è sesto nella classifica di iTunes, appena sotto quello di Marracash e di Fedez. Eppure, lei sembra essere la prima a non considerare questa come la sua attività primaria. In queste settimane sta partecipando a Ballando con le stelle e si sta impegnando tanto per conquistare il pubblico, spingendo anche su una componente erotica piuttosto marcata che ha attirato più attenzioni di quanto non abbia fatto il suo album. Non che nei mesi precedenti Arisa abbia dato massima priorità alla sua musica, nel senso che nella scorsa stagione televisiva è stata una delle protagoniste di Amici di Maria De Filippi nell'inedito ruolo di insegnante ma è stata anche a più riprese al centro delle cronache rose per la sua tormentata relazione con Andrea Di Carlo. Ed è forse quello il punto di svolta, quando Arisa ha iniziato a capire di piacere anche in una veste meno vestita (scusate il giorno di parole). Insomma, nonostante sia una delle voci contemporanee più belle, Arisa sembra quasi relegare la musica a un cantuccio. Non che ci sia niente di male, per carità, ma la svolta porno era proprio necessaria? L'interesse di Rocco Siffredi può anche essere lusinghiero da un certo punto di vista ma l'entusiasmo di Arisa per la proposta di fare un film hard a molti ha stupito. "Nel caso la mia professione dovesse prendere una strada un pochino più erotica e sensuale non avrei nessun problema. Soprattutto perché la televisione generalista è piena di pornografia tra le righe", ha commentato Arisa a Ballando con le stelle. Ora, tra un film di Rocco Siffredi e un ammiccamento alla telecamera con un abito succinto in mezzo c'è l'abisso. Ed è proprio quel "tra le righe" la discriminante che rende quanto passa in tv erotico e non pornografico. Che poi Arisa abbia una body confidence straordinariamente elevata non può che far piacere. Evviva le donne che si piacciono e si mostrano per quello che sono, che i loro difetti e imperfezioni, senza voler per forza apparire perfette. Evviva le donne che giocano e sono autoironiche con il proprio corpo senza prendersi troppo sul serio e magari sui social azzardano qualche posa più spinta e ardita. Vi ricordate quando Arisa stupì l'Italia presentandosi per la prima volta a Sanremo con il brano Sincerità? Vinse. Quella canzone diventò un tormentone per mesi e lei, complice il suo look alternativo. Tornò con Malamoreno, poi ancora con il capolavoro La notte e vinse poi con Controvento. E ancora con Guardando il cielo, Mi sento bene e nell'ultima edizione con Potevi fare di più. In mezzo un viaggio straordinariamente variegato nel look e nella personalità. Ma da Sanremo a Siffredi, ormai, per Arisa il passo sembra essere breve.
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Arisa, la proposta di Rocco Siffredi: “Sono pronta, non avrei nessun problema”. Chiara Nava il 28/11/2021 su Notizie.it. A Ballando con le Stelle Arisa sta mostrando tutta la sua sensualità ed è la favorita. Sembra aver preso bene la proposta ricevuta da Rocco Siffredi. A Ballando con le Stelle la cantante Arisa e Sabrina Salerno si sono sfidate a colpi di sensualità, per contendersi i 30 punti a ritmo di bachata. Due performance davvero ottime, anche se la cantante è già una delle favorite. Arisa ha conquistato tutto il pubblico ed è sicuramente una delle più chiacchierate di questa edizione. Questo anche grazie alla straordinaria complicità che si è creata con Vito Coppola. La coppia sta facendo impazzire tutti, ma loro hanno precisato che la passione è solo sul palco. La coppia riesce a mostrare nelle sue performance una complicità unica, ma anche una grande sensualità. Nella puntata andata in onda sabato 27 novembre si sono esibiti su “Acqua e Sale” e alla fine è scattato ancora una volta il bacio. “Ma come faccio a non baciarlo? Una volta che stai lì il bacio ti parte” ha commentato Arisa, molto meno timida della vosta precedente. “Ero timida” ha dichiarato lei stessa, ma ora sembra davvero molto diversa, pronta per una svolta sexy. Rocco Siffredi l’ha notata e la vuole in uno dei suoi film. I giudici sono rimasti molto colpiti dal cambiamento di Arisa. Selvaggia Lucarelli ha paragonato le due prove appena viste a due film erotici. Arisa, però, tra i due è quello amatoriale. “Se la mia professione dovesse prendere una strada erotica non avrei nessun problema” ha dichiarato la cantante. “A me è piaciuta la amatoriale” ha ironizzato Ivan Zazzaroni. “C’è tanto porno in tv, quindi perché non fare un film vero?” ha concluso Arisa. Accetterà la proposta di Rocco Siffredi?
La metamorfosi di Arisa: da bambina ingenua a sexy diva. Da "Sincerità", l'esordio come ragazzina timida con gli occhiali, sul palco del Festival di Sanremo ad "Erotica", brano del suo ultimo album in uscita il 26 novembre che la vede sexy e irriverente sui social. Maria Assunta Castellano su Il Quotidiano del Sud il 23 novembre 2021. Era il 2009 quando sul palco del teatro Ariston salì una giovane Rosalba Pippa, in arte Arisa, che si presentò al pubblico con un caschetto nero, occhiali spessi, una riga di eye-liner e rossetto rosso delicato. Cantava “Sincerità”, canzone dolce e fine, adatta a quella ragazza che si esibiva tenera con le mani dietro la schiena. E vinse il Festival, nella categoria Nuove Proposte. Sono passati 12 anni e quella ragazzina adesso è diventata una donna. La voce è sempre tra le più raffinate e impeccabili del panorama musicale italiano. In questi anni ha vinto altri Sanremo, ne ha anche condotto uno e l’abbiamo vista in numerosi programmi televisivi in ruoli sempre diversi ma tutti portati a casa magistralmente. Dodici anni in cui ha fatto spesso parlare di sé. Ma è in quest’ultimo periodo che Arisa è esplosa come bomba sexy. E assieme a lei sono esplosi anche i suoi social. Possiamo dimenticarci dunque della tenera ragazzina con gli occhiali, adesso Arisa è in tacchi vertiginosi e calze a rete. Noto a tutti è il percorso che l’artista ha fatto negli ultimi anni; un percorso di accettazione e consapevolezza di sé. Ne aveva già parlato sui social e in tv, annunciando finanche la possibilità di fare un calendario senza veli. Poi l’annuncio della partecipazione al Festival di Sanremo 2021 dichiarando “Ho bisogno di vedermi sempre diversa” . L’abbiamo vista cambiare spesso pettinatura e colore di capelli, e anche il suo look ultimamente è sempre diverso. Adesso però tira furi anche il suo lato più sexy. L’Arisa più “Erotica”, per citare il titolo di uno dei brani presente in “Ero romantica”, album dell’artista che uscirà il 26 novembre. Sui social si mostra semi nuda, in intimo seducente, con tacchi a spillo e calze a rete, in pose sexy e sguardo provocante. E così il mondo del web impazza per quella Rosalba non tanto più ingenua (almeno all’apparenza) ma molto sensuale. Che sia marketing per promuovere il nuovo album? Si potrebbe pensare. Ma da tempo l’artista aveva annunciato di voler mettere in mostra questo suo lato più sfacciato. Il risultato di un lungo percorso di accettazione del suo corpo. E come lei stessa scrive sui social: “C’era una volta una morbida felicità che non voleva più restare nascosta”. Un monito per se stessa ma anche un messaggio per tutte quelle persone si vergognano del loro corpo. E che dovrebbero solo imparare ad accettarlo e ad apprezzarlo. Proprio come ha fatto Arisa.
Estratto dell'articolo di Ferruccio Gattuso per "il Giornale" il 23 novembre 2021.
[…] Dunque ingenua, angelica, procace. Arisa è tutto questo […]
Ero romantica, titola e canta: ora, come si sente?
«In realtà quell'Ero è un gioco di parole. Significa erotica. Perché la verità è che il disco lo volevo intitolare Porno Romantica, ma purtroppo in Italia ci sono ancora problemi a gestire certe cose. Qui nessuno ti avrebbe detto che il titolo era forte, poi però non ti avrebbero passato il disco. Tenendo conto che dovevo andare in Rai a Ballando con le stelle...».
Dove lei e il ballerino Vito Coppola, per dire, vi siete scambiati in diretta quello che sembrava un french kiss.
«Mia madre mi ha detto: se son rose fioriranno. A parte gli scherzi, io sono fatta così: ci sono cose che fai perché te le senti. […]».
[…] Nell'ultimo anno lei ha partecipato ad Amici, Sanremo, Ballando con le stelle e ha sfornato un nuovo album: le piace lavorare?
«Più che altro quando ho poco da fare cado in depressione, ingrasso, mi taglio i capelli, insomma sento il bisogno di emozioni, di sentirmi viva. Anche di dare un bacio in diretta senza sapere cosa sia».
[…] «[…] per anni, fin da Sincerità al mio primo Sanremo, mi sono vergognata della mia procacità. Cercavo di mascherarla. Ora penso che, a trentanove anni, ho ancora pochi anni per dimostrare che posso essere attraente. Se oggi mi chiedessero di fare un film erotico, avrei la tentazione di dire di sì». […]
Da adnkronos.com il 4 agosto 2021. Duro sfogo di Arisa contro Dagospia dopo i rumors pubblicati dal noto sito web diretto da Roberto D'Agostino che titola: " 'Amici', si cambia. La strampalata Arisa non sarà presente nella nuova edizione " e che parla di "un lungo tira e molla" tra la cantante e 'Amici' che "ha fatto arenare una complicata trattativa", al suo posto ci sarà Lorella Cuccarini che ha "accettato la sfida spostandosi sul canto -si legge poi su Dagospia - al suo fianco la new entry Raimondo Todaro, l'ex 'Ballando con le Stelle'". "Io non sono sgangherata -replica Arisa sulle sue storie di Instagram - sono un'artista e tu? Qualcuno lo sa come sei tu? Ti giudica? Ti piacerebbe sentirti giudicato sempre? Sgangherato è un termine che non mi rappresenta, psyco sì - prosegue - scrivi psyco e promuovi la musica invece di tentare di affondare la gente''. Ma lo sfogo di Arisa non finisce qui: "'Ciuccio' - chiosa la cantante - non parlare di ciò che non sai e fatti i ca... tuoi''.
Amici, raptus di Arisa contro Dagospia: "Ma tu chi sei? Fatti i ca*** tuoi". Libero Quotidiano il 04 agosto 2021. Dagospia dà la notizia dell'addio di Arisa ad Amici e Arisa va su tutte le furie. La cantante ed ex professoressa di canto nel talent show di Canale 5 non avrebbe apprezzato il modo in cui il sito ha riportato la notizia. Ieri in un flash di Giuseppe Candela si leggeva: "La strampalata Arisa non sarà presente nella nuova edizione. Un lungo tira e molla ha fatto arenare una complicata trattativa". E pare che proprio l'aggettivo "strampalata" non sia piaciuto all'artista. Arisa così ha deciso di rispondere tramite Instagram stories: "Io non sono sgangherata. Sono un'artista. E tu? Come sei? Qualcuno lo sa come sei tu? Ti giudica? Ti piacerebbe sentirti giudicato? Sempre??? Sgangherato è un termine che non mi rappresenta. Psyco sì. Scrivi Psyco e promuovi la musica invece di tentare di affossare la gente. Ciuccio non parlare di ciò che non sai e fatti i ca*** tuoi". A questo punto il sito replica precisando innanzitutto che la notizia data non ha ricevuto smentite: "Nemmeno la tonitruante Arisa fornisce una smentita diretta o una versione alternativa". Poi Dago fa un appunto lessicale: "Nessuno ha definito Arisa “sgangherata”. Prego, leggere meglio. Abbiamo scritto: 'strampalata'. Ma la Pippa nazionale evidentemente aveva fretta di ringhiare su Instagram e non ha decodificato cosa avevamo scritto". E infine conclude: "Se Arisa non vuole si parli di lei, se non vuole essere giudicata per il suo lavoro, se non gradisce la pubblicazione di notizie (tra l'altro vere e non smentite) può decidere di aprire una merceria. Di cantanti, divette, svippati e sportive che sprizzano indignazione per ogni riga dedicata a loro ne abbiamo pieni i cabasisi".
Dagospia il 3 agosto 2021. CANDELA FLASH! - "AMICI", SI CAMBIA. LA STRAMPALATA ARISA NON SARÀ PRESENTE NELLA NUOVA EDIZIONE. UN LUNGO TIRA E MOLLA HA FATTO ARENARE UNA COMPLICATA TRATTATIVA. CHI PRENDERÀ IL SUO POSTO? LORELLA CUCCARINI HA ACCETTATO LA SFIDA SPOSTANDOSI SUL CANTO - AL SUO FIANCO LA NEW ENRTY RAIMONDO TODARO, L'EX BALLANDO CON LE STELLE DA TEMPO SI PROPONEVA ALLA CONCORRENZA...
DAGONEWS il 5 agosto 2021. Ci vorrebbe solo un'anguria, magari un mojito, per mandare al tappeto questo agosto. Invece no. C'è sempre qualche bega a cui badare, una polemica da rintuzzare, fedeli all'andazzo per cui "ogni mattina s'arza un fregno" e c'è da scazzottare. Per carità di patria e spirito di servizio, raccogliamo schegge di pazienza che il solleone e le zanzare hanno frantumato e stavolta rispondiamo ad Arisa, alias Rosalba Pippa, l'usignolo di Basilicata. Ieri il nostro Giuseppe Candela ha lanciato una notizia-flash, che di seguito riportiamo: "Amici", si cambia. La strampalata Arisa non sarà presente nella nuova edizione. Un lungo tira e molla ha fatto arenare una complicata trattativa. Chi prenderà il suo posto? Lorella Cuccarini ha accettato la sfida spostandosi sul canto - al suo fianco la new entry Raimondo Todaro, l'ex 'Ballando con le stelle' da tempo si proponeva alla concorrenza...".La cantante scanzonata dopo una frettolosa lettura di questo disgraziato sito deve aver allineato i pensieri spettinati decidendo di replicare con una storia su Instagram: "Io non sono sgangherata. Sono un'artista. E tu? Come sei? Qualcuno lo sa come sei tu? Ti giudica? Ti piacerebbe sentirti giudicato? Sempre??? Sgangherato è un termine che non mi rappresenta. Psyco sì. Scrivi Psyco e promuovi la musica invece di tentare di affossare la gente. CIUCCIO NON PARLARE DI CIÒ CHE NON SAI E FATTI I CAZZI TUOI". Un re-flusso di coscienza con il quale, nella confusione generale, ha persino taggato un account instagram farlocco che non ha nulla a che vedere con Dagospia ("dago.spia", che non è riconducibile al sito). Ah, che somma pazienza arma la nostra penna! Dunque, in ordine sparso:
1) La notizia pubblicata da Dagospia non ha ricevuto smentite, anzi la confermiamo. Nemmeno la tonitruante Arisa fornisce una smentita diretta o una versione alternativa. La trattativa, complicata e con tira e molla, ha avuto esito negativo. E' un fatto. Una notizia. Questo sito ha ancora la brutta abitudine di pubblicarne senza chiedere il permesso.
2) Nessuno ha definito Arisa "sgangherata". Prego, leggere meglio. Abbiamo scritto: "strampalata". Ma la Pippa nazionale evidentemente aveva fretta di ringhiare su Instagram e non ha decodificato cosa avevamo scritto. Non andremo a scomodare la Treccani o lo Zingarelli per squadernare significati e sinonimi. Lo lasciamo agli indignati di buona volontà. Arisa preferisce, come ha scritto, essere definita Psyco (come il titolo di un suo brano). Sicuramente apprezza di più anche il titolo di Tv Sorrisi Canzoni, "E ora canto la rivincita dei tipi un po' strani", che ha rilanciato con tanto di ringraziamento. Un po' strano sì, "strampalata" no. De gustibus ma anche sticazzibus.
3) Considerazioni finali, varie e avariate. Se Arisa non vuole si parli di lei, se non vuole essere giudicata per il suo lavoro, se non gradisce la pubblicazione di notizie (tra l'altro vere e non smentite) può decidere di aprire una merceria. Di cantanti, divette, svippati e sportive che sprizzano indignazione per ogni riga dedicata a loro ne abbiamo pieni i cabasisi. Se non vi regge la pompa, ascoltateci per Zeus!, buttatevi sul bricolage. La notorietà, la fama, il successo, l'esposizione social, sono per chi ha le s-palle per reggerle. Con la ribalta e le passerelle ci si cucca anche le rogne, le polemiche, le critiche o le notizie. Fa parte del mestiere, anime belle. Ai risentiti, agli stizziti dal palato delicato o ai cuori di panna che ostentano le tette ma guai a farlo notare, consigliamo nuova occupazione. Di braccia forti han bisogno i cantieri.
LO SFOGO DI ARISA CONTRO DAGO: ''INVECE DI AFFOSSARE LA GENTE PROMUOVI LA MUSICA''. Da adnkronos.com il 3 agosto 2021. Duro sfogo di Arisa contro Dagospia d opo i rumors pubblicati dal noto sito web diretto da Roberto D'Agostino che titola: " 'Amici', si cambia. La strampalata Arisa non sarà presente nella nuova edizione " e che parla di "un lungo tira e molla" tra la cantante e 'Amici' che "ha fatto arenare una complicata trattativa", al suo posto ci sarà Lorella Cuccarini che ha "accettato la sfida spostandosi sul canto -si legge poi su Dagospia - al suo fianco la new entry Raimondo Todaro, l'ex 'Ballando con le Stelle'". "Io non sono sgangherata -replica Arisa sulle sue storie di Instagram - sono un'artista e tu? Qualcuno lo sa come sei tu? Ti giudica? Ti piacerebbe sentirti giudicato sempre? Sgangherato è un termine che non mi rappresenta, psyco sì - prosegue - scrivi psyco e promuovi la musica invece di tentare di affondare la gente''. Ma lo sfogo di Arisa non finisce qui: "'Ciuccio' - chiosa la cantante - non parlare di ciò che non sai e fatti i ca... tuoi''.
LA CONTRORISPOSTA DI ARISA A DAGOSPIA il 4 agosto 2021. C’ha ragione Dagospia che so’ tutta sgangherata. Mi sono arrabbiata troppo, non dovevo farlo. Oggi ha risposto, mi ha chiamato “svippaata”, io non so svippata, volevo diche faccio la cantante faccio dischi, faccio musica, faccio concerti, non è che so proprio l’ultima svippata, però ci sta. Io l’ho chiamato ciuccio, lui m’ha chiamato svippata. Però volevo sottolineare che io faccio vedere le tette perché voglio che se ne parli, non perché non se ne parli. Tiè! Comunque ho adorato il modo in cui mi hai asfaltato, pertanto vi lascio lo swipe up. Probabilmente l’agricoltura ha bisogno delle mie braccia, potrebbe essere…
CANDIDA MORVILLO per iodonna.it l'1 maggio 2021. Le chiedi in che momento della vita è e Arisa risponde: «Contenta. Felice. Con un ragazzo che mi ama. Ha presente la persona che la chiami e ti racconta tutto quello che ha fatto? La persona che ti cerca? Che ti dice: mi manchi? O: sei bella?».
«Andrea c’è fin troppo».
Non dovrebbe essere la normalità in una coppia?
Non lo è. A volte, stiamo con persone che si disinteressano di noi e, se non hai un’autostima forte, è un casino, arrivi a pensare di non valere niente. Dirci che dobbiamo amare noi stesse sono belle parole, ma prima o poi, come riscontro, deve arrivare chi apprezza l’amore che hai per te. A Sanremo, ha cantato Potevi fare di più, dove c’è un lui indifferente che non la guarda, non l’ascolta. Lei arriva a casa e le fa festa solo il cane. Non c’è cosa più brutta per un essere umano che amare qualcuno per il quale sembra che tu sia invisibile. Invece, Andrea c’è. Fin troppo.
Andrea Di Carlo, manager di personaggi della tv, è il suo compagno da sette mesi. In che senso «c’è fin troppo»?
Perché quando una persona c’è tanto, qualcuno può dire: attenzione, ti controlla. Invece, non si tratta di controllo, ma di cura e io amo questa cura.
Mi faccia esempi di “cura”.
La cura è: sta’ attenta, che c’è lo scalino. La cura è che, se mi vuole fare un regalino, sa cosa mi piace. Lui sa cosa piace a me, io cosa piace a lui. La cura è sentire che lui è con te, anche se è a distanza. È la prima volta che mi succede. Lui pensa a cosa devo fare, a dove devo andare.
«Torno da Amici in loop»
Perché in passato ha accettato uomini che le davano poco o l’amavano poco?
Perché pensavo di meritare poco. Poi, quando stai con persone irrisolte, ti fanno pesare tutto quello che fai. Al contrario, con uno risolto, tu pensi di aver sbagliato qualcosa, ma lui nota ciò che hai fatto di buono. A volte torno a casa stanca, o torno da Amici ancora in loop, carica di adrenalina. Allora, ordino la pizza più buona. Chiedo scusa se sono distratta e lui: ma quali scuse se mi hai fatto mangiare la pizza migliore del mondo? Lui capisce che quella pizza era il mio modo per dirgli ti amo.
Altri modi per dirsi «ti amo»?
Lui russa, ma a te non dà fastidio. La consistenza del suo corpo è affine al tuo sonno. E anche se ti dice una cosa un po’ vera e un po’ no, poi, vuota sempre il sacco, perché chi ti mente non ti ama, vede il suo percorso separato dal tuo.
Come vi siete conosciuti?
Mi ha chiamato a fare un po’ di tv. Eravamo al ristorante, con altri, la prima cosa che ho notato è che è instancabile, appassionato. Guardavo solo lui e pensavo: ma vedi questo come ci sta dentro, quante cose super dice, ma che fenomeno. Si era anche appena lasciato con un ragazzo e l’ho subito visto come un fuoriclasse nel modo di vivere la vita, nel prendersi quello che vuole.
Sapevo che ha un’ex moglie, tre figli, non che avesse un ex.
Aveva avuto un fidanzato per molto tempo, ma la cosa non mi ha fatto paura. So che sono di passaggio su questa terra, per cui la vita voglio viverla appieno. Quando parliamo della sessualità, siamo tutti filosofi, tutti bravi a dire che l’amore non ha sesso, ma quando arriva il tuo momento, che fai? Ti tiri indietro?
Dei ventenni si dice che sono una generazione fluida, lei ha 38 anni: che accoglienza ha trovato? Qualcuno ha espresso dubbi?
Tantissimi… I dubbi li avevano gli stessi amici per i quali avevo manifestato in piazza per i diritti Lgbt. Mi hanno detto che, tanto, Andrea era gay, che mi avrebbe tirata scema. Invece no, lui è una persona molto libera e l’amore, quando arriva, lo senti e ti leva tutte le paure. E, se una persona ti ama, te ne accorgi.
Che cos’è per lei la libertà?
Il mio progetto di vita. Io voglio lavorare tanto e stare bene col mio. Se il mio uomo mi ama e mi lascia libera di fare la mia musica, senza chiamare troppo, senza essere geloso, sono soddisfatta perché mi regala le ali con cui posso volare. Volare è la cosa più bella ce c’è e vuoi sempre tornare a casa.
Su Instagram lei ha scritto che ha trovato un uomo che le ripete un milione di volte che è bella e che, anche per questo, si piace più che a vent’anni.
Alla fine, stare bene con una persona fa sì che stai bene con tutto il resto del mondo. Ho avuto un rapporto tormentato col corpo. Prima, il mio seno era un problema, adesso, anche se è meno tonico che a vent’anni, mi piace. Da piccola, poi, ero goffa. C’è stato un momento che vestivo tutta di jeans con la coda alta, tipo Madonna, e mi bullizzavano proprio.
Mentre posava per le foto di queste pagine, si è raccomandata di non snellire il braccio, di lasciarle un rotolino. Questo orgoglio del corpo è una conquista recente?
Io, di mio, sarei sempre stata così, però in certi periodi ho avuto vicine persone che erano i primi miei giudici. Da lì, le diete, oppure mi sono ritoccata le labbra, ma il problema non erano le labbra: era che mi sentivo congelata, non riuscivo a fiorire, non mi sentivo amata. Invece, avere accanto qualcuno che ti fa sentire bella ti affranca dal dubbio di non esserlo.
Che cosa la spaventava così tanto?
L’invidia. Quando sei una persona umile, nessuno ti invidia. E l’invidia fa sì che le persone siano cattive con te e che tu devi passare il tempo a difenderti e non sai di chi fidarti. Comunque, il rapporto si è logorato, come avevo previsto.
Però, lei è diventata una star, ha vinto quel primo Sanremo, poi uno da Big con Controvento, ha messo a segno successi come La notte, L’amore è un’altra cosa, Meraviglioso amore mio; ha cantato a Tokyo, a New York. Non l’aveva mai sognato da ragazzina?
Mi piaceva cantare, ma non è che sognassi di fare la cantante. Io, a Pignola, il paesino della Basilicata dove sono cresciuta, ho sempre sognato l’amore, di essere bella, di far innamorare i ragazzi che mi davano filo da torcere. Solo dopo ho capito che fare la cantante mi piace molto. Mi piace stare su un pezzo, crearlo, stare sul palco. Da un anno, ho anche una mia etichetta.
Che cos’è “a’ bucia”, la bugia, della sua nuova canzone in napoletano, Ortica?
Ortica l’ho scritta io, testo e musica: è la storia di una donna che si è messa a disposizione del suo uomo e viene trattata come fosse un’ortica. La bugia è lui che le dice «amore ti vorrò per sempre» e poi se ne va via.
Ho letto di un vostro matrimonio fissato per il 2 settembre, è così?
Andrea corre. Io lo voglio sposare, ma non come vuole lui, con un matrimonio importante, ma con le nostre famiglie, a Pantano di Pignola. Poi, dopo, una festa con gli amici si può anche fare, ma il matrimonio è bello in purezza. E, se posso dire, anche in povertà. Lo immagino come un regalo ai miei genitori, gli esseri umani più straordinari della terra.
Che cosa hanno di così speciale?
Mia madre profuma sempre. Per dire. Cucina e sembra che fa le pozioni. Mi fa passare il mal di testa accarezzandomi i capelli. Mio padre sa fare tutto, erge le case, ha un rapporto di empatia con gli animali, la natura, il cielo. Sono due persone sapienti. Mio padre, nei campi, è stilosissimo, in canottiera, camicia e collana con la croce. Ho regalato una collana uguale ad Andrea. Una volta che mi ha fatto arrabbiare, gliel’ho strappata.
Avete litigato pure via social: lui ha detto che non la sposava più, lei ha detto al Corriere della Sera che lui non può essere antipasto, primo secondo, ma solo il dessert.
Ora, secondo me, non litigheremo più. Perché io ho capito cosa lui mi chiede e lui ha capito cosa gli chiedo io. Io ho lasciato un po’ di terreno e lui pure. A lui, per capirmi, serve molto venire dai miei genitori, vedermi lì.
Cosa può capire vedendola nel paesino?
Che c’è un diritto alla libertà che non lede l’altro e che la mia libertà si ciba di cose piccole: i miei cani, la natura, i miei genitori, perché non possiamo stare sempre io e te, tu e io. Lì mi vedi e capisci che la mia vita è fatta di quelle cose semplici esattamente come è fatta dell’incontro con persone sulla linea d’onda della mia creatività, però capisci anche che io sono sempre con te, che tu sei “un posto”, il posto in cui sono felice.
Dagonews il 18 marzo 2021. La riscossa del maschietto che non accetta di essere trattato come un tiramisù. Il “non ci sto” di Andrea Di Carlo, che ha mollato Arisa a pochi mesi dal matrimonio, ha fatto godere migliaia di maltrattati&maivissuti. Quella che all’inizio era sembrata la classica fuga dall’altare dell’eterno Peter Pan, si è rivelata una reazione orgogliosa (e un po’ orgogliona) di un uomo stanco di essere confinato alla periferia di una non-relazione sentimentale. La cantante ha spiegato l’origine dei loro conflitti: “Mi ha fatto tanti doni, mi ha trattato come una principessa, ma la musica è la mia vocazione e lui non può intromettersi prepotentemente nella mia vita lavorativa e artistica. Lui non può essere antipasto, primo e secondo; non può essere tutta la cena. Può essere il dessert”. Quanti uomini si sono rivisti nello scatto d’orgoglio di Di Carlo che si è scrollato dosso l’immagine molle e flaccida del tiramisù. Gli si perdona anche la caduta di stile di essersi ripreso gli anelli che aveva regalato alla sua amata di fronte a questo sussulto virile. Un grido ribelle nei confronti della donna che ha la pretesa di incastrare il proprio partner nel proprio bouquet di impegni tra la palestra del giovedì, il sushi del venerdì e l’estetista del sabato. Le donne e le femministe che ora esultano per le dichiarazioni di Arisa sono le stesse che in passato criticavano gli uomini consacrati alla carriera che non avevano tempo da dedicare alla partner? Se una donna insegue la sua vocazione (maggioritaria?) considerando l’uomo un dessert è libera e autonoma. Se, a parti inverse, lo fa il maschio, invece, cos’è?
Arisa e l'ex fidanzato, "alle due e mezza di notte lei...": un retroscena privatissimo sugli attimi prima della rottura. Libero Quotidiano il 21 marzo 2021. Ho perso il segno nella questione amorosa tra Arisa e Andrea Di Carlo. Lei era andata da Mara Venier a «Domenica in», aveva pianto, e s' è detta innamorata, ma non ha detto il nome di Andrea. Lui per questo si è arrabbiato, ma la sera erano insieme da lui, però alle due e mezza di notte lei lo ha lasciato solo per andare dai suoi cani anche se in casa c'era la sorella Sabrina, che le farà da agente e lui s' è offeso di nuovo. Che succederà ancora? Io punto sul ritorno: si amano. Arisa ci ricasca. Dopo le foto del seno, su Instagram torna e pubblica uno scatto a dir poco bollente. Ancora una volta la didascalia è "Body, più positive di così?". Nell'immagine la cantante reduce da Sanremo si fa immortalare sul letto: tacco mozzafiato, intimo nero e unghie rosse. Inutile dire che i commenti sono tutti complimenti, soprattutto per il suo amare se stessa. Alcuni però vedono nella scelta una vera frecciatina all'ex fidanzato che, a un passo dal matrimonio, l'ha lasciata. Andrea Di Carlo, questo il suo nome, avrebbe dovuto convolare a nozze con l'artista tra qualche mese, ma adesso è saltato tutto e la cantante si è lasciata andare a un duro sfogo con tanto di video in lacrime sui social: "Non può essere antipasto, primo e secondo, non può essere tutta la cena, ma il dessert". Un'uscita che non è piaciuta a Caterina Collovati: "Arisa piange, ma non esita a definire il fidanzato un dessert per lei. Ritengo questa un’espressione infelice". Eppure per la cantante la decisione dell'ex è stato un vero fulmine a ciel sereno. Proprio pochi giorni prima Arisa aveva pubblicato una foto privatissima con la domanda: "Vi piacciono le mie t***?”. Poi la professoressa di Amici aveva spiegato il suo gesto, dimostrando di aver attraversato momenti difficili a causa del suo fisico: "Quando ero piccola il mio seno era un grande problema. Stasera mi guardavo allo specchio e pensavo a quanto mi piace adesso - scriveva - è meno tonico di quando avevo 20 anni, e ha qualche smagliatura che adesso trovo deliziosa. Ho incontrato un uomo capace di ripetermi che sono bella un milione di volte al giorno e ho imparato dalla mia storia precedente che i complimenti non vanno rifiutati". Poi però la bruttissima sorpresa.
Da leggo.it il 18 marzo 2021. Qualche giorno fa Arisa, lasciata dal fidanzato Andrea Di Carlo che avrebbe dovuto sposare tra qualche mese, si è lasciata andare ad un duro sfogo con tanto di video in lacrime sui social. Di lui aveva detto: «Non può essere antipasto, primo e secondo, non può essere tutta la cena, ma il dessert». Parole che non sono piaciute a Caterina Collovati, che in un post sul suo profilo Instagram ha bacchettato la cantante, reduce dalla sua partecipazione al Festival di Sanremo. «Arisa piange, ma non esita a definire il fidanzato un dessert per lei. Ritengo questa un’espressione infelice... - scrive la Collovati nel suo post, corredato da una foto di Arisa che si mostra commossa - E se fosse stato un uomo a definire così l’importanza di una fidanzata? Avremmo trovato scandaloso il termine se non addirittura sessista tanto per cambiare. Per una volta sto dalla parte del maschio». Già lo scorso agosto la Collovati aveva avuto da ridire su Arisa, quando quest'ultima postò sui social una sua foto in bikini, con il seno prosperoso e qualche 'rotolino' in vista, per far capire che non si vergognava affatto del suo corpo e di qualche (pochi) chilo in più. «La moda del poitically correct ha rimbambito tutti... body positivity e balle varie, che noia! - scriveva Caterina - Ciò che balza all’occhio in questa foto non sono i rotolini di ciccia di Arisa che trovo anche divertenti. È quel pube sbattuto in faccia al lettore che mi pare fuori luogo».
Maria Volpe per il "Corriere della Sera" il 17 marzo 2021. Rosalba, ben più nota come Arisa, ieri si è svegliata, è uscita con i suoi cagnolini, ha fatto la spesa «come milioni di donne» e si è messa a cucinare. A sentirla sembra di ottimo umore, nonostante il suo ex fidanzato Andrea Di Carlo, domenica, subito dopo l' intervista rilasciata da Arisa a Mara Venier, abbia dichiarato pubblicamente : «Il matrimonio è annullato, mi sono ripreso l' anello». Fine della storia con Rosalba.
Arisa che è successo?
«Lui si è arrabbiato molto perché a Domenica in non ho pronunciato il suo nome mentre parlavo della mia vita con Mara Venier. Ma io gli ho sempre chiesto riservatezza, lui invece ha sempre raccontato tutto di noi. Io ho messo anche delle stories su Instagram, perché altrimenti lui sosteneva che non lo amavo abbastanza, che mi vergognavo di lui. Ma non è così. È che le relazioni quando sono sovraesposte finiscono».
Ma lei cosa sente davvero, cosa prova, cosa pensa?
«Aspetto che gli passi, ma non cambio la mia posizione. Io non sto facendo nulla di male. Lui ha un lavoro molto impegnativo, una ex moglie, tre figli, e io ho accettato tutto. Ma anche io ho una famiglia, ho mia sorella, la mia assistente, il mio staff. Faccio la cantante e lui deve saper accettare il mio mestiere. Deve rispettare le mie scelte e non può dire "o me, o tutto il resto". Sono una donna molto indipendente».
Le nozze erano previste il 2 settembre, ma lui dice che lei non si vuole impegnare.
«Penso che nell' amore occorra saper aspettare. Quando ti metti con una cantante devi sapere che ci sono impegni da rispettare. È vero che quando ci siamo conosciuti io ero più libera, ma comunque lui è sempre stato frettoloso, e io mi sono fatta trascinare. Lui è una persona straordinaria, divertente, generosa, ma dopo sei mesi è prematuro decidere di convolare a nozze. Io, con amore, ho cercato di fargli capire che era troppo presto. Gli sono stata vicina, ma di più non posso. Non sono nata per dedicarmi a lui totalmente. Tutti gli uomini che ho avuto mi hanno lasciato la mia libertà».
Lui non la lasciava libera?
«Sì, ma me lo faceva notare ogni giorno».
C' è margine per recuperare questa storia o no?
«Lui deve capire che sono fatta così. Sono stata devota, sempre dalla sua parte, e gli voglio tanto bene. Però io ho la mia vita, non posso buttare tutto nel cesso e non voglio un uomo che mi mantenga. Ho costruito tanto nella mia vita con fatica, ora non posso permettere che qualcuno arrivi e pensi di risolvermi la vita come vuole lui . Non posso».
Quindi non è tormentata?
«No, sono in pace con me stessa. Ho dato molto in questa relazione».
E la storia dell' anello che si è ripreso?
«Lui è un uomo molto generoso. Mi ha regalato tanti anelli che si è ripreso e sono contenta che se li sia ripresi. Meglio così, perché erano sempre oggetti del contendere. Mi ha comunque fatto tanti doni, mi ha trattato come una principessa, ma la musica è la mia vocazione e lui non può intromettersi prepotentemente nella mia vita lavorativa e artistica. Lui non può essere antipasto, primo e secondo; non può essere tutta la cena. Può essere il dessert. Se lo capisce presto, bene: io sono qua. Se lo capisce tardi, si arrangia».
Vi sentite?
«L' ho chiamato nella notte per sapere come stava e lui mi ha ribadito che non vuole tornare con me».
Lui è anche il suo manager. Ciò rende tutto più complicato.
«Lui si occupa solo del mondo televisivo e mi ha introdotto ad Amici e lo ringrazierò per sempre, perché è un programma in cui mi sento bene, sto bene con tutti, con i prof, con i ragazzi che si fidano di me. E poi c' è Maria De Filippi che è la mia luce, una grande donna. Per il resto sulla parte musicale io ho tante persone attorno a me. E lui non voleva "condividermi" con nessuno».
A Sanremo ha cantato «Potevi fare di più» scritto da Gigi D' Alessio.
«Un bellissimo brano, un grido di dolore ma che non c' entra con la mia storia sentimentale. È legato alla situazione femminile, alla quota di dolore insita nell' essere donna. Devi sempre dimostrare qualcosa, farti valere, combattere con canoni estetici».
È un grido per incoraggiare le donne allora.
«Sì, dico alle donne: forza e coraggio! Chi ci ama sta con noi; non abbiamo bisogno di chi non ci ama abbastanza. Possiamo stare da sole».
Concita Borrelli per "il Messaggero" il 17 marzo 2021. Sabato 9 gennaio ore 9.31. Arisa posta una foto languida. Lei è sveglia, nel letto. Totalmente nuda, intuiamo. Alle sue spalle, lui che dorme. Nudo, speriamo. Volti appagati. Visibilmente appagati. Non diremo after sex perché fa medicinale. Noi diremo caldo. Uno scatto caldo come solo un risveglio in due può restituire. Ne sentivamo la nostalgia. Dopo quel selfie di Elisa Isoardi con accanto l' allora ministro dell' Interno, Matteo Salvini, che ci aveva trafitto gli occhi e non solo, eravamo orfani di stanze bollenti. Anche se quella foto venne postata per dirsi Addio. Non curante la showgirl, ora naufraga sull' Isola, della non bella figura che ci fece. Un uomo delle istituzioni, a torso nudo, in preda ad un sonno pacificato non può essere postato. Fu una sciatteria all' Italia tutta. Andrea Di Carlo, l' ormai ex di Arisa, non è Salvini. Può dormire tutti i sonni che vuole sul web. Di lui sappiamo poco, ma presto ne sapremo sino a stancarci perché non si risparmierà in interviste e ospitate. Ad oggi neanche la voce conosciamo, ci siamo comunque sciolti di tenerezza davanti a questo amore nuovo. Travolgente. Tra l' artista brava, in cerca d' identità di cigno (si piace a giorni alterni, cambia look di ora in ora) e il manager in gamba, anche bello e capelloso. E sì che ci avevamo creduto. Arisa è femmina inquieta. Originale. Intelligente. Chiede alla vita. Ama e disprezza. Vince e perde. E sapere che tra loro era spuntato un anello e non di pochi euro. - Vuoi sposarmi?- - I will...-...beh, ci rendeva felici. A settembre sarebbe accaduto. E chissà a chi avevano già venduto l' esclusiva delle nozze. Forse proprio a Chi! La fiaba però è andata in frantumi. La goccia ultima: lei non lo nomina neanche di striscio durante un' intervista a Domenica In. E Andrea sconosciuto ai più, ma non Cenerentolo, si è ribellato. Stanco di sentire, e in amore si sente, che non sei tu il designato. Arisa lo ama davvero? A chi pensa quando la notte lascia casa di lui per correre dai cani già ben accuditi? Perché non posta mai foto con lui se non quella a letto. Comunque assistiamo ad un trito déja vu. Partono in sesta questi signori dello star system. Hanno una faciloneria agli anelli! Fanno dei wedding party che durano più del matrimonio stesso. A volte peggio. Vivono storie lunghe, poi vanno all' altare e distruggono tutto in breve tempo. Brad ed Angelina ci hanno straziato! E pure Belen e Di Martino. Questi ultimi ci hanno pure riprovato, dopo il lockdown per sempre addio! E Gigi D' Alessio ed Anna Tatangelo, un tira e molla per poi lasciarsi per sempre. A volte ci riprovano più per noi che per loro perché sentono il tifo che noi facciamo. Il nostro desiderio di vedere normalità anche in chi di normale ha molto poco. A Gigi ed Anna, due giovani vecchi, ci eravamo affezionati. Lui l' aveva svezzata eccome! E non è di Gigi il testo del brano presentato a Sanremo da Arisa: Potevi fare di più? Lasciarsi adesso non fa più male / non è importante / Cosa ci importa di quello che può dire la gente / L' abbiamo fatto oramai non so più quante volte. Gigi l' ha scritta per Anna? Per Andrea? Per Arisa? Lei però ha deposto il microfono, l' arte e la canzone, e ieri, realista e lucana, ha dichiarato: Aspetto gli passi, ma non cambio la mia posizione. Io non sto facendo nulla di male. Lui ha un lavoro molto impegnativo, una ex moglie, tre figli, e io ho accettato tutto. Ma anche io ho una famiglia, ho mia sorella, la mia assistente, il mio staff. Faccio la cantante, ho un lavoro davvero impegnativo che lui deve saper accettare. Non può dirmi - o me, o tutto il resto -. Eh no, Andrea non puoi dirle così. So' artisti questi. Capricci, vezzi, irascibilità, tentazioni, tentennamenti, possibilità, Frustrazioni. Successi. Noie. Paranoie. Non è mica facile. Te l' ha detto Arisa dal palco di Sanremo: Ti addormenti vicino ti svegli lontano. Ah, quella foto di gennaio. Niente niente porta sfiga stare a letto insieme su Instagram!?
Arisa e Andrea Di Carlo, lei chiama lui di notte e finisce in digrazia: "Mi sono fatta trascinare", il vero motivo della rottura. Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Il fidanzato l'ha mollata a mezzo stampa e Arisa replica alla stessa maniera, con una intervista al Corriere della Sera. Tra i due, che si sarebbero dovuti sposare a settembre, è precipitato tutto dopo l'ospitata della cantante abruzzese a Domenica In, da Mara Venier. "Non ha mai detto il mio nome", è l'accusa di Andrea Di Carlo, che a Oggi ha rivelato come Rosalba Pippa (questo il vero nome di Arisa) la sera stessa dell'intervista su Rai1 abbia dormito da lui ma che poi abbia preferito rincasare all'1 di notte, senza apparente motivo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso. "Tra noi è finita", ha annunciato l'uomo, sottolineando come Arisa mancasse di reale "trasporto" nei suoi confronti. Dalla Venier, la cantante reduce dal Festival di Sanremo era stata molto riservata sulla sua relazione, quasi sfuggente ed enigmatica, così come sulla domanda un po' inopportuna di Zia Mara sul suo ex, a cui secondo Di Carlo sarebbe ancora legata. Tra lacrime e silenzi, c'era chi ha iniziato a parlare di crisi strisciante tra i due già quel pomeriggio. "Lui ha un lavoro molto impegnativo, una ex moglie, tre figli, e io ho accettato tutto - è lo sfogo di Arisa al Corriere -. Ma anche io ho una famiglia, ho mia sorella, la mia assistente, il mio staff. Faccio la cantante, ho un lavoro davvero impegnativo che lui deve saper accettare. Deve rispettare anche le mie scelte e non può dirmi ‘o me, o tutto il resto’. Sono una donna molto indipendente". Anche il matrimonio, già fissato per settembre, sarebbe stata una scelta di Di Carlo, avventata. "Lui è sempre stato frettoloso, e io mi sono fatta trascinare". A venire meno dunque non è l'amore o la stima tra i due. Si tratta di un problema di "doppia velocità". "Lui si occupa del mondo televisivo e mi ha introdotto a lavorare in Amici e lo ringrazierò per sempre perché è un programma in cui mi sento bene. Per il resto sulla parte musicale io ho il mio staff, tante persone attorno a me. E lui non voleva "condividermi" con nessuno". Lei lo avrebbe contattato telefonicamente nella notte, ricevendo però dal fidanzato un netto rifiuto a ricucire.
Da liberoquotidiano.it il 10 marzo 2021. “Vi piacciono le mie tette?”. Arisa lo ha scritto davvero, al termine di un post per nulla banale sull’accettazione del proprio corpo. Reduce dall’esperienza del Festival di Sanremo 2021, la professoressa di Amici è tornata a far parlare sui social con alcuni scatti bollenti pubblicati sul proprio profilo di Instagram. La cantante ha infatti voluto mettere in mostra il suo prosperoso décolleté, scrivendo quanto segue: “Quando ero piccola il mio seno era un grande problema”. “Stasera mi guardavo allo specchio e pensavo a quanto mi piace adesso - ha scritto - è meno tonico di quando avevo 20 anni, e ha qualche smagliatura che adesso trovo deliziosa. Ho incontrato un uomo capace di ripetermi che sono bella un milione di volte al giorno e ho imparato dalla mia storia precedente che i complimenti non vanno rifiutati”. L’uomo a cui si riferisce è ovviamente Andrea Di Carlo, suo fidanzato e manager. Ospite di Mara Venier a Domenica In, Arisa aveva lasciato intendere che non tutto stesse andando per il meglio nell’ultimo periodo, ma evidentemente si riferiva a qualche litigio passeggero, dato che nel suo ultimo post su Instagram ha speso parole belle e importanti per il compagno, con il quale condivide tutto o quasi da circa un anno.
Da liberoquotidiano.it il 4 marzo 2021. Sotto a chi tocca. E questa volta tocca ad Arisa. Si parla di Striscia la Notizia e della rubrica "Fatti e rifatti", dedicata ai ritocchini-vip. Nel mirino, appunto, la cantante, protagonista in questi giorni al Festival di Sanremo che ha già vinto due volte. Ed è lei, insomma, la protagonista della tagliente rubrica trasmessa nella puntata del tg satirico in onda su Canale 5 ieri, mercoledì 3 marzo. "Quest'anno si presenta al Festival di Sanremo come cantante in gara in una nuova categoria: le nuove proposte indecenti", spiega Ezio Greggio. Titolo della canzone? Potevi fare di più. E Amadeus scherza: "Non è per me, vero?". E Arisa lo provoca. "Dovrei chiedere a tua moglie...". Eccola, insomma, la "proposta indecente" citata da Greggio. Dunque si prosegue con una carrellata di gaffe e momenti esilaranti, tra cui delle vecchie gaffe commesse sul palco dell'Ariston al tempo del Sanremo condotto da Carlo Conti, quando si incartò sulla differenza tra anestetico e anti-dolorifico. E ancora, le immagini di un capitombolo sul palco e dei momenti imbarazzanti in una vecchia intervista su La7 con Victoria Cabello, in cui spiegava perché aveva scelto di cambiare il suo nome... a causa del cognome, si chiama infatti Rosalba Pippa. Si prosegue con un durissimo scontro con Simona Ventura a X-Factor, in cui Arisa alzò la voce in modo brutale per poi abbandonare lo studio. Infine, ovviamente, lo scanner test: "Viso e labbra non lo hanno passato. A giudicare dalle immagini le labbra sono aumentate di volume. E che dire del viso? A giudicare dalle immagini, anche il volto di Arisa sembra un fenomeno in continua espansione", conclude come sempre tagliente Ezio Greggio, per poi mostrare "come sarà Arisa tra qualche anno". Come sempre in "Fatti e Rifatti"... ringiovanitissima.
Arisa: "Posso fare a meno di tutto, non di me stessa". A Sanremo con Potevi fare di più, in attesa di un nuovo album. Maria Assunta Castellano il 17 febbraio 2021 su Il Quotidiano del Sud. Il bello di Arisa non è solo la sua voce, tra le più raffinate in Italia, non è solo la sua dolcezza e la sua semplicità, il bello di Arisa è che è un’artista in continua evoluzione. Basti tornare al 2008, quando calcò per la prima volta il palco dell’Ariston, e poi guardarla oggi. Arisa cambia, e sempre in meglio; e lo fa ancor di più come donna. E in attesa di rivederla in gara al Festival di Sanremo per la settima volta, è proprio lei a raccontare dei suoi cambiamenti e le sue nuove consapevolezze. “Ho bisogno di vedermi sempre diversa” ammette. “Cambio perché cambiare mi dà nuovi punti di vista e mi immedesimo nelle persone che ho vicino, come, facendo i dovuti rapporti, diceva anche David Bowie”. Ma Rosalba (questo il suo vero nome) afferma di avere anche una nuova certezza: “Oggi ho capito di poter fare a meno di tutto tranne che di me stessa”. Lei che il Festival di Sanremo lo ha anche condotto, stavolta è in gara con un brano “dalle sonorità un po’ sognanti e soffici, profondamente melodico e viscerale”. Scritto da Gigi D’Alessio, Potevi fare di più è un racconto di un momento di liberazione da una relazione tossica. È la storia di una donna che cerca la forza di dire basta ai continui tentativi di tenere in piedi un amore finito. “C’è la mia storia, ma c’è la storia di tutti” dice Arisa. “Quando ho ascoltato il brano per la prima volta ho sentito una grandissima verità. E io ho bisogno di cantare cose autentiche per sentirle mie. La canzone è riflesso di quello che sono oggi”. La cantante lucana già di recente aveva lanciato una serie di messaggi di body positive, tanto che qualche mese fa aveva annunciato “potrei fare un calendario senza veli. Il corpo rappresenta l’identità della persona” (LEGGI LA NOTIZIA). Lo aveva fatto dopo un percorso che l’ha portata ad accettarsi, ad amarsi. Una sorta di rinascita che viene raccontata anche nel su ultimo singolo Ricominciare Ancora . E adesso, con questo brano sanremese, il messaggio è simile: “Imparare ad amare se stessi, per riconoscere l’amore degli altri. Quando siamo in una situazione non congeniale, bisogna prendere consapevolezza che nella vita si deve essere felici. Si può fare, non è peccato”. La canzone Potevi fare di più farà parte del nuovo disco di Arisa. L’uscita è prevista in primavera, dopo il Festival di Sanremo, e anche in questo caso segna una nuova ripartenza, come indipendente con Believe. Poco prima di Ricominciare ancora infatti, aveva deciso di mettersi in proprio fondando la sua etichetta discografica Pipshow; inoltre aveva annunciato di voler puntare anche al mercato europeo. E perciò adesso afferma: “mi sento padrona della mia musica, prima non avrei potuto esserlo, ero inesperta e non in grado”. “Ora sono più coraggiosa e mi butto sulle cose” ammette. “Se penso che un brano scritto da me sia bello, non mi vergogno più di portarlo avanti e di far conoscere il mio vero stile”. Attualmente Arisa è anche impegnata come insegnante nella scuola di Amici di Maria De Filippi, su Canale 5. Ma non è estranea ai format televisivi, specialmente ai talent show. Basti ricordare la sua esperienza come giudice a X Factor. E nella sua carriera vanta anche una co-conduzione del Festival di Sanremo, nel 2015, accanto a Carlo Conti. Ma il Festival per Arisa è un passaggio estremamente importante. Dopo Sanremolab nel 2008 che l’ha portata in gara sul palco dell’Ariston l’anno seguente, nel 2009 vince il Festival con Sincerità, nella sezione nuove proposte. E poi un’altra vittoria nel 2014 on Controvento, stavolta tra i big. “Quando una cosa ti dà tanto, devi restituirlo” dice. Perciò quest’anno un’altra gara, la settima. “Questo Sanremo si preannuncia con tante difficoltà – ammette – ma andiamo a fare il nostro lavoro e ci adatteremo”. E si esprime sulla questione Festival, opportunità per tanti lavoratori dello spettacolo. “Una parte di loro può avere l’occasione per rimettersi in bolla: tirarsi indietro sarebbe stato un errore e ce la metteremo tutta per fare grande festa e rallegrare gli italiani”. E poi continua: “la calca in strada e il pubblico in sala mancheranno tanto, mi mancherà guardare negli occhi le persone per sapere se li sto rendendo felici o meno”. Il palco e ancora di più la libertà di cantare è ciò che più le è mancato in questi mesi di fermo degli spettacoli dal vivo. “La voce ha bisogno di uscire, di esprimersi: non vedo l’ora che si riparta a gonfie vele. Io penso di essere sulla terra per fare questo e non altro”.
Il favoloso mondo di Arisa: "All'Ariston mostrerò anche le mie stranezze". La cantante con un brano di Gigi D'Alessio: "Un invito per tutti a lasciare rapporti tossici". Paolo Giordano, Mercoledì 17/02/2021 su Il Giornale. Nel favoloso mondo di Arisa si può trovare quasi tutto: il talento, l'ispirazione, l'anticonformismo, l'imprevedibilità. «Sto benissimo», squilla la sua voce mentre si siede su di un gigantesco divano. Arriva al Festival di Sanremo per la sesta volta, ne ha vinti due (da esordiente con Sincerità e poi tra i Campioni con Controvento) e ora si presenta con un brano cucito apposta sulle sue tonalità: Potevi fare di più, che si può definire un pezzone. Glielo ha scritto Gigi D'Alessio e racconta un amore esausto, di quelli paludosi e malsani, dai quali è difficile uscire ma pure restarci dentro. «Gli amori tossici nella vita ci arrivano, ma se non ci uccidono ci fortificano», spiega lei dedicandolo a chiunque, non solo donne, ci rimanga impegolato come se fosse una rete di profondità, invisibile ma asfissiante. «Se sentiamo che c'è una situazione che non ci rende felici, dobbiamo prenderci la responsabilità del nostro disagio affinché le cose cambino in meglio». Più facile a dirsi che a farsi. «Come dice Tiziano Ferro, l'amore è una cosa semplice. E il tempo per essere felici è poco. Soltanto se impariamo ad amarci possiamo riconoscere l'amore degli altri, senza scambiare lucciole per falene». Il bello di Arisa, che sul palco è sempre meno personaggio e sempre più semplicemente Rosalba Pippa 38enne di Pignola, provincia di Potenza, è che piazza proverbi e detti popolari a bruciapelo nei suoi discorsi, aggiungendo un tocco di folclore al suo modo di essere glamourous ma anche ombroso, immediato ma pure riservato. «Dobbiamo fare del bene a noi stessi, il potere delle donne è dato dall'istinto materno, che è un istinto di bontà che si rivolge anche verso noi stesse e che ci salva. Ma l'amore per sé non deve sfociare nel narcisismo». Non a caso si è avvicinata artisticamente a Gigi D'Alessio, un altro artista empatico che le ha vestito addosso le parole di Potevi fare di più. «Quando chiedo una canzone, dico sempre di non pensare a me. Così, quando l'ascolto, capisco se posso farla mia». E questa è senza dubbio sua, sia per la profondità sofferta di certi versi che per il colore vocale che certe parole obbligano a usare. «Ho conosciuto Gigi una decina di anni fa, ci siamo mantenuti in contatto perché è una persona speciale e molto generosa. «Con questo brano mi ha avvicinato alla mia terra, la Basilicata, che è molto più vicina a Napoli di quanto si pensi. Oltretutto, nel corso del lockdown ho scritto canzoni, anche in napoletano. Mi piacerebbe portarle fuori dal nostro paese, l'Italia ha molto da dare e da dire all'estero». E anche Arisa dà l'impressione di avere molto di più da offrire artisticamente di quanto abbia fatto finora. Da quando è apparsa con Sincerità - era il suo primo Festival nel 2009 - ha cambiato pelle, stile e attitudine tante volte, spesso spiazzando tutti. Ha fatto televisione e cinema, ha cocondotto persino Sanremo, si è travestita da barboncino al Cantante Mascherato di Milly Carlucci e ha squassato i social con prese di posizione o con foto che sono diventate oggetto di discussione, magari di indignazione, e sono diventati detonatori di cambiamento. Ad esempio quella in cui si mostrava in costume senza trucchi e filtri, giusto per come era con le imperfezioni che a tutti fa comodo eliminare con artifici vari. Una sorta di presa in giro del bodyshaming, altro crocevia dei nostri discorsi di questa epoca pensierosa. Adesso sta per portare questo candore rivoluzionario di nuovo sul palco dell'Ariston nell'edizione più strana di sempre: «Il Festival c'è da 71 anni e se togliamo pure quello...», dice riferendosi a chi tifava per il rinvio a tempi più sicuri. «E, se devo dirla tutta, ho proprio voglia di mostrarmi per quello che sono, anche con le mie stranezze». Saranno look imprevedibili, tagli di capelli, magari vestiti o semplicemente frasi e slogan inventati sul momento, d'istinto. «Poi ovviamente sono felice di tornare a cantare». Il canto, la sua ragion d'essere. «Io canterei ovunque, è il mio modo di raccontarmi. Posso fare a meno di tutto tranne che di me e, quando sarò una nonnina, canterò la mia storia ai miei nipoti: per me cantare è raccontare dei capitoli della propria vita, i ricordi e i momenti importanti, e anche un modo per esorcizzarli». Tra l'altro arriverà a Sanremo sdoppiandosi da Amici dove è insegnante nella scuola più famosa d'Italia: «Mi sto dedicando molto ad Amici e a questa passione per i ragazzi, sono contenta di stare vicina a Maria. Diciamo che lì mi sento parte di una squadra e per me è importante, visto che ho quasi sempre giocato da sola». Stavolta gioca in coppia, perché Gigi D'Alessio non è solo l'autore del brano ma un punto di rifermento del disco che uscirà in tarda primavera. E lo farà da vincente comunque vada, uscendo per qualche giorno dal suo favoloso mondo per far sentire una voce come ce ne sono poche altre. Pochissime.
· Asia e Dario Argento.
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” l'8 ottobre 2021. Alla fine lo ha ammesso anche Asia Argento. Lei, che, accusando di violenza sessuale Harvey Weinstein, il produttore cinematografico della Miramax Films, ha acceso la miccia che poi è detonata col movimento MeToo. Quell'indignazione anti-molestie che, dal 2017 in avanti, ha travolto mezzo pianeta. Più o meno a ragione. Ecco, Asia Argento non rinnega di aver dato il via a quello scandalo mondiale («Parlare non è stata una vittoria. L'unica vittoria è stata che lui sia in prigione», dice l'attrice in una lunga intervista a Oggi in edicola questa settimana, «so che il mio gesto ha aiutato alcune donne, e per questo non me ne pento»), però punta il dito contro «la deriva del falso moralismo che ha generato. Adesso», sbotta, «non si può più girare una scena di sesso, a Hollywood, se non è presente uno "specialista" che sorveglia che sia tutto in ordine». Vai a capire. Non ha neanche tutti i torti, Asia Argento. Anzi, ha ragione a storcere il naso: ci mancava giusto il guardiano che controlla i guardoni. Ma per favore. Chi scrive, come tutte le donne, è sensibile all'argomento: ché dover ricordare ancora, nel 2021, che noi signore non siamo merce di scambio per stupidi giochini erotici è avvilente e ci ha pure un po' stancate. Però l'eccesso di politically correct in un ambito, quello della rappresentazione del sesso, che di politically correct non ha proprio niente (e non significa che sia un sostanziale invito all'indecenza, tutt' altro), è un contraltare che farebbe ridere, se la questione non fosse seria. Lo "specialista" a cui si riferisce Asia Argento, sui libri paga dell'industria dei film, ha un nome ancora più ridicolo: si chiama "coordinatore di scene intime". Ché già solo così pensi a una barzelletta, a una macchietta in un libro di Philip Roth, a una figura mitologica che si aggira tra i camerini e sulle roulotte parcheggiate davanti a set per vagliare mutande e controllare materassi. Invece esiste veramente. A inizio maggio la Screen actors guild (una sigla sindacale a stelle e strisce che rappresenta circa 160mila attori, artisti, giornalisti e chi più ne ha più ne metta) l'ha detto chiaro: vuole creare un registro professionale, farne una figura imprescindibile. Insomma, istituire il ruolo con tutti i sacri crismi della burocrazia perché, cribbio, vuoi mica inaugurare il ciak senza passare al check delle scene di nudo? C'è chi ci ha pensato nel 2019, ma è poco prima dell'arrivo del covid (cioè nel gennaio del 2020) che i "benpensanti" al di là dell'oceano han stilato pure le linee guida che dovranno seguire i professionisti in questione. La sua prima compararsata dietro il grande schermo, il "coordinatore di scene intime" l'ha fatta con le riprese di James Bond, tre anni fa. Immagina la situazione: Ana de Armas, 31 anni, bond girl, tra le braccia di Daniel Craig, 51enne 007 al servizio di sua maestà e lui lì, l'"intimacy coach" (non è che a dirlo in inglese suoni meglio), nel mezzo, a fare da terzo incomodo, con la scusa che deve assicurarsi del benessere degli attori, che han bisogno di sentirsi a loro agio e necessitano di tutto il supporto che vogliono. Sacrosanto, per carità. Ma serviva un estraneo, quindi un'ulteriore persona che sbircia e annota e osserva, mentre la pellicola registra immagini un po' spinte, necessariamente osè? A Hollywood son tutti entusiasti e gli americani son così, credono d'aver risolto l'intero ambaradan semplicemente ampliando le voci di spesa a carico dei produttori. Poi magari dimenticano che l'industria dei colossal di Los Angeles è in altre faccende affaccendata (i lavoratori del cinema stanno mettendo in piedi un maxi sciopero perchè i nuovi canali di fruizione come Netflix, Apple e Amazon pagano i loro colleghi meglio e di più: sarebbe il primo stop in 128 anni di storia della filmografia mondiale), ma vuoi mettere? Almeno l'oscenità sollevata col MeeToo è risolta. Fosse così facile, tra l'altro. Prendi lo showbiz, lo ripulisci con lo "specialista" e dormi sonni tranquilli. A parte che le molestie sessuali son cosa seria e come tali andrebbero trattate: ma che ora, come dice Asia Argento, tocchi persino star fermi ad aspettare l'okay preventivo della buoncostume interna alla produzione di turno sembra un tantinello esagerato. Roba da finire dritta dritta in una puntata di Boris, il telefilm con Pietro Sermonti e Francesco Pannofino che prende allegramente in giro il mondo della tivù. Dài. L'intento è anche nobile (sempre viva chi si schiera contro gli abusi, sempre viva chi combatte le violenze sessuali), però vediamo di non cadere nel comico. Altrimenti l'affare ci sfuggirà di mano.
Elvira Serra per il "Corriere della Sera" il 9 agosto 2021.
Quando vi siete conosciute?
«In prima elementare».
E quando siete diventate migliori amiche?
«Verso la seconda o la terza. A una festa di compleanno alla quale abbiamo giocato e mi sono trovata bene».
Un'immagine di allora.
«Ogni mattina andavamo a scuola insieme, a piedi da sole. Ci davamo appuntamento dal giornalaio. A quei tempi non era strano che due bambine si muovessero in autonomia, anche con la bici».
Che amica era?
«L'unica che avevo. È stata la figura più positiva della mia infanzia, un po' mi ha salvata dai problemi che avevo in famiglia. È stata molto paziente, io ero possessiva, ogni tanto mi arrabbiavo e le dicevo che non le avrei rivolto più la parola fino a Natale... Ovviamente non resistevo».
Chi ha visto Incompresa e letto Anatomia di un cuore selvaggio, il film e l'autobiografia nei quali Asia Argento si mette a nudo, Angelica (Di Majo) la conosce già. Compare in entrambi. Il loro sodalizio dura da quarant' anni. Per festeggiarlo, a maggio sono andate insieme alle Maldive, con Anna Lou e Nicola, i figli di Asia nati da Morgan e Michele Civetta. Asia non lo dirà, sarà Angelica ad ammettere che quel viaggio è stato un regalo dell'amica. Uno dei tanti. La descrive così: «Intanto per me non è Asia, noi siamo Ist e Ist da sempre, credo di averla chiamata per nome solo quando ero arrabbiata... È un'amica leale, dice sempre la verità, è libera e spontanea. Al suo successo sono abituata fin da piccola, ma i miei ricordi con lei sono di un'amica normale: i cornetti a colazione, magari dopo esserci travestite con quei grandi cappelli della mamma, oppure le corse in bici, il concerto di Madonna a 12 anni, l'ultimo due anni fa a Parigi, prima che scoppiasse la pandemia».
Asia, com'è andata alle Maldive?
«Con Angelica non facevamo una vacanza insieme da cent'anni. Avevo appena finito di girare The Dormant di Jérome Dassier, eravamo libere entrambe e ci siamo dette: perché non partiamo? Sarà il nostro regalo per 40 anni di amicizia. La sera, quando i miei figli andavano nel loro bungalow, i nostri silenzi sono stati la cosa più bella. Quando conosci una persona da così tanto tempo sai già tutto, ma lei ha una memoria perfetta che io non ho. E così si parte con: "Ma lo senti ancora Nicholas?", "No, ci ho litigato". È la depositaria delle nostre memorie».
Lei non ha sempre vissuto in Italia e ha avuto due figli, a differenza di Angelica. Vi siete mai allontanate davvero?
«No, abbiamo mantenuto un filo invisibile. Io ho pochi amici, sono tutte persone che conoscevo da prima di diventare "famosa", termine che uso con fastidio, e di costruirmi inevitabili corazze».
Che infanzia ricorda, con Angelica?
«Ricordo una grande libertà: di prendere l'autobus, correre in bici, fare gli spettacoli con i pattini a rotelle, che poi erano rincorse sul marciapiede battendoci il cinque. Era tutto un gioco e noi eravamo delle gatte randagie».
Passioni musicali?
«Ascoltavamo Madonna in maniera compulsiva, costringevamo i nostri genitori a portarci ai concerti e ai tempi di True Blue guardavamo il video tutto il giorno per imparare i balletti».
Cosa le piace di Angelica?
«Il senso dell'umorismo, la tenacia, la generosità, e non parlo di denaro, ma di sentimenti, di presenza. Mi piace il fatto che sia una persona su cui poter contare e mi piacciono i suoi silenzi pieni di significato».
Avete mai litigato?
«Non ci siamo parlate dei periodi, ma non ricordo nemmeno il motivo».
Mai contese lo stesso fidanzato?
«No, avevamo generi diversi. E se ci sfogavamo di questo o quello, nessuna ha mai detto all'altra che il fidanzato non andava bene: dovevamo arrivarci da sole».
Altri pregi di Angelica?
«Amo la sua precisione, la puntualità, adoro fare le cose con lei perché è molto ben organizzata. E cucina bene: la sua pasta e ceci non mi riesce mai bene come a lei».
Qual è il segreto di un'amicizia così longeva?
«È una cosa quasi mistica, non si può descrivere a parole. Secondo una visione buddista ci siamo rincontrate nella vita perché ci conosciamo da altri spazi, dovevamo capire qualcosa, avevamo bisogno l'una dell'altra per progredire come esseri umani».
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera" il 20 luglio 2021. Anthony Bourdain non era un grande attore né uno scrittore acclamato, né una rockstar, ma godeva comunque, soprattutto in America, di una popolarità immensa per il suo modo di raccontare attraverso il cibo storie di popoli, culture, le avventure di grandi chef, i ritmi folli della vita nelle cucine di ristoranti celebri. Non stupisce, quindi, che l'uscita nei cinema americani, venerdì scorso, di Roadrunner, un documentario sulla sua vita, abbia suscitato grande interesse e acceso polemiche col regista, il premio Oscar Morgan Neville, accusato di aver ritratto in modo inquietante la sua ultima relazione, quella con Asia Argento. Fin quasi a far intendere che ci sia stata lei all'origine del suicidio di un personaggio che, dopo libri come Kitchen Confidential (la sua consacrazione nel 2000) e successi televisivi come Parts Unknown (oltre cento documentari culturali e gastronomici girati per la Cnn in ogni parte del mondo dal 2013 fino alla sua morte, nel 2018), era ormai divenuto la celebrity mondiale della ristorazione. Qualche giorno fa a far discutere erano state soprattutto le circostanze della morte di Bourdain e il rapporto con l'attrice italiana. Da un lato un lutto che i suoi fan non hanno ancora elaborato, incapaci di comprendere come un uomo che aveva tutto - denaro, celebrità, bellezza, amori, libertà, possibilità di esplorare gli angoli più remoti del pianeta e di incontrare ogni tipo di umanità - abbia deciso di togliersi la vita in una stanza d'albergo in Alsazia. Dall'altro Asia, una passione travolgente entrata nell'ultimo scorcio della sua vita. Neville non l'ha intervistata e le dedica poco spazio. Il regista non formula accuse dirette ma, proiettando immagini inquietanti (comprese le pagine di un tabloid che, pochi giorni prima del suicidio, raccontavano di un rapporto sentimentale della Argento con un altro) e usando un sottofondo musicale drammatico, sembra suggerire - secondo diversi critici - che ci sia lei all'origine della decisione di Bourdain di togliersi la vita. Neville nega, sottolinea che il film dà conto delle ossessioni e della depressione di Bourdain, della sua dipendenza da droghe fin da quando, da ragazzo, cominciò a lavorare come lavapiatti in un ristorante del Massachusetts. Ma ora Neville finisce sul banco degli imputati anche per un'altra questione che suscita reazioni meno passionali, ma tocca un nodo - quello dell'uso e dell'abuso di tecnologie sempre più potenti e sempre meno controllabili - destinato a diventare rilevante per tutti noi. Bourdain parla a lungo nel film, ma molte delle cose che dice non sono registrazioni di sue dichiarazioni: a parlare è un'intelligenza artificiale che, immagazzinate molte ore di conversazioni di Anthony, ha imparato a riprodurre la sua voce. Il regista assicura che quelle che si ascoltano nel documentario sono frasi che lui ha scritto o pronunciato in interviste a giornali che non sono state registrate. La verità sostanziale sarebbe quindi rispettata ma è etico l'uso di una tecnica nota come deepfake, sia pure a fini non malevoli? Quando due anni fa gli scienziati ci hanno mostrato le immagini di Obama e di altri statisti che facevano discorsi minacciosi, in realtà mai pronunciati, per dimostrare la pericolosità di questi artifici digitali, ci siamo sentiti impotenti: una tecnologia con la quale si potrebbe anche scatenare una guerra senza motivo andrebbe messa al bando, ma ci rendiamo conto che è impossibile. Non resta quindi che l'autodisciplina, lo sforzo collettivo per identificare e isolare gli abusi di questi strumenti informatici. Neville ritiene di essersi comportato in modo corretto: «Non gli ho messo in bocca cose che non ha mai detto, ho cercato solo di renderle vive». E ancora: «Ne ho parlato con il suo agente e con la ex moglie e mi hanno detto che Anthony sarebbe stato d'accordo». Ma qual è il limite? L'uso disinvolto di uno strumento così potente non rischia di diffonderlo moltiplicando, così, anche le possibilità di abuso? È un problema che Neville non si pone: si vanta, anzi, di aver introdotto «una tecnica di narrazione moderna». Alla quale altri, con ogni probabilità, faranno seguire una modernizzazione delle fake news.
Da Oggi il 7 ottobre 2021. OGGI pubblica un’intervista ad Asia Argento in cui racconta le difficoltà successive alla sua denuncia contro Harvey Weinstein: «Non l’ho fatto per me, ero la più semplice da distruggere. Per la gente, ero una puttana… e una puttana non viene violentata, no? Parlare non è stata una vittoria. L’unica vittoria è che lui sia in prigione… So che il mio gesto ha aiutato alcune donne e per questo non me ne pento». La Argento parla anche della «deriva del movimento #MeToo». E del «falso moralismo che ha generato. Non si può più girare una scena di sesso a Hollywood se non è presente uno “specialista” che sorveglia che tutto sia in ordine!». E sul suicidio del compagno Anthony Bourdain (notissimo chef si è suicidato nel giugno 2018), dice: «L’ho sognato un mese fa, ed era la prima volta. È venuto a spiegarmi perché l’aveva fatto. Provo ancora un dolore incredibile. Sono sicura che nel momento stesso in cui è uscito dal suo corpo si sia detto: “Ma che ho fatto?!”. Accetto ciò che non posso cambiare. La vita è anche la morte». Ripercorrendo la propria vita ammette: «Se mi considero una sopravvissuta? Mi piace questa parola. Più di “vittima”. Nessuno mi ha mai protetto, per cui l’ho fatto da sola. Una parte di me ha sempre voluto farmi del male, mentre l’altra si spingeva in alto… Il mio lato autodistruttivo, mi ha permesso di dimenticare il dolore, finché ha funzionato. Ho scherzato parecchio con la morte… Da qualche anno, ho smesso con tutto».
Asia Argento, il terrificante sospetto nel documentario su Bourdain: "Si è suicidato perché lo tradiva?" Libero Quotidiano il 13 luglio 2021. Un nuovo documentario cerca di fare luce sul suicidio di Anthony Bourdain, il celebre chef fidanzato di Asia Argento che si è tolto la vita a 61 anni. Roadrunner: A Film About Anthony Bourdain, in uscita nelle sale venerdì, riporta un articolo del Wall street journal tradotto da Dagospia, offre uno sguardo intimo sulla vita della star televisiva del cibo e dei viaggi, dal suo grande successo nel 2000 come autore del libro Kitchen Confidential alla sua ascesa in serie popolari come No Reservations. Nel docu-film si parla soprattutto della relazione di Bourdain con la sua ultima fidanzata, l'attrice e regista italiana Asia Argento. E dello scandalo, emerso pochi giorni prima della morte dello chef, secondo cui la Argento era coinvolta in un'altra storia d'amore al di fuori della sua relazione con Bourdain. Steve Kenis, l'agente di Asia a Londra, non ha voluto commentare. Così come non hanno fornito risposte i suoi agenti in Italia e a Parigi. In una intervista il regista premio Oscar Morgan Neville ha precisato di aver fatto "controllare dai nostri avvocati e dagli avvocati della Cnn (che produce il film, ndr). Abbiamo assunto un consulente italiano per esaminarlo in base alla legge italiana". E ancora: "Ho fatto di tutto per assicurarmi di inserire la citazione del (regista televisivo) Michael Steed che diceva: 'Sai, gli uomini di 60 anni normalmente non si suicidano perché hanno rotto con qualcuno'. Non sto dicendo che sia stata lei a causare il suo suicidio. Il suicidio è un atto privato e credo egoistico. Stavo semplicemente cercando di dipingere un quadro, credo accuratamente, dei diversi fattori che stavano accadendo nella sua vita, e ce n'erano molti. L'impressione che ho di lui nell'ultimo anno era che fosse molto più maniacale e molto più depresso".
Dagotraduzione dal Wall Street Journal il 13 luglio 2021. Sono passati tre anni da quando Anthony Bourdain si è suicidato all'età di 61 anni, ma il celebre chef continua a farsi notare. Un nuovo documentario sta facendo salire l'attenzione. “Roadrunner: A Film About Anthony Bourdain” offre uno sguardo intimo alla vita della star televisiva del cibo e dei viaggi, dal suo grande successo nel 2000 come autore del libro di memorie “Kitchen Confidential”, alla sua ascesa in serie popolari come “No Reservations” e "Parti sconosciute". Il film prende una svolta in quanto si occupa della sua morte e tenta di elaborare la perdita. Il regista premio Oscar Morgan Neville ("Non sarai il mio vicino?" e "20 Feet From Stardom") ha detto che voleva che il suo film affrontasse quelli che ha definito alcuni dei «traumi non elaborati» dal pubblico legati alla morte improvvisa di Bourdain. Anni dopo la sua morte, l'influenza di Bourdain persiste nella cultura popolare. "World Travel: An Irreverent Guide", un libro postumo di Bourdain e Laurie Woolever, è stato in cima a diverse classifiche di bestseller in primavera. Il libro della signora Woolever, "Bourdain: The Definitive Oral Biography", arriva il 28 settembre, lo stesso giorno di "In the Weeds: Around the World and Behind the Scenes with Anthony Bourdain", del produttore televisivo e regista di lunga data di Bourdain, Tom Vitale. “Roadrunner”, in uscita nelle sale venerdì, esamina la relazione di Bourdain con la sua ultima fidanzata, l'attrice e regista italiana Asia Argento. Affronta uno scandalo tabloid emerso giorni prima della morte dello chef secondo cui la signora Argento era coinvolta in un'altra storia d'amore al di fuori della sua relazione con Bourdain. Il film ha raccolto una valutazione del 100% dalla critica su Rotten Tomatoes, ma alcuni recensori affermano che il documentario si avvicina troppo a suggerire che nel suicidio di Bourdain abbia avuto un ruolo la storia d'amore e il tradimento di Asia Argento. Un recensore di Indiewire ha definito i presunti problemi con Asia Argento «un passaggio nauseabondo che si avvicina pericolosamente allo sfruttamento dello scenario», mentre un critico di Collider ha ritenuto il soggetto «profondamente volgare e incredibilmente irresponsabile». Un recensore dell'Hollywood Reporter ha chiesto se, con il tempo, le persone sentiranno che "Roadrunner" ha attribuito troppa colpa alla signora Argento. Steve Kenis, l'agente della signora Argento a Londra, ha rifiutato di commentare, e i suoi agenti in Italia e a Parigi non hanno risposto alle richieste di interviste per questo articolo. Intorno all'anniversario della morte di Bourdain l'anno scorso, la signora Argento ha pubblicato su Instagram una sua foto in lacrime. «Vuoi il dolore? Ecco il dolore», ha scritto. «Nessun filtro necessario. Due anni senza il mio amore». Il signor Neville non ha intervistato la signora Argento per il film. Non conosceva personalmente Bourdain. Il regista ha parlato con il Journal in questa intervista:
La morte di Anthony Bourdain incombe su qualsiasi storia su di lui. Come hai affrontato quella parte del film?
All'inizio del film, John Lurie (musicista e amico di Bourdain) mi ha chiesto [alla telecamera]: “Questa storia finisce nel gossip. Ma non è quello che vuoi fare, vero?" E ho detto: "No, voglio fare un film sul perché era quello che era". Quindi ho sentito di non voler approfondire di un centimetro il suo rapporto con Asia perché era un argomento difficile. Si potrebbe fare un intero film sull’argomento ma non era il film che volevo fare. Sarebbe diventato complicato».
Come quadra ciò che hai deciso di includere sulla loro relazione?
Quello che ho incluso è una frazione di quello che c'era. Quindi, se le persone pensano che ci sia molto, lascia che te lo dica, c'è molto poco rispetto a quello che c'è. Sento di aver mostrato grande moderazione, anche se le persone potrebbero non saperlo. E penso di essere stato molto corretto nell'aver raccontatoi tutti i fatti. Sono molto a mio agio con quello che ho fatto.
Quali azioni legali hai intrapreso nel caso in cui la signora Argento o altri si oppongano alle loro rappresentazioni nel film?
L'abbiamo fatto controllare dai nostri avvocati e dagli avvocati della CNN. (CNN Films è un produttore esecutivo.) Abbiamo assunto uno speciale consulente italiano per esaminarlo in base alla legge italiana e l'abbiamo esaminato con un pettine a denti stretti. Ho fatto di tutto per assicurarmi di inserire la citazione del (regista televisivo) Michael Steed che diceva: «Tony ha ucciso Tony, sai, gli uomini di 60 anni normalmente non si suicidano perché hanno rotto con qualcuno». Non sto dicendo che sia stata lei a causare il suo suicidio. Il suicidio è un atto privato e credo egoistico. Stavo semplicemente cercando di dipingere un quadro, credo accuratamente, dei diversi fattori che stavano accadendo nella sua vita, e ce n'erano molti. L'impressione che ho di lui nell'ultimo anno era che fosse molto più maniacale e molto più depresso.
Come sei arrivato a capire la morte di Bourdain?
Il suo vero suicidio è totalmente scioccante e difficile da elaborare, ma non sorprende. È stato autodistruttivo per decenni. Era un eroinomane, aveva una dipendenza dopo l'altra e scherzava sul suicidio da sempre. Sono più convinto che sia stato davvero solo un momentaneo errore di giudizio. Sai dicono che quando le persone hanno episodi di suicidio durano circa 90 minuti e che se le persone ricevono aiuto, in quel momento passa. Penso che fosse troppo distaccato e distante e non abbia chiesto aiuto.
Il reality TV è stato dannoso per Bourdain, secondo te?
Quando arrivi a "Parts Unknown", si tratta a malapena di cibo. Lui cercava di fare studi culturali di questi luoghi e i suoi spettacoli miglioravano sempre di più. Ha iniziato a pensare a ogni episodio come a un suo piccolo film e in realtà inviava alla troupe un film di Wong Kar-wai o un film di Antonioni e diceva: "Voglio che questo episodio si senta e assomigli esattamente a questo film". Stava davvero cercando di spingere la forma. Non credo che diventare se stesso sullo schermo sia stata una brutta cosa. È il tipo di dono raro di qualcuno che ritieni totalmente autentico.
Dagospia il 20 giugno 2021. Commento di Asia Argento su instagram a @dagocafonal. Colgo l’occasione per precisare che hanno tagliato le mie risposte dopo che le avevo detto “rompipalle, tignosa” - avevo aggiunto “lei è una di quelle persone che chiedono alle donne violentate: come era vestita? Perché non è scappata? Poteva dire no… Le ho anche detto che non dovevo risponderle perché lei non era un giudice… per parlare di argomenti così delicati ci vorrebbe almeno un po’ di preparazione, di deontologia giornalistica. Passo e chiudo.
LA REPLICA DI FRANCESCA FAGNANI. Spiace che la signora Argento proietti sul programma la sua frustrazione per delle domande non gradite o delle risposte non date (libera di farlo). Ma a volte succede. Pazienza.
Asia Argento a Belve: "Ho provato tutte le droghe, anche quella sacra degli sciamani. Che effetto mi faceva". Libero Quotidiano il 18 giugno 2021. Asia Argento è una delle protagoniste della nuova puntata di Belve, la trasmissione di Rai2 condotta da Francesca Fagnani che si sta facendo apprezzare per la profondità delle interviste, realizzate senza filtri e senza domande accomodanti. Questa sera, venerdì 11 giugno, andrà in onda alle 22.55: ci sarà quindi Asia Argento, che dalle anticipazioni risulta aver trattato diversi argomenti scomodi o comunque poco comuni per la televisione generalista. “Dipendenze da stupefacenti? Ne ho avute parecchie”, ha ammesso la Argento, che poi ha approfondito il discorso: “È iniziata come una sperimentazione ma poi è finita come dipendenza e là mi sono spaventata. Che tipo di droghe? Tutte. Anche droghe di cui lei non conosce l’esistenza, come le bevande sacre degli sciamani”. Asia ha spiegato qual è l’effetto di tali bevande: “Sono medicine sacre che provengono dall’Amazzonia e hanno un effetto che dipende dal tipo di persona. Ho capito molte cose su di me, la mia famiglia, i miei avi, ho ricevuto molte visite da persone che non ci sono più, le vedevo come vedo ora lei”. Poi la Fagnani ha ricordato l’episodio in cui la Argento fotografò Giorgia Meloni di nascosto in un ristorante, ricoprendola di insulti sui social: “Dopo le ho chiesto scusa, ci siamo anche parlate e le ho detto: “Però io non ho perso i chili dopo la gravidanza con la cocaina, basta fare un po’ di ginnastica. Giorgia, ce la puoi fare””.
Dagospia il 18 giugno 2021. Da “Belve”. Protagoniste della nuova puntata di Belve - condotto da Francesca Fagnani, in onda questa sera (venerdì 11 giugno), alle 22.55 su Rai2 - sono l’attrice Asia Argento e l’assessore Melania Rizzoli. Ha mai avuto dipendenze da stupefacenti? Chiede Francesca Fagnani ad Asia Argento, ospite di Belve, “Sì, ne ho avute parecchie” risponde Argento”. È stato un periodo di dipendenza o di sperimentazione? insiste Fagnani. “È iniziata come sperimentazione ma poi è finita come dipendenza e là mi sono spaventata” ammette l’attrice. Che tipo di droghe? prosegue la giornalista “Tutte. Anche droghe di cui lei non conosce l’esistenza”. Tipo? “Bevande sacre di sciamani”. E qual è l’effetto? “Sono medicine sacre che provengono dall’Amazzonia e hanno un effetto che dipende dal tipo di persona”. E che tipo di effetto ha avuto su di lei? “Ho capito molte cose su di me, la mia famiglia, i miei avi, ho ricevuto molte visite da persone che non ci sono più, le vedevo come vedo ora lei”. Erano delle allucinazioni? “No no, le vedevo come vedo ora lei”. Però non esistevano, quindi se le immaginava. “Secondo me c’erano”. Poi Fagnani ricorda ad Argento l’episodio in cui fotografò di nascosto Giorgia Meloni in un ristorante e la postò sui social accompagnandola a un commento feroce in inglese traducibile così: “La schiena lardosa della ricca e svergognata fascista ritratta al pascolo”. “Quella frase fu tradotta dalla Meloni” replica l’attrice “Io non ho mai scritto “schiena lardosa”, era una metafora mal riuscita sul grasso della schiena dei cammelli…”. Sta peggiorando la situazione, lo sa? “Ma non ho mai detto lardosa, lardosa è un po’ forte… dopo le ho chiesto scusa, ci siamo anche parlate e le ho detto: “Però io non ho perso i chili dopo la gravidanza con la cocaina, basta fare un po’ di ginnastica. Giorgia, ce la puoi fare”. Le avrei chiesto se si è pentita di aver preso in giro una donna per il suo aspetto fisico. Lei mi ha già risposto di sì, giusto? “Sì sì, mi sono tanto pentita, tanto tanto…”. Sia sincera. “Mi sono tanto pentita”. Però se le ha chiesto scusa immagino di sì. “Ma per quella roba lì ho ricevuto minacce di morte dai fasci, quindi mi sono veramente pentita… ho avuto tanta paura. Minacciavano i miei figli, mia madre sui social. No no, non toccherò mai più un fascio neanche con un bastone”. Poi, senza reticenze, Asia Argento ribadisce la sua bisessualità pur non essendosi “mai innamorata di una donna”, racconta i conflitti con la madre Daria Nicolodi, dettaglia la scena del bacio con il cane nel film di Abel Ferrara. Ma quando Francesca Fagnani entra sul ruolo avuto dall’attrice nel movimento Mee Too, lo scontro si fa duro…Indomabili, ambiziose, sempre all’attacco e mai gregarie, alle 22.55 le protagoniste di Belve si prendono il venerdì sera di Raidue, con un ciclo di dieci puntate. Il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani con domande dirette e mai cerimoniose puntano a far emergere forza e debolezze delle protagoniste. Feroci e fragili, al tempo stesso.
Asia Argento, il dramma di Fabrizio Corona: "Come ho saputo del suo arresto", quei 20 messaggi. Libero Quotidiano il 25 maggio 2021. “Fabrizio è importantissimo, sono legatissima a lui, è una delle persone più importanti della mia vita”. Lo ha dichiarato Asia Argento, che ha rilasciato una lunga intervista al settimanale Chi, nel numero che sarà in edicola da mercoledì 26 maggio. Dalle anticipazioni è emerso che la Argento ha parlato a lungo e approfonditamente del suo rapporto particolare con Fabrizio Corona: con lui c’è qualcosa in più di una semplice amicizia, c’è un sentimento più profondo e difficile da definire. “Quanto è stato arrestato ero sul set - ha svelato Asia - l’ho scoperto perché i miei figli mi hanno scritto venti messaggi sul telefono per avvisarmi. Non me lo aspettavo, gli mandavo un telegramma in carcere ogni giorno. Sono felice che sia uscito perché sarebbe stata un’ingiustizia terribile: sta facendo un bellissimo percorso di crescita e sarebbe stato un passo indietro. L’ho visto cambiare, ora si rende conto di dover usare le sue energie in modo costruttivo e non solo per l’ego”. Riguardo al loro rapporto, “sfugge alle definizioni”. “Non ho mai avuto un rapporto del genere - ha provato a spiegare la Argento - siamo anime affini che si sono rialzate più volte, non abbiamo bisogno di dirci quanto ci vogliamo bene. È stato con me nei momenti più duri, quando ho perso mia madre mi ha esortato a reagire. Gli sono grata, averlo conosciuto è stato un bene e per lui io ci sarò per tutta la vita”.
Da Chi il 25 maggio 2021. «Fabrizio è importantissimo, sono legatissima a lui, è una delle persone più importanti della mia vita. Quando è stato arrestato ero sul set, l’ho scoperto perché i miei figli mi hanno scritto venti messaggi sul telefono per avvisarmi. Non me lo aspettavo, gli mandavo un telegramma in carcere ogni giorno. Sono felice che sia uscito perché sarebbe stata un’ingiustizia terribile: sta facendo un bellissimo percorso di crescita e sarebbe stato un passo indietro. L’ho visto cambiare, ora si rende conto di dover usare le sue energie in modo costruttivo e non solo per l’ego», così Asia Argento parla, in una intervista esclusiva pubblicata sul numero di Chi in edicola da mercoledì 26 maggio, del suo discusso rapporto con Fabrizio Corona a cui è legata da un rapporto, a volte burrascoso, a metà strada tra l'amicizia e un sentimento più profondo. «Il nostro rapporto sfugge alle definizioni», spiega Asia Argento a Chi: «Non ho mai avuto un rapporto del genere, siamo anime affini che si sono rialzate più volte, non abbiamo bisogno di dirci quanto ci vogliamo bene. È stato con me nei momenti più duri, quando ho perso mia madre mi ha esortato a reagire. Gli sono grata, averlo conosciuto è stato un bene e per lui io ci sarò per tutta la vita. A volte sua madre, Gabriella, ci chiede cosa ci sia fra di noi: c’è un bene vero, sono felice che esista. Fabrizio ha paura a mostrarsi per quello che è: con me, però, lo fa. Non sono una che giudica e non porto rancore per cose che fanno parte dell’umano, sono capace di sorvolare perché ho i raggi X, riesco a vedere l’anima delle persone anche attraversando le stronzate che fanno». Nell'intervista Asia posa per la prima volta con i due figli Anna Lou, avuta da Morgan, e Nicola, avuto da Michele Civetta. «Mi definisco una mamma lupa, perché nel branco dei lupi la mamma porta il cibo, si occupa dei cuccioli e insegna loro a essere buoni esemplari. Proprio perché non ho avuto buoni esempi, quando ho avuto mia figlia, a 25 anni, mi sono detta: “Voglio spezzare questa catena”. Ho capito di aver vissuto un’infanzia sbagliata, vedevo e capivo gli errori, le mancanze e le nostalgie. I miei genitori hanno scelto il lavoro e io, quando i miei figli hanno iniziato ad andare a scuola, ho messo da parte la carriera».
"Ti ha arricchito", "Ti infilo il tacco...". Asia Argento choc contro Senaldi. Asia Argento furiosa contro il direttore di Libero durante un confronto a "Non è l'Arena" sul tema degli stupri. I video degli insulti e del gestaccio. Novella Toloni, Lunedì 15/02/2021 su Il Giornale. Duro scontro nell'ultima puntata di Non è l'Arena tra Asia Argento e Pietro Senaldi, direttore di Libero. L'attrice si è scagliata con estrema violenza contro il giornalista. Tra parolacce e insulti è toccato a Massimo Giletti interrompere la lite per riportare la calma in studio. Tema dell'ultima puntata del programma su La7 il caso Genovese e le violenze subite dalle ragazze che frequentavano l'imprenditore. Asia Argento interviene per portare la sua testimonianza come vittima di abusi del potente produttore cinematografico americano Weinstein. L'attrice ricorda quanto vissuto agli esordi della sua carriera, vittima delle attenzioni morbose di uno dei più potenti produttori di Hollywood. La discussione, però, prende una piega decisamente accesa quando in trasmissione - subito dopo l'intervento di una delle ragazze violentate da Genovese - si inserisce, in collegamento esterno, Pietro Senaldi. Il direttore di Libero esprime la propria opinione sulla vicenda, ma la Argento, non gradendo, attacca usando toni violentissimi: "Ma cosa cazzo dici? A topo Gigio! Ma stiamo a contare le ore? Fai dei discorsi che non stanno né in cielo né in terra. Sei di una pochezza...". La replica del direttore di Libero non si fa attendere: "Il grande intellettuale Weinstein con cui parlavi di Victor Hugo ti ha arricchito, salvo dire dopo dieci minuti che ti ha stuprato!". Asia Argento non si tiene e invita il padrone di casa, Massimo Giletti, a silenziare Senaldi: "Ma stai zitto faccia di culo, toglimelo di qua per favore, non lo voglio più sentire". Giletti interviene per riportare la calma tra gli ospiti. Ma la lite non si placa. Il direttore di Libero si rivolge nuovamente all'attrice: "Tu sei una donna violenta!". E Asia Argento passa al contrattacco con un gesto eclatante: "Devi stare zitto! Hai rotto le palle a tutte le donne. Ti infilo il tacco in bocca come in un film di Dario Argento". L'attrice, che recentemente si è riavvicinata a Fabrizio Corona, non riesce a trattenersi e prosegue nell'attacco: "Tu sei violento, hai un'anima sporca". Un'uscita che non è piaciuta al conduttore di Non è l'Arena che ha invitato lei e gli altri ospiti alla calma: "No questo no, ti prego".
Marco Leardi per "davidemaggio.it" il 15 febbraio 2021. “Stai zitto! Devi stare zitto! Ti metto il tacco in bocca, come in un film di Dario Argento!“. Su La7 Asia Argento è andata su tutte le furie: ieri sera, a Non è L’Arena, l’attrice si è scagliata con veemenza contro il direttore di Libero Pietro Senaldi, che a partire dal caso Genovese – di cui si discuteva nella trasmissione – la aveva ripetutamente incalzata. La figlia del regista horror ha perso le staffe in diretta. Disapprovando le opinioni espresse dal giornalista sino a quel momento, Asia Argento lo aveva contestato così: “Sei una persona di una pochezza… Sono allibita da come parli“. E Senaldi, in tutta risposta: “Il grande intellettuale Weinstein, con cui parlavi di Victor Hugo, ti ha arricchito invece. Frequenti della gente molto elevata, tu, salvo che dopo dieci minuti dici: "Oddio, mi hanno stuprata". Frequenta gente più banale, più terra terra, che magari non ti stuprano“.
Volutamente irrisoria la replica della Argento: “Topo Gigio, stai buono un attimo! (…) Stai zitto, cazzo, con quella faccia di…“. Ma il cafonissimo scontro doveva ancora raggiungere il suo climax. Di seguito, Senaldi ha infatti rinfacciato alla Argento di aver detto: “Lo stupro mi ha arricchito“, mentre quest’ultima lo accusava di aver estrapolato quell’affermazione tralasciando il senso di una sua frase più ampia. “Mi ha arricchito perché ho conosciuto delle donne straordinarie” ha quindi aggiunto l’attrice, senza però convincere il direttore di Libero. E all’ulteriore obiezione del giornalista, Asia ha perso il controllo. “Stai zitto! Devi stare zitto! Hai rotto le palle a tutte le donne” ha strillato l’attrice, innescando la replica di Senaldi. “Guarda che tu sei una donna violenta, Asia!“. Implacabile di nuovo la donna: “Sì molto, mo’ ti meno. Vieni qua, ti metto il tacco un bocca come in un film di Dario Argento. Tu sei violento dentro, hai un’anima sporca“. Un siparietto imbarazzante rispetto al quale ci saremmo aspettati un intervento più deciso del conduttore Massimo Giletti, il quale – diversamente – si è limitato a richiamare la calma senza scomporsi troppo.
Da liberoquotidiano.it il 28 gennaio 2021. Asia Argento a cuore aperto. L'attrice si è concessa a una lunga intervista durante Oggi è un altro giorno. Nella puntata di giovedì 28 gennaio del programma su Rai1 la figlia di Dario Argento ha parlato del suo nuovo libro Anatomia di un cuore selvaggio e ha ripercorso momenti delicati della sua vita. "Come molti - ha ammesso alle telecamere di Serena Bortone - usavo le sostanze perché avevo degli enormi vuoti dentro di me. Non sapevo come riempire questi vuoti, perciò per me andava bene qualunque cosa mi portasse fuori dalle mie paure, dalle mie tristezze e dalla mia depressione”. La Argento li ha definiti "buchi cosmici", prima che la conduttrice di Viale Mazzini si appellasse ai suoi telespettatori più giovani: "Non lo fate”, ha chiesto. Ma l'attrice ha voluto precisare: "Non basta dire di non farlo, bisogna spiegare perché non si deve fare e quanto fa male: i neuroni non sono come le cellule, se si danneggiano non si ricreano". Come Asia Argento tanti altri sono caduti nell'incubo: "Conosco tante persone che in passato hanno fatto uso di sostanze e non sono più tornate indietro, intendo di testa” ha poi rivelato. Prima dell'intervista alla Bortone la figlia del regista si è raccontata a Verissimo. Nel salotto di Silvia Toffanin ha rivelato le violenze subite da Rob Cohen e dalla madre Daria Nicolodi. Inoltre ha svelato il momento più buio della sua vita, quando la sorella Anna è morta. Era una ragazza che aveva sofferto tanto e io soffrivo per lei. Vedermela strappata via da un incidente stradale è stato inimmaginabile. "Quando è successo sono caduta in una forte depressione, sono stata sei mesi a letto e ho anche fatto uso di molte sostanze stupefacenti, soprattutto ai rave party dove giravano droghe fortissime. Molte persone che conosco hanno subito gravi conseguenze cerebrali permanenti e forse anch’io qualche danno l’ho subito. In quel caso mi ha salvato il cinema", ha raccontato visibilmente commossa.
Bruna Magi per “Libero quotidiano” il 29 gennaio 2021. Difficile considerare con distacco Anatomia di un cuore selvaggio- Autobiografia (Piemme, pag.248, euro 18,90), autrice Asia Argento, che a 45 anni racconta se stessa e uomini (ma anche donne) della sua vita. Il padre, giovani amori, amanti, compagni e marito, e purtroppo anche stupratori. Leggendo colpisce il dualismo che l'autrice stessa riconosce: l'essere stata una timida vittima di violenze sin da bambina, e contemporaneamente sbattere in faccia al lettore esperienze crude, sapendo di marchiarne la sensibilità. Così le sue righe scorrono in un'atmosfera altalenante, non sapendo mai quanto l' effetto choc sia voluto, oppure conseguenza ovvia di una vita che è limitativo definire spericolata. Le sue ragioni le annuncia nel prologo, con una nota d' autore: «Sticazzi. Anche ora mentre scrivo me lo ripeto come un mantra. Sticazzi, sticazzi, sticazzi, che formula meravigliosa. Mi ha salvato la vita mille volte e ancora mi aiuta, una pistola con infiniti proiettili, essenziale per difendermi dal mondo. Ma che speranza aveva una persona deforme come me, azzoppata dall' eccessiva timidezza, incapace di stare al mondo, di sopravvivere tra i viventi?». Vien da chiedersi: ma se non fosse stata timida, sino a dove sarebbe arrivata? Perchè molti dei suoi desideri li ha soddisfatti, forse quasi tutti, incluso diventare attrice precoce premiata con due Donatello e un Nastro d'argento. Nonostante le violenze subite dalla madre, l'attrice Daria Nicolodi (che consigliava l'uso del limone come astringente dell'organo genitale femminile) e il distacco esercitato dal famosissimo Dario Argento, suo genitore e anche maestro dell' horror. La prima mollava sberle e calci, le sorellastre, Anna, figlia del precedente compagno della madre, lo scultore Mario Ceroli, e Fiore, stessa cosa da parte di padre, erano più stronze di quelle di Cenerentola, inevitabile chiedersi se davvero loro possedevano copertine rosa e azzurre, e lei invece "color cacca". Dice che trovava calore e conforto nel masturbarsi, anzichè abbracciare un peluche come avrebbe fatto qualunque bambina. E poi la sua è tutta una corsa, in un tunnel affollato di genitali maschili, quelli citati all'inizio come "scaramantici", sostenuta dal conforto del "fumo" che non manca mai. Perdita della verginità a quattordici anni con lo studente Gianluca. Rapporto insoddisfacente ma liberatorio. Scoperta del piacere con Federico, che purtroppo morirà presto per un overdose. Liason con Jason, un "cavallaro", già amante della madre, figuratevi il casino in famiglia. Storia con Sergio Rubini, allora sposato con una bionda nevrotica (era Margherita Buy), attore e regista superdotato (ma lei usa un termine molto più esplicito). Asia racconta che lo tradiva in continuazione, per non passare la notte da sola quando lui non c'era. Quindi incontro Michael Radford (regista de Il postino), che si strusciava patetico con il suo minipene e la diresse in “B. Monkey - Una donna da salvare”, prodotto da Harvey Weinstein. E qui arriva l'incontro con il più potente dei "porconi" che la stupra imponendole un cunnilingus, al Festival di Cannes, all'Hotel du Cap. Sappiamo com'è finita, più recente la violenza (con uso della droga dello stupro) addebitata al regista Rob Cohen, che nega. Assoluzione morale per Morgan, padre della sua Anna Lou, nonostante i litigi. In chiusura, una dichiarazione: «Ho una mente d'acciaio e un cervello ben corazzato». Al lettore le conclusioni.
Asia Argento shock: “Drogata e violentata dal regista Rob Cohen. Mia madre mi picchiava”. Asia Argento: «Il regista Rob Cohen mi ha drogata e violentata. Parlo ancora con Anthony Bourdain». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 22/1/2021. L’attrice: «I momenti di felicità sono quelli che passo con i miei figli Anna Lou e Nicola». Sui genitori: «Da mio padre ho preso grande disciplina, da mia madre la libertà di pensiero». L'attrice e regista ha rivelato gli abusi subiti in un autobiografia commentata oggi in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera. Nella sua ultima autobiografia "Anatomia di un cuore selvaggio" Asia Argento racconta particolari sconcertanti di un passato che oggi commenta in un intervista rilasciata al Corriere della Sera. Nel libro che uscirà in libreria per Piemme il 26 gennaio, l’attrice e regista, figlia di Dario Argento e Daria Nicolodi (quest’ultima recentemente scomparsa) ripercorre momenti drammatici, rivelando di essere stata maltrattata anche dalla madre che su di lei, per un periodo, rinunciò alla patria potestà. “Immagino si fosse sentita rifiutata. Ero andata via di casa il giorno dopo il mio 14° compleanno, non aveva comprato nemmeno una torta e avevo capito che non gliene importava nulla di me: ai miei figli organizzo sempre qualcosa di speciale per il compleanno”, ha rivelato Asia Argento al Corriere parlando della madre: “Raccontai a mio padre le violenze che subivo in casa e con lui ci inventammo lo stratagemma che stavo da mia nonna, anche se in realtà vivevo a casa sua da sola, perché era impegnato sul set e Fiore studiava negli Stati Uniti. Così un giorno mia madre mi fece chiamare dal Tribunale, mi ci accompagnò la segretaria di mio padre, e rinunciò alla patria potestà. La riprese quando sono rimasta incinta di Anna Lou”. Alla richiesta di Asia sui motivi per cui venisse picchiata, la madre le rispose che avveniva perché “ero la più forte. Doveva sfogarsi... Io sono dovuta diventare la più forte”.
Asia Argento: “Rob Cohen abusò di me”. Dopo le ormai note accuse a Harvey Weinstein, per la prima volta Asia Argento ha rivelato di essere stata abusata dal regista Rob Cohen. “È la prima volta che parlo di Cohen”, ha spiegato: “Successe nel 2002 mentre giravamo xXx. Abusò di me facendomi bere il Ghb (la droga dello stupri, ndr), ne aveva una bottiglia. Ai tempi sinceramente non sapevo cosa fosse. Mi sono svegliata la mattina nuda nel suo letto". Asia Argento si è detta pronta alle conseguenze che questa dichiarazione susciterà: “È la verità. La cosa più pura di questo MeToo è che una donna si riconosce nell’altra. Se uno tiene una bottiglia di Ghb sicuramente l’avrà dato anche ad altre”. Quanto a Weinstein, “Io avevo rimosso lo stupro”, ha commentato Alsia: “Quando tornò e mi chiese scusa dicendo che era mio amico, offrendosi di aiutarmi a trovare una tata per Anna Lou in America, nel 2002, non avevo ancora iniziato il percorso di analisi per capire cosa mi avesse fatto per due volte. Non avevo nessuno negli Stati Uniti, ero sola. Mi sentivo forte del fatto che avevo già girato Scarlet Diva in cui lui doveva essersi riconosciuto. Non sapevo che aveva fatto lo stesso a tante altre”.
Asia Argento e l’amore per Anthony Bourdain. Asia Argento ha ripercorso anche la sua storia d’amore con Anthony Bourdain, scomparso nell’estate del 2018: “Lo definirei l’amore della maturità. Era entrato nella mia vita in punta di piedi, aveva subito fatto amicizia con i miei figli... Trascorrevamo tanto tempo tutti insieme. Preparava per noi delle cose incredibili, quando c’era lui venivano a casa anche mia madre e mio padre, mia sorella e Angelica. Lo amavano tutti, nella mia famiglia. Era un uomo generosissimo”, ha confidato. Forte è ancora il legame che sente di avere con lui: “Gli parlo sempre. Per un periodo lo facevo con rammarico: ‘Sono così sola ora, ma perché te ne sei dovuto andare?”. Ultimamente sto cucinando tantissimo con mio figlio e ad Anthony racconto le cose belle. Il lutto è una cosa che non sai mai quanto dura o che forma prende, tutto sta nell’arrivare all’accettazione”.
Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 22 gennaio 2021.
Suo padre e sua sorella Fiore hanno letto il libro?
«No, non ancora. Sono molto spaventata, perché ai tempi di Incompresa (il film autobiografico del 2014) non la presero bene».
I suoi figli?
«Anna Lou ha già letto molte cose. Fra l'altro me le facevo leggere ad alta voce da lei dopo che le scrivevo. A Nicola ho letto io alcuni pezzi, come l' inizio».
Sapevano che sua madre era stata così violenta con lei?
«Sì. E non riuscivano a conciliare i loro ricordi con i miei, soprattutto mia figlia che era molto legata a sua nonna».
Rinunciò alla patria potestà...
«Immagino si fosse sentita rifiutata. Ero andata via di casa il giorno dopo il mio 14° compleanno, non aveva comprato nemmeno una torta e avevo capito che non gliene importava nulla di me: ai miei figli organizzo sempre qualcosa di speciale per il compleanno... Raccontai a mio padre le violenze che subivo in casa e con lui ci inventammo lo stratagemma che stavo da mia nonna, anche se in realtà vivevo a casa sua da sola, perché era impegnato sul set e Fiore studiava negli Stati Uniti. Così un giorno mia madre mi fece chiamare dal Tribunale, mi ci accompagnò la segretaria di mio padre, e rinunciò alla patria potestà. La riprese quando sono rimasta incinta di Anna Lou».
Lei è mai stata violenta con i suoi figli?
«No, mai. Da ragazzina pensavo che non avrei mai avuto figli per questo. E invece sono riuscita a spezzare l' incantesimo».
Chiese a sua madre perché la picchiava?
«Sì, rispose che ero la più forte. Doveva sfogarsi... Io sono dovuta diventare la più forte».
Incontrare Asia Argento mette paura. Ma anche lei ha paura di incontrare i giornalisti.
Le due paure si neutralizzano davanti a un caffè con la moka e a un bicchier d'acqua sul tavolo della cucina, ultimo piano di un palazzo alla periferia Nord di Roma. La padrona di casa è timida. Sorride e ride, e ogni tanto si immalinconisce mentre ripercorre la sua storia, che ha scelto di raccontare nell' autobiografia Anatomia di un cuore selvaggio , in libreria per Piemme dal 26 gennaio.
Cos'ha ereditato dai suoi genitori?
«Da mio padre una grande disciplina, il rispetto per il lavoro, un lato artistico più cinematografico. Da mia madre una sorta di libertà di pensiero, di amore per la letteratura, per la bellezza, per la natura. E poi il lato seduttivo che aveva lei: per me si è un po' affievolito».
La sogna?
«Non più: la sognavo quando era malata».
E sua sorella Anna, l'altra figlia di sua madre, mancata nel 1994 in un incidente?
«Lei spesso. Faccio sempre lo stesso sogno. La incontro e dico: "Anna, ma allora sei ancora viva". "Sì, mi sono nascosta". "Ma perché ti sei nascosta da me? Tutti questi anni avremmo potuto fare tante cose insieme!". Però dentro di me sento la speranza che possiamo recuperare il tempo perduto».
Con i padri dei suoi figli è stata molto generosa, nel libro.
«Sì, perché con loro ho messo al mondo le gioie della mia vita. Con entrambi sono stata felice, li ho amati, sono stata amata, non serbo rancori: alla fine oggi i momenti belli superano di gran lunga quelli di maggiore tensione».
Perché allora non è intervenuta quando hanno tolto la casa a Morgan?
«A lui non hanno tolto la casa "per me". A me non è venuta una lira, hanno solo rimborsato l'avvocato con cinquemila euro. La casa gliel' hanno tolta perché non pagava le tasse, aveva debiti e i soldi sono andati a queste persone. Mi è dispiaciuto per lui, però pure a mio padre negli Anni 80 successe che un commercialista non pagò le sue tasse e gli tolsero non una, ben due case: si rimboccò le maniche».
Nella sua vita ci sono pochi amici, ma importanti. Una è Angelica.
«Ancora oggi è la mia migliore amica, da quando eravamo bambine. È l' unica persona che continuo a vedere nonostante la pandemia. Lei è un faro. Mi è sempre stata vicina in tutti i momenti più terribili. Non so se sono stata un'amica altrettanto brava...».
A 13 anni vinse il primo Globo d'oro, lo ritirò da sola. Per quale premio avrebbe voluto essere accompagnata e da chi?
«Avrei voluto i miei genitori per tutti i premi. Pure al secondo David di Donatello».
Li usa ancora come fermaporta?
«No, peggio. Ora li tengo tutti ammassati sopra la cucina, nascosti lì in alto».
A quale film da regista è più affezionata?
«È come per i figli, non riesci a dire che ne ami uno più di un altro...».
A quale da attrice?
«Ne ho fatti più di 50, ma ne rimangono tre dove ho imparato tantissimo: Compagna di viaggi o di Peter Del Monte, New Rose Hotel di Abel Ferrara e Transylvania di Tony Gatlif. Forse li ricordo così perché mi hanno insegnato a usare molto l' improvvisazione: è una grande libertà e fiducia che ti dà il regista».
E invece di Nanni Moretti ha un bel ricordo?
«Sono onorata di aver lavorato con lui».
In «Palombella rossa» le diede 80 pallonate in testa per rifare una scena!
«Pure di più! Penso che non stesse bene in quel periodo, veramente non gliene voglio, anzi gli sono grata. Ho imparato molte cose che mi sono state utili quando ho fatto la regista di bambini. Per esempio ai bambini non faccio mai ripetere la scena più di due, massimo tre volte. Talvolta è buona la prima».
Pentita di qualche scelta professionale?
«No, mai, perché avevo una famiglia da mantenere. È come se uno chiedesse a un tassista se è pentito di aver guidato fin sull' Appia dove ha bucato una ruota...».
Con quale regista le piacerebbe lavorare?
«Gaspar Noé, il mio preferito. Non abbiamo mai voluto lavorare insieme per paura di rovinare un' amicizia bellissima che dura da 19 anni. Però sarebbe bello, anche per osservarlo».
Parliamo degli orchi? Uno lo conosciamo: Harvey Weinstein. L'altro è Rob Cohen.
«È la prima volta che parlo di Cohen. Successe nel 2002 mentre giravamo xXx . Abusò di me facendomi bere il Ghb (la droga dello stupri, ndr ), ne aveva una bottiglia. Ai tempi sinceramente non sapevo cosa fosse. Mi sono svegliata la mattina nuda nel suo letto».
È pronta alle conseguenze?
«È la verità. La cosa più pura di questo MeToo è che una donna si riconosce nell' altra. Se uno tiene una bottiglia di Ghb sicuramente l' avrà dato anche ad altre».
Torniamo un momento a Weinstein? Deve riconoscere di avergli accordato negli anni un incredibile credito di fiducia.
«Io avevo rimosso lo stupro. Quando tornò e mi chiese scusa dicendo che era mio amico, offrendosi di aiutarmi a trovare una tata per Anna Lou in America, nel 2002, non avevo ancora iniziato il percorso di analisi per capire cosa mi avesse fatto per due volte. Non avevo nessuno negli Stati Uniti, ero sola. Mi sentivo forte del fatto che avevo già girato Scarlet Diva in cui lui doveva essersi riconosciuto. Non sapevo che aveva fatto lo stesso a tante altre».
Veniamo a «Anthony». Sa dov'è sepolto?
«No, ma noi ci eravamo detti che non volevamo essere seppelliti. Lui aveva fatto testamento, e anche io: ho chiesto di buttare le mie ceneri nel mare».
Perché ha già fatto testamento?
«Mmh... Non perché volevo suicidarmi. Ma ho perso così tanti amici in maniera assurda che volevo essere sicura per i miei figli...».
Bourdain è stato l' amore più grande?
«Lo definirei l' amore della maturità. Era entrato nella mia vita in punta di piedi, aveva subito fatto amicizia con i miei figli... Trascorrevamo tanto tempo tutti insieme. Preparava per noi delle cose incredibili, quando c'era lui venivano a casa anche mia madre e mio padre, mia sorella e Angelica. Lo amavano tutti, nella mia famiglia. Era un uomo generosissimo».
Si sente ancora connessa a lui?
«Gli parlo sempre. Per un periodo lo facevo con rammarico: "Sono così sola ora, ma perché te ne sei dovuto andare?". Ultimamente sto cucinando tantissimo con mio figlio e ad Anthony racconto le cose belle. Il lutto è una cosa che non sai mai quanto dura o che forma prende, tutto sta nell' arrivare all' accettazione».
È religiosa?
«No, ma faccio molta meditazione. Ad Anthony non chiedo aiuto, ma cerco di aiutare lui, di liberarlo da suo karma. Lo faccio anche per mia sorella e mia madre».
Prende quattro pastiglie prima di dormire.
«Ho appena rivisto la psichiatra e me ne ha data una in più. È una cosa che ho accettato».
Sono antidepressivi?
«Anche. È un misto di cose, perché soffro di ansia, depressione e insonnia».
Contenta che Anna Lou faccia l' attrice?
«Ma lei non ha ancora scelto, ha provato. Aveva già lavorato con me, in Incompresa fu lei a chiedermelo. Quando le hanno proposto un provino per Baby su Netflix ha accettato perché le piaceva la serie. Ma lei vuole studiare, è sempre stata molto brava. Fa Belle arti».
E Nicola che talento ha?
«Lui suona la chitarra molto bene. Potrebbe fare anche l'attore comico perché fa veramente ridere. Ma ora non glielo permetterei mai, ho visto troppi bambini perdersi crescendo».
Se le chiedo l' ultimo momento felice?
«Ieri sera, quando abbiamo cucinato il Kobe Beef che loro non avevano mai assaggiato. Eravamo felicissimi e durante tutta la cena ci dicevamo: come siamo fortunati a mangiare questa cosa, è la carne più buona della nostra vita. Poi ci siamo messi a vedere un film e Nicola si è addormentato e diceva: come sto comodo, come sono felice... Questi momenti con i miei figli ripagano tutto, tanta e immensa è la felicita di stare con loro».
Asia Argento: "Mamma mi picchiava. L'ho vista morire come al rallentatore". A Storie Italiane l'attrice ha raccontato delle dolorose violenze subite dalla madre quando era piccola, un rapporto conflittuale cancellato dalla morte della Nicolodi. Novella Toloni, Lunedì 25/01/2021 su Il Giornale. Le botte, il dolore per un'infanzia senza punti di riferimento e infine lo strazio per la morte della madre. L'ospitata di Asia Argento a Storie Italiane ha rievocato emozioni difficili per l'attrice che, a tratti, non è riuscita a nascondere la commozione. Ospite di Eleonora Daniele, Asia Argento ha ripercorso i difficili momenti vissuti da bambina e il tormentato rapporto con la madre, l'attrice Daria Nicolodi. Ricordi dolorosi trascritti nella sua ultima biografia "Anatomia di un cuore selvaggio". Nonostante il controverso rapporto con la madre Daria, Asia Argento non è riuscita a superare la sua morte, avvenuta lo scorso 26 novembre. Una scomparsa arrivata al termine di una lunga malattia e che ha lasciato un vuoto incolmabile nell'attrice, che era riuscita a recuperare il rapporto con la Nicolodi solo in età adulta: "Prima che morisse ho potuto darle l'ultimo abbraccio. Mi sentivo impotente. È stato come vederla morire al rallentatore, per me è stato straziante. Mi mancano i suoi baci, chi ha la mamma non trema. Io ora che non ce l'ho più tremo di continuo". Il rapporto tra Asia e sua madre Daria non è sempre stato sereno, ma ha vissuto anche momenti estremamente difficili. Nel ricordare la sua infanzia, infatti Asia Argento, non ha nascosto di aver provato sentimenti di odio nei confronti della mamma per le violenze subite: "Da piccola mi picchiava. Una volta mi spaccò il labbro colpendomi con la mano piena di anelli. Avevo paura di mia madre, la sognavo di notte che mi uccideva. Non potevo far niente per il suo problema con l'alcool e contro le violenze. Mi ha picchiato fino a quando ho compiuto 14 anni e me ne sono andata". Delle violenze familiari la figlia di Dario Argento ne aveva già parlato a Verissimo pochi giorni fa nel corso dell'ultima intervista rilasciata a Silvia Toffanin. Una chiacchierata nella quale la Argento aveva parlato del riavvicinamento con Fabrizio Corona e lanciato nuove accuse di violenze contro il regista Rob Cohen. A Storie Italiane, però, Asia Argento ha ripercorso i lati più privati affrontati nel suo libro. Mettere nero su bianco, nella sua biografia, i dolorosi momenti vissuti nel corso della sua vita ha rappresentato una sorta di autoanalisi. Un percorso a ritroso che l'ha fatta cresce: "Le sue violenze inspiegabili hanno lasciato un segno profondo dentro di me. Ho dovuto lavorarci parecchio in analisi per accettare quello che ho vissuto. Scrivere questo libro però è stato catartico, mi ha liberato".
Dagospia il 25 gennaio 2021. Comunicato Stampa. Lunga e toccante intervista di Asia Argento nella seconda parte della puntata di Storie Italiane di oggi, su Rai1. Ospitata da Eleonora Daniele per presentare il suo libro ‘Anatomia di un cuore selvaggio’, la figlia di Dario Argento ai microfoni di Storie Italiane ha ripercorso la sua infanzia difficile e il tormentato rapporto con la mamma, l’attrice Daria Nicolodi, scomparsa il 26 novembre scorso. “ Prima che morisse ho potuto darle l’ultimo abbraccio. Mi sentivo impotente. È stato come vederla morire al rallentatore, per me è stato straziante” ha dichiarato senza riuscire a trattenere le lacrime. “Da piccola mi picchiava. Lo ha fatto fino a quando ho compiuto 14 anni […] Non sono nata forte. Sono diventata più sicura di me solo intorno ai 40 anni […] Se potessi tornare indietro, non sarei in grado di cambiare in alcun modo il corso degli eventi, sarei sempre indifesa”. Sul difficile rapporto con la mamma ha poi aggiunto: “Quando mi picchiava fingevo di essere morta, come fanno i serpenti per non essere mangiati […] Ora che non c’è più, mi mancano i suoi baci. Chi ha la mamma non trema. Io, che non ce l’ho più, tremo di continuo. È grazie a lei che ho imparato a mia volta ad essere mamma […] Anche di recente a volte mi attaccava e io reagivo. Forse, però, sarebbe stato meglio non reagire più e darle sempre ragione”. Nel corso dell’intervista Asia Argento a Storie Italiane ha ricordato anche la sorella Anna, morta in un incidente stradale nel 1994. “Era una ragazza straordinaria. Vorrei che i miei figli avessero conosciuto la zia Anna […] Mia madre ha sofferto tanto per la sua morte, non c’è cosa più dolorosa della perdita di un figlio” ha confessato ad Eleonora Daniele, mentre sui figli ha ammesso: “Non è stato facile crescerli da sola. Questo ha cambiato il senso della mia esistenza. Un tempo ero una persona più egoista: da quando sono diventata mamma, invece, le mie priorità sono cambiate”. Immancabile, alla fine dell’intervista, un riferimento a Fabrizio Corona: “Anche lui, come me, ha sofferto tanto nella vita. Non c’è nessun ritorno di fiamma, ma voglio molto bene a lui e alla sua famiglia” ha dichiarato.
Da liberoquotidiano.it il 25 gennaio 2021. Dopo la denuncia di stupro lanciata da Asia Argento contro Rob Cohen, è arrivata la risposta del regista. La figlia di Dario Argento, infatti, ha raccontato sia al Corriere della Sera che a Verissimo, nel salotto di Silvia Toffanin, di essere stata violentata da Cohen. L'attrice, in particolare, ha spiegato di essere stata drogata di Ghb, la sostanza stupefacente dello stupro, nel periodo in cui girava il film XXX del 2002. Poi ha aggiunto di essersi svegliata la mattina dopo a letto nuda priva di sensi. Asia Argento ha rivelato che è riuscita a riprendersi dopo l'accaduto solo grazie a un amico e che non ha denunciato subito l'abuso perché all'epoca non aveva capito bene cosa fosse realmente accaduto. "Cohen nega categoricamente l’accusa di aggressione di Asia Argento contro di lui - ha fatto sapere il portavoce del regista -. Quando hanno lavorato insieme, avevano un ottimo rapporto di lavoro e il signor Cohen la considerava un’amica, quindi questa affermazione risalente al 2002 è sconcertante. Soprattutto considerando ciò che è stato riferito di lei negli ultimi anni”.
Valerio Cappelli per il "Corriere della Sera" il 18 giugno 2021. «Sono il protagonista, non mi era mai successo prima. E recito pure in francese», racconta Dario Argento divertito negli studi De Paolis, dove si appresta a tornare al lavoro da regista per il film Occhiali neri. Ma intanto dal cappello a cilindro del Festival di Cannes esce a sorpresa, fuori gara, Vortex di Gaspar Noé, sugli ultimi giorni di vita di due vecchi amanti, e l'attore è il nostro maestro del brivido.
Che film ha fatto Noé?
«Posso solo parlare del mio ruolo, un critico cinematografico. La notte mi capita di sognare alcune scene che abbiamo girato. Gaspar fa un cinema trasgressivo, che viene dalle viscere. Il film parla di cinema, io dirigo una rivista di settore, tipo i Cahiers du cinéma, cose in estinzione, gli ultimi della carovana».
Il cinema resisterà all' assalto delle piattaforme?
«Penso di sì, quando arrivò la musica leggera si disse che l'opera sarebbe morta e invece ci emoziona ancora. Resisteranno i blockbuster, la robaccia e qualche film d' autore».
Il suo ruolo in «Vortex»?
«Quello che mi riporta al mio primo mestiere. A 20 anni facevo il critico a Paese Sera. Mi piaceva Hitchcock e i film western, John Ford, John Wayne, non era facile in un giornale comunista. Una volta scrissi di musica e non fui tenero con Mina, il capo mi chiese di ammorbidire i toni. Quando andai a intervistare Alberto Sordi, sul set di Scusi, lei è favorevole o contrario?, mi fissò, fece una smorfia al suo aiuto e disse: che dici, può andare? Non capivo. Bello mio, mi spiegò col suo vocione, t' abbiamo appena scritturato. Mi diede il ruolo da chierichetto improbabile».
Come attore, lei...
«Non arrivo a dieci film. Però, dirigendoli, mi considero bravo. Ho un vezzo: quando nei miei film si vedono le mani dell'assassino, sono le mie, un cameo feticista».
Ricordi di Cannes?
«Ci sarò stato sette-otto volte. Trovi tutto, anche i registi inuit dall' Artico. Le resse? Ci sono abituato. È sul set che non mi diverto, è un lavoro che sbrighi con meticolosità impiegatizia. A mio agio mi sento nel buio della sala».
Il suo film che ama di più e quello che ama di meno?
«Di meno, direi Il gatto a nove code, di più Di più Suspiria e Opera, il più complesso, faticoso e costoso, quello che mi ha dato più problemi con la censura. Poi c' è il rimpianto per il Don Chisciotte, che è la fantasia e io faccio un cinema idealista, di visioni, incubi e tante letture».
E «Occhiali neri»?
«Se ne parla da una ventina d' anni. Non me lo ricordavo più. Un giorno mia figlia Asia era a casa da me, cercava un mio diario e trovò questo copione. Lo trovò bellissimo».
Che storia è?
«Una non vedente e un bambino cinese diventano amici dopo un incidente d' auto in cui il piccolo ha perso i genitori. Sono inseguiti da un killer. È il mio ritorno al giallo dopo molto tempo, al cinema mancavo da nove anni. È un film misterioso, ha qualcosa di inquietante. Lo girerò a Roma e nella campagna laziale che è rocciosa, aspra, non è dolce come quella toscana. La protagonista è Ilenia Pastorelli. Doveva essere Asia ma non può, ha un film in Francia. Però mi ha regalato una parte, fa l'istruttrice dei ciechi».
Asia nel suo libro parla con molto affetto di lei, anche se quando aspettava la figlia non vi parlavate.
«Ricordo che litigammo quando non fece Il cartaio. È un rapporto ondivago ma negli anni ci vogliamo sempre più bene. Siamo simili, due irregolari fuori del sistema».
Ha compiuto 80 anni.
«Non me li sento. I registi vivono a lungo, guarda Polanski. Sono dipendente dalla solitudine e non mi sono ammorbidito. Se ho paura di morire? Per ora no. Ho temuto a lungo di essere ucciso nel sonno. Con la mia parte oscura ho un dialogo costante».
Malcom Pagani per "Gq" – gqitalia.it il 5 febbraio 2021. Non potendo più farlo in piscina −«Sono chiuse quasi da un anno» − Dario Argento nuota nella vasca delle sue fantasie. Lo fa fin da bambino: «I miei genitori mi portarono a vedere l’Amleto con loro, niente fu più uguale a prima». E continua a inseguire visioni e inquietudini mentre su Roma pioggia e sole si alternano al ritmo dei ricordi. Ha amato molto ma, giura, la sua «grande compagna di vita è rimasta la solitudine. Ho avuto molti amori, è vero, ma erano passioni che andavano e venivano proprio come le tante donne che ho avuto vicino». Con la distanza del tempo i contorni sfumano e le responsabilità sono dettagli meno rilevanti di quelli che nei suoi film svelavano l’assassino: «Può anche darsi che il colpevole fossi io perché starmi accanto non era facile. Ero capriccioso, esigente, incostante e quasi sicuramente anche geloso». Di tagli netti e dissolvenze, la vita di Dario Argento è piena. «Della mia infanzia, molto serena, ricordo soprattutto l’incontro con la paura. Mi ha fatto scoprire mondi sconosciuti di cui i miei amici e i miei fratelli non avevano neanche la più lontana idea. Io invece, grazie alla lettura e alla fantasia, li frequentavo con entusiasmo. Scoprivo abissi della mente, derive a cui ancorarmi, racconti dell’orrore, opere liriche e tragedie che in seguito, nel mio lavoro, si sarebbero dimostrati fondamentali».
Cos’altro si è dimostrato fondamentale?
«Avere consapevolezza del fatto che c’era una parte di me capace di pensieri orribili e immaginazioni spaventose. La mia metà oscura».
L’ha combattuta?
«L’ho coccolata, abbracciata, accudita. Mi ha fatto compagnia e continua a farmela. Mi fa commettere atti crudeli e bruttissimi: è vero. Ma ci dialogo da sempre e non ho mai avuto la tentazione di mediare. Forse per opportunismo: molti di quei pensieri infatti sono nei miei film».
Quali paure l’hanno accompagnata in questi anni?
«Quelle di tutti, credo. Essere aggredito, soffrire fisicamente, incontrare il male. A volte erano paure inconsulte, assolutamente irrazionali. Da ragazzo non dividevo il letto né concedevo l’intimità della notte a nessuno. Temevo che nel sonno, dando le spalle all’amante, potessi essere ucciso».
Ha mai avuto paura di qualcosa che stava scrivendo?
«Molto spesso. Una notte, persuaso che l’assassino che stavo descrivendo sulla pagina fosse davvero in casa con me, pronto a uccidermi, mi precipitai sulle scale e svegliai il portiere. Era sorpreso. Parlammo a lungo, almeno fino a quando le mie ansie si placarono».
Lovecraft sosteneva che l’emozione più antica dell’essere umano è la paura e che la paura più forte sia quella dell’ignoto.
«Ho sempre nutrito una profonda fascinazione per l’inconoscibile, per le stranezze e per le bizzarrie. Le ho inseguite in lunghissimi viaggi che godevo nell’affrontare da solo. Quando sei solo puoi ragionare su quello che vedi, con gli altri devi verbalizzare e tutto finisce in burletta. Si parla troppo e si capisce poco. Quando sei con te stesso invece comprendi veramente lo spirito dei luoghi».
Il primo viaggio significativo?
«In Francia. Un periodo di totale libertà. Dopo avermi organizzato una vacanza studio in Costa Azzurra, che nei piani sarebbe dovuta durare non più di un paio di settimane, mio padre Salvatore aveva assistito incredulo al prolungamento coatto della permanenza francese e aveva iniziato a preoccuparsi. Desiderava che tornassi e così aveva deciso di tagliare i fondi, convinto che bastasse per interrompere il viaggio. Si sbagliava. Sognavo a occhi aperti e dormivo ovunque trovassi un giaciglio: dagli ostelli in cui mi infilavo clandestinamente, con il serio rischio di prendere due calci in culo dai custodi, alle stanze fetide divise per un breve periodo con due prostitute sagge e generose. Mangiavo quel che capitava, vedevo moltissimi film, confondevo l’alba col tramonto. Uno dei periodi più felici della mia vita».
Presto, prima di diventare maggiorenne, iniziò a lavorare nei giornali...
«Conclusa la “vacanza” francese tornai in Italia. Scrivere mi piaceva e mi industriai per dare alla mia passione la parvenza di un mestiere. A scuola, dopo quell’esperienza che mi aveva fatto sentire improvvisamente adulto, non avevo intenzione di tornare. Così mio padre mi presentò Ugo Ugoletti, l’anziano direttore de L’Araldo dello Spettacolo, un piccolo quotidiano che si occupava di sale, incassi ed esercenti».
La sua gavetta?
«Didascalie delle foto, notizie brevi, articoli inutili. In poco tempo però, misteriosamente, mi ritrovai a scrivere per uno dei migliori giornali italiani. Al direttore di Paese Sera, Fausto Coen, non dispiaceva l’idea che qualcuno ragionasse sull’incasso dei film. Da lì, complice anche il caso, presi il largo. Uno dei principali critici del quotidiano infatti si era ammalato di tisi e mi ritrovai a sostituirlo in corsa. Rispetto a un certo conformismo comunista, lo feci in maniera completamente eterodossa. Parlavo bene dei film che mi piacevano e Coen, preoccupatissimo, era spesso costretto a richiamarmi all’ordine».
Nel 1966 invece ha esordito da attore al fianco di Alberto Sordi.
«Ero andato a intervistarlo per il giornale. Lui parlava e ogni tanto si ammutoliva fissandomi con insistenza. Al momento del congedo, mentre salutavo, si avvicinò l’aiuto regista: «Tanto noi ci rivediamo», disse. E così mi ritrovai sul set di Scusi, lei è favorevole o contrario? nel ruolo di chierichetto».
Aveva mai pensato di diventare regista?
«Ancora no. Una spinta decisiva me la diede l’incontro con Sergio Leone. Non amava i lunghi dialoghi, neanche nella vita. Parlava per immagini e per inquadrature. Parlava con il linguaggio del cinema. Viveva di intuizioni e aveva un vero talento per scoprire il talento. Se qualcuno valeva qualcosa, Sergio lo capiva in un secondo».
In lei vide un talento.
«Fece una cosa da pazzo. Mise in mano a due sconosciuti, me e Bernardo Bertolucci, il soggetto di C’era una volta il West. Voleva fare un film diverso dai precedenti, desiderava affidare il ruolo principale a una donna. Pensava che gli sceneggiatori tradizionali del cinema italiano, di donne, non capissero nulla. Cercava ragazzi giovani e investì noi di quella responsabilità. Bernardo lo incontrò quasi per caso, alla proiezione di un suo film, a due passi dal Viminale. Glielo indicai e volle conoscerlo. Bertolucci fu sciolto e spigliato: «Il suo cinema mi piace», disse sfacciato a Leone. «In particolare amo come riprende il culo dei cavalli: così bene lo fa soltanto John Ford». Leone fu conquistato dalla totale assenza di sovrastrutture e dopo pochi giorni ci propose di collaborare».
E come andò?
«Umanamente io e Bernardo ci trovammo benissimo, ma il lavoro durò parecchi mesi e non fu semplice. C’era una volta il West è molto sottile, pieno di svolte, colpi di scena e personaggi che cambiano natura. Alla fine consegnammo il trattamento e l’amicizia tra me e Sergio, un’amicizia che sembrava dover essere eterna, finì da un giorno all’altro. Per un lungo periodo avevamo condiviso emozioni e viaggi. Eravamo stati persino insieme a vedere con i nostri occhi il disastro che aveva provocato l’alluvione di Firenze nel 1966».
Finì così, senza una ragione?
«Senza una ragione. Ma il cinema è così. Sembra che l’esperienza in comune leghi le persone per sempre e invece, una volta finito il lavoro, ci si perde di vista come in un branco di nebbia. Non parlai con Sergio, pur continuando a provare affetto per lui, per quasi un ventennio. Poi, senza alcun preavviso, mentre era in grande difficoltà nella scrittura di C’era una volta in America, si fece nuovamente sentire. Cercava aiuto. Gli eravamo tornati in mente io e Bernardo e contattò entrambi, separatamente, per tentare di riunire la squadra e chiedendoci se volessimo collaborare con lui. Ma ormai ognuno aveva preso la sua strada e, pur con rammarico, non se ne fece nulla».
Cos’è il set per lei?
«Un luogo in cui non mi diverto mai. Non ho mai provato una grande felicità nel realizzare i miei film. Era un lavoro che facevo con metodo e applicazione quasi impiegatizia. Un lavoro che non di rado mi lasciava totalmente svuotato e che affrontavo senza questa specie di falsa euforia che sembra essere il corollario indispensabile per potersi definire regista. Non ho mai creduto nella falsa euforia: facevo il mio storyboard, facevo in modo di rispettare il mio stile, cercavo di sopravvivere. (Sorride)».
Hai mai più litigato su un set?
«Mai violentemente perché la violenza non ha mai fatto parte della mia vita. Ma è chiaro che quando si lavora le divergenze di opinione esistono. Ma litigi veri, Musante a parte, mi sono accaduti soltanto con un’attrice spagnola, Cristina Marsillach. Dopo averla vista in uno spot l’avevo scelta per Opera. Lei era molto giovane e perfetta per il ruolo. Durante la preparazione, tra l’altro, era andato tutto per il verso giusto. Poi non so cosa successe, ma lei cambiò di colpo. Si vedeva che voleva litigare e iniziò a farlo su ogni singolo aspetto del film: dalle inquadrature alla trasparenza della maglietta. Il rapporto fu pessimo».
Lei ha un carattere dolce, ma ha un carattere.
«Sul set non accetto interferenze. Se un attore arriva con delle idee per migliorare la scena è sempre il benvenuto, se arriva per rompere proditoriamente i coglioni, invece, vuol dire che desidera sabotare il lavoro e io il lavoro non me lo faccio sabotare da nessuno. Il cinema è un meccanismo delicato, un gioco di squadra. Se qualcuno rema contro, arrivare a destinazione è molto faticoso».
I suoi film sono stati studiati in tutto il mondo, eppure in Italia non sempre è stato capito.
«Il tempo è galantuomo e non mi sono mai preoccupato troppo della critica. Mi sarebbe piaciuto che alcuni film non fossero bollati pregiudizialmente, ma non me ne sono mai fatto un cruccio. A irritarmi erano altre cose. Mi ricordo una serata-processo al Dams di Bologna, sarà stato il 1972. Presentavo 4 mosche di velluto grigio e le domande in platea erano insinuanti, ostili e offensive. Si partiva dal solito luogo comune − «È il regista che sullo schermo fa morire soltanto le donne» − e si arrivava a definirmi senza troppi sofismi ora fascista, ora misogino. Io all’epoca ero stanco, stressato e pieno di problemi nella vita privata. Ma quella sera cercavo di trattenermi, di rispondere in maniera educata e gentile senza cadere nella provocazione. Ma a un certo punto si alzò un ragazzo. «Smettetela», disse con tono flautato e conciliante, «se non vi piace il suo cinema non c’è bisogno di insultarlo». Quella difesa pelosa mi fece infuriare più delle accuse gratuite e mi trasformai letteralmente in un altro: «Ascolta, anche tu che fai finta di essere equidistante, con quella cravattina da intellettuale, sei uno stronzo. Un vero stronzo, esattamente come tutti gli altri». Lo mandai a fare in culo e lo stesso feci con il pubblico che definii «branco di pecore». Alla fine dell’intervento, un intervento sull’importanza del libero pensiero, invece di aver acceso la fiamma del dibattito mi accorsi di averlo spento».
Sempre acceso, con lei, è stato invece il dibattito sulla censura. Con i suoi film ha dovuto combatterla per anni.
«L’operato della censura è stato spesso orrendo con i miei film, tanto da spingermi a vere acrobazie per salvare alcune copie di lavori che dai tagli erano stati devastati. Opera, un film che mi era costato tanto come preparazione e impegno, per esempio dai tagli venne massacrato. Fu una botta durissima. E io caddi in depressione».
Le è capitato spesso?
«Mi è capitato di soffrire per l’esito di alcuni film e di sentirmi a volte svuotato, spossato, senza la voglia di andare avanti. Ho ottant’anni e per lunghissimi periodi della mia vita ho vissuto in albergo. Mi sono sempre piaciuti, gli alberghi. Sono impersonali, perfetti per concentrarsi, non ti appartengono esattamente come tu non appartieni a loro».
Perché me lo racconta?
«Perché in uno dei miei preferiti, l’Hotel Flora, a due passi da via Veneto, nell’inverno del 1976 rischiai di suicidarmi. Stavo preparando Suspiria e le cose sul lavoro andavano alla grande, ma era con me stesso che da qualche tempo le cose non andavano benissimo. Mi era capitato di svegliarmi una notte con il nitido desiderio di lanciarmi dalla finestra e la stessa cosa mi era successa qualche settimana dopo quando mi era addirittura accaduto di immaginare il dopo, il mio corpo che precipitava a terra, lo schianto, il rumore, i titoli dei giornali. Mi ero diretto senza dubbi verso gli scuri, ma i mobili, i tavolini e le suppellettili mi avevano impedito di realizzare il proposito. Mi ero risvegliato la mattina dopo in lacrime, aggrovigliato tra le tende e avevo immediatamente telefonato a un amico medico. «Il suicidio è una strada a senso unico, se la imbocchi tornare indietro è impossibile, ma se devii in tempo dal tuo percorso non ti accadrà più di intraprenderlo»».
Come fece a dominare quella pulsione?
«Il mio amico mi consigliò di mettere tutti i mobili della stanza davanti alla porta-finestra. Funzionò. Dovetti combattere ma mi rialzai. Mi tirai su e da allora non ci ho mai più pensato».
La solitudine ha un prezzo.
«In quell’albergo per esempio ogni tanto invitavo qualcuno nel dopo cena per fare festa, ma regolarmente una volta andato via l’ultimo ospite mi sentivo solissimo. Oggi, come ieri, non ho molti amici. La pulsione al piacere della solitudine, come dice lei, un prezzo lo richiede sicuramente. È una dipendenza, la solitudine».
Che rapporto ebbe con le dipendenze?
«L’hashish mi ha fatto compagnia per moltissimo tempo. Non mi ricordo neanche chi mi iniziò al vizio, ma se avessi potuto avrei continuato. Ho dovuto smettere, con grande dolore, perché bronchite e tosse non mi davano tregua. Per un breve periodo feci uso anche di cocaina, ma a differenza delle canne, non solo non era una dipendenza forte, ma neanche rimpianta. La cocaina mi dava fastidio. Mi faceva star male. Non mi rilassava. Abbandonarla fu naturale».
Cosa ricorda del suo arresto?
«Qualcuno che non conoscevo aveva spedito un pacco con delle sostanze proibite a mio nome a Fiumicino. La narcotici l’aveva intercettato ed erano venuti a cercarmi. Feci entrare i finanzieri in casa e candidamente, a precisa domanda, ammisi di essere un fumatore mostrando la modesta quantità di hashisch che detenevo. Mi portarono via, a Regina Coeli, ma non volevo che la situazione né i titoli dei giornali suonassero come «il grande regista arrestato per droga», così mentre andavamo via cercai comunque di sdrammatizzare».
E come sdrammatizzò?
««Ahò, mò non famo che me ne vado e ve fumate la robba mia», dissi in romanesco e con il sorriso sulla faccia. Gli agenti risero poco, erano imbarazzati».
Ridere le è sempre piaciuto.
«Almeno quanto spaventare. Nei miei film, anche nelle situazioni più drammatiche, ironia e grottesco non mancano mai».
Cos’è la paura per lei?
«Noir, horror e giallo sono solo parole. Contenitori per i nostri sogni. La paura è un sentimento. Un’emozione diversa dal brivido che avverti guardando un film che ti terrorizza. La paura nasce dal subconscio e il subconscio, anche se spesso facciamo finta che non esista, ce l’abbiamo tutti».
Si sente un uomo fortunato?
«Fortunatissimo. Non avevo mai pensato di fare cinema e invece fare cinema è diventata un’esigenza fortissima che continua a darmi energia. Ho ancora tanti film in testa, tante storie. E le voglio girare perché senza cinema il mondo mi sembra un posto più povero, vuoto e insignificante. Non ho molte certezze, ma una brilla chiarissima».
Quale?
«Finché in una sala ci sarà qualcuno da impaurire potrò considerarmi una persona contenta.
A maggio tornerà a girare.
«C’è già il titolo, Occhiali neri, e forse anche il cast. È una storia forte a cui penso da molti anni».
Che impressione le fa averne 80?
«Un’impressione strana. Non mi accorgo di avere l’età che ho. Poi accade una cosa curiosa: mi pare che più vado avanti con gli anni e più il mio pubblico ringiovanisca».
Alla morte pensa mai?
«Come fai a non pensarci? La morte fa parte delle paure di tutti. So che un giorno dovrà succedere. Spero soltanto di essere pronto».
· Aubrey Kate.
Barbara Costa per Dagospia il 14 marzo 2021. Non se ne parla, è un argomento scomodo, e però esiste, è reale, c’è: non tutte le trans portano il peso di un pesante passato! Non per tutte la transizione è dramma, tribolazione, anche se queste fortunate sono ancora (troppo) poche. Prendi la stangona bionda che vedi nelle foto: lei si chiama Aubrey Kate, lei è la Best Porno Trans 2021, ha vinto 3 premi Oscar, che fanno compagnia agli altri 9 (se non ho contato male) già nella sua bacheca. Di' la verità: ti pareva una donna, eh? Aubrey non ti sembra trans, e infatti lei "non è" trans, nemmeno vuole essere chiamata trans, anche se indubbiamente maschio c’è nata, e dentro le mutande ha un pene di quasi 16 centimetri. Aubrey è nata maschio ma è cresciuta femmina, e la sua fortuna è quella di avere un papà e una mamma che l’hanno riempita di Barbie e abiti e roba da femmina, appena il loro "figliolo" glieli ha chiesti. Aubrey si è sentita femmina sempre, e lei ricorda il suo primo input in tal senso a 4 anni. Lei è nata e cresciuta nel sud della California, e i suoi genitori l’hanno assecondata nel suo essere femmina, dal taglio e lunghezza dei capelli, ai vestiti, alla scelta di danzare in tutù e poi, da adolescente, nella voglia di truccarsi, di indossare i tacchi alti, di presentargli fidanzati maschi, fino all’esigenza di Aubrey di intraprendere la terapia ormonale a 17 anni, e di farsi il seno a 22, un anno prima del suo debutto nel porno. La prima scena di Aubrey è stata un assolo, e lei ne ha informato i suoi genitori… appena risalita in macchina, dopo aver girato! Aubrey dice che né hanno fatto i salti di gioia, né l’hanno rimproverata. L’hanno lasciata libera. Aubrey Kate ha rivelato di aver girato quella prima scena dopo aver rotto col suo ragazzo, per ripicca perché a lui non gli si alzava e dava la colpa a lei, e però subito si è impegnata a mutare il suo colpo di testa in una vera carriera. Lei quanto ha tra le gambe non se lo recide, sta bene così “e non mi pento di nulla”, nemmeno di aver lasciato l’università dopo un semestre, e averne ottenuto l’accesso con una borsa di studio. Se per magia il mondo si popolasse di genitori copia di quelli di Aubrey, vivremmo una realtà migliore e meno penosa. Se tu che mi leggi per caso sei tra chi gli sta rodendo perché fedele alla demarcazione maschio-femmina e uomo-donna, e nelle identità e nei ruoli fissi, imposti dalla società, amico, meglio che ti dai una calmata, o forse è ora che resetti le tue idee. Se tu avversi quanto fatto da Aubrey e dai suoi genitori, c’è un solo motivo: ti credi migliore. E in cosa lo saresti? Nel fatto di esserti ritrovato con una identità sessuale in accordo a quello che hai tra le gambe? E a chi invece batte dentro una identità che non coincide col sesso con cui è nato, incastrato in un corpo in cui non si riconosce… per te, che dovrebbe fare? Nascondersi!? Ma perché non ti vai a nascondere tu, anzi, non stai zitto invece di scocciare persone che non ti fanno niente, se non mettere in crisi la tua, di sessualità? Prima del porno, Aubrey Kate ha fatto la modella, e però sezione maschio androgino, perché a quanto pare il mondo della moda è inclusivo a modo suo: il porno è ricco di testimonianze di persone che, appena iniziata la transizione, sono state congedate dalle agenzie di moda con cui erano sotto contratto. Non andavano più bene, il loro corpo non piaceva più. E per quale ragione? Non sapevano più sfilare, posare? Meno male che Aubrey Kate ha trovato nel porno girato e pure in quello posato, settori su cui svettare da regina. L’importanza di Aubrey Kate nel porno va oltre il suo successo: lei è la prima icona trans per donne. Per lei pubblicamente i/le fan reclamano un posto "da donna" nel porno female e non shemale (video porno trans). Sono attirati da lei in quanto donna, la "sentono" etero. Aubrey piace perché da trans rispecchia l’eterno femmineo della Monroe (lei è Sugar nel porno "Some TS Like Is Hot"!), della bomba sexy, e glamour, capace di asservire maschi etero, pazzi per ciò che lei – donna – sotto i vestiti… "cela". Niente scuse: i suoi porno più visti sono quelli dove è sottomessa, ma più quando è lei a possedere uomini, meglio se in coppia con colleghe trans. Senza problemi, Aubrey gira porno con uomini e donne, ma nella vita privata delle donne non ne vuol sapere, non prova per loro alcun desiderio, e infatti rivela di avere avuto solo ragazzi. Ciò che in privato la fa impazzire è il rimming, ciò che più le piace fare è la fellatio, ciò che detesta sono i sex-toys, e basta così perché Aubrey del suo privato non ama parlare. Pare che Aubrey sia una straf*ga con vita sentimentale un po’ sfigata: è uscita da una “storia tossica” e l’anno pandemico l’ha trascorso da sola, a New York. A 30 anni, Aubrey inizia a temere la rivalità delle attrici trans più giovani, agguerrite, e ben "dotate", come Daisy Taylor. Per loro Aubrey Kate è idolo e traguardo da raggiungere e superare. Avranno la sua tenacia, specie i primi tempi, quando Aubrey girava 25 scene al mese? Aubrey è la pornostar trans con il record di premi vinti, trovarne altre col suo stile, e la sua grazia, e un corpo così sinuoso (guarda che gambe!) è difficile, e poi, lei lo dice chiaro: “Per arrivare dove sono, mi sono fatta il c*lo!”. Sui set, Aubrey è soprannominata la "tripla minaccia": hai qualcosa da obiettarle?
"Tutto è iniziato a scuola. Non c'erano più le lezioni di musica...". Laura Rio l'11 Dicembre 2021 su Il Giornale. Baltimora, vincitore di "X Factor 2021", si racconta: "Chiesi a mamma di avere un insegnante di piano". Per lui è stata veramente una sorpresa, un «qualcosa di assurdo», «senza senso», come ha commentato emozionatissimo quando Ludovico Tersigni l'ha proclamato vincitore di X Factor 2021 l'altra notte al Forum di Assago. Non era una frase fatta, un concetto scontato, perché Baltimora è uno di quei giovani talenti che pensa solo alla sua musica, nel chiuso della stanza, che non vuole vincere per diventare famoso, ma diventa famoso perché fa musica vincente. Tanto che fino a pochi mesi fa ha tenuto i suoi brani blindati in un cassetto. Composto, tranquillo, con quella faccia da bravo ragazzo, Baltimora è entrato nel cuore degli spettatori di X Factor tanto da sbaragliare in finale il superfavorito gIANMARIA, lasciando terzi i Bengala Fire e quarto Fellow. Il suo vero nome è Edoardo Spinsante, è nato ad Ancona e ha vent'anni, la maggior parte dei quali spesi a suonare il piano e la chitarra, a creare e produrre musica per sé e per altri cantanti.
Cosa significa per te questa vittoria?
«Significa credere di più in ciò che faccio e poterlo fare al livello cui ho sempre aspirato, da serie A. È un sogno gigantesco. E adesso spero che tutte le persone a cui sono piaciuto continuino a seguirmi».
Hai sempre lavorato anche per altri musicisti. Cambierà qualcosa adesso?
«No, continuerò a produrre nel piccolo studio di casa mia ad Ancona e a Milano, dove vivo adesso, con i miei piccoli mezzi. Per me cantare e produrre musica restano e resteranno il divertimento di sempre».
Ti piacerebbe andare a Sanremo?
«È il sogno di qualunque cantante o cantautore. Sarebbe il più grande riconoscimento. Se si presentasse l'occasione sarebbe impossibile dire di no».
Pensi che gIANMARIA meritasse di vincere? Era il favorito...
«È un artista incredibile, pensavo che avrebbe vinto lui. Io non mi aspettavo di arrivare né ai live, né in finale, né tra gli ultimi due e, quando mi sono trovato lì, ero contentissimo di arrivare secondo con Gianma trionfante, infatti mi ha sbalordito sentire il mio nome».
Perché hai scelto di chiamarti Baltimora?
«Il 6 aprile ho compiuto vent'anni e ho deciso di cominciare a pubblicare i miei brani: come primo ho scelto Baltimora e mi sono dato lo stesso nome. È un pezzo che mi ha accompagnato nella mia crescita, ci ho messo quattro anni a finirlo: ho cominciato a scriverlo in seconda superiore e l'ho finito sei mesi fa. L'ho messo on line e per fortuna gli scout di X Factor l'hanno scovato».
Perché prima tenevi chiusi nel cassetto i tuoi brani?
«Perché sono un perfezionista, volevo che fossero all'altezza di essere ascoltati. Per fortuna ora mi sono un po' sbloccato».
Cosa significano Baltimora e Altro, i due inediti che ti hanno portato alla vittoria?
«Nei miei testi non cerco di raccontare una storia, ma di trasmettere delle emozioni, delle immagini. In Baltimora il tema è lo scrivere canzoni, l'incertezza, il timore dei giudizi. Altro invece parla dei sogni, dei pensieri notturni che ti perseguitano, del sentirsi chiusi dentro sé stessi».
Che cos'è per te la musica? Quando e come hai cominciato?
«La musica è divertimento. Ho iniziato in maniera casuale quando alle elementari i compagni non hanno più voluto fare l'ora di musica. Allora ho chiesto a mia madre di trovarmi un insegnante di piano privato e non ho più smesso».
Dove trovi ispirazione?
«Scrivo soltanto quando provo emozioni positive, perché quando si è tristi si tende a buttare fuori la rabbia senza pensare bene. Poi quando c'è da finalizzare un brano mi chiudo in studio. A volte parto dal testo, altre dalla musica».
Ti descrivono come timido, introverso...
«In realtà lo sono soltanto con chi non conosco, tendo a essere composto, a non esagerare, per tutto il resto sono una persona normale, non mi sento e non mi sentirò mai una star».
I Måneskin sono tornati trionfalmente a X Factor, dove hanno cominciato, scatenando il Forum. Un fantastico esempio per tutti i giovani talenti.
«Penso che non esistano limiti agli obiettivi, se ti meriti una cosa, trovi il modo di farla, anche se magari non in maniera galattica come stanno facendo loro».
Chi è per te Hell Raton, il tuo coach, che ti ha incitato a uscire dalla cameretta e a spiegare le ali?
«La cosa più importante che mi ha insegnato è lavorare in gruppo. Io sono sempre stato abituato a lavorare da solo ed è stato bello essere quello che si fa aiutare». Laura Rio
"Troisi, gli attori più bravi e il caso Saman: vi dico tutto". Claudio Rinaldi il 6 Luglio 2021 su Il Giornale. Barbara De Rossi, premiata al Marefestival di Salina in onore di Massimo Troisi, si racconta: da Saman a Beppe Grillo passando per il ddl Zan. Sono tante le donne famose che hanno prestato il proprio nome in favore di battaglie contro la violenza sulle donne. La lista è lunga, ma tra i primissimi posti rientra senza dubbio Barbara De Rossi, attrice e conduttrice tv che nei suoi programmi ha dato voce a centinaia di vittime. Molte hanno trovato il coraggio di denunciare grazie al suo aiuto, “molte altre invece hanno ancora troppa paura e non riescono a superare quel muro di vergogna”. È il suo cruccio, solo per questo un giorno tornerebbe a condurre un programma nel piccolo schermo, come racconta in un’intervista a 360 gradi a ilGiornale.it. Intanto però raccoglie un altro premio, questa volta dedicato all’intramontabile Massimo Troisi. L’occasione è quella della decima edizione del Marefestival nella bellissima isola di Salina. Il motivo del riconoscimento: i numeri della sua carriera… 26 film, 40 fiction e 18 programmi tv.
Cosa dire? Complimenti…
“Beh, grazie. Fa sempre piacere ricevere un premio, sfido qualsiasi attore ad affermare il contrario. E poi per me questo è il secondo Troisi, il primo l’ho ricevuto al festival di San Giorgio a Cremano”.
Ma che attore era Massimo Troisi?
“Era dolce e divertente, ma anche qualcosa di più. Non tutti i comici riescono ad interpretare ruoli diversi. Lui invece aveva una sensibilità, una poesia e una malinconia che appartiene solo ai più grandi”.
Lo conosceva?
“Sì, l’ho conosciuto quando avevo 20 anni. Eravamo un gruppo affiatato di artisti alle prime armi. C’erano Alessandro Haber, Massimo Ghini… e spesso con Troisi ci incontravamo ai raduni della nazionale di calcio degli attori. Arrivava, si sedeva in panchina e impartiva ordini, ovviamente sempre col sorriso. Ma sa cosa mi dispiace?”.
Cosa?
“Non aver avuto mai la possibilità di lavorare con lui. Basta guardare Il Postino per capire di che pasta era fatto…”.
Un film irripetibile…
“Un film unico. A me sarà capitato di vederlo almeno 15 volte, mi impressiona sempre per le emozioni e le sfumature che trasmette”.
C’è un nuovo Troisi oggi?
“Non credo ci sia. Il cinema italiano è fatto da bravissimi attori, ma uno come Massimo è impossibile trovarlo. Ma non ha senso fare paragoni perché ognuno lascia una propria impronta”.
Quando parla di bravissimi attori a chi si riferisce?
“A Favino, Accorsi, Kim Rossi Stuart… insomma i talenti non mancano, anche nella regia. Penso a Muccino che per me è straordinario”.
E allora cosa manca?
“Beh, manca la capacità di creare industria come invece fanno gli americani. Abbiamo un problema…”.
E cioè?
“Non abbiamo grandi produttori in grado di investire e di rischiare. Abbiamo tantissimi giovani con progetti e idee valide che probabilmente non vedranno mai realizzati i propri sogni. Le film commission regionali stanziano fondi, ma non bastano…”.
Pochi soldi dunque... e allora come se ne esce?
“Bella domanda. Il rinnovamento dovrebbe forse partire dalla politica perché, purtroppo, troppo spesso è proprio la politica ad entrare lì dove non dovrebbe”.
Lei che rapporto ha con la politica?
“Non ho mai avuto una tessera di partito. Non sono mai stata a favore di questo o quello schieramento. Credo di non avere alcun pregiudizio...".
In che senso?
"Se penso che una cosa sia giusta, l’appoggio a prescindere dal partito che la propone”.
Lei si è sempre impegnata a favore delle donne… crede che nei posti che contano ce ne siano troppo poche?
“Anche in politica iniziano ad avere sempre più peso. Certo, spero un giorno di vedere un presidente della Repubblica o un presidente del Consiglio donna. Resta il fatto che le donne debbano ancora dimostrare tre volte quello che sanno fare”.
E nella lotta alle violenze a che punto siamo?
“Nei programmi che ho condotto in tv, ho sempre dato voce alle vittime. Purtroppo ancora oggi molte donne hanno timore di denunciare e questo accade perché le loro denunce finiscono in un nulla di fatto. Ma lo sa che in alcuni luoghi non vengono applicati i braccialetti perché costano troppo? E sa cosa viene detto a molte donne che denunciano minacce?”
Cosa?
“Non le possiamo far nulla se prima quell’uomo non le fa qualcosa. Ha capito? È una situazione assurda diffusa ancora oggi. Il personale che accoglie le vittime di violenza va formato. Vanno formate le forze dell’ordine, ma anche i giudici perché non sempre hanno la preparazione e la sensibilità giusta per offrire un aiuto”.
Lo stesso discorso vale per gli stupri?
“Certo, ha mai sentito l’arringa di Tina Lagostena Bassi? Correvano gli anni ’70 e l’avvocato Lagostena Bassi difendeva le vittime nella sua arringa non solo dagli artefici della violenza, ma anche dai loro legali che provavano a dimostrare atteggiamenti sconvenienti da parte delle ragazze…”.
Siamo ancora a quel livello?
“Direi di sì, nel pensiero comune spesso si annida il pregiudizio che la donna in fondo un po’ se la sia cercata”.
Ha visto il video di Beppe Grillo in difesa di suo figlio, accusato di un stupro di gruppo?
“Sì, ha sbagliato. Penso però abbia agito da padre in un attimo di disperazione. Purtroppo nei processi per stupro a volte le procedure andrebbero semplicemente applicate”.
Mi faccia un esempio...
“Le testimonianze delle donne dovrebbero avvenire in stanze separate e dovrebbe essere vietato agli avvocati degli stupratori mettere in difficoltà le vittime attraverso illazioni".
E invece questo non avviene?
"No, queste leggi non vengono quasi mai applicate. Perché?”.
E che ne pensa invece della triste vicenda di Saman?
“Penso sia un fatto gravissimo che ha dei colpevoli evidenti nella famiglia della povera ragazza. Ma le dico di più: non lo facessero passare per una forma di femminicidio, perché non lo è”.
E che cos’è allora?
“È un delitto religioso, è il frutto di pratiche allucinanti e retrograde che derivano da una cultura che non ha alcun rispetto per la donna. Tra l'altro non si tratta di un caso isolato. Sa quante donne vengono uccise per gli stessi motivi in Pakistan?".
Perché c’è stata un po’ di difficoltà nel dire quello che lei invece sta dicendo con molta chiarezza?
“Bisognerebbe cercare di essere realisti. Qui la politica non c’entra nulla, anzi togliamola di mezzo per una volta. Bisogna piuttosto avere il coraggio di dire che in alcuni Paesi del mondo le donne non sono niente, solo merce di scambio… è inutile che ci giriamo intorno e non è che chi esprime un pensiero di questo tipo, può essere accusato di razzismo. Io non ho alcun problema con la fede musulmana”.
Ecco, dicendo queste cose non ha paura di essere chiamata razzista?
“Ho un compagno mulatto, non scherziamo... Io rispetto tutte le religioni, però se in alcune culture la donna viene sottomessa, non possiamo far finta di nulla. Se poi chi prova a ragionare e a dire certe cose, viene accusato di razzismo… allora io non ci sto”.
Ma è così purtroppo...
“Sì, ma non è vero. Io ho un profondo rispetto per tutte le minoranze, ma se si affronta il tema di come la donna venga ancora barbaramente considerata, il discorso cambia”.
A proposito di minoranze… che ne pensa del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia?
“Gli omosessuali in Italia hanno subito tante cose gravi… forse una legge non guasterebbe. Capisco anche chi voglia tutelare la libertà di espressione, ma attenzione: esprimere la propria idea non significa offendere. Comunque dobbiamo ancora imparare a rispettare il prossimo, chiunque esso sia”.
Ma tornerebbe a fare televisione?
“Sì, tornerei per un programma di denuncia che allunghi il braccio fuori dagli studi televisivi”.
Tradotto?
“Hai un problema? Bene, io ti apro le porte dello studio televisivo, ti do la possibilità di raccontare la tua storia davanti alle telecamere, poi però non appena finisce la trasmissione, ti aiuto finché non ne esci. La tv di Stato dovrebbe agire così”.
Intanto quali sono i suoi programmi per il futuro?
“Sto preparando un nuovo spettacolo teatrale con l’attore Enzo De Caro… Enzo, tra l’altro, era un grande amico di Troisi, hanno esordito insieme”.
Come si chiamerà lo spettacolo?
“Lettere d’amore. Inizieremo a settembre e non vedo l’ora dopo un anno e mezzo di inattività”.
Claudio Rinaldi. Giornalista. Televisivo per Quarta Repubblica (Rete4). Web per ilGiornale.it. Carta stampata per il Corriere della Sera (Roma). Ma anche direttore di TheFreak.it. Nella vita dj a tempo perso. Cestista ogni tanto. Interista sempre. Romano d’adozione ma lucano fino al midollo.
· Barbara d'Urso.
I ricordi della conduttrice nata a Napoli. “Mai baciato nessuno per lavorare”: Barbara D’Urso racconta l’infanzia da orfana, la fuga, il successo. Vito Califano su Il Riformista il 9 Agosto 2021. Barbara d’Urso è pronta ad andare in onda, in diretta, in televisione insomma fino al 2050. Lo ha raccontato in una lunga intervista a Candida Morvillo a Il Corriere della Sera in cui ha ricordato la sua infanzia, la maturità, il successo, lo stigma del trash sulle sue trasmissioni. “Ho alcuni detrattori, soprattutto sui social, ossessionati da me, che mi attaccano a prescindere chissà perché. Esistono diversi generi di tv. A Live Non è La d’Urso sono venuti per i faccia a faccia con me tutti, l’ex premier, i politici, i ministri più importanti”. Maria Carmela d’Urso ha 64 anni, è nata a Napoli. A 11 anni la sua vita cambia dopo la morte della madre. “Vivevo in una casa meravigliosa, avevo tutto, poi, io ho sette anni e mamma si mette a letto. Ogni tanto, si alzava, poi, sempre meno. Le sue braccia erano sempre più nere, per le flebo. Io e i miei fratelli ancora abbiamo la fobia degli aghi. È morta che Alessandro aveva 3 anni, Daniela 7, io 11. Nessuno ci ha detto perché venivano tanti medici”. A 18 anni – dopo che il padre avvocato, uomo severo, si è risposato, e dopo l’arrivo di altri tre fratelli – scappa di casa e va a Milano. Parte con 15mila lire in tasca, comincia a fare la modella, il padre non le parla per quattro anni. D’Urso debutta in televisione in Goal, nel 1977, a Telemilano, prima tv di Silvio Berlusconi. Una carriera in costante ascesa fino a tre programmi su Canale 5 – che dalla prossima stagione passeranno a due, con Pomeriggio 5 e una prima serata di intrattenimento sulla quale c’è grande riserbo. “Mi sentivo forte perché ce la facevo da sola. Avrei potuto facilmente fare la bella vita, accettare compromessi, ma l’educazione rigida era dentro di me. Non ho neanche mai dato un bacio in bocca a uno per lavorare”, ha spiegato. E di gossip, sul suo conto, ne è stato fatto e pure parecchio: da Vasco Rossi – che le avrebbe dedicato Incredibile Romantica e per alcuni anche Albachiara, scritta però troppo tempo prima – a Miguel Bosé a Memo Remigi al suo “seno che parla” com’è stato definito dal regista spagnolo Pedro Almodovar. D’Urso ha avuto due figli, Gianmauro ed Emanuele, dal produttore cinematografico Mauro Berardi dal quale si è separata nel 1993. Ha sposato e divorziato nel 2008 il ballerino Michele Carfora. Oggi “c’è una persona speciale a cui ho dato il permesso di corteggiarmi, un corteggiatore in prova”.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Barbara D'Urso, la confessione su Miguel Bosé: "La storia con lui? Ero troppo piccola, e così...", perché è finita malissimo. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 09 agosto 2021. "La mia unica sfida è quella contro me stessa... Non mi arrendo, rido, resisto e quindi vinco", Barbara D'Urso stakanovista doc. Inarrestabile. Ora si racconta in un’intervista a Il Corriere della sera. Tra un mese torna a Cologno Monzese in tv con il suo inossidabile Pomeriggio5. Intanto, corre e si allena. "Nessuna metafora. Correre con questo caldo è una noia, ma io non mi dico mai “non ce la faccio”, perché superare i miei limiti è la sfida di tutta la mia vita, fin da piccola", dice la D’Urso. Che assicura: “Farò tv fino al 2050”. Per lei una sola parola d’ordine: “Io ce la devo fare”. Un motto. Un imperativo. Ed inizia sulle pagine del Corriere della sera la sua operazione rewind. “Vivevo a Napoli, in una casa meravigliosa, avevo tutto, poi, io ho sette anni e mamma si mette a letto. Ogni tanto, si alzava, poi, sempre meno. Le sue braccia erano sempre più nere, per le flebo. Io e i miei fratelli ancora abbiamo la fobia degli aghi. È morta che Alessandro aveva 3 anni, Daniela 7, io 11. Nessuno ci ha detto perché venivano tanti medici. Insomma, sei piccola, fai i turni per tenere il panno ghiacciato sulla fronte di mamma, non sai se guarisce, che ha... Per forza ti dici: io, a questo, devo sopravvivere. Poi, all’improvviso, mamma non c’è più e di lei in casa non parleremo mai più. Come se quella tragedia fosse normale. Da allora mi porto dietro quest’imperativo di sopravvivenza e il rigore di mamma, che ho nel Dna”, racconta Carmelita. Sogna di diventare danzatrice, ma poi sua madre muore. “Nessuno mi ha più iscritto a danza. La mia vita diventa un’altra. Ma da quando sono scappata da casa a 18 anni ricerco voracemente la danza. Alle sei mi alzo e già sono alla sbarra”, dice la D’Urso. "Papà si era risposato, erano arrivati altri tre fratelli e, quando stava per lasciare questa nostra meravigliosa famiglia allargata per un’altra, non potei accettarlo. In più lui era pazzescamente severo. A 16 anni, il sabato pomeriggio, mi era vietato andare a ballare. Io ci andavo, fingendo di essere al cinema". Poi la fuga di casa. Che racconta riavvolgendo il nastro raccontando del secondo matrimonio di suo padre. “Gli dissi che me ne andavo e lui: se te ne vai, per me, sei morta. Così è stato, per quattro lunghi anni. Uscii con sole 15 mila lire in tasca. Non sapevo far niente, ma ero una bella ragazza. Iniziai a sfilare per i campionari, mi ci pagavo una stanza. Poi tentai il salto a Milano”, continua a raccontare. Davanti a lei anni faticosi. “Avrei potuto facilmente fare la bella vita, accettare compromessi, ma l’educazione rigida era dentro di me. Non ho neanche mai dato un bacio in bocca a uno per lavorare. Sempre torniamo alla sfida con me stessa”. Poi le prime pubblicità e la tv, che arriva tramite un’agenzia. Lei ricorda quegli anni così: “Sono stata presa a Telemilano, la prima tv di Silvio Berlusconi. Era il ‘77. Facevo la signorina buonasera, un programma con Claudio Lippi e, ogni sera, uno in diretta. Vivevo in quel sottoscala di Milano 2. È buffo: praticamente era la stessa vita che faccio oggi a Mediaset”. Da settembre non ci saranno «Domenica Live», «Live Non è la D’Urso»: la D’Urso farà solo «Pomeriggio 5». "Ci saranno proposte di intrattenimento in prime time per me. È un passaggio necessario. Ho parlato a lungo con Pier Silvio Berlusconi, mi ha spiegato il suo punto di vista e lo condivido totalmente: col Covid, la realtà che ho sempre raccontato facendo informazione si è talmente intrisa anche di tragedia, che è sempre più difficile voltare pagina su argomenti leggeri. Mi ha detto: ho bisogno che delle cento anime che hai ne tiri fuori due, una per l’informazione e una per il puro intrattenimento. Per cui è in maturazione una prima serata d’intrattenimento e, dal 6 settembre, riparte l’informazione quotidiana di Pomeriggio 5 sulla rete ammiraglia, con la cronaca di tutti i tipi e la politica, dando spazio anche alle storie di persone comuni e all’Italia positiva che ha valori. Non mancheranno i miei “timbri”: chi ti picchia non ti ama; sì alle telecamere in asili e Rsa; stop all’omofobia...", svela. Capitolo amore. Sempre un rebus per i gossippari. Ma la D’Urso racconta: "C’è una persona speciale a cui ho dato il permesso di corteggiarmi, un corteggiatore in prova". In passato, tra l’altro, un suo fan speciale è stato Miguel Bosé. Ed il pubblico ha sognato. Lei frena: “Ma ero piccola”. Ora la D’Urso pensa in grande con Pedro Almodóvar. “Sono pazza di lui, sogno di girare un suo film con la sua musa e mia amica Rossy De Palma”.
Candida Morvillo per il "Corriere della Sera" il 9 agosto 2021. Barbara d'Urso ha appena pubblicato su Instagram una foto in cui corre, canottiera e shorts, un fisico che, a 64 anni, è un fascio di muscoli e nervi. Sotto, ci ha scritto che ama vincere. Sempre: «La mia unica sfida è quella contro me stessa... Non mi arrendo, rido, resisto e quindi vinco».
Parlava di jogging o pensava alla prossima stagione Mediaset in cui per la prima volta da anni farà un solo programma anziché tre?
«Nessuna metafora. Correre con questo caldo è una noia, ma io non mi dico mai "non ce la faccio", perché superare i miei limiti è la sfida di tutta la mia vita, fin da piccola».
Perché fin da piccola?
«In principio, era: io ce la devo fare. Vivevo a Napoli, in una casa meravigliosa, avevo tutto, poi, io ho sette anni e mamma si mette a letto. Ogni tanto, si alzava, poi, sempre meno. Le sue braccia erano sempre più nere, per le flebo. Io e i miei fratelli ancora abbiamo la fobia degli aghi. È morta che Alessandro aveva 3 anni, Daniela 7, io 11. Nessuno ci ha detto perché venivano tanti medici. Insomma, sei piccola, fai i turni per tenere il panno ghiacciato sulla fronte di mamma, non sai se guarisce, che ha... Per forza ti dici: io, a questo, devo sopravvivere. Poi, all'improvviso, mamma non c'è più e di lei in casa non parleremo mai più. Come se quella tragedia fosse normale. Da allora mi porto dietro quest' imperativo di sopravvivenza e il rigore di mamma, che ho nel Dna».
Com' era fatto questo rigore?
«Di regole. Lei, pure malata, a letto, se la combinavo grossa mi faceva tirar su per le braccia dalla cameriera e mi sculacciava col cucchiaio di legno. Mi è servito: ho sempre saputo che dovevo rigare diritto».
Che cosa sognava di fare da grande?
«Non lo sapevo. A cinque anni avevo iniziato danza classica. Poi muore mamma e nessuno mi ha più iscritto a danza. La mia vita diventa un'altra. Ma da quando sono scappata da casa a 18 anni ricerco voracemente la danza. Alle sei mi alzo e già sono alla sbarra».
Com' è che a 18 anni scappa di casa?
«Papà si era risposato, erano arrivati altri tre fratelli e, quando stava per lasciare questa nostra meravigliosa famiglia allargata per un'altra, non potei accettarlo. In più lui era pazzescamente severo. A 16 anni, il sabato pomeriggio, mi era vietato andare a ballare. Io ci andavo, fingendo di essere al cinema».
Se la scopriva?
«Era una famiglia patriarcale, anche bella... Bella quando papà, avvocato, tornava dal tribunale e a tavola io, la primogenita, sedevo alla sua sinistra. Bella quando qualunque cosa mi piacesse, tipo la Kodak di cartone, lui me la faceva trovare sotto il cuscino la sera...».
Tutto bello, però?
«Per esempio, a tavola, un giorno, mia sorella dice: ti ha telefonato il tuo... E fa il nome di un ragazzino. E io: non puoi dire le mie cose a tutti. Papà dice: io non sono tutti, sono tuo padre. Senza battere ciglio, prende la zuppiera di spaghetti e me la spacca in testa. Era il suo modo d'insegnare il rispetto. Però mi ha picchiata solo una volta. Avevo detto che ero a una festa, non era vero. Mi diede due scudisciate col frustino da cavallo che ricorderò sempre».
Come fu la fuga?
«Gli dissi che me ne andavo e lui: se te ne vai, per me, sei morta. Così è stato, per quattro lunghi anni. Uscii con sole 15 mila lire in tasca. Non sapevo far niente, ma ero una bella ragazza. Iniziai a sfilare per i campionari, mi ci pagavo una stanza. Poi tentai il salto a Milano».
Quanto sono stati faticosi quegli anni?
«Mi sentivo forte perché ce la facevo da sola. Avrei potuto facilmente fare la bella vita, accettare compromessi, ma l'educazione rigida era dentro di me. Non ho neanche mai dato un bacio in bocca a uno per lavorare. Sempre torniamo alla sfida con me stessa».
Quando ha capito che ce la stava facendo?
«Quando, posando per le pubblicità, ho preso in affitto la prima casetta e ho comprato una Renault 4 di decima mano, dietro non c'era il pianale, non ci poggiavi i piedi».
La tv come arriva?
«Coi provini tramite l'agenzia di moda. Sono stata presa a Telemilano, la prima tv di Silvio Berlusconi. Era il '77. Facevo la signorina buonasera, un programma con Claudio Lippi e, ogni sera, uno in diretta. Vivevo in quel sottoscala di Milano 2. È buffo: praticamente era la stessa vita che faccio oggi a Mediaset». Però, da settembre, niente più «Domenica Live», niente «Live Non è la d'Urso».
Farà solo «Pomeriggio 5».
«Per poco. Ci saranno proposte di intrattenimento in prime time per me. È un passaggio necessario. Ho parlato a lungo con Pier Silvio Berlusconi, mi ha spiegato il suo punto di vista e lo condivido totalmente: col Covid, la realtà che ho sempre raccontato facendo informazione si è talmente intrisa anche di tragedia, che è sempre più difficile voltare pagina su argomenti leggeri.
Mi ha detto: ho bisogno che delle cento anime che hai ne tiri fuori due, una per l'informazione e una per il puro intrattenimento. Per cui è in maturazione una prima serata d'intrattenimento e, dal 6 settembre, riparte l'informazione quotidiana di Pomeriggio 5 sulla rete ammiraglia, con la cronaca di tutti i tipi e la politica, dando spazio anche alle storie di persone comuni e all'Italia positiva che ha valori. Non mancheranno i miei "timbri": chi ti picchia non ti ama; sì alle telecamere in asili e Rsa; stop all'omofobia...».
Qualcuno dice che è stata ridimensionata perché trash. Cos' è il trash per lei?
«Ho alcuni detrattori, soprattutto sui social, ossessionati da me, che mi attaccano a prescindere chissà perché. Esistono diversi generi di tv. A Live Non è la d'Urso, sono venuti per i faccia a faccia con me tutti, l'ex premier, i politici, i ministri più importanti. Poi, c'era un "volta pagina" dove ho cercato di portare grandi risultati con un budget molto contenuto, rispettando le esigenze dell'azienda».
Dei volta pagina low cost, tipo le extensions di Federico Fashion Style o le fidanzate di Paolo Brosio, si sarebbe risparmiata qualcosa?
«Nulla. Ho fatto ciò che potevo e che, fra l'altro, piaceva alla gente: quel rumore di fondo per cui Live Non è la d'Urso ha chiuso perché non faceva ascolti è falso».
La preghiera di Matteo Salvini per i morti di Bergamo era trash o che altro?
«Era improvvisata. Ma se fosse stato il panettiere o la commessa a voler recitare un Eterno Riposo io che prego sempre la Madonnina, istintivamente, lo avrei fatto con loro».
Quando è uscita la notizia sulla chiusura anticipata del serale, Nicola Zingaretti l'ha difesa con un tweet, facendo inorridire la sinistra intera. Come l'ha conquistato?
«Non l'ho conquistato, l'ho intervistato come ho fatto con Pannella, Meloni, tanti altri. Ha solo detto che gli pareva un peccato che una rete importante rinunciasse alla politica in prima serata. Cosa che consente in ogni casa di capire temi che altrimenti non seguirebbero in talk più specifici. Credo intendesse questo».
Con Salvini in che rapporti è dopo che vi siete scontrati sul Ddl Zan?
«Tutti i politici che ho avuto in studio, o loro o i loro portavoce, mi hanno sempre ringraziata per averli ospitati». I suoi capi hanno mai criticato la sua tv? «Mai. Ci sono state un paio di cose che editorialmente non sono piaciute: in tanti anni, può succedere. L'editore, prima di presentare i palinsesti, è stato molto insistente nel dirmi che sono stata e sono fondamentale per l'azienda, questo mi ha molto gratificata. L'ha ribadito anche in conferenza stampa, ma non l'ho visto riportato da nessuna parte. Lei l'ha letto? No. Però io non ho commentato. Parlo solo ora e parlerò coi fatti. Ho letto che Pomeriggio 5 durerà mezz' ora... Sorrido, lascio che parlino e mi godo l'estate».
I ricordi più belli di 44 anni di carriera?
«I momenti salienti... Quando scrivevo per King e Moda e ho intervistato il brigatista Alberto Franceschini uscito dal carcere. Quando Pietro Garinei, dopo sette provini, mi ha preso come protagonista al Sistina. La prima puntata della Dottoressa Giò e la prima Domenica In con Pippo Baudo: ho mille pietre miliari e amo follemente il mio lavoro».
La spaventa il tempo libero da settembre?
«Per niente, per la prima volta dopo 14 anni, potrò fare dei weekend».
Ha un compagno con cui condividerli?
«C'è una persona speciale a cui ho dato il permesso di corteggiarmi, un corteggiatore in prova».
Perché «in prova»?
«Perché in amore ho dato tanto e ora do prima tantissimo amore a me stessa».
Ha avuto più amori felici o infelici?
«Tutti gli amori sono sia infelici che felici».
Mi dica una cosa mai raccontata del suo flirt di gioventù con Vasco Rossi.
«Se ne è parlato anche troppo. Hanno detto pure che scrisse per me Alba Chiara, ma l'aveva scritta prima».
È vero il filarino con Miguel Bosé?
«Ma ero piccola».
E che Silvio Berlusconi la corteggiò, ma lei lo rifiutò perché stava con Memo Remigi?
«Mi corteggiò da grande gentleman, ma non stavo più con Memo. Lo racconto solo perché l'ha rivelato lui, in diretta da me, dicendo: è stata l'unica che mi ha detto no».
Quando e come Pedro Almodóvar avrebbe detto che il suo seno parla?
«Vorrei saperlo anch' io. Sono pazza di lui, sogno di girare un suo film con la sua musa e mia amica Rossy De Palma».
Fino a quando farà televisione?
«Cos' è adesso? 2021? Direi fino al 2050».
Avrà 93 anni.
«Troppo presto?».
Da corrieredellosport.it il 4 febbraio 2021. In una lunga intervista concessa al settimanale Di Più, Memo Remigi ha ricordato la sua relazione con Barbara d'Urso. Relazione che all'epoca, parliamo di fine anni Settanta, fece molto scalpore per la differenza d'età (lei 20 anni, lui 39) e per il fatto che l'artista fosse già sposato con un'altra donna, la giornalista Lucia Russo. "Durante il matrimonio ho avuto parecchie "scivolate", chiamiamole così. Ma nel mondo dello spettacolo ci sono tante di quelle tentazioni che resistere era al di sopra delle mie possibilità. Ero un volto famoso e le mie "scivolate" finivano sui giornali. La più celebre fu quella con Barbara d'Urso. Era appena arrivata a Milano da Napoli. Lucia mi cacciò di casa, del resto che cosa avrebbe dovuto fare? Così presi un bilocale in affitto per vivere con Barbara. Con lei mi sentivo un po' un papà che cercava di proteggere una giovane fanciulla bella e inesperta", ha ricordato l'82enne. La love story tra Barbara d'Urso e Memo Remigi è durata ben quattro anni. Dunque, una storia importante per entrambi ma senza futuro. "Ero certo che sarebbe finita perché Barbara, giustamente, a un certo punto avrebbe voluto crearsi una famiglia, avere figli. Io avevo già la mia di famiglia. Quando quel momento arrivò, ci lasciammo e tornai da mia moglie", ha spiegato il cantante. Ricucire un legame con Lucia Russo, scomparsa di recente a causa di un tumore ai polmoni, non è stato facile ma Remigi ci è riuscito. La d'Urso, invece, ha incontrato il produttore cinematografico Mauro Berardi, dal quale ha avuto i figli Giammauro ed Emanuele. Oggi Barbarella si dichiara single anche se di recente si è parlato di un fidanzato misterioso.
Barbara D’Urso replica a Memo Remigi: “Pagavo io con i miei soldi”. Alice su Notizie.it 05/02/2021. Barbara D'Urso ha replicato contro Memo Remigi specificando di aver pagato con i propri soldi l'appartamento in cui hanno abitato. Memo Remigi ha confessato di aver tradito – alla fine degli anni ’70 – sua moglie Lucia Russo con Barbara D’Urso. La famosa conduttrice, che ha confermato la liaison, ha voluto smentire la notizia del tradimento e a seguire ha anche specificato che l’appartamento in cui ha vissuto con Remigi sarebbe stato affittato da lei. Barbara D’Urso si è detta infastidita per il gossip che la riguarda e che è diventato sempre più insistente nei giorni scorsi: Memo Remigi ha infatti rivelato di aver tradito sua moglie – Lucia Russo, recentemente scomparsa – proprio con lei, all’epoca agli esordi della sua carriera tv. La conduttrice ha precisato che il cantante e sua moglie sarebbero stati già separati da tempo e che lei non si sarebbe mai legata ad un uomo sposato: “La cosa che non mi piace è che ha detto di aver tradito sua moglie con me. Devo precisare questo perché io nella mia vita, e ho educato in questo modo anche i miei figli, non ho mai avuto una relazione né di un minuto, né di un’ora, né di un giorno, né di 4 anni con un uomo che avesse una moglie che lo aspettava a casa”, ha tuonato la conduttrice. Remigi replicherà a sua volta? Stando a quanto ammesso da entrambi la relazione durò 4 anni, e insieme avrebbero condiviso un appartamento che, a detta della conduttrice, sarebbe stato affittato da lei (mentre Remigi ha affermato di averlo preso in affitto personalmente). “Io allora vivevo in un bilocale che pagavo con i miei soldini e lui è venuto a stare da me. Potrei fare mille precisazioni ma è questo quello a cui tengo moltissimo: mai nella mia vita ho fatto in modo che un uomo tradisse una donna per colpa mia. Punto”, ha dichiarato la conduttrice.
Il Messaggero.it il 15 maggio 2014. Una causa che aveva appassionato lo showbiz italiano è terminata: Pupo ha sconfitto Barbara D'Urso in tribunale. La sentenza è della prima sezione civile del tribunale di Roma, il giudice è Silvia Albano. La causa civile tra D'Urso Maria Carmela detta Barbara e Ghinazzi Enzo detto Pupo, è destinata a fare giurisprudenza. Come è noto, la D'Urso aveva chiesto a Pupo il risarcimento danni per diffamazione perché lamentava l'offesa di alcune dichiarazioni rilasciate dallo showman nel corso di un'intervista in diretta telefonica a Sky Sport 24 il 22 agosto 2010. Il contesto era il fatto che una sua canzone «La storia di noi due» era stata usata come sottofondo di un divertente spot televisivo di Sky di grande successo, con alcuni giocatori, tra cui Cassano e Vucinic, che apparivano prima in forma e poi imbruttiti e ingrassati. Nell'intervista a Sky, Pupo aveva dichiarato, tra il serio e il faceto, che quel brano lo aveva scritto nel 1981 e lo aveva dedicato «ad una grande donna di Mediaset che fa la conduttrice e con cui ho avuto un flirt: Barbara D'Urso. Io l'ho scritta, parole e musica, per lei, è stato un momento in cui le ho dedicato questa canzone e questa è la prima volta che lo dico, ma è così. Quando l'ho scritta Barbara era come Cassano vero, ora è Cassano finto». Ascoltando quelle dichiarazioni la D'Urso era andata su tutte le furie, aveva lamentato che l'intervista aveva dato luogo a diversi articoli di gossip ed aveva danneggiato gravemente la propria reputazione e riservatezza. Inoltre, in un'altra intervista, Pupo, accusato di ineleganza per aver parlato della vecchia storia d'amore, si era difeso osservando che «da noi in campagna è più inelegante mettersi sul trespolo a sparare giudizi snob e spocchiosi senza informarsi piuttosto che rischiare di essere fraintesi». E aveva velonosamente preannunciato che forse fra 30 anni «io, abbastanza vecchietto, ma anche la D'Urso, come un Cassano e un Vucinic finti, racconteremo il nostro dolcissimo flirt e le perfette regole degli amanti». Peggio che andar di notte: la D'Urso si era infuriata ancora di più, aveva parlato di dichiarazioni gravemente offensive del suo onore e decoro e aveva chiesto a Pupo 50.000 euro di risarcimento. Perdipiù, in un'intervista a Vanity Fair, la presentatrice aveva smentito la storia con Pupo liquidandola con una battuta feroce: «Sì come no, e in quel periodo stavo anche con Bombolo e Alvaro Vitali» rimpiangendo di aver chiamato anni prima Pupo a fare l'inviato del reality «La Fattoria», da lei condotto. Il giudice Silvia Albano ha messo fine alla questione: «la dichiarazione relativa all'esistenza di una breve relazione tra i due non può avere alcun contenuto diffamatorio o lesivo dell'onore dell'attrice perché la stessa nel medesimo contesto viene definita una grande donna tanto che ha ispirato la sua canzone d'amore. Né può ritenersi che abbia carattere gratuitamente offensivo l'allusione al Cassano vero e al Cassano finto, trattandosi di un inoffensivo scherzoso paragone con il tema della trasmissione sportiva. E il diritto alla riservatezza invocato dalla presentatrice? La D'Urso, osserva il giudice, è personaggio pubblico, Pupo non ha rivelato aspetti intimi ma solo l'esistenza di un flirt che avrebbe ispirato l'attività artistica del cantante. E, osserva il giudice, «riveste senz'altro interesse, per un certo pubblico, conoscere il soggetto che ha ispirato la composizione artistica». La D'Urso non è riuscita ad aver ragione neanche sostenendo l'inesistenza del flirt o la circostanza che nel 1981 aveva una relazione stabile con un altro uomo. «Circostanze -osserva il giudice- che non possono essere prese in considerazione». La domanda viene perciò dichiarata inammissibile e rigettata e la D'Urso condannata al pagamento di 4.000 euro di spese. E Pupo? Non commenta ma fa sapere di aver mandato nei giorni scorsi gli auguri di buon compleanno alla D'Urso.
· Beatrice Rana.
Piera Anna Franini per “il Giornale” il 29 marzo 2021. La pianista Beatrice Rana (Lecce, 1993) è il garbo fatto persona. Agisce con la calma delle personalità risolte che affrontano, superano e vincono senza mostrare i muscoli. Si è imposta all' attenzione mondiale a 18 anni con la vittoria del Concorso di Montreal, poi è stato un crescendo di contratti con orchestre e sale che contano dal Musikverein alla Philharmonie di Berlino, Concertgebouw, Lincoln Center, Carnegie Hall, Wigmore e Royal Albert Hall. S' aggiunga l' esclusiva con la casa discografica Warner. La critica di valore la incorona puntualmente, a partire da Antony Tommasini, il numero uno del New York Times. Rana colma il vuoto lasciato dal pianista Maurizio Pollini dell' epoca d' oro. Ci piace saperla nostra ambasciatrice nel mondo, vederla incarnare l' italianità tessuta di raffinatezza e autenticità. È assai italiana anche per come veste quando va in scena: mise ricercata però con un guizzo di fantasia. Il Giornale incontra Beatrice Rana alla Scala, dove tornerà in luglio. Si esibirà anche al Ravenna Festival ed è poi attesa nelle sale top e con orchestre di New York, Boston, Pittsburgh e Baltimora.
Cos' è il pianoforte per lei?
«La mia voce. Anzi mi piace più della mia voce».
È cresciuta in una famiglia di musicisti. Riesce, però, a ricordare i primi contatti con lo strumento?
«È sempre esistito il fatto che suonassi. Suonare è come parlare. Quando vado in vacanza mi riprometto di non studiare, ma poi mi manca il contatto fisico. Quindi cedo».
E che dire del pianoforte come oggetto: così bello che pare un prodotto di design?
«È un oggetto ingombrante, ma elegante, bello e strano. Arcaico ma capace di rinnovarsi sempre. Inizialmente era di legno marrone e ora è di un nero super lucido, versione 2.0».
Che pianoforte ha nella casa di Roma?
«Un Fazioli. Per la gioia dei vicini».
Problemi?
«Scherzavo. In realtà sono contentissimi quando suono».
Quanto è dura fare concerti nei teatri vuoti?
«Un concerto nasce dallo scambio fra palcoscenico e spettatore e quando lo scambio viene a mancare diventa una sfida. Grazie allo streaming c' è un pubblico che ti ascolta, però si spegne l' immediatezza del rapporto. È come il sassolino che lanci in una vallata, senti che arriva ma molto dopo. Lo streaming ricorda il valore della musica come servizio civile. Ben venga che esista, tuttavia andare a teatro vuol dire farsi stupire, farsi sconvolgere, affrontare imprevisti, il digitale non potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo».
Torniamo ai ritmi pre-Covid. Quanti concerti l' anno? Quanti aerei?
«Un' altra vita. Facevo circa 90 concerti all' anno, più registrazioni e il mio Festival a Lecce. Una vita impegnativa e poco stanziale. Finito il concerto già mi chiedevano una data per un altro appuntamento. Sono passata da un estremo all' altro, da una vita programmata per i successivi tre anni all' incertezza totale».
Cosa rimarrà del mondo concertistico di prima. E cosa se ne andrà?
«Se per sopravvivere non rimane altra via che lo streaming, come fa un piccolo ente a permettersi piattaforme digitali per trasmettere la propria musica? E poi, ascolteresti la Quinta Sinfonia di Beethoven dell' orchestra di provincia quando sai che è disponibile la Digital Concert Hall dei Berliner? Temo una selezione darwiniana delle società concertistiche e dei musicisti».
Quindi vede nero.
«Nessuno mette in dubbio l' esistenza di giganti come il Teatro alla Scala. Però i giganti hanno modo di vivere se c' è il sottobosco, per questo penso che dovremo rimpolpare la fauna musicale non appena usciremo dal tunnel».
Discorso che si allaccia all' appello di Riccardo Muti il quale ha suggerito di riaprire i piccoli teatri sparsi per l' Italia affidandone l' organizzazione a giovani musicisti.
«Sarebbe un' iniziativa vincente. Abbiamo bellissimi teatri e tanti musicisti di talento, perché va detto che la scuola musicale italiana sia di qualità. Questi teatri dovrebbero essere riempiti con i nostri musicisti e con un pubblico che altrimenti deve fare chilometri e chilometri per raggiungere i teatri dei capoluoghi».
Fu Liszt, 180 anni fa, a inventare il recital pianistico. Chiediamo a lei che è anche imprenditrice musicale (ndr in Puglia organizza il festival Classiche Forme) se la tipologia del concerto vada riscritta. Cosa non funziona più?
«Cresce la voglia di cogliere il lato umano di chi sta sul palcoscenico, il palcoscenico di fatto crea distanza. E poi siamo sinceri, più che arte di intrattenimento sembra un rito religioso, il concertista arriva e pare che offici una messa. Un' amica non musicista un giorno mi chiese perché finito il concerto noi artisti andiamo avanti e indietro facendo la spola tra tastiera e dietro le quinte. Lì per lì risposi che si è sempre fatto così. Ripensandoci, però, mi chiedo quale sia il senso di ciò. Tanti usi e costumi non hanno più ragion d' essere».
Allora cosa eliminare?
«L' approccio di chi pensa che per seguire un concerto sia determinante sapere tutto dell' interprete e del repertorio, sentendosi poi in dovere di esprimere giudizi. Io credo che il fascino di un concerto derivi proprio dal fatto di non sapere. Il fascino dell' arte sta nel non dover per forza avere un' opinione. Non è che se vado al ristorante devo sentirmi in dovere o intitolato a fare il critico gastronomico. Per esempio ho dubbi sul fatto che l' interprete debba parlare al pubblico prima del concerto. La musica è arte ambigua. Ogni volta che spiego cosa sto per suonare mi sembra di indirizzare l' ascolto, ognuno dovrebbe essere libero di seguire la propria sensibilità».
Come divulgare allora?
«Scindendo l' atto del fare musica dalla divulgazione. Servono entrambi, ma sono distinti oltre che complementari. Un musicista deve assicurare esecuzioni di alta qualità e per potersi concentrare su questo non può anche mettersi a fare divulgazione. Il problema è che ci sono grandi artisti sul palco ma chi fa divulgazione non sempre è allo stesso livello. Mancano gli Alessandro Barbero o Piero Angela della musicologia, che appunto andrebbe svecchiata. «Effettivamente non è cambiato molto dai Fossili del Carnevale degli animali di Saint-Saens (ndr che appunto fa la parodia dei critici trasformati in fossili)».
Quali sono le prospettive dei musicisti italiani sotto i 30 anni rispetto ai coetanei dell' Europa più illuminata?
«Prendiamo la Francia, un Paese che riserva un' attenzione incredibile ai musicisti autoctoni. Nelle stagioni francesi si rispettano quote galliche, da noi c' è troppa esterofilia. E non è questione di nazionalismo ma di attribuire valore alla propria cultura. Da questo punto di vista il Covid ha aiutato, nelle nostre stagioni non si sono mai visti così tanti artisti italiani come negli ultimi mesi. Evviva».
Diceva che la qualità delle scuole di musica italiane è alta. Ma 73 conservatori più altri 4 accreditati non sono troppi?
«Dopo il diploma c' è il vuoto assoluto per tanti ragazzi. La realtà didattica è troppo scollata dalla quella lavorativa. C' è ancora troppa gente che arriva al diploma senza sentire concerti e senza aver mai fatto un concerto. Così come continua a prevalere l' orientamento al solismo quando invece si può lavorare con la musica in tanti modi diversi. Quanto al numero delle scuole penso al sistema francese: una struttura piramidale fatta da un tessuto di conservatori regionali e di due soli scuole di alto perfezionamento, una a Parigi e l' altra a Lione».
Chi è Martha Argerich?
«È la leonessa della tastiera. Sono cresciuta con il mito di Argerich. La venero come una dea. È una forza della natura, è quasi imbarazzante vedere come regga l' età. Tanti artisti subiscono l' invecchiamento, come è naturale che sia. Invece lei (ndr è classe 1941) cammina un po' così e dici: mah Poi si siede al pianoforte e sfodera lo smalto di una ragazzina.Persino il viso si trasforma. È nata per suonare il pianoforte nonostante il rapporto conflittuale».
Capita anche a lei di «litigare» con la tastiera oppure è idillio perenne?
«No. Mi è sempre piaciuto stare in palcoscenico per questo vivo con difficoltà questo periodo di pandemia.Il pubblico mi manca».
Non ha mai momenti di grande tensione?
«Durante la fase, per fortuna archiviata, dei concorsi. Sei consapevole che vai lì per una giuria. È vero che quando fai concerto sei giudicato dal pubblico, ma è diverso. Nei concorsi si va uno dopo l' altro come carne da mandare al macello».
Ha sofferto anche a Montreal?
«Quel concorso lo vissi molto bene perché ero andata senza speranze, mi bastava essere stata selezionata fra i 24. Ero preparata, ma mi ero portata i libri del liceo perché avevo la maturità la settimana dopo quindi volevo ottimizzare i tempi vuoti. Non avevo nemmeno il vestito della prova finale che dovetti dunque comprare».
Quanti abiti da sera ha?
«Tantissimi. Occupano mezzo armadio. Quando ho traslocato nella nuova casa, il signore che ci aiutava chiese a mio padre: "Ma quanto è alta sua figlia?»
Sono confezionati da?
«In buona parte da Rosemarie Umetsu, stilista di Toronto».
Un' italiana che veste canadese?
«E americano. Negli Usa resiste la cultura dell' abito lungo e durante la stagione dei balli di fine anno c' è sempre molta scelta. Ma vesto anche italiano».
Con una carriera così, riesce a immaginarsi con marito e figli?
«Fino ad ora mi sono sentita come in una centrifuga, e la cosa non mi ha mai disturbato perché ho sempre vissuto così. Ora ho scoperto il fascino dello stare a casa. Dopo la pandemia vorrei creare un equilibro tra il vortice di prima e l' essere stanziale di ora».
È impegnata sentimentalmente?
«Sì, con un pianista. Insegna in conservatorio e fa il camerista. La cosa buffa è che mi sono sempre detta: mai un partner pianista. E invece eccoci».
Col vantaggio?
«Capisce i miei tempi e esigenze. È difficile per un estraneo comprendere che la giornata del concerto è totalmente dedicata al concerto. Mi piace l' idea d avere affetti stabili. Sono nata in una famiglia molto presente e dai legami molto forti».
La sappiamo avida lettrice. Qual è il libro entrato letteralmente nelle vene?
«Qualche mese prima del febbraio 2020 avevo letto Cecità di Saramago, continuavo a riflettere sull' assurdità dei fatti narrati per poi comprendere, invece, come l' arte crei situazioni dell' assurdo ma allo stesso tempo sappia interpretare e anticipare la realtà. Altro libro che mi ha segnato molto è Il maestro e Margherita di Bulgakov, ma anche Notti bianche di Dostoevsky: letti d' un fiato in voli intercontinentali. Altra notte di volo insonne l' ho trascorsa leggendo La ragazza dello Sputnik di Murakami, ricordo che atterrata mi sembrava di stare in un' altra dimensione».
Libri di musica?
«La biografia di Beethoven scritta da Solomon. Ho sempre amato Beethoven però lo vivevo con un po' di distacco forse per certa mascolinità della sua musica. Questa biografia mi ha sbloccato, mi ha spalancato un mondo. C' è un grande affondo nella psicologia del personaggio. Per esempio mi ha impressionato l' episodio di quando lui, rifiutato da un' amata, rimase nel giardino della residenza per giorni, venne trovato dal giardiniere in un angolo della proprietà: per la disperazione, Beethoven si stava lasciando morire. Un genio di quella levatura».
· Belen Rodriguez.
Belen Rodriguez "non la voglio". Scoop: clamoroso "suicidio" di Fabio Fazio, quando fece sloggiare l'argentina. Libero Quotidiano il 21 settembre 2021. Belen Rodriguez è una celebre conduttrice e showgirl, ora al timone di Tu si que vales su Canale 5. In passato, però, ha ricevuto un clamoroso no da parte di un importante presentatore durante un provino. Stiamo parlando di Fabio Fazio, che scartò la modella argentina per il suo programma, Che tempo che fa. Lo scoop è stato rivelato a Detto Fatto su Rai 2 dall'esperto di gossip Jonathan Kashanian. “Nel 2007 ricevette un grandissimo no da Fabio Fazio, in realtà manco lui se lo ricorda però ha rivelato un retroscena curioso sul provino dichiarando ‘a mia discolpa posso dire che io non c’ero'”, ha raccontato Jonathan. L'opinionista poi ha spiegato che il provino di Belen era per il ruolo in seguito assegnato a Filippa Lagerbäck. Ma dichiarando di aver commesso un grave errore a non scegliere la Rodriguez, in realtà, Fazio ha poi commesso una gaffe nei confronti della conduttrice svedese. L'esperto di gossip, però, ha rivelato che il conduttore si sarebbe giustificato dicendo che il provino era per il ruolo di Luciana Littizzetto. Nonostante questo importante rifiuto agli inizi della sua carriera, comunque, Belen (che ieri ha compiuto 37 anni) non ha mai spesso di provarci e infatti poi è riuscita ad emergere e a diventare una showgirl affermata. Lo ha sottolineato anche Jonathan a Detto Fatto: “Alla fine nonostante il no non si è fermata”.
Belen Rodriguez è mamma per la seconda volta: la reazione di Stefano De Martino. Alice Coppa il 13/07/2021 su Notizie.it. Il 12 luglio 2021 Belen Rodriguez ha dato alla luce la sua seconda bambina, Luna Marì Spinalbese. In tanti tra i suoi fan si sono chiesti se il suo ex marito, Stefano De Martino, le avesse fatto gli auguri per la lieta notizia. Come per la loro rottura Belen e Stefano De Martino hanno sempre mantenuto il massimo riserbo sulla loro vita privata, e non si sa se la bella argentina abbia ricevuto un messaggio dall’ex marito per la nascita della sua seconda figlia Luna Marì (nata dall’amore per Antonino Spinalbese). Entrambi hanno preferito mantenere privati certi aspetti della loro vita familiare e hanno sempre manifestato l’intenzione di mantenere buoni rapporti per il bene del loro bambino, Santiago, a cui entrambi sono molto legati. Belen Rodriguez ha annunciato personalmente tramite social di aver dato alla luce la sua seconda bambina, Luna Marì, nata dall’amore per Antonino Spinalbese. La showgirl ha mostrato la bambina con alcuni brevi video via social e ha ringraziato fan, amici e colleghi per i numerosi messaggi d’auguri ricevuti in queste ore: “Luna marì 12/07/2021 2,9 kg nata alle 12.47 am parto naturale. Grazie a tutti per gli auguri! Siamo di una Felicita indescrivibile”, ha scritto entusiasta la showgirl tramite social. Il suo fidanzato, Antonino Spinalbese, le ha fatto eco scrivendo una tenera dedica per la sua prima figlia: “Ti conquisterò ogni singolo attimo, perché hai…il profumo di felicità…”, ha scritto via social. In tanti sono impazienti di sapere come Santiago De Martino vivrà l’arrivo della nuova sorellina in casa Rodriguez. Belen ha confessato che proprio lui le avrebbe chiesto un giorno un fratello o una sorella e aveva anche detto che Santiago avesse scelto il nome da dare alla sorellina. Il piccolo – che oggi ha 8 anni – ha instaurato uno splendido rapporto anche con il nuovo compagno di sua madre, Antonino Spinalbese. “Pensavo fosse geloso, quindi ho pazientato un po’ per raccontarglielo, però poi è stato felicissimo”. E ancora: è stato Santiago a scegliere il nome Luna per la sorellina, mentre Marie lo ha aggiunto Belen “perché volevo un nome fiabesco”.
Da "tgcom24.mediaset.it" il 12 luglio 2021. Finalmente è arrivato via social l'annuncio che milioni di follower stavano aspettando: Belen Rodriguez ha dato alla luce Luna Marì, la sua seconda figlia e prima avuta dal compagno Antonino Spinalbese. Nel cuore della notte ha postato nelle Stories la foto di un piedino calzato in una scarpina rosa e ha scritto: "C'è qualcuno che è nato adesso". Anche papà Antonino ha condiviso la sua gioia su Instagram, postando l'immagine di un piedino della neonata e un dolcissimo post: "Ti conquisterò ogni singolo attimo, perché hai... il profumo della felicità". Per la sua amata Belen invece ha scritto: "Grazie Muneca (in italiano: bambola, ndr). Lei ha risposto con una foto di coppia e due semplici parole: "Vi amo". Ha poi dedicato anche un pensiero agli Azzurri, postando i festeggiamenti per la vittoria a Euro2020. La Rodriguez, già mamma di Santiago, avuto dall'ex Stefano De Martino, aveva messo in allerta i follower già nel pomeriggio con stories sibilline. Aveva postato il video di un viaggio in auto insieme a sua madre Veronica Cozzani e al compagno. Non ha svelato la destinazione, ma la faccia tesa di Spinalbese non lasciavano dubbi sul fatto che fossero diretti all'ospedale di Padova, dove Luna Marì è venuta alla luce qualche ora dopo.
Da liberoquotidiano.it il 14 luglio 2021. La nascita della secondogenita di Belen Rodriguez, Luna Marì, è passata quasi inosservata per via della coincidenza con la finale dell'Europeo che ha visto trionfare gli azzurri. La showgirl argentina, infatti, ha dato alla luce la bambina avuta da Antonino Spinalbese poche ore dopo il match Italia-Inghilterra. Belen ha partorito in una sala operatoria della Clinica ostetrica ginecologica dell'Azienda ospedaliera universitaria di Padova. E subito dopo il suo arrivo, come fa sapere il Gazzettino, la clinica si è trasformata in una sorta di bunker. Per rispettare la privacy sia della neonata sia dei genitori vip, l'ospedale è rimasto inaccessibile a fan e curiosi, con tanto di fotografia di un cartello appeso in clinica. Lo scatto ha fatto il giro dei telefonini di mezza Italia. Sul biglietto in questione c'è scritto che "causa Belen e fino a nuovo ordine i pulsanti relativi al terzo piano della Divisione ostetrica sono disabilitati". La clinica che la Rodriguez ha scelto per partorire è all'avanguardia per la ginecologia: il medico che ha seguito Belen - come scrive il Gazzettino - si chiama Alessandra Andrisani ed è la moglie di Guido Ambrosini, anche lui ginecologo: due nomi stimati e conosciuti in ambiente medico. La showgirl, intanto, ha già mostrato i primi momenti con la figlia in ospedale: sulle sue storie Instagram ha pubblicato prima un video in cui si vede la bambina con gli occhi chiusi impegnata a prendere il latte dalla mamma. Poco dopo Belen ha condiviso un selfie che la ritrae con la piccola attaccata al seno.
Gabriele Fusar Poli per il “Corriere della Sera” il 16 luglio 2021. Da una parte il sindacato della sanità che denuncia il caso Belén: «Per far nascere la sua secondogenita lo scorso 12 luglio, l'ospedale di Padova ha chiuso un'ala del piano dov'era ricoverata la show girl: mobilitazione da clinica privata, non da struttura pubblica»; dall'altra l'Azienda Ospedaliera di Padova che smentisce favoritismi per garantire la privacy a Belén: «Ho letto di un intero reparto o addirittura di un intero piano bloccato ma non è vero - ha precisato il direttore generale Giuseppe Dal Ben -. La signora Rodriguez ha occupato una delle tre stanze a pagamento presenti al terzo piano del reparto di Ginecologia, che non ha subìto alcun rallentamento tanto che in quei cinque giorni si sono alternate una cinquantina di partorienti, alle quali è stata fornita la consueta assistenza sanitaria dal personale. La vigilanza è stata messa per evitare che eventuali fan e curiosi potessero creare problemi alle altre degenti». La vicenda è naturalmente esplosa in Rete, dove si è puntato il dito sulla presunta «deferenza» nei confronti di Belén per aver scelto la struttura pubblica padovana per dare alla luce la piccola Luca Marì, anziché Milano dove abita. Un post circolato su Facebook raffigurava un foglio in cui si tira in ballo lo stop degli ascensori: «Causa Belén e fino a nuovo ordine». «Per prima cosa - ha detto Dal Ben - va specificato che non è mai stato esposto in luogo pubblico. Rappresentava un semplice appunto scritto da un operatore del servizio tecnico di vigilanza, il quale lo teneva vicino al computer come promemoria in caso di telefonate con richieste di chiarimento. Nella palazzina di Divisione Ostetrica, poi, sono presenti 6 ascensori, di cui uno per il pubblico e gli altri cinque di servizio: di questi ultimi due sono dei semplicissimi montacarichi utilizzati con tessera magnetica prevalentemente da ditte esterne, e solo a questi era stato temporaneamente disattivato l'accesso al terzo piano in quanto accessibili dall'esterno». Che dice, dunque, il sindacato? «Abbiamo riferito di segnalazioni ricevute - ha spiegato Alessandra Stivali della segretaria provinciale Fp Cgil Padova -. Sottolineiamo l'ennesima grande prova delle lavoratrici e lavoratori che anche in questa occasione hanno dimostrato tutto il loro valore e attaccamento al lavoro. E questo nonostante i loro stipendi. Restiamo convinti che la sanità pubblica debba essere un'eccellenza per tutti».
Belen Rodriguez, slavina giudiziaria dopo il parto: la foto-vergogna. Grossi guai, si finisce in tribunale. Libero Quotidiano il 17 luglio 2021. Da semplice notizia di gossip, il caso di Belen Rodriguez all'ospedale di Padova rischia di finire in tribunale. Riassumiamo la vicenda: la bella showgirl argentina ha scelto il Giustiniano, nosocomio della città veneta, per dare alla luce la sua secondogenita, la piccola Luna Marì, avuta dal nuovo compagno Antonino Spinalbese e nata lo scorso 12 luglio, poche ore dopo la finale di Euro 2020 tra Italia e Inghilterra. Nei giorni successivi vicino a un ascensore della struttura è apparso un cartello che, fotografato, ha fatto ben presto il giro della Rete: "Causa Belen e fino a nuovo ordine i pulsanti relativi al terzo piano della Divisione ostetrica sono disabilitati". La polemica nei confronti dei dirigenti dell'ospedale è stata immediata. Il cartello, firmato PI (una sigla che indicherebbe il Personale Infermieristico), ha costretto l'azienda sanitaria a smentire l'accaduto: "La direzione assicura che il reparto è in questo momento accessibile… Quanto all’avviso, era una cosa burlona". Una sottolineatura che ha convinto poco o nulla il Codacons. L'associazione dei consumatori guidata da Carlo Rienzi, già in guerra legale con Fedez a suon di denuncia per stalking e contro-querela, ha presentato un esposto anche contro l’Ospedale Giustinianeo chiedendo l'apertura di una indagine. Reato ipotizzato? Pesantuccio: "Interruzioni del pubblico servizio", ma anche "abuso d'ufficio". "Se i fatti venissero confermati - si legge nella denuncia dell'associazione di Rienzi - ci troveremmo infatti di fronte a modifiche nell’erogazione dei servizi offerti da una struttura pubblica non giustificate da comprovate esigenze, con palese violazione dei protocolli a danno di tutti gli altri pazienti e del personale, ed evidenti disparità di trattamento nei confronti delle altre mamme ricoverate presso l’ospedale". Sui social invece Belen, già rientrata a casa dove ha presentato l'ultima arrivata al fratellino Santiago, continua a tacere senza commentare. Forse l'unico modo per far passare la tempesta estiva.
Dagospia il 29 aprile 2021. Caro Roberto, in riferimento all'articolo "VOLETE SAPERE QUANTO È STATA PAGATA BELEN PER L’OSPITATA A “LA CANZONE SEGRETA”? …” la società di produzione Blu Yazmine smentisce categoricamente la cifra di 100mila euro quale compenso per la partecipazione della signora Belén Rodríguez alla trasmissione “Canzone Segreta”. Il compenso realmente riconosciuto all’artista è nettamente inferiore ed in linea con i suoi precedenti in Rai.
Novella Toloni per "ilgiornale.it" il 29 aprile 2021. L'ospitata di Belen Rodriguez a La canzone segreta, programma del venerdì sera di Rai Uno, sta facendo discutere. Per partecipare allo show di Serena Rossi, infatti, la showgirl argentina avrebbe percepito un compenso di ben 100mila euro per poco più di un'ora di presenza. Una cifra record - se fosse confermata - per la quale i parlamentari della Lega in commissione di Vigilanza Rai chiedono sia fatta chiarezza al più presto. La notizia sul presunto super compenso intascato da Belen dopo l'ospitata in Rai è iniziata a circolare nei giorni scorsi e ha subito innescato un'ondata di polemiche. Dopo i rumor lanciati dal settimanale Oggi, il popolo dei social si è scatenato con critiche e accese polemiche. Impossibile rimanere indifferenti sulla questione, tanto che un gruppo di parlamentari della Lega ha chiesto chiarimenti in commissione vigilanza Rai. "Abbiamo presentato un'interrogazione perché secondo varie fonti di stampa - si legge nella nota ufficiale firmata dai parlamentari leghisti - la soubrette avrebbe percepito circa centomila euro per partecipare alla puntata del 9 aprile 2021 de La Canzone segreta in onda su Rai1". Un cachet decisamente elevato sia rispetto alla media dei compensi del mondo dello spettacolo, sia rispetto ai tempi difficili che il nostro Paese sta attraversando. Insomma, sarebbe uno smacco per cittadini e telespettatori se davvero viale Mazzini avesse pagato una cifra simile per avere Belen Rodriguez in prima serata su Rai Uno. "Se confermato, si tratterebbe di una remunerazione assolutamente fuori mercato - hanno spiegato ancora i parlamentari della Lega - in un momento così delicato per il Paese, sarebbe davvero uno schiaffo a tante famiglie, lavoratori, commercianti e imprenditori piegati dalla pandemia e dalla crisi economica". Non solo. Si tratterebbe dell'ennesima "beffa da parte del servizio pubblico radio-televisivo, dai conti sempre in rosso, nei confronti dei cittadini che pagano il canone anche a fronte di ascolti assolutamente al di sotto delle aspettative". Il compenso di Belen è solo lo spunto per una riflessione ben più ampia sui costi delle trasmissioni di viale Mazzini. Nell'interrogazione, infatti, i leghisti hanno chiesto di poter conoscere i compensi ricevuti dagli ospiti dell'intera stagione e le spese sostenute per ogni singola puntata per una più ampia indagine sui costi della Rai.
Belen Rodriguez si commuove a Domenica In: in Argentina situazione tosta. Tante lacrime per Belen Rodriguez a Domenica In nel ricordare il suo arrivo in Italia dopo aver lasciato l'Argentina in cerca di fortuna. Francesca Galici - Dom, 28/03/2021 - su Il Giornale. Tra gli ospiti di Domenica In dell'ultima puntata, un posto d'onore l'ha avuto Belen Rodriguez, showgirl argentina in attesa del secondo bambino dal nuovo compagno Antonino Spinalbanese. Ospite di Mara Venier, la showgirl ha ripercorso la sua vita e ha raccontato il suo arrivo in Italia ormai molti anni fa. Si è lasciata alle spalle spalle la sua Argentina e la famiglia per tentare di rggiungere la fortuna nel nostro Paese. Ha iniziato come modella per poi approdare in tv, dove si è fatta conoscere con la partecipazione a un reality. Nel raccontare i suoi esordi e la partenza dall'Argentina, Belen Rodriguez non è riuscita a trattenere l'emozione, tanto che la conduttrice è stata costretta a lanciare la pubblicità per uscire dall'imbarazzo. "Ogni volta che decidi di partire, per quanto tu sia piccola e parti con pochi soldini da casa… Scusate, sono incinta", ha detto Belen Rodriguez prima di scoppiare in lacrime. Il suo sogno è sempre stato sfondare nel mondo dello spettacolo. Fin da quando era piccola puntava a diventare una star e così, vedendo che nel suo Paese non riusciva a trovare la strada giusta per raggiungere il risultato desiderato, ha deciso di raccogliere le sue cose e di sbarcare in Italia in cerca di fortuna. In aeroporto a salutarla c'era tutta la sua famiglia. "Partendo senza soldi, con 180 euro in tasca, non sapevo quando avrei racimolato i soldi di nuovo per partire", ha detto Belen. Si è commossa l'argentina nel ricordare quando ha lasciato il suo Paese e ha azzardato un parallelismo con l'Italia. Lei si sentiva senza sbocchi nel suo Paese, così come dice che si sentono i ragazzi di oggi in Italia: "In Argentina situazione tosta". La voglia di partire e di lasciare il suo Paese è stata più forte di qualsiasi malinconia e reticenza. Ed è stata la scelta migliore per la sua carriera. La prima volta che ha lasciato l'Italia, Belen Rodriguez aveva 19 anni. Era ancora molto giovane: "Ho sacrificato la mia adolescenza, non l’ho avuto come le ragazze normali". Qui ha trovato la fortuna sul lavoro e l'amore. Un matrimonio fallito alle spalle, che le ha permesso di diventare madre del piccolo Santiago De Martino, e poi la storia d'amore con il suo attuale fidanzato, che la renderà madre di una bimba il prossimi giugno. Tante le lacrime da parte dell'argentina nel salotto di Domenica In, tanto che in conclusione di puntata ha velatamente e ironicamente minacciato Mara Venier: "Io ti ucciderò".
Belen adesso rivela il suo dramma "Ho perso un figlio, ora c'è lei..." Sarà femminuccia e si chiamerà Luna Marie: il racconto di Belen Rodriguez a Verissimo, dove ha rivelato di aver perso un altro bambino. Francesca Galici - Venerdì 19/02/2021 - su Il Giornale. Poco più di una settimana fa, Belen Rodriguez dichiarava al settimanale Chi di essere in dolce attesa del suo Antonino Spinalbanese. Una gravidanza arrivata dopo pochi mesi di conoscenza, figlia di un colpo di colpo fulmine che ha letteralmente travolto la showgirl argentina, che nella puntata di Verissimo in onda domani rivelerà il sesso e il nome del nascituro. Dopo Stefano De Martino, infatti, Belen Rodriuguez ha definitivamente voltato pagina con il giovane parrucchiere: "Avevo smesso di credere nell’amore. Oggi voglio che duri per sempre, non troverò mai più una persona come Antonino", ha dichiarato l'argentina ai microfoni del programma di Canale5, dove ha condiviso con il pubblico una pagina dolorosa della sua vita con Spinalbanese. Belen Rodriguez sembra una donna molto scaramantica. Nell'intervista rilasciata al settimanale Chi ha preferito non rivelare il sesso del bambino che porta in grembo e ha dichiarato anche che sul nome le nascituro c'erano ancora lavori in corso. Un riserbo durato poco per Belen, che da Silvia Toffanin non ha potuto evitare di confermare i rumors che giravano già da qualche giorno: "Sognavo fosse una femminuccia. Si chiamerà Luna Marie e nascerà in estate". Ci sarà quindi una sorellina in arrivo per Santiago che, come dichiarato dall'argentina nell'intervista al settimanale diretto da Alfonso Signorini, già da quando capì che tra la madre e Antonino c'era un'intesa le chiese di allargare la famiglia. La coppia dovrà attendere ancora qualche mese per vedere la piccola Luna Marie, che potrebbe nascere proprio nel periodo del primo anniversario del loro fidanzamento. L'argentina non è spaventata per la differenza di età con Antonino Spinalbanese, anzi, è stato proprio il parrucchiere a far mollare i freni a Belen su questo aspetto, visto che la showgirl inizialmente sembrava avere qualche remora. Ora che stanno per diventare genitori, Belen mamma bis e Spinalbanese padre per la prima volta, i due sembrano più uniti e innamorati che mai. "Ero rimasta incinta per sbaglio. Quando io e Antonino lo abbiamo scoperto eravamo basiti che fosse accaduto. Non ce lo aspettavamo, anche perché era veramente troppo presto, ma poi abbiamo capito che non era così male perché eravamo follemente innamorati", ha confessato Belen a Silvia Toffanin, rivelando il doloroso retroscena di un aborto spontaneo: "Purtroppo dopo quattro giorni ho perso il bambino. Siamo stati malissimo. Questo ci ha fatto capire però che desideravamo tantissimo un figlio. Fortunatamente, il mese dopo è arrivato".
Da "Chi" il 9 febbraio 2021. Sul numero di Chi in edicola questa settimana Belen Rodriguez conferma per la prima volta, le voci di una dolce attesa che si inseguono da qualche settimana. «Sono entrata nel quinto mese di gravidanza», rivela la showgirl al settimanale diretto da Alfonso Signorini. Il padre è Antonino Spinalbese, ex hairstylist di Coppola, che ha conosciuto otto mesi fa. «Sono un’esteta, apprezzo la bellezza e, quando l’ho visto, ho pensato: “Che bel ragazzo”. Era il mio genere, su quello sono coerente (ride, ndr). “Mamma mia, che bel viso che hai!”, gli ho detto». «Per me è stato un colpo di fulmine. Antonino è completamente diverso da tutte le persone che ho incontrato. Mi sono sempre piaciuti gli “stronzi” ma, con il tempo, ho capito che, per quanto ti divertano all’inizio, poi non ti danno serenità. Ho capito per la prima volta che avrei voluto un uomo “gentile”». «Il primo bacio? È successo dopo qualche giorno. Ero imbarazzatissima, sembravo una bambina del liceo, sembrava il primo bacio della mia vita». Belen spiega anche perché abbia scelto un ragazzo semplice: «Cercano sempre di sminuire la persona con la quale sto dicendo che guadagna meno di me, la trovo una cosa allucinante. Io direi tanto di cappello, perché ha avuto le palle di conquistare una che viene corteggiata da persone “potenti”, ma anche tanto di cappello per la famosa che non si perde in cazzate. Io l’albergo più bello del mondo me lo posso pagare da sola». Belen è rimasta incinta dopo quattro mesi di relazione: «Lo abbiamo deciso. La nostra storia ci ha travolto e volevamo sempre di più e io sono così, non sono una che dice “Aspettiamo”. Lui sarà un buon padre perché è una persona altruista, dai modi incantevoli, mi ispira fiducia, stabilità». «Pensavo che non avrei trovato un altro amore come questo, se avessi potuto decidere mi sarebbe piaciuto fosse solo una la persona, anzi, mi sono trascinata per molto tempo questo dolore perché per me non era concepibile avere due figli da due uomini diversi. Soltanto che bisogna fare i conti con la realtà e credo che la fine del matrimonio sia un fallimento, un grandissimo fallimento. Io non ho avuto per anni la forza di sperare nel futuro, ho accusato il colpo». Belen ha anche messo in conto le critiche alla notizia della gravidanza: «Sì, certo, ormai faccio i conti anche con questo, perciò mi sono chiusa nel silenzio. Sono anni che vengo giudicata e ci soffro, chiunque preferirebbe avere un complimento piuttosto che una critica pesante. Ma poi l’unico ragionamento sensato è che sono pregiudizi o giudizi che non sono mai una cosa bella, intelligente, sensata perché chi li emette non vive con me e non sa che cosa io abbia provato e che cosa mi abbia spinto a comportarmi in un certo modo». «Sto vivendo la gravidanza con più consapevolezza della prima, quando sei più piccola non sai a cosa vai incontro e tutto quello che arriva è nuovo, adesso so bene cosa sta per succedere. A parte le nausee non sono una di quelle mamme che “vede la luce”: per me la gravidanza è faticosa, il cambiamento fisico non è una cosa semplice, non vedo l’ora di partorire e avere mio figlio in braccio». Sul sesso del figlio, dice: «Il sesso non lo sappiamo ancora e anche il nome non lo abbiamo ancora scelto. Ma penso che sia una bimba (ride, ndr), lo sento da quando ho saputo di essere incinta». Nella lunga intervista parla per la prima volta anche Antonino Spinalbese: «Belen è riuscita a tirare fuori quello che avevo dentro, non sono mai stato così protettivo o affettuoso. Mi immaginavo una donna diversa, mi ha fatto capire che con lei avrei potuto essere vero e che non mi avrebbe giudicato. È la persona più sincera che abbia mai conosciuto, è una donna che accetta la felicità e che trova il lato bello in ogni cosa. Mi ha dato così tanto amore che adesso penso sia giusto volerlo».
Belen lo conferma: "Sono incinta. Entro nel quinto mese". Partorirà tra giugno e luglio il suo secondo figlio che sente sarà una femminuccia: Belen Rodriguez è al settimo cielo. Francesca Galici, Martedì 09/02/2021 su Il Giornale. "Sono entrata nel quinto mese di gravidanza", così Belen Rodriguez ha comunicato al settimanale Chi di essere incinta del suo secondo figlio, concepito dalla relazione con Antonino Spinalbanese. La showgirl argentina è al settimo cielo ed è pronta ad accogliere nella sua vita la nuova creatura. Lui è un ex parrucchiere di una delle catene di saloni più rinomate nel mondo, che dopo aver conosciuto Belen ha deciso di lasciare, per il momento con la formula dell'aspettativa non retribuita. Pare si conoscano da 8 mesi ma è da questa estate che il loro rapporto è uscito allo scoperto, durante la vacanza a Ibiza. Nessun flirt con un ricco napoletano, quindi, per Belen Rodriguez, che era apparsa sulle copertine di alcuni settimanali in dolce compagnia di un aitante imprenditore. Nel suo cuore da quasi un anno c'è solo Antonino Spinalbanese: "Sono un’esteta, apprezzo la bellezza e, quando l’ho visto, ho pensato: "Che bel ragazzo". Era il mio genere, su quello sono coerente (ride, ndr). Per me è stato un colpo di fulmine. Antonino è completamente diverso da tutte le persone che ho incontrato. Mi sono sempre piaciuti gli “stronzi” ma, con il tempo, ho capito che, per quanto ti divertano all’inizio, poi non ti danno serenità. Ho capito per la prima volta che avrei voluto un uomo “gentile”". Il primo bacio tra i due è scoccato appena qualche giono dopo il loro incontro e da quel momento sono stati inseparabili. "Cercano sempre di sminuire la persona con la quale sto dicendo che guadagna meno di me, la trovo una cosa allucinante. Io direi tanto di cappello, perché ha avuto le palle di conquistare una che viene corteggiata da persone "potenti", ma anche tanto di cappello per la famosa che non si perde in cazzate. Io l’albergo più bello del mondo me lo posso pagare da sola", prosegue Belen, che difende con orgoglio il suo uomo. Una gravidanza arrivata in tempi record, che però Belen dichiara sia stata voluta da entrambi: "Lo abbiamo deciso. La nostra storia ci ha travolto e volevamo sempre di più e io sono così, non sono una che dice "Aspettiamo". Lui sarà un buon padre perché è una persona altruista, dai modi incantevoli, mi ispira fiducia, stabilità". Nella risposta successiva della showgirl non manca un riferimento all'intervista di qualche settimana fa di Stefano De Martino, secondo il quale il matrimonio non è stato un fallimento: "Per me non era concepibile avere due figli da due uomini diversi. Soltanto che bisogna fare i conti con la realtà e credo che la fine del matrimonio sia un fallimento, un grandissimo fallimento. Io non ho avuto per anni la forza di sperare nel futuro, ho accusato il colpo". Ora Belen Rodriguez non vede l'ora di avere tra le braccia la sua creatura e già sente quale sarà il suo sesso: "Il sesso non lo sappiamo ancora e anche il nome non lo abbiamo ancora scelto. Ma penso che sia una bimba (ride, ndr), lo sento da quando ho saputo di essere incinta". Non una gravidanza facile per l'argentina, che comunque la affronta con maggiore consapevolezza rispetto alla prima, con le difficoltà delle nausee e del veder cambiare il proprio corpo a cui si aggiungono quelle delle critiche. Nell'intervista rilasciata al settimanale Chi c'è spazio anche per un commento di Antonino Spinalbanese: "Belen è riuscita a tirare fuori quello che avevo dentro, non sono mai stato così protettivo o affettuoso. Mi immaginavo una donna diversa, mi ha fatto capire che con lei avrei potuto essere vero e che non mi avrebbe giudicato. È la persona più sincera che abbia mai conosciuto, è una donna che accetta la felicità e che trova il lato bello in ogni cosa. Mi ha dato così tanto amore che adesso penso sia giusto volerlo".
Belen: “Santiago pensa che Antonino sia un principe”. Alice su Notizie.it il 10/02/2021. Belen Rodriguez ha confessato la reazione di suo figlio Santiago difronte al suo nuovo fidanzato Antonino Spinalbese. Belen Rodriguez ha confermato di aspettare un figlio con Antonino Spinalbese e ha confessato come suo figlio, Santiago De Martino, avrebbe preso la sua relazione con l’hair stylist 26enne, sbocciata circa 8 mesi fa. Belen Rodriguez ha confessato dettagli e retroscena della sua relazione con Antonino Spinalbese, il fidanzato con cui ha deciso di avere il suo secondo bambino (che, secondo la showgirl, sarebbe una femmina). La Rodriguez ha rivelato che suo figlio Santiago avrebbe da subito apprezzato Antonino, e che secondo lui sarebbe un principe: “Un giorno, dopo tre mesi che frequentavo Antonino e cercavo di farlo passare per un amico, lui mi ha chiamato distrattamente "Amore"e, allora, Santi mi ha confessato: ‘Ho sentito che ti ha chiamato amore, vorrà pur dire qualcosa, fidanzati con lui per favore. Secondo me Dio ti ha mandato il principe‘. Poi alcuni giorni dopo mi ha spiazzata: ‘ma un fratellino?'”, ha dichiarato la showgirl, che finalmente sta per realizzare il sogno di una seconda maternità. Dopo aver confermato la gravidanza Belen ha anche smentito di aver mai lanciato frecciatine al suo ex, Stefano De Martino, ma ha anche dichiarato che la fine della loro storia le avrebbe lasciato dell’amarezza: “Per quanto dispiaccia la fine di un rapporto e rimanga un po’ di rancore – sarei falsa a dire che non resti un po’ di amaro in bocca – quando volti pagina è tutto passato”, ha ammesso. Oggi con l’hair stylist di 10 anni più giovane di lei sembra che Belen abbia trovato la vera felicità, e in tanti non vedono l’ora di conoscere ulteriori dettagli su questa sua seconda gravidanza.
· Bella Hadid.
Antonella Rossi per "vanityfair.it" l'11 novembre 2021. Da una parte ci sono i red carpet, gli shooting fotografici e le passerelle, dall'altra la vita vera, che ogni tanto si vela di inquietudini, tiene svegli di notte e obbliga a fare i conti con sé: Bella Hadid, in lacrime su Instagram, ha detto senza mezzi termini ai suoi follower che i social non sono veri, svelando una parte del proprio quotidiano completamente sconosciuto. «Questa sono io praticamente ogni giorno, ogni notte, da qualche anno, ormai. A volte tutto quello che devi sentire è che non sei solo», ha scritto la modella venticinquenne, «Quindi, da me a te, non sei solo. Ti voglio bene, ti vedo e ti ascolto». Il «la» è arrivato da alcune Stories di Willow Smith, da cui Bella ha preso coraggio per mettersi a nudo. «Le persone dimenticano che tutti si sentono fondamentalmente allo stesso modo: perse, confuse, non proprio sicure del motivo per cui siamo qui. Quell'ansia la sentono tutti, e cercano di coprirla in qualche modo», ha scritto la modella. Bella ha così raccontato ai fan di soffrire di ansia e depressione, sottolineando come i problemi mentali e lo squilibrio chimico che li determina non abbiano nulla di lineare: li ha paragonati a un ottovolante, con i suoi alti e bassi. «C'è sempre luce alla fine del tunnel e le montagne russe a un certo punto si fermano sempre del tutto», ha proseguito la modella, purché ci si soffermi a capire. «Se lavori abbastanza duramente su te stesso, trascorrendo del tempo da solo per capire i tuoi traumi, i fattori scatenanti, gioie e routine, sarai sempre in grado di capire o imparare di più sul tuo dolore e come gestirlo, che è tutto ciò che puoi chiedere a te stesso». Non è la prima volta che Bella Hadid parla apertamente delle sue difficoltà di salute, anche se, finora, non lo aveva mai fatto così apertamente. Lo scorso gennaio, ad esempio, aveva detto che i suoi problemi di ansia e depressione erano iniziati quando era appena un'adolescente e in quella stessa occasione aveva deciso di prendersi una pausa dai social media, per occuparsi a tempo pieno della sua salute mentale. «Prenditi del tempo per chiedere aiuto, ne vale la pena per raggiungere il tuo pieno potenziale», aveva scritto sempre via Instagram. Dichiarazioni forti, e importanti più che mai in una società in cui certi problemi vengono (erroneamente) ancora percepiti da molti come uno stigma.
Benedetta D'Anna, da dipendente bancaria ad attrice a luci rosse: l'ultimo film con Siffredi, come si è trasformata. Libero Quotidiano il 06 dicembre 2021. "Sono dipendente di un noto istituto di credito da diciassette anni. Ho sempre provato il desiderio di esibirmi, anche sessualmente, e finalmente ci sono riuscita": la confessione piccante arriva da Benedetta D’Anna, in arte Benny Green, 40enne di origine piemontese. Ai microfoni de La Zanzara su Radio 24, la donna ha spiegato che è una dipendente della filiale siracusana di un noto gruppo bancario, ma ha anche rivelato che al momento ha deciso di passare al settore dell'intrattenimento per adulti. In ogni caso non vorrebbe perdere i propri diritti dopo quasi due decenni di lavoro. "Mi hanno fatto delle lettere di richiamo in cui hanno citato delle frasi contenute nei miei profili privati su OnlyFans per dare dei giudizi morali su quello che faccio - si è lamentata D'Anna -. Io ufficialmente sono sospesa per il mio comportamento e lo trovo assurdo”. Una delle sue ultime opere si chiama “La Bancaria”. A tal proposito la donna ha detto: “Sono 17 anni del mio lavoro. Il porno è una professione riconosciuta e non voglio essere offesa da nessuno. Le scene che ho girato le ho sempre fatte nel mio tempo libero o quando ero in ferie”. Quando, però, le hanno chiesto se abbia ancora voglia di stare in banca, lei è stata molto schietta: “No, assolutamente no”. La dipendente bancaria, inoltre, ha preso parte al nuovo lungometraggio di Rocco Siffredi, ambientato nel mondo scambista italiano. Alla domanda sul proprio orientamento sessuale, infine, Benedetta D'Anna ha risposto: "I sentimenti li riservo agli uomini, ma stare con una donna fa parte della natura, è assolutamente normale”. E poi: “Tutti i lavori meritano rispetto e anche il porno è una forma di arte”.
Dagospia il 6 dicembre 2021. Da "la Zanzara - Radio 24". “Sono dipendente di un noto istituto di credito da diciassette anni. Ho sempre provato il desiderio di esibirmi, anche sessualmente, e finalmente ci sono riuscita. Prima ho girato delle scene con Andy Casanova e Francesco Malcom, e sapete quale sarà il titolo? La Bancaria, proprio per il mio mestiere”. Racconta Benedetta D’Anna, in arte Benny Green, piemontese d'origine e quarantenne d'età, nonché dipendente della filiale siracusana di un noto gruppo bancario, che ha deciso di passare al settore dell'intrattenimento per adulti, ma non vorrebbe perdere i propri diritti dopo quasi due decenni di lavoro. “Mi hanno fatto delle lettere di richiamo – dice – in cui hanno citato delle frasi contenute nei miei profili privati su OnlyFans per dare dei giudizi morali su quello che faccio. Io ufficialmente sono sospesa per il mio comportamento, e lo trovo assurdo”. Perché hai scelto di usare come titolo “La Bancaria”? “Perché sono 17 anni del mio lavoro. Il porno è una professione riconosciuta e non voglio essere offesa da nessuno. Le scene che ho girato le ho sempre fatte nel mio tempo libero o quando ero in ferie”. Hai ancora voglia di stare in banca?: “No, assolutamente no”. La lavoratrice dello sportello bancario è nata a Torino ed è reduce dalle recenti riprese a Roma per il nuovo lungometraggio di Rocco Siffredi. Un film a tripla X che è ambientato nel piccante mondo scambista della nostra Penisola e annovera nel cast due nuove attrici del Nord della Penisola: l'affascinante, bionda e lombarda Marika Milani, insieme appunto all'attrice hard piemontese ed ex bancaria allo sportello in Sicilia, Benny Green. “Il sesso anale non lo praticavo continuamente, adesso devo allenare il muscolo con dei dildi. Io il mio lo chiamo Arturo, in modo da abituarmi alla dilatazione. Ma sono aperta a sperimentare molte cose”. Sei bisex?: “I sentimenti li riservo agli uomini, ma stare con una donna fa parte della natura, è assolutamente normale”. “Tutti i lavori meritano rispetto – dice - e anche il porno è una forma di arte”.
Alessandro Ferrucci per “il Fatto Quotidiano” il 18 agosto 2021. A 19 anni, dentro un supermercato, dove cogliere l'occasione della vita: "Una mattina incontro Gianni Boncompagni davanti al banco della frutta: ci salutiamo e mi invita a sostenere un provino. Spiazzata. Incosciente. Accetto". E? "Vado a studio da lui, due brevi convenevoli, poi non mi dà neanche il tempo di assorbire l'emozione che mi piazza davanti a una telecamera e inizia a intervistarmi; (silenzio, ride) poco dopo, con una scusa, si alza e se ne va: inizia una telefonata di mezz' ora; nel frattempo passava, mi guardava, quasi si scusava e se ne riandava. Io ferma, sempre seduta, con la testa che viaggiava verso i più terribili interrogativi e senza sapere come comportarmi: ero nel panico; (prende fiato) si deve essere divertito come un pazzo, perché sicuramente aveva lasciato la telecamera accesa per poi sbirciare le mie reazioni". Da quel giorno Benedicta Boccoli è entrata nel pantheon della televisione da milioni di spettatori, quando bastava apparire per essere, quindi copertine di settimanali ("Per un topless è scoppiato un putiferio"), una partecipazione a Sanremo ("Non memorabile, mail brano è diventato un cult"), l'incontro con tutti i grandi del tempo, da Raffaella Carrà a Lino Banfi e Pippo Baudo; fino a quando ha deciso di puntare prima sull'es sere e poi sull'apparire e ha scoperto il teatro con Maurizio Micheli ("Ha rivoluzionato la mia vita"). Oggi è anche regista di un corto cinematografico, pluripremiato, oltre a una firma del Fatto, con la sua rubrica presente da anni ogni lunedì.
Insomma, bell'esordio.
Gianni era micidiale: una volta gli proponiamo una nostra amica e il provino consisteva nell 'interpretare un brano; prima di iniziare va dal maestro e all 'orecchio gli dà l'indicazione: "Suona con un'intonazione altissima..." La poverina ha stonato come una pazza, sgolata, disperata e consapevole dell 'inganno, ma senza via d'uscita.
Goliardia.
Mi mandava in diretta con me totalmente inconsapevole di quello che sarebbe avvenuto: "Improvvisa"; all'epoca l'ho odiato, ma oggi ancora attingo a quell 'esperienza: davanti a una telecamera non ho mai paura, so per certo che qualcosa saprò dire o fare; stessa cosa con il teatro: dopo Boncompagni è ancora tutto facilissimo.
Quindi non ha mai provato lo stress da palco.
Quasi nulla. Forse un po' solo alle prime: mi mancava la salivazione; (pausa) mi correggo: in un caso, al Sistina, l'ansial'ho avvertita.
Come mai?
Lo spettacolo era Can Can, Gino Landi alla regia, eil fonico era un incapace: davanti a me una platea di iene, di serpenti con la lingua pronta a colpire.
La prima è sempre dei serpenti.
E certo; comunque quella volta c'era anche il Tg1 e il fonico incapace sbagliò la sincronizzazione della miavoce con la pista dei cori e quelladellamusica: in sostanza era inevitabile cadere nella figuraccia.
Soluzione?
Ho toccato la "blasfemia" dello spettacolo: ho fermato tutto, spiegato il problema e chiamato il sipario.
Ci crede ai complimenti post spettacolo?
No. Paola Borboni era meravigliosa, di una cattiveria rara: andavanei camerini apriva tutte le porte degli attorie sistematicamente si complimentava, poi arrivava davanti alla toilette e ripeteva la medesima scena pure alla tazza del gabinetto.
Anche a lei è capitato di '' mentire?
Tantissime volte; uno deve stare attento a chi ti dice: "A me è piaciuto", sottintende sempre "agli altri ha fatto schifo".
Quando ha capito la sua anima artistica?
Da piccola con mia nonna ungherese: è stata l'ispirazione.
Come?
Lei appena quindicenne legge sul giornale di Budapest la possibilità di un'audizione per entrare in unacompagniaegirare l'Europa: si presenta e trova altre quattromila ragazze.
Bella concorrenza.
L'audizione consisteva nel salire sul palco quattro alla volta, alzare la gonna e mostrare le cosce: la bocciano perché magra. Lei scioccata resta immobile, nel frattempo arrivano altre pretendenti, solo tre, e come un automa mostra nuovamente le gambe. Passa il provino. E diventa ballerina.
E nonna cosa le diceva della carriera?
Quando stavo a Domenica In mi scriveva delle lettere stupende, alcune corredate da consigli e preoccupazioni: "Già sei ballerina, già sei derubricata a puttana, quindi non mostrare mai il culo"; (cambia tono) quan do avevo sette anni mi ballava il tip tap in cucina mentre tentava di preparare dei piatti improbabili. Ridevo. Provavo a imitarla. E lì ho deciso il mio futuro.
Con Domenica In è diventata nazional-popolare...
Già prima con Pronto chi gioca? nell 'edizione condotta dalla Bonaccorti: ero ballerina di fila e apparivo sempre; (pausa) sempre Gianni mi spiegò l'importanza dell'iterazione: "Se ogni giorni ti metti un dito nel naso davanti la telecamera, e senza dire nulla, diventerai molto popolare".
Quindi?
La sola presenza dietro la Bonaccorti è bastata per venir riconosciuta per strada.
Le piaceva?
Moltissimo. Un giorno mio padre decide: "Andiamo al luna park". "Papà non è il caso". "E perché". "Non riusciremo a camminare". "Chi ti credi di essere?".
E invece...
Appena entriamo vengo assalita: dopo venti minuti mi giro e trovo papà e mio fratello seduti in mia attesa. (Ci pensa e sorride) A quel tempo andavo appositamente a via del Corso (Ro ma) e camminavo da cima a fondo per misurare il mio grado di celebrità. Mai, ho sempre preferito vivere il mio lavoro con serenità; l'unico problema è che ero un po' ossessiva: volevo imparare a tutti i costi, quindi studiavo in continuazione, ripetevo senza tregua, pure otto ore al giorno di sala prove; per questo gli altri ballerini mi detestavano.
Visto il rapporto con Boncompagni, frequentava anche la Carrà?
Avevo il camerino accanto a lei quando la domenica ero nel programma Gelato al limone: spesso mi regalava dei consigli su come interagire al telefono con il pubblico, con la famosa casalinga di Voghera: "Devi far parlare le persone, capire chi c'è dall 'altra parte. Empatizza". "Vabene". La settimanasuccessiva ho tenuto una signora venti minuti al telefono, mi ha raccontato tutta la sua vita, con gli autori che mi imploravano di chiudere. Il giorno successivo di nuovo Raffaella: "Forse sei andata un po' lunga". (Sorride)
A cosa pensa?
Mi è tornata in mente un'immagine di Gianni: in una delle sue feste, a un certo punto, ci ha mostrato un vestito da prete.
Recitava messa?
No, spesso il pomeriggio andava nei dintorni del Vaticano, mirava i negozi religiosi, entrava e chiedeva gli articoli più improbabili: "Vorrei un Cristo sulla croce ma allegro". Una delle sue vittime preferite era un povero commesso filippino che non lo riconosceva.
Boncompagni si scandalizzava mai?
Finita Domenica In, con mia sorella andiamo a Positano, ci mettiamo in topless e finiamo sulla copertina di Novella 2000. Questa storia Gianni non l'ha sopportata: "Non devi permetterti: ti sei sputtanata".
Le è preso un colpo?
Non ci pensavo, all 'epoca il topless era normale e lui: "Siete licenziate da Domenica In". Non avevamo rispettato lo stile di Rai1.
Capitolo Sanremo.
Ricordo Jovanotti seduto a terra con Claudio Cecchetto alle sue spalle, mentre scrive il pezzo per noi; l'ho incontrato poco tempo fa: "Ammettiamolo non era un granché". E lui: "Non è vero, lo riscriverei". Comunque è un cult: per vent' anni ha vinto la classifica dei brani più trash (Si intitola "Stella").
Insomma, il Festival.
Mi sono divertita come una pazza, per me era una vacanza, peccato che siamo state eliminate subito; dietro le quinte è come un ring, con gli artisti che aspettano il proprio turno. Ricordo Anna Oxa e Fausto Leali che prima di esibirsi erano talmente terrorizzati da restare perennemente immobili e in silenzio. Guardavano il vuoto. Noi li abbiamo salutati e loro non hanno neanche risposto.
Un suo errore di questi anni.
Di non essere stata abbastanza spietata, forse avrei avuto più occasioni. Ma va bene così.
Il teatro l'ha un po' emarginata da quel mondo?
Sono due realtà in teoria lontane e nel teatro c'è uno snobismo tremendo, ma guarda alla televisione e al cinema con una certa invidia: ci sono personaggi della tv negati per la recitazione e protagonisti di spettacoli orrendi che riescono a riempire grandi sale.
Come si trovava in tournée?
Non mi piace tantissimo: partivo a novembre e tornavo a maggio e sistematicamente sbagliavo la valigia: mi trovavo in primavera, in Sicilia, con il montone; (ride)dopo mesi di viaggi, alberghi e ristoranti all 'una di notte, ingrassi, ti vengono le borse e una serie infinita di piccole rogne. Però il teatro ti insegna l'umiltà, e ricominciare sempre da capo.
Esempio.
Una sera ero sul palco del Sistina, incasso record, credo 61 milioni di lire; il giorno dopo in uno sperduto teatro del sud con al primo piano un gruppo di emigranti che cucinava piatti molto speziati. Li abbiamo invitati a vedere lo spettacolo.
Un suo maestro di teatro.
Maurizio Micheli: mi ha aperto la testa, è stato fondamentale; se non lo avessi incontrato forse mi piacerei di meno.
Come sarebbe stata?
Mi immagino come una donna imprigionata nelle logicheborghesi, chiusa in un piccolo mondo, magari con dei figli biondi e il suv parcheggiato in seconda fila; (cambia tono) Maurizio oltre ad avere una preparazione alta che ama celare, è uno dei pochi comici non geloso delle risate ottenute dai colleghi.
Dopo Micheli.
Giorgio Albertazzi. Un giorno incontro la Ferilli: "Devi cambiare genere, cerca Albertazzi". E come? "Chiamalo". Va bene. E da lì ho provato a contattarlo tutti i giorni, inutilmente, fino a quando prendo il treno, vado a Firenze e citofono alla stanza del suo residence.
Audace.
Mi presento, la sua assistente allucinata, piazzo un copione sul tavolo e gli parlo dello spettacolo. "Le faccio sapere", la sua unica reazione. Solo che sparisce di nuovo, allora chiamo di nuovo la Ferilli, e lei "Devi insistere". Un giornol'ho cercato 10 volte. Alla fine risponde e mi pone la domanda chiave: "Chi è il produttore?". Bluffo. "Sabri na Ferilli". "Allora va bene".
E lì?
Contatto Sabrina, le racconto dell 'ok di Albertazzi e magicamente è lei a proporsi: "Lo produco io".
Sul palco con il maestro.
Abbiamo provato per un mese, tutti i giorni, e ogni volta mi chiedeva di mutare l'intonazione e i tempi: "Oggi prova la parte in chiave comica". "Oggi tragica". "Oggi più alta". Fino a quando è arrivato a pretendere un'interpretazione "barocca". E mi sono ribellata: "Che è?"
Che era?
(Ride) Il giorno prima del debutto gli manifesto i miei dubbi: "Giorgio, mi sento disorientata. Come mi vuoi?". "Non sonoun regista, sono un attore: ora hai tutte le intonazioni, decidi come meglio credi".
Bello...
Poi lo spettacolo iniziava con me nuda, coperta solo da una mutandina color carne: a Palermo, la domenica pomeriggio, le signore si alzavano e se ne andavano.
Lei era amica di Gigi Proietti.
Amica è una definizione troppo grande: di lui avevo il mito, quindi ero sempre in imbarazzo; (Cambia tono) a settembre scorso siamo stati un pomeriggio a chiacchierare, qualcosa di magico, se chiudo gli occhi sento la sua voce che mi racconta di tutto, compresala storia del povero Toto. Io felice. Poi il mio cane sta per uccidere una delle sue galline e lui ridendo lo rincorre vestito con i pantaloni con sopra la bandiera americana e in testa un cappello di paglia.
Ora lei è regista. Cosa ha capito?
Che ho la necessità di lavorare sugli attori, sulla storia, sui dettagli; che amo immaginare un percorso e realizzarlo. Che non sento il bisogno di stare io davanti la telecamera, ma preferisco trasmettere tutto quello che ho imparato.
Chi è lei?
Una donna di 54 anni che sogna di essere una trentenne.
Lorenzo Ormando per “il Venerdì di Repubblica” il 18 Novembre 2021. Bill Murray ci accoglie nella suite di un hotel del centro in pantaloni grigi e camicia verde: «Qui nessuno indossa le mascherine, che strano. Ho viaggiato su un bus con 16 persone e in cinque ci siamo ammalati di Covid: sono ancora esausto anche se ho dormito due settimane di fila, il mio corpo è senza muscoli come quello di un 99enne» racconta, ironico. Rilassato e tutt' altro che stralunato come viene spesso dipinto, il 71enne attore americano è nel cast di The French Dispatch (in sala da ieri), il suo nono film diretto da Wes Anderson.
Nella pellicola, omaggio al giornalismo e alla carta stampata, interpreta l'editore di un giornale che ricorda il New Yorker.
«Con Wes ho girato in Italia Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Eravamo a Cinecittà, ma ogni weekend la troupe scioperava: un incubo, a volte dubitavo che avremmo mai finito le riprese. Il mio amico Willem Dafoe abita a Roma, dovrei andare a trovarlo».
È stato nella capitale anche nel 2019 per ricevere il premio alla carriera alla Festa del Cinema.
«Sì, ma avevo qualche dubbio sul riconoscimento: pensavano che stessi per tirare le cuoia? Qualche giorno fa ho parlato con Antonio Monda, direttore artistico della Festa: parla inglese in modo fluente e nella prima scena di quel film aveva qualche battuta, ma in italiano è stato doppiato da qualcun altro. Che assurdità! Quando l'ho saputo ho pensato di mandargli un biglietto di condoglianze come si fa quando ti muore un parente».
The French Dispatch è ambientato in Francia, dove lei ha vissuto.
«Da giovane ci ho studiato filosofia, passavo un sacco di tempo alla Cinémathèque di Parigi a vedere vecchi film. Quel periodo ha influito sulla mia carriera e ha formato i miei gusti in fatto di cinema».
Com' è andata su questo set?
«Quando Wes mi propone qualcosa accetto subito: siamo grandi amici e i nostri film sono sempre stati accolti bene. Spesso ritrovo gli stessi membri della troupe e anche gli stessi attori, come Willem, Roman Coppola e Jason Schwartzman. Dormivamo in un ex convento, c'era una bella atmosfera: il bar era sempre aperto, mangiavamo insieme tutte le sere».
Ha dichiarato di non essere mai stato interessato a diventare una grande star: preferiva lavorare con delle brave persone anche se ciò voleva dire guadagnare meno.
«Quando inizi ad avere successo la gente cerca di sfruttarti per raggiungere la popolarità, ma appena ti rendi conto che non tutti vogliono le stesse cose che vuoi tu impari a dire di no. L'ho capito presto perché mio fratello maggiore Brian e i suoi amici sono cresciuti in una cultura dove fare l'attore significava anche questo. Quando è arrivato il mio momento mi sono ispirato alle scelte fatte da colleghi che avevano iniziato prima di me, come John Belushi e Dan Aykroyd. Alcuni cercano di confonderti e ti dicono che sei meraviglioso per lisciarti il pelo, ma ho sempre evitato quel tipo di persone».
È vero che lei e Belushi siete stati coinquilini?
«Quasi tutti gli attori del Second City Theatre di Chicago hanno dormito sul divano di casa sua, a New York. John aveva più soldi di noi, che invece eravamo squattrinati. Era il più grande attore teatrale di sempre, quando era sul palco non potevi distogliere lo sguardo. Ha aperto le porte dello spettacolo per molti di noi, inclusi Joe Flaherty, Harold Ramis e Gilda Radner. In quegli anni ho lavorato con Del Close, il mio mentore, da cui ho imparato a non avere mai paura sul palco. Il segreto? Se riesci a fare in modo che l'attore al tuo fianco sembri più bravo di com' è, anche tu farai bella figura».
Ha iniziato con il teatro di improvvisazione, è passato a commedie come Ghostbusters e Ricomincio da capo e poi al suo Periodo Blu.
«(ride a lungo) Questa è bella, non vedo l'ora di dirlo a Brian, riderà a crepapelle. A cosa si riferisce?».
A pellicole dal sapore più malinconico come Lost in Translation e i film di Wes Anderson. A partire da Rushmore, dove per la prima volta è riuscito ad unire humour e sfumature drammatiche.
«Quel film ha dato il via a un'altra fase della mia carriera, qualcuno commentò: "Chi l'avrebbe mai detto che un giorno Bill Murray sarebbe diventato un attore serio e Robert De Niro un comico?". Sa, Robert fa un sacco di commedie sciocche. È la prova che usiamo gli stessi muscoli sia per far ridere che per commuovere, l'importante è essere onesti. Se vuoi che una battuta funzioni devi recitarla con serietà, non sopporto i comici che ridono mentre lo fanno. Per far ridere devi riuscire a vedere contemporaneamente le due facce di una stessa medaglia, riconoscere la verità e sorriderne anche se fa male. Mi considero un artista? No, ma aspiro a esserlo. Mi sento fortunato a essere arrivato fin qui: ogni tanto posso fare scelte più artistiche, ma credo che i veri artisti siano quelli che hanno imparato l'arte di vivere e la cui arte è tale proprio perché sanno vivere».
C'è un sito, BillMurrayStory, che raccoglie aneddoti e foto dei suoi incontri con i fan: a differenza di alcuni suoi colleghi, lei è a suo agio col pubblico.
«Quando mi fermano per strada per parlarmi dei miei film meno conosciuti sono contento, mi piace pensare che anche quelli che hanno funzionato meno al box office siano rimasti nel loro cuore. La gente si fida di me perché sente di conoscermi e questo è uno dei pochi vantaggi dell'essere famosi: a volte eviti di pagare una multa, riesci a fare in modo che la cucina di un ristorante chiuda un po' più tardi o magari ti imbuchi a una festa».
Da qualche tempo si cimenta con la musica, a Cannes ha portato il doc New Worlds, su un concerto fatto ad Atene.
«Il violoncellista Jan Vogler mi ha sentito cantare una canzone nel Libro della giungla e mi ha proposto di fare musica insieme. Con Sofia Coppola ho fatto uno speciale di Natale e cantato nove canzoni, mi sono divertito un sacco: non ho paura di steccare, mi lascio andare come se stessi lanciando una palla da baseball (il suo sport preferito, ndr). In futuro vorrei reindirizzarmi di più verso la musica».
Qualche anno fa ha dichiarato di aver ottenuto tutto ciò che voleva e di volersi dedicare allo sport.
«Ogni estate, da ragazzino, lavoravo su un campo da golf come portabastoni, portavo la sacca con i ferri per i giocatori. Io e i miei fratelli lo facevamo per poterci pagare il liceo: ne eravamo orgogliosi perché facevamo parte di una grande famiglia e dovevamo contribuire».
Essere cresciuto in una famiglia numerosa, con otto fratelli, l'ha preparata ai grandi ensemble con cui ha lavorato negli anni, dal Saturday Night Live in poi?
«Sì, di sicuro. Credo che i genitori, da soli, non bastino a crescere un figlio: nel mio caso sono stato fortunato perché ho avuto dieci persone che mi aiutavano a capire se una cosa andava bene o meno, se avevo ragione o torto. Ancora oggi i miei fratelli e sorelle mi aiutano a correggere il tiro, quando sbaglio. Mi dicono: "Bill, che hai combinato?" e io non posso fare altro che alzare le spalle e ascoltare».
Da rollingstone.it il 15 dicembre 2021. In una recente intervista all’Howard Stern Show, Billie Eilish ha parlato del suo rapporto con la pornografia e di come ha influenzato la sua adolescenza. «Credo che il porno sia una sciagura. A dire la verità ne guardavo parecchio. Ho iniziato quando avevo qualcosa come 11 anni», ha detto. «Credo che mi abbia distrutto il cervello, mi sentivo devastata», ha continuato la cantante. «Le prime volte che sai, ho fatto sesso, non dicevo di no a cose che non mi avrebbero fatto bene. Lo facevo perché pensavo di doverne essere attratta». Nel corso dell’intervista Eilish ha raccontato anche di quando ha avuto il Covid, che ha preso nonostante il vaccino. «È stato tremendo», ha detto. «Non sono morta e non ho rischiato che succedesse, ma questo non toglie nulla a quanto sia stato orrendo. È stato terribile. Soffro ancora per gli effetti collaterali, sono stata male per due mesi». Infine, Eilish ha raccontato l’esperienza a Saturday Night Live, dove ha partecipato sia come ospite musicale che a diversi sketch. «Una delle giornate migliori della mia vita, è stato divertente, surreale e ridicolo», ha detto. «Lavorarci è folle, ho pianto tutta la settimana. Non scherzo». Potete vedere il suo monologo a questo link.
Da ilmessaggero.it il 15 dicembre 2021. Billie Eilish e il vaccino che le ha salvato la vita. La cantante ha avuto il Covid la scorsa estate. «Se non avessi fatto il vaccino sarei morta», ha detto durante il programma radiofonico di Howard Stern. «Il vaccino è incredibile e ha salvato anche mio fratello Finneas dal contagio, ha salvato i miei genitori e i miei amici che non se lo sono preso», ha detto la popstar che ancora per pochi giorni è una teen-ager: il 18 dicembre compirà 20 anni. Billie ha detto di essere stata male per due mesi e tuttora continua ad avere qualche effetto dalla malattia. «Voglio essere chiara che è per via del vaccino che sto ok. Penso che se non fossi stata vaccinata sarei morta perché era davvero un brutto caso. E quando dico che era brutto, voglio dire che mi sentivo orribilmente». Eilish è stata di recente candidata in sette categorie ai Grammy 2022, incluso l'album dell'anno per «Happier than Ever» e la canzone dell'anno per il brano con lo stesso titolo. La scorsa settimana ha presentato Saturday Night Live con la veterana dello show satirico Kate McKinnon.
DAGONEWS il 18 dicembre 2021. Le parole di Billie Eilish contro il porno hanno fatto più rumore delle sue canzoni. La cantante simbolo della generazione dei “Centennials” ha detto che “il porno è una sciagura” e che i video hard su internet le hanno “distrutto il cervello”. Ma non dice perché a 11 anni stava tutto il giorno a spippolare sui siti vietati ai minori. Le parole di Billie hanno scatenato – come prevedibile - la reazione indignata di chi nel porno ci lavora. Tra questi c’è la famosa attrice statunitense Adriana Checnik, che sui suoi social si è scagliata contro la cantante: “Invece di incolpare il porno, dovrebbe ritenere i suoi genitori responsabili di non aver stabilito regole e controlli migliori”. “È un’assurdità, lo dice solo per attirare l’attenzione. Lei stessa usa il suo corpo per commercializzare prodotti (si riferisce alla campagna per il profumo “Eilish”, ndR). È triste che arrivi a questo livello: perché ti stai profumando le tette se il porno è così brutto? È arte! Cominciamo a essere onesti con noi stessi”
Gianmarco Aimi per mowmag.com il 18 dicembre 2021. Il mondo del porno di nuovo a processo dopo che la popstar Billie Eilish ha lanciato pesantissime accuse. La cantante 19enne ha infatti rivelato al The Howard Stern Show – mitologica trasmissione radiofonica americana – di aver cominciato a vedere filmati pornografici da giovanissima per “sentirsi come i maschi”. Una esperienza che, però, l’avrebbe traumatizzata: “Da donna, penso che il porno sia una disgrazia. Ne guardavo tantissimo, ho iniziato presto. Penso che abbia distrutto il mio cervello e mi sento davvero devastata da questa sovraesposizione”. Addirittura, la cantante avrebbe iniziato all’età di 11 anni. Per questo ha aggiunto che anche la percezione dell’anatomia femminile è completamente distorta: “Sono così arrabbiata del fatto che il porno sia così amato e arrabbiata con me stessa quando pensavo fosse ok. Il modo in cui appaiono le vagine è da pazzi. Nessuna vagina è fatta così. I corpi delle donne non sono così, non usciamo in quel modo. La prima volta che ho fatto sesso non ho detto no a cose che non facevano per me, perché pensavo di esserne attratta”. Un dibattito che è arrivato anche in Italia, tanto che oggi su Repubblica la scrittrice Elena Stancanelli ha ammonito: “Noi adulti abbiamo due compiti: chiarire che la pornografia non è sesso e batterci perché accanto a quella tradizionale, fatta di accoppiamenti violenti e maschilisti, ci sia la possibilità di trovarne un'altra, ugualmente inverosimile, ma con uno sguardo opposto”. Chi il porno l’ha frequentato da protagonista, benché oggi si dica lontanissima da quell’ambiente, è Milly D’Abbraccio. Dopo aver vinto nel 1978 il concorso Miss Teenager Italy, nel 1979 incide il 45 giri Superman Supergalattico con il nome di Milli Mou e inizia a lavorare in televisione nelle trasmissioni Galassia 2 di Gianni Boncompagni e Vedette con lo stesso pseudonimo. Macina esperienze anche al cinema e in teatro con ruoli minori e partecipa alle selezioni di Miss Italia nel 1985. È nel 1989 che passa alla carriera di attrice pornografica accettando le offerte di Riccardo Schicchi che la fa entrare nella sua agenzia Diva Futura. Una attività nell’hard durata fino al 2005, che l’ha vista protagonista anche in trasmissioni cult come Colpo Grosso (1990), condotta da Umberto Smaila. L’abbiamo contattata per chiederle un parere sui possibili effetti negativi del porno, in particolare sui giovani, e Milly ci ha spiegato un po’ di malavoglia perché, secondo lei, il successo di questo settore è una questione più fisica che mentale. Oggi ha 56 anni, si dice “ormai disinteressata al sesso perché finalmente sono in menopausa” e che per far passare la voglia agli uomini, probabilmente, “l’unico modo è castrarli, come si fa con i cagnolini che poi stanno buoni”. Ma quando le chiediamo conto del suo profilo su Escort4You, dove sembrerebbe offrire ancora prestazioni a pagamento, ci saluta senza fronzoli. Solo che è bastato chiamarla da un altro numero poco più tardi per conoscere dettagli e tariffe per chi volesse vivere una esperienza da sogno (e un po’ old school) con una delle pornostar simbolo degli anni ’90. Provare per credere.
Milly, hai sentito le accuse di Billie Eilish verso il mondo del porno?
Non mi interessano, davvero del porno non me ne frega più un cazzo. Lo dico sinceramente. È ormai una cosa superata per me. Ancora se ne parla?
Non solo se ne parla, ma se ne discute la pericolosità in particolare per i giovanissimi.
Ma io non faccio più parte del mondo dell’hard e grazie a Dio sono in menopausa. Quindi non ho più problemi di quel tipo con il sesso.
Infatti, volevo chiederti se pensi possa causare problemi ai fruitori del porno, soprattutto se arrivano a quei film o video molto giovani.
Non è un argomento che mi riguarda, perché io non ho più testosterone sufficiente per avere voglia di sesso. In menopausa non ne hai più voglia per nulla, quindi non è più un mio problema. Il problema è il vostro (degli uomini, ndr) che avete ancora questi impulsi.
Un po’ drastica come soluzione…
Non c’entrano la ragione o la razionalità, ma soltanto gli ormoni. Ma io non mi pongo neanche più queste domande perché ormai sono libera mentalmente e posso dire anche finalmente… Quando invece sei giovane sei tempestato di ormoni e quindi portato alla ricerca continua di sesso.
Ho letto che nel 2019 stavi preparando un libro sulla tua vita, ma non mi sembra sia uscito.
Non ho pubblicato nulla perché non mi va più di parlare di sesso. Il libro è lì pronto ma non mi va di farlo uscire. Io sono fuori dal giro e non voglio neanche più apparire.
Però ho notato che il tuo profilo su Escort4You è ancora attivo, infatti è lì che ho trovato il tuo numero…
Guarda, ti devo lasciare … Ciao, ciao…
A questo punto Milly D’Abbraccio riattacca il telefono, ma a noi è rimasto un dubbio: perché dirsi ormai lontana dal mondo dell’hard e persino dalla voglia di fare sesso e mantenere ancora attivo un profilo su un sito per contrattare prestazioni a pagamento?
Così, poche ore dopo e da un altro numero, ci siamo finti un potenziale cliente e abbiamo scoperto che in realtà questa sua attività prosegue senza sosta: “Pronto, salve, la chiamo dopo aver visto il suo annuncio su Escort4You e volevo chiederle se fosse possibile fissare un incontro” esordiamo. E Milly, senza tanti fronzoli, arriva dritta al punto: “Volevi farlo da me o da te?”.
A questo punto passa immediatamente al prezzo: “Il costo da me a Roma è di 650 euro per un’ora. Se vuoi fare un paio d’ore sono 1000 euro. Un po’ costoso, non è per tutti ma…”.
Mentre invece se fosse la stessa Milly a raggiungerci a domicilio ci ha spiegato che il costo sale un po’: “Con le spese di viaggio sono 750 per un’ora e per un paio d’ore magari riesco a farti 1100 euro, vediamo…”. L’importante, ci tiene a precisare, è che una parte venga pagata in anticipo: “Mi devi mandare subito l’acconto così blocchi l’appuntamento”.
Tutto chiaro, no? E a noi non resta che tenere a bada gli ormoni, anche se abbiamo capito che i soldi, come in ogni questione, hanno ancora la loro stramaledetta importanza.
Matteo Persivale per il “Corriere della Sera” il 16 dicembre 2021. «A casa da sola, cercando di non mangiare / Mi distraggo con la pornografia / Odio il modo in cui lei mi guarda / Non sopporto quei dialoghi, lei non godrebbe mai così / È una fantasia maschile / Torno in terapia». Più le canzonette sono stupidine più dicono la verità, era la teoria di François Truffaut, una triste realtà nel caso di Billie Eilish, vent' anni dopodomani, artista più giovane di sempre ad aver vinto tutti e quattro i Grammy - l'Oscar della musica - più importanti nello stesso anno. Che la canzone fosse autobiografica sembrava evidente - Eilish, come vedremo, si esprime sempre con franchezza ammirevole, un'eccezione nel mondo dello spettacolo specialmente americano - ma nel corso dell'Howard Stern Show sulla radio Sirius Xm la musicista ha raccontato senza tabù i suoi problemi con la pornografia: «Penso che il porno sia una vergogna. Guardavo un sacco di pornografia, se devo essere sincera. Ho iniziato quando avevo, tipo, 11 anni», ha detto spiegando che allora la faceva sentire più sicura di sé. «Penso però che mi abbia davvero distrutto il cervello: mi fa stare malissimo il fatto di essere stata esposta a così tanta pornografia quand'ero così piccola», ha aggiunto, ricordando che ha sofferto di incubi perché alcuni dei contenuti che ha visto erano violenti e inquietanti. «Le prime volte che ho fatto sesso, mi sono trovata a non dire no a cose che non andavano bene. Pensavo che io, da quelle cose, avrei dovuto essere attratta». Eilish non ha studiato regolarmente a scuola, i suoi genitori hanno scelto l'opzione dell'home schooling (molto popolare negli Stati Uniti, 4 bambini su 100 studiano a casa): è una famiglia di musicisti poco convenzionale che vive nella bohéme losangelina di Highland Park, casa di artisti come Beck, Jackson Browne, Zack de la Rocha, dell'attrice Diane Keaton e del comico Marc Maron. Con la stessa franchezza Eilish ha anche spiegato a Stern che semplicemente uscire con un coetaneo sia complicato dalla fama e dal lavoro nel mondo della musica: «È davvero difficile incontrare persone quando sono intimidite dal tuo personaggio, o pensano che tu sia fuori dalla loro portata». Rocco Siffredi, non esattamente un bacchettone, ripete spesso (anche nella sua autobiografia) che «i ragazzi devono capire che noi che facciamo questo mestiere siamo quelli anormali, e i normali sono loro», perché il porno è come la fantascienza, messaggio sensato ma sepolto dalla quantità di immagini che travolgono il mondo digitale (dei dieci siti più visitati del mondo due sono porno, e il numero 1, Google, viene utilizzato una volta su quattro proprio per visionare contenuti per adulti). Il problema evidenziato da Eilish è che il «parental control» - cioè i sistemi che permettono di filtrare contenuti vietati ai minori - può essere aggirato con facilità da ragazzini più adusi dei genitori a utilizzare la tecnologia. Eilish almeno rappresenta una modalità nuova di enfant prodige: per decenni l'industria dell'intrattenimento ha sfornato bambini-attori e cantanti finiti spesso malissimo da grandi che regalavano a un pubblico molto diverso da quello di oggi una versione patinata, edulcorata della loro infanzia sempre felice a uso e consumo dei press agent. Oggi ragazzi famosi come Eilish gestiscono in prima persona la comunicazione della loro vita - di solito tramite social media, commuove che in questo caso abbia scelto la vecchia cara radio seppur via satellite - con un bonus di verità, anche quando raccontano storie poco edificanti ma almeno, finalmente, vere.
Mattia Marzi per “Il Messaggero” il 29 luglio 2021. Sono lacrime di gioia o di disperazione, quelle che Billie Eilish versa sulla copertina del nuovo album, Happier Than Ever, in uscita domani? La felicità del titolo è reale oppure c'è un sottotesto da decifrare? Come si risponde ad un successo destabilizzante come quello che ha stravolto la vita di una diciassettenne - l'età che aveva quando uscì When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, 6,3 milioni di copie vendute in tutto il mondo e cinque Grammy Awards vinti - facendola diventare l'emblema del nuovo pop internazionale, con attestati di stima da parte di giganti come Paul McCartney, l'ex Nirvana e oggi frontman dei Foo Fighters Dave Grohl, Billie Joe Armstrong dei Green Day? Che donna è oggi quella ragazzina cresciuta troppo in fretta, protagonista degli scatti del libro fotografico - l'unico autorizzato - uscito a maggio? Cosa le passa per la testa? Ad alcune di queste domande Billie Eilish ha risposto nelle poche interviste concesse in occasione dell'uscita del secondo disco, che arriverà sulle piattaforme allo scoccare della mezzanotte: «Ho odiato uscire di casa, partecipare agli eventi, essere riconosciuta. Volevo solo fare l'adolescente», ha confessato al Los Angeles Times, il giornale della sua città. Alle altre risponde con le nuove canzoni, 16 in tutto. La cantautrice, oggi 19enne, non si è risparmiata quanto a rivelazioni e confessioni. Nei testi parla di mancanza di autostima. E soprattutto di violenze - psicologiche e non solo - subite. «Non fui io a scegliere di essere abusata, ho avuto dei traumi», canta in Getting Older, il brano che apre l'album: «Mentre la scrivevo mi veniva da piangere. Era rivelatrice». Di più non dice: «Ho avuto brutte esperienze. Ma vorrei evitare di ritrovarmi articoli su articoli su internet». Di abusi parla anche il singolo Your Power, uscito a fine aprile, 155 milioni di stream su Spotify (il video, girato nel deserto della Simi Valley, in California, conta 95 milioni di views su YouTube - il grosso serpente che l'avvolge rappresenta proprio le violenze subite). Nel 2019 la cantautrice, un'infanzia segnata da autolesionismo e pensieri suicidi (ne ha parlato nel film The World's a Little Blurry, uscito su Apple TV+ a febbraio, cronaca della sua ascesa), è andata in terapia: «Mi sono sentita rinascere: stavo meglio ed ero felice come non mai», ha detto alla rivista americana Rolling Stone.
IL PARAGONE. Alcuni hanno provato a paragonarla a Britney Spears, che aveva 16 anni quando - lanciata dalla Disney - conquistò le scene con la hit Baby one more time: «Io per fortuna non ho avuto collaboratori che volevano approfittare di me», ha risposto lei. Sulla copertina di Vogue, a maggio, la Eilish ha scelto di mostrare per la prima volta un po' di carne, lei che girava in tuta e felpe extralarge per ribellarsi alla sessualizzazione delle popstar. Una mossa che ha suscitato perplessità: «Devi fare ciò che ti fa sentire bene», si è giustificata. Polemiche anche per il presunto coming out sulla bisessualità affidato al video di Lost Cause (diretto da lei), uscito a giugno, con baci saffici: la comunità lbgtq+ l'ha accusata di queerbating, ossia di attirare l'attenzione mentendo su certe tematiche. Anche su questo lei, in passato legata al 26enne rapper americano 7:AMP, non si sbilancia: «Il pubblico deve rispettare il fatto che sto offrendo alcune informazioni e si deve accontentare. Il resto lo tengo per me», ha detto a Rolling Stone. Con suo fratello Finneas, 23enne genietto del pop già al suo fianco nelle lavorazioni del primo disco, stavolta hanno spaziato dal folk alla drum' n'bass, passando per il rap: «I discografici? Non hanno voce in capitolo. Siamo solo io e lui». Nelle ballate racconta di essersi ispirata alla grandissima Julie London: «Cercavo quel tipo di sentimento che metteva nelle sue interpretazioni».
L'INCONTRO
E a proposito di grandissime, produrrà il biopic su un'altra storica cantante americana, Peggy Lee. Ha appena registrato con la Los Angeles Philharmonic Orchestra nell'iconico anfiteatro Hollywood Bowl un concerto che andrà in streaming su Disney+ il 3 settembre. Due settimane dopo partirà il tour, in Europa nell'estate del 2022: per ora non sono previste tappe in Italia, ma il calendario non è chiuso (dopo Milano nel 2019, stavolta toccherà a Roma?). Intanto stasera incontrerà virtualmente i fan italiani che hanno pre-acquistato sul sito di Mondadori Happier Than Ever. L'attesa è finita.
M. M. per “il Messaggero” il 4 giugno 2021. Dimenticate la ragazzina che si nascondeva dentro le felpe extralarge per sfuggire a certi stereotipi sulla sessualizzazione del corpo femminile. Ora Billie Eilish non ha paura di provocare mostrando le forme. Non solo sue, come nelle foto in lingerie realizzate per il servizio di Vogue, che lo scorso mese le ha dedicato la copertina. Il video di Lost Cause, il nuovo singolo appena pubblicato, è una celebrazione dell'emancipazione femminile.
LE CRITICHE La clip, diretta dalla stessa 19enne cantautrice statunitense, è stata pubblicata su YouTube lo scorso martedì e in ventiquattro ore ha totalizzato la bellezza di 15 milioni di visualizzazioni: è tutta ambientata all' interno di un appartamento, dove Billie Eilish Pirate Baird O' Connell - questo il vero nome della ragazza, diventata un fenomeno a livello globale nel 2019 grazie al successo dell' album d' esordio When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, che le ha permesso di vincere cinque Grammy Awards - fa festa insieme ad alcune giovani e bellissime attrici e ballerine, tra mossette sexy, baci saffici e twerking, la provocante e irriverente danza che consiste nel muovere bacino e natiche. «Improvvisamente sei un'ipocrita se vuoi mostrare il tuo corpo. Sei una facile, una puttana. Se lo sono, allora sono orgogliosa di esserlo. Io e tutte le ragazze siamo sgualdrine, lo sapete? A quel paese tutti: dobbiamo sentirci più forti per questo», aveva detto Billie Eilish nell' intervista a Vogue, mettendo le mani avanti e rispondendo preventivamente alle critiche legate alla nuova immagine. Che non sono mancate. I tabloid britannici l'hanno accusata di essersi venduta, storcendo il naso di fronte alla novità. Billie non si è scomposta. Ha lasciato che a parlare fosse la musica. Il singolo Your Power, uscito prima di Lost Cause, ha totalizzato 106 milioni di stream in un mese. E i biglietti del tour legato al nuovo album Happier Than Ever, che uscirà il 30 luglio, sono stati polverizzati in pochi giorni: la tournée partirà il 3 febbraio da New Orleans e arriverà nell' estate del 2022 in Europa (nessuna tappa in Italia, per ora). Dopo il film-documentario uscito su Apple TV a febbraio, in libreria è intanto arrivato il primo libro ufficiale Billie Eilish by Billie Eilish (edito in Italia da Rizzoli Illustrati), realizzato tramite immagini prese dagli album di famiglia.
PRIME DAY SHOW La cantautrice sarà protagonista del Prime Day Show, l'evento musicale di Amazon Music con spettacoli di musica e intrattenimento per celebrare il Prime Day: a partire dal 17 giugno su Prime Video sarà disponibile per trenta giorni una performance esclusiva realizzata da Billie Eilish per i clienti della piattaforma.
· Björn Andrésen.
Marco Consoli per “la Stampa” il 5 febbraio 2021. «Ricordo solo le pareti di velluto rosso, la vernice nera lucida, le lingue voraci». Björn Andrésen, 66 anni, attore svedese diventato una celebrità istantanea nel 71 per il ruolo di Tadzio in Morte a Venezia, ricorda così la sera dopo la première al festival di Cannes in cui, per festeggiare, Luchino Visconti e il suo clan lo portarono in un gay club. Solo che lui era minorenne. È una delle rivelazioni di The Most Beautiful Boy in the World, documentario appena presentato al Sundance Film Festival, in cui Kristina Lindström e Kristian Petri raccontano la vita di quello che fu definito dallo stesso Visconti «il ragazzo più bello del mondo». Bello Björn era bello, e fu scelto dopo una ricerca del o regista in tutta Europa, «ma quella definizione - dice Petri - rispecchiava più che altro l' ego dell' autore: sei bello solo perché ti ho ripreso io». Tanto che Visconti, nella conferenza stampa a Cannes, ritrovata da Petri negli archivi Rai di Roma, affermò che Björn, a 16 anni, era ormai vecchio, quindi non più appetibile, fra le risate dei giornalisti in sala. «Penso che fosse un commento sincero, che oggettificava il ragazzo - dice Lindström - ma che visto con lo sguardo di oggi risulta intollerabile». «Björn ci ha raccontato di essersi sentito abusato e sfruttato - prosegue Petri -. Era insicuro fin dal momento in cui Visconti, durante il provino, cui lui stesso dedicò un documentario (Alla ricerca di Tadzio, ndr.), gli chiese di andare a comprare con la direttrice del casting un costume da bagno per fare foto seminudo. Quando gli ho chiesto cosa ci fosse nel suo sguardo, Björn mi ha detto: una gran rabbia». L' effetto di quella popolarità planetaria fu deleterio: Andrésen andò in Giappone, dove fu addirittura drogato per realizzare video, spot e persino un disco, ispirando tra l' altro l' autrice di manga Riyoko Ikeda per il volto di Lady Oscar. «Diventare così famosi ha un effetto dirompente soprattutto se sei un ragazzino e non hai il giusto supporto da parte degli adulti - commenta Lindström -. Nel caso di Björn non c' era solo l' attenzione e gli sguardi della gente, ma anche il desiderio e la lussuria: la gente lo invitava alle feste e gli faceva regali per ottenere un certo tipo di favori». Nell' indagare lungo 5 anni la vita di Andrésen, che ha poi fatto il musicista come desiderava da bambino, e l' attore come voleva sua nonna, apparendo ad esempio di recente in Midsommar - Il villaggio dei dannati, Petri e Lindström hanno scoperto di più. «Dopo un po' che giravamo ha iniziato a parlarci della scomparsa e della morte di sua madre, avvenuta quando era bambino - spiega Petri - e così abbiamo ricollegato tutto». «Se fosse stata ancora viva probabilmente la sua vita sarebbe andata in una direzione diversa - dice Lindström - penso che Visconti lo scelse anche perché aveva una profonda tristezza nello sguardo». Tormentato dai demoni della morte della persona che amava di più e travolto dalla fama piovutagli addosso per essere stato scelto da un maestro del cinema, Andrésen è sprofondato nella dipendenza dall' alcol e attraversato vita e carriera tra alti e bassi, aggravati dalla tragedia della perdita di uno dei due figli; riducendosi a vivere in un appartamento sporco e disordinato al punto di essere quasi sfrattato di casa. «Quando abbiamo girato alcune scene del documentario in quello che oggi rimane dello splendido Hotel des Bains di Morte a Venezia - dice Petri - Björn si è guardato intorno e poi ridendo mi ha detto: questo posto è un relitto, proprio come me».
· Bob Dylan.
Dylan, l’ascesa del giovane Zimmerman dagli anni squattrinati al premio Nobel. Franco Schipani su Il Quotidiano del Sud il 27 maggio 2021. IL 24 MAGGIO 1941, 80 anni fa, nasceva a Deluth Minnessota un cantautore che nel 2016 si sarebbe poi aggiudicato il Premio Nobel per la Letteratura. Buon Compleanno Bob! Quando Bob Dylan arriva per la prima volta a New York nel gennaio del 1961 ha vent’anni e fa un freddo cane. Ma lui ci è abituato, perché ha sempre vissuto in Minnesota, dove vento e neve sono gli scenari abituali in tutta le regioni. Nato a Deluth ma vissuto a Hibbing, Robert Allen Zimmerman da piccolo impara subito a smanettare con la radio, perché la sua famiglia ebraica di origini turche ed ucraine l’ascolta senza sosta, con l’entrata in Guerra degli Stati Uniti dopo l’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor il 6 dicembre, proprio nel 1941. Da teenager continua ad ascoltarla, sintonizzandosi senza sosta su stazioni blues, country e più tardi rock and roll. Poi prende una chitarra elettrica in mano ed inizia ad esibirsi con un gruppo Rock nelle palestre dei college. “La mia passione per il folk invece è nata quando ho ascoltato Odetta”, dice in una intervista, “Ho sentito un suo disco in un negozio, era il 1958, più o meno. Sono uscito e ho venduto la mia chitarra elettrica e l’amplificatore per comprare una Gibson acustica”. Ed è proprio con questa chitarra, pochi dollari in tasca ed una piccola sacca sulle spalle che arriva nella Grande Mela. “Finalmente ero arrivato a New York, città tentacolare”, prosegue, “ero lì per cercare i cantanti che avevo sentito sui dischi, Dave Van Ronk, Peggy Seeger, Ed McCurdy, ma soprattutto per trovare Woody Guthrie, di cui potevi sentire le sue canzoni ed allo stesso tempo imparare a vivere: New York, la città che avrebbe dato forma al mio destino!”. Woody Guthrie era ricoverato al New Jersey Hospital, dall’altra parte dell’Hudson River, ma comunque l’incontro si rivelò di enorme importanza perché ebbe grande influenza sulle sue prime composizioni. Dylan affitta una stanzetta all’Hotel Earle, oggi Washington Square Park Hotel, quasi all’angolo di Washington Square, il Campus della New York University al Greenwich Village, dove musicisti ed artisti in genere si danno appuntamento, dando vita a concerti improvvisati e performances di ogni genere. Sognano tutti di cambiare il mondo, mentre invece sono già iniziati i voli della aviazione statunitense in Vietnam. Nell’estate del 1962 Robert Allen Zimmerman cambia legalmente il suo nome in Bob Dylan, lascia l’Hotel Earle e si trasferisce sulla West 4th Street del Village con la sua compagna Suzanne Rotolo, di origini italo americane. I suoi genitori sono membri attivi del Partito Comunista Statunitense e forti sostenitori dei diritti umani. Molti biografi di Dylan affermano che questo è stato il momento decisivo della sua svolta autorale e formazione musicale in generale. “Suze era dentro le vicende dell’uguaglianza e della libertà molto tempo prima che ci entrassi io. Sceglievamo le canzoni insieme”, dice lui stesso. E sono queste canzoni che Dylan inizia a suonare dal vivo. Tra Bleecker Street e la West 4th ci sono dozzine di piccoli club che danno a tutti la possibilità di esibirsi. Qui hanno mosso i primi passi Bruce Springsteen, Joan Baez, CSN&Y e tantissimi altri di questo calibro. Molti ancora ricordano una leggendaria session di Jimi Hendrix al Cafè Wha? Al Cafè Dylan suonò alcune cose del repertorio di Woodie Guthrie per la prima volta in pubblico, per un dollaro e due birre. E poi The Commons a Mac Dougal Street dove si leggevano poesie e si faceva musica folk e jazz, il Gaslight Cafè, The Folklore Center e naturalmente il Village Gate di Bleecker Street dove regnava sovrano il Sindaco del Greenwich Village, Edward Herbert Beresford “Chip” Monck, suo grandissimo amico e futuro MC del Festival di Woodstock del 1969. Nel suo seminterrato e con la sua macchina da scrivere Dylan compose “A Hard Rain’s A- Gonna Fall”. Al Gerde’s Folk City di Mercer Street Dylan accompagnò con la sua chitarra la leggenda del blues John Lee Hooker. E conobbe Joan Baez, con la quale scrisse canzoni e condivise un’intensa storia politica e sentimentale. E poi The Bitter End dove artisti folk si mettevano davanti ad un microfono e ce la mettevano tutta per farsi notare. Erano tutti posti dove la sera, più o meno in incognito, venivano anche talent scout e produttori discografici. Uno di questi, John Hammond della Columbia Records, restò affascinato da Dylan e gli fece incidere “Bob Dylan”, nel 1962. L’album vendette meno di 5.000 copie e la casa discografica stava già pensando a cancellare il contratto. Hammond lo difese a spada tratta, mettendo sul tavolo le sue dimissioni, ed il secondo LP “The Freewheelin’ Bob Dylan” gli diede ragione perché fu certificato Platinum. Sulla copertina del disco Dylan e Suzanne si stringono l’uno all’altra a Jones Street per proteggersi dal freddo. A questo punto Bob Dylan è ricco e famoso: i suoi fan lo adorano e la critica lo incensa. Compra un bellissimo appartamento al 94 di Mac Dougal Street perché intanto la famiglia si è allargata. Ma non dura, oramai è Bob Dylan “Il Simbolo”: gli attivisti cercano di farlo diventare il portabandiera del Moviment, mentre i fan si fanno sempre più aggressivi. Poi un giorno trova il giornalista A.J. Weberman a rovistare per l’ennesima volta nella sua spazzatura a caccia di uno scoop e lo prende a pugni. Basta, è ora di lasciare il Greenwich Village.
Bob Dylan, 80 anni «a ruota libera» tra canzoni, Nobel e 350 milioni in banca. Francesco Prisco il 24/5/2021 su Il Sole 24 Ore. Per raccontare l’uomo, in certi casi, devi partire della mitologia. E l’origine del mito, nel suo caso, ha una data precisa: 11 aprile 1961. Al Gerde’s Folk City, localaccio del Greenwich Village che serve al suo pubblico di intellettuali engagé musica rigorosamente tradizionale, è di scena il bluesman John Lee Hooker. Poco prima dell’esibizione il proprietario della bettola, un calabrese di nome Mike Porco, getta allo sbaraglio un ragazzino che non ha ancora compiuto 20 anni e pochi mesi prima è arrivato nella Grande Mela, viaggiando clandestinamente – a detta sua - su un treno merci. È ebreo, viene dal Minnesota, all’anagrafe risulta registrato come Robert Allen Zimmerman ma di lì a un anno inciderà il primo disco per la Columbia con lo pseudonimo di Bob Dylan. La grande storia passa spesso e volentieri per questi piccoli quanto curiosi incroci: quel ragazzino, il 24 maggio, compie 80 anni, 60 dei quali trascorsi su un palcoscenico. Con 77 album pubblicati, più di 120 milioni di copie vendute, un premio Pulitzer e - caso unico per un artista musicale - il Nobel per la Letteratura, Dylan ha cambiato per sempre la storia della musica contemporanea. E, ancora di più, quella del costume. Quando nel 2016 l’Accademia di Svezia lo inseguiva in giro per il mondo per insignirlo del riconoscimento che qualsiasi altro intellettuale del pianeta sarebbe andato a prendersi a Stoccolma a piedi scalzi, un altro poeta prestato alla musica, Leonard Cohen, commentò così la curiosa circostanza: «È come se volessero appuntare una medaglia sull’Everest».
Un patrimonio da 350 milioni di dollari. Non ci giriamo troppo intorno: il Menestrello di Duluth è questa roba qua, prendere o lasciare. Non vi illudete di averlo capito o, peggio ancora, compreso perché lui vi spiazzerà ancora, come ha fatto a dicembre scorso, quando ha venduto i diritti sull’intero suo catalogo alla Universal Music Group di Vivendi per una cifra che si aggira sui 300 milioni di dollari. E adesso, secondo le stime, detiene un patrimonio personale che si aggira sui 350 milioni. Ma, più che con i soldi e i riconoscimenti, uno così lo «pesi» soprattutto con l’influenza esercitata sui suoi contemporanei. Perché, com’è noto, gli artisti comuni seguono le tendenze, quelli straordinari le determinano. Eccolo allora debuttare nel solco del folk più tradizionale e impegnato di Woody Guthrie, con lo sguardo timido, i capelli crespi, gli standard reinterpretati nell’album d’esordio e quelli «imposti» dai successivi The Freewillin’ Bob Dylan e The times they are a-changin’, la partecipazione alla marcia per i diritti civili del ’63, la liaison con la già famosa collega Joan Baez e il suo ruolo d’icona beatnik che improvvisamente cresce.
Le innumerevoli svolte di una carriera senza fine. Poi la svolta rock del ’65, la folta criniera riccia, la magrezza monacale e i Wayfarer che ne coprono gli occhi spiritati, l’incontro coi Beatles, la scelta di appoggiarsi a una backing band che suona «elettrico», altre pietre miliari come Highway 61 revisited e Blonde on blonde, le accuse di tradimento da parte dei seguaci che non si riconoscono in tutte queste novità giudicate «di orientamento commerciale». Poi ancora il ritiro dalle scene e la svolta country (Nashville Skyline e il duetto con Johnny Cash) proprio mentre nel mondo impazza la contestazione, le autocelebrazioni e le apparizioni cinematografiche di inizio anni Settanta, l’episodica conversione al cristianesimo (memorabile in questo senso il disco Saved), le atmosfere black che qua e là affiorano, la meravigliosa carnevalata dei Traveling Wylburys, l’esperimento da interprete del Great American Songbook, fino a Rough and Rowdy Ways, ultimo, inattuale album. Il nostro ne ha cambiato di volte pelle, in questi 60 anni. E il mondo a ruota dietro di lui.
Guai a pretendere spiegazioni. Questa storia non è ancora finita: ci piacerebbe sentirla raccontare dal diretto interessato ma è ancora fermo al primo volume il progetto Chronicles, la trilogia autobiografica che Dylan cominciò a pubblicare nel 2004. E anche il primo volume, piuttosto che spiegarci una buona volta perché «Sua Bobbità» rifiutò Woodstock, si sofferma su cose tipo il freddo che fa certe volte a Times Square e i giri in moto del Nostro, la domenica quando ha voglia. Forse l’errore è pretendere spiegazioni. Perché questa non è una storia come tutte le altre: questa è mitologia. E parafrasando il Poeta, «se probabilmente vi state chiedendo di cosa parli questa canzone e la cosa che vi sconcerta di più è a cosa serve questa roba qui, non è niente. È solo qualcosa che ho imparato giù in Inghilterra».
Quel mistero chiamato Bob Dylan: a 80 anni è ancora sulla strada. Carlo Moretti su La Repubblica il 24 maggio 2021.Un lungo viaggio di oltre sessant'anni iniziato nel 1961 con l'arrivo a New York. E in una delle ultime canzoni, 'I contain multitudes', c'è forse la risposta che volava nel vento in 'Blowin' in the wind'. A quindici anni Bob Dylan sognava la sua vita come si sogna un’odissea, una lunga strada da percorrere per poter tornare a casa: “Non sapevo dove si trovasse questa casa eppure sapevo di esserci già stato” ha spiegato Dylan, “e tutto ciò che ho incontrato sulla strada è esattamente ciò che mi aspettavo di trovare. Non è successo per seguire un’ambizione” ha aggiunto, “è solo che ero nato lontano dal posto in cui volevo stare e sentivo il bisogno di tornare a casa”. Chissà se ora che festeggia i suoi ottant’anni e gli oltre sessanta di incontri lungo la strada, Dylan sente di essere arrivato a destinazione in quella sua casa ideale che ha tutta l’aria di chiamarsi musica. O se, invece, si sente ancora nel mezzo del viaggio. Del resto la strada era scritta nel suo destino, l’Highway 61 che Dylan ha cantato in una sua famosa canzone unisce davvero il freddo Minnesota alle calde terre del Sud, alla foce del Mississippi, dove la terra ribolle di blues. Ma “How many roads must a man walk down…”, quante strade deve percorrere un uomo prima di potersi chiamare uomo? Quando ebbe imparato un numero sufficiente di accordi sulla chitarra e di terzine al pianoforte il giovane Robert Zimmerman cominciò a pianificare la fuga da casa: non sopportava più Hibbing in Minnesota, dov’era cresciuto, zona di paesaggi brulli sventrati dalle ruspe per farne miniere di ferro, il caldo che ti soffocava d’estate e un freddo d’inverno che ti entrava nelle ossa, da andare a letto con i vestiti ancora addosso. Il giovane Bob inseguiva un sogno, che era anche un sogno di gloria. Per qualche tempo si finse Bobby Vee, con il quale aveva suonato per qualche mese nella vicina Fargo: agli amici e ai parenti, ignari, diceva di essere lui ad aver cantato Suzie Baby, piccolo successo regionale. All’università di Minneapolis, dove si era iscritto, girovagava per le aule senza seguire i corsi, innamorandosi di ragazze dai nomi strani, Gloria Story, Echo: per loro scrisse le sue prime canzoni d’amore, gliele cantava facendo loro serenate. In quei giorni Dylan amava soprattutto le canzoni stravaganti e multiformi di John Jacob Niles, sentiva che nel folk c’era già dentro tutto ciò che era necessario dire, quella musica coincideva con il modo in cui anche lui parlava della vita, delle persone, delle istituzioni, delle ideologie. All’inizio di tutto, però, a dargli la spinta di cui aveva bisogno non poteva che esserci il blues, in particolare il blues percussivo di Odetta, potente figura di cantautrice nera che lo ispira come nessun altro artista ascoltato finora: “Suonava un ritmo particolare con la sua chitarra, non le serviva la batteria, mischiava ritmo tex mex e altri suoni dal Sud degli Stati Uniti, udii quel ritmo e pensai di poterlo usare per qualsiasi cosa”. Bob imita e assimila, qualcuno che l’ha conosciuto in quegli anni parla di lui come di “una spugna”. Affamato di tutto, non solo di soldi e di fama, ma anche di viaggiare e di conoscere attraverso la musica, a un certo punto il giovane Zimmerman si rende conto di aver completamente dimenticato chi era, non pensa più a nulla che lo riconduca alla sua precedente vita, non ricorda la città delle miniere di ferro, i pochi momenti di gioia quando arrivava il circo, non pensa più alla sua famiglia. Un giorno a New York, dove si è trasferito a vent’anni all’inizio del 1961 partendo in autostop poco prima di Natale, chitarra in spalla, una mattina che peraltro nevicava, gli viene del tutto naturale l’idea di cambiare il cognome in Dylan, forse un omaggio al poeta Dylan Thomas o forse no, forse solo semplicità o un modo per dissimulare le origini ebraiche del suo cognome, in un paese in cui è ancora fortissimo l’antisemitismo. Dylan in quei giorni racconta su di sé storie sempre diverse, dice di non avere i genitori, di essere un vagabondo, di aver lavorato in un luna park. Si imbatte nella musica di Woody Guthrie, nel suo stile radicale, uno che con le sue canzoni va dritto all’obiettivo: “Questa macchina uccide i fascisti”, c’è scritto sulla sua chitarra, e Guthrie non ha soltanto un suono particolare, dice sempre cose interessanti utilizzando quel suo suono particolare e per questo lo affascina. Grazie anche al libro di Guthrie Bound for glory che un amico gli aveva regalato all’università, Dylan comincia a pensare che Guthrie conoscesse tutti i segreti della vita, trent’anni prima aveva raccontato nelle sue canzoni la devastazione della Grande Depressione. Dylan comincia a vestirsi come lui, gli assomiglia anche un po’, un giorno a Brooklyn bussa a casa sua, conosce la sua famiglia, lo va a trovare in ospedale, una domenica pomeriggio Guthrie è nel New Jersey a riposarsi a casa di amici e Dylan ha finalmente l’occasione per poter suonare le sue canzoni davanti al suo eroe. In quel momento Dylan non aveva ancora un contratto discografico, aveva suonato l’armonica in un disco di Harry Belafonte, la chitarra in uno dell’amica Carolyn Hester, si era esibito di spalla a John Lee Hooker eppure sei mesi dopo il suo arrivo a New York nei locali del Village veniva già presentato come “il sensazionale Bob Dylan”, uno “pieno zeppo di talento”. Tutto senza aver ancora scritto nessuno dei grandi successi per cui è famoso. John Hammond, il leggendario talent scout della Columbia, vide in lui del potenziale da contrapporre al successo di Joan Baez con la Vanguard Records. Di lui si interessò l’impresario di Chicago Albert Grossman, da poco chiamato a lavorare per il Newport Folk Festival. Eppure al suo primo concerto importante, in una sala della Carnegie Hall, arrivarono per Dylan solo 75 spettatori. Nel primo album, registrato in 3 ore come fosse un concerto sotto la direzione di Hammond, solo due canzoni sono originali, Song to Whoody, cantata da Dylan con il cuore in mano e non poteva essere diversamente, e Talking New York, il resto erano cover di classici blues e folk: l’album vendette 5 mila copie, per molti alla Columbia Dylan era “la follia di Hammond”. Serviva un nuovo incontro lungo la strada per raggiungere casa, avvenne grazie a Suze Rotolo, una ragazza italoamericana ventenne come lui, cresciuta in una famiglia liberal che l’aveva incoraggiata verso l’attivismo politico. Suze aveva lavorato per il Congresso per l’uguaglianza razziale, lo spinse a seguire il movimento per i diritti civili, diventò la sua ragazza, andarono a vivere insieme. Arrivarono così, parlando e discutendo con lei, le sue prime canzoni politiche: The Ballad of Emmett Till, su un ragazzino afroamericano ucciso per aver fischiato a una ragazza bianca, Let me die in my footsteps sulla Guerra Fredda, Talkin’ John Birch Paranoid Blues sulla caccia ai comunisti da parte della destra americana. Con l’estate però Suze lo lasciò per andare a studiare in Italia, a Perugia, Dylan aveva perso la sua musa. Con il dolore per la sua partenza arrivarono altre ispirazioni, Bob era un fiume in piena: “Quelle canzoni sgorgavano in un modo quasi magico”, raccontò anni dopo. Canzoni d’amore come Don’t think twice, it’s alright ma anche fortemente politiche come Masters of war e A hard rain’s a-gonna fall, sulla crisi missilistica cubana. Fu però Blowin’ in the wind che apriva il secondo album The freewheelin’, con la foto in copertina di lui e Suze abbracciati in una strada di New York, a fargli fare il salto di qualità. Dylan aveva copiato il giro armonico di No more auction block for me che aveva conosciuto grazie a Odetta, l’aveva velocizzato e in meno di mezz’ora aveva scritto un testo dal senso misterioso che poteva essere interpretato in modi diversi: la frase chiave era The answer is blowing in the wind, la risposta soffia nel vento, ma nessuno poteva interpretarla come la soluzione contro la minaccia nucleare, la povertà o le ingiustizie sociali. Nella stessa canzone c’è quella domanda: quante strade deve percorrere un uomo? E quanti incontri deve fare prima di potersi chiamare uomo? Dylan in questi sessant'anni ha continuato a fare il suo viaggio per tornare a casa. In mezzo ai temi politici e sociali che ritornano nelle sue canzoni, la sua stella polare è rimasta la stessa, quella del ritorno in un luogo conosciuto da sempre ma diverso da quello in cui il destino ci ha fatto nascere; la ricerca di se stessi e lungo il percorso l’incontro con gli altri. Forse la risposta che volava nel vento alla fine Dylan l’ha trovata, forse si trova in una delle sue ultime canzoni pubblicata l’anno scorso a metà aprile, I contain multitudes. In cui, ispirato da una poesia di Walt Whitman, Dylan canta così: “Vado dritto al limite, vado dritto fino alla fine, vado dove tutte le cose perdute vengono rimesse in sesto, canto canzoni d'esperienza come William Blake e non ho scuse da chiedere, tutto scorre nello stesso momento, vivo sul viale del crimine, guido macchine veloci e mangio fast food, sono un uomo di contraddizioni, sono un uomo di molti stati d’animo, contengo moltitudini”. Forse è proprio vero che Dylan cercando se stesso ha trovato il mondo intero.
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 24 maggio 2021. Come ti senti Bob, come ti senti? Come uno completamente conosciuto, come una pietra che rotola? Dovrà sentirsi particolarmente vezzeggiato, Bob Dylan, adesso che ha compiuto il suo giro del mondo (della musica) in 80 anni. Avrà poco da rimpiangere, essendo divenuto prima l' icona della musica folk, poi di quella rock, quindi il Grande Maestro a cui tanti si sono ispirati senza speranze di eguagliarlo, simbolo di un' America bianca, benestante, sì, ma ribelle, voce della sua generazione e insieme profetica di quelle venture, grido di un individuo disperso che volteggia del vento e al contempo esprime la condizione umana universale. E alla fine, addirittura, anche premio Nobel per la Letteratura, genio delle note che si prende sommi riconoscimenti (meritati?) in ambiti non suoi, con il lusso pure di snobbarli. È stato ed è tante cose insieme Bob Dylan, a cui negli anni hanno affibbiato addosso mille etichette, anche politiche, tra cui quella - chissà quanto voluta o quanto forzata - di icona pacifista, pre-sessantottina, di artista militante contro le ingiustizie sociali, profeta della rivoluzione dei costumi, emblema esistenzialista dell' uomo che non ha identità solide né riferimenti certi, solo con se stesso e perciò funzionale all' ideologia globalista. Insomma, un modello di ispirazione per la sinistra della seconda metà del Novecento, oggi buono anche per riadattarne qualche verso e qualche slogan in chiave politicamente corretta. In occasione delle celebrazioni zuccherose per il suo compleanno, molti dimenticheranno invece l' altro Dylan, quello più scomodo per i salotti buoni, che usava parole ed espressioni che oggi verrebbero banditi, in nome della cancel culture. E quello a cui oggi, al tempo del massimo dispiegamento dell' Indottrinamento nero e rosa (nel senso di multiculturalismo e femminismo), qualcuno potrebbe essere tentato di chiedere la revoca del premio Nobel per violazioni razziste e sessiste. Parliamo del Dylan che, in una canzone cruda del 1976, Hurricane, osava utilizzare la parola tabù per eccellenza, «negro». Certo, il poeta folk voleva fare denuncia contro i soprusi subiti dagli afroamericani, raccontando dell' ingiusta condanna del pugile nero Rubin Carter, detto "Hurricane", accusato di un triplice omicidio e poi prosciolto una ventina di anni dopo, quando si scoprì che la sentenza era «basata su motivazioni razziali». Ma in quella canzone Dylan si era avventurato in un campo molto minato, scrivendo in un paio di versi: «To the white folks who watched he was a revolutionary bum, and to the black folks he was just a crazy nigger» e cioè «Per la gente bianca che stava a guardare lui era un fannullone rivoluzionario. E per la gente nera lui era solo un pazzo negro». Nello stesso testo, pur non usando di nuovo la parola incriminata, Dylan esprimeva un altro concetto ostico, riferito alla visione degli afroamericani da parte dei poliziotti bianchi: «Se sei nero, non potresti neanche mostrarti per strada». Il ricorso a questa immagine e alla parola «nigger» è valso al cantautore, un paio di anni fa, delle accuse di razzismo: un ascoltatore neozelandese ha segnalato la canzone sospetta all' Autorità nazionale sugli standard delle Trasmissioni (Broadcasting Standards Authority), definendola «offensiva, razzista e inaccettabile» e inducendo quest' ultima a ricordare che, fuori dal contesto in cui la usava Dylan, «questa parola nell' uso quotidiano è potente e offensiva». Lo sdegno antirazzista a distanza di quasi mezzo secolo contro Dylan si somma alle accuse di sessismo che il menestrello d' America ricevette già decenni fa per un' altra canzone, Just like a woman, del 1966. Nel testo il cantante raccontava le bizze, i capricci, le dissimulazioni e le fragilità di una donna, definendo questi aspetti della sua personalità come tipici dell' intero genere femminile: «Tu fai finta proprio come una donna e fai l' amore proprio come una donna e poi soffri proprio come una donna, ma scoppi a piangere proprio come una bambina». Tali espressioni vennero bollate dal New York Times già nel 1971 come «un catalogo completo di insulti sessisti» che «definisce la natura delle donne avida, ipocrita, piagnucolosa e isterica»; e perfino il biografo di Dylan, Robert Shelton, pur sottolineando il tono ironico della canzone, notò che «il titolo è una banalità maschile che giustamente fa arrabbiare le donne». E come dimenticare poi l' altro Dylan "scomodo", quello di Neighboorhood Bully, canzone del 1983 che difendeva lo Stato di Israele all' indomani della guerra contro il Libano? Qui il cantante parlava di Israele come di un Paese che «vive solo per sopravvivere» ed «è criticato e condannato perché è rimasto in vita»: «I suoi nemici dicono che è nel loro territorio» ma «loro sono di più, circa un milione contro uno. Lui non ha nessun posto dove scappare, nessun posto dove correre». E ancora: «È sempre sotto processo per il solo fatto di essere nato.
Marco Molendini per Dagospia il 24 maggio 2021. I miti non invecchiano, resistono al tempo che passa. Specie se hanno la scorza dura come quella di Bob Dylan. Difficile perfino immaginarlo mentre spegne le 80 candeline del suo compleanno circondato dalla famiglia. Forse lo ha fatto o lo farà oggi, probabilmente con disagio, lo stesso che proverebbe a guardarsi allo specchio. L’immagine riflessa mente, Robert Zimmerman non è Bob Dylan e 60 anni dopo la distanza è ancora più profonda. L'uomo è inesorabilmente segnato dal tempo, il mito non è stato scalfito dal successo, neppure dalle oscillazioni (la sbandata iperreligiosa) o dall’invidia, quel Nobel che ha scatenato chi non lo ha avuto (che sono la grande maggioranza). Quel narcisista di genio indisponente e indisponibile di Robert Zimmerman lo ha protetto con gli aculei di un istrice e con una stabilità senza concessioni, lo ha nascosto, ha spinto Bob a sfidare diabolicamente i fans con i tanti concerti ermetici che trasformavano i suoi manifesti musicali in geroglifici. Gli ha fatto conquistare una nobiltà artistica che si basa sul prestigio più che sui numeri (il disco più venduto è Highway 61 revisited con 17 milioni di copie: molte, ma poche rispetto a tante altre star musicali). E' l'impronta di chi ha dilatato l'idea la forma canzone fino a trasformarla in un vero manifesto, capace di interpretare epoche e momenti in modo indelebile. Dalla prima esplosione di rabbia con Like a rolling stone, pietra miliare (altro che pietra che rotola), atto di ribellione contro la ribellione (come venne definito), alla lunga lancinante filippica Murder most foul, 17 minuti lanciati in piena esplosione covid, annuncio della lunga agonia a cui saremmo andati incontro e che ancora nessuno si aspettava così insopportabilmente lunga. Cosa può fare di più la parola scritta? Per questo Dylan è diventato il più grande e celebrato dei cantautori, il più influente, il più premiato e il meno incline a concedersi alle premiazioni (ha fatto sospirare perfino l'Accademia del Nobel), restio a mettersi all'ombra del proprio monumento mentre, sotto il suo immancabile cappellaccio, ha continuato ad andarsene in giro. Come farà ancora a 80 anni compiuti. Una sfida, un desiderio insopprimibile di misurarsi con il consenso, mentre al consenso si sottrae. È stato bloccato dal covid, ma sarà solo una parentesi, per quanto prolungata. Il viaggio infinito riprende il suo cammino: nonno Bob, che già minaccia di lasciare ai posteri un seguace musicale di famiglia, Pablo il più grande dei nipoti, è pronto a ripartire da questo autunno e nel 2022 lo aspetta un nuovo sbarco in Europa (Italia compresa) con la sua collezione di canzoni. Negli ultimi concerti americani (dicembre 2019) apriva sempre cantando Things have changed (Le cose sono cambiate), una canzone di vent'anni fa, ma quel verso «Lot of water under the bridge, lot of other stuff too/ don’t get up gentlemen, I’m only passing through» sa tanto di autobiografia contemporanea: «È passata molto acqua sotto i ponti, molto altro è accaduto/ non alzatevi signori, sono solo di passaggio». Quando arriverà, avrà 81 anni. Sotto i ponti sarà passata altra acqua, come ne è passata tanta in sessant'anni, dall'uscita del primo disco (inciso nell’autunno del ‘61 e pubblicato a marzo del 62) passato nell’indifferenza e dal primo sbarco Oltreoceano. Era un ragazzino ventunenne innamorato e affrontò un viaggio che combinava affari sentimentali e un impegno artistico. Allora gli aculei di Robert Zimmerman non dovevano essere tanto ispidi: correva dietro a una donna che gli aveva fatto girare la testa e lo aveva profondamente influenzato, Suze Rotolo (una ragazza figlia di genitori comunisti, il cui impegno lo ha sicuramente contagiato). L'aveva incontrata al Village e si era presentato nascondendo il suo vero nome: «Mi chiamo Bob Dylan», le aveva detto ancora prima di diventare qualcuno e di certificare all'anagrafe il cambio di generalità. A Londra registrò un play televisivo della Bbc, The Madhouse on Castle Street, dove recitava la parte di Lennie, uno studente anarchico che cantava alcune canzoni a commento del plot narrativo. Un debutto televisivo (è rimasto solo un frammento audio molto rovinato) e anche di una canzone destinata a segnare la sua storia, Blowin' in the Wind, usata per accompagnare i titoli di apertura e di chiusura. Era il 4 gennaio 1963, il programma sarebbe andato in onda la settimana successiva, ma quello stesso giorno Bob volò in Italia alla ricerca di Suze, di cui non aveva più notizie. Pensava che fosse a Perugia, dove studiava, invece la ragazza era ripartita per gli Stati Uniti per riabbracciarlo. Così Bob restò a Roma qualche giorno dove c'era la sua amica e sostenitrice Odetta, la grande folksinger nera (ospite in quei giorni della Rai a Studio uno). Girò per la città, finì di scrivere un paio di canzoni, Girl from the north country e Boots of Spanish leather, destinate al disco che stava facendo, The Freewheelin' Bob Dylan, ne scrisse una che si chiama Going back to Rome, mai incisa e suonata, a quanto si sa, soltanto una volta al Basement of Gerde’s Folk City di New York l'8 febbraio del '63. Chissà se sono i pezzi che cantò al Folkstudio, nella sua seconda sera romana, quando si affacciò nel locale di via Garibaldi gestito dal pittore americano Harold Bradley. Potrebbe anche aver aggiunto Blowin' in the wind, ma i pochi testimoni diretti latitano, anche se con il tempo i presenti a quella serata come tante si sono magicamente moltiplicati. E' stato quello l'ultimo viaggio da sconosciuto di Bob Dylan, aveva 22 anni, la sua voce, era meno roca ma già graffiante: «È passata molto acqua sotto i ponti, molto altro è accaduto/ non alzatevi signori, sono solo di passaggio».
Il cantore del rock. Perché Bob Dylan è un vero "classico". Richard F. Thomas, docente a Harvard, spiega perché è simile ai poeti greci e latini. Seba Pezzani - Mer, 07/04/2021 - su Il Giornale. «E spero che tu muoia. E che la tua morte giunga presto. E seguirò il tuo feretro. Nella luce pallida del pomeriggio. E resterò a guardare mentre ti calano. Nel tuo giaciglio di morte. E mi fermerò accanto alla tua tomba. Finché non sarò certo che tu sia morto». Ne è passata d'acqua sotto i ponti da quel 1963, anno in cui fu incisa e pubblicata Masters of War sull'album The Freewheelin' Bob Dylan. Era l'anno in cui i favolosi Beatles ancora cantavano «Love me do, you know I love you». Incredibile pensare che, sul lato opposto dell'Atlantico, un altro musicista che con i quattro di Liverpool condivideva la passione per Little Richard ed Elvis, non cantasse di amore e gioia post-adolescenziali ma di morte e rabbia vendicativa. Se mai ce ne fosse stato bisogno, quelle parole, soprattutto gli ultimi due versi della strofa finale di quel brano, me le ha ricordate qualche giorno fa un amico, lagnandosi della stagnazione snervante della nostra politica. Strano pensare che un Dylan quasi imberbe abbia accumulato tutto quel veleno che, senza apparenti antidoti, si insinua tra i solchi di una canzone scritta ancora giovanissimo. Ma anche in questo stanno la grandezza e la complessità del primo premio Nobel nella storia del rock, un artista su cui il mondo accademico ha speso più parole che su qualsiasi altro esponente di ogni forma d'arte della contemporaneità. Perché Bob Dylan (Edt, traduzione di Elena Cantoni e Paolo Giovanazzi, pagg. 298, euro 20) di Richard F. Thomas si annuncia come un testo di stampo quasi universitario. Quel quasi lo si deve al rock'n'roll, non uso a toghe e frac. Thomas, docente a Harvard, ha masticato per una vita poeti latini e greci e canzoni di Bob Dylan, a suo parere appartenente «al novero dei poeti antichi». A suo dire, fin dagli esordi, «Dylan ha operato in base a principi artistici e con un atteggiamento rispetto alla composizione, alla revisione e all'interpretazione molto simili a quelli degli antichi». Peraltro, gli anni Sessanta sono stati negli Usa un periodo di instabilità politica che ha regalato al Paese una fioritura artistica senza precedenti, un po' come l'Atene del V secolo e l'Inghilterra elisabettiana. Ecco che Thomas ci suggerisce una interessante chiave di lettura del pensiero dylaniano: Dylan va studiato come un classico perché di classicismo si nutre, da lettore avido quale è sempre stato, alternandosi tra le pagine della Bibbia, dei classici, dei poeti beat, dei poeti maledetti. Insomma, a giudicare dalle tematiche affrontate nei suoi testi amore, tradimento, morte, guerra, salvezza, Dio, natura l'antica Grecia e l'antica Roma non sono lontane. In fondo, come sottolinea più volte Thomas, è la curiosità ad alimentare uno spirito creativo e di Dylan si può dire tutto e il contrario di tutto e in parecchi lo hanno pure fatto ma non certo che gli manchi la brama di conoscere e analizzare. Se i critici latini ripetevano il mantra, «L'arte della poesia consiste nel non dire tutto», allora Dylan ne è un diretto discendente: pochi come lui sono maestri nell'eloquente arte della riserva e pure della parsimonia, persino nei testi torrenziali a cui spesso ha fatto ricorso. E la capacità di essere calato nel proprio tempo e pure di esprimere un'arte indifferente al suo incedere è un'autentica virtù dei maestri. Thomas ce lo ricorda analizzando, per esempio, proprio Masters of War, probabilmente pensata in polemica con l'impegno militare americano in Vietnam e sfruttabile durante la Guerra del Golfo ma, per questo, accantonata dallo stesso Dylan. Sulla medaglia del premio Nobel sono incise le parole di Virgilio: «Gli inventori delle arti adatte a ingentilire la vita». Dylan non sfigurerebbe accanto a Virgilio e a Dante in un nuovo viaggio nell'ignoto. In fondo, poesia e musica (in questo caso sfruttando la forma popolare e antica del blues, una sorta di aggiunta ideale all'olimpo del classicismo) servono per rendere più tollerabile l'intrinseca caducità umana. E Dylan ne è più che cosciente e, pur rigettando ogni investitura a sommo vate della sofferenza e della gioia, se ne inorgoglisce privatamente. Il suo lirismo, nell'attenta analisi di Richard F. Thomas, pesca a piene mani dal ricco patrimonio greco-romano: l'aggettivo «lirico» non a caso deriva da lyra, lo strumento a corde per eccellenza dei greci e dei romani. E, a giudicare dai testi di certe sue canzoni, Dylan pare aver fatto sua la lezione dei grandi poeti antichi. Per esempio, il brano Ain't Talkin' sembra aver saccheggiato alcuni versi di Ovidio. Ma è Catullo, il poeta dei poeti di Roma, il cantore per eccellenza dell'amore perduto, a mostrare le più strette assonanze con i tormenti lirici di Dylan, il sommo cantore del rock'n'roll, un genere musicale che solo a chi è distratto risulta privo di lirismo. Perché Bob Dylan non è una biografia di Dylan, ma lo si può leggere anche se non si è stati folgorati sulla via di Hibbing, Minnesota, centro minerario da cui Dylan fuggì.
· Bobby Solo, ossia: Roberto Satti.
Anticipazione da “Oggi” il 17 febbraio 2021. Dopo aver scoperto che i suoi successi erano stati scaricati milioni di volte, senza che sul suo conto fosse entrato un euro, con una perdita stimata di un milione di euro, Bobby Solo dice a OGGI: «Ho le prove della frode, con i nomi e i cognomi di chi l’avrebbe commessa. Ora tocca ai magistrati. Vedremo come andrà a finire». E sul numero in edicola da domani confessa: «La colpa di questo disastro è anche mia. Sono fatto così, un perdente nato, chiunque mi può turlupinare… Nel 1979 mi avevano dato un assegno di 80 milioni e lo avevo subito consegnato a mia madre… ha girato tutto a un conoscente che prometteva un rendimento più alto di quello delle banche e che finì in bancarotta, trascinando nella voragine dei suoi debiti anche i miei 80 milioni. Mamma era brava coi tortellini, ma coi soldi era negata come me».
Giuseppe Scarpa per ilmessaggero.it l'11 febbraio 2021. «Il danno è milionario, qui c'è poco da scherzare. Mi hanno rubato, all'estero, i diritti d'autore delle mie più belle canzoni». Roberto Satti, 75 anni, risponde al telefono mentre è al supermercato a fare la spesa come ogni comune mortale. Per tutti è il rocker Bobby Solo, 75 anni. Una leggenda. La versione italiana, assieme a Little Tony, di Elvis Presley. Il ciuffo e l'abbigliamento sono rimasti quelli degli anni Sessanta. Così come la grinta. E infatti Bobby Solo promette battaglia «ma io rivoglio tutto indietro, sino all'ultimo centesimo». La guerra in questione è diventata legale, affidata allo studio di avvocati Emme Team, che hanno presentato alla procura di Napoli una maxi denuncia. Il reato indicato dai penalisti è frode. E pensare che il tradimento per il 75enne nato a Roma viene proprio dagli Usa. La patria del rock, fonte di ispirazione di una vita per l'artista italiano. Due i brani al centro della querelle Una lacrima sul viso e Se piangi, se ridi. I cavalli di battaglia di Roberto Satti che grazie a queste canzoni è diventato la star Bobby Solo. Con la prima per un soffio non ha vinto il Festival di Sanremo nel 1964, l'anno dopo con Se piangi, se ridi ha invece trionfato all'Ariston. Dall'ufficio copyright statunitense arriverebbero, quindi, le grane per Satti. I diritti delle due canzoni all'estero, fuori dai confini italiani, andrebbero ad alcuni soggetti, tra cui una banca e non al legittimo proprietario. Bobby Solo appunto. Ed è per questo che il cantante parla di un danno a sei zeri dal momento che la vicenda andrebbe avanti da quasi 35 anni, venti anni dopo l'uscita delle due canzoni. Come i due soggetti siano riusciti, a metà anni Ottanta, a incassare la proprietà sui brani resta per adesso un mistero. Una domanda a cui dovranno fornire una risposta i pubblici ministeri napoletani. Possibile, perciò, che verranno richieste a breve rogatorie verso gli States per acquisire nuova documentazione e ricostruire la genesi e i passaggi di proprietà di Una lacrima sul viso e Se piangi, se ridi. Su quest'ultima canzone si è perfino scoperto che a detenere attualmente i diritti all'estero è un istituto di credito. Una banca ne era divenuta titolare poiché un soggetto (da identificare) l'aveva depositata a garanzia di un prestito che non era mai stato onorato. Intanto, però, lo studio legale Emme Team, ha fornito un pacchetto di prove su cui gli inquirenti possono già lavorare. Di certo il danno per Bobby Solo non deriverebbe solo dalla diffusione delle sue canzoni via radio o in televisione. Tante, infatti, sono le cover realizzate nelle più disparate lingue e vendute tramite compact disc e dischi. «Il cantautore è riuscito a scoprire e dimostrare il furto per oltre 30 anni dei diritti legati alle sue canzoni, brani depositati da persone estranee presso l'ufficio copyright statunitense e poi utilizzati come garanzia per ottenere prestiti bancari. Questo in aggiunta a decine di società italiane e estere che hanno distribuito i brani musicali di uno degli artisti italiani più famosi nel mondo, senza riconoscere i dovuti compensi all'autore». Una frode, proseguono i legali, «che è arrivata al termine dopo che l'artista ha chiesto di indagare. Versioni delle canzoni sono state realizzate in francese, tedesco, inglese, coreano, cinese e giapponese, senza che il compositore potesse percepire quanto dovuto».
Carlo Moretti per “la Repubblica” il 15 febbraio 2021. L' Elvis d' Italia ha cantato dodici volte al Festival di Sanremo e vinto due edizioni, nel 1965 con Se piangi se ridi e nel 1969 con Zingara . Ma il successo più grande Bobby Solo l' ha ottenuto a soli 18 anni, nel 1964, con Una lacrima sul viso , esclusa dalla gara perché eseguita in playback a causa di un' improvvisa afonia.
Era il suo primo Festival, come andò?
«Il primo giorno, ascoltando alle prove gli artisti americani, mostri come Paul Anka e Frankie Avalon, mi sentii una nullità e persi completamente la voce. Un fatto psicologico, non un mal di gola come si disse. Mi salvò Vincenzo Micocci, discografico della Ricordi, un papà per me. Impose il playback agli organizzatori e mi garantì almeno l' esibizione. Fu un successo, in un giorno la Ricordi ricevette ordini per 300 mila copie: in albergo dormivo in un sottoscala ma il giorno dopo mi trasferirono nella suite, dalle stalle alle stelle. La voce a quel punto era tornata, però Micocci mi disse: "Fai finta di essere ancora afono, in playback il suono è perfetto"».
Si dice che lei si scusò con il suo manager, Gianni Ravera.
«Sì, ma Ravera non se l' era presa, soprattutto perché non immaginava che in tre mesi avrei venduto 2 milioni di copie e poi 12 milioni nel mondo. Dopo il festival mi vendeva a cifre molto alte, il corrispettivo di 30 o 40 mila euro di oggi a serata. Ravera alzava continuamente il prezzo, ricordo un impresario di Modena, Onelio Barbati, era del Pci, che mi doveva far fare 40 serate e mi disse: "Se quando arrivi al locale di Riccione non firmi al prezzo basso che abbiamo concordato, ho tre uomini che mentre sei sul palco ti riempiono di cacca di vacca". E lo avrebbero fatto. Firmai».
Erano gli anni del Cantagiro.
«A Catania capii il potere e il carisma di Celentano. Lo spettacolo era in ritardo e l' organizzatore Ezio Radaelli non riusciva a tenere a bada la folla, tiravano sacchi di terra sui musicisti dell' orchestra: sul palco salì Adriano con la maglietta tre bottoni, i pantaloni bicolore e le scarpe tartarugate: fece un cenno come un profeta, "Sedetevi", e tutti i 30 mila si sedettero. Era magnetico. Siamo stati molto amici, soffriva di insonnia, quando abitava a Roma veniva a notte fonda a casa mia con la Ford Mustang rosa di sua moglie Claudia, ci davamo appuntamento alle 2 di notte di fronte a una farmacia all' Eur. Una sera entrammo e lui, come fosse un bar, mi guardò e mi chiese: "Uè, cosa prendi, un Cebion o un Agrovit?"».
Sui giornali impazzava la sua rivalità con Modugno.
«Un' invenzione, finta anche quella con Little Tony, con cui condividevo Elvis. Per il mio primo Festival mia madre mi aveva dato 10 mila lire e dovevano bastare per pranzi e cene. Quando Tony vide il ciuffo alla Elvis e mi sentì cantare, mi adottò come un fratello maggiore, mi portava in tutti i più grandi ristoranti con la sua Jaguar E color verde bottiglia. Ha sempre pagato tutto, non sono mai riuscito in tutta la mia vita a pagare io per lui. Nel 2003, quando tornammo al Festival in coppia, i paparazzi ci seguivano come fossimo due star di Hollywood, ci divertimmo molto».
Nel '67 tornò al Festival con "Canta ragazzina", fu l' edizione segnata dal suicidio di Luigi Tenco.
«Rimasi scioccato, ci precipitammo all' Hotel Savoy con Lucio Dalla ma la polizia ci allontanò. Fu un' edizione difficile, i cantanti erano sconvolti, qualcuno diceva che non si era trattato di un suicidio».
Lei quell' anno si esibiva in coppia con Connie Francis.
«Concetta Franconero, un' italoamericana. Fece poi anche una versione di Zingara, non parlava bene l' italiano e in studio di registrazione, a New York, qualche italoamericano burlone gli suggerì di pronunciare "prendi questo in mano, zingara". Si sente distintamente, quando l' ho ascoltato non potevo crederci».
Nei suoi primi Festival lei cantò in abbinamento anche con Frankie Laine, con gli Yarbirds, con i Minstrels.
«Per familiarizzare con gli Yardbirds, la Ricordi mi mandò al Mayfair di Londra, un hotel di lusso, per 10 giorni prima del Festival. Andavamo avanti a whisky, feci amicizia con Jeff Beck che mi insegnò ad arpeggiare in finger picking. I coristi dei Minstrels erano Barry McGuire, Kenny Rogers e Kim Carnes, in hotel a Bordighera cantavamo le canzoni dei cowboy fino alle 4 di mattina. Ero felicissimo».
Ha guadagnato tanto nella sua carriera?
«Non quanto si è detto. Passai a mia madre i 70 milioni di lire che la Ricordi mi dette nel '67 per il rinnovo del contratto ma lei li perse in un investimento sbagliato. Diciamo che non me la passavo male: tra il '64 e il '68 ho cambiato 47 automobili, allucinante».
Negli anni 70 due volte al Festival, poi il silenzio per quasi 10 anni.
«Era cambiata l' aria, andavano di moda i gruppi inglesi, noi venivamo percepiti come il passato. Successe anche a Gianni Morandi, che studiò contrabbasso, e a Gino Paoli che si era messo a fare il night. Io aprii una sala di registrazione. In quel periodo il manager Willy David di me disse: "Un' aquila con l' ala spezzata vola all' altezza di una gallina, ma una gallina non volerà mai all' altezza di un' aquila". Lo considero ancora il più bel complimento mai ricevuto».
Oggi si parla delle truffe da lei subite sui diritti d' autore.
«Sono grato agli avvocati che controllando i miei contratti con varie case discografiche hanno scoperto terribili anomalie, un milione di truffe. E non solo in America».
Da "robadadonne.it" il 12 giugno 2021. In questi giorni è accaduta una cosa piuttosto insolita che vede protagonista, suo malgrado, Brad Pitt. Dai meandri della Rete è tornato in auge un articolo, comparso in passato sull’edizione cartacea del britannico Express, che mostrava come l’attore statunitense si sia “adattato” nell’aspetto alle donne con cui è stato insieme, a partire dalle più celebri: Angelina Jolie, Jennifer Aniston e Gwyneth Paltrow. A riportare in auge il pezzo è stata un’utente di Twitter, che ha sollevato davvero grande attenzione. Nell’articolo erano contenute anche molte immagini. In esse, si può vedere bene come Brad Pitt appaia molto simile alle donne con cui ha avuto una relazione o un semplice flirt. C’è chi l’ha definito per questo un camaleonte. Che sia un camaleonte in realtà non ci piove: se avete visto tutti i suoi film a partire da Fight Club a Thelma & Louise, passando per Seven, Snatch, Burn After Reading e Bastardi senza gloria, capirete che cosa intendiamo – e siamo davvero in fibrillazione per la sua nuova collaborazione con Quentin Tarantino per la realizzazione di Once Upon a Time in Hollywood. Per quanto riguarda la somiglianza con le ex, potrebbe invece trattarsi di buffe coincidenze. In gran parte le ex dell’attore sono state attrici o comunque celebrità: va da sé che i vip si adattino alle mode del momento, omologando look e tagli di capelli. Quale sia la verità non è dato saperla, ma di sicuro vedere queste foto ci ha fatto sorridere.
Da "corriere.it" il 5 settembre 2021. «Ci sono molte cose di cui non posso parlare». Nonostante questa premessa, Angelina Jolie ha fatto numerosi riferimenti al suo divorzio da Brad Pitt , da lei accusato anche di violenza domestica, in una lunga intervista al quotidiano britannico Guardian, spiegando di considerare la sua separazione una questione di diritti umani. Alternando il suo racconto fra l’impegno umanitario che la vede in prima linea e la vita privata, l’attrice ha confessato: «Spesso non riesci a riconoscere qualcosa in ottica personale, soprattutto se ti concentri sulle più grandi ingiustizie globali, perché tutto il resto sembra più piccolo. È molto dura. Mi ci è voluto davvero tanto per arrivare al punto da sentire di dovermi separare dal padre dei miei figli». Alla domanda se avesse paura per la sicurezza dei suoi figli, ha risposto: «Sì, per la mia famiglia. Tutta la mia famiglia». Jolie, 46 anni, ha detto di aver passato anni difficili e di non esserne ancora fuori, aggiungendo però di desiderare che «tutta la famiglia stia bene, incluso il padre dei miei figli». Jolie ha inoltre fatto riferimento nell’intervista a un suo incontro con Harvey Weinstein quando aveva 21 anni, accennando a delle avances da parte dell’ex produttore cinematografico, condannato per stupro e aggressioni sessuali, mentre stava lavorando al film «Playing By Heart»: «È qualcosa da cui sono sfuggita. Me ne sono stata distante e ho messo in guardia le persone su di lui, ho detto di non lasciare che le ragazze stessero da sole con lui. Mi hanno chiesto di recitare in “The Aviator” ma ho detto di no perché era coinvolto. Non ho mai più voluto lavorare con lui ed è stata dura per me quando invece Brad l’ha fatto. Abbiamo litigato per questo. Ci sono stata male». Jolie ha anche detto che spesso le donne sminuiscono la gravità di un’aggressione sessuale se riescono a sfuggirne e così ha fatto lei stessa: «Se riesci a fuggire dalla stanza, pensi che lui abbia tentato ma non sia riuscito, giusto? Ma la verità è che il tentativo e l’esperienza del tentativo sono un’aggressione». Angelina Jolie e Brad Pitt, genitori di sei figli, erano una delle coppie più scintillanti e famose di Hollywood. Hanno annunciato la separazione nel 2016, infrangendo la favola dei «Brangelina», trasformatasi negli ultimi anni in un incubo di battaglie legali, accuse e dolore che è ancora in corso e che include anche la custodia dei figli. Un episodio raccontato da Jolie, in particolare, aveva all’epoca scatenato la richiesta di divorzio: durante un viaggio nell’aereo privato della famiglia Pitt, ubriaco, sarebbe diventato «verbalmente e fisicamente violento» con il figlio Maddox. L’attore fu poi scagionato da quelle accuse, ma ammise di avere problemi di alcol, iniziando un percorso con gli Alcolisti Anonimi dopo la separazione. Jolie ha ora scritto un libro «Know Your Rights» insieme all’avvocato per i diritti umani Geraldine Van Bueren: una guida per aiutare i più piccoli a conoscere i loro diritti e a reclamarli. «Quel che so è che quando viene fatto del male a un bambino, fisicamente, emotivamente o vedendo che viene fatto del male a qualcuno di loro caro, ciò può danneggiarlo. Uno dei motivi per cui i bambini devono avere questi diritti è perché senza sono vulnerabili e rischiano di vivere in modo insicuro». Una riflessione generale che però l’attrice sembra estendere alla sua famiglia, considerando la difesa dei suoi figli come parte di una battaglia per i diritti più ampia: «È stato tutto così orribile che quasi vedo come una benedizione il fatto di essere in una posizione in cui posso combattere il sistema. Non inizia tutto con una violazione. È molto più complicato di così. A mio figlio di 17 anni, per esempio, è stato negato di avere una voce in tribunale». Jolie, descritta dalla giornalista del Guardian come stanca, a tratti sull’orlo delle lacrime, complessa e talvolta contraddittoria, puntualizza poi però di desiderare che «tutti noi andiamo avanti. Voglio che stiamo bene e in pace. Saremo sempre una famiglia».
Da "huffingtonpost.it" il 27 maggio 2021. Via libera da un giudice californiano alla custodia congiunta dei figli per Brad Pitt (ma solo in via provvisoria). Le superstar di Hollywood Pitt e Angelina Jolie, protagonisti di quello che è stato definito ‘il divorzio del secolo di Hollywood’, hanno sei figli, tre biologici e tre adottati. L’ex coppia ha divorziato formalmente due anni fa e da allora ha avuto inizio una lunga battaglia giudiziaria. Dopo aver lavorato per mesi sul caso ascoltando testimonianze di professionisti che hanno avuto modo di parlare con i figli di Angelina Jolie e Brad Pitt, il giudice John Ouderkirk si è espresso chiaramente sulla questione. “C’è stato un cambiamento significativo negli accordi di custodia sulla base di una decisione estremamente dettagliata presa dal giudice”, ha riferito una fonte vicina alla coppia alla testata ‘Page Six’, “Brad stava solo cercando di avere più tempo da trascorrere con i suoi figli”. Il provvedimento tuttavia è solamente provvisorio, poiché l’attrice avrebbe intenzione di continuare la sua battaglia legale. I termini del contratto originale di custodia dei figli non sono mai stati rivelati pubblicamente, ma i media statunitensi hanno ampiamente riferito che Pitt ha cercato da subito la custodia condivisa, mentre Jolie ha chiesto l’affidamento esclusivo. I “Brangelina” si sono sposati in Francia nel 2014, ma erano una coppia dal 2004 dopo aver recitato in “Mr and Mrs Smith”.
DAGONEWS il 17 marzo 2021. Angelina Jolie si dichiara "pronta a fornire prove di violenza domestica" nell'aspra battaglia per il divorzio con l'ex marito Brad Pitt. I documenti ottenuti da The Blast mostrano che l'attrice, 45 anni, si è dichiarata disposta a offrire nello specifico "prove autorevoli" a sostegno di presunte violenze. La coppia condivide l'affidamento dei figli Maddox, Zahara, Pax, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne, i più piccini, di quasi 12 anni. Al momento, la coppia sta cercando di accordarsi finanziariamente, oltre che per la custodia. Il divorzio risale al 2016, quando Pitt è stato indagato dall'FBI e dai servizi sociali proprio per presunti comportamenti aggressivi all'interno della famiglia, addirittura accusato (e scagionato) per aver abusato di Maddox, il figlio maggiore, dopo una lite su un jet privato. Oltre alle accuse di abusi domestici, i documenti in mano alle autorità dimostrerebbero che il tribunale stia per chiedere alla coppia di far testimoniare anche Shiloh, Knox e Vivienne. Dissapori anche all'interno dello staff dei legali della Jolie, che sarebbe intenzionata più che mai a ottenere la custodia totale dei figli, mentre Brad starebbe combattendo per un 50 e 50. Una fonte vicina a Jolie ha detto: «Angelina ha combattuto con le unghie e con i denti per ottenere ciò che vuole in questo divorzio, quando si tratta dei suoi figli non si tira indietro». Uno degli ex legali dell'attrice, Laura Wasser, l'ha inoltre definita come "cattiva e velenosa".
Anna Guaita per “il Messaggero” il 19 marzo 2021. Quando sembrava che l'annosa lite fra Angelina Jolie e Brad Pitt sull'affidamento dei figli stesse per giungere a una conclusione amichevole, l'attrice lancia nuove inquietanti accuse che potrebbero riportare tutto in alto mare. Lo scorso venerdì Angelina ha presentato un ricorso in tribunale in cui sostiene di poter offrire «prove e testimonianze autorevoli» circa comportamenti violenti dell'ex marito nei confronti dei figli e di lei stessa. La 45enne attrice sarebbe pronta a portare i figli minorenni a testimoniare. Significa cioè che cinque dei sei figli che la coppia ha avuto e adottato potrebbero doversi sedere sulla sedia dei testimoni. Il più grande, Maddox, ha 19 anni e quindi per legge può rifiutarsi di obbedire. Gli altri figli sono Pax di 17 anni, Zahara di 16, Shiloh di 14, e i gemelli Knox e Vivienne di 12 anni (Maddox, Zahara e Pax sono adottati). Brad e Angelina si sono separati nel 2016 dopo 10 anni di convivenza e due di matrimonio. Nel novembre di quell'anno sulla base di voci diffuse da testimoni sui social, fu aperta un'inchiesta per possibili atti aggressivi di Brad verso l'allora 15enne Maddox, durante un volo di ritorno dall'Europa. Due mesi di indagini da parte sia del Dipartimento della Famiglia che dell'Fbi non portarono alla luce nessuna prova di aggressività e definirono quell'incidente «un normale battibecco fra padre e figlio, senza uso della forza». Non è chiaro dunque se le accuse di oggi di Jolie si riferiscano a nuovi eventi, avvenuti dal 2016 in poi. Amici dell'attore hanno commentato che Angelina sta solo tentando di «danneggiare» Brad, e che negli ultimi quattro anni altre volte ha presentato accuse «che sono state controllate e si sono rivelate infondate».
AVVOCATI E PARCELLE. La coppia, che ha finalizzato il divorzio già da due anni, sembra effettivamente incapace di trovare un accordo sui figli. Lei ha già cambiato avvocato quattro volte, e ha speso una vera fortuna in parcelle legali. Ultimamente ha venduto un quadro che Brad le aveva regalato nel 2011, e ne ha ricavato quasi 15 milioni di dollari. Ma allo stesso tempo, con sei figli teenager in scuole costosissime, varie case con personale numeroso, viaggi eleganti e dispendiosi di gruppo, anche un'attrice del suo calibro sembra sia in difficoltà finanziarie, anche perché da tempo non lavora e vive solo dei diritti che le spettano dai vari film. Ovvio che non sono mancate le voci malevoli che insinuano che le accuse di violenza contro l'ex marito potrebbero essere un tentativo disperato di obbligarlo a concludere la causa che oramai si trascina da quattro anni. Per di più Angelina deve aver sicuramente letto le interviste in cui Brad ha raccontato di voler chiedere il pieno affidamento della 14enne Shiloh, la prima figlia che la coppia ha avuto, che gli assomiglia moltissimo e che è diventata un'eroina del movimento Lgbtq per la sua chiara identità più maschile che femminile. Angelina invece non vuole assolutamente separare la truppa dei figli e ha sempre insistito di averne il pieno affidamento, rifiutando l'affidamento condiviso che gli avvocati dell'ex marito le proponevano all'inizio. Dal canto suo, Brad pure non è senza colpa, poiché aveva originariamente accettato di lasciarle i figli, accontentandosi del diritto di visita. Ma ha cambiato idea, e anzi in questi quattro anni ha abbracciato uno stile di vita molto morigerato, senza alcol e con periodici controlli per dimostrare che non usa droghe, allo scopo di dimostrare al giudice di aver creato un ambiente sicuro per i figli. Nel frattempo Angelina ha ammesso che la lunga lotta contro l'ex marito è stata «una prova molto difficile», e che sta facendo grandi sforzi «per risanare la famiglia» senza esserci ancora riuscita. E pensare che quando erano insieme i Brangelina facevano sognare. Si erano incontrati quando il matrimonio di Brad con Jennifer Aniston stava facendo acqua, e si piacquero subito, e in poco tempo divennero la coppia più ammirata del mondo, bella, ricca, piena di figli. E poi il crollo, e un divorzio che passerà alla storia come uno dei più combattuti di Hollywood.
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 20 marzo 2021. Non resta nemmeno il ricordo della bella fiaba. Angelina Jolie e Brad Pitt, l' ex coppia più sfavillante di Hollywood - i più belli tra i belli, i più potenti tra i potenti - a ogni udienza del loro complicatissimo divorzio frantumano sempre più quell' immagine di perfezione che aveva destato parecchi sospiri e anche qualche moto d' invidia durante la loro unione. Ora, a vacillare, è anche il loro ruolo di genitori: li avevamo conosciuti come performanti funamboli capaci di destreggiarsi con grazia tra gli impegni e i desideri della numerosa famiglia che avevano formato. Ora, quella stessa famiglia diventa il principale terreno della contesa che, cinque anni dopo la separazione, li vede ancora uno contro l' altro. E, come nel più triste dei copioni, adesso arriva anche a coinvolgere i figli, direttamente. Giorni fa, fonti vicine all' attrice avevano fatto trapelare la sua volontà di arrivare alla fine di questa causa eterna, calando quello che cinicamente è stato definito il suo asso: decidendo, cioè, di far deporre i figli in suo favore. Ieri è arrivata la notizia secondo cui il maggiore della coppia, il 19enne Maddox, lo avrebbe già fatto, testimoniando contro il padre - con cui, è stato fatto capire, i rapporti sarebbero ancora tesi - al punto da voler cancellare il suo cognome, per usare solamente quello della madre. Subito dopo la rottura tra Pitt e Jolie, si era detto che a far crollare la situazione tra loro sarebbe stato proprio un litigio fra Maddox e Pitt, nel contesto non esattamente comune tra la maggior parte delle famiglie di un volo privato. Era il 2016. Poco dopo, l' annuncio della separazione. Ora però, si aggiungono nuovi dolorosi tasselli che descrivono un rapporto padre-figlio mai più recuperato. «Maddox da tempo non usa Pitt sui documenti non legali bensì Jolie - ha rivelato una fonte alla stampa americana - e vuole cambiare legalmente il suo cognome in Jolie». Oltre a Maddox, la coppia ha altri cinque figli: Pax, 17 anni; Zahara, 16; Shiloh, 14 e i gemelli Knox e Vivienne, 12 e tutti, ora, potrebbero essere chiamati anche loro a testimoniare. Le accuse rivolte a Pitt sono gravi: violenza domestica. Al momento della separazione, avevano iniziato a circolare voci che parlavano di un divo spesso in preda alla collera, il più delle volte ubriaco. Accuse pesanti, che ora tornano a prendere corpo nella causa che vede contrapposti i due attori, sempre più simili alla coppia (in guerra) che avevano interpretato nel film che per paradosso li aveva fatti innamorare, Mr. e Mrs. Smith . Da allora - era il 2004 - i due non si erano mai separati, decidendo di sposarsi dopo dieci anni di convivenza nel loro Chateau Miraval, nel sud della Francia. Due anni dopo, l' annuncio che in pochi si aspettavano: quello della fine del loro amore. Sul glamour che aveva illuminato da subito questa unione, calava in quel momento un velo opaco da cui poi non sarebbero più usciti, fino ad arrivare al divorzio effettivo, nel 2019, per «divergenze inconciliabili». Finiva così la loro storia ma non la loro battaglia: la causa per la spartizione dei beni e la custodia dei figli è nel vivo. E ora arriva a toccare anche i figli, frantumando, dopo l' idea della coppia perfetta, anche l' immagine di una famiglia guidata in ogni scelta dall' amore.
· Brandi Love.
Barbara Costa per Dagospia il 16 gennaio 2021. Contento che alla Casa Bianca torni un democratico? Eh già, il nuovo presidente è una vera liberale, biondona e tettona, così "aperta" quando a letto si sdraia, e a 69 se la fa leccare… Scusa, come dici? Il nuovo presidente è sì un democratico ma non è biondona, né tettona, tantomeno è una donna? Ma guarda che il nuovo presidente è una da perderci la testa, lo so che le tette ce l’ha rifatte, però vedi un po’ che fisico, a 47 anni… Come sarebbe, che il nuovo presidente non ha 47 anni bensì 78 (78!!!), e non ha le tette e manco rifatte perché è un uomo?!? Non è la first-figa Brandi Love che segretamente ama e convive con una coetanea anch’essa biondona e tettona? Non è Brandi Love, protagonista della scena 3, dove comanda quel caldo threesome al femminile? Nooo??? OK, hai ragione tu, sono io che ho seguito elezioni diverse, differentemente "interessanti", e però, dimmi: che sballo sarebbe se Brandi Love, la regina incontrastata del porno milf, col suo corpo conturbante e masturbante, diventasse presidente, Brandi che è da sempre una repubblicana convinta? È così, e lei, (ex) presidente Trump, stia su d’animo, riconquisti Melania, e corra tra braccia e gambe di Brandi Love, lei, presidente, che di pornostar se ne intende, lei che nel sesso non è ipocrita e non si vergogna a dire che sc*pare le piace! Stia tranquillo, ché Brandi Love l’ha detto: “Io Trump me lo porterei a letto volentieri, ma a una condizione: che ai giochi partecipi sua moglie Melania!”. Brandi Love è una tipa tosta, una che ha girato "The Candidate", porno dove non le mandano a dire, e le dicono a tutti e specie ai buonisti i più scassap*lle: in pochi hanno la coscienza pulita e un po’ tutti hanno del marcio da nascondere. Soprattutto in politica. Brandi Love – nel porno da 16 anni, i primi nell’amatoriale, dal 2012 da sovrana in quello professionale – non la schiodi, e non dallo Studio Ovale ma dal podio delle pornostar più amate: le altre salgono e scendono tra like e views, ma Brandi è sempre lì, inamovibile, e di lei piace il corpo e piace il genere, il milf che lei ha portato a splendore, nei video dove insegna, è madre-scuola, è matrigna, ma pure coetanea di donne che sono oltre gli anta ma di sesso lesbico e ben fatto digiune. E Brandi è una pornostar che fa politica seria, sul serio, oltre ogni ideologia: lei è in prima fila a fornire sostegno legale a colleghe che per la loro scelta porno-lavorativa sono insolentite da ex, da genitori e parentado, i quali le minacciano di togliergli potestà genitoriale, infamandole come cattive madri per il lavoro onesto che fanno. Sì, onesto, perché, per chi non lo avesse capito, il porno è un lavoro e “noi pornostar siamo lavoratori, paghiamo le tasse, e siamo cittadini con doveri e diritti uguali agli altri!!!”, strilla Brandi Love, a menti rimaste chiuse. Brandi Love è entrata nel porno a 31 anni, ed era già sposata e madre. Per il porno ha lasciato un lavoro remunerativo (era una dirigente d’alto livello), per il porno non ha lasciato né è stata lasciata da suo marito, e il porno non le ha impedito di crescere 2 figli, i quali hanno saputo del lavoro della madre nel modo più sleale ma consueto: dalle prese in giro dei coetanei alle elementari, coetanei loro sì messi al mondo da degenerati capaci di ributtare sul prossimo – e in primis sulla propria prole – il putrido che la loro mente caprona mai educata né secolarizzata, vomita. Lo volete capire sì o no che essere figli di pornostar non produce in automatico persone sbandate, rovinate? La figlia ora maggiorenne di Brandi è “una persona da amore monogamo, tutto il contrario di me” ed è giusto sia così: ognuno è frutto delle scelte che consapevolmente prende. E Brandi Love e suo marito Chris si sono innamorati al college, si sono sposati e "riprodotti", ma mai hanno concepito la monogamia: hanno vissuto e vivono da 25 anni un sesso scambista, in orge, ma pure non condiviso in incontri con persone con cui sfogare istinti e sensi, senza minare il loro equilibrio a due. Tutto questo ben prima che Brandi Love entrasse nel porno, scelta che lei ha preso e approvato col marito, in pura chiave business: il porno è stato un loro investimento, un ramo su cui puntare, un lavoro da affrontare in massima serietà. In cui riuscire. Hanno iniziato aprendo un sito, immettendoci le abilità erotiche di Brandi da solista, e di loro due insieme. Sito che ha stuzzicato l’interesse dei boss porno, che hanno contattato Brandi, scommettendo sulla sua innata eroticità per sviluppare un genere, il milf, che con lei e grazie a lei ha tutt’oggi il successo che merita. Ma per Brandi il passaggio dall’amatorial al porno professionale è stato affatto facile: sui set ci passi anche 12 ore, consecutive, la maggior parte ad attendere, ed è snervante, e il modo e il sesso che vi fai è faticoso: è raro che Brandi "venga" più di una volta. A volte già una volta è tanto. Nel porno il sesso, per risultare credibile, deve essere “naturalmente innaturale”. Nelle posizioni, e nel piacere. Se Chris – con il concreto aiuto di Brandi – diversifica le attività virando su acquisto di immobili, Brandi non vuole porno-pensionarsi prima di 5 anni: il blocco Covid l’ha rigenerata ma pure spinta a pornare di più, ampliando l’offerta sui suoi canali web, rispetto a prima quando, da Raleigh, North Carolina, la sua città-base, partiva ogni 3 mesi per Los Angeles, dove rimaneva anche 15 giorni di fila a pornare, senza tregua. Pre-pandemia, Brandi era chiamata a incontri nelle università a tema del porno quale vero mestiere, e pure delle sessualità e del sesso non etero, e della vita di coppia aperta (è rimasta celebre la sua partecipazione in TV a un talk-show con Hugh Hefner, dove entrambi spiegavano la regolarità di un matrimonio promiscuo). Online, Brandi Love risponde alle domande dei fan, dà consigli (è suo il manuale "Come ottenere sesso selvaggio dalla tua donna conservatrice", e ti faccio dire da Brandi il plot: “Aiuto gli uomini a convincere le loro donne a aprire le loro menti – e le loro gambe – a più cose nell’intimità!”). Tra i quesiti, questo: a letto, meglio un uomo giovane o uno maturo? Risponde Brandi: “Con i giovani, il sesso è atletico, hanno indubbia resistenza. Ma i più anziani conoscono il corpo di una donna, si prendono il loro tempo, e ti dedicano tempo. Con loro il sesso è davvero diverso, è più lento e sensuale, per questo spesso è più appagante”. Concordo in pieno.
· Brigitte Bardot.
Anticipazione da Oggi - oggi.it il 27 gennaio 2021. Il settimanale OGGI, in edicola da domani, pubblica un’intervista rilasciata da Brigitte Bardot in occasione della riedizione della sua autobiografia del 1973. E l’attrice-mito non nasconde le sue opinioni sull’attualità. Dai migranti («Io sono per un governo autoritario, capace di mettere ordine nel casino in cui viviamo. Quando penso che il governo francese lascia al margine dei poveri cittadini che lavorano duro e che ottengono meno aiuti di tutti questi migranti che ci assalgono, mi fa orrore») alle condanne subite per incitamento all’odio razziale: «Me ne frego, mi condannino di nuovo. Mi costerà? Non mi interessa. Se non avrò i soldi per pagare i danni, andrò in prigione. Sarebbe divertente». Fino al Covid: «Temo che il Covid e le altre epidemie che si stanno annunciando ristabiliranno dolorosamente un nuovo ordine. Quando quei 5 miliardi di persone di troppo su questa Terra saranno scomparsi, la natura riprenderà i suoi diritti. Mi chiede se questo virus è una buona cosa? Sì, è una specie di autoregolamentazione di una sovrappopolazione che noi non siamo in grado di controllare». Alla domanda su come lei si protegga risponde: «Non ne ho bisogno, non vedo nessuno. Non saranno le capre a contagiarmi».
Le parole dell'attrice francese. Brigitte Bardot la spara grossa: “Il covid? Una cosa buona, regola la popolazione”. Vito Califano su Il Riformista il 28 Gennaio 2021. Stanno facendo discutere le dichiarazioni di Brigitte Bardot sul coronavirus. La diva francese si è ritirata da anni a vita privata. Sono bastate un’intervista e un serie di uscite a dir poco controverse e infelici a rimetterla al centro dell’attenzione. In estrema sintesi, l’icona del ‘900 ha detto che la pandemia può servire a regolare il sovrappopolamento del mondo, e poi si è lasciata andare a una serie di dichiarazioni di stampo sovranista. L’attrice, una delle più celebri al mondo di tutti i tempi, forse la francese più famosa di sempre, ha parlato al settimanale Oggi in occasione della riedizione della sua biografia. Lo scorso 23 settembre ha compiuto 86 anni. Alla domanda su come si proteggesse dal virus ha risposto: “Non ne ho bisogno, non vedo nessuno. Non saranno le capre a contagiarmi”. E quindi: “Temo che il Covid e le altre epidemie che si stanno annunciando ristabiliranno dolorosamente un nuovo ordine – ha osservato – Quando quei 5 miliardi di persone di troppo su questa Terra saranno scomparsi, la natura riprenderà i suoi diritti”. Incalzata dal giornalista ha quindi aggiunto: ““Mi chiede se questo virus è una buona cosa? Sì, è una specie di autoregolamentazione di una sovrappopolazione che noi non siamo in grado di controllare”. Solo ieri Afp ha calcolato, elaborando i dati delle Agenzie nazionali, e registrato il picco di morti in un giorno a causa del coronavirus, oltre 18mila morti. Dall’inizio dell’emergenza ci sono stati quasi 100 milioni e 90mila casi di contagi, e oltre due milioni di morti (dati della Johns Hopkins University), oltre tre milioni e 100mila casi in Francia e quasi 75mila morti. Dichiarazioni seguite da un discorso in odore di posizioni sovraniste, contro il governo francese, e a favore di un “governo autoritario che possa mettere ordine nel casino in cui viviamo. Quando penso che il governo francese lascia al margine dei poveri cittadini che lavorano duro e che ottengono meno aiuti di tutti questi migranti che ci assalgono, mi fa orrore”.
· Britney Spears.
Britney Spears 40 anni: il matrimonio durato 55 ore e perchè si rasò la testa a zero, 11 cose che non sapete di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 2 dicembre 2021. Gli inizi al The Mickey Mouse Club, gli amori, il movimento #FreeBritney: una raccolta di aneddoti e curiosità poco note sulla popstar in occasione del suo compleanno.
Una popstar da Guinness World Records
A 40 anni (li compie proprio oggi essendo nata il 2 dicembre 1981) Britney Spears è pronta a riprendere in mano la sua vita. La star di «...Baby One More Time», «Oops!... I Did It Again», «Toxic», «I'm a Slave 4 U», «Womanizer», «Scream & Shout» e le altre hit di successo che hanno fatto la storia della musica pop dopo 13 anni trascorsi sotto la tutela legale di suo padre Jamie sta per affrontare i nuovi progetti che la attendono (a partire dal matrimonio con il suo attuale fidanzato, il personal trainer Sam Asghari). In oltre vent’anni di carriera Britney Spears ha ispirato numerose artiste (come Miley Cyrus, che l’ha più volte citata come modello) ed è tra le personalità del mondo della musica più celebrate e premiate tra Grammy, Emmy, MTV Video Music Awards e numerosi altri riconoscimenti (tra cui una stella sulla Hollywood Walk of Fame). Ma l’ex giudice di X Factor USA, che si è guadagnata l’appellativo di «princess of pop», può anche vantare un notevole primato: è entrata nel Guinness World Records per 13 volte. E questa non è l’unica curiosità su di lei.
Il Britney Day
Nel 2011 la città di San Francisco ha ufficialmente istituito - il 29 marzo - in suo onore il Britney Day.
Il primo provino (fallito) per The Mickey Mouse Club
Britney Spears deve i suoi primi successi al The Mickey Mouse Club (show Disney che lanciò anche molte altre giovani star come Justin Timberlake, Christina Aguilera e Ryan Gosling). Forse però non tutti sanno che alla sua prima audizione, sostenuta a otto anni, fu bocciata perché ancora troppo giovane.
Sarebbe dovuta entrare in una girl band
Nel 1997 Britney si mise in contatto con il manager Lou Pearlman per unirsi al gruppo femminile Innosense ma la madre della popstar, Lynne, chiese un'opinione all'amico di famiglia e manager Larry Rudolph. Quest’ultimo decise di presentare Spears come artista solista a diverse case discografiche. Dopo numerosi rifiuti rispose positivamente soltanto la Jive Records. Il 30 settembre 1998, al termine di numerosi tour promozionali, uscì il singolo «…Baby One More Time». E il resto è storia.
L’esperienza come attrice
Al di là della sua ricca carriera musicale Britney Spears si è cimentata come attrice nel film del 2002 di Tamra Davis «Crossroads - Le strade della vita» (scritto da Shonda Rhimes, ideatrice di «Grey’s Anatomy») ed è apparsa come guest star in numerose pellicole e serie tv («Will & Grace», «How I Met Your Mother», «Glee», «Austin Powers in Goldmember», «I Simpson»).
Il matrimonio lampo
Il 3 gennaio 2004, dopo pochi mesi di frequentazione, Britney sposò l'amico d'infanzia Jason Allen Alexander in una cappella matrimoniale di Las Vegas, in Nevada. Il matrimonio fu annullato dopo 55 ore.
Il reality (e l'amore) con Kevin Federline
A febbraio, a qualche settimana di distanza dalle nozze lampo con Jason Allen Alexander, Spears annunciò il fidanzamento con il rapper e ballerino statunitense Kevin Federline. I due (protagonisti del reality show «Britney & Kevin: Chaotic», chiuso dopo sole cinque puntate) si sarebbero poi sposati il 18 settembre 2004 e avrebbero avuto due figli, Sean (nato nel 2005) e Jayden James (2006).
La crisi e il padre tutore
Nei mesi successivi al divorzio da suo marito Kevin si acuirono i problemi personali della popstar: nel febbraio 2007 Britney entrò in una clinica di riabilitazione ad Antigua, nei Caraibi, in cui trascorse meno di ventiquattro ore. La notte seguente si recò presso un parrucchiere di Los Angeles e lì si rasò da sola la testa a zero, episodio che ebbe una grandissima eco mediatica a livello mondiale («Ha detto che sua madre si sarebbe arrabbiata per il fatto che si stesse facendo questo ai capelli e le sono venute le lacrime agli occhi», raccontò la proprietaria del salone). Successivamente si fece ricoverare spontaneamente in un'altra clinica di riabilitazione e nel mese di ottobre Spears perse la custodia dei figli (l’avrebbe riottenuta soltanto nel 2015). Il 3 gennaio 2008 Britney si rinchiuse nel bagno di casa insieme ai bambini, rifiutandosi di riconsegnarli ai rappresentanti legali dell'ex, e fu ricoverata al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles. In seguito a questo episodio, sempre nel gennaio 2008, fu sottoposta ad un TSO. Così i giudici decisero di dare il completo controllo dei suoi beni al padre Jamie Spears e al procuratore Andrew Wallet.
Il movimento #FreeBritney
Soltanto lo scorso 12 novembre un tribunale di Los Angeles ha posto fine alla tutela legale di Jamie Spears: dopo 13 anni Britney ha potuto riprendere il controllo della sua vita sotto ogni aspetto, personale ed economico, supportata dai suoi fan che l’hanno sempre sostenuta nella sua lunga battaglia al grido di #FreeBritney.
Ha aiutato i fan durante la pandemia
Si è molto parlato dei problemi personali di Britney Spears, ma molto poco della sua attività filantropica: ha fondato un ente caritatevole per aiutare i bambini bisognosi (The Britney Spears Foundation), chiuso nel 2011, e nel corso degli anni ha partecipato a numerose raccolte fondi. Nel 2020 si è spesa attivamente per la #DoYourPartChallenge, per aiutare le persone in difficoltà durante la pandemia.
Britney Spears, 40 anni da donna (finalmente) libera. La Repubblica il 2 dicembre 2021. La cantante festeggia il compleanno il 2 dicembre e si prepara ad una nuova vita. "Eh, sì. La vita comincia a quarant'anni. È proprio vero". La famosa frase di Fefè Cefalù (Marcello Mastroianni), che chiude il capolavoro di Pietro Germi Divorzio all'italiana è quanto mai adatta per definire il momento che sta vivendo Britney Spears. La popstar, infatti, il 2 dicembre spegnerà 40 candeline ed è pronta a prendere il volo dopo una lunga battaglia legale che finalmente, con la decisione del giudice della Corte Suprema di Los Angeles del 12 novembre scorso, l'ha liberata dalla tutela del padre che durava da 13 anni. Una tutela che la stessa cantante aveva definito "abusante". Adesso è libera di riprendersi i suoi diritti legali e il suo conto corrente e sposare il suo compagno Sam Asghari.
Cantautrice, ballerina, presentatrice tv, Britney Spears è tra le popstar più talentuose e premiate della musica pop, avendo vinto un Grammy Awards nel 2005, 12 Billboard Music Awards su 21 nomination, 6 Mtv Video Music Awards su 28 nomination, 4 World Music Awards, 1 Emmy Awards, 1 American Music Awards. Le è anche stata dedicata una stella nella Hollywood Walk of Fame.
Enfant prodige, l'artista si è esibita su un palco per la prima volta all'età di cinque anni, intonando il canto natalizio tradizionale What Child Is This?, alla cerimonia finale dell'asilo. Tre anni dopo venne scartata perché troppo giovane a un provino per l'audizione per Mickey Mouse club ma, notata grazie alle sue doti, venne affidata a un manager che le fece studiare canto e danza finché, a 11 anni, entrò in Disney Channel.
La carriera da cantante iniziò nel 1997, a sedici anni, quando entrò nel gruppo femminile Innosense, anche se il vero successo arriverà due anni dopo con il primo album ...Baby one more time, pubblicato nel gennaio del 1999 e subito in vetta alla classifica Billboard 200. Il disco dopo solo un mese venne certificato doppio platino e raggiunse i vertici delle classifiche di quindici Paesi vendendo più di dieci milioni di copie in un anno.
Col secondo album Oops... I did it again superò le vendite del primo e si rafforzò la sua fama mondiale, grazie anche all'uso delle coreografie che accompagnavano i suoi video e che diventarono la sua cifra stilistica. Tutti gli album successivi, anche quelli usciti sotto la tutela del padre, iniziata nel 2008, raggiunsero le vette delle classifiche mondiali e vantarono collaborazioni con artisti di rilievo internazionale.
Anche la vita privata di Britney Spears è al centro dell'attenzione mediatica, tanto da spingerla a girare un documentario dal titolo Britney: for the record, per raccontare la sua versione dei fatti. A cominciare dalla relazione con Justin Timberlake, durata 4 anni, dal 1998 al 2002, finita in maniera travagliata e raccontata in una canzone dello stesso Timberlake, la più famosa forse della sua carriera, Cry me a river.
Poi le nozze a Las Vegas con l'amico d'infanzia Jason Allen Alexander, durate solo 55 ore. Ancora le seconde nozze con il rapper e ballerino statunitense Kevin Federline, dal quale ebbe due figli. Poi il divorzio, nel luglio 2007. Nello stesso anno la popstar venne ricoverata in una clinica di Antigua, nei Caraibi. Appena uscita, si rasò i capelli a zero da sola in un negozio di parrucchiere a Los Angeles per uscire nel parcheggio e prendere a colpi di ombrello un Suv. Britney Spears faceva uso di droghe, ma decise di sottoporsi a una riabilitazione facendosi ricoverare spontaneamente in una clinica specializzata.
Nel 2008, dopo un ricovero al Cedars-Sinai Medical Center e un tso, i giudici la affidarono alla tutela del padre, Jamie Spears, che controllava totalmente i suoi beni. Una tutela che, come confessò la cantante, si rivelò la sua peggiore prigione, con il padre che decideva perfino il colore della sua cucina e le persone con cui poteva sentirsi al telefono. Il 12 novembre scorso la decisione del giudice della Corte suprema di Los Angeles, Brenda J. Penny, di annullare la tutela legale del padre.
"Britney vs Spears": arriva il documentario sulla battaglia legale della popstar
E alla vigilia del 40esimo compleanno, Britney Spears ha annunciato il nuovo matrimonio con il suo personal trainer di origini iraniane Sam Asghari, con il quale ha una relazione dal 2016.
Dagotraduzione da PageSix il 20 novembre 2021. Dopo 13 anni di relativo silenzio, Britney Spears ha condiviso con il pubblico i suoi pensieri sulla tutela che sovrintende a quasi ogni singolo aspetto della sua vita. Il 23 giugno 2021, la pop star ha affrontato virtualmente il giudice della Corte Superiore della Contea di Los Angeles Brenda Penny per accusare il padre, Jamie Spears, e per chiedere che l'accordo legale, considerato «di eccessivo controllo», terminasse. La tutela è stata istituita nel 2008 in seguito al crollo pubblico di Britney nel 2007. Un documentario del 2021 intitolato "Framing Britney Spears" ha messo in luce come il severo controllo dei media avesse portato alla sua rovina con abuso di sostanze e problemi di salute mentale. Ma nel corso degli anni, Britney ha raccolto il sostegno dei fan sfegatati conosciuti come gli attivisti #FreeBritney, che hanno messo in dubbio la necessità della tutela, considerato che la pop star ha continuato la sua carriera pubblicando nuovi album e ha trascorso un periodo di residenza di quattro anni a Las Vegas. I tutori legati sono di solito riservati a persone che hanno gravi disabilità mentali o persone anziane che soffrono di demenza e non possono prendere decisioni valide per se stesse. Ecco un breve riassunto di alcuni dei momenti più cruciali della decennale tutela di Britney.
Febbraio 2008
Nel novembre 2006, Britney ha chiesto il divorzio da Kevin Federline, con il quale condivide i figli Sean Preston e Jayden James. La loro separazione si è chiusa nel luglio 2007. Ma, nei mesi successivi, Britney e Federline si sono ritrovati a litigare sulla custodia dei figli. Durante un episodio, avvenuto ai primi di gennaio del 2008, è stata chiamata la polizia: Britney si era chiusa a chiave in bagno con i figli. Britney è stata successivamente ricoverata in ospedale e sottoposta a valutazioni di salute mentale. Quel febbraio, dopo una serie di arresti psichiatrici, Jamie ha presentato una petizione per una tutela temporanea di emergenza sulla figlia maggiore, e il commissario della Corte Suprema di Los Angeles, Reva Goetz, l'ha approvata.
ottobre 2008
Otto mesi dopo, il giudice Goetz ha stabilito che la tutela sarebbe stata resa permanente. Secondo i resoconti dei media, all'epoca disse all'udienza: «La tutela è necessaria e appropriata per la complessità delle entità finanziarie e commerciali e [Britney] è suscettibile di un'influenza indebita». Jamie è stato nominato tutore della persona e l'avvocato Andrew Wallet è stato nominato co-conservatore del patrimonio per aiutare il padre di Britney a gestire tutti i suoi affari finanziari.
novembre 2008
Un mese dopo, Britney ha dato ai suoi fan un piccolo – e raro – assaggio della sua nuova normalità con il documentario di MTV “Britney: For the Record”. La pop star, una volta frizzante, vi appare cupa, e racconta la sua routine come monotona e «troppo controllata». «Se non fossi sotto le restrizioni in cui mi trovo adesso, con tutti gli avvocati, i medici e le persone che mi analizzano ogni giorno - se non ci fossero, mi sentirei così liberata», dice nel film. «Quando dico loro come mi sento, è come se mi sentissero ma in realtà non mi stessero ascoltando… È come se fosse brutto. Sono triste».
dal 2014 al 2016
Per quasi un decennio, Britney non ha più commentato pubblicamente la sua tutela. Tuttavia, un rapporto del New York Times pubblicato nel giugno 2021 ha mostrato che la cantante era continuamente controllata. Documenti giudiziari precedentemente sigillati ottenuti dal giornale mostravano che l'avvocato di Britney nominato dal tribunale, Samuel D. Ingham III, aveva dichiarato in un deposito del 2014 di aver espresso preoccupazione per il ruolo di suo padre, citando il suo bere e una "lista della spesa" di altre rimostranze. La cantante di "...Baby One More Time" ha parlato di nuovo nel 2016 con un investigatore, che ha raccontato alla corte che Britney era «stufa di essere sfruttata» e sentiva di essere «quella che lavorvaa e guadagnava i suoi soldi, ma tutti intorno a lei erano sul suo libro paga». Il Times ha detto che in quel momento aveva anche chiesto di porre fine alla tutela.
gennaio 2019
Nel gennaio 2019, Britney annuncia una «interruzione del lavoro a tempo indeterminato» perché il padre si è ammalato. «Sto dedicando la mia attenzione e le mie energie a prendermi cura della mia famiglia», dice. «Abbiamo un rapporto molto speciale e voglio stare con la mia famiglia in questo momento, proprio come loro sono sempre stati lì per me». Poco tempo dopo viene annunciato che il suo nuovo album e la seconda residenza pianificata a Las Vegas, "Britney: Domination", saranno posticipati fino a nuovo avviso per via dello stop. Lo spettacolo era stato programmato per 32 serate al Park Theatre at Park MGM.
marzo 2019
Meno di un anno dopo aver richiesto un aumento di stipendio, Wallet si dimette da co-conservatore del patrimonio, lasciando Jamie solo al comando. I dettagli specifici che circondano le dimissioni apparentemente improvvise di Wallet rimangono sconosciuti.
Aprile 2019
All'inizio di aprile del 2019, Britney viene ricoverata in una struttura per la salute mentale dopo aver raccontato che sta lottando per affrontare la malattia di suo padre. Ma, quello stesso mese, un informatore dichiara, durante il podcast "Britney's Gram", che Britney è stata trattenuta contro la sua volontà, provocando un tumulto all'interno del movimento #FreeBritney. Una fonte anonima che afferma di aver lavorato come paralegale per uno studio legale coinvolto nella tutela di Britney ha lasciato ai podcaster un messaggio vocale in cui dice che Britney è stata ricoverata nella struttura perché si è rifiutata di prendere le sue medicine ed è stata vista guidare, contravvenendo alle linee guida del conservatore.
maggio 2019
Le affermazioni dell'anonimo paralegale sono state semiconfermate nei documenti del tribunale rivelati nell'articolo bomba del New York Times del giugno 2021. Il giornale riporta che, durante un'udienza a porte chiuse nel maggio 2019, Britney ha detto alla corte di essere stata costretta ad andare in una struttura di salute mentale contro la sua volontà. Secondo la sua versione, è stata una punizione per aver mosso un’obiezione durante una prova per la sua residenza a Las Vegas, lamentando di essere stata costretta, una sera, ad esibirsi nonostante un febbrone. Jamie e il suo team legale hanno a lungo negato di aver gestito male la vita e la carriera di Britney. Nell'agosto 2020, Jamie dice a Page Six: «Spetta al tribunale della California decidere cosa è meglio per mia figlia. Non sono affari di nessun altro».
Agosto 2019
Nell'agosto 2019, Jamie avrebbe avuto un alterco fisico con Britney e il figlio di 13 anni di Federline, Sean Preston. Non sono state presentate accuse penali contro Jamie, ma Federline ha ottenuto un ordine restrittivo per tenere entrambi i figli suoi e di Britney lontani dal suo ex suocero dopo l'incidente.
Settembre 2019
Un mese dopo il presunto alterco con suo nipote, Jamieviene temporaneamente sostituito come co-conservatore della persona di Britney. Motiva la decisione con problemi di salute, e il responsabile dell’assistenza di Britney, Jodi Montgomery, interviene come suo sostituto. Jamie non viene rimosso del tutto dalla tutela, ma il giudice Penny estende il ruolo temporaneo di Montgomery almeno fino a settembre 2021.
Agosto 2020
Quasi un anno dopo, l'avvocato di Britney, Ingham, presenta una petizione affermando che l'artista «si oppone fortemente» al ritorno del padre come unico tutore una volta guarito dai suoi problemi di salute. Nei documenti, la cantante di “Gimme More” non chiede di far terminare completamente la tutela, ma piuttosto di «avere un fiduciario aziendale qualificato nominato per ricoprire questo ruolo». Ma, a novembre, il giudice Penny rifiuta la richiesta di Britney di rimuovere suo padre dalla tutela.
Novembre 2020
Nella stessa udienza di novembre, il giudice Penny accetta di dividere le responsabilità di Jamie nella supervisione degli affari finanziari di Britney con la società Bessemer Trust. La società privata, che offre una gestione completa degli investimenti, pianificazione patrimoniale e servizi di family office, viene scelta da Ingham, e per questo molti fan la vedono come una piccola vittoria per Britney.
Febbraio 2021
Nel febbraio 2021, il New York Times e FX pubblicano il documentario "Framing Britney Spears", suscitando il sostegno a livello nazionale per la principessa del pop tra fan e celebrità. Lo speciale documenta l'ascesa alla fama di Britney, i problemi di salute mentale a seguito di un severo controllo pubblico, la tutela e il movimento #FreeBritney.
marzo 2021
Britney chiede formalmente, in una petizione al tribunale, che Montgomery sostituisca permanentemente suo padre Jamie come custode dei suoi affari personali.
giugno 2021
Britney si rivolge al giudice Penny per la prima volta dopo anni e per la prima volta in assoluto in un'udienza pubblica, alla quale partecipa virtualmente. Durante l'udienza accusa i suoi conservatori di essere "abusivi" e "prepotenti" nei suoi confronti. Dice che l'hanno costretta a usare il controllo delle nascite nonostante desideri sposarsi e avere un bambino con il suo ragazzo, Sam Asghari. Britney dice al giudice Penny: «È il mio desiderio e il mio sogno che tutto questo finisca».
luglio 2021
Sulla scia dell'udienza, Bessemer Trust si dimette da co-conservatore del patrimonio nel luglio 2021, sostenendo nei documenti del tribunale che credeva la tutela volontaria, fino alla testimonianza di Britney. Giorni dopo, TMZ ha riferito che Ingham si sarebbe dimettesso dal caso di tutela dopo 13 anni come avvocato d'ufficio di Britney. Il 14 luglio, il giudice Penny dà a Britney il permesso di scegliere il suo avvocato in quella che è stata considerata una grande vittoria in tribunale per la pop star. Sceglie l'ex procuratore federale Mathew Rosengart.
Agosto 2021
Nell'agosto 2021, il padre di Britney accetta per la prima volta di dimettersi da suo conservatore. Jamie dichiara nei documenti del tribunale depositati il12 agosto che «non crede che una battaglia pubblica con sua figlia sul suo continuo servizio come suo conservatore sarebbe nel suo interesse», aggiungendo che lavorerà insieme alla corte e Rosengart su un «passaggio ordinato a un nuovo conservatore». Rosengart definisce la concessione di Jamie una «grande vittoria» per Britney, ma criticato comunque il padre per i suoi «continui attacchi vergognosi e riprovevoli» contro la figlia pop star. Nel suo documento, Jamie evidenzia la presunta «dipendenza e problemi di salute mentale di Britney con cui ha lottato, e tutte le sfide dell’essere suo conservatore». Rosengart risponde con una dichiarazione a Page Six: «Piuttosto che fare false accuse e sparare su sua figlia a buon mercato, il signor Spears dovrebbe rimanere in silenzio e farsi da parte immediatamente». L'avvocato promette di continuare la sua «vigorosa indagine sulla condotta del signor Spears e di altri negli ultimi 13 anni».
settembre 2021
Jamie presenta una petizione il 7 settembre 2021, per porre fine alla tutela della figlia di 13 anni e dice che il tribunale ha il potere di eliminarla «senza ordinare una valutazione psicologica». Tramite l'avvocato Vivian Lee Thoreen, dice che «le circostanze sono cambiate a tal punto che i motivi per l'istituzione di un conservatore potrebbero non esistere più». «SM. La Spears ha detto a questa corte che vuole riavere il controllo della sua vita senza le barriere di sicurezza di un conservatore», continua la petizione, ammettendo che Britney «vuole vivere la sua vita come vuole senza i vincoli di un conservatore o di un procedimento giudiziario». Rosengart definisce il cambiamento di cuore di Jamie «una massiccia vittoria legale» per la sua cliente, ma sottolinea che lui e il suo team continueranno «le indagini sulla cattiva gestione finanziaria e altri problemi». Il 29 settembre 2021, Jamie viene ufficialmente sospeso dalla tutela di Britney. «La situazione attuale è insostenibile», dice il giudice Penny dopo aver ascoltato le argomentazioni degli avvocati di Jamie e Britney. «Riflette un ambiente tossico». Seguendo la richiesta di Rosengart, viene nominato conservatore temporaneo del patrimonio di 60 milioni di dollari di Britney il contabile pubblico certificato John Zabel. Jodi Montgomery resta temporaneamente conservatrice della persona.
Novembre 2021
Il 12 novembre il giudice Brenda Penny della Corte Superiore della Contea di Los Angeles decide ufficialmente di porre fine alla tutela della megastar del pop. «La corte ritiene che la tutela della persona e del patrimonio di Britney Spears non sia più necessaria», dice il giudice Penny durante l'udienza pomeridiana. Dopo la sentenza, la cantante scrive su Instagram: «Buon Dio, amo così tanto i miei fan che è pazzesco!!! Penso che piangerò per il resto della giornata!!!!». «Il miglior giorno di sempre... loda il Signore... posso avere un Amen????», e ha aggiunto l'hashtag "#FreedBritney".
Britney Spears, revocata dopo 13 anni la tutela legale. La Repubblica il 12 novembre 2021. Dopo 13 anni, la cantante Britney Spears non è più soggetta ad alcuna tutela legale. E' quanto ha stabilito un giudice di Los Angeles. Il padre della popstar, Jamie, era già stato rimosso dal ruolo lo scorso settembre, dopo le ripetute accuse della figlia di aver abusato della sua posizione, e al suo posto era stato nominato un sostituto. Con il verdetto di oggi è stata eliminata del tutto ogni forma di tutela legale sulla cantante, che ora è di nuovo libera di disporre della sua vita e del suo patrimonio. "A partire da oggi, la tutela della persona e del patrimonio di Britney Spears è terminata", ha sentenziato la giudice Brenda Penny. "è questo l'ordine del tribunale". Spears è ora libera, tra le altre cose, convolare a nozze con il fidanzato Sam Asghari. Circa un centinaio di sostenitori della campagna #FreeBritney hanno atteso il verdetto fuori dal tribunale, alcuni camuffati con i vestiti da scolaretta e da hostess indossati dalla cantante in alcuni suoi celebri video. Jamie Spears, pur negando di aver abusato della sua posizione, aveva chiesto a sua volta di porre fine alla tutela, riconoscendo che la figlia ora "crede di poter gestire la propria vita". L'avvocato della trentanovenne, Mathew Rosengart, aveva però ritenuto insufficiente la marcia indietro del padre e aveva ottenuto una seconda udienza per porre fine del tutto all'istituto della "conservatorship". Una nuova udienza è prevista a dicembre per risolvere le questioni finanziarie in sospeso, comprese le spese legali. Spears ha sofferto di problemi psichici ed era stata posta sotto tutela nel 2007, dopo aver aggredito un paparazzo.
Anna Guaita per “il Messaggero” il 14 novembre 2021. Tredici anni fa Britney Spears fu affidata dalla legge alla cura legale del padre, Jamie. Allora 27enne, la famosa cantante pop era stata protagonista di una serie di scomposti crolli in pubblico e di clamorose e aggressive liti con i paparazzi che non le davano pace. Nella decisione del tribunale di accogliere l'appello del padre e di mettere la star sotto tutela legale molti allora videro un passo che l'avrebbe protetta da se stessa. Ma la scorsa estate abbiamo scoperto che questi anni sono diventati lentamente per Britney una vera tortura, che il padre l'ha sottoposta a controlli ai confini del maniacale, e probabilmente si è anche arricchito alle sue spalle. Venerdì la giudice californiana Brenda Penny ha posto fine ai 13 anni di prigionia della cantante e ha stabilito che «la tutela legale della persona e dei beni di Britney Jean Spears non è più richiesta e d'ora in poi è terminata». La testimonianza che Britney aveva reso a voce durante l'udienza dello scorso luglio era stata travolgente per il suo carattere disperato e indignato nei confronti di tutti coloro che in questi anni lavevano controllata fin nelle minime decisioni. Con un discorso tirato e senza pause di 23 minuti, Britney aveva raccontato al mondo di vivere una vita senza nessuna indipendenza, neanche quella di poter andare dal ginecologo per rimuovere la spirale e tentare di avere un altro bambino. «Rivoglio la mia vita» aveva supplicato, descrivendo come il padre e la società finanziaria che controllavano i suoi beni non le concedessero neanche di ritirare soldi con il bancomat, di prendere un tassì da sola, di incontrarsi privatamente con il fidanzato, Sam Ashgari. E quando tre anni fa aveva protestato perché la facevano lavorare troppo, il padre l'aveva portata da uno psichiatra che le aveva prescritto il litio, uno psicofarmaco usato nei casi di bipolarismo che ebbe solo l'effetto di farla sentire «sempre ubriaca». Britney aveva chiesto che la sua testimonianza nel ricorso contro la tutela fosse aperta al pubblico, in buona parte per rispondere al massiccio movimento d'opinione nato intorno al suo caso grazie al mobilitarsi di una larga fetta del suo pubblico. Il movimento #FreeBritney ha avuto il merito di portare il Paese a discutere di questo istituto legale della conservatorship, la tutela ideata per proteggere in genere persone che abbiano perso la capacità di intendere e di volere e che a quanto pare è stata applicata in troppi casi e spesso in modo troppo severo. Persino il presidente Joe Biden si è interessato alla situazione della cantante e alla conservatorship e ha proposto di modificarla e una legge è stata presentata alla Camera per rivederla. Britney ha reagito alla notizia che la giudice la liberava con un tweet carico di emotività: «Non posso dannatamente crederci!!! Amo i miei fan da impazzire. Piangerò per il resto del giorno!!! Il miglior giorno di sempre». Anche i suoi fan hanno pianto di gioia, e lo hanno fatto in strada, fuori al tribunale dove si erano radunati, come a ogni udienza della lunga battaglia legale. Adesso tutti ovviamente si chiedono cosa farà la cantante. Negli anni di tutela non ha mai smesso di lavorare, e il suo patrimonio ha superato i 60 milioni di dollari, dei quali recupera la piena proprietà, assistita da un contabile. Si prevede che dopo aver firmato un contratto pre-matrimoniale Britney sposerà il suo attuale compagno. Già madre di due figli teen-ager, Sean e Jayden, avuti nel breve matrimonio con il cantante-ballerino Kevin Federline, Britney ha pubblicamente rivelato di voler un altro figlio, e ha anche confermato di voler tornare in studio per registrare nuove canzoni. Nessun accenno invece al palcoscenico di Las Vegas, dove si è esibita per anni, con turni massacranti di sette giorni a settimana. Per quanto invece riguarda il padre, l'avvocato di Britney ha confermato che è stata chiesta un'indagine sulla sua gestione della tutela della figlia. La madre, Lynne, che aveva appoggiato la tutela all'inizio, di recente era apparsa più vicina alla figlia e aveva condannato l'ex marito per aver ridotto il rapporto con Britney a «odio e paura. Britney però non ha accolto il riavvicinamento e anzi ha commentato: «Che Iddio abbia pietà dei miei genitori se mai concederò un'intervista».
Vincenzo Nasto per music.fanpage.it il 4 novembre 2021. "L'animale più pericoloso del mondo è una donna silenziosa e sorridente". Si apre così il post pubblicato da Britney Spears lo scorso 2 novembre e cancellato dopo poche ore, un messaggio non più criptico nei confronti della madre, accusata pubblicamente per la prima volta. Sembra stravolgere la narrazione completa della sua conservatorship il nuovo racconto di Britney Spears, che per la prima volta accusa sua madre Lynne Spears di averle rovinato la vita: "Mio padre potrebbe avere anche iniziato la conservatorship 13 anni fa, ma quello che la gente non sa è che è stata mia madre a dargli l'idea in origine. Non riavrò mai indietro quegli anni, mi ha segretamente rovinato la vita". La cantante ha anche alluso all'intelligenza del padre Jamie Spears, affermando che non sarebbe stato così intelligente da pensare a una manovra di controllo del genere sulla figlia, quindi consigliata da una donna carismatica come la madre Lynne.
L'accusa alla madre e la felice libertà dopo 13 anni
Un post pubblicato lo scorso 2 novembre e poi rimosso dopo alcune ore sembra aver gettato ancora più ombre su una delle questioni legali legate alla musica più importanti degli ultimi 12 mesi: la conservatorship di Britney Spears. Su Instagram la popstar ha pubblicato un messaggio in cui per la prima volta accusa la madre, Lynne Spears, di essere il capro espiatorio dietro i 13 anni di controllo psicologico, legale ed economico sofferto dalla cantante: "L'animale più pericoloso del mondo è una donna silenziosa e sorridente". Il messaggio che allude alla figura della madre viene confermato subito nella descrizione, dove Britney Spears scrive: "Mio padre potrebbe avere anche iniziato la conservatorship 13 anni fa, ma quello che la gente non sa è che è stata mia madre a dargli l'idea in origine. Non riavrò mai indietro quegli anni, mi ha segretamente rovinato la vita". La cantante ha continuato alludendo all'intelligenza del padre Jamie Spears, secondo lei non in grado di comprendere le potenzialità di un controllo durato negli ultimi 13 anni, quindi una mera figura transitoria tra la volontà della madre e l'obbedienza della figlia: "Sai esattamente cosa hai fatto. Mio padre non è abbastanza intelligente da architettare una tutela, ma stasera sorriderò sapendo di avere una nuova vita davanti a me".
La richiesta per le spese legali e la condizione di demenza di Britney
Lynne Spears, nei mesi scorsi, aveva espresso dubbi sull'annullamento della conservatorship e sulla salute mentale della figlia, consigliando più volte alla sua intera famiglia di sottoporre Britney a controlli approfonditi da parte dei medici, prima di lasciarla andare definitivamente. Un dettaglio che non era sfuggito era anche la richiesta da parte della madre del pagamento della sua tutela legale da parte della figlia: Lynne Spears infatti aveva chiesto a Britney di risarcire le spese legali avute nell'ultimo anno, una cifra attorno ai 650mila dollari, per colpa dell'offensiva legale degli avvocati della cantante. Una scelta che aveva fatto storcere il naso a molti, e che aveva aperto dopo la pubblicazione del post, un mondo di supposizioni. Negli anni passati, uno dei motivi per cui la conservatorship non era stata negata al padre Jamie Spears, è stata anche la firma della madre sulla condizione di demenza di Britney, un atto legale siglato da entrambi i genitori.
Alessandra Baldini per ANSA il 30 settembre 2021. Britney Spears è finalmente libera dal giogo della tutela legale che da 13 anni aveva assoggettato ogni sua minima azione al ferreo controllo del padre Jamie. Al termine di una attesissima udienza presso la Superior Court di Los Angeles, la giudice Brenda Penny ha deciso la sospensione immediata di Jamie dal ruolo di tutore esattamente come richiesto dall'avvocato della popstar Matthew Rosengart. La decisione segna una vittoria per la cantante e un primo passo verso la revoca di un istituto legale usato di solito per persone molto anziane e in ogni caso non in grado di intendere e di volere. Molti gli interessi in gioco, visto l'ammontare della fortuna di Britney, valutata a 60 milioni di dollari, e il potenziale della 39enne principessa del pop di regalare ai suoi fan nuovi successi. Negli ultimi mesi Britney si era rifiutata di tornare sul palcoscenico: non avrebbe più cantato - aveva detto - fintanto che il padre fosse rimasto a esercitare il suo ruolo di tutore. Al posto di Jamie, la Penny ha nominato il revisore dei conti John Zabel come controllore temporaneo dei beni di Britney. La popstar non ha partecipato personalmente all'udienza. Jamie Spears aveva chiesto la revoca complessiva dell'istituto della "custodianship" a cui Britney è assoggettata dal 2008 dopo che due clamorosi crolli mentali nei giorni del divorzio da Kevin Federline erano finiti in pasto alle tv. Rosengart si era opposto, affermando che in questo modo il padre non avrebbe dovuto rispondere di tutti gli abusi che ha fatto subire alla figlia "non solo negli ultimi 13 anni, ma fin da quando era bambina". L'avvocato non ha moderato i termini: ha definito Jamie "un uomo crudele, tossico e violento". Britney "lo vuole fuori dalla sua vita oggi stesso e merita di svegliarsi domani sapendo che suo padre non è più il suo tutore". Un'altra udienza verrà fissata, probabilmente prima della fine dell'anno, per valutare se cancellare la "custodianship", ma la decisione di oggi significa che tutti i documenti relativi alla gestione di Jamie passano nelle mani del suo successore. Al settimo cielo il "popolo di Britney": i fan del movimento #FreeBritney erano tornati oggi in piazza da Londra a Los Angeles per chiedere ancora una volta la liberazione della loro "principessa".
Da “liberoquotidiano.it” il 26 settembre 2021. Nuova tappa della faida familiare tra Britney Spears e Jamie Spears, padre e dal 2008 tutore legale della popstar americana. La quasi quarantenne interprete di Baby one more time e Toxic da anni è in lotta con l'uomo per riconquistare la propria indipendenza economica e ora lo accusa di spiarla "anche in camera da letto". Secondo quanto emerso da Controlling Britney, documentario del New York Times, Jamie Spears avrebbe speso centinaia di migliaia di dollari in detective privati per sorvegliare la figlia e intercettarla attraversio "cimici" piazzate in ogni stanza della casa. Gli investigatori avrebbero avuto accesso alle conversazioni più intime della cantante. "Jamie sembrava particolarmente ossessionato dai boyfriend di Britney", conferma Alex Vlasov, un dipendente dell’agenzia di sicurezza Black Box che ha dato accesso al New York Times a email, sms e registrazioni audio. "E’ stato fatto tutto nei parametri dell’autorità conferitagli dall’istituto della tutela e con il consenso di Britney, il suo avvocato e/o della corte", si difende papà Spears attraverso i suoi legali. "Siamo particolarmente orgogliosi perché il nostro lavoro ha tenuto Britney al sicuro per molti anni", è la tesi della stessa Black Box. Il colosso della sicurezza fondato dall'israeliano Edan Yemini, che "protegge" anche altre star come i Kardashian, Miley Cyrus e Lana Del Rey, in passato era stato accusato di aver clonato l'iphone di Britney inviando al padre la copia di tutte le comunicazioni in voce e testo, cronologia di navigazione su interne, foto e video, anche i più privati e compromettenti. "Yemini diceva che dovevamo farlo per proteggerla da cattive influenze - sostiene Vlasov nel documentario - ma Jamie monitorava gli sms con la madre, i boyfriend, gli amici più intimi e perfino l’avvocato".
Da "rollingstone.it" l'8 settembre 2021. Il padre di Britney Spears, James “Jamie” Spears , ha presentato non solo la richiesta formale di recedere dal ruolo di tutore della figlia, ma ha anche detto ufficialmente che giacché la figlia lo desidera la conservatorship deve essere eliminata. Lo riporta la CNN. È un passaggio fondamentale nella strada che sta portando la pop star alla vittoria nella sua battaglia legale. Nei documenti che Jamie Spears ha depositato ieri presso la Los Angeles Superior Court si legge: «Ms. Spears ha espresso di fronte a questa Corte la volontà di riacquistare il controllo della sua vita senza la rete di sicurezza della conservatorship. Vuole essere messa nelle condizioni di prendere autonomamente decisioni circa le cure mediche, decidendo quando, dove e come curarsi. Vuole inoltre riacquisire il controllo delle sue finanze e avere la facoltà di spendere i soldi guadagnati col suo lavoro senza alcuna forma di supervisione. Vuole avere la possibilità di sposarsi e avere un figlio. In buona sostanza, desidera vivere la vita che vuole senza la supervisione di un tutore, né procedimenti legali». «James Spears ha più volte ripetuto che vuole il meglio per la figlia. Se lei desidera porre fine alla tutela e pensa di poter gestire autonomamente la propria vita, l’opinione di Mr. Spears è che debba esserle concessa questa possibilità». L’amministrazione di sostegno alla pop star è iniziata nel 2008. Da quando a fine giugno Britney ha fatto un discorso dirompente collegata col tribunale, dicendo chiaramente che vuole riprendersi in mano la vita e raccontando dettagli agghiaccianti, la conservatorship si è via via indebolita, con le dimissioni di vari soggetti coinvolti e, il mese scorso, la richiesta del padre di non occuparsene più (qui la cronistoria fino a luglio). Ora che anche Jamie Spears dice che la figlia può fare a meno del tutto della tutela, l’obiettivo #FreeBritney è ancora più vicino. La prossima udienza è prevista il 29 settembre.
Flavio Pompetti per “il Messaggero” il 14 agosto 2021. Britney Spears sarà libera. La data non è stata ancora annunciata, ma il padre Jamie al termine di una lunga battaglia in tribunale, e di un processo mediatico ancora più straziante, ha finalmente deciso che rinuncerà alla custodia legale che aveva ottenuto 13 anni fa. La promessa è in un documento consegnato dai legali del genitore al giudice che solo un mese e mezzo fa aveva rifiutato di accogliere una simile richiesta da parte dell'artista. La mozione è vaga. Annuncia che James Spears si farà da parte «al momento giusto», scadenza difficile da interpretare per l'artista che è stata privata per un terzo della sua vita della capacità di prendere decisioni, da quelle che riguardano la sfera personale a quella del lavoro. È la seconda parte del paragrafo, quello che recita: «la transizione dovrà essere ordinata, e includere la risoluzione delle questioni pendenti davanti alla corte», a chiarire cosa c'è davvero in ballo. Britney ha accusato il padre di aver approfittato della carica legale per mettersi in tasca soldi che non gli appartenevano, e James a questo punto vuole negoziare una sua uscita di scena con una sanatoria che lo libererà da future azioni legali. Britney è entrata in regime di custodia nel 2008, al termine di un paio di anni difficili nei quali aveva alternato matrimoni e gravidanze a ricoveri per la disintossicazione da droghe, e due internamenti in ospedali psichiatrici. È difficile valutare le decisioni del tribunale visto che tutti i faldoni del procedimento sono criptati. Si può solo notare che una misura così limitativa della libertà individuale, e che normalmente viene concessa solo nel caso di persone anziane e incapaci di amministrare il proprio patrimonio, è stata comminata ad una giovane professionista che, a parte i periodi di latitanza dalla scena pubblica, ha continuato a macinare profitti al ritmo di una miniera d'oro. Cento milioni sono i dischi venduti durante la carriera, sei i piazzamenti al vertice del Billboard; 1,5 miliardi il fatturato delle sole vendite di profumo nella linea a lei dedicata della Elizabeth Arden. James dice che al momento in cui ha preso il timone, le casse di Britney erano in passivo, e che è merito suo se oggi la figlia può contare su un patrimonio di 60 milioni di dollari. Per gli ultimi tredici anni Britney è stata separata dai suoi soldi e li ha ricevuti solo dalla mano del padre. Allo stesso tempo è stata separata dal contatto continuo con i suoi due figli, entrambi assegnati da un altro tribunale alla cura del secondo marito, il ballerino Kevin Federline. La musicista ha sicuramente contribuito a questo regime di libertà vigilata con una serie di eccessi pericolosi per la sua salute e quella dei bambini, ma è stata anche vittima dell'attenzione ossessiva di paparazzi e giornali che l'hanno seguita con un assedio totale e asfissiante. Britney ha raccontato al giudice due mesi fa che la custodia è stata una camicia di forza che l'ha costretta a diventare una schiava delle decisioni di suo padre. Turni di lavoro estenuanti sui palchi di Las Vegas e contratti vincolanti da rispettare, in cambio di una libertà vigilata nella vita privata. Dalla sua parte si sono schierate decine di colleghe e un milione di fan che hanno aderito all'hashtag: #FreeBritney, e oggi sono le stesse personalità a farsi avanti per rallegrarsi della libertà all'orizzonte. «Non potrei essere più felice per lei, nemmeno se fossi sua sorella gemella» le manda a dire la cantante-attrice Cher; «Un passo più vicino alla libertà. Ha tutto il mio affetto» ha scritto Paris Hilton.
R. S. per "il Messaggero" il 19 luglio 2021. La popstar americana Britney Spears, 39 anni, fa sapere che non si esibirà più finché suo padre Jamie manterrà il controllo sulla sua carriera nell'ambito della tutela attribuitagli dai giudici nel 2008. «Questa disposizione ha ucciso i miei sogni», ha detto ieri in un lungo post su Instagram, «quindi tutto ciò che ho è la speranza». La popstar vuole porre fine all'accordo, definendolo «abusante». Il provvedimento fu preso dopo che suo padre, Jamie Spears, presentò una petizione al tribunale di Los Angeles per ottenere la tutela legale sulla cantante, preoccupato per la sua salute mentale. «Non mi esibirò su nessun palco finché mio padre controllerà ciò che indosso, dico, faccio o penso», ha aggiunto la cantante, che non si esibisce in pubblico dalla fine del 2018. Nel messaggio, Spears dice anche che «non le è piaciuto il modo in cui i documentari sulla sua vita riportano alla luce momenti umilianti del passato». Gli stessi documentari, però (Framing Britney Spears, nominato per due Emmy Awards), e il movimento #FreeBritney hanno attirato enorme attenzione sulla tutela paterna e accresciuto il sostegno pubblico alla cantante.
(ANSA l'1 luglio 2021) - La richiesta di Britney Spears di rimuoverla dalla tutela legale del padre-padrone è stata respinta ancora. E' quanto emerge da alcuni documenti depositati presso il tribunale di Los Angeles e riportati dai media americani. La bocciatura della sua richiesta non è in risposta al 'j'accuse' della cantante della scorsa settimana, quando nell'ultima udienza ha rilasciato una dichiarazione shock in tribunale. Una dichiarazione sulla quale il giudice non può esprimersi direttamente a meno che non venga presentato un appello formale per mettere fine alla tutela del padre. I documenti, riportano i media americani, hanno come obiettivo quello di approvare la società Bessemer Trust come 'co-conservator', ovvero affiancare il padre della star nella tutela legale, ma sono stati anche l'occasione per il giudice di ribadire che non intende rimuovere il padre della cantante dalla tutela.
Da "tgcom24.mediaset.it" il 7 luglio 2021. Samuel Ingham III, il legale di Britney Spears ha chiesto di dimettersi. L'avvocato rappresenta la star sin dal 2008, da quando è sotto la tutela del padre Jamie, ma dopo l'ultima deposizione della sua assistita ha chiesto di poter lasciare l'incarico. La richiesta di dimissioni segue il passo indietro del manager Larry Rudolph, che avrebbe già lasciato il suo incarico. Nella sua ultima deposizione in tribunale, la Spears aveva spiegato che Ingham le aveva sconsigliato di parlare direttamente. Secondo indiscrezioni di amici e collaboratori, però, il legale sarebbe più vicino agli interessi del padre che a Britney, tanto da informarlo su ogni movimento della popstar. A preoccupare i due membri dell'entourage è stata anche l'inchiesta di "The Newyorker". I giornalisti Ronan Farrow e Jia Tolentino hanno infatti raccontato di una telefonata fatta dalla Spears al 911 il giorno prima del processo, per denunciare abusi nella sua tutela legale. A quel punto i "membri del suo team legale cominciarono a scambiarsi frenetici sms, preoccupati da cosa avrebbe potuto dire la Spears" in tribunale e prepararsi quindi al peggio.
Da open.online.it il 16 luglio 2021. La saga giudiziaria continua: con la voce a tratti rotta dall’emozione e forte di un nuovo avvocato, Britney Spears, da 13 anni sotto la tutela legale del padre, è tornata a parlare davanti alla Superior Court di Los Angeles chiedendo di essere liberata dalla «prigione dorata» che le impedisce di condurre una vita autonoma. «Voglio far causa a mio padre per abusi nella tutela», ha detto la popstar parlando per telefono, a volte interrotta dalle lacrime: «Voglio denunciarlo oggi. Voglio un’inchiesta su di lui». E sempre rivolgendosi alla giudice Brenda Penny che sta esaminando il caso, Spears ha detto di aver avuto spesso paura che i suoi tutori stessero cercando di ucciderla obbligandola ad assumere farmaci: «Se questo non è abuso, non so cos’altro possa esserlo». A poche ore dalla prima udienza, dopo quella del 23 giugno in cui è intervenuta tramite la voce, importanti sostegni legali erano arrivati in aiuto di Spears: la cantante «merita più autonomia» e ha il diritto di scegliere il suo avvocato, aveva dichiarato alla Superior Court di Los Angeles l’associazione libertaria American Civil Liberties Union.
«Con un nuovo avvocato che mi rappresenta veramente oggi mi sento grata» Era la seconda volta che Spears parlava direttamente alla Corte da quando nel 2008 è stata messa sotto tutela dopo due importanti e pubblici episodi di crollo mentale: finita l’udienza, la cantante ha ringraziato i fan su Instagram adottando per la prima volta l’hashtag #FreeBritney attorno al quale si sono radunati i suoi numerosi fan, alcuni famosi come Miley Cyrus e Ariana Grande. «Stiamo facendo progressi», ha aggiunto, corredando il messaggio con l’emoji del dito medio: «Con un nuovo avvocato che mi rappresenta veramente oggi mi sento grata e benedetta». L’avvocato in questione è Mathew Rosengart, un ex procuratore che ha difeso i diritti di star come Sean Penn e Keanu Reeves e che ha preso il posto di Samuel Ingham III, il legale assegnato 13 anni fa alla popstar dalla Corte che di fatto ha assecondato più i voleri del «padre-padrone» Jamie Spears che quelli della sua cliente. Dopo l’ok della giudice Brenda Penny, Rosengart ha chiesto a Jamie di farsi da parte. «Deve essere rimosso come tutore: ci muoveremo rapidamente e aggressivamente. La domanda è, ‘perché è coinvolto?’ Se ama sua figlia dovrebbe rinunciare volontariamente». Il cambio della guardia nella difesa della Spears non è cosa da poco: l’istituto della custodianship, che di fatto rende chi ne è soggetto incapace di intendere e di volere, non aveva finora permesso a Britney di scegliere personalmente un suo avvocato e il nulla osta della giudice Penny alla richiesta lascia intravedere per la pop star la luce alla fine del tunnel. A sostegno della richiesta si erano mobilitati ieri i libertari dell’American Civil Liberties Union. Si era schierato con Britney anche Elon Musk: il Ceo di Tesla e Space X aveva condiviso con quasi 60 milioni di seguaci Twitter il motto #FreeBritney.
Dal Ilfattoquotidiano.it il 29 giugno 2021. «Sono orgogliosa che Britney usi la sua voce». Era ora che Jamie Lynn, la sorella della popstar interprete di “Oops! I did it again”, tornasse a dire la sua. Dalle ultime parole dell’attrice 30enne e cantante country sul controllo paterno della sorella, sono passati anni. Ed ora, dopo che Britney nell’udienza virtuale sulla “conservatorship” ha spiegato che di quel padre padrone non ne può più, anche Jamie Lynn si accoda felice al rinnovato entusiasmo per quella che potrebbe essere una svolta radicale nel caso della tutela della cantante. «Ho sempre amato e supportato mia sorella e se non ho parlato prima è perché pensavo fosse giusto non farlo finché non lo avesse fatto lei, finché non avesse deciso di dire ciò che pensava fosse giusto», ha dichiarato Jamie Lynn dopo che parecchi fan della sorella avevano storto il naso di fronte all’ennesimo prolungamento del suo silenzio pubblico. «Sono orgogliosa che abbia deciso di usare la sua voce, orgogliosa che abbia chiesto di cancellare la conservatorship come le avevo consigliato di fare anni fa. Non pubblicamente, ma in una conversazione privata tra sorelle. Non devo nulla al pubblico, mia sorella è l’unica persona cui devo qualcosa». L’occasione di una rinnovata esposizione in pubblico ha permesso alla Spears meno nota, ma con la propria vita dedicata in maniera identica al canto e alla recitazione, di levarsi qualche sassolino dalla scarpa contro i suoi critici che l’avevano accusata di aver strumentalizzato lo scandalo della conservatorship per ricavarne uno suo vantaggio economico: «Pago i miei dannati conti da quando avevo dieci anni». Infine Jamie Lynn ha spiegato che il supporto e la vicinanza con la sorella è nato ben prima degli hashtag sui social: «Non ho nulla da guadagnare o da perdere. Non sono la mia famiglia, parlo per me stessa. Se vorrà mettere fine alla tutela e volare su Marte, avere un bambino in mezzo al nulla o tornare a dominare il mondo, la sosterrò. Perché è mia sorella. La amo, l’ho sempre amata e la amerò sempre».
Jessica d'Ercole per “La Verità” il 26 giugno 2021. «Per me bambino, tutto quello che mi ingiungevi era senz'altro un comandamento dal cielo, non l'ho mai dimenticato, diveniva il metro determinante per giudicare il mondo. Non era permesso rosicchiare le ossa, ma tu lo facevi. Non era permesso assaggiare l'aceto, ma tu potevi. A tavola si doveva solo mangiare, ma tu ti pulivi e ti tagliavi le unghie, facevi la punta alle matite; tu, l'uomo che ai miei occhi rappresentava la massima autorità, non ti attenevi alle ingiunzioni che mi avevi imposto», scriveva Franz Kafka in Lettera al padre, aggiungendo con sarcasmo: «Se al mondo ci fossimo stati solo noi due [], la purezza del mondo sarebbe finita con te, e con me sarebbe cominciata la sporcizia». Onorare il padre e la madre non è facile per tutti. Come scriveva Lev Tolstoj in Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». Per cui ci sono figli che rinnegano i genitori perché da loro si sono sentiti non amati, traditi o addirittura sfruttati. Jackie Coogan, il monello che accompagnava nell'omonimo film del 1921 Charlie Chaplin, i suoi li portò in tribunale perché sperperarono i 4 milioni che lui guadagnò principalmente grazie a quella pellicola. Dopo una causa infinita Coogan riuscì a ottenere solo 126.000 di quei dollari ma, in California, il suo nome venne dato a una legge, il Coogan act, una norma a tutela dei guadagni degli attori bambini. Peggio andò a Gary Coleman che vide i genitori adottivi, in combutta con il suo manager, dilapidare tutti i suoi compensi. Solo per Il mio amico Arnold prendeva 100.000 dollari a episodio. Adottata fu anche Christina Crawford che aveva un pessimo rapporto con la madre Joan. Nel suo memorabile libro Mammina cara - divenuto poi un film con Farrah Fawcett - la giovane Crawford descrive la famosa attrice come una mamma, violenta e alcolizzata, interessata più alla sua fama che ai propri figli. Sostiene di non essere stata adottata per amore, ma per una trovata pubblicitaria: «Una volta tentò di strangolarmi». Dopo la pubblicazione le due non solo non si parlavano più ma Joan ha escluso lei e suo fratello dal testamento milionario. Odiava suo padre Danny Quinn, settimo figlio di Anthony, secondo della costumista italiana Jolanda Addolori. Nel 1997 dichiarò: «È un mostro. Sì, per anni l'ho odiato, sognavo di ammazzarlo, di spaccargli una grossa pietra in testa, di dargli fuoco». E poi: «Non parlo con mio padre da tre anni esatti. Ho troncato ogni rapporto, siamo due persone completamente diverse, con due strade diverse. Non c'è nessuna speranza di dialogo né di nient' altro tra noi due», ha ripetuto poco prima del 2001, anno della morte di Anthony Quinn. Non onora il padre pure Angelina Jolie, figlia di Jon Voight. I due non si sono parlati per 10 anni dopo la morte della mamma, Marcheline Bertrand, scomparsa nel 2007. Poi dopo una lunga terapia la Jolie decise di perdonarlo per amore dei suoi figli: «Hanno bisogno di conoscere il nonno», salvo poi ricredersi e continuare a litigare con il padre via social. Come lei suo figlio Maddox ha rinnegato il padre Brad Pitt, e, sempre come lei, ora vuole cambiare il cognome in Jolie. Infelice fu l'infanzia anche della prima moglie di Brad Pitt, Jennifer Aniston. Nel 1999 con il libro From Mother and Daughter to Friends la figlia si è scagliata contro i genitori: «Erano crudeli e mi hanno sempre fatta sentire una nullità». L'attrice ha puntato il dito contro Nancy Dow, sua madre, solita descrivere nei dettagli ogni suo difetto: «Per mia madre io ero sbagliata in tutto». Si sentiva invece tradita dai suoi, entrambe drogati e alcolizzati, Demi Moore. Nell'autobiografia Inside out racconta che da ragazza fu violentata, e che il molestatore, dopo aver fatto i suoi comodi, le disse: «Come ci si sente a essere fottute per 500 dollari?». La Moore si dice convinta che non ci fu una transizione economica ma che la madre semplicemente gli accordò il corpo della figlia quindicenne: «Fu un tradimento devastante, impossibile da perdonare». Genitori alcolizzati anche per Drew Barrymore: «I miei non sono mai stati lì per me, erano assenti, non riuscivo a gestire i miei problemi». Il padre era sempre ubriaco e la madre, quando non trascorreva le serate di festa in festa, le passava a vendere gli effetti personali della figlia star su Ebay. Così a 12 anni la piccola Barrymore era dipendente da alcol e droghe, a 13 era in un centro di riabilitazione, a 15 in tribunale per chiedere l'emancipazione. Altra star che ha chiesto l'emancipazione è Macaulay Culkin, l'indimenticabile protagonista di Mamma ho perso l'aereo. Sfruttato dai suoi - lo obbligarono a girare 15 film in sette anni - con il solo scopo di mettere le mani sul suo patrimonio da 17 milioni di euro. Il tribunale lo obbligò a restare con la mamma ma i suoi denari furono custoditi dal contabile di famiglia. Quando se ne appropriò però li dilapidò in alcol e droghe e solo dopo dieci anni e un percorso di analisi è tornato al cinema. Ha portato suo padre in tribunale anche Meghan Markle. Alla duchessa del Sussex non è andato giù che lui pubblicasse una lettera di lei sulla stampa britannica. È da allora che i due non si parlano più, lui non è stato invitato né al matrimonio reale né per la nascita di suo nipote. Ma le cose non stanno andando meglio neanche al marito, Harry d'Inghilterra, che a quanto ha dichiarato nelle sue interviste a Oprah Winfrey dopo aver divorziato dalla casa reale, ha inveito contro l'educazione glaciale di corte che a suo dire gli fu inferta dal padre, il principe Carlo. Crescita anaffettiva anche per lo scrittore Michele Mari, figlio del grande designer Enzo Mari, che per tutta la vita ha avuto un rapporto difficile con un padre «spartano, intransigente, drastico, dogmatico. Un carattere impossibile, incapace di dialogare. Se volevo sopravvivere dovevo nascondermi in me stesso []. Da piccolo sognavo che si aprissero delle botole che lo inghiottivano. Era il sogno di un bambino angosciato», senza però mai rinnegarlo davvero: «Credo però di averlo anche amato molto, con un sentimento per me irrisolto». Freddo e impassibile nei confronti dei figli era Joe Jackson, papà di Michael: «Un padre attento, più di ogni altra cosa, al nostro successo commerciale». Ma da piccolo il re del pop voleva solo un papà che gli dimostrasse amore, «e mio padre non l'ha mai fatto. Non mi ha mai detto ti voglio bene guardandomi negli occhi, non ha mai giocato con me. Non mi ha mai portato a cavalcioni, non mi ha mai buttato un cuscino o un palloncino d'acqua». Per anni il rapporto fra i due fu impossibile ma alla fine Michael lo perdonò: «Col tempo, l'amarezza ha lasciato il posto alla grazia. Più che rabbia, sento assoluzione, più che una rivincita voglio riconciliazione. E la rabbia iniziale ha lasciato il posto al perdono». Ed è proprio questo, secondo papa Francesco, lo spirito del quarto comandamento. Onorare il padre e la madre anche se questi non sono perfetti perché dice il Pontefice: «Può essere facile, spesso, capire se qualcuno è cresciuto in un ambiente sano ed equilibrato. Ma altrettanto percepire se una persona viene da esperienze di abbandono o di violenza. La nostra infanzia è un po' come un inchiostro indelebile, si esprime nei gusti, nei modi di essere, anche se alcuni tentano di nascondere le ferite delle proprie origini. Ma la Quarta Parola dice ancora di più. Non parla della bontà dei genitori, non richiede che i padri e le madri siano perfetti. Parla di un atto dei figli, a prescindere dai meriti dei genitori, e dice una cosa straordinaria e liberante: anche se non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene, tutti i figli possono essere felici, perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo».
Luca Dondoni per "la Stampa" il 25 giugno 2021. Il movimento #Free Britney aveva ragione. Da anni la superstar del pop Britney Spears, fin da piccola spinta a far provini su provini da un padre il cui unico scopo era farla diventare una stella dello spettacolo, ha subito vessazioni, costrizioni, pressioni psicologiche insopportabili sfocate in un esaurimento nervoso che l'ha portata vicina a una fine prematura. Purtroppo lo stress da lavoro, il successo raggiunto sin da giovane e la fama mondiale sono stati il detonatore che ha fatto esplodere la tenuta psicofisica di Britney. I comportamenti ritenuti «fuori dalle righe» come l'ammettere pubblicamente l'uso di metadone, i festini a base di alcol e droghe con le amiche Lindsay Lohan e Paris Hilton, le fughe dai rehab dove veniva mandata per disintossicarsi, fino al famoso taglio dei capelli a zero immortalato dai paparazzi hanno quasi convinto l'opinione pubblica: la donna era fuori controllo. È così nel 2008 (prima non se ne era quasi interessato) il padre, Jamie Spears, dicendo di voler tutelare la figlia ha ottenuto la custodia legale di Britney impedendole di usare il suo conto in banca e non solo. Cosa ancor più grave, secondo quanto si è appreso ieri dalla stessa Spears, il genitore le avrebbe impedito di avere altri figli (oltre a Sean Preston e Jayden, oggi adolescenti, avuti dall'ex marito Kevin Federline) cercando addirittura di ipnotizzarla. I fan, a milioni nel mondo, venuti a conoscenza della situazione hanno usato il potere dei social per far partire il movimento #FreeBritney e il caso è tornato prepotentemente davanti ai riflettori tanto che Justin Timberlake, Mariah Carey, Cher, Halsey, Piers Morgan, BeBe Rexha, Miley Cyrus, Sarah Jessica Parker, oltre a tante altre celebrità, si sono schierati a favore. Ieri la pop star ha parlato al telefono con la giudice della Superior Court di Los Angeles Brenda Penny per dire la sua, rifiutandosi di sottoporsi ad altre perizie psichiatriche. Una mossa che ha catturato l'attenzione di tutti i media. Dalla CNN alla CBS, dal New York Times al Washington Post i maggiori media Usa hanno dato un enorme spazio alla notizia, interesse per un personaggio dello spettacolo che non si vedeva dal famoso processo a Michael Jackson per le accuse di pedofilia. «Voglio sposarmi e avere un bambino - ha detto la Spears -. In questa corte dico che ho espresso il desiderio di farmi togliere la spirale e avere un bambino ma i miei tutori non me lo fanno fare». La giudice Penny ha ringraziato la Spears, lodando il suo coraggio per aver voluto parlare di persona davanti alla corte e ammettere questioni così delicate. «Questa tutela mi sta facendo molto più male che bene - ha aggiunto la Spears -. Non sono felice, non riesco a dormire. Sono così arrabbiata e piango ogni giorno». Il New York Times ha pubblicato documenti legali da cui emerge l'insofferenza della trentanovenne diva delle classifiche per il rigido sistema di controllo esercitato dal padre Jamie su ogni aspetto della sua vita. «Decideva lui anche il colore degli armadietti della mia cucina» ha confessato la star. Da notare che mentre Britney guadagnava milioni di dollari con i concerti a Las Vegas, Jamie le autorizzava una «mancia» di soli duemila dollari a settimana chiedendo di verificare ogni minima spesa. Sempre il NYT ha scritto che Britney non ha mai chiesto formalmente finora di revocare la «custodianship» esercitata dal padre, ma si ricorda che nel 2014 aveva pubblicamente espresso il suo malessere per l'istituto legale usato di solito per anziani e persone non più in grado di intendere e di volere. «Britney ha spiegato che la "conservatorship" è ormai diventata uno strumento oppressivo contro di lei. Un sistema che ha troppo controllo su tutta la sua vita - aveva riferito un investigatore della corte in un rapporto del 2016 -. «Non vuole più essere sfruttata. Lei lavora e guadagna i suoi soldi (quattro album da quando è partita la custodia, ndr) ma deve pagare per tutti quelli che la circondano». Britney aveva già parlato di questo problema in tribunale nel maggio 2019, ma a porte chiuse, informando che il padre l'aveva costretta a salire su un palco contro la sua volontà e una febbre a 40. Ora la partita è aperta e nei prossimi giorni sapremo se Britney potrà tornare finalmente libera.
Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 14 febbraio 2021. L'ultimo a scusarsi è stato Justin Timberlake. «Sono dispiaciuto per i momenti in cui ho contribuito al problema. So di non essere stato all'altezza». Il messaggio (più lungo, su Instagram) è rivolto a Britney Spears, sua fidanzata tra il 1998 e il 2002, e sul cui conto aveva poi rilasciato interviste al vetriolo. Ma prima di lui lo slogan «Sorry, Britney» lo hanno pronunciato Courtney Love, Bette Midler, Chiara Ferragni, Sarah Jessica Parker; giornali femminili come Glamour e quotidiani come il New York Times hanno pubblicato lo stesso messaggio. Ci dispiace, Britney. Britney Spears, oggi 39 anni e due figli, non è finanziariamente autonoma dal 2008: dopo mesi di crolli nervosi - il cui emblema è lei che con sguardo impazzito si rasò la testa di fronte a 70 paparazzi - le sue sostanze erano state affidate al padre Jamie. Una fortuna di 60 milioni di dollari: ma per comprare un gelato, l'ex teenager di Baby One More Time deve ancora chiedere il permesso a lui. Ora un documentario prodotto dal New York Times ricostruisce la sua vicenda legale. Si intitola Framing Britney Spears , e il verbo «to frame» vale sia «inquadrare» sia «incastrare, fregare». Le fonti interpellate sono autorevoli: il suo primo legale, vecchi agenti, amici di famiglia. Ed è questa ricostruzione - in cui spiccano le impietose interviste rilasciate da Timberlake - che ha convinto molte celebrity a dire «Scusaci, Britney». Sottinteso, per aver giudicato quella testa rasata. Framing Britney Spears è online da una settimana, e forse non è un caso che la più recente udienza sulla gestione del patrimonio, celebrata giovedì a Los Angeles, abbia visto per la prima volta respinte alcune istanze del padre Jamie. Che per ruolo e carattere ricorda un altro avido padre-padrone, quello di Amy Winehouse. La stessa Britney Spears non ha mai opposto resistenza a che il controllo sui suoi beni le fosse sottratto: ma da subito aveva chiesto che il tutore non fosse lui. Il giudice non la ascoltò: da allora Jamie Spears percepisce 130 mila dollari l'anno per gestire le ricchezze della figlia. Nel 2019, per problemi di salute, fu affiancato dalla curatrice professionale Jodi Montgomery; ad agosto scorso, per la prima volta, la cantante ha chiesto che lui sia estromesso dalla custodia, e che ci resti soltanto lei. Ma la strada verso l'autonomia è lunga. E non sembra che Britney scalpiti. Dal 2008 a oggi, ad esempio, non ha mai chiesto di poter gestire da sola i suoi soldi. Anzi, per anni ha ignorato i fan che promuovevano l'hashtag #freeBritney: solo di recente la sua avvocata li ha ringraziati «per il loro informato supporto, che la mia assistita apprezza». Giovedì Britney ha risposto a modo suo alla sollevazione di star e giornali. Per i 56 milioni di seguaci che ha su Twitter (su Instagram ne ha altri 28 milioni) ha pubblicato un video della sua hit Toxic , eseguita dal vivo nel 2017. Da tre anni non fa un concerto - non ne farà, ha detto, finché il padre è suo tutore - e si esibisce solo in brevi balletti su Instagram, ombelico fuori e sguardo non sempre lucido. «Amerò sempre il palco», ha twittato. «Ma mi sto prendendo tempo per imparare a essere una persona normale». Forse oggi siamo più pronti ad accettare che lo è.
Claudia Casiraghi per "vanityfair.it" l'11 febbraio 2021. L’unico riferimento diretto a Jamie Spears, padre della più nota Britney, è arrivato da Sam Asghari, compagno della cantante. «È importante sapere che non nutro alcun rispetto per chiunque cerchi di controllare, costantemente, la nostra relazione, buttando ostacoli sulla nostra strada. Per quel che mi riguarda, Jamie è un coglione. Non entrerò nei dettagli, perché ho a cuore la nostra privacy, ma allo stesso tempo non sono venuto in questo Paese perché mi sia vietato esprimere la mia opinione e la mia libertà», ha scritto il modello iraniano, alle cui parole Britney Spears ha fatto seguire le proprie, più criptiche. «Non posso credere che questa performance di Toxic risalga a tre anni fa. Ho sempre amato stare sul palco, ma ho voluto prendermi del tempo per imparare a essere una persona normale. Adoro godermi le piccole cose del quotidiano», ha scritto su Twitter la cantante, protagonista dallo scorso venerdì del documentario Framing Britney Spears. Nella produzione, voluta dal New York Times, è ripercorsa la storia della cantante, la sua rapida ascesa, il pessimo trattamento che i media le hanno riservato, infine il tracollo e la tutela legale del padre, Jamie Spears. È stato in seguito alla decisione del tribunale, di permettere al padre di controllare ogni aspetto del suo privato, che la popstar ha deciso di non esibirsi. Non più. Ma questo, online, lo ha taciuto. «Ogni persona ha una propria storia e una propria prospettiva sulle storie altrui. Abbiamo tutti delle meravigliose e diverse vite», si è limitata a scrivere su Twitter, «Ricordate, non è importante quel che crediamo di sapere sull’esistenza degli altri. La nostra presunta conoscenza è niente se comparata a quello che una persona sta vivendo davvero».
Da corrieredellosport.it il 23 novembre 2020. Le condizioni di Britney Spears creano sempre più preoccupazioni. Secondo quanto riporta Tmz, l'avvocato della cantante, Sam Ingham, avrebbe dato delle indicazioni piuttosto inquietanti sulla situazione dell'assistita che in questi anni sta combattendo una battaglia legale per separarsi dalla tutela legale del padre. "Ingham ha dichiarato la sua assistita incapace di firmare una dichiarazione giurata d’intenti. Il legale, durante un’udienza per la nomina di un nuovo tutore, ha paragonato le facoltà mentali di Britney a quelle di un paziente in coma, che vista la situazione fa parlare al suo posto un avvocato". Sono queste le parole del legale di Britney che dal 2008 è sotto tutela del padre Jamie che, grazie alla pratica del conservatorship, ha cercato di salvaguardare il patrimonio della figlia.
· Bruce Springsteen.
Arianna Ascione per "corriere.it" l'11 febbraio 2021. La notizia dell’arresto di Bruce Springsteen per guida in stato di ebbrezza nel New Jersey, diffusa ieri da TMZ (che ha citato «fonti delle forze dell’ordine») e confermata in seguito da un portavoce del National Park Service, ha lasciato di stucco i suoi fan. Oltre al fermo in sé - il Boss si è sempre tenuto lontano dagli eccessi tipici di molti altri suoi colleghi - sono stati i dettagli emersi nel corso delle ore ad instillare qualche dubbio: una fonte vicina al caso ha segnalato al giornale della città natale dell’artista, l’Asbury Park Press, che il contenuto di alcol presente nel sangue del cantautore era soltanto 0.02 ovvero un quarto del limite legale del New Jersey (la soglia è 0.08). Inoltre in molti, in rete e sui social, si chiedono come mai il popolare sito americano di gossip e intrattenimento abbia rilanciato quanto accaduto soltanto mercoledì, a soli due giorni di distanza dalla messa in onda - durante una pausa del Super Bowl - dello spot con protagonista Springsteen firmato Jeep: l’artista infatti è stato fermato nella Gateway National Recreation Area, situata nella città di Sandy Hook nel New Jersey, il 14 novembre scorso. Intanto, in attesa che venga fatta chiarezza, la casa automobilistica ha fatto sapere di aver ritirato temporaneamente l’annuncio pubblicitario. «Sarebbe inappropriato commentare i dettagli di una questione di cui abbiamo solo letto e che non possiamo confermare. Ma è anche corretto mettere in stand-by lo spot fino a quando non saranno accertati i fatti» ha detto un portavoce di Stellantis, casa madre di Jeep, che ha aggiunto: «Il messaggio di comunità e unità è più attuale che mai come il messaggio che bere e guidare non può mai essere giustificato». Ancora nessun commento da parte dell’artista, che comparirà in tribunale nelle prossime settimane (le accuse sono «guida in stato di ebbrezza, guida spericolata e consumo di alcol in una zona chiusa»).
Bruce Springsteen e la guida in stato di ebbrezza, ritirata l’accusa. Il Corriere della Sera il 25/2/2021. Il procuratore incaricato del caso ha ritirato le le accuse di guida in stato di ebbrezza e guida spericolata contro Bruce Springsteen. La notizia è stata riportata dall’agenzia Ap. Il noto rocker statunitense era stato arrestato a novembre, anche se la vicenda è emersa solo il 10 febbraio. Gli stessi avvocati dello Stato hanno ammesso che il livello di alcol nel sangue dell’artista era così basso da non poter procedere con l’accusa. Springsteen si è dichiarato invece colpevole di un terzo reato: consumo di alcol nella Gateway National Recreation Area, un parco nel New Jersey sottoposto alla vigilanza dei ranger. Bruce Springsteen, difeso dall’avvocato Mitchell Ansell , ha dichiarato di non sapere che è illegale consumare alcolici in quella zona. «Ho bevuto due gocci di tequila» ha ammesso. Il caso è stato affrontato in un tribunale federale perché il parco è considerato terreno federale. Il magistrato americano Anthony Mautone ha inflitto al rocker una multa di 500 dollari, oltre al pagamento delle spese processuali (altri 40 dollari). Springsteen era stato bloccato dai ranger del parco, ma prima dell’arresto non era stato fatto il test dell’etilometro. Uno dei poliziotti ha dichiarato di aver visto il cantautore bere un bicchiere di tequila prima di mettersi alla guida della moto. Secondo il rapporto degli agenti, Springsteen «puzzava di alcol» e «ondeggiava visibilmente», ma quando è stato sottoposto all’etilometro una volta arrivati nella stazioni dei ranger, il livello di alcol nel sangue è risultato nettamente inferiore ai limiti di legge nel New Jersey (0.2 grammi per litro mentre la soglia massima consentita è 0,8). La notizia dell’arresto aveva indotto la casa automobilistica Jeep a sospendere uno spot pubblicitario con Springsteen testimonial.
· Camilla Boniardi: Camihawke.
Teresa Ciabatti per corriere.it il 7 maggio 2021. «Marta mi somiglia, ma non sono io» dice Camilla Boniardi, in arte Camihawke, in merito alla protagonista del suo primo romanzo Per tutto il resto dei miei sbagli (Mondadori). Chi la segue ha difatti pensato di riconoscere in quella ragazza insicura, tormentata dal senso di inadeguatezza, lei. Quella protagonista che nella ricerca del suo posto nel mondo, tentando di essere come gli altri la vogliono, trova sé stessa nell’imperfezione. Certo, tratti in comune Marta e Camilla ne hanno, fosse solo la resa all’inadeguatezza. Da anni Camilla si racconta sui social, in un esercizio di ironia e di sincerità che le ha fatto conquistare un milione e duecentomila follower su Instagram, e l’ha portata a questo libro (primo giorno di preorder: quindicimila copie). E dunque: cos’ha di speciale questa trentenne di Monza, laureata in giurisprudenza, padre chirurgo, madre gastroenterologa? Cosa ha di diverso la ragazza dai lunghi capelli rossi e le lentiggini?
Raccontare la quotidianità sul web. Il fatto di aver capito che la normalità è un valore universale, a differenza dell’ideale che crea distanza e dura poco. Raccontando la quotidianità, Camihawke cambia le regole della comunicazione social. Nella moltitudine di ragazze perfette, lontanissime, lei emerge presentandosi come una delle tante: fallimenti, dubbi, delusioni d’amore, e poi l’amore, quello vero (Aimone), a suo modo anche lui fuori dai canoni Instagram: frontman del gruppo rock underground Fast Animals and Slow Kids (animali veloci e bambini lenti) che già nel nome comprende una parte di umanità, di ragazzi che non sono gli influencer legati a moda e televisione. Comprende quella giovinezza che Camihawke narra/rivendica ogni giorno e lui canta, ecco dove si sono incontrati: sulle parole. Ecco l’origine di questo romanzo, che è racconto esatto di una generazione.
Avere trent’anni per Camilla?
«Arrivarci ha comportato una serie di tentativi a vuoto. Nel romanzo volevo raccontare proprio i tentativi di quel momento di mezzo che sono i vent’anni, l’età in cui non sai ancora cosa puoi diventare».
Cosa voleva diventare lei?
«Mentre le mie amiche avevano le idee chiare, come la Olivia del romanzo, io ero sperduta».
Talenti?
«Nessuno».
Mai sognato di essere attrice, ballerina?
«A otto anni facevo danza, partecipavo al saggio di fine anno».
Posizionamento sul palco?
«Seconda fila, a sinistra. Molto a sinistra».
Ingiustizia?
«La mia fila rispecchiava il mio status. Non la percepivo come una punizione».
Che bambina è stata?
«Responsabile, col bisogno di essere all’altezza dei desideri degli altri».
Concessioni alla fantasia?
«Non avevo amici immaginari, ma alunni immaginari. Un po’ di rossetto, e ero la maestra. Nella mia camera davo compiti, mettevo note di merito e di demerito, da qualche parte devo avere ancora i registri. Era quello il mio unico momento di protagonismo».
Ai margini anche al liceo?
«Sono cresciuta prima delle mie amiche. Loro bimbe, longilinee, io fianchi, cosce. Ero sviluppata nei punti sbagliati, niente seno. E brufoli».
Perciò?
«Se oggi riguardo le foto: vestiti troppo larghi, correttore troppo scuro per coprire i brufoli, non sapevo truccarmi. Ogni giorno mi chiedevo: quando finisce l’adolescenza?».
Finisce.
«Per tutto il liceo mi sono sentita cantare dietro: “Come la barca va, lasciala andare”. Per via del mio sedere, credo».
Uscita dal liceo?
«Altro momento tremendo che racconto nel libro, quello che vive Marta».
Uguale a quello che vive Camilla?
«Intanto non supero il test di Medicina. Quindi m’iscrivo a Biologia. Un anno di biologia nel quale scopro di essere negata per le materie scientifiche, impiego un anno solo per capire cos’è una molecola. Cambio, m’iscrivo a Giurisprudenza che finisco in ritardo».
Pensiero?
«Essere rimasta indietro, non tenere il passo dei miei coetanei».
Nel frattempo l’amore.
«Divento la seconda amante di un ragazzo».
Nello specifico?
«Dopo la fidanzata storica, dopo l’amante ufficiale, venivo io, per terza. Terza però convinta che un giorno avrei ottenuto la prima posizione».
Ottenuta?
«Mai».
Il momento in cui capisce che il primo posto è impossibile?
«Durante un pomeriggio insieme in cui mi convinco di essere la sua scelta. Penso: ora lascia la fidanzata, l’amante, e mi chiede di andare a vivere con lui. Al che gli squilla il telefono. Si allontana, io origlio. “Ciao amore, dice, sono all’università, sto tornando e non vedo l’ora di vederti, dormi da me stasera, ti prego”. Era la fidanzata».
Conseguenza?
«Vorrei poter dire che lì ho messo fine al rapporto. Invece no. Non ho reagito».
Che significa non reagire?
«Tenersi dentro tante parole e gesti che un giorno verranno fuori di botto».
Per quanto ancora ha cercato di essere quello che volevano gli altri?
«Qualche anno».
Continuava il senso di inadeguatezza?
«Arrivata a Milano dalla provincia ero fuori luogo ovunque. Lo ero nell’ambiente rock dark, in quanto non abbastanza rock. Niente tatuaggi e piercing».
Oggi ha un piercing al naso.
«Fatto all’epoca per dire: anch’io sono cattiva. Accettatemi».
L’accettano?
«No. Al punto che cambio ambiente: Milano modaiola».
Si integra?
«Tutto in me era sbagliato: vestiti, trucco, persino la frangetta quando non andava di moda».
Prova a trasformarsi?
«Un giorno vado da Humana Vintage e compro magliette, felpe, jeans a casaccio, purché Adidas e Nike. Poi la sera a una festa indosso tutto insieme».
Reazione degli altri?
«Uguale a prima. Solo che io stavo peggio, avevo un’ansia nuova».
Ovvero?
«E se mi scoprono? La sindrome dell’impostore».
Motivo?
«Il mio desiderio era quello di sparire, mimetizzarmi. Stavo con un ragazzo, il Dario del romanzo. Ricordo le uscite con lui e i suoi amici, quando era il mio turno di parlare non sapevo mai che dire, finivo per annuire, e dare ragione a chiunque».
Niente in comune con loro?
«La loro maggiore ambizione era essere invitati al party di Philipp Plein, lo stilista. La gente si agitava con mesi di anticipo per ricevere l’invito».
Perché?
«Se lo ricevevi, salivi di categoria».
Camilla lo riceve?
«Lo riceve Dario, peccato che quell’anno il party fosse il 21 giugno, giorno del mio compleanno».
Scelta di lui?
«Andare alla festa. E io a casa con due amiche».
Andare insieme alla festa?
«Non era tipo da portare la fidanzata, lui. Poi là c’erano le ragazze famose. Le più popolari di Milano, cinque per l’esattezza. Di loro io conoscevo ogni dettaglio: parrucchiere, colore preferito, occhi azzurri veri o lenti a contatto colorate».
Camilla rispetto a quelle ragazze?
«Le spiavo sui social per capire come sarei dovuta essere. Mi dicevo: se vuoi essere amata, devi diventare così. Per un periodo credo di essermi avvicinata molto a quel modello».
Felice?
«No».
Quindi?
«Da un giorno all’altro smetto di provare a essere loro, e mi cambia la vita».
Come avviene?
«Come nel libro. Lo stesso 21 giugno che Dario va alla festa, mi arrivano gli auguri di Aimone (nel romanzo Leandro)».
Aimone/Leandro, il suo fidanzato.
«Ero andata a un suo concerto, avevamo parlato cinque minuti. Fine. Mai più visto, né sentito. A distanza di un anno lui riesce a trovarmi, e addirittura si ricorda che è il mio compleanno».
Stato d’animo?
«Mi dico: tra cento persone di quella sera lui ha scelto me».
Finalmente protagonista.
«Per la prima volta nella vita mi sento speciale».
A quel punto?
«Inizia la storia a distanza. Io a Milano, lui a Perugia. Passa qualche mese e ci lasciamo proprio per la distanza».
Due anni di silenzio come nel romanzo?
«A Marta risparmio il ragazzo di mezzo, quello che ho frequentato prima di tornare da Leandro».
Eppure.
«Lì comincio a usare i social per raccontare. Trasformo la tristezza quotidiana in allegria social. Con due maschere faccio lui, e lei. Lui e lei che si parlano e non si capiscono».
Risposta?
«I follower aumentano. Io, quella vestita male, non amata. Dopo una vita a cercare di essere altro, eccomi».
Un milione e duecentomila follower.
«Ho scritto questo romanzo per disegnare una mappa emozionale nella quale qualcuno si possa ritrovare. A venti, venticinque anni avrei tanto avuto bisogno anch’io di un fallimento comune, qualcuno che mi dicesse: è successo anche a me».
Successo cosa?
«Di rimanere indietro, di non superare un esame. Di essere tradita, lasciata. Ci sono tante persone che hanno bisogno di più tempo e di più tentativi».
Per?
«Per capire chi sono. Quei bambini lenti di Fast Animals and Slow Kids? Noi. Una generazione».
· Can Yaman.
Anticipazione stampa da "Vanity Fair" il 30 marzo 2021. «C’è stato un momento oscuro nella mia vita in cui il lavoro di mio padre ha iniziato ad andare male, molto male, e non avevamo i soldi neanche per pagare le rette di scuola. Ma se vivi il presente, e ti impegni in quello che fai, non hai tempo per la paura. Rimboccarsi le maniche, seguire l’istinto e andare a segno: questo è stato il mio segreto. Grazie a un amico speciale, un genietto che non parlava con nessuno eccetto me, un ragazzo albanese con cui mi piaceva fare tutto, iniziai a vincere una borsa di studio dopo l’altra, fino a diventare avvocato, poi attore». La star turca Can Yaman, 31 anni e oltre 8 milioni di follower su Instagram, si racconta a Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola dal 31 marzo, in un’intervista esclusiva in occasione della preparazione per Sandokan, la serie evento internazionale di Lux Vide. In una cover che, iconograficamente, gioca sul suo essere l’«oggetto del desiderio» di un femminile plurale e vario (la nonna che lo vorrebbe come nipote, la liceale che lo sogna come marito, la madre che lo immagina al fianco della figlia), ci parla anche della fidanzata, la conduttrice TV Diletta Leotta. Lei, a dispetto delle voci, è una presenza vera, quasi militare, nella sua esistenza: sul set del servizio fotografico lo chiama più volte per confronti o consigli. Yaman confessa: «È un amore leale, in cui mi assumo le mie responsabilità, come si è visto. Ho grande rispetto per lei, per il nostro rapporto e la riservatezza è la nostra prima promessa: quel che ci riguarda lo comunichiamo noi, insieme. Quando sarà il matrimonio di cui tutti parlano? Io sono uno che agisce senza metterci tanto, senza giri di parole. Seguo la spinta, veloce. Credo che l’istinto sia nel nome di Dio. Ma su qualcosa teniamoci la sorpresa». Can Yaman è, per sua stessa ammissione, un «animale della notte»: «La mattina sono uno maldisposto, silenzioso. Scontroso e irritabile prima di una certa ora, torno gioioso di pomeriggio, dal tramonto in poi. Non a caso soffro un po’ d’insonnia». Da pirata e gentiluomo, conserva tutte le lettere delle sue fan: «Ce ne sono di un po’ ossessive, che quando prendi loro il cellulare per scattare il selfie ti accorgi che mi hanno stampato dappertutto. Sul borsone, sulla maglia, sul cappellino, sulla cover del telefono. Dall’Argentina all’India, da Israele all’Australia, ognuna mi desidera in maniera diversa». La copertina verrà accompagnata da una serie di contenuti video digital esclusivi in cui Can Yaman risponde dietro le quinte (anche) alle provocazioni che più suscita online. Un numero speciale anche perché in occasione dell'uscita della seconda stagione de La compagnia del Cigno, la serie diretta da Ivan Cotroneo e scritta insieme a Monica Rametta (in onda in prima serata su Raiuno a partire dall’11 aprile) abbiamo realizzato il progetto INTERMEZZO, in collaborazione con il team di Cotroneo e la casa di produzione della serie Indigo Film: ogni giorno dal 25 marzo fino all'11 aprile, sul nostro profilo Instagram, pubblicheremo un video in cui a uno a uno i ragazzi protagonisti della serie eseguiranno un brano musicale in esclusiva per noi.
· Capo Plaza, nato come Luca D'Orso.
Alessio Lana per il Corriere della Sera il 7 febbraio 2021. A 22 anni Capo Plaza è in testa a tutte le classifiche. E fa l'en plein. Impossibile aprire una qualsiasi piattaforma di streaming senza trovarsi di fronte alla copertina del suo nuovo album, intitolato semplicemente Plaza : le sedici tracce sono comparse tutte nelle prime venti posizioni e una, Allenamento #4 , ha raggiunto l'ottavo piazzamento nelle uscite globali di Spotify. Una conferma nella carriera di questo trapper nato come Luca D'Orso nel 1998 e arrivato a conquistare l'Italia e l'Europa. Uno dei pochi che può vantare un ampio seguito straniero e collaborazioni internazionali come il tedesco Luciano e gli statunitensi Gunna, Lil Tjay e A Boogie wit da Hoodie. Nel brano «Track1» canta «Son partito dal niente che avevo nada».
Da dove parte Capo Plaza?
«Da Salerno, la mia città natale, come un ragazzo che sognava di fare rap. A Pastena, il mio quartiere, devo tanto. È la classica storia urbana. Si andava al parchetto, si saltava la scuola per ascoltare la musica e le battle di freestyle (ma non partecipavo). Eravamo i tipici ragazzi di strada, si immagini cosa potevamo fare e anch' io ho avuto qualche problema con la legge, poca cosa. Ero minorenne, ho avuto vari diverbi, un processo e ho pagato: l'unica volta che mi hanno preso me l'hanno fatta pagare per tutte quelle in cui ero sfuggito. Ero in una situazione in cui bisognava farsi valere fin da quando eri piccolo. Era difficile, certo, ma grazie a schiaffi dati e presi mi sono formato e sono cresciuto».
Quando ha scoperto il rap?
«A 8 anni ho sentito Kanie West per caso in tv ed è diventato subito una delle mie prime influenze, poi sono passato a Lil Wayne, alla Cash money records, a tutta quella trafila di rapper vistosi, sempre acchittati , con tante macchine, donne... Da lì ho iniziato a studiare i testi, volevo capire bene cosa dicevano. A 12-13 anni ho cacciato il mio primo pezzo e verso i 14 anni ho conosciuto Ava e Mojo che sono ancora oggi i miei produttori. Più tardi sono andato a Milano, nel 2018 è arrivato il mio primo album in studio, 20 , e nel 2019 ho fatto un tour europeo che ha segnato il sold out da Berlino a Londra passando per Parigi e Barcellona».
Lei è tifoso del Milan e il video di «Allenamento #4» è girato a San Siro. Che effetto le ha fatto?
«Mi sento come Shevchenko, che viene da un'altra città ma ha conquistato Milano diventandone la bandiera e senza mai rinnegare le sue radici. Girare a San Siro è stato strano, era tutto vuoto... è stata una bella soddisfazione, da mettere nel curriculum».
Come l'hanno presa i suoi? «Mah, in realtà niente di che. Mia madre mi ha detto di essere contenta per me. Le interessa solo che il figlio stia bene, come ogni mamma deve fare e com' è giusto che sia».
Il suo «Allenamento».
«Ho studiato tanto musica. Stavo tutto il giorno in strada e facevo esperienze: ascoltavo la gente, il problema della signora sul pullman, le cose che diceva il signore alla fermata. Poi la sera mi chiudevo in studio e cercavo di raccontarle. Adesso però sono andato oltre. Dovevo farlo. Questo disco è solo il secondo e non è neanche il 20 per cento della mia carriera».
Spesso nei suoi testi va sul sentimentale ma ci sono anche versi duri contro le forze dell'ordine.
«Quelli sono tosti ma giusti. Io dico basta con gli abusi e il razzismo, vaff... a chi punta una pistola solamente perché mio fratello è di un colore diverso. Se non le dico io queste cose, chi le dice. Educo i miei fan, soprattutto i giovanissimi, a dire basta».
Però canta anche versi sessisti.
«Credo che in Italia questa cultura non venga capita. Non vogliamo trattare male la donna, c'è solo uno slang che non viene compreso. Il mio pubblico sa che alcune parole fanno parte del mondo dell'hip-hop e non le vede come un modo per attaccare le donne».
Sanremo è ormai una delle mete del rap: anche per lei?
«Penso di essere uno dei pochi rapper che segue Sanremo. Mi piace, davvero. Ci andrei come ospite per far capire agli italiani la musica che faccio ma non parteciperei mai alla gara. Quello non è un palco adatto a me e ai colleghi che competono dico solamente "andateci, tanto di cappello" ma io proprio no.
· Cara Delevingne.
Da "rumors.it" il 15 febbraio 2021. Cara Delevingne, un personaggio enigmatico ed iconico. Una bellezza disarmante e una personalità tutta d’un pezzo. Da quando lo scorso autunno la modella è diventata co-proprietaria e consulente creativa della linea tutta al femminile di sex toys Lora DiCarlo, ha iniziato a fare dei regali ai suoi amici veramente insoliti. I suoi cari ormai lo sanno, loro stessi dicono: “So già cosa riceverò a Natale da parte sua”. Cara va in giro a consegnare questi sex toys dicendo ironicamente: “Ehi, buon orgasmo a te!”, ha confessato a Pharrell Williams nel nuovo episodio del podcast OTHERtone, condotto insieme a Fam-Lay e Scott Vener. “Credo che soprattutto ora, più che mai, sia il momento giusto per godersi questo genere di cose!”, ha aggiunto la modella. Riguardo ai prodotti della linea Lora DiCarlo, la Delevingne si esprime dicendo che: “Ci piace chiamarli dispositivi per il sesso, e non giocattoli. Perché il termine giocattolo è qualcosa che rimanda al mondo infantile. Ma questi dispositivi non sono infantili, sono proprio delle nuove tecnologie, e sono…divertenti!”. Per poter lavorare su questi prodotti, Cara ha avuto delle interessanti conversazioni con i suoi amici maschi sulla sessualità, così da potersi confrontare con loro. “Prima non ne parlavamo mai…”, ha dichiarato. La modella ha anche ammesso che prima di ideare questi prodotti la sua vita sentimentale era molto diversa: “Non ho mai detto ciò che mi piaceva, né tantomeno ho mai chiesto cosa volessi ricevere. Semplicemente pensavo che in qualche modo lo avrebbero scoperto da soli. Tipo, no…non è così che funziona. Invece no. Devi chiedere, devi parlarne sai?”. La Delevingne aveva dichiarato a Variety di essere pansessuale: “Mi innamoro della persona, fine”. Di certo, è un grande esempio di ciò che voglia significare amare. Un amore che superi la definizione di uomo e donna, ma che vada ad incentrarsi sulla persona in forma pura e disinteressata.
· Carla Gravina.
Giuseppina Manin per il "Corriere della Sera" il 4 agosto 2021. «Per metà della vita sono stata una ragazzaccia, poi di colpo sono diventata una vecchietta, e adesso una vecchiona!». Se la ride di gusto Carla Gravina, icona del grande cinema italiano, all'idea di tagliare il traguardo degli 80 anni.
«Non penso mai all'età, sto abbastanza bene da scordarmi quanti sono».
Però l'idea di una festa, domani all'isola della Maddalena, dove vive Giovanna, figlia sua e di Gian Maria Volonté, la mette di buon umore.
«Da quasi vent' anni cura un festival dedicato al padre, La valigia dell'attore. Una brava figlia, capocciona come me».
La Maddalena l'isola di Volonté, ci passava l'estate andando a vela. Ricordi belli?
«A quei tempi, metà anni Settanta, tra noi era già finita. Ma siamo rimasti in buoni rapporti. Giovanna adorava suo padre, lui adorava il mare, andavamo in barca insieme. Io non sapevo nuotare, lui mi gridava: buttati che ti tengo. Ci sono cascata, mi sono buttata e lui mi ha lasciata andare sotto. Risalita in barca, gli ho mollato due schiaffi».
Un amore che le è costato caro. Ne valeva la pena?
«Altroché. Gian Maria mi ha fatto patire le pene dell'inferno, mi ha tradita, mi ha mentito, si è comportato malissimo. Ma è stato e resta l'amore della mia vita. Non il solo, ma il più grande sì».
L'incontro nel '60 a Verona, in scena come Romeo e Giulietta. Un segno del destino?
«Di tutti i ruoli quello che Gian Maria mai avrebbe voluto fare era Romeo. Si vergognava a dire quelle "smancerie", sotto sotto era un timido... Lui voleva essere Mercuzio, il ribelle. Ma Franco Enriquez, regista dello spettacolo, aveva stabilito così».
Come andò?
«Alle prove lui doveva prendermi la mano, guardarmi negli occhi. Io mi sentivo rimestare dentro, lui diventava tutto rosso. Finché ci siamo baciati. È stato un precipizio d'amore, un anno dopo è nata Giovanna».
Cosa voleva dire essere una ragazza madre ai tempi?
«Nel '61, in quell'Italia bigotta e democristiana, mettere al mondo un figlio fuori dal matrimonio, peggio con uno sposato, era inaccettabile. Ragazza madre, scandalo, da mettere al bando. E così, nonostante i film con Monicelli, Lizzani, Comencini, di colpo mi si chiusero le porte. Il contratto d'oro per sette anni con Dino De Laurentiis, i Caroselli in tv Tutto cancellato. Mi avevano avvertita, ti giochi la carriera, ma mai ho pensato: non la tengo. Quando ho detto a Gian Maria che ero incinta, i suoi occhi si sono riempiti di lacrime, mi ha abbracciata stretta. La cresceremo insieme, mi sono detta. Mi sbagliavo».
Cosa è successo?
«Che non fosse fedele lo sapevo, ma una sera l'ho beccato che si sbaciucchiava con l'attrice Mirelle Darc. Mi aveva detto che usciva per andare al sindacato L'ho mollato, lui non l'ha mandata giù. Quando gli ho chiesto di aiutarmi a mantenere nostra figlia, che aveva solo 6 anni, mi ha risposto con una sola parola: no. Il compagno Volonté Potevo rovinargli la vita. Mi sono detta, ce la farò da sola. È stata dura, sono arrivata a impegnare i gioiellini che avevo. Ma non rimpiango nulla».
Altri amori?
«Omar Sharif. Anche lui caratteraccio, ma io da leonessa gli tenevo testa. Liti furibonde, furibonda passione. Una sera a Parigi abbiamo incontrato Jeanne Moreau, con cui avevo girato Jovanka e le altre . Si è fiondata su Omar e mi ha detto: sei fortunata a stare con lui. Penso valga altrettanto per lui, ho risposto».
Sempre storie difficili.
«La terza l'ho schivata per poco. Strehler mi aveva chiamata al Piccolo per Le baruffe chiozzotte . Durante le prove continuava a fissarmi, e quando avevamo finito insisteva per accompagnarmi a casa. Finché un giorno ricevo una sua lettera. Una lettera d'amore strepitosa, con parole che forse nessun altro mai. Ero molto tentata, ma stavo ancora con Volonté Una storia mancata. Chissà».
Quando è finito l'esilio dal cinema?
«A fine anni '60. Da brava ragazza ero stata promossa a cattiva ragazza: l'indemoniata in L'anticristo , la bombarola in Cuore di mamma , l'amante di Dustin Hoffman in Alfredo Alfredo Ma a rilanciarmi davvero fu la tv. Daniele Danza mi chiamò per Il segno del comando. Avrei dovuto interpretare una segretaria, lo convinsi a darmi la parte dello spettro. Arrivai sul set con dei vestiti da zingara, svolazzanti, ideali per una apparizione. Pagliai mi ricorreva nella Roma notturna, e l'Italia si innamorò del mio fantasma».
Cosa le è rimasto delle sue origini friulane?
«Da Gemona, dove sono nata, sono andata via troppo presto. I ricordi sono a Muggia, dove c'era la mia casa sugli alberi e la casa del nonno. Il terremoto l'ha distrutta. Il solo legame rimasto è con Livia, un'amica d'infanzia. Ogni tanto ci sentiamo, lei mi dice "mandi ninina" Non amo le tombe, vorrei che le mie ceneri fossero sparse con dei semini da quelle parti. Così magari spunterebbe qualche fiore con dentro un po' della mia energia».
Maria Laura Giovagnini per "iodonna.it" il 23 aprile 2021. «La segretaria? Manco morta! Che noia: non dice niente, non c’è da approfondire. Il fantasma, invece… Se gli dai un po’ più di spazio, diventa un bel personaggio». Così, grazie al caratterino di Carla Gravina e alla flessibilità del regista Daniele D’Anza, nasceva Il segno del comando, lo sceneggiato cult che – tra giallo ed esoterismo – nel maggio 1971 tenne 15 milioni di italiani incollati alla tv. «Gli abiti curiosi, non banali, me li portai io: mi vestivo in quel modo» racconta – a 50 anni di distanza – l’attrice, al telefono dalla sua casa romana con vista su Castel Sant’Angelo. Vennero poi altri successi, da Alfredo, Alfredo a Madame Bovary al premio a Cannes nel 1980 per La terrazza e a quello al Festival di Montreal nel 1993 per Il lungo silenzio. Titolo profetico: da allora ha fatto perdere le tracce. Praticando L’arte di scomparire ben prima che il filosofo Pierre Zaoui scrivesse il saggio con questo titolo, sulla discrezione come gesto rivoluzionario, come forma di resistenza – morale e politica – nella “società dell’apparenza”.
Perché prese la decisione?
Ero reduce dalla tournée di La morte e la fanciulla, stanca e stressata al punto che mi suggerirono di sottopormi alla cura del sonno. Nessuna collega aveva voluto lavorare con Giancarlo Sbragia, già malato grave: temevano di perdere il cachet all’improvviso… Allora avevo accettato io: mi faceva orrore mollarlo così. E, comunque, ero stufa del teatro, una vita troppo faticosa.
Un compromesso no? Un film, una serie ogni tanto…
O il taglio è drastico o non riesci, in qualche modo ti reimbrigliano. Ho subito iniziato il giro del mondo: ho fantasia, per fortuna! Sono partita da sola e sono andata in Tunisia e in Marocco: a Tangeri e ad Asilah, il paese degli artisti. E non mi sono più fermata, con l’approccio della viaggiatrice, non della turista. Mi manca Capo Nord, però potrei ancora vederlo, ho trovato il modo per una della mia età (ho quasi 80 anni io, eh, li compio ad agosto!): con il postale dei fiordi. Ti fermi in ogni porto e se desideri scendere scendi, altrimenti stai lì.
Veniva dall’Accademia?
Io? Sono stata presa dalla strada! Letteralmente. Alberto Lattuada mi ha notata all’uscita di scuola per Guendalina: frequentavo la terza media, ero appena arrivata a Roma da Gemona, in Friuli, non sapevo niente di film. Finite le lezioni, un’amica mi chiede di fermarmi un attimo. Nel frattempo, questo signore scende dall’auto e si presenta: «Sono un regista, vorrei proporle un provino». Divento rossa come un peperone e gli rispondo: «Può chiamare mio padre». Dopo due giorni, sento papà al telefono: «Chi? Lattuada?». Lo conosceva, seguiva il cinema e il teatro. E, incredibilmente, me lo ha permesso: è stato bravo, devo ammettere. Lui, un colonnello severissimo! Se non avessi indugiato quei cinque minuti con la mia amica, sarei finita a fare… Boh, non lo so! Di sicuro, non l’attrice.
Nessuna vocazione?
Per carità, no! Ero così timida che non riuscivo neppure a comprare il pane, diventavo viola, dovevo pregare prima… Poi, l’incredibile: davanti alla macchina da presa sono diventata disinvolta, ho parlato persino in friulano, dialetto che quasi non conosco. Strano, eh? Come fosse una cosa predestinata, va’ a sapere! E lo stesso al secondo provino (per Amore e chiacchiere, che le è valso il premio al Festival di Locarno 1958, ndr): quando sono entrata nello studio di Alessandro Blasetti, lui mi ha strizzato l’occhio, e io… gli ho strizzato l’occhio! Una come me, che aspettava che fossero tutti in classe per farsi coraggio ed entrare!
A scuola ci è tornata?
Mi sono iscritta a Economia domestica. Dopo tanto tempo scoprii che mio padre era andato a chiedere un consiglio sull’opportunità del provino alla professoressa di Lettere. E chi era la professoressa? La moglie di Ettore Scola (ride)! Era proprio scritto che dovessi fare l’attrice, e che dovessi incontrare – attraverso questo mestiere – il mostro.
Il mostro?
Gian Maria (Gian Maria Volonté, ndr). Un mostro-mostro, che ho amato tanto! Ho ancora qua davanti la foto del primo sguardo… Eravamo a Verona nel 1960, due pischelli che – durante le prove di Romeo e Giulietta – si stanno fissando. Ci siamo tanto amati, tanto detestati, tutto: però abbiamo messo al mondo una bella figlia e ora ho un bel nipote, che magari mi renderà bisnonna. Qui di fronte ho un’altra immagine…
Quale?
Sul palco a Vienna (ci applaudirono per 45 minuti!) dopo Le baruffe chiozzotte di Giorgio Strehler. Un incontro fondamentale, un maestro. Io… Insomma, gli piacevo e lui mi piaceva, ma stavo con Gian Maria e figurati se lo tradivo, sono corretta. Corretta e scema: mi ha tradito come un pazzo! E non mi ha neppure aiutato a mantenere la bambina.
Possibile?
Quando gliel’ho chiesto, mi ha ribattuto: «No». «”No” non è una risposta. Non importa: ce la farò». E ce l’ho fatta. Avrei dovuto svergognarlo: «Guardate il compagno Volonté, non si preoccupa della figlia…». In realtà, ce l’aveva con me perché non sono voluta tornare con lui.
Ha opposto il gran rifiuto?
E certo, cavolo! Una sera mi avverte: vado alla S.A.I., il sindacato attori. Ok, allora io esco con gli amici. Siamo al ristorante, una lunga tavolata, e a un certo punto uno mi avverte: «Carla, non ti voltare: nell’altra sala c’è Gian Maria». Mi giro, ovvio: era lì con Mireille Darc. Mano nella mano, occhi negli occhi.
Che colpo.
Ah, ma mi sono vendicata! Quando si sono alzati per uscire – tutti cipcip cipcip – li ho raggiunti fuori, erano davanti alla macchina (mia, peraltro) e si stavano baciando. Pensate al mio cuore! Però in questi casi divento di una freddezza pazzesca: ho fatto il nostro fischio (io e Gian Maria avevamo questo “segnale”). Non dimenticherò mai la faccia di lui quando mi ha visto! Mi sono avvicinata a passi lenti come nel Far West (so diventare sparviera!), ho preso fra le nocche la guancia della fanciulla e l’ho girata come faceva mio padre con me: «Carina, la ragazza…».
Luciano Ferraro per il “Corriere della Sera” il 16 dicembre 2021. Si è lanciato tra le fiamme di un incendio per salvare bottiglie di vino prezioso. Con i primi soldi guadagnati come aiuto di cucina aveva iniziato a collezionare vini che ancora non stappa. Nel suo ristorante in Galleria a Milano ha fatto costruire una cantina con 2.500 etichette e spettacolari serie di annate che riposano tra legni pregiati e sistemi di sicurezza degni del caveau di una banca svizzera. La vera passione nascosta di Carlo Cracco, chef vicentino di 56 anni, è il vino. Al punto da diventare produttore: ha acquistato un'azienda agricola a Sant' Arcangelo di Romagna. Si chiama Vistamare. Produce La Ciola (Rubicone bianco, miscela di Grechetto Gentile, Malvasia di Candia e Bombino) e Fiammarossa (Trebbiano Rubicone). Il mese scorso è stato premiato come personaggio dell'anno dai produttori del Brunello di Montalcino. L'ultima dichiarazione d'amore per il mondo dei vignaioli è stata l'apertura di un wine club nella sua cantina: pochi clienti invitati ad incontrare un produttore iconico. Cena e degustazione per 12 persone. Il primo ad aprire la serie è stato Martino Manetti della cantina toscana Montevertine. E non è stato un nome scelto a caso. «Quando lavoravo a Firenze all'Enoteca Pinchiorri - racconta Cracco - ci fu un incendio che distrusse 25 mila bottiglie. Bruciava tutto. Ho messo in salvo quante più bottiglie potevo. Anche una Jeroboam (3 litri) di Montevertine, Le Pergole Torte del 1981. Giorgio Pinchiorri me l'ha regalata come ricompensa. È ancora qui, mi segue».
Quando ha iniziato ad occuparsi di vino?
«Ho fatto il primo corso di sommelier a 20 anni con Giuseppe Vaccarini. Durante le lezioni mi maltrattavano, ma poi l'esame l'ho passato lo stesso, nel 1987, quando lavoravo da Gualtiero Marchesi».
Perché la maltrattavano?
«Mi dicevano che ero un cuoco e dovevo fare il cuoco e stop. Ma avevo, e ho ancora, una vera passione per il vino. Se fossi stato astemio sarei ricchissimo. I primi soldi che ho guadagnato li ho usati per comprare vino».
E lo beveva?
«Lo mettevo via. Mi sono ritrovato con migliaia di bottiglie, accumulate grazie ai risparmi, poche per volta. Non lo bevevo anche perché lavoravo come un matto, non ce l'avrei fatta».
Adesso è diventato anche produttore.
«C'è stata una possibilità a Sant' Arcangelo di Romagna, il paese di mia moglie Rosa. Volevamo coltivare la frutta e la verdura. Ma prima di firmare ho visto che c'erano vigne in buona salute. È stato un sollievo. Ho detto compriamo tutto e via».
Ha chiamato un enologo famoso, Luca D'Attoma.
«Se le cose le faccio, mi piace farle bene. Ho chiamato Luca D'Attoma e gli ho chiesto se si poteva fare un vino buono. Siamo in una zona non molto nota per il vino».
E la frutta?
«Ci sono quattro ettari, un frutteto, un oliveto e stiamo ristrutturando le case. Ci vuole un po' di tempo».
Quanti milioni ha investito per la nuova cantina in Galleria?
«La malattia del vino non mi ha mai lasciato, ho sempre acquistato bottiglie non tanto per il valore ma per la persona e la storia che stanno dietro all'etichetta. Mi piace che parlino del territorio da cui vengono. È un po' come la cucina, siamo tutti cuochi ma ognuno cerca di dare il suo tocco. La cosa più bella è far emergere questa differenza».
Durante il lockdown cosa ha fatto, con ristorante e cantina chiusi?
«Sono rimasto a casa tre ore, non di più. Non riesco a stare fermo, anche se sto bene con mia moglie e i miei figli. Ho pensato: abbiamo le celle frigorifere piene di cibo, non ci sono prospettive di aprire. Ho chiamato il Comune e la Regione e ho detto: regalo tutto, tanto non ne posso far nulla».
Che hanno risposto?
«Venga alle 21 in Fiera. Vado. Mi chiedono: se la sente di far da mangiare agli operai che stanno costruendo l'ospedale? Ho chiesto: la cucina c'è? Non c'era. Chiedo: quanti sono gli operai? Domani 50 ma cresceranno di 100 in 100 ogni giorno, mi rispondono. Fino a 500. Ho detto ok».
E come ha fatto?
«Noi qualche ristorante ce l'abbiamo. Ma siamo pur sempre una piccola azienda. Abbiamo iniziato il giorno dopo, cucinavamo in Galleria e portavamo lì il cibo. Siamo arrivati a 450 pasti al giorno. È stata la prima volta che ho visto mangiare così tanto in così breve tempo. Il piatto medio di pasta era di 400 grammi, poi secondo, contorno e dessert».
Da dove venivano gli operai?
«Da tutta Italia. Poi egiziani, moldavi, indiani, marocchini, sembrava una Babele. E ci siamo trovati bene. Dopo una settimana abbiamo esaurito tutto. Ma abbiamo lavorato 25 giorni. Abbiamo chiamato tutti i nostri fornitori e ci hanno aiutato, soprattutto nelle enormi quantità. È stata un'esperienza bellissima».
Che cosa le è rimasto di quel periodo?
«A parte il dolore di aver perso qualche caro, abbiamo capito quanto sia importante la socialità. La socialità è il tavolo, sedersi, mangiare, bere e conversare».
Il suo ristorante si è riempito di nuovo?
«Anche persone che prima venivano di rado, ora tornano più spesso, sono stati fin troppo a casa». Pensava di fare il cuoco quando era un bambino?
«Ho subito scelto questa strada. I miei dicevano che pensavo solo a mangiare e bere. Dicevano: questo fa il lazzarone, finge di studiare, ma va a divertirsi».
E avevano torto?
«Non sbagliavano del tutto, ma non era solo baldoria. Fino al servizio militare sono rimasto a Vicenza, proibito uscire. Dopo il diploma avevo già le idee chiare. E sono andato da Gualtiero Marchesi».
Com'era come mentore?
«Era la persona più innovativa in Italia, per la cucina. Mi aveva affascinato dopo due lezioni a Milano, a forza di assillarlo sono entrato nella brigata. Sono rimasto quattro anni. Poi sono andato in Francia, poi a Firenze all'Enoteca Pinchiorri. Una delle migliori cantine del mondo. Un periodo che ha fatto decollare la mia passione, con Giorgio la domenica si girava a provare ristoranti e grandi bottiglie».
Che faceva nel tempo libero a Firenze?
«L'impegno era tanto. Non sono mai uscito una sera, per un anno. Ma la domenica ci si divertiva».
I suoi figli seguiranno la sua strada in cucina?
«Ne ho quattro, due femmine e due maschi. Sperando che almeno uno... Io sono il quarto di quattro».
La regola del quattro.
«La prima studia Lettere moderne, ma mai dire mai. Ho cercato di dargli input, io sono stato libero di scegliere e lascerò la libertà di scegliere, speriamo che qualcuno provveda».
I suoi erano del ramo?
«No, mio padre lavorava alle Ferrovie e mia mamma era casalinga».
Il suo simbolo è l'uovo, perché?
«È un simbolo di fertilità, compare in molti dipinti».
È considerato, dopo «MasterChef», un cattivo.
«Cattivo? Sono una bestia - dice ridendo - ma ho imparato a domare questo istinto. Ho fatto sei edizioni di MasterChef , ma penso che per trent' anni sarò considerato sempre quello cattivo. L'unico punto che mi consola è che, quando guardo le vecchie puntate, mi rivedo più giovane e senza capelli grigi».
Lo rifarebbe adesso?
«Quando decido che una cosa è finita non torno indietro. È finita davvero. Mi sono preso una pausa di cinque anni dalla televisione. Poi ho partecipato a Dinner Club . Volevo proprio un programma così. Raccontare il territorio meno battuto e attraverso la cucina le persone, anche con i vini. Questa è una narrazione che vorrei continuare a portare avanti».
Quale personaggio di «Dinner Club» la diverte di più?
«A livello di quantità è Diego Abatantuono, stargli dietro è faticoso».
Mangia come gli operai della Fiera?
«Parlo di bere. Pierfrancesco Favino invece è attento, gli piace bere bene. Tutti sono affascinati da quello che sta dietro a un ingrediente o a un cibo. È bello conoscere una signora di 90 anni che impasta in casa, e riesce a trasmettere il suo sapere, a tramandarlo».
Sembra il copione della prima trasmissione Rai di Mario Soldati, «Il viaggio nella valle del Po».
«Infatti la prima puntata l'abbiamo girata proprio lungo il Po, come un omaggio a Soldati».
Da dissapore.com il 24 dicembre 2021. È consentito criticare un ristorante, un locale stellato, uno chef da tutti osannato? O ci sono degli intoccabili? Ce lo siamo chiesti qualche giorno fa a proposito della stroncatura del Bros’ di Floriano Pellegrino da parte di un blog americano, pezzo che ha fatto il giro del mondo e ha scatenato dibattiti che hanno bucato anche la bolla food. Ce lo chiediamo a maggior ragione adesso, che Carlo Cracco ha vinto una causa per diffamazione contro Achille Ottaviani, direttore della testata online La Cronaca di Verona. Il giornalista è stato condannato per una stroncatura in cui diceva tra l’altro «risotto insipido, carne dura, verdure che non vi si abbinavano, se non nella follia di una grandeur culinaria che non è esistita»: dovrà pagare una multa di 10.000 euro come pena (la diffamazione è un illecito penale, un reato) e 20.000 euro di risarcimento allo chef, fatta salva per Cracco la possibilità di richiedere ulteriori danni in sede civile. I fatti risalgono al 2016: il pezzo, molto breve, è ancora online (viva l’internet!). E ovviamente all’epoca diventò virale, scatenando le ire di Carlo Cracco, e spingendolo a una querela per diffamazione, che non è cosa tanto frequente nell’ambito della ristorazione, anche tra gli chef con un ego montato a sifone. Tra l’altro la vicenda giudiziaria ha avuto un twist, un’ulteriore complicazione dopo che il pubblico ministero nel 2017 chiese l’archiviazione, cioè che non si iniziasse affatto il processo. A questo punto Ottaviani prese a maramaldeggiare, scrivendo un altro editoriale breve e puntuto in cui dava a Cracco della “stella cadente” (il ristorante ne aveva appena perso una nella guida Michelin di quell’anno). E si beccò una querela anche per quello. Ottaviani però aveva gioito troppo presto: il Giudice dell’udienza preliminare non accettò la richiesta del PM titolare dell’indagine (può capitare) e diede inizio al processo, quello che è arrivato a sentenza adesso. Nel frattempo è andato avanti anche quell’altro procedimento, quello successivo, nel quale il giornalista è stato condannato a settembre (può capitare anche quello, che una causa successiva finisca prima) a pagare 1000 euro: poco in confronto ai 50.000 chiesti dall’avvocato di Cracco, ma pur sempre una sentenza di condanna. Fine delle stroncature, allora? Il genere, in un settore come il nostro che tende alla genuflessione nei confronti delle chef-star, già non gode di grande salute. Il pezzo di Giorgia Cannarella su Munchies è una fotografia abbastanza impietosa del livello di consapevolezza e di dibattito attuale nel mondo della ristorazione, dagli chef ai critici. Se poi ci si mette anche la magistratura, è la fine. Anche perché finora, come si diceva, il ricorso in tribunale non è una strada molto battuta, a differenza che in altri ambiti: i politici per esempio da decenni brandiscono il reato di diffamazione come un’arma nei confronti dei giornalisti, insieme alla richiesta di ingenti risarcimenti per danno all’immagine. È un deterrente che funziona perché spesso il giornalista non arriva neanche a formulare frasi che possono ingenerare fastidio, si autocensura, visto anche che la categoria – come quella degli editori che dovrebbero fare da garanti – economicamente non se la passa benissimo. Se anche gli chef iniziano a prendere quest’andazzo, a mettere mano alla querela ogni volta che sentono arrivare una recensione men che agiografica, siamo fritti: possiamo dire addio non solo alle stroncature, ma anche ai giudizi da 5,5 in pagella (che se vado a riguardare, è il voto che ho messo di più: e nella mia ancora breve carriera di critico, proteste ne ho avute tante ma cause mai). O forse no. Forse non è la fine della critica, ma l’inizio. Vediamo perché. La materia è complessa, si può dire che il reato di diffamazione sia uno dei più dibattuti e soggetti a interpretazioni. Scrive la Cassazione: «Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi» (Cass. Pen. 36045/2014). La giurisprudenza pone come requisiti l’esistenza del fatto criticato (non si può costruire una critica sulla base di fatti inventati) e la continenza verbale (l’utilizzo di forme ed espressioni che non siano inutilmente aggressive o offensive per la dignità di una persona). Un paio di anni fa, con una sentenza che ha fatto parlare, è stato assolto il cliente che aveva accusato il gestore di avere prezzi alti e “truffare” sul peso. Le decisioni sono varie, e non sempre coerenti tra loro. Per esempio, sembra esserci una differenza tra giornalista (che fa della critica e soprattutto della cronaca il proprio mestiere) e il quivis de populo, come direbbe il giudice, cioè il privato cittadino che va su Trip Advisor o su Facebook e spara a cannone. Ma soprattutto c’è una differenza tra sentenza e sentenza: com’è noto in Italia le decisioni dei tribunali, anche di quello supremo come la Cassazione, fanno da precedente ma non creano norme erga omnes, cioè (scusate mi scappa il giuridichese) valide nei confronti di tutti. E i precedenti possono essere seguiti o no. Ma torniamo al caso di specie, che ha un plot twist interessante. La diffamazione, come si è detto, trova i suoi limiti nel diritto di critica e nel diritto di cronaca. Quest’ultima, che configura l’essenza del mestiere di giornalista, si pone come limite più stringente perché bisogna attenersi ai fatti, e questi fatti devono essere rilevanti. La critica, per sua natura soggettiva, è maggiormente tutelata: può sembrare paradossale ma è così, l’opinione viene giudicata con maglie più larghe, proprio in quanto personale. La sentenza del caso Cracco-Ottaviani non è ancora uscita con le sue motivazioni, ma possiamo supporre che il giudice abbia accettato il ragionamento che ha portato il Gup a iniziare il processo. E il ragionamento non è sbagliato. Il passaggio nel rinvio a giudizio era: «Il giudicante ritiene che il richiamo a fonti generiche, vaghe e sostanzialmente impersonali, non controllabili, assimilabili alla vox populi, non rispetti il primo dei limiti al quale è condizionato il diritto di cronaca e di critica». Cosa aveva scritto infatti il giornalista? Vediamo le altre frasi oltre a quella sopra riportata:
Menu, qualità del cibo e relative mescolanze sono state per la gran parte dei 400 vip invitati una delusione.
Il commento più buono reso è stato “migliori le patatine San Carlo di cui Cracco fa da testimonial”.
Tutti alla fine se ne sono usciti delusi, un po’ affamati e tentati di entrare nei kebab limitrofi.
Tutte espressioni che, sembra chiaro, non sono ascrivibili né alla cronaca né alla critica. Non alla cronaca perché le impressioni attribuite ad altre persone sono generiche, non circostanziate e non documentate. Non alla critica perché, appunto, non sono opinioni di chi scrive, ma altrui. Se il giornalista, sembra questa la lezione da trarre, avesse scritto “la maggior parte dei commensali ha lasciato le portate nel piatto”, magari corredando con tanto di foto, sarebbe stato cronaca, fatti. Se avesse detto “Per me una delusione, meglio le patatine, appena uscito sono andato a mangiare il kebab”, sarebbe stata critica, inattaccabile opinione personale. Così, è una via di mezzo che non merita tutela.
Allora, e generalizzando anche se non si dovrebbe, l’indicazione della magistratura sembra chiarissima: se volete stroncare, fatelo bene. Mettete in gioco le vostre competenze, le vostre impressioni, le vostre opinioni. Non sembra la fine dell’era delle recensioni: sembra l’inizio. E quel che è certo, su Dissapore continuerete a leggerne di pezzi così: non inutilmente cattivi, non fatti per lo sfizio di far incazzare lo chef, ma senza guardare in faccia a nessuno, e tendando di soddisfare l’esigenza di una sola persona. Quella che legge.
· Carlo Verdone.
Anticipazione da tpi.it il 18 novembre 2021. Alberto Sordi? “Negli ultimi tempi cercava in qualche maniera di rifare lo stesso passo, le stesse espressioni del passato, però io me lo ricordo quand’era perfetto nei film in bianco e nero. Non c’era bisogno di rifarli, per tirare fuori una risata. Tanto più che non veniva fuori una risata ma la riflessione che quando certe cose le faceva là, nei Vitelloni, avevano un senso, mentre oggi... Sembra quasi che uno non abbia più cartucce”. Lo dice Carlo Verdone in un’intervista a Riccardo Bocca sul settimanale TP-The Post Internazionale, in edicola da venerdì 19 novembre. La riflessione nasce da una domanda su chi contesta a Verdone di non essere oggi all’altezza dei suoi film d’esordio. “Ogni tanto c’è qualcuno che mi dice ‘Eh Carlo, però quanto erano forti i personaggi di una volta, eh però quanto erano belle quelle battute’. Ma io non sono d'accordo con il fatto che fosse meglio Verdone giovane”. “Un attore della mia età non può fare le stesse cose che faceva allora: ne deve fare altre perché altrimenti diventa patetico. Abbiamo tanti esempi di grandi attori del passato che hanno tentato di rifare cose che facevano quarant'anni prima e sono finiti nel patetismo”. Un esempio? “Alberto Sordi”. “Se non ci fosse stato Gualtieri e Meloni si fosse candidata per diventare sindaca di Roma, per il temperamento che ha e non volendo fare le brutte figure che hanno fatto altri prima di lei, pur non sposando le sue idee le avrei dato credito”. Lo dice Carlo Verdone in un’intervista a Riccardo Bocca sul settimanale TP-The Post Internazionale, in edicola da venerdì 19 novembre. “Sono convinto che Meloni e Salvini sarebbero entrambi simpatici, se potessi parlarci in privato”, riflette il regista, che alle ultime elezioni amministrative ha votato Gualtieri. Nell'intervista Verdone conferma anche che in passato gli fu chiesto di candidarsi a sindaco di Roma. Da chi? “Ho giurato con tanto di stretta di mano che non l'avrei mai rivelato”. Ma è stato un politico di sinistra? “È così”. “La politica è alla canna del gas”, attacca il regista. “Se devi rivolgerti a me perché un sondaggio mi accredita percentuali enormi di consenso, allora significa che stai facendo il furbacchione”. Amazon e Netflix sono i nuovi poteri forti? “Assolutamente sì. Il problema di oggi è l’iper capitalismo”. Ma sbaglia chi, come Nanni Moretti, critica quei registi, che come me, lavorano con le nuove piattaforme. Anche io, dice Verdone, sono “un nostalgico che ama le sale cinematografiche”. Ma “parlare così male delle nuove realtà” è “un pochino miope”: “Non si può lapidare tutto, dire che tutto è una merda e che era meglio prima”. Così Carlo Verdone, regista e attore, in un'anteprima dell'intervista pubblicata sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale- Tpi, in edicola da venerdì 19 novembre.
Da lastampa.it il 22 ottobre 2021. «La notizia che mi hanno proposto di fare il sindaco è vera. Qualche anno fa, mi avevano chiesto se volevo candidarmi, e mi avevano anche mostrato dei sondaggi con risultati spaventosi: si avvicinavano al 70%». A rivelarlo è Carlo Verdone, presentando oggi alla Festa del cinema di Roma la serie Vita da Carlo. Nella serie, con «35-40% di cose che mi appartengono davvero» si racconta della proposta di una candidatura a sindaco di Roma: «È accaduto veramente qualche anno fa, vennero con sondaggi mostruosi, vicini al 70 per cento, ma impiegai 30 minuti a dire di no. Nella vita si può fare bene un lavoro solo, io so fare questo». Per fare il primo cittadino «ci vuole passione e preparazione. E poi perché abbandonare il lavoro che ho cominciato nel ’71 in un teatrino universitario?». Alla guida della città c’è invece adesso Roberto Gualtieri: «Non lo conosco, staremo a vedere. Credo che la cosa principale per un sindaco sia quella di circondarsi di una squadra molto forte, rapida, determinata e onesta. Spero che avrà questa fortuna, e soprattutto che abbatta tutte le barriere burocratiche di questa città perché questa Roma è fregata dalla burocrazia». E racconta: «Dovevo girare una scena al Gianicolo e chiesi alla Raggi l'autorizzazione per togliere le strutture intorno alla statua di Garibaldi, mi rispose che c'erano tre sovrintendenze da consultare. Ma è possibile? Il fulmine che ha colpito la statua di Garibaldi l'ha colpita sei anni fa. Perché dobbiamo sempre fare questa brutta figura con i turisti?». Per Roma «serve la manutenzione, e poi pensare alle periferie e ai trasporti, alle attività ricreative per bambini e anziani». «A Roma voglio troppo bene – è la sua dichiarazione d’amore –. Deve ripartire velocemente con la manutenzione e poi i trasporti, le attività, 'na libreria che da vita alle strade, dà dignità anche estetica».
La vita di Verdone ora è una serie tv: "Magari faccio il bis". Pedro Armocida il 23 Ottobre 2021 su Il Giornale. Le vicende del grande attore su Amazon Prime: "Ma solo il quaranta per cento è reale..." Roma. È dolce naufragare nel teatro della memoria di Carlo Verdone. Lui stesso ci ha abituati a farlo, a partire dalla sua prima autobiografia, La casa sopra i portici una decina di anni fa e, all'inizio di quest'anno, sempre per Bompiani, La carezza della memoria. Ora è la prima volta che impasta la sua vita vera per creare un prodotto nuovo, al passo con i tempi, cosa che gli sta molto cuore. Nasce così Vita da Carlo, 10 episodi realizzati per Amazon Prime Video, disponibili dal 5 novembre, le cui prime quattro puntate sono state presentate in anteprima alla Festa del Cinema di Roma: «Tutto nasce - racconta l'attore e regista romano qui in coppia con il direttore della fotografia Arnaldo Catinari - da un'intuizione di Nicola Guaglianone e Menotti nel corso delle pause della scrittura di Benedetta Follia quando mi interrogavano sulle vicende divertenti e assurde della mia vera vita privata». Ecco i 10 episodi, da mezz'ora l'uno, «scritti in poco più di due mesi» anche grazie allo storico sceneggiatore di Carlo Verdone, Pasquale Plastino, e alle new entry Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni, mentre la produzione, ancora una volta, è di Aurelio e Luigi De Laurentiis come Amazon Original. Vita da Carlo è la storia di un italiano, ricordate il programma tv di Alberto Sordi?, però, diciamo così, in presenza senza alcun materiale d'archivio. È la storia di Verdone che interpreta se stesso e che non rinuncia a ricordare gag, personaggi e sketch che lo hanno reso famoso, interpretandone nuovamente alcune battute ora che ha 70 anni ma senza alcun intento nostalgico o malinconico. Perché il Verdone che tutti conoscono e che tutti fermano per «spararsi un selfie» ora si diverte a giocare proprio con il se stesso adulto. Per farlo costruisce attorno a sé una famiglia con la moglie, interpretata da una bravissima Monica Guerritore, che sarebbe ex ma, come dice il figlio Giovanni (Filippo Contri), «fate finta di stare insieme per non deludere la nonna», e poi l'altra figlia, Maddalena (esordio come attrice di Caterina De Angelis figlia di Margherita Buy), che vive con lui e che ha portato nell'appartamento il fidanzato Chicco (Antonio Bannò), presenza ingombrante in casa Verdone anche quando lei lo lascerà per trasferirsi a Londra. Le situazioni comiche si susseguono anche perché, come spalla quasi onnipresente di tutti gli episodi, c'è quella dell'amico Max Tortora che interpreta se stesso ma viene spesso scambiato per Christian De Sica. Poi certo ci sono le fisime e le passioni che conosciamo di Verdone, per esempio per la Roma e per i farmaci. Tanto che la frequentazione assidua della farmacia trasteverina farà nascere una love story con la dottoressa interpretata da Anita Caprioli. Verdone assicura che c'è solo «un 35-40 per cento di episodi reali» in questa sua prima serie di cui non esclude, «se andasse bene...», una seconda stagione, ma si diverte anche a giocare affettuosamente con nomi e cognomi veri come quello della sua addetta stampa Rosa Esposito mentre, in due cameo, ci sono Antonello Venditti e Alessandro Haber. Su questo versante c'è poi la presa in giro del suo produttore Ovidio, il romanissimo attore Stefano Ambrogi, che vuole che lui torni a fare i «film con i personaggi di una volta, insomma da lo famo strano a lo famo anziano"» - ogni riferimento a Aurelio De Laurentiis sarà casuale? - mentre Verdone, che sogna di vincere il festival di Cannes con un film «tra Tarkovskij e Murnau», ora si accompagna con lo sceneggiatore engagé dal curioso cognome, Lucio Nuchi, sicuramente un joke del collega Guaglianone sul cosiddetto nuchismo ossia le riprese da dietro che caratterizzerebbero il nostro cinema d'autore. Ma la vita di Verdone viene sconvolta da un video virale ripreso da un passante in cui spiega come andrebbe salvata la sua amata Roma. Un programma politico che piace al Presidente della Regione, interpretato dal veneto Andrea Pennacchi ma che sa molto di Pd romano, che va a casa sua - l'appartamento è proprio un altro personaggio della serie - e gli propone di candidarsi a sindaco di Roma. La notizia, attraverso la sua domestica pettegola, arriva a Dagospia con Roberto D'Agostino che, in persona, detta uno dei suoi titoli cubitali e sensazionalistici: «La proposta di candidarmi a sindaco - svela Verdone - mi è stata fatta veramente. Non posso dire da chi ma sono venuti anche con un sondaggio che mi dava al 70 per cento. Ci ho messo però appena 30 minuti per rispondere che so fare solo un lavoro, quello che ho iniziato nel lontano 1971 in un teatrino universitario». Pedro Armocida
"Non toglietemi il cinema". Vita da Carlo, Verdone racconta i 44 anni da attore: “Mi chiedono di tutto, anche di fare il sindaco”. Riccardo Annibali su Il Riformista il 22 Ottobre 2021. Le pagine della sceneggiatura della vita di Carlo Verdone hanno sfiorato anche la politica. Nei primi episodi di Vita da Carlo, la sua prima serie tv che mescola realtà e fantasia dopo 44 anni di lavoro passati dietro e davanti alla macchina da presa, a Verdone viene proposto da un certo presidente della Regione Lazio (tal Signoretti) di candidarsi a sindaco di Roma. E la notizia, prima ancora che il regista risponda qualcosa, viene diffusa sui social. “Mi è accaduto davvero qualche anno fa – racconta l’attore – sono venuti con sondaggi mostruosi, il 70 per cento degli intervistati mi avrebbe votato. Ma io in 30 minuti ho detto no: nella vita se mi togliete il cinema, che è la mia esistenza dal lontano 1971 quando ho cominciato in un teatrino universitario, non penso di fare altro, per amministrare la città ci vuole preparazione“. “La cosa è caduta, ringraziando Dio. Al neo eletto Gualtieri dico che è fondamentale avere una squadra forte, rapida, determinata e soprattutto onesta. Che deve cominciare ad abbattere la burocrazia che blocca questa città, sono sette anni che non si può rimettere un marmo al Gianicolo dopo che un fulmine lo ha rovinato e quando ho chiesto alla ex sindaca Raggi perché, mi ha risposto che ci sono 3 sovrintendenze a dire la loro, ma non sono in accordo”, ha detto Verdone. “Bisogna togliere la zozzeria, deve ripartire velocemente la manutenzione e poi lavorare sulle periferie, i trasporti, dare vita ad attività, aprire librerie che danno vita e dignità”, continua, poi parla della città: “a Roma voglio troppo bene“. E si infiamma: “‘Na libreria che da vita alle strade, da’ dignità anche estetica”. La nuovissima serie tv che “se avrà successo forse si fa anche una seconda stagione” dice l’attore, racconta cosa significa essere Carlo Verdone. “Non hai privacy, ti chiedono selfie in ogni situazione, ti trascinano, ti prendono per la giacchetta, ti propongono qualunque cosa. Ti chiedono come guarire da qualche malattia sapendo che sei informato quasi come un medico. Poi con te vogliono ridere e ti chiedono di fare sempre lo stesso film con i personaggi che tutta Italia recita a memoria”. “Il 35-40 per cento di quello che si vede fa parte della mia vita, racconta me stesso, le mie fragilità, i miei tormenti”, dice il regista, autore e protagonista. La fiction che andrà in streaming su Prime Video dal 5 novembre, mescola realtà e fantasia, e oltre Verdone c’è uno strepitoso ‘migliore amico’ Max Tortora. Carlo Verdone racconta: “Il progetto è nato come una sfida, una novità, e mi è piaciuta, mi piaceva tanto raccontare la mia vita privata quello che mi capita e però avere più libertà rispetto ai film, non essere ossessionato dai tempi comici, sapere di poter raccontare con un tempo lungo in cui può accadere tutto. Ho vissuto una bella esperienza, piena di verità e con meno ansia. Abbiamo scritto in soli due mesi 10 puntate. Sono felice di un cast bellissimo con tante opportunità per i giovani. A questa età avere giovani accanto, indirizzarli è una bella soddisfazione”. Nella serie Verdone sogna di vincere Cannes, di avere la sua faccia sulla copertina di Cahiers du cinéma e di fare un film drammatico che sia di svolta. Più che una serie tv, forse la confessione di un ‘condannato’ a dover far ridere. La sceneggiatura, che ruota attorno a questa ‘tragedia di un uomo comico’ è stata scritta con Nicola Guaglianone, Menotti, Pasquale Plastino, Ciro Zecca, Luca Mastrogiovanni e diretta insieme ad Arnaldo Catinari. Andrà in onda su Amazon Original, prodotta da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis è stata presentata alla Festa di Roma accompagnata dal cast che comprende tra i tantissimi oltre a Tortora, Anita Caprioli, Monica Guerritore. Riccardo Annibali
Paola Italiano per “la Stampa” il 19 ottobre 2021. Ne stiamo uscendo perché la maggior parte della popolazione è stata disciplinata, ha fatto quello che doveva fare»: parte l'applauso per Carlo Verdone, e sentirne il fragore fa impressione all'Auditorium del Lingotto di Torino, in una sala piena, un'aria di quasi normalità filtrata dalle mascherine. Sul palco al Salone del Libro il direttore de La Stampa Massimo Giannini scherza con il regista sulla sua ben nota competenza scientifica: «Medico mancato, impropriamente definito ipocondriaco» lo stuzzica Giannini chiacchierando con lui. Che si schermisce, ma è vero che Verdone ne sa parecchio, si capisce anche in alcuni episodi del suo libro La Carezza della Memoria (Bompiani), i ricordi di una vita ripercorsi con ironia e malinconia, «perché non vorrei passare per l'attore comico che deve per forza scrivere un libro che fa ridere, volevo offrire al pubblico un'immagine vera».
Infatti il libro è una scatola della memoria che fa pensare e a volte commuove: come ti è venuta l'idea di scriverlo?
«Nasce dalla mia immobilità a casa, avevo un grosso problema alle anche, quasi non camminavo più, fino a quando ho deciso di farmi operare. Poi, il giorno prima del lockdown ero al telefono con Paolo Sorrentino. Eravamo preoccupati, lui mi ha detto: "Dobbiamo fare in modo che questo periodo non sia perso, ma guadagnato. Dobbiamo metterci a scrivere, anticipare i progetti, perché prima o poi finirà, no?". Questo mi ha dato la carica. Il giorno dopo prendo tra le mani un vecchio scatolone, ma sento un dolore spaventoso alle gambe e mi cade: per terra si sono sparsi centinaia di oggetti e fotografie. Ognuno era una storia, un ricordo. Ho cominciato a scrivere».
Le prime pagine descrivono una notte romana densa e silenziosa, che già lasciava intuire il buio in cui stavamo entrando con il Covid. Possiamo dire che grazie a vaccini e Green Pass ne stiamo uscendo?
«Sì, perché la maggior parte della gente è stata disciplinata. Io ho provato a parlare con chi non è d'accordo: ma è complicato avere uno scambio dialettico, hanno idee radicate».
Sembrava che venerdì l'Italia dovesse paralizzarsi, invece chi dice no si è dimostrata una minoranza che non ci condiziona. Sbaglio?
«Il nostro Paese a volte è un po' cialtrone e caotico. Ma è stato disciplinato. Dove sono stati indisciplinati, soprattutto nell'Europa dell'Est, hanno le terapie intensive ancora piene. Sbaglia chi dice che il vaccino è stato fatto di corsa: gli scienziati erano molto avanti perché stavano studiando il Sars Cov 1, erano già al 65% nella soluzione del problema. Poi, chiaro che qualche evento avverso arriva, ma succede anche con gli antinfiammatori, pure con il viagra».
Medico mancato un po' lo sei. Penso alla storia del treno.
«Tornavo da Verona con il mio amico e critico Mario Sesti. Parte un annuncio: "Per favore un medico con urgenza alla carrozza 4". Dopo cinque minuti: "Ripetiamo, un medico alla carrozza 4 con urgenza". Mario mi dice: "Vacce te, Carlo". Vado e trovo un capotreno steso nel corridoio, iperventilato, sudato, bianco come un lenzuolo. Uno all'infarto ci pensa. Allora dico "scusate, per cortesia, fate passare". Gli dico di descrivermi i sintomi: nessuno, tranne il senso di oppressione al petto. Penso a un attacco di panico e gli chiedo: ma che problemi c'ha lei? È cominciato un film: tradimento della moglie, andata via di casa, con il suo migliore amico. Alla fine gli do una pastiglia di Serpax, dopo mezz' ora si sente meglio e lo dice a tutto il treno e mi vengono a bussare tutti i passeggeri: "Posso sapere che pasticca ha dato al capotreno?". Sui treni ci ho passato tanto tempo: sono una miniera per me che sono uno che osserva le persone, i tic e le manie. E poi diventano personaggi».
Diventano Furio.
«Infatti Furio non è mica tanto inventato: era il corteggiatore della mia migliore amica».
Bianco, Rosso e Verdoneha compiuto 40 anni: tra i personaggi più esilaranti che attraversavano l'Italia per andare a votare c'era Pasquale, l'emigrato che parte da Monaco e torna a Matera. Oggi si vota, cosa farebbe Pasquale?
«Oggi non si rifarebbe quel viaggio, resterebbe a Monaco».
Uno dei capitoli più commoventi è invece quello sulla signora Stella.
«Una donna in un bar mi dice che la sorella vorrebbe incontrarmi. Era una malata terminale. Mi dice "grazie, perché i suoi film mi hanno fatto compagnia durante la terapia del dolore. Lei è un ottimo ansiolitico". Ho capito quanto la professione di regista attore è importante. E che anche facendo ridere bisogna lavorare con serietà: abbiamo un grandissimo potere»
Valerio Cappelli per il "Corriere della Sera" il 21 marzo 2021. Nel tempo, Carlo Verdone ha sdoganato la nostalgia. Proviamo ad ampliare i suoi ricordi, a riavvolgere il film della sua vita. «Senza ricordi non esistiamo», dice l' attore romano che ha compiuto 70 anni e da quaranta ci fa sorridere e riflettere. I ricordi li racconta nei suoi libri. L' ultimo è La carezza della memoria (edito da Bompiani) che nasce da uno scatolone dimenticato in un armadio pieno di foto e appunti e ritrovato durante il lockdown. «Dietro c' era un racconto, qualcosa da dire. Tanti episodi li avevo rimossi».
C' è una sua foto con Nuti e Troisi.
«La fece Alberto Sordi. Eravamo a un premio, siamo stati il terremoto della commedia, gli uomini nei nostri film sono fragili e non più rimorchiatori seriali, le donne da oggetto diventano forti. Mi spiace tanto che Francesco non stia bene e Massimo non ci sia più. Sono rimasto io, magari avremmo potuto lavorare insieme, mi sento orfano».
Ci sono ritratti femminili potenti nel libro.
«Una scelta casuale, non mi sono messo a dire: facciamo il ritratto di donne. Il loro è un pianeta interessantissimo. La terrorista incontrata in treno, la malata terminale... Sulla giovane prostituta acqua e sapone che incontrai da ragazzo, a cui mostrai Roma in Lambretta e in seguito ebbe due gemelli, si potrebbe trarre un film. De Laurentiis ha acquistato i diritti cinematografici del libro».
Chi è stato il primo a credere in lei, a parte Sergio Leone?
«Umberto Smaila. Era un ragazzo spiritoso che tirava su il morale a tutti, non sentiva invidie o gelosie. Fu il mio antidepressivo a Torino (all' epoca grigia e un po' cadente), dove facevamo Non Stop , il programma Rai che mi lanciò. Poco dopo a Siena debuttai a teatro, Umberto era in sala e non lo sapevo. Mi disse: ho visto un grande attore. L'abbracciai. Avevo trent' anni».
I suoi film nascono dall' osservazione di quartiere.
«Ho fatto crescere la mia sensibilità sotto l' impulso di una famiglia che mi ha dato l' ironia e i precetti di vita. È importante frequentare la gente. Papà (lo storico del cinema Mario Verdone, ndr ) mi portava sempre con lui in viaggio. Nella Praga comunista segnata dalla diffidenza mi presentò il drammaturgo Zdenek Digrin, sembrava uscito da un racconto di Cechov, una persona di una dignità, di una eleganza... Io amavo la fotografia e lui mi disse che è qualcosa di intimo, uno stupore che non va spiegato. Finì a fare il portiere di notte perché sgradito al regime. Quella sera c' erano tanti attori di teatro, era come stare sul set di La vita degli altri ».
Lei ha lavorato col suo mito, De Niro.
«In Manuale d' amore 3, un' occasione sprecata. Fu una scena sciocca, avrei voluto ampliarla ma gli attori sono nelle mani dei loro agenti e quando comunicarono che si sarebbe triplicato il compenso De Laurentiis disse che non se ne faceva nulla».
Si arrabbia quando le danno dell' ipocondriaco, ma non l' ha alimentata lei questa «diceria» con le scene dei suoi film?
«Sì, ma in Maledetto il giorno che t' ho incontrato racconto la fragilità degli Anni 90, quando andava di moda lo psicoanalista, disagio tipico della società occidentale. Lo vedi un africano che va dallo sciamano? Ma quello deve trova' il pane, l' acqua, e se è in crisi con la sua donna ne trova un' altra».
Da dove nasce la sua comicità?
«Da un misto di timidezza e euforia, quando l' inadeguatezza si trasforma in adrenalina, e ti vengono fuori una concentrazione e una forza pazzesche. Ho sofferto tanto di timidezza, ero convinto di non avere tutto questo talento, mi sentivo fuori posto, poi ho capito che funzionavo col pubblico. Ma la paura è rimasta, non è che comincio un lavoro e via. La notte prima non dormo».
I medici sono i protagonisti del suo nuovo film, Si vive una volta sola . Doveva uscire più di un anno fa...
«Abbiamo aspettato finché era possibile. Un miracolo che non s' è mai avverato. Eravamo convinti che prima o poi ce l' avremmo fatta. A maggio, a settembre... A Natale le cose sono peggiorate. È diventato complicato tenerlo bloccato, perché c' è il pericolo che il film invecchi. Finiremo su una piattaforma. Abbiamo sperato in tutti i modi ma non puoi tenerlo fermo per un anno».
Le sale diventeranno i cinema d' essai di una volta, una nicchia?
«Oggi sono il posto più sicuro del mondo, si entra in pochi, con la mascherina. Non vorrei che tutti si abituassero al divano. A casa ti squilla il telefono, il cane abbaia, c' è sempre qualcuno che parla. È un' interruzione continua. Il cinema è il tempio dell' immagine. La condizione dell' aggregazione e la condivisione sono fondamentali. Se anche Scorsese e Ridley Scott si sono messi a scrivere serie tv, anche loro pensano che non finirà presto, io stesso ho finito di scrivere la serie Vita da Carlo per Amazon: la mia vita vera al venti per cento e all' ottanta è romanzata. Ma la sala non morirà mai».
Il suo decennio migliore qual è stato?
«Dal 1990 al 2000 è stato fantastico. Un film più bello dell' altro, Maledetto il giorno che t' ho incontrato , Al lupo al lupo , Perdiamoci di vista , Viaggi di Nozze . Ora è stato finalmente rivalutato C' era un cinese in coma . Non posso più fare quei personaggi ma commedie ben scritte e interpretate».
Qual è un luogo che l' ha ispirata?
«Le bische. Erano luoghi tipici degli Anni 60 e 70, i flipper, i biliardi, erano un teatro dell' umanità, vi trovavi chiunque, il malandrino, quello che aveva soltanto il vizio del gioco... Io ero un borghese curioso di tutto. In quel minestrone riuscivi a selezionare l' apparato umano, è lì che mi sono allenato per i miei personaggi eccessivi. Oggi sono tutti uguali, vai in un locale fuori dal raccordo anulare tipo Las Vegas, vedi gente silenziosa e ti chiedi: ma chi sono questi? Tutti con il Rolex, vero o finto».
Ha un ricordo meno conosciuto di Alberto Sordi?
«Era una persona buona, quando entrava a casa era l' esatto contrario di come appariva, geloso del suo ordine maniacale e della sua privacy. Le serrande erano per tre quarti abbassate, diceva per non far prendere luce ai quadri ma era come il suo ponte levatoio alzato, a casa voleva sentire soltanto il silenzio. Alla proiezione di In viaggio con papà mi ero preparato ai tagli, invece si tagliò lui. Le cose belle bisogna lasciarle, mi disse».
A parte Roma e Siena che è la città di suo padre e del suo debutto teatrale, c' è un' altra città importante?
«Gorizia. Quando uscii da quella piccola stazione, mi trovai in un luogo dove tutto era sospeso, in un silenzio irreale, come per non offendere la memoria dei soldati morti nelle montagne di fronte».
Il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi nei suoi primi discorsi ha citato la parola cultura.
«Abbiamo un leader serio, importante, che ha studiato veramente. I dissidenti dei 5 Stelle? Persone perbene e inadeguate, ma non voglio giudicare. A Conte non puoi dirgli nulla, anzi troppo aveva fatto, un avvocato e professore che non aveva mai fatto politica e deve gestire una situazione catastrofica...».
Il film della sua vita qual è?
« La dolce vita . Fellini non è solo un grande regista, è stato un grande psicologo delle fragilità, un controllore della temperatura che c' era in Italia. Si voltava pagina. E poi Fellini non ha mai rappresentato la cattiveria, semmai i perfidi li ridicolizzava. Cercava la poesia ovunque».
Lei ha incontrato il Papa.
«Gli ho mandato il libro con una dedica, ho impiegato un bel po' a scriverla. Un uomo veramente notevole, sa ascoltare, nella sua semplicità e umiltà arriva a profondità spaventose. Sembra una brava persona incontrata al bar, piano piano eleva gli argomenti a livelli altissimi e resti come ipnotizzato».
Della sua passione per il rock sappiamo tutto. E la musica classica?
«È un conforto della maturità. Arrivi a un momento della vita in cui il rock ti ha dato molto e hai bisogno di pace, di intimità, di serenità. Se sei un vero amante della musica, scalino dopo scalino ti appare Mahler e la sua contemplazione del dolore. I miei genitori frequentavano musicisti, ricordo una sera a cena da noi Leonard Bernstein, a destra la sigaretta, a sinistra il whisky. E mia moglie Gianna lo imboccava, tenendo sospesa la forchetta mentre cercava di non sporcargli il foulard. Mio fratello Luca è un grande esperto di classica, ha una cultura mille volte superiore alla mia, siamo molto legati ma da piccolo gliene ho fatte di tutti i colori, quando aveva quattro mesi gli ficcai un pezzetto di pane in bocca tentando di soffocarlo, gli rovesciai la culla facendolo rotolare nel corridoio...».
Lei crede nei ricordi, ma questo è un Paese senza memoria.
«Il libro è l' esercizio di una persona che ridà vita a cose che sembrerebbero morte. Invece messe su carta stampata... Il passato è vita, l' unica certezza che abbiamo. Il presente è la pandemia, il futuro è nebuloso. L' unico conforto è nella nostalgia, che non è una resa. Il libro è come andare in una sala di proiezione del tempo e farti accarezzare l' anima».
Carlo Verdone, ricordi, gag e aneddoti ne La carezza della memoria, il nuovo libro un sacco bello. Cristina Orazi su Il Quotidiano del Sud il 15 febbraio 2021. Il nostro amato Carlo Verdone, 70 anni appena compiuti e oltre 40 di carriera, ci regala un altro libro pieno di aneddoti, dolcezza, momenti personali. Dopo nove anni dalla pubblicazione de “La Casa Sopra i Portici”, domani uscirà il suo nuovo libro, “La carezza della memoria”, edito da Bompiani. Un modo gentile per essere comunque presente vista la prolungata attesa per l’uscita in sala del suo ultimo film bloccato dal coronavirus esattamente un anno fa, Si vive una volta sola. Film che Carlo, ed i suoi produttori e distributori Aurelio De Laurentiis e Nicola Maccanico, hanno strenuamente difeso dalle suggestioni e tentazioni delle piattaforme. Per quello bisognerà attendere Vita da Carlo, prossimamente su Amazon Prime Video, scritto da Guaglianone e Menotti, dove l’amato attore di Borotalco e Compagni di Scuola racconta “semplicemente” se stesso. Ma intanto godiamoci questo libro. «L’ho scritto in 10 mesi – racconta – ha visto le prime pagine durante il lockdown del marzo scorso, per esser completato poco prima di Natale. Tutto ha preso l’avvio da un grosso scatolone sigillato dal mio compianto segretario Ivo Di Persio nel 2013, sul quale aveva scritto “foto, lettere e documenti da riordinare”. Nella solitudine di una giornata di clausura per la pandemia ho deciso di aprire quel grosso cartone. Ricordo la pesantezza e la difficoltà che avevo nel muovermi a causa delle mie anche senza cartilagini, tant’ è che prima di appoggiarlo mi sono bloccato per il dolore e lo scatolone è caduto rompendosi. Davanti a me foto vecchie, recenti, a colori, in bianco e nero, polaroid, lettere, piccoli oggetti, disegni, agende. Seduto su una sedia osservavo tutta quella roba sparpagliata in terra. Ma ogni oggetto, ogni foto, ogni elemento aveva una storia da raccontare, un momento della mia vita che avevo in parte rimosso. E così proprio quel giorno decisi che il libro sarebbe stato il ritornare nel ricordo di quello che vedevo sparso in terra. Pensavo di aver già raccontato molto nei due libri precedenti, ma c’era ancora qualcosa da offrire ai lettori. E così il giorno stesso ho iniziato a scrivere il primo capitolo. Avevo trovato la spinta per iniziare a ripercorrere tempi lontani, momenti attuali, storie sentimentali, episodi esilaranti, incontri dolenti, vicende piene di stupore e poesia che meritavano di esser fermati prima che l’oblio li cancellasse dalla mia mente. Mi sono emozionato a scriverlo perché entravo nel labirinto della memoria. Spero che qualche pagina possa farvi compagnia come una carezza. Ho raccontato di me. Ma qualche emozione forse riguarderà anche voi, ne sono certo». Un racconto molto personale, cinema e film sono volutamente esclusi. «Non ho voluto toccare nei vari racconti il cinema e i miei film. Non sarebbe stato un libro originale e avrebbe dato alla fine l’idea di una autocelebrazione. Cosa che volevo assolutamente evitare. Si raccontano episodi molto privati con gran coraggio. Ci sono ricordi legati al teatro che iniziai nel 1977 e terminai nel 1981. Ci sono persone normali con una storia profonda da raccontare. Ora comica, ora assurda, ora dolente. C’è la vita normale di tutti i giorni in un arco temporale molto vasto. Io sono coprotagonista insieme alle persone che racconto. Non sono il protagonista assoluto. E protagoniste in alcuni capitoli sono città quali Roma, Napoli, Siena, Gorizia e Torino. Città in cui è avvenuto qualcosa degno di esser raccontato. La forza di questo libro, credo, dovrebbe essere l’assoluta sincerità e la mia vera anima alla ricerca dello stupore nelle persone belle, profonde e nei cialtroni. Giudicherete voi il libro da quello che vi lascerà. Ma sarà difficile che qualcosa non vi tocchi. Almeno lo spero».
Francesco Persili per Dagospia il 18 febbraio 2021. “Ostia. Onde di preservativi che scivolano sulla sabbia…”. Evtusenko se la tirava come se fosse il più grande poeta del mondo. Dario Bellezza dava dei fascisti ai presenti e uno svalvolato mostrava i genitali alla folla. La bolgia infernale del festival dei Poeti di Castelporziano nel 1979 descritta da Carlo Verdone nel suo nuovo libro (“La carezza della memoria”, Bompiani Overlook) vale da sola un film. Il mare lurido, le pernacchie, le urla. “Mio padre pasce le pecore, è ‘no stronzo”, “M’avete rubato la radio della maghina”, “Guardate che qua c’è un morto” (e di morti ce ne furono per overdose). Sulla spiaggia disperazione e provocazione, orde di coatti antichi, tossici e intellettuali spompi che danno ragione a Woody Allen (“la bocca è quell’organo sessuale che alcuni depravati usano per parlare”). Una colossale caciara culminata nell’assalto al minestrone sul palco. Quel finale da commedia all’italiana di una delle manifestazioni di culto dell’Estate romana organizzata da Renato Nicolini “segnò l’epilogo di ciò che di buono era nato nel Sessantotto”, scrive Verdone. Davanti ai fuochi fatui di una Capitale pandemica e spettrale, l’attore-regista cattura la scintilla di una romanità perduta, forse sparita per sempre, che divampa nelle pagine dedicate al furore creativo di una città papalina e democristiana risvegliata da una scossa adrenalinica nel cuore di tenebra dei Settanta. Riff di chitarra, assoli di batteria, teatri off, laboratori, cantine, club, la liberazione dalla paura degli anni di piombo attraverso la musica, l’arte e la cultura. Concerti memorabili. Gli Who che sul palco del Palazzo dello Sport sfasciano tutto. Il batterista Keith Moon che tira un televisore dalla finestra dell’hotel a un fan esagitato. E quello: “A stronzo, ti ho chiesto un saluto, mica te volevo sparà”. Roma è stata sempre un grande teatro. Battutacce feroci e improvvisazione, iperrealismo da fraschetta e cialtroneria. Si recita a soggetto ovunque: al bar, per strada, nelle bische in cui la realtà supera sempre la fantasia. Inarrivabile la performance del coatto superdotato che trattava il flipper come una donna sottomessa (“E godi, li mortacci tua, io te sfonno, te sfonno”) prima di cacciarselo fuori e “di alzare il secchio con il suo arnese” tra le risate dei presenti. La luce di Roma cambia in fretta. E illumina di colori sempre nuovi quel set a cielo aperto popolato da galli cedroni, Manuel Fantoni, personaggioni in cerca d’autore. Tra carezze e schiaffi della memoria, emerge l’anima profonda, popolare e cazzona, di questa città. E al tempo di Tinder anche “i mignottari” che compulsavano sul Messaggero gli annunci delle massaggiatrici hanno una loro poesia. Peccato solo che non ci sia più il festival, e il minestrone, a Castelporziano…
«Bianco Rosso e Verdone» compie 40 anni: 4 motivi per cui è un cult che non tramonta mai. Filippo Mazzarella su Il Corriere della Sera il 20/2/2021. Dopo «Un sacco bello», l’attore e regista romano si ripete con una straordinaria prova «trina», una sequela di battute leggendarie e caratteristi indimenticabili come Brega e la Sora Lella. Nell’autunno del 1980, dopo il grande successo di Un sacco bello, uscito a gennaio di quello stesso anno, Carlo Verdone e Sergio Leone (che già ne aveva prodotto l’esordio) erano alle prese con la lavorazione della “difficile opera seconda” che il pubblico attendeva: Bianco, rosso e Verdone. I motivi per non essere tranquilli c’erano tutti: Leone, scaramanticamente, non vedeva di buon occhio il titolo (troppo simile a Bianco, rosso e…, 1972, di Lattuada, con la Loren e Celentano, che fu un mezzo flop), mentre Verdone, malgrado la decisione di riproporre un film “tripartito” e cimentarsi nuovamente con tre personaggi principali, temeva “psicosomaticamente” di andare incontro a un insuccesso. Oggi, 20 febbraio 2021, il film compie trionfalmente i suoi primi quarant’anni. Non è invecchiato di un giorno, per forza comica e simbolica, è diventato -da subito- un cult per il pubblico (è con ogni probabilità il film di Verdone di cui chiunque conosce a memoria almeno una dozzina di battute) e va salutato come uno dei risultati più alti e compatti della filmografia dell’attore/regista romano dopo il capolavoro Compagni di scuola (1988) e il parimenti riuscito e successivo Borotalco.
Nel 1981 esce nelle sale il secondo film di Verdone: Bianco, rosso e... Culto inarrivabile. Dopo “Un sacco bello” un altro film a personaggi Mario Brega e la Sora Lella caratteristi memorabili. Maurizio Ermisino su Il Quotidiano del Sud il 15 febbraio 2021. Uno splendido quarantenne. No, non parliamo di Nanni Moretti, ma di Bianco rosso e Verdone, il secondo film di Carlo Verdone che usciva nelle sale il 20 febbraio del 1981. Dopo il successo del suo primo film, Un sacco bello, Verdone aveva deciso di fare ancora un film con più personaggi. Il primo è Furio, che riprendeva il personaggio di Zio Corrado, un professore (un latinista) che frequentava casa Verdone, ma anche di molti altri personaggi che sembravano avere il DNA comune della pignoleria. Poi c’è Mimmo, il tontolone (anzi, “grande, grosso e fregnone”) che riprendeva il Leo di Un sacco bello (e come lui era ispirato a Stefano, un vicino di casa di Verdone): stavolta doveva avere vicino non una ragazza, ma una nonna. E infine Pasquale Amitrano, l’emigrante italiano, un personaggio che non doveva parlare, ma comunicare attraverso le sue espressioni. I tre personaggi si spostano in macchina per andare a votare. Scelti i personaggi, si trattava di scegliere i comprimari: Sergio Leone, produttore del film, non era convinto della scelta della Sora Lella nella parte della nonna di Mimmo. Continuava a dire “c’ha er colesterolo alto, non ce l’assicurano, se ce more restiamo senza coprotagonista, famo le corna, và!”. Nell’episodio tornava in scena ancora una volta Mario Brega, nella parte del camionista Principe, quello di “sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma”, che fu scritta apposta per lui. Uomo d’onore, sul set se la prendeva molto se Carlo non salutava il suo amico Sergio Leone prima di andarsene. “Quel film apparteneva ad un’altra epoca, che non c’è più”, ha raccontato qualche tempo fa Verdone. “Il fatto di avere a che fare con un produttore come Leone, gli ultimi due grandi caratteristi come Mario Brega e la Sora Lella è stato qualcosa di unico. Era un passato ricco di facce, di persone”. Ed era un periodo pionieristico per il cinema italiano. Si girava sulla Roma – L’Aquila e la sera si tornava a casa per risparmiare l’albergo. Era ottobre, e ad Assergi, vicino L’Aquila, e anche al Gran Sasso, c’erano circa 5 gradi. Ma doveva sembrare piena estate: Verdone, quasi sempre in maniche corte, si ammalò quasi subito. Oggi Bianco, rosso e Verdone è un cult movie che non ci stanchiamo mai di vedere e rivedere. Ma, appena arrivato nelle sale, non ebbe un grandissimo successo, a causa anche dell’uscita di Ricomincio da tre di Massimo Troisi prodotto da Fulvio Lucisano. Carlo Verdone, in quell’occasione, arrivò al punto di pensare di smettere di fare film. Fino a che non gli telefonò Mario Cecchi Gori e gli propose un contratto per quattro film. Il primo fu Borotalco (consigliata la visione del doc Cecchi Gori su Sky on demand diretto da Marco Spagnoli e Simone Isola). Sergio Leone pare non amasse molto il carattere di Furio, pensava che non facesse ridere e risultasse antipatico. Per testare la riuscita del personaggio, allora, organizzò una proiezione a casa sua con Alberto Sordi, Monica Vitti e Paulo Roberto Falcao per cercare di capire le reazioni di quel pubblico privilegiato. Alla fine della proiezione Alberto Sordi abbracciò Carlo e gli disse: “Abbracciami, amore mio… quel marito è una cosa straordinaria!”.
Estratto del libro “La carezza della memoria” pubblicato da “il Messaggero” il 16 febbraio 2021. Negli anni sessanta e settanta a Roma, come credo anche in altre città, esistevano le bische. Erano frequentate da gente poco raccomandabile e vi si praticava il gioco d' azzardo. Spesso i gestori per ingannare la legge davano ai loro locali dei nomi che erano bizzarre sigle di ispirazione culturale, tipo CADAIM, che voleva dire Centro Affermazione Divulgazione Arte Italiana nel Mondo. Ma cultura de che? A me e ai miei amici veniva da ridere, perché bisognava avere la faccia come il culo per chiamare così un centro di riciclo di soldi sporchi, usura e traffico di gioielli rubati. Poi aprirono anche dei locali che pur mantenendo il nome equivoco di bische erano in realtà destinati ai ragazzi, studenti come noi, ma anche malandrini e nullafacenti. Non ci si giocava a poker, ma a flipper e biliardino. Una volta che cominciavi a giocare a flipper eri fregato, perché ci saresti tornato spesso, drogato dai suoni, dalle luci colorate, dalla sfida continua alla tua prontezza di riflessi nel lanciare la biglia, stopparla e indirizzarla verso un obiettivo in grado di farti guadagnare punti. La vera goduria era poter battere il record che qualcuno aveva inciso sulla cornice del flipper. Non ci riuscivi mai, ma era già un successo anche solo avvicinarsi a quel numero composto da sei cifre alte.
L' AMICO. Un giorno Giovanni, il mio migliore amico, mi chiese di accompagnarlo in una bisca dove non eravamo mai stati. Si trovava vicino a piazza del Monte di Pietà, alla fine di via dei Pettinari. Quel giorno, dopo pranzo, arrivammo di fronte al grande portone d' ingresso di questa oscura bisca. Fuori, appoggiato al muro, un cinquantenne col capello un po' lungo e qualche mèche. Aveva un soprannome, Er Saraga: anni dopo lo ritrovai sul giornale, in cronaca nera. Era stato ammazzato a colpi di pistola. Abbronzato, pieno di ori al collo e ai polsi, fuma e fissa una bella donna che gli passa davanti in jeans attillati e capelli al vento. Con tono da rimorchio d' altri tempi le dice: «A bella cavalla... Se cerchi 'n fantino l' hai trovato». E così dicendo con una mano si palpeggia la patta dei pantaloni. Ridemmo tanto. E quel gesto diventò negli anni a venire il mio cavallo di battaglia nella rappresentazione del bullo di Un sacco bello.
LO STANZONE. Entrammo. Era uno stanzone immenso, con un forte odore di umidità e i muri scrostati. A tutte e quattro le pareti erano addossati tanti flipper, tutti occupati. Fumavano quasi tutti, e l' ambiente aveva un che di irreale: un girone sinistro di drogati del gioco. Nessuno parlava, si sentivano solo gli urti della biglia di acciaio sui bumper colorati che facevano scattare il punteggio. Ogni tanto partiva un ma vaffanculo... per un tilt o una biglia persa. Arrivò il nostro turno. Giocammo su un flipper per noi nuovo: si chiamava Luna Shot. Io ero diventato bravino, arrivavo a punteggi molto alti, ma su quel flipper ero un vero disastro. Decisi di spendere l' ultima moneta prima di tornare a casa a studiare. Mentre dividevo la partita con Giovanni, una biglia lui, una biglia io, sentii all' improvviso un gran clamore. Ci voltiamo e vediamo un cafone che più cafone non si può, capelli un po' a banana, occhiali scuri a montatura arcuata antivento, camicia e pantaloni neri. Era accompagnato da un codazzo rumoroso di ragazzi. Si era avvicinato a uno dei tantissimi flipper ma non stava ancora giocando. Si era messo a raccontare qualcosa, ma non riuscivamo a sentire bene. Siccome aveva un tono di voce interessante, rauco e volgare, decidemmo di mollare la partita e andare a sentire. Io e Giovanni eravamo sempre curiosi, perché queste voci di romani sbruffoni regalavano battute memorabili, battute che solo l' immensa creatività della coatteria poteva inventare. L' uomo in nero stava raccontando una scopata che si era fatto il giorno prima. Come un megalomane, davanti a una platea sguaiata, si vantava così: «... stavamo dietro a 'n distributore sulla Collatina. Già j' avevo dato de preliminari...C' ero annato de cesello co' la lingua sopra e sotto pe' mezz' ora. La vedo che nun ce capiva più gnente... Me strillava Sbrigate, famme godé... So' pronta'. E io: Guarda che nun ce riuscimo dentro 'sta màghina... Stamo stretti 'na cifra. Lei me fa: Provace, Silva'...' Ma che ce provo... è 'na centove ntiquattro! Che m' hai preso, pe' 'n contorzionista?' Co' questa che strillava sbrigate! ' nun ce penso du' vorte... Esco senza mutanne e senza camicia, la pijo pe' 'n braccio e 'a stenno sur cofano. Ahó, so' stato venti minuti a fà er pistone. Alla fine m' ha ringraziato... Pensa che quanno avemo finito m' ha fissato co' du' occhi dorci e m' ha detto grazie, Silvano...'. Io j' ho accarezzato i capelli e je ciò caricato: ... dimme che t' ho fatto toccà er cielo co' 'n dito'. Lei me guarda, me bacia e me fa: Er cielo? Ma tu m' hai dato 'a luna co' tutte le stelle...'.»
GLI ALBORI. Io e Giovanni eravamo piegati in due dalle risate, c' eravamo voltati per ridere senza farci vedere. Ci stavamo sentendo male. Dopo, per la strada già cominciavo a recitare per Giovanni quel monologo di rara, comica volgarità. Mi veniva benissimo. Ignaro che un giorno sarebbe diventato uno dei tanti protagonisti della mia vita artistica. E forse l' inizio di Troppo forte è merito anche suo. O tutto suo.
Protagonista di "Ulisse" di Alberto Angela. Chi è Carlotta Proietti, l’attrice e cantante figlia di Gigi Proietti protagonista di “Ulisse”. Vito Califano su Il Riformista il 28 Aprile 2021. Carlotta Proietti sarà tra i protagonisti di Ulisse – Il Piacere della Scoperta. A partire dalle 21:25, su Rai1, stasera partirà la nuova stagione con cinque puntate del format condotto da Alberto Angela con la partecipazione del padre Piero Angela. Primo appuntamento dedicato all’Antica Roma: Le sette meraviglie della Roma imperiale. E quindi Sei Regine per Enrico VIII, sul ‘500 inglese; il mondo degli Etruschi; la vita di San Francesco e Santa Chiara; un’inchiesta sul Pianeta Terra e i cambiamenti climatici. Carlotta Proietti vestirà i panni della Regina Caterina d’Aragona in un cameo nella seconda puntata. Un omaggio al padre, l’indimenticato e indimenticabile Gigi Proietti, scomparso all’improvviso lo scorso due novembre. Una puntata che sarà quindi anche un omaggio all’attore e fondatore del Silvano Toti Globe Theatre di Roma, a Villa Borghese, che aveva ideato e diretto. La puntata sarà dedicata a Enrico VIII e le sue mogli fino alla separazione dell’Inghilterra dalla Chiesa di Roma, con un’epidemia che tenne lontani per lungo tempo Enrico VIII e Anna Bolena. Carlotta Proietti è la seconda figlia di Gigi Proietti e Sagitta Alter. La coppia non si sposò mai. Lei ex guida turistica svedese. Si fidanzarono nel 1962. La sorella maggiore è Susanna, 42 anni, costumista e scenografa. Carlotta è invece cantautrice e attrice. Ha studiato presso l’Accademia del padre e recitato in fiction Rai. Molto teatro. Ha fatto sapere poco tempo fa che dopo quattro mesi riceve ancora messaggi di cordoglio e condoglianze per la scomparsa del padre. Parole emozionanti, lo scorso 2 novembre, dopo la morte dell’artista, all’improvviso, a 80 anni. “Ho pensato tanto a questo momento, l’ho sognato, ne sono stata terrorizzata. Un papà famoso vuol dire tante cose, tra queste non avere un’intimità perché quando esce la ‘notizia’ si scatena lo ‘scoop’… tutte parole che col momento che vivi non c’entrano niente. Malgrado questo però, le vostre parole e tutti i messaggi che ci stanno arrivando corrispondono all’amore che tutti provavate per papà. Voglio dire grazie con tutto il cuore ad ognuno di voi e lo farò, piano piano. Il dolore è forte, ma sappiamo che non è solo nostro, questo lutto è di tutti. Papà ha vissuto per il suo pubblico e il vostro affetto lo dimostra. Grazie e ancora grazie per tutto questo amore”.
I funerali di Gigi Proietti si sono tenuti giovedì 5 novembre a Piazza del Popolo a Roma. L’ultimo saluto allo stesso Globe Theatre. Carlotta Proietti ha raccontato una volta un aneddoto irresistibile sul padre: “Un giorno mamma era davanti alla porta, scura in volto: ‘Ha telefonato la scuola, so che ti hanno scoperta mentre fumavi. E adesso a papà glielo dici tu’. Andai da mio padre. Bussai alla porta del suo studio. ‘Devo confessarti una cosa, papà’. Lui stava sfogliando il giornale. Alzò lo sguardo. ‘Dimmi, amore di papà, che c’è?’. ‘Ecco, vedi … Stamattina a scuola mi hanno scoperta a fumare una sigaretta’. Sorpreso mi domandò: ‘E perché, non si può fumare a scuola?’” In questi giorni è uscito il libro Ndo cojo cojo per Rizzoli. Sonetti e sberleffi fuori da ogni regola, per Rizzoli. Opera postuma di Gigi Proietti, a cura della moglie Sagitta Alter. Un’ottantina di sonetti, poesie, versi liberi, riflessioni dell’attore romano.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Carmen Consoli: «Vorrei che un giorno mio figlio conoscesse il suo papà». Walter Veltroni su Il Corriere della Sera il 9 dicembre 2021. Carmen Consoli è una donna coraggiosa, intelligente, piena di curiosità. Ama il tempo, la musica, i numeri, il sogno, suo figlio che cresce da sola, come fanno tante donne. E anche qualche uomo. Scrive delle canzoni belle, con una voce che disegna. Questo è stato il nostro incontro. Ti ricordi la prima voce musicale che hai sentito nella tua vita? Elvis Presley. Quando l’hai ascoltata? «Avevo sei o sette anni. Ricevetti da mio padre in regalo questo album, si intitolava proprio Flaming Star, c’era un bel ragazzone in copertina. Ascoltai a ripetizione questo disco, neanche tra i più famosi di Elvis Presley. Lo ascoltavo e sognavo, sognavo la voce di questo ragazzo. Ovviamente a casa circolava tanta altra musica: eravamo onnivori. Bruno Martino, tutta la scuola genovese, la scuola siciliana perché la famiglia Consoli era anche amante della musica popolare della mia terra, come quella di Rosa Balistreri. Però c’è una ragione speciale per la quale questo disco mi rimase impresso. Dopo averlo consumato, a forza di ascoltarlo, chiesi a mio padre, che era un vero appassionato e conoscitore di musica: “Papà ma possiamo andare a vedere un suo concerto?”. Papà fu costretto a dare a quella bambina immersa nei sogni e invaghita di Elvis la brutta notizia: “Sai Carmen, purtroppo lui è volato in cielo”. Quando seppi questa notizia piansi per due giorni, a dirotto. Credo che neanche i suoi parenti più stretti abbiano vissuto in modo così drammatico questo lutto. Io ero piccolina e non ci credevo, non capivo. Sentivo questa musica così presente e non riuscivo a comprendere il fatto che lui non ci fosse più, non riuscivo a separare voce e vita».
Carmen Consoli nel cortile della sua casa paterna di Catania, dove ha piantato un ulivo con il padre, scomparso nel 2009 (foto Valentina Sommariva)
La prima canzone che hai cantato con tuo padre? Perché tuo padre era così appassionato di musica?
«Mio padre era un musicista ed uno studioso di musica. Lui non suonava soltanto ad orecchio, reputava che si dovesse approfondire la musica. La musica è talento e fatica, estro e studio. Di recente ho conseguito un Professional certificate in teoria musicale alla Berkeley proprio perché lui mi aveva insegnato che è una materia che si studia. Puoi arrivare ad orecchio alla musica, ma quando la studi ti si apre un mondo affascinante di matematica, di fisica acustica, di connessioni armoniche. Il papà di Marina Rei, purtroppo deceduto in questi giorni, sosteneva che quando smetti di studiare, smetti di suonare. Mio padre non ha mai interrotto la sua ricerca: studiava il jazz, però il primo, quello che germinava dal blues. Quindi ricordo i fraseggi alla chitarra, la sua Gibson e e il suo dannarsi nella ricerca sui gradi delle scale, sulle sostituzioni. E ne parlava con me che ero una bambina piccolina. E in quei momenti mi sentivo importante».
Che rapporto c’è tra musica e numeri?
«Un rapporto molto stretto, tanto è vero che c’è una materia che si chiama matematica applicata alla musica. Per esempio un accordo si forma per sovrapposizione di triadi sulla scala maggiore ed è incredibile come alla fine corrisponda tutto, una specie di prova del nove. Ero abituata a sentire un’armonia che mi dava soddisfazione e gioia, poi alla fine, facendo i calcoli, scoprivo che avevo ragione: era un settimo grado semi diminuito messo in tonalità. Numeri, ai quali ero invece arrivata d’orecchio».
Lo spazio che c’è tra poesia e prosa, tra musica e numeri, è piccolo o grande?
«Potrebbe essere molto piccolo sebbene, se noi pensiamo da un punto di vista matematico, anche nello spazio più piccolo che possiamo considerare c’è una quantità infinita di numeri. Questa è la bellezza della poesia, in qualche modo è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione, ma proprio per questo è un segnale che qualcosa di mistico al di fuori di noi ci circonda e chissà a quale funzione appartiene».
Questa dimensione mistica è più Dio o più i numeri?
«Io questo non lo so, perché non ho le prove e non escludo l’esistenza di Dio. Non ti nascondo che mi piacerebbe che ci fosse. Purtroppo non ho la fede per credere ciecamente a questo. Però mi piacerebbe molto. Se Dio ci fosse, sarebbe una bella notizia».
Prima ti ho chiesto qual è la prima musica che hai ascoltato, l’ultima invece?
«In questi giorni ho riscoperto Suedehead , l’ultimo brano di Morrissey. Sto riascoltando le canzoni di quando ero piccola perché sai, a Catania c’era un mondo musicale e culturale un po’ particolare. Noi volevamo sposare Morrissey, non volevamo sposare Simon Le Bon. Per noi gli Smiths erano i Duran Duran. Da noi c’era Bono Vox, c’era Michael Stipe, Morrissey. Questo era il mondo dei suoni della mia Catania. E riascoltando questi vecchi successi mi rendo conto che la qualità di queste musiche era superiore di gran lunga alle musiche che si producono ora. Oggi è tutto perfetto, ma rischia di essere freddo. È vero che accorciamo i tempi di realizzazione di un brano con il computerino, però vuoi mettere il suono di una chitarra con un amplificatore valvolare? Adesso ci fanno pagare anche di più se abbiamo dei televisori HD, io mi rifiuto di guardare le cose in HD, perché mi sembrano tipo Antenna Sicilia nel 1982. Le cose così spietatamente definite perdono di poesia. Invece era proprio quella sgranatura, quella imperfezione anche del suono, che fornisce, forse forniva, questa forza, questi chiaroscuri e anche questi colori, musicalmente parlando, poetici e forti».
La prima canzone che hai scritto, a quanti anni e come si chiamava?
«Molto presto. Utilizzavo la musica legando il suono alle parole. Era un metodo che mio padre mi aveva insegnato per imparare a memoria le poesie a scuola. Ma anche i canti della Divina Commedia. (Comincia a intonare: Nel mezzo del cammin di nostra vita… ) Se non ricordavo la parola era il suono che mi aiutava. Quando scrivevo i miei diari quasi automaticamente, in realtà, finivo col musicare i miei sentimenti. La prima vera canzone, la prima pubblicata è stata Quello che sento. Fu credo, verso i quindici anni, poi la ripresi, la feci sentire a Virlinzi, che fu il mio primo grande produttore. La presentammo a Sanremo giovani e ci presero».
Nel tuo ultimo album ci sono due brani nei quali compare la stessa espressione: «Sta succedendo». Cosa sta succedendo?
«Io amo moltissimo il verbo succedere che, visto come sostantivo, diventa il successo, ma visto come participio passato indica ciò che è già accaduto. Se mi si chiede: ti piace il successo? Certo, ma è già una cosa che fa parte del passato. Mi sforzo di guardare avanti, a ciò che sta per succedere. Spesso chiudo gli occhi e penso che, malgrado le avversità che ci stiamo ritrovando a vivere, sento nel mio cuore che qualcosa di veramente speciale stia per succedere. Ecco perché mi affascina il “sta succedendo”. C’è un’imminenza dell’avvenire che dipende dalla consapevolezza del passato, cioè di ciò che è già accaduto. La storia come fondamento d’identità, la uso per costruire il mio divenire. Vivo in questi tre piani temporali e infatti affido molto al sogno».
Il sogno a occhi aperti, come desiderio e possibilità?
«È un seme, diventa germoglio, ci permette con il lavoro di oggi di realizzare i nostri sogni. Questo è quello che mi è stato insegnato, io sono grata ai miei genitori per avermi formato così. D’altronde, in Sicilia negli anni ’80, era certo tutto molto bello. La Sicilia è una terra veramente ricca, abitata da persone meravigliose, per cui io ho deciso di far crescere mio figlio qui e di lavorare anche io qui e di tornare a vivere qui».
Negli anni Ottanta però, per sopravvivere, dovevi appellarti al sogno. Un’altra frase che compare in uno dei due brani che ho citato prima è «prepariamoci all’impatto».
Qual è questo impatto?
«La realtà. Quando il sogno si realizza. Dopo tanto tempo che hai impiegato a inseguire il tuo sogno di una cosa, questa non può essere trascurata. Devi godertela. Noi passiamo molto tempo, prima, a sognare le cose ma poi, quando avviene davvero una cosa bella, le dedichiamo pochissimo tempo. Ecco cosa vuol dire prepararsi all’impatto: fare in modo che non sia mai un’aspettativa delusa. Io non credo alle aspettative, credo ai desideri. Questo impatto ci deve stupire. Dobbiamo vivere e prepararci a vivere ciò che abbiamo sempre sognato, ciò per cui abbiamo combattuto».
Presente e futuro: tuo padre e tuo figlio. Cominciamo da tuo figlio. Raccontami di lui e di te con lui.
«Si chiama Carlo Giuseppe, è un bambino che oggi ha otto anni, ha una bella testa, è molto portato per la matematica. Adesso è arrivato anche a capire il meccanismo delle radici quadrate. Non perché sia un genio, solo perché è appassionato e curioso. Suona il pianoforte e la batteria, compone le sue prime canzoni, esprime i suoi sentimenti. È arrivato in me e ha cambiato totalmente la mia visione sul mondo. Uno parla di aspettative che vengono costantemente deluse, disattese. Invece mio figlio è stato più delle aspettative, più del desiderio che io nutrivo; ha proprio cambiato la lettura che io ho del mondo, di tutto quello che vedo, di tutto quello che vivo». Hai deciso che lui sappia in futuro chi è suo padre? «Sì». Mi racconti questa decisione?
«Ho fatto questo intervento a Londra proprio perché c’è la possibilità di poter far conoscere a questi bambini il proprio padre. Quando lui avrà quindici anni per legge conoscerà, se vorrà, il suo papà. Al momento non è intenzionato. Io ho cercato di mandare una lettera per anticipare questo momento perché, chiunque sia questo padre a cui io sono molto grata, secondo me gioirebbe nel vedere un bambino così. Quindi non vorrei fargli perdere l’emozione di farglielo conoscere ora. Però Carlo non è intenzionato, perché ha paura che qualcuno occupi il letto grande. Mi ha detto però una cosa molto importante: “Potresti traumatizzarmi”. I bambini si abituano a dei riti, delle abitudini e il momento in cui si sconvolge il loro equilibrio può essere pericoloso. Lui ha molte figure maschili importanti attorno a sé. Sono tutti i suoi zii, le persone che frequentano questa casa e che gli dedicano veramente tanto tempo». Hai potuto scegliere il padre di tuo figlio?
«Ho potuto scegliere il padre di mio figlio, sì». Sulla base di quali caratteristiche?
«Ho avuto una lista innanzitutto di donatori compatibili. Io sono zero negativo per cui è molto complicata la combinazione anche dal punto di vista biologico. C’erano delle caratteristiche nella sua scheda: gli piace la musica, ha un diploma in pianoforte, ama Bach, Mozart e Beethoven. Lui è medico, studia la filosofia, non è religioso ma ama la filosofia orientale. E anche l’arte contemporanea. Una cosa importantissima è che ama la buona cucina, ha il palato fine. Insomma c’erano tre componenti favorevoli: Bach, la buona cucina, l’intreccio di scienza e musica. D’altra parte è il tipo di persona che forse avrei voluto incontrare, nella vita».
Non hai mai avuto il desiderio di conoscerlo?
«Tantissimo. Ho una curiosità incredibile». Non puoi farlo? «Io ho mandato questa lettera, prima che ci fosse tutta la tempesta del Covid. Adesso provo a sollecitare nuovamente per vedere se si può affrettare questo incontro. Se lui dovesse essere disponibile, la cosa si potrebbe fare. Quindi adesso solleciterei. Sì io sono molto curiosa».
Parlami un po’ di tuo papà. Ogni volta che lo fai ti si inumidiscono gli occhi. «Ironico, non sarcastico. Rideva con, non rideva contro. Ricordo un papà che mi dedicava veramente tanto tempo. A scrivere, a suonare insieme, a spiegare. Mi ricordo un papà chiacchierone che mi spiegava qualsiasi cosa. Di mattina veniva col caffè. Io ero servita e riverita da Peppe Consoli, mio padre. Straviziata da lui. Non ho mai ricevuto uno schiaffo da mio padre, bastava uno sguardo per sentirmi mortificata, quando sbagliavo a fare qualcosa. E poi lui siccome voleva che io suonassi mi mandava nei pub a quindici anni. Ma c’era lui, veniva tra il pubblico con la birra. Era molto fiero. E io felice della sua fierezza».
Quale ti sembra sia la virtù del passato che sta sparendo più pericolosamente? La gentilezza, l’altruismo?
«Empatia. Una notevole diminuzione di empatia, una grande rimonta del narcisismo. Crea sterilità. È tutto usa e getta. Le persone si trattano come se fossero un telefonino. Adesso c’è il nuovo modello quindi cambio. Invece di riparare, perché tanto vale cambiare. Tutto è destinato all’obsolescenza. Ed è brutto, perché ci sentiamo vecchi, ci sentiamo inutili solo perché dobbiamo fare la cosa più bella del mondo: cambiare noi stessi».
Ti sembra che si stia smarrendo anche un po’ di razionalità?
«La fiducia nella scienza, in fondo, è fiducia nel futuro. Il problema è che non si riesce più a scindere il grano dalla gramigna. C’è così tanto...Da una parte è positivo, dall’altra, se non hai una conoscenza e una bussola che ti portino a discernere e a separare bene, praticamente ingurgiti tutto e diventi bulimico di nozioni che non sempre sono vere. Io sono un’illuminista nel cuore: credo molto nella scienza e nel ruolo che la conoscenza ha nell’uomo. È l’origine anche della Rivoluzione francese: un popolo di gente erudita può scegliere, può scegliere in maniera cosciente. E poi in me c’è, in questo campo, un piccolo riferimento alla felicità. Per essere felici bisogna coltivare il tempo. Ci hanno abituato a non aspettare, come se fosse una virtù impiegare meno tempo a fare delle cose. Invece il tempo serve, è utile a sedimentare un dolore, a capire, ad approfondire, a viaggiare. Ad essere felici».
Parliamo del tuo lavoro, che opinione hai dei talent?
«È un trampolino di lancio. Ovviamente io non sarei mai uscita se fossi stata oggi una ragazza di vent’anni. Non ci sarebbe stato spazio per me, perché non ho quelle caratteristiche, non avrei avuto modo neanche di superare le selezioni. Questi ragazzi sono veramente bravissimi, vocalmente parlando, hanno una capacità di esibirsi incredibile, che io non avevo assolutamente. Riescono anche a non far trasparire emotività, quell’emotività che ti fa perdere l’intonazione. Sono perfetti, dei killer. Gino Paoli diceva una cosa incredibile: “Loro sono veri professionisti. Noi siamo dilettanti”. Ha ragione. Loro riescono ad avere un controllo, a vent’anni, che da una parte li aiuta, dall’altra... Non so se sia meglio non emozionarsi e non sbagliare mai».
Hanno meno anima?
«Quello che mi auguro da mamma, guardando questi ragazzi, è che non si facciano travolgere dal sistema. Che chiudano gli occhi e sognino, che pensino sempre a quello che vogliono fare, ad ascoltare il proprio cuore, non quello che c’è intorno a loro. Perché oggi è bianco, domani è nero, non possono essere delle bandiere. Un aforisma molto bello di Seneca dice: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Perciò io auguro a questi ragazzi di prendere presto in mano il timone della propria vita».
A Sanremo tornerai?
«Al momento no, non l’ho previsto e soprattutto non andrei in gara. Ma non perché io mi senta superiore, anzi. Sai perché ho smesso di giocare a tennis? Ero anche bravina, ma mi mortificavo quando segnavo il punto, chiedevo scusa all’avversario. Non riesco purtroppo, anche per educazione familiare, a fare pace con questa idea della competizione. Sono competitiva con me stessa, voglio migliorarmi, però non riesco a concepire la gara, mi mette ansia».
Quant’è che non ti innamori?
«Da tanti anni. L’uomo della mia vita futura, l’ho partorito io». E pensi che non ti innamorerai più? «Non lo so, la probabilità che io possa innamorarmi è alta. Al momento però sto bene così, sono molto felice. Non vivo una pace dei sensi, ma un senso di pace. Mi dedico a mio figlio, faccio la mamma, approfondisco la matematica, frequento la mia università, studio la musica, vado a suonare». Chiudiamo così: la prima sensazione avuta quando hai visto tuo figlio uscire da te. «La prima sensazione, quando l’ho visto, è stata l’amore più grande che il mio cuore potesse provare e persino immaginare. Non credevo di essere in grado di provare un amore così totale».
Carmen Consoli: «A volte noi madri di figli maschi siamo misogine». Il Corriere della Sera il 25 settembre 2021. Virginia Nesi, CorriereTv. La prima volta che Carmen Consoli prova a cantare come una vera artista ha una lampadina in una mano. Con un cavo elettrico attaccato, fa finta di avere un microfono e si fa scattare delle foto per mostrarle ai compagni di scuola. Lo racconta nel Salone di Triennale Milano, durante la Conversazione intima con Andrea Laffranchi. Il 25 agosto ha suonato all’Arena di Verona per i suoi 25 anni di carriera, ma ricorda ancora bene i pub di Catania dove ha fatto le prime esibizioni. «Avevo una band, facevamo blues–racconta–, mi dovevo arrangiare con il microfono e amplificavamo la mia voce ricavando il suono dal nulla». Ancora oggi non usa il riverbero, non è abituata, si giustifica. Il salottino di casa è stato a lungo la sua sala prove. Ha sei anni quando tiene il microfono vero e canta Dimmi quando tu verrai mentre suo padre suona la chitarra. Giocava a fare la rockstar, Carmen Consoli, fino a diventarlo davvero. Quando nel 1995 sale sul palco dell’Ariston per la categoria Sanremo Giovani ha solo 21 anni. È ironica e tagliente nel ricordare il periodo precedente. «A Catania c’era l’attitudine verso l’indie, tutti ascoltavano il R.e.m», ammette. Tutti, eccetto lei che preferiva la musica del passato come le canzoni di Je Airplane e Cridem. «Ero già antica – dice–. La sensazione è quella di essere stata un po’ fuori dal mondo». Voleva fare la sua musica Consoli e aveva trovato un produttore disposto ad assecondare le sue aspirazioni. Oggi come allora pensa che l’unico valore attribuibile alla persona sia quello dell’autenticità. La forza? «Non appartenere alle cose ma far sì che tutto ciò che ti serve possa appartenerti. La mia idea di forza è legata a ciò che sta dentro l’armatura. Non lasciamoci ingannare dall’apparenza». Nascita, gioia, malattia e morte rappresentano, a suo parere, i quattro pilastri della vita da accettare «con dignità». Ma la cantautrice associa la forza anche ai nodi che vengono al pettine perché bisogna «affrontare la vita per come si presenta». La considera un dono della vita, di suo padre, di Dio, la musica. Il suo mezzo per affrontare le sfide e districare quei nodi. «Sono nata con questo talento e l’ho vissuto con molto rispetto– ammette–. Quando si ha la fortuna di abbracciare un’arte, hai anche questa grande opportunità di guardarti dentro e di rielaborarti, di rivederti, ripartorirti canzone dopo canzone». Quindi il riferimento al tempo. Qualcosa che lei tiene a rispettare dato che l’ispirazione va colta solo se arriva perché «nella vita non devo fare per forza la cantante: ho tantissimi interessi. Faccio l’artista se c’è l’urgenza di comunicare qualcosa». Da Catania a Treviso, Consoli prendeva la Freccia del Sud per andare nella città della madre. «I chilometri che stavamo percorrendo ci preparavano all’arrivo – specifica–. Quel viaggio aveva un valore». Dare tempo al tempo significa per lei lasciare spazio ai pensieri e all’«amore del ragionamento». Il problema dell’oggi, lo precisa, è il dover essere tutto programmato, schedato. Costruire una carriera nel settore musicale è difficile. Essere donne vuol dire faticare di più. A suo parere oggi l’universo femminile si mostra più debole. «A volte le madri di figli maschi sono misogine– critica–, spesso siamo noi stesse a contrastare noi stesse». Non ha dubbi: a livello fisico l’uomo è più forte della donna ma, «c’è un’altra forza che supera il muscolo: la passione che è amore, intelligenza, conoscenza». L’importanza del sapere che suo padre ha sempre cercato di trasmetterle. Le diceva di studiare, non scendere mai a compromessi. «Lui era femminista, adorava le donne– ammette–, votava per le femmine perché le ricordavano sua madre». Alla maternità, Carmen Consoli, associa il concetto di bellezza. Come ha raccontato nel podcast Mama non Mama di Barbara Stefanelli, suo figlio Carlo Giuseppe è nato otto anni fa grazie alla fecondazione assistita. La cantautrice è dovuta andare a Londra perché in Italia le tecniche di inseminazione artificiale sono ammesse solo per coppie di sesso diverso. «Si può essere genitori in modi differenti, si può partorire se stessi – dice–, da quando è nato mio figlio io guardo il mondo con un altro sguardo». Diventare madre non è per lei una privazione. Lo impara a esserlo, giorno dopo giorno. Quello che sottolinea è l’importanza di riaffermarsi nell’essere donne. Essere quelle che siamo per esercitare una forza. Complementare, di un altro genere.
· Carmen Russo e Enzo Paolo Turchi.
Da ilfattoquotidiano.it il 14 maggio 2021. Carmen Russo e Enzo Paolo Turchi sono vecchie glorie della tv nazional popolare, celebrità da rotocalco che non tramontano mai. Meno nota e luminosa è però l’immagine che emerge di loro da una brutta storia approdata in tribunale con due cause di lavoro e una denuncia penale per violenza privata. Per come la raccontato S.B e E.C. è una storia di sfruttamento del lavoro irregolare, documentata da video e messaggi vocali con la coppia vip in un contesto dove non mancano villa con piscina, casa in montagna, auto di lusso, barca nonché cachet a molti zeri. Si svolge a Formello, sulle colline tra il Lago di Bracciano e il Tevere. Qui risiede la longeva coppia dello spettacolo, nella grande villa circondata dai boschi dell’Agro Veientano che fa da cornice a tanti servizi patinati che celebrano il trionfo dei buoni sentimenti. Fino a pochi mesi fa a occuparsi di quella tenuta – 450mq e 2mila di verde – era un’altra coppia italiana, ma di modeste e precarie condizioni, che Russo&Turchi avevano ingaggiato per pulire la casa e curare il giardino. “Un rapporto di lavoro che in otto mesi, nonostante le promesse, non è mai stato regolarizzato”, denunciano loro. Per questo motivo al Tribunale del Lavoro di Tivoli sono incardinate due cause civili depositate dall’avvocato Gabriele Colasanti di Roma nelle quali si chiede il riconoscimento del vincolo di dipendenza e subordinazione dei custodi che svolgevano il proprio lavoro sette giorni su sette, festivi infrasettimanali compresi. Niente ferie, festività, straordinari, malattia o permessi per loro. Per documentare il lavoro svolto dai due il legale si è rivolto ad un ufficiale dei carabinieri in congedo, consulente investigativo e analista digitale forense che dai loro cellulari ha estratto messaggi, foto e video. Dalla ricostruzione emerge che la retribuzione, unita all’ospitalità in due stanze, era inizialmente pari a 700 euro ciascuno poi scesi a 500. Nei calcoli del consulente del lavoro si legge di 4.625 euro per sette mesi e mezzo di lavoro, vale a dire 17,65 euro per ognuno dei 262 giorni lavorati: 2,2 euro l’ora, meno della metà di quanto previsto dai contratti di categoria. Senza busta paga, in contanti. Turchi ha il telefono staccato, risponde Carmen Russo: “Quei signori? No, non li conosco, i nomi non mi dicono proprio nulla sa, perché?”. Davanti alle evidenze torna la memoria. La showgirl ammette poi che i due abbiano lavorato “dall’estate fino a Natale nella nostra villa ma quando hanno deciso di andar via è finito il rapporto e sono stati liquidati, non è successo nulla”. Erano assunti regolarmente? “Sicuramente ma adesso questo non lo so perché se ne occupava il nostro commercialista, ma era tutto regolare. Io non sono al corrente di nulla, non abbiamo avuto nessuna comunicazione tra l’altro. Ma sa cosa? Pensando di avere a che fare con dei personaggi cercano di caricare la situazione, tutto lì”. Peccato che il 29 marzo scorso al marito siano stati notificati gli atti giudiziari dei procedimenti in corso. In quelli si precisa che il rapporto era iniziato il primo luglio 2020 grazie a un annuncio sul sito subito.it. Ammaliati dalla figura della coppia vip i due si trasferiscono dal Nord, provincia di Mantova, per lavorare a Formello. A impartire le disposizioni era il solo Turchi. Giusto un anno fa il ballerino lamentava pubblicamente di ricevere “solo” 720 euro di pensione come ex lavoratore dello spettacolo (senza citare altre fonti di reddito come i corsi della scuola di ballo a Palermo, i cachet per presenze tv e interviste etc); ebbene si scopre ora che era più di quanto, in privato, era disposto a riconoscere ai propri domestici che lavoravano a beneficio non solo suo ma dell’intero nucleo familiare e dunque di Carmen Russo, della figlia Maria e dei 15 cagnolini “salvati dalla strada”, tutti esibiti in servizi che toccano il cuore a favor di telecamere. Il 6 gennaio, per dire, quelle di Mattino Cinque entrano a Formello. Riprendono la serena “Epifania a casa di Carmen” tra regali, addobbi e sorrisi. Chi sgurava pavimenti e piastrelle (in nero) non era inquadrato. I buoni sentimenti si spengono insieme ai riflettori. Succede, stando agli atti depositati, quando il custode chiede per l’ennesima volta la regolarizzazione del rapporto di lavoro. Alle rimostranze Turchi, stando alla denuncia-querela depositata a marzo, rispondeva decurtando la retribuzione di 200 euro e aggredendo la coppia intimandone la cacciata. “Nell’urlare queste parole – si legge nelle carte alla Procura di Tivoli – portava a pochi millimetri dal mio viso la sua mano tesa facendo capire al sottoscritto che questa volta si era fermato ma che non sarebbe stato così la prossima volta”. Sull’uscio i domestici riescono a strappare giusto 10 giorni di preavviso dei 30 previsti dalla legge ma dopo otto, il 17 febbraio, vengono messi fuori dal cancello grigio della villa. Senza liquidare alcunché. Turchi – sempre stando ai denuncianti – si rifiuta di pagare le spettanze dovute (calcolate poi in circa 20mila euro) e offre una “liquidazione” da 325 euro ciascuno, ma a condizione che firmino una rinuncia espressa a ogni futura pretesa economica. La coppia, per necessità, ha ritirato la somma a titolo di acconto sulle future spettanze. “In piena pandemia – fa notare l’avvocato Colasanti – si sono ritrovati infatti senza lavoro e senza tutele”. Il Tribunale di Tivoli stabilirà chi ha ragione, ma lo farà con grande calma. Ha fissato un’udienza a dicembre, l’altra per l’8 marzo 2022, tra poco meno di un anno. “Intanto noi facciamo la fame e loro vanno in tv”, è l’unico commento dei malcapitati.
Carol Alt: «Ho amato solo due uomini: Senna e Alexei Yashin. E resto bella con il crudismo». Michela Proietti su Il Corriere della Sera il 13 Dicembre 2021. L’attrice ed ex modella: «Ayrton? Guardava solo me. Il mio compagno Alexei Yashin è 13 anni più giovane: guardo il suo fisico e prendo atto che sono mortale»
È stata, segretamente ma non troppo, la wag più famosa della Formula Uno. Ma Carol Alt, è stata molto di più che la compagna dietro le quinte di Ayrton Senna: modella, attrice, collezionista di copertine (oltre 500), musa di registi e fotografi. Una vita vissuta tra l’America, dove è nata il 1 dicembre del 1960, e l’Italia, «tra Milano e Roma, il posto dove probabilmente sono nata in un’altra vita: solo l’aria che respiro mi fa sentir meglio». Un’icona a cavallo tra i due mondi, che ha da poco festeggiato i suoi primi 61 anni, parafrasando il film che l’ha resa celebre in Italia, I miei primi 40 anni, ispirato alla vita di Marina Ripa di Meana.
Cosa ricorda di quel film?
«Marina era contraria che fossi io la protagonista, aveva in mente Rachel Welch, bellissima, con i capelli rossi come i suoi. Carlo Vanzina la convinse. Dopo aver visto il film il marito Carlo Ripa di Meana mi disse: “da oggi ho ben due Marine”».
Prima c’era stato il film «Via Montenapoleone».
«Sì, l’inizio fu tragico. Ero una modella prestata al cinema: il primo giorno, dopo aver girato una scena in sauna, ho pensato: “Sono negata”. Carlo Vanzina due settimane dopo mi ha confessato che aveva pensato che ero davvero negata, ma dopo due settimane mi aveva scelto come la protagonista del I miei primi 40 anni ».
Carol Alt in «Anni 90 - Parte II»
Oggi che lavoro fa?
«L’attrice. Ho appena finito di interpretare una parte nella serie televisiva Paper Empire con Kelsey Grammer: arriverà anche in Italia. E poi ci sarà il mio primo film di animazione: sarò la fidanzata fashionista di Orso, nel film Masha & The Bear ».
Cosa la affascina del cinema?
«La possibilità di far evadere le persone, soprattutto ora che il Covid ha seminato solitudine e depressione. Una risata o un’emozione, oggi più che mai, sono terapeutiche».
Come ha trascorso questo periodo così complesso?
«Lontana dall’Italia: ho sempre cercato di passare il mese di dicembre qui, il Paese dei grandi ricordi e dei grandi amori. Mio padre è morto proprio nel periodo di Natale e avevo perso la voglia di festeggiarlo: poi ho visto un Babbo Natale di carta nella cartoleria Virsecchi di Roma e ho di nuovo sorriso».
Quante volte è stata innamorata nella sua vita?
«Due volte: di Ayrton e del mio compagno Alexei. Due storie molto differenti, ma fatte entrambe di passione».
L’incontro con Ayrton.
«A una sfilata di Salvatore Ferragamo: io indossavo un cappotto corto rosso con i bottoni. Lui non guardava i fotografi, era fisso su di me».
La prima cosa che le ha detto?
«”Grazie”, perché per non farlo sfigurare davanti ai flash mi sono tolta i tacchi e sono rimasta scalza».
Il vostro segreto?
«La chimica».
Un ricordo?
«Una cena a Milano, una delle prime allo scoperto con pochi amici: prendo il tovagliolo e dentro c’era un orologio, un suo regalo. L’ho fatto volare inavvertitamente e ho distrutto gran parte dei bicchieri».
Come apprese la notizia della morte?
«Ero in Florida e avevo la tv accesa. Avrei dovuto raggiungerlo in Italia la settimana dopo. Rimasi sotto choc: la mia mente era completamente bianca».
Lo seguiva nei circuiti?
«Spesso e a volte avevo paura. Solo dopo la sua morte ho capito che avrei dovuto averne di più».
Il suo compagno Alexei Yashin è un ex hockeista e ha 13 anni meno di lei.
«Lo guardo e vedo il suo fisico straordinario, da atleta. E nel contempo prendo atto del fatto che anche io ho il corpo di una donna “mortale”».
Quanto conta la bellezza?
«Aiuta, ma le donne con il cuore nero sono orribili, anche se fuori sono perfette».
Le donne più belle?
«Monica Bellucci e Maria Grazia Cucinotta. Poi Paulina Porikzova, che con il coraggio ha cambiato il corso di una vita dura e sfortunata».
È apparsa in 500 copertine: verità o leggenda?
«Non so, forse potrebbero essere anche di più, ma ho peso il conto dopo la morte di mio padre: era lui il collezionista di ritagli della figlia».
La preferita?
«Quella scattata in costume da bagno giallo da Albert Watson per Vogue Francia . Albert per me è stato come Carlo Vanzina nel cinema. Ma anche Renato Grignaschi: mio padre stava morendo e lui mi ha detto: “sbrighiamoci con queste foto, così vai in ospedale”».
Il suo elisir di giovinezza.
«Il crudismo. In Italia è più facile, con il prosciutto».
Non ha avuto figli. Con Ayrton ne avrebbe voluti?
«No, ma ho fatto tanti errori e a volte vorrei tornare indietro e cambiare il corso delle cose».
È più famosa in America o in Italia?
«In America sono una modella, in Italia un’attrice».
C’è una erede di Carol Alt?
«Non la cercherei né tra le modelle, né tra le attrici. Oggi le nuove star sono tutte su Instagram».
Da "corriere.it" il 27 settembre 2021. Ha commosso l’intervista di Carolina Marconi a «Verissimo». La showgirl, ospite di Silvia Toffanin, ha parlato del tumore al seno contro cui sta combattendo come di «una situazione da risolvere. Aiuta già ad alleggerire», ha detto. Durante l’incontro, ha anche spiegato come ha scoperto di avere questa malattia. «Io e Alessandro (Tulli, ndr.) siamo insieme da 9 anni: circa un anno fa abbiamo deciso di avere un bambino, che purtroppo non è arrivato», ha spiegato. Ma proprio questo desiderio le ha fatto scoprire che doveva intervenire sul suo corpo: «Ci siamo fatti aiutare dalla fecondazione assistita, per questo ho fatto delle analisi... Non facevo la mammografia da diversi anni, con il Covid di mezzo. È venuto fuori un piccolo nodulo, oltre ad una protesi rotta. È risultato essere un tumore molto aggressivo. È stato come un fulmine che mi ha trafitto lo stomaco».
Le cure. Il pensiero di Marconi però è stato: «Non ho tempo per avere un tumore, io devo fare un figlio». Una grinta che ha commosso anche Toffanin, oltre che molte persone che la seguono sul web. «Quando ho saputo del tumore è stato come un fulmine che mi ha trafitto lo stomaco. Il mio pensiero era avere un figlio, ero felice. Non lo volevo accettare. Poi mi sono asciugata le lacrime». Da quel momento ha cercato di affrontare tutto con il sorriso. «Oggi ho finito le chemio rosse e ho iniziato le bianche... Ogni tanto mi metto la parrucca, ma non sempre perché mi pizzica. Mi piaccio “pelatina”... sono così e sto bene, quello che conta è quello che ho dentro».
Ricordate Carolina Marconi? "Sono senza niente, devastante". Dal GF al dramma del tumore: la foto da nodo in gola. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 15 giugno 2021. La battaglia più difficile per Carolina Marconi, ex concorrente del Grande Fratello. Che ora, come annuncia sui social, inizia la chemioterapia dopo aver scoperto un cancro. L’annuncio della sua malattia lascia tutti senza parole perché l’ex gieffina dice di aver tagliato i capelli. E scrive: "4/06/2021 ho cominciato a tagliare i capelli perché si avvicina il giorno della chemio. Domani, il 16 di giugno, il mio primo ciclo lo farò di pomeriggio. Li ho sempre portati lunghi, ho sempre adorato i miei capelli lisci e neri e mai avrei immaginato un giorno di doverli tagliare così corti". Il suo post fa venire ai follower un nodo in gola, la Marconi è bella, ancora tanto giovane e con un sorriso invidiabile. Adesso, però, deve assolutamente combattere la battaglia più dura di sempre. "Tra poco rimarrò completamente senza nulla come una noce di cocco. Tutto questo passerà, i capelli cresceranno", dice in un post sui social. Il suo sembra a tutti gli effetti uno sfogo quando dà il via libera alle emozioni. "L’importante è la salute; è quello che mi sento dire tutti i giorni. Ma chi sta facendo il mio stesso percorso sa, che è devastante (anche se ho il sorriso e cerco di essere positiva). Che è stato molto difficile e lo sarà ancor di più in questi mesi ma non smetterò mai nella mia vita di essere felice ed entusiasta come una bambina" continua su Instagram. Tutti i suoi fan, e il mondo della tv in generale, manda messaggi di solidarietà: Carolina deve vincere. Deve tornare a sorridere.
Da corriere.it il 17 giugno 2021. Carolina Marconi, 43 anni, showgirl ed ex concorrente del «Grande Fratello» ha iniziato ieri, mercoledì 16 giugno, la chemioterapia dopo l’intervento per l’asportazione di un tumore al senodi cui aveva dato notizia sui social il 24 marzo scorso. Lo ha rivelato la stessa Marconi in un lungo post condiviso con i suoi follower di Instagram, dove ha ringraziato sia i suoi famigliari che fan per l’affetto ricevuto in questo periodo difficile della sua vita. Poco tempo fa aveva rivelato di essersi operata perché le visite di controllo avevano rilevato la presenza del tumore. «Ero spaventata — scrive l'ex gieffina —, non sapevo che effetto mi potesse fare questo liquido che piano piano scorreva nelle mie vene, meno male che avevo la mascherina e ho fatto un piccolo piantino così nessuno l’ha notato... ma poi la paura è finita mi sono distratta, ho pensato a tutte le cose belle che dovrò «fare una volta terminato tutto, al mio grande sogno di diventare mamma, i miei progetti da realizzare... devi pensare e sognare solo cose belle. Vi abbraccio sempre con il sorriso #famiglia #nnsimollauncazzo #tumorealseno #sempreconilsorriso #positività». Il martedì precedente la seduta di chemio, la showgirl ha postato un altro messaggio per i fan: «Ho cominciato a tagliare i capelli perché si avvicina il giorno della chemio — si legge nel post —, il 16 di giugno il mio primo ciclo lo farò di pomeriggio, li ho sempre portati lunghi, ho sempre adorato i miei capelli lisci e neri e mai avrei immaginato un giorno di doverli tagliare così corti... tra poco rimarrò completamente senza nulla come una noce di cocco.
Carolina Marconi inizia la chemioterapia: “Avevo paura ma mi sento meno sola”. Alice Coppa il 04/06/2021 su Notizie.it. Carolina Marconi ha iniziato la chemioterapia e sui social ha scritto un messaggio per descrivere le sue condizioni. Carolina Marconi ha da poco iniziato la chemioterapia e sui social ha voluto ringraziare i fan per il grande sostegno ricevuto quando ha confessato di esser stata colpita dalla malattia. “Oggi il 3 giugno sarà x me una data importante: ho messo il picc-port, la cannula di 41 cm in vena che mi seguirà per tutto il mio percorso…secondo step raggiunto, visto che il primo era l’intervento”, ha confessato l’ex gieffina, e ancora: “Non vi nego che oggi avevo un po’ di fifa e terrore, purtroppo sono crollata a piangere davanti all’infermiere, sono umana non un robot. In questi casi piangere è uno sfogo, una liberazione, fa bene all’anima, paradossalmente ti senti più forte di prima. Chiaramente nn è stata una passeggiata, avevo paura di provare dolore ma invece è stato più facile di quanto pensassi. Ho avvertito solo il puntino dell’anestesia e poi nulla… dopo 20 min avevano già fatto, sto bene non ho fastidi”.
Carolina Marconi: il tumore. Intorno a marzo 2021 Carolina Marconi ha scoperto di avere un cancro al seno. Dopo aver subito un intervento al seno l’ex gieffina ha annunciato di doversi sottoporre alla chemioterapia. Sui social ha voluto mandare un messaggio di speranza ai suoi fan, specificando che non la preoccuperebbe perdere i capelli o le ciglia (che ricresceranno). Al suo fianco sono rimasti sempre presenti i familiari e il fidanzato, Alessandro Tulli. “Mi sono calmata, ho metabolizzato la notizia anche se dentro ero crepata. Provavo a camuffare le parole dei medici grazie alle cuffiette della musica, non volevo vedere la realtà e ciò che avrei dovuto affrontare”, ha raccontato via social l’ex gieffina.
Carolina Marconi: l’amore. Carolina Marconi è legata all’ex calciatore Alessandro Tulli da moltissimi anni. Il fidanzato dell’ex gieffina le è stato accanto durante il difficile periodo da lei vissuto negli ultimi mesi a causa del tumore. Per il momento l’ex concorrente del GF – che da tempo si è allontanata dal mondo dello spettacolo – ha cercato di mostrarsi sempre ottimista e fiduciosa verso il futuro nonostante la sua malattia. In tanti sui social le hanno inviato i loro messaggi d’affetto e d’incoraggiamento.
Stefano Giani per "il Giornale" il 26 luglio 2021. A quindici anni sul set in tre film, a 17 madre di Sabrina. Anticipatrice di un metoo che ha sconvolto il cinema ma all'epoca aveva assaggiato l'omertà femminile. Catherine Spaak è donna precoce. In tutto. Eppure, sostiene di aver vissuto in balìa degli eventi. Di essersi lasciata trasportare troppo in gioventù e, solo ora, possiede un'autodeterminazione mai avuta prima. Saranno gli anni, che poi non sono così tanti, ma la consapevolezza raggiunta porta con sé nuovi ruoli e premi inediti. Come quello consegnatole di recente dal Bardolino film festival nella sua prima edizione, in omaggio alla carriera. Un riconoscimento con il sapore di un tributo a un'attrice amatissima che ha fatto dell'Italia la sua casa. Così, la ragazza che fece «innamorare» Ugo Tognazzi, cercò di sedurre Gassman-Brancaleone e «piantò in asso» Mastroianni, si consegna a un ruolo introspettivo e a un'innocente amicizia con un uomo più giovane. Bipolare lui, alle soglie dell'Alzheimer lei nell'ultimo film, La vacanza, di Enrico Iannaccone, presentato proprio nella rassegna sul Garda.
Che cosa vede, guardandosi indietro?
«Mi stupisco della fortuna e delle casualità propizie, capitate a una ragazza semplice come me. Era una situazione complicata che ho vissuto con leggerezza e trasporto. Come forse era giusto. Come forse la vive un giovane».
Perché complicata? Era il 1960. Pieni anni del boom.
«Ho iniziato a lavorare presto per motivi diversi da quello che si potrebbe pensare. La mia famiglia era molto in crisi e, all'improvviso, si è presentato il cinema».
Come si è offerto a una francesina di 15 anni?
«Mio padre era uno sceneggiatore molto noto in Francia, era amico di Prévert e molti altri autori. Tra questi c'erano registi come Alberto Lattuada che veniva spesso in vacanza a casa nostra in Costa Azzurra».
«Dolci inganni» allora nacque così.
«A mio papà lo disse spesso, parlando di me. Questa bambina farà l'attrice. E così è stato».
In famiglia come la presero, data l'età
«In un certo modo potrei dire di non averne mai avuta una».
In che senso?
«Mio padre non lo vedevo quasi mai. Mia madre, che faceva l'attrice, neppure. A nove anni sono finita in collegio perché avevano iscritto mia sorella Agnès che a scuola non andava bene. Io avevo ottimi voti ma dovetti andarci lo stesso per colpa sua. Quando uscii, mio papà mi diede un passaporto, con una dichiarazione che mi autorizzava a varcare qualsiasi frontiera».
Una stranezza.
«Nessuna ragazza l'aveva».
Genitori emancipati ma famosi. Suo zio è stato primo ministro in Belgio, un famoso europeista.
«E mia nonna è stata la prima donna senatrice a Bruxelles. Viaggiava con un medaglione al collo con la scritta In caso di malessere, nessun prete. Decisamente anticlericale».
In quel momento il cinema diventava la sua famiglia.
«Capitava al momento giusto, in una fase importante di passaggio, di cui peraltro non mi rendevo conto».
Non ci credo.
«Ero in Italia, un Paese diverso come costume e modo di vivere, che ho adorato. Era il posto giusto al momento giusto. Nessuno lasciava tanta libertà a una ragazza. Non parlavo bene la lingua ma mi sentivo a casa».
Cosa ha significato, in quel momento, recitare?
«È stata un'ancora di salvezza. Sognavo l'indipendenza economica. L'idea di essere mantenuta da un uomo, sposarmi e sistemarmi mi faceva orrore».
E «La voglia matta» venne davvero.
«Una svolta. Professionalmente eccitante, umanamente tremenda».
Perché?
«Sul set di quel film incontrai Fabrizio Capucci. Ci innamorammo e restai incinta. Era il '62, avevo 17 anni e, per la mentalità dell'epoca era uno scandalo. Per di più, in un Paese straniero lontano dai familiari».
Come se la cavò?
«Non me la cavai. Fui vittima della mia età. Ero ospite a casa Capucci, dopo il mio matrimonio con Fabrizio. Mi aggiungevo alla sorella Marcella e Roberto, già affermato stilista. Ma non mi sono mai sentita a mio agio».
E decise di fuggire.
«Presi la bambina e scappai. Loro non me la perdonarono e sporsero denuncia».
Morale.
«Fui arrestata a Bardonecchia. In frontiera. Allora c'era la patria potestà, una donna non era veramente libera. Così mi riportarono a Roma con mia figlia, per tutto il viaggio in braccio a un carabiniere».
Ma se non si trovava bene a casa Capucci, non bastava parlarne?
«Non si poteva discutere, non era ammissibile. Finimmo tutti in tribunale. Io persi un film con Roger Vadim che avrei dovuto girare a Parigi, La ronde, un adattamento de Il girotondo di Arthur Schnitzler, noto in Italia come Il piacere e l'amore. Un titolo che sembrava una beffa».
Senza passaporto, in attesa di sentenza, è dovuta restare a Roma.
«La giustizia era molto più rapida di oggi. Il giudice fece presto ma fu una tragedia. Almeno per me».
E le tolse sua figlia.
«La motivazione era, a dir poco, discutibile. Sosteneva che la madre, cioè io, essendo un'attrice, era di dubbia moralità. Quindi la bambina sarebbe rimasta con la nonna paterna».
Allora l'equazione attrice uguale donna poco seria era un assioma indiscutibile.
«Però hanno distrutto la mia vita. E quella di Sabrina».
Vi siete ritrovate a distanza di tempo
«Mai più. Non sono riuscita a recuperare quello che il magistrato ha rovinato».
Un'incomunicabilità che sorprende.
«È stata una vendetta dei Capucci. Il lavaggio del cervello di Sabrina ha fatto il resto. Le hanno ripetuto: La mamma è cattiva. Ti ha abbandonato. Offese che hanno lasciato segni indelebili».
Ma anche sua figlia avrà voluto conoscere meglio sua madre.
«Ho fatto molti passi per avvicinarmi ma non ho mai ricevuto ascolto. Quando è cresciuta ho chiesto di vivere un po' con lei ma ha scelto la famiglia e io ho rispettato la sua decisione. Poi, dopo il suo terribile incidente automobilistico, sembrava che potesse aprirsi uno spiraglio. Purtroppo, non è accaduto».
Che dire
«Niente. Detesto chi si piange addosso».
Però un rimpianto c'è.
«Ho avuto la sfortuna di avere genitori molto leggeri. Quando ho avuto bisogno, la mia famiglia non c'è mai stata. Ripeto. Avevo 17 anni». «La voglia matta» ha significato anche successo. «Mi arrivavano progetti a valanga e lì sono stata fortunata. Mi ha aiutato l'intuito e forse una certa incoscienza giovanile, fatto sta che ho scelto i migliori».
Ed è stata testimone dello sviluppo della commedia all'italiana.
«Allora era snobbata. Era considerata un sottoprodotto. Eppure La noia o La parmigiana non erano filmetti. È stato un passaggio per tutti - autori, registi, produttori - ognuno nel suo ruolo».
A questo punto è inevitabile continuare con i ricordi. Iniziamo da Dino Risi che l'ha diretta ne «Il sorpasso».
«Un gran signore. Una persona educatissima. Gli porto molto rispetto e ne conservo grande stima».
Un aggettivo per definire Marcello Mastroianni.
«Tranquillizzante. Il set de L'uomo dei cinque palloni è stato spiazzante, anche se divertente. Lui mi ha dato sicurezza».
Marco Ferreri invece?
«Lo incontro a Milano. Ultimo piano di un grattacielo in costruzione. Arrivo con il copione in mano. Lui mi guarda. Lo prende. E lo butta dalla finestra. Ce lo dimentichiamo mi dice sardonico mentre Marcello mi fa cenno di non preoccuparmi, che andava tutto bene».
Poi
«Prima della scena iniziale, naturalmente diversa dalla sceneggiatura, mi spiegò che il cast - tutto maschile - esercitava un rito propiziatorio cantando una canzoncina. Angelo dell'angelo vieni qui da me intonava uno. E tutti dovevano rispondere Non posso perché il diavolo mi tenta. Guardavo preoccupatissima questi pazzi, per fortuna c'era Mastroianni. Protettivo. Gentile. Carino, come uomo e come collega».
Invece, Vittorio Gassman visto da molto vicino
«Ecco, appunto».
Tasto scivoloso?
«No (ride). Era timido ma recitava sempre la parte dello spaccone, sicuro di sé. Come nel Sorpasso. Non è stato facile con lui».
Perché?
«Sul set de L'armata Brancaleone - 40 uomini e quattro donne - ho avuto molte difficoltà linguistiche con un italiano maccheronico e barocco, che non assomigliava all'idioma antico, pur facendogli il verso. Così sono stata presa di mira da lui, Monicelli e tutta la banda. Erano ragazzacci goliardi e impuniti ma talvolta esageravano. Mi accoglievano con insulti pesanti per farmi arrossire e ci riuscivano. Ho sofferto parecchio ma ho scelto la diplomazia. E a distanza di tempo, Vittorio ha capito. E mi ha chiesto scusa».
Come giudica i rapporti tra uomini e donne nel cinema, un tema oggi d'attualità
«Negli anni 80 dissi pubblicamente che per le attrici era difficile essere rispettate. Era il periodo dei ricatti. Io non ho mai dovuto dare niente in cambio per lavorare ma le generazioni precedenti alla mia avevano dovuto affrontare il problema. I ricatti sessuali erano un'infamia».
Una sorta di #Metoo in anticipo.
«Molte colleghe si stupirono. Dissero che doveva essere accaduto solo a me. Sottolineo. Io non ho avuto brutte esperienze. Poi è arrivato il #Metoo. Quello vero. E il problema è emerso».
I set di oggi hanno più equilibrio, però.
«Non si lasci raggirare dalle apparenze. Non credo che i signori uomini si siano ravveduti. È un altro tipo di ipocrisia, il problema rimane».
Secondo lei, perché?
«La maggior parte dei maschietti la butta sul predominio di una donna preda e succube. E molte cedono, per interesse. Convinte di migliorare. È sempre stato così. L'unica differenza è che una volta si taceva. Una questione di potere di cui sono schiavi gli uomini che lo usano e le donne che tacciono».
E il domani Come lo vede?
«Non lo vedo (ride). Me ne strafrego. Oggi mi posso permettere tutto. Anche una parolaccia, se serve».
In che cosa si sente diversa?
«Sono più diffidente con tutti, maschietti e femminucce indistintamente. Prima ero trascinata da un fiume incontrollabile, ora non più».
CATHERINE SPAAK
Anche nell'isolamento della pandemia
«Del Covid non mi sono nemmeno accorta. Due mesi prima che scoppiasse ho avuto un'emorragia cerebrale e sono tornata a casa il giorno che è scattato il lockdown. L'8 marzo, festa della donna. Il blocco mi ha concesso una tranquilla convalescenza».
Che cosa le ha insegnato la malattia?
«All'ospedale Santa Lucia mi hanno salvata e in quel reparto di neurologia ho capito il valore del dono e dell'amicizia. Solo la sofferenza ci fa maturare, purtroppo».
Che cos' è la solitudine?
«Non la conosco. Vivo con i miei due cagnolini, uno yorkshire vecchietto e Maya, un tibetano. Muto e meditativo. In campagna ne ho altri due, entrambi adottati, il maremmano Athos e Dia. Secondo me, tra i randagi, si è sparsa la voce che a casa mia si mangia bene».
Le fa onore.
«Non so cosa mi fa, però mi fa star bene».
· Caterina Balivo.
Da "liberoquotidiano.it" il 26 marzo 2021. La Caterina Balivo che non ti aspetti: contro il maschilismo, contro gli uomini che non si prendono cura della famiglia, contro un sistema che, in generale, impone alle donne di pagare sempre il prezzo più alto. Ecco sì, "che non ti aspetti" ma neanche troppo, diciamo così. Intervistata dal settimanale F la conduttrice attacca persino il marito Guido Maria Brera: «Mi chieda se è maschilista: la risposta è no. Ma mi chieda se si scoccia quando il sabato sto tre ore al telefono per lavoro, mentre lui se ha impegni nel fine settimana esce e neppure avvisa: la risposta è sì». E ancora: «Che siano le donne a pagare il prezzo più alto è un dato di fatto. L'anno scorso ho dovuto interrompere con un mese di anticipo il mio programma, Vieni da me. A maggio eravamo tornati in onda ma mio marito se n'è andato di casa: non poteva rischiare, per motivi personali, di essere esposto al contagio. Tre figli senza scuola, la diretta: non ce la facevo». E allora ecco la legittima richiesta: «Basterebbero gli asili nido: se le aziende non li creano al loro interno, se non permettono di far entrare i figli per l'allattamento, come fa una donna a conciliare lavoro e maternità?». Infine, l'appello alle donne: «Finché la donna si vergogna di dire in ufficio "Ho il colloquio con la maestra", finché l'uomo viene deriso perché va alla recita dei figli, culturalmente le cose non cambieranno. Se voglio che Guido venga alla recita, devo dirglielo mesi prima. Sa come mi risponde? "Se non ho una cosa importante vengo"».
Anticipazione da “Oggi” il 3 febbraio 2021. Caterina Balivo è tornata in tv nella giuria del «Cantante Mascherato» dopo 8 mesi "sabbatici" e si confessa in una lunga intervista su OGGI, in edicola da domani. La conduttrice spiega le ragioni che l'hanno spinta a lasciare la tv: «In piena pandemia, ho deciso che dovevo agire. E agire voleva dire fermarsi. Io sono anche autrice dei miei programmi, era un impegno da 9-10 ore al giorno… Ho tre ragazzini e un uomo impegnato e impegnativo, che peraltro ha vissuto questa pandemia in modo difficile, visto che è un soggetto a rischio… La tv non era più conciliabile con la famiglia». La Balivo parla del figli («Guido Alberto è molto legato a me: non pensavo di essere così importante per lui. Cora invece è un caterpillar, non avrà problemi nella vita: ha preso il peggio di me e di mio marito, non molla mai. Già compatisco chi se la piglierà»), dell'amore per il marito Guido Maria Brera e di una quarantena sospesa tra castità e... recupero degli arretrati.
Caterina Balivo, "così recupero gli arretrati". Castità e confessione da censura: ciò che non aveva mai detto. Libero Quotidiano il 03 febbraio 2021. “Castità e recupero degli arretrati”: così Caterina Balivo torna a parlare dopo mesi di assenza dalla tv. E lo fa senza segreti, in modo schietto. Ora che Caterina Balivo è di nuovo in pista con Il cantante mascherato, lo show del venerdì sera di Rai1 che è stato messo ko da Alfonso Signorini, al settimanale Oggi rivela un dettaglio abbastanza pepato. Che riguarda l’intimità della conduttrice e di suo marito. Prima, però, racconta il suo allontanamento dal piccolo schermo: inizialmente tutti si sono domandati come mai avesse deciso di fermarsi. Non era molto chiaro cosa fosse accaduto. Ma adesso la Balivo racconta tutto senza filtri, riavvolgendo il nastro e tornando indietro di qualche tempo. “Dovevo fermarmi”, dice in esclusiva a Oggi. Uno stop necessario per recuperare le forze. «In piena pandemia, ho deciso che dovevo agire. E agire voleva dire fermarsi. Io sono anche autrice dei miei programmi, era un impegno da 9-10 ore al giorno… Ho tre ragazzini e un uomo impegnato e impegnativo, che peraltro ha vissuto questa pandemia in modo difficile, visto che è un soggetto a rischio… La tv non era più conciliabile con la famiglia", continua. Poi arriva il colpo di scena. La Balivo parla di castità durante la quarantena. L’ex conduttrice di Rai1 parla dell’amore per il marito Guido Maria Brera e di una “quarantena sospesa tra castità e recupero degli arretrati”. Non ci sono doppi sensi: la frase è molto chiara. E’ l’unica ex conduttrice, ancora in video con il “cantante mascherato”, a fare allusioni a vicende un po’ troppo intime. Come la prenderanno nel quartier generale di viale Mazzini?
Gloria Satta per “il Messaggero” il 21 ottobre 2021. A festeggiare Caterina Caselli, icona della musica e della storia italiana, all'Auditorium ci sono anche le sue scoperte: Giuliano Sangiorgi, Malika Ayane, Madame, Raphael Gualazzi, poi la famiglia Morricone, Motta con Carolina Crescentini, Isabella Ferrari. E piovono gli applausi sul docu-film Caterina Caselli-Una vita, cento vite diretto da Renato De Maria, evento speciale della Festa di Roma (in sala dal 13 al 15 dicembre). Oggi Caterina è un'elegante e sempre biondissima signora di 75 anni che mezzo secolo fa, all'apice del successo, tagliò il leggendario Casco doro e si ritirò dalle scene per reinventarsi talent scout dal fiuto imbattibile lanciando, attraverso la Sugar, la casa discografica di famiglia, tanti talenti da Pierangelo Bertoli ad Andrea Bocelli, da Giuni Russo ai Negramaro, da Elisa ad Ayane e Madame. «Oggi l'attività è portata avanti da mio figlio Filippo Sugar (49 anni, ndr) e da una squadra di giovani», racconta Caterina. «Ma io sono sempre al corrente ed esprimo il mio parere. Mi considero cresciuta, non vecchia». Il film è una lunga confessione della protagonista che, con il supporto di filmati d'archivio, ripercorre la sua storia con sincerità, leggerezza e a tratti commozione. «De Maria mi ha ispirato fiducia, raccontargli la mia vita è stato come andare dallo psicanalista», spiega Caterina che ha trovato il coraggio di aprirsi anche sul dolore più grande della sua vita: la morte del padre che si suicidò quando lei aveva 14 anni. «Ho scavato dentro di me», rivela Caterina, «ho attinto alle emozioni più profonde... forse avevo bisogno di condividere quella ferita». Nel film ci sono gli Anni Sessanta con i successi di Caterina: Nessuno mi può giudicare, Perdono, Sono bugiarda, Insieme a te non ci sto più. Ci sono il matrimonio con l'industriale discografico Piero Sugar (1970), la nascita di Filippo, l'addio alla canzone, la nuova vita di talent scout. «Non fu un sacrificio lasciare», rivela. «Ero felice di esibirmi ma la competizione mi faceva soffrire». Oggi la musica è cambiata, aggiunge: «Ieri compravi i dischi, oggi li consumi sulla rete. Ogni giorno debuttano nel mondo 60mila nuove produzioni di cui 60 in Italia, la selezione è diventata durissima. Ma la musica non morirà mai».
Zeitgeist testessista. Caterina Caselli somiglia al tempo in cui vive: nel Novecento aveva piglio e ora fa la vittima. Guia Soncini su L'Inkiesta il 13 Dicembre 2021. La cantante e discografica io l’avevo già vista ospite ad “Harem”, la vecchia trasmissione a causa delle quale in Italia pubblichiamo, ancora oggi, le più brutte interviste del mondo. Per questo il documentario “Una vita, cento vite” mi è servito solo per verificare quanto la donna che a 50 anni resisteva al dolentismo della Spaak a 75 pianga invece per tutto. Le donne della mia età dicono d’essersi formate su Oriana Fallaci o su Camilla Cederna, ma l’impresentabile verità è che ci siamo formate su Catherine Spaak. È la ragione per cui in Italia vengono pubblicate le più brutte interviste del mondo: abbiamo imparato dalla signora Spaak a non ascoltare mai le risposte. (Non si è invece ancora trovata spiegazione scientifica del perché, essendo i più incapaci al mondo di fare interviste, pubblichiamo giornali pieni di interviste). Tuttavia “Harem”, quella formula rassicurante con le tre signore, la Spaak che chiedeva cose a caso in tono suadente, l’uomo misterioso che entrava alla fine (tipo valletta che consegna i premi), ha fatto per noi più d’ogni formazione culturale del liceo, persino più dei romanzi non previsti dal programma che immancabilmente ci passava qualche cugino o sorella più grande, persino più dei Fassbinder che andavamo a vedere in cineteca se eravamo così fortunate a crescere in città dotate di cineteche (stasera, prima di dormire, date una carezza ai vostri figli, e dite loro che c’è stato un tempo di terrore e miseria in cui non avevamo la cinematografia di tutto il mondo sul telefono).
Tutto questo prologo per dire che a me il documentario su Caterina Caselli – “Una vita, cento vite”, al cinema da oggi per tre giorni, regia di Renato De Maria – non serviva: io Caterina Caselli l’avevo vista ad “Harem”.
Non che fossi particolarmente interessata a lei, allora: io ventiequalcosenne, lei produttrice di roba di successo, Tozzi o Bocelli o “Notti magiche”, che era così moschicida che io ancora la squarciagolo nonostante sappia di calcio meno che d’astrofisica. Ero troppo piccola per averla vissuta come “casco d’oro”: “Nessuno mi può giudicare” era così slogan che la conoscevi anche se non la conoscevi, “Perdono” l’avevo sentita in “Sapore di mare”, ma insomma non era roba mia.
Però sapevo che Caterina Caselli era riccia. Era una di noi tignose figliocce della Carrà, ricce senza che quasi nessuno ci abbia mai viste ricce. Raccontò a Catherine Spaak che la moglie del capo della sua allora casa discografica si tagliava i capelli da Vergottini, parrucchiere leggendario di Milano, e lei era andata in Montenapoleone coi suoi ricci scomposti (non esistono ricci naturali ordinati, lo specifico perché magari mi leggono uomini, e di solito agli uomini mancano le basi culturali).
Si era sentita molto Cenerentola, «Salii al secondo piano e c’erano sette Vergottini – sette perché erano cugini, fratelli – che mi dissero ah, com’è conciata, com’è ridotta, ma insomma, va in giro così», e alla fine aveva detto «fate di me quello che volete», e casco d’oro era stato. «Mi sono arresa perché erano in sette». E la Catherine francese, progenitrice di tutto il dolentismo vittimista, «è stata una violenza», e la Caterina italiana «Però alla fine ho detto: vediamo. Vediamo se hanno ragione loro», e quella insiste a volerla vittimizzare, «La persona eri tu, la voce era la tua, con il caschetto o senza», ma la Caselli allora cinquantenne sa benissimo che l’immagine è un tema, lo stile è un tema, il testessismo funziona fino a un certo punto, e insiste a difendere i sette Vergottini prepotenti, «effettivamente è stata una grande intuizione».
Quella Caselli lì non somiglia per niente alla Caselli settantacinquenne che, davanti alla macchina da presa di De Maria, piange per tutto, dalla morte di suo padre sessant’anni prima a quella di Morricone mentre girano il documentario. Però forse è quello il segreto, che la Caselli somiglia al proprio tempo: con piglio nel secolo in cui per procurarti una carriera dovevi esser donna di piglio, e vittimista nel secolo in cui il vittimismo è la più commerciale delle scelte. L’aveva detto alla Spaak, d’altronde; aveva detto «si muore un po’ per poter vivere» col tono casuale con cui si cita la canzone d’un altro. (La doveva incidere, ho scoperto dal documentario, l’Equipe 84: la casa discografica lo considerava un pezzo troppo sofisticato per lei. Poi quelli rinunciarono, e lei si prese lo scarto).
Ma per fortuna non c’è solo la versione commossa di oggi: c’è un sacco di passato. Per fortuna, anche perché ci dà modo di ridimensionarlo: sì, la tv in bianco e nero, sì, la qualità, ma la trombonata di Volonté che declama il testo di “Blowin’ in the wind”, mamma mia, ridatemi Barbara D’Urso.
Però ci sono anche Caterina e Giorgio Gaber che, conducendo un programma insieme, scelgono ognuno un giovane da lanciare, e lui sceglie un certo Franco Battiato, e lei sceglie un certo Francesco Guccini, che «fa l’ultimo anno di università di Lettere, è veramente uno di prima», dice la Caselli ragazzina sembrando, tra il caschetto e il «di prima», un’imitazione di giovanilismo – e invece erano davvero così. Che compassione che ho per me e per te, diceva proprio Guccini (che di cosa scatta rivedendo il passato ha fatto un genere letterario).
E poi c’è il Guccini di oggi, che racconta del primo articolo in cui dicevano che lei l’aveva scoperto, e lo chiamavano «Francesco Puccini, poi c’era una parentesi, si tratta di un mero caso di omonimia, chiusa parentesi».
E il Paolo Conte di oggi, che rievoca quando gli toccò cambiare la tonalità di “Insieme a te non ci sto più” per fargliela incidere: «I tuoi giannizzeri mi hanno detto: no no no, Caterina la canta in Si naturale». Le donne della mia età si sono formate su cantautori con un vocabolario favoloso. Le ragazze, povere loro, dovranno googlare «giannizzeri».
· Caterina De Angelis e Margherita Buy.
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” il 4 novembre 2021. Caterina De Angelis ha 20 anni e interpreta (col nome di Maddalena) la figlia di Carlo Verdone nella serie Vita da Carlo, da domani su Amazon Prime. Figlia di Margherita Buy, ha scelto lo stesso mestiere della madre, come Deva Cassel (figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel), Rosa Enginoli (la mamma è Claudia Gerini) e Eugenia Costantini (Laura Morante).
Caterina è una ragazza spontanea e diretta. La vera figlia di Carlo, Giulia, ha detto al padre: «Ma io non sono così».
Caterina, che ne pensa?
«Che Giulia ha ragione, lei è super educata e Maddalena è peperina. Non è così diversa da me, anch'io vivo a Londra, sono cresciuta in una famiglia simile e i miei, separati, si vogliono bene, poi mamma fa il cinema come Carlo… La cosa che mi ha affascinato di lui è l'attenzione, in un set pieno di giovani ha dato consigli diversi a ognuno di noi».
Cosa studia a Londra?
«Storia del cinema all'università, ma è applicata, metodo anglosassone. Mi ero iscritta perché terrorizzata di ammettere ciò che volevo fare, l'attrice, non avevo il coraggio di dirlo a mia madre. Lei mi disse: fai quello che vuoi ma, ti prego, non l'attrice».
Perché?
«Diceva che è un mestiere che ti dà tanta felicità ma ti può far sentire inadeguata, dimenticata, è psicologicamente pesante. Dopo la mia prima esperienza, un cortometraggio per Maria Sole Tognazzi, ho cominciato a lanciare segnali».
E il provino per Verdone.
«L'ho tenuto nascosto. Non ho detto niente a nessuno. Carlo? Ci conosciamo, in realtà no, lui si ricordava di me quando ero bambina: ero silenziosa, non parlavo, ero terrorizzata. Lui ha capito chi ero al secondo provino, da Capalbio, su Skype. Sei la figlia di Margherita, che ci fai qui».
Diranno: ecco, anche Capalbio, il buen retiro...
«È uno stereotipo ma per me è il posto più bello del mondo, ci vado da piccola, ho amici storici, lì ho conosciuto il mio ragazzo».
E aggiungeranno: ecco la solita privilegiata.
«È vero ma non vuol dire niente, la popolarità di mamma serve per i primi due mesi. Spero di fare questo mestiere perché sono brava e me lo sono meritato».
Si sente più attrice comica o drammatica?
«Sono solare e esuberante come mio padre, anche se il drammatico forse mi rispecchia di più. A scuola recitai un monologo tosto, mi piaceva quella negatività, piansi per l'ansia. Se l'ho presa da mamma? Sì, ma non esageriamo, non come lei».
Il confronto con sua madre la spaventa?
«Siamo completamente diverse. La cosa più bella che mi ha insegnato è che è un lavoro come un altro. Può essere difficile pensarlo, ma è ciò che mi ha trasmesso, non saprei vederla in altro modo».
È una genitrice presente?
«Sì e no, a scuola non si disperava se non ero la prima della classe, ma era severa sulla disciplina, l'altruismo, prima gli altri... Non ho mai pensato di usare il suo cognome al cinema, sarebbe terribile. Comunque, che lei recitasse l'ho scoperto tardi. Da piccola sui suoi set mi attiravano la truccatrice, la parrucchiera. E non ho visto molti suoi film. Anche di mio papà so poco».
Renato De Angelis, celebre medico.
«È chirurgo, ha due o tre specializzazioni, so che opera dal collo a sotto la pancia».
Ma i due film di Margherita con Verdone li ha visti?
«Maledetto il giorno che t'ho incontrato lo cominciai in tv, ogni volta succedeva qualcosa, l'antenna che moriva per il maltempo, l'abbonamento sulla Pay tv che scadeva… Devo farmi una cultura cinematografica su di lei».
Carlo nella serie è candidato a sindaco.
«Di politica non so abbastanza, tengo molto a tutto quello che riguarda i cambiamenti climatici».
Lei è altissima.
«Sono 1 e 80, alla Festa del cinema avevo i tacchi e Verdone mi diceva che ero una giocatrice di pallacanestro».
Un film con sua madre?
«Aiuto, non lo so. Però sempre meno ha il ruolo della mamma che rompe».
Margherita Buy: «Ho iniziato a Torino, ma com’era diversa 25 anni fa». Francesca Angeleri su Il Corriere della Sera il 4 dicembre 2021. L’attrice: «Piangevo tutte le sere. Nel ‘96 era una città che non aveva risolto il trauma di essere stata “invasa” dai meridionali. Avevo uno zio che viveva qui per cui la gente del Sud era una specie di disastro. Poi credo abbia rivisto le sue posizioni ed è migliorata». «Margherita è la persona ideale con cui lavorare quando vuoi avere una sorpresa, qualcosa che ti porti fuori dalla routine e da ciò che avevi immaginato». Margherita Buy e Giuseppe Piccioni sono complici come solo due amici di vecchia data, due fratelli, possono essere. Ai Magazzini Oz, mentre a tavola arrivano prosecco, focaccina e scaglie di Castelmagno o «colesterolo a pezzi, il mio sta a 250» lamenta lei, scherzano su un film da fare insieme a Torino, in cui lui mischierebbe l’home movie con il documentario girandolo in case private.
Venerdì 3 dicembre Piccioni ha ricevuto, dalle mani della sua amica, il Premio Prolo alla carriera 2021. La Buy è la Buy, meglio, come noi ci aspettiamo che lei sia, con quel fare vagamente e deliziosamente instabile, la pelle delicata e gli occhi chiari che a un certo punto scherma dietro le lenti scure quando il sole entra violento dalla finestra, «scusate, non voglio essere maleducata». Non lo è.
Margherita Buy, che accezione ha la sua presenza al Premio Prolo?
«Se non ci fossi stata io a dare a Giuseppe questo premio mi sarei offesa. Abbiamo iniziato tanto tempo fa insieme e amo tutti i suoi film, anche quelli che non ha fatto con me. Lo stimo moltissimo e sono felice che venga riconosciuto il suo talento, è sempre stata una persona defilata. Abbiamo avuto lo stesso percorso».
Quale?
«È riuscito a fare quello che realmente gli piaceva. Ci sono voluti tempo, coraggio, pazienza. Comunque non ci sono solo cose belle (ride), sa essere un rompiscatole terrificante. Ricordo che, sul set di Il Rosso e il blu, mi innervosiva talmente tanto che proprio non riuscivo a dire una battuta con Scamarcio».
È sempre vestita Armani.
«Sono fedele. Ero invitata l’altro ieri all’apertura della nuova boutique torinese ma non sono riuscita a passare. Ci sono parecchi negozi che amo qui, tra tutti Floris, quella profumeria stupenda. Non ne ho mai viste di simili, da nessuna parte».
A Torino ha girato diversi film. Che relazione ha con la città?
«Prima ancora delle pellicole in cui ho recitato devo confessare che la mia carriera è iniziata qui. Ero molto giovane e forse neppure avevo ancora frequentato l’Accademia: girai una produzione che si chiamava Versilia 1966, era il primo esperimento che la Rai faceva in termini di serialità. Rimasi per sei mesi».
Che ricordo ne ha?
«Ogni sera telefonavo a mia madre e mi mettevo a piangere. Torino era veramente devastata, c’era un senso di angoscia stranissima, pesante. Mi avevano sistemata in un residence in via San Domenico e oggi mi fa ridere sapere che è diventato un posto alla moda. Era una città che non aveva risolto il trauma di essere stata “invasa” dai meridionali, credo. Avevo uno zio che viveva qui per cui la gente del sud era una specie di disastro. Poi, fortunatamente, credo si sia messa in discussione e abbia rivisto le sue posizioni».
Un po’ è migliorata, non trova?
«Oggi è stupenda. Ho girato qui due film importanti, in entrambi c’era anche Valeria Golino. In Controvento di Peter Del Monte, con la presenza di Ennio Fantastichini, eravamo sorelle. E poi La vita possibile di Ivano De Matteo».
Lei è una delle attrici più ambite dai registi. Sente l’invidia dei colleghi soffiarle sul collo?
«Conosco un solo modo per vivere serena: non frequentare nessuno. Anche in questo siamo simili con Piccioni».
Quanta Buy c’è nei ruoli della Buy?
«Secondo me, se qualche volta il pubblico fa confusione, significa che è una cosa bella. Vuol dire che non si sente lo sforzo della recitazione e me lo prendo come complimento. Dopo il film di Verdone, tutti avevano l’idea della me nevrotica impasticcata quando io non assumo neanche l’aspirina. Io lascio correre. Sono riuscita a conservare molto bene chi sono nel mio giro di amici. Posso essere scambiata per un certo tipo di persona, ma la realtà è che mi conoscono in pochi».
· Caterina Lalli, in arte Lialai.
Claudio Laudanna per lanazione.it/massa-carrara il 26 febbraio 2021. Un videoclip con Rocco Siffredi per lanciare la sua ultima canzone. È stata questa l’intuizione della 25enne cantante carrarese Caterina Lalli, in arte Lialai, che per girare il video del suo singolo ‘Kill me’ si è rivolta al re dell’hard italiano. "Non riesco ancora a credere a quello che è accaduto – racconta Caterina –. Sono da sempre una fan di Rocco. Ho provato per gioco a contattarlo su Instagram senza nessuna aspettativa, ma la sua risposta non è tardata ad arrivare. Interagire con lui sul set è stato molto semplice, è una persona estremamente sensibile, sa come metterti a tuo agio, ti dà carica e sicurezza. Mi piacerebbe essere un esempio per tutti i giovani: credete nei vostri sogni e fate di tutto per realizzarli". Il compito di girare il videoclip è poi toccato al regista romagnolo Samuele Sbrighi, mentre le riprese si sono svolte tra Carrara, Luni e Montecatini tra ottobre e dicembre. Nel video si racconta la storia di un rapinatore, che insieme alla giovane Lialai mette a segno un colpo in banca indossando la maschera dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Un gioco di seduzione che si trasforma in una trappola per il rapinatore, il quale a seguito del colpo viene sedotto e poi abbandonato. "Lialai è una donna ingenua e innamorata, che poi, delusa da un grande amore, diventerà spietata e senza cuore, un personaggio vuoto che non prova emozioni, se non quella di vendicarsi del genere maschile - prosegue Caterina - . Ecco perché alla fine del video lascia incatenato Rocco nel letto e scappa con il bottino. Si tratta di un videoclip che segue idealmente il primo che ho realizzato lo scorso luglio e che si intitola ‘Dime’ nel quale invece parlo di una ragazza ben diversa". Il videoclip di ‘Kill me’ intanto, oltre che sul canale Youtube di Lialai, è già finito sui canali Mediaset e potrebbe essere ora un trampolino di lancio per una carriera che è ancora agli inizi. "Tutto è nato durante il lockdown dello scorso anno – racconta Caterina -. Durante quelle lunghe giornate ho riflettuto molto sul mio futuro e così mi sono iscritta all’università dove studio Lingue e mercati, ho messo in piedi un’iniziativa benefica per regalare tutti i miei vestiti e mi sono buttata anche in questa avventura della musica. La passione per il canto me l’hanno trasmessa i miei genitori e io ho sempre cercato di coltivarla". A seguire Caterina Lalli nel suo progetto artistico c’è il produttore Paolo Signanini, in arte Saint Paul, che la ha affiancata anche nella realizzazione dell’ultimo video. "Abbiamo girato in diverse location – spiega Lialai -. Alcune scene sono a casa mia a Carrara, altre nell’ufficio di mio padre Claudio, mentre la camera d’albergo è all’Aria Hotel di Montecatini. Lavorare con Rocco è stato piacevole e molto divertente, è una persona simpatica e un grande professionista. Ora ho tanti progetti a cui sto lavorando, voglio continuare con qualcosa di collegato a questi due video, ma per saperne di più ci sarà da aspettare ancora un po’".
· Caterina Murino.
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” il 14 novembre 2021. Modi schietti e poco diplomatici, da maschiaccio. Ma è una finta burbera Caterina Murino, che qui si racconta: i ricordi di Miss Italia, di 007, la Cina, Parigi. E ora in Francia una serie tv sugli scambisti.
Com' è nata la sua avventura in Cina?
«Nel 2008 fui invitata ad alcuni festival, tra Shangai e Pechino. Mi contattò un produttore per un film che poi non si fece ma ne uscì un cortometraggio durante il quale mi ruppi una gamba. In ospedale conobbi un medico australiano con cui sono stata tre anni. Ho vissuto lì. Ho girato un primo film, una favola ecologista per bambini, e un altro, Urge Marry , con lo stesso regista, Haoke Wang, dove interpreto una grande cuoca europea».
Ha imparato il cinese?
«No, comunicavamo a gesti. Il film è uscito il giorno di San Valentino che per loro è il 14 agosto, e io ne sono diventata il volto femminile. La Cina mi manca, sono diversi da noi e dal resto del mondo, è un popolo gentile che cerca di farti vivere al meglio il momento che stai con loro. Poi ci sono le incomprensioni, capiscono quello che vuoi dire ma fingono di non capirti, nei negozi ci metti delle ore e non sai se lo fanno apposta. Quando uscii dall'ospedale, abbracciai il medico: rimase pietrificato, non sono abituati».
I set come sono?
«Hanno regole loro, il primo giorno c'è la cerimonia dell'incenso dove la cinepresa viene ricoperta da un panno; hanno dei giorni, per esempio l'8 e il 10, in cui non si gira perché sono ritenuti numeri sfortunati. Si fa una scena dopo l'altra, c'è una secondo set pronto che ti aspetta».
Ma la censura?
«Senza fare paragoni, per carità, ma non hanno appena censurato in Italia La scuola cattolica , il film sul massacro del Circeo? Una follia. Anche se Urge Marry è una commedia romantica, per avere l'ok della censura abbiamo dovuto aggiungere una scena. Il cinema dipende, come ogni cosa, dallo Stato. Non so quante cene con esponenti politici locali, in giro per il Paese, ho dovuto fare. La politica è argomento tabù. Mi chiedevano com' è vista la Cina nel mondo, se vengono considerati dei gran lavoratori. Figuriamoci, la mia Sardegna è piena di immigrati cinesi che sgobbano dalla mattina alla sera».
Ora è tornata in Europa.
«Vivo a Parigi da 19 anni, da tre sto con un avvocato di lì».
Ha girato una serie tv di Lionel Bailliu sugli scambisti?
«Sì, La maison d'en face . Ci sono scene d'amore ma essendo per la tv non c'è così tanto zolfo. Lo scambio di partner avviene in casa, manca la perversità di andare nei locali. Io sono una infermiera, mio marito un poliziotto, una coppia aperta, appagata nella sessualità ma che desidera: invece di tradirsi di nascosto lo fa alla luce del sole. E magari l'amore si rafforza. Nulla di programmato. Invitiamo a cena un'altra coppia per una serata piacevole. L'altra donna, che ha appena perso una bambina, fa un forellino nel preservativo per restare incinta di mio marito. Da lì una serie di eventi che finiranno per distruggere le due famiglie».
Cina, Francia. Ma l'Italia?
«Mi sento totalmente del mio Paese e ho appena girato tre film, Mio fratello mia sorella, Il Giudizio, Generazione Neet . Se a Parigi frequento Monica Bellucci? Sinceramente, non l'ho mai vista. Ma c'è una comunità italiana che si riunisce nella nostra ambasciatrice, che è fortissima».
Dopo 007 cos' è cambiato?
«Io ho capito veramente che stavo girando James Bond dopo che uscì, quando ogni giorno salivo su un aereo a promuoverlo in giro per il mondo. Forse non ero lucida perché Casino Royale era il primo film con Daniel Craig. Fatto sta che ancora oggi mi chiamano per serate celebrative. La mia internazionalità viene da lì. Quello che mi ha lasciato è che ho potuto abbracciare e avvicinarmi a culture diverse. Si parla di una eventuale prossima 007 donna? Per favore, no, sarebbe un grave errore, 007 è un'icona maschile».
Lei partecipò nel 1997 a Miss Italia: un altro mondo?
«Avevo vent' anni. C'erano Silvia Toffanin, Christiane Filangieri, Annalisa Minetti. E Mara Carfagna, che mi aiutò, non avevo casa e andai a vivere da lei, mi fece questo regalo, la politica era lontana. Ho fondato una società per aiutare Miss Italia in Sardegna. Per me, fu una bella esperienza».
Ma è vero che da adolescente era bruttina?
«Ero cicciottella e i ragazzi avevano occhi per una bella ragazza che giocava a tennis. Ero l'ippopotamimo di Disney. Venivo presa in giro. La voglia di diventare attrice non viene da lì, nessuna rivalsa. Volevo diventare medico. Avevo, come oggi, la passione per il balletto, tutti i generi, pratico anche la danza del ventre»
Andrea Palazzo per ilmessaggero.it il 31 agosto 2021. Tutti ballano il Bongo Cha Cha Cha, tranne Caterina. Fosse stato per Caterina Valente, i TikToker di tutto il mondo potevano anche scordarsi di ballare il Bongo Cha-Cha-Cha. Sulla sua pagina Facebook si scopre, infatti, che la 90enne interprete del tormentone planetario dell’estate non aveva alcuna intenzione di approvare il remix del suo pezzo realizzato dai Goodboys, malgrado i produttori della nuova versione le avessero garantito un arricchimento della sua fan base di Millennial e Gen Z. Per farsene cosa, si sarà chiesta Caterina, che nella sua carriera da Guinness ha venduto 20 milioni di dischi, inciso più di mille brani e duettato con Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Dean Martin e Mina, con cui divide da anni l’eremo svizzero di Lugano. Secondo l’artista, il pezzo era già un po’ banale e sempliciotto allora, figurarsi cosa poteva diventare dopo il remake da parte di una banda di dj inglesi, che avrà scambiato per un gruppo di scappati di casa con la tuta acetata (mica lo smoking del suo vecchio partner Bing Crosby). C’è di sicuro che questi -dopo centinaia di milioni di visualizzazioni sui social- sono scappati sul serio con un bel po’ di royalties e non le dovranno spartire con Caterina, cui hanno fatto ascoltare il brano solo per cortesia. Il suo fermo rifiuto al progetto non poteva, infatti, bastare a dissuaderli, perché il brano dopo 50 anni è di pubblico dominio e la cantante può accampare zero diritti, non avendo neppure firmato come autrice. Niente di nuovo nel mondo delle sette note. Già in passato Prince e George Michael avevano litigato con le case discografiche che non ne tutelavano abbastanza il repertorio e la stessa Valente interruppe per lungo tempo i suoi spettacoli dal vivo, a causa di rapporti tumultuosi con impresari poco onesti. Un peccato per una straordinaria entertainer cosmopolita, nata da genitori italiani e poi diventata artista circense, cantante, chitarrista e attrice, famosa letteralmente in ogni parte del globo, tranne che nel suo Paese. Troppo sofisticata e versatile per il nostro pubblico? O forse con una vita privata discreta e poco esuberante, che rendeva difficile la collocazione nel Pantheon delle icone gay, mai riservato ad artiste sobrie e misurate. Se questo Pink Pass sembra ancora l’unico viatico al successo nazional popolare per le ugole tricolori, Caterina si è presa una rivincita in extremis col vintage Cha-Cha-Cha (e pazienza se avrebbe preferito una sua Bossa Nova con Vinicius). Meriterebbe, ora, anche il sentito ringraziamento di tutte le nostre web influencer che hanno passato le vacanze a monetizzare i like dei balletti delle notti di Rio, mentre alla gran Vedette neppure la consolazione di allargare di un euro l’imponibile del 730.
Paolo Giordano per “il Giornale” il 31 agosto 2021. Ma come ci piace dimenticare. Prima gli italiani, certo, ma solo dopo tutti gli altri. Fino a pochi mesi fa Caterina Valente, cantante e showgirl ora 90enne, era confinata nel baule dei ricordi, nonostante una carriera da far impallidire la stragrande maggioranza degli eroi nostrani che a colpi di like gonfiano i propri ego come mollica di pane nell'acqua. C'è stato bisogno che, per il grande pubblico, la riscoprissero tre deejay e produttori inglese, ossia i Goodboys, maestri della house che hanno «remixato» Bongo cha cha cha, brano pubblicato da Caterina Valente nel 1959, uno dei primi esempi di ritmi latino americani in Europa. Risultato. Bongo cha cha cha è un fenomeno social, le celebrità lo rilanciano su Tik Tok, è trasmesso a mitraglia dalle radio e ha vinto il disco d'oro. Lei, che vive a Lugano non lontano da Mina, non ci ha guadagnato nulla, anzi era pure contraria alla riscoperta di quello che già sessant' anni fa riteneva un brano usa e getta. Però dopo 50 anni le canzoni sono di pubblico dominio e quindi i Goodboys hanno impacchettato lo stesso il loro remix per la gioia di una valanga di ascoltatori in mezzo mondo con centinaia di milioni di views sui social e sulle piattaforme streaming. Da Tik Tok a toc toc. Dopo il successo immediato, il nome di Caterina Valente ha di nuovo bussato alla porta della popolarità, facendosi (ri)conoscere a una generazione che non aveva la più pallida idea di quanto straordinaria sia stata la carriera di questa cantante, chitarrista e showgirl nata a Parigi nel 1931 da genitori italiani (padre fisarmonicista, madre commediante musicale parente del futuro cardinale Siri) e poi diventata globale a furia di successi. Per capirci, Caterina Valente è nel Guinness dei Primati perché ha inciso brani in dodici lingue diverse (sei delle quali parla con naturalezza), ne ha venduti quasi venti milioni di copie in tutto il mondo ed è stata forse la prima italiana a diventare protagonista nella tv americana: dodici volte ospite del leggendario Perry Como e poi, a turno, di Ella Fitzgerald, Danny Kaye, Bing Crosby e persino Dean Martin nel suo memorabile show sulla Nbc. Una stella mondiale con numeri impressionati. Nel 1969 un suo concerto registrato in Germania per la Cbs (Caterina from Heidelberg) è stato visto da più di 50 milioni di americani. E in Italia? Nel 1961 ha inaugurato il Secondo Programma (ossia Rai2) con le sei puntate di Bonsoir Caterina e, tra l'altro, in Un'ora con Caterina Valente ha duettato pure con Mina. Poi, questa stella italiana che rimaneva sempre meno in Italia, ha fatto tournèe dal Giappone al Sudafrica, ha festeggiato i 50 anni di carriera con Paul Anka alla tv tedesca, è stata invitata da Johnny Dorelli in varietà Mediaset di metà anni Ottanta. Poi le sue apparizioni si fanno sempre più rare mentre lei divide la propria vita tra Lugano e gli Usa senza puntare mai su quella calamita di consenso che è la nostalgia canaglia. Ma in Italia quest' artista dalla voce squillante e dall'indubbio talento di performer non ha avuto quel rimbalzo di popolarità che di solito spetta a chi ha costellato la propria storia di successi in giro per il mondo. Di certo un po' dipende dalla riservatezza di un'artista figlia di artisti che nel 1952 ha sposato un giocoliere tedesco (Erik Van Aro, padre del suo primo figlio Eric) e poi il pianista britannico Roy Budd (dal quale ha avuto Alexander). Senza apparire costantemente sui media italiani, la figura di Caterina Valente si è consegnata ai ricordi. Ora la sua voce è di nuovo dappertutto grazie a un brano come Bongo cha cha cha, che è uno dei «tormentoni» dell'estate ma, senza il nuovo vestito dance, suonerebbe irrimediabilmente nostalgico grazie a un arrangiamento ovviamente legato agli anni Cinquanta e a una interpretazione figlia di quell'epoca meravigliosa e candida. Però Caterina Valente è una artista che nella sua vita ha incrociato la voce con quella di Louis Armstrong e si è esibita con Chet Baker e con le orchestre di Count Basie e Tommy Dorsey, praticamente il gotha della musica jazz e black del Novecento. Insomma un'artista lontana dagli scandaletti o da quelli che allora si chiamavano rotocalchi. Ma, allo stesso tempo, anche capace di raggiungere livelli di qualità come pochi altri. Eppure su di lei non c'è mai stato, neppure timidamente, un effetto revival, zero, silenzio assoluto. Molto dipende probabilmente dalla sua riservatezza. Ma un po' (eufemismo) è colpa della tendenza squisitamente italiana a rimuovere le nostre eccellenze come se, per definizione, avessero meno meriti di quelle straniere. Una abitudine che la globalizzazione ha un po' attenuato. Ma che il caso di Caterina Valente, stella dell'estate italiana con un brano di 62 anni fa, conferma ancora una volta, come se neanche aver condotto un programma negli States con un mito come Dean Martin oppure aver cantato con i grandi del mondo non bastasse a riconoscere di avere una leggenda in casa.
· Cecilia Capriotti.
Cecilia Capriotti a cuore aperto: "Quando ero piccola pensavo di avere problemi". Dopo la sua uscita dal reality, Cecilia Capriotti ripercorre il suo percorso all’interno della Casa parlando degli equivoci che hanno portato alla sua eliminazione al televoto e di alcuni eventi che hanno segnato la sua infanzia. Ludovica Marchese, Lunedì 25/01/2021 su Il Giornale. Cecilia Capriotti è una delle ultime vip che è stata costretta ad abbandonare la casa del Grande Fratello Vip. Al televoto, infatti, ha ottenuto solamente il 3% delle preferenze del pubblico. A sconfiggerla sono state nell’ordine la ex concorrente di Temptation Island Carlotta Dell’Isola, Stefania Orlando e Dayane Mello, come sempre fortissima, che ha ottenuto ben il 60% delle preferenze. Dal suo punto di vista, sono stati i numerosi equivoci che si sono creati durante la sua permanenza all’interno della Casa – la vicenda sul trascorso familiare di Andrea Zenga e la lite con Maria Teresa – a decretare inevitabilmente la sua uscita. È anche vero, però, che le cose non potevano andare diversamente, perché lei ci ha messo il cuore senza fare strategie di alcun tipo. D’altronde avrebbe potuto riesumare il suo passato poco felice – segnato dalla morte del padre quando era ancora una bambina e un improvviso dimagrimento – ma ha preferito tutelare la sua storia personale e i suoi affetti. A detta sua, tra le cause della sua eliminazione, c’è stata anche l’amicizia con Tommaso Zorzi che dal pubblico è stata vista di cattivo occhio – soprattutto dalla storica tata del concorrente. Sta di fatto che Cecilia ha scelto di portare nella Casa solo il lato migliore di sé, cosa che le ha dato grande soddisfazione anche se non è riuscita ad arrivare alla fine del reality.
Perché hai voluto partecipare al Grande Fratello Vip?
"Nonostante abbia fatto tanta televisione, volevo farmi conoscere a livello umano e in questo i reality sono perfetti".
Come ti sei sentita ad entrare nella Casa a percorso iniziato?
"Devo dire che speravo di entrare all’inizio semplicemente perché è più facile integrarsi all’interno del gruppo, ma alla fine ho fatto il mio ingresso solo il 18 dicembre. Nonostante ciò ho avuto un’accoglienza stupenda da parte di tutti. Senza contare che Tommaso l’avevo già visto ad alcune serate tra noi c’era stato subito feeling, anche se non ci conoscevamo benissimo. Poi conoscevo anche Giulia, Giacomo e Samantha – in particolare lei è una mia grande amica da 10 anni. Complessivamente, tralasciando la mancanza di mia figlia, mi sono trovata davvero bene".
Perché Maria Teresa era gelosa del tuo rapporto con Stefania e Tommaso?
"Ricordo benissimo quando Maria Teresa ha mandato a fanc**o Tommaso perché voleva dormire con me. In quel momento ho capito che provava una sana gelosia per il mio rapporto con loro. Anche lei infatti era molto legata a Stefania e Tommaso e mi vedeva come un ingombro. A conti fatti, diciamo che quando mi ha nominato era chiara la sua intenzione di vedermi fuori".
Ti sei sentita ferita quando Maria Teresa ti ha nominato?
"Premetto che in un reality è normale fare della strategia, ma personalmente a me importa più dei rapporti umani. Per me Maria Teresa era una confidente – la vedevo come una mamma e mi fidavo di lei al 100%. La sua nomination, con quella freddezza e quella assurda motivazione sul fatto che avessimo parlato di meno, mi ha ferita. Penso di aver discusso con lei con eleganza, ma da parte sua non c’è stata sincerità e ho capito in quel momento che la sua fosse una strategia. Nonostante ciò però la lite era rientrata".
E allora perché quel suo sfogo la sera?
"È stato proprio il suo sfogo a decretare la mia uscita dalla Casa, anche se io non c’entravo niente. È come se il pubblico mi avesse attribuito la colpa e quindi ha preferito votare a favore di Carlotta. Come abbiamo visto, Infatti, Maria Teresa ha spiegato quale fosse il vero motivo del suo sfogo – le continue derisioni e le prese in giro – solo quando il televoto è stato chiuso. A quel punto, però, per me era tardi. Con il senno di poi, devo dire che la lite con Maria Teresa non è stata intelligente perché mi ha portato fuori dalla Casa, ma non potevo fare altrimenti perché per me l’aspetto umano conta davvero tanto".
Oggi cosa provi per Maria Teresa?
"Mi sento come se la avessi idealizzata e resta tanta amarezza e delusione per il suo comportamento. Non escludo che fuori dalla Casa possa darle una seconda possibilità, ma penso che dopo quello che è successo sia difficile tra noi trovare il modo di incontrarci o sentirci. L’amaro in bocca resta, soprattutto perché ha decretato la mia uscita e a me non sarebbe dispiaciuto affatto rimanere qualche settimana in più all’interno del reality".
Cosa pensi di Carlotta?
"Carlotta è una carissima ragazza, nulla da dire a livello umano, ma nella Casa si è trovata come un pesce fuor d’acqua perché tutti avevamo alle spalle delle esperienze lavorative più o meno importanti, mentre lei aveva solo fatto Temptation Island. Penso che quindi abbia avuto delle difficoltà a far emergere la sua personalità. Diciamo che lei ha deciso di non esporsi e forse questa è la strategia migliore. Se ci si si pensa, infatti, nel contesto del gioco chi si espone come me, Sonia e Mario ha vita breve".
Davvero pensi che Zenga voglia fare pena al pubblico per non uscire dalla Casa?
"Assolutamente no, questa frase è stata fraintesa. Il mio intento era quello di fare un paragone tra noi e dire che personalmente io preferisco far vedere il mio lato leggero e spensierato piuttosto che esternare cose sul mio passato poco felici. Penso solo che lui e la sua storia abbiano conquistato il pubblico sulla tenerezza – ma non facendo pena. Il fatto è che Andrea ha frainteso e, invece di dirmelo in faccia, si è andato a lamentare con gli altri a mia insaputa mettendomi in cattiva luce. Senza contare che mi ha nominato quando prima diceva che noi nuovi dovevamo fare squadra e aiutarci a vicenda… Di Zenga penso che sia un ragazzo che non parla in faccia ma alle spalle. Proprio per questo motivo non avrei piacere a rivederlo".
Dopotutto, però, una storia come quella di Zenga funziona, non è vero?
"È una storia di drammi familiari che fa tenerezza e che fa affezionare il pubblico. Non c’è da sorprendersi che quindi sia stato premiato dal pubblico e sia rimasto così a lungo dentro la Casa e che, al posto suo, siano stati eliminati concorrenti come Mario. Nonostante io sia stata eliminata, sono contenta di aver tutelato il mio passato e la mia famiglia, puntando invece tutto sul mio carattere spensierato".
E sulla tua uscita riguardante il fenomeno del razzismo?
"È stato uno scivolone perché mi sono espressa male, ma la mia intenzione era tutt’altra. Volevo solo dire che la situazione in Italia sta migliorando e che c’è sempre maggiore sensibilità per questo tema. Il fatto che nessuno avesse notato il colore della pelle di Enock e che fosse trattato in tutto e per tutto come noi ne era la dimostrazione".
Pensi davvero che Dayane Mello sia sostenuta dal Brasile?
"Sappiamo tutti che lei è votata dal Brasile, beata lei!".
Ci credi all’amore tra Giulia e Pierpaolo?
"Assolutamente sì, mi sembrano entrambi molto genuini e presi l’uno dall’altro. Non ci vedo nessuna strategia perché so che Giulia si era ripromessa di non volere nessuna storia e di voler fare un percorso diverso rispetto a quello che, due anni prima, aveva fatto con Francesco Monte".
E del bacio a stampo con Mario?
"È stato solo uno sbaglio! Tempo fa, infatti, lo avevo nominato perché, durante il bacio hollywoodiano, lui invece di appoggiare le labbra mi aveva dato un vero e proprio bacio a stampo e io mi ero arrabbiata proprio perché a casa ho un compagno. Quindi, se mi ero arrabbiata, perché lo avrei dovuto baciare".
È vero che non hai mai avuto un rapporto sano con il cibo?
"Tutt’oggi ho un rapporto difficile con il cibo, ma questo non mi ha mai portato ad essere né bulimica né anoressica, mai nessuna seria malattia. C’è stato un periodo brutto in cui ero dimagrita tanto ma facendo una dieta ricostituente sono tornata in forma. Certo, ammetto di avere una fissa per linea e di avere paura di ingrassare, penso sempre a cosa devo o non devo mangiare, tendo a riempire il piatto ma magari non mangio tutto e mangio poco e spesso… Era una cosa che non volevo sapesse tutta Italia e per questo mi sono arrabbiata con Maria Teresa".
Questo tuo rapporto con l’alimentazione ti ha creato problemi all’interno della Casa?
"Nessuna difficoltà perché nella Casa c’era molta scelta per mangiare sano e i ragazzi cucinavano benissimo – in particolare Zelletta. Solo una volta mi è capitato di mangiare un piatto di pasta, cosa che io a pranzo non faccio mai".
Quando tuo papà è mancato ti hanno assegnato un’insegnante di sostegno: com’è stato per te quel periodo?
"Questo è esattamente il motivo per cui voglio fare vedere solo il mio lato spensierato. Il mio terrore più grande, infatti, è quello di far pena, proprio perché io mi sono fatta pena da piccolina. Non ero integrata, ero derisa e per questo ho avuto una bruttissima infanzia. Stando con ragazzi che avevo il sostegno per problematiche ben peggiori – io lo avevo perché non parlavo più dalla morte di mio papà, ad un certo punto mi ero convinta di essere down anche io. Quando lo dissi a mia mamma, lei si arrabbiò molto e andò a parlare con le maestre dicendo che io avevo semplicemente subito un trauma".
Come sei riuscita a venirne fuori?
"Beh, queste cose della vita più di tanto non si superano mai, lasciano un segno indelebile… Ne è la prova la mia paura di far pena, cosa che mi spinge a farmi vedere sempre forte e allegra anche quando non è così. Ancora oggi faccio fatica a parlare di mio padre perché scoppio a piangere, così come di quegli anni della mia infanzia molto bui. Certo, se avessi raccontato la mia storia nella Casa avrei commosso tutti, ma non mi avrebbe fatto bene".
Da dove nascono le divergenze tra te e la storica tata di Tommaso Zorzi?
"Quando sono uscita dalla Casa, mia sorella mi ha detto che su Twitter la tata di Tommaso parlava male di me. In effetti me ne ha dette di tutti i colori senza conoscermi – bugiarda, falsa, razzista, ecc. – tanto da iniziare una vera e propria propaganda contro di me per farmi uscire. Così le ho risposto invitandola a smettere perché altrimenti l’avrei denunciata. Un avvertimento che le ho dato per rispetto di Tommaso, altrimenti non ci avrei pensato due secondi ad andare a denunciarla. D’altronde perché doveva avercela con me? A Tommaso ho fatto solo del bene, l’ho fatto ridere ma anche consolato. Se lei veramente gli avesse voluto bene, sarebbe dovuta essere contenta di me e non darmi contro".
Cosa pensi dell’amicizia con Tommaso?
"Con lui mi sono trovata davvero bene, ma da un punto di vista del gioco l’amicizia con Tommaso mi ha tagliato le gambe perché tutti i suoi fan si sono scagliati contro di me perché pensavano che lo potessi allontanare da Stefania".
Chi vorresti veder vincere a questa edizione?
"Non saprei davvero come rispondere… Prima di entrare avrei detto Maria Teresa ma, dopo averla conosciuta di persona, direi sicuramente Tommaso. Lui, diversamente dagli altri che stanno volentieri lì, sta facendo davvero un sacrificio visto la sua insofferenza, senza parlare del fatto che è un ragazzo d’oro –divertentemente ma anche molto intelligente e profondo".
Simona Lorenzetti per il "Corriere della Sera" il 3 agosto 2021. «Piacere, mi chiamo Chadia, sono sempre stata una tipa strana, sono cresciuta sola in mezzo a una strada, senza fare la ladra né la p». Era il primo maggio di quest' anno quando dal palco del Concertone Chadia Rodriguez si presentava così al pubblico che l'acclamava. Lei, giovane trapper cresciuta nella periferia di Torino, aveva anche suggellato la propria apparizione dando scandalo, esibendosi in topless. Ora, però, il suo nome non è inciso sulla copertina di un cd, ma negli atti giudiziari della Procura torinese: i pm Paolo Scafi e Giuseppe Drammis le contestano di aver preso parte a una rapina aggravata dall'uso di arma, uno spray urticante. L'indagine - conclusa da pochi giorni - è quella ribattezzata «Chili pepper» e rappresenta una costola dell'inchiesta che all'inizio del 2018 aveva portato in carcere i ragazzi che il 3 giugno 2017, durante la finale di Champions League Juventus-Real Madrid, seminarono il panico in piazza San Carlo: due donne persero la vita e oltre 1.600 tifosi rimasero feriti. Questo nuovo capitolo giudiziario racconta le storie di altri 53 ragazzi, che in decine di occasioni avrebbero messo a segno rapine con lo spray al peperoncino in discoteche e durante i concerti, non solo in Italia ma in mezza Europa. E tra gli indagati ecco spuntare anche il nome di Chadia Rodriguez, ventitreenne di origine marocchina: è accusata di un solo episodio, avvenuto l'8 settembre 2017. Secondo i magistrati, con la complicità di due amici la ragazza avrebbe rapinato un giovane conosciuto in un bar. Sarebbe stata lei, intorno all'una di notte, a chiamarlo al cellulare per chiedergli un passaggio fino a Torino in cambio del pieno di benzina. Quando l'uomo è arrivato all'appuntamento al centro commerciale di Mondovì, Chadia l'avrebbe convinto a far salire a bordo anche gli amici. Durante il viaggio, con la scusa di dover andare in bagno, l'avrebbe fatto fermare in un luogo isolato vicino al cimitero Monumentale di Torino. A quel punto uno dei complici avrebbe spruzzato in faccia al malcapitato lo spray urticante, per poi strappargli la catenina d'oro dal collo. Agli inquirenti la vittima ha anche raccontato che i tre avrebbero cercato di rubargli l'auto. Infine, Chadia e i complici si sarebbero dileguati all'interno del parco del cimitero, portando via anche il cellulare dell'uomo.
Barbara Costa per Dagospia il 4 luglio 2021. Charlotte Sartre è una persona e una pornostar "strana". Lei è uno dei casi in cui la persona e la pornostar quasi coincidono. Perché hanno le stesse perversioni, e portano sul set i medesimi feticismi con cui godono in privato. Nello specifico, Charlotte Sartre è una urofila, patita della tassidermia, una che fista e si fista, una dominatrice ball-buster, una porno-wrestling, una che fa il triplo anale, e pure una intellettuale. Adesso ti svelo tutto. Charlotte è il suo vero nome, Sartre il cognome d’arte che lei ha preso proprio da lui, Jean-Paul Sartre, filosofo esistenzialista, di cui ha divorato i libri. La sua devozione a Sartre è testimoniata sotto i seni, dove ha tatuato in spagnolo "náusea", ma i libri di filosofia e letteratura (Cioran, Tolstoj, Dostoevskij) sono anche base della scelta di Charlotte di fare porno: lei è cresciuta con un libro in una mano e nell’altra il mouse a scalare i video di Sasha Grey (ex pornostar ora scrittrice, col cognome ispirato al Dorian Gray di Wilde). Charlotte, infatuata della sapiente femminilità di Sasha Grey e di Stoya (altra ex pornostar-letterata, ora firma editoriale), ha deciso di seguirne le orme, prima però a fondo sperimentando il sesso reale: ha amato donne, in rapporti soft, fino ai 17 anni, quando, se ha fatto col suo sangue (!?) un ritratto della sua musa di allora, Paris Hilton, ha pure perso la verginità etero e vaginale con uno rimorchiato una sera, per poi perdere quella anale col suo secondo fidanzato. E qui, la svolta: facendo sesso, Charlotte ha capito che il suo ano è alquanto più elastico della sua vagina. In verità, l’ha capito non grazie ai peni ma da sola: la sua prima penetrazione anale è stata in masturbazione con un dildo a doppia estremità. Charlotte a fare sesso anale si sente divinamente. È per questo che nel porno è oggi tra chi più fa l’anale multiplo, che appare in gang-bang altresì più estremo, cruento, per il risalto che il suo corpo minuto (49 kg) ha se preda di rozzi maschioni. Charlotte per il suo ano coltiva una grande passione (“è un dono che Dio mi ha fatto!”), e ano di cui è assidua esploratrice: a fistarsi (cioè a inserire la sua mano intera a pugno nel c*lo) ha iniziato da sola. Lei girerebbe anale tutti i giorni se non fosse per il clistere. Infatti le attrici hard prima di un anale si preparano con plug gonfiabili (a Charlotte piacciono tanto!), ci sono quelle che digiunano, altre che fanno clisteri per garantirsi un ano pulitissimo. E non puoi certo farlo tutti i giorni. Charlotte riesce a godere se le lecchi il clitoride, riesce sì a squirtare, ma mai a schizzare come quando la sc*pi da dietro. La sua vagina è così sensibile che dopo una scena porno vaginale, ha bisogno di una settimana di stop prima di farne altre. Charlotte è entrata nel porno e ha subito girato sadomaso, facendosi sculacciare e dominare. Il suo nome ha brillato nel porno dove impersonava una Mercoledì Addams cresciuta e svezzata. La sua esplorazione feticista ha toccato inaspettate vette: in incontri sessuali privati, Charlotte Sartre si è scoperta urofila: le piace la pipì, sia a farsi docciare da più partner, sia ingerirla nel sesso di sottomissione, dove la sua bocca fa da urinale ("urinal" è tatuato sul suo labbro interno). Charlotte è attratta dalla tassidermia (nello specifico colleziona ossa di animali morti, e pure ragni), ma per la sua vita sessuale è stato fondamentale l’incontro con Lance Hart, collega con cui è sposata da tre anni: con Lance, Charlotte è diventata mistress, insieme postano amplessi porno BDSM, fluidi, a tre uomo-donna-uomo. Charlotte e Lance legittimano il fatto che non c’è niente di male a amare e avere un marito a cui piace vestirsi da donna, con calze a rete e intimo femminile, e farsi inc*lare da grossi strap-on indossati da una moglie che prima di metterti a 90 gradi e infilarteli nell’ano, te li fa leccare e succhiare. E non c’è nulla di male nell’avere un marito che è bisex e si sc*pa un uomo che prima si è sc*pata te, e viceversa. Inoltre, con Lance e pure con altri uomini, e donne, Charlotte fa il porno-wrestling, genere porno d’intricati atti sessuali associati a mosse wrestling, come il "pile-driver" (metti la testa dell’avversario tra le gambe, lo alzi in aria e lo fai cadere a testa in giù. Dopo, si ha male al collo, assicura Charlotte). Charlotte Sartre è generosa e, come ama il suo, ama gli ani altrui, specialmente maschi, e impazzisce a fargli il pegging (lei indossa un finto fallo con cui li penetra) e a vedere quali sex toys riesce a farvi entrare. Nel godimento di colui che, prono, li riceve (una volta, a un ano di un amico, ha infilato una bottiglia di Jack Daniels, vuota). Ma il pezzo forte di Charlotte da dominatrice è il "bull-basting", prendere a calci e a morsi le p*lle, a farle sanguinare, nella beatitudine del di p*lle proprietario che di tale dolore feticista ci orgasma. Charlotte è gattolica, ha conquistato Lance parlandogli di gatti: i due vivono a Las Vegas (“pago meno tasse!”) con 4 gatti, un millepiedi, e 9 tarantole, in recinti separati. Non vogliono figli perché Charlotte ha la fobia non del sangue, ma di ogni essere umano, e animale, che succhia sangue dentro e fuori di te, come le zanzare.
· Chloé Zhao, regista Premio Oscar.
La 39enne nata a Pechino entra nella storia del cinema. Chi è Chloé Zhao, la regista Premio Oscar con “Nomadland”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 26 Aprile 2021. Chloé Zhao ha scritto la storia con il suo Nomadland. Ha vinto l’Oscar per la miglior Regia, oltre a quello per il Miglior Film. È la seconda donna della storia ad aggiudicarsi la statuetta per la Miglior Regia. La prima asiatica. Il suo film si è aggiudicato anche il premio per la Miglior Attrice Protagonista, andato alla star Frances McDormand. Il film sul nomadismo statunitense si era aggiudicato anche il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, il Golden Globe e il Bafta. La prima donna a portarsi a casa la statuetta fu Kathryn Bigelow con The Hurt Locker nel 2010. Solo cinque anni fa l’appello che chiedeva agli Academy Awards di essere più aperti, e quindi meno bianchi e più aperti alla premiazione delle donne. L’anno scorso a vincere il Miglior Film era stato Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho. Italiana invece la prima donna candidata all’Oscar per la Miglior Regia, Lina Wertmuller, per Pasqualino Settebellezze del 1976. Zhao ha 39 anni, è nata a Pechino nel 1982. Figlia di papà dirigente di un’acciaieria e mamma infermiera. Si è laureata in Scienze Politiche. Ha studiato a Londra e quindi a Los Angeles. Si è quindi iscritta all’Università di arti liberali di Mount Holyoke, nel Massachusetts, dove ha ottenuto un bachelor’s degree in scienze politiche. Ha lavorato da barista, nel settore pubblicitario e in quello immobiliare. Ha studiato cinema alla Tisch School of Arts dell’Università di New York. Il suo primo film è stato Songs My Brothers Taught Me, realizzato dopo una serie di cortometraggi. Nel 2017 è stato il turno di The Rider – Il sogno di un cowboy. Spesso ha utilizzato attori non professionisti per i suoi film. Nomadland è il suo terzo. Sempre dall’interno del cinema indipendente. Quest’anno sarà il turno di Eternal, prodotto dai Marvel Studios, a uscire nelle sale. Frances McDormand nel film premiato dagli Academy è Fern, sessantenne che decide di intraprendere un viaggio nel cuore dell’America a bordo di un furgone. Storia ispirata da tre anni di inchiesta on the road della giornalista Jessica Bruder. “Ultimamente ho pensato parecchio a come si fa ad andare avanti quando le cose si fanno difficili. Quando ero piccola, in Cina, con mio papà recitavamo a memoria delle poesie classiche cinesi completando i versi l’uno dell’altra. Uno di questi diceva che le persone alla nascita sono tutte buone: questa lezione ha avuto un grande impatto su di me che continua ancora adesso. Ed è per questo che dedico il premio a tutti quelli che hanno il coraggio di tener fede alla bontà che hanno dentro sé stessi e a quella che vedono negli altri”, ha detto Zhao sul palco della Union Station a Los Angeles.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
· Christian De Sica.
Da today.it il 10 dicembre 2021. Il bello della diretta. Chiamato a giudicare una sfida nel corso dell'ultima puntata di Amici, Christian De Sica è scivolato in una gaffe con la padrona di casa Maria De Filippi. La figuraccia, in realtà, non riguarda tanto il talent show di Canale 5 in sé quanto invece Tale e Quale Show, talent di Rai Uno di cui l'attore è stato giudice per circa quattro anni, ovvero nelle stagioni tra il 2013 e il 2017. Mente vedeva l'esibizione di una allieva cantante, Christian se n'è uscito con un paragone tra i concorrenti dell'accademia di Canale 5 e quelli dello show condotto da Carlo Conti. "Qui sono bravi, a Tale e Quale Show erano tutti cani quando facevo il giudice". Parole di fronte a cui De Filippi è voluta intervenire: "Christian", ha esordito, "Questo non lo devi dire, perché lì c'erano concorrenti che fanno un altro lavoro". Gelo (e risate) in studio.
Gloria Satta per "il Messaggero" l'11 novembre 2021. «Non so più a chi dare i resti», esclama Christian De Sica, «ora che sto diventando vecchio mi fanno lavorare come un pazzo... Oddio, apro la finestra ogni giorno e dico Grazie, Gesù. Però, quanta roba».
E l'attore, 70 anni, snocciola l'elenco interminabile dei suoi impegni, dalla ripresa dello spettacolo teatrale Una serata tra amici alla commedia Chi ha incastrato Babbo Natale, girata con Alessandro Siani e in uscita a dicembre, e poi il remake di Altrimenti ci arrabbiamo con regia di You Nuts («faccio per la prima volta il cattivo»), una fiction, le quattro sceneggiature che sta scrivendo, una delle quali con Barbara Alberti.
Domenica 14 novembre, dalle 14 alle 24, sarà firmato da lui il palinsesto di RaiStoria nella giornata tutta dedicata a suo padre Vittorio (di cui si celebra il 47mo anniversario della scomparsa).
Intanto Christian rivela al Messaggero un progetto «spericolato»: tornare sullo schermo in coppia con Massimo Boldi. Farete un nuovo cinepanettone?
«Non proprio. Ho immaginato una storia più adatta a noi, a quello che siamo oggi: la storia di due vecchi attori di cinepanettoni. Due tromboni rincoglioniti. Mi piacerebbe che a dirigere il film fosse mio figlio Brando, che gira ora a Napoli una storia d'amore horror».
Proporrete magari il progetto ad Aurelio De Laurentiis che ha appena prodotto per Amazon un'altra serie autobiografica, Vita da Carlo di Verdone?
«Grazie agli incassi dei 32 cinepanettoni che Boldi e io abbiamo interpretato (ride, ndr), Aurelio ha pouto comprarsi il Napoli...».
Cosa le dà tanta energia per lavorare a rotta di collo, la paura forse di rimanere disoccupato?
«Ma quando mai. A darmi la carica sono l'amore per il mestiere, la consapevolezza di avere una famiglia fantastica, l'affetto dei giovani che mi riconoscono per la strada e mi dicono bella, zio. Mi sento molto fortunato, ho sempre fatto quello che volevo fare. Sono un uomo felice che non ha rimpianti. E non me ne vergogno».
Nel palinsesto di RaiStoria ha messo spezzoni di film, interviste, spettacoli tv, perfino le favole che il grande Vittorio raccontava: perché le è sembrato importante farlo?
«Volevo celebrare papà in questa Italia che ha la memoria corta, anzi cortissima. Anna Magnani, chi era costei? Nessun giovane o quasi ne ha un'idea. E io ricordo lo choc quando, tanti anni fa, ero in un bar con il mio compianto fratello Manuel e sentii un gruppo di ragazzotti che dicevano: Ahò, sapete che pure 'er padre de Christian faceva l'attore. Allora chiedemmo alla Rai di mettere in cantiere un omaggio a Vittorio e Giancarlo Governi fece Parlami d'amore Mariù».
Nei confronti di suo padre hanno la memoria corta anche le istituzioni?
«Di sicuro fanno poco. Manuel si è tanto sbattuto con la Fondazione Vittorio De Sica per restaurare i film di nostro padre e più di una volta ha chiesto alla Rai di lanciare un canale dedicato ai classici, ma gli hanno risposto picche. E pensare che altrove, ad esempio in Francia, i giganti vengono onorati e rispettati come idoli».
Che effetto le ha fatto Wes Anderson, regista americano agli antipodi di Vittorio, quando ha rivelato di essersi ispirato a L'oro di Napoli per girare The French Dispatch?
«Non è stato il primo grande a inchinarsi a papà. Ingmar Bergman sosteneva che Umberto D. fosse il miglior film della storia del cinema, Martin Scorsese ha sempre ammesso che senza il neorealismo non sarebbe esistito, per non parlare dell'ammirazione manifestata da Orson Welles. E pensare che Vittorio non ci ha mai dato l'idea di essere un mostro sacro. Al di là di certi suoi personaggi un po' esagerati, nella vita era una persona semplice, umilissima».
E cosa le ha trasmesso?
«La voglia di lavorare per il pubblico, innanzitutto. E il rispetto per il mio mestiere che è fatto di studio, rigore, disciplina. Anche in una commedia brillante non s' improvvisa, niente è lasciato al caso. Oggi invece...».
Oggi cosa succede?
«Ti basta accendere la tv per vedere tanti, troppi attori non professionisti, scritturati solo in base al numero dei follower che hanno sui social. E grazie che sono dei cani».
L'attore e il Presidente del club. Christian De Sica e i cinepanettoni con Massimo Boldi: “Con gli incassi De Laurentiis ha comprato il Napoli”. Antonio Lamorte su Il Riformista l'11 Novembre 2021. Christian De Sica vorrebbe tornare in coppia con Massimo Boldi: in onore dei vecchi tempi, dei cinepanettoni, ma non per un cinepanettone. Lo ha detto in un’intervista a Il Messaggero. L’attore sta per tornare con la commedia Chi ha incastrato Babbo Natale con Alessandro Siani, il remake Altrimenti ci arrabbiamo con regia di You Nuts, una fiction, quattro sceneggiature. Anche una stoccata ironica al presidente dell’SSC Napoli e della Filmauro Aurelio De Laurentiis. De Sica, 70 anni, figlio di uno dei geni del cinema italiano, il padre Vittorio De Sica, simbolo della cultura del Novecento, una vita davanti alle telecamere. E proprio in onore del padre domenica 14 novembre, dalle 14:00 alle 24:00, sarà l’organizzatore del palinsesto di Rai Storia: in occasione del 47esimo anniversario dalla scomparsa di Vittorio De Sica. Il regista americano Wes Anderson ha rivelato di essersi ispirato a L’oro di Napoli per il suo ultimo film The French Dispatch: “Non è stato il primo grande a inchinarsi a papà. Ingmar Bergman sosteneva che Umberto D. fosse il miglior film della storia del cinema, Martin Scorsese ha sempre ammesso che senza il neorealismo non sarebbe esistito, per non parlare dell’ammirazione manifestata da Orson Welles. E pensare che Vittorio non ci ha mai dato l’idea di essere un mostro sacro. Al di là di certi suoi personaggi un po’ esagerati, nella vita era una persona semplice, umilissima”.
L’idea di tornare con Boldi, ma non per un cinepattone: “Ho immaginato una storia più adatta a noi, a quello che siamo oggi: la storia di due vecchi attori di cinepanettoni. Due tromboni rincoglioniti. Mi piacerebbe che a dirigere il film fosse mio figlio Brando, che gira ora a Napoli una storia d’amore horror”. Da proporre ad Aurelio De Laurentiis? “Grazie agli incassi dei 32 cinepanettoni che Boldi e io abbiamo interpretato (ride, ndr), Aurelio ha potuto comprarsi il Napoli…”. Anni fa si diffuse la voce di un litigio tra i due, per decenni protagonisti al botteghino con i loro film, che effettivamente per alcuni anni si allontanarono: “La verità è che io sono rimasto con il produttore con il quale ho lavorato per trent’anni anni e lui è passato ad un’altra società perché voleva produrre i suoi film da solo – aveva raccontato De Sica ospite a Verissimo -. Questa è la vera ragione della separazione, non abbiamo litigato. Poi dopo abbiamo iniziato a dire un sacco di cavolate, che io dovevo dargli 300 mila euro e che lui era arrabbiato con mia moglie, ma la realtà è solo questa”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Da liberoquotidiano.it il 6 giugno 2021. "Non valete manco una c***a de c***o". Christian De Sica perde il controllo. L'attore romano, famoso per i ruoli da finto aristocratico e burino nell'anima al cinema, nella vita di tutti i giorni è celebre per riservatezza e contegno, ma i social a volte esasperano anche gli animi più pazienti e gentili. Su Instagram, il figlio del grande Vittorio pubblica una bella foto di famiglia con la moglie Silvia e i figli Maria Rosa e Brando (anche lui attore), ma a colpire è soprattutto la didascalia, decisamente sopra le righe e inattesa: "A tutti quelli che mi vogliono male, noi siamo forti e voi non valete manco una ceppa de c***", Messaggio ricevuto forte e chiaro, riteniamo, dai diretti (anonimi) interessati. Tra i commenti dei fan si susseguono domande e teorie su cosa abbia scatenato tanta rabbia. C'è chi lo accusa di essere stato troppo "volgare" ma il clima generale è di comprensione per uno sbotto di rabbia evidentemente indotto e giustificato da offese e insinuazioni private intollerabili. D'altronde, la famiglia De Sica è una delle più solide e longeve nel mondo del cinema e dello spettacolo italiani. Silvia è la figlia di Carlo Verdone, amico d'infanzia di De Sica, e fa coppia con Christian fin fa quando i due erano giovanissimi.
Christian De Sica, un uomo da varietà. "Porto in tv quel che mio padre amava". Silvia Fumarola su La Repubblica il 31 marzo 2021. Il 3 aprile su Rai 1 lo show "Una serata tra amici". È stato protagonista dei varietà d’autore, quelli di Antonello Falqui — Bambole non c’è una lira, Studio 80 — a teatro con Christian racconta Christian De Sica ha ripercorso la sua vita artistica e personale. Sabato su Rai 1 con Una serata tra amici, De Sica torna sul luogo del delitto, il varietà, la sua grande passione. Ci saranno la figlia Maria Rosa e Carlo Verdone. A tenere il filo del racconto Pino Strabioli, già complice di De Sica nella tournée teatrale.
Come sarà lo show?
«Uno spettacolo tra canzoni e ricordi. Sono circondato da persone con cui ho percorso un lungo cammino: a partire dal mio pianista Riccaro Biseo, grande jazzista. L’orchestra è diretta da Marco Tiso: 32 elementi, bellissima».
Quindi varietà in grande stile.
«Sono nato col varietà, lo amo. Questo è un po’ speciale perché, come sa chi mi ha visto in teatro, canto ma con la scusa ripercorro la mia vita. Tutte le canzoni — americane, napoletane — sono legate a aneddoti, episodi divertenti, teneri, tragici. Grazie a papà, che era del 1901, ho potuto conoscere personaggi incredibili, da Montgomery Clift a Charlie Chaplin. Venivano a trovarlo a casa».
Musica e ricordi protagonisti: che ruolo hanno gli ospiti?
«Mia figlia, che fa la costumista, mi ha chiesto di venire a cantare: “Papà voglio un ricordo con te”. Mi ha fatto un piacere immenso. Proponiamo I’m in the Mood for Love, canzone stupenda che è la colonna sonora dei miei compleanni. Mia moglie Silvia la mette sempre. Poi c’è Carlo Verdone, che è di famiglia. Era mio compagno di scuola ed è mio cognato, mi conosce bene».
Domenica è scomparso Enrico Vaime, che ha firmato con Maurizio Costanzo “Parlami di me”, di cui lei è stato grande protagonista. Che ricordo ha?
«Non avrei mai potuto fare quello spettacolo senza di lui. Mi ha aiutato, mi voleva bene, avevamo gli stessi gusti musicali. Enrico, oltre all’intelligenza e alla cultura, aveva un senso dell’umorismo unico. Faceva battute fulminanti. Lo spettacolo perde un autore immenso, chi è rimasto? Uomini così sono in via di estinzione».
Anche il varietà sta sparendo: perché?
«Perché ci vuole tempo, cura, prove. Ci vogliono gli autori. Oggi come oggi un varietà alla Falqui non si può più fare. Gli ultimi che sono riusciti a fare grandi spettacoli sono Gigi Proietti, Rosario Fiorello. Io spero sempre che si possa riaprire la porta all’intrattenimento, come una volta... È proibitivo, per fare una puntata ci mettevamo un mese. Oggi, in un mese, fai venti serate. Ringrazio il direttore di Rai 1 Stefano Coletta e la Ballandi, per questo speciale. Mi piace la tv, farei volentieri un one man show di due o tre puntate».
Sono cambiati i gusti del pubblico?
«Sì ma credo che continuino a piacere le cose eleganti. In Una serata tra amici rivediamo scene da Un americano a Parigi, Bambole non c’è una lira, c’è un duetto con mio padre. È una festa. Non faccio la grande entrata, sono seduto in mezzo all’orchestra. Era un’idea di papà per il mio spettacolo: non farmi entrare dalle scale».
Il sabato sera c’è Maria De Filippi con un pubblico fedele: ci ha pensato?
«Ci ho pensato sì. Avrei preferito non scontrarmi con Amici, ma gli altri giorni erano occupati... Sarà quel che sarà. Abbiamo spettatori diversi, lei ha i ragazzi. Io spero di portarmi dietro un po’ di pubblico giovane, quello dei cinepanettoni».
Da liberoquotidiano.it il 23 marzo 2021. Grave lutto per Christian De Sica: è morta a 83 anni Emi De Sica, prima figlia di Vittorio De Sica e della sua prima moglie, l'attrice Giuditta Rissone. Di fatto, dunque, la sorellastra per parte di padre del popolarissimo attore romano, insieme a Massimo Boldi volto e voce-cult di tanti cinepanettoni e commedie leggere italiane, dagli anni Ottanta a oggi. A darne notizia è stato lo stesso Christian, 70 anni compiuti lo scorso 5 gennaio, postando sulla propria pagina Facebook una foto in bianco e nero di Emi e Vittorio abbracciati e sorridenti. "Ciao Emi, mi mancherai. Dai un bacio a papà", è la commovente dedica dell'attore. Era stata proprio Emi, primogenita del grandissimo regista, protagonista dell'epopea del Neorealismo prima e della nascente commedia all'italiana di fine anni 50 e inizio anni 60 poi, a curare i progetti dedicati alla memoria dell'illustre padre, a partire dai prestigiosi premi De Sica per finire con le mostre e il restauro dei suoi film più famosi. Per Christian, invece, la perdita di Emi è un altro duro colpo alla memoria familiare: il lutto si somma a quello del 2014, quando De Sica ha perso l'altro fratello Manuel De Sica, scomparso a soli 65 anni stroncato a un attacco cardiaco. Anche lui è stato figlio d'arte, ma su un altro versante: grande compositore, ha lavorato nel cinema al servizio di registi come Dino e Marco Risi, Carlo Verdone (amico di famiglia e cognato di Christian, che ha sposato la sorella Silvia Verdone), Enrico Oldoini, Carlo Vanzina e lo stesso Christian.
Gloria Satta per "il Messaggero" il 25 marzo 2021. Padre e figlia in scena insieme per la prima volta. Emozionati mentre cantano I' m in the mood for love, il brano di Julie London che in casa loro scandisce da sempre compleanni e ricorrenze. Christian De Sica, 70, e la secondogenita Maria Rosa, 33, appariranno nello spettacolo Una serata tra amici in onda sabato 3 aprile su Rai1. Condotto da Pino Strabioli, è il primo one-man-show dell' attore tra musica, parole, ospiti (uno è Carlo Verdone, cognato del protagonista), ricordi. «È nato per il pubblico ma anche per la mia famiglia: racconta cose belle e meno belle della mia storia», spiega Christian, che stamattina alle 11, nella chiesa di San Bellarmino a Roma, parteciperà ai funerali della sorella Emi De Sica, figlia di Vittorio e della prima moglie Giuditta Rissone. Ma lo spettacolo va avanti e, sia pure addolorato, l' attore ci tiene molto a parlare dello show tv. «Maria Rosa ha una magnifica voce. L' ho sempre scoraggiata a cantare per evitare incognite e delusioni, ma se dopo lo show vorrà continuare sarò felice». LA SORPRESA Maria Rosa è la sorpresa dello show. A differenza del fratello regista Brando, 38, la De Sica più giovane non è mai stata sotto i riflettori. Stilista di moda e assistente costumista, carattere entusiasta e bella faccia aperta, rivela: «Sono stata io a chiedere a papà di affiancarlo in tv per avere un ricordo da conservare tutta la vita. Cantare è il sogno che coltivo da sempre, da quando facevo parte del coro della scuola».
Ma è stato Christian, conferma, a sconsigliarla di puntare sulla voce.
«Mi ha sempre detto che i cantanti sono troppi ed è difficilissimo emergere. Ascoltarlo mi ha aiutato a far sedimentare la mia passione. Poi, durante il lockdown, ho capito che non dovevo perdere altro tempo, i sogni vanno inseguiti».
Conosciamo l' idolo del pubblico, ma chi è Christian per i suoi ragazzi?
«Un bravo padre, credo. A differenza del mio, il grande Vittorio, sono stato molto presente grazie anche a mia moglie Silvia, che ha costruito con me la nostra bella famiglia», risponde di getto De Sica. Incalza la figlia: «È affettuosissimo e spiritoso, in casa nostra si ride sempre. Mi ha insegnato la leggerezza e il suo sguardo positivo sulla vita è un esempio prezioso... Ha dedicato moltissimo tempo a noi figli. Quando eravamo piccoli, ci portava a scuola. Il sabato andava con Brando al Luna Park, la domenica lui e io non perdevamo la visita a un famoso negozio di peluche».
Ma non si è mai arrabbiato con lei?
«Solo quando avevo 17 anni e, alla mia prima uscita serale, rientrai in ritardo.
Era sconvolto e mi sgridò, ma è stata l' unica volta. In famiglia c' è sempre stata complicità, siamo abituati a raccontarci tutto. E papà tratta ancora noi figli come bambini».
Sorride, Christian: «Maria Rosa, donna quadrata come mia moglie Silvia, a volte mi rimprovera di essere un po' superficiale, ma questa caratteristica mi ha permesso di volare sopra le cattiverie e rimanere ottimista». La ragazza annuisce e, tornando all' infanzia, ricorda le visite ai set dei cinepanettoni: «Andavamo a trovare papà dovunque girasse: a Cortina, in India, in America. E quando lui partiva da solo con la mamma, Brando e io ci mettevamo nel lettone a guardare le videocassette dei suoi film di Natale tra popcorn e risate».
Maria Rosa smentisce gli antichi dissapori di Christian con Massimo Boldi.
«Non hanno mai litigato davvero, la loro separazione è stata ingigantita dai media», assicura, «infatti io sono ancora amica delle figlie di Massimo. E quando i nostri padri si sono ricongiunti, hanno girato l' ottimo Amici come prima».
Anche In vacanza su Marte che a qualcuno è apparso un po' troppo sboccato: «Papà fa ridere pure in quella versione, è il suo modo di essere dissacrante e il pubblico lo adora». A causa del cognome che porta, Maria Rosa dovrà fare i conti con i pregiudizi. «Anche mio padre all' inizio è stato considerato un figlio d' arte privilegiato, poi ha avuto successo grazie al talento e allo studio. Io voglio seguire il suo percorso. Spero di venire apprezzata per quello che valgo, non perché mi chiamo De Sica».
Dagospia il 18 gennaio 2021. “Papà, ce sta un vecchio scemo che gioca con la bombetta”. E mio padre rispose: “Ma che sei matto? E’ Charlie Chaplin”. Christian racconta Vittorio De Sica a “Che tempo Che fa” tra cronache familiari e polvere di stelle. “Mi ricordo un viaggio a Capri sulle ginocchia di Clark Gable, non sapevo neppure chi fosse. Mio padre obbligava me e mio fratello a fare sketch assurdi anche in casa, davanti ai suoi amici Renato Rascel, Paolo Stoppa e Alberto Sordi. Loro si divertivano, noi un po’ meno. Ci vestiva con una specie di frac nero, sembravamo due cornacchie…”. Il liceo con Verdone, le balere con Massimo Boldi (“Avevamo un’orchestrina…”) e la decisione di fare l’attore: “Non ho avuto la pretesa di rifare Ladri di Biciclette, sarei stato un fallito. Ho fatto un genere completamente diverso e mi è andata bene”. Il primo film, Blaise Pascal, con la regia di Roberto Rossellini. “Ero fidanzato con la figlia Isabella, le chiesi di aiutarmi ad avere una parte. Rossellini quando seppe che volevo fare l’attore, mi invitò ad andare a studiare a Houston. Fare l’attore – disse - è un mestiere da fannullone”. La descrizione della passeggiata notturne con Cesare Zavattini a Parigi è commedia all’italiana in purezza. “Quando ci ritrovammo davanti alla sede del "Le Figaro littéraire", vedemmo che era illuminato solo “Le Figa…” e notammo una fila di italiani che bussava per entrare convinti che si trattasse di un night club. Zavattini ci ha fatto un poema”. Dal neorealismo alla pop art. “Nel 1974 mio padre venne chiamato da Andy Warhol per recitare in un film erotico che si chiamava “Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete”. Il regista era Paul Morrissey. Lo accompagnai sul set. Si avvicinò a Morrissey abbracciandolo e dicendogli “caro Andy Warhol”. No De Sica, guardi che Andy Warhol è quell’altro coi capelli bianchi tutti dritti. Intorno tutti gay americani con i jeans dorati. Il regista si mette a dare indicazioni. “Allora De Sica lei si siede su quella poltrona e fissa per tre minuti Stefania Casini e Udo Kier che fanno l’amore. “Per me va bene – dice Vittorio che si rivolge al suo amico direttore della fotografia, Luigi Kuveiller: 'Mi assicuri che questi signori sono quattro autentici froci americani?'. È successo un casino…” Christian De Sica parla dell’eredità, non solo artistica, che gli ha lasciato il padre Vittorio: “Ho scoperto di avere un sacco di sorelle. Mio padre non aveva il coraggio di farci incontrare. Il giorno del suo funerale, al Verano ho visto sulla sua tomba una “buzzicona” che metteva una madonnina. Si è girata e aveva la mia faccia. Mi disse che era la figlia di Ines, la sarta di mio padre. Chiesi spiegazioni a mia madre: “E questa chi è?”. E lei: “Lasciamo perdere…”
Aneddoti e curiosità poco note sull’attore, figlio di Vittorio De Sica e di María Mercader, che il 5 gennaio spegne 70 candeline. Arianna Ascione il 5/1/2021 su Il Corriere della Sera. Il 5 gennaio Christian De Sica festeggia un compleanno importante: l’attore infatti compie 70 anni (di sui 50 trascorsi tra set e palcoscenici). Nato a Roma nel 1951 è figlio del regista e attore Vittorio De Sica e dell'attrice catalana María Mercader. Ha quindi alle spalle una storia familiare importante, e la sua infanzia è ricca di aneddoti. Da casa sua infatti sono passati alcuni dei più grandi protagonisti del cinema, italiani e non, da Roberto Rossellini a Charlie Chaplin («Mi ricordo quella volta che, mentre stavo aspettando papà, mi ritrovo davanti a Charlie Chaplin che, per intrattenermi nell’attesa, giocava con la sua bombetta» ha raccontato al Corriere). Ma questa non è l’unica curiosità che lo riguarda.
Cameriere in Venezuela. «Mi vergognavo a fare l’attore, con padre attore e grande regista, e madre attrice. Mi sentivo un cane, non volevo fare brutte figure e, siccome avevo una fidanzatina venezuelana, me ne andai dall’altra parte del mondo» diceva al Corriere a proposito i suoi inizi. Quando si trasferì in Venezuela per mantenersi trovò lavoro come cameriere in un hotel: «Conoscevo lo spagnolo grazie a mamma e volevo provare a cimentarmi nelle prime esperienze artistiche lontano da casa per non dover subire ingombranti paragoni. All’inizio, non trovando lavoro, mi adattai a fare il cameriere in un albergo lussuoso, il Tamanaco Hotel di Caracas».
Quando prese l’epatite in Amazzonia. Nel periodo trascorso in Venezuela De Sica conobbe Renny Ottolina, un produttore radio-televisivo che lo prese in simpatia: «Mi offrì un contratto da cantante-attore, intrattenitore. Poi mi invitava spesso a viaggiare con lui sul suo aereo: in una di queste vacanze, mi sono beccato l’epatite - ha svelato al Corriere - Era un viaggio in Amazzonia. Atterrammo di notte in un piccolo aeroporto: sulla pista, una lunga fila di fiaccole e di indios che ci attendevano con omaggi floreali e cesti di frutta. Erano seminudi e sul pene esponevano una specie di buccia di banana. Uno di loro mi offrì un frutto: evidentemente l’ho mangiato senza lavarlo o sbucciarlo. Dopo qualche tempo diventai tutto giallo in faccia. Mamma al telefono mi disse: che stai a fare là, torna a casa».
Scoprì di avere una sorella al telefono. Scoprì di avere una sorella quasi per caso. Un giorno infatti Emilia, nata dal primo matrimonio di Vittorio con l’attrice torinese Giuditta Rissone, telefonò a casa De Sica: «Ci chiama, dicendo: “Pronto sono tua sorella”. Quando papà seppe della telefonata, ci chiese preoccupato: “Che v’ha detto?”. Io gli rispondo: “Che è nostra sorella! E tu papà ce lo potevi dire prima, no?”».
La verità sullo scontro con Carlo Verdone. Ha conosciuto Silvia Verdone (sua moglie da quasi 40 anni) a casa del suo amico e compagno di scuola Carlo (Verdone): ha iniziato a corteggiarla fin da subito, ma tra i due c’era una grande differenza d’età (De Sica ha sette anni in più di lei), cosa che inizialmente alla famiglia proprio non andava giù. A Non è un Paese per Giovani, programma condotto da Tommaso Labate e Max Cervelli su Rai Radio2, l’attore ha raccontato: «Una volta mi sono scontrato con Carlo Verdone - che è anche mio cognato - davanti a casa mia. Lui dice che mi ha menato, invece ci siamo solo strattonati. Lui ce l'aveva con me perché uscivo con sua sorella. “Tu sei un puttaniere, esci con mia sorella che ha la coda di cavallo, è piccola!”, mi diceva».
In gara al Festival di Sanremo. Da ragazzino Christian De Sica sognava di fare il cantante. Ci provò nel 1973, in gara al Festival di Sanremo con il brano «Mondo mio» (e fu eliminato).
Ha recitato in oltre 100 film. Da «Paulina 1880» di Jean-Louis Bertuccelli (1972) a «In vacanza su Marte» di Neri Parenti (uscito il 13 dicembre scorso in streaming a causa della chiusura delle sale causa Covid): Christian De Sica ha recitato in oltre 100 film. Per molto tempo il suo nome è stato legato al genere dei cinepanettoni (dai primi successi al box office di Carlo Vanzina, «Sapore di mare» e «Vacanze di Natale», alla saga in coppia con Massimo Boldi) ma l’attore si è fatto apprezzare anche come regista (ha esordito nel 1991 con «Faccione» e «Il conte Max», un omaggio al padre) e come interprete drammatico («Compagni di scuola» di Carlo Verdone, «Il figlio più piccolo» di Pupi Avati).
Esperienze come doppiatore. Nel suo ricco curriculum ci sono anche alcune esperienze come doppiatore: ha prestato la voce a Rocky Bulboa in «Galline in fuga» (2000), a Ortone in «Ortone e il mondo dei Chi» (2008) e a Capitan Pirata in «Pirati! Briganti da strapazzo» (2012).
Gloria Satta per "il Messaggero" il 5 gennaio 2021. Il successo più grande? «È andare in giro e sentirmi chiamare zio dai 18enni. L' affetto che mi dimostrano i giovanissimi è una frustata di vitalità, non so quanti altri colleghi possono dire altrettanto». Oggi compie 70 anni e Christian De Sica, 110 film e una carriera ultracinquantennale spalmata tra cinema, teatro e tv, ragiona sulla sua vita da numero 1 che ha smesso presto di essere figlio d' arte per brillare di luce propria. E, mentre i ricordi si mischiano con i progetti (tanti), il suo ultimo film In vacanza su Marte spopola sulle piattaforme e continuano le riprese della commedia Chi ha incastrato Babbo Natale, l'attore si augura di morire tardissimo ma «giocando con un trenino elettrico».
È bello compiere 70 anni?
«Mica tanto. Era meglio farne 24. Ma ogni mattina mi alzo e ringrazio Gesù per le fortune che ho avuto: una splendida famiglia e un mestiere non ho mai fatto per la fama o per i soldi, ma scegliendo solo le cose che mi divertivano».
Ha detto molti no?
«Rifiutai di fare il Conte Tacchia con Gassman e Montesano anche se mi offrivano 14 milioni di lire, una fortuna. Invece girai, per 600 mila lire, Sapore di mare. Ho fatto bene».
Oggi c' è spazio per i rimpianti?
«Uno mi brucia ancora: non mi hanno permesso di fare La porta del cielo, il film sulla storia d' amore tra mio padre Vittorio e mia madre Maria. Erano gli anni d' oro dei cinepanettoni e i produttori non riuscivano a vedermi al di fuori delle commedie. In questo Paese se fai bene il cowboy, devi farlo per sempre».
Però ha guadagnato moltissimo, che rapporto ha con il denaro?
«È un macello. Non ho la minima idea di quello che guadagno, gestisce tutto mia moglie Silvia. Oggi, a 70 anni, mi dà ancora la paghetta».
Quanto?
«Cento euro alla settimana, benzina esclusa. E fa bene: se potessi spendere liberamente, combinerei solo guai. Magari tornerei a casa con un elefante imbalsamato. O rischierei di comprare 300 euro di mozzarelle, come feci una volta».
Ha suscitato molte invidie?
«Sì, in Italia il successo non te lo perdonano. Mi hanno fatto tante cattiverie, ma io preferisco cancellarle e pensare solo alle cose belle».
La cattiveria più grande che ha ricevuto?
«Nel 2000, quando un petardo di Capodanno mi esplose in faccia mettendomi fuori uso l' occhio destro, dovevo fare Un americano a Roma al Sistina e più di un collega si precipitò da Garinei dicendo: De Sica ormai è cieco, prendo io il suo posto. Ma dopo 9 operazioni tornai in pista e lo spettacolo fu un enorme successo».
Che cosa ha rappresentato quell'incidente?
«Il ricordo più brutto della mia vita. Ma grazie alla tempestività di mia moglie e di Aurelio De Laurentiis, da Cortina fui portato immediatamente all' ospedale e salvato».
Che marito pensa di essere?
«Bravo. Dopo 40 anni, Silvia e io ci amiamo ancora e ridiamo come al liceo, felici di invecchiare insieme».
E che padre è?
«Molto affettuoso, una chioccia. Ora che Brando e Maria Rosa sono fuori di casa, abbiamo 12 cani. Dormono con noi».
È stato un buon figlio?
«Sì, prendevo tutti 30 all' università. Ero educato e rispettoso. Oggi invece i ragazzi se ne fregano, ma non è colpa loro se sono maleducati e ignoranti. La colpa è della tv, dove basta mostrare le chiappe per avere successo».
Il suo flop più grande?
«Avevo 21 anni e conducevo una serata a Vibo Valentia, con giacca rosa e capelli lunghi. Cantavo una canzone francese, Chaînes, catene, e la gente mi urlava Ricchione!».
Quando ha capito invece di avercela fatta?
«Nel 1991, in Place de la Concorde a Parigi sul set del film Il conte Max, di cui ero anche regista: al momento di baciare Ornella Muti, le luci si accesero al mio comando. Ebbi la certezza di fare sul serio».
C'è qualcosa che non si perdona?
«Di non aver esaudito l' ultimo desiderio di mia madre che voleva tornare a Montecarlo dove accompagnava papà a giocare. Io non ce la portai. Sono stato uno stronzo».
Le critiche la feriscono?
«No, anche mio padre venne fatto a pezzi».
E le accuse di volgarità per In vacanza su Marte?
«È stata la gente a rivolere Boldi e me in versione cinepanettone. La migliore replica alle critiche è il successo che sta ottenendo il film on demand».
Ansie?
«Per la salute. A 20 anni non ci pensi, a 70 ti preoccupi».
Ha lasciato delle tracce il Covid?
«No, archiviato senza conseguenze. Costringendomi a casa, mi ha permesso semmai di vedere le serie che avevo perso».
Nel nuovo film di Gabriele Salvatores, Comedians, fa un attore navigato che insegna il mestiere ai giovani. E nella realtà, cosa direbbe ai suoi eredi potenziali?
«Che questo lavoro è costruito sull' acqua e puoi farlo solo se ti piace molto. E se diventi il numero 1. Io lo sono diventato».
Dagospia il 27 settembre 2021.Comunicato stampa. Sarà Claudia Koll il terzo ospite di Pierluigi Diaco nel programma di Rai2 “TI SENTO”, martedì 28 settembre in seconda serata. Claudia Koll rivedrà in un video i momenti più importanti della sua crescita umana e professionale: una serie di immagini montate su una particolare canzone, dichiaratamente legata ai ricordi della attrice che da tempo ormai ha abbandonato il cinema, per dedicarsi ad un percorso di ricerca spirituale e dedizione altruistica.
Claudia Koll ha parlato della donna che è ora e del suo rapporto con la fede.
In merito a delle foto di scena del film “Così fan tutte”, ha commentato “mi danno fastidio queste foto del passato con Tinto Brass…”.
Pierluigi Diaco chiede “Perché ti danno fastidio?”
CK: “Perché io sono un’altra persona oggi e dover parlare solo del mio passato, guardando indietro, sapendo che invece io sono proiettata verso il futuro, in avanti, un po’ mi fanno sentire… non so…”
PD: “Ti imbarazza? Ti vergogni?”
CK: “No, non è né imbarazzo né vergogna, è fastidio proprio. Mi dà fastidio vedere un’immagine che diciamo mi… in qualche modo, mi ricorda qualcosa che è passato ma passato nel senso che sono contenta che è passato”.
Un lungo silenzio invece è la risposta alla domanda di Diaco “il fatto di essere stata un oggetto del desiderio e magari di esserlo ancora per chi non ti conosce e non sa nulla della tua evoluzione, è qualcosa che ti offende o no?”.
A proposito del suo rapporto con la fede, Diaco ha poi chiesto “Il Male, il diavolo, chiamiamolo come vogliamo, esiste?”
Claudia Koll: “Certo che esiste"
PD: “E che volto ha?”
CK: “Mah, io non l’ho visto”
PD: “E si nasconde dietro a cosa allora?”
CK: “io sono stata aggredita fisicamente, questo sì. Mi è salito sul corpo e mi ha stritolata e mi ha detto che era la morte, che era venuta per uccidermi. Quindi era uno spirito, non l’ho visto, lo spirito non si vede. Però si sente e ho sentito anche l’odio che ha nei confronti dell’uomo e del corpo dell’uomo, l’accanimento che ha. E in quel momento io penso sia stato Dio stesso ad aiutarmi, perché ricordai di un film che avevo visto da ragazzina, appunto i primi film da adolescente quando andavo al cinema, e vidi ‘L’esorcista’. Mi ricordai che il sacerdote teneva fra le mani il crocefisso e quindi presi il crocefisso fra le mani e gridai il Padre Nostro.Io penso che mi ha ispirato Dio perché nel Padre Nostro noi diciamo ‘Liberaci dal Male’”.
· Cristian Bugatti in arte Bugo.
"Dopo Morgan non è una rivincita. Da stasera parte un'altra sfida". Bugo in gara con il brano "E invece sì". "Giovedì canto Battisti con i Pinguini Tattici Nucleari". Paolo Giordano - Mer, 03/03/2021 - su Il Giornale. Stasera entra dall'altra parte. L'anno scorso era uscito di lato mentre Morgan deragliava sul palco dell'Ariston. Stasera la scena è tutta sua, sua di Cristian Bugatti in arte Bugo, uno dei pochi artisti «indie» che sia rimasto «indie» anche a Sanremo. Canta E invece sì, che potrebbe anche diventare un bell'hashtag sui social. «La vita l'ho sempre presa di petto», spiega lui, 48 anni, capelli appena brizzolati. L'ha sempre presa di petto, ma senza fuggire. «L'anno scorso si dice che io sia scappato dal palco, ma chi scappa di solito corre. Io sono uscito dal palco lentamente». Adesso ci rientra con lo stesso orgoglio.
Qualcuno diceva che Bugo sarebbe sparito. E invece no.
«Questo brano contiene molti punti fermi della mia mentalità».
Ad esempio?
«La forza dell'immaginazione. E l'attaccamento ai miei modelli, non solo musicali. Non a caso cito Ronaldo ma anche Celentano e Ringo Starr, che sono riferimenti decisivi per me e le mie passioni. Non a caso nella serata delle cover ho scelto di cantare Un'avventura di Lucio Battisti con i Pinguini tattici Nucleari. Con Vasco e Adriano, Lucio fa parte della mia trinità musicale».
Il video di Bugo e Morgan a Sanremo è stato il più visto del 2020.
«Sul palco c'erano due modi diversi di prendere la vita. Il mio è di avere sempre buona fede e grande dignità. Se avessi fatto una grande trashata come la sua, forse la gente non mi amerebbe come mi ama».
Lei ne ha sofferto?
«Perdere un amico è sempre un motivo di grandissima sofferenza per me».
Ma dopo non vi siete più sentiti? Neanche un messaggio?
«Mi messaggio solo con le persone che stimo e certe cose non sono rimediabili».
Venerdì esce anche il suo disco.
«Si intitola Bugatti Cristian».
Ma come, quello dell'anno scorso si intitolava Cristian Bugatti.
«Ho ribaltato nome e cognome come se fosse una ripartenza. L'album nuovo contiene le stesse canzoni del penultimo disco più cinque inediti che ho scritto e rimesso a posto soprattutto durante il periodo del lockdown».
Con il «caso Irama» l'ombra del Covid è già arrivata anche sul cast dei Big in gara.
«In realtà mi ha già toccato pesantemente perché per quella malattia ho perso un mio amico coetaneo. Ho un bimbo di quattro anni e con mia moglie seguiamo sempre tutti i protocolli. Il virus è una questione enorme, molto più grossa di Sanremo».
Però Bugo riparte da qua.
«È semplicemente una nuova sfida, non è certo un riscatto. Un riscatto da cosa, poi?»
Silvia Fumarola per "la Repubblica" il 16 settembre 2021. Parlare con Cristiano Malgioglio significa entrare in un mondo colorato come le sue mise. Autore di canzoni bellissime, personaggio da reality, simpatico e spericolato, dice sempre quello che pensa. Lo sa bene Carlo Conti che lo ha scelto come giudice a Tale e quale, da domani su Rai 1 accanto a Giorgio Panariello e Loretta Goggi, recentemente vittima di insulti sui social. «Lo dico subito, è osceno quello che le è successo, le finte femministe sono rimaste zitte. Vergogna».
A Rai 1 le hanno detto di comportarsi bene? (ride)
«Ho una personalità strabordante, senza filtri e dico quello che penso. Se qualcosa non è perfetto lo farò notare, non dirò che è tutto bello. Penso alla Parietti, che si prende tanto sul serio: voglio vedere se si spariettizza. Devo tanto a Carlo, mi ha sdoganato a I raccomandati, ero l'opinionista. Oggi per avere un'opinione devono prendere dieci persone».
È autore, cantante, star dei reality. Cosa prevale?
«Conosco la musica di tutti i paesi, non so se ho fatto cose belle ma sono stato chiamato da Roberto Carlos. Dopo L'importante è finire mi ha voluto in Brasile, ho scritto Testarda io (La mia solitudine) che Luchino Visconti inserì in Gruppo di famiglia in un interno. Ero alla casa discografica, mi chiamarono: "C'è il maestro Visconti, vuole parlarle", pensavo fosse un maestro del liscio. Mi disse che il pezzo lo aveva commosso».
In tv non si è fatto mancare niente, perché i reality?
«Sono stati la mia fortuna. Non hanno visto il personaggio ma come sono nella vita reale. Però non hanno capito: io non sono trash, sono camp perché sono consapevole».
Chi deve ringraziare?
«Simona Ventura con cui ho fatto L'isola. Poi ho fatto anche Il grande fratello. Mi avevano diagnosticato un melanoma, grazie a Dio tutto si è risolto. Mi sono chiuso nella casa con l'idea di avere una nuova vita».
Come spiega il suo successo?
«I bambini mi vedono come un puffo ma mi emoziono perché quando vado a comprare le pesche e i pomodori le signore vengono da me a farsi selfie, succede ovunque».
È sempre amico di Barbara D'Urso?
«Ho un bel rapporto, anche se non la sento quasi mai. Con Mara Venier invece ci sentiamo sempre, è mia sorella. Mi chiama Massimo Giletti, con cui ho fatto Casa Rai1 . Ero tremendo: chiesi alla povera Moira Orfei come faceva a sbucciare le arance con quelle unghie».
Si ritiene una persona libera?
«Ho avuto genitori meravigliosi, mia madre non voleva che facessi questo lavoro perché sarei andato all'inferno. Mi diceva: "Non diventerai mai Gianni Morandi" e io replicavo: "Non voglio diventare Morandi, voglio diventare Cristiano Malgioglio". Soffrivo di acne, stavo chiuso a casa, ascoltavo Gino Paoli. Gli incontri mi hanno cambiato la vita, quello con Dori Ghezzi è stato il regalo più bello della mia vita. Lei e Fabrizio De André meravigliosi».
Il legame con Cuba?
«L'isola mi ha dato tanto, ho conosciuto Gabriel García Márquez tremavo quando gli ho chiesto l'autografo. Non me l'ha voluto fare, poi però mi mandò Cent' anni di solitudine con la dedica. Sono legato alla nipote di Fidel Castro, Mariela: ero al suo fianco nella campagna per i diritti dei gay».
I suoi amori?
«Bellissimi, tormentati, complicati, storie lunghe con tradimenti. Mai sopportato la gelosia, non so cosa voglia dire essere geloso».
Non le piacerebbe avere un compagno con cui invecchiare?
«Nooo. Non è che ho bisogno di andare in discoteca, ma vorrei un compagno trentacinquenne. Frequentavo un trentanovenne di Istanbul proprietario di una palestra, l'unico problema è che col Covid comunicavamo a gesti con le videochiamate. Parla solo turco, non lo chiamo più».
Oggi cosa sogna?
«Di lavorare con Pedro Almodóvar e Ferzan Ozpetek, un bel ruolo drammatico. Poi non sogno più niente, però mi piace Channing Tatum. Una volta appendevo le foto di Montgomery Clift e Marlon Brando, e mio padre chiedeva: perché? Mia madre lo rassicurava: "Crescendo vedrai che metterà le foto di Marilyn Monroe". Ero avanti, a 20 anni la gente si spaventava per le mie scarpe col tacco. Maria Schneider è la donna che avrei voluto sposare. Sono gay ma quando la vedevo mi emozionava».
L'Italia è omofoba?
«Spero che mettano a posto la legge Zan, vedere ragazzi buttati fuori di casa è tristissimo. ognuno deve essere libero. Mi ritengo fortunato, mai stato bullizzato. Ma la politica deve fare qualcosa».
Come si definirebbe?
«Sono un'eterna ragazzina».
Barbara Costa per Dagospia il 30 maggio 2021. “Perché devo stare 8 ore in piedi a lavorare in un fast food, con un capo che mi tocca il c*lo, per guadagnare a fine mese quello che nel porno, facendomi col mio consenso sc*pare, guadagno in un’ora?”. Già, perché? E perché voi moralisti da tastiera, non vi fate i cavoli vostri? Tanto una f*ga del genere non è per voi. Ve la potete scordare. Questa f*ga qui costa tanti bei soldoni. Tutti quelli che le paga il porno. Vedete che corpo perfetto, che c*letto stretto, se credete di aver davanti la classica bambolina scema, girate al largo! Questa qui vi mette in riga, questa qui vi incenerisce, lei vi annichilisce. Ma lo fa con charme. Clara Mia è da quasi un anno – saranno 12 mesi esatti a agosto – che manda in subbuglio il porno, e fans riverenti in fila stanno chini al suo splendore, mendicando scene su scene. E ancora, e ancora, non gli basta, non son sazi, del suo corpo fulgido, di quegli occhioni ambrati, e di quel suo… sguardo. Clara Mia, francesina doc, di Le Mans (alcuni siti la indicano di La Ciotat, non è vero), 21 anni il prossimo settembre (c’è chi dice 29: cos’è, invidia?), è proprio lei, in persona, che sui social prima di bloccare risponde a tono a chi le rimprovera che il porno la stia degradando e sfruttando. A Clara nessuno deve azzardarsi a rompere su ciò che lei di se stessa, e del suo corpo, decide di farci. Cosa, con chi, con quanti, quante volte, in quali posizioni. Decide lei. Lo vuole lei. Clara Mia ama il sesso e il porno, se non fosse così, non avrebbe fatto quel che ha fatto, col suo ragazzo, l’estate scorsa. Ebbene sì, non vi disperate, Clara è fidanzata, con Mike, e Clara e Mike l’estate scorsa hanno aperto un profilo Pornhub comune, e profili social, con questo preciso obiettivo: vogliamo il porno, cerchiamo studios che ci diano possibilità di metterci alla prova. Ovvio che pornano su OnlyFans, ovvio che monetizzano se stessi e il loro sesso esibito anche così, ma loro hanno puntato alla professionalità la più alta da subito. E il corpo, luminoso, di Clara, ha subito colpito: Pierre Woodman. Il “vecchio orso peloso con un caz*o normale”, come si canzona lui stesso, il pazzesco Pierre Woodman, porno attore, regista, talent scout, da 30 anni nel porno e ancora ci dà, ancora ne ha, appena gli si è presentata davanti Clara Mia, non ha avuto dubbi: questa ragazza ha ogni potenzialità per diventare una vera pornostar. Pierre Woodman ha provinato Clara in uno dei suoi celebri "Casting X", video porno di (finti) casting dove una ragazza davanti a Woodman, e alla sua telecamera, e al suo pisello, ma pure a altri, viene messa alla prova su quello che di sesso sa fare. Inutile dire che Clara ha "passato" il provino con ottimi voti, più lode (il video completo è di 2h30min): il suo è uno dei Woodman Casting X più scaricati, e battente è stata l’attesa, le prenotazioni del video, ammassatesi online appena Pierre ha messo foto e frame in anteprima sul suo sito. È stato Woodman a permettere a Clara Mia di svoltare: non solo girando con lei altri video – tra cui un "wunf", acronimo di "Wake Up 'N Fuck", che sta per un porno dallo script basico e concreto: chi non vorrebbe svegliarsi accanto a una femmina splendida, che glielo succhia fino alle p*lle? Con e per la regia di Woodman, Clara ha girato dei wulf in threesome (vedete quello con Pierre, Clara, e Tiffany Tatum, ma pure quello con Pierre, Clara e Bonnie Dolce, e poi… tornate in voi). Woodman è stato grande e generoso a far girare nome e foto di Clara tra le più importanti produzioni porno europee. Così Clara si è trovata in breve richiestissima, con giorni e giorni prenotati a girare, e in tutto questo, che fine ha fatto il fidanzato Mike? Ci sta, lavora anche lui, porna anche lui, con Clara su OnlyFans, senza Clara con altre attrici, e con Clara e Woodman in Casting X in cui l’ingordigia sessuale di Clara è incitata da uomini, anche 5 in una volta, e tra questi 5, si alterna lo stesso Mike! È appena uscito "Queen of Roses", doppia penetrazione di Clara Mia per "SINematica", brand porno europeo di recente creazione, nato a febbraio 2020. È la seconda volta che Clara gira con loro: si è già fatta amare da Lorenzo Viota, suo connazionale, in un porno girato all’alba. SINematica gira porno in scenari lussuosi, in interno e all’aperto, baciando gli amplessi di luce naturale. E Clara Mia a aprile ha pornato nel corale "Rocco’s Psycho Teens #18" by Rocco Siffredi, grande amico, e sodale, di Woodman. Dice Pierre Woodman: “Clara Mia è un angelo sì, con un diavolo nella f*ga!”. Lui se ne è professionalmente innamorato. E non gli capita spesso. Pierre, io pure, sono innamorata di te, tu non hai rivali: Clara Mia è il tuo nuovo, ennesimo capolavoro. Hai creato una nuova piccola dea, perversa…
Claudia Cardinale, la stella del cinema italiano. Angela Leucci il 30 Agosto 2021 su Il Giornale. Claudia Cardinale è una delle icone over più in vista e ancora in attività del cinema italiano e internazionale: la sua storia è quella dei personaggi in tanti film. Claudia Cardinale è una delle attrici italiane più amate dagli over ma anche da tutte le altre generazioni. E lo è grazie a una carriera cinematografica corposa, a un talento e a una bellezza iconica. Non a caso un’immagine dell’attrice apparve nei manifesti promozionali del Festival di Cannes 2017, a celebrare il fascino di una stella senza tempo, particolarmente significativa per il cinema internazionale. Ed è sempre molto ambita e seguita. “Ho fatto 181 film - ha raccontato al Corriere della Sera in un’intervista del 2019 - Più della Loren e della Lollobrigida, per dire. E ho ancora una vita piena. In America, non sa quanto. In Tunisia, hanno appena fatto una mostra su di me. E poi sono ambasciatrice dell’Unesco, mi occupo di Amnesty, di bambini in Cambogia, d’omofobia, di Aids... M’invitano dappertutto”. Claudia Cardinale è, probabilmente insieme a Sophia Loren, la più internazionale delle attrici italiane di tutti i tempi. Questo anche a causa della sua storia personale. Classe 1938, l’attrice nacque infatti a Tunisi da due emigranti siciliani che non vollero mai abbandonare la loro cittadinanza italiana, anche in un periodo come quello della Seconda Guerra Mondiale, in cui il sentimento anti-italiano era dominante nelle ex colonie francesi. Da adulta visse sia in Italia che in Francia, sia per esigenze personali che lavorative: gli anni ’60 e ’70 furono infatti un periodo d’oro per il cinema italo-francese e tante furono le co-produzioni tra i due Paesi che sono entrate nella storia della settima arte. “Papà - ha detto Claudia Cardinale in un’intervista a MarieClaire - è stato l’artefice del mio successo, lui che mi ha spinto a fare cinema, il tutto mentre mi faceva addormentare suonando il violino. Da mamma ho preso il sorriso che per me ha rappresentato un’arma di seduzione, ma anche di difesa. È stata mia madre Yolanda a insegnarmi a usare il sorriso per affrontare le vicissitudini della vita a testa alta e con allegria. Da Tunisi, quando arrivai in Italia, avevano tutti paura della mia bellezza, considerata allora selvaggia, e tutti mi volevano come 'donna illibata' almeno finché incontrai Pietro Germi”.
La carriera di Claudia Cardinale. Nel 1957, Cardinale partecipò a un cortometraggio, “Anneaux d’or”, che le permise di essere prima al Festival di Berlino e poi alla Mostra del Cinema di Venezia: sebbene fosse solo in un primo piano, l’attrice fu richiesta per interpretare un piccolo ruolo ne “I giorni dell’amore”. Entrò poi al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, ma frequentò le lezioni di un solo trimestre e intanto scoprì di essere rimasta incinta a seguito di uno stupro: tenne il bambino e fu messa sotto contratto dam produttore Franco Cristaldi. “Mi sentivo come un’impiegata, una persona stipendiata al mese per i film che faceva all’anno, almeno quattro. Ero a disagio”, rivelò successivamente in un’intervista a Repubblica. Ma questi erano solo gli inizi del mito. Dopo il Csc, Cardinale aveva pensato di abbandonare il cinema infatti, ma invece questo contratto inatteso cambiò tutto e lei si ritrovò a vestire ne “I soliti ignoti” del 1958 i panni di Carmelina, che il personaggio di Tiberio Murgia, suo fratello, sorvegliava secondo lo stereotipo siciliano che veniva utilizzato in molte commedie italiane dell’epoca. Dopo l’esperienza con Mario Monicelli, Claudia Cardinale ha lavorato con registi come Luigi Zampa, Pietro Germi, Nanni Loy, Mauro Bolognini, Luchino Visconti, Federico Fellini, Blake Edwards, Luigi Comencini, Sergio Leone, Luigi Magni, Marco Ferreri, George Pan Cosmatos, Werner Herzog, Claude Lelouch. Sebbene la carriera dell’attrice sia spalmata lungo molti decenni e duri ancora, gran parte dei suoi film migliori risalgono agli anni ’60, delle vere e proprie pietre miliari del cinema italiano. Come “Il bell’Antonio” di Mauro Bolognini, in cui Cardinale è Barbara, del quale si innamora Antonio, interpretato da Marcello Mastroianni, aitante e raffinato ma impotente, che deve nascondere il suo problema di fronte all’“onorata società”. C’è poi “La ragazza con la valigia” in cui Claudia Cardinale è Aida, ambita ma abbandonata dagli uomini che si invaghiscono di lei. E poi è ancora in quella grande giostra di umanità che è “8 e 1/2” di Federico Fellini, è Angelica ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti e Jill in “C’era una volta il West” di Sergio Leone. Tra le pellicole notevoli è impossibile non citare “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, in cui l’attrice è Giuditta, giovane ebrea nel ghetto di Roma ai tempi di papa Leone XIII e amante del ciabattino carbonaro Cornacchia interpretato da un magistrale Nino Manfredi. Mentre nel 2021 Claudia Cardinale sta lavorando ad alcuni nuovi film, uno degli ultimi interpretati appare particolarmente interessante. Si tratta di "Rudy Valentino - Divo dei Divi" di Nico Cirasola, esperimento di meta-cinema che racconta il ritorno in patria del divo del muto ai tempi del Fascismo. Rodolfo Valentino rivede i parenti, che gli raccontano una realtà, quella italiana, molto diversa dagli Stati Uniti in cui lui vive. Tra i parenti proprio l’affascinante zia Rosa interpretata da Cardinale, che si lancia in una dissertazione filosofica sulla bellezza della gioventù. E l'attrice sa molto di bellezza, ma a tutte le età.
Angela Leucci. Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.
· Claudia Gerini.
Fulvia Caprara per “La Stampa” il 18 dicembre 2021. La felicità, dice Claudia Gerini, «è anche una scelta, viene dal non essere troppo concentrati su se stessi, dall'evitare di piangersi addosso, dal conservare un po' di leggerezza, dal saper dire "ma chi se ne frega"».
Ora che è arrivata «alla metà di cento», come dice scherzando a proposito del fatidico compleanno che festeggia oggi, può serenamente dichiarare di vivere il traguardo «con allegria, ci sono arrivata preparata, mi piaccio, mi voglio bene. È ovvio che, come accade a ognuno, anche in me ci siano fragilità, riflessioni, debolezze. Però, se mi guardo indietro, vedo che tutto mi riporta verso un sentimento di pace».
Insomma, nessun rimpianto?
«No, forse perché ho vissuto sempre con grande libertà, senza farmi condizionare e senza mai provare, anche sul piano lavorativo, la sensazione di girare a vuoto. È una questione di approccio alla vita, io ce l'ho giocoso e penso che resterà così anche quando avrò 80 anni, anzi, magari lo sarà anche di più. Sono molto curiosa, ci sono ancora un sacco di territori da esplorare, tanti registi con cui vorrei lavorare, tante occasioni per crescere. Per me ogni nuova partita, ogni nuovo film, è una pagina da scoprire, un'occasione per uscire dalla zona di conforto e mettermi alla prova, sono sempre un'allieva che sta imparando».
In questi giorni sta lavorando al montaggio del suo primo film da regista, «Tapìrulan». Come è nata l'impresa?
«È un soggetto che mi ha intrigato, appena me l'hanno proposto ho pensato che avrei voluto produrlo, poi, nella fase di ricerca del regista, è venuta fuori l'idea che avrei potuto fare un passo avanti dirigendolo io. È stata una decisione istintiva, l'ho presa come faccio sempre, senza rete».
Chi è la protagonista di «Tapìrulan»?
«È una consulente psicologica, una di quelle persone che forniscono aiuto immediato online. Ha scelto di vivere una specie di auto-reclusione, iper-connessa, con un sacco di app che usa per fare tutto, in una casa che è un loft con grandi vetrate. Nel suo passato c'è un trauma, diciamo che è una donna interrotta, immersa nella sua solitudine».
Che cosa le ha dato l'esperienza dietro la macchina da presa?
«Grande energia, senso di responsabilità, perché sul set bisogna prendere tante decisioni, e l'impressione di avere un regista con cui mi trovavo benissimo visto che era sempre d'accordo con me».
Sui set lei ci è cresciuta. Se ripensa ai suoi esordi, che sentimenti prova nei confronti di se stessa, di quella Gerini giovanissima, alle prime armi?
«Tenerezza, anche se sono sempre stata determinata, soprattutto guidata dalla passione per il mio mestiere, quindi anche da un'ambizione, dalla volontà di raggiungere obiettivi».
Del suo percorso di donna e di attrice fa parte l'esplosione del MeToo. Si è mai sentita discriminata perché donna?
«Discriminata no, anche se di sicuro avrei guadagnato di più se fossi stata un attore invece che un'attrice. I "predatori" li ho incontrati eccome, li ho evitati tenendo gli occhi aperti e conservando velocità di pensiero. Quella del MeToo è stata un'ondata positiva, in tutto il mondo e in tutti gli ambienti. L'abuso di potere maschile, la richiesta di favori sessuali, riguarda tutti i settori lavorativi, non solo il cinema, ma anche gli ospedali, la politica, i tribunali, insomma fa parte della storia delle donne. Adesso, grazie al MeToo, un uomo prima di richiedere e abusare ci pensa trecento volte, era una cosa che, a un certo punto, doveva succedere, ed è successa».
È riuscita a conciliare il suo mestiere con la maternità. È stato difficile?
«Non potrei essere quello che sono se non fossi diventata madre. E non avrei mai rinunciato ad esserlo. Diciamo che ho fatto l'equilibrista, che ho alternato periodi di assenze per lavoro con altri di pausa e di presenza. Ho rinunciato a tournée troppo lunghe e ho avuto una madre che mi ha molto aiutato. Questo non vuol dire che, come tutte le mamme che lavorano, non abbia avuto i miei sensi di colpa. Le mie figlie mi percepiscono come una mamma che lavora, ma anche come una mamma che c'è».
Nella vita di un'attrice il corpo è importante. Come vive gli inevitabili cambiamenti?
«Certo, noi attrici dobbiamo fare i conti con i primi piani, con le telecamere digitali, con la forza di gravità che avanza... comunque un conto è il viso che oggi è più maturo, un conto è il corpo, che resiste più a lungo. Faccio molto esercizio fisico, non mi piace l'inattività, mi alleno, alla fine nella mia pelle mi sento ancora bene e sulle rughe non mi concentro troppo. Preferisco pensare a una cinquantenne stupenda come Jennifer Lopez».
Nel nuovo film di Edoardo Leo «Lasciarsi un giorno a Roma», interpreta una sindaca. Che rapporto ha con la sua città?
«Sì, faccio la sindaca, purtroppo solo per finta... Roma è la grande madre, il grande incanto, sono così arrabbiata per come è stata gestita finora, bisognerebbe trovare delle soluzioni per la pulizia, per la viabilità. Sono stata contattata, insieme a Carlo Verdone, dall'assessore Miguel Gotor, l'idea è che, dal nuovo anno, la città riparta dalla cultura, ci saranno iniziative nei teatri, mi hanno chiesto di intervenire su questo argomento, spero che tutto questo serva a qualcosa».
Da Oggi il 20 ottobre 2021. «Sono single e per ora sto bene così, ma so di essere una da vita di coppia. Ho pure pensato anche di iscrivermi a Tinder ma come faccio? Mi conoscono tutti…». Sul settimanale OGGI, in edicola domani, Claudia Gerini parla di amore e di ex. «Ero invitata al matrimonio di Federico Zampaglione, il padre di mia figlia Linda, ma non ci sono andata: mi avrebbe fatto troppa impressione, lui è una parte del mio cuore. Giglia Marra, sua moglie, è diversissima da me. Forse Federico aveva bisogno dell’opposto». Nella lunga intervista a OGGI, Gerini parla anche della relazione con Gianni Boncompagni, avuta quando era giovanissima: «La gente immagina la ragazzina e il volpone, oggi forse quella storia non sarebbe più accettabile. Invece Gianni era un uomo meraviglioso, colto, pieno di vita. Insieme ridevamo come matti». Il 18 dicembre, Gerini compirà 50 anni. «La ruga dà fastidio, sì. Ma quel che mi fa davvero paura è pensare al distacco dalle mie figlie Rosa e Linda, la mia vita senza di loro», dice. E su sesso e tradimento rivela: «Sono passionale, fare l’amore per me è importante. Per restare insieme il sesso va curato, nutrito, ma il tradimento sessuale è sopravvalutato. Quelli che dicono “ho rinunciato a farlo per amore”, ma che rinunci, ma vai!».
Candida Morvillo per il corriere.it il 10 ottobre 2021. «Ho sbagliato solo perché non ho saputo tenere la calma, avrei dovuto restare zen e, invece, ho fatto una sfuriata al paparazzo, ma certo non gli ho rubato il telefonino»: Claudia Gerini si ritrova a processo, dopo che un fotografo l’ha accusata di avergli sottratto lo smartphone col quale le aveva appena girato un video, quello sì, letteralmente rubato. Non è una scena che vedremo al cinema e, qui, la Dolce Vita è solo il ricordo di un film in bianco e nero. Se adesso Claudia - 60 film di successo alle spalle, un primo film da regista, Tapis roulant, che inizia a girare lunedì - accetta di parlare è perché non le piace leggere su siti e giornali solo la versione di chi l’accusa. Il processo è iniziato a Trani il 5 ottobre e la prossima udienza sarà a primavera. Sono imputati in concorso lei e l’ex compagno, il produttore Andrea Preti. Li aveva denunciati Maurizio Sorge, il 22 aprile 2017.
Che era successo, quel giorno a Bisceglie?
«Ero in tournée teatrale ed erano i primi tempi della mia storia con Andrea. Il fotografo ci aveva seguiti fino in Puglia e aveva preso una camera nel nostro stesso albergo. È il suo lavoro, ci sta. Io e Andrea usciamo a fare jogging, ci rendiamo conto che lui ci segue e ci scatta le foto. Vabbé. Lo lasciamo fare. Dopo un’ora e mezzo, gli dico con gentilezza: ci hai fotografato abbastanza, ora basta, no? Ma manco ci risponde. Dopo un po’, glielo ridico, lui finge di andarsene, ma continua a seguirci. Mi fermo e gli dico che sono stanca, gli chiedo di smetterla. E lui, con tono prepotente: “Se non vuoi essere scocciata, cambia mestiere, io te seguo quanto mi pare, te seguo tutto il giorno se mi va”. Mi ha detto che il mio mestiere, in pratica, era fare il pagliaccio per lui. Dico: scusa, il mio lavoro è l’attrice. E lui straparlava, come se noi attori fossimo scimmiette al servizio di chi ci fa andare sui giornali. Sono cascata nella trappola e l’ho preso a brutte parole. Non minacce, solo parolacce. Gli ho detto cose tipo: mi sono rotta. Ho sbagliato, ma ero esasperata, stanca per la corsa, non ci ho visto più».
È questa la scena che lui ha ripreso?
«Ho visto che aveva in mano due telefoni, uno in modalità video: aveva ripreso la mia sfuriata, con me sudata fradicia, rossa in viso, che inveivo contro di lui. Quando me ne sono accorta, mi è venuta veramente paura: sapevo che andava in tv in vari programmi a portare filmati simili».
Ha temuto che divulgasse il video, magari privo del contesto, tagliato?
«In quel momento, volevo solo che non avesse quel video sul suo telefono. Allora, mi avvicino, gli strappo lo smartphone dalle mani, lui comincia a rincorrermi, un uomo grande e grosso, alto, tracotante. Sono riuscita ad allontanarmi, a trovare i video e a cancellarli tutti. Dopodiché, ho lanciato il telefono nella sua macchina. Fine. Lui sostiene che non l’ha più trovato e che gliel’abbiamo rubato, ma non è vero».
Da qui la denuncia: la vostra parola contro la sua.
«L’unico modo che gli era rimasto per spargere fango. Ci seguiva cercando qualcosa di forte, ha tirato fuori il peggio di me, ha voluto creare il mostro, ma quella non sono io. L’abbiamo a nostra volta denunciato e la mia avvocata Patrizia Del Nostro ha chiesto il rito abbreviato perché è convinta che non ci sia alcun reato e per evitare tempi lunghi che si prestino a strumentalizzazioni. Dice anche che è vero che sono un personaggio pubblico, ma che il diritto alla privacy dei personaggi pubblici non è abolito, è solo affievolito: non si può essere così invadenti contro la volontà espressa di una persona. Fra l’altro, subito dopo, sono venuti i carabinieri e ci siamo messi a disposizione, hanno perquisito camera, auto, bagagli. Il telefonino non c’era. Dopo, iniziata l’inchiesta, abbiamo chiesto noi di essere sentiti spontaneamente. Io ho fatto qualcosa che non dovevo, ma che non è il reato di cui mi accusa questo signore».
Nell’accanimento del fotografo e nella sua reazione c’entrava anche il fatto che era giovane la sua storia con Preti e che lui è più giovane di lei, per cui eravate braccati da settimane?
«Eravamo agli inizi, ci sta che uno non si senta di esporsi serenamente, però no: le tappe della tournée erano su Internet, sapevo che un fotografo poteva trovarci. È stato il modo che è andato oltre il limite di ciò che è accettabile».
I paparazzi della Dolce Vita avevano un codice di fair play per cui i personaggi si lasciavano fotografare e poi loro li lasciavano in pace. Questo codice è saltato?
«C’è ancora. Io devo spezzare una lancia verso tutti i paparazzi che conosco e che incontro sempre a Roma. Li lascio lavorare e uno non può dire che li sfuggo o non sono gentile. Amo la gente, capisco sia giusto lasciar fare la fotografia. Però quel paparazzo, in quel momento, ha cercato lo scontro: non sono io che devo cambiare mestiere, è lui che deve essere più educato nel fare il suo mestiere. Lui ha il diritto di seguirmi, ma anche il dovere di essere rispettoso: gli ho fatto scattare le foto, poteva anche capire la mia esigenza di essere mollata. Nessuno dovrebbe sentirsi trattato con una simile violenza, come un oggetto, una preda».
Dagospia l'11 ottobre 2021. “LA GERINI MI HA DETTO: CICCIONE, TI BUCO LA PANCIA FLACCIDA, CON UN CALCIO TI STACCO LA TESTA”. IL FOTOGRAFO MAURIZIO SORGE RISPONDE ALL'ATTRICE CHE HA DENUNCIATO NEL 2017 INSIEME AL SUO COMPAGNO DI ALLORA ANDREA PRETI PER IL FURTO DEL CELLULARE – LA GERINI SI ERA DIFESA DICENDO DI AVER SBAGLIATO A PRENDERLO A BRUTTE PAROLE MA NEGANDO DI AVERGLI RUBATO IL TELEFONO - LA RICOSTRUZIONE DI SORGE.
Avevo saputo che Claudia Gerini e Andrea Preti stavano imbarcandosi per Bari e ho visto su internet dove lei avesse una serata di lavoro.
Ho chiamato la mia Agenzia, la Romapress, che mi ha prenotato l’hotel e dato l’ok per le spese e stranamente era lo stesso hotel della Gerini e di Preti, infatti al mattino successivo mi sono alzato presto per non farmi vedere in sala colazione e dopo le 9 li vedo uscire in tenuta da jogging e li seguo.
Dall’hotel si dirigono verso il lungomare di Bisceglie fino al porto che dista dall’hotel almeno 1 km e per fortuna loro se la fanno tutta passeggiando altrimenti io non avrei potuto seguirli visto la mia situazione: ho una protesi all’anca destra che avevo appena impiantato e la sinistra che già mi dava forti problemi, per me correre dal 2016 non è più possibile e questo per smentire la Gerini che ha sostenuto il fatto che io li “rincorressi”.
Arrivati al porto e dopo che avevano fatto una sosta in un alimentari pasticceria, lei nota la mia presenza e senza pensarci su CORRE verso di me intimandomi di non fotografarla e dicendomi “ciccione ti buco la pancia flaccida, con un calcio ti stacco la testa” mimando con la gamba la sua sicurezza nell’attuale il suo proposito.
Io gli dico” mi scusi ma non mi conosce perché mi insulta in questo modo, siete una coppia ormai da mesi non credo di nuocervi e poi siamo sul suolo pubblico ed io scatto”.
Lei continua ad insultarmi mentre il Preti resta a distanza e fissandomi non partecipa a questo teatrino.
Ritornano verso l’hotel e si accorgono della mia precaria deambulazione e così iniziano a correre per distaccarmi, ma siccome non sono stupido, faccio autostop e si ferma un certo Luigi, un abitante del posto che mi accompagna all’hotel.
Li anticipo e loro non si accorgono della mia iniziativa, prendo la macchina, in realtà di mio fratello che gentilmente me l’aveva prestata, e mi posiziono alla fine del lungomare dove una rampa porta all’hotel.
In attesa e stando seduto in macchina posiziono il mio Samsung appena comprato sul poggia braccio del passeggero in attesa poi di metterlo in modalità “video” appena ci fosse l’occasione visto il “caratterino” molto vivace di Claudia Gerini che non è nuova a queste intemperanze visto che in più occasioni ha preso a calci le macchine dei miei colleghi che stazionavano sotto la sua casa.
Li vedo arrivare ed inizio a scattare sempre da dentro la macchina, lei su suggerimento di Preti mi vede e viene verso di me. A quel momento attivo in modalità video il mio cellulare immaginando quello che potesse dire e fare.
Premetto che ne avevo due di cellulari.
Avvicinandosi al finestrino inizia di nuovo ad insultarmi come fossi il suo nemico è mi conoscesse oppure avessimo avuto a che fare in altre situazioni: Mai !!!
Io per non far vedere il Samsung che aveva già fatto il suo dovere registrando il tutto, esco dalla macchina ma lei, la Gerini, lo nota ed inizia a strillare: “CI STA REGISTRANDO CAZZO, PRENDIGLI IL CELLULARE, CI HA FATTO IL VIDEO, SBRIGATI” urla a Preti che obbedisce al suo ordine, aprendo lo sportello della mia macchina e “PRELEVANDO” il telefono anche se io gli dicevo di non azzardarsi a farlo!!!!
Appena preso il telefono lui lo passa alla Gerini, e lei con terrore vede il video che ne era scaturito.
Se ne vanno verso l’hotel ed io li seguo mettendomi in macchina, parcheggio davanti all’hotel e continuo a implorarli di restituirmi il telefonino che tra l’altro c’erano foto del mio papà del suo 89’ compleanno…mio Padre è poi morto un anno dopo.
Entriamo nella hall e Preti mi dice: “adesso quando facciamo vedere i video porno che hai sul tuo telefonino, le tue figlie ti schiferanno”..!!!
Era presente anche una addetta alla Reception ed il Proprietario dell’ hotel.
Salgono in camera e non mi ascoltano mentre io chiamo i Carabinieri…esco nel giardino antistante e mi accorgo che la Gerini, saltando il muretto che delimitava l’hotel rientrava all’interno in prossimità della mia macchina.
Da quando sono saliti in camera a quando l’ho vista rientrare saranno trascorsi 10/15 minuti perché ho chiesto aiuto al proprietario affinché mi risolvesse il problema ma non ha voluto saperne.
Come vedo la Gerini penso che dopo aver cancellato il video mi voglia riconsegnare il cellulare mettendolo nei pressi della mia macchina..!!!!
Arrivano i Carabinieri, controllano i cellulari in possesso di Preti e Gerini e non c’era quello che prima io ero riuscito a fotografare in possesso della Gerini !!!!!
Cioè io l’ho fotografata con la PROVA in mano!!!!
Gloria Satta per “il Messaggero” il 29 settembre 2021. Per i 50 anni, che compirà il 18 dicembre, Claudia Gerini ha deciso di farsi un regalo speciale, «una bomba» dice lei: il debutto nella regia. L'11 ottobre l'attrice comincerà a Roma le riprese di Tapis Roulant, l'opera prima di cui è anche protagonista nel ruolo di una psicologa sempre collegata telematicamente con i pazienti ma autoreclusa in casa dove corre senza sosta sul tappeto elettronico. «Sono emozionatissima», assicura mentre sul web impazza il video da lei interpretato in coppia con l'ex partner Carlo Verdone per il singolo Domenica dei Tiromancino, la band dell'ex compagno Federico Zampaglione. È un anno frenetico, questo 2021: Claudia ha in uscita sei film e uno di questi, la commedia agrodolce Sulla giostra di Giorgia Cecere, è passato al BiF&st di Bari prima di sbarcare in sala il 30 settembre. L'attrice fa una produttrice cinematografica aggressiva e temutissima che viene spedita dalla madre nelle Puglie a cacciare l'anziana governante dalla casa di famiglia, appena messa in vendita. Tra le due donne agli antipodi (l'altra è la grande Lucia Sardo) scatta un duello senza esclusione di colpi ma dall'esito non scontato.
C'è qualcosa di suo nel personaggio che interpreta?
«Nemmeno per sogno. Ho messo da parte la mia empatia e l'atteggiamento solare che ho nella realtà per diventare una donna che va di corsa, risolve i problemi, indossa una corazza destinata però a creparsi quando deve staccarsi dalla casa d'infanzia, dal passato, dal figlio che cresce. La vita è un insieme di separazioni, tutte traumatiche».
Lei come ha affrontato le sue?
«Anche quando mi sono separata dagli uomini che hanno contato, non mi sono mai chiusa in me stessa. Ho sempre guardato avanti e, aiutata dal mio senso pratico, ho pensato al futuro mettendo in campo dei progetti».
Sei film in uscita, un paio in prospettiva tra cui The Maestro di Roland Joffé: non sarà un po' troppo?
«Ho lavorato tanto nel 2020 e ora le uscite si sono accumulate. Ma se guardo indietro, sono felice del mio percorso perché la qualità è cresciuta. E posso darmi una pacca sulle spalle».
Aveva annunciato il debutto come produttrice, com' è finita a fare la regia di Tapis Roulant?
«Non è stata una decisione programmata. Durante una riunione con il produttore Stefano Bethlen e l'autore del soggetto Antonio Baiocco, ci siamo chiesti chi potesse dirigere il film. Questo no perché costa troppo, quell'altro nemmeno perché ha troppi impegni... Allora sono saltata in piedi e ho esclamato: lo faccio io! E ho deciso di metterci anche una parte dei soldi».
Preoccupata, agitata, impaurita?
«Fino a un certo punto. Penso di riuscire nell'impresa perché mi farò guidare dall'istinto e dalla mia concretezza. Sono cresciuta nel cinema, il set è il mio ambiente. Non mi fa nessuna paura».
Con che spirito si avvicina al fatidico compleanno n. 50?
«Penso che sarà una bella botta, ma conto di affrontarlo con l'ironia e il sorriso. Compiere i 50 è un giro di boa per tutti, soprattutto per chi fa il mio mestiere. Ma sento che ho ancora tanto da esprimere e sono sicura che non è l'età a definire una persona, ma quello che è e che fa».
Le donne, nel cinema, stanno raggiungendo la parità?
«All'Oscar, a Cannes, a Venezia hanno vinto delle registe: ottimo segnale, le donne hanno imboccato un cammino irreversibile. Anche nei settori tecnici. Indietro non si torna».
C'è l'amore oggi nella sua vita?
«No. Ma pur essendo nata per stare in coppia, la libertà attuale l'ho cercata. In questo momento, con tutto quello che ho da fare, non potrei avere condizionamenti».
Nei mesi scorsi si era detta «preoccupata» di fare il vaccino, si è poi immunizzata contro il Covid 19?
«No ma perché il virus l'ho preso, per fortuna in forma lieve, e ho sviluppato gli anticorpi. I miei dubbi derivavano solo dal fatto che sono un soggetto ad alto rischio trombotico. Non ho nulla contro il vaccino, tant' è vero che l'ho fatto somministrare a mia figlia. Non voglio passare per una no-vax».
Fulvia Caprara per “La Stampa” il 26 luglio 2021. Con Claudia Gerini non c'è bisogno di rompere il ghiaccio. Sul dono di risultare semplice, diretta, spontanea, ha costruito una carriera iniziata trent' anni fa («Ho cominciato da bimbetta») che ora sta per arricchirsi di nuovi traguardi: «Sarò regista, interprete e produttrice, con la mia società, di un film intitolato Tapis roulant. Dopo tutto questo tempo, qualcosa di regia avrò pur imparato. Ho scelto di rischiare, i rischi fanno parte del mio percorso, non sono il tipo che si ferma alla "comfort zone"». Da tre anni presidente onorario di «Filming Italy Sardegna Festival» ideato da Tiziana Rocca perché «mi piace il concetto di una manifestazione che sostiene tante forme diverse di arte», Gerini ha un elenco lunghissimo di film in uscita, girati ovunque, da Roma al Nepal, di progetti da realizzare, di pensieri sulle cose del mondo. Da quelle cruciali, tipo il vaccino anti-Covid, a quelle piccole, ma non meno importanti, tipo il portarsi dietro la figlia più giovane ogni volta che può, magari accompagnata da un'amichetta «così non si annoia».
L'Italia si sta spaccando sulla questione «Green pass», lei si è vaccinata?
«Non ancora, ma la mia non è una posizione politica, prima di vaccinarmi devo fare tantissimi esami medici per escludere il pericolo di trombosi.
Non sono contraria, ma molto timorosa sì, si tratta comunque di vaccini testati in emergenza perché non c'è ancora una vera cura contro il Covid, speriamo che la trovino. Devo ancora capire delle cose, sono spaventata. Se si stabilisce che per entrare in un posto chiuso bisogna avere per forza il "green pass" mi chiedo come faranno quelli che hanno problemi di salute come i miei.
Comunque, mia figlia, quella che ha 17 anni, si è vaccinata, quindi non sono contraria, sto aspettando».
Che cosa fa, nel frattempo, per proteggere sé stessa e gli altri?
«Tamponi tutta la vita, mi piacciono anche, è un anno che ne faccio di continuo, è un metodo scientifico che serve a capire se sei contagioso oppure contagiato. Meglio quello, comunque non voglio influenzare nessuno».
Nel nuovo film di Edoardo Leo «Lasciarsi un giorno a Roma» interpreta una moglie che è anche sindaca di Roma. Come si è trovata nei panni di una simil-Raggi?
«Anche per finta è stato bello... scherzo, il film è riuscitissimo, mi ha toccato, Edoardo è molto cresciuto. Interpreto la moglie di Stefano Fresi, ma la nostra relazione, proprio per via dei miei tanti impegni, è in una fase di crisi».
Si è ispirata alla sindaca di Roma?
«No, non mi sono ispirata a nessuno, ho pensato solo a una donna molto occupata, che svolge il suo ruolo politico, ma anche quelli di madre e moglie, insomma tante cose insieme e quindi è comprensibile che non riesca a fare tutto al meglio».
Da corrieredellumbria.corr.it il 28 marzo 2021. Claudia Gerini è un'attrice apprezzata per la sua bellezza e per il suo grande talento. Di sicuro può essere definita, anche a 50 anni, un sex symbol nel panorama del cinema italiano. E così spesso l'attrice che debuttò nel celebre film di Carlo Verdone, Viaggi di nozze, nei panni della coatta Jessica, ha raccontato in alcune interviste alcuni dettagli piccanti relativi alla sua vita, anche sotto le lenzuola. Come quella volta che a Vanity Fair ha confidato di aver fatto sesso in aereo: "E' vero. Però era un volo molto lungo. Tornavo da New York con il mio fidanzato, si era creata una certa atmosfera e così lo abbiamo fatto. Sulle poltrone però, non in bagno", ha affermato. "Nessuno se ne era accorto, era un volo piuttosto vuoto, stavamo comodi in business", ha precisato. In un'altra circostanza mediatica, la Gerini aveva spiegato di esibirsi in spogliarelli anche in privato: "Il mio uomo ne ha visti di miei strip. E' importante divertirsi. Se si ha una buona chimica di coppia basta avere immaginazione. Spogliarsi dei ruoli seri che t'impone la vita di tutti i giorni e giocare, con ironia: essere un po' selvaggi, magari confidare le proprie fantasie - le sue parole da aspirante sessuologa (o per meglio dire terapeuta di coppia) -. Lo strip lo consiglio a tutte le coppie; alle donne suggerisco anche di studiare danza del ventre perché, come diceva la mia insegnante, aiuta a riappropriarsi della propria femminilità, accettandosi per come si è". E se non si è belli come Claudia Gerini? "Non è necessario essere perfette, bisogna saper accogliere, essere sexy, avere calore - ha aggiunto sempre in questa vecchia intervista -. A volte basta togliersi le ciabatte, il pigiamone e comprare un babydoll". La Gerini ha due figlie, avute dal matrimonio con Alessandro Enginoli (Rosa) e dal frontman dei Tiromancino, Federico Zampaglione (Linda).
Dagospia il 10 dicembre 2021. Da "Un Giorno da Pecora". “Io so di valere tanto per miei valori e qui la bellezza è l'ultima cosa che conta, in questo concorso si mettono in gioco molte cose. Io ad esempio studio legge e voglio diventare magistrato. Non temo nessuna, siamo tutte molto diverse”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è la candidata italiana a Miss Mondo Claudia Motta. Lei ora si trova a Porto Rico, dove il 16 dicembre concorrerà per diventare la più bella del pianeta. Vista la sua giovane età è arrivata lì da sola o l'ha accompagnata qualcuno? “Sono qui con tutta la famiglia”. Qual è il suo uomo ideale? “A me piace l'uomo maturo, uno alla Johnny Depp che ha molta personalità”. E uno come Damiano dei Maneskin? “Bel ragazzo ma non è il mio tipo”. E chi è il più bello tra i politici? “Forse Giuseppe Conte, che è molto affascinante”. Quindi tra Conte e Mario Draghi andrebbe a cena con il leader 5S? “Diciamo di sì”. Lei è molto seguita sui social. Quali sono le richieste più strane che le fanno i suoi follower? “Se apro Instagram trovo di tutto, da cose molto carine a chi mi chiede le foto dei piedi...".
Raffaele Marra per ilmessaggero.it il 6 dicembre 2021. La bella Claudia Motta vuole portare Velletri e se stessa in paradiso con Miss Mondo a Porto Rico. Non è il principio di favola ma è la realtà che sta vivendo Claudia Motta, 21 anni, lanciata in tv da Piero Chiambretti, veliterna doc, che rappresenterà l’Italia (dopo aver vinto la selezione a Gallipoli in Puglia) nella finale di Miss Mondo il 16 dicembre nell’isola del Mar dei Caraibi. Manca poco, alla giovane, per realizzare il suo sogno e quello di tante ragazze italiane: «Miss Mondo - dice - non è più un semplice concorso di bellezza ma racchiude una serie di prove: talent (ballo, canto o altro), inglese, sport, passerella, test fotografico, attitudine all’utilizzo delle app social, impegno sociale e relativa stesura di un progetto per affrontare un problema, io ne ho redatto uno sulla difesa dei diritti delle donne ma a Portorico il mio progetto riguarderà l’autismo». L’obiettivo di Claudia? «Prima porto il mio paese in cima al mondo e poi divento magistrato». Claudia, modella (sfila da quando aveva 15 anni), l’“angelo biondo” lanciata nella trasmissione televisiva “Tiki Taka-La Repubblica del Pallone” di Piero Chiambretti, studentessa al terzo anno di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, ha rapito tutti con i lineamenti delicati, la bellezza eterea, ma soprattutto per il modo di essere. I primi fans però restano papà Stefano e mamma Alessandra (entrambi funzionari del Ministero dell’Interno), la sorella Alice, il suo cane San Bernardo Molly e tutti i concittadini veliterni che il pomeriggio del 14 dicembre (6 ore indietro per il fuso orario) saranno incollati al web e voteranno per lei sui social. Claudia sa parlare l’inglese, un po’ di tedesco, ed è appassionata di fitness e danza, cinema e moda (ama Brad Pitt, Julia Roberts, Raoul Bova, Naomi Campbell e Gisele Bundchen) e gli piacciono le canzoni di Tiziano Ferro e Beyoncè. Al momento non ha un ragazzo perché dice di essere uscita da una delusione: «Un aspetto positivo di me - afferma - è che so quello che voglio e mi do da fare per realizzarlo. Un aspetto meno positivo, più fragile, è che sono sensibile. Mi fido troppo e spesso rimango male per i comportamenti di persone in cui ripongo fiducia. Forse per questo ho vissuto in amore una grande delusione. Quindi, principi, fatevi avanti!». Il sogno di Claudia però oltre alla tv rimane quello di diventare magistrato e difendere i diritti di tutti e delle donne in particolare: «Il femminicidio in Italia è un’emergenza - conclude Claudia - la legge va aggiornata».
Claudia Pandolfi, una vita tra amori e successi. Oggi vive con De Angelis e due figli. Maria Volpe su il Corriere della Sera l'11 Novembre 2021. L’attrice nella fiction «Il professore» con Gassmann, su Rai1 da giovedì. Fece scandalo la sua passione per Andrea Pezzi: per lui, lasciò il marito dopo un mese dalle nozze.
«Ritorno» a scuola
Eccola di nuovo in tv Claudia Pandolfi. Le fiction le hanno sempre portato fortuna e le hanno sempre regalato un grande successo di pubblico. Giovedì 11 la vediamo al fianco di Alessandro Gassman su Rai1 con «Il professore» («ce ne fossero così» ha detto Claudia riferendosi al personaggio interpretato da Gassmann), diretta da Alessandro D’Alatri . Lui è un prof di filosofia molto intrigante, lei la madre di un suo allievo. E qualcosa succederà...Nella fiction e nella vita, Claudia in amore segue sempre il cuore, costi quel che costi.
Claudia-Alice, il successo di «Un medico in famiglia»
Claudia Pandolfi, romana, 47 anni il 17 novembre, deve la sua popolarità alla famosa fiction «Un medico in famiglia» (1998-2000) e subito dopo a «Distretto di Polizia» (2002-2010). Nel «Medico» interpreta Alice, grande amore di Lele (Giulio Scarpati) e la loro storia fece innamorare milioni di telespettatori.
Le nozze (lampo) con Virgili
Correva l’anno 1999: Claudia Pandolfi si sposa con Massimiliano Virgili, attore e doppiatore, popolare al grande pubblico grazie alla fiction «Il maresciallo Rocca». Dopo un solo mese dal matrimonio, Claudia lo lascia perchè ha perso la testa per Andrea Pezzi, allora vj di Mtv. Un «amore scandaloso» che riempì i rotocalchi e però finì presto. Una rottura che per anni ha fatto soffrire Virgili, che intervistato anni fa, confessò: «Claudia mi piantò un mese dopo le nozze. Poi la vidi su tutti i giornali tra le braccia di Andrea Pezzi. Come se non bastasse, lei scrisse una lettera aperta sul Corriere della Sera per dire che già sull’altare pensava a Pezzi e non a me. Da quel momento per me è stato l’inferno».
La (scandalosa) passione per Andrea Pezzi
Nel 1999 Andrea Pezzi aveva 26 anni, Claudia Pandolfi 25: lei era popolarissima grazie a «Un medico in famiglia», lui un volto molto noto di Mtv. Persero la testa. Lei partì per il viaggio di nozze con Virgili, ma nella testa aveva già Andrea. Giovane e senza paura di ciò che poteva dire la gente, Claudia tornata dal viaggio di nozze, lascia il marito per dedicarsi alla brevissima ma intensa passione con Andrea.
La storia con Angelini (musicista di «Propaganda Live»)
Dopo la follia, arriva una storia d’amore che dura 10 anni., dal 2000 al 2010. Lui è Roberto Angelini l’attuale musicista di «Propaganda Live». Nel 2006 nasce Gabriele, il loro bimbo. Quando comincia a esserci aria di crisi, è lui a rompere gli indugi e parla con la stampa: «Si, è finita. E’ stato un legame molto importante. Dieci anni sono tanti… adesso, comunque, i rapporti tra me e Claudia sono piuttosto buoni, soprattutto per il bene di nostro figlio».
L’attuale compagno, De Angelis, (quasi marito) e il loro bimbo
Nel 2014 nasce una nuova storia importante che dura ancora oggi. Claudia si lega al produttore e regista cinematografico, Marco De Angelis, con il quale ha avuto il secondo figlio, Tito, nel 2016. La coppia, come ha confessato l’attrice durante un’intervista a «Verissimo», si è «sposata» in maniera non ufficiale: «Ero a Barcellona in vacanza con il mio compagno. Un sacerdote non so di quale religione, vedendoci così innamorati, ci ha messo delle cose in testa e ci ha sposato per strada. Ovviamente senza firme né niente. Ma io ero molto emozionata».
«Ovosodo» e gli altri due film con il regista Paolo Virzì
Claudia Pandolfi gira tre film con Paolo Virzì che le danno molta popolarità: il primo è «Ovosodo» nel 1997 che vince un David di Donatello; poi «La prima cosa bella» del 2010 con 18 candidature ai David di Donatello e 10 candidature ai Nastri d’argento ; e infine «I più grandi di tutti» del 2011
Al concorso di miss Italia
Ad aprire la carriera di Claudia Pandolfi è la partecipazione al concorso Miss Italia nel 1991. La futura attrice arriva tra le finaliste e viene notata da Michele Placido che le propone una parte nel film «Le amiche del cuore». Dimostrando ancora una volta che non è importante vincere miss Italia. Basta partecipare.
Valerio Cappelli per corriere.it il 16 novembre 2021. Claudia Pandolfi vive in una piccola grande contraddizione tra vita pubblica e privata: l’attrice che rivendica il diritto alla normalità, sta vivendo il grande ritorno alla popolarità (e continua a essere vista col sopracciglio alzato dal cinema d’autore). È su Rai Uno, con Alessandro Gassmann, nella serie Un professore; sta girando per Amazon The Bad guy; al cinema è uscito Per tutta la vita di Paolo Costella. Da un set all’altro.
Eppure di sé dice: io non mi sento attrice, lo faccio.
«È un atteggiamento distaccato che ribadisco tutti i giorni. L’attrice la lascio in camerino. Io dopo scena di un film, allo stop, divento me stessa. Cerco di non mentirmi, di non avere sovrastrutture. Essere autentici migliora i rapporti».
Sono trent’anni che fa questo mestiere.
«Mi hanno conosciuta in tutte le salse. Di recente mi hanno detto: lo sai che sei simpatica. E’ una cosa buffa. Forse dipende dal fatto che prima il mio disagio fuori dal set usciva da tutti i pori, ora lo sono meno, o meglio lo sono in modo più spensierato e meno ingrugnito».
Ma lei non è affatto antipatica.
«Cosa posso dire, grazie, spesso invece risulta così. Sui set non mi isolo, è che non mi piace raccontarmi. Vorrei esistere solo nei personaggi che interpreto».
Allora diventare famosa è stata una scocciatura…
«No, fu uno choc, stare al centro dell’attenzione non mi appartiene, quando lavoro sono protetta. Finito un set mi sento subito in un altro set, è una cosa alienante ma accade nella realtà».
Ogni volta che faccio un film penso sia l’ultimo. L’ha detto lei.
«E lo penso, sento la caducità, ogni volta vieni scelta. Poi mi giro e sono passati trent’anni. Per una che voleva fare la ginnastica artistica… Non vivo la competizione, non mi sento in gara con nessuno».
Non era stanca di fare la poliziotta?
«Certo, infatti dopo Distretto di polizia ho girato I liceali. E per fortuna che c’è un regista come Paolo Virzì che se ne frega se ho fatto tanta tv. L’attore è uno: dove lo metti, sta».
Ma, a parte Virzì, l’altro cinema, quello dei Festival, non la chiama.
«Non c’è un solo regista intellettuale che non mi abbia chiamato a un provino, anche quello che passa per essere il più altero di tutti, tanto avete capito di chi parlo. Lo fanno per curiosità. Non importa, io mi diverto, anche se a volte mi chiedo perché non prendono me. Non mi volete? Tié, mi diverto lo stesso. Io sono felice così. Ma poi cosa vuol dire il cinema dei Festival… Il vero mondo è fuori, quello è un mondo così astratto».
Virzì l’ha chiamata per la terza volta.
«Quando mi chiama sono entusiasta. Coglie chiavi intime senza voyeurismo. Il mio primo film con lui è Ovosodo, mia sorella Enrica, che ha dieci anni meno di me, faceva mia sorellina, poi non ha voluto proseguire come attrice, non si divertiva, fa la segretaria di edizione al cinema. Questo nuovo film con Paolo si intitola Siccità, in una Roma dove non piove da tre anni, io sono un medico di Pronto Soccorso, una donna dura, imperscrutabile».
Lui è un ritrattista della femminilità…
«E anche del mondo, che osserva con una sfumatura grottesca. Io sono cinica quindi andiamo d’accordo».
Cinica?
«Cito sempre Woody Allen: “La vita è una commedia scritta da un sadico”. Arriva sempre l’inatteso, nel bene e nel male. La vita è così spiazzante… Ho fatto un altro film con Virzì, ma è di suo fratello Carlo, dove faccio la bassista punk. Nella vita strimpello la chitarra. Nel soggiorno di casa ho tutto, il pianoforte, la batteria».
Come ha cominciato?
«Michele Placido mi aveva vista a Miss Italia, era l’edizione vinta da Martina Colombari. Lì, mentendo e non mi chieda perché l’ho fatto, ancora adesso non saprei cosa rispondere, dissi che avrei voluto diventare attrice. Mica vero, mi vedevo come insegnante di ginnastica. E avrei fallito perché sono troppo alta, i muscoli, le articolazioni… Insomma mi ritrovai a girare con Placido il mio primo film, a 18 anni, Le amiche del cuore. Mi diedero otto milioni. Con i soldi mi iscrissi anche a una scuola privata, feci quattro anni in uno e mi diplomai in ragioneria».
Quattro anni in uno?
«Eh, nell’insegnamento privato puoi».
Immaginiamo lo studio matto e disperatissimo alla Leopardi. Ha mai fatto psicoanalisi?
«Sì, tra i venti e i trent’anni, prima del mio primo figlio, Gabriele che è del 2006. avevo bisogno di interfacciarmi con qualcuno che non fosse di famiglia, di mettere ordine… Ero piena di brufoli, avevo dolori di stomaco. Il mio corpo parlava».
La lettera che nel 1999 scrisse al Corriere per spiegare il suo matrimonio lampo con Massimiliano Virgili, lasciato per Andrea Pezzi, nozze corte come un gatto in tangenziale…
«È stato uno sbaglio, ho capito dopo che nella vita non bisogna giustificarsi. Era un periodo turbolento. Sono passati tanti anni, sono diversa da allora: ma chi non lo è?».
E ora si è sposata con Marco De Angelis per strada, a Barcellona, un “rito” per voi due.
«Il nostro vicino di panorama, su un ponte, aveva la tunica di sacerdote e un turbante. Si capiva che era di un’altra religione. Ci vedeva innamorati, ci ha messo una mano sulla testa e ha detto qualcosa, in una lingua che mi sembrava indiana o araba, è imbarazzante ma non l’ho decifrata. Il tutto è durato tre minuti. Di matrimonio vero non parliamo mai».
Quando torna a casa, parlerete anche voi di pro vax e no vax…
«Le regole e il bene comune vanno rispettati. Ho visto la vignetta di un figlio che chiede al padre: perché non ho i segni del vaiolo? E lui: perché il vaccino ha funzionato. Ci sono persone fragili che non possono vaccinarsi, e fin qui sono d’accordo. Ma è per loro che dobbiamo vaccinarci. Ci sono i dati. Non c’è tanto da parlare: va fatto e basta».
Ma i suoi altri film e serie di cosa parlano?
«In Un professore faccio finalmente una romana, io che sono di Roma e non me l’hanno praticamente mai chiesto; interpreto una donna indipendente, libera, tenace, mio figlio è allievo del prof Alessandro Gassmann, con cui avevo avuto un piccolo trascorso, ci reincontriano e nasce una tenerezza. The Bad Guy è con due registi giovanissimi di Matera, competenti, divertenti ironici. Si chiamano Giuseppe Stasi e Giancarlo Fontana. Il protagonista è Luigi Lo Cascio, un magistrato che combatte la mafia e si trova coinvolto in ciò che combatte, io sono sua moglie, avvocatessa di successo. In Per tutta la vita c’è la domanda: se il matrimonio fosse nullo cosa faresti?».
È vero che oggi avrebbe problemi a spogliarsi sul set?
«Non mi suona proprio come frase mia, certo lo si fa con più dimestichezza in età giovane, ma se fosse giustificato dal film non avrei problemi a mostrarmi nuda in un film davanti ai miei figli. Non è la nudità, è il contesto che conta».
Ha mai interpretato una femme fatale?
«Non lo saprei fare, scoprirebbero la magagna, non sono per niente una seduttrice».
Claudia Schiffer e i folli anni 90: "Noi modelle eravamo come rockstar: avevo un body guard anche per la biancheria". Le sfilate per Versace e Lagerfeld. Le foto con Newton ed Elgort. L'inaspettata popolarità con paparazzi impazziti e cori da stadio sotto le finestre. La supermodella racconta aneddoti e curiosità del decennio d'oro della moda, che ora rivive nella mostra “Captivate! Fashion photography from the 90s” curata da lei stessa per il museo Kunstpalast di Düsseldorf. Serena Tibaldi su La Repubblica il 15 settembre 2021. È anche merito suo se la moda degli anni Novanta è ancora tanto in voga. Claudia Schiffer è una delle pochissime, vere supermodelle, e ha influenzato il costume tanto quanto creativi e fotografi. Forse pure di più, devono essersi detti al Kunstpalast, il museo di Düsseldorf che l’ha voluta come curatrice della mostra Captivate! Fashion photography from the 90s, sulla fotografia di moda di quel periodo, visitabile fino al 9 gennaio 2022. La supermodella ha accettato la sfida, e alla vigilia dell'inaugurazione pare davvero emozionata: dopotutto la mostra racconta la storia sua e di chi era lì con lei. È una questione personale.
Claudia, come ha selezionato le immagini?
"Per ogni singola immagine mi sono chiesta: è davvero anni Novanta? Rappresenta la visione di quegli anni, è espressione del fotografo, che sia il bianco e nero di Peter Lindbergh, la libertà di Ellen von Unwerth, il realismo di Mario Sorrenti? Mi premeva molto rendere la poliedricità espressiva di quel periodo, in pieno contrasto con i patinati anni Ottanta".
Instagram è zeppo di post sulla moda di allora, perché c’è ancora tanto interesse?
"È stato negli anni 90 che la moda è penetrata davvero nella società, modificandone aspetti e costumi. Penso al Gucci di Tom Ford o alle foto di Kate Moss per Calvin Klein: mondi diversi ma altrettanto influenti. Mtv ha iniziato a trasmettere programmi a tema attirando l’attenzione dei più giovani, mentre nell’editoria si sono moltiplicate le riviste alternative, di nicchia, e in parallelo sono esplosi i fenomeni delle top model e dei designer superstar. Era un periodo frenetico".
Avrà avuto parecchio materiale tra cui scegliere.
"Sì, anche perché ci tenevo che fossero presenti tutte le tecniche fotografiche dell’era pre-digitale, dalle stampe ai sali d’argento ai composit delle modelle. A questa massa infine ho aggiunto pure molte mie istantanee personali, non posate, più 'spontanee', che ho raccolto nel tempo. Per questo l’allestimento va per temi, senza un ordine cronologico".
Quali sono le sue immagini preferite?
"Per valore sentimentale, direi i miei primi test fotografici. E anche un mio ritratto realizzato da Helmut Newton, con cui ho avuto l’onore di lavorare".
A proposito di Helmut Newton: le sue foto tanto provocatorie oggi forse non sarebbero nemmeno pubblicate.
"Lo ripeto, è stato un onore incontrarlo. Ci siamo capiti subito: eravamo entrambi tedeschi, organizzati, calmi e controllati. Lui sapeva sempre quel che faceva, e questo ti dava sicurezza. Il suo lavoro causa tante polemiche perché ha ribaltato i canoni della rappresentazione femminile, esaminando ogni aspetto della sessualità con grande intelligenza. Le sue donne sono forti nel corpo e nello spirito. Ho voluto pure un suo scatto di Carla Bruni con il monocolo: mi sembrava calzante".
Ripensando a quel periodo, cos'era per lei più spiazzante?
"Era follia. Noi modelle eravamo come rockstar, avevamo bisogno della security anche solo per salire in auto. C’era chi faceva dei buchi nelle tende dove sfilavamo per fotografarci mentre ci svestivamo, tanto che i backstage erano pieni di bodyguard. Io ne avevo pure per la mia biancheria: per indossare i look degli show la toglievo e la lasciavo accanto ai miei vestiti, e sistematicamente dopo non la trovavo più!".
Sono esposte anche le foto che le fece Ellen von Unwerth nel 1989 per Guess, e che l’hanno lanciata a 19 anni. Come andò?
"Ho conosciuto Ellen a Parigi, quando avevo 17 anni. Eravamo entrambe agli inizi, e siamo diventate amiche: ho questo ricordo di lei che mi faceva delle foto di prova - io ero vestita con i miei abiti, nemmeno m’ero cambiata - nelle vie attorno al Centre Pompidou. Quegli scatti li vide Paul Marciano di Guess, che ci ingaggiò entrambe per la campagna. Da lì, divenni anche il volto del profumo del brand, che stavano lanciando".
Quando s’è resa conto del suo successo?
"Proprio per quel profumo avevo fatto un tour nei vari department store negli Stati Uniti, comparendo pure nei talk show di Jay Leno, Oprah Winfrey e David Letterman. Finito tutto, qualche mattina dopo ero nell’ascensore del mio condominio a New York, ancora mezza addormentata, spettinata e senza trucco: sale un tizio, che mi guarda e sbotta, 'Ma sei la ragazza Guess!'. Ecco, lì ho capito che la mia vita era cambiata per sempre".
La top model è la curatrice della mostra “Captivate! Fashion photography from the 90s” al museo Kunstpalast di Düsseldorf. Dove attraverso le fotografie-icona dei più grandi fotografi dell'epoca viene ripercorsa un'epoca mitica che ha visto la nascita delle Supermodelle. Nella nostra intervista Claudia Schiffer racconta il decennio d'oro della moda
In mostra c’è anche una foto di lei vestita da sposa con Karl Lagerfeld a una sfilata Chanel. È stato lui a farla debuttare in passerella, giusto?
"Esatto. Io e lui abbiamo lavorato assieme per 30 anni: secondo me Karl sta alla moda come Warhol sta all’arte. Lui ha trasformato questa timida ragazza tedesca in una supermodella, mi ha insegnato a sopravvivere in questo mondo. Mi ripeteva continuamente di rimanere fedele a me stessa e dare retta al mio istinto: non l’ho mai dimenticato".
Uno dei suoi shooting più famosi è quello fatto a Roma, con la città bloccata dai suoi fan.
"1995, campagna per Valentino, foto di Arthur Elgort. L’ispirazione era La dolce vita, con me nel ruolo di Anita Ekberg. Per tutto il giorno avevamo attirato sempre più curiosi, finché proprio come nel film ci siamo ritrovati inseguiti dai paparazzi. Il momento più surreale? Per uno scatto mi sono affacciata a un balcone salutando la folla sottostante, e la gente ha iniziato a scandire il mio nome tipo cori allo stadio".
Il manifesto della sfilata è una foto di Richard Avedon del 1994 per Gianni Versace a/i con lei e altre supermodelle. Perché ha scelto proprio quella?
"Quelle campagne incarnano il glamour e la creatività di quel periodo: Gianni - lui e Donatella sono persone meravigliose - è stato il primo a trasformare le sfilate in show veri e propri, con un palcoscenico e le luci da concerto. Mi ricordo una volta in cui c'eravamo noi che sfilavamo al ritmo di un brano di Prince, e lui seduto in prima fila".
Lei fa ancora la modella, ma in realtà ha molto altro in ballo, mostra a parte. Per esempio, una sua nuova linea di abbigliamento.
"L’ho creata con Réalisation Par, un brand che mi ha fatto scoprire mia figlia Clementine. La collezione prende molto dagli anni 90: in effetti sono proprio partita dal mio armadio, dai pezzi che allora usavo più spesso. Si torna sempre lì".
· Claudia Koll.
Marco Menduni per "Specchio – La Stampa" il 20 febbraio 2021. La recitazione è il trait d'union delle due vite di Claudia Koll. Oggi insegna recitazione, appunto. È docente di comunicazione, interpretazione, conoscenza di sé, educazione della voce: «Ho mantenuto tre corsi - racconta - e negli anni centinaia di persone si sono rivolte alla Star Rose Academy, molte hanno trovato lavoro e adesso mi ringraziano». Due vite ha avuto anche quell'esperienza. Fondata dalle suore Orsoline nel 2008, dedicata ai giovani talentuosi. Una scuola da cui è uscita anche suor Cristina Scuccia, la religiosa che ha partecipato a "The voice of Italy". Poi lo stop del 2016. Oggi la ripartenza, incentrata sulla figura della Koll. Corsi multidisciplinari, sportivi e soprattutto artistici. Non c'è solo questo, nella vita di Claudia. Scrive libri, commenti ai Vangeli. Si adopera nelle missioni in Africa («hanno detto che sono una suora laica, io mi sento di dire che sono una missionaria»); nella preparazione delle colazioni al Colomba Express di Roma, un servizio per le persone disagiate e senza tetto. Ancora, l'impegno quotidiano con l'associazione "Le Opere del Padre", che offre docce e lavanderia per chi vive per strada o in case (tuguri, meglio) senza la luce elettrica. Vita impegnatissima, «mi tengo un solo giorno libero alla settimana, la domenica». La storia della sua conversione è conosciuta. L'inizio come diva erotica, nel "Così fan tutte" di Tinto Brass. L'approdo a ruoli più rassicuranti, le fiction televisive, il Festival di Sanremo del 1995. La rivoluzione interiore che la porta a divenire una fervente cattolica «e a dedicare la mia vita all'altro». Come guarda oggi a quel passato, Claudia? Nelle sue parole non c'è mai stato ripudio. Allora con tenerezza, con autoindulgenza? «Come un percorso attraverso il quale sono cresciuta in consapevolezza. Al liceo avevo tante curiosità, avevo 9 in filosofia: ho sbagliato le risposte. Tante cose le avrei evitate volentieri. Avrei preferito essere più forte e risparmiarmele». La domanda è conseguente: senza la Claudia di allora, sarebbe emersa quella di oggi? «So una cosa: non mi piango addosso, penso al domani e non al passato, l'esperienza la metto al servizio di Dio e del prossimo». Claudia scrive. C'è un primo libro, s'intitola "Non di solo pane vive l'uomo". Ce n'è un altro che si chiama "Venite in disparte e riposatevi un poco". «Non so quanto abbiano venduto - spiega Claudia - non sto a contare le copie. Ma mi hanno detto che sono andati molto bene, entrambi. C'è una grande richiesta di queste tematiche, da parte dei lettori». È un ciclo, una trilogia. «Sì alla fine saranno tre. Sono commenti ai vangeli scritti insieme a padre Giovanni Boer. Un sacerdote, un teologo che ha studiato a Gerusalemme, un'enciclopedia vivente: qualunque cosa gli si chieda, la sa». Volume uscito in epoca di emergenza Covid, che sposta anche la lettura sul contagio, le paure, le vittime. «Il messaggio è proprio questo: venite in disparte e riposatevi un po'. È epoca di riflessione, tutti ci facciamo delle domande. La risposta è: far risuonare la parola di Dio dentro di noi». Perché, dice Claudia Koll, la tragedia non è solo la morte. Ma anche e soprattutto le domande di chi resta: «Come verranno elaborati questi lutti? Tante persone sono state portate via di casa e poi i familiari hanno saputo che erano mancate. Uno strappo, una lacerazione, le migliaia di morti corrispondono ad altrettante famiglie». Ancora: «Mi ha scritto una email una benefattrice. Ho capito che questo è un tempo in cui si sviluppa anche la rabbia, emozioni contrastanti. E allora non è sdolcinato, ma potente il commento alla parola di Dio oggi. Poi ci sono gli ultimi della società, che con il Covid sono più disperati di prima. Con i bar chiusi, non riuscivano nemmeno a usare un bagno. Arrivavano da ogni parte di Roma per una doccia o per la lavanderia. Molti vivevano di lavori precari che sono evaporati». Conclude Claudia Koll: «Io rilascio interviste non per me, ma perché conosco il sistema e so che è il modo di far arrivare questo messaggio: se qualcuno è in difficoltà, possiamo aiutarlo, qui, alle "Opere del padre"».
Claudio Baglioni torna in tv: da ragazzo voleva farsi prete, le canzoni, l’incidente stradale del 1990 e altri 9 segreti su di lui. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 10 dicembre 2021. Il cantautore ha alle spalle oltre 50 anni di musica e 60 milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
Prete (o pugile)
«A Centocelle o si diventava delinquenti o intellettuali, io avevo scelto la seconda possibilità. Una scelta così ben fatta che tutti mi chiamavano Agonia mentre i miei coetanei erano il Mastino, il Volpe e un apprendista idraulico soprannominato il Galleggiante». Da quel momento sono passati oltre 50 anni di musica, tra grandi successi (come «Questo piccolo grande amore», «Strada facendo» e «La vita è adesso») e 60 milioni di dischi venduti in tutto il mondo: parliamo ovviamente di Claudio Baglioni che ritorna con Ua, il suo recital ricco di ospiti, su Canale 5, alle 21.20. Nato il 16 maggio 1951 a Roma - figlio unico di Riccardo Baglioni, maresciallo dei Carabinieri, e di Silvia Saleppico, sarta - ha incontrato la musica sulla sua strada quasi per caso. Inizialmente infatti non pensava che nella vita avrebbe fatto il cantautore: «A 14 anni volevo farmi prete. Assicurai a mia madre che avevo sentito la vocazione, anzi "la voce"», ha raccontato. Suo padre invece, che lo portava spesso a vedere incontri di boxe, lo avrebbe visto bene sul ring. Ma queste non sono le uniche curiosità poco note sul suo conto.
I primi concorsi canori
La carriera di Claudio Baglioni ebbe inizio nei primi anni Sessanta: aveva soltanto 13 anni quando, nel 1964, partecipò ad un evento per voci nuove organizzato da Ottorino Valentini a Centocelle, nella piazza San Felice da Cantalice. Cantò una canzone di Paul Anka, «Ogni volta», e vinse lo stesso concorso l'anno successivo con il brano «I tuoi anni più belli» di Iva Zanicchi e Gene Pitney. Nel 1965 partecipò anche ai Ludi Canori (vinse nella categoria Autori in coppia con Maria Pia Crostella, cantando la canzone «Siamo due poveri ragazzi») e due anni dopo approdò al Festival degli sconosciuti di Ariccia (organizzato da Rita Pavone e Teddy Reno), arrivando in semifinale.
Il concerto sul balcone
Nel 1966 Claudio Baglioni organizzò il suo primo concerto sul balcone di casa sua a Centocelle, in Via Dei Noci 46. Quarantun anni dopo, nel 2007, a sorpresa replicò l’esibizione (ovviamente dallo stesso balcone).
La laurea in Architettura
Forse non tutti sanno che il 24 giugno del 2004 Claudio Baglioni si è laureato in architettura all’Università La Sapienza con una tesi sul restauro e la riqualificazione urbana del Gasometro di Roma. Aveva abbandonato gli studi - dopo aver passato 15 esami - negli anni Sessanta per dedicarsi alla musica: «Mi avevano invitato a Valle Giulia a tenere una lectio magistralis, un altro dei vantaggi del successo e della celebrità, si è chiamati a parlare anche se magari non si bene cosa dire, facendo un po’ la figura che faceva Marilyn Monroe quando andava tra i soldati in Corea - raccontava al Corriere nel 2014 - Alla fine il rettore mi ha chiesto: perché non si laurea? Ci ho provato. Alle prime lezioni avevo una paura incredibile, mi nascondevo con gli occhiali scuri, anche due paia me ne portavo dietro». In seguito ha sostenuto anche l’esame di Stato «con un progetto per la città multietnica, con gli edifici colorati in modo diverso a seconda della loro destinazione».
Quando cantò in incognito
Una volta, invitato da Elio (degli Elio e le Storie Tese), partecipò in incognito ad una serata per esordienti in un teatro in Toscana: «In sala c’era l’applausometro - ha rivelato al Corriere - io ho cantato in incognito “Strada facendo” e ho perso contro una coppia di illustri sconosciuti...Sapessi quanto mi sono divertito!».
La storia di «Questo piccolo grande amore»
La ragazza che indossa la «maglietta fina» nella canzone che gli ha regalato il successo nel 1972, «Questo piccolo grande amore», era la sua allora fidanzata, Paola Massari. Quando il brano uscì intervenne la censura: alcune parole infatti furono ritenute scabrose (e modificate, come «la voglia di essere nudi» che diventò «la voglia di essere soli»).
Vita sentimentale
Paola Massari diventò sua moglie in segreto (per non deludere i tanti fan) il 4 agosto del 1973 e il 19 maggio 1982 nacque il loro unico figlio, Giovanni (il cantautore gli dedicò la canzone «Avrai», registrata in soli due giorni nello studio di Paul McCartney a Londra). Nel 1987 Baglioni incontrò per la prima volta Rossella Barattolo, sua futura manager. Il loro rapporto, inizialmente lavorativo, si trasformò in amore qualche tempo dopo: i due andarono a vivere insieme nel 1994 ma la storia venne resa pubblica soltanto nel 2008 (quell’anno infatti, dopo 14 anni di separazione di fatto, Claudio divorziò ufficialmente da Paola).
Mai in gara a Sanremo
Claudio Baglioni è stato direttore artistico e conduttore del Festival di Sanremo nel 2018 e 2019, ma non è mai stato in gara (è stato soltanto ospite nel 1985 e nel 2014).
Perché il suo festival O' Scià si chiama così
Dal 2003 al 2012 il cantautore ha organizzato sull'isola di Lampedusa, nel mese di settembre, O' Scià. Il nome del festival, nato per sensibilizzare sul tema dell’immigrazione, fa riferimento a una parola del dialetto locale, o' scià, che significa «fiato mio» o «mio respiro», che gli isolani adoperano come saluto amichevole.
Una sua canzone in una serie americana
Nel sesto episodio della quarta stagione di «Station 19» (serie tv statunitense spin-off di «Grey’s Anatomy») è stato inserito un brano storico del cantautore: «Avrai» (viene citato dai fratelli Andrew e Carina DeLuca in una scena).
L’incidente stradale in via della Camilluccia
Il 3 novembre del 1990, in via della Camilluccia a Roma, Claudio Baglioni - a causa della forte pioggia - perse il controllo della sua Porsche. Si schiantò contro un muro, riportando ferite alle mani, al viso e alle labbra (fu poi operato perché nello schianto si tagliò la lingua, cosa che poteva costargli la carriera). Qualche giorno dopo, il 15 novembre, apparve di nuovo in pubblico, in televisione, unico ospite di una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show.
Estratto dell’articolo di Alberto Infelise per “Specchio – La Stampa” il 20 giugno 2021. (...)
All'inizio della carriera lavorava alla Rca, un posto pieno di talenti: Venditti, Renato Zero, Dalla, De Gregori. Vi vedevate anche fuori dal lavoro?
«De Gregori mi prestò una bellissima chitarra e un giorno, volendola restituire, lo invitai a pranzo. Fu uno di quei pranzi che iniziano quando devono e finiscono molto tempo dopo, superando una serie di brindisi, non so se mi spiego».
Si spiega.
«Ecco. Decidemmo di scendere in strada e andare a suonare davanti al Pantheon».
Bisognava esserci.
«Eh, insomma. Era un sabato pomeriggio del 1976. Eravamo tutti e due già piuttosto popolari e conosciuti. Stavamo nel centro di Roma, all'ora di punta, nel posto più popolare e turistico».
Saranno arrivati i carabinieri a salvarvi.
«Ma quali carabinieri, vigili del fuoco o sommozzatori? Quali? Niente di niente. Non si fermava nessuno».
Uh, questo fa male.
«Anche perché avevamo iniziato a suonare dei pezzi non nostri, dei classici, ma vedendo che non attaccava partimmo con i nostri cavalli di battaglia, che come dire, avevano una certa fama».
E?
«E niente. Zero assoluto. Aprimmo le custodie delle chitarre quasi come provocazione perché qualcuno si fermasse e ci lasciasse qualcosa. Si fermarono dei giapponesi che ci lanciarono due spicci».
Bei ricordi.
«Così così. Chiudemmo le chitarre nelle custodie, ce ne andammo e non ne parlammo mai più. Mai. So che De Gregori dice che io la presi malissimo. Ma io ricordo che lui la prese molto peggio». (...)
I 70 anni di Claudio Baglioni, l’eterna giovinezza è una canzone leggera. Gino Castaldo su La Repubblica il 16 maggio 2021. Da un passato umile a Montesacro, quartiere periferico di Roma, e una chitarra arrivata in regalo quando aveva 14 anni, è arrivato a vendere 60 milioni di dischi. E a condure il Festival di Sanremo, sul cui palco non è mai salito in veste di cantante. Più sono leggere, più certe canzoni pesano come macigni, sono pezzi di vita che si attaccano con tenaglie di fuoco al cuore tenebroso delle nostre emozioni. Claudio Baglioni, proprio oggi felice settantenne, di questo potere diabolico e magnifico è un maestro. Strada facendo, Avrai, Mille giorni di me e di te sono memorie che si rinnovano ogni giorno, per non dire di quelle prime rapsodie di “passerotti” e “magliette fini”.
Marco Molendini per Dagospia il 16 maggio 2021. I 70 di Baglioni (oggi), quelli di De Gregori, di Renato Zero, quelli di Vasco (a febbraio prossimo), quelli di Ivano Fossati (settembre), quelli di Sting (ottobre), ma anche gli 80 di Bob Dylan (fra una settimana): compleanni che raccontano come il secolo breve sia stato lunghissimo. Anzi, è ancora vivo, non accenna ad arrendersi, questi illustri decani sono immarcescibili, restano in pista, progettano, si muovono come se il tempo si fosse fermato. Come se fossero stati loro a fermarlo. Sanno che sono una generazione, o forse due, irripetibile: per forza, storia, ostinazione, talento. Sono cresciuti nell'euforia di un Dopoguerra di rinascita esaltante, si sono formati e affermati negli anni di un mondo che rivoltava le gerarchie generazionali. Hanno fatto musica, hanno fatto politica, hanno venduto milioni di dischi, E' perfino difficile immaginare che un giorno dicano basta, non ce la faccio più. Sanno che un successo senza fine come il loro sarà difficilmente ripetibile, perché è inimmaginabile che una Taylor Swift, un Justin Bibier, una Billie Eilish o da noi Achille Lauro o Colapesce e Di Martino, che tanto fanno sbracciare soltanto per essere in perfetta linea coi tempi con canzoni che del copia incolla, possano aspirare ad altrettanta indistruttibilità. E' vero, non è solo nella musica che il Novecento cerca l'immortalità. Ma è vero che la musica è la disciplina che riesce a raccontare platealmente questa vocazione, perché si basa sull'esibirsi, sul mettersi in vetrina, sul contatto popolare continuato e diretto. Gli eroi della musica si sono trasformati in santini da conservare e tutelare, sono il simbolo del desiderio non nascosto di un mondo che vuole replicarsi all'infinito, ostinatamente convinto a non voler rinunciare a se stesso. E prendiamo Bob Dylan che fa progetti per i suoi 81 anni con un tour mondiale che toccherà anche l'Italia. E prendiamo i Rolling Stones, la band più longeva della storia dell'umanità, sono già immortali in vita. I ragazzi sono vicini agli 80 (Jagger & Richards sono nati nel '43, Charlie Watts li compie fra 15 giorni): sono stati fermati, ma non troppo, solo perché il covid li ha messi con le spalle al muro. Jagger, comunque, ha approfittato anche dell'isolamento per scrivere e registrare un pezzo (Eazy Sleazy con Dave Grohl, un pischello che ha solo 52 anni), mentre la ditta già annuncia (con la voce di Mick) che si riprende a marciare verso nuovi concerti (negli Stati Uniti subito dopo l'estate) ed è pronta a sfornare un uovo disco. Gli Stones non li ferma il tempo che passa, sono come Peter Sellers in Hollywood party, in quella scena fantastica in cui, nei panni di un trombettista indiano, non smette di suonare, anche se c'è un intero esercito che prova ad abbatterlo a colpi di fucile. Baglioni non ha nulla da invidiare ai Rolling o al grande Bob. Così raccoglie quanto ha seminato, i frutti di un talento popolare spontaneo figlio della periferia, della testardaggine, della caparbietà, della pignoleria, del gusto della sfida. Così è diventato un settantenne d'acciaio che ha già in programma la prima sfida post pandemia, il 2 giugno è sulla nuova piattaforma ItsART dal Teatro dell'Opera di Roma con la musica del suo ultimo album, In questa storia che è la mia. Ha confessato Claudio, a proposito di questo suo ultimo disco: «Mi sta succedendo una cosa strana: mi sembra la vigilia del mio primo album. Come se il tempo non avesse fatto il suo corso o fosse tornato indietro». Ecco l'immortalità si insegue anche così. Auguri caro Claudio.
Claudio Baglioni compie 70 anni, una vita nel cuore della musica. Carlo Moretti su La Repubblica il 16 maggio 2021. Profilo di uno degli artisti che hanno fatto grande la canzone d'autore italiana. Dai concorsi giovanili con la claque dei parenti agli stadi pieni. Senza dimenticare la "dittatura artistica" a Sanremo. Claudio Baglioni compie 70 anni. Oggi le sue imprese musicali hanno preso dimensioni più grandi, tiene i concerti negli stadi pieni con il palco centrale, organizza spettacoli multimediali come l’ultimo, pensato intorno al suo nuovo album In questa storia che è la mia e trasmesso in streaming dal Teatro dell’Opera a marzo con un cast di 188 persone (76 musicisti, 69 coristi cantanti, 43 tra ballerini e performer) per uno spettacolo nel foyer, nei corridoi, nei camerini oltre che sul palco dello stabile romano. Per non contare poi la direzione artistica del Festival di Sanremo che per due anni consecutivi, nel 2018 e nel 2019, ha portato il cantautore romano al livello di “dittatore artistico”, come si è autoironicamente definito. Un contributo fondamentale, il suo, per iniziare la rivoluzione all'Ariston che ha portato in gara tra i Big musica nuova, con un gruppo di esordienti notevoli come Achille Lauro, Boomdabash, Einar, Ex-Otago, Federica Carta e Shade, Ghemon, Motta, The Zen Circus, Irama, Ultimo e Mahmood, che avrebbe poi vinto. Al netto della proliferazione e del gigantismo forse inevitabili, Baglioni resta però un cantore popolare dell’amore e della vita proprio come faceva agli esordi della sua carriera, quando era il cantautore della maglietta fina tanto stretta al punto che immaginavo tutto, della Camilla, yes my car, qui mi si sbraca, delle domeniche mattina passate al mercato di Porta Portese, degli amori finiti come in Tu come stai e delle mille proiezioni di padre raccontate con Avrai. Quella dimensione elegantemente pop che riesce a mettere in connessione diretta la canzone d’autore e la tradizione del melodramma. Baglioni fa parte insomma di quella stagione vitale della canzone italiana condivisa con amici e colleghi importanti come Lucio Battisti o come Francesco De Gregori e Lucio Dalla, solo apparentemente distanti da lui. “Ho commesso parecchi errori pur di assomigliare a ciò che non ero” ha confessato il cantautore romano. “Conservo ancora un rapporto doloroso con le parole, mi hanno sempre fatto dannare”. Ma per quanto riguarda la scrittura dei testi non si è mai perso d’animo: “Negli anni Ottanta, per scrivere Strada facendo mi preparai con i testi della Beat Generation. Prima di allora avevo vissuto una fase di innamoramento per Pasolini. Ero attratto dal post neorealismo, dai racconti delle periferie”. Fino a Garcia Lorca, omaggiato in uno dei suoi pezzi più ispirati, Fotografie del 1981. “Il testo perfetto esiste: penso a La cura oppure a Povera patria di Battiato. E poi c’è l’intera opera di De Gregori a confermarlo. Negli anni 70, dopo una baruffa iniziale, di Francesco sono diventato amico. Ho sempre invidiato la sua capacità di scrivere, glielo ho ripetuto spesso». Negli ultimi anni, per un lungo periodo Baglioni aveva smesso di pensare alle canzoni. Ma a sette anni dal disco precedente, sempre affascinato dall’idea del concept come ai tempi di Questo piccolo grande amore, il cantautore ha ripreso il filo del racconto attraverso le canzoni del nuovo disco. “Cerco sempre l’emozione come i filosofi cercano l’uomo, come il cercatore va a caccia d’oro. È questione di sopravvivenza, o cerchi o smetti. Però, se negli ultimi vent’anni ho spesso fatto le prove del gran finale, da quattro o cinque anni non penso più a chiudere ma a vivere questa meravigliosa vicenda artistica e umana”. E per spiegare la sua passione per i concept e per l’aspetto più teatrale della sua musica, Baglioni ha aggiunto: “Certi vizi non muoiono mai, quell’eredità me la sono portata dietro sempre, a volte con fortuna altre meno. Non so esattamente da dove nasca, è stato così dall’inizio, quando suonicchiavo e non avevo ancora un mestiere con il mio gruppo a Centocelle, ci chiamavamo Studio 10, giravamo per i “pidocchietti”, i piccoli teatri parrocchiali, e facevamo spettacoli con contenuti misti, canzoni alternate a un brano di Tagore o a una danza ispirata da qualche coreografo alternativo”. Le radici rispuntano sempre a proposito quando c’è bisogno di trovare conferme per la validità di un percorso. Accade anche nel caso di una carriera fortunata durata più di 50 anni: “Faccio un mestiere che non avrei mai pensato di fare, forse avrei cercato qualcosa di simile dove vivevo, nel quartiere di Centocelle che non era la periferia difficile di oggi ma era comunque periferia, venuto su da una famiglia che non aveva tutti questi mezzi, è come se avessi vinto il gran premio della lotteria e poi ho passato il resto della vita cercando di meritarlo, questo biglietto. Sono cresciuto come figlio unico, abituato da solo, mia madre faceva la sarta, era molto prudente essendo io il suo “claudiuccio”, mi spaccavano sempre gli occhiali, non per bullismo ma capitava. Da questa abitudine a stare solo nasce la capacità di fotografare alcuni dettagli”. Sessanta milioni di album venduti, in pista dal 1968, autore di brani memorabili come Questo piccolo grande amore e Amore bello, Io me ne andrei e Poster, di E tu come stai? e di Mille giorni di te e di me, Baglioni si è raccontato in modo preciso e cronologico anche nei suoi concerti. Nel tour Al centro, con il palco posizionato al centro dello stadio o dei palasport, suonava una quarantina di pezzi in oltre tre ore e mezza di concerto: “Nessuno al mondo ha mai messo in scena un racconto cronologico della propria carriera”, spiegava con una punta di orgoglio, “e il palco al centro è stato immaginato dal musicista ma realizzato dall’architetto”. Non è stato sempre tutto semplice. Il primo provino a Milano, negli studi della Ricordi, fu un disastro: Baglioni ancora minorenne, il maglione a collo alto e gli occhiali con la montatura pesante, suonò alcune sue canzoni ma venne scartato. Qualche mese dopo sarebbe andata meglio con il provino alla Rca di Roma. “I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Mia madre ripeteva: ti conviene cantare, così non ti rovini gli occhi sui libri. Poi gli occhi me li sono rovinati lo stesso. Però ai concorsi canori che si tenevano su ai Castelli arrivavano i parenti dell’Umbria con la corriera per farmi la claque. I miei avevano investito perché ce la facessi: una volta un tipo fece capire a mio padre che si dovevano tirar fuori 80mila lire se volevo incidere un disco. Quella cifra era un terzo del suo stipendio, eppure mio padre fu tentato, ci pensò. Per dire quanto a casa ci tenessero. Del resto, ci pensò pure quando dovette fare le cambiali per comprarmi il primo pianoforte». Proprio su quel periodo si concentra l'omaggio di Raiplay a Claudio Baglioni in onda dal 14 maggio per i suoi 70 anni. Un affresco a tutto tondo tra vita e musica grazie alla trasmissione del 1974 intitolata Ritratto di un giovane qualsiasi. Uno speciale in bianco e nero in cui un giovanissimo Baglioni racconta i suoi esordi eseguendo alcuni dei suoi primi successi ed intervengono colleghi-amici come Lucio Battisti, Francesco Guccini e Bruno Lauzi. Per tutti Baglioni è diventato il cantautore dei sentimenti, un artista con il gusto dei primati, il primo a cantare sui camion, da un balcone, nell'hangar di un aeroporto, il primo nel '96 a posizionare il palco al centro degli stadi e delle arene, circondato dal pubblico. Il 2 giugno la prossima sfida quando porterà il concerto multidisciplinare dell'ultimo album In questa storia che è la mia in diretta streaming dal Teatro Olimpico di Roma sulla piattaforma ITsART.
Claudio Bisio: «La psicanalisi? Preferisco il pilates? Berlusconi? Pronto per i cantieri». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 3 dicembre 2021. L’attore tra cinema e tv ha l’agenda piena: «A breve inauguro anche una mia mostra di ceramica...»
Professionista della mente in Tutta colpa di Freud, professionista del caos in Cops 2, professionista della comicità a Zelig, professionista zen per il film con il Milanese imbruttito. Claudio Bisio tra cinema e tv ha l’agenda piena: «A breve inauguro anche una mia mostra di ceramica» e vien quasi da credergli.
Lei è uno dei pochi attori che non ha mai fatto psicanalisi.
«Già faccio fatica a trovare il tempo per il pilates... In realtà sono sempre stato attratto dalla psicanalisi, ho letto Freud e Lacan, sono affascinato dal mondo della psiche, sono stato anche fidanzato con un’analista indiana... Ma sono sempre in giro, un po’ la pigrizia, un po’ la paura inconscia, alla fine non ci sono mai andato».
Anche all’analista indiana si fatica a credere... Il suo incubo ricorrente?
«Entrare in scena in ritardo ogni volta per un motivo diverso, oppure non ricordarmi le battute, non avere il costume giusto, non essere adatto, idoneo. Per fortuna non succede, sono solo incubi notturni».
«Tutta colpa di Freud», ogni mercoledì per quattro prime serate su Canale 5, è la serie che nasce dal film di Paolo Genovese.
«Sono tre storie di ragazze viste attraverso un padre divorziato che fa lo psicanalista. Una con dubbi sessuali tra uomini e donne; l’altra secchiona, studiosa e ansiosa; l’ultima dietro una parvenza di disinibizione nasconde tante insicurezze. Il mio personaggio scopre di soffrire di crisi di panico, che diventano doppie crisi di panico perché all’improvviso si ritrova tutte le tre figlie in casa. È una commedia che affronta tematiche vere, la paura di crescere, l’ansia per il futuro, in molti ci si possono riconoscere. Di solito nelle serie c’è molto melò, o molta avventura, qui siamo in un piano diverso, tra Orgoglio e pregiudizio e Friends».
«Cops 2 - Una banda di poliziotti», su Sky Cinema Uno lunedì 6 e 13 dicembre mescola invece vari generi: comedy anche surreale, poliziesco e giallo.
«Quest’anno la sceneggiatura di Sandrone Dazieri spinge sul noir. Senza fare gare, se Freud è più completa e rotonda, Cops è più ambiziosa perché ha dentro una comicità demenziale, sopra le righe, surreale, in stile Una pallottola spuntata, più difficile per le nostre abitudini. È l’avventura di una banda di poliziotti pasticcioni, stralunati e imprevedibili, con tanti ingredienti sicuramente più giovanili».
«Zelig» è stato allungato di una puntata fino a giovedì 9 dicembre. L’effetto nostalgia sulla tv generalista funziona sempre, ma c’è spazio per guardare avanti?
«Quando abbandonai Zelig 10 anni fa mi sembrava ci fosse un po’ di stanchezza, o forse confondo la mia stanchezza personale con quella della comicità italiana; avevo sentito un po’ di ripetitività in quello che facevo e in quello che c’era intorno a me. Questa volta la mission personale, tra me e me, è stata lanciare nuovi comici; per questo abbiamo provato a mescolare, a fare un ibrido tra i volti storici e i giovani. Non mi interessava attingere solo alla nostalgia, è necessario nuotare anche lievemente controcorrente. Io poi non ho mai abbandonato la comicità, sia a livello personale, sia da spettatore e vedo che ci sono nuove leve di comici bravi sull’onda degli stand-up comedian».
Un nome nuovo per una pratica vecchia...
«Lo stand-up comedian ha un’iconografia che si ripete: il microfono deve avere il filo, lo sgabello accanto con l’acqua o il whisky, almeno una parolaccia al minuto, deve partire dall’io: non esiste che racconti storie di altri. Ma stringi e stringi sono monologhisti: ovvero gente davanti al pubblico che cerca di far ridere. Paolo Rossi cos’era se non uno stand-up comedian?».
Quindi c’è spazio per le novità?
«Ho visto nuove leve di gente capace, in gamba. Mediaset mi ha chiesto progetti sulla comicità, ma io ho idee per la seconda serata, dove mi piacerebbe fare da tutor, fratello maggiore, capocomico, ma è quasi impossibile visto che non esiste più la seconda serata. Eppure ho una library di comici nuovi che mi piacerebbe lanciare».
Una volta i comici erano impegnati politicamente, oggi l’individualismo è specchio dalla società. Non ci sono comici di sinistra perché non c’è più la sinistra?
Ride. «Forse oggi i comici sono anarchici, più fuori dalle regole. E non mi dispiacerebbe se fosse così. Mi piace perché sono quasi sempre autori di se stessi e politicamente scorretti. Comici come Grillo una volta andavano dritto sui socialisti; la caratteristica dei nuovi comici invece è partire dal personale per magari arrivare di sponda alla politica. E quando lo fanno forse se possibile sono più forti».
Voi siete una generazione cresciuta con Berlusconi come mirino satirico: l’idea che possa diventare presidente della Repubblica che sentimenti le suscita?
«È giusto che ognuno abbia le ambizioni che desidera, ma spero che non accada. Io stesso non vedo l’ora non dico di andare in pensione, ma di riposarmi un po’ di più, di andare a vedere qualche cantiere con le mani dietro la schiena. Ecco, lo auguro anche a lui».
· Claudio Cecchetto.
Dagospia il 22 aprile 2021. Anticipazione da "La Confessione" sul Nove. Il nuovo ospite di Peter Gomez a “LA CONFESSIONE” sul Nove è il produttore musicale e fondatore di Radio Deejay Claudio Cecchetto, protagonista della puntata di venerdì 23 aprile alle 22:45. Con il direttore de ilfattoquotidiano.it il talent scout ricorda il periodo - è il maggio del 2019 - della candidatura a sindaco di Misano Adriatico con la lista civica W Misano viva, che ottiene il 33 per cento dei voti: "Un'esperienza straordinaria, mi sono sentito un piccolo Berlusconi", ha raccontato l'ex dj. "Lei durante la campagna elettorale ha preso delle posizioni coraggiose anche controcorrente, per esempio contro le multe ai clienti delle prostitute. Cosa ne pensa della prostituzione libera?", la domanda di Gomez. "Quello è Cruciani, è Cruciani che mi ha fatto un'intervista, l'ha montata alla sua maniera ed è venuto fuori quello", ha precisato il fondatore di Radio Deejay facendo riferimento a un'intervista per il programma radiofonico, condotto da Giuseppe Cruciani e David Parenzo, La zanzara su Radio24. "Cioè, Giuseppe Cruciani ha falsificato il suo pensiero?", ha domandato ancora il giornalista. "Non falsificato, però mi ha fatto un'intervista brillante e montata in una certa maniera sembrava un'intervista seria - ha detto Cecchetto - Io l'ho pagata quella intervista perché chiaramente l'opposizione nel territorio l'ha usata contro di me. Adesso se al telefono c'è Cruciani io non rispondo", ha concluso l'ex produttore discografico.
Dal "Gioca Jouer" a Sanremo, Claudio Cecchetto si racconta a tutto tondo. Quaranta anni e non li dimostra. Il "Gioca Jouer" è infatti ancora oggi uno dei dischi più amati. Tra ricordi ed emozioni le parole di Claudio Cecchetto su questo cult della nostra musica. Roberta Damiata - Mar, 09/03/2021 - su Il Giornale. A febbraio del 1981 usciva il “Gioca Jouer”, uno dei dischi più amati ed ascoltati da intere generazioni, ancora oggi sinonimo di allegria e divertimento. Quest’anno compie 40 anni, anche se non li dimostra affatto. Legato ad un periodo felice dove tutto era in divenire fu anche la prima sigla del festival di Sanremo. È figlio come tanti altri grandi successi, della mente geniale di Claudio Cecchetto, dj, talent scout e produttore musicale, che ha lasciato un’impronta indelebile nella musica dance e pop. Proprio con lui abbiamo voluto simbolicamente festeggiare questa importante data, ricordando quel periodo e soprattutto la musica che gli girava intorno.
Come è nata l’idea del “Gioca Jouer”?
“All’epoca facevo un programma con Pippo Franco che si chiamava ‘Scacco Matto’ e aveva una sigla in cui ballavo. La riguardavo da casa con un amico, perché i programmi all’epoca erano registrati, e lui mi spiazzò dicendomi: ‘Ma non ti vergogni a ballare?’. Quella frase mi fece pensare molto. In effetti un pochino mi vergognavo, però mentre ballavo mi divertivo i molto a seguire i comandi che mi dava il coreografo per ricordarmi i passi. Sempre questo mio amico, mi disse che era una consuetudine fare questo tipo di balletti nei villaggi vacanza e visto che come ogni dj il mio desiderio era quello di realizzare un disco, mi sono detto: “quasi, quasi lo faccio”. Avevo però un problema, il fatto che ero stonato e quindi mi è venuta l’idea di creare questa formula, che anche se c’è la musica non è una canzone, ma quasi un gioco. Ed è stato proprio questo, secondo me, il motivo per cui sta funzionando ancora oggi. Certo devo dire anche grazie alle maestre d’asilo che immancabilmente lo propongono. Lo trovano anche abbastanza facile da realizzare con i bambini, avendo le istruzioni 'allegate'”.
Sta un po’ minimizzando perché in realtà quando uscì nel 1981 fu un successo enorme...
“Devo ringraziare Gianni Ravera, il patron del festival di Sanremo, che lo ha voluto a tutti i costi come sigla. Fino a quel momento Sanremo non aveva una sigla ed era introdotto con la musica classica e tanti fiori. Quindi il “Gioca Jouer” è stata anche la prima, lanciando una moda che è andata avanti per per tanti anni. Nell''81 la cosa è piaciuta molto ed è stata vista da qualcosa come 25 milioni di persone. Un mio amico discografico mi ha disse “Hai vinto tu il festival senza essere in gara”.
Se si pensa agli anni '80, viene in mente lei e la musica che ha prodotto. Cosa ricorda di quel periodo magico?
“Sicuramente che ero molto più giovane. Scherzi a parte, c’era questa grande voglia di novità e di rinnovamento, che era già iniziata negli anni ’70 con la dance. Però gli anni ’80 sono stati quelli del cambiamento definitivo, che si poteva osservare in tutti gli ambiti”.
Sarà stato sicuramente merito di Gianni Ravera che ha scelto un giovane come lei, ma anche la sua abilità visto che da quel momento in poi lei ha iniziato a produrre una serie di dischi di grande successo...
“Diciamo che per primo ho visto la potenzialità degli "spaghetti music" ovvero della dance made in Italy, e l’ho prodotta. È un po’ quello che succede ora con la trap. La gente non ne tiene conto, ma sta succedendo una vera e propria rivoluzione musicale. All’epoca c’era la dance che a me piaceva, ma soprattutto venivo dalla scuola di dj, per cui la dance era il mio pane quotidiano, anzi notturno. Diciamo che ho avuto la fortuna di incontrare Gianni Ravera, ma anche quella d incontrare musicisti dance molto interessanti, che mi hanno aiutato a spingere questo genere musicale”.
Ne ha prodotti tantissimi, quello che ricorda con maggior affetto?
“Sicuramente Sandy Marton che è stato il primo che come in amore, non si scorda mai. È partito tutto da ‘People from Ibiza’ e da lì ho aperto anche l’etichetta discografica ‘Ibiza Record’. Ho cominciato a produrre Tracy Spencer, i Via Verdi, Taffy, Sabrina Salerno. Dopo questa prima fase, ho voluto testare qualcosa di più concreto. Questo perché la dance aveva il difetto di essere ‘once shot’, un brano e via. Volevo produrre un artista e il primo di questa nuova mia era è stato Jovanotti. Direi che è andata bene”.
Su quel genere di musica leggera e pop, ci furono giudizi feroci da parte di molti critici musicali che storcevano il naso...
“A proposito di questo mi fa molto sorridere il fatto che all’epoca si parlava di musica ‘usa e getta’, solo che non l’hanno gettata. Ancora la usano”.
Ha parlato prima di musica trap, secondo lei può arrivare ai livelli che è arrivata quella dance?
“Questo no, ma è una questione d’età. Ogni generazione ha i suoi gusti. È chiaro che la quella precedente è più affezionata alla musica con cui è cresciuta. Dico sempre ai miei figli che sono appassionati di trap: ‘Vedrete che i vostri figli vi diranno ‘ancora con la trap?’’. Ma questa è una fortuna, altrimenti saremo rimasti a Beethoven”. I giovani stanno riscoprendo gli anni ’80 e '90, probabilmente ripartiranno da lì per fare nuova musica. I titoli che noi ricordiamo di quell’epoca sono forse 30 ma ne sono usciti tantissimi in realtà, così come per il rap. Ne è uscito tanto, anche se noi ricordiamo al massimo cinque titoli, mi viene in mente ‘Walk This Way’ dei Run Dmc. Detto tra noi dal punto di vista musicale è chiaro che la trap è fatta più di parole che di musica, ma se ci sarà qualcuno furbo che riuscirà ad agganciare la melodia alle parole, sono sicuro che farà successo. Quello che sta succedendo nel mondo con Drake. Non è che faccia trap, fa pop”.
Fiorello, gli 883, Dj Francesco, Gerry Scotti, Amadeus, sono solo alcune delle sue produzioni, con tutti questi lei si sente ancora?
“È esattamente quello che succede in una famiglia con i figli. Alla fine li rivedi a Natale e a Pasqua. Ognuno prende la sua strada. Con loro c’è amicizia abbiamo condiviso un periodo storico indimenticabile e una partenza fatta insieme, ma ognuno ha preso poi la sua via. Ci sentiamo, ma non è che ci frequentiamo come all’inizio quando lavoravamo insieme. Però, visto che ognuno di loro ha seguito una buona strada, credo che la preparazione sia stata ottima”.
C’è un disco degli anni ’80 a cui è particolarmente legato?
“Ho nel cuore quello dei New Order 'Blue Monday’, che secondo me ha fatto partire tutta la new wave. Ogni volta che lo sento i miei figli mi dicono: ‘Papà ma questo è un pezzo vecchio’. Invece per me è sempre molto attuale”.
Si è appena concluso il 71° festival di Sanremo, sia da critico che da telespettatore, cosa le è piaciuto?
“Più che da spettatore avendolo fatto vedo che le cose si ripetono. Quando hai un programma di grande successo e con molta audience, arrivano sempre le critiche sia positive che negative e in base a questo posso dire che quest’anno ha funzionato. Dal punto di vista musicale mi sono piaciuti La rappresentante di lista e poi Irama, perché ha portato qualcosa di diverso dal suo repertorio. Sono stato contento che abbiano vinto i Maneskin. Un po’ perché sono giovani e io sono sempre dalla loro parte, un po’ perché si dice che il rock è morto invece nella mia vita ho notato che ritorna ciclicamente. Poi non dimentichiamoci che loro andranno di diritto all’Eurovision e avremo dei rappresentanti belli, giovani e aggressivi. Mi sembra un ottimo risultato, invece di portare le ‘lagne’ come fanno tutti gli altri Paesi”.
Di Achille Lauro cosa pensa?
“Che ha fatto uno show nello show. Ho sentito alcune critiche sul fatto che fosse qualcosa di già visto, però venivano tutte da persone molto grandi d’età. Bisogna pensare che anche il rock è già visto e sentito. Quando Lauro sale sul palco, penso sempre che se non ci fosse lui, non ci sarebbe nessuno con il coraggio di fare quelle cose. Visto che parliamo di Sanremo che è uno dei programmi più visti, questa cosa va benissimo”.
Ha intenzione di festeggiare i quaranta anni del “Gioca Jouer”?
“Ho festeggiato i 20 anni con il video girato in tutto il mondo. Per i 30 i miei figli mi hanno regalato un montaggio dei vari Gioca Jouet pubblicati. Per i 40 sono semplicemente molto contento che questo disco è ancora così famoso. Bravo 'Gioca Jouet”.
Candida Morvillo per il "Corriere della Sera" il 19 gennaio 2021. Claudio Cecchetto ha creato tormentoni, aziende, mode e uomini. Ha scoperto e lanciato fra gli altri, Fiorello, Gerry Scotti, Fabio Volo, Amadeus, Leonardo Pieraccioni, Jovanotti. Ha fondato due radio, Deejay e Capital, ed è stato il primo a portare la radio in tv e la new wave in Italia, vale a dire i Duran Duran, i Depeche Mode. «Avevo scovato un negozietto a Londra di una sola vetrina», racconta, «c'era un commesso strano, ci andavo ogni due settimane, prendevo un vinile e gli chiedevo: is this new wave? Lo compravo, lo trasmettevo e solo dopo le case discografiche lo pubblicavano in Italia. Quel commesso, scoprirò, era Boy George». Cecchetto ha «inventato» persino un'isola, Ibiza, grazie a People from Ibiza , hit europea dell'estate 1984: «Prima, dall'Italia c'era un volo a settimana. Dopo, ne fecero uno al giorno». Ricorda: «Vidi Sandy Marton in discoteca e pensai: questo piacerà alle donne perché è così bello che piace anche a me. Allora l'ho chiamato alla consolle, ho detto "vi presento un amico", Sandy è uscito e ho sentito un "oooh": io ero scomparso e c'era solo lui. Non aveva mai cantato, lo costrinsi a scrivere, da zero, un brano. Mi parlava sempre di Ibiza e gli dissi: se ci fai un pezzo, la gente penserà che è il paradiso e che lì sono tutti come te». Cecchetto ha condotto tre edizioni di Sanremo, la prima nell'80, a soli 28 anni. E aveva inventato il tormentone del 1981, il Gioca Jouer . A 40 anni di distanza, un evergreen.
Come le venne in mente quel motivo coi passi incorporati?
«Guardando alla tv un mio balletto e un po' vergognandomene. Però pensai che, mentre ballavo, mi ero divertito a mimare le indicazioni del coreografo. L'idea scattò così. Immaginai movimenti semplici e intuitivi: dormire, salutare, nuotare, sciare... Non serve che nessuno te lo insegni, contiene già le istruzioni».
Ne uscirono versioni in tutte le lingue.
«Il merito va anche a Gianni Ravera, che fece del Gioca Jouer la sigla di Sanremo. La videro venti milioni di persone e, non essendo io in gara, non rischiai neanche l'eliminazione».
Come era arrivato a presentare il festival?
«Volevano svecchiare, io avevo condotto la Hit Parade di Discoring e Ravera mi disse: tu parli veloce e io riesco a recuperare due canzoni a sera».
Nell'anno in cui è nato lei, il 1952, l'Italia cantava «Vola Colomba». Lei come è diventato il portabandiera della nuova musica?
«Papà mi comprò la prima radio a 5 anni e a 10 il mangiadischi. Da adolescente, scattò la passione per i Beatles, cominciavano i Pink Floyd e i Genesis, cose che in radio si trovavano solo ad Alto Gradimento e Supersonic. Spendevo tutto quello che avevo in musica d'importazione. Mother dei Pink Floyd lo presi colpito dalla cover con la mucca: mi ricordava le estati a Ceggia, il paesino veneto dove sono nato».
Famiglia contadina, la sua.
«Mio padre era un pochettino più ribelle dei fratelli, non voleva coltivare la terra, gli piaceva viaggiare e venimmo a Milano dove avrebbe fatto il camionista e poi il tassista».
Com' era la Milano della sua infanzia?
«Ne ho conosciuto soprattutto gli oratori: gli unici posti dove potessi divertirmi. L'ambiente della chiesa mi ha costruito. C'è stato un momento, a sette o otto anni, in cui chiesi come diventare missionario. E ho fatto il capo dei chierichetti, saggiando le invidie nel mondo del lavoro: eravamo tre e, come fui nominato, gli altri due se ne andarono. Chiesi al prete che succedeva. E lui: niente, i prossimi che arrivano sapranno subito che il capo sei tu».
Le è capitato anche nel lavoro?
«Già nella prima radio in cui ho lavorato, a Radio Milano International. Era nata, come tutte quelle libere, in un appartamento, improvvisata, poi era venuta l'ora di darle un'organizzazione, ma è difficile se fino a un attimo prima si è tutti uguali. Dovetti andarmene».
Primi anni '70: nelle radio private si lavorava gratis e si era pure fuorilegge.
«Non facevamo niente di male: mettevamo musica, mica davamo indicazioni per fare rapine. Quando arrivavano i carabinieri a sequestrare i ripetitori, erano ragazzi come noi, ci riconoscevano, erano dispiaciuti».
Come comincia a fare il disc jockey?
«Il commesso di un negozio di dischi mi passò il suo lavoro alla discoteca Pink Elephant. Mi sembrò un miracolo, anche se mettevo la musica che piaceva a me solo la domenica pomeriggio e la sera dovevo andare di Fred Bongusto e Peppino di Capri».
Prima ha detto che spendeva tutti i soldi in dischi, da dove arrivavano i soldi?
«Lavoretti: ho scaricato casse d'acqua, fatto il vetrinista. All'università, a Scienze delle preparazioni alimentari, pure scelta col fiuto da talent scout, dicevo ai prof: non diventerò mai alimentarista, a me piace la musica, ma se non studio, mio padre mi manda a lavorare. Poi, nacquero le radio libere e mollai gli studi».
Suo padre come reagì?
«Non ci siamo parlati per anni, dovetti uscire di casa. Lui e mamma non sono venuti nemmeno al mio primo matrimonio. Mio padre mi ha chiamato solo al secondo Sanremo. Dopo, ci siamo voluti più bene di prima. Oggi siamo rimasti solo io e mia sorella, che è psicologa. Io le dico: facciamo lo stesso lavoro, tu pensi a quelli che stanno male, poi, quando stanno bene, io penso a farli divertire».
Lei è mai stato dallo psicologo?
«Quando uscii di casa, nel '75. La mia fidanzata mi tradì col mio migliore amico, io mi trovai solo e senza un tetto e pensavo: che cavolo ci sto a fare a questo mondo? Feci dieci sedute, mi sentii guarito e scomparvi senza pagare. Anni dopo, andai a cercare lo psicologo per ringraziarlo e saldare, ma non mi ricordavo più il nome, andai nella sua strada e non trovai il portone. So che scriveva sul Corriere della Sera , curava con l'ipnosi. Vorrei ritrovarlo: mi salvò dal vuoto senza chiedermi mai una lira».
A 26 anni era già sposato e poco dopo i 30 già separato.
«Mi sono perso per il lavoro, magari stavo tanto fuori casa e le tentazioni non aiutano».
Con Mapi Danna sta dal 1988.
«Lo stesso anno in cui ho conosciuto Jovanotti, le due pietre miliari della mia vita. E siamo sposati dal '92».
Mapi scrive libri d'amore, lei è bravo a parlare d'amore?
«Io sono bravo a parlare di musica. Sul resto, sono timido. Mi vergogno a dire "ti amo" o "per sempre", ho il diavoletto che mi domanda: sicuro? Come fai ad avere questa certezza? Ma c'è amore, abbiamo due figli e ormai Mapi mi conosce e questo mi consente di non avere più un'armatura».
In cosa consiste il segreto del talent scout?
«Sono dell'idea che una cosa è bella quando è fatta bene. Se un altro la sa fare meglio di te, devi aiutare lui a farla. Lo capii suonando la batteria coi Jokers, da ragazzo. Scoprii che, in mia assenza, la facevano suonare a un altro. Loro erano imbarazzati, a me venne di congratularmi con l'altro».
Nella sua biografia, «In diretta» di Baldini e Castoldi, Jovanotti dice che lei «agisce per amore, per vedere qualcuno contento».
«Alla fine, è come se avessi fatto il missionario: vivo della felicità altrui. Lorenzo è uguale: è felice se rende felice il pubblico».
Lei è il talent scout di tanti, il suo scopritore chi è stato?
«Mike Bongiorno: per Telemilano 58, doveva creare qualcosa che somigliasse a Discoring . Quando venne a cercarmi, riuscivo solo a pensare: ho davanti Mike Bongiorno. Alla fine, si arrabbiò: mi voleva suo erede nei quiz».
Poi, Mike benedisse come erede Gerry Scotti. Che ha scovato lei.
«Stava per andare in America e fare il pubblicitario, ma lo convinsi a venire a Radiodeejay. Da esteta, lo trovai bello perché era simpatico: anche ora, lo guardi e vedi l'amico, lo zio con cui vorresti andare a cena».
Con Amadeus come andò?
«Venne a presentarsi. Mi piacque la sua voce, gli chiesi se sapeva dove dormire a Milano e mi rispose che aveva un amico. Lo battezzai Amadeus e lo mandai in radio. Aveva sempre le occhiaie. Pensai che facesse vita notturna, invece, scoprii che si svegliava alle 4 tutte le mattine per venire da Verona a Milano e che l'amico che lo ospitava non esisteva».
Fabio Volo, panettiere, voleva cantare.
«Mi portò un disco, notai la sua verve, dissi: metto il disco solo se vieni a trasmettere».
Fiorello ha detto che faceva cavolate uniche e lei gli faceva lavate di testa speciali.
«Gli volevo bene. Al provino cantò Frank Sinatra e gli dissi che, se non svecchiava il repertorio, non l'avrei preso».
C'è un suo erede?
«Francesco Facchinetti, bravissimo a scovare talenti sul web. Costruimmo la Canzone del capitano in 24 ore, ma gli dissi subito che era adatto al mio lavoro».
Lei perché ha lasciato la tv?
«A Sanremo, ho sentito una tale popolarità che mi sono chiesto: più di così che posso fare? Lì decisi di accendere Radio Deejay, nessuno credeva che ne avrei fatto la numero uno».
Ora ha ideato e organizzato il «FestivalWeb under 33» che va online su alivemusic.it dal 3 al 5 marzo. Perché in contemporanea con Sanremo?
«Perché così la gente ne parlerà di più e questo farà comodo ai giovani che concorrono. Ne ho selezionati io 60 dal web, poi ridotti a 24 con un contest su Instagram. Voglio dare una possibilità non a nuovi talenti, ma a chi ha già dimostrato di valere, magari su Youtube. In tv ogni anno si scoprono nuovi talenti ma quelli dell'anno prima ce li dimentichiamo».
Ad aprile avrà 69 anni, quanti se ne sente?
Claudio Santamaria: «Io e 007 di notte a inseguire una farfalla. Sogno di incidere un disco». Candida Morvillo su Il Corriere della Sera il 29 novembre 2021. Claudio Santamaria: «Mia moglie Francesca Barra ballò con me il suo primo lento: lei aveva 12 anni, io 16. Da piccolo mi chiamavano “Il bell’addormentato”. » Claudio Santamaria sta facendo il gioco delle tre palline a una velocità che non gli stai dietro con gli occhi. Le palline sono immaginarie ma sembra di vederle. Sta provando a spiegarmi che saper recitare — e forse perfino saper vivere — è come saper fare quel gioco lì: «È una dilatazione apparente del tempo, una cosa che ho trovato nell’ultima parte della mia carriera: vedi che le palline vanno lentissime, ma non sono loro lente, sei tu che hai dilatato il tuo tempo interiore. Lo stesso quando dici una battuta: dentro di te, la senti lunghissima, la controlli tutta, e questa stabilità, autorevolezza è una cosa che, prima, raggiungi nella vita. L’ho visto, due anni fa, girando Gli anni più belli di Gabriele Muccino e ritrovando quelle vecchie lenze di Pier Francesco Favino e Kim Rossi Stuart. Avevamo fatto Romanzo criminale nel 2005, ho visto tre percorsi di una crescita che non viene da come porgi la battuta». Francesca Barra, la moglie di Claudio, giornalista, scrittrice, conduttrice, passa nella stanza, preceduta dal pancione: «Stai attaccando una pippa delle tue?». Lui smette di palleggiare: «Eh sì, sono un attacca siluri micidiale: per spiegare le cose, faccio giri lunghissimi».
Le avevo chiesto come ha creato Fulvio, l’uomo lupo di «Freaks Out», il circense dalla forza disumana braccato dai nazisti nel kolossal da 13 milioni di euro ora al cinema.
«Gabriele Mainetti cercava non la forza bruta, ma la trasparenza emotiva, la capacità di trasmettere emozioni anche attraverso un viso coperto da due chili di peli. Essere forti in un film è facile, per sollevare un energumeno da 180 chili, ci sono gli stuntmen. Io ho cercato di installare in Fulvio la paura che il mondo ha di lui e allo stesso tempo di dargli statura, maturità. Però, appunto, la pippa serviva per dire che io stesso, al provino, avevo una maturità diversa».
Che tipo di maturità?
«La mia unione con Francesca, mettere su casa assieme a Milano per me che venivo da Roma, con lei che aveva già tre figli, mi ha dato forza anche nella professione. Già all’inizio, c’era stata la scoperta del teatro come terapia di vita: i due percorsi sono indissolubilmente legati».
Come arrivò la recitazione?
«Mamma aveva la passione del doppiaggio. Amava la voce di Claudio Capone, il Ridge di Beautiful. Un giorno mi disse: i tuoi due fratelli non hanno mai voluto fare la scuola di doppiaggio. Risposi: vabbé, la faccio io».
Dove siamo? Quando e in che famiglia?
«Siamo intorno ai miei 15 anni, studiavo all’Artistico e sognavo di fare l’architetto. Vivevo al quartiere Prati di Roma. Oggi è una zona elegante, ma noi stavamo lì perché c’erano le case a equo canone. Papà era pittore edile. Quando incontrai Ermanno Olmi, ci scambiammo i diversi odori di casa: suo padre era ferroviere, sapeva di olio, di binari; io ricordo vernici, acqua ragia. Ero il più piccolo di tre maschi, stavamo sempre per strada, con masnade di ragazzini. C’era poco traffico, si giocava a pallone, a nascondino. Si viveva di fantasia e correvo sempre: corse intorno al palazzo, corse per qualsiasi cosa».
Perché all’asilo la chiamavano «il bell’addormentato»?
«Ho questo sguardo sognante, languido. Mi perdevo nelle mie fantasie, chi sa dove andavo. Una volta, a calcio, ero in difesa, numero tre, fanno il cambio campo e non me ne accorgo. Sento urlare dagli spalti: “A tre... devi anda’ de là”. Nelle estati in Basilicata, perché mamma era di Senise, coi cugini, vivevamo nei campi e disquisivamo sulle stelle, sul cosmo, su quello che c’era oltre. Avevo una capacità di astrazione che poi si è rivelata fondamentale nel mestiere».
A che cosa serve l’astrazione per fare l’attore?
«A me il doppiaggio interessava perché era come giocare senza essere visto: ero estroverso, ma a volte andavo in una timidezza fuori norma. Pensavo che la scuola di doppiaggio si facesse in uno studio di registrazione, invece, mi ritrovo su un palco. Mi dissero: hai tre minuti per dire quello che ti pare. Dissi nome, cognome e restai in silenzio per due minuti e 45, imbarazzatissimo. Cominciammo un lavoro ispirato al metodo Stanislavskij, basato sull’improvvisazione. Siccome ero bravo a fare scherzi, capii che fare l’attore è come fare uno scherzo: se tu ci credi, la vittima ci crede, se sostituiamo la vittima con lo spettatore, è fatta. Scoprii che potevo portare qui i mondi in cui mi astraevo. Gridavo, piangevo, poi finivo e andavo a casa contento. Era salutare: agivo sulla rabbia che tenevo nascosta, non ero un ragazzino che si confidava, si apriva».
Qual era la sua rabbia?
(Sospira, ci pensa) «Glielo direi se questa fosse una seduta di psicoterapia. Ognuno ha la sua nevrosi, il suo buco nero, tutto avviene e nasce nella famiglia, tutti abbiamo avuto il momento in cui siamo stati traditi, abbandonati, umiliati. Questo mestiere mi ha consentito di fare i conti con ogni momento della mia vita e usarlo. Poi, piano piano, la rabbia se ne va».
Lei si porta il personaggio a casa e fatica a uscirne o ci entra e ne esce a piacimento?
«Dipende. Per un dieci per cento, non lo lascio mai. Quando ho fatto Lo chiamavano Jeeg Robot ci stavo 24 ore, telefonavo, dicevo: “che voi? Oh, cia’...” . E mettevo giù. Un esercizio che t’insegnano a scuola di recitazione è giocare col personaggio nel quotidiano, dal macellaio, dal barbiere. Ora è più difficile: mi riconoscono».
Un’esercitazione estrema?
«Per Almost Blue di Alex Infascelli, facevo un cieco. Avevo affittato un seminterrato buio per allenarmi. Bendato, mi facevo pure portare in giro da mio cugino. Fermi al semaforo, sembrava che le auto mi arrivassero addosso, era veramente spaventoso. Però non credo a chi dice “questo personaggio mi ha fatto male, quanto ci ho messo a mandarlo via”: se non sai mandarlo via è perché c’è una parte di te che non hai accettato. L’attore è un esploratore dell’oscurità e deve saper tenere il filo rosso per ritrovare la strada».
Lei quando ha esplorato la sua oscurità?
«Nell’Ultimo bacio di Muccino, mi confrontai con l’angoscia e l’irrequietezza di chi si è sempre adattato al mondo intorno a lui. Lì affrontai un personaggio, Paolo, che voleva che le cose fossero come le desiderava, forzava il padre, la ex. Grazie a lui, ho fatto i conti con la mia rabbia».
Ha girato uno 007, «Casino Royal». Com’è andata con Daniele Craig?
«Alla prima capocciata, ha dato una botta a un bullone sul muro. Mi fa: “welcome in my world, sei mesi così, ho le capsule al posto dei denti, sono distrutto”. Gridava come un gorilla: “voglio tornare sul lago di Como”. Un’alba, dopo una notte di set, ci siamo ritrovati come due ragazzini nel camper trucco. A terra, c’era una falena gigantesca. Ci siamo inginocchiati, dico “oddio che bella”, e lui: “non toccare le ali, se no, non può più volare”. Quindi, mi fa: “io e te ci siamo presi a pugni finora e stiamo qua a coccolare una farfallona”».
Sui social, suona spesso la tromba.
«La comprai dopo aver sentito Miles Davis fare Ascensore per il patibolo. La mollai, la ripresi quando girai Ma quando arrivano le ragazze di Pupi Avati. Dal lockdown, suono ogni giorno. Suonerò pure nella colonna del prossimo film di Stefano Cipani, Educazione fisica. Mi sentiva suonare in camerino e mi ha ingaggiato».
Canta anche. L’ha fatto nella miniserie Rai su Rino Gaetano.
«Io, a volte, ho delle percezioni. Dissi alla mia agente: vorrei tanto interpretare un cantante, sarebbe stupendo Rino Gaetano. Be’... C’era una serie in preparazione... Al regista Marco Turco cantai Sfiorivano le viole, mi disse: “ma devi cantare tu”. E io: “non hai capito, se non canto, non lo faccio”. Oggi, se ho un sogno, è incidere un disco. E andare a Sanremo da concorrente».
Fino a qualche anno fa, dava l’idea di essere preciso, compito, riservatissimo. Poi, l’abbiamo vista ballare a Sanremo con sua moglie, mettere su Instagram vostri nudi artistici e partecipare con lei al reality «Celebrity Hunted» di Amazon Prime. Lei è cambiato tanto.
«Sono d’accordo. Ho incontrato la mia persona, Francesca, che è anche quella a cui ho confessato i miei drammi familiari. Con lei ho capito cosa significa prendersi cura dell’altro, cos’è l’anima che incontra l’anima e com’è condividere un’intimità vera. È cambiato il mio modo di stare al mondo e di lavorare. Questo cambiamento mi ha permesso di giocare a guardie e ladri su Amazon, di uscire di più come persona che come attore».
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Era arrivato a 44 anni senza essersi mai sposato, anche se ha una figlia di 14, e si è ritrovato in una grande famiglia allargata.
«Io, da piccolo, vivevo in cinque in una stanza. Poi, uscito di casa, volevo provare tutti i giorni la bellezza di quando tutti sono via e tu sei finalmente solo. Ora, sono passato dalla solitudine estrema a una casa in cui può transitare anche un treno, ma senti solo gioia, amore e felicità. Ero molto chiuso e ora sono molto aperto».
Chi è la bimba che sta passando alle sue spalle spingendo un passeggino?
«Greta, la terzogenita di Francesca, ha 5 anni, è intelligentissima».
La bimba che arriverà a febbraio?
«È stata voluta, cercata. E finalmente c’è».
Perché, prima che in Italia, lei e Francesca vi siete sposati a Las Vegas?
«Perché è stato bello decidere di comprare le fedi e un attimo dopo dirsi sì. Quando lei aveva 12 anni e io 16, in Basilicata, ballò con me il suo primo lento. Ogni tanto, la rivedevo a Roma e le dicevo: vediamoci, ma non avevo il coraggio di chiederle il numero. Io che non mi sono mai visto bello, la vedevo troppo bella per me. L’ho ritrovata poi dopo tanto tempo e ho aperto gli occhi su qualcosa di profondamente familiare, nonché di astonishingly beautiful».
Su Instagram, ha letto una poesia di Wislawa Szymborska. Giro a lei la domanda che pongono quei versi: «Un amore felice è necessario?».
«Assolutamente sì, lo è. Non avere un amore felice ti porta a sbeffeggiare l’amore romantico. Ma quando ce l’hai, capisci che quel cinismo verso l’amore era solo paura».
· Coma_Cose.
Paolo Giordano per ilgiornale.it il 15 aprile 2021. In fondo quella dei Coma_Cose sembra una bella storia d'altri tempi. L'ultimo Festival di Sanremo li ha consacrati come la coppia d'oro del pop italiano (anche nella vita) e il disco Nostralgia, che esce domani, è uno dei più attesi. Ma fino al 2017 Francesca Mesiano detta California e Fausto Zanardelli detto Lama erano due commessi in un negozio di Porta Ticinese a Milano. Lei arriva da Pordenone, lui dalla provincia di Brescia. Si sono incontrati facendo un lavoro normale, ma avendo una passione straordinaria, quella per la musica, che avrebbe potuto restare solo un passatempo. «Nel giugno del 2017 il nostro rapporto di lavoro si conclude e allora ci siamo detti: perché no?». Ecco le sliding doors: avrebbero potuto rimettersi furiosamente a cercare un altro posto, oppure dedicarsi finalmente alla propria passione. Buona la seconda. «Abbiamo fatto un patto: fino a settembre facciamo musica, tanto d'estate non troviamo lavoro. Poi vedremo». Pubblicano l'Ep Inverno ticinese e, oplà!, qualcosa si muove: «Quel disco ci ha fatto in qualche modo svoltare». A marzo sono ospiti di E poi c'è Cattelan e subito dopo, passo dopo passo, questo duo guadagna credibilità, pubblico e attesa che sono poi i tre ingredienti per il successo. Per carità, tutto limitato alla scena musicale, agli appassionati che seguono il pop italiano indipendente e sganciato dalla frenesia della comunicazione. Niente grandi numeri, niente copertine. Perciò, quando i Coma_Cose (l'underscore è decisivo) si presentano a Sanremo, per la maggioranza del pubblico di Raiuno sono praticamente sconosciuti. In sostanza, la sfida perfetta. Per di più la affrontano con la canzone giusta, Fiamme negli occhi, che ha un bel testo («Galleggio in una vasca piena di risentimento/ E tu sei il tostapane che ci cade dentro» ha colpito tanti) e molte letture: «Le fiamme negli occhi non sono soltanto quelle dell'amore», scherza lei alludendo, come è naturale, a un rapporto di coppia profondo, sfaccettato e talvolta infiammabile. Alla fine dell'ultima serata i Coma_Cose sono entrati tra le rivelazioni mainstream lanciate da questo Festival. «Se qualche anno fa mi avessero detto che sarei andato a Sanremo avrei riso di brutto», spiega lui che, incontrando i giornalisti, riconosce la potenza comunicativa del Festival, mentre lei ammette che la musica indipendente italiana «non è più quella di prima e si è molto affievolita». In sostanza è diventata popular. In ogni caso i Coma_Cose conservano lo stesso spirito, nel senso che «cerchiamo sempre di fare qualcosa di nuovo». Suonavano «urban», un genere musicale nel quale si ritrovano soprattutto hip hop e soul. Ora no. Nostralgia è un disco quasi «concept», come filo conduttore ha una sorta di malinconia che ben si sposa agli arrangiamenti: «La Nostralgia è la nostra nostalgia di chi c'era già prima della diaspora digitale: noi siamo predigitali, ci aggrappiamo al passato per trovare qualcosa di fisico». Quando parlano, Francesca e Fausto sono all'unisono: uno inizia a parlare quando l'altra finisce, senza pausa, quasi fossero sincronizzati. E così sono sul palco, come si è visto a Sanremo, dove (per fortuna) sul palco non c'è stato l'atteso bacio. «Dicono che siamo i nuovi Al Bano e Romina? Ci fa ridere, ma magari avessimo una carriera come la loro». Dopotutto gli opposti si toccano e che male c'è se agli eroi dell'indie piacerebbe una carriera come quella degli eroi del nazionalpop?
· Cosimo Fini, cioè Gué Pequeno.
Andrea Laffranchi per il “Corriere della Sera” il 13 dicembre 2021. «Mi piace l'abito elegante, ma continuo a stare bene anche in tuta». Giovedì sera Gué ha tirato fuori il completo nero, la camicia bianca e il cappello. L'occasione era il lancio del suo nuovo album «Gvesvs» al Blue Note, il jazz club milanese assieme a una band con chitarra, contrabbasso, batteria, piano, fiati e un deejay. «Questo disco è l'inizio di un nuovo percorso. Resto però leale al codice rap, non lo tradisco aprendomi ad altro. Ho le radici nell'asfalto», racconta. Gué, all'anagrafe Cosimo Fini, è un pezzo di storia del genere: con i Club Dogo lo ha portato nel mainstream assieme a Marracash e Fabri Fibra, da solista è stato il più bravo, nel bene e nel male, a costruire l'immaginario gangsta e nel 2021 è stato nella top5 degli artisti più ascoltati su Spotify. «Gvesvs» fa emergere un altro lato. Saranno i 40 anni, sarà la pandemia, ma nelle rime c'è autoanalisi, uno sguardo agli eccessi, ai demoni che non ha sconfitto, ma alla fine anche se gli scende la lacrima lui se ne sta seduto su una Lambo con un Rolex al polso.
Poche settimane fa ha tolto Pequeno dal nome. Solo Guè... È diventato grande?
«Alla fine è solo una scritta... Il mio street name sin da ragazzino al parco Sempione era Guercio per via dell'occhio (ha una ptosi palpebrale ndr ). E anche star come Young Jeezy hanno fatto lo stesso».
Molti cattolici criticano il titolo e la copertina in cui ricalca l'iconografia di Gesù.
«Anche su Instagram sono stato blastato... Qualcuno ci è andato pesante facendo riferimento al giorno in cui mi troverò solo davanti a Gesù. A me, da ateo, sembra una provocazione non offensiva. Uso da sempre quel gioco di parole: sono nato il 25 dicembre».
La lista di feat e suoni copre l'arco costituzionale: la storia del rap con Marra e Salmo, la nuova generazione con Ernia, il pop di Elisa, l'indie di Franco 126 e Coez, internazionali come Rick Ross e dutchavelli...
«Non è una compilation, i brani sono tutti miei, gli ospiti sono stati preziosi per arricchire casa mia».
È il disco della maturità?
«Non amo il termine. È un album in cui ti ci puoi ritrovare dai 18 ai 50 anni. Ho deciso di staccare l'autotune e andare in una direzione senza tempo pur restando moderno».
Anche il suo amico Marra ha un disco con temi più adulti. Il rap può crescere?
«Quando è arrivata la trap melodica da scuole medie ho pensato che il rap fosse perduto. Poi ho visto che Marra, Noyz e io stesso siamo rimasti rilevanti mentre tanti di quell'ondata sono già alla cassa dell'Esselunga».
«Vuoi solo il consenso, non c'è più il talento» dice in «Fredda, triste, pericolosa».
«È un momento sterile per il rap. Vedo molti che barano. C'è chi fa beneficenza per vendere un disco oppure chi va a Sanremo nove volte di fila e si bacia in bocca per sopperire alla musica di m... che fa».
Si riferisce a Fedez e Achille Lauro?
«La scuola è quella fedeziana, ma i casi sono molti di più. In Italia molti fanno parlare di sé mettendo il becco in cose che non conoscono. Anche in politica... Ci sono un sacco di influencer, altri che si atteggiano a delinquenti senza esserlo, ma non vedo in giro rapper bravi. Marra e Caparezza, anche se non è il mio mondo, sono eccezioni».
Ego-trip e autoanalisi?
«Ho messo a nudo la mia dark side, accetto alcuni fallimenti. È stato un modo per capire me stesso più che insegnare agli altri a vivere o criticare tutto e tutti».
La pandemia ha inciso?
«Ho provato una sensazione di cecità e incertezza. Sono benestante, non ricco e al terzo anno in cui non so se lavorerò o meno visto che non guadagno con i brand ma con i concerti, mi sono pentito di avere uno stile di vita che sperpera molto denaro...».
Durante lo show ha citato la nascita di sua figlia Celine... Non aveva annunciato di essere diventato papà.
«Non sono uno che mette la foto del neonato sui social. Non voglio che mi denunci quando avrà 18 anni (ride). Devo ancora realizzare. È così piccola che non c'è un'interazione, ma so che mi arricchirà e mi cambierà nel tempo».
Come le spiegherà l'atteggiamento machista del rap?
«Il rap è entertainment, è spettacolo, la scrittura è arte. Non mi devo giustificare davanti a nessuno, non ho approvato una legge sessista».
Mattia Pagliarulo per Dagospia il 22 settembre 2021. Corinne Clery è stata sicuramente una delle Dive più desiderate, sognate e chiacchierate del cinema anni ‘70. Con il film datato 1975 Histoire d’O è stata consacrata Icona d’erotismo assoluta ed incontrastata, continuando a far sognare migliaia di uomini di più generazioni. Con la sua bellezza eterea e con il suo fascino magnetico ha incantato tutto il mondo. Dopo il successo mondiale si è trasferita in Italia e ha continuato la sua carriera di attrice spaziando tra cinema, televisione e teatro. D. Corinne, il suo primo grande successo fu il film erotico Histoired’O nel 1975 che l’ha vista protagonista, che ricordo ha di quell’esperienza?
R. Ho un ricordo bellissimo! Il film era tratto da un romanzo di Dominique Aury ed ancora oggi è famoso in tutto il mondo. Da buona parigina non ho mai avuto l’imbarazzo del nudo se fatto con buon gusto ed eleganza, la nudità per me non è mai stata un problema. Il regista del film Just Jaeckin era bravissimo e molto delicato e la produzione fantastica e molto professionale. Durante le riprese soprattutto in scene piccanti da parte degli addetti ai lavori non c’era nessun tipo di voyeurismo. Io già nei primi anni settanta andavo in giro mezza nuda quindi non c’è stata nessuna difficoltà nelle riprese, anzi mi sono sentita molto protetta da tutti. Allora sono stata molto criticata dalle femministe ma me le sono mangiate come si mangia un cornetto a colazione; ho trovato molto stupido essere attaccata da loro e giudicata antifemminista solo per aver interpretato un ruolo in un film che trattava un tema reale come il BDSM. All’epoca tutto ciò faceva scandalo ma io sono sempre stata all’avanguardia!
D. Le pesava o le faceva piacere essere così tanto desiderata dal genere maschile in quel periodo?
R. È vero, sono sempre stata desideratissima dagli uomini ma io non sono mai stata consapevole della mia sensualità, me lo dicevano gli altri ma io ancora oggi non mi sento affatto sexy! Ero molto ingenua...solo verso i quarant’anni mi sono realmente resa conto del vero potere della mia femminilità. Ci tengo a precisare che nonostante ciò non ho mai ricevuto complimenti eccessivamente volgari o tormenti da stalker ossessionati da me o dal mio personaggio, sicuramente molti di loro erano spaventati dal mio carattere tosto e quindi hanno rinunciato in partenza.
D. Teatro, cinema, televisione: negli anni ha dimostrato di essere un’attrice versatile e di talento: cosa vorrebbe fare che ancora non ha fatto?
R. Sono sempre stata curiosa, per questo ho spaziato molto artisticamente parlando. Ho iniziato quasi per caso con il cinema, poi è arrivata la televisione e da vent’anni a questa parte anche il teatro, che amo follemente. Ho ancora un paio di sogni nel cassetto da realizzare: mi piacerebbe fare una sit com spiritosa e moderna in cui interpreto una nonna complice dei suoi nipoti, oppure interpretare in uno sceneggiato un’investigatrice tra crimini e indagini sul genere di Agata Christie.
D. Ha da poco finito di girare un film in cui interpreta una nonna vegana un po’ snob, ce ne parli...
R. A febbraio ho finito di girare questo film che si chiama “Mamma qui comando io” per la regia di Federico Moccia.
D. Da qualche anno ha abbandonato Roma e si è trasferita in un casale in campagna in cui si occupa da sola di tutto: dalla cucina, alla pulizia della casa, alla cura delle piante, come mai questa scelta?
R. Da due anni mi sono trasferita in provincia di Viterbo in aperta campagna, non arriva nemmeno la posta a casa mia! Ho fatto questa scelta perché qui sono serena e felice e perché amo la natura e la tranquillità. Con il Covid non potendo venire nessuno ad aiutarmi in casa mi sono arrangiata a fare tutto, ho provato a fare anche l’orto ma è troppo faticoso, quindi ho lasciato perdere, ma per il resto mi occupo io di tutto, compresa la guida del trattorino che è diventata la mia passione. Sono qui in compagnia dei miei amati tre cagnolini. Di tornare a Roma mi è passata la voglia...
D. Da qualche anno è single, ha definitivamente chiuso con gli uomini?
R. Da due anni sono single e confermo di essere tutt’oggi a settantuno anni ancora molto corteggiata da uomini di tutte le età, ma a me non interessa, a volte provo curiosità, ma tutto si ferma lì, non desidero avere una storia. Come diceva la grande Amanda Lear anch’io ho chiuso la mia boutique. Il destino poi penserà al resto...mai dire mai!
D. Prova imbarazzo o soddisfazione ad essere corteggiata da uomini più giovani o molto più giovani di lei?
R. No, nessun imbarazzo, ma con i ragazzi giovani ho già dato e come si dice a Roma non c’è trippa per gatti. Essere corteggiata da giovani o giovanissimi lo trovo gratificante e mi dà soddisfazione, ad ogni donna fa piacere essere corteggiata.
D. Nel 2017 abbiamo assistito ad una lite furibonda tra lei e Serena Grandi al Grande Fratello Vip in diretta tv, pare che invece ora siate grandi amiche, cosa è cambiato?
R. Non me lo sarei mai aspettato di avere un confronto con Serena al Gf Vip, non la vedevo da dieci anni. Serena ha avuto un figlio da Beppe Ercole e dopo anni dalla loro separazione io e Beppe ci siamo fidanzati nel 1995 e sposati nel 2002; all’inizio eravamo tutti una grande e felice famiglia allargata ma poi qualcosa si è rotto, ripensandoci non mi viene nemmeno in mente il vero motivo della rottura. Ad ogni modo sia io sia Serena abbiamo sbagliato ed il confronto che ci hanno fatto fare gli autori del reality show non è stato certo un bello spettacolo, è stata una litigata televisiva orrenda, sembravano due pazze, d’altronde siamo nate tutte e due il 23 marzo, siamo di segno zodiacale Ariete, quindi immagina cosa poteva venirne fuori...Ripensandoci ora a mente lucida quella litigata però ci ha fatto bene, perché ci siamo poi chiarite e riconciliate e abbiamo ricominciato a risentirci e a frequentarci come ai vecchi tempi. A Serena voglio un bene dell’anima così come ne voglio a suo figlio Edoardo, che conosco da quando aveva cinque anni, per me lui è come un secondo figlio.
D. Cosa si augura per il futuro?
R. Mi auguro di essere sempre in salute, spensierata, allegra e di continuare a lavorare tra cinema e teatro. Anche se al di fuori sembra di sì, non ho avuto affatto una vita facile, ma sono sempre stata una combattente.
D. Ha dei rimpianti o dei rimorsi Corinne?
R. Premetto che sono sempre stata una donna libera ed indipendente e le mie scelte le ho sempre fatte da sola e come volevo io. Pensandoci ho detto no a dei registi importanti nei primi anni della mia carriera perché non li conoscevo, con il senno di poi non lo rifarei più...non essendo italiana e all’epoca non essendo ancora del mestiere ho fatto diversi errori lo ammetto, ma chi non ne ha fatti?!
· Daft Punk.
Da rollingstone.it il 22 febbraio 2021. Due scritte: una è “epilogo”, l’altra è la data di oggi, 22 febbraio 2021. Negli altri otto minuti di video i due Daft Punk camminano in una landa desertica. Niente musica, solo il fischio del vento. Guy-Manuel de Homem-Christo, il membro del gruppo col casco dorato, va avanti, Thomas Bangalter resta indietro. Il primo torna sui suoi passi per raggiungere il secondo. Lo fissa. Bangalter si toglie la giacca e si gira. L’amico gli regola un timer sulla schiena e si allontana. Dopo 60 secondi, Bangalter esplode. Parte la musica di Touch, una versione alternativa di un pezzo del loro album più celebre, Random Access Memories. Appare la scritta: 1993-2021, gli anni dell’inizio e della fine dell’avventura del duo. Esatto: i Daft Punk si sono sciolti e l’hanno comunicato con un video enigmatico di 8 minuti in cui mettono in scena la loro fine, tratto dal loro film del 2006 Electroma. A confermare lo scioglimento è stato il publicist del duo francese a Variety.
I Daft Punk si sciolgono con un video (un po' shock). Il duo francese dà l'addio alle scene dopo 28 anni. Tra i successi "Around the world" e "Get lucky". Redazione Spettacoli - Mar, 23/02/2021 - su Il Giornale. La fine di un mito dell'elettronica arriva con un video. Il duo francese di «Get lucky» ha comunicato la decisione a modo proprio con un video di otto minuti intitolato Epilogue che si conclude con un frame eloquente: uno dei due dj francesi si autodistrugge e nel finale compare la scritta «Daft Punk 1993-2021». Tra i loro successi, inanellati in 28 anni di carriera, brani come Around the world e One more time. I Daft Punk si erano formati come rock band. Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo avevano pubblicato nel 1993 il loro primo disco sotto il nome di Darlin e un giornalista inglese descrisse la loro musica come «daft thrash punky», non proprio un complimento. Ma ai due quella definizione piacque così tanto che decisero di abbreviarla e adottarla per quello che sarebbe diventato più che un nome: un marchio di fabbrica. Il singolo di debutto dei Daft Punk, The New Wave, del 1994, era un brano techno veloce e potente, costruito con drum machine e sintetizzatori. In ventotto anni la loro musica non è cambiata, ma sono stati loro a cambiare la musica, gettando le basi per una dance contemporanea e quasi parodistica incarnata alla perfezione dalla abitudine di indossare elmetti da robot nelle apparizioni in pubblico. Discovery, del 2001, è forse il disco di dance più influente degli ultimi vent'anni: il fulcro dell'album è il propulsivo Harder, Better, Faster, Stronger, che campiona Cola Bottle Baby di Edwin Birdsong. Insomma, un gruppo epocale che ha cambiato la musica.
Musica, dopo 28 anni si sciolgono i Daft Punk. Il duo francese, simbolo della musica elettronica, annuncia la rottura con un video "Epilogue" su YouTube. Maria Assunta Castellano su Il Quotidiano del Sud il 22 febbraio 2021. C’è chi dice che prima o poi le cose belle finiscano, e in questo caso ha pienamente ragione. Dopo 28 anni insieme, i Daft Punk si separano. E lo fanno in maniera sorprendente, come da sempre ci hanno abituati. La notizia della loro rottura arriva infatti con un video “Epilogue” pubblicato sul loro canale YouTube. È la fine di un’era, il duo francese simbolo della musica elettronica, del cosiddetto ‘French Touch’, annuncia che la loro collaborazione è terminata. La notizia è stata confermata anche dal loro addetto stampa. Dopo milioni di copie vendute e brani di successo che in quasi trent’anni hanno fatto ballare tutto il mondo, i due robot pubblicano l’epilogo. Un filmato di oltre otto minuti che riprende una scena muta del loro film del 2006 "Electroma". I due artisti sono coperti ovviamente dalle loro solite maschere da robot, simbolo del duo. Insieme camminano in un deserto, simile a quello del Nevada. Uno dei due rallenta il passo e restano separati per un po’, fino a quando non si ritrovano faccia a faccia. Si guardano, quello col casco argentato abbassa la testa e nonostante abbia il volto coperto, traspare la tristezza. Poi si sfila il giubbino di pelle con la scritta Daft Punk e si gira. L’altro (quello col casco d’oro), dopo un momento di esitazione innesca una bomba ad orologeria attaccata sulla schiena del compagno, che nel frattempo si allontana. Tutto finisce con una spettacolare esplosione e la comparsa delle date 1993-2021. Il Daft Punk dal casco dorato in fine, prosegue la sua camminata nel deserto, davanti ad un suggestivo tramonto; sono gli ultimi due minuti di video, che hanno come sottofondo musicale il coro “Hold on, if love is the answer you’re home”, tratta dal loro brano "Touch". L’annuncio della loro separazione non ha lasciato indifferente il web. 32 tweet al secondo pare sia stata la media, dopo la pubblicazione di questo video epilogo. Video che in 20 ore ha totalizzato 12 milioni di visualizzazioni e che attualmente è al numero uno delle tendenze su YouTube. Thomas Bangalter e Guy Manuel fondarono i Daft Punk nel 1993, diventando molto rapidamente i paladini della cosiddetta "French Touch", tra sonorità electro, house e techno. Il nome del duo deriva da una recensione del primo lavoro del gruppo in cui militavano, i Darlin, apparsa sulla rivista britannica Melody Maker, in cui erano stati definiti “un gruppetto di stupidi teppisti” (a daft punky trash). Il loro primo album, ‘Homework’, esce nel 1997 con la celebre "Around the world", poi una concatenazione di successi travolgenti che hanno fatto ballare il mondo intero e non solo in senso figurato, da "One More Time" (2000) fino alla più recente "Get Lucky" (2013) interpretata da Pharell Williams e con la chitarra di Nile Rodgers.
· Damon Furnier, in arte Alice Cooper.
Luca Valtorta per “Robinson - la Repubbilca” il 14 marzo 2021. Un pitone attorno al collo e poi ghigliottine, mostri, camicie di forza, sangue a volontà: insomma, grand-guignol. Forse proprio per questo in Italia non abbiamo l' esatta percezione di quanto sia stato e continui ad essere importante nella storia del rock Vincent Damon Furnier, in arte Alice Cooper. Lo dimostra l' accoglienza del suo nuovo disco, Detroit Stories, uscito alla fine di febbraio e arrivato subito ai primi posti delle classifiche internazionali (addirittura primo in Germania e quarto in Inghilterra). Da noi invece è considerato quasi un fenomeno da baraccone mentre per lui hanno stravisto molti artisti da Frank Zappa a Salvador Dalì, che lo considerava un surrealista a tutti gli effetti, tanto da dedicargli un ritratto.
Come sta andando con la pandemia?
«Qui tutti si stanno vaccinando. Io prenderò domani la mia prima dose e tra una ventina di giorni ci sarà la seconda. Adesso qui in America è una cosa di massa: la gente va negli stadi di football a farla. Così credo che tra sei mesi sarà possibile andare di nuovo in tour e aprire varie attività chiuse, almeno qui da noi».
Davvero?
«Sì, certo. E spero che qualche mese dopo possa succedere la stessa cosa in Europa e negli altri paesi».
In questo periodo cosa hai fatto?
«La cosa più difficile per me è stata proprio non poter andare in tour. Ero abituato a suonare in 160 - 180 città . Starsene a casa per un intero anno è piuttosto inusuale per noi, anche mia moglie infatti fa parte del nostro show: interpreta quattro o cinque personaggi e abbiamo viaggiato insieme per 45 anni. Ci trovavamo seduti sul divano a dirci: "Bene, cosa facciamo adesso?", "Credo che guarderemo ancora un po' di tv!".
Molte band comunque occupano il tempo in studio di registrazione così probabilmente sta per arrivare una marea di nuovi album...».
E anche tu hai fatto la stessa cosa: hai fatto un nuovo disco e l' hai dedicato alla tua città, Detroit.
«Sì, nei primi anni 70 Detroit era la capitale dell'hard rock degli Stati Uniti mentre Los Angeles era un po' "Doors", un pochino più sexy; San Francisco era un piccolo paese a sé con del country rock e un po' di acido dentro e New York era il suono dei Young Rascals. Noi non ci sentivamo a nostro agio in nessuno di quei posti per cui siamo andati a Detroit dove abbiamo incontrato Iggy e gli Stooges, gli MC5, Bob Seeger, Ted Nugent, Suzi Quatro: era il nostro posto! Io poi a Detroit ci sono nato così ero una sorta di figliol prodigo».
Infatti nella tua nuova canzone "Detroit City 2021" fai una sorta di dedica a tutti loro quando dici: "Me and Iggy were giggin' with Ziggy and kickin' with the MC5/ Ted and Seger were burnin' with the fever, and Suzi Q was sharp as a knife". Ma David Bowie versione Ziggy cosa c' entra?
«Nel 1973 David Bowie aveva scritto una canzone dedicata alla città, ispirata a racconti che gli aveva fatto Iggy: Panic in Detroit. David allora era tipo il nuovo ragazzo che si affacciava alla musica rispetto a noi. E poi devo ammetterlo: non potevo resistere a fare la rima di Iggy con con Ziggy!».
Tu eri amico di Iggy?
«Sì e lo siamo ancora. Io credo che lui sia davvero il punk assoluto. Prima dei Ramones, prima dei Sex Pistols, prima di chiunque altro. Non puoi trovare nessuno più punk di Iggy. Ma al tempo stesso è un ragazzo davvero molto intelligente e assolutamente devastante sul palco. Non c' è mai stata competizione tra di noi anche perché eravamo diversi: Alice Cooper era più "Il fantasma dell' opera" e Iggy era più "street". Eravamo solamente due buone band rock' n'roll».
E poi voi avete creato il cosiddetto "shock rock" con ghigliottine, maschere, sangue, mostri, serpenti.
«Per essere onesti noi eravamo già teatrali quando iniziammo come Earwigs e poi come Spiders. Non avevamo scelta. Era nel nostro Dna. Quando ci chiamavamo Spiders ("ragni") ci vestivamo tutti di nero e avevamo delle ragnatele giganti tutt' intorno a noi».
Ma come vi è venuta l' idea?
«A un certo punto mi sono guardato intorno e mi sono detto: "Ehi ma non ci sono dei cattivi nel rock' n'roll!". Forse la cosa che si avvicinava di più era Jim Morrison ma non era un vero cattivo: era un poeta. Alice Cooper a quel punto diventò il cattivo assoluto: i genitori lo odiavano e credo di poter dire che anche buona parte delle altre band ci odiavano. Eravamo davvero una buona rock band con un po' di sapore di Yardbirds e Who. Ma poi abbiamo aggiunto la parte teatrale con questo personaggio Alice, che non era propriamente una ragazza. E che ogni tanto appariva con delle sottovesti da donna lacerate e piene di sangue e il pubblico si chiedeva "Ehi che cosa è successo?". Ma tu non glielo dicevi. Noi non ci limitavamo a dire: "Benvenuti nel nostro incubo". L'incubo glielo mostravamo».
Cosa succedeva sul palco?
«Per esempio se in Ballad of Dwight Frye si dice che Dwight Frye indossa una camicia di forza, beh, io sul palco ho una camicia di forza! E questa era una cosa che le altre band non avrebbero mai fatto. Ma noi sì. Però funziona se le canzoni funzionano: di nove ore di prove, otto riguardavano la musica e una il teatro. Molti pensavano che fosse il contrario ma noi sapevamo che avevamo a che fare con band come i Led Zeppelin o gli Stones, così ci dicevamo "Sarà meglio che riusciamo ad essere loro pari".
Voi infatti non siete mai stati appassionati di magia nera come altri gruppi shock-rock.
«Noi eravamo più Bela Lugosi, più "classic horror": se mescoli horror, rock' n'roll e commedia con un po' di West Side Story dentro ottieni Alice Cooper . Quello che io volevo era andare oltre qualsiasi definizione, creare qualcosa che la gente non potesse definire con le parole, che rendesse il tutto più surreale» .
A proposito di surrealismo: siete addirittura diventati parte di una performance di Salvador Dalì: come è successo?
«È venuto a vedere un nostro show e ha deciso che quello era surrealismo. Disse: "È come uno dei miei dipinti che ha preso vita!". Tre musicisti della band originale erano diplomati alla scuola d' arte quindi Dalì era come i Beatles per noi ! Era la cosa più bella che ci potesse accadere» .
Era davvero un tipo eccentrico?
«Era la persona più bizzarra che abbia mai incontrato ma era anche divertente e aveva un grande senso dell' umorismo, proprio come i suoi quadri. Era molto sensuale ed era impossibile prevedere quello che avrebbe fatto: ho lavorato con lui per un settimana e non avevo mai idea di cosa sarebbe successo. È stato bellissimo».
A proposito di gente bizzarra: Frank Zappa è stato il primo a credere in voi. Conoscendo il suo rigore musicale non è cosa da poco.
«Quando andammo a Los Angeles eravamo una band molto indisciplinata che scriveva canzoni inusuali. Avevamo tre o quattro canzoni che duravano un paio di minuti ma avevano 25 cambi e noi eravamo in grado di eseguirle dal vivo! Quando lo vide disse: "Credo che neanche i Mothers (la sua band, ndr) siano in grado di farlo. E poi, a un certo punto disse: "Non capisco". "È una cosa brutta?" "No è grandioso. E dal momento che non capisco voglio che firmiate un contratto con noi"».
E il serpente?
«Non ce l' ho più. Abbiamo troppi nipotini intorno. Ma non sono per niente cattivi sai?» .
· Daniela Ferolla.
Michela Proietti per il "Corriere della sera" il 20 aprile 2021. «Da quando avevo 17 anni non mi ero mai fermata: un criceto sulla ruota». Poi, poco più di un anno fa, il mondo si è interrotto anche per Daniela Ferolla: il lockdown e all' improvviso il tempo davanti. «Mi sono messa a scrivere, volevo trasformare l'inerzia in qualcosa di buono». È nato uno dei volumi figli della pandemia, «Un attimo di respiro» (Rai Libri), appena consegnato alle librerie e scritto dalla ex Miss Italia e conduttrice di Linea Verde pensando a quel tempo riconquistato, da trasformare in un messaggio positivo per il corpo. «Un' ora di meditazione, una passeggiata in un bosco: qualsiasi fuga da una vita poco sana».
L'esperta di tendenze Li Edelkoort a inizio pandemia parlò di una possibilità di ripristinare i propri valori.
«Ed è accaduto: abbiamo ridato importanza al contorno, alle buone pratiche. Io mi sono appassionata alla gyrokinesis, che mette insieme yoga, pilates e meditazione».
Il libro è anche una raccolta di momenti vissuti come conduttrice di Linea Verde.
«Ho fatto yoga sopra a un sup e mi sono immersa in una foresta, praticando il forest bathing che sviluppa serotonina: racconto ogni esperienza, per risvegliare una coscienza verde».
Da Miss Italia a Lady Green: come è avvenuto il cambiamento?
«Non è stato semplice. Quando ho vinto Miss Italia, nel 2001, il ruolo della donna era diverso da adesso. Se eri la più bella, dovevi accontentarti di fare la statuina. I ruoli che arrivavano erano quelli di valletta, un decoro».
Come ha cambiato le regole?
«All' inizio nel modo peggiore: mi sono imbruttita per essere credibile e accettata da chi avrebbe dovuto offrirmi un lavoro. Mortificavo il mio aspetto e indossavo abiti di una taglia più grande. Poi qualcuno mi ha fatto notare che non dovevo vergognarmi di avere delle belle gambe».
Nel frattempo si è rimessa a studiare.
«Mi sono laureata in Scienze della Comunicazione in Cattolica e sono diventata giornalista. Nonostante questo sono arrivata tardi alla conduzione: era difficile avere lo stesso spazio dei colleghi uomini, non parliamo dello stipendio».
Ha sperimentato più l' antagonismo maschile di quello femminile?
«Il mio libro è dedicato a due donne, mia madre e mia nonna. Con il mondo femminile faccio squadra. Alcuni uomini con cui ho lavorato avevano paura di una ragazza giovane e carina».
La bellezza è stata un boomerang?
«In fondo non mi sentivo così bella: quando ho partecipato a Miss Italia non mi ero mai fatta le sopracciglia. Ero una ragazzina di provincia».
La incoronò Sophia Loren, campana come lei.
«Solo dopo ho scoperto che aveva scommesso su di me: aveva dato un bigliettino a Enzo Mirigliani con il nome della vincitrice. Ero io».
Lei parlava di verde quando la sostenibilità non era al centro del dibattito .
«Avevo 28 anni e i ragazzi della mia età non erano interessati. Io invece pensavo allo spreco dell' acqua e predicavo la bellezza delle sere a lume di candela. Non sono Greta ma ho fatto la mia parte».
Una filosofia anti-spreco applicata anche al privato: su di lei pochi gossip.
«Ho un compagno da 16 anni (il manager Vincenzo Novari, ceo della Fondazione Milano- Cortina ndr ), tra di noi c' è una differenza d' età che non si sente: grazie a me dice di essere ringiovanito. Il segreto? Ogni tanto ci diamo un attimo di respiro, molto utile anche dentro a una coppia».
Paolo Giordano per ilgiornale.it il 18 giugno 2021. Il pop italiano in questi anni ha tante voci ma solo tre nomi: Dario Faini, Dardust e DRD. Che poi sono i tre volti dello stesso artista che in pochissimo tempo ha cambiato i connotati delle classifiche scrivendo i pezzi più «strimmati» dal pubblico e più ricercati dagli interpreti. Tanto per capirci, l'ultimo Festival di Sanremo, considerato quello dell'apertura al futuro, aveva in gara cinque pezzi firmati da lui (per Irama, Madame, La Rappresentante di Lista, Noemi e Renga), quattro dei quali sono andati benissimo anche in radio. Due erano di Dario Faini e tre di Dardust. «Uso il primo se lavoro con una canzone pop tradizionale, Dardust quando ci sono dei brani che hanno un carattere di rottura, contemporanei, innovativi, mentre DRD è legato all'urban pop» ha spiegato a Tu Style. Di certo, la cifra comune dell'artista dai tre nomi è l'eleganza riservata, mai trash, e la capacità di sposare la tecnologia (anzi, le tecnologie) con un istinto neoclassico. E poi, diciamolo, Dario Faini/Dardust/Drd è una persona gentile, umile, non è afflitta dalla solita overdose di megalomania che immancabilmente colpisce il 90 per cento di chi ha avuto anche solo un microsuccesso da qualche giorno in classifica. Non esagera, ecco. Ha studiato pianoforte. E ha fatto la gavetta, che ormai è come una laurea ad Harvard, ce l'hanno in pochi. E mica era facile per lui, nato ad Ascoli Piceno nel 1976 e iscritto a nove anni all'Istituto Musicale. Insomma, da quando ha debuttato nel 2000 come Dario Dust, si è costruito piano piano, senza discese ardite e risalite faticose, mantenendo il mirino puntato sulla qualità. Sì, l'avete capito: il contrario di quasi tutti in questa epoca frenetica di istantanee esplosioni commerciali e poi di rimozione pressoché definitiva. Lui no. È arrivato senza fanfara e oggi resta, almeno a giudicare dai fatti. Dario Faini ha una lista impressionante di brani di successo. Soldi di Mahmood, che ha vinto il Festival di Sanremo nel 2019, è sua, come sua è l'intuizione di sfruttare l'hand clap, il suono delle mani che battono, una delle chiavi vincenti per la sua riconoscibilità in tutto il mondo. E così hanno la firma di Dardust/Dario Faini Nero Bali di Elodie, Michele Bravi e Guè Pequeno, Rivoluzione di Marco Mengoni, Calipso con Sfera Ebbasta e Fabri Fibra, Nuova era con Jovanotti, Andromeda ancora con Elodie, Defuera con Ghali, Madame e Marracash (firmato come DRD), Barrio con Mahmood e via elencando con Emma, Alessandra Amoroso, Noemi, Irama, Tommaso Paradiso e molti altri. Un nuovo pop che allarga i confini dal rap alla trap all'elettronica senza diventare ripetitivo o, peggio, ossessivo e, soprattutto, rispettando i canoni fondamentali della musica, come dimostra anche nei suoi dischi da solista. Ad esempio l'ultimo S.A.D. Storm and Drugs che è rimasto in letargo di fama per colpa della pandemia (è uscito praticamente a ridosso), ma che è un piccolo gioiello di intuizioni e malinconia. Forse per questo qualcuno lo chiama il Re Mida del nuovo pop. E dire che lui fa di tutto per lasciare il biglietto da visita solo alle sue canzoni. Uso intelligente dei social. Pochissime chiacchiere gossipare. Niente comparsate un tanto al chilo. E, soprattutto, molta modestia. Ad esempio, lo sapete che Dario Faini ha musicato il Superbowl 2018, l'Nba All Star Game 2019 e nel 2020 la Apple ha scelto un suo brano per lanciare i nuovi prodotti? Probabilmente no. Perché il vero artista si fa conoscere con la musica, non con i post.
· Demi Lovato.
Da "leggo.it" il 18 febbraio 2021. Demi Lovato shock: la popstar al sito della Bbc ha raccontato l'esperienza di tre anni fa, quando stava per morire dopo un'overdose di droga, il 24 luglio 2018. E ha rivelato di aver avuto tre ictus e un infarto: «I miei medici hanno detto che sarei potuta morire nel giro di 5 o 10 minuti», ha spiegato la cantante, raccontando del suo ricovero in ospedale. Ed ha aggiunto che quegli episodi le hanno «lasciato danni cerebrali dei quali sento ancora gli effetti», tra cui uno sfocamento della vista che le impedisce di guidare la macchina e le rende difficile leggere. «Non guido l'automobile perché ho punti ciechi nella mia vista», ha detto la Lovato ai giornalisti, presentando il trailer di "Dancing with the Devil", un documentario che parla di salute mentale e dipendenze e che arriverà a marzo su YouTube. «Per molto tempo ho avuto serie difficoltà a leggere. È stato un grosso problema cercare di leggere un libro, che è stato tipo due mesi dopo, perché la mia vista era così sfocata». La star ha spiegato di avere fatto questo documentario «per aiutare le persone che si sono trovate nella mia stessa situazione», aggiungendo: «Volevo mettere le cose in chiaro e volevo rivelare tutto ai miei fan». Lovato ha esordito da bambina nel programma 'Barney and Friends' e ha raggiunto la popolarità da adolescente su Disney Channel recitando nella sua popolarissima serie 'Camp Rock', prima di lanciarsi in una carriera musicale da solista di successo. Nel trailer del doc la popstar dice: «Ho avuto molte vite, come un gatto. Sono alla mia nona vita».
DAGONEWS il 17 marzo 2021. 28 anni e un passato già eccessivamente turbolento. Demi Lovato, ex ragazzina prodigio della scuderia Disney, sta per rilasciare su Youtube un documentario diviso in quattro parti dal titolo piuttosto eloquente, "Dancing with the Devil". Il New York Times ne ha parlato proprio ieri in un articolo-shock dove la stessa cantante dà qualche anticipazione agghiacciante. Demi ha perso la verginità a 15 anni, con uno stupro causato proprio dalla frequentazione con un attore non specificato, ma che presumibilmente era legato all'ambiente Disney in cui la ragazza muoveva i primi passi prima del successo con Camp Rock, nel 2008: "Ecco come stanno le cose. Facevo parte di quella marmaglia Disney che doveva dire pubblicamente di stare aspettando fino al matrimonio..." La popstar prosegue: "Poi ho dovuto vedere il mio stupratore tutto il tempo, e così ho smesso di mangiare e ho affrontato la vicenda in altri modi – tagliandomi, vomitando qualsiasi cosa. La mia bulimia è diventata così grave che ho iniziato a vomitare sangue per la prima volta". Un percorso devastante che l'ha portata a cascare nel vortice della droga, terminato nel 2018 con un'overdose di eroina, a seguito di botte e violenze da parte del suo stesso spacciatore. "Mi hanno trovata nuda e piena di lividi", confida. Dopo questo episodio gli strascichi della salute devastata non si sono fatti attendere: diversi ictus, danni cerebrali, asfissia e addirittura un infarto. Insomma, un vero e proprio inferno, raccontato nel documentario della Lovato che dimostra una (breve) vita di eccessi, ma anche tanto coraggio e forza di rimettersi in gioco. Non è stato facile, ammette, parlare di tutto ciò e soprattutto degli episodi di violenza, anche a seguito dell'aggressione subita da Rihanna per mano del suo ex Chris Brown, con tanto di foto del volto insanguinato pubblicate ovunque: "Onestamente, da quando ho visto Rihanna e le sue foto trapelare dopo l'incidente di Chris Brown, ero molto a disagio a parlare della mia storia, forse la gente non mi avrebbe creduta", proprio come in effetti accadde alla sua collega. Adesso, a partire dal 23 marzo, i fan potranno comprendere i particolari della difficile vita di Demi Lovato, che però sta finalmente prendendo una piega positiva, anche grazie all'amicizia con la popstar Ariana Grande.
· Demi Moore.
Maria Teresa Veneziani per corriere.it il 28 gennaio 2021.
«Che cosa è successo a Demi Moore?» Che cosa è successo a Demi Moore? Le domande si rincorrono sui social dopo l’apparizione della star alla prima sfilata di Haute Couture Fendi firmata da Kim Jones durante la settimana dell’alta moda di Parigi, mercoledì 27 gennaio. Bellissima e statuaria, con una blusa bustier in seta nera dalla profonda scollatura, ma quasi irriconoscibile. Certo, il tono serio era imposto dallo show, con le modelle distanziate socialmente da lettere di plexiglass per indicare il dramma che sta attraversando il mondo, ma il volto di Demi Moore così diverso ha scatenato speculazioni sul fatto che abbia subito un intervento di chirurgia plastica. Le foto immortalano l’attrice 58enne — interprete di film come Ghost (1990) , Codice d’Onore (1992), Proposta indecente (1993), La lettera scarlatta (1995), Striptease (1996), Soldato Jane (1997) — con una carnagione impeccabile, zigomi accentuati e un broncio che ha dato il via a un tam tam sui social media con i fan che si chiedono se la trasformazione sia il risultato di chirurgia estetica o di un trucco «terribile».
Donna più bella del mondo. «Demi Moore dacci un sorriso», titola il «Daily Mail». È solo un’espressione e un trucco contouring troppo pesante («tremendo») o questa volta Demi ha esagerato con la chirurgia? si chiedono i fan. Demi nella sua autobiografia racconta l’infanzia turbolenta, che l’ha condizionata anche nelle relazioni amorose. Con sincerità la star durante una intervista del 2019 al «Daily Mirror» aveva affermato di non amare l’idea di tentare di fermare il naturale processo di invecchiamento con il bisturi; «è un modo per combattere la tua nevrosi — disse all’epoca — Il bisturi non ti renderà felice». Lo disse pur ammettendo con sincerità che ci sono state volte in cui si è guardata allo specchio e non si è riconosciuta. «La forza di gravità sta producendo effetti che non mi piacciono», aveva ammesso l’attrice che all’età di 46 anni vinse la classifica di donna più bella del mondo stilata da «Fox News».
Il lavoro sul corpo fino alle estreme conseguenze. Come ha raccontato nel suo libro-confessione «Inside Out», Demi Moore non ha mai nascosto di avere lavorato sul suo corpo per modellarlo fino alle estreme conseguenze. Voleva essere perfetta per interpretare i personaggi che l’hanno resa celebre, ma un grande ruolo ha giocato anche l’insicurezza, ha confessato. È accaduto con Soldato Jane, con Proposta indecente e ancora con Striptease. Lei stessa aveva riconosciuto che 20 anni fa aveva speso quasi 250.000 dollari in chirurgia plastica per completare la trasformazione del suo viso e del suo corpo prima dell’apparizione nel film del 2003 «Charlie’s Angels: Full Throttle», ma in seguito, nel 2oo7, aveva smentito ogni successiva insinuazione sui ritocchi di chirurgia estetica. Era il periodo in cui era sposata con il terzo marito, Ashton Kutcher, di 15 anni più giovane, legame nel quale si era buttata anima e corpo, come racconta nel libro, e per questo fu devastante per lei scoprire del suo tradimento.
Gli inizi come modella. Demi, che ha tre figlie — Rumer (32 anni), Scout (29) e Tallulah (28) — con l’ex marito Bruce Willis, sulla passerella di Fendi ha sfilato accanto alle top model del momento, della metà dei suoi anni, come Lila Moss e Bella Hadid. Del resto, per Demi la moda e la professione da modella sono stati il trampolino di lancio per Hollywood.
«Grazie per avermi fatto realizzare un sogno adolescenziale». Al di là di commenti, Demi tira dritto si gode l’emozione vissuta sulla passerella parigina del Palazzo della Borsa. Sul suo instagram (2,1 milioni di follower) posta il suo stato d’animo. «Grazie per avermi fatto realizzare un sogno adolescenziale ... Grazie @mrkimjones per avermi aperto la sfilata di @Fendi SS21 e congratulazioni per un bellissimo e magico debutto!».
· Demi Sutra.
Barbara Costa per Dagospia il 13 marzo 2021. Quanto conta far compromessi nella vita? Tu li hai fatti? Quanti? Davvero ti portano da qualche parte? Per fare carriera, servono? Senti qua: Demi Sutra, 30 anni, da pornostar ha già vissuto due vite: la prima da "bianca", l’odierna da nera. Lei ha appena firmato un contratto in esclusiva con "Brazzers", è lei la star su cui il gigante del porno punta per il 2021, eppure fino a qualche tempo fa… Demi non era come la vedi: non era così nera, non era così afro, era tutta digitalmente ritoccata. Era un’altra persona, aveva un altro nome (Ajaa), aveva un’altra pelle, più chiara (da bianca) aveva i capelli stirati (da bianca) ma soprattutto aveva digitalmente cancellate le due grosse voglie che ha sull’addome. Voglie, macchie, "imperfezioni" che i boss del porno le facevano celare e che lei di buon grado accettava di nascondere, in pose di foto porno artefatte, abbracciata nuda o sotto le sue colleghe, e macchie nascoste pure mentre i porno li girava cioè mentre sui set sc*pava: ci passava sopra del fondotinta, e il regista optava per inquadrature che oscurassero tali "brutture". Un rifiuto del proprio corpo (e della propria identità) talmente riuscito che in rete girava forte la voce che Demi non fosse afro, fosse mulatta, finanche sudamericana, ma nera no. Un rifiuto identitario tale da portare a insulti razzisti social dei veri neri contro i falsi neri, e quindi su quanto Demi non fosse abbastanza nera, e su quanto fosse "impura". Perché, si sa, mica esiste soltanto il razzismo dei bianchi sui neri o il suo contrario, no, esiste anche quello interno alle realtà nere, anch’esso b*stardo da par suo, e che i social riportano e rimarcano. Se c’è qualcosa di positivo nel bordello razzista-identitario scoppiato negli Stati Uniti negli ultimi mesi, sta nella decisa rivendicazione di quel che si è, contrapposto non a ciò che si vorrebbe ma a ciò che gli altri, la società, le regole, i canoni, impongono. Noi non ci pensiamo - o almeno, io da bianca non c’ho mai pensato - ma chi bianco non è e cresce in Occidente, ancora cresce con i media che gli emanano un canone di bellezza greco-romano, e che è bianco. Come dice Demi: “Fin da piccola, i media mi hanno mostrato che la pelle chiara è l’equivalente della bellezza”. Ha forse torto? Nel cinema non porno, l’attuale ricorso a attori e attrici neri come interpreti di ruoli e personaggi ideati da menti bianche è un modo grottesco per lavarci la coscienza, non risolve niente, e però tocca un bianco nervo scoperto. Nel porno, c’è un porno che è sì un porno ma ha trama e recitazione ed è "Afrodisiac: a Demi Sutra Story". È un porno con script concepito da chi quel porno lo va a interpretare. E qui Demi Sutra ha voluto svelare, davanti a una telecamera, cioè a tutti noi, la sua ossessione di donna nera in un settore, quello della moda, da lei lambito, e ancora invaso da bianche e tòpoi bianchi. La presenza di modelle non bianche è sì oggi poderosa, ma è trattata comunque da "novità" e questo è evidente da quanto i media mettono "pelosamente" in risalto una non bianca scelta a testimonial. Ehi, non preoccuparti, che in "Afrodisiac" si sc*pa, c’è tutto quello che in un porno cerchi, per eccitarti, per indurirti, e c’è quel viso di Demi pennellato di bianco in copertina, quel suo smarrimento misto a dannazione che da spettatore ti smarrisce e ti danna, e c’è la sua morbosa fissazione verso Anny Aurora, bianca, bionda, eterea e verso quel corpo niveo che Demi si sc*pa e col sesso ne fa punizione e violenza, è orgasmo che dà sì piacere ma quello crudo di vendetta, è sudore che nel vischioso spuma i veleni che da nera hai dovuto sopportare, ingoiare. I veleni che ti hanno umiliata. "Afrodiac" è un porno diverso, non è un porno di sola azione sessuale, è un porno che vale. Demi Sutra oggi porna col suo nuovo nome ma pure col suo corpo (im)perfetto com’è: scuro, nero, da nera, con quelle due enormi voglie di cui non si vergogna più (“mi hanno deriso, e fin da ragazzina: per questi segni sul corpo mi ero convinta che non avrei mai fatto sesso con nessuno, perché si sarebbero schifati a toccarmi. Invece oggi sono qui, sono una pornoattrice, col mio corpo che certo perfetto non è, come non lo è quello di nessuna donna. Io non permetto più a nessuno di dirmi chi sono”). Troppo a lungo Demi e le pornostar non bianche sono state spinte, condizionate a uniformarsi il più possibile a bellezze bianche, in primis nel trucco, e nei capelli, a compromesso di una morale, e di una legge di mercato obsoleta (un porno tra una nera e un bianco ha meno pubblico di uno non misto: ma quando mai???) Il porno nei confronti degli attori non bianchi ha sbagliato, ha le sue colpe, ne è stato spu*tanato, sta cambiando, ma gli altri, i media non porno, quelli "puliti", cosa aspettano, dacché ancora stanno a "sbiancare" la vice presidente degli Stati Uniti, universalmente sfottuti un attimo dopo che la loro sbiancatura è stata pubblicata?
Paolo Giordano per "il Giornale" il 26 novembre 2021. «Questa non ve l'aspettavate eh?». In effetti no. I Deep Purple tornano con un disco di cover, proprio così, proprio loro che per 53 anni, dicesi cinquantatrè, hanno sempre pubblicato canzoni nuove diventando i padri dell'hard rock insieme con i Led Zeppelin e i Black Sabbath. «Adesso pubblichiamo Turning to crime, che raccoglie brani di Bob Dylan, The Yardbirds, Cream e altri che tutti noi abbiamo "purplizzato", li abbiamo trasformati alla nostra maniera», dice Ian Gillan, 76 anni, chiamatelo pure maestro perché lo è stato per almeno due generazioni di cantanti. Nati nel 1968 nella microscopica Hertford, autentico dormitorio per chi allora lavorava a Londra, hanno cambiato pelle più volte, hanno attraversato litigi (mediamente ogni 5 anni) e lutti (il gigantesco Tommy Bolin, ad esempio, morto per overdose) ma oggi sono rimasti gli ultimi on the road, gli ultimi a fare ora come allora: disco, tournèe, disco e via suonando. Cento milioni di album venduti. Un marchio di fabbrica più imitato della Settimana Enigmistica. Una coerenza che oggi te la scordi. «Eravamo felici allora perché avevamo vent' anni, ma lo eravamo anche a cinquanta e lo siamo pure ora che abbiamo trascorso più tempo insieme sul palco che con le nostre mogli», conferma la voce che con Child in time, anno di grazia 1970, ha insegnato come accompagnare la chitarra fino all'orgasmo musicale in una sorta di suite potentissima e malinconica. Il trionfo del volume alto, dei virtuosismi, delle Fender Stratocaster scatenate negli assoli. Uno schiaffo rumoroso alla musica leggera. Per capirci, nel 1972 in Italia Nicola Di Bari vinceva il Festival di Sanremo e i Deep Purple pubblicavano Made in Japan, registrato a Osaka praticamente in presa diretta con la versione dal vivo di uno dei brani più famosi di tutti i tempi: Smoke on the water, quella con il padre di tutti i riff di chitarra, ta ta taaa, quella che tutti i «boomer» da ragazzi hanno provato a suonare almeno una volta ma nessuno mai con la stessa sporca, puntuale irruenza di Ritchie Blackmore. «Però è difficile catalogarci, noi non siamo soltanto rock». Dopotutto ha ragione. All'origine i Deep Purple erano un contenitore di influenze musicali così disparate che Ian Gillan ci deve pensare un po': «Avevamo ascoltato e studiato Beethoven e Chopin ma anche Jerry Lee Lewis e Buddy Rich e pure lo skiffle e le grandi swing band. Eravamo tutto e niente. Ascoltate Anyone' s daughter dal disco Fireball del 1971. Che cosa eravamo? Boh. Avanguardia? Ancora oggi non saprei rispondere». Ian Gillan parla da casa sua, la voce è roca («Ma non ho nulla eh», precisa perché non si sa mai), ma i ricordi sono nitidi. «Nel 1969 eravamo hard rock, certo. Ma avevamo vent' anni, come fai a non essere rock a vent' anni». E lui cantava come pochi: «E oggi la voce mica mi è cambiata tanto. È un dono del signore. Nonostante l'età, tengo ancora al livello che mi piace tenere e non faccio compromessi. Certo, non posso più giocare a pallone, ma il fiato è rimasto forte come sempre». Al limite potrebbe usare l'autotune. «Scusi cos' è?». Sa quel software che può manipolare la voce coprendone i difetti, oggi è un must per rapper, trapper e aspiranti cantanti: «Non ne ho la più pallida idea. Io canto con la mia, di voce. E guai a chi la tocca». Va bene, ma fino a quando? «Beh di certo non potremo andare avanti per sempre. Ma finché avremo le forze, saliremo sul palco. Poi mica potremo suonare in ospedale e ce ne faremo una ragione». In attesa di quel (lontano) giorno, i Deep Purple hanno infilato in Turning to crime le canzoni che si sono portati dietro in tutti questi decenni. «Siamo partiti da centinaia di brani e li abbiamo selezionati fino a questi dodici». Uno è un medley che contiene anche Dazed and confused dei Led Zeppelin: «Strano vero? Negli anni '70 i fan ci consideravano così diversi e lontani. Ma alla fine di questo medley c'è anche Gimme some lovin', un vero inno al divertimento e quindi divertiamoci». In poche parole, Ian Gillan è l'immagine del rockettaro perfetto, quello che ha fatto la storia della musica, ha viaggiato e visto e vissuto la qualunque e a 76 anni non ha alcun rimpianto. Anzi no, uno ce l'ha: «Quand'ero giovane sono andato all'Università soltanto per sei mesi». Nessun problema: la laurea l'ha presa lo stesso. In rock.
Diego Abatantuono: "Il Nord è stato reso grande dai meridionali!". Ha lavorato con i migliori registi del mondo fino a diventare un'icona, ma forse pochi sanno che le sue origini sono meridionali. Redazione eccellenzemeridionali.it il 14 settembre 2021. Diego Abatantuono è stato un'icona per tutti gli anni 80', ma il suo talento di attore l'ha condotto a lavorare con i migliori registi del mondo, ottenendo prestigiosi riconoscimenti. Quello che, forse, pochi conoscono di questo attore e comico dalla passione rossonera è che ha origini meridionali: suo padre Matteo era un calzolaio nato a Vieste in Puglia. Abatantuono nel suo esordio nel mondo del cinema interpretava spesso il ruolo del meridionale che Steno definì 'Terrunciello': tale interpretazione ha fatto si che l'attore milanese giungesse ad un successo enorme. Dopo un po' decide di abbandonare questo costume e dedicarsi ad ruoli diversi, meno comici e più drammatici, dimostrando un immenso talento che lo ha condotto ad essere premiato per ben 3 volte con il Nastro d'Argento, un David di Donatello e 2 Ciak d'oro. L'attore spesso ha raccontato delle sue origini e della sua infanzia trascorsa nel quartiere milanese del Giambellino abitato da meridionali: "A quei tempi non c'era razzismo, c'era posto per tutti. Dire terrone non era un insulto, c'era voglia di capire la gente che arrivava dal sud." Scherzando su un titolo di 'Libero' "Comandano i terroni" aggiunge: "Qualcuno deve comandare ed essendo a Milano tutti terroni non vedo chi altri potrebbe farlo. Il nord è stato reso grande dai meridionali, non esisterebbero Torino e Milano se non fosse per loro." Con il ciclo di film interpretati sotto la guida di Gabriele Salvatores, Abatantuono entra nell'olimpo del cinema italiano e internazionale: nei film 'Nirvana', 'Mediterraneo' (che vinse l'Oscar come Miglior film straniero nel 1992), 'Puerto Escondito' e 'Io non ho paura', quello che sembrava un'icona della commedia si rivela la massima espressione del cinema italiano. In questi giorni è uscita una commedia romantica prodotta dalla Colorado Film (la casa cinematografica di proprietà di Abatantuono) che ha come interpreti Diego e Fabio De Luigi, la regia del film 'Ridatemi mia moglie' è affidata a Alessandro Genovesi: anche in questo caso, come negli ultimi anni, l'attore milanese decide di rivestire i panni dell'imprenditore lombardo.
Stefania Ulivi per il "Corriere della Sera" il 28 ottobre 2021. «Se non avessi fatto l'attore? Credo avrei aperto non un chiringuito, ma un ristorante, un locale. Mi piace stare con la gente, farla divertire, raccontare».
Lo ha fatto in oltre ottanta film. Oggi in sala l'ultimo, «Una notte da dottore» di Guido Chiesa, è un dottore da aggiungere alla sua collezione di tipi poco edificanti.
«Una merdaccia, diciamolo. Un tipo burbero, la vita è andata per conto suo: la moglie sparita, un figlio problematico, vent' anni in Africa. Poi torna per mantenere nuora e nipote ma non sa esprimere i sentimenti».
Che tipo è Frank Matano?
«Ha talento e intelligenza. La sua partenza può sembrare, anche se l'epoca è diversa, un po' quella che ho fatto io con i film comici».
Girato a Roma durante la pandemia. Come si è trovato?
«A Roma sto bene. Ci sono venuto le prime volte a 15-16 anni, quando facevo il tecnico per i Gatti di Vicolo Miracoli. Lavoravamo al Teatro delle muse o al Tenda, quando facevano spettacoli, con cena a seguire, Renato Zero, Stefano Rosso, Adriano Pappalardo, la Schola Cantorum. Dormivamo in qualche alberghetto o a casa di qualcuno. Allora era meravigliosa, era meravigliosa l'Italia».
Rimpianti?
«Quella bellezza si è incrinata. E allora non c'erano ancora le zanzare. Ora vivo con due di quattordici anni: le porto a scuola, vedono la tv con me, ho fatto amicizia...».
È stato a quelle cene che conobbe Arbore che venne poi al Derby a proporle «Il Pap' occhio»?
«Non passavo inosservato. Il mio lavoro in realtà non era fare il tecnico: soffrivo di vertigini, ne soffro ancora, salire su una scala barcollante non faceva per me. Avevo 15 anni, avevo smesso di andare a scuola; i Gatti invece 20, appena finito il liceo. Venivano da Verona, provinciali acculturati, mentre io cittadino ero più smaliziato di loro. Cinque anni con loro, una scuola.
Ero il quinto del gruppo. Se tu reggi la tavolata con i Gatti, Villaggio, Renato, sei già a buon punto. Già se riesci a esserci seduto conta: al Derby mi ricordo gente che cercava di intrufolarsi e invece veniva schienata. Sono autodidatta, l'ignorante più colto che abbia mai conosciuto, supero anche Celentano».
E Arbore, dunque?
«Era venuto al Derby, mia mamma Rosa stava al guardaroba. Iniziavo a essere conosciuto, ma non facevo tv, bisognava venire a Milano. Le ha chiesto di me. E lei: "Chi, quello? Ma è un deficiente, lasci stare". Mi diceva: ma non ti vergogni a dire quelle cose lì? Io ero contento che facessero ridere Cochi, Renato, Beppe Viola, Jannacci. A me interessavano che ridessero loro».
Con sua madre andava al cinema.
«Papà andava al bar, non si sa se era proprio il bar, si profumava molto, la mamma chiedeva perché. E noi andavamo al cinema a vedere un bel "cappa e spada" o i Maciste, o i western. Una sera lo abbiamo trovato sotto che telefonava, la telefonata fatta al bar tutto profumato era strana. Ha provato a dire che stava chiamando sua madre. "A quest' ora?
Mi dia un gettone. Sciura Maria, 'l gha ciama' el Matteo? No? ". (Mia nonna era trilingue, pugliese, italiano e milanese). Ha detto un "Vergogna" che ancora mi ricordo. E anche una pedata nel culo. Lui rideva, per reazione».
Il suo terruncello va per i 45 anni.
«Era un disintegrato che voleva integrarsi, milanese al 100%. Un'iperbole ma esisteva davvero».
Per tornare al ristorante, chi ha cucinato meglio al «Dinner club»? «Cracco, ha fatto tutto lui».
Da tgcom24.mediaset.it il 14 settembre 2021. “Le mie foto in rete? È stato un momento tragico. Ho pensato che la mia vita fosse finita, che non sarei più uscita di casa perché all’idea che le persone potessero guardarmi, anche se avevo i vestiti, mi sentivo nuda.” Diletta Leotta si racconta in un’intervista a cuore aperto a Veronica Gentili durante la seconda puntata di “Buoni o Cattivi” (martedì 14 settembre su Italia 1), ripercorrendo una vicenda dolorosa. E’ una donna di successo, stimata e ammirata, ma anche esposta agli insulti social, all’invidia e agli urli da stadio. Eppure, Diletta Leotta pare forte e intransigente mentre segue diretta la sua strada del successo. La conduttrice sportiva però ha anche le sue fragilità ed è stata messa a dura prova quando è stata vittima di revenge porn. “Quel momento me lo ricordo benissimo. – racconta in tv per la prima volta la Leotta - Un mio amico mi ha detto che stavano girando delle mie foto, foto strane, e io ho risposto che sicuramente non erano mie, che non ero io, pensando a dei fotomontaggi. Lui mi ha mandato la prima foto e io ho sentito un vuoto dentro, mi si è bloccato il respiro credo per più di dieci minuti, non riuscivo proprio a respirare. È stato un momento tragico. Ho pensato che la mia vita fosse finita, che non sarei più uscita di casa perché all’idea che le persone potessero guardarmi, anche se avevo i vestiti, mi sentivo nuda. Quelle foto, in alcune ero ancora minorenne, erano foto che una ragazza si scatta con l’ingenuità di vedersi davanti a uno specchio, dopo la doccia. Non le avevo mai mandate a nessuno, erano all’interno del mio computer che è stato hackerato”.
Diletta Leotta, "donne lampadario" alla sua festa. Ridotte così: "Vergognati, che schifo". Libero Quotidiano il 16 agosto 2021. Diletta Leotta ha festeggiato i suoi 30 anni con un mega party in Sicilia a cui hanno partecipato anche Elodie e Rossella Fiamingo (ma non il fidanzato Can Yaman). Ma è stata travolta da una bufera sui social per alcune foto della festa di compleanno in cui si vedono delle giovani donne "trasformate" in lampadario: le ragazze infatti hanno un paralume sulla testa e stanno sul bordo della piscina immobili. "Le donne lampadario a un compleanno di una donna nel 2021 per me sono degradanti", cinguetta una. "La pochezza di questa donna è imbarazzante! Non è il compleanno fastoso, ma tutta questa superficialità esternata orgogliosamente, che schifo...", scrive un'altra. Per il suo compleanno, colei che ribadisce che la bellezza “capita” ingaggia delle donne per vestirsi da lampadario. Purtroppo la classe e l’umiltà non sono come gli interventi chirurgici, non puoi pagare per averle. "Le ragazze usate in stile soprammobile sono un qualcosa di riprovevole", si legge ancora. "Per il suo compleanno, colei che ribadisce che la bellezza 'capita' ingaggia delle donne per vestirsi da lampadario. Purtroppo la classe e l’umiltà non sono come gli interventi chirurgici, non puoi pagare per averle", è il commento lapidario di un'altra. "Ciao, che lavoro fai? La donna-lampadario ai compleanni delle vip che fanno discorsi edificanti a Sanremo" dice qualcuno con ironia. E c'è chi fa notare: "Magari non è una sua scelta, forse è l'agenzia che si occupa di questi eventi a partorire boiate del genere. In ogni caso, se sei un personaggio pubblico, non puoi accettare che vengano usate donne-lampadario alla tua festa".
Alba Parietti attacca Diletta Leotta: "Le donne lampadario al suo party sono uno sfregio. Legga un giornale ogni tanto". Libero Quotidiano il 17 agosto 2021. Alba Parietti attacca Diletta Leotta per le donne-lampadario al party per il suo 30esimo compleanno. "È una bravissima professionista e anche lei deve avere il diritto di presentarsi come vuole, nuda o in guêpière: deve essere libera di non mettere un vestito alla sua serietà, ma deve essere lei a metterci la faccia, a prendersi la responsabilità della sua scelta. Si vesta lei da candelabro, si presenti lei in quella dimensione", scrive la Parietti in un intervento pubblicato su La Stampa. "Non credo che a nessuna donna possa piacere o sembrare dignitoso - anche se pagata - partecipare ad una festa vestita da soprammobile. A meno che sia una rappresentazione artistica. E questa non lo era. Era solo cattivo gusto". E ancora, prosegue la showgirl: "In questo momento tragico della Storia, non riesco a non piangere guardando le immagini delle donne afgane, lampi che risvegliano ogni centimetro della coscienza e invitano a spendere ogni parola per rivendicare la libertà delle donne di essere quello che vogliono essere, di amare, crescere e vestirsi come vogliono. Ogni gesto per le donne, ogni rappresentazione delle donne e delle altre donne, non può che essere guidato dal rispetto, da un invito alla dignità, dalla sorellanza". E Diletta Leotta "è bella, giovane e capace. A Sanremo aveva ricordato l'importanza di non trattare le donne come oggetti, ed è vero, solo che le cose bisogna capirle oltre che dirle. Apra qualche giornale ogni tanto, accenda la televisione e cerchi di capire come tutti gli altri, ora più che mai, ogni singolo individuo, come canta Fiorella Mannoia, 'ha la sua parte in questa grande scena'".
Quindi, conclude la Parietti, "un paralume in testa non è nulla di questo. Non fa neanche sorridere. È uno sfregio alle donne".
Il fratello della Leotta: "Vi dico perché c'erano donne lampadario". Francesca Galici il 17 Agosto 2021 su Il Giornale. Dopo il caos nato sui social per le "donne lampadario" alla festa dei 30 anni di Diletta Leotta, il fratello scende in campo in sua difesa. Diletta Leotta ha festeggiato i suoi 30 anni con un grande party in Sicilia, nella casa di Catania dei suoi genitori. 30 invitati in tutti, ai quali pare sia stato chiesto il Green pass, ma il grande assente è stato Can Yaman, che secondo molti è già diventato un ex fidanzato della giornalista sportiva. Tanti gli ospiti illustri presenti alla festa della Leotta, che è stata bersagliata dai social. Il motivo sono le "donne lampadario", ballerine con indosso un copricapo a paralume. Dopo il monologo di Sanremo sulla bellezza che va capita, in tanti hanno accusato la Leotta di essere incoerente e di non credere davvero in quel che dice. "In #Afghanistan le donne sono bottino di guerra in mano dei terroristi invece in Italia vengono usate come lampadari viventi alla festa di compleanno di #DilettaLeotta", si legge sui social, dove Diletta Leotta è stata a lungo un argomento di discussione entrando nelle tendenze di Twitter. Al netto delle tantissime critiche piovute sulla giornalista sportiva, ovviamente c'è stato anche chi l'ha difesa sottolineando che le "donne lampadario" non erano altro che ballerine o ragazze immagine come tante se ne vedono nei locali e in tantissimi eventi. Ma il punto principale sul quale si è discusso è la contrapposizione tra quando dichiarato da Diletta Leotta sul palco del festival di Sanremo e quanto, invece, si è visto alla sua festa. Ma in difesa della giornalista sportiva è intervenuto anche suo fratello, il chirurgo plastico Mirko Manola: "C’erano pochi amici ed era tutto tranquillo, onestamente non riesco a capire queste polemiche. Il balletto delle ragazze con il copricapo a forma di abat-jour faceva parte di una coreografia". Una difesa ovvia quella del fratello di Diletta Leotta, che poi ha proseguito: "Non è stata nemmeno Diletta a decidere le coreografie, si è affidata all’agenzia, ma nessuno ci ha trovato niente di male. White and Shine era il dress code della festa, vedere delle ballerine con un copricapo da paralume non ha colpito nessuno. Peraltro, quello era un solo balletto di tanti altri, e c’erano pure ballerini, non solo donne. Hanno fatto performance sull’acqua, suonato il violino, cose diverse...".
Alla difesa di Mirko Manola si è aggiunta quella del titolare dell'agenzia che ha organizzato l'evento. Al Corriere della sera, Luca Melilli ha difeso a spada tratta il tema e la presenza delle "donne lampadario": "Parola d’ordine era stupire. Facendo leva sull’effetto shining, abbiamo deciso di catapultare gli ospiti in una dimensione vagamente onirica e con effetti decisamente sparkling. L’esibizione delle 'donne abat-jour' era inserita all’interno di un disegno coreografico che ha animato tutti gli spazi della villa, dove erano presenti, acrobati e ballerine, per una serata dall’atmosfera felliniana".
Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.
Diletta Leotta in Turchia con Can Yaman: interviene la madre. Alice Coppa il 24/06/2021 su Notizie.it. Diletta Leotta è volata in Turchia con Can Yaman e ha finalmente conosciuto la famiglia dell'attore. Diletta Leotta è partita per la Turchia insieme al fidanzato Can Yaman che per la prima volta le ha presentato i genitori. Diletta Leotta è partita per la Turchia insieme al fidanzato Can Yaman, che ha colto l’occasione per presentarla finalmente ai suoi familiari. Con una splendida vista al tramonta la madre dell’attore, Guldem Can, ha postato sui social un’immagine in cui è ritratta proprio insieme al figlio e alla conduttrice. “Mia figlia e mio figlio”, ha scritto la mamma dell’attore sui social, segno che Diletta leotta si sia subito inserita per il meglio con i familiari di Can. I due stanno insieme già da diversi mesi e l’attore ha dichiarato di essere intenzionato a sposare la conduttrice. Ora che le presentazioni ufficiali in famiglia sono finalmente avvenute i due si decideranno a dare il via ai preparativi per i loro fiori d’arancio? Nei mesi scorsi entrambi avevano confermato di essere intenzionati a convolare a nozze. “Ora possiamo dirlo: il matrimonio non è saltato, quelle che circolano sono solo voci: la storia d’amore è vera e sono molto felice. C’è solo da fare le cose con i tempi giusti. Lui si è tolto dai social per questioni di business”, aveva dichiarato la conduttrice, mentre l’attore le aveva fatto eco affermando: “Ho grande rispetto per lei, per il nostro rapporto e la riservatezza è la nostra prima promessa: quel che ci riguarda lo comunichiamo noi, insieme”. I due avevano dunque preferito mantenere il massimo riserbo.
Diletta Leotta: la vita privata. Prima d’incontrare l’attore turco Can Yaman Diletta Leotta era legata al pugile Daniele Scardina, con cui è stata insieme per quasi un anno. I due non hanno mai svelato i motivi del loro addio. Successivamente la conduttrice è stata paparazzata mentre baciava il vicepresidente della Roma Ryan Friedkin e, solo in seguito, proprio in compagnia del famoso attore turco. In tanti si chiedono se per la conduttrice questa sia la storia d’amore che la condurrà all’altare e molti dei suoi fan non vedono l’ora di conoscere i dettagli della sua storia con Yaman. I due sveleranno qualche particolare in più attraverso i social? Sono tanti i fan a sperare proprio di sì.
Dagospia il 3 magio 2021. Anticipazione da “Striscia la Notizia”. Non c’è pace per Diletta Leotta. Pochi giorni dopo lo sfogo sui social per le illazioni sulla sua vita privata e dopo aver smentito ai microfoni di Striscia la notizia la fine della relazione con l’attore turco Can Yaman (vedi servizio del 20 aprile), il settimanale Oggi ha pubblicato alcune foto della conduttrice di Dazn che bacia Ryan Friedkin, figlio del presidente della Roma. Così Valerio Staffelli le ha consegnato un altro Tapiro d’oro, il settimo della carriera, nella puntata in onda questa sera (Canale 5, ore 20.35). «Quelle foto sono di dicembre. Ero single e a 29 anni, se sei single, un limone te lo puoi anche concedere. Sto ancora con Can, ero in macchina con lui poco fa», ha chiarito Leotta. «Ci sono dei limiti che non devono essere superati e la sfera privata di una persona fa parte di questi. Non mi aspettavo che pubblicassero quelle foto, anzi nemmeno immaginavo che avessero potuto scattarle dentro casa».
Domenica Live, Diletta Leotta sbugiardata dalla Mosetti "La conosco, diversi anni fa... Ma ringrazia".
Libero Quotidiano il 03 maggio 2021. Il caso Diletta Leotta tiene banco da Barbara D'Urso a Domenica Live, su Canale 5, e Antonella Mosetti, showgirl rivelata da Non è la Rai e poi protagonista al Grande Fratello Vip, spiattella ai telespettatori una verità che lo stesso volto di DAZN e star di Instagram forse oggi non ammetterebbe mai. Una verità però che, ben prima della Leotta, accomuna più o meno tutti i protagonisti del mondo dello spettacolo italiano, e non, indipendentemente dalla volontà di ammetterlo dei diretti interessati. Hanno fatto il giro del web le parole della Leotta, durissime, contro i paparazzi che a suo dire la perseguiterebbero fino a far volare droni davanti alle finestre di casa sua per spiarla 24 ore su 24. "Non sono una mangiauomini", si è difesa in relazione alle storie appioppatele in questi mesi, da Can Yaman a Friedkin Junior, figlio del presidente della Roma con cui è peraltro stata fotografata in atteggiamenti molto intimi. "La conosco, è una bravissima ragazza - precisa la Mosetti -. Però tanti anni fa avrebbe fatto carte false per fare parte di questo mondo. Ora ci sputi sopra? Ma ringrazia e beata te". Più o meno la stessa tesi sostenuta in settimana dalla D'Urso a Pomeriggio 5, e la stessa Carmelita rincara la dose accusando simpaticamente i due paparazzi in studio: "Le state rovinando la vita". Come dire: il bue che dà del cornuto all'asino. "Lei è brava a giocare", chiosa infine Giovanni Ciacci, con una punta di perfidia. Insomma: tutti, o quasi, contro la Leotta.
Michele Serra per la Repubblica il 28 aprile 2021. "Spiegatemi perché una donna non può avere amici, ma sempre e solo amanti", chiede Diletta Leotta, volto e voce di Dazn, esasperata dal pedinamento dei paparazzi (anche con i droni) e dalle dicerie di quella che un tempo si chiamava "stampa rosa", e oggi ha esteso i suoi confini anche in territori un tempo immuni dal gossip sessuale (quasi tutta la stampa, con rare e nobili eccezioni, è diventata "rosa"). È una domanda ben posta. L'idea che una donna giovane e di bell'aspetto, qualunque lavoro faccia, sia comunque e sempre riducibile a oggetto sessuale, è molto diffusa: e di questa idea è custode, tetragona ai tempi e ai mutamenti di costume, una parte non piccola dei media, che quando fiuta l'eros è come i cani da aeroporto quando si imbattono in uno spinello. Sorprende che in un'epoca così disposta a gridare al sessismo se in ascensore un maschio dice a una femmina "buongiorno, sono contento di vederla", non si levi mezza voce contro un uso del corpo femminile così strumentale, così becero e così violento. Qualunque sia la vita privata di Leotta, come di chiunque altro, è suo pieno diritto pretendere rispetto, e qualche Comitato di Indignate e di Indignati a tempo pieno dovrebbe infine occuparsi dell'uso violento e illegittimo che si fa, qui e ora, della vita intima delle persone viventi, piuttosto che rimestare nei bauli per cercare tracce di misoginia e di sessismo nei libri e nei film concepiti ai tempi dei nostri nonni. Quanto ai droni, suggerisco a Leotta di munirsi di una carabina o di una fionda, perché il danno economico è il solo tasto sul quale battere, se si vuole vedere il proprio nemico ululare per il colpo ricevuto. Un drone costa.
DAGO RISPOSTA Be', caro Serra, allora si potrebbe cominciare così: la vita si sconta spiando. I fatti degli altri, naturalmente. I fatti propri annoiano sempre a morte. Dopodiché, massimo cinismo e minimo riserbo. "Dimmi tutto, sarò una tromba!". Perché la vita imita i pettegolezzi, e non ci riesce nemmeno troppo bene. In sostanza, sono il normale rumore di fondo della civiltà, un modo importante di raccontare le piccole storie, senza cui non ci sarebbe forse oggi la Storia. Rivoluzioni sono cominciate per un'indiscrezione detta fuori posto, battaglie sono state perdute perché qualcuno aveva litigato con la moglie. Né va dimenticato che "gran parte della letteratura, da Omero in poi, ha le sue radici nei fertili terreni del pettegolezzo. Litigano gli dei? Moltissimo! E come si tradiscono, si camuffano, quante ne fanno. E Svetonio non si basa forse sulla malalingua?" (Camilla Cederna). Bisogna dunque riconoscere che l'arte della diceria non è un genere letterario, ma la letteratura un settore molto fortunato del gossip. Da mille portinaie nasce un Proust, non viceversa. Attenzione, però. Il pettegolezzo, oggi, non è più la scoperta del raro-flash e del proibito-trash, il sedere variabile di Diletta Leotta e i fidanzati da circo di Belen. Perché Internet ha trasformato il gossip in una risorsa strategica, uno strumento di potere, un canale d'informazione, che la grande stampa liquida al sottorango di maldicenza. "Cose da serve", sentenzierebbe un umanista ferito nel cuore. "La finestra sul porcile", titolerebbe un moralista indispettito. Ma già Fruttero e Lucentini, la sublime coppia della letteratura italiana, osservavano: “Tagliare i panni addosso agli altri è forse l’ultima trincea del libero pensiero…”. Ecco: il gossip è una bugia che dice la verità. Infatti, lo spettegolamento non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo. Come disegnare i baffi alla Gioconda. Per lentamente diventare un aforisma di Lec: "I pettegolezzi quando invecchiano diventano miti". "Mi illudevo, infatti, che prima o poi la buona informazione avrebbe avuto la meglio sul giornalismo-spazzatura. Perciò ho subito la quotidiana goccia di gossip-veleno; i fotografi sotto casa e in scooter dietro ogni mio spostamento; i droni fuori le finestre. Ma ora mi sono un po' stancata" comincia così un lungo post social di Diletta Leotta che sottolinea una differenza di trattamento tra donne e uomini. "Leggendo le falsità acchiappa-click sui giornali che mi vengono riservate quotidianamente, chiunque può pensare che io sia una mangiauomini, una donna incapace di amare. Ed è inaccettabile. Non mi si venga a raccontare, infatti, che è il prezzo da pagare al successo. O che me la sono cercata e me la cerco per via del trucco, delle forme, degli abiti indossati, delle foto postate. Tutte scelte che rientrano nella sfera della libertà individuale, no? E la libertà individuale, nel rispetto e considerazione dell'altro, va rispettata, no? Io non offendo e non giudico nessuno", scrive la conduttrice televisiva che ovviamente non fa nomi. "Spiegatemi perché, poi, una donna non può avere amici, ma sempre e solo amanti. Perchè se incontro due volte un ragazzo simpatico per un aperitivo si parla subito di nuovo amore? Perchè se faccio uno spot con un calciatore si insinua per mesi che siamo una coppia segreta? Perchè se frequento un attore, bellissimo, e siamo felici, deve essere per forza una storia inventata? E perchè se, nel rispetto del lockdown, rinuncio a un meraviglioso viaggio all'estero si parla di crisi fra noi? Io ho sopportato tutto, fin qui, imparando a riderci sopra, talvolta. Ma rifletto sul fatto che nessuna celebrità, talent, personaggio pubblico, chiamatelo come volete, di sesso maschile è oggetto di morbosa attenzione giornalistica nella sfera privata come lo è una donna del cinema e della TV. Posso dire che mi sono stufata? Anche per rispetto ai lettori ingannati da giornalisti male informati. E per amore delle persone che mi sono accanto e che spesso vengono ferite per via delle falsità sul mio conto. E anche per amore di mia nonna, che a ottant'anni crede, sbagliando, a tutto quello che scrivono i giornali", conclude lo sfogo su Instagram. (ANSA).
Anticipazione stampa da Oggi il 28 aprile 2021. Sul numero di OGGI in edicola da domani, le foto esclusive che documentano per la prima volta la storia d'amore tra Diletta Leotta e il vice-presidente della Roma Ryan Friedkin, di cui tanto si parla in questi giorni. OGGI dimostra come la love-story, che per Dagospia è tuttora in corso, risalga ad almeno cinque mesi fa. Le foto, infatti, sono del 20 dicembre scorso e non lasciano dubbi: la coppia si abbraccia, si bacia quasi con ferocia. Uno scoop eccezionale, proprio nel momento in cui la Leotta, in un lungo post sui social, si lamenta che venga messa in dubbio l'autenticità del suo amore con Yan Caman: «Perché se frequento un attore, bellissimo, e siamo felici, deve essere per forza una storia inventata?». Nello stesso post, la conduttrice di Dazn sembra proprio fare un riferimento a Friedkin: «Spiegatemi perché, poi, una donna non può avere amici, ma sempre e solo amanti. Perché se incontro due volte un ragazzo simpatico per un aperitivo si parla subito di nuovo amore?».
Da derbyderbyderby.it il 28 aprile 2021. Diletta Leotta ha parlato per la prima volta della sua storia d’amore finita qualche mese fa con il pugile Daniele Scardina, in una intervista che ha rilasciato al settimanale Chi di Alfonso Signorini, in edicola da mercoledì 23 settembre 2020. La Leotta e King Toretto (questo il nome da ring di Scardina) hanno vissuto una relazione intensa, durata poco più di un anno, hanno anche fatto prove di convivenza durante il lockdown, ma alla fine il loro amore è naufragato. La conduttrice sportiva di Dazn non rimpiange nulla: “Non rinnego niente, fra noi c’è stato un amore profondo. Perché ho descritto nel mio libro Toretto come “il mio amore” nonostante fra noi sia finita? In fondo, quando ho iniziato a scrivere il libro stavamo ancora insieme e in quel momento erano i miei sentimenti, quindi non sarebbe stato giusto toglierlo”, racconta in esclusiva a Chi, che le ha dato la copertina. Adesso sono single. Sono sempre stata fidanzata. Dovevo trovare il coraggio di ritagliarmi uno spazio per conoscermi nel profondo e fare scelte importanti, per riuscire a stare da sola sul divano a vedere un film senza dover rendere conto a nessuno”. E sul gossip con Zlatan Ibrahimovic? “Stare con un uomo impegnato è una cosa inaccettabile per i miei principi, con tutta la scelta che c’è nel mondo devi avere la lucidità di non metterti in situazioni sbagliate”.
Da gossipetv.com il 26 aprile 2021. Diletta Leotta è diventata nel giro di pochi giorni la regina del gossip. L’ex volto di Sky Sport ha praticamente soffiato il titolo a Belen Rodriguez con i suoi amori e presunti flirt. Solo nell’ultima settimana la 29enne è stata prima paparazzata con l’affascinante attore Can Yaman e poi si è parlato con una certa insistenza di un flirt con Zlatan Ibrahimovic. Un intreccio assai interessante per gli appassionati di cronaca rosa ma che ha fatto storcere il naso a più di qualcuno. Cosa c’è di vero in questo triangolo amoroso, anzi quadrilatero visto che pare che la storia tra Diletta e l’ex fidanzato Daniele Scardina non si è mai conclusa del tutto? Dagospia ha cercato di scavare a fondo, portando a galla quello che si nasconde dietro alcune questioni. E molti dei flirt affibbiati a Diletta Leotta non sembrano convincere più di tanto. Come si legge sul portale di Roberto D’Agostino, la prima a spifferare la notizia del flirt tra Can Yaman e Diletta è stata Anna Pettinelli, collega di Arisa ad Amici. La nuova professoressa del talent show di Maria De Filippi è legata da qualche mese al suo manager Andrea Di Carlo. Quest’ultimo cura gli affari di Can Yaman in Italia. Arisa e Di Carlo compaiono infatti nelle foto pubblicate dal settimanale Chi, quelle in cui si vede Can Yaman e Diletta Leotta in pose complici e intime. Ma non è finita qui perché Dagospia rivela che Di Carlo sarebbe anche uno dei collaboratori di Zlatan Ibrahimovic. Di un flirt con Diletta Leotta se ne parla da tempo, dalla scorsa estate, da quando i due sono stati scelti per uno spot pubblicitario. La conduttrice ha provato a smentire la faccenda già tempo fa ma il settimanale Oggi ha di recente rilanciato l’amicizia speciale tra i due che, seconda una “fonte affidabilissima”, avrebbero trascorso insieme Capodanno.
Sull’intricata vicenda Dagospia fa sapere: “Flirt e amori su cui non abbiamo motivi di dubitare ma proviamo a contestualizzare, mettendo sul tavolo anche il terzo uomo: Daniele Scardina, l’ex King Toretto con cui i rapporti non sarebbero del tutto conclusi. Un sentimento forte non si cancella mica con qualche copertina. Il Messaggero nelle scorse settimane, e lo stesso Chi, avevano rilanciato il sogno della Leotta di ritornare all’Ariston dopo la prova deludente nell’edizione 2020. I flirt con Can e con Ibra le avranno portato fortuna?”. Al momento la diretta interessata preferisce tacere: nessuna conferma o smentita né sulla presunta storia con Can Yaman né su quella con Zlatan Ibrahimovic. In silenzio pure l’attaccante del Milan mentre di recente l’attore turco è sbottato sui social network. Insultato da alcune fan proprio per via della sua liaison con la Leotta il 31enne ha prima scritto “fatti miei, punto” e ha poi chiuso il suo account Twitter. Cosa succederà ora? Appuntamento alla prossima puntata di questa appassionante telenovela.
Dagospia il 27 aprile 2021. Dal profilo Instagram di Diletta Leotta. Ho sempre taciuto, finora. E, forse, ho sbagliato. Mi illudevo, infatti, che prima o poi la buona informazione avrebbe avuto la meglio sul giornalismo-spazzatura. Perciò ho subito la quotidiana goccia di gossip-veleno; i fotografi sotto casa e in scooter dietro ogni mio spostamento; i droni fuori le finestre. Ma ora mi sono un po’ stancata. Lo dico perché, leggendo le falsità acchiappa-click sui giornali che mi vengono riservate quotidianamente, chiunque può pensare che io sia una mangiauomini, una donna incapace di amare. Ed è inaccettabile. Non mi si venga a raccontare, infatti, che è il prezzo da pagare al successo. O che me la sono cercata e me la cerco per via del trucco, delle forme, degli abiti indossati, delle foto postate. Tutte scelte che rientrano nella sfera della libertà individuale, no? E la libertà individuale, nel rispetto e considerazione dell’altro, va rispettata, no? Io non offendo e non giudico nessuno. Spiegatemi perché, poi, una donna non può avere amici, ma sempre e solo amanti. Perchè se incontro due volte un ragazzo simpatico per un aperitivo si parla subito di nuovo amore? Perchè se faccio uno spot con un calciatore si insinua per mesi che siamo una coppia segreta? Perchè se frequento un attore, bellissimo, e siamo felici, deve essere per forza una storia inventata? E perchè se, nel rispetto del lockdown, rinuncio a un meraviglioso viaggio all’estero si parla di crisi fra noi? Io ho sopportato tutto, fin qui, imparando a riderci sopra, talvolta. Ma rifletto sul fatto che nessuna celebrità, talent, personaggio pubblico, chiamatelo come volete, di sesso maschile è oggetto di morbosa attenzione giornalistica nella sfera privata come lo è una donna del cinema e della TV. Posso dire che mi sono stufata? Anche per rispetto ai lettori ingannati da giornalisti male informati. E per amore delle persone che mi sono accanto e che spesso vengono ferite per via delle falsità sul mio conto. E anche per amore di mia nonna, che a ottant’anni crede, sbagliando, a tutto quello che scrivono i giornali. Stop. Sono andata anche oltre i tempi supplementari. E me ne scuso. Ma, come dicono a Roma, “Quanno ce vo’ ce vo’”!
Da Today.it il 28 aprile 2021. Il duro sfogo di Diletta Leotta - che ieri ha tuonato contro le continue insinuazioni sulla sua vita sentimentale e l'asfissiante presenza dei paparazzi - non ha placato il gossip. Oggi non solo è uscite foto che la ritraggono con il vice-presidente della Roma Ryan Friedkin, ma anche Stefania Orlando ha commentato la vicenda (e non ci è andata leggera). Ai microfoni di Rds, intervistata da Anna Pettinelli e Sergio Friscia, la showgirl si è schierata in difesa dei paparazzi e della visibilità, punti fermi per un personaggio famoso: "Sarà un problema quando verrà meno quel tipo di attenzione. Io stimo i paparazzi e noi personaggi dobbiamo molto anche a loro. E il giorno che non ci cercheranno più, vorrà dire che non saremo più interessanti per il mercato". Nel corso dell'intervista Stefania Orlando - che sta per uscire con il nuovo singolo 'Bandolero' - ha parlato anche di haters e dell'overparty che l'ha colpita nelle ultime 48 ore per aver pubblicato una foto, durante l'ultima puntata del'Isola dei Famosi, dove Elisabetta Gregoraci e Pierpaolo Pretelli si davano un bacio sott'acqua (durante una prova per raggiunger il budget settimanale alGf Vip). La foto è stata pubblicata perché Giles Rocca si è rifiutato di dare un bacio, sempre per una prova settimanale, a Francesca Lodo (entrambi concorrenti del reality di Canale 5). Per quella foto Stefania è stata bersagliata da parte dei prelemi, ovvero i fan di Giulia Salemi e Pierpaolo Pretelli, che non hanno capito l'ironia della conduttrice.
Assia Neumann Dayan per la Stampa il 28 aprile 2021. C' è mio marito che mi sta dicendo di scrivere: "Cara Diletta, ci piaci così", lo sta dicendo, lo sto scrivendo, e direi che possiamo chiudere qui con l'opinione dei maschi bianchi cisgender in merito a questo argomento. Spero nessuno si offenda. I fatti sono questi: a corredo di una fotografia un po' smarginata, Diletta Leotta scrive un post su Instagram in cui si sfoga un po'. In queste poche righe c' è tutto: il femminismo, la nonna, i paparazzi, la metafora calcistica. E poi un "cane, pane, minestrina col dado" molto sentito, un po' Lady Diana, un po' Simone De Beauvoir. Diletta Leotta si lamenta, a ragion veduta, del "giornalismo-spazzatura", dei fotografi in scooter, dei droni fuori dalle finestre, dei titoloni delle riviste che le assegnano ogni volta un diverso fidanzato, e ci dice che questo non è il prezzo da pagare per la celebrità, che lei è una donna libera, e che ai maschi questo non succede, ma non è che "Hollywood Babilonia" è stato scritto a matita. Ricordo il monologo che fece a Sanremo, parlava di bellezza, parlava del tempo che inesorabilmente prima o poi passa per tutti, pure per lei, lei biondissima, lei bellissima, lei magrissima, diceva "sarei ipocrita se vi dicessi che il mio aspetto è solo un fattore secondario", parlava di sua nonna Elena, e possiamo quindi oggi tranquillamente affermare che quel monologo era uno spoiler per questo post. A me piace molto Diletta. Mi piace perché non ha inflessione dialettale, e questo vuol dire che ha studiato, si è applicata, ha fatto fatica, non si è detta "va beh che vuoi che sia un po' di accento, tanto sono bella abbastanza". La bellezza salverà il mondo, ma non oggi. Oltre al fatto che "una donna libera è il contrario di una donna leggera", e la poteva chiudere qui, ma le avrebbero detto: tu come ti permetti di citare la compagna di Sartre (questo è un paradosso), torna a parlare di calcio mezza nuda. Diletta ci dice che lei ha bisogno di sfogarsi perché è una donna che rispetta il fidanzato ("un attore, bellissimo") e soprattutto perché porta rispetto nei confronti della nonna (la nonna del monologo di Sanremo) "che a ottant' anni crede, sbagliando, a tutto quello che scrivono i giornali". Ora, se mia nonna credesse ai giornali e non a me le farei una scenata, ma evidentemente quel piccolo mondo antico fatto di riviste scandalistiche è vivo e gode di buona salute. I commenti al post, dodicimila e fischia, sono prevalentemente orrendi, fanno l' analisi logica della sua vita privata, le dicono che ha violato il lockdown per andare dagli spasimanti (ricordando ovviamente tutti i suoi spostamenti e in quali giorni, giusto perché la gente non è minimamente ossessionata), un lanciafiamme di benaltrismo, e Diletta pensa alle persone che non hanno una lira, e cosa ti lamenti, e cosa fai la vittima, e allora parli perché è tutto finto, e dov' è Can Yaman, e quando ci si mette in mostra devi prendere quello che viene. E allora sì, è evidente che ha ragione lei. Mio marito intanto si è messo a guardare Real Madrid-Chelsea, purtroppo Diletta non c' è, che comunque ci piace così com' è.
Dagospia il 28 aprile 2021. Selvaggia Lucarelli su Instagram. Il giornalismo spazzatura si alimenta, come prima cosa, regalando molto della propria vita privata ai media. Nel momento in cui raccontiamo con chi usciamo, cosa facciamo, cosa mangiamo e pubblichiamo foto della nostra quotidianità, ecografie comprese, poi diventa difficile domare il mostro. Mi sembra che Diletta Leotta, questo mostro, lo foraggi un bel po’, concedendosi alla stampa, ai social e al gossip. Poi certo non puoi aspettarti che il mostro si comporti come un animale domestico e si addormenti sul tuo grembo. Il gossip è questo, se non ti piace il gioco fai come tanti: non racconti nulla di te, lavori e la foto col fidanzato o le foto mentre fai yoga te le tieni nell’album di famiglia. Seconda cosa: se ti attribuiscono mezzo fidanzato in più o uno in meno penso si possa sopravvivere. La pandemia dovrebbe averci insegnato la lista delle priorità. Onestamente non mi sono mai preoccupata particolarmente del numero di fidanzati della Leotta e suppongo che anche il resto della popolazione italiana possa avere per la sua vita sentimentale al massimo qualche curiosità, ma di sicuro non preoccupazione. Questo suo gridare “NON SONO UNA MANGIAUOMINI, mia nonna legge e ci resta male” è la frase più vecchia e conservatrice che abbia mai sentito. Ma davvero una donna nel 2021 sente di dover difendere la propria moralità pubblicamente? Ma soprattutto, se anche una donna avesse voglia di cambiare uomini quanto le mutande, sarebbe una mangiauomini? (che poi è un’espressione edulcorata per non dire puttana). Boh, io se avessi 20 anni e fossi Diletta Leotta probabilmente estrarrei dal bussolotto il fidanzato del giorno, e certo non mi occuperei di difendere la mia moralità. Al massimo, smentirei, certo non mi offenderei. Infine, la Leotta invoca il rispetto da parte dei giornalisti. Lo dico da anni: sarebbe più utile ed educativo che invocasse il rispetto di tutti quelli che le scrivono le peggiori schifezze sui social. Evidentemente però la preoccupa di più un articolo scemo di gossip o l’idea che la nonna possa pensare che la si giudichi UNA MANGIAUOMINI, che questo abominevole catcalling virtuale che si legge sui suoi social. Priorità, appunto.
· Donatella Rettore.
Donatella Rettore torna a Sanremo dopo 17 anni: piccola storia di una grande cantautrice. Giulia Cavaliere su il Corriere della Sera il 6 Dicembre 2021. Ricordata per i suoi look e per le sue esibizioni, di Rettore si è detto tanto, quasi mai che è stata soprattutto una prolifica autrice delle proprie canzoni.
Una cantautrice
Quella di Donatella Rettore è una storia misconosciuta: ricordata per la sua dirompente e coloratissima figura, artistica ed estetica, che fece irruzione nel panorama del pop commerciale italiano a partire dal grande successo del 1979 con l’album Brivido Divino, è poco spesso riconosciuta per il suo ruolo reale: cioè quello di cantautrice. In occasione del suo ritorno a Sanremo dopo ben 17 anni, ripercorriamo dunque la storia e specialmente le origini artistiche di una delle più prolifiche voci femminili della storia della canzone italiana.
Cobra e Gino Paoli
Un animale destinato a tornare nel bestiario di Donatella Rettore, questo Cobra, che dava anche il nome al primo gruppo in cui milita la cantante, a soli 10 anni, e con cui inizia a esibirsi in parrocchia con il benestare dei genitori a partire dalla madre, un’attrice di teatro di origini nobili particolarmente legata al mondo goldoniano. Nel 1973 esce il suo primo singolo seguito poi da un secondo singolo promozionale nel 1974: il brano, scritto da Gino Paoli, si intitola Ti ho preso con me e non ha alcun successo. Nello stesso anno si presenta a Sanremo con la canzone Capelli sciolti poi inserita nel suo primo album, uscito quell'anno con una straordinaria copertina di ispirazione folk e intitolato “Ogni giorno si scrivono canzoni d’amore”.
L'incontro
Sempre nel 1974, in Puglia, Donatella Rettore incontra quello che sarà il suo compagno e sodale per tutta la vita, cioè Claudio Rego, intanto, con il 45 giri Lailolà vende cinque milioni di copie e comincia a farsi conoscere anche sul mercato estero. Nel suo secondo album omonimo si annidano parecchie chicche: un brano dedicato a Luigi Tenco, È morto un artista, poi Gabriele dedicata a Gabriele D’Annunzio e un paio di pezzi impegnati che trattano con grande anticipo il tema delle molestie (pedofilia inclusa), Caro preside, e quello delle vessazioni della famiglia patriarcale, Il patriarca. Siamo nel 1977 e in quello stesso anno l’autrice torna a Sanremo con l’epica Carmela, lanciando caramelle sul pubblico in pieno mood sanremese anni Settanta (cioè con vera una spettacolarizzazione dell'esibizione). La canzone parla di Guerra Civile spagnola, insomma, ancora una volta siamo di fronte a una Donatella Rettore molto diversa da quella che l'immaginario collettivo vuole ricordare.
Chiamami soltanto Miss Rettore
Nel 1978 arriva la svolta: Donatella è uscita e a casa non c'è, come canterà lei stessa: chiamami soltanto Miss Rettore! Il nome Donatella sparisce dai titoli e il look cambia, si fa decisamente più pop, più colorato, più eccentrico, Rettore è un'icona ora e così resterà: le canzoni pure diventano più pop, lasciano spazio a giochini ai synth e a inserti disco, visto che siamo nel periodo della sua ascesa anche in Italia. Poco e nulla resta della cantautrice folk legata al mondo di Paoli e Tenco, ed è il momento di Splendido Splendente, il momento della Rettore che conosciamo. Dopo il grande successo di Brivido divino, l'anno successivo la nuova Miss Rettore darà alle stampe il suo Magnifico Delirio che conterrà, tra le altre, anche quel famoso Kobra...
Prima in classifica
Tutti i brani di Rettore sono firmati Rettore / Rego, un sodalizio lunghissimo che continua nel lavoro come nella vita e prende forme diverse, a volte più pop, altre più concettuali e alte, basti pensare a un album come Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide, un concept ispirato alla cultura giapponese antica e moderna interamente incentrato sull'idea del suicidio. Non stiamo parlando di roba periferica, sia chiaro, il disco, che tra le altre contiene il singolo Lamette, vende più di tre milioni di copie in Europa e Giappone. Sono davvero pochissimi i casi in cui l'autrice si cimenta unicamente come cantante, come interprete, tra questi vediamo l'interpretazione di tre brani di Elton John tra cui Remember e Sweetheart on Parade. Non lo ricordiamo mai, ma Rettore, tra gli anni settanta e gli anni 80 è la cantante italiana donna che vende di più in assoluto e considerando che è superata soltanto da Mina, possiamo tranquillamente affermare che è la prima cantautrice donna nella classifica italiana.
Dagonews il 27 gennaio 2021. Grande successo ieri sera per "Ti sento", il nuovo programma di Pierluigi Diaco, in onda su Rai2 il martedì in seconda serata. La seconda puntata ha infatti registrato il 5.1% di share. Protagonista Donatella Rettore che ha svelato lati inediti di sé: la solitudine, il rapporto con la mamma, la scoperta del corpo, l’infanzia in collegio, l’arrivo a Londra a 18 anni, la scoperta dell’amore… «Io ero innamorata di Elton John, assolutamente innamorata… Era una cosa psicologica» Ti attraeva?, chiede Diaco. «Psicologicamente si. E’ un uomo talmente bravo… Quando ci siamo incontrati… non è che mi ha detto niente, si è messo a suonare il piano. Io… non sapevo più che lingua parlare, se in francese, in tedesco… Aveva una salopette fucsia e degli occhiali… era uno show solamente per me». Diaco: Vuoi dire che nella tua vita sei stata attratta anche da uomini che magari avevano piaceri sessuali diversi? «Perché no? Si». D: Ah quindi hai tentato con Elton John? «No, non ho tentato ero imbranatissima, anzi ero lì che misuravo ogni singolo verso, però lui: “relax yourself”». E la scoperta della sessualità: “…A 22 anni. Io venivo da un Veneto che non è come quello di oggi, era un veneto bianco, era un Veneto che la donna non si deve toccare neanche con un fiore. Cioè proprio doveva essere illibata… Non facevo finta di fare la casta, ero una brava ragazza”.
Mario Luzzatto Fegiz per il "Corriere della Sera" il 17 marzo 2021. «Appello ai giornalisti: non fidatevi di Wikipedia. Dice che sono nata l' 8 luglio 1953. L' anno esatto è 1955. In pratica a luglio compio 66 anni. Non è carino caricarmi due anni in più». È un fiume in piena Donatella Rettore reduce da una apparizione lampo al Festival di Sanremo a dar manforte alla cantante La rappresentante di lista.
Come scoprì di avere il fuoco dell' arte?
«La mia mamma Teresita faceva parte del compagnia dialettale di Cesco Baseggio specializzata nelle commedie di Carlo Goldoni. Io fui costretta a imparare la parte di Mirandolina nella Locandiera . Per mia madre l' arte era Molière, mentre io amavo la musica moderna, quella impropriamente definita leggera. Di che pasta ero fatta fu chiaro presto. Per festeggiare i miei 3 anni andammo a Venezia con tutta la compagnia della mamma. Io avrei preferito la spiaggia, un bagno al Lido. Invece andammo a Piazza San Marco. Al caffè Florian c' era un' orchestra che suonava Vivaldi. Io rimasi affascinata per la musica dal vivo. Fino ad allora conoscevo solo quella trasmessa alla Radio, alla tv o dal registratore a nastro (magnetofono) Geloso. Mollai la mano di mia madre e scappai verso l' orchestra dando vita a un piccolo show favorito dall' abito da festa di tulle bianco che indossavo. La mamma mi raggiunse chiedendo scusa ai musici. Ma intanto i turisti si fermavano e scattavano foto. Mamma cercava di portarmi via, ma Cesco Baseggio che era anche regista, sceneggiatore e talent scout, la fermò: " Lassa star la putea. La xe bravissima. Guarda come che la tien la scena ". Intanto i musicisti cercavano di seguirmi, pronti ad assecondare questa impertinente bimba prodigio».
Infanzia felice?
«Sì, un po' meno per mia madre perche ero ipercinetica. Ballavo, cantavo, suonavo. Tutto tranne che obbedire e studiare. Iperattiva, facevo basket, pattinaggio e solfeggio al pianoforte. Vivevo nel mito di Mike Bongiorno e Topo Gigio che tempestavo di lettere».
Crescendo si sarà calmata...
«Macché. Alla tv seguivo i programmi pomeridiani per ragazzi. In particolare "Chissà chi lo sa" condotto da Febo Conti. Era una sfida a quiz fra scolaresche. Avevo 11 anni e scrissi a nome della mia classe (prima media) per partecipare. E ci chiamarono. La sfida era fra Sciacca e Castelfranco Veneto. Perdemmo. Ma io fui notata da Cino Tortorella che era il regista. Ero una bella ragazzina biondo naturale che non passava inosservata. Ricordo che nel programma c' era Fausto Leali con la sua band, i Novelty, che cantava A chi».
La giovane Donatella manda in giro provini. Carlo Croccolo la appoggia.
«Così mi chiamano alla Emi per un provino con Corrado Bacchelli, produttore di Alan Sorrenti. Tutti mi dicono che sono brava ma troppo giovane. Mi devo accontentare di una scrittura estiva con la Nuova Compagnia di Canto Popolare con Trampetti e Eugenio Bennato. Pretendono di farmi cantare in napoletano fra chitarre e mandolini, ma non sono credibile. Così mi assegnano un canto del 600, ma in italiano. Intanto avevo messo assieme il mio complessino chiamato I kobra. Quello del cantautorato era un mondo maschile. Negli anni 70 mi toccava sentire cose tipo i "maschi sono più bravi", "devi aspettare il momento giusto".C' era una misoginia diffusa e frustrante».
A proposito di maschi...
«Le mie amiche avevano storielle e flirt, ma io non ero particolarmente interessata. Ero concentrata sull' arte, sulla musica e il teatro. Però incontro a un festival pop Claudio Rego (Claudio Filacchioni, bassista e poi percussionista) ed è colpo di fulmine. In aprile saranno 44 anni di conoscenza».
Il brano che la fa conoscere?
«A livello internazionale Lailolà, canzone femminista sulla rivoluzione sessuale tradotta in italiano da me e Roberto Dané. È conosciuta all' estero ma in Italia no».
Chi l' aiutò a crescere?
«Roberto Dané che era anche il produttore di De André».
Lei è entrata in conflitto con molte colleghe fra cui Loredana Bertè...
«Loredana mi querelò per alcune critiche. Ma non arrivammo mai davanti al giudice. Però ho sbagliato in passato a giudicare le colleghe. Non è il mio ruolo. Io devo fare i fatti miei e semmai fare autocritica. Non voglio offendere nessuno soprattutto in questo momento».
E adesso?
«Ho capito che l' importante è amare: la terra, le persone, gli animali, perdonare chi lo merita e anche chi non lo merita, non avere rancori che fanno più male al rancoroso che al... rancorato, amare il vicino molesto».
Nel 2005 ha sposato Claudio Rego...
«Sì, sposata in chiesa. Credevo che il matrimonio fosse la tomba dell' amore, sbagliavo. In realtà se ci fossero stati i Pacs avrei optato per quelli. Mi sono sposata nel 2005. Comunque sposarmi è stata un' esperienza mistica».
Religiosa?
«Se trovo il prete giusto che mi sa ascoltare mi confesso volentieri. Ogni volta è una liberazione. Ma cerco consigli, e non penitenze».
Nella sua carriera quali sono stati gli incontri più importanti?
«Quello con Claudio. Poi con Cino Tortorella, con il regista e attore Carlo Croccolo. Ma soprattutto quello con Lucio Dalla. Facemmo tre concerti assieme: Mi disse: "Non mollare, vai avanti, le difficoltà fanno parte del nostro lavoro. E ricorda: non puoi piacere a tutti". Altro incontro importante con De Gregori. Mi consigliò: "Scrivi senza pudore, senza pensare. Non ti far fregare da quelli che dicono che la donna è sesso debole." Quel colloquio mi aprì la mente. Dovevo fregarmene delle critiche. Così nacque il mio primo album Donatella Rettore . Altri mentori sono stati i maestri Pinuccio Pirazzoli e Natale Massara».
«Il cobra non è un serpente ma un pensiero indecente...». Nei suoi testi c' è più audacia o più malizia?
«C' è allegria e ironia. Tanto è vero che le cantano anche i bambini».
A cosa attribuisce la sua longevità artistica?
«Sono nata artista, non potevo essere altro. Se non fosse esistita la discografia avrei fatto l' artista di strada».
Come spiega il successo estero di molte canzoni come Kobra o Splendido splendente?
«Contrariamente a quello che molti sostengono l' italiano è un dolce idioma. Io ho sempre composto testi con attenzione ai contenuti. Nei brani di successo c' è la presa di coscienza di una donna. I versi spesso vengono recepiti grazie a giochi di fonetica come Di notte specialmente (del '94). Qualche critico disse che erano parole in libertà. Balle. Non aveva capito. Si prevedeva un mondo di single: si va a cena, si fa l' amore e il giorno dopo ciascuno per la sua strada fino al prossimo incontro».
Salutista?
«Sì. Per convinzione e necessità. Sono abbastanza sgangherata. Un anno fa sono stata colpita da neoplasia maligna e ho subito due interventi. Poi sono talassemica, dovrei fare trasfusioni di sangue ogni 6 mesi, ma adesso non è facile. Sono vegetariana. Mi piace mangiare i cibi come li offre la natura. Cucino al massimo verdure al vapore. Amo le carote fresche e gli asparagi. La malattia ti cambia la vita e il modo di percepire le cose».
Rettore ha attraversato mode e stili rimanendone spesso contaminata (si veda Lamette al tempo dei Punk).
«Io sono sempre stata un po' punkettara, solo che mi castravano dicendo che dovevo far la cantautrice. Mi sono sempre sentita una bambina al guinzaglio pronta a scappare; ho dovuto sciogliere le catene. Ma non si riesce mai a farlo da soli. Ci vuole l' aiuto di qualcuno».
Formica o cicala?
«Cicala».
I ricordi più belli?
«Due. Un concerto memorabile e un film. Il concerto si tenne il 20 agosto 1980 al Castello Sforzesco di Milano. Era promosso dal sindaco Tognoli e dal Psi. Milano era deserta. Eppure gli spettatori avevano preso posto già nel primo pomeriggio. Alla fine erano oltre 20 mila. E non eravamo preparati. Ma andò tutto bene. Poi uno dei pochi film che ho girato da protagonista: Cicciabomba film comico del 1982 diretto da Umberto Lenzi. La protagonista sono io nella parte di Miris Bigolin, una ragazza simpatica ma bruttina conosciuta in paese col nomignolo di "cicciabomba". Con me recitavano Didi Perego, Anita Ekberg, Paola Borboni. Rimase nelle sale pochissimo».
Un bilancio esistenziale?
«La vita è complicata. Non ho ricette».
Che cosa la unisce a Claudio Rego?
«Il rispetto e le passioni. Anche se lui ne ha più di me. Abbiamo passioni uguali o complementari: io per gli animali, la musica, il cinema e i viaggi. Pratico l' agility dog, uno sport cinofilo che consiste in un percorso a ostacoli, ispirato al percorso ippico. Il cane deve affrontarli nell' ordine previsto, possibilmente senza ricevere penalità. E nel minor tempo possibile. Il rapporto col cane si fa quasi mistico».
Dal suo osservatorio cosa è cambiato rispetto al passato?
«Ma quale osservatorio. Io sono una popolana. Comunque la risposta è: le cose sono cambiate in peggio. Noi abbiamo vissuto un mondo bello. Io invece ho cambiato gusti musicali: adesso mi piacciono i Coldplay, Adele, Amy Winehouse. Io soffro di dabbenaggine, sono una credulona. Per me l' importante è cantare. E qualcuno se n' è approfittato. Si portino pure i loro denari in cimitero dove non potranno comprarsi una nuova vita».
· Dori Ghezzi vedova De André.
Mario Luzzatto Fegiz per il “Corriere della Sera” l'1 marzo 2021. Dori Ghezzi vedova De André. «Meravigliosa partenza. No. Vedova, oppure vedovo, non si addice a nessuno. Ha qualcosa di aggressivo...».
Essere la moglie di un grande prematuramente scomparso è un lavoro a tempo pieno...
«Direi che il tempo non basta. Grazie al cielo siamo davvero in tanti a collaborare. Come racconto nel libro "Lui Io Noi", scritto con Francesca Serafini e Giordano Meacci, quel "Noi" rappresenta ogni tassello che arricchisce costantemente il Mosaico Faber».
Dori Ghezzi nasce a Lentate sul Seveso il 30 marzo 1946. Il padre Carlo è operaio specializzato, la madre Vittoria Nichetti, è miniatrice, ovvero ritocca ingrandimenti fotografici.
«Mamma è stata una antesignana del Photoshop!».
La musica quando arriva?
«A 18 anni mi trovo a lavorare per una piccola etichetta discografica».
Chi scopre le sue doti musicali?
«Mio zio Piero, fratello di mia madre che amava suonare la chitarra. Era il 1966. Piero mi iscrive a mia insaputa a un concorso per giovani artisti. Io partecipo solo per non deluderlo e lo vinco. Padrino della serata era Johnny Dorelli artista e persona davvero speciale. Zio Piero aveva deciso per me e stava cambiando il corso della mia vita. Trovai molte porte aperte: un autore-produttore come Alberto Testa che mi fece scrivere "Professione: Artista" sulla carta di identità. Il brano d' esordio aveva un titolo molto significativo "Pagina uno". Ma a lanciarmi presso il grande pubblico fu "Casatschok" scritto dal giornalista Danilo Ciotti e dal dj Manlio Guardabassi, su musica di Boris Rubashkin. In realtà il debutto avvenne con una canzone di Francis Lai "Vivere per vivere" scritta per il famoso film di Lelouch arrivato al secondo posto nel '67 al Festival delle rose di Roma».
L' ascesa è rapida. Senza intoppi?
«Sì. Fondamentali gli incontri. Grazie all' editrice Christine Leroux faccio amicizia con un giovanissimo enigmatico Lucio Battisti che ancora non cantava limitandosi a regalare perle ad altri artisti. Alberto Testa mi presenta una spericolata teenager, alta un metro e ottanta, Fiorella Mannoia, che faceva la cascatrice controfigura nelle scene pericolose. Era una stuntwoman. Ricordo una ragazza tutta sola seduta al pianoforte a cantare. Si presentò come Mimì Berté. L' abbiamo poi tutti amata come Mia Martini. Così è stato per Loredana e Renato Zero».
E poi arriva Wess.
«Alla Durium in via Manzoni, incontro il cantante Wess (scomparso purtroppo qualche anno fa). Cerca una voce femminile per la cover italiana "United We stand", dei "Brotherhood of Man". Il duetto nel brano "Voglio stare con te" funziona subito. Ci definiscono la coppia "caffelatte". Il contrasto fra una timbrica blues e una voce cristallina, conquista. Il mio ruolo sembrava facile, in realtà non lo era. Si cantava prevalentemente in tonalità maschile e mi dovevo arrampicare sugli specchi».
A Sanremo '73 con «Tu nella mia vita» arrivano al sesto posto, ma scalano il primo nella vendita dei dischi. Nel '75 vincono Canzonissima con «Un corpo e un' anima» composta da un giovane Umberto Tozzi. Nello stesso anno, a Stoccolma, rappresentano l' Italia all' Eurovision Song Contest col brano «Era» di Andrea Lo Vecchio (mancato qualche giorno fa) e Shel Shapiro e raggiungono il terzo posto. Nel '77 Sanremo, secondo posto con «Come stai, con chi sei».
Dal professionale al sentimentale. Com' erano i suoi rapporti con gli uomini prima del grande amore?
«Sembrerà strano, ma ho sempre avuto una grande considerazione del sesso, come un bene da salvaguardare. A 21 anni scelsi con cura un uomo che mi piaceva particolarmente. Giocai a carte scoperte. Funzionò benissimo».
Occasioni mancate? Rimpianti?
«Più di una. Nei primi mesi del '75 mentre "Un corpo e un' anima" cantata con Wess imperversava, si trasferì a Roma il set del film Mahogany, prodotto e diretto da Berry Gordy fondatore della Tamla Motown. Non passò inosservata a Gordy la strana coppia "caffelatte". Ci ritrovammo sul set del film e pochi giorni dopo Gordy ci propose un contratto che ci avrebbe legato per cinque anni alla Tamla Motown. Sarei stata la prima e forse unica artista non di colore della casa di Detroit. Ma non se ne fece nulla... Wess negli negli Usa era considerato un disertore (sarebbe finito in Vietnam) o forse in Italia non ci volevano perdere».
Il primo incontro con Fabrizio De André?
«Risale a un premio nell' estate del '69 a Genova chiamato "Caravella d' Oro". Lui veniva premiato per l' album "Tutti morimmo a stento", io per il "Casatschok". Nel marzo 1974, il destino si stanca di aspettare. Decide di farci rincontrare negli studi di registrazione della Ricordi di via Barletta. Ci ritroviamo nel bar interno dove ero in compagnia di Cristiano Malgioglio che, conoscendo Fabrizio, me lo presenta. Questa volta non c' è tempo da perdere. Mi invita nel suo studio per farmi ascoltare "Valzer per un amore", che conteneva un messaggio preciso: cogli l' attimo... Ci scambiamo i numeri di telefono. E il giorno dopo lui chiama. Quando sento la sua voce al telefono, il suo tono naturale e confidenziale, ho la sensazione di conoscerla da sempre, quasi provenisse da una comune vita passata e mi convinco che tra noi sta nascendo una "amicizia fondamentale". Non avevo trovato altro modo di definire quel che stava succedendo fra noi, considerato che lui era irrimediabilmente sposato e io convinta di vivere una bella storia d' amore con la persona a cui ero molto legata in quel periodo».
Come va a finire?
«Che alla fine della telefonata lui si offre di accompagnarmi al Teatro San Babila dove Wess ed io eravamo ospiti di Teddy Reno e Rita Pavone in uno speciale talk show. Qualche giorno dopo è il mio compleanno e capisco che avrebbe gradito partecipare alla cena che il mio compagno aveva organizzato. C' erano anche Mina e Ornella Vanoni che si erano accorte delle attenzioni di Fabrizio nei miei confronti. E cominciarono a punzecchiarlo chiedendogli per chi delle due avrebbe scritto una canzone. Fabrizio, rispose: "Se proprio dovessi scrivere per qualcun altro lo farei per Dori". Strike. Messaggio arrivato a tutti i presenti».
Nel recente film su Fabrizio «Principe Libero» di cui lei hai avuto la supervisione la figura della prima moglie di Fabrizio Enrica Rignon detta Puni ha un profilo lusinghiero...
«Puni soffriva. Anche se il loro rapporto era logorato da tempo. Con Puni siamo diventate amiche. Veniva a Milano per problemi cardiaci. Ricordo il suo sorriso e la gioia quando la raggiunsi in clinica con le cotolette alla milanese che lei adorava».
I rapporti con Cristiano e Luvi ?
«Con Cristiano buoni anche se, purtroppo, discontinui. Credo mi consideri un punto fermo per lui, ed io sono ben disposta a sostenerlo, quando me lo permette. Luvi è una brava cantante, purtroppo assente. Del resto a qualcuno somiglierà. Ha 43 anni ed è una brava mamma felicemente legata al suo compagno Robin. Nel 2014 è nato Demetrio. In omaggio al cantante degli Area».
Fabrizio aveva momenti difficili?
«Chi non ne ha? Più di una volta abbiamo interrotto il nostro rapporto, a volte anche a lungo, per ragioni che neppure ricordo. In ogni caso nessun motivo che implicava la nostra libertà».
In prospettiva storica cosa può dire del rapimento del 1979?
«Una grande esperienza di vita. Ci ha aiutati la nostra intesa profonda. In ogni esperienza c' è un lato positivo. E noi lo sapevamo cogliere. A volte il dramma si tingeva di ironia. Uno dei nostri "custodi" confidò a Fabrizio che, sì, apprezzava le sue canzoni ma preferiva Guccini. La risposta non si fece attendere: "Belin, perché non avete sequestrato lui?"».
Un sogno mai realizzato?
«Col senno di poi penso che sarebbe stato bello un disco di Fabrizio con Lucio Battisti. Uno pensa che ci sarà ancora tempo per fare le cose. E invece Fabrizio e Lucio se ne sono andati troppo presto, a distanza di solo tre mesi. Devo ringraziare Lucio Dalla e Francesco De Gregori per la loro solidale e generosa disponibilità nel '81 al palasport di Bologna in una serata benefica. Quando incominciai a intonare "Mama DoDori" a sorpresa mi ritrovai sul palco un supercoro: gli Stadio prestati da Dalla, Fabrizio, Dalla, De Gregori, Massimo Bubola, Cristiano alla chitarra. Loredana Berté che sale in corsa, e alla fine un giovanissimo Vasco deluso perché non avvertito. Come posso non amarlo questo mondo della musica?»
Dylan nel tour italiano con Santana aveva chiesto al manager David Zard che De André suonasse con lui.
«Fabrizio rifiutò perché non si sentiva pronto. La nostra adorata amica Fernanda Pivano, conoscendo entrambi i soggetti, una sera, sorniona, gli disse: "Dimmi la verità Fabrizio, non volevi che Dori incontrasse Dylan?"».
La musica oggi?
«Ascolto le classifiche e, a volte, non riesco a distinguere un brano dall' altro. Mi colpisce poi la dilagante misoginia che trasuda dai testi. Ora non riesco a capire se le giovani donne se ne stanno rendendo conto e subiscono, o si identificano. Bisognerebbe parlarne. Mi piace Salmo, senza riserve. E il messaggio che manda Ghali. Trovo molto interessante Achille Lauro. Tra le donne Madame ha le carte in regola per conquistarci».
· Dredd.
Barbara Costa per Dagospia il 20 marzo 2021. “Ehi, sono solo 25 centimetri!”. Solo?!? Senti, Dredd, ma chi vuoi prendere in giro? A parte che 25 è una taglia notevole, oltre ma proprio oltre la media, i tuoi non sono 25, a me non mi freghi: quelli sono 30 bell’è buoni! Forse anche di più. Tu dici che te lo sei misurato, ma hai calcolato male, dammi retta! E tu, lettore, a chi dai ragione? Guarda che c’è niente da discutere: nel porno, tra i peni più grandi in azione c’è il suo, quello di Dredd, questo bel figaccione qui, alto quasi 2 metri (196 cm) che, dopo l’addio di Mandingo e il pensionamento d’altri onorevoli super-pistonatori, porta avanti il mito del maschio possente, brutale, il castigatore dal pene enorme. Un cliché, certo, eppure un genere porno che non muore mai, visto il successo che Dredd sta riscuotendo da 3 anni. E dire che lui nel porno c’è entrato nel 2009, a 38 anni! Ignoro cosa facesse nella "vita" precedente: un bel giorno Dredd ha mandato foto (nudo, e caz*one in primo piano) a uno dei più grandi studios porno di Miami, ed è stato ingaggiato subito, ha pornato subito, mai è stato senza porno da fare. Lui ha iniziato quando il ramo "big cock" era affollato e dominato da trapanatori quali Mandingo, Shane Diesel, e Lex Steele. Per questo Dredd ci ha messo tanto a emergere, ha dovuto aspettare che si liberasse il campo, e non solo: il suo percorso è virato con Jules Jordan, regista e autorità nel porno, che si è "preso" Dredd, gli ha fatto lasciare la sua amata Miami, per portarselo a Los Angeles, e metterlo sotto contratto in esclusiva. Fuori dal set, Dredd è il contrario dell’omone che appare sullo schermo: è timido, gentilissimo, un… bonaccione! Io stravedo per lui perché è fisicato ma non fissato, e di più perché a 49 anni non si è rifatto nulla e sfoggia dreadlocks e barba brizzolati. Dredd si proclama single, e con le donne ha tanti problemi: lui si vorrebbe accasare, ma lo dice chiaro, non ha voglia di mutare abitudini, e cerca una gattofila che abbia le sue stesse “passioni fuori moda” (musica a sound Motown e film e fumetti di fantascienza datati) o che non le abbia ma non gli rompa le p*lle, e che non si faccia fisime col fatto che lui è un pornoattore. Se in privato le donne con le "dimensioni" di Dredd non hanno di che lamentarsi (o così dice lui), è sul set che il suo grosso socio di lavoro riceve gravi rifiuti. E infatti: come si gira una scena porno con un pene di siffatte proporzioni? Chiedetelo a Valentina Nappi, che ci ha messo un’ora ad infilarlo, più correttamente a abituare il suo ano al calibro di Dredd, e fin qui siamo nella norma (a te, lettore, forse parrà strano ma nel porno girare un anale con un 30 cm, tra "riscaldamento", e preparazione… eh, i tempi sono quelli!). Ma si chieda pure a Angela White che ha girato più volte con Dredd, e ogni volta allenando i suoi intimi orifizi con sex toys plus size a "sopportare" un tale pisellone. “Il suo è sicuramente il più grande che io abbia avuto”, ha detto Angela dopo "Dredd 4", “quando ce l’hai dentro… è una roba che ti dà alla testa!”. Aidra Fox ha detto che la sua scena più "scomoda" è stata con Dredd, e India Summer ha via tweet litigato con chi le scriveva che il pene di Dredd nella sua bocca era un fake. La realtà è questa: non tutte le pornostar, nemmeno le più esperte, accettano di girare con peni così, e tra queste c’è chi accetta ma pone veti, e specie all’anale. Girare un porno professionale con peni simili richiede apposite competenze e abilità, e non tutte ce la fanno, lo sanno fare, lo vogliono fare. Mi fanno sorridere i fan del porno che nelle chat recriminano che nelle fellatio, o nell’anale, il pene di Dredd non entra intero! Ma che pretendete? Che Dredd arrivi al loro stomaco, passando dalla gola o da più sotto?!? E lo stesso Dredd è bravissimo e nel giostrare il suo attrezzo e nel tenere la donna nella posizione che allo spettatore appare più naturale possibile quando sul set naturale non lo è affatto! Le posizioni che vedi tra Dredd e le colleghe sono artificialissime, e anche un missionario, una cow-girl su un letto, su un divano, sono frutto di destrezza, vero talento professionale, e di astuzia registica abile a ricavare inquadrature che rendono la scena fluida. Discorso a parte per le fellatio: gli spettatori porno più attenti lo avranno notato: ogni bocca affronta il pene di Dredd a suo modo, tenendo presente che è fuori misura, e pure incurvato a destra. Prendono in bocca solo la testa, il resto se lo lavorano con le mani e con la lingua, e le deep throat sono per lo più accennate. Dredd fa ottimi porno, ma vorrebbe lavorare con più partner, e sogna una sfida etero tra il suo penone e un altro uomo: sì, ma… se a trovare uno sfidante ci si può pensare, una collega con l’appetito a "reggerli" entrambi? Obbedendo ai limiti imposti dal Covid, tra un lockdown e l’altro Dredd lavora – 9 film nel 2020, tra cui "Insatiable" che ha fatto incetta di Oscar – e Dredd è sincero quando dice che coi set chiusi, e col suo "amico" a riposo… non è facile, e c’è stato più di un momento in cui ha pensato di mollare tutto. Dredd è spesso chiamato a dire la sua sul razzismo nel porno e sul Black Lives Matters. Da afroamericano, lui è netto e rifiuta gli atteggiamenti i più estremisti e considera pretese quali l’abolizione del porno "interracial" una stupidaggine fuori dalla realtà. Ci sono persone (donne e uomini, e di ogni "colore") che amano vedere porno tra etnie diverse? Per lui non c’è e non ci sarà mai nulla di male. Per Dredd è una grande str*nzata affermare che siamo tutti uguali, com’è una str*nzata pretendere un mondo perfetto, levigato, in cui tutti sono felici se soddisfatti nei diritti i più insulsi. Stiamo diventando deboli, e grottescamente suscettibili: tanti porno di Dredd hanno copioni in cui le donne lo sfottono per il suo pene: non dovrebbero più essere girati perché sono emersi apostoli del giusto e del bene che lo valutano umiliante? Risponde Dredd: “Io non ho problemi con gli altri. Ho amici, e donne, di varie etnie. Sia sul set, che nella vita privata. Ma il porno non è più quello di prima, è cambiata la società e ci sono alcuni slang che risultano ora offensivi. Si lavori a eliminare, nel porno, trame e titoli i più enfatici, pur frutto di goliardia, ma una goliardia che oggi non fa più ridere. Ma che non si esageri, e si trovi un punto di incontro. Siamo persone adulte, e comportiamoci come tali”. Ho ragione o no, a dire che Dredd è un omone adorabile?
Fenomeno Ed Sheeran. La normalità pop diventa eccezionale. Paolo Giordano il 29 Ottobre 2021 su Il Giornale. Oggi esce il nuovo disco "'='" destinato a sbancare le classifiche. Senza trasgressioni. Ma ce ne fossero di artisti come Ed Sheeran. Nell'epoca dell'estremo a tutti i costi, delle valanghe social, dell'apparire più che del suonare, lui fa il musicista e tanti saluti a tutto il resto. Scrive canzoni. Le canta. E appare, ma non troppo. Così quando esce un suo disco, si parla di musica, non del caravanserraglio che ormai è d'obbligo e che nel menu del pop è spesso il piatto principale. In '=' che esce oggi in tutto il mondo ci sono 14 canzoni ma un solo spirito, quello essenziale che porta un trentenne di Halifax (dicesi Halifax nel West Yorkshire sotto la Scozia e di fianco al Galles, mica Manhattan) a essere oggi la vera popstar globale pur essendo la più local, la più «normal» nonostante ormai abbia un curriculum da far invidia a chi cerca la fama purchessia, a qualsiasi costo, senza avere una bussola artistica a guidarne il cammino. Dopotutto, se è stato il primo a raggiungere i due miliardi di streaming su Spotify con un brano (Shape of you) e se totalizza una media di 75 milioni di streaming al mese, ossia più dei Beatles, è la conferma che la qualità funziona sempre, anche senza ammennicoli glamour oppure tempeste social. L'euforia contagiosa della normalità. E bastano brani come l'uptempo Tides, che apre tutto il disco, a dare le prime coordinate: una sorta di bilancio con voce in primo piano e aperture al sogno, all'immaginazione. Sono canzoni che toccano le coordinate dell'animo e della vita qualunque, quella esaltata dalle gioie e dai tormenti che attraversano tutti noi. C'è l'amore in The Joker And The Queen, 2Step e First Times. C'è la perdita dell'amicizia e della vita in Visiting hours. E c'è l'analisi della paternità in Sandman e Leave Your Life, la paternità di un uomo sposato che, allo stesso tempo, è anche il protagonista del tour più redditizio della storia da oltre mezzo miliardo di dollari di incasso (l'ultima volta con i concerti a Firenze, Roma e Milano ha raccolto 180mila persone). E il dualismo tra normalità e straordinarietà convive perfettamente in questo inglese rosso di capelli e dalla pronuncia ostica che, appena diventato padre di Lyra Antarctica (nata a settembre 2020), ha trascorso qualche mese in Italia nella sua villa in Umbria con vista sul Lago Trasimeno: «Volevamo trascorrere tre mesi lontano da tutto e da tutti e l'Italia è stata il luogo perfetto. Siamo rimasti qui da ottobre a poco prima di Natale del 2020». In quel periodo Ed Sheeran ha persino deciso di «imparare l'italiano». Pensate che, come spiega in una breve intervista video, avrebbe addirittura voluto girare in Vaticano il video di Visiting hours, ma non ha ricevuto le autorizzazioni (o magari non le ha neppure chieste, chissà). «Poi lo abbiamo girato a Londra, che ha belle chiese barocche», dice lui senza dare troppo peso al dettaglio. In ogni caso, il rapporto di Ed Sheeran con l'Italia che non è casuale: «L'ultimo pezzo del mio prossimo disco dovrebbe proprio intitolarsi Italia», annuncia con nonchalance (verrà a Milano a fine novembre per uno speciale evento live al quale potranno partecipare 400 spettatori tra quelli che hanno comprato l'album su Mondadoristore.it o nel Mondadori Megastore di Piazza Duomo). E se si ascolta Love in slow motion, che vagamente ricorda pure James Blunt, si capisce come mai Ed Sheeran in Italia si trova a casa. La struttura delle sue canzoni è cantautorale, nel senso che i testi non hanno slanci propagandistici né tantomeno politici. Sono descrittivi. E hanno la forza dell'empatia, ossia della capacità di coinvolgere l'ascoltatore con la forza della storia e dell'interpretazione. Non a caso Ed Sheeran nel 2015 è stato il primo (e per un bel po' resterà l'unico) a esibirsi allo stadio di Wembley completamente da solo, chitarra e voce e nient'altro. Un uomo solo al comando di tre concerti. Qualcosa che è realmente in controtendenza rispetto alla megalomania che spesso appesantisce la musica privandola della necessaria essenzialità. Insomma questo disco dal titolo che segue la linea dei precedenti tre (+ nel 2011, x nel 2014 e ÷ nel 2017) ha la forza spontanea della semplicità che salta tutti gli anfratti tecnologici: Ed Sheeran oggi è uno dei pochi artisti mondiali ad arrivare in scena davvero nudo e a raccontarsi per quel che è. Una rarità. E perciò un vero fenomeno. Paolo Giordano
Mattia Marzi per “Il Messaggero” il 23 luglio 2021. Con il mare Edoardo Bennato ha un rapporto speciale. Seduto su una barca ancorata nel porticciolo di Castro Marina (in provincia di Lecce), dove si è esibito mercoledì sera insieme a Francesca Michielin e a Fulminacci, tra i protagonisti dell'edizione 2021 di Porto Rubino, il festival tra i porti della Puglia organizzato dal cantautore Renzo Rubino che ha debuttato il 19 luglio e andrà avanti fino al 25, il musicista partenopeo racconta la sua storia: «Sul mare ci sono nato. A Bagnoli, all'ombra dell'Italsider, lo stabilimento siderurgico che sfamava mezza Napoli, compresa la mia famiglia. Ma io sognavo un futuro diverso. A 18 anni emigrai a Milano, come fanno tuti quelli che sono nati al sud. Cercavo la svolta, il contratto che mi avrebbe cambiato la vita». Il resto è storia nota. Difficile trovare nella storia della canzone italiana un personaggio più coraggioso. «Gli impresari di partito mi hanno fatto un altro invito / e hanno detto che finisce male se non vado pure io», cantava nella sua Sono solo canzonette, che racchiudeva tutta la sua attitudine anticonformista. Oggi compie 75 anni. E non ha perso neppure un briciolo di quella libertà.
È più pirata o più marinaio?
«Più pirata. Se non altro per le canzoni che faccio: il rock è musica corsara, oggi diventata quasi illegale».
Perché?
«È un genere che spinge a riflettere, che ti porta inevitabilmente ad andare contro il sistema. Chi lo fa più? Ora è più comodo fare musica leggera».
Non si sente fuori moda?
«No. Mai come in questo momento storico è importante smuovere le coscienze».
Erano solo canzonette, le sue?
«Canzonette che pesano. Quelle più note sono diventate classici. I personaggi di Burattino senza fili sono archetipi, ormai: il gatto e la volpe che ti raggirano, i burattinai, il grillo parlante che dà cattivi consigli. Di quelle meno conosciute ne sto riscoprendo l'attualità, suonandole durante i concerti del tour».
Ad esempio?
«Dotti, medici e sapienti. Era il 77 e cantavo: E nel nome del progresso il dibattito sia aperto / parleranno tutti quanti, dotti, medici e sapienti. Però i tuttologi del web ancora non c'erano».
Con il potere e la politica che rapporto ha avuto nel corso degli anni?
«Nessuno. Sono sempre andato dritto per la mia strada, senza mai appartenere ad una fazione piuttosto che a un'altra».
Ha pagato lo scotto della sua indipendenza?
«È successo, sì. In passato mi sono lamentato. Oggi ho capito che fare la vittima non serve a niente».
Chi è un suo simile, tra i colleghi?
«Morgan. Nella canzone che abbiamo inciso insieme mi chiede: Perché tu vuoi giocare con me che son malato?».
Appunto: perché?
«Sarà pure uno squilibrato, ma è quello che ne capisce di più di musica, in Italia».
Fedez e Orietta Berti, Jovanotti e Morandi, Al Bano e Sud Sound System: non la fa sorridere questa nuova tendenza, le accoppiate tra vecchi e giovani?
«Non c'è più niente da ridere, signori miei».
Non sia così duro. Sua figlia Gaia (16 anni, ndr), non le fa ascoltare i successi del momento?
«Non ascolta musica italiana. Quando la vado a prendere a scuola con la macchina collega il cellulare alla radio e mette pezzi di rapper americani di tendenza».
A proposito di tendenze. Un'estate italiana è tornata in classifica a distanza di trentuno anni: è vero che quando gliela proposero ci pensò a lungo, prima di inciderla?
«Già. A un cantautore non era consentito fare la sigla dei mondiali e cantarla in mondovisione. Me ne fregai. Fu un successo. Mi ha fatto sorridere sentirla cantata dagli Azzurri».
Bennato, una curiosità: qual è il suo elisir di giovinezza?
«Forse i tre bicchieri di succo di melograno che bevo ogni giorno: un toccasana. E il fatto di non aver mai toccato droghe».
Mai?
«Mai. Una volta un amico provò a farmi fumare. Feci un tiro e dissi: Che schifo. Mi rispose: Ti devi abituare. Ma abituare a cosa? Allo schifo? Non fa per me: abituatevi voi, allo schifo».
Si è vaccinato?
«Sì. A tutto».
Oggi è un altro giorno, Edoardo Vianello e il dramma della figlia morta: "Perché ho tenuto tutto dentro", ciò che non aveva mai detto. Libero Quotidiano il 22 giugno 2021. Edoardo Vianello ospite di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno su Rai 1 racconta la sua carriera a pochi giorni dal suo compleanno: giovedì 24 giugno festeggia infatti gli 83 anni. Commovente il ricordo della figlia scomparsa a 50 anni. "Il momento più triste della mia vita. Una cosa indescrivibile che ho cercato di tenere dentro di me il più possibile, perché non serve coinvolgere gli altri. Un dolore personale fortissimo". Ad aiutarlo molto nell’affrontare il dolore per una perdita tanto grave è stata la moglie Frida, "attenta a farmela ricordare quando serviva ricordarla e a farmi distrarre quando non serviva". Si cambia argomento e si parla dell'inizio della sua carriera e di Ennio Morricone che fu il suo arrangiatore: "Ci siamo conosciuti nel '59, tutti e due sconosciuti, siamo diventati amici e quando mi è servito un arrangiatore ho chiesto a lui di farlo e abbiamo lavorato insieme per 6 anni. Mi chiamava per dirmi degli arrangiamenti e io acconsentivo sempre, solo una volta gli dissi che non andava bene, ma solo per non far vedere che dicevo sempre sì e lui si arrabbiò tantissimo", ricorda in maniera scherzosa. Torna a parlare poi della moglie Frida, la terza moglie: "Frida ha dedicato tutta la sua vita a me, alla mia carriera. Ed è stata l'unica delle mie tre mogli ad essersi presa cura di me. Mi segue con grande attenzione e confesso di avere bisogno di una persona che si dedichi completamente a me", conclude il cantante dei Vatussi.
"Negri, neri e Watussi. Vi dico cosa farei oggi..." Claudio Rinaldi il 7 Maggio 2021 su Il Giornale. Intervista ad Edoardo Vianello, cantautore 83enne romano: "Hanno ragione Pio e Amedeo. Purtroppo in Italia si pensa alla forma, non alla sostanza". “Quando sento modificare la mia canzone, sostituendo ‘negri’ con ‘neri’ mi infastidisco…”. Copyright: Edoardo Vianello, cantautore romano che sta per compiere 83 anni, compositore di decine di canzoni che hanno accompagnato il nostro Paese dagli anni ’60 ad oggi. La più famosa - forse - è proprio ‘i Watussi’. Quel ‘popolo di negri che ha inventato tanti balli…” torna oggi incredibilmente di moda dopo le polemiche sull’uso del linguaggio che hanno travolto Pio e Amedeo, protagonisti di un monologo durante il loro show ‘Fecilissima sera’ su Canale 5. I due comici foggiani hanno sfidato il politicamente corretto, cercando di spiegare, come direbbe Nanni Moretti che le parole sono importanti, “ma nulla rispetto all’intenzione”.
Hanno ragione Pio e Amedeo?
“Sono convinto che abbiano ragione. Purtroppo oggi in Italia si pensa alla forma, ma non alla sostanza. Il rispetto va dimostrato con i fatti, non con le parole. Anzi sottolineando certe affermazioni si ottiene l’effetto contrario…”.
In che senso?
“Beh, prenda il caso dei ‘Watussi’. A volte alcuni pianisti, pensando di farmi un favore, modificano il testo. Non capiscono invece che così non fanno altro che mettere maggiormente in evidenza una cosa di cui invece non bisognerebbe vergognarsi. È più offensivo questo... e poi sa di che anno è quella canzone?”.
Anni ’60?
“È del ’63 per l’esattezza… quando le persone di colore nel linguaggio comune venivano chiamate così”.
Ma se dovesse scriverla oggi, userebbe un altro termine?
“Probabilmente sì, mi atterrei al linguaggio comune del momento. Ma il punto è un altro: il razzismo non è questo, ma è nei gesti. Non basta pulirsi le coscienze usando una parola anziché un’altra. E guardi che la pensano così anche molti africani che non si sentono offesi nell’essere chiamati ‘negri’. Lo stesso discorso vale per tutte le polemiche sui gay…”.
Ecco, cosa ne pensa del ddl Zan di cui tanto si discute?
“Io ho diversi amici omosessuali. Ma non vedo onestamente la necessità di una norma ad hoc. Ci sono già le leggi attuali. Il problema è che spesso non vengono applicate. Bisognerebbe forse iniziare da lì…”.
Mi sta dicendo che in Italia si fanno le leggi, ma poi restano lettera morta?
“Sì, quando qualcuno invoca il rispetto delle regole viene subito bollato come ‘populista’ o ‘fascista’. Sa che le dico? Che stiamo andando allo sfascio”.
Addirittura…
“Vede anche nell’educazione siamo troppo accondiscendenti. Rispetto ad alcuni anni fa, si è diffusa un’estrema rilassatezza nei costumi. Si lascia andare tutto senza imporre dei paletti. È sbagliato. Mio padre mi ha sempre insegnato che certe cose non si fanno, punto e basta. Oggi invece tutto è concesso, stiamo attenti solo alle fesserie, come l’ultima storia del bacio a Biancaneve…”.
Si è sorpassato il limite?
“Ci vorrebbe un giusto equilibro nella vita sociale come in politica, invece si ha l’idea che su ogni argomento si finisce in caciara… la verità è che, glielo dico in romanesco, stiamo a esagerà…”.
A proposito di Roma, lei è un romano doc. Come la vede la Capitale?
“Veramente male. Il suo patrimonio è la bellezza. Dovremmo andare avanti solo curandola, preoccupandoci che sia sempre vestita bene come una donna truccata e agghindata”.
E invece…
“Invece è tremendamente sciatta. Ci sono marciapiedi rotti da 20 anni e nessuno si è mai preoccupato di ripararli. Se si rompe una mattonella a casa mia, dopo qualche giorno la sostituisco. Perché a Roma non si fa lo stesso?”.
Dovrebbe chiederlo al sindaco Virginia Raggi…
“Non mi piace il suo partito politico, ma al di là di questo credo che non dipenda solo da lei. Per far funzionare una città così grande serve un apparato burocratico efficiente. Purtroppo in comune c’è un esercito di impiegati demotivati”.
A settembre ci saranno le elezioni, qual è il suo pronostico?
“Non saprei. Mi pare che nessuno abbia davvero voglia di diventare sindaco di Roma. Servirebbe qualcuno con un atteggiamento più autoritario, che abbia altre priorità rispetto alle piste ciclabili. La Raggi ha pensato solo a quello, ma è evidente a tutti che le bici non possono essere il mezzo più adatto per girare nella Capitale”.
Eppure una città così ricca di storia potrebbe vivere solo di turismo, non crede?
“Certo. Abbiamo il Colosseo e decine di monumenti, ma non possiamo vivere di rendita. Dobbiamo coltivare la nostra storia. Io sono appassionato di fontane. Lo sa che a Roma ce ne sono cinquemila e 2/3 non funzionano?”.
Forse perché non ci sono i soldi per farle funzionare...
“Sicuramente, ma bisogna ingegnarsi per trovare una soluzione. Per esempio, si potrebbe chiedere ad associazioni o ad aziende di adottare una fontana. Potrebbe essere un punto di partenza…”.
E Mario Draghi troverà una soluzione per questa Italia così in crisi?
“Draghi mi piace. Ho apprezzato molto la decisione di mettersi al servizio del Paese. Avrebbe potuto benissimo godersi una meritata pensione e invece ha deciso di dare una mano. Certo, da solo potrà fare poco, servirà l’aiuto di tutti per uscire dalla pandemia”.
Come giudica la gestione italiana del virus?
“Alcune cose non mi hanno convinto. Non ho capito, per esempio, perché gli spettacoli siano stati fermi per così tanto tempo. Con un po’ di organizzazione sarebbero potuti ripartire molto tempo fa”.
Da quanto tempo non canta su un palco?
“Io in un anno di pandemia sono salito sul palco una volta soltanto: il 15 agosto a Bracciano in provincia di Roma. Ecco, in quell’occasione tutto era organizzato con la massima attenzione”.
Parliamo oramai di tanti mesi fa… le dispiace?
“Sono a fine carriera. Se non lavoro, non succede nulla. Mi sono fatto un piccolo impiantino a casa e mi diverto così. Certo, mi dispiace sprecare gli ultimi fiati perché non so se tra un anno avrò ancora la stessa forma di adesso, ma non importa. Penso soprattutto ai tanti addetti del mondo dello spettacolo… tecnici, musicisti meno famosi che vivono grandi difficoltà economiche. Sono convinto che se organizzi gli eventi per tempo e con criterio, il contagio viene limitato. Quando questo non accade, bisogna forse preoccuparsi”.
A cosa si riferisce?
“Beh, nulla contro gli interisti, ma le immagini di Piazza Duomo impressionano. Quelli sì che sembrano assembramenti pericolosi”.
Non è che lo dice solo perché è romanista?
“No no (ride, ndr)”.
Che ne dice di José Mourinho alla Roma?
“Tocca sperà… è una scossa per l’ambiente e la tifoseria. Se un grande allenatore come lui ha scelto i colori giallorossi, accentando un contratto di tre anni, vuol dire che la società ha un progetto serio e ambizioso. E poi noi romanisti siamo ormai vaccinati contro le delusioni calcistiche”.
E contro il covid? Lei si è vaccinato?
“Sì, mi sono vaccinato. Mi attengo scrupolosamente a ciò che dicono anche se preferirei che parlassero meno virologi. Sono diventate le nuove star della tv”.
Non le piacciono?
“Troppe voci. Alcuni poi pur di emergere fanno di tutto. Su questo ci vorrebbe un gesto autoritario del governo, una cosa del tipo: basta adesso parliamo solo noi”.
Ultima domanda, ma a 83 anni come si fa ad essere ancora così in forma?
“Io ho sempre avuto una vita regolare. Non ho mai fatto uso di alcol o droga. E poi durante la pandemia ho iniziato a scrivere”.
Pubblicherà un libro?
“No. Scrivo solo per un gruppo di amici, un centinaio. Ho riavvolto il nastro della mia vita sin dall’inizio. Ho deciso che farò un capitolo per ogni anno trascorso. Ne ho già scritti più di 50. Per fortuna ho le agende sulle quali mi sono sempre segnato tutto. Magari non mi ricordo che ho mangiato ieri a pranzo, ma che ho fatto nel 65’ me lo ricordo bene…”.
Claudio Rinaldi. Giornalista. Televisivo per Quarta Repubblica (Rete4). Web per ilGiornale.it. Carta stampata per il Corriere della Sera (Roma). Ma anche direttore di TheFreak.it. Nella vita dj a tempo perso. Cestista ogni tanto. Interista sempre. Romano d’adozione ma lucano fino al midollo.
· Eddie Murphy.
Il sequel del famoso film. Intervista ad Eddie Murphy: “Il principe cerca figlio, sequel del cult dopo 30 anni”. Chiara Nicoletti su Il Riformista il 23 Febbraio 2021. Il 5 marzo 2021, a distanza di 33 anni, grazie ad Amazon Prime Video, torneremo nel regno di Zamunda dove ritroveremo il principe Akeem, la sua Lisa e tutti i protagonisti di quello che è a tutti gli effetti uno dei film culto della storia del cinema: Il Principe cerca Moglie. Il sequel del film con Eddie Murphy si intitola Il Principe cerca figlio e come il titolo suggerisce, vedrà il nostro principe, ora diventato Re, imbarcarsi in un ritorno negli Stati Uniti alla ricerca di un figlio illegittimo concepito durante la sua prima visita in America, prima di conoscere Lisa. Con il fedele consigliere e migliore amico Semmi al seguito (Arsenio Hall), inizia un viaggio nei luoghi del film cult che Eddie Murphy ha prodotto e interpretato. Il principe cerca figlio, come evidenzia già il trailer, è in tutto e per tutto un’operazione amarcord che punta a solleticare ogni ricordo piacevole ed esilarante del film del 1988, connettendo ogni possibile punto degno di nota, facendo riapparire ogni personaggio fondamentale, cavalcando quello stesso schema di battute da commedia tradizionale piena d’amore e famiglia che era il film originale. Lasciando apparentemente la politica ed eventuali polemiche fuori dalla porta, pur essendo stato girato in epoca trumpiana, Eddie Murphy però, alla strada dei ricordi, ne aggiunge una parallela, quella che sottolinea l’eredità positiva di Il Principe cerca moglie: ciò che il film aveva significato per la comunità afroamericana negli Stati Uniti e nel mondo e che ha raccolto i suoi pieni frutti, ahimè, solo 30 anni dopo, con il successo del film Black Panther. Così, gli occhi e le orecchie più attente noteranno piccoli e amaramente ironici riferimenti alla situazione degli Stati Uniti durante le riprese, quando ancora non si sapeva della vittoria di Joe Biden e “il principe” sottolinea che si è passati da un presidente afro-americano a Trump. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Eddie Murphy in una conferenza mondiale in collegamento zoom, in compagnia dell’amico Arsenio Hall, l’attrice e comica Leslie Jones e le giovani figlie di Akeem sul grande schermo, Bella Murphy, figlia di Eddie anche nella vita reale e Akiley Love. Eddie Murphy parte dall’idea del sequel per poi accompagnarci attraverso l’importanza di Il Principe cerca moglie nella storia del cinema.
Cinque anni per concepire questo sequel e 30 anni per decidere di farlo, qual è stato il punto di partenza di “Il Principe cerca figlio”?
«Volevamo far tornare tutti gli attori del cast originale e per farlo abbiamo cercato di connettere i punti della storia da dove l’avevamo lasciata. Prendete il personaggio di Eric La Salle – Darryl e quello della sorella di Lisa McDowell. L’ultima volta che li abbiamo visti, lui era zuppo di pioggia e lei aiutandolo diceva «dobbiamo toglierti questi vestiti bagnati di dosso». Tutto questo faceva immaginare che sarebbero finiti insieme e che Akeem e Lisa sarebbero vissuti per sempre felici e contenti. Quindi, per il sequel ci siamo chiesti: «Come facciamo a collegare tutte queste storie?». Abbiamo pensato quindi che sarebbe stato divertente se il signor McDowell, il padre di Lisa, avesse aperto un suo ristorante in Africa così da poter stare vicino alla figlia. In questo modo, avremmo potuto averlo nella storia».
Come definirebbe il lascito di “Il Principe cerca moglie”? Che significato ha ed ha avuto nella storia del cinema?
«Il Principe cerca moglie è stato il primo film in assoluto nella storia del cinema con un cast totalmente afro-americano ad avere successo in tutto il mondo. Ancora oggi sono pochissimi i film con un cast all black ad essere riusciti a oltrepassare i confini nazionali con un successo internazionale. Si possono contare su una mano e ti rimane anche qualche dito libero. Due di questi film sono sicuramente Il Principe cerca moglie e ora Il Principe cerca figlio perché il loro segreto è che sono film accessibili a tutti, alla portata di tutti. Molti dei nostri film, sapete, si concentrano sulle ingiustizie sociali e sulla violazione dei nostri diritti civili, tematiche di cui a molti, nel resto del mondo, purtroppo interessa poco. Alla gente piace vedere sullo schermo questioni universali e più basiche con cui si può relazionare».
Con una novità: interpreti che prima non si erano mai visti sullo schermo…
«Il Principe cerca moglie parla di famiglia, amore, del fare la cosa giusta e dell’importanza delle tradizioni. Stessa cosa fa il sequel. Ci sono immagini meravigliose di re, regine e principesse africane, come si vede anche in Black Panther. Prima di Il principe cerca moglie non c’erano film con reali di origine afro-americana, il primo in assoluto a mostrarlo è stato il nostro, poi c’è stato Black Panther e ora Il Principe cerca figlio. Le nostre storie parlano di esseri umani, di situazioni e problemi con cui la gente si confronta ogni giorno e con cui può identificarsi. Le tematiche da noi trattate nella storia sono senza tempo: l’amore, sposare qualcuno per amore e per ciò che è e non per quello che rappresenta. Il Principe cerca moglie è la prova che se tratta temi universali, un film può colpire un pubblico universale. Se questo è vero però, mi chiedo come mai sia successo così poche volte nella storia della cinematografia afro-americana».
Lei però è riuscito ad ottenere questo risultato…
«Il fatto che ci siano ancora tanti riferimenti a Il Principe cerca moglie dopo 33 anni, ci dimostra quanto sia diventato un film di culto e quanto ormai appartenga all’immaginario di tutti noi. Pensate alla pratica del Microphone drop (gettare a terra il microfono dopo un discorso) ad esempio. Il primo Mic Drop della storia lo ha fatto Randy Watson con Sexual Chocolate. Ad Halloween la gente si veste ancora come i personaggi del film e a Natale Il Principe cerca moglie va sempre in onda».
· Elena Sofia Ricci.
Elena Sofia Ricci: «Il cibo? Chi l’ha mai visto... Sono a dieta da quarant’anni». Laura Carchidi su Il Quotidiano del Sud il 4 gennaio 2021. Elena Sofia Ricci torna a vestire gli abiti talari di Suor Angela nella sesta stagione della serie Che Dio ci aiuti, in onda dal 7 gennaio su Rai Uno. La religiosa – uno dei personaggi più amati del piccolo schermo – dovrà fare i conti con il suo passato di ex galeotta e con il difficile rapporto con un padre rigido e anaffettivo. Anche alla splendida attrice toscana, che il prossimo anno compirà 60 anni, LunediFilm ha chiesto di restare in tema e raccontarci il suo rapporto con il cibo, dai ricordi d’infanzia alle tavole imbandite soprattutto dei film di Ferzan Ozpetek.
Intanto ci dica il segreto della sua bellezza.
«È un dono, di Madre Natura, Divino e dei miei genitori. Sul cibo la possiamo sintetizzare in due parole: non c’è molta frequentazione, purtroppo, visto che amo molto mangiare. Sono a dieta da quando ho 15 anni».
Tra i registi con i quali ha lavorato chi ha una particolare passione per il cibo?
«Ferzan Ozpetek è uno di questi. Ho un ricordo meraviglioso dei due film fatti insieme e, in particolare, dell’esperienza di Mine vaganti, non solo sul set ma anche a tavola. Abbiamo girato in Salento e Ferzan, come al solito, è diventato amico degli chef e dei cuochi più bravi. Ci riempivano di leccornie salentine. Un pericolo terrificante per me! Cercavo di scegliere la cose più leggere e meno caloriche ma non ce n’erano molte. Alla fine mangiavo sempre la solita ricottina. Sul set invece tanto succo di mirtillo al posto del vino, che ovviamente in scena non è mai quello vero».
Recentemente è stata una cuoca per fiction in Vivi e lascia vivere.
«Sì, una cuoca di una mensa alla quale ne accadono di tutti i colori, tra banchetti di nozze e street food eravamo in mezzo al cibo. Per di più sul set a Napoli, città mangereccia per eccellenza, “a casa” del regista Pappi Corsicato, anche lui molto attento alle scene a tavola».
Quali erano i suoi piatti preferiti da bambina che oggi le fanno ancora ricordare quegli anni?
«Diciamo che c’erano due cose che non mi piacevano: il fegato, che ai tempi ti facevano mangiare per forza perché dicevano che faceva tanto bene, e le zucchine che invece ora mi piacciono molto. Però ho un ricordo molto bello legato anche alla mia bisnonna, perché era lei che cucinava in casa. Io sono cresciuta con lei e con mia nonna e loro si mettevano ai fornelli di prima mattina. In particolare c’era una ricetta che negli anni ho insegnato poi a tutte le varie tate: gli “gnudi” toscani».
Ci dica la ricetta.
«Molto semplice: l’interno dei ravioli ricotta e spinaci, senza la pasta, ma appena passati nella farina e buttati nell’acqua bollente. In genere si condiscono con burro e salvia oppure con pomodoro e basilico. Provateli e fatemi sapere».
E ora invece, il suo piatto preferito?
«A me piace tutto. Sono appassionata da sempre di sushi, da molto prima che andasse di moda. Amo, ovviamente, anche la cucina italiana, le specialità regionali in particolare. La nostra è una cucina sana e sono molto contenta che i grandi chef siano tornati a rivalutare le materie prime in cucina dopo varie sperimentazioni. Siamo tutti d’accordo che la cucina “povera” italiana e, in generale, dell’area del Mediterraneo, sia notevole, probabilmente con pochi eguali nel mondo».
Un ingrediente che nella sua cucina non può mai mancare?
«Spezie, aromi, piante, erbe, ideali per condimenti gustosi, sani e volendo alternativi. Vado però sul classico e le dico basilico. Perché una pasta pomodoro fresco e basilico fatta molto bene, non si batte».
Cosa le piace cucinare?
«Siamo sinceri: chi fa il mio mestiere spesso non cucina. Non so le mie colleghe, ma io non cucino mai, anche perché devo mangiare talmente poco… Prima di avere figli spesso lo facevo quando invitavo degli amici a cena. Ma da quando è nata Emma, 25 anni fa, ho una tata e pensa a tutto lei. Ho dedicato la mia vita al lavoro e, ai fornelli, ormai ho perso la mano. Sono diventata abbastanza negata, è la verità».
· Eleonora Cecere.
Dagospia il 16 marzo 2021. Da I Lunatici Radio2. Eleonora Cecere è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei del mattino. L'ex volto di "Non è la Rai" ha raccontato un po' di cose di se: "Devo dire che quel programma è rimasto nel cuore di molte persone, me ne rendo conto ancora oggi, ci viene dimostrato moltissimo affetto. Come è iniziato tutto? Ho cominciato la mia carriera da giovanissima, a sei anni, facendo il concorso baby star, facendo film con Fellini, Gassman, Castellitto, questo da bambina. Poi nel 91 ho fatto domenica IN e lì è partito il ciclo televisivo. A settembre di quell'anno ho iniziato Non è la Rai. Ci siamo resi conto che se ne sarebbe parlato anche dopo tanti anni solo quando il programma è finito. Lì per lì non ti rendi conto di quello che succede, c'erano centinaia e centinaia di ragazzi e ragazze che ci aspettavano fuori dagli studi, che aspettavano ore per farsi una foto, che ci si incollavano alle macchine. Queste sensazioni le apprezzi solo dopo, sono bellissime. Ho iniziato a rendermi conto di essere diventata popolare quando la mattina usciva di casa e mi trovavo dei ragazzi che facevano viaggi con i mezzi per venire a vedermi davanti casa. Io e mio padre spesso gli davamo un passaggio e li riaccompagnavamo a casa. E' una sensazione inspiegabile. Io ero minorenne, con me c'era sempre mio padre, la mia famiglia mi ha dato un grandissimo supporto, andavo a scuola, studiavo, facevo delle lezioni private, la famiglia mi supportava anche in questo".
Ancora su "Non è la Rai": "I rapporti tra le ragazze? Noi ci divertivamo tantissimo. Con alcune ragazze siamo ancora in contatto, ci messaggiamo ogni giorno, ci raccontiamo quello che ci succede, siamo molto unite, se una di noi ha bisogno di qualcosa sente la vicinanza di tutte le altre. Dietro "Non è la Rai" c'era anche una grande preparazione. Noi abbiamo studiato tanto per poter fare quello che facevamo in video. Studiavamo danza, canto, recitazione, studiavamo ogni giorno per dare sempre il meglio.
Ricordi su Boncompagni? Una persona meravigliosa che porterò sempre nel cuore. Mi ha insegnato tanto e gliene sarò sempre grata. Fan che hanno esagerato? Purtroppo ce ne sono stati. C'era uno stalker che mi mandava delle cassette con su dei messaggi minacciosi, una volta mi ha mandato una bambolina con uno spillo, come fosse una bambolina voodoo. Mi spaventai molto".
Oggi Eleonora Cecere fa la vigilantes: "Oggi faccio la vigilantes con una società a cui tengo tantissimo. Una società che mi ha accolto a braccia aperte. Con questa pandemia il lavoro dello spettacolo si è fermato, bloccato. Ho una famiglia, due bambine, un marito, ho deciso di dare una mano a mio marito, di aiutarlo, non potevo stare ferma. Sono fiera di raccontare la mia storia, bisogna rimboccarsi le maniche, darsi da fare. E' giusto darsi da fare. Sono cresciuta in un mondo diverso, ho studiato tantissimo, lavoro da 37 anni nel mondo dello spettacolo con tantissimi sacrifici fatti, ma questo è un momento difficile per tutti, così ho deciso di darmi da fare, rimboccarmi le maniche e aiutare la mia famiglia. Ho mandato tantissimi curricula, questa società mi ha risposto, mi ha accolto, e faccio un lavoro che mi piace moltissimo. Sono a contatto con le persone, cerco sempre di strappargli un sorriso, soprattutto alle persone anziane. Questa per me è una grandissima soddisfazione. Non ho abbandonato la mia ambizione, il teatro, il cinema e ciò che ci gira attorno, se un giorno riusciremo a tornare in teatro, tornerò a lavorarci con grande felicità, ma oggi va così".
· Eleonora Giorgi.
Luca Pallanch per "la Verità" il 18 aprile 2021. Una sincerità disarmante. Eleonora Giorgi ti guarda con i suoi occhi azzurri, l' unica parte del viso che resiste alle mascherine, ti prende per mano e ti conduce nel suo mondo. Pensi di trovarvi l' effimero, fama e gloria, invece scopri una persona che cerca ancora sé stessa, quasi mancasse sempre un pezzo per ricostruire uno specchio che si è infranto nell' adolescenza. «Non volevo fare l' attrice. Dopo la maturità, mi sono preparata per l' esame di ammissione all' Istituto centrale per il restauro, ma siccome ero andata a vivere con il mio ragazzo, Gabriele Pogany, ho cominciato a fare la modella per guadagnare qualche soldo. Modella! Adesso si intende Naomi Campbell, allora facevi il Carosello... Ho fatto piccole pubblicità per la Safilo, l' acqua Ferrarelle, le calze Omsa, anche il volantinaggio di Radio Voxson insieme a mia sorella. C' è una foto stupenda in cui siamo tutte e due carine e c' è Maurizio Costanzo sporto fuori dalla macchina».
Ha fatto anche delle apparizioni in alcuni film...
«Paolo Cavara, grande amico di mio padre, a pranzo ha chiesto a me o a mia sorella di venire a fare un' inquadratura nel suo film La tarantola dal ventre nero.Dovevo dire una battuta, ma mi sono sbagliata!».
Roma di Fellini?
«Compaio nei titoli: sto sulla moto di Pogany...in realtà, era stata assunta proprio la moto! Era esplosa la mania delle moto di grossa cilindrata, ma solo a Roma Nord, quindi Fellini per trovare dei motociclisti ha sguinzagliato la produzione ai Parioli. Fra questi c' era Gabriele, che aveva una Honda 750, appena arrivata. Gli hanno chiesto se voleva partecipare alle riprese, portando l' equipaggio, ovvero io. Su un' altra moto c' era Renato Zero!».
Quando ha cominciato a pensare di recitare?
«Per caso. L' agenzia di modelle ha inoltrato la mia foto, insieme a centinaia di altre, al produttore Tonino Cervi che stava cercando una sostituta di Ornella Muti, protagonista de Le monache di Sant' Arcangelo di Domenico Paolella. Sulla scia di quel film stavano preparando il seguito, Storia di una monaca di clausura. All' appuntamento con Cervi, proprio perché non avevo intenzione di fare l' attrice, ma ero vanitosa e competitiva con la mia bellissima sorella, mi sono presentata vestita in modo molto originale e Tonino è rimasto incantato. Mi ha presa come protagonista. Poi mi ha offerto di fare un altro film, Appassionata di Gian Luigi Calderone, dove ho conosciuto Ornella Muti, della quale avevo tanto sentito parlare sul set».
Ricorda l' incontro con lei?
«Sono entrata in un ufficio, lei guardava verso la finestra, si è girata e aveva delle perle al posto dei denti e due padelle verdi come occhi: ho pensato che fosse la ragazza più bella che avessi mai visto. Io ero piena di curiosità, lei era già felina allora».
Nel suo esordio da regista, Uomini & Donne Amori & Bugie, l' ha scelta per interpretare il ruolo di sua madre.
«Nel mio film volevo affrontare una questione che non sono mai riuscita a spiegarmi: come mai la bellezza non mette al riparo dal tradimento? Francesca (Rivelli, vero nome di Ornella Muti, ndr) era la più bella di tutte e io avevo bisogno di un' attrice che fosse credibile a 20 anni e a 40-50. Poi lei è mezza estone, io mezza ungherese. Al tempo non avevo fatto quei bei interventi estetici a cui mi sottopongo ogni tanto, non avevo quindi l' immagine adatta per sostenere quella parte».
Si è pentita?
«Beh, raramente ti capita un ruolo così bello. Francesca ha avuto un' intera pagina di elogi da parte di Lietta Tornabuoni sull' allegato de La Stampa. Avrei voluto interpretarla io perché conoscevo di più le sfumature della storia: lei è molto carnale, mentre nel personaggio c' era qualcosa di infantile, di gioioso, di incosciente, di ingenuo, ma non mi pento, le sono grata per averlo fatto».
Come l' è venuto in mente di debuttare come regista?
«Prescindeva dalla mia volontà. Ero andata a vedere Ci sarà la neve a Natale? di Sandrine Veysset e avevo pianto da sola, al Nuovo Olimpia, un intero pomeriggio. Ho fatto un film e poi ho scritto un libro per fare i conti con la mia vita familiare: mia madre, ragazza bellissima, si è innamorata di mio padre ed è rimasta incinta quando aveva 18 anni. Lei studiava al Cabrini, mentre mio padre era al primo anno di ingegneria. Hanno fatto cinque figli in 12 anni, poi lui se n' è andato perché si è innamorato di un' altra donna, Giulia Mafai. Mia madre ha scoperto Kiko Argüello e i neocatecumenali, che sono diventati la sua nuova famiglia».
Fare l' attrice l' ha aiutata o, al contrario, l' ha obbligata sempre a guardarsi dentro?
«Ho intitolato il mio libro Nei panni di un altra perché sono ancora convinta che io la mia vita non l' ho vissuta veramente. Ho vissuto la parte di una parte di me. Se avessi voluto fare l' attrice, avrei studiato al Centro sperimentale perché appartenevo a una famiglia, e a una cultura, che se volevi far qualcosa, ti dovevi preparare. Per fare la restauratrice, infatti, mi stavo preparando, poi il destino ha deciso diversamente».
Anche per recitare si è dovuta preparare...
«All' inizio ho fatto un film dietro l' altro, finché ho incontrato Angelo Rizzoli e con lui ero determinatissima a una vita esclusivamente privata. La cosa pazzesca è che lui invece non voleva. Io non avevo forse capito che lui, a modo suo, era molto compiaciuto di avere una moglie brillante, poi aveva a cuore il mio benessere e ragionava per me: è stato un marito pigmalione, quasi un padre, pur avendo solo dieci anni più di me».
Era pronta a mollare tutto?
«Sì, non volevo più. È difficile spiegarlo: avrei voluto ricostruire la mia vita stando con lui, invece Angelo mi ha spinto a incontrare Franco Brusati, dopo che Maurizio Costanzo gli aveva mandato la sceneggiatura di Dimenticare Venezia. Nel corso del nostro primo incontro con Franco sono stata molto convincente e abbiamo cominciato a lavorare subito sul copione. In quel momento, non so dire se per ubbidire o compiacere, il mio cuore ha cominciato a battere di nuovo e da quel momento il mio lavoro è ripartito dalla costruzione del personaggio».
E da lì cosa è successo?
«L' apice in questo senso non è Borotalco di Carlo Verdone, ma è Nino Manfredi con Nudo di donna. Nino mi ha scelto per interpretare sua moglie pur avendo 30 anni più di me: era più grande di papà! Preparando con lui il film per quattro mesi, è come se avessi fatto tre anni di Centro sperimentale! Abbiamo lavorato sulle battute, sull' accento veneziano, sulla creazione del personaggio, sui suoi obiettivi, sulla sua psicologia, sull' azione delle scene...Fino ad allora avevo sempre costruito il personaggio d' istinto. La prima domanda che facevo a me stessa e poi al regista era: "Tacchi alti o tacchi bassi? Gonna o pantaloni? Capelli sciolti o raccolti?". I registi mi dicevano: "Ma che mi stai chiedendo?". Era la mia maniera primitiva, istintiva, di creare il personaggio. Ho avuto la fortuna di potermi infilare dentro i personaggi senza nemmeno la necessità di crearlo, vuoi perché non c' era la complessità, vuoi perché erano scritti su di me. Poi, in quell' anno, il 1981, è scoppiato il caso P2 che ha coinvolto Angelo...».
Proprio nel suo momento d' oro.
«In quel periodo ho fatto molte commedie di successo, che vanno ancora in onda in prima serata dopo 40 anni: Mani di velluto, Mia moglie è una strega, Borotalco, Grand Hotel Excelsior, Sapore di mare 2, fino a Compagni di scuola».
Il ruolo che ama di più nella sua carriera qual è?
«Nadia in Borotalco: è un personaggio femminile scritto come raramente accade in Italia. Lei non è un oggetto, è una protagonista, con un suo sviluppo: "E no! Anch' io c' ho diritto alla mia dimensione. E che te credi che io sto a casa coi ragazzini?". È una pennellata che racconta un' epoca, quella in cui noi ragazze siamo uscite di casa. Devo dire che sono riuscita a dare a Nadia, che potrebbe essere quasi petulante perché velleitaria, tutto quel candore intelligente che adoro: sono fiera di quel personaggio e sono molto affezionata a Borotalco. Pensavo fosse il gradino dal quale la mia carriera sarebbe decollata e invece, con il David di Donatello, il Nastro d' argento e il premio del festival di Montréal in braccio, mi hanno fermata. Non me ne sono nemmeno resa conto: ho rifiutato Fantastico 3, perché allora non si usava passare dal cinema alla televisione, e Io, Chiara e lo Scuro e sono andata in America per Gorky Park, che poi non ho fatto" ».
Ha tentato la carriera hollywoodiana?
«Qui ero la bionda, lì mi chiedevano se fossi italiana! L' America è stata un' oasi, di colpo non mi parlavano di Angelo... in Italia se vincevo un premio, era per lui, se facevo un film era per lui, se mangiavo era per lui! Poi ho sentito il bisogno di tornare e ho fatto qualche altro film. Dopo Compagni di scuola, in cui Verdone mi ha richiamato, ho deciso di smettere e sono andata a vivere in campagna, dove ho scoperto l' agricoltura biologica. Ho fatto il green prima di chiunque altro: ho progettato giardini e parchi, ho ristrutturato casali, ho studiato. C' è stato un periodo che giravo l' Italia per vivai...».
La televisione negli ultimi anni l' ha riproiettata nel mondo dello spettacolo...
«Mi piace partecipare ai programmi televisivi. La tv mi ha restituito la libertà di esprimermi. Nel cinema in un minuto devi essere concentrata per esprimere il massimo: bisogna avere un' attenzione al microdettaglio, che riguarda l' anima, l' espressione, tutto quello che stai facendo. E questo vale per l' intera troupe».
Non pensa quindi di tornare al cinema?
«Solo se mi arrivasse un ruolo da protagonista. Perché un attore fino ai suoi 80 anni può fare il protagonista, mentre le attrici arrivano a 60-62 anni e si sentono dire: "Che cosa ti faccio fare? La nonna? La zia? La madre sotto pasticche?". Spiegatemi, perché?»
Dagospia il 5 febbraio 2021.Da I Lunatici Radio2. Eleonora Giorgi è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte, dalla mezzanotte alle sei. L'attrice ha parlato un po' di se: "Che tipo ero quando andavo a scuola? Ero una tutta un po' malmostosa, ribelle, i miei quattordici anni sono il ‘68, io sono ai Parioli dove esplode Valle Giulia. Ero una ragazzina ribelle, molto carina, orientata a Londra, al futuro, a Londra, ai giovani. Era un'Italia ancora in bianco e nero, io ero ribelle, come molte ragazze della mia generazione. Il rapporto con la mia bellezza? Io nasco da una madre e da un padre bellissimi ed ho una sorella più piccola di me di tre anni che è insieme ad Ornella Muti la donna più bella di Roma. La mia bellezza è sempre stata relativa perché c'era la sua bellezza. Vinse il concorso 'I bimbi belli' senza partecipare. Lei era quella bella. Bionda platino naturale con le ciglia nere. Io credo di essere stata una ragazza carina, molto riservata, ero la tipica potenziale scrittrice intellettuale. A undici anni passavo il tempo a leggere e scrivere. Poi il vento dei tempi e l'adolescenza che è esplosa mi hanno resa molto diversa". Ancora Eleonora Giorgi: "In terza media avevo un ragazzino delizioso che si era innamorata di me e che ogni pomeriggio mi portava un regalino. Non l'ho mai premiato nemmeno con un bacio, perché mi piaceva il suo migliore amico. Era un'altra Roma, un'altra Italia. Io e mia sorella dopo pranzo avevamo un sacco di ragazzini sotto casa che venivano a salutarci. Degli ammiratori che ci invitavano a scendere, noi non potevamo". Sul rapporto con il fratello Lamberto Giorgi, iconico commentatore calcistico a Roma: "Lamberto ha la tribuna sportiva più antica in Italia, è molto amato a Roma, ha un grande candore, è molto colto. Con lui era un casino, era il cocco del nonno, era estremamente, primo conservatore, primo della classe al classico, aveva la media del 9. Io ero tutto il contrario, spesso litigavamo, lui se ne andava dal nonno". Sul suo primo amore: "A 14 anni ho incontrato il mio primo amore. Si chiamava Gabriele, ora è un noto cardiochirurgo. Il ragazzo della mia vita. Rimane il mio unico ragazzo fino a quando sono diventata la Lolita d'Italia. Paradossale, divento la Lolita d'Italia avendo avuto un solo ragazzo. Poi il cinema ha mandato la nostra storia in brandelli. Forse anche i tempi. Vent'anni prima due come noi si sarebbero sposati. Divento la Lolita d'Italia con 'Storia di una monaca di clausura', avevo la Taylor come vicina di camerino, a me sembrava di essere entrata in una favola". Sul primo successo: "Allo starter di partenza io non ero una aspirante attrice, mi preparavo all'istituto del restauro, non era proprio mia intenzione fare cinema. E questa mia bellezza era sempre fustigata dalla presenza di mia sorella, è stato un incidente di percorso, ho fatto delle foto da modella mentre studiavo, il cinema è stata una cosa che ho preso per scherzo, ma con grande diligenza, perché io sono sempre stata una prima della classe. Sono entrata a 19 anni in un mondo di super adulti, mentre giravo il primo film me ne hanno offerti altri tre. Il pubblico mi sceglie, io non so perché. Io dopo due mesi dal mio primo film ero sul set con la Muti di "Appassionata" e lì esplode il fenomeno "Lolita", perché c'era la ragazzina con i calzettoni che seduce il padre della sua migliore amica". Sui suoi problemi con la droga, raccontati in passato: "Non mi sono pentita di aver raccontato certe cose, anzi avrei dovuto farlo tanti decenni prima, avrei potuto aiutare molte persone. Però è cambiato il mondo, oggi è possibile parlarne, trent'anni fa era impossibile farlo, con quello che già dovevo affrontare, macchine del fango, impatti scandalistici, tutte le storie della mia vita, io cerco solo il silenzio, la mia vita è stata uno choc, la mia vita è stata un trauma. La ragione della droga attiene alla mia famiglia. I miei genitori si sono lasciati a 40 anni con cinque figli, a sedici anni, con i fratellini più piccoli, questa roba ti segna. Io ho un trauma che non è riparabile. Il successo che ho avuto mi ha portato solo a perdere Gabriele, il mio primo amore, che è la ragione che mi ha fatto finire in quel modo. Con tanto successo sul lavoro, ma rimasta sola, negli anni della scapigliatura romana, in cui ho conosciuto diversi personaggi che sono felice di aver conosciuto, tipo Schifano o Carmelo Bene. Io è come se fossi stata costretta a vivere una vita non mia. E infatti il mio libro si chiama "Nei panni di un'altra". Ho vissuto la vita di un'altra. Molto bella, molto interessante, ma la vera Eleonora vive solo negli affetti personali e con i figli". Sul rapporto con gli anni che passano: "Il nostro mondo ha allungato la vita, ma il fatto è che non si è allungata la vita, ma la vecchiaia. Io provo orrore per il decadimento, e non a finalità seduttive, non ho esitato nel momento in cui mi sono rivista impressionante perché il mio viso aveva acquistato una gravità che non c'entrava niente con il mio animo, mi sono detta che non avevo voglia di svegliarmi la mattina e vedere quella faccia che non era la mia. Così mi sono rifatta la faccia. Ho mantenuto piene di rughe tanto la bocca quanto gli occhi, non l'ho fatto per rendermi appetibile, l'ho fatto perché amo la bellezza e non sopporto la decadenza".
Da ilgazzettino.it il 2 novembre 2021. Nessuno potrebbe mai pensare che dietro ad un sorriso così bello, come quello di Eleonora Pedron, ci sia così tanta sofferenza. La bella showgirl, ex modella e Miss Italia 2002 nella sua vita ha sofferto molto. La perdita della sorella e del padre hanno segnato profondamente la sua vita e a Verissimo ha raccontato, con semplicità e coraggio, gli aspetti più bui della sua vita. «L'ho fatto per te» è il titolo del libro di Eleonora Pedron. Un racconto che è un vero e proprio pugno nello stomaco per i sentimenti, ma che vuole essere soprattutto un messaggio positivo e di speranza: ci si può rialzare nonostante il dolore dentro sia enorme. Eleonora ha perso la sorella Nives e il padre in due incidenti stradali, a distanza di anni e la sua vita è profondamente cambiata. «La vita mi ha tolto tanto, ma non posso lamentarmi perché mi ha dato anche tanto - racconta una Eleonora Pedron visibilmente in difficoltà a far riaffiorare determinati ricordi -. MI ha insegnato che dal dolore ci si può rialzare. Ovviamente resta la ferita, ma probabilmente è giusto così. È giusto che resti perché si possa ricordare l'amore che si è provato. La vita mi ha anche insegnato che non si può tornare indietro e, quindi, a godere della vita, dell'attimo. Io avevo solo 9 anni quando mia madre e mia sorella hanno avuto un incidente in auto. Entrambe sono state all'ospedale, poi mia madre è tornata a casa. Ero piccola, ma ricordo tutto. Facevo finta di niente, di non aver capito perché non volevo vedere i miei genitori tristi e ho sempre cercato di farli ridere. Poi la chiamata di quella notte. Io dormivo ma mi sono svegliata e ho sentito mio padre andare a rispondere. 'Nives è morta, non c'è più'. Ricordo le urla di mia madre, riusciva solo a dire il suo nome. Però la vita va avanti e nonostante il dolore di tutti, siamo andati avanti. Ora che sono madre penso che la perdita di un figlio sia la cosa peggiore che possa capitare, perché la vita va avanti, ma muori dentro. I miei genitori sono andati avanti per me e per Nicola, il fratellino che è arrivato anni dopo. E quando tutto sembrava aver ritrovato un suo equilibrio l'incidente del 13 maggio 2002 ci ha fatti ricadere nel baratro. Dovevo andare da sola a quel provino di Striscia la Notizia e invece mio padre voleva vivere tutto di me e si fece cambiare il turno a lavoro per accompagnarmi. Il provino andò bene e mi ricordo mio padre felice fuori ad aspettarmi. Durante il viaggio di ritorno dormivo e ricordo di essermi svegliata perché lui mi chiamava 'Eleonora, Eleonora'. Quelle urla mi rimbombano ancora nel mio cervello. Voleva assicurarsi che stessi bene, mi aveva protetto con il suo corpo e poco dopo è morto. E io nella mia testa trattengo l'eco della sua voce che mi chiama. Io sono stata forte, ma mia madre... ancora oggi a chi mi chiede chi vorrei essere, io rispondo mia madre. Lei è andata avanti per me e per mio fratello e dice che la sua vita, adesso, è un po' monotona, ma sa che lassù qualcuno la ama. Anche a me ha aiutato molto la fede. Io sono convinta che li rivedrò, che li abbraccerò di nuovo. Sennò la vita non avrebbe senso. Adesso ai miei figli sto leggendo il libro che ho scritto, perché tramite il racconto di cosa ho vissuto gli insegno cosa sia la vita. E loro adesso sono la ragione della mia vita!»
Elvira Serra per il "Corriere della Sera" il 16 ottobre 2021.
Suo fratello e sua madre lo hanno letto?
«No, vorrei che fosse una sorpresa per entrambi».
È preoccupata?
«No. Arrivi a un punto in cui hai voglia di mettere ordine nella tua vita e fare i conti con il passato. È stato un viaggio psicologico importante per me».
Eleonora Pedron ha appena scritto per Giunti L'ho fatto per te , in libreria da domani. È la storia della bambina di Borgoricco che si porta dentro. Quella che ancora oggi parla in dialetto veneto con la mamma Daniela. Quella che a 9 anni perse la sorella maggiore di sei, Nives, in un incidente d'auto: guidava la madre. Quella che a venti perse il padre Adriano: guidava lui, allora, ed Eleonora gli sedeva accanto. Stavano rientrando a casa, nel Padovano, da Cologno Monzese, dov' erano stati per un provino per fare la velina a Striscia la Notizia.
Lei si ruppe il bacino e la spalla sinistra, oltre al trauma cranico che le procura ancora adesso problemi di memoria. Lui entrò in coma e non si svegliò più. Era la fine di maggio del 2002. Quattro mesi dopo Eleonora diventò Miss Italia. Aveva scelto di partecipare per il papà. Ora ne parla perché sa che deve farlo. Non si sottrae a nessuna domanda. Si commuove spesso, un ricordo dopo l'altro. Gli occhi diventano rossi e lei ingoia le lacrime. Ammetterà soltanto alla fine di portare sempre con sé una maglia arancione appartenuta al padre, presa di nascosto quando, dopo anni, la madre decise di darne via gli abiti.
Sopra c'è scritto Miami, la città della Florida. «Io lo leggo "mi ami" - confesserà -. Ogni tanto l'annuso, anche se il suo odore non c'è più, ma io lo sento lo stesso».
Eleonora, ha mai provato senso di colpa per aver partecipato alla selezione delle Veline? «Non posso provare senso di colpa, doveva andare così. Mio padre era molto orgoglioso di me e so che quel viaggio è stato una cosa bella per lui e, nonostante tutto, anche per me».
E rabbia?
«Forse un po'. Non quanto mia madre. Ho accettato, trattenendo le cose dentro. L'ho fatto da quando ero piccola: non avevo chiesto io di crescere così in fretta. Forse provo rabbia a non poter pranzare tutti insieme la domenica. Provo rabbia al pensiero che i miei figli non abbiano potuto conoscere un nonno e una zia così speciali. Ma con la rabbia non si vive. Quando sono nati Inés e Leon ho avuto un messaggio chiaro dalla vita: loro mi hanno dato ancora più forza».
Quanto l'ha aiutata la fede?
«Tantissimo. Senza, non riuscirei a dare un senso a quello che è successo. Per forza devo avere fede e credere in Dio. So che un giorno qualcosa di bello accadrà e cancellerà tutto il resto: rivedrò mio padre e mia sorella e potremo di nuovo stare insieme. Anche adesso so che loro sono vicini a me».
Perché è rimasta a vivere a Monte Carlo, dopo la separazione da Max Biaggi, il padre dei suoi figli?
«Partiamo da prima. Riconosco che Miss Italia per me è stata una fuga: per un anno sono stata in giro con gli impegni di lavoro e questo mi ha molto sollevata, perché non riuscivo più a stare a Borgoricco dopo quello che era successo. Quando ho conosciuto Max lui viveva già a Monaco e per me in quel momento qualsiasi posto andava bene, purché non fosse il mio paese. Poi quando ci siamo lasciati ho preferito dare a Inés e Leon un po' di stabilità almeno in quello, senza fargli cambiare scuola o amici: loro sono nati a Monte Carlo. Con il padre ho un buon rapporto ed è importante, ma non posso dire che i bambini non abbiano sofferto: io ricordo tutto quello che è successo in casa dopo la morte di Nives, e avevo 9 anni».
Si rimprovera qualcosa, come mamma?
«Se potessi tornare indietro e cambiare qualcosa, forse darei più spazio a me stessa. Fin da piccola ho desiderato diventare mamma. E ho voluto avere due figli vicinissimi, a poco più di un anno l'uno dall'altra, senza nessuno che mi aiutasse per scelta. Ho lasciato il lavoro per occuparmi di loro, Max era sempre via. Forse non ero matura abbastanza. È stato troppo per me».
In cosa si riconosce nei suoi genitori?
«A mio padre devo l'autoironia, lui era sempre allegro. A mia madre la forza: è stata davvero bravissima».
Sta studiando psicologia. Perché?
«Per avere un piano B. Ho cominciato l'anno scorso dopo il primo lockdown con l'Unicusano. Mi piacerebbe lavorare con i bambini, in futuro. Ho la convinzione di poter essere utile, perché molte cose le ho vissute, credo che potrei capirli meglio di altri».
È contenta della sua carriera nel mondo dello spettacolo?
«Penso che mi abbia sfavorita non essere abbastanza ambiziosa, non avere le idee chiare. Adesso sono felice del programma su La7, Belli dentro Belli fuori , con Margherita De Bac. Mi fa sentire all'altezza, sto valorizzando il mio lato comico».
È fidanzata con Fabio Troiano. Vi sposerete?
«Ah, saperlo... Non lo so. Mi sembra sempre che mi manchi qualcosa. A volte mi dico che sono io sbagliata, sempre alla ricerca di qualcosa in più rispetto a quello che ho. Qualcosa che in fondo è già dentro di me».
Da liberoquotidiano.it il 18 dicembre 2021. Le conseguenze del matrimonio. Anche per Elettra Lamborghini, l'ereditiera e cantante convolata a nozze col deejay Afrojack, ormai più di un anno fa. E a parlare di queste conseguenze è direttamente la mitica Elettra, che si confida in un'intervista al settimanale Grazia, in cui spiega che dopo il "sì" il suo sex appeal sarebbe crollato. Già, non otterrebbe più le attenzioni di una volta..."Tesoro, non mi si fila più nessuno - ha spiegato senza troppi giri di parole -. Da quando sono sposata è finito tutto. Non rilascio più il feromone femminile. Prima ero tutta un ormone, la gente si girava a guardarmi anche se ero in pigiama. Rimango una femminona, ma mi notano di meno", sospira. Poi, però, ammette che è il suo stesso atteggiamento ad essere cambiato. "Mettiamola così: io li vedo che sognano ma non arrivano neppure a chiedere. Il body language serve tanto, con il corpo ti faccio capire che non c'è trippa per gatti". Insomma, in primis la scelta sarebbe sua. Nell'intervista a Grazia, Elettra Lamborghini ha parlato anche del successo che sta ottenendo con la musica, nonostante in molti sparlino di lei e la guardino dall'alto al basso: "Molti dicono che sono arrivata solo con il sedere, nel vero senso della parola", spiega riferendosi ai suoi celeberrimi twerking. "Ma non è così, io sono una che, se vuole quel premio, se lo va a prendere. Ho ricevuto tante porte in faccia, tanti no, ho passato giornate nere e poi però metabolizzo e risolvo i problemi da sola. Passo oltre. Per questo la mia musica è sempre allegra, perché io penso: Prima ascolti le canzoni tristi, poi arriva il giorno che ti torna l’allegria e vuoi ballare. E allora quel giorno troverai il beat di Elettra Lamborghini", conclude l'ereditiera.
· Elio (Stefano Belisari) e le Sorie Tese.
Elio: «Jannacci mi visitò in clinica e ho girato un film con Siffredi. La band? Non si è mai sciolta». Candida Morvillo su il Corriere della Sera il 5 Dicembre 2021. Il cantante: inventai il nome «Le Storie Tese» a Ingegneria. L’ultima sua follia: un libro sul baseball: «Uno sport che non si fila nessuno». Si è presentato sul palco di Sanremo travestito da prete, da astronauta, da nano. Al concertone del primo maggio, ha cantato senza preavviso i nomi dei politici sospettati di corruzione: era prima di Mani Pulite e la Rai sovrappose alla diretta un’intervista a Ricky Gianco. Ha girato un film con Rocco Siffredi. Ha messo in stand by le Storie Tese e il loro rock demenziale e ha portato in scena un’opera lirica. L’ultima follia di Elio, adesso, è un libro sul baseball: «Uno sport che non si fila nessuno e perciò una di quelle cose che piacciono a me, improbabili, con punte surreali». S’intitola Lo chiamavano Maesutori, è edito da Baldini+Castoldi, è uscito il 2 dicembre e racconta la storia del suo coautore Alessandro Maestri, unico italiano ad aver giocato nel campionato giapponese: «Fu preso in America o lo mandarono via senza che giocasse una sola partita in Premier League» racconta Elio, «ma poi ha giocato in Australia, in Corea e nella nostra Nazionale. La sua è la storia di una sconfitta che si trasforma in una vittoria».
Come arrivano per lei guantoni e mazza?
«A metà anni 70, abitavo alla periferia di Milano, ero ragazzo, stavo fuori casa tutto il giorno a giocare a pallone. Poi, un giorno, sono sceso e stavano facendo baseball. Fu una fase e finì presto. Quindi, nel 1988, Faso, il bassista delle Storie Tese, che odiava il calcio, propose di scegliere uno sport da fare con tutti gli amici. Abbiamo iniziato al Parco Lambro quando era pieno di tossicodipendenti. Coi guantoni da sci invece del guanto vero, coi bastoni al posto delle mazze. Poi, sono arrivati gli attrezzi giusti e ci siamo detti “andiamo in un campo”, ma per farlo dovevamo iscriverci al campionato e siamo stati obbligati a fare il campionato. Abbiamo perso il primo incontro 44 a 2. Abbiamo trovato un allenatore e, insomma, è nata la Ares, arrivata pure in A2, di cui sono ancora vicepresidente».
In cosa il baseball è una metafora della vita?
«Difficilmente vedi rivalità in campo: le risse non sono mai vere risse. È rimasto lo spirito di uno sport nato sui prati dei barbecue americani, come intrattenimento fra una salsiccia e l’altra. Gli allenatori fanno le interviste a bordo campo mentre si gioca. È uno sport che mi somiglia perché non si prende mai sul serio».
Lei è lanciatore, battitore, o ricevitore?
«Sono una schiappa, quindi: esterno, dove stanno i meno capaci. In una band, sarei quello che suona l’accompagnamento e non si vede, però si sente ed è importante».
Non era quello il suo ruolo dentro Elio e le Storie Tese.
«No, ma in realtà, da piccolo, sognavo di suonare senza essere visto».
I travestimenti servono a non essere visto?
«Sì, anche la scelta del nome finto. All’anagrafe, sarei Stefano Belisari. Però, ero a un bivio: o fare qualcosa nella vita o restare dietro le quinte. Ho scelto la seconda con grandissimo sforzo e ci ho preso gusto».
Primo travestimento?
«Da bambino, obbligato da mio padre a una gara canora in crociera. Sapevo tutte le canzoni dello Zecchino d’oro. Pure lì arrivai secondo».
Come al primo Sanremo, nel 1996, dove però si parlò di brogli e forse era primo.
«C’era stata un’indagine sulla classifica. Ci interrogarono e un investigatore mi confidò: avete vinto voi, ma non si può dire. Dopo anni, vedo Giorgia e mi fa: l’hanno detto anche a me».
La «Terra dei cachi» fu salutata come una geniale denuncia dei mali dell’Italia.
«Noi non volevamo andarci, non c’entravamo col festival, ma le pressioni erano tante, Pippo Baudo, i discografici... Ci siamo detti: andiamoci come in gita e facciamo una porcheria, come piace a noi. Nella testa di noi pazzi, quella era l’imitazione fatta male di una canzone impegnata, che però tanto impegnata non può essere, trattandosi del festival delle canzonette. Scriviamo una marcetta, per noi il peggio possibile, e un elenco pedante di luoghi comuni sull’Italia, con giochi di parole davvero stupidi. Però la prima sera, dopo l’intro su “parcheggi abusivi... villette abusive”, quando parte “Italia sì Italia no”, le signore in prima fila iniziano a battere il tempo e io penso: ahia, qualcosa è andato storto».
Lei che infanzia ha avuto?
«Mamma era casalinga, papà lavorava con gli elettrodomestici. Io sentivo sempre i 45 giri. Per fortuna, in casa, c’erano bei dischi, i Beatles, Enzo Jannacci, che aveva fatto il Liceo Berchet con mio padre, il quale mi raccontava sempre del compagno diventato grande cantante».
Fu quell’esempio a ispirarla?
«Credo di sì, col senno di poi».
Anche Jannacci era maestro di nonsense.
«Era un genio e non ha avuto nessuno a cui ispirarsi. Dal 15 dicembre, faccio un tour dedicato a lui, Ci vuole orecchio, inizio a Forlì».
L’ha mai conosciuto?
«Nell’ospedale dove venni operato di appendicite a 12 anni. Faceva il medico lì, mi visitò, ma dormivo».
L’incontro con la musica?
«In quarta elementare, ci chiesero chi si volesse iscrivere alla Scuola Civica, io sono saltato in piedi: avevo proprio voglia. Mi assegnarono il flauto, mi sono diplomato. Avrei preferito il piano, ma alla fine il flauto è meno ingombrante: quelli col contrabbasso o le tastiere mi guardano sempre con invidia».
Al liceo, fonda Elio e le Storie Tese.
«Mi estromisero da una band e mi arrabbiai così tanto che mi dissi: faccio il mio gruppo».
Il nome come nasce?
«Arriva dopo. Lo inventai con un compagno di Ingegneria, cercando un nome orrendo».
Perché una laurea in Ingegneria?
«Gli ingegneri sono menti aperte, hanno fatto tutto ciò che vede attorno a noi. E io non avevo la percezione che la musica potesse essere altro che un modo per stare con gli amici, sfogare le mie attitudini. Mi sono licenziato da impiegato della rete interbancaria solo col secondo disco».
Com’era andare in giro con le Storie Tese in quei primi tempi?
«Ci inventavamo finte risse sul palco e la gente ci credeva subito. Una volta, a Belluno, la rissa si trasformò in un riso convulso da cui non uscivamo più, piegati per terra, abbracciati uno sull’altro, tutti che ridevano. C’era ancora Feiez: la mia storia nella musica ha ricordi belli e brutti».
Feiez morì sul palco, il 23 dicembre 1998.
«Una persona cara che muore davanti a te è un grandissimo choc».
Come cambiò la sua idea della morte?
«Non la cambiò: una delle mie fortune è che, dai 15 o 16 anni, ho ben presente che la morte esiste e questo è il motivo per cui ho fatto tante cose che sembrano strane».
Che le è successo a 15 anni?
«Credo di essere stato una delle prime vittime di attacchi di panico quando nessuno sapeva cosa fossero. Pensavano che avessi mal di cuore o altri mali gravi. Mi sono detto: o muoio o vivo in modo degno. Per fortuna, non sono morto».
Giorgia ha raccontato che vi trovò in uno studio di registrazione nel mezzo di una sparatoria con pistole giocattolo. Eravate sempre così?
«Non è che eravamo così: lo siamo ancora».
Non vi siete sciolti nel 2018?
«Non ci siamo sciolti, ci vediamo sempre, la differenza è che non facciamo più live o dischi, fino a nuovo ordine. Adesso abbiamo ripreso Cordialmente su Radio Deejay, con Linus. Non volevamo che il gruppo diventasse un lavoro impiegatizio in cui devi creare solo perché bisogna campare. Poi, chiaro: l’arte si lega anche al guadagno. Anzi, ci terrei se mi facesse ricordare che, in questo Paese, moltissimi campano di cultura, che è anche tv, musica, cinema, comicità. Ci tengo perché non ho mai digerito quel ministro che disse “di cultura non si mangia”».
Il primo album aveva un titolo impronunciabile.
«Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu. Erano parolacce in cingalese. Avevamo un successo incredibile ovunque suonassimo, ma per dieci anni nessuno aveva voluto farci fare un disco. Anche quello lo rifiutarono tutti, anche insultandoci, tranne la Cbs».
C’era dentro anche una canzone sul pornoattore John Holmes.
«L’appassionato di porno è Rocco Tanica. Sul tema, è un’enciclopedia. Attraverso di lui, per un po’, ci siamo tutti appassionati alle trame hard».
La trama non è l’elemento forte del porno.
«Infatti, ma avendo sempre obiettivi futili volevamo trattare il genere come se fosse cinema serio. Forti del successo della Terra dei Cachi, invece di monetizzare come tutti, noi cialtroni che non avevamo un disco pronto abbiamo fatto pure un porno con Rocco Siffredi. Ponemmo come condizione che non ci saremmo tolti neanche una calza. La scena più bella non è stata ripresa: ce la stavamo svignando alla chetichella da un’orgia; Rocco, che stava lavorando con un’attrice, la solleva, l’appoggia per terra, e viene a salutarci. Nudo. Perché è un gentiluomo».
Come vi venne in mente di fare i nomi dei politici in odore di corruzione al Concertone 1991?
«Fa parte della voglia di fare cose mai osate. I colleghi già vivevano quel palco come una promozione del disco, noi pensavamo che andasse fatto altro. Alla prova generale, davanti al funzionario che vigilava, facemmo una canzone normale, ma in diretta, attaccammo un rap coi nomi dei politici indagati dalle commissioni parlamentari d’inchiesta e, guarda caso, archiviati. Ci oscurarono mentre i tecnici ci trascinavano via dal palco».
Della sua vita privata si sa poco, solo che ha una compagna e due gemelli di 12 anni.
«Ma non ne parlo. Se no, in un attimo, si arriva all’autismo di mio figlio, che non possono essere due righe in un’intervista. Su questo, voglio fare qualcosa che porti effetti in un campo dove c’è da costruire tutto».
Ha fatto «Mai dire gol», «Parla con me», «X Factor», da gennaio sarà giudice a «Italia’s Got Talent». Cos’è la tv per lei?
«Divertimento ed esercizio di curiosità».
Quante cure richiedono le sue celebri sopracciglia folte?
«Tante. Sono assicurate per un milione».
Ha mai pensato al suo epitaffio?
«Certo: cretino e fiero di esserlo».
Fabrizio Biasin per "Libero quotidiano" l'1 aprile 2021. Buondì Elio (Stefano Belisari), è la seconda volta che ti intervisto ma tu non te lo ricordi. Elio, pseudonimo di Stefano Belisari, ha fondato gli «Elio e le Storie Tese» nel 1980 «Certo che me lo ricordo, a Sanremo».
Fu il Sanremo del vostro addio, "vostro" inteso delle Storie Tese. Era il 2018, poi vi siete sciolti...
«Non è vero, abbiamo smesso, è diverso».
In che senso.
«Nel senso che siamo ancora gli Elio e le Storie Tese, siamo amici, stiamo insieme, ma a un certo punto abbiamo pensato che non avevamo altro da dire. Ora, dopo un anno di pandemia, ci siamo un po' rotti le balle...».
Tornate a suonare?
«Stiamo valutando, ma solo se ci sarà qualche "cazzata" da fare per cui ne valga la pena. Del resto, guarda a che punto siamo arrivati...».
A che punto?
«Al punto che oggi, per esempio, i nostri primi album verrebbero massacrati dai perbenisti, i social non perdonano».
In effetti con versi come Eccoti la pelliccia, eccoti l'utero le femministe insorgerebbero.
«Ma non solo. Anche all'epoca c'era chi ci attaccava, poi per fortuna le persone senzienti capivano che il nostro "andare all'estremo" aveva esattamente lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica su certi temi. Per Omosessualità, nel 1997, fummo premiati dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli per mano dell'allora poco conosciuta Vladimir Luxuria. Oggi però sarebbe tutto molto più complicato... Vuoi conoscere la mia teoria sui social?».
Ecccccerto.
«Internet è nato come uno strumento di libertà, ma sta facendo esattamente l'opposto. Dà voce a chi urla di più. E chi urla di più, nella mia esperienza, non corrisponde mai a chi dice la cosa più intelligente. Io, pur essendo paladino della libertà assoluta, sono convinto che internet andrebbe regolamentato, esattamente come il traffico. Cioè, non è che siccome viviamo in un Paese libero allora uno può andare contromano».
Sui social vanno quasi tutti contromano!
«Sì ma non chiamiamola trasgressione. Oggigiorno il massimo della trasgressione è diventato "parlare italiano corretto", seguito a ruota da "sposarsi" e "stare insieme 40 anni". Quella sì che è una roba per pochissimi...».
Ora diranno che sei un matusa.
«Fosse solo quello. L'altro giorno ho esternato una cosa che mi sembrava sacrosanta: "Vaccinate i bambini autistici, aiutate loro e le loro famiglie che in Italia sono migliaia e migliaia". Sai cosa mi hanno scritto?».
Di tutto.
«I no vax mi hanno attaccato: "Anche tu sul carrozzone dei vaccini!". Altri erano furibondi: "È il vaccino che genera l'autismo!". Altri ancora si sono indignati: "Parli di bambini con l'autismo e escludi il resto dei disabili!". Ma il motivo è semplice: tratto solo la materia che conosco».
Hai un figlio autistico...
«Sì, ha 11 anni. Ma io, credimi, non lo faccio per me, noi in famiglia ce la caviamo bene. La mia esperienza mi ha portato a conoscere decine di migliaia di drammi veri, non Corona che fa lo sciopero della fame, gente che ha la vita distrutta, paralizzata per colpa di uno Sato che non fa niente se non propaganda il 2 aprile».
Cosa succede il 2 aprile?
«È la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull'Autismo, ho interpretato Heroes per il cortometraggio tutto italiano Lo specchio di Lorenzo che andrà in onda domani su Rai Yoyo con musiche di Rocco Tanica e Diego Maggi. Ecco, è una giornata importante, ma temo che si possa trasformare nel solito appuntamento inutile».
E perché mai?
«So come vanno certe cose. Finirà con quelli che hanno il mio problema che parleranno di quanto la loro vita stia andando male con quelli che hanno il mio problema. Un bel circolino condito da politici che vengono a sciacquarsi un po' la coscienza. Poi, il 3 aprile, si ricomincia da zero».
Siete a zero?
«Fai tu. In Italia non esiste neanche un censimento dei ragazzi con l'autismo. Il massimo che fanno in parlamento è parlare di Pet Therapy. Sai di cosa si tratta?».
Gli animali che...
«...te lo dico io. I politici - ma non solo loro, tutti quanti - credono che "aiutare" significhi isolare i bimbi e lasciare che la famiglia, come dire, respiri. Ma quello non è aiutarci, significa non aver capito niente. I bambini autistici possono "imparare a vivere", a parlare, ma per farlo devono essere seguiti appena il problema si manifesta e da chi ha competenze specifiche attraverso la "terapia comportamentale". Non dai diplomati dell'Isef...».
Dell'Isef?
«Ci sono famiglie che dopo lotte indicibili riescono ad avere un qualche tipo di sostegno. Ecco, nel 99% dei casi si traduce in un neo laureato nelle materie più disparate e senza alcuna competenza. Gli portano il té, li accompagnano... Meglio di niente, ma così non li stai aiutando, li condanni a una non-vita. Ti racconto come è andata a me».
Prego
«Ci siamo presentati davanti alla Commissione che doveva stabilire se mio figlio fosse o non fosse autistico. Sai da chi era presieduta? Da un otorino. Ma cosa cazzo ne sa un otorino! Mi vergogno a dirlo, ma mi sono incazzato come una bestia, mi sono messo a urlare».
Beh, posso immaginare.
«Dopo un anno mi hanno risposto e ora, attraverso sforzi disumani - perché otto ore di riabilitazione al giorno sono tante, credimi - mio figlio parla, ha degli amici, va a scuola. Ma per ogni "successo" ci sono migliaia di bambini che vengono lasciati senza sostegno, abbandonati. È lacerante...».
La terra dei cachi...
«Quando ho scritto La terra dei cachi vivevo come un cazzone, parlavo dei limiti di un'Italia dove il dramma si accompagna sempre a qualcosa di comico, di grottesco, perché è così. Poi mi ci sono ritrovato e ora sento storie che vanno "oltre". L'80% delle coppie con un figlio autistico si separa, non regge, sono numeri certificati. Oppure ci sono i genitori che scappano, spariscono letteralmente per non affrontare la malattia. Altri si suicidano e, ti prego di credermi, sono tanti. Infine ci sono quelli che si rassegnano, scelgono di "negare" il problema».
"Negare" nel senso di far finta di niente?
«Mi è capitato di chiedere ad alcuni genitori "come va con tuo figlio?". Ti rispondono "bene". E tu gli dici "ma non parla...". Ti rispondono "beh, parlerà...". Lo Stato non aiuta ad affrontare l'ostacolo? Allora meglio far finta che non esista. Poi un giorno i genitori muoiono e i figli restano da soli. Abbandonati e senza strumenti. È anche per quello che pretendo i vaccini: se spariscono i genitori, spariscono anche i figli».
Servirebbe un Supereroe. Chi è Supergiovane oggi?
«Non esiste. Speriamo lo diventi Draghi, ma anche lui dovrà fare i conti con le “divisioni”, quella cosa che ti obbliga ad accontentare uno, ma anche l’altro. E così è impossibile far vincere la competenza».
...Del resto siamo circondati da Vitelli dai piedi di balsa, inventori di storie false.
«Beh, è l’era delle fake news. Se vai a vedere hanno sempre come obiettivo un vantaggio personale. È il vero problema dell’Italia: il bene personale viene messo davanti al bene collettivo».
Hai scritto C’è solo l’Inter...
«Non ho mai scritto una canzone d’amore per una donna, ma per l’Inter sì...».
Posso chiuderel’intervista conForza Panino e chi capisce, capisce?
«Certo che puoi».
Forza Panino...
· Elisa Isoardi.
Da today.it il 22 novembre 2021. Ospite di Mara Venier a Domenica In, Elisa Isoardi è tornata in tv dopo una lunga e forzata assenza. Dopo aver partecipato in qualità di concorrente a Ballando con le stelle e all'Isola dei Famosi, Isoardi non ha più trovato spazio in onda, commuovendosi al cospetto di Mara nel confessare quanto amerebbe riavere un programma tutto suo. "Mi piacerebbe tornare a condurre perché è quello che so fare. Grazie per tutto quello che mi ha dato la Rai. Ritornare qui in Rai è un po’ come avere una pacca sulla spalla”, ha rivelato Elisa, prima di tornare sulla sua chiacchierata storia d'amore con Matteo Salvini. Un rapporto durato quasi 5 anni, che Isoardi non ha ancora del tutto dimenticato. "Nostalgia? Di quei tempi sì, dell'amore sì. Ricordo le cose belle. Quando si parla di lui mi brillano gli occhi". Parole che hanno suscitato clamore sui social, con Elisa che ha candidamente ricordato come fossero "due persone che si amavano. Lo ricordo con affetto e sorriso. Rifarei tutte le scelte d'amore che ho fatto. Ho amato e ho sofferto tanto, ma sono stata anche amata". Nei mesi scorsi si è parlato di un presunto ritorno di fiamma tra Isoardi e l'imprenditore Alessandro Di Paolo, mentre Salvini ha da tempo dimenticato Elisa con la 29enne Francesca Verdini, figlia di Denis. L'ultima trasmissione Rai condotta da Elisa è stata La prova del cuoco, chiusa nel 2020. Lo scorso anno si era vociferato di un suo possibile approdo a Mediaset, una volta conclusa l'Isola dei Famosi, ma alla fine non se n'è fatto niente.
Da ilsussidiario.net il 22 novembre 2021. Elisa Isoardi ha ammesso di aver amato molto. “Rifarei tutte le scelte che ho fatto, tutte”, ha svelato, parlando anche delle scelte amorose. Il riferimento è stato subito a Matteo Salvini: “Sì, ho amato profondamente, ma sono anche stata amata tantissimo. Ho pagato abbastanza”, ha svelato. Con Matteo Salvini sono stati per cinque anni. Elisa ha vissuto la crescita professionale e politica di Salvini, “ma io mi sono innamorata dell’uomo”, ha ammesso la conduttrice. “Prima ero più ingenua e tante volte., tante persone non vere possono aver minato il nostro rapporto”, ha aggiunto, “Eravamo due persone che si amavano con tante cose in mezzo ma lo ricordo con tanto affetto e con il sorriso”. La Isoardi ha ammesso di provare ancora nostalgia per quei tempi vissuti: “Quando parli di Matteo mi si illuminano gli occhi”, ha proseguito. Adesso c’è qualcun altro? “Adesso no!”, ha dichiarato.
Da "Oggi" il 4 marzo 2021. «Il mio non sarà affatto un naufragio, tenterò di seminare le radici di una nuova vita. La mia sarà l’Isola della rinascita», annuncia Elisa Isoardi a Oggi, in edicola da domani, mentre è in partenza come concorrente all’«Isola dei famosi». «L’unico problema potrebbe essere la fame, sono una buona forchetta, ma mi sto preparando psicologicamente anche a quello», racconta ancora la Isoardi a Oggi. Gira voce che la vedremo al timone di Mattino 5 weekend e lei risponde: «Mediaset si sta dimostrando una bellissima scoperta… Certo, anch’io spero che la nuova esperienza prosegua e che magari ci si riveda su un loro canale. Vedremo». Elisa non rinnega nulla del passato. Ringrazia la Rai e parla bene anche del suo ex, Matteo Salvini: «Alla Rai devo tutto, mi ha formata e forgiata. Non sono andata via male… Con Salvini siamo rimasti in buoni rapporti, quando capita ci si scambia un messaggio ma niente di più. Ho svoltato, e dopo i tre anni che mi sono serviti a metabolizzare l’addio, sto bene, mi sento pronta a un nuovo amore… In queste settimane, per la prima volta, grazie a un mio amico diventato papà ho avvertito un nuovo desiderio: ho proprio avvertito per la prima volta il desiderio di maternità».
Mattia Buonocore per "davidemaggio.it" il 25 febbraio 2021. Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Immaginate che il battito di ali di quella farfalla sia il tuffo di Elisa Isoardi nel mare hondureño capace di provocare un vero e proprio uragano a migliaia di chilometri di distanza, precisamente a Cologno Monzese. Andiamo con ordine. Diciamoci la verità: Elisa Isoardi non ha bisogno de L’Isola dei Famosi. E’ vero, dopo anni, ha perso il suo posto fisso in Rai ma da Ballando con le stelle ne è uscita bene e, con il bagaglio di notorietà pregresso, poteva concedersi il lusso di rimanere un po’ in panchina in attesa dell’occasione giusta. Spirito d’avventura e opportunità di vita sono motivazioni valide per tramutarla in naufraga ma probabilmente non in grado di far quadrare completamente il cerchio. Era quasi scontato, dunque, che dietro il ‘naufragio’ catodico di Elisa Isoardi si nascondesse ben altro. Ma quale importante offerta di Mediaset avrebbe così ingolosito la conduttrice piemontese? Ve lo sveliamo noi. Per Elisa Isoardi ci sarebbe sul piatto un ambizioso slot di Canale 5. Niente di definito e definitivo, sia chiaro, ma per la prossima stagione l’ultima padrona di casa de La Prova del Cuoco potrebbe accasarsi alla domenica pomeriggio. Sì in quello che per anni è stato il regno incontrastato di Barbara D’Urso. La fine del monopolio del dì festivo fa parte di quel piano progressivo di “ridimensionamento” dello strapotere d’ursiano – di cui vi parliamo (nonostante le smentite, guarda un po’, proprio di Signorini!) dalla scorsa primavera – iniziato col rinvio perpetuo di Grande Fratello e proseguito con la chiusura anticipata di Live – Non è la D’Urso. Ben ha scritto Dagospia sulle ragioni della chiusura, voluta dai piani alti e non frutto di una guerra tra Lucio Presta e l’agente di Barbara Marco Durante, come riportato da La Stampa. Ma volete che Presta non gioisca per il ridimensionamento di una storica nemica e non cerchi di approfittarne per dare lustro ad una sua assistita come Elisa Isoardi? Chiaramente i giochi per la domenica pomeriggio e per prossima stagione in generale sono ancora aperti, ma di sicuro i riflettori per Elisa Isoardi si accenderanno dall’altra parte della barricata. Chissà se, a questo punto, anche Matteo Salvini non twitti come Zingaretti a favore di Barbara D’Urso…
Chiara Maffioletti per "corriere.it" il 25 febbraio 2021. Sa di non essersi posta sempre nel modo più dolce possibile, Elisa Isoardi. «Spesso sono stata proprio scostante, anzi. Ma quando ti devi difendere, all’inizio lo fai un po’ come puoi. Con gli anni impari a dare un nome alle emozioni e a gestirle in modo differente, ad ammorbidirti un po’», ammette con disarmante franchezza. A giorni partirà per «L’Isola dei famosi» (al via il 15 marzo su Canale 5) e per prepararsi è tornata nel paesino dove è nata, Monterosso Grana: 500 abitanti sulle montagne piemontesi. Un posto da cui è scappata a 16 anni per poi tornarci ogni volta che le è possibile. E che, forse meglio di tanti discorsi, racconta chi è. «Da piccola per me i giochi erano andare al fiume o saltare nel fieno. Stavo sempre all’aria aperta... tutte cose che spero mi torneranno utili ora. Sto passando la quarantena prima della partenza dai miei: mi sveglio con il sole e vado a letto quando tramonta, vivo al ritmo della natura».
Quando ha capito di voler andar via dal paesino?
«Da bambina sognavo di fare l’insegnante ma poi, crescendo, questo posto ha iniziato a starmi stretto. Così, a 16 anni, anche grazie a mia mamma che mi ha sostenuta, ho fatto il fugone verso Roma. Avevo bisogno di vincere la mia timidezza, il mio desiderio era fare teatro per questo».
E ci è riuscita?
«Fare teatro mi è servito tanto ma di certo è una sfida quotidiana. A scuola non riuscivo a leggere ad alta voce, quindi diciamo che sì, ho dovuto tirare fuori la parte bella del mio carattere. Ma non sempre ci riesci, specie all’inizio, quando a vent’anni hai voglia di dimostrare chi sei e invece ti trovi di fronte a cose che magari non ti piacciono tanto».
Torna spesso questa sua necessità di difendersi: ne ha avuto così tanto bisogno?
«Sono una guerriera, probabilmente essere molto osservati è il destino di persone che hanno un impatto mediatico abbastanza forte. Ma il tempo insegna e spesso dà ragione e io spero in futuro di ricordare con un sorriso le cose che non sono state semplici da gestire».
All’inizio della sua carriera non tutti hanno messo i festoni: si parlava di lei come una delle «predilette» dell’allora direttore di Rai1 Del Noce.
«Ecco, se quello era un problema ora lo guardo con tenerezza: oltre ad avere un bellissimo rapporto con le colleghe abbiamo tutte dimostrato di aver preso la nostra strada. Di fatto il direttore aveva dato vita a una nuova generazione di conduttrici. Una scelta vincente».
C’è poi il capitolo legato alla sua relazione con Matteo Salvini.
«Ho imparato anche da quella storia, nonostante tutta l’attenzione mediatica che c’era. Se le persone mi trattassero diversamente quando ero la sua fidanzata, io non l’ho avvertito... probabilmente lo avranno fatto e sono io che sono tonta. Di certo però, andavo dritto per la mia strada e quello che facevo avevo continuato a fare. Non è che ho condotto improvvisamente Sanremo perché stavo con lui».
Tornasse indietro cambierebbe qualcosa?
«Siamo chi siamo anche per tutti i piccoli errori che abbiamo commesso. Quindi no, in generale rifarei tutto, magari con più dolcezza e gentilezza. Sull’Isola voglio far uscire la parte più bella di me, me lo merito anche io. Ma allo stesso tempo voglio portare un po’ di mio fratello».
In che senso?
«Mio fratello si chiama Domenico e ha sette anni più di me. Lui vive da eremita, in montagna, in una casa senza tv e senza gas, si scalda con la legna. Io sono più simile a mia mamma, lui a mio papà, con questo tratto aspro e duro del carattere di chi vive in montagna. Persone grintose, che lavorano sodo. Io e lui appartenevamo a due mondi all’opposto ma questa esperienza ci sta riavvicinando, poco a poco: mi sta insegnando diverse cose pratiche, come accendere un fuoco o pescare. Per lui il fatto che fossi famosa è sempre stato ininfluente ma in questi giorni che mi è venuto a trovare mi ha detto, parlando dell’Isola: non vedo mai niente ma questa roba qua la guarderò».
Non ha pensato che partecipare a un reality potesse essere visto come un momento non facile della sua carriera?
«No. La chiave è trasformare un’opportunità di lavoro in un’opportunità di vita. Era già successo con Ballando, dove avevo fatto conoscere qualcosa in più di me e sono certa succederà ora con l’Isola. Credo nel fato e questo era il momento giusto: ho bisogno di un reset e di cambiare aria. In Rai sono stati diciotto anni bellissimi, sono stata molto bene e per me è stato come fare l’Università. Ora ho bisogno di continuare a far battere il cuore per questo mestiere».
Quindi con la Rai è un capitolo chiuso?
«Come dico sempre ai miei autori, ragioniamo su un blocco per volta. Voglio farmi sorprendere e andrò dove sentirò che è giusto andare».
Verissimo, "Salvini? Non importa...". Elisa Isoardi si commuove in studio dalla Toffanin. Libero Quotidiano il 22 gennaio 2021. “È stata la storia più importante della mia vita”: Elisa Isoardi ha definito così la sua relazione con Matteo Salvini durante l’intervista a Verissimo, nel salotto di Silvia Toffanin. La conduttrice ha spiegato che si è trattato di un grande amore: “Ho sofferto. Non importa chi ha lasciato chi…Quando si ama tanto si soffre tanto”. La Isoardi, però, ha detto anche che - nonostante tutto – le è rimasto un bel ricordo del suo ex. L’ospite della Toffanin, poi, ha voluto spiegare anche il selfie che lei stessa pubblicò su Instagram dopo la fine della storia con Salvini. Il selfie, che ritraeva la Isoardi e l’ex ministro a letto insieme, all’epoca fece scandalo: “Per me era una foto d’amore con una frase d’amore. Non lo trovo per niente volgare e assurdo”. Parlando del suo lavoro, poi, la conduttrice ha ammesso di sentirsi pronta per nuove avventure dopo il trionfo a Ballando con le stelle e l’esperienza a La prova del cuoco.
Elisa Isoardi si racconta: "Ho impiegato 3 anni per metabolizzare la fine della storia con Salvini". Ospite nel salotto di Verissimo, Elisa Isoardi parla della storia d'amore con Matteo Salvini. Per gli errori commessi? Si prende tutte le colpe. Carlo Lanna, Venerdì 22/01/2021 su Il Giornale. Per Elisa Isoardi questo è un momento di riscatto e, soprattutto, di rinascita. Lontano dalla conduzione de La Prova del cuoco, quest’inverno è stata una delle aspiranti ballerine di Ballando con stelle, dance show di Rai Uno, in cui ha fatto coppia con Todaro. Al di là dei gossip di una presunta relazione tra i due, per Elisa Isoardi tornare in tv e sotto i riflettori ha significato molto. È come se fosse rinata dopo quella relazione con Matteo Salvini che ha radicalmente cambiato la sua esistenza. E ora, nella puntata di Verissimo che andrà in onda sabato 24 gennaio su Canale 5, la Isoardi si confessa a cuore aperto, rivelando dettagli sulla sua vita sentimentale e lavorativa. In merito alla conduzione del programma di Rai Uno è molto dura con se stessa. "Non ero in forma, è stato un periodo difficile perché con Matteo c’eravamo lasciati – esordisce -. Ho provato tante volte in questo lavoro a indossare una maschera ma non ce la faccio. Da un lato è bello perché il pubblico ti vede trasparente, dall’altro è disastroso perché qualsiasi cosa tu abbia si vede". E tornando a parlare della relazione con il leader della Lega, Elisa Isoardi ha ammesso di aver sofferto molto. "Non importa chi ha lasciato o chi sia stato lasciato, è sempre un fallimento. Con Matteo sono stati cinque anni d’amore bellissimi –ammette - Lo l’ho amato tantissimo, è stata la storia più importante della mia vita e la porterò sempre nel cuore. Adesso ho solo ricordi belli, ma ci sono voluti tre anni per metabolizzare". Nel salotto di Silvia Toffanin si alza il velo anche su quel selfie tra i due che ha fatto tanto scalpore, quanto è stato pubblicato sui social. "Uno paga per le scelte d’amore, ma anche per quelle di libertà. Ognuno deve fare ciò che si sente – aggiunge-. Per me era una foto d’amore con una frase d’amore. Non lo trovo per niente volgare e assurdo. Mi prendo le mie colpe". Inoltre resta positiva se pensa al lavoro e sulla possibilità di incontrare un nuovo amore. "Sono felice per lui e che abbia metabolizzato più velocemente di me. Oggi il mio cuore è pronto a ricevere, ma al momento non c’è nessuno – confessa -. Mi piacerebbe diventare mamma”. E sul futuro in Rai: “Ricomincio da me, da chi mi sa più apprezzare. Sono pronta ad accogliere anche in questo senso. Sono stati diciotto anni bellissimi e dico grazie. Adesso sono pronta a tante cose".
· Elisabetta Canalis.
Da corrieredellosport.it il 18 novembre 2021. Elisabetta Canalis, in una delle ultime storie Instagram, riprende una anziana signora alla guida, che chiacchiera amabilmente. Basta leggere il messaggio scritto in sovrimpressione per capire di più: si tratta della suocera della showgirl italiana, 93 anni e una tempra formidabile.
Questo il messaggio integrale scritto dalla Canalis: "Mia suocera ha 93 anni, si è presa 2 volte il Covid, ha partorito 12 figli, guida, si allena con un personal trainer e mi sta raccontando del suo boyfriend dell'high school". Elisabetta aggiunge alla fine anche la parola "autostima" con il simbolo della manina che saluta, come a dire "addio".
Elisabetta Canalis, George Clooney fuori controllo: "Non sapete cosa mi faceva", la confessione e la dura replica. Libero Quotidiano l'1 settembre 2021. "Elisabetta Canalis non la conoscete, non sapete cosa mi faceva: lei è stata in assoluto la donna che mi ha fatto ridere di più nel corso della mia vita". Queste le parole di George Clooney, qualche settimana fa, sulla sua ex fidanzata. Dichiarazioni alle quali Elisabettala Canalis ha voluto replicare nel corso della prima puntata di Vite da copertina, il nuovo programma che la showgirl conduce su Tv 8 da oggi, mercoledì 1 settembre. La showgirl a relazione con Clooney è sempre stata piuttosto giocosa e spensierata ma ha precisato che l’attore è decisamente più “pazzerello” di lei. “George è una persona molto divertente, adora fare gli scherzi. Faceva tanti gavettoni ai paparazzi. Di quel periodo ho un ricordo bello ma è stato stressante. Per me non è stato facile gestire la stampa internazionale e quella storia mi ha insegnato ad essere più paziente”. George Clooney e Elisabetta Canalis si sono amati dal 2009 al 2011. Ad oggi restano avvolti nel mistero i motivi della rottura tra i due. Dopo l’addio alla Canalis Clooney ha amato per un breve periodo la modella Stacey Keibler. Subito dopo ha incontrato la donna giusta: Amal Alamuddin. George è convolato a nozze nel 2014 e da Amal ha avuto i gemelli Ella e Alexander. Pure Elisabetta Canalis ha conosciuto l’uomo della sua vita: il medico ortopedico Brian Perri, che nel 2015 l’ha resa mamma della piccola Skyler Eva. Per amore del compagno la Canalis è rimasta a vivere negli Stati Uniti, a Los Angeles, ma la coppia si trasferirà in Italia non appena Perri smetterà di lavorare.
Adriana Marmiroli per “La Stampa” l'1 settembre 2021. Elisabetta Canalis è stata la velina forse più amata dagli italiani. La fidanzata molto paparazzata di Bobo Vieri e George Clooney. Una delle prede preferite dei magazine di gossip. Per un po' conduttrice (Sanremo 2011 e 2012, Zelig, Controcampo, Festivalbar) ma anche attrice (Love Bugs, un paio di cinepanettoni). Ma sempre con un certo distacco, quasi non ci credesse del tutto. Sparita dai radar della tv e del gossip, si è trasferita negli States, moglie di un medico e mamma di una bambina, Skyker Eva, che ora ha 6 anni. Pian piano, la velina è cresciuta ed è diventata un'influencer dalle idee chiare, molto attiva sul fronte delle cause umanitarie, ha fatto sognare anche qualche politico italiano, con frasi del tipo: «Non penso che l'Europa debba omologarsi alle follie del politically correct che si vedono sempre più spesso altrove, anche perché a livello di diritti umani e di umanità in generale abbiamo tanto da insegnare a molte nazioni». Da oggi è il volto del pomeriggio di Tv8, conduttrice della sesta edizione del rotocalco Vite da copertina, dedicato ai belli e famosi del jet set. Scelta, si dice, proprio dal vice president programming di gruppo Sky Italia Antonella D'Errico.
Elisabetta, chi meglio di lei, che per anni è stata nell'occhio del ciclone del gossip, per raccontare le vite di chi vive la stessa condizione oggi?
«E infatti eviterò accuratamente il sentito dire, lo scoop becero, il pettegolezzo. Si tratta di approfondimenti, di ritratti: voci diverse per raccontare personaggi e trend. Argomenti leggeri, costume, stili di vita, musica e cinema, moda. E delle abitudini delle star. Qualche volta anch' io mi metterò in gioco, raccontando qualcosa di me. Particolari inediti».
Torna dopo un lungo silenzio. Cosa è accaduto?
«Avevo avuto voglia di stare negli Stati Uniti. Questo mi ha fatto allontanare dall'Italia solo in parte, però. Perché non ho mai perso i contatti con il mio pubblico: ho una vita digitale che mi ha fatto rimanere connessa via social, ma in un modo più vero di quanto non accadesse prima. È il bello dei social, checché se ne dica male. Mi sono sposata, sono diventata mamma. Sono maturata: a giorni compio 43 anni. Mi sono fermata anche perché volevo capire cosa fare, se ancora tv o altro. Mi sono dedicata al fitness e allo sport da manager, con un mio brand e una mia palestra».
Quando lei aveva 20 anni il sogno delle giovanissime era fare la velina; ora è l'influencer. Che ne pensa?
«Un segno dei tempi, reso possibile dalla tecnologia. Per anni le veline sono state in testa alle classifiche della popolarità. Io e Maddalena di più: Striscia era già un fenomeno e le prime a essere microfonate, noi parlavamo. Prima solo le ragazze di Non è la Rai»
Anche voi con la voce del padre-padrone del programma negli auricolari?
«Magari. Avrei detto cose più cool. Invece potevamo dire quello che volevamo. Ricci è un genio, il mio mito tv».
Ora è a Los Angeles. Non teme, dovendo tornare in Italia per il programma, di restare vittima delle restrizioni anti Covid che gli americani impongono agli italiani, e quindi bloccata a Milano?
«Nessun problema. Sono permanent resident, che è quasi come essere cittadino americano, seppure senza diritti costituzionali».
Che ne pensa di Covid e delle polemiche vax/no vax/green pass?
«Mi sono vaccinata subito, ma sono contro l'obbligo. Contro ogni obbligo, anzi. La gente va resa responsabile dei propri comportamenti e lasciata libera di decidere che fare. In California si è imposto un lockdown rigido che ha fatto un gran male al business e ai bambini. Da mamma mi preoccupo per le conseguenze della chiusura delle scuole, del non poter socializzare. In Florida non ci sono state misure così drastiche e la pandemia non va tanto diversamente. Risultato: il governatore Gavin Newsom è stato sfiduciato dai cittadini che hanno raccolto firme per nuove elezioni: a lui imputano il lockdown e la crisi economica, oltre ad avere predicato in un modo e razzolato in un altro».
E sulla fine della guerra in Afghanistan cosa pensa?
«Io vedo l'emergenza umanitaria smisurata. Ma l'approccio degli americani non è sempre questo. Repubblicani e democratici hanno una visione diversa del perché erano là. Ma li unisce la critica alle modalità del ritiro "maldestro", visto come un grave fallimento che ha anche fatto perdere la faccia con gli alleati e con il mondo».
In una campagna della Peta posò nuda: le interessano sempre le cause umanitarie?
«Ascolto il mio cuore. Credo sia necessario promuovere leggi migliori in difesa degli animali (è uno dei miei impegni maggiori) o, da ambasciatore, dare voce alle campagne dell'Unicef. O, ancora, contribuire a raccogliere fondi per la mia Sardegna, devastata dagli incendi questa estate»
Da liberoquotidiano.it il 31 agosto 2021. Elisabetta Canalis ha rilasciato un’intervista al Giorno in vista del debutto Tv8 alla conduzione di Vite da copertina. Lei sì che ne se intende, ma stavolta sarà dall’altro lato della barricata: “Ormai con i paparazzi ho fatto pace - ha dichiarato - sono sempre gli stessi, tanto è vero che quando manca qualcuno mi preoccupo. Sono così carini che, quando sono tornata in Italia, mi hanno fatto trovare sotto casa una grossa scritta: ‘Bentornata Elisabetta’”. “Diciamo che ormai faccio una vita tra il noioso e il tranquillo, molto family oriented”, ha aggiunto la Canalis, che qualche mese fa aveva rilasciato alcune dichiarazioni sul sesso che avevano fatto discutere. “È importante, ma che stanchezza a volte - aveva sottolineato - ho preteso che nostra figlia dormisse in una camera tutta sua, ma ora che ha quasi sei anni ed è autonoma sale e scende dal suo lettino e spesso si intrufola tra me e Brian. La vita è cambiata e anche il sesso”. Parole di cui si è un po’ pentita, come ha ammesso nell’intervista al Giorno: “Ho fatto una cavolata ma è la verità. Sfido qualunque persona sposata a negare che il tempo a disposizione sia minore. Non è che uno si nasconde dietro la porta e appena entri ti salta addosso. Le relazioni si stabilizzano, la vita è piena di altre cose, non solo dell’attrazione sessuale”.
Dagospia il 21 agosto 2021. Dall’account twitter di Giuseppe Candela. Elisabetta Canalis che esiste mediaticamente da vent'anni solo per il gossip, con fidanzati veri o presunti tali, al Corriere fa sapere che per lei il gossip è stata una persecuzione. Elisabè, ma ci faccia il piacere!
Chiara Maffioletti per il “Corriere della sera” il 21 agosto 2021. Se si cercava un'esperta, non poteva essere fatta scelta migliore. Elisabetta Canalis è la nuova conduttrice di Vite da copertina, al via il 1° settembre su Tv8 (dal lunedì al venerdì, alle 17.30). Nel programma dedicato a personaggi che hanno segnato il costume, lei - che di copertine ne ha riempite parecchie - finalmente si trova dall'altra parte. «Ho iniziato a fare tv quando avevo 21 anni, ora ne ho quasi 43 e fino a questo momento non avevo mai avuto un programma tutto mio, è una soddisfazione enorme».
Come mai non è successo prima?
«C'entra anche il fatto che sono andata via dall'Italia, forse. È strano, lo so. Ma rientrare nella tv italiana in questo modo mi rende orgogliosa e mi incoraggia a continuare. Non so perché non sia successo prima, ho iniziato insieme a tante ragazze che avevano un ruolo simile al mio e che oggi sono conduttrici affermate, con programmi importanti... io ho preso un'altra strada. E non avrei mai pensato di tornare».
È stata una sorpresa?
«Sì, non è una cosa che avevo pianificato. Anche perché in passato ho partecipato a diverse trasmissioni, ma mai potendoci mettere del mio... qui invece sono me stessa. Parleremo di cinema, tv e di gossip, ma all'acqua di rose».
In che senso?
«Non farei mai del gossip cattivo, quello che non ho amato quando lo subivo. Non potrei mai condurre un programma che va a scavare nella vita delle persone».
Lei ha vissuto questo?
«Per me è stata una persecuzione. Ero single, giovane e al centro dell'attenzione. All'inizio anche il gossip serve, ma fatto così a me ha dato molta ansia. È stato tra i motivi per cui mi sono trasferita all'estero: bello il calderone della notorietà, ma poi ho iniziato a soffrire questo lato».
Manca da anni eppure tutti conoscono Elisabetta Canalis, come mai?
«Credo mi abbiano aiutato molto i social, che non hanno solo una connotazione negativa. Per me hanno avuto un ruolo potrei dire fondamentale: hanno continuato a consegnare al mio pubblico un'immagine di me che cresceva con loro. Tante persone mi seguono da Striscia. Con i social non li ho persi e, anzi, mi trovano più simpatica. Inoltre, promuovo le cause a cui tengo, l'ultima è quella contro i roghi in Sardegna: abbiamo raccolto migliaia di euro».
C'è anche chi la segue, da sempre, per la sua bellezza.
«Più che altro cerco di essere onesta, non esagerando con filtri e ritocchi. Ci sono tanti accorgimenti per sembrare più belli ma per me è importante condividere anche immagini che i giornali non pubblicherebbero. Su alcune vecchie copertine apparivo con un corpo perfetto. Ma era ritoccato, non reale. Oggi non mi sentirei onesta. Forse è una questione di maturità».
Se potesse dire qualcosa all'Elisabetta velina?
«Le direi di godersi di più le cose: ho avuto tanto e troppo in fretta e l'ho apprezzato poco. Mi arrivavano tante proposte, una dopo l'altra. Un'ondata di occasioni appena ho messo piede fuori da Striscia. Non me le sono godute».
Ha provato a lavorare anche in America, poi.
«Sì, ho recitato in una serie e fatto diverse audizioni, ma non ho il fuoco sacro della recitazione e non direi mai che sono un'attrice o anche solo una persona che ha provato seriamente a farla. Amo la tv: puoi essere te stessa e quando si spegne la luce rossa tutti a casa, a differenza dei set».
Non ha ricevuto altre proposte negli Usa?
«Per diversi reality ma non sono nelle mie corde. Spero che Vite da copertina sia per me un nuovo biglietto di presentazione, per poter fare anche altro, dopo».
Tipo?
«Mi piacerebbe molto fare delle interviste a due, un po' come Silvia Toffanin a Verissimo. La conosco da quando ero velina e letterina lei: è veramente brava, ci mette il cuore. È bello pensare che siamo partite tutte insieme».
Nel mentre, la figura della donna è molto cambiata...
«Ah la questione delle mercificazione del corpo femminile? Deluderò qualcuno ma non sono tra chi condanna chi esibisce il proprio corpo. La vera conquista è non essere discriminati per questo: per essere considerate alla pari degli uomini dobbiamo rinunciare a questa libertà?».
Rifarebbe Sanremo?
«Ne farei uno all'anno, è un'esperienza incredibile».
Altri sogni per il futuro?
«Ho in mente un programma che racconti l'America agli italiani. Ci sono tante sfaccettature poco note e interessanti. Vorrei farle scoprire».
George Clooney, "non sapete cosa mi faceva": la confessione privatissima su Elisabetta Canalis. Libero Quotidiano il 27 luglio 2021. George Clooney fatica a dimenticare Elisabetta Canalis. A distanza di anni, la loro storia d'amore è durata dal 2009 al 2011, l'attore è tornato sull'argomento. Dell'ex Velina di Striscia la Notizia Clooney ha solo belle parole come lui stesso ammesso: "Non la conoscete - ha ammesso - non sapete cosa mi faceva. Lei è stata in assoluto la donna che mi ha fatto più ridere nel corso della mia vita". Dopo dieci anni i due hanno ora vite separate: lui è sposato con l'avvocato Amal Alamuddin, da cui ha avuto due gemelli. Mentre la Canalis si è trasferita negli Stati Uniti al fianco del marito Brian Perri e la loro figlia Skyler Eva. Clooney avrebbe rotto il silenzio sull'ex fidanzata pronunciando una frase già detta mesi fa, quando alcune voci riferivano di una possibile rottura tra lui e la moglie. Il motivo? Forse il lockdown. "È una donna noiosa e soffocante", avrebbe confidato Clooney ad alcuni amici. Trascorrendo tanto tempo assieme - era stato il gossip maliziosi - i due si sono accorti di non essere fatti l’uno per l’altra. Nessuno, lo ha detto lui stesso, lo avrebbe fatto ridere come la Canalis, oggi di nuovo in Italia per motivi di lavoro.
Michela Proietti per il "Corriere della Sera" l'1 giugno 2021. «La nuova Velina Bruna è stata finalmente trovata. Si chiama Elisabetta Canalis. È una splendida ragazza di Sassari, ventenne, figlia di un primario radiologo». Era il 1999 e Claudio Sabello Fioretti, sulle pagine di 7, scriveva con il tono da fumata bianca la fenomenologia di Elisabetta Canalis. Svelando, tra le altre cose, che Antonio Ricci l' aveva scelta non perché palesemente bellissima, ma «per la faccia da polla», ovvero per quello sguardo che davanti a telecamere e obiettivi sembrava voler dire: «Dove sono? Che ci faccio qui? Dove devo guardare»? Oggi, che la ragazza fosse tutto fuorché «polla», è stato dimostrato dai fatti: la più longeva delle veline italiane, sineddoche vivente, la parte per il tutto, è diventata il simbolo eterno della professione più ambita da tante ragazze, almeno fino all' avvento delle influencer. Ma nel frattempo lei ha cambiato pelle più volte, ed è diventata anche influencer da 2,8 milioni di follower su Instagram, a cui ha sommato gli altri 1,4 milioni di Twitter. Un tesoretto che Elisabetta Canalis, 42 anni, naturalizzata americana, non ha dissipato, ma ha saputo far fruttare, facendo e dicendo cose dell' altro mondo. Dall' America, dove vive con il marito Brian Perri, luminare dei tumori spinali, e la figlia di 6 anni Skyler Eva, è intervenuta in difesa dei rifugiati (che ha ospitato a casa sua), del corretto stile di vita e dei diritti degli animali (è stata testimonial della Peta, posando nuda). E ora ha deciso di parlare per svegliare la coscienza degli italiani che, osservati a distanza, le sono sembrati intruppati in un gregge. È bastato un tweet per trasformarla nella nuova maître à penser, con endorsement non secondari come quelli di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. «Penso che la direzione che stiamo prendendo è quella del dovere esprimere un pensiero a senso unico, censurando e censurandoci per il terrore di essere bollati come misogini, omofobi o razzisti. L' Italia è un Paese libero e così dovrebbe rimanere», ha scritto su Instagram. Un punto di vista reso ancora più controcorrente perché maturato in America, la patria del politically correct, della surrogata e del #metoo. «Non penso che l' Europa debba omologarsi alle follie del politically correct che si vedono sempre più spesso altrove, anche perché a livello di diritti umani e di umanità in generale abbiamo tanto da insegnare a molte nazioni». Parole che non sono passate inosservate, anzi, c' è già qualcuno che a destra grida «Elisabetta for President», elogiata perché «chiara e coraggiosa» e stimata perché «non sceglie la via facile delle superstar in ginocchio per la nuova religione Lgbt pro ddl Zan». Forse neppure lei - impegnata in adozioni nei canili e a sostituire Cindy Crawford nella campagna mondiale dell' acqua San Benedetto (per la quale si parla di ingaggio record) - avrebbe immaginato un' eco simile. La figlia della buona borghesia di Sassari, che nel 1999 giurava che mai e poi mai avrebbe sposato un calciatore, «piuttosto un fantino» (promessa in parte mantenuta), oggi è pronta al ritorno in patria, con famiglia al seguito. Quasi una Meghan Markle, che si è fatta giurare dal marito americano di invecchiare in Italia, a Milano o in Sardegna, dove la prima volta che lo ha invitato l' ha messo in guardia: «Non vieni a Porto Cervo, è una Sardegna diversa, più bella». E che ora, mentre ha messo a fuoco il proprio inglese e le proprie idee si candida - come una duchessa emancipata - a ritagliarsi un posto nel dibattito sociale e forse politico.
Da liberoquotidiano.it il 22 aprile 2021. Confessioni bollenti e inaspettate da parte di Elisabetta Canalis. L’ex velina del programma Striscia la Notizia ha svelato alcuni dettagli piccanti sul matrimonio con Brian Perri, da cui ha avuto quasi 4 anni fa una figlia, Skyler Eva. La showgirl si è lasciata andare ad una confessione che ha sconvolto tutti i suoi fan: “Il sesso è importante, ma che stanchezza a volte… Ho preteso che nostra figlia dormisse nella sua camera ma ora, a quasi 4 anni, scende dal lettino e viene in mezzo a noi. La vita cambia e anche il sesso”. L’arrivo della bambina ha quindi stravolto la vita sessuale della coppia, che sta trascorrendo un periodo di vacanze in Sardegna. “Brian - ha sottolineato la Canalis nell’intervista a Panorama Wellness - è un uomo solido. Viene da Pittsburgh, la città dell’acciaio, famiglia con 12 figli. Forte, responsabile, conservatore. Per me c’è sempre. Ho scelto bene”. La vita a Los Angeles scorre quindi al meglio al di là del fatto che l’attività sessuale non è più quella di una volta. Ma tutto ciò non compromette la serenità del rapporto col marito. La Canalis è poi apparsa piuttosto infastidita alle domande sull’amicizia con Maddalena Corvaglia, sua compagna di avventura nell’esperienza televisiva su Canale5. “Non voglio nemmeno parlarne, sono soltanto pettegolezzi” la secca risposta sul gossip che vuole le due ex migliori amiche senza più rapporti e senza rivolgersi neanche la parola. Forse un’altra risposta avrebbe spento da subito ogni voce, con questa frase la Canalis non ha chiuso alcuna porta e resta il mistero.
Roberta Mercuri per "vanityfair.it" il 22 giugno 2021. Momenti di paura per Elisabetta Gregoraci. L’ex moglie di Flavio Briatore nelle sue Instagram Stories ha raccontato che l’altro giorno, rientrando in casa (probabilmente l’appartamento di famiglia a Montecarlo) col figlio undicenne Nathan Falco e con la tata, si è trovata faccia a faccia con un ladro. La prima a imbattersi nel topo d’appartamento è stata la nanny: «Questo personaggio ha cominciato a tirarle calci, ad aggredirla», ha raccontato la showirl. Sebbene «spaventata», Elisabetta non si è persa d’animo: «Ho inseguito il ladro urlando e l’ho messo all’angolo». Nel frattempo Nathan aveva avuto «la prontezza di chiamare la polizia», «che è arrivata dopo pochi minuti». Il ladro «ora è in prigione dove è giusto che sia. Siamo tutti un po’ scombussolati, ma adesso vi posso raccontare questa giornata difficile e movimentata con il sorriso perché grazie a Dio stiamo tutti bene e tutto è passato», ha aggiunto la showgirl senza dimenticare di celebrare il coraggio del figlio: «Il mio campione ha protetto la sua mamma, ha protetto tutti». Elisabetta a Nathan Falco è legatissima. Nell’ottobre 2020, reclusa nella Casa del Grande fratello Vip, aveva pianto confessando ai coinquilini quanto le mancasse il figlio avuto da Flavio Briatore. D’altronde da quando nel 2017 si è separata dall’imprenditore l’unico uomo della sua vita, almeno ufficialmente, è proprio Nathan Falco.
Elisabetta Gregoraci, la dedica al figlio Nathan dopo il tentato furto. Alice Coppa il 23/06/2021 su Notizie.it. Elisabetta Gregoraci ha scritto una tenera dedica a suo figlio Nathan Falco dopo aver sventato il tentativo di un furto a casa sua. Ancora sconvolta per aver sorpreso un ladro in casa sua (che è stato tratto in arresto) Elisabetta Gregoraci ha scritto una dolce dedica per suo figlio Nathan Falco, che ha allertato i soccorsi. In pieno giorno – dopo essere andata a prendere suo figlio Nathan a scuola – Elisabetta Gregoraci ha sorpreso un ladro in casa sua e lei stessa ha dichiarato di averlo seguito fino a bloccarlo in un luogo chiuso. L’uomo sarebbe riuscito ad aggredire la tata di Nathan Falco e il bambino (che oggi ha 11 anni) avrebbe invece avuto la prontezza di allertare le forze dell’ordine che, una volta arrivate, avrebbero tratto l’uomo in arresto. Superato lo shock per ciò che ha appena vissuto Elisabetta Gregoraci ha lodato il coraggio del suo bambino, e ha scritto in un post via social: “Giornata pesante per noi…faccio fatica ad addormentarmi..siamo tutti un po’ scombussolati e stiamo un po’ così. Ma tu finalmente ti sei addormentato..risposa mio piccolo eroe..la tua mamma ti proteggerà sempre con tutte le sue forze e tu sei il mio piccolo eroe. Notte”. La stessa Elisabetta Gregoraci ha confessato via social di essersi ritrovata un ladro in casa. La showgirl non ha nascosto di essersi spaventata perché la persona in questione avrebbe tentato di aggredire la tata che era in casa con lei. A seguire la showgirl, ex moglie di Flavio Briatore, sarebbe riuscito a inseguirlo e a “intrappolarlo” di modo che le forze dell’ordine potessero trarlo in arresto. “Non so con quale freddezza sono riuscita a fare dei video e Nathan ha avuto la prontezza di chiamare la polizia”, ha dichiarato la Gregoraci, e ancora: “Ci siamo molto spaventati”. Dopo l’addio al GF Vip Elisabetta Gregoraci è tornata tra le braccia di suo figlio Nathan Falco e ha ripreso la vita di sempre, tra impegni di lavoro e il tempo speso col suo unico figlio. Nella casa del GF Vip la showgirl aveva stretto un importante rapporto con Pierpaolo Pretelli, ma l’amicizia tra i due si era conclusa in un nulla di fatto quando la showgirl aveva detto addio al programma ed era arrivata nella Casa Giulia Salemi, oggi fidanzata dell’ex velino.
Dagospia l'1 giugno 2021. Riceviamo e pubblichiamo da marco Durante, presidente "La Presse". Gentile sig. ra Gregoraci, il flash pubblicato sul sito riporta notizie che potranno senza ombra di dubbio essere dimostrate nelle giusta sede giudiziale; nei fatti quanto da LaPresse eseguito in virtù degli accordi negoziali vigenti tra le parti fino alla chiusura degli stessi, successivamente alla partecipazione al GFVIP, ci risulta essere sorretto da prove documentali e testimoniali. Così come non risulta sia stato effettuato alcun pagamento, anche di quanto asseritamente da Lei riconosciuto. L'accordo che era stato raggiunto era sorretto dal solo spirito di collaborazione e sacrificio che ha sempre contraddistinto i servizi prestati da LaPresse, che non ha mai lesinato in supporto, accollandosi spese mai previste: a questo proposito risulta proprio che lei da ultimo non voglia riconoscere spese anticipate da LaPresse ma che le sono state pagate direttamente: LaPresse solamente chiede da ultimo di includere in un accordo decisamente sfavorevole, i soldi, spesi per consentirle di partecipare ad una trasmissione senza che lei dovesse preoccuparsi di nulla (transfer da Montecarlo, albergo, pasti, hairstylist, persino il tampone). Infine, l'incontro da lei citato risulta essere stato da lei richiesto per chiarimenti sulle rispettive posizioni. Questo per quanto riguarda la posizione di LaPresse. Come detto i processi si fanno nei tribunali, dove le parti potranno far valere le loro ragioni. E LaPresse proprio in quella sede potrà trovare la giusta soddisfazione. Noi pubblichiamo dei fatti che per legge sono da considerarsi diffamatori solo se non corrispondono a verità, pertinenza e continenza.
Dagospia il 31 maggio 2021. Riceviamo e pubblichiamo. Caro D’Agostino, quanto da te pubblicato sui miei rapporti con la Presse contiene notizie non vere e gravemente lesive della mia immagine. In primo luogo il mio rapporto professionale con LaPresse si è esaurito formalmente fin dal settembre 2019. Successivamente vi è stata esclusivamente una ulteriore collaborazione relativa alla mia partecipazione al GF Vip 2020 che non è mai stata oggetto di contestazione di sorta. Ciò nonostante La Presse pretende ora arbitrariamente il pagamento di somme che non le sono dovute. I miei legali sono da tempo in contatto con i legali de La Presse al fine di individuare una soluzione condivisa che ponga fine ad ogni reciproca contestazione e ti segnalo che questa era stata recentemente concordata tra i legali e si aspettava soltanto la firma delle parti. Ora La Presse, nonostante avesse condiviso l’accordo, pretende di cambiare il contenuto dell’accordo ed anche di sfruttare il tuo sito in maniera strumentale per screditarmi ed utilizzarlo quale indebito strumento di pressione. Anche l’asserzione secondo cui sarebbe stata fatta una offerta ridicola non corrisponde al vero, cosi come falsa è la notizia che La Presse abbia dato inizio ad una causa nei miei confronti visto che le cose erano state definite con reciproca soddisfazione. Ti informo infine che qualche settimana fa il dr Durante ha voluto incontrarmi per chiedermi di tornare con la sua agenzia, richiesta che ho cortesemente ma fermamente rifiutato. Dunque, come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre ....E’ chiaro che a fronte di affermazioni gravemente denigratorie nei miei confronti mi riservo di valutare qualsiasi misura e rimedio a tutela della mia immagine e del mio nome.
· Elena Anna Staller, detta Ilona (il nome della madre) o Cicciolina.
Il Covid, la famiglia, la politica: Cicciolina si racconta. Edoardo Sirignano l'11 Dicembre 2021 su Il Giornale. L'ex pornodiva ha da poco compiuto 70 anni. I progetti, la famiglia e la sua carriera: l'intervista a tutto tondo.
Dai virologi in tv ai suoi progetti, dalla carriera da pornostar alla politica. Ilona Staller, conosciuta anche come Cicciolina, ha da poco compiuto 70 anni e si racconta a ilGiornale.it.
Cosa fa oggi la pornodiva seguita per anni da tanti?
"Sono impegnata in una campagna pubblicitaria in tutto il mondo per Desigual, marchio spagnolo. Le gigantografie, con la mia faccia, stanno girando tutto il pianeta, dall’Australia alla Finlandia. Mi sto adoperando, inoltre, grazie alla collaborazione di un’importante azienda di Dubai per trasformare il libro sulla mia vita, la mia storia, il rapimento di mio figlio in un film e perché no in una fiction di sei o sette puntate per la televisione, che magari presto potremmo vedere sul piccolo schermo italiano e non solo. Nel frattempo sono impegnata anche con una casa discografica per un cd. Tutti, purtroppo, parlano del passato di Ilona Staller, ma pochi del presente, considerando che per fortuna sto ancora bene e mi mantengo anche molto impegnata".
Quale la sua giornata tipo?
"Essendo una vera gattara, vivo a Roma dove addirittura ho un allevamento di persiani chincillà. Prima avevo una tigre del bengala, dei serpenti e dei camaleonti. Sono un animalista convinta, così come amo la natura. La mia giornata tipo, pertanto, inizia dal cibare i miei adorati gatti, poi vado in palestra, corro e nuoto. Torno a pranzo a casa, guardo il mio sito internet e rispondo alle mail e ai fans. Chiunque ha la possibilità incontrarmi in un pub o in un bar e se acquista il mio libro può farsi un selfie e soprattutto non mancherà mai l’autografo dietro la copertina con il bacio col rossetto. Per il resto, mi dedico alla vita quotidiana, ai pagamenti e a quello che fanno tutte le donne. La sera una cena molto light per non ingrassare e poi spesso serate con gli amici o per lavoro. Sono ancora in tanti a invitarmi ai propri eventi. Non Amo, comunque, dormire perché mantiene bene la pelle e allunga la vita".
Che idea si è fatta della vita dopo il Covid?
"È dal 2019 che non capisco cosa dicono quei virologi che il giorno prima sostengono che non esiste una variante e poi puntualmente questa compare. Chiedo, pertanto, a chi si sta arricchendo con comparse in tv di fare chiarezza perché sono tante le persone che hanno paura. Viaggio spesso in autobus e sento numerosi cittadini davvero arrabbiati".
Quanto è importante in questo momento la famiglia per Cicciolina e quanto lo è stata nella sua carriera professionale?
"È fondamentale e in particolare mio figlio Ludwig, un artista che amo. Lavoro per lui e per i miei cari. Il lavoro, come dice la Costituzione, è fondamentale. Non stimo chi ha la possibilità di farlo e non lo fa. Faccio sacrifici come tutte le famiglie italiane e cerco di guadagnare perché l’economia non sta vivendo un buon momento. Se fossi stata il governo, sarei stata più attenta rispetto alle riaperture e mi sarei impegnata di più affinché i turisti lasciassero i propri soldi in Italia. Se si chiude tutto, qui non arriva più nessuno e gli alberghi, i ristoranti e i negozi chiudono".
Ha introdotto una vera e propria filosofia di vita col partito dell’amore…
"Prima del partito dell’amore, sono stata parlamentare col Partito Radicale di Marco Pannella, un grande leader. Non ne esistono più. In cinque anni ho fatto dodici proposte di legge, una più importante dell’altra e poi insieme con Moana ho pensato di fondare quel partito dell’amore a cui fa riferimento. Essendo incinta di mio figlio Ludwig e dovendo rinunciare alla campagna elettorale, ho lasciato Moana da sola e quindi l’obiettivo non è stato raggiunto".
Fa ancora la pornodiva?
"No".
Rinnega quel passato?
"Ho finito nel 1988, ma non lo rinnego. Il mio passato è su internet, sui social. Sono molto attiva su Facebook, Twitter e Instagram, dove addirittura vendo i miei tanga o i miei video privati. Devo combattere, purtroppo, anche io contro chi si spaccia col mio nome sulla rete, pur non avendo nulla a che vedere con me".
Come è cambiato il cinema porno oggi?
"Non lo seguo, ma con internet ci sono stati dei grandi cambiamenti. Il porno è sempre più internazionale, ci sono sempre più attori, attrici e soprattutto c’è una concorrenza spietata, che prima non esisteva e quindi anche i guadagni si sono ridotti. Stiamo parlando di un mondo che sta quasi per finire".
Che consiglio si sente di dare a chi vorrebbe intraprendere la carriera?
"Meglio fare un altro lavoro perché stiamo parlando di un settore che non paga più".
Quale il suo incontro più significativo?
"Con Marco Pannella. Da quell’incontro mi sono ritrovata in lista e sono diventata deputata. La differenza rispetto a oggi, però, è che sono entrata a Montecitorio non perché messa dall’amico di turno, ma perché votata da 22mila italiani".
Quale il momento più difficile della sua vita?
"Ho avuto mio figlio insieme a un artista americano che nel 1993 ha cercato di portarlo con sé in modo illegale, con un passaporto falso. È stato un vero e proprio rapimento. In quel periodo, pertanto, ho sofferto di anoressia e bulimia. Diciamo che è stata la pagina più brutta della mia vita. Stavo sparendo".
Quali i progetti per il futuro?
"Oltre a quello di cui ho parlato prima, scriverei un nuovo libro “Dietro le quinte del porno”, su cui però non posso fare alcuna anticipazione, altrimenti me lo copiano e mi rubano l’idea. Oggi mancano i creativi".
Se dovesse girare un altro film adesso, chi chiamerebbe e soprattutto ha un modello a cui ispirarsi?
"Se Pornhub mi chiedesse di fare da regista per un porno mondiale, lo farei volentieri perché ormai ho maturato tanta esperienza e penso di poter dire tranquillamente la mia. Non escludo però l’idea di dedicarmi a un film per il cinema non a luci rosse. Punterei su volti nuovi, belli, di un certo livello e non sicuramente tra quelli che sentiamo più spesso. Non ritengo, comunque, di avere modelli a cui ispirarmi, a parte quello “Cicciolina”. Diciamo sono un po' narcisista".
Edoardo Sirignano
Anticipazione da “Verissimo” il 3 dicembre 2021. Ilona Staller, ospite di Verissimo domenica 5 dicembre, racconta il tormentato rapporto avuto con l’ex marito, l’artista Jeff Koons, dal quale è nato il loro figlio Ludwig: “Abbiamo vissuto due anni insieme in cui ci sono stati più pianti che sorrisi. Mi sono annullata al suo fianco. Ha commesso delle cattiverie inaudite. Una volta, quando ero incinta, a Monaco di Baviera, mentre nevicava mi ha chiuso fuori sul terrazzo. Mi ha fatto male anche fisicamente”. Ilona ricorda anche quando lo stesso Koons le portò via il bambino per cinque mesi: “Dopo la nascita di Ludwig, sono tornata in Italia con mio figlio. Lui ci ha raggiunto e poi è riuscito a portarmelo via e a tornare negli Stati Uniti. Per i giudici americani non potevo essere una buona madre, ero vista malissimo per la mia professione. Dopo cinque mesi molto dolorosi sono riuscita a vincere la causa per l’affidamento”. E prosegue: “È stato un periodo terrificante, ho sofferto di anoressia e bulimia, le persone non mi riconoscevano, ma ho reagito per mio figlio. Il mio ex marito, nonostante le moltissime cause non mi riconosce neanche un euro di mantenimento, anche se dovrebbe”. Infine, a Silvia Toffanin che le chiede se abbia un nuovo compagno, la Staller, che ha appena festeggiato i 70 anni, risponde: “Sono single. Sto cercando un uomo leale e soprattutto che mi rispetti”.
Da "Un Giorno da Pecora" il 24 novembre 2021. “Tra due giorni compirò 70 anni me ne sento molti meno, diciamo 40 o al massimo 44”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, è Ilona Staller, l'attrice hard e non solo, conosciuta col nome di Cicciolina. Come festeggerà il suo compleanno? “Ho radunato tutta la mia famiglia, anche i parenti ungheresi, e staremo insieme qui in Italia. Tra l'altro sulla mia famiglia ho una novità”. Quale? “Mia sorella sta facendo l'albero genealogico della nostra famiglia ed è uscito fuori che io sono una principessa, ho il sangue blu per via di mamma”. Lei è stata un'icona della sessualità. “E non c'è un'età per far sesso, si fa a tutte le età. In questo momento non sono fidanzata, tutto sommato", ha detto a Un Giorno da Pecora la Staller, "Cupido potrebbe arrivare da un momento all'altro”. Più importante l'amore o il sesso? “L'amore viene prima di tutto, la sessualità viene dopo”. Qual è il suo uomo ideale? “Io non guardo alla bellezza, l'uomo più bello è quello che rispetta la donna. Io sono femminista, non sopporto l'uomo aggressivo, l'uomo è bello quando è dolce, tenero e ti porta i fiori”.
Barbara Costa per Dagospia. Non ci sarebbe nessuna Ilona Staller, nessuna Cicciolina mito porno da celebrare – e di più ora, per il suo 70esimo compleanno – senza Riccardo Schicchi. Cicciolina è stata pregiatissima icona porno nazionale, esportata nel mondo a far furore, per una fama porno non calcolabile, non eguagliabile, non replicabile, e però… porno costruita a puntino. Nei minimi porno dettagli. Da Ilona, e dal suo manager, Riccardo Schicchi. Il personaggio porno della Cicciolina vestita di veli, coroncina in testa e rossetto sbavato, e peluche in grembo, e sorriso innocentino volto mai a mascherare, a limitare, a rinnegare una sola, una piccola, delle performance pornografiche portate in scena… tutto studiato alla perfezione. È Riccardo Schicchi a scoprire, a innamorarsi di Ilona, e tramite le foto di nudo di lei. Oh, intendiamoci, uno schianto simile non stava certo aspettando Schicchi. Quando Ilona a 18 anni lascia la comunista sicché tristissima Budapest, tramite matrimonio con un italiano – il solo modo possibile, al tempo, per una ragazza di lasciare legalmente il giogo sovietico, e unione che dura pochi mesi, perché Ilona ha sempre lottato coi denti per la sua libertà – lei da sola si mantiene a Milano come modella. Anche di nudo, e tanto di nudo. Schicchi muove mari e monti per conquistarla. E Ilona lascia la moda e un nuovo fidanzato per la mente istrionica di Schicchi perché è con lui nella voglia e nella lotta di scuotere un Paese – e siamo nell’Italia di metà anni '70 – sessualmente fobico, omofobico, raffermo. Non ci sarebbe stato alcun progresso sessuale, in Italia, senza la guerra che a una tale retriva società Schicchi e Ilona dichiarano. E la bombardano. Di sesso, natiche, seni, provocazioni, disturbando italiani sonnacchiosi, primitivi, fermi a un sesso mai pornografico, al massimo pruriginosamente rappresentato nelle commediole sexy. Schicchi e Ilona vogliono altro, e vogliono di più, vogliono orgasmi, vogliono il sesso, e una Italia invasa, pervasa, da copule libere, non benedette da madre chiesa. E ci riescono, perché ci si giocano tutto. Capiscono subito come utilizzare l’attenzione dei media, di tv e giornali, e Schicchi mette Ilona sui cavalcavia, o in mezzo al traffico, senza slip, col vestito alzato. E sono ingorghi, tamponamenti, è il caos. Non si può non occuparsi di loro. Anche arrestandoli. Non si contano le denunce a loro carico per offesa al pudore. E c’è la radio, dove Ilona per la prima volta agli italiani dice di toccarsi con lei, dice come piace a lei, dove si tocca lei, le dita dentro, e nessuno – dico davvero nessuno – aveva mai detto a un Paese di baciapile robe simili. Schicchi e Ilona, niente li ferma, e se non è porno girato è porno fotografato, su "Supersex" e riviste affini. Ilona si mostra bionda platino e con la frangetta. È una idea di Schicchi, lei sulle prime non voleva, ma quei capelli con la coroncina saranno il suo stemma. Ci sono i fotoromanzi di vero porno, i posati porno, e gli spettacoli di vero porno che mettono su – nei teatri di provincia, soprattutto, ché lì sta l’Italia verace, e vorace – ma è il cinema che li attira. "Cicciolina amore mio" è il primo porno ufficiale di Ilona sebbene lì di porno (penetrazioni) vi sia nulla. È però una intuizione del genio di Schicchi quella di offrire a un pubblico che non è che va al cinema a luci rosse, ci corre!, il sublime corpo di Ilona per ciò che è e che agli italiani deve stamparsi in mente: un sano sogno erotico, di una donna che non ha pudori perché non li conosce, e mostra l’ebbrezza che un sesso fatto senza tabù dà. Il primo porno hard di Ilona, se non sbaglio perché fare ordine tra i porno della Staller, consumati, smembrati, stremati, è un ginepraio d’arduo sgroviglio, è, o dovrebbe essere, "Porno Poker", con Cristoph Clark e monsieur porno Gabriel Pontello. Se non è il primo è sicuramente uno dei primi dove Ilona sc*pa e si fa sc*pare sul serio. Anche oltre il dovuto. Come scrive lei stessa nella sua seconda autobiografia, Pontello nelle scene sadomaso esagera talmente con lo spanking da ridurre le natiche di Ilona a due doloranti peperoni. I successivi porno di Ilona sono gemme pornografiche perché gemma porno è lei: la sua fama coi porno è mondiale (lo è tuttora, perché credete che Pornhub l’abbia voluta a testimonial?), una fama mille volte più grande di quella di una attrice porno attuale. Ilona è diva, per lei un giorno alla "Diva Futura", l’agenzia porno di Schicchi di cui Ilona è proprietaria al 50 per cento (anche per questo ogni rivalità con Moana Pozzi non ha senso: Moana è arrivata dopo, quando il muro del perbenismo Schicchi e Ilona lo avevano già crepato. Moana si prende la scena quando Ilona diventa mamma, e per un po’ lascia il porno. Ilona e Moana vivevano nello stesso palazzo dove viveva pure Schicchi e altre ragazze di Diva Futura, e dove era la sede stessa di Diva Futura. E di sicuro Moana e Ilona non erano due borghesucce vicine di casa che si incontrano per un caffè…) giunge un fax con una cifra monstre e soltanto per girare uno spot di caramelle! Il porno USA si prostra a Ilona, e la paga cash, ma Ilona non può andare negli USA di Reagan in quanto è dalla CIA schedata: quando a 16 anni faceva la cameriera in un hotel di Budapest, e in realtà era al soldo del KGB per spiare gli americani lì ospiti… gli USA lo sanno, e Ilona, con Schicchi sempre al suo fianco, entra negli Stati Uniti dalla famigerata frontiera col Messico (è riportato in "Per amore e per forza", e speriamo di saperne di più in "La mia vera storia", terza autobiografia di Ilona in fermo editoriale). Ilona eletta in Parlamento nel 1987, altra mossa mediatica del duo Staller-Schicchi, che però non si aspettavano l’elezione. Ilona parlamentare è dai colleghi detestata, dalle donne per invidia (a quasi 40 anni Ilona conserva il corpo di una 15enne, fasciato da poco istituzionali abiti aderentissimi), perché attrae un interesse mediatico – internazionale! – a loro inarrivabile. All’inizio, tra gli “onorevoli cicciolini”, soltanto Adele Faccio e Giulio Andreotti le rivolgono la parola. In seguito i maschi la ritrovano, e tanti per provarci, per importunarla, tra i banchi, chiedendole ad esempio se avesse o no le mutandine, e di che tipo (perché questo era - è? - il maschio italico medio). La evitano e la temono e non vogliono che, accanto al lavoro di parlamentare, continui coi suoi porno e i suoi spettacoli. E invece Ilona continua, porna con John Holmes (già malato, Ilona si salva perché ha sempre pornato coi condom) e con un giovanissimo Rocco Siffredi. "Ilona e Moana Mondiali", porno ideato e non accreditato ma codiretto da Schicchi, uscito in contemporanea ai Mondiali di calcio del 1990 disputati in Italia (altra azzeccatissima mossa mediatica del duo, e questo si rivela un porno scorrettissimo, dove sono parodiati i dirigenti del calcio italiano di allora, e i campioni di allora, e il porno attore Eric Price è Jürgen Klinsmann, Sean Michaels è Ruud Gullit, e quel panzone di Ron Jeremy fa un Maradona ai tempi ancora senza panza). Film che rimane il porno italiano più venduto all’estero. Se come Paese ci siamo da L'icona compie 70 anni. Chi è Cicciolina, la storia di Ilona Staller: l’attrice eletta parlamentare con i Radicali. Vito Califano su Il Riformista il 26 Novembre 2021. Ilona Staller, diventata famosa con il nome di Cicciolina, compie oggi 70 anni. Modella, conduttrice radiofonica, cantante, parlamentare e attrice porno. È diventata un personaggio celebre, pop, per quest’ultima sua attività soprattutto. E per la versatilità con la quale ha sfruttato la sua notorietà intraprendendo nuove esperienze professionali e artistiche. Il suo soprannome nacque dal fatto che chiamava i suoi ascoltatori radiofonici “cicciolini” e “ciccioline”. È nata a Budapest, in Ungheria. Figlia di un’ostetrica. È cresciuta con il compagno della madre, un funzionario governativo. Da giovanissima cominciò come modella mentre lavorava come cameriera in un elegante hotel internazionale. Ha raccontato che in quell’albergo fece anche da spia per conto del governo ungherese. Si iscrisse alla facoltà di Archeologia dell’Università della capitale ungherese e venne nominata miss Ungheria. Arrivò in Italia tra gli anni Sessanta e Sessanta. Aveva sposato un uomo vent’anni più anziano di lei. Un matrimonio che durò pochi mesi. Cominciò con la radio: il programma erotico dell’emittente privata romana Radio Luna Voulez-vous coucher avec moi? andava on air di notte. La sua carriera da attrice cominciò negli anni Settanta. Il primo porno nel 1983, da protagonista, fu La conchiglia dei desideri, diretto da Riccardo Schicchi. La sua esperienza nel porno durò neanche un decennio ma Staller ebbe un enorme successo. Proprio quando divenne famosa e compariva spesso tra giornali e televisioni, si candidò con il Partito Radicale. Le femministe la accusarono di mercificare il corpo della donna in campagna elettorale. Cicciolina nel 1987 entrò comunque in parlamento, alla Camera dei deputati, dopo aver preso circa 20mila preferenze nel suo collegio. Per aver mostrato il seno durante i comizi venne più volte denunciata. Durante il suo impegno politico si occupò soprattutto di censura, di libertà sessuale per i carcerati, della sensibilizzazione sul tema dell’AIDS e dell’educazione sessuale delle donne. Nilde Iotti, presidente della Camera, definì uno dei suoi interventi “uno dei migliori che abbia mai sentito”. Cicciolina restò parlamentare fino al 1992, anche dopo aver litigato con il leader dei Radicali Marco Pannella. Fondò il Partito dell’Amore con Schicci e con l’attrice porno Moana Pozzi. Con poco successo. Ha partecipato al reality show italiano The Farm e intentato una causa a Google che accusò di diffondere notizie diffamanti: sul suo vitalizio parlamentare e sul suo rapporto sessuale sempre smentito con un cavallo. Ilona Staller ha avuto anche un figlio con l’artista Jeff Koons che conobbe quando lui era emergente. Erano stati protagonisti entrambi della serie Made in Heaven. In un’intervista al quotidiano La Stampa, proprio in occasione dei suoi 70 anni, ha raccontato di avere intenzione di realizzare un film sulla sua vita. Altri progetti: un nuovo disco e un libro sul dietro le quinte del porno. Non ha escluso altre candidature in politica.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
l punto di vista sessuale un pochino destati, lo dobbiamo alla mente e all’estro di Riccardo Schicchi e di questa signora, Ilona Cicciolina Staller, che compie 70 anni (e che senza sosta chiamano a lavorare all’estero, in reality e talent tv che in Italia non la invitano a fare, chissà cosa temono possa rivelare, eppure chi è più vip, o più stella, di Cicciolina?), e che ha mostrato indole e forza che alle italiane non è che mancavano, proprio ignoravano esistessero. E peccato che Pito Pito da tanto tempo non sia più con noi. Sapete che fine ha fatto? Pito Pito, il pitone della Staller ma non solo, suo socio e partner nei porno show: durante una porno esibizione, Ilona viene aggredita sul palco da morali manifestanti disgustati da pose che nessuno li aveva costretti a vedere. Il povero Pito Pito è preso e sbattuto al muro da uno di quelli esagitati. Lasciandoci vita e squame.
Cicciolina compie 70 anni, vissuti sempre controcorrente. Prima diva hard del nostro Paese, l'ex pornostar scoperta da Riccardo Schicchi è diventata negli anni un'autentica, e intramontabile, diva pop. Cecilia Ermini su IOdonna il 26 Novembre 2021. Icona della trasgressione e della libertà sessuale in Italia, Ilona Staller, nota come Cicciolina, compie oggi 70 anni. Una vita vissuta intensamente che l’ha portata dai film a luci a rosse fino alla camera dei Deputati, caso unico nella storia della democrazia italiana. E che l’ha fatta diventare emblema della rivoluzione dei costumi negli anni ’70 e ’80. Per celebrarla, questa sera alle 21.15 su Cielo, canale 26, verranno trasmessi prima il film L’ingenua del 1975 e poi il documentario Cicciolina – L’arte dello scandalo. Un sensualissimo viaggio per conoscere tutti i retroscena di una parabola esistenziale senza limiti. E senza mai aver avuto paura di mostrare le sue debolezze.
Cicciolina: la nascita di un mito
Nata a Budapest nel 1951, Elena Anna Staller, per tutti Ilona, nasce in una famiglia della buona borghesia ungherese. Padre funzionario del Ministero e madre ostetrica, la piccola cresce studiando danza e musica e a soli 13 anni comincia a posare come modella.
In rotta con i genitori, eccessivamente severi, Ilona esce di casa e trova lavoro come cameriera in un hotel. E lì incontrerà un commerciante italiano che la sposa nel 1971 e se la porta via. A Roma, due anni dopo, incontra il giovane Riccardo Schicchi. Ex fotoreporter di guerra con una grande intuizione: diventare il primo imprenditore dell’industria in Italia. Con Ilona nasce un sodalizio sentimentale e artistico che, nel 1973, li porterà a condurre insieme il programma radiofonico Voulez-vous coucher avec moi?. Trasmissione ad alto contenuto erotico interamente dedicata alle telefonate a luci rosse degli ascoltatori. Con i quali Ilona interagiva chiamandoli “Cicciolini” e proprio da qui derivò il suo soprannome che farà storia.
Il successo travolgente
Espressione di una sessualità delicata, fiabesca e quasi infantile, Cicciolina diventa ben presto un’icona pop senza precedenti. Quasi una Lolita del porno, la ragazza ama esibirsi anche in spettacoli erotici in giro per l’Italia. Portandosi in scena un orsacchiotto, che diventerà la sua coperta di Linus, e una coroncina di fiori in testa che definirà per sempre il suo personaggio. E il suo copiatissimo look. A metà anni ’70 debutta al cinema con il film La liceale e parallelamente anche la tv comincia a corteggiarla. Nel 1979 lavora al varietà C’era due volte dove canta, balla ricoperta di veli come una Salomè e si lascia avvolgere da un pitone mentre interagisce col pubblico. Mentre l’esordio nella cinematografia hard avviene nel 1983 con La conchiglia dei desideri diretto da Riccardo Schicchi.
La politica e l’incontro con Jeff Koons
Con l’esplosione della Vhs in Italia, e dei cinema porno che spuntano come funghi, gli anni 80 sono per Cicciolina un trionfo. Arruolata nella scuderia di Schicchi Diva Futura – che negli anni lancerà anche Moana Pozzi ed Eva Henger –, la pornostar è protagonista di titoli cult come Banane al cioccolato, Telefono rosso e Carne bollente. Ma l’hard le sta stretto e Ilona cerca nuove esperienze. A metà decennio l’incontro con Marco Pannella la porterà a diventare la prima pornostar eletta in Parlamento fra le file del Partito Radicale. Dove combatterà per la libertà sessuale dei carcerati, contro l’uso indiscriminato degli animali per esperimenti scientifici e infine per la promozione dell’educazione sessuale nelle scuole e di campagne di informazione sui pericoli dell’AIDS. Poi, a fine decennio, l’incontro con Jeff Koons, artista e scultore americano ancora lontano dai fasti contemporanei. Scoppia un amore travolgente e l’uomo decide di realizzare una serie di opere a carattere hard insieme a lei. Come la famosa Made in Heaven, una complessa installazione comprendente fotografie e sculture che ritraggono la coppia in atti erotici molto espliciti. Nel 1991 arrivano le nozze, seguite dalla nascita del figlio Ludwig ma l’unione naufraga presto e i due cominciano una guerra asprissima per ottenere l’affidamento del piccolo.
Cicciolina oggi
Ilona riesce a riportare Ludwig in Italia ma dopo anni di estenuanti battaglie legali è decisamente provata nel corpo e nello spirito. Nel 1994 dice addio al porno e torna a esibirsi nei locali come spogliarellista, senza disdegnare, ormai sdoganata, partecipazioni nei più importanti salotti televisivi. Oggi madre e figlio vivono insieme e Ludwig studia arte per seguire le orme paterne mentre mamma Ilona dipinge e continua a girare il mondo con i suoi spettacoli. Portando a tutti il suo messaggio di pace, fratellanza e amore libero.
Ilona Staller, i 70 anni di Cicciolina: «Lucio Dalla era dolcissimo con me, ora voglio tornare a cantare». Ilona Staller, in arte Cicciolina, il 25 novembre compie 70 anni: «Il mondo del porno è cambiato tantissimo. Sono anche bravissima a giocare a scacchi, mi ricordano papà». Silvia Maria Dubois su Il Corriere della Sera il 26 Novembre 2021. Classe 1951, coroncina e voce da bambina. In mezzo tante vite. Pornostar, politica, modella, cantante. Una fisarmonica di avventure saldate in quello che è diventato un personaggio della storia del costume d’Italia: Ilona Staller il 26 novembre compie 70 anni. Chi si immagina un super party tutto rosa in qualche locale, si sbaglia di grosso. La festa più bella in queste ore sarà in famiglia: buon vino e buon cibo e i parenti dall’Ungheria.
Se qualcuno per strada la chiama Anna, lei si volta?
«Direi di sì. Il mio vero nome è Ilona Anna. E comunque mi fermo sempre e comunque quando qualcuno mi chiama. Sono di natura disponibile, non nego un autografo e un saluto. E poi sono del segno del Sagittario...».
Il Sagittario implica che...?
«È un segno puro, mansueto, dolce, leale, generoso. E non tradisce».
Lei in effetti è sempre sorridente e calma.
«In Ungheria sono nata e cresciuta in una famiglia tranquilla, serena. Certo, eravamo poveri, ma respiravamo un’aria pacifica. Che mi sono portata dietro».
Si è regalata un ruolo da protagonista nell’ultima campagna Desigual: come è stato dopo tanti anni tornare a fare la modella?
«Fantastico. Adoro questa azienda spagnola. Sono nei cartelloni e nei video in tutto il mondo. Insomma, ora diventerò ancora più popolare».
A proposito di moda, quale l’indumento preferito di Ilona Staller?
«Amo le cose molto colorate. Ma metto di tutto: dai jeans ai tailleur. E adoro i vestiti da sposa».
Come festeggerà il suo compleanno domani?
«In famiglia. Cena di pesce, buon vino. Mio figlio, mia sorella arrivata dall’Ungheria, pochi intimi. Sono le feste più belle».
Arrivare ai 70 anni come è? Qualche crisi?
«Assolutamente no. Io mi voglio bene. Da teenager ero diversa, ovvio. Ogni età ha il so fascino. Io mi piaccio. E poi, dai, non sono mica una casalinga disperata. Ho un sacco di attività, dipingo, recentemente ho partecipato ad un reality in Sud Africa, ora poso come modella. Ho le serate, i talk show».
Ed è pure una campionessa di scacchi. Ma dove ha imparato?
«Da bambina giocavo una sera sì e una no con mio padre. Sì, in effetti me la cavo bene. Anzi, lancio la sfida: chi volesse provare a battermi può farlo, vengono organizzate serate di partite a scacchi al ristorante».
Quale era il suo rapporto con Lucio Dalla?
«A lui mi legano ricordi dolcissimi. Era un mio grande fan, fin dall’inizio. Me lo trovai in prima fila al Bandiera Gialla, durante un mio show, che applaudiva. Per un certo periodo eravamo seguiti entrambi da quello che è stato un grandissimo manager: Bibi Ballandi, anche lui bolognese. Di Lucio, poi, ricordo ancora un episodio che mi fece sorridere per anni: eravamo a Rimini a prendere il sole, lui era a quattro metri da me e si godeva la sua tranquillità. Peccato che io fui riconosciuta e circondata da un sacco di fan che poi, videro anche lui, ovviamente».
Torna mai a Bologna?
«Sì, adoro i colli. E ho bei ricordi di alcune serate in discoteca. Spero di tornarci presto».
Come ha vissuto l’incubo Coronavirus?
«Sono stati tempi pesantissimi. Ho conoscenti che sono andati via di testa, ci sono persone in depressione. Mai vissuto una tragedia così. A tutti dico: non è un gioco, è una questione seria. Ecco, il regalo che vorrei per i miei 70 anni è che si uscisse da quest’incubo. Che si tornasse alla socialità, al lavoro come prima».
Lei si è allontanata da tempo dal mondo del porno.
«Da tempo non seguo più quel settore, credo sia dai tempi delle videocassette. E spesso dico che oggi è tutto diverso ed è la verità. Ai miei tempi si studiavano film con una trama, con attori scelti e c’era del bel sesso, fatto bene».
La sua videocassetta più venduta?
«Telefono rosso».
Ha più sentito colleghe o colleghi di quel mondo?
«No, non li sento più».
Ci sono fan della prima ora che la cercano o la seguono ancora? Insomma, ci sono dei «cicciolini»?
«Come no! Mandano un sacco di mail in privato. Mi chiedono: “andiamo a letto insieme?”. Se io dovessi andare a letto con tutti quelli che me lo chiedono in giro per il mondo sarei morta».
Lei ha recitato anche in commedie, film seri e partecipato a programmi tv.
«Sì. E mi sono divertita tanto. E sono fiera di aver conosciuto e di essere stata stimata da persone come Alberto Lattuada o Enzo Trapani. Non so se si possa dire, ho avuto anche un piccolo flirt con Umberto Orsini, mentre giravamo «Incontro d’amore». Erano bei tempi, si lavorava bene e con persone preparate, che mi han dato tanto».
Ha mai pensato di tornare a cantare come ai tempi di «Baby love»?
«È uno dei miei progetti: vorrei continuare ad incidere, sto cercando una casa discografica. E poi c’è la mia biografia, il film».
Come si fa ad avere tutta questa energia a 70 anni?
«Io sono così. Però ieri ho fatto una lunga camminata nei boschi con mio figlio, ad un certo punto ho dovuto dirgli: “Ehi, rallenta, non sono una ragazzina, e non sono alta 1,85. Fai dei passi troppo lunghi per me”. Ecco, a parte questo, sì, faccio tante cose e ne farò tante altre».
Carlo Nordio per “Il Messaggero” il 21 novembre 2021. Tra pochi giorni Elena Anna (Ilona) Staller, in arte Cicciolina, compie settant'anni. La singolarità del suo lavoro e la futilità del suo soprannome non devono trarre in inganno. L'abile imprenditrice seppe fare del corpo, che Shakespeare definiva fangosa veste di decadenza il simbolo di una rivoluzione di costume e persino di giurisprudenza. Anche per questo nel 1987 fu eletta alla Camera dei deputati nella lista dei radicali, seconda solo a Marco Pannella. A torto o a ragione riteneva che la liberazione delle menti dai pregiudizi presupponesse quella della pelle dai veli.
LA CARRIERA
È nata a Budapest il 26 novembre 1951. Dopo qualche lavoretto in patria, nel 1970 si trasferì in Italia e in breve divenne la diva più nota nel controverso settore dell'erotismo. Girò oltre 50 film, e squadernò molte delle variazioni che un tempo i manuali di psicopatologia forense definivano depravate. Si esibì in pubblico, rievocando quelle tendenze parazoofile che Voltaire attribuiva a Oolla e Ooliba, le due sorelle maledette dal profeta Ezechiele. E infine sposò Jeff Koons, un artista postmoderno le cui opere costano più di un quadro di Rembrandt. Divorziò e ritentò senza successo, la carriera politica. Oggi lamenta una riduzione del vitalizio dei parlamentari che tocca i deputati e non i senatori. Per capire il suo ruolo nel cambiamento della morale bisogna fare un passo indietro. Alla fine degli Anni 60 il costume sessuale degli italiani era ancora condizionato dalla pudicizia burbera di alcuni predicatori, dal perbenismo bacchettone di molti politici e dal magistero arcigno di tutta la magistratura. I primi fulminavano dai pulpiti l'arditezza degli abbigliamenti femminili, il consueto tramonto dei valori, la scapigliatura irriverente dei giovani e l'incontrollata diffusione delle pubblicazioni licenziose. I secondi, sia pure a titolo diverso, esibivano una compostezza formale di plumbeo grigiore, come se la mortificazione del corpo esaltasse la purezza dello spirito. Quanto alla magistratura, era continuamente alla ricerca di formule asettiche per definire le manifestazioni di quelle fantasie proibite che finivano in tribunale. Generalmente, per evitare imbarazzanti terminologie, si rifugiava nel latino: il che era fonte di equivoci nei dibattimenti e negli interrogatori, dove gli interlocutori, spesso di educazione insufficiente e di temperamento silvestre, non comprendevano quelle espressioni tratte dal XVI carme di Catullo. A parte ciò, fioccavano le condanne per oltraggio al comune senso del pudore, con sequestri di pellicole e riviste anche per immagini che oggi susciterebbero tenerezza. Nondimeno la certezza del diritto cominciava a vacillare tra i giudici. Alcuni, ad esempio, ammettevano il topless in spiaggia, mentre altri arrestavano l'imprudente bagnante. Cosicché tra il lido di Venezia e quello di Jesolo, contigui ma sotto diverse preture, esisteva una sorta di concorrenza sleale, perché da una parte si poteva stare seminudi, e dall'altra no.
LA TRANSIZIONE
La contestazione giovanile del 68 aveva in parte cambiato questa mentalità rigorosa. Ma gli effetti erano rimasti circoscritti agli ambienti studenteschi, quasi sempre assorbiti da quelli, ben più rilevanti e perniciosi, della protesta violenta. Le liceali che sfilavano con gesti provocatori venivano spesso insultate dai loro compagni per aver strumentalizzato il simbolo dell'organo procreativo offendendo la sacralità della rivoluzione proletaria. Mancava, in definitiva, una transizione dolce ed ironica da una visione bigotta della sessualità a una più liberale tolleranza delle capricciose tendenze individuali. Cicciolina non fu certo la causa esclusiva di questo mutamento, ma ne fu una protagonista attiva e quasi geniale. A metà degli Anni 70 le cose infatti iniziarono a cambiare. La Francia aveva, sull'esempio degli Stati Uniti, abolito di fatto la censura cinematografica. Seguendo l'aureo principio di Bernard Mandeville che i vizi privati vanno convertiti in pubbliche utilità, e quindi non vanno puniti ma tassati, Giscard D'Estaing aveva imposto sui film a luce rossa imposte aggiuntive, i cui proventi finanziavano il cinema d'autore, che, come la virtù, era economicamente improduttivo. L'Italia esitò con il cinema, ma tollerò la stampa. Le edicole furono invase di riviste di ogni tipo, creando una disparità di trattamento con il destino riservato alle pellicole, spesso sequestrate e talvolta, come accadde al film Ultimo Tango a Parigi, mandate al rogo. Intanto Ilona Staller avanzava in carriera e astuzia, aumentando progressivamente l'arditezza delle sue esibizioni. Diventata l'icona della trasgressione, fu invitata da Maurizio Costanzo a un confronto con un giudice noto per il suo moralismo. Il poveretto ne usci massacrato, e quella penosa sortita costò alle toghe conservatrici quanto alla Dc l'eccessiva salivazione di Arnaldo Forlani sotto l'interrogatorio di Di Pietro nel più famoso processo di tangentopoli.
I PROVVEDIMENTI
In effetti l'intera argomentazione giuridica del comune senso del pudore era illogica. Non perché questa sensibilità non esista: al contrario è importante e va tutelata. Tuttavia essa non è assoluta, ma è correlata al destinatario del messaggio. E benché sia odioso, come insegna il filosofo, citare sé stessi, nel lontano 1982 fui il primo ad assolvere il gestore di un cinema hard, motivando che - se vi è un rigoroso controllo sui minori - non può sentirsi offeso da certe immagini chi entra pagando in una sala proprio per potersele godere. Il mio quasi contemporaneo provvedimento che chiudeva l'indagine sulle Brigate Rosse Venete ebbe un breve (e assai prudente, visti i tempi) trafiletto. Quello sui film a luce rossa un'intera pagina, finì sulle riviste giuridiche e fece giurisprudenza. Cicciolina dunque aveva vinto. Ma fu una vittoria di Pirro. Oggi i vincoli che allora tutelavano i ragazzi sono venuti meno, e con l'avvento di Internet anche i bambini possono accedere, facilmente e gratuitamente, ai contenuti più spaventosi. Per gli adulti pare che, complice il Covid e la diffusione dei social, lo spettacolo erotico sia stato sostituito dai rapporti virtuali sui siti specializzati. E quanto alla capacità seduttiva del nudo, ci permettiamo di citare quello che l'epicureo abate Jerome Coignard disse alla bella Catherine in un romanzo di Anatole France. Quello che vedo in voi m'est sensible; E quello che non vedo m'est plus sensible encore.
Piero Degli Antoni per il Giorno il 22 novembre 2021. Venerdì Cicciolina compie 70 anni. Santo cielo, come passa il tempo. Giampiero Mughini, uno dei massimi esperti di arte erotica, è forse l'unico che ha i titoli per riflettere sul fenomeno Ilona Staller. «Non si può pronunciare il nome di Cicciolina senza fare quello di Riccardo Schicchi, che fu il suo inventore. Schicchi prese una giovane ungherese senza arte né parte, dotata della sola bellezza, e le seppe dare un destino e una vocazione. Cicciolina all'inizio fu l'interprete di una radio romana che lusingava gli ascoltatori con inedite possibilità erotiche (si trattava di Radio Luna, il programma era Voulez-vous coucher avec moi?, 1973, ndr). Poi c'è stato il passaggio ulteriore al mercato del sesso e della pornografia - già ampiamente sviluppato in America e in Francia. A un certo punto Marco Pannella, che amava provocare, pensò di spremerla e di buttarla via come faceva con tutti, e la lanciò alle elezioni. Ma Schicchi organizzò una fondamentale campagna e, nel 1987, gli elettori, allora equivalenti a quelli che successivamente voteranno Cinque Stelle, mandarono Cicciolina in Parlamento».
Secondo lei fu solo merito di Schicchi, o Cicciolina aveva delle doti intrinseche?
«Schicchi sapeva scegliere bene le sue ragazze, tanto da formare una vera squadra di ragazze che io ho conosciuto bene, tra cui la più famosa di tutte, Moana Pozzi. In una seconda vita, nel 1991, Cicciolina sposò uno degli artisti contemporanei più celebri, Jeff Koons. Lui le scattò delle foto mentre facevano l'amore, foto che ora valgono un patrimonio.»
Perché l'apparizione di Cicciolina fu così dirompente per la società italiana?
«Venivamo da un regime di sessuofobia paurosa. Io a 20 anni non sapevo niente della valenza, delle attitudini, delle potenzialità del corpo di una donna. Negli anni '60 qualcosa già appariva, la regina di tutte era Brigitte Bardot, in un mio libro ho scritto che fu la donna che creò l'uomo moderno. Ci fece percorrere un gradino ulteriore nella provocazione, nella sensualità comprata e venduta».
L'avvento di Cicciolina fu una vera rivoluzione?
«Fu una delle molte rivoluzioni che caratterizzarono gli anni '60 e '70, l'ultimo arrovesciamento del '900. Gli italiani abbandonarono un po' della loro ipocrisia e sessuofobia.
Non dimentichiamoci che il divorzio fu introdotto solo nel 1972. Chi falliva un matrimonio era condannato al fallimento eterno. Come esempio ho mia madre che si separò a 26 anni e, quando finalmente arrivò il divorzio, aveva 60 anni ed era ormai fuori dai giochi. Se avesse voluto rifarsi una famiglia non ne avrebbe avuto la possibilità. Venivamo da abissi di sessuofobia e di repressione sessuale per i quali dobbiamo ringraziare soltanto lo Stato dentro lo Stato italiano, cioè il Vaticano».
Secondo uno studio, negli ultimi anni le scene di sesso si sono molto ridotte nelle pellicole cinematografiche. È un riflusso?
«Non mi meraviglia. Ormai siamo tutti clienti di internet, dove basta un clic sul computer per trovare scene di qualsiasi tipo. Oggi Cicciolina potrebbe quasi sembrare romantica. Quando galoppi in una direzione ci sono aspetti negativi e positivi. L'aspetto negativo è che oggi un adolescente che può abbeverarsi quando e quanto vuole al supermarket del sesso sul web se ne fa un'idea sbagliata».
In questa situazione oggi in un film che cosa ci sta a fare una scena di sesso?
«Se fossi un regista non ne metterei neanche una. Trovo molto più dirompente una donna che ti sorride da lontano. Mi viene in mente Brigitte Bardot nel film E dieu créa la femme (Piace a troppi in Italia) di Roger Vadim. Il più famoso critico cinematografico francese scrisse 'nella scena finale la Bardot balla nuda', e invece lei era vestitissima. Ma il critico era così assorbito che non capiva più nulla».
Azzurra della Penna per “Chi” il 23 novembre 2021. Scusi il ritardo, dovevo pagare delle bollette...». Oddio, Cicciolina ce la si immagina in molti modi, ma in fila alla posta, eddai. Sì, anche ora che compie 70 anni (e all’improvviso siamo tutti un po’ più vecchi) ce la si immagina con la coroncina di fiori in testa e l’orsacchiotto e... «E infatti lei non ha idea delle richieste fra Instagram, Twitter e Facebook e quant’altro».
Domanda. Ma che cosa chiedono a Ilona Staller, che magari a quota centodue ci è arrivata?
Risposta. «Guardi, io di certo non vado in pensione. Lo scriva bene in evidenza: faccio serate, concerti, dipingo, gioco anche a scacchi e quasi sempre vinco».
D. In pensione, magari no, ma il vitalizio...
R. Ma allora dobbiamo litigare?».
D. Ma no, che non c’è niente di nuovo sul fronte parlamentare. Senta, ma che richieste riceve via social?
R. «Ah, di tutto e di più. Per esempio, se posso partecipare a un addio al celibato».
D. E lei che cosa risponde?
R. «Che ci vado facendo solo ed esclusivamente presenza, con una guardia del corpo mia personale e che chiedo una cifra blu, perché a dire la verità non li voglio mica tanto fare questi addii al celibato».
D. E perché?
R. «Perché non mi va e perché l’unica cosa che non rifarei nella mia vita, tornassi indietro, è sposarmi».
D. Addirittura? Ilona: 70 anni.Che effetto le fa?
R. «Per fortuna li porto bene, la gente si ferma ancora per strada. E sono magari con le scarpe da tennis, tuta e coda di cavallo, non vado certo in giro con il vestitino bianco e la coroncina in testa, che sennò a casa non ci arrivo mica».
D. E quanti anni hanno i suoi “street fan”?
R. «Dalla nuova generazione – mi conoscono perché vanno su Internet – fino agli ottantenni che conoscono anche le mie canzoni: avevo un contratto con la RCA, sa? E dovevo andare a Sanremo con la canzone Cappuccetto Rosso cantata in duetto con Franco Franchi. Hanno bloccato la mia partecipazione».
D. Era allora, ora a Sanremo Achille Lauro canta Me ne frego vestito da donna?
R. «Quando l’ho visto ho detto: “Che fico”. E come lui anche i Måneskin... Io sono contenta che ci siano queste manifestazioni che raccontano, in fondo, quello che io dico da sempre: che siamo liberi di esprimerci e di essere come vogliamo. Comunque, non è mica ancora così, “liberi tutti”: io ultimamente ero andata ospite in una trasmissione in Rai, mi ero scritta con il pennarello rosso sulla mano Ddl Zan, l’hanno visto, e la mia ospitata che doveva durare 45 minuti è durata un quarto d’ora, “Grazie e arrivederci”».
D. Lei, però, non è nuova, come dire, a sortite bizzarre, ultimamente si definita “vergine eterna”, suvvia Ilona.
R. «E lo sono, lo sono mentalmente, ho fatto sesso è vero, ma sono pulita, bella, dentro di me, nel mio intimo, sono più trasparente dell’acqua».
D. A proposito, dicono che il mercato della sua lingerie vada a gonfie vele. È vero?
R. «Ci sono molti feticisti, mi chiedono se possono comprare i miei tacchi a spillo, i miei tanga, i reggiseni, le coroncine».
D. E lei questi “affaroni” li dichiara?
R. «Se le mutandine pagano l’Iva...».
D. Parlando di soldi veri, lei è stata sposata con l’artista che fa schiattare di invidia Julian Schnabel e Damien Hirst messi insieme, il più quotato, Jeff Koons, il cui Coniglio d’acciaio è stato battuto all’asta per 91,1 milioni di dollari...
R. «Koons non mi dà neanche un dollaro».
D. Ma se avete un figlio...
R. «E guardi che l’ho fatto diventare io popolare in tutto il mondo il “mister”, ma non mi interessa più di tanto, a parte il fatto che è il padre di mio figlio».
D. Però sarebbe stato meglio un coniglio ieri che un tanga oggi. O no?
R. «Guardi, in America tutte le ex mogli, ma proprio tutte, prendono dei soldi, ma lì di me avranno detto: “Sicuramente è comunista perché viene dall’Ungheria e sicuramente è una p*****a perché fa la pornostar”. Ma sa una cosa? E adesso non parlo di Koons parlo di tutti quelli che accumulano tanta ricchezza, non se li porteranno nella tomba quei milioni là, nella tomba ci entreranno nudi e crudi».
D. Ilona, secondo lei i ricchi piangono a letto?
R. «Secondo me sì, perché loro più che con le donne fanno sesso con i loro miliardi. L’amore e il sesso, invece, si fanno con il cuore, i sentimenti, il corpo, l’armonia fra due persone».
D. È innamorata?
R. «Solo della vita».
D. Questa è una risposta “para...” Da quant’è che Cicciolina non fa sesso? Pardon, l’amore?
R. «Da diversi anni, ma io non posso andare a cercarmi in giro una persona solo per un flirt, solo perché quella persona possa dire: “Ho fatto sesso con Cicciolina”. Io voglio un amore».
D. Sì, ma lei non è che a 70 anni ora possa fare Bridget Jones.
R. «Infatti se non esiste non vado in crisi, chissenefrega: faccio l’amore con me».
D. Si potrebbe innamorare di una donna?
R. «Tutto sommato... Perché no? E poi molti uomini hanno paura, pensano che chissà che devono fare, pensano che farebbero una brutta figura e allora rinunciano a provarci».
D. E invece?
R. «Invece io sono una donna semplice, voglio solo fare cose un pochino curiose».
D. Tipo?
R. «Che ne so, sesso nella vasca da bagno, oppure in un parco pieno di fiori, sotto gli alberi, in una piscina piena di petali di fiori. Sempre immersa nella natura. Secondo me gli uomini hanno paura della bomba sexy».
D. Dovrebbero durare ore e ore prima di farla esplodere?
R. «Per carità, potrei morire, ma meglio venti minuti, non di più e non di meno, e poi baci e carezze».
D. Ma a 70 anni il desiderio com’è?
R. «È sempre bello, piacevole e forte».
D. Ilona, ma sarà mica una femminista, lei?
R. «A modo mio sono femminista o, in ogni caso, sono una donna autonoma, ormai è una vita che dipendo da me».
D. Un’ultima cosa, ci racconta un bacio non dato?
R. «Fra i tanti dati? (ride, ndr). Molti anni fa ero sul palco al Bandiera Gialla e quella sera c’era un giovanissimo Vasco Rossi, che era stupendo e mi aveva seguito in bagno. E io, scema io, ero uscita da un’altra porta, scappata via. Perché, veramente non lo so».
D. Lanciamo l’appello a Vasco per il suo compleanno?
R. «Certo: mi dispiace tanto non averti baciato Vasco. Ora mi piacerebbe tanto farlo. O almeno scrivi una canzone per me».
Auguri, Ilona.
Massimo Cutò per “QN - IL Resto del Carlino” il 28 febbraio 2021. «Mi scrivono: ti adoro, voglio incontrarti, ti prego sposami. Gli uomini sono così. Ma l' amore è vincere al Superenalotto, capita all' improvviso o mai. Sto nella mia Arca di Noè con dieci gatti, i cani, le colombe. Gli animali non tradiscono». Elena Anna Staller, detta Ilona (il nome della madre) o Cicciolina, ungherese naturalizzata italiana, compirà 70 anni a novembre. «Dirò addio al 69, un così bel numero», ironizza allusiva. Tutti la conoscono, nessuno sa chi è davvero. È stata la donna dello scandalo, la prima diva del cinema a luci rosse. Ha rivoluzionato il costume di un' Italia arroccata sul comune senso del pudore. Ha cantato e ballato senza veli. Ha fatto radio e televisione e posato per grandi fotografi. È entrata in Parlamento. Ha fondato un partito. È stata un' opera d' arte, scultura vivente alla Biennale di Venezia. E non è finita qui.
Dove comincia la storia?
«A Budapest. Regime comunista durissimo, mio madre ostetrica separata da un marito che la tradiva. Eravamo poveri. Io e i miei fratelli Valeria e Laszlo ci siamo rimboccati le maniche.
Facevo la cameriera all' Intercontinental, hotel sul Danubio: uomini d' affari stranieri, ministri.
Personaggi osservati dai servizi segreti».
È entrata nel gioco?
«Sono diventata una spia: nome in codice Coccinella. Quando la situazione è diventata pericolosa sono scappata».
Con un italiano?
«Divertente, simpatico, 25 anni più di me: io l' ho sposato e lui mi ha portata a Milano. Lì ho scoperto che non aveva un soldo».
Era salita sul cavallo sbagliato?
«Essere bella è una risorsa, a 13 anni avevo vinto il concorso di Miss Ungheria. Sono andata dal miglior fotografo e ho fatto un book. Mi sono trovata un agente: servizi di moda, cataloghi, pubblicità. Ho chiesto il divorzio e sono andata a Roma per fare l' attrice».
Primo film?
«Incontro d' amore, nel '70, con Umberto Orsini e Laura Antonelli. Giravamo a Bali, Orsini era affascinante: è nata una storia. Poi due grandi registi. Lattuada per Cuore di cane e Vizi privati, pubbliche virtù con Jancso».
Perché ha chiuso con il cinema d' autore?
«C' era la commedia sexy all' italiana: ho girato La liceale con Gloria Guida, La supplente. Sono entrata nel filone».
Proseguito alla radio?
«Era il '75. Conducevo un programma su Radio Luna: da mezzanotte alle due rispondevo alle telefonate di quelli che battezzai ciccioline e cicciolini. Domande a luci rosse, successo strepitoso. Scoppiò il caso Ilona: titoloni sui giornali, l' intervista di Biagi in tivù, le foto su L' Europeo, la copertina di Playmen. Avevo intercettato i desideri del pubblico parlando di temi scabrosi senza inibizioni».
Quando è arrivata al porno?
«Riccardo Schicchi, produttore e pornografo, mi inseguiva. Voleva lavorare con me. Nell' 83 abbiamo creato Diva Futura: agenzia di casting e produzione nella villa sulla Cassia, dove abito».
Era nata un' industria?
«Il rifugio dell' eros libero, prima che una società. Riviste, calendari, spettacoli, film, home video: da lì è uscita Moana Pozzi».
Com' era?
«Un' amica vera. Sapevo che stava male, ma la morte è stata uno choc. L' hard per lei non era lavoro, era esprimere la sua personalità».
È lo stesso per Ilona?
«Il nudo è naturale, privo di malizia. Non sono una peccatrice. Anche con il porno non mi sono mai sentita oscena. Oscena è la povertà, i derelitti che lo Stato dimentica».
Quanti porno ha girato?
«Meno di trenta. Certi film sono stati cannibalizzati e ritargati. L' ultimo è uscito nel '93, ma avevo smesso quattro anni prima».
Hard core ingrato?
«Non sputo nel piatto dove ho mangiato. Per quattro giorni di girato guadagnavo tanti soldi. Però l' ho pagata».
In che modo?
«Record di denunce, censure, condanne per far uscire il porno dal sommerso. Negli show facevo il pieno e i moralisti inorridivano. Al Vigorelli, nel contorno della Sei giorni, mi hanno trascinata via dal palco e processata per direttissima. La strega da bruciare sul rogo. Sono finita in cella a Bruxelles e sarei ancora lì se Marco Pannella non mi avesse tirata fuori».
Quando vi siete incontrati?
«Raccoglievo firme per i radicali, volevo entrare in lista. Mi ha accarezzato i capelli. Metà del partito era contro, Giovanni Negri in testa. Ha vinto Pannella e abbiamo fatto campagna elettorale assieme. Una sera, a Teleroma 56, entrò nel camerino e disse: mettimi la cipria sennò prendi più voti di me».
Ci aveva azzeccato? «Quasi. Ventimila voti, seconda dietro di lui. Meglio di Rutelli e della Bonino. Sono diventata deputato nell' 87 non per un voto di protesta ma perché la gente mi amava. Mi sono battuta per le cavie e l' educazione sessuale a scuola, la droga depenalizzata, l' eros dei detenuti e i bordelli. Adesso difendo i macachi, oggetto di sperimentazione crudele nelle università con il placet del ministero della Salute».
Le donne della politica che posizione avevano?
«Erano spaccate, così come le femministe. Le donne devono farsi sentire: sessismo, violenza, disuguaglianze sul lavoro. Siamo tornati indietro».
L' hanno accusata di assenteismo e per il vitalizio da parlamentare.
«Una balla. Arrivavo alla Camera con la Peugeot e stavo lì tutto il giorno. E il vitalizio lo giro a chi è finito in mezzo alla strada per il Covid».
Era un' intrusa tra i colleghi a Montecitorio?
«Li chiamavo onorevoli porcelloni. Chiedevano: porti gli slip, hai messo il reggicalze? Qualcuno ci provava, ma non ho mai visto la collezione di farfalle».
Il più simpatico?
«Andreotti. Era divertito dalle mie provocazioni. A una festa si è complimentato per il vestito nude look».
Che cosa fa ora?
«Ho ricevuto il Premio PornHub alla carriera: icona mondiale della trasgressione. Ho partecipato a reality in Argentina e Inghilterra. L' Italia invece ha chiuso le porte: Milly Carlucci mi vuole a Ballando, ma c' è un veto. Sconto il peccato originale. Mio figlio Ludwig dice: sei una mamma scomoda».
E il suo ex marito, lo scultore Jeff Koons?
«Abbiamo fatto la guerra per l' affidamento di Ludwig e l' ho spuntata, però su di me pende un mandato di cattura internazionale negli Stati Uniti. Mi assiste l' avvocato Luca Di Carlo, il super legale di star come Michael Jackson e Pamela Anderson. E sì che quando ci siamo conosciuti ho pensato: vorrei che Jeff fosse il padre di mio figlio».
Gli uomini sono una delusione?
«Cercano in me la pornostar per una notte da raccontare. Altri non si avvicinano per paura: credono che abbia chissà quali esigenze a letto. Ho sofferto per amore e sessualmente sono appagata. Single».
Teme la vecchiaia?
«Sono un' artista positiva e creativa. Allo specchio mi piaccio. E adoro dormire nuda, che cosa credeva?».
Da "corriere.it" il 29 ottobre 2021. La cantante Elodie in Puglia per il suo esordio da protagonista in un film per il cinema in «Ti mangio il cuore», regia di Pippo Mezzapesa, dove recita nel ruolo della moglie di un boss. La trama: dimenticati da Dio gli altopiani del Gargano sono contesi da criminali che sembrano venire da un tempo remoto. Una terra da far west, in cui il sangue si lava con il sangue. A riaccendere l’odio tra due famiglie rivali, un amore proibito: quello tra Andrea, erede dei Malatesta, e Marilena, la bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione impossibile da estirpare che travolge la ragione e riaccende la guerra tra i clan. Tratto dall’omonimo libro-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini edito da Giangiacomo Feltrinelli Editore «Ti mangio il cuore» è un gangster movie e una grande, tragica storia d’amore. «Ti mangio il cuore contiene» porta in scena amore, morte, criminalità, riti e impossibile redenzione in un meridione oscuro e misterioso. «Tutti elementi magnetici che ho deciso di raccontare in bianco e nero, perché da subito ho sentito che erano questi i colori di una storia contemporanea, eppure così profondamente ancestrale nei sentimenti, negli atti, nelle sentenze» spiega Pippo Mezzapesa. Il film è prodotto da Indigo Film con Rai Cinema, con il supporto logistico di Apulia Film Commission. Le riprese si svolgono interamente in Puglia per una durata di otto settimane. Accanto ai protagonisti Elodie e Francesco Patané nel cast anche Lidia Vitale, Francesco Di Leva, Tommaso Ragno, Giovanni Trombetta, Letizia Cartolaro, Michele Placido e Brenno Placido. La sceneggiatura è firmata da Antonella Gaeta, Pippo Mezzapesa e Davide Serino, la fotografia è di Michele D’Attanasio, la scenografia di Daniele Frabetti, i costumi di Ursula Patzak e il montaggio di Giogiò Franchini.
Giulia Turco per "fanpage.it" il 6 ottobre 2021. Elodie apre la nuova stagione de Le Iene con un monologo sulla lotta contro la violenza sulle donne. La cantante, che come era stato anticipato si è cimentata per la prima volta nella conduzione del programma di Neri Parenti, ha affiancato Nicola Savino nel lancio dei servizi del primo appuntamento di stagione su Italia 1. Dopo una partenza timida e talvolta imbarazzata, la cantante romana ha dato il meglio di sé in un monologo scritto in difesa delle donne. L'occasione è quella del servizio sul caso Dayane Mello e il presunto stupro da parte di Nego do Borel avvenuto tra le mura del reality brasiliano La Fazenda.
Il discorso di Elodie in difesa delle donne
Di nuovo in abito rosso, come l'abbiamo vista sul palco dell'Ariston. Non un caso certamente e non appena una questione di stile: il rosso è il simbolo della lotta alla violenza sulle donne, della quale la cantante romana è diventata una delle più recenti ambasciatrici sul piccolo schermo. Tre minuti di monologo, per ricordare che "i corpi sono belli, ma tra ammirare un corpo e possederlo c'è di mezzo il consenso e il desiderio". Di seguito il suo discorso integrale: Io voglio parlare solo alle mie amiche e dire la mia con onestà perché non devo e non voglio spiegare niente a nessuno. Noi non dobbiamo mai sentirci in colpa. Non dobbiamo mai proteggere gli uomini perché gli uomini non sono i nostri figli e quando sbagliano è giusto che paghino. Se quell’uomo ha davvero fatto sesso con una donna che non poteva intendere e volere perché era sotto effetto di alcol, deve pagare e Dayane deve essere trattata come una vittima perché lo è. Mi fa incazzare vedere una ragazza che non può dire no, o che si vergogna a farlo come se il proprio corpo non fosse più suo, come se ormai fosse troppo tardi per tornare indietro. Io sono libera di cambiare idea fino all’ultimo, di dire “Non mi va più”, oppure “Ho sonno, sono stanca, levati di torno”. O di darti un calcio nei coglioni, piuttosto che stare in silenzio. Quando facevo la cubista, il mio corpo era il colore, la scenografia del locale e io mi divertivo tantissimo. Ma bastava un solo sguardo, o un gesto fuori posto per farmi sentire sbagliata. Sono passati tanti anni e non è cambiato molto. Succede che mi dicano “Elodie, ma tu fai i balletti mezza nuda”. E allora? I corpi sono belli, mi piace essere guardata, ma tra ammirare un corpo e possederlo in mezzo c’è il consenso e il desiderio, che è fondamentale. Vi siete mai chiesti cosa desidera una donna? C’è un’altra cosa che mi fa incazzare. Facciamo un esempio: per farsi accettare da un uomo, una donna ogni tanto non può dire con quante persone è stata a letto. Anch’io a volte ho fatto fatica a dire le mie cose ed è capitato a tutte sentirsi dire “Non devi raccontare proprio tutto al tuo uomo”. Io mi domando, perché? Cosa devo nascondere? Da cosa lo devo proteggere? Di cosa ha paura? Del mio passato? Delle mie esperienze che sono le sue stesse? Di conoscermi davvero? Molti uomini hanno questa paura e vogliono dominarci, controllarci e difenderci, come se fossimo una loro proprietà. Io non voglio essere difesa, voglio essere compresa. Non voglio essere giudicata, voglio essere ascoltata, perché quello che sono vale e ci ho messo tanti anni ad essere quella che sono oggi e sono orgogliosa di me. Tutte le volte che abbiamo accettato il ruolo che qualcuno ha scelto per noi, siamo finite a fare da madri ai nostri compagni. Magari passiamo la vita a cercare di salvare qualcun altro, a me è successo tantissime volte, forse perché mi sentivo importante, di avere un valore e di avere un senso in questa vita. In realtà, quando decidi di dare tutto ad un’altra persona, è proprio il momento in cui ti annulli, ti annienti e perdi la bellezza di dedicare il tuo tempo a te stessa. Quindi non facciamolo, non dobbiamo sparire mai.
Elodie in conduzione a Le Iene
Le Iene ripartono in quarta con la conduzione di Elodie, uno dei personaggi più attesi di questa stagione di Italia 1. La sua presenza era stata anticipata qualche mese prima, quando si era parlato della possibilità di una presenza lampo della cantante nello studio del programma. Così è stato in effetti, perché dopo la puntata di esordio Elodie passerà il testimone alla modella e attrice Rocío Muñoz Morales, compagna di Raoul Bova, al fianco di Nicola Savino. Una sfida non semplice, considerando il consenso del pubblico verso Elodie, amatissima anche in tv, che all'indomani del suo monologo ha fatto schizzare in tendenza sui social il programma di Neri Parenti.
Da "ultimenotizieflash.com" il 6 ottobre 2021. E’ davvero assurdo e allucinante quello che succede nel nostro paese ma non solo. Del resto, se non ci fosse così tanto odio, frustrazione e rabbia, non succederebbero tutte le cose che accadono in Italia, non ci sarebbe un femminicidio ogni due giorni. Nel corso della puntata de Le Iene in onda ieri, 5 ottobre 2021, Elodie dopo il servizio dedicato a Dayane Mello, che è stata molestata e forse anche stuprata in un reality in Brasile, ha recitato un monologo molto forte. Peccato che sui social, mentre lei parlava di violenza di genere, del ruolo della donna, di quello che si dovrebbe fare per rendersi conto che non si possiede nessuno, che si deve amare, che la donna deve capire che non può cambiare chi ha al suo fianco, sui social i telespettatori del programma abbiano pensato bene di travolgerla con insulti. Di ogni genere. A partire dal suo aspetto fisico, passando per il fatto che stesse leggendo il gobbo, puntando il dito perchè lei non può parlare di questi temi; c’è persino chi ha scritto ( e tutti i commenti li potrete leggere sulla pagina Fb de Le Iene, perchè è soprattutto dal social di Zuckerberg che arrivano le principali offese) che lei, ex di Maria de Filippi, non dovrebbe stare neppure in tv, che è una raccomandata e che non può parlare di queste tematiche.
Che schifo le offese sui social a Elodie
“Che bello il discorsetto sulle donne fatta da un pupazzo in tacchi a spillo messa lì per fare bella presenza che legge un discorso sicuramente non di suo pugno.. e magari pure scritto da un uomo” è uno dei commenti, scritto da una donna eh, neppure da un uomo. Perchè adesso c’è anche un modo in cui si dovrebbe parlare di violenza contro le donne. Ora sia chiaro, il monologo di Elodie potrebbe non essere piaciuto, si potrebbe far notare che si è più volte “inceppata”. Non è una conduttrice, era in diretta e ci stava. Ma arrivare a offendere gratuitamente perchè? “Parla in modo volgare e oltretutto è un discorso semplice, banale e a tratti senza ne capo ne coda. In alcuni tratti come quando dice “non so nemmeno io perché lo faccio” suona come una vittima di una propria instabilità mentale. Il discorso mi sembra un temino delle scuole medie con qualche parolaccia in più. La verità è che se si vuole lanciare un messaggio importante che sortisca un effetto, a maggior ragione se si è su una rete nazionale, prima ci sarebbe da prepararsi meglio” ha scritto un altro utente sui social. “Cercavo di suggerigli le parole da casa ma poi ho girato xche mi vergognavo x lei”. C’è anche chi si chiede perchè il conduttore sta in abito e Elodie in minigonna, effettivamente Nicola Savino starebbe benissimo con un tubino. Dimenticano che le donne de Le iene, le inviate, indossano lo stesso abito con pantaloni dei loro colleghi, per dire…
· Ema Stokholma.
Da "ilmattino.it" il 7 aprile 2021. Ema Stokholma dipinge l'amica Andrea Delogu: la foto di nudo diventa un quadro. La foto, la versione quadro e il video. Nel feed super riconoscibile della modella, dj e speaker radiofonica Ema Stokholma su Instagram c'è una ritualità quasi matematica. Nell'ultimo post la protagonista è di nuovo l'amica (con cui ha presentato insieme anche l'intrattenimento radio di Sanremo) Andrea Delogu: uno scatto di nudo artistico in mezzo alla natura è diventato un dipinto, pubblicato già ieri, al quale è seguito un video che mostrava tutta la fase di realizzazione sulle note di "Voce" di Madame. «Siamo tanto amiche, lei è stata veramente una persona che mi ha cambiato la vita - ha raccontato Ema Stokholma sulla Delogu -. Lei ha un passato diverso, per la prima volta mi ha dato un ascolto interessato. È stata la prima persona alla quale ho raccontato di mia madre Dominique (che aveva tentato di affogarla, ndc). Andrea non si è fermata a pensare "la mamma è sempre la mamma", è andata oltre. Ci siamo raccontate e capite, questo rapporto va molto oltre l'amicizia».
· Emanuela Fanelli.
Chi è Emanuela Fanelli, l’attrice e comica di “Una pezza di Lundini”. Vito Califano su Il Riformista il 20 Aprile 2021. Torna il programma Una pezza di Lundini e quindi tornato Valerio Lundini e l’attrice e comica Emanuela Fanelli. Una trasmissione che ha convinto nella prima stagione dal settembre 2020 al gennaio 2021. E Fanelli, alle spalle cinema e televisione, è stata definita da alcuni critici la “rivelazione dell’anno”. Una lunga strada la sua. Adesso è una delle attrici più quotate in Italia. La trasmissione torna da stasera a partire dalle 23:45. Classe 1986, ha cominciato con il teatro da adolescente. Per dieci anni ha fatto la maestra di matematica. E quindi la commessa, l’operatrice in un call center. Ha esordito al cinema nel 2015 con il film Non essere cattivo di Claudio Caligari. A questo è seguito Gli ultimi saranno ultimi e Beata ignoranza di Massimiliano Bruno, Assolo di Laura Morante, La casa di famiglia di Augusto Fornari, A mano disarmata di Claudio Bonivento. Ha vestito i panni di Cinzia, protagonista della serie Dov’è Mario? prodotta da Wildside per Sky Uno con Corrado Guzzanti. Per la televisione, ha partecipato a La tv delle Ragazze – Gli Stati Generali, programma di Serena Dandini in onda su Rai3 e quindi in Battute? su Rai 2. È stata anche protagonista del videoclip di Immigrato, la canzone di Checco Zalone, che ha anticipato il film Tolo Tolo. Per la radio ha lavorato con Lillo & Greg al programma 610 di Rai Radio 2. Ha partecipato anche al Festival di Sanremo come ospite nella serata dei duetti con l’attore e doppiatore Francesco Pannofino e con il gruppo Lo Stato Sociale che hanno suonato Non è per sempre, canzone degli Afterhours, a favore dei lavoratori del mondo dello spettacolo e della cultura, stremati dall’emergenza e quindi dalla crisi causata dalla pandemia da coronavirus. Al Foglio ha raccontato il trucco, la ricetta del successo degli sketch di Una pezza di Lundini: “Quando andavamo in onda con ‘Una pezza di Lundini’, con Valerio, il conduttore e autore, e Giovanni Benincasa, il capoprogetto, adottavamo un metodo semplice: ci domandavamo, per ogni frase e per ogni sketch, se ci facesse ridere. I primi a divertirsi dovevamo essere noi. Io, però, non mancavo mai di guardare i cameramen e i microfonisti: se riesci a far ridere delle persone che stanno lavorando da ore dietro una telecamera, dentro uno studio televisivo, e ne hanno viste e sentite di ogni, allora il pezzo è buono”.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Emma attacca l’Eurovision: “Io fui criticata per il look, Damiano no: è sessismo”. Alice Coppa il 04/06/2021 su Notizie.it. Emma Marrone è tornata a parlare del sessismo nel mondo della musica e dello spettacolo e ha menzionato un caso che l'ha vista protagonista. In vista del suo nuovo tour Emma Marrone si è confessata a cuore aperto rivelando per la prima volta di aver sofferto per le critiche nei suoi confronti legate alla sua partecipazione all’Eurovision. Quest’anno la vittoria degli Eurovision è stata conquistata dall’Italia e più precisamente dai Maneskin. Il frontman della band, Damiano David, ha fatto parlare di sé per il suo iconico look, con pantaloni di pelle e tacchi a spillo. Emma Marrone – che molto presto partirà per il suo nuovo tour – ha affermato di esserci rimasta male per le critiche da lei ricevute in passato agli Eurovision e ha paragonato la vicenda al look di Damiano David. “Mi hanno preso in giro per i pantaloncini di scena color oro che uscivano dal vestito. C’è ancora del sessismo e c’è ancora tanto da fare. Si è visto anche in conferenza stampa dopo la vittoria dei Maneskin. Damiano è arrivato in sala a petto nudo con gli stivali sul tavolo e la bottiglia in mano. È stato apprezzato. Io invece sono stata criticatissima, specie dalle donne”, ha dichiarato. In tanti tra i fan sui social hanno commentato quanto affermato dalla cantante in merito alle critiche ricevute agli Eurovision. La giornalista Selvaggia Lucarelli sui social ha replicato affermando di non essere d’accordo con quanto detto da Emma Marrone. “Io ho rispetto per Emma ma con onestà, la canzone era brutta, si posizionò malissimo e sul palco la performance fu piuttosto imbarazzante. Questo anche se si fosse presentata con una tuta da sci. Il look dei cantanti si commenta sempre perché fa parte dell’impalcatura, della performance, specie a Eurovision. Non scomodiamo il sessismo quando non serve. Grazie. (anche perché sei molto più intelligente di quello che hai detto, Emma)”, ha scritto via social la Lucarelli. La cantante ha più volte parlato delle critiche che l’avrebbero fatta soffrire (specie agli inizi della sua carriera) sul suo aspetto o sul suo corpo. Oggi Emma Marrone ha affermato che non le importerebbe più dei giudizi altrui: “I pregiudizi non li conto neppure, ci sono sempre stati ma oggi sono cambiata, sono diversa e non me ne frega più nulla di quello che scrivono certe persone e un certo giornalismo. So quanto valgo”, ha dichiarato.
Mattia Marzi per "il Messaggero" il 18 giugno 2021. Il tour per festeggiare - con un anno di ritardo, causa pandemia - il decennale della vittoria ad Amici, che nel 2010 la lanciò (stasera e domani gioca in casa, all' Auditorium di Roma, la città dove a 26 anni si trasferì dal Salento subito dopo il talent e dove ancora oggi vive, in zona Monteverde). Il singolo in duetto con Loredana Bertè, Che sogno incredibile, che scala la classifica delle canzoni più trasmesse in radio e anticipa la raccolta The best of ME, in uscita il 25 giugno. Le riprese della serie A casa tutti bene di Muccino per SkyAtlantic appena concluse e quelle dei provini di X Factor che partiranno a luglio (a ottobre sarà di nuovo tra i giudici del talent, insieme a Manuel Agnelli, Mika e Hell Raton). Un film-documentario attualmente in lavorazione per suggellare questi primi dieci anni di musica e di vita. Emma non si ferma un attimo.
Le dichiarazioni sull' Eurovision e Damiano dei Maneskin hanno offuscato la partenza del tour: La solita storia acchiappa like su internet, ha scritto sui social. Pensa di essere stata fraintesa?
«No. Damiano, che è intelligente, ha letto quello che ho detto, come l'ho detto: mi ha dato ragione».
Perché se l'è presa, allora?
«Perché i leoni da tastiera non vedono l'ora di fomentare odio nei miei confronti. I titolisti del web che hanno estrapolato quei concetti dovrebbero andare al mare a fare castelli di sabbia con i bambini».
Non scomodiamo il sessismo quando non serve, ha twittato Selvaggia Lucarelli. Risponde?
«Io so quello che dico. E ho raccontato una cosa vera: Victoria, la bassista dei Maneskin, vive le stesse cose. Lo ha detto anche Damiano Perché queste inutili bagarre?».
Colpa forse dei pregiudizi nei suoi confronti, legati al suo percorso?
«Ho sempre dovuto dimostrare il triplo rispetto agli altri. Le radio non mi passavano, anche se vendevo 400 mila copie. Per tutti ero e sono quella di Amici, ma prima del talent ci sono stati anni e anni di gavetta. Dopo le Lucky Star (il trio con il quale vinse Superstar Tour nel 2003, ndr), cambiai tutto: mi misi a suonare nei club e nei centri sociali.
Fondai una band, i Mjur: scrivevo io tutti i testi. Salivano sul palco con la vernice sul volto, eravamo inascoltabili. A Torino incidevamo per la stessa etichetta dei Linea 77, condividevo i camerini con i Tre Allegri Ragazzi Morti. Conservo ancora una lettera di Giovanni Lindo Ferretti».
Cosa le scrisse?
«Che dovevo continuare a crederci: vedeva un fuoco dentro di me. Lo stesso che vide Battiato. Mi dedicò un dipinto, una tela di un rosso acceso e una donna nel mezzo, con un cerchio bianco sulla testa: È il terzo occhio: sai vedere».
Di quel periodo cosa le è rimasto?
«L' attitudine, la vita on the road. Niente aerei: quando sono in tour viaggio in macchina o furgoncino. Sudore e gin tonic con i musicisti: per me è la cosa più sexy di questo lavoro. Sono una popstar sul palco, antidiva dietro le quinte e nella vita di tutti i giorni».
Cioè?
«Giro per Roma in sandali e pantaloncini, vado in pizzeria in ciabatte, struccata. Non ho mai puntato sull' estetica. Vorrei poter dire che durante il lockdown ho scoperto lo yoga e la meditazione, invece sono stata tutto il giorno sul divano».
Mai detto di no ad un autografo o a un selfie?
«No. Se sto mangiando, lascio perdere e sorrido. Non nascondo però che all'inizio ebbi problemi».
Perché?
«Gli articoli, le foto sui periodici: tutti volevano un pezzo di me. Dovetti imparare a gestire la popolarità. Oggi sto al gioco».
Crisi?
«Nel 2018 il mio disco uscì contemporaneamente a quello di Sfera Ebbasta: per la prima volta un trapper batté una popstar in classifica».
Fu un flop?
«Non permetto che venga utilizzata questa parola: biglietti per i concerti ne vendetti comunque. Semplicemente, con lo streaming le cose stavano evolvendo».
È evidente che il pop sia più in difficoltà, oggi.
«I parametri delle classifiche dovrebbero cambiare. Ma la corsa al numero uno e al Disco di platino ha stufato. Io, comunque, il mio giro l'ho già fatto: ora tocca agli altri».
Passa dal duetto con il rapper Gianni Bismark a quello con la Bertè: qualche no le capita di dirlo?
«Sì. Ai tormentoni, ad esempio. Me li hanno proposti, mi sono rifiutata. Anche se funzionano».
Disdegna chi li fa?
«No. Baby K e la Amoroso si prendono il loro posto. Sono contenta quando le donne hanno successo. Ma non è la mia storia: mi sentirei finta, ridicola».
Il concerto dell'Arena di Verona, dal 15 giugno in streaming su ITsART, rivivrà anche nel film-documentario che sta girando.
«Va bene la musica sui balconi, ma a me piace andare a lavorare: ora che la macchina si è rimessa in moto, mi sento viva».
Paolo Giordano per il Giornale il 4 giugno 2021. Pronti, via: Emma non ha perso un filo della sua grinta ed è la prima a ripartire con i grandi concerti dal vivo delle popstar dopo «l'inverno», come ha scritto Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Non solo: oggi esce il suo singolo Che sogno incredibile con Loredana Bertè, il 25 arriverà il greatest hits Best of me che celebra dieci anni di carriera attraversati con i guantoni della coerenza e del coraggio. Piaccia o no, Emma non le manda a dire e non lo fa neanche qui davanti al palco della piccola Arena Alpe Adria di Lignano poco prima di iniziare la prova generale del tour. Il 6 e 7 giugno parte dall'Arena di Verona (un «riassunto» del concerto del 6 sarà gratuitamente sulla piattaforma ItsArt dal 15 giugno) e poi fino a metà luglio girerà l'Italia da Taormina a Roma fino a Bologna (produzione F&P). In totale 25mila paganti, tutti secondo disposizioni Covid: «Io sono quella che va in Piazza del Popolo a dimostrare per i musicisti disoccupati ma poi non faccio un tour con un chitarrista e un tecnico: questa produzione coinvolge una quarantina di persone». Insomma, mette i puntini sulle i.
Dieci anni di carriera.
«Gli anni dei musicisti sono come gli anni dei cani: uno ne vale sette». (sorride - ndr)
Bilancio?
«Ho imparato che ho tante cose da imparare. So di non sapere, ma non ho perso la curiosità da bambini».
Lati positivi?
«I pregiudizi ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ma ho imparato a fregarmene perché so quanto valore do al mio lavoro. E poi ho fatto tanti cambiamenti musicali senza pensare alla quantità di stream o all'hype o chissà a cos'altro».
Quelli negativi?
«Talvolta non sono stata appoggiata come mi sarei aspettata».
Ad esempio?
«Quando sono andata all'Eurovision Song Contest nel 2014 avrei potuto portare una canzone tipicamente italiana, ma volevo dire che in Italia anche le donne possono fare rock. E così ho portato La mia città, che è un pezzo molto rock'n'roll».
Non andò benissimo.
«Mi presentai con un look molto aggressivo. Ed evitai di dare interviste ai giornalisti di paesi dichiaratamente omofobi. Ma invece di dire che bello, specialmente qui in Italia mi presero in giro per delle foto con gli shorts color oro che si vedevano sotto l'abito. Nel nostro dal punto del sessismo c'è ancora molto da fare e lo conferma come la stampa, blog e giornalisti o pseudo tali hanno affrontato la conferenza stampa dei Maneskin dopo la vittoria all'Eurovision».
Come?
«Damiano è stato apprezzato quando si è presentato a torso nudo con gli stivali sul tavolo e la bottiglia. Io invece ero stata criticata, specialmente dalle donne. Forse su certe cose sono sempre stata troppo avanti».
All'Arena di Verona la verrà a trovare anche Loredana Bertè (oltre ad Alessandra Amoroso e Dardust).
«Tra noi c'è un rapporto viscerale come tra mamma e figlia. Ho paura quando canterò con lei perché divora il palco».
Tocca a lei riaprire l'estate dei concerti pop con produzioni e grandi palchi.
«Per tutto il lockdown sono stata sul divano e ho cucinato tutto quello che volevo cucinare. Però, visto che in questo tour ho anche cinque ballerini (la danza è un altro settore penalizzato che mi piace aiutare) mi sono allenata ballando più di Heather Parisi negli anni Ottanta».
All'Arena di Verona con Durdust farà un omaggio a Battiato.
«La sua morte mi ha spezzato il cuore come quando è morto Pino Daniele (che avrei invitato stavolta all'Arena). Con Battiato parlavamo di musica al telefono e non dimenticherò mai la mia vacanza a casa sua. Veniva a svegliarmi con il caffè alle 5 del mattino: Andiamo al mare».
Emma, tornerà nella giuria di X Factor che non avrà più distinzioni tra le categorie musicali.
«È bello che si rompano queste barriere. Molti artisti non lo dicono ma temono le reazioni dei social se annunciassero collaborazioni con altri musicisti magari distantissimi».
Tutto si può dire di Emma tranne che abbia paura.
«E difatti il mio prossimo disco sarà il frutto di un attento ascolto dei giovanissimi».
Sul palco lancerà appelli?
«Sono sempre stata vicina al mondo LGBT quando eravamo solo io e Paola Turci. Ma ora sono stanca di fare comizi».
Candida Morvillo per il "Corriere della Sera" il 4 novembre 2021. Emily Ratajkowski è una delle top model più pagate al mondo, ha quasi 30 milioni di followers su Instagram , è stata in Gone Girl con Ben Affleck e con Zac Efron in We Are Your Friends . Diventa famosa a 21 anni, girando la clip di Blurred Lines di Robin Thicke, in cui tre modelle ballavano nude e che fu censurata per misoginia. Lei sostenne che quel video era femminista e che le donne avrebbero dovuto trovarlo liberatorio. «Sono a mio agio col mio corpo», disse, «che diritto ha la gente di dirmi che non posso ballare nuda? Dimenticano che il femminismo è libertà di scelta». Successe che le femministe s' indignarono e che milioni di ragazzine la acclamarono. Col senno di poi, ora che ha trent' anni e che è mamma, Emily ha idee più sfumate e le racconta nell'autobiografia Nel mio Corpo, che esce il 9 novembre negli Stati Uniti e in Italia, per Piemme. La voce che arriva d'Oltreoceano è quella di una giovane donna determinata a farsi valere.
Chi era e cosa pensava Emily nei primi anni da modella?
«Avevo ricevuto messaggi contraddittori sul mio corpo. Mia madre mi diceva: vestiti come ti pare, fregatene di cosa pensa la gente. Quando avevo 13 anni, mi comprò un abito per il ballo della scuola. Era azzurro, aderente, le chiesi: non è troppo sexy? E lei: no, sei stupenda. Invece gli insegnanti lo giudicarono scandaloso e mi cacciarono dal ballo. Mia madre mi trovò in lacrime, umiliata e confusa. Da giovanissima, tante volte ho provato vergogna per le reazioni che suscitava il mio fisico e ho maturato un senso di sfida: nessuno poteva dirmi cosa potevo fare e cosa no. Quando ho iniziato a fare la modella, a guadagnare con la mia bellezza, mi sembrava una forma di empowerment, ma naturalmente la situazione era più complessa di come pensavo».
Su che cosa si sbagliava?
«Ho un seguito di milioni di persone e, tra pubblicità e campagne, ho guadagnato più di quanto mia madre, professoressa di inglese, e mio padre, insegnante di disegno, potessero sognare in una vita. Ma la verità è che mi sono sentita sfruttata e sminuita. Nei giorni buoni, quando mi sentivo giudicata solo come un bel sedere, riuscivo a liquidare quegli sguardi come sessisti. Nei giorni bui, detestavo me stessa e ogni decisione presa mi sembrava un errore clamoroso. A vent' anni, non capivo che le donne che traggono potere dalla bellezza devono quel potere agli uomini di cui suscitano il desiderio. Sono loro a esercitare il controllo, non noi. Oggi mi chiedo: ho autonomia, ma posso chiamarla emancipazione? Se ripenso ad alcuni episodi, provo vergogna per come mi è capitato di presentarmi, pensavo di essere provocatoria verso il sistema, ma non comprendevo appieno le dinamiche di potere. Però non ho rimpianti, devo fare qualche concessione alla ragazzina che ero».
Cosa significa avere 16 anni e stare in fila a un casting per una giornata intera sperando che un fotografo ti scelga?
«Hai un bisogno così disperato di approvazione da essere disposta ad accettare anche la mancanza di rispetto. Pensi solo che tutto il mondo ti dice che devi essere bella e che se sei bella hai potere, e non sai che quel potere non è tuo».
Come si esce da questa contraddizione?
«Non direi mai a una giovane di non intraprendere la carriera da modella. Ho scritto questo libro per portare una testimonianza, non una soluzione. Purtroppo».
Quali mancanze di rispetto o abusi ha subito? Quanto dolore? E, ripensandoci, quando si sarebbe comportata diversamente?
«Mi sono chiesta se ho incoraggiato i fotografi che ci hanno provato con me o se avrei dovuto denunciare Thicke quando, girando quel video, mi afferrò i seni. Lo respinsi, ma a chi mi chiedeva se stavo bene, risposi con un sorriso, per sdrammatizzare. Pensai che, dopotutto, era il capo. E non denunciai Owen, il mio primo ragazzo, che abusò di me. Quando, tempo dopo, seppi che era stato denunciato per stupro da un'altra ragazza, mi chiesi: perché lei ha avuto il coraggio e io no? Avrei voluto essere come lei, ma incolpavo me stessa, il mio corpo. Ho scritto questo libro non per accusare qualcuno, ma per provare a capire perché noi donne accettiamo certi comportamenti e perché gli uomini si trovano a ferire una donna anche inconsapevolmente. Ma tutto è più grande di ciò che accade alla singola giovane donna o al singolo uomo anziano. È una cultura che permea tutto».
Diventare madre come ha cambiato il suo rapporto con il corpo?
«Quando, a marzo, è nato mio figlio Sly, c'era uno specchio in sala parto e io ho potuto vedere il posto da cui era emerso: il mio corpo».
· Enrico Brignano.
Enrico Brignano torna in tv tra monologhi, e battute sulla sua vita di marito e padre. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 28 Dicembre 2021. L’attore romano da martedì 28 dicembre su Rai2 con «Un’ora sola vi vorrei». Al suo fianco la compagna Flora Canto che gli ha dato due figli Martina e Niccolò.
«Un’ora sola vi vorrei»
Dopo il successo delle prime tre stagioni, torna il programma di enrico Brignano “Un’ora sola vi vorrei”, martedì 28 dicembre in prima serata su Rai2 per cinque settimane, più uno speciale per San Valentino. Uno show che Brignano si è cucito addosso: dura solo un’ora ed è un concentrato di battute, monologhi sulla vita di tutti i giorni, e sulle sue esperienze di padre. Anche in questa nuova edizione accanto ad Enrico c’è Flora Canto, la sua compagna nella vita, con la quale dà vita alla “scena del letto” dove con ironia la coppia commenta i fatti della puntata, e non solo.
La famiglia
Enrico Brignano è nato a Roma il 18 maggio 1966. Vanta una lunga carriera di attore comico sul piccolo e grande schermo, di cabarettista. Dal 2014 è legato all’attrice e conduttrice Flora Canto, da cui ha avuto due figli, Martina, nata l’11 febbraio 2017, e Niccolò, nato il 18 luglio 2021. La coppia è molto legata nella vita e anche nel lavoro: Flora spesso lavora al fianco di Enrico, dando vita a scenette di vita quotidiana tra marito e moglie. Enrico scherza molto sulle sue esperienze di papà agée: quando è nata Martina aveva 51 anni.
Le lacrime a «Verissimo»
Enrico Brignano e Flora Canto ospiti a «Verissimo» hanno raccontato a Silvia Toffanin la loro storia d’amore che si è arricchita con la nascita dei loro bambini, Martina e Niccolò. Brignano ha confessato subito che l’incontro con Flora per lui è stato una vera svolta: «Per me è come una seconda vita, una seconda chance. Sono grato di quello che ho avuto e degli errori fatti che mi hanno portato qui». Ha poi raccontato come ha conquistato Flora: «Lei ha una passione smodata per il cibo, e per i mandaranci. Per me era una strada in discesa, sono figlio di fruttivendoli. L’ho conquistata, con cassette di frutta e ortaggi». I due si sono poi emozionati a rivedere la proposta di matrimonio che Enrico ha fatto a Flora, all’Arena di Verona. Le nozze? A fine giugno 2022.
I figli
Flora Canto loda spesso le sue doti di padre e ha confidato la tranquillità di Brignano durante i parti: «Lui mi è stato accanto e ha saputo darmi un grande conforto». Poi ironicamente ha aggiunto: «E va detto che ogni volta che abbiamo pensato di fare un figlio lui subito, zac, al primo tentativo».
Il papà
Il 14 agosto 2021 Enrico Brignano ha scritto un post su Instagram per ricordare il papà scomparso dieci anni prima. Parole molto commoventi: «Ciao papà oggi sono 10 anni che non ci sei più... noi stiamo tutti bene (...) tra qualche giorno Niccolò farà un mese e Martina sa colorare senza uscire dai bordi. Flora è fantastica. io ho preso qualche chilo ...».
Il Maestro Gigi Proietti
Brignano ha frequentato l’Accademia per giovani comici creata da Gigi Proietti. Il grande attore è scomparso il 2 novembre 2020 e Brignano gli ha dedicato un commosso ricordo ai funerali: «Maestro mio, è arrivato il momento dei saluti. Anche se è difficile trovare la forza per salutare te che mi hai aperto la porta dei sogni che sei stato il mio mentore per eccellenza […] La prima volta che ti vidi da vicino era un giorno d’aprile del 1988. Entrasti e con la giacchetta tenuta per un dito hai detto: ‘Ciaoo’. Voce imponente, volto autorevole, così alto, con una testa piena de capelli. Mi sentii tremendamente intimidito poi pian piano mi sono abituato all’idea così cominciai a chiamarti come facevano tutti gli altri, Giggi con due g. E cominciai ad amarti senza remore. Ti guardavo...ti spiavo dietro a una quinta mentre recitavi per carpirti ogni segreto ma il talento non ha segreti, è talento e basta. E tu ne hai a secchi. Ho sempre cercato nei tuoi occhi l’approvazione: ero l’alunno davanti al maestro, quando c’eri tu tra il pubblico, anche dopo 30 anni di palcoscenico. E se faccio quel che faccio, è soprattutto grazie a te. Sento un gran dolore dentro, ma so che è stato un privilegio starti vicino e devo farmelo bastare come consolazione. Grazie di tutto, Gigi. Sempre e per sempre».
"Le parole nello show? Ecco cosa è cambiato". Claudio Rinaldi il 30 Settembre 2021 su Il Giornale. Intervista a Enrico Brignano, l'attore e comico romano: "Non sono mai stato censurato. Il politicamente corretto? Riduce il campo d'azione per far ridere".
"Le parole hanno un peso". Nanni Moretti? No, Enrico Brignano. L'attore e comico romano - che pochi giorni fa ha chiesto alla compagna Flora Canto di sposarlo sul palco dell'Arena di Verona, proprio come Fedez - si racconta a ilGiornale.it.: dall'attenzione nel creare i suoi monologhi alle elezioni del sindaco della Capitale fino al suo ultimo spettacolo nei teatri a capienza ridotta.
Enrico Brignano, l’Italia del 2021 sa ancora ridere?
"Beh, penso proprio di sì. Anzi, ora come non mai serve una risata per trovare la forza di reagire alla situazione e riconquistarsi il più possibile la normalità".
Ora però anche i comici devono stare attenti a ciò che dicono… Nei mesi scorsi ci sono state polemiche, per esempio, per alcune frasi di Pio e Amedeo. Che ne pensa?
"Ognuno ha la propria cifra comica, quindi non entro assolutamente nel merito specifico. Per quanto mi riguarda, posso dire che cerco di stare molto attento alle parole che uso, perché hanno un peso che viene amplificato dalla visibilità mediatica che ho, poca o tanta che sia. Trovo che parlare in pubblico sia una responsabilità, ma non solo adesso. È sempre stato così".
È la vittoria del politicamente corretto?
"Ma sa, se si guardano film comici (e non) di anche solo 35 anni fa, si osserva come alcune cose oggi non potrebbero assolutamente essere usate come oggetto di ironia. Ma del resto si va avanti, la cultura va avanti e, per fortuna, si conquistano diritti e posizioni. Se si vuol essere politicamente scorretti si può ancora fare, ma si deve avere una ragione per farlo. Provocare per provocare è inutile, anzi credo sia molto più stimolante alzare l’asticella e provare a divertire senza mancare di rispetto a nessuno. Di sicuro il politicamente corretto riduce il campo d’azione per un comico, ma per chi fa il mio mestiere, dà una certa soddisfazione far ridere malgrado tutti questi paletti nel linguaggio e nei temi da usare. Totò insegna".
Adesso è in tour con “Un’ora sola ti vorrei”. Quando prepara i monologhi del suo suo spettacolo, pensa alle possibili conseguenze delle sue parole?
"Come le ho già detto, sì... lo faccio".
Le è mai capito di essere “censurato”?
"Non mi pare. Ho sempre avuto la possibilità di dire ciò che penso".
Finora la capienza dei teatri è stata al 50% con Green Pass. Si passerà all'80%... va bene così?
"Meglio di niente. Scalpito da troppo tempo per tornare in teatro, quindi mi adatto. Tanto che, per tener fede al contratto col pubblico, che ha acquistato i biglietti oltre un anno e mezzo fa, ho deciso di fare ogni giorno doppio spettacolo, in modo da accontentare tutti, ma seguendo il protocollo. Capisco possa essere una scocciatura doversi riprenotare, biglietto alla mano, per registrarsi in un certo giorno a una certa ora, ma le persone per fortuna comprendono. Ci stiamo venendo incontro, insomma, per passare del tempo insieme in teatro. Tornare all’80% è un'ottima notizia perché ci consentirà di ridurre i disagi".
I lavoratori del mondo dello spettacolo hanno avuto il supporto necessario durante questa pandemia?
"Il nostro è stato uno dei settori più trascurati in questo periodo. Io ho da anni sempre gli stessi tecnici, siamo una famiglia ormai. E so bene quante difficoltà ci siano state. Per questo è stato utile riprendere anche al 50%. Bisognava dare un segnale positivo".
Perché la politica pensa poco al mondo della cultura?
"Qualcuno, nella classe politica, ha detto in passato che di cultura non si mangia. Beh, non è così, specie per l’indotto che genera, e spero che qualcuno ascolti prima o poi le nostre voci e restituisca importanza e dignità alla voce “cultura”.
Qual è il politico sul quale è più facile ironizzare oggi?
"Stanno tutti sullo stesso piano, sarebbe facile ironizzare, ma non faccio satira politica. Ho le mie idee, ma le tengo per me".
Lei si è vaccinato? E con che vaccino?
"Certo che sono vaccinato. È un atto di altruismo e di senso civico. Ho optato per la dose unica della Johnson".
Si sente più a suo agio sul palco di un teatro o davanti alla spia rossa della telecamera?
"Il teatro è la mia casa, un posto che amo e che vivo da sempre. La telecamera è un piacevole diversivo, ma il primo amore si sa, non si scorda mai".
Lei è un romano doc… com’è messa la Capitale?
"Non bene. È il risultato di una serie di amministrazioni, e badi bene che non ne faccio una questione di schieramenti politici. Semplicemente, Roma è difficile da gestire e la corruzione dilagante, di cui lo scandalo Roma Capitale è stata la punta dell’iceberg, non aiuta".
Facciamo un gioco: mi dica per chi voterà senza dirmi per chi voterà…
"Voterò la persona che mi ispirerà più fiducia".
Che inverno sarà per Enrico Brignano?
"Un inverno ricco di lavoro, dell’amore e del calore della mia famiglia. E degli applausi e delle risate (almeno spero!) del pubblico che verrà a vedermi a teatro".
Claudio Rinaldi. Giornalista. Televisivo per Quarta Repubblica (Rete4). Web per ilGiornale.it. Carta stampata per il Corriere della Sera (Roma). Ma anche direttore di TheFreak.it. Nella vita dj a tempo perso. Cestista ogni tanto. Interista sempre. Romano d’adozione ma lucano fino al midollo.
Enrico Brignano “rifiuta” la proposta di matrimonio: “Non sposo Flora Canto”. Alice Coppa il 16/09/2021 su Notizie.it. Enrico Brignano ha svelato perché non sarebbe intenzionato a sposare Flora Canto. Enrico Brignano ha svelato di non avere in programma di sposare Flora Canto, sua compagna e madre dei suoi due bambini. Nonostante Flora Canto avesse detto di voler prendere in considerazione l’idea di sposarsi dopo la nascita del suo secondo figlio, Enrico Brignano ha fatto sapere che per il momento i fiori d’arancio con l’attrice non sarebbero in programma: “Matrimonio? Nemmeno se la Lazio vince lo scudetto. E poi se vincesse la Lazio, Flora, che è romanista militante, sarebbe così triste che non vorrebbe sposarsi”, ha dichiarato ironico Enrico Brignano. La stessa Flora Canto, a proposito delle sue ipetiche nozze, aveva dichiarato: “Non c’è stata nessuna proposta. Lui, quando Martina era piccola, diceva che ci saremmo sposati quando la bambina avrebbe potuto portarci le fedi. Quando Martina ha cominciato a camminare, la rimetteva giù chiedendole di gattonare per almeno tre o quattro anni”. Durante l’estate 2021 Enrico Brignano e Flora Canto sono diventati genitori del loro secondo figlio, Niccolò (la sorella maggiore, Martina, è nata nel 2017). “Dio ha voluto che arrivasse un maschietto: ho la famiglia perfetta. Niccolò è bellissimo, ma questo è soggettivo. Buonissimo, e questo invece è un dato oggettivo: dorme, è un bimbo col silenziatore”, ha dichiarato Brignano, più felice che mai insieme a Flora Canto e ai suoi due bambini. Il secondo figlio della coppia è nato a Roma per mezzo di un cesareo programmato. Enrico Brignano aveva espresso la sua gioia quando aveva potuto finalmente tenere il piccolo Niccolò tra le braccia e aveva dedicato a Flora Canto tutto il suo amore: “Finalmente sei arrivato piccolo angelo, ti aspettavamo da sempre! Grazie amore mio per aver dato alla luce il nostro bambino”, aveva scritto l’attore. Flora Canto aveva annunciato la gravidanza più felice che mai: “Ed è così, che ti abbiamo cercato, voluto e desiderato tanto. Ora aspettando di sapere che tu sia un maschietto o una femminuccia siamo qui che ti aspettiamo a braccia aperte. Il nostro piccolo secondo miracolo di vita”, aveva dichiarato l’attrice via social annunciando l’arrivo del suo secondo bebè. Oggi lei e Enrico Brignano sono più felici che mai, e in tanti si chiedono se in futuro cambieranno idea a proposito delle nozze.
Dagospia il 23 aprile 2021. COMUNICATO STAMPA. Enrico Brignano è intervenuto nel corso del programma Anni 20, condotto da Francesca Parisella, in onda ogni giovedì alle 21:20 su Rai 2.
Sullo spettacolo: Resta il dubbio sul fatto che il governo di questo paese, che detiene il 70% delle opere d’arte del mondo, un paese che dovrebbe parlare di cultura tutti i giorni, fondando le proprie istituzioni sulla cultura, abbia dimenticato un settore che conta un milione di lavoratori. Io sono soltanto un portavoce, ma ci sono tecnici che lavorano intorno allo spettacolo, lavorano dalle 14 alle 16 ore al giorno. Prendono una macchina fanno 200 km al giorno, montano gli allestimenti, fanno lo spettacolo e smontano gli allestimenti. Non hanno 13esima,14 esima, cassa malattia. Già qualche anno fa l’ex ministro, grazie a Dio ex ministro, Tremonti disse che con la cultura non si mangia, credo sia un’offesa gigantesca per un paese che dovrebbe vivere di cultura. Immaginate una vita senza cinema, senza musica, senza teatro. I musei non possono essere chiusi, sono medicina, sono necessari come le farmacie.
Sul coprifuoco: Non si possono far riaprire i teatri mantenendo il 25% della capienza a distanza e poi mettere il coprifuoco alle 22. Ma che sciocchezza è? Ma che il Covid sa l’orario? Fino alle 19 va bene, alle 20 insomma, alle 22 attacca il virus? A quel punto o vedi un tempo il primo giorno e poi torni per vedere il secondo tempo oppure fai lo spettacolo dividendo le mogli e i mariti in due teatri diversi, gli attori con lo scafandro in plexiglass, poi ci dobbiamo portare da mangiare da casa se i ristoranti chiudono. A queste condizioni non li riapriamo allora. Non è morto nessuno nei teatri, nei cinema! Non bisogna confondere la movida con gli spettacoli.
Sulla ripartenza: Ci si riorganizza per chi ce la fa, perché non è detto. C’è un esercito di persone che vorrebbe riorganizzarsi ma non ce la fa. Consegnare la spesa già è un’alternativa dignitosa ma chi per età, luogo in cui vive e altro come fa? Purtroppo sono ancora in molti a pensare che il lavoro nello spettacolo non sia un vero lavoro. Oggi a chi vuole intraprendere questo mestiere chi glielo insegna, visto che è fuorilegge mantenere insieme 4-5 persone se non in Dad. Una speranza ci deve essere. Qualsiasi lavoratore, in fabbrica in una fonderia, in un supermercato, per mantenere lo stress del proprio lavoro vorrebbe rilassarsi con qualche spettacolo.
Sul lockdown: Siamo stati troppo aperti durante l’estate e chiusi senza una cognizione di causa. Chi ci ha dato degli ordini, pur in una situazione mai vissuta prima, troppa gente avventata, decisioni prese non si sa da chi, senza un vero regista.
Sui ristori: Sono poca cosa, se c’è qualcuno che riesce soltanto a tappare i buchi perché in molti avranno fatto debiti. Altri non hanno visto riconosciuto il loro mestieri e non li hanno nemmeno avuti. Teniamo sotto controllo il virus per carità ma io non credo ci sia una strategia vera. Sono dei tentativi, andiamo avanti a tentativi.
Un mistero chiamato Brignano. La televisione ha deciso di puntare sul comico romano, che sbuca ovunque. Persino nel salotto gioiello di Che Tempo che fa. Senza un vero perché. Beatrice Dondi il 04 gennaio 2021 su L'Espresso. Dicesi mistero «quanto rimane escluso dalle normali possibilità intuitive o conoscitive dell’intelletto umano». Insomma un qualcosa che accade senza che se ne conoscano le ragioni. Tipo Enrico Brignano. Comico, cabarettista e one man show, che praticamente sono la stessa cosa, Brignano gode di un favore diffuso nella nostra tv, al punto che il suo presenzialismo riesce a essere il suo lato più comico. A ogni giro di telecomando la sua bella faccia sbuca in quasi tutte le reti, per ora come giudice, opinionista, intervistato, testimonial, cantante ma si sa che le vie del mistero sono infinite. Su Rai Due occupa la prima serata ormai da mesi, in corsi e ricorsi della stessa pasta. Prima le ospitate per annunciare il suo spettacolo, poi la ripresa teatrale, infine lo show, e per chi ne avesse perso qualche finezza il ritorno per gli speciali delle feste. Dotato di parlata fluente con giusto un cenno di cadenza dialettale, Enrico Brignano porta in scena la tanto decantata pancia del Paese. Spesso in senso letterale, tipo «quando questa me dice facciamo l’amore, io ho mangiato la pizza coi peperoni e c’ho pure l’aria nella pancia e poi si sa, quest’aria da qualche parte deve pure uscì. E siccome l’uomo c’ha due sortite, deve decidere». Uscito dalla scuola del gigante Proietti, l’attore romano di nascita e laziale nell’anima si è buttato agli esordi tra le barzellette di Pippo Franco e si è trovato bene, tanto che più o meno è rimasto fermo lì, con l’effetto annuncio della battuta che sta per arrivare, ma per meritarsela bisogna seguire sempre un’estenuante premessa e poi alla fine non si ride lo stesso. Dopo alcuni alti e bassi, di cui si ricorda la simpatica ospitata sanremese dell’era Conti con un monologo sui figli che «nascono quando si copula, insomma quando si tromba», si è buttato a capofitto nei temi forti da bar, della serie ci sono troppe tasse, i politici fanno schifo, «noi italiani vi paghiamo per farvi stare lì a grattarvi la prostata» e comunque vada abbasso la casta. Poi l’invettiva social popolare è andata via via ammorbidendosi, un po’ quando Di Maio ha avuto il permesso di andare in tv. Ed è tornato agli esordi, giocherellando sui piccoli vizi italici, la suocera, le puzze, le code ai semafori, il bidet e le donne. Alle quali si rivolge con leggiadria, dividendole in vecchie e racchie e in bone e sceme, al grido di «Datela via come se non fosse la vostra». E sedendo e mirando, il mistero Brignano raggiunge il suo apice con Fabio Fazio, che lo elegge ospite fisso del suo programma gioiello concedendogli l’inutilità dei siparietti infiniti. Alla fine dei quali la domanda sorge spontanea: perché?
· Enrico Lucherini.
Gloria Satta per “il Messaggero” il 29 settembre 2021. «Nel 1952 iniziai come attore ma ero un cane e ho cambiato mestiere. Ora, a 89 anni, voglio uscire di scena recitando». Ci siamo. Da venerdì 1 ottobre Enrico Lucherini, il re dei press agent, vuoterà il sacco delle sue memorie sul palcoscenico dell'Off/Off Theatre nello spettacolo C'era questo, c'era quello: 60 anni di carriera tra set e scandali (la maggior parte inventati), copertine, star, divi, capricci. Incalzato dall'amico Nunzio Bertolami e con la regia di Filippo Contri, il geniale bugiardo che inventò da noi la promozione cinematografica ripercorrerà il dietro le quinte del suo mestiere e svelerà i segreti delle sue lucherinate, le menzogne escogitate a scopo pubblicitario. Chiamando in causa i divi presenti in platea. «La gente faceva a botte per uscire» è l'aforisma-cult coniato da Lucherini per descrivere un film indigeribile.
All'Off/Off, i vip faranno invece a botte per entrare: le repliche sono sold out già da settimane. Chi ci sarà in platea?
«Eleonora Giorgi, Giovanna Ralli, Ursula Andress, Monica Guerritore, Carlo Verdone, Manuela Arcuri e tanti altri. Li interrogherò quando racconterò un aneddoto che li riguarda. Come quella volta che feci prendere a borsettate la Giorgi e Ornella Muti per lanciare il film Appassionata. In realtà erano grandi amiche».
A chi dedica lo spettacolo?
«A me stesso perché non ho dimenticato nulla. Da La notte brava al Gattopardo, da Deserto rosso a Metti una sera a cena, Fotografando Patrizia, I laureati».
Il successo di cui va più fiero?
«Il manifesto della Ciociara. I produttori volevano un'immagine corale, io riuscii a imporre Sofia sola e piangente: diventò un'icona e l'attrice vinse l'Oscar».
Il suo più grande rimpianto? «Non aver mai lavorato con Gina Lollobrigida ma lei, sapendo che ero il press agent della sua rivale Sofia, non voleva vedermi nemmeno dipinto».
Racconterà anche dei segreti su Madonna, a Roma per lanciare Evita?
«Mi fece sapere che voleva far battezzare la figlia Lourdes dal Papa. Importunai vescovi e cardinali che però, solo a sentire il nome blasfemo della cantante, mi cacciavano a pedate...».
Oggi vede una nuova Loren?
«Macché, gli attori sembrano tutti degli scappati di casa. Non è nemmeno colpa loro, poveracci: gli danno da recitare dei copioni improponibili. L'unica eccezione è Miriam Leone: bellissima, bravissima, interessante».
Aveva dichiarato proprio al Messaggero che il cinema italiano è da buttare. Sempre della stessa idea?
«Il film di Paolo Sorrentino E' stata la mano di Dio, che ho visto in anteprima, mi ha fatto impazzire. E' un capolavoro. E aspetto con ansia Ennio, il documentario di Tornatore su Morricone».
Chi la convinse a lasciar perdere la recitazione?
«Un professore dell'Accademia che, dopo avermi visto in Edipo a Colono, sbottò: Ma questo è Edipo ai Parioli. Diventai press agent e ho trascorso 60 anni irripetibili ricchi di colpi di scena, ansia, tensione».
E' per questo che la chiamano stress agent?
«Sì...ma mi sono divertito come un pazzo».
Gloria Satta per “Il Messaggero” il 13 giugno 2021. A 88 anni, dopo una vita passata a lanciare film e attori, Enrico Lucherini ha deciso di ritirarsi a vita privata. E vuota il sacco. «Basta, non ne posso più. Il cinema italiano è da buttare», tuona il famoso press agent romano, l'uomo che nel nostro Paese ha inventato la promozione cinematografica con largo impiego di bufale ad uso dei media: finti malori, incidenti creati ad arte, flirt inventati, litigi mai avvenuti, insomma le famigerate lucherinate entrate nella leggenda. Per dare l'addio al mestiere, Enrico ha scelto il teatro: l'1ottobre andrà in scena allo spazio OffOff di Roma lo spettacolo C'era questo c'era quello, regia di Filippo Contri e stesso titolo del libro di ricordi e dello show tv animato negli Anni '90 dal press agent con l'allora socio Matteo Spinola.
Che succederà in scena?
«Incalzato dall'amico Nunzio Bertolami, ripercorrerò la mia carriera raccontando le trovate escogitate per lanciare film e divi. Molti di loro saranno in platea e avranno la possibilità di mandarmi al quel paese. Ne vedremo delle belle».
Racconterà ancora il finto flirt tra Richard Burton e Florinda Bolkan, di quando spaccò un vetro dando la colpa ai fan in delirio di Sofia Loren, delle sedie vuote con i nomi degli stilisti per accreditare un inesistente boicottaggio della moda al film Sotto il vestito niente?
«Certo, ma rivelerò anche dei retroscena di cui non avevo mai parlato».
Chi deve tremare?
«Tutto il cinema italiano. Sono avvelenato. Ma quale ripartenza: nel dopoguerra ci ha salvato il neorealismo mentre con gli attuali film non andiamo da nessuna parte».
Non starà esagerando?
«Non credo proprio. I film sono orribili e mettono il pubblico in fuga. Per non parlare degli attori costretti a interpretare personaggi che sembrano scappati di casa».
Con chi ce l'ha?
«Elio Germano è bravissimo, ma non si può vedere in un ruolo depressivo come il pittore Ligabue. Valerio Mastandrea fa sempre lo stesso film. Pierfrancesco Favino funziona nei panni di Buscetta, ma quando l'ho visto fare D'Artagnan con il finto accento francese ho spento la tv. Perché mai deve interpretare un personaggio così?».
Perché ha un talento a 360 gradi e magari vuole divertirsi. Ci sono attrici che ammira?
«Matilda De Angelis, Greta Scarano, Miriam Leone. Punto. Le altre, da Margherita Buy ad Alice Rohrwacher e Claudia Gerini sono penalizzate da sceneggiature che ne umiliano il sex appeal, la dimensione epica. E ti credo che le dive oggi sono influencer come Chiara Ferragni, che tristezza. Per non parlare della promozione autolesionistica».
Cosa intende?
«Invece di creare attesa, si avvolgono nel mistero i film in lavorazione mentre gli attori vengono silenziati. E i produttori si guardano bene dal pubblicare flani pubblicitari. Una follia che allontana sempre di più il pubblico dal cinema».
Non salva nessuno?
«Matteo Rovere, Gabriele Mainetti, Manetti Bros, Paolo Genovese. E Giuseppe Tornatore tutta la vita».
Il suo più grande abbaglio, Lucherini?
«Nel 1987, sul set del film Un'australiana a Roma, incontrai l'allora sconosciuta Nicole Kidman e la considerai una scopa con i capelli. Ma due anni dopo l'attrice esplose nel thriller Ore 10: calma piatta».
C'è qualcosa di cui si pente?
«Si. Per ottenere una copertina di Oriana Fallaci, m' inventai che l'attore Laurent Terzieff aveva un brutto male, d'accordo con lui. Ancora me ne vergogno».
È vero che il suo amico produttore Alberto Tarallo è Belzebù, come hanno affermato alcuni giovani attori?
«Ma quando mai. È appassionato, generoso e ha lanciato tante carriere. Spero ricominci presto a lavorare».
Il suo addio al cinema è irrevocabile?
«Assolutamente. Ho scoperto le serie tv e ora sono pazzo di Omicidio a Easttown. Anche spettinata e malvestita, la protagonista Kate Winslet è una star. Come quelle di ieri».
Silvia Fumarola per "Robinson - la Repubblica" il 25 gennaio 2021. I suoi temibili giudizi sono lapidari, ma è di una simpatia irresistibile. Per Enrico Lucherini, 88 anni, re dei press agent, inventore di un mestiere che non esisteva, ha sempre vinto la realtà - ovviamente creata da lui. Il cinema è sogno e gossip, determinava il successo di star e film: per lanciarli era capace di dare fuoco alle parrucche e chiamare l'ambulanza. «L'importante è che ci fosse un fotografo». Non si è fermato davanti a nessuno. Nel 1977 a Bontà loro, dove è ospite con Giulio Andreotti, Maurizio Costanzo gli chiede come promuoverebbe l'immagine del leader della Dc, sempre in doppiopetto. «Gli metterei una giacca a quadri e inventerei un flirt con Tina Anselmi». Andreotti immobile: «Oh Gesù».
Lucherini, come si diventa inventore di dive?
«Nei primi anni 50 decido di non seguire le orme di papà, medico. Sognavo l'Accademia d'arte drammatica, non ero granché. Mi folgorarono le foto hollywoodiane, pendevo dalle labbra di Rossella Falk, Dudù La Capria, Luchino Visconti, poi si finiva col parlare di cosa succedeva sui set».
Chi l'ha ispirata?
«Rita Hayworth, nella foto di Gilda era pazzesca. Che dispiacere, dopo due anni sembrava una vecchia di cent'anni».
Non dica così.
«È così. Adoravo Silvana Mangano, i racconti del legame con Mastroianni, le nozze col produttore De Laurentiis. L'incontro con Sophia Loren a Ciampino fu folgorante. Carlo Ponti scendeva da un aereo e lei da un altro. Lui era bigamo. Sophia mi scrutò. Pensai: svengo».
E oggi?
«Non c'è più nessuno. Forse solo Miriam Leone, la Eva Kant di Diabolik, è speciale. Mi auguro che resusciti non dico il divismo, ma il glamour. È diversa dalle disgraziate che vedi ovunque».
In tanti anni è stato anche confidente?
«No, per carità. Se si fossero diffusi segreti, tutti avrebbero pensato: "È stato Enrico". Non entravo nell'intimità, meglio inventare storie false».
Le sue famose "lucherinate", termine finito nella Treccani, come nascevano?
«Dall'ispirazione. Goffredo Lombardo mi spedisce a Cannes per Il gattopardo. C'era un circo, trovai un ghepardo. Lo dovettero un po' addormentare, il povero Goffredo spese una fortuna. Ma la Cardinale non voleva fare le foto, la convinsi citando Lancaster, Visconti, il rispetto per il libro e il fatto che era la nuova stella».
Quante bugie ha raccontato?
«Tante. Dovevo lanciare Florinda Bolkan in Metti una sera a cena, pieno di attori, da Trintignant a Musante. Avevo una foto innocua di lei che ballava con Richard Burton, approfittai del fatto che Liz Taylor era ricoverata e la feci pubblicare. Una gazzarra. Mi occupai di Agostina Belli in Sepolta viva, foto col vestito bagnato e ambulanza: "Ha rischiato la morte". Le riviste erano piene di trovate mie».
Il legame con le dive?
«Mai stato press agent personale. Seguivo la promozione e la star. Finito il film la rivedevo magari dopo un anno e si tornava a ridere. Mi sono tanto divertito».
Però a Sophia Loren è rimasto legato.
«Sophia... Mi sentivo sicuro con Grand Hotel e Sorrisi e Canzoni. Lei mi disse: "Quando siamo in profondità". Non capivo. "Profondità" erano i cinema della provincia sperduta, arrivati lì potevi uscire sui rotocalchi. Girava a Sora La ciociara e spiegava di volere un figlio. Se c'erano in giro donne con bambini, gliele buttavo addosso».
Mai sbagliato?
«Nel 1960 avevo lavorato con Gianni Hecht per Via Margutta. Nel 1987 mi offre un film che doveva produrre per Rai 3, Un'australiana a Roma, con Massimo Ciavarro e un'attrice nuova, Nicole Kidman. Vedo una scopa coi capelli, un mostro».
Ma no.
«Gli dissi: Gianni, come faccio? Poi la ritrovo in Ore 10: calma piatta, e ha visto che carriera. Forse non sono un grande ufficio stampa».
Rodolfo di Giammarco per “la Repubblica - Edizione Roma” il 26 ottobre 2020. «Tutti i palcoscenici, i set e le opportunità della mia vita hanno a che fare con Roma. Dopo due anni di Medicina all' università per far contento mio padre, a piazzale della Croce Rossa incontro ragazze e ragazzi che m' invogliano a fare un provino all' Accademia Nazionale d' Arte Drammatica, entro, e studio recitazione» ricorda parlando a raffica Enrico Lucherini. «E quando lì il maestro Orazio Costa mi dice di fare "Edipo Re", e qualcuno commenta 'Ecco Edipo ai Parioli', capisco che sono un cane, me ne vado, ma una collega, Rossella Falk, mi convince a lavorare con la Compagnia dei Giovani insieme a Romolo Valli e Giorgio De Lullo, e giriamo l' Italia, andiamo in tournée in Sud America con sette commedie dove dico solo tre parole, e intanto assisto ai lanci dei nostri spettacoli a Montevideo, Lima, Caracas e Santiago, e quando torniamo in Italia m' invento la professione di press-agent». Oggi Enrico Lucherini, energico 88enne, ha all' attivo, come testimoniano mostre antologiche e docufilm, la bellezza di 582 eventi da lui curati, valorizzati, resi clamorosi.
I primi spettacoli dal vivo da lei lanciati in che sale della Capitale figuravano in programma?
«Feci un' esperienza non facile all' Eliseo nel 1960 con un allestimento coraggioso di Visconti come "L' Arialda" di Testori che suscitò polemiche, censure e dissensi, con Luchino che rispose al pubblico col gesto dell' ombrello, e con Morelli-Stoppa, e Orsini, che manifestarono per protesta davanti al Quirinale. Poi al Valle nel 1965 mi sono occupato de "Il giardino dei ciliegi" sempre con regia di Visconti, ancora con Morelli-Stoppa, nel cartellone del Teatro Stabile della Città di Roma. Al contrario di allestimenti dolorosi e di routine, era un Cechov tutto fiorito e di color rosa, e ce l' ho nel cuore. Ma ricordo con uguale entusiasmo anche il battage per l'"Adelchi" di Vittorio Gassman nella tenda-circo piazzata nei pressi dell' Hotel Parco dei Principi. Che avventura nuova!».
All' inizio degli anni Sessanta lei è stato parte integrante della comunità notturna di via Veneto...
«Si andava al cinema, c' erano solo due locali importanti allora, e poi senza dircelo ci ritrovavamo tutti lì, in fazioni separate. Da Doney c' era il clan Visconti con Patroni Griffi, La Capria, Rosi. Di fronte, al Cafè de Paris, c' erano Flaiano, Fellini, Gassman e la Ferrero, De Feo, Talarico. Più su da Rosati c' erano i più seri e composti, tipo Antonioni e la Vitti, il regista Franco Indovina con Soraya, magari il Re Faruk con la cantante lirica Irma Capece Minutolo (che ribattezzammo Irma-capace-di-tutto).
Fioccavano i soprannomi.
Claudia Cardinale un po' malmenata (si diceva) da Pasquale Squitieri: Bella di botte. I due De Laurentiis: Momenti di Boria. Giuliana De Sio: la Melato immaginaria. Eleonora Giorgi: Bionda frégalo. Serena Grandi: Sotto il vestito gente. L' agente Carol Levi: L' onore dei prezzi...».
Intanto lei sfornava dovunque promozioni clamorose e s' era alleato con bravi paparazzi...
«Operavo anche in società. Dopo gli incarichi ricevuti per "La notte brava", "La ciociara" e "Il Gattopardo" chiesi aiuto a Matteo Spinola. Ed ebbi una fortuna sfacciata, che un po' m' andavo a cercare. Tra le prime cose che mi aiutarono a far rumore ci fu la richiesta dello sceneggiatore Gualtiero Jacopetti di dargli una mano per promuovere il film " Il mondo di notte" a base di spogliarelli: coinvolsi una regina dello strip- tease, Dodo D' Hambourg, la introdussi nell' inaugurazione di sei vetrine del sarto Emilio Schuberth a via Condotti, le chiesi di mostrarsi completamente nuda buttando via di colpo la pelliccia di zibellino, e ottenni che i fotografi urlassero, e che Schuberth ci cacciò furente dal suo atelier. Ma il giorno dopo eravamo su tutti i giornali».
Lei in quest' ambiente vanitoso, interessato, e pronto a qualsiasi colpo di scena, ha mai avuto amicizie serie, legami umani?
«Ho voluto bene a Luchino Visconti, Peppino Patroni Griffi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni».
Può confessare una sua gaffe, un suo pauroso incidente professionale?
«Un giorno mi telefona Antonioni, mi prega di andare da lui alla Collina Fleming. Trovo in casa Monica Vitti, piuttosto cambiata da come l' avevo conosciuta in Accademia. Lui ha in mano la sceneggiatura di "Deserto rosso". Lei tocca la coda d' un pianoforte e dice 'Michele, viene, mi parla', a me lì per lì sfugge un 'Che dice?', e tutti e due mi guardano come se avessi rotto la poesia. Penso d' averla fatta grossa, ci salutiamo, vado via, e poi però vengo incaricato del film, e in seguito ho assistito Monica per i suoi film comici».
Tra circostanze a rischio e geniali trovate innocue, quali momenti del suo mestiere l' hanno divertita di più?
«Nella bolgia per la ballerina attrice turca Aiché Nana spogliatasi al Rugantino io c' ero, e il fotoreporter Secchiaroli mise in tasca a me i rullini quando fu perquisito dalla polizia, e l' ultima pagina dell' Espresso uscì inondata da quelle immagini. Con un' ambulanza salvai Agostina Belli che stava morendo in cella in un film agli Studios sulla Tiburtina. Calcolai bene come lanciare Sandra Milo sul set di "Vanina Vanini" facendole andare a fuoco la parrucca che io, Rossellini e Terzieff le strappammo un po' a fatica. In una conferenza organizzai un feroce litigio tra Monica Guerritore e un produttore accusato di aver messo una cinepresa non autorizzata che la riprendeva in certi punti chiave del corpo: un bluff. Terrorizzai la Cardinale facendole accarezzare un ghepardo per il film "Il Gattopardo". Ma mi vanto d' aver fatto accettare a Sofia Loren la foto-manifesto disperata e violenta per "La ciociara". Mi piacque sorprendere i giornalisti a casa mia facendo loro scoprire dietro una porta Pieraccioni che leggeva un brano de "I laureati", o portare la stampa dietro le quinte del debutto di "D' amore si muore" di Patroni Griffi per svelare che il rumore del mare si doveva al rullio di sfere dentro un tamburo. Adesso a dare il buon esempio ci pensa il mio socio Gianluca Pignatelli».
Quando non deve sostenere un' impresa artistica, che Roma cerca e riconosce sua?
«Mio padre mi cacciò di casa e mi comprò un ufficio ai Parioli, in una traversa di Viale Parioli. Fuori dal lavoro andavo al Bar della Pace, ma ordinariamente vado con giornali e riviste al bar Cigno. Se capita, sono uno spettatore teatrale. Dopo le direttive di ieri, aspetterò che le sale riaprano. Io la stavo per far grossa: il 6 novembre avrei inaugurato, da attore, la stagione dell' Off/Off, con "C' era questo, c' era quello", raccontando memorie di tanto lavoro, accanto a un amico ingegnere, Nunzio Bertolami».
Giulia Cazzaniga per “La Verità” l'1 Novembre 2021. Enrico Montesano, dalle letture recitate sulla libertà di Giorgio Agamben, Gunther Anders, Michel Onfray, al palco delle piazze di Roma e Trieste. I toni si sono alzati.
«Ho interpretato tanti bei testi negli ultimi mesi, attraverso i cosiddetti "social". Molti hanno apprezzato e capito, altrettanti non ci sono arrivati. Guardano il dito, invece che la luna. Si scagliano contro chi li sta difendendo, capisce? Non la smetto, perché la mia resta una battaglia di libertà per tutti. La cosa che più mi avvilisce è che la massa è polemica e rissosa».
È forse una novità?
«Manca ormai il pacato ragionamento, il civile confronto. Si demonizza l'avversario, che è chi non segue il pensiero politicamente corretto, comune e dominante. Ma chi dissente con argomenti e ragionamenti non deve essere considerato uno strano di mente, sta esercitando un suo diritto».
C'è da dire che tv e giornali la corteggiano, non è forse il segno che una dialettica democratica c'è?
«Diciamo che è una democrazia pelosa. Nei talk show c'è sempre bisogno di un nemico da attaccare. I cosiddetti intellettuali mi danno del pagliaccio o del buffone. Quando una persona intelligente arriva alle offese deduco che non abbia argomenti. Se cito i numeri dell'Istituto superiore della sanità non sto che ponendo un dubbio, ad esempio, senza sostenere alcuna tesi. E con questo non credo di mancare di rispetto verso i morti, come strumentalmente mi si accusa. Anzi, proprio per rispettarli si chiede chiarezza».
Dati controversi.
«Le cifre si possono sempre interpretare, e persino camuffare, creare ad arte. Ho letto la risposta dell'Iss all'articolo del Tempo, uno spiegone per l'interpretazione corretta dei dati, le confesso che non ci ho capito molto. Ma ribadisco: voglio solo porre domande, tutto qui. La voce del popolo racconta di anziane con il femore rotto ricoverate come caso Covid. Sarà vero? Conveniva alla Asl? Perché non si fanno verifiche?».
Uno dei suoi ultimi post su Facebook è una pagina tutta nera, a lutto.
«Sono triste per l'alluvione che ha colpito la Sicilia, per la morte di un'amica attrice. E pure perché oggi occorre un lasciapassare per fare cose che prima facevamo senza chiedere il permesso. È il sonno della ragione. Anzi, oggi la ragione sta in terapia intensiva».
I suoi seguaci sono in crescita?
«La gente capisce se sei sincero o se dici una cosa per un interesse di carriera, economico o politico».
Che lei, quindi, non ha?
«Sono stato già eletto alle comunali di Roma, con 8.300 preferenze al tempo dell'amministrazione Rutelli, e poi al Parlamento europeo con 140.000 voti».
Erano gli anni Novanta, aveva già vinto i David di Donatello come attore. Lasciò il posto a Strasburgo dopo due anni: perché?
«Mi sarebbe bastato imboscarmi per altri sei mesi e un giorno avrei avuto una buona pensione mensile, ma rinunciai. Lo facevo per passione pura, visto che avevo un altro mestiere. Ma mi era impossibile onorare il mandato che mi avevano affidato i miei elettori, ero solo un numero».
L'abbiamo vista fare un'arringa tra i portuali.
«La classe operaia sta sempre un passo avanti. A Trieste ho toccato con mano non ideologie, ma idee: libertà, equità sociale, giustizia. Ho visto uomini corpulenti commuoversi e tenersi per mano, quasi quasi ringrazio il Covid perché è stata l'occasione per riscoprirci umani e fratelli».
E pochi giorni fa lei conduceva la piazza No green pass a Roma.
«Credo fossimo in 5.000, avevamo chiesto le autorizzazioni per 500 persone». Eravate pessimisti? «Non ci montiamo la testa. Come si usa in teatro, per scaramanzia, ci si tiene bassi nelle previsioni: prima gli spettatori vanno al botteghino, poi si tirano le somme».
Ed è andata meglio del previsto.
«A parte i numeri, è la qualità delle persone ad avermi reso contento. Una manifestazione pacifica, una festa. Abbiamo cantato e fatto i nostri cori, rivendicando il diritto alla libertà di parola e di espressione. Liberi di lavorare, sorridere, abbracciarci. Basta con il distanziamento sociale, serve un prudente distanziamento fisico».
Tra voi anche vaccinati?
«Ma certo, e tanti. Perché le persone intelligenti superano questa fasulla dicotomia. Rispettiamo chi in buona fede ha scelto di vaccinarsi, chi è danneggiato da effetti collaterali, chi non vuole fare la terza dose».
Lei rifiuta da sempre la definizione di «no vax».
«Definizione di comodo, propagandistica. Mi danno anche del negazionista, non lo sono. Sono un dubbioso, ecco. I vaccini li ho fatti, in passato, perché era chiaro che i benefici erano maggiori dei rischi. Oggi ho paura».
Di cosa?
«Quando mi diranno che l'esperimento è finito, e che è tutto sicuro forse lo farò, il vaccino. Anche se, come ha detto Gianni Rivera da Bruno Vespa, "se ci fosse un effetto avverso su 1 milione e quel caso sono io mi dispiacerebbe molto"».
E con cinema, teatro e ristoranti Montesano come fa, senza pass?
«Rinuncio, non ci vado».
Potrebbe farsi un tampone.
«Evito, grazie. Anche perché preferisco i luoghi aperti, ariosi. Non capisco perché non si aprono mai le finestre nei locali, per creare un ambiente più salutare. È una norma igienica di base, no? Come lavarsi le mani, e tutte quelle cose che ci insegnavano fin da bambini».
Bastano i rimedi della nonna di fronte al Covid?
«Di sicuro non basta il paracetamolo e la vigile attesa, assurdo. Caso mai l'aspirina. Alberto Sordi una volta mi confidò (lo imita, ndr): "Prenditi mezza aspirina tutte le sere, fa bene, io lo faccio da 20 anni". Io credo in una vita sana: camminare molto, non bere alcool, e glielo dico alla romana, magna' de meno».
Fuma ancora però.
«Ogni tanto un mezzo sigaro, mi rilassa, sì».
Montesano è un «no green pass» invece si può dire.
«Vivevo senza autorizzazione, vorrei tornare a vivere senza».
In una sua diretta Facebook ha parlato di psicopandemia.
«Mi riferisco al delirio paranoide dello star bene a tutti i costi. Ho solo il diploma da geometra, non voglio tirarmela, ma ho qui sul tavolo un bellissimo libro di Michel Foucault, Nascita della biopolitica. Temo che il lasciapassare sanitario rimarrà, ed è questo che sfugge alla maggioranza delle persone. Dicono: ma tanto siamo già controllati da cellulari e carte di credito. E non vi basta? Che bisogno c'è di avere un controllo maggiore? Siamo già abbastanza connessi: io farei a meno anche del 5G».
E a cosa invece non rinuncerebbe?
«All'autonomia del mio Paese, alla piena occupazione, ad aiutare le piccole e medie imprese, all'artigianato, all'agricoltura naturale, a una equa distribuzione della ricchezza. Occorre lottare per un ambiente sano, per la salvaguardia del territorio».
Sembra una parte di un manifesto politico. Ci assicura che non prenderà questa strada? L'altro giorno in piazza ha detto che manca una forza che vi rappresenti.
«Guardi, io una palla di vetro tra le mani non la ho. Le posso dire che non è nelle mie intenzioni. Vorrei aiutare, questo sì, i gruppi che stanno nascendo a unirsi, così che ci possa essere una rappresentanza in Parlamento. Se il 50% degli italiani non va a votare è perché non ha fiducia nei partiti».
Per il sindaco di Roma è andato a votare?
«No».
In passato disse di riporre fiducia nei 5 stelle. Il papà di Alessandro Di Battista di recente le ha dedicato una lettera di elogio e di ringraziamento.
«Bellissima lettera, ne sono lusingato. Sì, nel Movimento credetti, all'inizio e non sono stato il solo, ma poi sono rimasto deluso. Sono un uomo libero da sempre. Nel 2007 - scusi se mi cito, visto che i socialisti mi insegnarono che non bisogna avere il culto di sé stessi - misi in piedi uno spettacolo di grande successo, s' intitolava: È permesso?».
Uno show «scorretto».
«Eh sì, perché già allora chiedevo se fosse consentito esprimere un concetto non conforme al pensiero dominante. Non di destra, non di sinistra: distinzione obsoleta».
I suoi seguaci cosa votano?
«Mi scrive qualcuno che si definisce "un vecchio comunista" e pure gente di destra. Mi dicono che magari non siamo d'accordo su tutto, ma che ormai le cose sono cambiate e mi sostengono in questa lotta per la libertà».
E non siete nemmeno pro Draghi, a quanto leggo dal manifesto della manifestazione romana.
«Ci hanno dato dei violenti perché qualcuno ha bruciato una foto del premier. Capirai che violenza, mica era un assalto a mano armata. Siamo pacifisti. Mettiamola così, tanto per parafrasare la ministra dell'Interno: noi non stiamo protestando, stiamo verificando la capienza delle piazze. Ridiamoci su, perché ormai si è perso pure il senso dell'umorismo».
La sua, la vostra, è quindi anti-politica?
«No, ma i partiti hanno una grave responsabilità, se siamo in questa situazione la responsabilità è loro. Hanno impoverito l'Italia. Le bollette aumentano, così come i prezzi per fare la spesa. Ho lanciato l'idea di fare del mutuo soccorso, distribuendo pacchi alimentari per chi è in difficoltà. Vedremo se ci riusciremo. Il punto è che una volta, al governo, fosse Craxi o Moro, c'erano persone elette dal popolo. Il governo non è eletto, ma nominato, lo sappiamo, ma Draghi non lo ha votato nessuno».
Dunque?
«Io tornerei alla prima Repubblica, sa? O a qualcosa che molto le somiglia. Togliatti e De Gasperi sapevano che se si fossero scontrati avrebbero fatto il male del Paese, e invece trovarono una sorta di accordo, per il bene dell'Italia».
Stefano Ciavatta per Esquire.com il 17 agosto 2021. Chi ha amato Enrico Montesano si spiace ma non si sorprende nel vederlo sparato in orbita social, la peggiore, quella dell’invettiva, fatta di accuse, cospirazioni, fake news, complottismi vari su Covid, finanza e politica. Perché intravede l’ennesimo risvolto da moralista, profilo parallelo all’attore, la solitudine del satiro, anche se la verve è confusa e infelice. In queste vesti però ha sempre sofferto il rimprovero naturale del pubblico spiazzato per le oscillazioni delle simpatie politiche. Una chiesa, la sua, per troppi villaggi, ormai tutto l’arco costituzionale: sostegni, candidature, seggi, abbracci, aperture, flirt. Troppi per conservarsi saggio e inattaccabile. È il suo Mistero buffo, a cui nessuno vuole ogni volta essere iniziato. Maverick come certi repubblicani Usa lui non è mai stato. Da noi poi l’uragano Grillo ha travolto qualsiasi altro pulpito, e ai comici è vietato arrivare secondi. Satiro nemmeno, un po’ naif invece e sempliciotta la sua causa qualunquista per essere sposata: anche il fastidio insopportabile contro i termini stranieri come lockdown e Green pass è un cavallo di battaglia con cui hanno già pascolato Brignano, Giuliani, Battista. Resta fortissima la solitudine, un antagonismo contro tutti, a tratti distruttivo, sgradevole. L’attore popolare ha via via ceduto il passo a un personaggio surriscaldato, che i social rendono spigoloso, inavvicinabile. Ha detto del giovane Frank Matano: «Si deve sciacquare la bocca quando parla di me, io sono un attore, non sono un comico. Deve prima imparare a ballare, cantare, recitare, fare le imitazioni, inventarsi dei personaggi e farsi 52 anni di carriera come me, più di 60 film e 10 commedie musicali». Eccoli i famosi ritagli di un tempo glorioso. «Perché io ho corso, c’ho i ritagli» era lo sfogo polemico del Pomata, ex fantino incompreso dagli amici e dal mondo dell’ippica, nel solito Febbre da Cavallo - per tutti il porto più sicuro del pianeta Montesano - commedia di successo che però oggi non basta a illuminare la carriera da grande mattatore, quasi da mostro sacro. Quasi: qualcosa è andato storto. Dove, come, quando, perché? Mentre piovono pietre sull’attore, e fuori dalla protezione di qualsiasi anniversario, proviamo a capire. È un fatto che dell’attore Montesano non si parli più da tempo. La dote di successo e popolarità era abbondante, copriva i decenni ‘70 e ‘80, eppure nella stagione dei recuperi, delle techetè, delle repliche lui manca sempre, o è uno dei tanti. Al cinema delle commedie è stato campione di incassi, da solo, in coppia, con Noschese, Celentano, Pozzetto, Manfredi, Verdone, ma nessun sodalizio duraturo. Idem per i film corali, a episodi, Qua la mano, Grandi Magazzini, Grand Hotel Excelsior, Mi faccia causa, i blockbuster dell’epoca, dove se non ci sei non esisti. Scriveva il critico Michele Anselmi su L’Unità: «Il cinema d’autore lo considera poco più di un guitto, lui ricambia la scortesia passando da un set all’altro: per lo più commedie di svelto consumo». Dice Marco Giusti, inventore di Stracult: «nasce in tv nello stesso periodo di Villaggio e Cochi e Renato, meno colto del primo, meno strampalato dei secondi. Al cinema funziona molto nella commedia sofisticata un po’ sexy di Capitani e con Steno che lo rimette in riga, dandogli i toni romani giusti. Aveva bisogno di attenzione, una guida per non strabordare. È evidente che ha sofferto la vicinanza con tutti: non è star come Sordi, né popolare e amato da certa sinistra come Verdone. Non è l’istrione Proietti che deve piacere a tutti. Il paradosso è che Montesano era strepitoso al cinema, Aragosta a colazione, Il Paramedico, mentre invece Proietti andava malissimo. È veramente un peccato». Anagraficamente Montesano (1945) fa da ponte tra Proietti (1940) e Verdone (1950), «bisogna partire da qui - racconta Emiliano Carli, illustratore satirico La7 - Proietti non era competitivo, non si è mai considerato attore di cinema, anche Febbre da Cavallo in fondo è televisivo, ma ha imparato a farsi bastare le sue cose di teatro e tvVerdone, che era l’astro nascente televisivo, è esploso al cinema, sorpassando a sinistra proprio Montesano. Gli ‘80 che a Roma parevano il regno incontrastato di Montesano diventano di Verdone. Se rivedi Asso, Zucchero miele e peperoncino, La moglie in bianco l’amante al pepe, Cornetti alla crema, ti accorgi che pur essendo anni ‘80 hanno un sapore e una fotografia anni ‘70, mentre nei film di Verdone percepisci il cambio di decennio, una cesura rispetto a quello che c’era prima». Uno stacco anche nei copioni: «Fino alla fine degli anni ‘80 Montesano è un personaggio di prima grandezza, tutte le sue carte erano meravigliose, ha vissuto un ventennio strepitoso - racconta l’autore tv Giovanni Benincasa - però su Verdone hai una letteratura talmente vasta che tiene il tavolo da sola: ognuno cita le scene, i capisaldi, i personaggi arruolati. Esiste una biblioteca Verdone. Montesano non ce l’ha, complice molti film di appoggio». Verdone era buffo, impacciato. Rifiutava il cabaret e l’intrattenimento. Borghese, sadico, cattivo. Con i suoi personaggi, i Mimmo e i Sergio, una romanità ex novo senza padri né radici, schierati proprio contro le figurine veraci (Er Principe e Fantoni finiscono in galera) del popolo, percepito come troppo basso, truce, vicino, confidenziale, però alla fine seducente, vigoroso, brillante, da raccontare. Il pubblico apprezzò la novità e nacque la leggenda verdoniana. Montesano invece portava una nota diversa della romanità: aitante, riccioluto, a tratti impacciato ma più bello dell’impacciato invalidante alla Verdone, famelico, divertente, volenteroso, furetto della Garbatella, svitato, furbo, mai insicuro, una specie di Mel Gibson della comicità, all’occorrenza imitatore, scuola di tip tap nel cv, un dinamismo molto sopra le righe, insistente, a volte con l’effetto contrario di delegittimarsi. Ma al servizio di una tradizione illustre. Tre soli film nei ‘90, decennio da invisibile, quattro film nel primo decennio del 2000, due nel successivo. Poi, nella città in cui l’appellativo “maestro” non si nega a nessuno, è sceso il silenzio, e non basta la foglia di fico di Febbre da cavallo: prima il calo di popolarità, poi l’inizio di una lontananza, una distanza più radicale. Se Roma è l’epicentro del suo repertorio, dall’immaginario capitolino degli ultimi 20 anni Montesano è assente: nessun ripescaggio, nemmeno una parte da grande vecchio, da fratello maggiore, da guru. Niente Suburre o Romanzi criminali, niente Sacro Gra o Jeeg Robot. Nemmeno un coatto o un ricercatore universitario fallito. Niente Boris, niente The Pills. Figuriamoci Ozpetek, Sorrentino, niente posteroni affollati di Muccino. Solo Il Lupo di Cavagna, assai trascurabile. Come gli acquedotti interrotti dai Visigoti niente più acqua per il talento incontinente di Montesano. Orfana di Proietti, Roma guarda a Verdone come suo ultimo mostro sacro. Per De Sica e Brignano è ancora presto. Possibile che il più completo di tutti resti fuori? La gavetta nella cantina trasteverina: non il Beat72 dove Flaiano applaudiva Carmelo Bene ma il Puff di Lando Fiorini, l'ultimo dei mohicani di una Roma (sparita) devota al Tevere e a Claudio Villa, il cabaret ristorante anni Settanta del teatro leggero italo-romanesco (che un tempo era di casa in Rai con Dove sta Zazà). La gavetta nel primissimo Bagaglino del rione Ponte accanto a Gabriella Ferri. E poi il palcoscenico canonico, il Sistina, il teatro Stabile di Montesano. Ha detto Enrico Vanzina che «il Sistina è stata una cifra per capire Roma. Attraverso il genio di Garinei & Giovannini, di Gigi Magni, di Trovajoli, il Sistina ha monumentalizzato una Roma leggera: si possono raccontare cose drammatiche in musical, si può ridere della romanità ed essere lontani dalla grevità». Racconta a proposito Alessio Viola, giornalista e conduttore Sky, cultore della comicità romana: «a teatro faceva numeri pazzeschi: ballava, cantava, recitava, era un ottimo monologhista con dietro Terzoli e Vaime. I suoi exploit come Rugantino (1978) e Bravo! (1981), le perfette commedie degli equivoci come Cercasi tenore (1989) e Se il tempo fosse un gambero (1986). Ha avuto un momento in cui poteva permettersi di tutto». Più che con Totò e Buster Keaton, è con la Roma rugantina che contrae come un debito di riconoscenza e formazione. Paolo Panelli e Vittorio Gassman gli fanno letteralmente da padrini in un film che regge da solo, Il Conte Tacchia (1982), affresco rugantinesco portato al cinema, che però non fa bingo come Il Marchese del Grillo di Sordi (1981). Il Marchese del Grillo, anche se il sordismo era al tramonto lo abbiamo mitizzato perché era strepitoso - dice Benincasa - Il Conte Tacchia ebbe successo ma non la gloria della memoria. Penso che la vera rivoluzione a Roma la fece Proietti con A me gli occhi, please nel Teatro Tenda di Molfese, una rivoluzione mai vista prima che cambiò letteralmente le carte. Il bel Rugantino di Montesano resta una rivoluzione composta». Fuori dal copione della Roma teatrale dà l’impressione di subire le altre romanità in scena e di non credere più alla follia del suo Pomata. La giocoleria caciarona de I due carabinieri, Il tenente dei carabinieri, Piedipiatti, non scavalca mai Tomas Milian. I nomi dei suoi personaggi cinematografici sono Glauco, Spartaco, Mario, Duilio, Fausto, Checco, Annibale, Orazio, sembrano uscire da un trattato di romanistica ma nessuno “appoggia bene” come Manuel Fantoni. Quando poi Verdone alza l’asticella con il grande freddo di Compagni di scuola, si chiude il cerchio. Dice sempre Viola: «Montesano è rimasto l’interprete del personaggio del figlio di quella Roma tutta padri (Panelli, Fabrizi, etc) da cui farsi vedere, dei mostri sacri legati alla commedia musicale, il teatro, la rivista, il varietà. Infatti era tradizionale e tradizionalista già da giovane: si è sempre definito nipote d’arte, affascinato dai suoi miti ma mai affrontato. Perso il valore del testo di quella tradizione si è perso un po’ anche l’interprete». Angoscia dell’influenza, il peso dei padri: forse una cosa che somiglia molto a un grande maestro che non sarà mai un grande maestro? Si rimane allievi di se stessi? Padrini tanti, eredi nessuno, e troppa concorrenza. Dalla linea soft Laganà, Tirabassi, Cruciani, Cirilli, Wertmüller, fino alla ferocia aggressiva muscolare di Brignano, Giuliani, Battista, i grandi sold out della risata romana degli ultimi 30 anni sono stati tutti allievi della scuola Proietti, chi patentati, chi imbucati dichiarati, comunque eredi. Gli devono tutto, l’idea stessa di mattatore, il one man show col suo teatro tenda, alla fine stremato con la camicia fradicia di sudore, il marchio di fabbrica, vedi le foto della golden age di Brignano, aloni esibiti come una medaglia. Nessuno di questi era debitore dichiarato o involontario di Montesano. Anche Montesano porta il suo Trash in un Palatenda, ma la città ormai parla altre lingue comiche. Sempre Viola: «Non è mai stato padre di una città, ma è rimasto figlio. Non ha mai abbracciato una nuova generazione romana, come Sordi o Verdone». Oltre i rumors di una diffidenza e di un temperamento scorbutico, è gelosia della propria fama? Possessività del repertorio che fu? Forse col passare degli anni questo tenersi tutto dentro - la posta in palio, il successo raggiunto, il copione delle sacre radici - è diventato una solitudine così ingombrante che l’eclettismo tradizionalista del mattatore non riesce a rientrare dal portone principale? È questa la sua croce? Alberto Di Risio, autore per Panariello, relativizza: «La concorrenza c’è per tutti. Fiorello a 50 anni si è buttato in rete. Sta alla capacità del personaggio sopravvivere nei marosi dello spettacolo. Non si è mai famosi per sempre perché lo si è stati una volta. Tutti vogliono rimanere mattatori. È un mestiere e le scelte non sempre sono giuste. Il pubblico non è mai facile da accontentare. Ci sono qualità che hanno fortune, e altre no: sarebbe da chiedere anche ai produttori il perché. O alla stampa: ad esempio, perché non si cita il Torno Sabato di Panariello tra i grandi successi Rai?». Pure Proietti era dentro il canone romano, Belli-Trilussa-Petrolini, percepito come un canone alto e perduto nel tempo, ma da non deridere mai. Infatti aprì la scuola. Per Viola «Proietti è riuscito a valorizzare il suo essere antico, Montesano invece lo ha livorizzato, ha detestato il nuovo potenziale pubblico. Era l’erede preparatissimo di qualcosa che tramontava non per colpa sua, ma ha pagato pure quel declino». L’ambito terzo Rugantino lo farà infatti Valerio Mastandrea uscito dal Maurizio Costanzo Show. Preparato quanto inafferrabile, Montesano nella sua stasi solitaria ha rinnegato il finale del Conte Tacchia: le porte della Roma rugantina non le ha aperte a nessuno. Per lo storico della comicità Andrea Ciaffaroni, «a differenza di Proietti che diverte e insegna allo stesso tempo, Montesano ha preferito ballare da solo, con un vestito solo suo: non si è fatto studiare, tutto troppo personale, mai un personaggio medio alla Sordi». Gli annali dicono che c’è stato un flop epocale, maldigerito, un punto di rottura per il mattatore. Chiamato nel 1988, dopo la conduzione scombinata e controversa di Celentano, al top televisivo della Rai, lo show nazionalpopolare di Fantastico, prima serata abbinata alla Lotteria Italia, dove Montesano tira fuori tutto il suo repertorio consolidato, segna ottimi ascolti e record imbattuto di biglietti venduti. Ma nove anni dopo, chiamato a far risorgere i fasti della trasmissione, è costretto alle dimissioni in corsa. «Insuccesso conclamato, non accettò le critiche, la prese molto male, anche con la stampa», racconta Ciaffaroni. Per Benincasa «la storia dice che per assurdo quel Fantastico di successo gli ha fatto male, ha avuto una nemesi storica nel 1997: l’alfa e l’omega, la giocata del destino. Dal record di sempre alle dimissioni». Più duro Giusti: «Corradizzare Montesano è stato un grosso sbaglio. Proietti è riuscito a essere sia controcorrente sia istituzionale, ma il presentatore Montesano è stato un boomerang. Diventare una cosa da Rai1 non gli fece affatto bene». Il re della stand up comedy italiana Saverio Raimondo sostiene che il mancato recupero di Montesano è dovuto al fatto che «non è stato un innovatore, all’epoca era il controcanto alle rotture degli ‘80 (Grillo, Benigni, Drive In), baluardo e rassicurazione. Per famiglie. Muovendosi nel solco del varietà ufficiale, ha finito con l’aggiungere la sua faccia a una walk of fame sin troppo affollata, e di tutte eccellenze. Il fatto di essere di così largo successo ma senza un motivo personale - l’essere bravo è spersonalizzante - lo ha condannato a una sorta di anonimato dorato». Montesano sarà invisibile anche per i novissimi di Avanzi, come Guzzanti, altra romanità autoriale enorme che s’affaccia. «Non a caso finisce con quel Fantastico cruciale di cui la sua pagina Wikipedia non riporta nemmeno il flop. Al sorgere di un nuovo, ulteriore canone comico, con la RaiTre di Guglielmi e ancora le tv private a fissare i nuovi riferimenti, con Zelig che inizia proprio nel 1997, i Grillo/Benigni/Verdone diventano nuovo mainstream, e Montesano sbiadisce per sempre». Per la corsa al Colle di mostro sacro capitolino ci vuole un po’ di understatement. Verdone saggiamente ci ha risparmiato la vecchiaia di Mimmo, Montesano cita ancora i suoi kamikaze estroversi, come il pensionato Torquato. Tutto qua? Riccardo Cassini, autore tv e teatrale, racconta che il mestiere è sempre una guerra con risvolti insondabili: «Volendo fare una battuta, Montesano è il Nokia della comicità. Tutti ce l’abbiamo avuto, è piaciuto a tutti. Ora no, il perché vallo a spiegare, vallo a spiegare anche a Montesano stesso. La risata ha un suo tempo, i testi vanno rinnovati, se un repertorio già lo sai non fa più ridere. Lavorando su Brignano ho capito che la base della piramide del pubblico si allarga sempre: non puoi restare lì, pur essendo nell’Olimpo, e stare fermo».
Enrico Montesano. Clarida Salvatori per corriere.it il 30 luglio 2021. «Tu sei plurivaccinato». «E tu sei finito in ospedale eppure neghi il Covid». «Non è vero e ora ti querelo». Questa la disputa sui vaccini anti Covid diventata anche una querelle a suon di post su Facebook e cinguettii su Twitter. I protagonisti della discussione via social sono il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il comico romano Enrico Montesano e la giornalista Selvaggia Lucarelli. Tutto parte da una colorita diretta video di Montesano di oltre un’ora, in cui parla di medici, di terapie differenziate per cittadini comuni, «su cui le aziende sanitarie devono far profitto», sostiene il comico, e i malati «speciali», e qui cita Berlusconi, guariti in tre giorni. E ovviamente di vaccini e green pass: «Non c’è l’obbligo, ma poi ti additano se non ti vaccini». Tra i vari argomenti parla anche di un Zingaretti plurivaccinato, accuse a cui il governatore aveva già risposto nei giorni scorsi, ma su cui torna ancora. «Ho visto che anche Enrico Montesano ha detto in un video social che ho fatto 4 vaccini. Rilancia un falso, visto che si trattava di vecchie foto di campagne antinfluenzali di qualche anno fa. I metodi sono questi. Enrico perché ti sei ridotto così? Sei hai le tue idee hai tutto il diritto di esprimerle, ma d’infangare gli altri meno. Anzi questo diritto non ce l’hai». Ma alla diretta di Montesano ha voluto rispondere anche Selvaggia Lucarelli con un tweet: «Visto che non ha mai avuto il coraggio di dirlo, ma ama insultare e cavalcare le peggiori teorie complottiste, lo dico io: Enrico Montesano ha avuto il Covid, è stato ricoverato, è stato salvato dai medici e dalla scienza. Quella scienza a cui ha chiesto aiuto, quando stava male». Non tarda ad arrivare la secca replica dell’artista, su Facebook: «La signora Lucarelli afferma cose assolutamente false sul mio conto. Mi riservo di agire nelle sedi opportune a tutela della mia persona». E poi ha aggiunto, anche prendendo in prestito una frase di Agamben: «Chi vuole vaccinarsi è libero di farlo, ma si rispetti anche chi non vuole. Quella che stiamo vivendo, prima di essere un’inaudita manipolazione delle libertà di ciascuno, è una gigantesca operazione di falsificazione della verità».
Da "leggo.it" il 21 giugno 2021. «Il sangue dei donatori vaccinati viene buttato via». Queste parole pronunciate da Enrico Montesano in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook sono finite nella bufera e costretto Avis a intervenire. L'attore aveva dichiarato, riportando la versione di una misteriosa fonte interna ad Avis, che il sangue dei donatori vaccinati si sarebbe coagulato e che, dunque, le sacche sarebbero state gettate. Tutto questo in un periodo di emergenza sangue nel Lazio.
Enrico Montesano sul sangue dei vaccinati, la replica di Avis. Immediata la replica di Avis. «Affermazioni pericolose per la salute pubblica e lesive dell’impegno dell’associazione e dei donatori», ha fatto sapere Gianpietro Biola, presidente dell'Avis nazionale, che ha definito quelle dell’attore «parole dannose», rassicurando la completa sicurezza della donazione. «Donare il sangue dopo aver ricevuto il vaccino anti Covid non comporta alcun rischio né per il donatore stesso né per i pazienti a cui trasfonderlo», ha aggiunto.
Enrico Montesano, il parere del Cns. Gli ha fatto eco il direttore del Cns (Centro Nazionale Sangue), Vincenzo De Angelis. «È molto grave diffondere false informazioni sulla donazione di sangue, specie alla vigilia di un periodo come quello estivo, in cui storicamente si registrano carenze. Non c'è nessuna differenza tra il sangue dei vaccinati e quello dei non vaccinati, entrambi salvano vite ogni giorno, e anzi ci auguriamo che siano sempre di più i donatori immunizzati, sarebbe un segno ulteriore dei progressi nella lotta al virus».
Dagospia il 21 giugno 2021. Enrico Montesano? "A ottobre ce lo ritroviamo in ospedale insieme a Gianni Rivera a spese nostre". Il virologo Roberto Burioni scatenato su Twitter contro l'attore che dopo un anno di deliri negazionisti ha sganciato l'ennesima "bomba" sui social riportando la versione di una misteriosa fonte interna ad Avis: "Il sangue dei donatori viene buttato perché si coagula". Il virologo, commentando il video pubblicato sui social, lo percula: "Un amico che conosce una persona di rango avrebbe dovuto dirlo con la voce di Dudu il gagà..."
Da ilsussidiario.net il 29 luglio 2021. Enrico Montesano contro tutti. In una diretta Facebook di oggi l’attore è partito dalla notizia della morte del dottor Giuseppe De Donno per parlare della “dittatura sanitaria”. Comincia però con un duro attacco ad un personaggio famoso che sembra essere proprio Frank Matano. Non ne pronuncia mai esplicitamente il nome, ma è facile intuire che si riferisca proprio al giovane comico. «C’è uno che fa la giuria in una piccola trasmissione, non so come si chiama, ha iniziato facendo gli scherzi al telefono. Un cretino di successo, non voglio neanche nominarlo. Deve prima imparare a ballare, cantare, recitare, fare le imitazioni, inventarsi dei personaggi e farsi 52 anni di carriera come me, più di 60 film e 10 commedie musicali». Montesano è un fiume in piena: «Si deve sciacquare la bocca quando parla di me, io sono un attore, non sono un comico. Lui è un cretino, un imbecille di successo, l’occhio da imbecille e la faccia da ebete. Ride sempre perché è un ebete. Questo genio compreso, sta sempre dappertutto, è uno stolto di mezzo. Si deve sciacquare la bocca prima di parlare di me». Ma ne ha pure per la Rai: «Avevamo un pubblico migliore, non era rovinato da trent’anni di merda tracimata da queste tv private. La Rai per non perdere ascolti è andata appresso, facendo delle cagate immonde. Ora tutti i leccac*li del potere parlano, pontificano, fanno le loro trasmissioncine del ca**o, i loro talk show di merda». «L’Italia è meravigliosa, ma la società è di merda», sbotta Enrico Montesano durante la diretta Facebook. Quindi, parla delle piazze che protestano contro vaccini (e chiama «cacchinati» tutti i vaccinati) e green pass, di cui fanno parte anche medici: «Onore a loro che contravvengono alle emerite e ciclopiche cazzate del Cts e dell’Iss». Si lascia andare anche sul green pass: «Si chiama lasciapassare, quello che usavano i nazisti. Vaffanc**o il lasciapassare». Inoltre, smentisce la sua discesa in politica. «Non mi presento con nessuna lista, la politica mi fa ca*are». E se la prende con diversi giornalisti: «Avete venduto la pelle dell’orso prima di averlo catturato e avete sparato cazzate giornalisti terroristi, pennivendoli del cazzo. Come D’Agostino (Dagospia, ndr) e Fanpage. Non mi rompete il ca**o!». Volano quindi gli insulti, per David Parenzo («È fastidioso come le zanzare» il più gentile) e Roberto Burioni («Ora ti fai i soldi con i monoclonali»). Stranamente più tenero con Selvaggia Lucarelli che aveva attaccato Giuseppe De Donno: «S’è beccata con De Donno. Io spero che tu abbia un ripensamento». Quindi, invita tutti a lottare in nome del medico, la cui morte l’ha colpito. «Lo sentì per capire cos’era successo e lui mi disse di aver avuto un anno molto faticoso. Era una persona gentile, ma di fronte alle forze del male, malefiche, che ci stanno governando e si vogliono sostituire a Dio sono destinate a soccombere se sono lasciate sole». Viste le critiche ricevute, Enrico Montesano, accusato di diffondere fake news, ha smentito di essere no vax: è pro vaccini, ma non quelli sperimentali.
Fabiano Minacci per "biccy.it" il 17 giugno 2021. Enrico Papi dopo l’esperienza a Tv8 si prepara per tornare a Mediaset con Scherzi a Parte: “Ho passato così tanti anni in casa Mediaset che, in qualche modo, la considero una seconda famiglia: sono entrato giovane e single sono uscito sposato e con due figli. La prima volta nell’aprile del 1996, mi notò Silvio Berlusconi mentre conducevo Chiacchiere su Rai 1. Mi mise su Canale 5 al posto di Vittorio Sgarbi con Papi Quotidianamente”. Il conduttore, sempre fra le pagine di Chi intervistato da Alessio Poeta, ha parlato del bullismo televisivo ricevuto: “Purtroppo in tv esiste un certo atteggiamento di prepotenza. Bullismo ricevuto da chi? Da colleghi potenti. Quando possono non rinunciano mai alle scorrettezze, ma le dirò: non porto rancore, per fortuna esiste l’ascolto”. Ed infine ha commentato le voci sulla sua sessualità, che ha definito un classico per chi fa quel mestiere: “Le voci sulla mia sessualità? Un classico per chi fa questo mestiere, anche se non le nascondo che oggi più che mai potrei innamorarmi, in senso lato, di chiunque. E senza alcun problema. A oggi non è mai successo, pur avendo avuto i miei corteggiatori. Ma quando sento qualcuno rivendicare la sua eterosessualità inorridisco. Mi sembra quasi un’offesa”. Sposato da 23 anni con Raffaella Schisino, Enrico Papi ha due figli. “E se uno dei miei due figli facesse coming out in famiglia? Non avrei problemi e faccio fatica a capire come ci sia ancora questa reticenza ad accettare una cosa così normale. Quando mi si parla di condizioni culturali m’incazzo. La cultura non c’entra nulla. Il segreto del mio matrimonio è la sopportazione reciproca, che negli anni aumenta sempre più. I rapporti importanti vanno salvaguardati e messi al di sopra di ogni cosa. Credo che la fedeltà appartenga più allo spirito che al corpo e che l’essere umano non nasca per essere monogamo. O almeno non fino in fondo. Negli equilibri di una coppia, poi, può succedere di tutto. L’importante è che non venga mai il rispetto. Se non c’è un tradimento della stima, della persona, della famiglia, non finisce il mondo”. La nuova edizione di Scherzi A Parte con Enrico Papi dovrebbe andare in onda la domenica sera in staffetta con Avanti un Altro Pure di Sera di Paolo Bonolis.
· Enrico Ruggeri.
Da .corriere.it il 26 dicembre 2021. Non sono cadute nel vuoto le parole di Loredana Bertè l’altra sera, a «The Voice Senior», reality di Rai1 che la vede in giuria. La cantante, parlando di uno dei suoi brani più celebri, «Il mare d’inverno», ha riaperto una controversia circa la paternità di accordi e melodie. Dopo essersi esibita duettando con un concorrente sulle note di questa canzone, ha detto in tv: «Avrebbe dovuto firmarla anche Ivano Fossati. L’ho incisa con lui a New York, poi ho chiamato Ruggeri e gli ho fatto: “Senti che pezzo”. E lui: “Pazzesco”. È il tuo pezzo Enrico. Fossati aveva fatto un arrangiamento pazzesco».
La replica sui social
Tradotto, il pezzo originariamente concepito da Ruggeri è stato in realtà stravolto da Fossati. Non si è fatta troppo attendere la replica del cantautore, chiamato in causa da una persona su Twitter che gli ha scritto: «Domanda seria. Ma Il mare d’inverno è stata arrangiata da Fossati?
Perché Loredana Bertè ha dichiarato questo stasera in tv, dicendo che avrebbe dovuto firmarla Fossati. In realtà io sapevo che Fossati era il produttore e basta». In risposta, Ruggeri è stato netto: «Fossati è un grandissimo musicista, uno dei migliori di sempre. In questo caso, però, ha copiato in bella l’arrangiamento di Luigi Schiavone (soprattutto) e del sottoscritto».
Dario Salvatori per Dagospia il 26 dicembre 2021. Curioso vedere che Enrico Ruggeri reclami il suo ruolo di arrangiatore del brano “Il mare d’inverno”(1983), attribuito ad Ivano Fossati, che registrò la canzone producendo Loredana Bertè, includendo il brano nell’album “Jazz”, pubblicato nello stesso anno.
Ruggeri sostiene che il titolare dell’arrangiamento fu Luigi Schiavone, suo chitarrista. Una diatriba che ha a che vedere non tanto con la buona (o meno buona) fede dei tre musicisti, quanto sul concetto di arrangiamento.
Nessuno di loro tre è uno “scrittore di musica”, ovvero in grado di adattare la prima traccia del brano e soprattutto di trascrivere l’adattamento vocale e strumentale. Per i nostri musicisti - soprattutto per i cantautori e per i rapper (la categoria più zotica di tutti i tempi) – “arrangiare” significa al massimo spostare gli accordi, beninteso per chi è in grado di governare uno strumento.
L’arrangiamento non si scrive con la chitarra o al piano, bensì alla scrivania, elaborando su una risma di partitura riportando le parti degli archi, degli strumenti a fiato, delle ritmiche e dell’eventuale coro.
In modo che i musicisti, quelli veri, possano suonare quanto riportato sullo spartito. Eppure loro “arrangiano”. Anzi, si contendono questo ruolo. E’ avvilente notare come i nostri musicisti interpretino l’arrangiamento in senso letterale, ovvero come “arte di arrangiarsi” di edoardiana memoria.
In Italia abbiamo avuto arrangiatori che hanno dato lustro e salvato la carriera a dozzine di cantanti: Ennio Morricone, Luis Bacalov, Ritz Ortolani, Piero Piccioni e molti altri. Nel jazz abbiamo avuto Duke Ellington, il quale pur in grado di arrangiare, delegò il giovane genio di Billy Strayhorn, al punto che è rimasta segreta l’assegnazione di chi fra i due avesse scritto l’arrangiamento.
A cominciare dalla mitica “Take the –A- train”, sigla dell’orchestra. Miles Davis, che studiò alla severa Julliard di New York, poteva arrangiare, ma preferì mettersi nelle mani di Gerry Mulligan nel 1949 per la nascita di “Birth of the Cool”, ovvero lo stile più rarefatto dell’epoca, e più tardi in quelle di Gil Evans, suo arrangiatore di fiducia. La verità e che gli attuali dispositivi tecnologici aiutano a non stonare, ad arrangiare con le app e purtroppo anche a litigare per chi ha fatto cosa.
Enrico Ruggeri e la cocaina: "Perché ho iniziato a pippare". Confessione sconvolgente e dolorosa. Libero Quotidiano il 13 marzo 2021. Anche Enrico Ruggeri, come molte star, è caduto nel tunnel della droga negli Anni 80. Intervistato da Anni 20, il nuovo programma di attualità di Rai2 condotto da Francesca Parisella, il cantautore milanese ha analizzato la vicenda attuale, legata al dramma del Covid: "La mia categoria è stata dimenticata e umiliata più volte". A livello personale, invece, c'è il problema dei figli. "Uno se n’è andato in campagna ma gli altri di 15 e 10 anni rientrano in pieno in quella categoria che sta soffrendo e che pagherà a lungo quello che è successo da un anno a questa parte. Quello che noi siamo dipende dalla nostra adolescenza". Ruggeri, uno dei fondatori della Nazionale cantante, nonostante gli esordi punk coi Decibel nella Milano di fine anni 70 è quanto di più lontano dall'immaginario delle rockstar tutto vizi e stravizi. Eppure, anche lui è stato sfiorato dalla droga: "L’eroina è il rientro nella placenta, la fuga da tutto. Non l’ho mai provata ma sono stato contiguo a molta gente che l’ha provata". Gente che magari ha smesso di usarla da 20 anni, ma che ancora al risveglio ha "la roba" come primo pensiero. Si è parlato anche di San Patrignano e Vincenzo Muccioli, sulla scia della fortunata e discussa serie di Netflix dedicata alla più grande comunità di recupero dalla tossicodipendenza d'Europa: "Ho conosciuto Muccioli, interagendo con San Patrignano anche per amici che erano ospiti lì. Sanpa era per loro unica alternativa al carcere. La grande differenza è che gli ex tossici di San Patrignano, una volta usciti dalla droga, rimangono all’interno della comunità diventando terapeuti, accompagnando gli altri nel loro stesso percorso. Non escono mai da questa grande famiglia, cambiano solo ruolo". E la cocaina? "Io l'ho provata, da stupido, perché non sapevo come spendere i miei soldi, in un’epoca in cui il mercato era particolarmente florido. Ne sono uscito semplicemente perché la cocaina soprattutto nella Milano degli anni ’80 non crea amici ma compagni di merende, per cui memore di quello che mi diceva sempre mio padre: "cerca di frequentare persone alla tua altezza" smisi. Non sopportava che qualche "compagno di merende, in una discoteca alle 3 di notte", guardandolo in tv potesse riderne: "Ruggeri è mio amico, ho pippato con lui". "La vita è una e va spesa bene con persone che meritano", è il suo commento, più che condivisibile.
Dagospia il 12 marzo 2021. Enrico Ruggeri è intervenuto nel corso della prima puntata di “Anni 20”, condotto da Francesca Parisella su Rai 2.
Sul Covid: Ho vissuto male la pandemia, come musicista, appartenente a una categoria che è stata dimenticata e umiliata più volte, male come genitore di tre figli, uno se n’è andato in campagna ma gli altri di 15 e 10 anni rientrano in pieno in quella categoria che sta soffrendo e che pagherà a lungo quello che è successo da un anno a questa parte. Quello che noi siamo dipende dalla nostra adolescenza.
Sulla droga: Conosco eroinomani che hanno smesso da 20 anni ma che ancora hanno l’eroina come primo pensiero al mattino quando si svegliano, anche se non si fanno più. L’eroina è il rientro nella placenta, la fuga da tutto. Non l’ho mai provata ma sono stato contiguo a molta gente che l’ha provata: le prime volte stai bene ma piano piano avviene il contrario, stai male finché non ti fai e dedichi tutta la tua giornata alla ricerca della droga. Chi si fa uno spinello non finirà necessariamente a farsi di eroina ma è vero anche che chi si fa di eroina è partito da uno spinello, quasi per scherzo. Noi genitori ora conosciamo il problema, quelli che avevano genitori nati negli anni 20, 30 o 40 avevano genitori che non erano preparati ad affrontare il problema.
Su San Patrignano: Ho conosciuto Muccioli, interagendo con San Patrignano anche per amici che erano ospiti lì. Sanpa era per loro unica alternativa al carcere. La grande differenza è che gli ex tossici di San Patrignano, una volta usciti dalla droga, rimangono all’interno della comunità diventando terapeuti, accompagnando gli altri nel loro stesso percorso. Non escono mai da questa grande famiglia, cambiano solo ruolo.
Sulla sua esperienza con la cocaina: Ognuno di noi è inevitabilmente influenzato dalle sue conoscenze: io ad esempio non bevo più, perché gioco a pallone e non voglio ingrassare, ma oggi sembra spesso che lo strano sia chi non beve in un gruppo, un disadattato. Figuriamoci a 14 anni cosa accade! Io ho provato la cocaina, da stupido, perché non sapevo come spendere i miei soldi, in un’epoca in cui il mercato era particolarmente florido. Ne sono uscito semplicemente perché la cocaina soprattutto nella Milano degli anni’80 non crea amici ma compagni di merende, per cui memore di quello che mi diceva sempre mio padre: ”cerca di frequentare persone alla tua altezza” e allora mi sono reso conto che non ritenevo tollerabile che da qualche parte uno che magari era stato mio compagno di merende, in una discoteca alle 3 di notte, potesse dire guardandomi in tv:” Ruggeri è mio amico, ho pippato con lui”. Per me questo pensiero era insopportabile. La vita è una e va spesa bene con persone che meritano. Informato in diretta dell’incidente capitato all’amico Gianni Morandi, Ruggeri gli ha rivolto un saluto e un augurio di pronta guarigione:” Sono sicuro che Gianni starà già facendosi i selfie in ospedale con gli infermieri e i dottori, un uomo delle sua tempra ne uscirà con il sorriso che lo contraddistingue”.
Enrico Ruggeri: "Siamo come una rana bollita. Vi spiego che cosa è successo". Intervista al cantautore, uno dei pochi che non ha paura di andare controcorrente: "Tanti la pensano così, ma non lo dicono per paura di ritorsioni". Claudio Rinaldi - Gio, 04/03/2021 - su Il Giornale. Trovare un artista che ha il coraggio di esprimere le proprie idee in pubblico, soprattutto quando queste sono politicamente scorrette, è cosa rara. “Molti hanno famiglia e hanno paura di perdere il lavoro”, se lo spiega così Enrico Ruggeri il silenzio del mondo dello spettacolo, di chi ha deciso di non prendere mai una posizione, anche durante il Covid, per paura di ritorsioni. Lui invece no. Cantautore, scrittore, conduttore televisivo e radiofonico, vincitore per due volte del Festival di Sanremo, non si è mai tirato indietro e oggi al Giornale.it racconta il suo rammarico nel vedere come la società stia vivendo la pandemia passivamente, soccombendo di fatto senza reagire.
Si sarebbe mai immaginato di vivere una situazione del genere?
"Le rispondo con una domanda. Conosce il principio della rana bollita di Noam Chomsky?".
No, mi manca. Sentiamo…
"È l’esempio che questo pensatore anarchico statunitense fa per raccontare come l’uomo sia ormai in grado di adattarsi alle situazioni più spiacevoli, accettandole senza dir nulla. Se mettiamo una rana in un pentolone di acqua bollente, la rana salta subito fuori. Se invece l’acqua è fredda e la riscaldiamo gradualmente, la rana non scappa via, nuota, si abitua fino al punto di non riuscire più a muoversi".
Morale?
"La rana, con l’acqua che è diventata nel frattempo caldissima, finisce morta bollita. Ecco, noi siamo come la rana bollita: ormai ci siamo abituati a tutto. Prima ci hanno tolto i viaggi, poi hanno imposto il coprifuoco, poi hanno chiuso i ristoranti tutto il giorno e noi abbiamo passato il tempo a dire "vabbè che sarà mai"… così, un passo alla volta, abbiamo perso la nostra libertà".
Ma avevamo un’alternativa?
"Non sapremo mai cosa sarebbe successo, se avessimo lasciato tutto aperto. Magari avremmo avuto gli stessi morti, chi può dirlo? Anche gli esperti spesso litigano tra di loro e non hanno un'unica ricetta per uscire dalla pandemia. Io posso solo dire che non si può continuare così: stiamo rinunciando a vivere per paura di morire".
Ma dicendo queste cose, non ha paura di essere chiamato negazionista?
"Negazionista è una parola antipatica che richiama cose terribili. E comunque finora mi hanno augurato davvero di tutto: di morire, di prendere il covid… ma io sono fatto così. Non mi sono mai risparmiato, quando c'era da prendere posizione. E poi chiariamo: il virus c’è e nessuno vuole negarlo, così come nessuno vuole mancare di rispetto alle migliaia di vittime e alle loro famiglie".
Nel mondo della musica è l’unico a pensarla in questo modo?
"No, guardi. Ho il record di congratulazioni in segreto. Quando parlo, mi arrivano decine di messaggi dai colleghi che magari preferiscono restare in silenzio. Direi che nel mio mondo la maggioranza la pensa come me".
Anche se parlano in pochissimi?
"Certo. Io ho le spalle larghe, ma molti hanno timore di non lavorare più. Le assicuro che spesso è molto meglio tacere".
Ecco però in concreto che cosa bisognerebbe fare?
"Per esempio riaprire subito i teatri. È chiaro che oggi non si può autorizzare il concerto di Vasco Rossi allo stadio Olimpico con 60 mila persone, ma il teatro con mille persone sì. Basterebbe fare tamponi a tutti gli spettatori, anche perché ormai costano quanto due banchi a rotelle. Ci vorrebbe uno Stato più forte in grado di intervenire".
Intanto è cambiato il governo…
"Sì, ma non sembra essere cambiata la strategia contro il covid. Anche questo, come il precedente, sembra essere tenuto in scacco dai virologi. E guardi che adesso è molto semplice stare al governo".
In che senso?
"Se le cose vanno bene è merito dei dpcm e di chi sta a Palazzo Chigi".
E se invece vanno male, la colpa di chi è?
"Ovvio, nostra. Perché siamo usciti, ci siamo incontrati… la movida. Insomma lo spartito ormai è ben noto. Ma nessuno si rende conto che il problema non è chi beve il cocktail, ma chi lo prepara. Stiamo rischiando di avere migliaia di disoccupati. Io se un anno non lavoro, mi incazzo ma me la cavo. Non ho bisogno di andare da Barbara D’Urso a piangere miseria. Ma tutti gli altri come fanno? C’è gente che non sa veramente più come andare avanti".
Il ministro Speranza però dice che la salute viene prima di tutto…
"Se il mondo si fosse fermato al ‘pensa alla salute’, non ci sarebbe stato alcun progresso. Cristoforo Colombo non avrebbe scoperto l’America. I partigiani non avrebbero liberato l’Italia, per fare un esempio di sinistra. Ma oggi è proprio la sinistra a vivere un paradosso curioso".
A cosa si riferisce?
"La sinistra si è sempre caratterizzata nella storia per aver difeso i diritti e le libertà personali. I compagni si sono sempre battuti per questo".
E adesso?
"Ora avviene il contrario. La sinistra vince a Corso Venezia a Milano, mentre la destra viene votata nelle periferie. Succede in Italia, ma anche in Francia con Marine Le Pen. È un fenomeno anomalo che spiega come in realtà la sinistra non sia più in grado di intestarsi le battaglie che l’hanno sempre contraddistinta".
Una delle ultime battaglie è stato impedire di avere il pubblico al Festival di Sanremo…
"Immagino che se avessero optato per l’Ariston pieno di gente, avrebbero avuto centinaia di lavoratori del mondo dello spettacolo fuori con i forconi. Non avevano altra scelta".
C’è anche chi avrebbe fatto a meno del Festival...
"Follia. Sanremo è la manifestazione più remunerativa per la Rai. Non farlo avrebbe significato un danno enorme".
Ma come le sembra l’atmosfera generale?
"Ho sentito alcuni amici. Mi hanno raccontato di una situazione surreale: vivono blindati in camera. Manca tutto il contorno…".
Contorno che lei conosce bene, visto che l’ha vinto due volte. Nel 1987 con "Si può dare di più" assieme a Gianni Morandi e Umberto Tozzi. E nel 1993 con ‘Mistero’. Ci dica chi sarà il vincitore di questa strana edizione…
"Non posso darle un pronostico perché non ho ascoltato le canzoni in gara. Da interista ho preferito gufare contro la Juve, lo ammetto".
Ma ci sarebbe andato come ospite?
"Sì. Se mi avessero invitato, ci sarei andato volentieri per il mio ultimo singolo: "L’America". È una canzone dedicata a Chico Forti. La sua storia mi emoziona e mi indigna così quando ho visto che si stava per muovere qualcosa, che Chico sarebbe potuto tornare in Italia, ho subito deciso di realizzare un videoclip assieme a Massimo Chiodelli, uno dei più grandi fumettisti italiani, e a Thomas Salme, regista svedese e amico di Chico".
Nessuno però l’ha contattata?
"No, peccato. Anche perché questa canzone è un atto d’amore nei confronti di una storia che dovrebbero conoscere tutti. Ma francamente più non mi aspettavo di essere chiamato".
Quando potrà finalmente cantarla su un palco?
"Spero presto. Anche perché tutti noi cantanti stiamo vivendo un sopruso, un’ingiustizia. E un’ingiustizia la stanno vivendo anche i tanti amanti della musica".
· Enrico Vanzina.
Dagospia l'1 marzo 2021. Da “Non è un paese per giovani” su Rai Radio 2. “Il mio film peggiore? Zero stelle le do a Banzai, quello che facemmo con Paolo Villaggio. Paolo, dopo il successo di Io no spik inglish, ci disse: voglio andare in Giappone a mangiare il sushi. Facemmo una schifezza. Quello a cui darei cinque stelle? Il cielo in una stanza, che è stato dimenticato. Portammo per la prima volta sullo schermo un certo Elio Germano”. Così Enrico Vanzina, nei panni del critico cinematografico di se stesso, ospite di Massimo Cervelli e Tommaso Labate a “Non è un paese per giovani” su Rai Radio 2 per presentare il suo ultimo libro “Una giornata di nebbia a Milano”. Ripercorrendo pezzi della sua carriera e i tanti tormentoni, Vanzina rivela quelli che gli fanno più piacere. “Toninho Cerezo dice che a fine anno riceve messaggi in cui gli chiedono come ha passato capodanno. Ma la cosa che mi ha fatto più piacere è una signora incontrata a via Condotti, che mi ha rifatto la scena de Le Finte bionde con Cinzia Leone che alzava le ascelle. Io sotto so’ così...”
Enza Sampò: «Quando io e Umberto Eco ci lasciammo (e lui mi disse: non metterti con Mike Bongiorno...)» Walter Veltroni su Il Corriere della Sera il 23 ottobre 2021. Un’infanzia «meravigliosa» nonostante la guerra. Nel 1957 la televisione: «Iniziai con Tortora e Bongiorno, poi Guglielmi. Tutti e tre mi hanno aiutato». «Ero graziosa, alta, un po’ androgina rispetto alle bellezze poppute di allora. Ai provini tv mi definirono “tutta pepe”». Enza Sampò non parla mai di sé. È stata una protagonista di rilievo della storia della televisione italiana. Sapeva far tutto: essere colta e lieve, sofisticata e popolare. È stata tra le prime donne «parlanti», in una Rai tutta al maschile. Oggi è una bellissima signora di più di ottanta anni, con la stessa magnetica dolcezza e la stessa intensità di quando presentava programmi o raccontava storie a milioni di italiani.
Enza, partiamo dalla tua famiglia.
«Sono nata nel ‘39 a febbraio, abitavamo a Torino ma mio padre era già stato richiamato in Marina ed era a Taranto, sotto le armi. Lui era un funzionario della Nebbiolo, una azienda che costruiva macchine tipografiche. Mia mamma era impiegata, ma con una grande passione per la lirica. Aveva già cominciato a fare piccoli concerti, era proprio brava. Poi, scoppiata la guerra, ha dovuto occuparsi di me e tirare avanti. E per questo faceva la sarta. Si è inventata un metodo di taglio molto moderno, qualcosa di sconosciuto in quei tempi. Siamo sfollati nelle Langhe, il posto che amo di più al mondo. Erano le Langhe di Fenoglio de La malora, cioè poverissime, con un rapporto però molto intenso fra le persone. “Non sei mai solo quando hai un paese” diceva Cesare Pavese. Eravamo una comunità, in quel tempo terribile. Ho vissuto un’infanzia meravigliosa. Meravigliosa e privilegiata: i bambini lì ancora avevano gli zoccoli con la paglia dentro per andare a scuola, io invece già avevo gli scarponcini perché mamma aveva inventato questa scuola di taglio con tantissime allieve».
«Ci potevamo permettere persino le scarpe. Mio padre è rimasto tagliato fuori da questo sodalizio femminile: è venuto pochissime volte in licenza, praticamente l’ho rivisto quando avevo otto anni e mi scocciò molto questo ritorno, perché io stavo tanto bene con mia mamma nel letto grande. Arrivò questo qui che prese il mio posto e poi nacque pure mia sorella: un dopoguerra tremendo. Però lui, poverino, siccome vivevamo ancora in questo paese prima di ritrovare casa a Torino perché la nostra era stata bombardata, andava da Monforte d’Alba a Torino a lavorare tutta la settimana. Dormiva in una pensioncina e poi tornava a casa il sabato e la domenica».
Non fu, per gli uomini, un buon esordio nella tua vita...
«Era una presenza inesistente, quella maschile. Vivevo con mia madre, andavo a scuola in una classe di sole bambine... Gli uomini sono stati per tanti anni degli sconosciuti, e avevo un po’ di fastidio per il loro ruolo dominante, era l’epoca in cui gli uomini, nonostante mia madre fosse una donna molto indipendente e molto moderna, avevano la bistecca più grande in casa, era tutto in funzione loro, del loro dominio, quindi mi sembrava tutto negativo. Ricordo che avevo tanta voglia di uscire a fare pattinaggio, la prima volta che aprirono una pista a Torino, ma mia madre e mio padre non mi lasciarono andare perché lì c’erano gli uomini. I maschi erano un pericolo o, comunque, un impedimento alla mia libertà».
La guerra come te la ricordi?
«Ricordo i partigiani, vivevamo vicino ad Alba, era la zona calda, quella raccontata proprio da Fenoglio. Uno mi pare si chiamasse Lulù, era un mito, nella zona. Noi bambine andavamo a scuola e non ci facevano mai mettere golfini o sciarpe rosse perché avevano paura che ci potessero scambiare per garibaldini e ci sparassero. Quando andavamo a scuola ci abbassavamo istintivamente perché su due colline diverse c’erano i partigiani e i tedeschi che si sparavano. Ma noi ci recavamo a lezione tranquillamente, solo ci abbassavamo. Ho visto delle frazioni bruciare per le rappresaglie dei nazisti. Pensa che mamma, durante la guerra - che donne straordinarie sono state quelle di quell’epoca! - doveva fare cose inimmaginabili. Capitava che passassero i tedeschi. Ti entravano in casa e chiedevano da mangiare. Mamma apparecchiava, che doveva fare, cercava di dargli salame e formaggio, quello che avevamo. Se in quel momento fossero arrivati i partigiani, come capitava, sarebbe stata una carneficina. Vivevano pericolosamente nella normalità, queste donne. Io da piccola non mi accorgevo di nulla di questo».
Ti ricordi i tuoi giochi da bambina?
«Giocavamo con le cose che si trovano in campagna. Avevo legato con una famiglia di dodici figli, gente poverissima. La madre diceva che lei faceva più facilmente un figlio che la sfoglia per la pasta. Questi dodici ragazzi erano divertentissimi, intelligenti, furbi. Abitavano nella stessa frazione nostra e mamma non voleva mai lasciarmi andare perché avevano i pidocchi e mi rubavano la cioccolata. Infatti mi ricordo che mi facevano sempre un dispetto, ci facevano salire su un carretto e il più grande davanti correva con questo carretto, poi lo alzava in alto e ci faceva scivolare tutti. Una volta mi disse “Guarda, mi hai graffiato il carretto” e mi prese la cioccolata in cambio del danno. Però io, di quei giorni, ho un ricordo meraviglioso».
Come andavi a scuola?
«Ti dico come sono passata alla prima elementare. Sono di febbraio e rischiavo di perdere un anno. Mi fecero fare qualche lezione da una insegnante e poi una maestra ufficiale mi fece l’esame di ammissione. Uscì dall’esame ridendo. E mia madre chiese “Cosa è successo?” Pare che mi abbia fatto la domanda: “Hai cinque caramelle, devi dividerle con una tua amica, quante ne dai a lei e quante ne prendi tu?”. E io, guardandomi le dita, “Se ne prendo tre, a lei ne rimangono solo due, se ne do tre a lei, ne rimangono due a me. Io non gliele faccio proprio vedere”. Mi dichiarò abile, nonostante questo. O forse per questo».
E ti ricordi come eri vestita?
«Mia mamma mi vestiva benissimo, lei con questa scuola di taglio era proprio raffinatissima. Ricordo un vestito scozzese, un po’ marroncino e d’estate quelli che si usavano allora con il punto smock. Ai vestiti non facevo neanche tanto caso perché mamma era così attenta a farmi essere sempre perfetta che era un problema suo, a me piaceva sempre tutto. Mi ha sempre vestito lei, anche per Campanile sera, quando facevo già televisione».
Poi torni a Torino, bambina...
«Fu un periodo infelice per me, tornai a scuola in quarta elementare e feci la corsa del gambero. Infatti a Monforte ero proprio brava. A Torino invece ero molto indietro rispetto agli altri. Noi eravamo rimasti ai problemi con la mamma che comprava le uova, qui invece erano tutti dei geni. Ero mortificata, da lì ho detestato sempre la scuola, perché mi sentivo inadeguata. Avevo nostalgia di Monforte. Ti voglio raccontare una cosa, è uno dei ricordi belli che ho. Da casa mia alla scuola c’erano cinquecento metri, un chilometro, non so. Noi, per dire che tempo era, ci portavamo il ciocco di legno per scaldarci a scuola. Ricordo che un giorno passavo per strada e c’erano, in primavera, i bordi delle strade pieni di violette. Io non resistetti e feci un mazzo di fiori e lo portai a scuola. Arrivai dopo la campanella e la maestra mi disse “Ma come mai sei così in ritardo? Perché hai raccolto le viole?”. Io: “Sì”. “Allora va bene, siediti”.
Tu nel ‘55 avevi sedici anni. Com’era l’Italia di quegli anni?
«Io la ricordo meravigliosa. C’era un allegro attivismo, una immensa voglia di fare, la sicurezza che il futuro sarebbe stato migliore di ciò che si era vissuto. È vero, vedevi ancora le case sventrate con i crocifissi appesi alle pareti, ma noi guardavamo avanti, eravamo molto ambiziosi. Ambiziosi nel senso di voler fare bene. Allora l’offesa più grande che potevi fare a qualcuno era di essere un fallito. E con questo spirito io ho cominciato a fare televisione. Era il totem di quegli anni, noi andavamo a vederla dai nostri vicini. La famiglia Mazzieri: lui era un rappresentante di commercio, ricordo che scoprii da lui per la prima volta i campioncini di maionese nel tubetto. Andavamo a vedere lì Lascia o raddoppia e noi ragazzi ne approfittavamo per spararci questi campioncini di maionese in bocca».
«La televisione mi piacque subito, era un linguaggio che mi affascinava. Sembrava un pianeta solo maschile, le poche donne avevano ruoli ancillari, salvo Elda Lanza o la Piccinino al telegiornale. La Rai era ancora molto torinese. Allora in Piemonte si confrontavano due modelli industriali: Valletta alla Fiat e la Olivetti a Ivrea, fabbrica a misura d’uomo. La Rai era il polo culturale. Lì ho conosciuto tutto il gruppo di Guala: cioè Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo. I vincitori del famoso concorso sono partiti tutti da Torino. Torino poi si è fatta scippare tutto: televisione, editoria, cinema, tutto. Quando andammo a Milano quello che più mi dava fastidio è che venivamo invitati nelle case borghesi, perché loro erano i giovani brillanti, e venivano usati come star della conversazione. Cosa che, in effetti, a Umberto riusciva benissimo».
Come hai cominciato a fare la modella e perché?
«Ero graziosa, molto moderna, un po’ androgina, rispetto alle bellezze poppute di allora. Ero alta, portavo dei tacchi robusti, facendo l’indossatrice, oppure le ballerine, proprio come le ragazze di oggi. La modella ho cominciato a farla in un Salone che credo fosse il primo di pret à porter. Mi divertiva, ma mi sembrava un po’ vuoto, quel mondo».
E in televisione come sei arrivata?
«Il provino televisivo l’ho fatto con la persona a cui sarò sempre grata, perché è stata sempre presente nella mia vita. Mentore e pigmalione, Maurizio Corgnati, poi marito di Milva, era un uomo raffinatissimo, coltissimo, abitava nel mio palazzo ed era lo zio di una mia compagna di scuola. Ci portava a teatro, ci faceva leggere libri, mi ha proprio aperto la mente. Era un intellettuale puro. Tanto era colto, tanto era incapace di ogni attività concreta. Allora i provini televisivi per una ragazza erano solo per il ruolo di annunciatrice. Dissero alla fine una cosa tipo: “Giovane tutto pepe adatta solo in programmi per ragazzi”. Così cominciai a fare programmi per ragazzi».
In che anni siamo?
«Nel ‘57, in quell’anno ho cominciato».
E come iniziasti?
«Facendo un programma che si chiamava Anni verdi. Partiva con l’inquadratura di un mazzo di rose, sfumava sulle nostre teste e poi finalmente parlavamo ed era un incontro di giovani che discutevano dei loro problemi. Ma se mi ricordo bene era tutto scritto, cioè non c’era veramente la libertà di esprimere le proprie opinioni. Poi feci Il Circolo dei Castori. Ancora adesso trovo dei vecchietti che lo vedevano. Lo presentava Febo Conti e io facevo la spalla. Però già come conduttrice, non come valletta».
In televisione, a parte la Lanza, sei la prima donna parlante....
«Sì ma ero un po’ insofferente. E allora ho fatto una follia, perché con Febo Conti stavo un po’ stretta, mi dava poco spazio. Andai a Milano, dall’usciere, perché quella era l’entratura massima che avevo, e dissi “Senta, io lavoro a Torino, posso conoscere qualcuno?” Mi portarono da Marta, la mitica segretaria di Puntoni, che si occupava del varietà. Questa non mi fece neanche parlare con Puntoni, disse solo “No, non abbiamo bisogno di nessuno”. Mi cacciò. Mi mandarono allora dalla segretaria di Budigna che si occupava dei culturali. La signora stavolta prese nota, ci salutammo e me ne tornai a Torino. Dopo qualche mese mi chiamò proprio lei per un programma con Fred Buscaglione, da un luogo estivo. Per questa serata arrivarono poi tante telefonate di curiosità, e così mi chiamarono a sostituire Marisa Borroni in Lei e gli altri. Era un programma per le donne e c’era molta più libertà. Da lì mi arrivò, inaspettata, una chiamata per il Festival di Sanremo. Visto che eravamo sotto la data della manifestazione, ho sempre pensato che qualcuna doveva aver rinunciato...»
C’era Paolo Ferrari...
«C’era Paolo Ferrari, adorabile. Fatto Sanremo, hai fatto la televisione. Lì ebbi la contestazione dei discografici. Del regolamento poteva parlare Ferrari, perché maschio. Io facevo il riassunto delle canzoni e l’annuncio delle canzoni ma smorzavo gli applausi. Lì c’era la claque, io invece annunciavo, uscivo e via. I discografici impazzivano. Vinsero Dallara e Rascel con Romantica ».
E poi Campanile sera ...
«Da lì in poi la popolarità è Campanile sera ».
Che esperienza fu?
«Io andavo al sud e Tortora al nord e devo dire che fu un incontro bellissimo con Mike e con Enzo. Io ero intimidita da questi due mostri sacri, avevo vent’anni. Loro mi spingevano molto a venir fuori. Allora mi inventai di dare le ricette, essendo una donna, dal luogo dove ero. Pensa che il direttore generale Sergio Pugliese mi chiamò personalmente solo per dirmi: “Se dà le ricette, le deve dare con calma, perché si devono capire bene”. E sai cosa ricordo di quella Tv? Che avevi sempre qualcuno che ti tirava la giacchetta. Con i funzionari, finito il programma, andavi e chiedevi “Com’è andata?” E loro ti dicevano bene o male e si discuteva. Parole utili. Dopo tanti anni ho capito che ora invece spariscono tutti. Aspettano il giorno dopo, e ti danno la risposta solo dopo aver visto gli indici di ascolto. Secondo loro è l’Auditel che definisce la bellezza di un programma televisivo. Io non la penso così».
Ti ricordi qualche episodio di Campanile sera?
«Mamma Rai, per protezione, mi aveva dato un funzionario fisso, tra l’altro bravissimo. Si chiamava Camurati ed era un esperto di opera lirica. Mi seguiva come un’ombra. Una volta in Sicilia, finita la trasmissione, Camurati mi accompagnò fino alla stanza d’albergo. Si accorse che c’era un signore attempato che ci aveva seguito tranquillamente fino alla camera da letto. Camurati disse “Ma cosa fa lei qui?” Quello, vedendomi sulle piazze in televisione, dava per scontato che fossi una donna facile. Mi arrivavano tanti pizzicotti sul sedere, durante i collegamenti. Ero sempre scortata dai carabinieri. Devo dire, di Campanile sera, che era tutto bellissimo. Era il programma simbolo di quel tempo in cui l’Italia cresceva e si unificava. Viaggiare allora era difficile e quei collegamenti facevano scoprire il Paese. E parlavo degli italiani veri, quelli dei quali nessuno si occupava. L’ignoto bibliotecario diventava eroe, protagonista».
Tu sei stata fidanzata con Eco?
«Sì, abbiamo avuto una storia importante. Durò tre anni fino a quando ho conosciuto mio marito, Ottavio Jemma, che ora non c’è più. Umberto aveva scritto la Fenomenologia di Mike Bongiorno molti anni prima, su Il Verri, una rivista letteraria. Però sulla stampa popolare uscì molti anni dopo e quando ci siamo lasciati, lui non capiva bene ancora il perché e temeva avessi un altro, mi disse: “Guarda per favore non con Mike, sennò diranno che ho scritto la fenomenologia per gelosia”».
Perché invece ti eri lasciata?
«Quei geni hanno bisogno di una donna devota, che abbia i loro stessi interessi. Io ero ancora alla ricerca dell’indipendenza, anche culturale. Non volevo essere costantemente giudicata, anche da chi ne aveva i titoli. Lui aveva bisogno di una donna dedicata e infatti è stata importante sua moglie. Condividevano gli stessi interessi, lavoravano nella stessa casa editrice».
Tortora come era?
«Delizioso, veramente un signore, un grande signore. Mike mi corteggiava in maniera molto discreta, rispettosa e non invadente. Per quello Umberto fece quella battuta. Eco era sempre spiritosissimo, una persona divertente. Da lui ho imparato che ci poteva essere un altro modo di vedere il mondo, che non si doveva essere bacchettoni per essere colti ed intelligenti».
E dopo Campanile sera ?
«Dopo Campanile sera io ho fatto una sosta di due anni perché ho avuto il mio primo figlio Umberto. Poi andai in Rai dicendo “Guardate, io potrei tornare a lavorare”. E mi chiamarono per Cordialmente. Facevo in studio le interviste a persone semplici, a gente comune. Avevo già acquisito voce in capitolo, cioè mi davano retta. Mi ricordo che una volta avevano preparato un servizio sulla donna che non mi piaceva perché era una moglie che andava a guardare dentro le tasche del marito di nascosto, insomma le solite stupide banalità. Io dissi no, mi rifiuto di farla, e loro accettarono. Sai chi era il curatore? Andrea Barbato, un uomo geniale. Era un altro gusto. Era una Tv forse meno democratica, nel senso che agli stupidi non si dava voce, come diceva Eco per i social adesso. Cioè alla presenza negativa non bisogna dare voce perché una volta che li porti in Tv, li hai legittimati. Hai legittimato ignoranza e stupidità».
Parliamo di due tuoi programmi per me bellissimi: Sta arrivando la bufera e La mia guerra con Leo Benvenuti.
«Li ho amati tanto. Pensa non hanno avuto nessun successo, neanche Guglielmi ci credeva poi tanto». Mi parli di quel modo di fare storia? «Era un modo diverso, al quale si poteva avvicinare chiunque, indipendentemente dal titolo di studio. Non era retorico, non era troppo serioso. Ricordo che intervistai in quell’occasione Vittorio Mussolini, che si rivelò una persona deliziosa, civile. Dopo si arrabbiarono perché l’avevo trattato con troppo garbo. Ho risposto: “Io voglio sapere da lui le cose che mi interessano, perché devo maltrattarlo per il cognome?”»
Un altro programma importante è Io confesso . Lì intervistavi persone protagoniste di storie terribili. I tuoi interlocutori erano travisati..
«Di quella trasmissione, coraggiosamente prodotta da Carlo Degli Esposti e da Sandro Parenzo, e andata in onda su Raitre di Guglielmi, vado molto orgogliosa. Ho lasciato dopo un anno perché non ce la facevo più, mi metteva troppa ansia. A me rimaneva dentro, quel programma era un racconto, spesso devastante dal punto di vista umano. Troppo, per me».
La persona più intelligente che hai conosciuto in Rai?
«Forse Angelo Guglielmi, grande intellettuale e uomo attento al prodotto. Quando eravamo ambedue in punizione lui mi ha aiutato. Era direttore del Centro di produzione e mi face lavorare come funzionario, dovevo controllare il buon esito di un programma con Romina Power... Ho passato anni duri in azienda. Nel ‘75, quando ci fu la riforma, circolava la voce che da quel momento avrebbero utilizzato solo gli interni. Quindi io feci richiesta di essere assunta. Non mi riconobbero il lavoro giornalistico, anche se facevo per la radio Dalla vostra parte con Costanzo, che era un programma di informazione. Sono stata in causa, ho vinto in prima istanza e allora per farmi rinunciare mi proposero di andare al Tg di Campobasso. Io avevo due bambini piccoli, non potevo certo trasferirmi in Molise e ho rinunciato alla reintegrazione. Mi chiamò il direttore di Campobasso: “Guardi io sono molto felice, calcoli che se vi mandano qui come castigo, non vi liberate più. Dovreste avere dei santi in paradiso e deduco che lei non ce li abbia, sennò sarebbe già entrata a Roma».
Com’è cambiato il ruolo delle donne in Rai, in televisione?
«Secondo me moltissimo. Per esempio La 7 ha una politica al femminile ricchissima, che offre tante sfumature dell’impegno delle conduttrici. Osservo che lì, come su Raitre, prevale la dimensione politica, è come se le donne avessero voluto raggiungere la Tv con argomenti considerati tradizionalmente maschili».
Il tuo stile era lieve, mai aggressivo, quasi confidenziale.
«C’era un grande rispetto e un senso di responsabilità nei confronti del pubblico, ma anche della persona che intervistavi. Mi veniva naturale, perché io sono così. Lieve era quella televisione, che insegnava agli italiani a leggere, a conoscere i classici, a divertirsi con il varietà. Era informazione, educazione, divertimento. Assomigliava a quel Paese adolescente».
Sei mai stata censurata?
«Una volta per la pubblicità. Avevo fatto gli spot della Bassetti, abbigliata come vestivo allora, con i pantaloni. Al marketing, severissimi, era risultato che ero fallocratica per cui mi misero i vestiti con la gonna...».
Se dovessi rivivere un istante della tua vita quale sceglieresti?
«Professionalmente quando mi chiamarono per Campanile sera, una trasmissione che è rimasta nella storia della tv. Personalmente, non so. Ho avuto una vita bella, piena, ma anche sempre combattuta. Non ho mai avuto tutto facile. Mi verrebbe da dire la nascita dei figli ma quello è persino ovvio. La verità è che dentro di me abita un fondo di malinconia...».
· Enzo Braschi.
Marco Menduni per “La Stampa - Specchio” il 15 marzo 2021. Troppo giusto! Era la metà degli anni Ottanta, in tv irrompe il Drive In di Antonio Ricci e il caleidoscopio di personaggi strappa risate che un'intera generazione ricorda. Di quel puzzle irriverente faceva parte il Paninaro impersonato da Enzo Braschi. Personaggio fissato in quell'epoca, perfetto rappresentante del decennio. Poi Braschi ha scritto, ha viaggiato, ha approfondito i suoi studi sui Nativi d'America e parla degli Ufo, meglio del Popolo delle Stelle. Ora è appena uscito il suo ultimo libro: "La dea dei golosi", edito da Verdechiaro. Un po' romanzo di mistero, un po' giallo e un po' thriller: «L'ambientazione la lascio nel vago, ognuno la può collocare dove vuole. Ma la protagonista Celeste è figlia di liguri, quindi potremmo presumere che si tratti dell'entroterra ligure. L'ispirazione nasce proprio lì». Proviamo a ripartire dall'ini-zio. Dal Paninaro che gli ha con-segnato il successo in tv: «L'Italia degli anni Ottanta, dopo i Sessanta dei Beatles, dei Rolling Stones, della musica al potere, aveva creato realtà variegate. I giovani si distinguevano per appartenenza ai branchi, come i lupi».
Meglio o peggio di oggi?
«Oggi c'è un'uniformità tristissima, tutti con il piercing, i jeans strappati, il tatuaggetto. Negli anni Ottanta c'erano i punk, i dark, i rockabilly, i metallari... e il Paninaro. Oggi non c'è più nulla. Non c'è più musica, pittura, non c'è più arte».
La passione per i Nativi è precedente. «Mia madre mi raccontava che, da ragazzino, mi portava a vedere i film di indiani al cinema del quartiere e quando moriva un pellerossa piangevo, mentre quando moriva Custer applaudivo. All'Università di Genova mi sono laureato con il professor Raimondo Luraghi con "La spiritualità dei Nativi americani delle grandi pianure". Una tesi di 400 pagine, in inglese, presi 110 e lode».
È una passione che non si ferma più: «Pubblicai il mio primo libro già all'epoca del Drive In e ricevetti l'invito di un'associazione di andare a partecipare alla Danza del Sole, riservata a pochissimi bianchi. I Nativi mi hanno dato due nomi. Io credo nella reincarnazione, è una radice che deve provenire dal passato».
Poi i popoli dello spazio. «Ho fatto conferenze di ufologia per vent'anni. Sin da piccolo mio padre mi portava a casa i romanzi di Urania e mi appassionavo. Poi andando a fare sette Danze del Sole tra i Sioux e i Dakota, parlando con gli anziani di cui ho acquisito la fiducia, ho appreso segreti che sui libri non troverai mai».
Colloqui intensi e segreti: «Mi parlavano del Popolo delle Stelle, degli antenati che venivano dalle Pleiadi. I Cherokee, i Dakota raccontano sempre di questa costellazione mitica che è considerata come un trait d'union tra noi e il cielo. I Navaho e gli Hopi raccontano del piccolo popolo con cui vissero sottoterra al crollo del Terzo Mondo».
Ne parla durante le conferenze sugli indiani e viene ascoltato da alcuni ufologi, che lo invitano ai loro congressi. Ma le visite di questi popoli continuano ancora oggi?
«Le visite non sono mai finite. Le connessioni che ho scoperto, gli Elohim della Bibbia, gli Annunaki dei Sumeri, i Kacina dehli Hopi e dei Navaho, rivelano che sono tutti collegati tra loro, sono radici della stessa pianta. Ci sono contatti che cominciano dall'inizio dei tempi. Carl Sagan diceva: un universo solo per noi sarebbe un bello spreco di spazio. E troppa presunzione».
Il suo ultimo romanzo si ambienta, pur senza scoprire le carte, in Liguria: «Io mi sento profondamente ligure, che non è una sorta di sentimento retrò o narcisistico, ma un legame che si rafforza con il tempo. Quando ero ragazzo ascoltavo "Ma se ghe pensu" e mi veniva da sorridere: il nostalgico che è andato in America e vuol tornare... con il passar del tempo mi sono accorto che mi muoveva emozioni molto forti. Non si ha nostalgia solo di una città, ma della condizione che ti dà quella città, legami forti, le strade, le piazzette, gli odori. Ho letto del cimitero di Camogli e mi è venuto un colpo al cuore. Vorrei tornare a rivedere le 5 Terre».
Oggi dov'è Enzo Braschi?
«Avevo trovato un appartamentino sul mare alle Canarie e mi ero detto: ci vado per qualche tempo. È arrivato il Covid e mi sono fermato. Sono ancora qui».
· Enzo Ghinazzi: Pupo.
Oggi è un altro giorno, la confessione choc di Pupo: "Ho pensato di farla finita, volevo buttarmi di sotto". Libero Quotidiano il 22 aprile 2021. "C'è stato un momento in cui ho pensato di farla finita": Pupo ha parlato di un periodo non facile della sua vita a Oggi è un altro giorno, in studio con Serena Bortone. A segnarlo, in passato, è stata soprattutto la dipendenza dalle scommesse e dal gioco d'azzardo "Mi è toccato toccare il fondo, ero miliardario e a un certo punto ero indigente, non avevo più nulla. Questo dramma mi ha toccato, ma mi ha insegnato molto più del successo", ha confessato il celebre cantante. Pupo, all'anagrafe Enzo Ghinazzi, ha raccontato con precisione il momento nel quale ha pensato al suicidio: "Parcheggiai la mia Jaguar nella corsia di emergenza, era molto stretta, su un viadotto che collega l'Emilia Romagna e la Toscana. Avevo perso tutto invece di aver guadagnato qualcosa quella notte. Scesi dall'auto con l'intenzione di farla finita". A quel punto è calato il gelo nello studio della Bortone, che ha esitato un attimo prima di chiedere al suo ospite cosa volesse dire con l'espressione "farla finita". "Volevo buttarmi di sotto dal viadotto ma un camion, un tir, passò a mezzo millimetro dalla Jaguar e spostò con questa onda d'urto di vento la macchina e anche me e mi fece quasi cadere. E' stato come se mi risvegliassi", ha spiegato il cantante. L'artista ha rivelato che ci sono voluti anni per liberarsi da quella dipendenza. Ma ha anche raccontato che è stato fondamentale il sostegno di alcuni amici. Tra questi, anche Gianni Morandi: "C'è stato un momento particolare in cui fu proprio Morandi - di fronte a un mancato pagamento di un mio debito - a pagare personalmente", ha rivelato Pupo.
Totò Rizzo per leggo.it il 20 gennaio 2021. È tornato sul luogo del delitto, Pupo, a scrutare le molte miserie e i pochi splendori della “Casa” del Grande Fratello Vip su Canale 5, a criticare il campionario più bislacco del genere umano in tv. «Mi diverte – confessa – non andrei mai come concorrente ma è una grande soap opera».
A volte si tocca il fondo, però.
«Chi non lo ha mai toccato, nella vita? Io più volte. Loro mostrano le loro fragilità».
S’è capito che ha un debole per la Gregoraci.
«Ho un debole per le belle donne in genere. L’ho conosciuta che era una ragazzina. Non ci ho mai provato. Poi s’è messa con Briatore. Crede che a 66 anni sia ancora schiavo degli impulsi sessuali?».
Che Italia vien fuori dal «GF Vip»?
«Un’Italia di quel livello lì. Che sbaglia le province della Basilicata. Un po’ come in politica. Guardi il dibattito al Senato. Stamattina parlava Casini e sembrava un altro mondo, poi si passava a quei giovani portati in Parlamento dal comico e…».
Si stupisce?
«No, ma sono preoccupato per il futuro delle mie figlie e dei miei nipoti».
Una moglie e una compagna insieme, tre figlie di cui una da una fan, 20 milioni di dischi venduti e la rovina al tavolo da gioco. Darsi una regolata?
«Guardi, se il finale è questa serenità, rifarei tutto da capo. Forse più coraggio in musica».
Rinnega i tormentoni pop?
«Per niente. “Sarà perché ti amo” scritta per i Ricchi e Poveri è tra le dieci canzoni italiane più eseguite al mondo. Curerei di più la mia vena poetica, quella di “Santa Maria Novella”, de “L’equilibrista”. Mi darei un’altra chance, insomma».
Però ha saputo ugualmente reinventarsi: è il prezzemolo di ogni pietanza tv.
«Perché mi sono messo in piazza, raccontato. Ho detto: basta ipocrisie, io sono così».
Una vita d’azzardo: più al tavolo da gioco o in amore?
«Tutte e due. Al gioco ho perso, in amore ho vinto con la sincerità, il rispetto, la dignità».
Amici veri.
«Giuseppe Tinti, lavoro con lui dagli inizi. Un fratello più che un amico».
Nemici giurati.
«Neanche uno. Non ho nemmeno l’avvocato».
Toscanaccio senza peli sulla lingua. Che prezzo ha pagato?
«Dico ciò che penso. Sono onesto. Mai ferito nessuno».
Nato in terra «rossa», mai a sinistra.
«Famiglia di bastian contrari. Mio nonno era fascista, mio padre votava Almirante, poi passò alla Dc, unici tifosi della Fiorentina in un paese, Ponticino, provincia d’Arezzo, dov’eran tutti juventini».
Ok, ma da che parte sta?
«Per il partito autorevolezza più competenza. Uno vale uno è la più grande cazzata del secolo, è questo il populismo. Purtroppo, i ragazzotti che governano il Paese non distinguono nemmeno l’origine del vino che prendono al ristorante…».
Sanremo in tempo di Covid. Giusto farlo o no?
«Giustissimo. Così come continuare a fare tv. Abbiamo bisogno di far sfiatare la valvola, son giornate dure».
Ci tornerebbe al festival?
«Ci sarei tornato lo scorso anno da ospite: era il quarantennale di “Su di noi”».
Il brivido che vorrebbe ancora provare?
«Lanciarmi col paracadute. E fare teatro come i miei amici Morandi e Ranieri».
Enzo Ghinazzi e Pupo: che si dicono la mattina davanti allo specchio?
«Enzo prima pensava che Pupo fosse un peso, era diffidente. Poi l’ha sdoganato, ha capito che Pupo poteva insegnargli parecchio. Ora si svegliano sempre allegri e battono cinque».
"Il vizietto di Iacchetti". La Corvaglia sbotta: "Solo min... per infangarlo". Novella Toloni l'8 Novembre 2021 su Il Giornale. La Corvaglia ha difeso l'ex fidanzato dopo che sul web si era diffusa la notizia dei presunti problemi legati al gioco d'azzardo del conduttore di Striscia. "Problemi finanziari per Enzo Iacchetti finito nel circolo vizioso delle scommesse e del gioco d'azzardo". L'ultima fake news sul conduttore di Striscia la notizia circolata sul web ha creato non poco scalpore nel mondo dello spettacolo. Un clamore tale da spingere la sue ex, Maddalena Corvaglia, a esporsi pubblicamente per difenderlo. Le indiscrezioni su Enzo Iacchetti sono iniziate a circolare nelle scorse ore, dopo la pubblicazione di un articolo sul portale Chesuccede.it, nel quale si parlava del presunto vizio del popolare conduttore. Una passione, quella per il gioco d'azzardo, che lo avrebbe portato addirittura a "rischiare di finire sul lastrico". Secondo quanto riportato nell'articolo, Iacchetti avrebbe sofferto in passato di ludopatia, una vera e propria dipendenza patologica dal gioco, che lo avrebbe portato ad avere grossi problemi finanziari. La clamorosa notizia, rivelatasi in realtà una fake news, si è diffusa a macchia d'olio sul web destando sconcerto vista l'estrema riservatezza di Enzo Iacchetti sulla sua vita privata. Ma se il conduttore ha preferito la via del silenzio, scegliendo di non commentare le indiscrezioni, invece la sua ex fidanzata, Maddalena Corvaglia, è voluta intervenire pubblicamente in sua difesa. Attraverso una serie di video pubblicati sulla sua pagina Instagram, l'ex velina bionda di Striscia la notizia ha rivelato di avere scoperto la news per caso, dopo una notifica di alert ricevuta sul suo cellulare. Dopo avere letto quanto riportato sul sito, però, è letteralmente sbottata, definendo false e infondante le illazioni circolate in rete su Iacchetti: "Tra tutte le minchiate che ho sentito - e ne ho sentite tante - questa devo dire che è tra le prime. Allora, perché non vi trovate un lavoro vero? Perché bisogna calunniare e infangare una persona che ha 50 anni di carriera alle spalle?". Maddalena Corvaglia, che è stata la compagna di Iacchetti per oltre sei anni, ha smontato la notizia, definendo irriguardoso il trattamento riservato non solo al suo ex, ma anche a chi soffre realmente di ludopatia: "Lo trovo irrispettoso anche nei confronti di chi davvero soffre di questo disturbo". Poi scherzando, si è rivolta al conduttore con il quale, nonostante la fine della loro relazione, è rimasta in buoni rapporti: "Scusa Enzino se mi sono fatta i fatti tuoi". Le storie pubblicate da Maddalena Corvaglia non sono più visibili sulla sua pagina, ma le sue parole hanno comunque fatto il giro del web, consentendo di fare chiarezza sull'accaduto.
Novella Toloni. Toscana Doc, 40 anni, cresco con il mito di "Piccole Donne" e del personaggio di Jo, inguaribile scrittrice devota a carta, penna e macchina da scrivere. Amo cucinare, viaggiare e non smetterò mai di sfogliare riviste perché amo le pagine che scorrono tra le dita. Appassionata di social media,
· Ermal Meta.
Ermal Meta e il ddl Zan: «Ho avuto una famiglia tradizionale terribile, avrei preferito mille volte qualcosa di differente». di Barbara Visentin Il Corriere della Sera il il 22 novembre 2021. Il cantautore è protagonista dell’Artista Day, iniziativa di Corriere della Sera e Radio Italia. Ermal Meta guarda alle canzoni come a delle istantanee. Fotografie di un momento che spesso ha voglia di condividere subito, prima che intervenga l’effetto del tempo. Così il suo nuovo brano «Milano non esiste», in uscita venerdì, è stato scritto pochi giorni fa. E si può ascoltare in anteprima su Radio Italia in occasione dell’Artista Day insieme al Corriere della Sera.
Come mai nella canzone fa «scomparire» Milano?
«Le grandi città a volte ti fanno sentire solo anche se sei in mezzo alla gente perché ti spingono a volere sempre di più e alla fine vieni fagocitato. Invece la felicità è anche stare con le persone ed è proprio desiderare quel che hai già».
Lei, a 40 anni, si considera felice?
«Sì, vivo di musica che è l’unica cosa che ho sempre sognato. Poi bisogna anche essere indulgenti, ricordandosi che non occorre per forza essere primi. Felicità vuol dire anche accontentarsi e io mi accontento, non di quel che ho, ma di quel che sono».
Che cosa fa Ermal Meta quando non fa musica?
«Sto in silenzio, una cosa che mi ha insegnato la musica classica (la madre è violinista, ndr.). Mi servono due o tre ore al giorno di silenzio per la gioia della mia fidanzata che però lo sa. La musica nasce dal silenzio e io passo molto tempo a pensare, a concentrarmi su quel che provo e sono. Mi è servito molto, specie nell’ultimo anno e mezzo, per combattere la paura».
Di cosa ha avuto paura?
«Non specificatamente del Covid, osservavo tutte le regole. Ma temevo di non riuscire a capire come stesse cambiando il mondo. Forse si è visto anche sui social, dove postavo meno. Quando comunico immagini felici, è perché lo sono veramente. Quel che mostro è vero. Ma forse non ci ho capito molto dei social e non ci capirò mai niente».
Sente la responsabilità delle reazioni che un suo post può scatenare?
«In un periodo in cui nessuno si espone nel dire quel che pensa, io sono un essere umano pensante, parlante e anche scrivente purtroppo. Non gestisco le reazioni dei miei fan, succede quel che succede. C’è chi è più o meno infervorato, succede che parta l’embolo, ma non parliamo di questioni di vita o di morte. E poi quando scrivi non si percepisce il tono, altrimenti la reazione sarebbe diversa. Penso invece che i social generino molta solitudine».
Tra le cause per cui si è fatto sentire c’è stato anche il ddl Zan.
«C’è ancora tanto da fare sui diritti civili, alcuni personaggi hanno detto un sacco di fregnacce. Del perché non ho idea. Le famiglie possono essere tradizionali o non esserlo. Quel che serve è l’amore: io ho avuto una famiglia tradizionale che era terribile. Mio padre non era una brava persona, avrei preferito mille volte qualcosa di differente. Quindi pensate ai figli maltrattati o alle donne che subiscono violenza».
A settembre è stato in concerto allo stadio di Tirana. Che effetto fa suonare nel Paese in cui è nato?
«L’Albania ha passato anni duri. Quando ero piccolo era vietatissimo ascoltare musica straniera, il regime aveva paura di quel che arrivava dall’estero tanto che per dire “casino” si diceva “America”. Lo diceva anche mia nonna, a cui fu portato via il marito quando lui aveva 30 anni e lei 24. Io prima di venire in Italia non sapevo neanche cosa volesse dire guardare all’estero. Pensavo all’Italia e pensavo al vuoto. Così quando siamo arrivati in Puglia ricordo le strade grandi e dritte perché in Albania erano tutte curve, per non far atterrare i nemici».
Da febbraio sarà in tour nei teatri: cosa ascolteremo?
«Sto riarrangiando le canzoni e saranno totalmente diverse. Sto andando in tre direzioni, ma devo ancora sceglierne una. Vedremo...».
Il suo 2021 è iniziato col terzo posto a Sanremo.
«È stato il Festival più difficile, per la mancanza del pubblico e per tante cose che respiri. Ma è andato bene, è la terza volta che vado sul podio, meglio di così non si poteva».
I Maneskin da quella vittoria hanno preso il volo.
«Sono felice che siano riusciti ad arrivare al mondo, magari hanno aperto un varco. Sono giovani e belli, hanno tutto il percorso davanti».
E il secondo classificato Fedez che ora ha finto di scendere in politica?
«È sempre molto bravo ad attirare l’attenzione, è un genio della comunicazione. Un paio di estati fa gli avevo detto di candidarsi. Ma a parte la battuta, lui sa quel che fa e si è burlato di un po’ di persone. Può insegnare a tanti come usare i social, anche a me».
Sanremo, Ermal Meta: "Il mio Festival dalla parte degli Invisibili". Carlo Moretti su La Repubblica il 25 febbraio 2021. Il cantautore di origini albanesi torna in gara con il brano 'Un milione di cose da dirti'. Dopo la vittoria nel 2018, oggi affronta la gara con leggerezza: "Abbiamo già vinto per il fatto di essere su un palco". In arrivo il nuovo album "Tribù urbana". Porterà all'Ariston "una canzone d'amore, la storia di uno di quegli amori in cui due persone diventano una e smettono di chiamarsi per nome. Tanto che poi, quando uno lo fa, suona quasi strano. Un amore verticale", come lo definisce lui, "che parte da qui e cerca di salire, ma non si sa mai quale traiettoria potrà prendere". Ermal Meta parla del suo nuovo disco Tribù urbana che esce il 12 marzo e contiene anche Un milione di cose da dirti, la canzone con cui parteciperà al Festival di Sanremo. Un disco attraversato dalla "gentilezza degli ultimi" e dalla forza dell'esercito de Gli invisibili, titolo di una delle undici nuove canzoni. "È nata dopo un viaggio negli Stati Uniti che ho fatto due anni fa" racconta il cantautore di origini albanesi, "dove ho scattato molte foto e fotografato soprattutto i senzatetto che mi sono trovato spesso davanti, uno di loro mi ha raccontato la sua vita e quel giorno era peraltro il suo compleanno. In quel momento ho pensato subito che la sua fosse una bellissima storia ma che nessuno l'avrebbe mai raccontata, e allora ho deciso di farlo io. Una volta qualcuno mi ha detto: "Cerca di essere invisibile perché le persone invisibili poi imparano a volare'" e credo che sia vero, il mondo potrà essere salvato da un gesto di gentilezza. Del resto tutti noi siamo stati invisibili almeno una volta nella vita". È successo anche a lui di sentirsi un invisibile, confessa a un certo punto Ermal Meta, ed è stato quello il momento e il motivo per il quale ha preso la decisione di diventare un cantautore e non solo un autore di canzoni da far cantare agli altri, come fino a quel momento. "Mi sono sentito un invisibile quando chi cantava le mie canzoni cercava di spiegarle al posto mio. Mi chiedevo come potessero avere la presunzione di spiegarle, visto che le avevo scritte io. Ero stufo, allora ho deciso di cantarle da solo, così se qualcuno lo chiede posso dare l'interpretazione autentica, essendone l'autore". Un disco di canzoni scritte pensando al palco, a come avrebbero suonato interpretandole dal vivo in un concerto. "Ne ho una voglia immensa, ma stavolta mentre le scrivevo mi sono idealmente messo in platea, facendo finta di essere uno del pubblico: ai concerti la maggior parte delle persone va per poter cantare le canzoni e così mi sono messo nei panni di chi viene ai miei concerti e queste canzoni potrà cantarle a squarciagola davanti al palco". L'album alterna suoni e ritmi elettronici a ballate più tradizionali in linea con il pop mediterraneo: "Il suono è il risultato della commistione di cose diverse, c'è la parte classica del cantautorato perché la lingua italiana ha bisogno di un suono che la sostenga, come avviene nella ballata Un milione di cose da dirti. Ma non sono mai rimasto dentro a un genere preciso, nella musica si trova sempre qualcosa di bello. Le canzoni sono il risultato dei miei ascolti di questo momento. E dipendono anche dallo strumento su cui nascono, una nuova chitarra può suggerirmi una sperimentazione particolare". C'è un brano intitolato Nina e Sara che racconta una storia d'amore tra due ragazze. "Per i sogni siamo mille anni luce avanti, vedi le sonde che arrivano in questi giorni su Marte, ma per quanto conta davvero, per la libertà individuale, siamo ancora nel Medioevo, e lo eravamo ancora di più negli anni Novanta nel Sud Italia, dove questa storia è ambientata. Nasce da una storia personale" aggiunge Meta, "a 16 anni avevo una fidanzata, la mia seconda fidanzatina, molto strana anche con se stessa, la vedevo come un'anima in pena, non ero in grado di capire cosa avesse. Dopo due anni che ci siamo lasciati l'ho trovata felice fidanzata con una ragazza, era il '97: fino a quel momento non era in grado di ammettere a se stessa che a lei piacevano le ragazze, aveva questa rabbia, si faceva del male da sola dal punto di vista emotivo. La società non gli aveva dato gli strumenti per capire che ciò che provava non era sbagliato. E la strada è ancora lungo per questo". Ermal Meta rivela che a ispirarlo nella scrittura di Nina e Sara è stato l'ascolto di Anna e Marco di Lucio Dalla, del quale ha peraltro scelto di interpretare Caruso nella serata di giovedì del Festival dedicata alle grandi canzoni italiane. "Non avevo calcolato le date, il 4 marzo cade il cinquantenario della canzone di Dalla, me lo ha fatto notare la mia fidanzata ma ormai avevo scelto Caruso, la canzone che tutti mi hanno sconsigliato di fare, ma io sono fatto così, cerco sempre di misurarmi con i miei limiti. Mi voglio misurare con questa canzone non con Lucio Dalla, che è inarrivabile". All'Ariston non ci sarà il pubblico, sarà vantaggio per qualcuno? "Non posso dirlo perché non conosco le emotività dei colleghi. Di sicuro cantare davanti a un teatro vuoto è un po' strano e specialmente al Festival di Sanremo, dove la platea è sempre stata appassionata, almeno fino a una certa ora. Il ruolo più difficile sarà dei due conduttori, parlare per tre ore a delle sedie vuote non sarà semplice, almeno noi dopo tre minuti andiamo via, loro non possono. La mia solidarietà va dunque ai due conduttori che devono portare avanti un'intera serata davanti a nessuno". Lui sarà tranquillo anche perché il festival lo ha già vinto nel 2018, in coppia con Fabrizio Moro per Non mi avete fatto niente: "Stavolta non mi aspetto nulla, vado con uno spirito diverso. Sinceramente mi interessa tornarci anche perché quello è l'unico palco dove si può salire per presentare una canzone che fa parte di un bouquet più ricco contenuto in un disco".
· Eros Ramazzotti.
Aurora Ramazzotti, "anale, ingoio e Rocco Siffredi". Senza censura, spazza via ogni tabù. Libero Quotidiano il 29 agosto 2021. Una scatenata Aurora Ramazzotti apre il suo cuore a followers maschi e femmine che le chiedono consiglio sulle più svariate attività sessuali. La figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, pur essendo ancora molto giovane, si presta al gioco su Instagram con maliziosa (e divertente) ironia, dando via a delle Stories decisamente piccanti. Senza tabù, senza censure. Le chiedono veramente di tutto. Si comincia forte: "Anale sì o no?". Risposta senza imbarazzi, e già un piccolo cult: "Cosa vuol dire sì o no? Nella vita non c'è giusto o sbagliato, c’è quello che ti piace. Se ti piace nell’orecchio va bene anche lì, non ti giudico". A questo punto la strada è aperta, spianata. E si corre veloci verso il mito: "Ingoio sì o no?". Aurora si traveste da dottoressa: "Sei stato a Ibiza, quanto alcol hai bevuto? Hai mangiato aglio o cipolla? Ieri, ah, benissimo. No ingoio". Una ragazza si lamenta di essere in astinenza sessuale da troppo tempo e la Ramazzotti, con fare ascetico, chiude gli occhi e la butta lì: "Neanche un pisello? Prova con Rocco (Rocco Siffredi, ovviamente, ndr), protettore di tutto e di tutti". Se la malcapitata non riuscisse a entrare in contatto con l'attore a luci rosse più famoso del mondo, nessun problema: c'è sempre la "masturbazione". Benvenuti alla educazione sessuale ai tempi delle influencer.
Aurora Ramazzotti "a luci rosse", la giornalista tv la smonta: "La versione sessuologa spinta un grave errore". Libero Quotidiano il 30 agosto 2021. Dare consigli "a luci rosse" è stato un grosso scivolone secondo la giornalista televisiva Caterina Collovati. Insomma, Aurora Ramazzotti che dal suo profilo Instagram ha fatto una lezione di "educazione sessuale" ai suoi follower, ha sbagliato. E l'attacco della Collovati è durissimo. La figlia di Michelle Hunziker e di Eros Ramazzotti è molto seguita sui social e in passato ha affrontato diverse problematiche che le stavano a cuore. Ma secondo la Collovati non doveva spingersi oltre: "Fin quando Aurora Ramazzotti – ha scritto la giornalista dal suo account Instagram - ci spiegava quanto turbata la lasciassero i fischi degli sconosciuti per strada (cat calling) passi, fin quando ci ammorbava sull’importanza di accettarsi e mostrarsi con l’acne passi, fin quando quest’estate esibiva il suo lato B più del volto passi, ha l’età per farlo… Ma ora basta direi". Secondo Caterina Collovati, i follower di Aurora farebbero bene a rivolgersi a veri esperti: "La versione sessuologa spinta: no. E se la colpa delle difficoltà dei Millenial nel far sesso fosse proprio di queste maestre improvvisate? Suvvia Aurora lascia i temi così delicati ai sessuologi veri e torna a raccontarci degli allevamenti di alpaca come facevi dagli schermi di Tv8 quest’inverno. Eri molto brava", conclude.
Aurora Ramazzotti e la figlia di Pino Daniele, voce molto maliziosa. "Erano amiche intime, poi...". Pettegolezzo spintissimo. Libero Quotidiano il 18 agosto 2021. Qualcosa si è rotto tra Aurora Ramazzotti e l'amica del cuore Sarah Daniele. "Che cosa sarà successo tra la figlia del compianto Pino Daniele, e Aurora Ramazzotti? Erano da sempre grandi amiche", scrive Dagospia "ma ora hanno smesso di seguirsi sui social e hanno trascorso le vacanze separate. E pensare che, poco tempo fa, posavano insieme parlando di progetti futuri". A luglio, infatti, si immortalavano in vacanza insieme ai fidanzati: Aurora con Goffredo, studente a cui è legata da ormai sei anni e con cui convive a Milano; Sara assieme a Marco Falivelli, speaker di Rtl con cui fa coppia da alcuni mesi e che le è stato presentato proprio dalla Ramazzotti. Adesso, dopo dodici anni di amicizia, sembra "calato il silenzio" e alcuni amici delle due ragazze sostengono che "alla base della rottura c’è un motivo grave".
Andrea Laffranchi per il "Corriere della Sera" il 13 luglio 2021. Sul pullman con gli Azzurri che lasciano Wembley con in braccio la coppa, domenica notte si cantava - è documentato nelle stories di Marco Verratti - «Più bella cosa» di Eros Ramazzotti. A lui è dedicato l'Artista Day di oggi, l'iniziativa di «Corriere» e «Radio Italia» che ogni due martedì celebra i protagonisti della musica con interviste, speciali e approfondimenti. Un trionfo calcistico internazionale con la colonna sonora di uno che la nostra canzone l'ha portata nel mondo. «Sono molto amico di Verratti che già nei giorni scorsi mi mandava video dei loro cori... che bella sensazione. Ho visto la finale in Grecia con amici italiani e polacchi. Una gioia dopo tanta sofferenza, e non intendo solo quella della tensione di una partita cominciata male. Complimenti anche a Berrettini per la finale di Wimbledon e ai Maneskin cui consiglio di rimanere umili. E ora speriamo che le cose vadano bene in tutti i sensi, non solo nello sport e nella musica», racconta Eros in vacanza in Grecia mentre è in radio con Fabio Rovazzi e «La mia felicità» e con in arrivo la prima uscita («Dove c'è musica») di un progetto di rimasterizzazione dei suoi album più importanti.
Oggi è l'Eros Ramazzotti Day, ma le chiedo di ricordare altri giorni fondamentali nella sua vita. Quello in cui ha capito che avrebbe voluto fare il cantante?
«Avrò avuto 4-5 anni. La musica era in casa: papà cantava e anche il nonno, che non ho mai conosciuto, era musicista. Il momento in cui ho pensato che potesse essere la mia strada fu quando Ravera mi fece fare Castrocaro».
Quello in cui si è sentito «nato ai bordi di periferia»?
«È una sensazione che non muore mai e ti resta sempre dentro. Un'esperienza bellissima che mi ha temprato in positivo. La famiglia, però, è stata fondamentale: mio padre e mia madre sono state le persone giuste per crescere nella maniera migliore. Da quelle parti mi sembra che il tempo sia fermo, vedo gli amici di allora che hanno vite semplici e felici, ogni tanto mi vengono a trovare in giro per il mondo. Proprio loro mi hanno dedicato un murales sulla facciata di una casa vicino a quella dove sono nato e cresciuto: lo hanno inaugurato a ridosso del primo lockdown e non vedo l'ora di poter andare a vederlo».
Il giorno in cui la pandemia le ha fatto saltare l'ultima data del tour mondiale a Los Angeles che ha pensato?
«Che siamo stati fortunati perché, a differenza di altri, siamo riusciti a fare tutte le date tranne quell'ultima. Per la musica spero che riparta tutto, piano piano, ma sembra che ci siamo... Tornando a quei giorni ricordo la paura. Eravamo a Cancun durante una pausa e, vedendo quello che iniziava ad accadere in Italia, abbiamo pensato che sarebbe stato meglio tornare dalle nostre famiglie. Siamo rimasti bloccati qualche giorno per questioni legate ai voli. Sapevo i miei stavano bene, anche se il fatto che fossero in Franciacorta, vicino alla zona più colpita, mi preoccupava. Durante la pandemia la mia creatività si è allargata, ho scritto 60 brani per il nuovo album che uscirà nel 2022: il virus mi ha dato la spinta per migliorarmi».
Il giorno in cui ha capito che dalla periferia era arrivato al tetto del mondo?
«Cuore e testa sono ancora lì dove sono nato. Non ho mai pensato "sono il numero 1". Però ricordo con piacere i racconti di viaggio estremi del mio manager Roberto Galanti: una volta tornò dalle montagne intorno a Teheran e mi disse che anche lì aveva sentito le mie canzoni».
Il giorno in cui ha temuto di non essere più Eros?
«Anche se non vendo più i dischi di prima non è un problema. Però ho ritrovato la strada giusta, la stessa di 10-13 anni fa, che è quella di creare una squadra. Avevo lasciato da parte quel modo di lavorare, forse mi sentivo appagato e ho frenato un po'».
Il giorno in cui si è pentito di qualcosa?
«Mi capita quando tratto male qualcuno e lo mando a quel paese. Succede a volte in auto, ma ci resto male. Sono uno cui piace stare in un angolo senza essere invadente. E anche se chi mi chiede un selfie mentre mangio è maleducato, mi alzo e lo faccio. Al limite si fredda la pasta».
Il giorno delle lacrime?
«Quando se ne è andata mamma. È stata dura perché purtroppo non potevo essere lì con lei. Quando era in vita me la sono goduta. E se la parte artistica viene da papà, il carattere forte l'ho preso da lei, calabrese doc».
Il giorno del «no» che le è costato di più in carriera?
«Negli anni 90 Clive Davis (uno dei discografici più influenti della storia ndr ) mi voleva a New York per lanciare la mia carriera in America. Ma avevo bisogno di stare in famiglia con Michelle, Aurora stava per arrivare... Gli direi ancora no. Non sono uno che cerca il successo».
Quello del «no» privato?
«A Monica Bellucci. Era un momento in cui sia lei che io eravamo liberi. È rimasto un bel ricordo».
Marica Pellegrinelli senza freni: "Con Eros? Non ero felice, quella vita non era fattibile". Nell'ultima intervista rilasciata al settimana F, l'ex moglie di Eros Ramazzotti si è raccontata senza filtri, parlando apertamente della rottura con il cantante e delle difficoltà del loro matrimonio. Novella Toloni - Gio, 25/02/2021 - su Il Giornale. "Per la prima volta mostro qualcosa di privato del mio carattere senza essere politicamente corretta. Ho cercato di essere senza filtri ed è stato liberatorio". Così Marica Pellegrinelli, modella ed ex moglie di Eros Ramazzotti, ha anticipato sui social network l'uscita della sua ultima intervista rilasciata a F Magazine. Una chiacchierata senza veli, nella quale l'ex moglie del cantante non ha nascosto i problemi avuti con Eros Ramazzotti e i motivi della fine del loro matrimonio. Le confessioni di Marica Pellegrinelli arrivano a quasi due anni dall'annuncio della separazione con Eros Ramazzotti. Sulle cause della fine del loro matrimonio - sancito nel giugno del 2019 con un comunicato congiunto - i due hanno sempre mantenuto il massimo riserbo, ma oggi la modella e influencer ha deciso di rivelarle nell'intervista a cuore aperto con F. "Nella mia vita Eros avrà sempre rilevanza. Se però ti accorgi di non essere felice, devi trovare il coraggio di andare a cercartela la felicità. Io non l'ho ancora trovata". La breve relazione con l'imprenditore Charley Vezza, per il quale si vociferava avesse lasciato Eros, e i flirt con Borriello e con il modello Paul Ferrari non hanno restituito l'amore a Marica Pellegrinelli. La sua vita ora ruota attorno al lavoro e ai due figli avuti da Ramazzotti, Raffaela Maria e Gabrio Tullio. Nell'intervista Marica Pellegrinelli ha raccontato gli anni di sacrifici vissuti nel matrimonio con Eros: "Quando ti innamori di un uomo che ha 25 anni più di te, e che vuole un figlio a tutti i costi, ti viene naturale cercare di farlo felice. Io a ventuno anni non pensavo di diventare mamma. Raffaela è stata cercata per amore. Mi dicevo: avrai tutto il tempo per seguire le tue ambizioni". E invece dopo la primogenita è arrivato il secondo figlio, che l'ha messa sempre più al centro della famiglia e lontano dalle sue ambizioni: "Quando metti su famiglia con un artista importante, quella vita non è fattibile. Bellissime esperienze i tour, ma ero sempre sola con i bambini. Finché i bambini non sono andati alla scuola dell'obbligo seguivo sempre mio marito in tour. Poi ho smesso. E infatti è finito anche il matrimonio". Un dolore, quello della fine del loro rapporto, che però oggi è mutato e li vede ancora vicini, ma non come i fan li vorrebbero: "È stata l’esperienza più dolorosa che io abbia mai affrontato, e dalla sofferenza capisci quanto ha contato quella persona nella tua vita. Ora parliamo cento volte al giorno. Oggi mi fa piacere vedere Eros. Ciascuno di noi merita di essere felice. Gli voglio bene, gli auguro il meglio. E lui a me".
· Eva Grimaldi.
Tutti i fidanzati di Eva Grimaldi prima del coming out, da Gabriel Garko a Imma Battaglia. Eva Grimaldi è pronta ad entrare al Grande Fratello Vip 6 come nuova concorrente. L’attrice è stata spesso al centro delle cronache rosa per le sue storie d’amore: da Gabriel Garko a Fabrizio Amoruso, fino alle nozze con Imma Battaglia. A cura di Ilaria Costabile fanpage.it il 17 Dicembre 2021.
Eva Grimaldi è una delle prossime concorrenti a mettere piede nella casa del Grande Fratello Vip, pronta ad affrontare una nuova esperienza e a mettersi in gioco come è accaduto anche in altri reality a cui ha preso parte nella sua carriera. L'attrice, il cui nome vero è Milva Perinoni, è stata spesse volte al centro del gossip per la sua vita privata e non sono mancati anche nomi noti tra i suoi fidanzati. La storia più lunga è stata quella con Gabriel Garko, prima del suo definitivo coming out e del matrimonio con Imma Battaglia.
La storia creata a tavolino con Gabriel Garko
La storia d'amore con Gabriel Garko è stata sul finire degli Anni Novanta tra le più chiacchierate dalle cronache rosa. I due sono stati insieme dal 1997 al 2001, ma come hanno poi rivelato in seguito, quando l'attore ha dichiarato la sua omosessualità al Grande Fratello Vip, la loro è stata una relazione creata a tavolino. In un'intervista al settimanale Chi, infatti, l'attrice ha dichiarato che a prescindere dal legame fittizio, tra loro c'è sempre stato un profondo affetto e hanno anche vissuto insieme per otto anni: La nostra storia è stata creata a tavolino quattordici anni fa. Non c'è mai stato sesso, lui aveva bisogno di me e io l'ho sempre protetto. Ma c'è un amore profondo che ci lega, ancora oggi, e che va al di là della sfera fisica… lo avrei addirittura sposato o ci avrei fatto un figlio.
Il matrimonio finito con Fabrizio Ambroso
Dopo la relazione con Gabriel Garko, quindi, Eva Grimaldi incontra l'imprenditore veronese Fabrizio Ambroso, con il quale nel 2006 si sposa dopo soli sei mesi di fidanzamento. I due si separano nel 2010 per scelta di lui, tanto che l'attrice ha più volte rivelato che per lei non è stato facile accettare la fine di questa storia che, infatti, l'avrebbe portata alla deriva cadendo in un profondo alcolismo: "Bevevo troppo. Prima, qualche bicchiere, poi, la sera a cena, senza accorgermene mi consolavo con una bottiglia intera di vino. Cercavo di stordirmi e, piano piano, ho iniziato a bere anche il whisky". Fortunatamente è riuscita a venirne fuori, ma nelle interviste rilasciate in quegli anni emergeva la sua sofferenza per la fine di questa storia. Nel 2013, poi, c'è stato il divorzio e l'imprenditore si è completamente ritirato a vita privata.
Il coming out e il matrimonio con Imma Battaglia
Attualmente Eva Grimaldi è sposata con Imma Battaglia, la nota attivista napoletana alla quale è legata dal 2010, ma la sua relazione è stata resa nota nel 2017, quando all'Isola dei Famosi decise di fare coming out. Le due si sono unite in matrimonio il 19 maggio 2019, realizzando una cerimonia nei minimi dettagli per celebrare il loro amore, seguito anche dalle telecamere su Real Time. In un'intervista, dopo aver annunciato il loro matrimonio l'attrice aveva dichiarato: "Sono sempre stata eterosessuale e a 50 anni sono diventata lesbica. Anzi, mi sono innamorata di Imma. Di una persona speciale. Se non avessi incontrato lei, non sarebbe successo. Non potrei mai innamorarmi di un’altra donna".
Silvia Maria Cristina Senette per corrieredelveneto.corriere.it il 22 Agosto 2021. L’ultimo terremoto nella politica internazionale ha nuovamente a che fare con uno scandalo «a luci rosse» ma, questa volta, l’epicentro del sisma è in Trentino. A scatenare la scossa di magnitudo massima è infatti Eveline Dellai, 28enne di Villamontagna che, assieme alla gemella Silvia, forma da anni il duo più hot del mondo del porno. A portare le gemelle agli onori delle cronache non è, però, una delle loro pellicole hard ma uno scambio di messaggini intercorso tra Eveline e l’attuale primo ministro belga Alexander De Croo — 46 anni, sposato e padre di due figli — che a causa di avance esplicite via whatsapp rischia di doversi dimettere. Ma chi è la gemellina che ha gettato scompiglio nel governo belga? Eveline Dellai è la scandalosa metà delle «Dellai twins», la coppia più calda dello show business a luci rosse. Star indiscusse di eventi must del settore, come l’Erotik Festival, le due sorelline sono nate il 10 luglio 1993 a Trento e fino a sette anni sono cresciute con i genitori nel sobborgo di Villamontagna. Quando Silvia ed Eveline erano alle elementari si sono trasferite con la famiglia in Repubblica Ceca, dove il padre trentino ha aperto un ristorante pizzeria. Lì, a Praga, l’avventura del porno è iniziata un po’ per caso. Ad aprire le porte dell’hard è stata proprio Eveline e, all’epoca, la gemella non aveva accolto la notizia con il sorriso. «A 22 anni Eveline aveva un fidanzato fotografo e le aveva fatto degli scatti hard. Le è piaciuto, ha guadagnato bene e ha cercato su internet uno shooting simile. Ha fatto un casting ma poi ha scoperto che era per girare un porno», ricorda Silvia. La sorella conferma questa tesi un po’ naif: «Mi sono trovata sul set di un film spinto con un regista famoso. Mi ha scelta, ho accettato e ho voluto subito coinvolgere la mia gemella. Ho pensato che sarebbe stato carino girare insieme». «Io non volevo — ribatte Silvia —, ero sotto shock e l’ho detto subito ai miei genitori perché intervenissero». E invece, un ciak oggi un ciak domani, le «Dellai twins» si fanno rapidamente un nome nel giro e in pochi mesi diventano due star. «Per due anni abbiamo girato moltissimi film in giro per il mondo» raccontano. Poi l’incontro decisivo con Siffredi che a Budapest ha una casa di produzione hard. «Gli dobbiamo molto — ammette Silvia —, ma eravamo già famose. Da lì in poi abbiamo iniziato a girare con lui». Nonostante una vita sulle montagne russe, le due Dellai si raccontano come ragazze con la testa sulle spalle. «Veniamo volentieri in Italia e in Trentino, dove abbiamo ancora i parenti, ci sentiamo a casa. Abbiamo spiegato alla nonna com’è il nostro lavoro e ha capito: ogni volta che torniamo a Villamontagna andiamo a messa con lei. La zia, invece, non ci parla. Ma a casa sanno che non siamo stupide: andiamo avanti perché abbiamo un cervello». Intanto Eveline sogna la moda e Silvia un futuro nella musica. Per l’amore, invece, non hanno tempo. «Mi piacciono gli uomini di carisma e di potere — confessa Eveline, la donna dello scandalo —. Ma sono troppo impegnata con il lavoro e non ho tempo per innamorarmi. Gli uomini non mi mancano, ma senza amore».
Barbara Costa per Dagospia il 21 agosto 2021. Sai che scandalo, nemmeno si sono mai visti! Sì, lei è una porno star e lui un premier, belga, in carica, e le loro chat erano affatto innocenti, ma… sai che c’è? Lei non ha tempo da perdere. Lei si fa tre uomini, minimo, insieme. In pioggia dorata. In doccia, con più uomini che la inzuppano, la "dissetano", o che la servono di sperma in copiosi boccali. Lei si mette giù, sdraiata, a offrire le natiche a peni che la infilzano, e nel mentre lei alza le gambe, per lavorare i sessi di altri uomini, cioè a masturbarli coi piedi. Ma pure, lei si mette seduta, dritta, in equilibrio, tacchi altissimi su un sofà e su corpi su cui lei allarga le gambe, così che nel mezzo entrino ed escano peni enormi, davanti, e dietro, che la riempiono, e talvolta uno solo, e con foga, intanto che intorno ci sono donne che la baciano, la leccano. Ovunque. Lei con la lingua si sollazza un pene dopo l’altro. Lei sc*pa e si fa sc*pare. Legata. Mentre sotto gliela… "trapanano". Lei che è e fa e gestisce tutto questo e molto - molto altro! - con candida innocente naturalezza. Lei è Eveline Dellai e oltre a mettere in crisi il governo belga sta scalando le classifiche di gradimento porno, e mica classifiche fatte a cavolo, no, quelle di "AEBN", ovvero quelle che senza se e senza ma, valutano quanto tu piaci a chi sceglie di vederti. E la nostra Eveline è da mesi che sale, fino a toccare la posizione numero uno, posizione che fino a due anni fa le era preclusa perché lei di porno poco sapeva fare. Lo dice Eveline per prima, che il porno è da imparare, a fare, ed è da illusi proporsi sui set pensando che ci vuole, sono sc*pate! e poi una donna un orgasmo lo può benissimo mimare! Parole inutili, pensieri di chi il porno non sa e non lo fa: il porno va appreso. E lo apprendi facendolo, come ha fatto - e fa - Eveline. Ve la ricordate quando ha iniziato, tempo fa, in coppia con la gemella Silvia? Ebbene, quella dolce "bimba" lì non esiste più, non solo il duo si era separato (Silvia aveva lasciato per fare la dj, ma è tornata, ad esibirsi, e c’è pure Eveline, nel serial "The Spanish Stallion" by Rocco Siffredi) ma è Eveline ad essere cambiata. Ad essere diventata un’altra. Una femmina che ha fame. Di porno. Di successo. La sfamano i più pregiati brand del porno europeo e statunitense: Brazzers, Blacked, Legal Porno, Dorcel, Nubile Films (qui notevole il suo "The Morning After"). Provateci, a fermare Eveline! Provate a mettervi a confronto, peggio per voi, Eveline è un carro armato, stermina e schiaccia e nel porno più eccessivo, pazzo, (finto) crudele. Quello che fa e si fa fare Eveline sui set non è replicabile per un normale essere umano, specie i porno dove le fanno una violenza che è recitata, girata secondo codici recitativi porno, propri e particolari. Scene in netto contrasto al suo corpo rimasto adolescenziale. Eveline il suo corpo ce l’ha naturale e palestrato, altrimenti quel porno lì non lo fai, ed è allenata a dosare la fatica, lo stress, i "carichi" porno che fare quel porno comporta. Eveline è abile a seguire e a imparare da chi è nel porno da decenni, a realizzar performance f*ttutamente indecenti, come il sesso che fa bloccata, incatenata, o come quello che esprime in "semplici" lesbian a due, a tre, con una intensità sconosciuta… in altre pornostar. Ci sono pornostar e pornostar, Eveline porta nel suo DNA anche metà dell’Italia e guardatela, la sua bravura, in "Anal Elegance #2", girato con David Perry: Eveline incombe nell’episodio finale, è la modella in lingerie azzurra a cui Perry non può resistere dal possederne ogni parte, e più volte. Ma è Eveline che lo domina, da ogni lato. Il porno è fatica, col porno non c’è da scherzare, per arrivare a tali livelli ci vuole dedizione. Ci vuole la determinazione di Eveline Dellai, che per il porno si è gettata alle spalle critiche della società, e del buon nome. La reputazione. Quella che esigono i social. Eveline è pornostar poco social, ci lavora il dovuto, ma a lei piace il sesso vero, i corpi veri, soprattutto odori e sapori e umori che un social annulla. E di cui Eveline non sa che farsene. Lei nelle interviste sogna di tornare in montagna, in Trentino, dove è cresciuta fino ai 7 anni, fino a che papà italiano e mamma ceca non hanno spostato la famiglia a Praga, aprendo un ristorante italiano. Ma per una vita “tra le caprette” c’è tempo. Oggi c’è il porno, da scalare. Eveline Dellai sa bene quello che vuole. Non so in politica ma nel porno, per le gattemorte e i finti tonti, non c’è più spazio, bisogno.
Niccolò Fantini per mowmag.com il 18 agosto 2021. Il libro “I becchini del Belgio" (in olandese: De Doodgravers van België, in francese: Les Fossoyeurs de la Belgique) è stato pubblicato il 1 luglio 2021 dal giornalista di Newsweek, Wouter Verschelden. Il volume ripercorre i 662 giorni di crisi politica del paese franco-fiammingo, che hanno portato alla nascita dell'attuale coalizione di governo, denominata “Vivaldi”, il cui Premier in carica da ottobre 2020 è il liberale Alexander De Croo. Il libro è una cruda analisi, da parte del giornalista politico-economico, dell'attuale classe dirigente di Bruxells: egolatria, lotte fratricide, colpi bassi, tradimenti e segreti. Una fotografia dei nostri cugini europei, che sembra quasi la cronaca politica d'Italia. Ma per l'uomo qualunque è interessante il capitolo dedicato a una relazione "privata" del premier Alexander De Croo: una serie di messaggini su Whatsapp che l'attuale primo ministro belga, classe 1975, coniugato e padre di due figli, ha inviato in pandemia a una famosa italiana, di vent'anni più giovane: la pornostar Eveline Dellai. Che infatti è nata a Villamontagna (Trento) nel 1993, da padre italiano e mamma della Repubblica Ceca. Eveline Dellai è una famosa stella mondiale dell'intrattenimento per adulti, che da circa 6 anni è tra le protagoniste femminili dei set e dei lungometraggi, nelle più importanti produzioni pornografiche d'Europa e degli Stati Uniti. E alle cronache italiane è anche nota, con lo pseudonimo di “Dellai Twins: Le gemelle Dellai”, per gli spettacoli a luci rosse, le serate in discoteca e le ospitate da Barbara D'Urso su Mediaset, in coppia con la sorella gemella Silvia. Però come mai la trentina Eveline Dellai chattava in privato con il futuro capo del governo belga che, all'epoca di questo flirting via app, era il ministro delle telecomunicazioni? E perché la storia non è oggetto di pruderie da parte dei mass media d'Europa, come la foto di Topolanek, ignudo in piscina, ai tempi d'oro del berlusconismo? E, cribbio, perché non c'è traccia della notizia sul web? Se Angela Merkel mandasse dei messaggini a Rocco Siffredi, sarebbe uno scoop interplanetario e chiunque, dalle Alpi alle Ande, lo leggerebbe sul proprio smartphone. E non c'entra l'asfissiante litania di sessismo-misoginia-maschilismo, infatti negli scandali porno-politici esiste da sempre la “gender equality”: le rivelazioni sulla passata relazione tra l'ex pornostar Stormy Daniels e Donald Trump, hanno tappezzato i media del globo per lungo tempo, durante la scorsa Presidenza USA. MOW è il primo magazine nel Vecchio Continente e anche in tutti gli altri, a raccogliere la testimonianza, diretta e personale, di Eveline Dellai circa lo scandalo belga di cui è l'inconsapevole protagonista.
Eveline, cerchiamo di comprendere meglio: ci racconti quando sei stata contattata in privato da Alexander De Croo, l'attuale premier del Belgio?
«Allora, questo tipo mi ha contattato tanto tempo fa. Non so come ha fatto ad avere il mio numero personale, ma da quel suo numero mi ha contattato nel 2020. E non mi ha scritto solo una volta, mi ricordo che ci ha provato... tante volte.»
I messaggi delle chat che hai inviato a MOW (e di cui siamo in possesso dopo che sono stati cancellati dal web) sono espliciti: “Hey tesoro. So che sei in Belgio il 24 novembre... Fantastico! Pensi che potremmo fissare un incontro il giorno dopo lunedì 25?”. Si legge che ci provava spudoratamente, per un appuntamento con te. Ma tu sapevi che quel numero era di un ministro, ora a capo del governo di Bruxells?
«Quella che è uscita fuori (le due schermate della chat di cui siamo in possesso) era l'ultima volta. Me lo ricordo bene perché in quel periodo ho collaborato con Denis. E io gli ho chiesto se poteva conoscere chi questo tizio, dato che diceva di essere una persona importante. Il Denis allora mi ha detto che quel numero era di un politico del Belgio.»
La relazione privata di Alexander De Croo è stata svelata al sito P-magazine da Dennis Black Magic, al secolo Dennis Burkas, produttore belga di pornografia, che si trova ora in carcere, accusato di aggressione e stupro da parte di un'altra attrice hard in Belgio. Il pornografo svela, in una telefonata dalla galera e pubblicata sul canale Youtube della testata, le chat private tra Eveline Dellai e il futuro primo ministro europeo, Alexander De Croo, nonché sottolinea la scomparsa della notizia e il disinteresse dei media di Bruxells, raccontando anche di altri successivi incontri, segreti e in ambigui parcheggi, con rappresentanti ed emissari del governo.
Quindi il produttore Dennis Black Magic è la “gola profonda” che ha raccontato al Belgio le chat del primo ministro?
«Sì. Ma comunque Denis era innamorato di me. Perciò ha contattato De Croo. Ma io non lo sapevo! Non ero in Belgio e non mi interessava questa cosa, per cui l'ho dimenticata quasi subito. Ma un giorno ho litigato definitivamente con Denis, gli ho detto cosa penso di lui e poi l'ho cancellato dalla mia vita. Forse per questo si deve essere offeso e ha raccontato tutto questo alle mie spalle. Ma non so perché e cosa è successo tra di loro due.»
Ok: lui ha contattato Alexander De Croo e ha raccontato delle vostre chat private ai suoi concittadini, ma tu quando e come l'hai scoperto?
«L'ho scoperto sui giornali. Lo scorso anno: nel 2020. Ho visto che in Belgio c'era scritto su Internet tutto questo discorso, su di me e quel politico. Perché ha fatto tutto questo Dennis, non lo so. Forse perché era arrabbiato con me. Forse per una questione di soldi, davvero non lo so.»
Il libro che racconta la vicenda è uscito a luglio del 2021, molti mesi dopo che Alexander De Croo è diventato, il 1 ottobre 2020, il premier dell'attuale coalizione di partiti che governano il Belgio. Tra le fonti e i documenti che riporta nel libro, il giornalista di Newsweek pone l'accento su una conversazione, che dimostra come le porno-avances via Whatsapp di Alexander De Croo hanno influenzato l'agenda politica e prolungato il calendario della crisi politica di Bruxells. I messagini privati a Eveline Dellai spiegano infatti perché Gwendolyn Rutten, altra importante politica fiamminga, nonché collega e presidente di partito del premier, si vedesse durante il 2020 candidata a primo ministro al posto di Alexander de Croo, poiché indebolito da questo scandalo personale, soprattutto se la notizia fosse diventata di dominio pubblico. Wouter Verschelden nel libro riporta una conversazione diretta tra i due: “Possono ricattarti? Oppure sei intoccabile?” chiede Rutten a De Croo, che risponde di non poterlo garantire. Un premier ricattabile per le sue relazioni private e i suoi gusti in fatto di donne e sesso: questa in Italia pare di averla già sentita. Anche il noto sito di politica internazionale, Politico.eu, segnala l'analisi di Verschelden: lo scandalo privato di Alexander De Croo, confermato da differenti fonti e sommato ad altri fattori, ha contribuito a ritardare di un anno la nascita della coalizione “Vivaldi”, nonché a segnare la fine della lunga crisi di governo a Bruxells. La vicenda ha dunque influenzato le tempistiche della politica, ma non l'agenda dei media: la notizia non è mai infatti diventata di dominio pubblico. Dalle informazioni presenti sul web e dalle conferme nel libro del giornalista di Newsweek, pare evidente che i mass media del Belgio, tra cui l'importante quotidiano De Morgen, fossero a conoscenza della notizia ma, trattandosi di relazioni private e pettegolezzi, non cercarono riscontri e quindi uscì da scaletta e ordine del giorno.
E ora, che sei in un capitolo del libro fresco di stampa, quando hai saputo che tornava l'interesse in Belgio per questa vicenda?
«Quasi un paio di mesi fa, poco prima dell'estate, verso fine giugno: hanno messo di nuovo fuori la storia, alcuni ne parlavano su Internet in Belgio. Credo per questa cosa del libro, ma non so cosa si dica di me. Alcuni hanno scritto il mio nome, come ho visto su Twitter e Google. Ma non capisco quella lingua.»
Secondo te c'è stato un disinteresse o una censura, da parte dei media del Belgio, per le chat private del ministro delle telecomunicazioni che dopo alcuni mesi è diventato il capo del governo?
«Non lo so perché qualcuno ha cancellato tutto quello che c'era prima. Ma in estate ho guardato su Internet: il mio nome c'è solo nel discorso di questo politico, in Belgio. Ma non so parlare questa lingua e non capisco molto di quello che scrivono sui social.»
In effetti nemmeno in Cina, in Iran o in Russia è semplice cancellare le informazioni una volta che sono pubblicate e si diffondono in Rete. E di sicuro non ce lo si aspetta nel civile Belgio e nell'Unione Europea, che è definita la culla della democrazia. Come protagonista inconsapevole di un intrigo politico in un altro paese europeo, quale è la tua opinione?
«Mah, è davvero strano. Anche perché ancora parlano di questa cosa. Non è successo proprio niente, ma sui social fanno sembrare: "boom!" Ma davvero non è successo... proprio nulla.»
Francesca Visentin per il “Corriere della Sera” il 20 agosto 2021. «Ehi tesoro. So che sei in Belgio il 24 novembre... Fantastico! Pensi che potremmo fissare un incontro il giorno dopo, lunedì 25?». Con questo messaggio, inviato dall'attuale primo ministro belga Alexander De Croo, 46 anni, sposato, padre di due figli, alla pornostar trentina Eveline Dellai, 28 anni, è iniziato lo scandalo che sta mettendo in imbarazzo un intero governo. E che, soprattutto, rischia di costare la poltrona proprio allo stesso De Croo, nominato premier il 20 ottobre 2020. La chat «bollente» tra il politico e la giovane stella internazionale del porno risale al periodo in cui De Croo era ministro per le telecomunicazioni. È stata svelata da Wouter Verschlden, giornalista di Newsweek , nel libro uscito nel luglio 2021 I becchini del Belgio , in cui ha narrato i retroscena della crisi politica nel Paese. Tra cui, appunto, quello che riguarda i messaggi hard tra De Croo e l'attrice italiana. A Eveline Dellai di Villamontagna (Trento), nota anche per gli spettacoli a luci rosse realizzati assieme alla sorella gemella Silvia (le «Dellai Twins»), De Croo ha inviato una lunga serie di espliciti apprezzamenti piccanti e avances tramite WhatsApp, che sono approdati poi per qualche ora su YouTube, pubblicati dal produttore belga di film hard Dennis Burka (finito poi in carcere per una vicenda di stupro). Ora è la stessa Dellai a raccontare la sua verità: «De Croo - dice in una pausa delle riprese del suo nuovo film - mi aveva scritto in occasione di un mio spettacolo in Belgio, chiedendomi di vederci. In quel momento non sapevo chi fosse e come avesse ottenuto il mio numero privato, così mi sono informata e mi hanno detto che era un politico importante. Da lì abbiamo iniziato a scriverci. Era un mio fan, voleva vedermi. Anch' io avrei voluto, ma tra i suoi impegni e i miei non siamo riusciti a organizzare. Così abbiamo chattato». Eveline, se da un lato appare turbata per la reazione che si è scatenata in Belgio, non lo è invece per il contenuto dei messaggi inviati dal primo ministro. «Da loro questo è diventato uno scandalo, ma per me è una cosa da niente - afferma -. Ricevo milioni di messaggi, da tanti uomini. Molti di loro sono politici e sono famosi, per me è normale». Anche in questo periodo chatta con personaggi noti? «No comment», ride la pornostar. Dellai insiste: «I messaggi di De Croo sono simili a migliaia di altri che mi arrivano ogni giorno. La verità è che sono un po' triste che il premier e io non siamo riusciti a vederci di persona. Non ce l'abbiamo fatta a trovare il giorno giusto... È un peccato. A me piacciono tutti gli uomini con carisma. Anzi, gli uomini di potere in particolare...». Ma perché quei messaggi espliciti sono finiti su YouTube? Che cosa ha spinto il produttore Dennis Burkas a rivelare l'affaire a luci rosse? «Forse l'ha fatto perché era arrabbiato con me - risponde la 28enne, figlia di padre trentino e madre ceca -, anzi perché era innamorato di me. Con De Croo comunque non c'è mai stata una storia d'amore; io sono troppo impegnata con il lavoro, non ho spazio per innamorarmi. Certo gli uomini non mi mancano, ma senza amore». Eveline Dellai ora vive a Praga, a settembre tornerà a Trento, dove abitano ancora i genitori. Lo scandalo De Croo potrebbe diventare la trama di un suo prossimo film? «Può darsi - ammette -. Sarebbe interessante».
ADRIANA MARMIROLI per la Stampa il 28 dicembre 2021. Passano i conduttori, Ezio Greggio resta: campione di ascolti di Striscia la notizia, è presente dalla puntata n. 1 del 7 novembre 1988, ed è poi tornato al Tg satirico ogni anno (salvo una stagione, la 1991-92, causa concomitanti film) per un totale di quasi 4.200 puntate, di cui oltre 2.500 con Enzo Iacchetti (sono la coppia più longeva). Insomma, per il pubblico, se dici Striscia dici Greggio: ne è il veterano e il volto simbolo.
Possiamo dire, con queste cifre, che la sua conduzione ha assunto una dimensione «mitologica»? «(ride).
Non me l'aveva mai detto nessuno. Ma mi fa piacere. E mi responsabilizza. Dopo 34 anni e tantissimi colleghi che ci sono alternati con me a Striscia, sono orgoglioso di essere ancora campione d'ascolti. Striscia è il mio habitat naturale. E il suo bancone la mia casa. Sono in Mediaset dal 1983: sono l'anziano, più di Scotti e molto più di Bonolis».
Insomma: lei è «figlio» di Antonio Ricci?
«Per carità, che poi si incavola. Diciamo il suo fratellino. Con lui ho fatto anche Odiens e Paperissima. E prima ancora Drive In, che ha fatto la storia della tv e ha cambiato il varietà. A Ricci mi lega un rapporto di affetto e stima, un comune sentire e l'ironia. Ci compensiamo: io metto la faccia, lui la scrittura. Sto a lui come Mastroianni a Fellini; o (ancora meglio) Totò a Monicelli».
Lei ed Enzino Iacchetti, partner a «Striscia» da 28 stagioni, sembrate una coppia di vecchi sposi litigiosi: lo fate o ci siete?
«Solo per sceneggiatura! Io l'aggressivo e lui il remissivo: complementari. Ma si vede benissimo che c'è feeling tra noi. Ci lega un affetto totale e tante storie in comune».
Prima di Iacchetti per anni ha fatto coppia con Gianfranco D'Angelo.
«Non c'è più ma l'ho sempre nel cuore e nella mente. Siamo stati la prima coppia di Striscia. Quando ci incontrammo, lui era già famoso e io agli inizi. Mi ha portato a La sberla, in Rai. Poi ho incontrato Ricci e ho coinvolto lui in Drive In. Sono stati anni bellissimi.
C'era il piacere di divertirsi, ci si frequentava nel tempo libero, organizzavamo scherzi, facevamo serate di cabaret insieme. L'ho sentito l'estate scorsa, quando ho saputo che stava poco bene: era debilitato, stanco. Il male se l'è portato via in malo modo e velocemente».
Pensa che oggi, in tempi di politicamente corretto, si potrebbe fare un programma come «Drive In»? Anche «Striscia» viene periodicamente attaccata.
«Ricci lo farebbe oggi uguale a quarant' anni fa. Reputo vergognoso quello che si dice contro Striscia. Credo che la satira debba essere libera di fare tutte le battute che crede. Se no la si imbavaglia, ed è regime. Mi considero politicamente scorretto. Il comico deve esserlo, scorretto e libero: il suo mestiere è tirare per la giacca i potenti e dire la verità per quanto sgradevole sia». Lei è anche uomo di cinema: attore in tanti cinepanettoni, regista, inventore del Festival della Commedia di Montecarlo, che quest' anno compie 19 anni.
Non pensa che anche la commedia italiana abbia risentito di questo clima «normalizzante»?
«Secondo me continua a essere cattiva e graffiante. È specchio della società di cui fa la caricatura: se è cambiata, è per via della trasformazione del contesto che descrive. Se c'è stata la crisi dei cinepanettoni, è perché chi li faceva ha impoverito quel filone, proponendo sempre la stessa cosa e sopravvivendo a lungo solo per merito di ottimi registi e grandissimi interpreti, che facevano miracoli per sorreggere i film. Il pubblico l'ha sentito e si è comportato di conseguenza. Quando torneranno le idee, tornerà anche il pubblico che vi si riconosceva. E non si dica che è colpa dello streaming. Certo, il cinema paga due anni di segregazione, incertezze e paure, ma se appena si torna a zeromicron, tutti torneranno in sala: gli spettatori e chi oggi realizza film che finiscono direttamente sulle piattaforme. Ridere è un modo per sperare nel futuro».
Lei è di Cossato. Che ne pensa della polemica contro Zerocalcare e la sua serie «Strappare lungo i bordi», che farebbe passare Biella per città dei suicidi, «dove si muore dentro»?
«Premesso che non ho visto il lavoro di Zerocalcare, trovo sbagliato trasformare in una diatriba il passaggio di un autore che fa satira. Personalmente, posso dire di avere Biella nel cuore. Ha tradizioni, cultura, imprenditoria, bei parchi e bravi artisti. Questo amore però non mi ha impedito, per coerenza con la storia della mia famiglia, di rifiutare la cittadinanza onoraria che mi era stata offerta da una giunta che l'aveva appena negata a Liliana Segre».
Ezio Greggio asfalta così il politicamente corretto. Francesca Galici l'1 Giugno 2021 su Il Giornale. Diretto e sincero come sempre, Ezio Greggio ancora una volta ha criticato il politicamente corretto e l'assurdità della censura moderna. Ezio Greggio è uno dei senatori della televisione commerciale italiana, una delle colonne della comicità del nostro Paese. Il suo nome è legato da oltre 30 anni a quello di Striscia la notizia ma in realtà l'attore e conduttore è anche il patron del Montecarlo Film Festival de la comédie, un evento che quest'anno celebra il suo 18esimo compleanno. Non si può certo dire che Ezio Greggio sia un amante del politicamente corretto, anzi. La sua comicità e la sua ironia sono da sempre pungenti e taglienti, tanto che in due interviste rilasciate al sito Leggo e al quotidiano Libero, l'attore si lascia andare a una critica non certo velata contro la deriva della comunicazione. "Il politically correct è 'scorrect', secondo questo principio dovrebbero prendersela anche con le vignette quotidiane di Giannelli sul Corriere della sera: una simile censura è sbagliata. Io difendo l’umorismo e la libertà d’espressione", ha dichiarato Ezio Greggio a Leggo riferendosi alla polemica montata poche settimane fa contro Michelle Hunziker e Gerry Scotti a Striscia la notizia. Per giorni si è parlato della gag sugli occhi a mandorla e sull'aver volutamente parodiato la pronuncia cinese modificando la "erre" con la "elle". Un siparietto che al programma e ai due conduttori è costato la gogna social internazionale. E a Libero, a tal proposito, ha dichiarato: "Suvvia, stiamo parlando di una battuta sugli occhi a mandorla! Ormai siamo a un livello di censura che manco negli anni '20... Ho molti amici cinesi, persone fantastiche e ironiche, che non si sono affatto offesi. Anzi, uno di loro scherzando mi ha detto: "Ma se allora sentissero le battute che facciamo noi sugli italiani, ci caccerebbero dal Paese..."". Ezio Greggio ampliando il discorso con il sito Leggo, ha condannato i paletti e i limiti imposti dal politicamente corretto alla libertà di espressione: "È un’esagerazione che tende ad imprigionarci. A mio avviso Striscia non ha fatto nulla di male, ormai ce la prendiamo per le sciocchezze ma io e Antonio Ricci abbiamo sempre scherzato su tutti e non era mai irriverente. Ora invece troviamo i soliti quattro censori del cavolo che vogliono tapparci la bocca e farci vestire tutti uguali". Ezio Greggio dalle pagine di Libero ha criticato con decisione il concetto delle quote rosa: "Io me ne fotto del numero di registe donna o delle quote rosa nei Festival. Se un film è terribile, non lo seleziono: non c'è regista che tenga! La scelta deve essere di merito, non politica".